Berlino e l`arte del XX secolo

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Berlino e l’arte del XX secolo
1. Prodromi
Relativamente all’avvento dell’arte moderna a Berlino, ci
sono due date da tenere a mente. La prima è il 1876, anno
in cui viene completata la costruzione della
Nationalgalerie, su progetto di August Stuhler. L’edificio,
posto sull’Isola dei Musei, era una costruzione neoclassica
nello stile di Schinkel allora imperante in Germania. La
collezione d’arte proveniva in larga parte dal lascito di un
collezionista berlinese, l’uomo d’affari J.H.W. Wegener,
che l’aveva donata nel 1861 allo Stato prussiano.
Finalizzata alla valorizzazione la pittura tedesca, la
Nationalgalerie fu fin dall’inizio condizionata dal potere
politico, che con criteri nazionalistici e antimoderni
interferì pesantemente nella politica delle acquisizioni di
questo museo. I suoi direttori dovettero subire spesso i
diktat prima dello Stato prussiano, poi del regime nazista.
Ciò nonostante, l’Impressionismo francese trovò
estimatori prima alla Nationalgalerie che nei musei
francesi.
La seconda data è il 1892, anno in cui scoppia a Berlino il
caso Munch. Una mostra delle sue opere, organizzata dal
Kunstlerverein, scandalizzò così tanto il pubblico e i
circoli accademici – in principal modo la Konigliche
Akademie der Kunste - che venne chiusa d’imperio dal
presidente del Verein, Anton von Werner, pittore e
consigliere artistico del Kaiser. Le idee del Kaiser stesso
sull’arte erano del resto note. Qualche anno dopo avrebbe
detto: “L’arte che contravviene alle leggi ed ai limiti che
ho imposto non è arte”. (1)
Il dettato imperiale era rivolto contro le tendenze artistiche
(quelle che vennero chiamate in maniera sprezzante la
“Rinnsteinkunst”) che nel 1898 avevano dato vita ala
Berliner Sezession (2). Artisti come Max Liebermann, che
insieme a Lovis Corinth e Max Slevogt introdussero
l’Impressionismo in Germania, ma anche Wilhelm
Leistikow e Ludwig von Hoffmann, intorno ai quali si era
formato il cosiddetto Gruppo degli Undici, guidavano il
tentativo di ribellarsi alla tutela imperiale delle arti,
contrapponendo all’arte nazionale, i cui principali
esponenti erano Anton von Werner e Adolf von Menzel, le
tendenze d’avanguardia. Questo tentativo prese il nome di
Secessione. Berlino, fino ad allora un eldorado per il
classicismo imitativo, la pittura vedutistica e quella che
rappresentava le grandi battaglie, si apriva così, sebbene in
ritardo, agli sviluppi dell’arte internazionale.
2. La Berliner Sezession
Privati e mecenati tuttavia militarono a favore dell’arte
moderna, così pure nuove gallerie - Fritz Gurlitt (3),
Bernhard Koehler, Paul Cassirer (4) -, riviste -“Pan” (5),
“Kunst und Kunstler” (6) - e perfino istituzioni come la
Nationalgalerie. Soprattutto i galleristi non cessarono di
attirare a Berlino gli artisti d’avanguardia: gli
Impressionisti ed i membri di Der Blaue Reiter da
Monaco, i pittori di Die Brucke da Dresda, ma anche
Kathe Kollwitz, Ernst Barlach, Max Beckmann, Oscar
Kokoschka, Georg Grosz, Karl Hofer, Kurt Schwitters.
Nel 1902 una nuova mostra di Munch, organizzata da Paul
Cassirer in Viktoriastrasse nell’ambito della Secessione
ebbe finalmente il successo che meritava. Un altro artista
che esercitò un influsso profondo sui giovani artisti
berlinesi fu Van Gogh, le cui opere vennero esposte a
Berlino nel 1901 (Secessione) e poi nel 1904 (Paul
Cassirer). Tuttavia la Secessione ben presto andò incontro
ad una scissione: nel 1910 venne fondata la Neue
Sezession (7), che raggruppava i 27 artisti rifiutati alla
selezione della XX Secessione berlinese, fra i quali alcuni
artisti della Die Brucke, che con l’appoggio di Herwarth
Walden, Max Pechstein e Georg Tappert esporranno alla
galleria di Maximilian Macht in Rankestrasse (8) . Con
un’ulteriore spaccatura, La Secessione Libera vedrà la luce
nel 1914 con Barlasch, Kokoschka e Macke.
3. Berlino all’alba del Novecento
Ma com’era Berlino agli inizi del XX secolo ?
L’industrializzazione aveva travolto la Berlino prussiana
in un’autentica febbre costruttiva; in poco tempo prese
forma una metropoli con dimore lussuose, palazzi immensi
ed interminabili file di condomini che spuntavano dal
suolo sabbioso della Marca di Brandeburgo. E crebbe così
rapidamente da provocare la visione sconcertata degli
artisti, con dipinti in cui la città, come un incubo, era un
mare di pietra, piena di demoni e di ribellione. In una
poesia di Armin T. Wegner i palazzi sono descritti così:
“Noi uccidiamo i campi !”. Un sonetto di Georg Heym del
1910 definisce la città “un immenso mare di cemento”. In
effetti, è ciò che l’urbanizzazione ha fatto in tutto il
mondo. Berlino, la città che è cresciuta più rapidamente
delle altre (9), era diventata il simbolo della metropoli
moderna, togliendo a Parigi il ruolo di capitale pulsante
del XIX secolo. Ma perchè ?
La centralità di Berlino per le avanguardie tedesche è il
frutto del mutamento dall’utopia romantica della natura
alla crassa realtà della dimensione urbana. Negli anni
immediatamente precedenti alla prima guerra mondiale, gli
artisti espressionisti, ad esempio, lasciano le loro radici
naturali (Moritzburg in Sassonia, il “Blaues Land”
bavarese, le rive baltiche e del Mare del Nord) per scoprire
ed accettare l’innaturalità della metropoli come fascinoso
luogo di contraddizioni. Berlino, che non aveva mai avuto
una grande tradizione artistica e culturale, rappresentava
agli inizi del Novecento, con la sua fulminea crescita e la
sua vita frenetica e congestionata, con la sua atmosfera
decadente e morbosa e con la sua stessa grandezza
territoriale, la promessa di una nuova realtà, che implicava
però la perdita dell’innocenza. Hegel aveva detto che
Berlino non era un’Atena sulla Sprea, nonostante la sua
architettura posticciamente neoclassica. Rathenau
l’avrebbe paragonata, in maniera sprezzante, a Chicago.
Alfred Doblin, dal canto suo, la chiamava la “Ninive del
Brandeburgo” (10).
Il fatto è che dal punto di vista architettonico, Berlino al
volger del secolo era diventato un crocevia fondamentale.
Il viennese Adolf Loos vi risiedeva abitualmente ospite di
Peter Behrens, vi erano gli studi di Walter Gropius, Adolf
Mayer, Ludwig Mies van der Rohe e Le Corbusier. Ma
sarà il convergere nella città delle avanguardie storiche –
Espressionismo, Costruttivismo, Dadaismo – a farne un
polo magnetico della cultura del XX secolo. Berlino
pareva la modernità concretizzata, con i suoi ritmi
incalzanti, il costante movimento, la vitalità inesauribile,
l’intenso cosmopolitismo (11), che ne facevano un luogo di
attrazione ed al tempo steso un fattore di stimolo estetico
pari a quello esercitato da altre città (Parigi, Roma, New
York) in altri periodi. Con questo suo magnetismo, Berlino
pareva compensare il ritardo con cui essa aveva incontrato
l’arte moderna.
4. Der Sturm di Herwarth Walden
Nel 1910, anno in cui prende avvio Nuova Secessione,
Herwarth Walden (12) fonda la rivista “Der Sturm”, nella
quale la nuova generazione di artisti berlinesi trova il
proprio foro. Der Sturm era comunque un coacervo di
attività: rivista, galleria, scuola d’arte e, dal 1918 al 1921,
gruppo teatrale. Aveva sede in Katherinenstrasse, per poi
trasferirsi all’inizio del 1913 nella più centrale
Potsdamerstrasse n.18. Nel 1912 verrà aperta la galleria,
situata in Tiergartenstrasse. La prima mostra era sul Blauer
Reiter, presa in prestito dalla galleria Thannhauser di
Monaco. La seconda fu dedicata ai futuristi italiani, il cui
manifesto era stato pubblicato nel 1910 anche sullo Sturm.
Nello Sturm Walden formula il manifesto della nuova arte,
l’Espressionismo (13): compito della pittura non era più
quello di imitare la natura o di fotografare la gente, ma
piuttosto di rivelare la condizione interiore, che in pittura
prendeva spesso forma nella distorsione della realtà
visibile. L’Espressionismo moderno che qui prende avvio
era la rappresentazione di un tempo accelerato e dei nervi
tesi della vita metropolitana: desiderio e paura, conflitto,
inquietudine, premonizione di catastrofe, denuncia e
protesta (14).
5. La Novembergruppe
Anche nella Novembergruppe, fondata nel 1919, troviamo,
di nuovo, artisti provenienti dallo Sturm. Qui però la
connotazione di spicco rispetto allo Sturm è la fede nella
rivoluzione insieme all’idea di integrare “ tutte le arti sotto
le ali di una grande architettura” – non è un caso che al
sodalizio aderirono architetti come Erich Mendelssohn,
Ludwig Hilbersheimer, Ludwig Mies van der Rohe e
Bruno Taut). Un appello ai “rivoluzionari di spirito” mise
insieme a Max Pechstein e a César Klein, suoi iniziatori,
artisti come Muller, Purrmann, Campendonk, Belling,
oltre a drammaturghi, poeti e musicisti. Si tratta insomma
di una vera e propria comunità artistica che per la prima
volta si poneva l’interrogativo esplicito del ruolo dell’arte
nella società. Non richiamandosi ad alcuna tendenza
artistica, il gruppo era aperto ad ogni novità. Tuttavia
l’istanza utopica di un’architettura del popolo e per il
popolo, che si esprimesse attraverso nuove tecnologie
(acciaio, cemento, vetro) lo avvicinava fortemente ai
Costruttivisti russi, insieme ai quali esposero a Berlino nel
1923.
6. Il cinema
Dopo la prima guerra mondiale si svilupparono anche i
legami fra pittura, teatro e cinema. Max Reinhardt, che
aveva chiamato Munch come scenografo per un lavoro di
Ibsen nel 1906, nel 1920 ricorreva a Grosz. Il film
espressionista di Robert Wiene “Il gabinetto del dottor
Caligari”, del 1920, conteneva esclusivamente scenografie
dipinte da giovani pittori quali Walter Rohrog, Walter
Reimann e Hermann Warm, che già avevano collaborato
ad importanti allestimenti teatrali. Per influsso dello
svedese Eggeling, Hans Richter realizzava con “Ritmo 21”
la transizione fra pittura e cinema astratto.
Berlino diventa anche il centro dell’industria
cinematografica tedesca. Nel 1912 iniziano l’attività gli
studi di Neubabelsberg; nel 1917 nasce, dalla fusione di
numerose case produttrici, l’UFA (Universal Film AG),
che diventerà proprietaria di una catena di 56 sale in tutta
la città. Contemporaneamente si viene sviluppando un
vero e proprio quartiere del cinema intorno a
Nollendorfplatz. Dal 1910 al 1926 le sale
cinematografiche passano da 139 a 367.
La cinematografia berlinese richiama personaggi come il
russo Ejzenstein, che nel 1926 proietta all’Apollo Theater
sulla Friederichstrasse il suo film “La Corazzata
Potemkin” e visita il set dove Fritz Lang sta girando
“Metropolis”.
7. Il dopoguerra: Dadaismo
Dopo la guerra e l’insurrezione spartachista, l’arte tedesca
reagì in due direzioni opposte – Dada e Nuova Oggettività
– ma con la stessa provocatoria sicurezza data dal clima
rivoluzionario del momento. Il Dada, per la prima volta,
mise insieme strumenti pittorici e letterari al fine di
dissolvere le certezze borghesi non solo in fatto di arte, ma
anche in fatto di percezione della realtà, in nome di una
spensierata anarchia.
I dadaisti berlinesi dettero un contributo unico all’arte del
secolo: il fotomontaggio critico. La sua origine sta nella
natura eterogenea dei fatti quotidiani, la fotoriproduzione
dei quali, messi insieme caoticamente, dava l’immagine di
una dissoluzione. Il nucleo del Dada berlinese fu formata
da Raoul Hausmann, George Grosz, Hannah Hoch, John
Heartfield, Richard Huelsenbeck e Rudolf Schlichter.
Nel gennaio del 1917 Richard Huelsenbeck arrivò a
Berlino per mobilitare gli artisti contrari alla guerra. Egli
capì che il Dada vi era già presente. In effetti, tendenze
predadaiste vi si erano già incubate, specie all’interno delle
classi intellettuali berlinesi, espressione delle classi medie,
già alla vigilia della prima guerra mondiale:
• intorno alle riviste Der Sturm e Die Aktion, dove i
dadaisti zurighesi (Hugo Ball, Emmy Hennings e lo stesso
Tzara) avevano già pubblicato testi.
• con lo scrittore Paul Scheerbarth, che aveva anticipato le
teorie dadaiste con i suoi racconti fantastici.
• con il Neopathetisches Cabaret, allestito fra il 1911 e il
1912 da Salomo Friedlander (Mynona) e Carl Einstein,
entrambi importanti collaboratori di Sturm.
Il pittore Raoul Hausmann arrivò invece a Berlino,
dall’Austria, nel 1901. Quattro anni dopo conobbe
Johannes Baader, progettatore di monumenti funebri e ne
divenne intimo amico. Dieci anni dopo iniziò la turbolenta
amicizia con Hannah Hoch.
Nel 1917 i fratelli Wieland e Helmut Herzfeld fondarono
le edizioni Malik, dal titolo di un romanzo di omonimo di
Else Laske-Schuler. Helmut Herzfeld cambiò il suo nome
in John Heartfield nel 1916 per protesta contro la
propaganda nazionalista antibritannica. George Grosz, le
cui esperienze al fronte gli avevano inflitto forti trami
psichici, divenne un loro stretto compagno di strada. Poi si
aggiunge Walter Mehring, autore di saggi e poesie
satiriche. Il nucleo del Dadaismo berlinesi veniva così a
comporsi di due gruppi piuttosto competitivi, ma legati dal
talento comunicativo e conciliativo di Huelsenbeck. Da
una parte vi erano individualisti anarchici come Hausmann
(il Dadasofo), teorico della contraddizione e promotore
dell’azione diretta, Baader genio della parodia e Hannah
Hoch, maestra dell’ironia gentile.
Dall’altra, i fratelli Herzfeld, Grosz e Mehring
rappresentavano la parte politicizzata del Dadaismo, quella
orientata a sinistra. Le riviste Jedermann sein eigener
Fussball e Die Pleite apparvero successivamente per i tipi
di Malik Verlag con le torve illustrazioni di Grosz che
erano dirette principalmente contro la mentalità “Legge e
Ordine” e la subalternità del governo repubblicano al
potere militare. Non ne poté venire che scandalo e bandi.
Gli eventi più significativi del Dada berlinese furono senza
dubbio la mostra al Graphisches Kabinett di I.B. Neumann
nel maggio del 1919 e la Erste Internationale Dada Messe
l’anno successivo ad opera di Otto Burchard. Quest’ultima
ebbe un grande e scandaloso successo di pubblico e di
critica.
La tecnica dadaista di sfidare il gusto delle classi medie
risulta evidente in questa mostra specie nella sarcastica
trivialità degli oggetti esposti come pure della casualità
intenzionale dell’allestimento. Fra le opere chiave della
mostra vi era Plasto-Dio-Drama Deutschlands Grosse und
Untergang, uno dei primi assemblaggi di arte ambientale.
Il principio del montaggio di pezzi eterogenei, il mettere
insieme parti incompatibili era voluto per reagire contro i
principi classici della composizione rigorosa. Perché come
il principio della composizione realizza l’immagine di un
mondo perfetto, quello del montaggio realizza la
contraddizione dell’esistente, nella quale ognuno deve
dipanare la sua matassa, deve trovare la sua via, come
nell’intrico di una metropoli E’ con questa intuizione che il
Dada Berlinese (Heartfield, Grosz Hausmann e Hoch
separatamente) ha contribuito all’arte del XX secolo: col il
foto-montaggio e col foto-collage.
Emblematico di questo procedimento è il foto-montaggio
intitolato Dada-Rundschau di Hannah Hoch, che risale al
1919. Esso prende di mira esplicitamente tutti i politici di
governo, vecchi e nuovi, reazionari e revisionisti, gli alti
gradi dell’esercito, il principe reggente, Hinderburg e
perfino Ebert e Noske, in quel momento al vertice della
Repubblica di Weimar. A proposito di questi ultimi, la
Hoch ne presenta ritagli fotogiornalistici in costume da
bagno – mise considerata all’epoca piuttosto volgare da
immortalare – con un’aria per niente imbarazzata che
esalta il carattere beffardo del tutto. Ai dadaisti il governo
socialdemocratico appariva indeciso, immobilista, schiavo
delle caste militari, in una parola controrivoluzionario. Il
carattere apertamente militante dell’opera è riconoscibile
anche dalle due scritte in caratteri giornalistici, che vi
campeggiano: Donne tedesche in Parlamento e Libertà
senza limiti per H.H..
8 I Costruttivisti a Berlino
Nel 1921 arrivò a Berlino anche El Lissitzky, per
diffondere il programma dei Costruttivisti dell’INKhUK
(Istituto per la Cultura Artistica). Il suo intento era quello
di mobilitare gli artisti dell’avanguardia berlinese alla
costruzione di una nuova arte rivoluzionaria. In realtà egli
dovette accontentarsi di convincere Carl Einstein, Viking
Eggeling, Hans Richter, Raoul Hausmann e Ludwig
Hilbersheimer a collaborare alla sua rivista Vesc
Gegenstand Objet, diretta insieme allo scrittore Ilja
Ehrenburg. Nel programma della rivista vi era esplicitato
l’impegno alla creazione di oggetti, ma non
necessariamente oggetti di utilità, come volevano i
promotori dell’INKhUK. In questo caso Lissitzky e
Ehrenburg difendevano un concetto esteso di oggetto,
intendendo con esso “ogni lavoro strutturato – fosse una
casa, una poesia un dipinto – (..) non calcolato per
estraniare la persona dalla vita, ma capace di contribuire
alla sua organizzazione”. Ricorda Hans Richter che lui,
come altri che accettarono di collaborare a Vesc, vennero
introdotti all’idea della nuova arte della Russia
rivoluzionaria in maniera esplicita, ma in complesso gli
artisti berlinesi non parvero interessati più di tanto
all’ortodossia estetica rivoluzionaria. Piuttosto che seguire
il programma costruttivista (che mirava alla realizzazione
di oggetti utili) , gli artisti tedeschi – impegnati com’erano
nell’affrancarsi dall’Espressionismo e dal Dadaismo rimasero affascinati dai quadri e dalle sculture dei
Costruttivisti, “dalla precisione, dalla lucidità, dalla
fluttuante geometria, dalla nuova tridimensionalità, dalla
inattaccabile sicurezza” emanata di queste opere.
La sicurezza del disegno formale, che creava nuove
architetture nel vuoto utopico dello spazio, era in larga
parte un’espressione della convinzione che la Russia
rivoluzionaria stava creando una nuova società, qualcosa
che ancora doveva venire, che era ancora in fase di
costruzione. Era un nuovo modo di intendere la vita,
caratterizzato da una progettualità che per il bene della
collettività doveva considerare in modo razionale le
esigenze materiali. Per Lissitzky convincere i suoi colleghi
berlinesi che la battaglia contro l’astrattismo, reo di
soggettivismo e individualismo borghese, richiese un
grande sforzo di persuasione, ma non tutti si schierarono
dalla sua parte.
Il russo Naum Gabo risiedette a Berlino dal 1922 al 1932.
Il più grande scultore del Costruttivismo abbandonò gran
parte dei suoi lavori berlinesi al momento del suo espatrio,
sicché gran parte di esso è praticamente perduto. Arrivò a
Berlino per organizzare la prima esposizione di arte russa
postrivoluzionaria alla galleria Van Diemen e si occupò
della sezione relativa alla scultura. Nel 1928 tenne
conferenze al Bauhau di Dessau ed elaborò un progetto
multimediale (mai realizzato) per inondare di luce la
piazza antistante la Porta di Brandeburgo. Dopo che il suo
atelier venne messo sottosopra dai nazisti, decise che era
tempo di cambiare aria e si rifugiò a Parigi.
9. La Nuova Oggettività
Ma la Berlino degli anni Venti veniva riflessa anche nei
realismo sociale e critico di pittori come Georg Grosz,
Rudolf Schlichter, Otto Dix. Come uno specchio questa
pittura catturava la realtà, con tutta la sua fascinosa
bruttezza, attraverso un eccesso di fotografica chiarezza.
La pittura della Neue Sachlichkeit è legata all’epoca nella
quale nacque, quella della Repubblica di Weimar. I suoi
inizi sono documentati intorno al 1919, la sua fine nel
1933. Si deve a G.F. Hartlaub, Direttore della Mannheimer
Kunsthalle, l’origine del termine Nuova Oggettività, col
quale intese mettere insieme le tendenze realistiche nella
pittura tedesca degli anni Venti in una mostra allestita
nell’estate del 1925 e che vedeva la partecipazione di
artisti tedeschi quali Beckmann, Dix, Grosz e F.
Nussbaum (15). Il titolo della mostra era significativo:
“Neue Sachlichkeit: Deutsche Malerei seit dem
Expressionismus”.
A Berlino la Nuova Oggettività si coagulò intorno alla
casa editrice Malik, a Grosz e Herzfeld. Ma soprattutto
intorno al Rote Gruppe, fondato nel 1924 (e presieduto da
Grosz stesso). Quando, nel 1933, essa giunse a fine, il suo
apice era già passato da un pezzo.
10. L’arte sotto il regime nazista
La mostra di Munch al Kronprinzpalais nel 1927 (la terza,
dopo quella del 1892 e quella del 1902), quella di Lyonel
Feininger alla Nationalgalerie del 1931, l’esposizione di
architettura con pitture murali di Kandinsky (1932) sono le
ultime testimonianze dell’attività dell’arte d’avanguardia a
Berlino, dove il Bauhaus, qui trasferitosi nel 1932, fu
chiuso dal regime nazista l’anno dopo. Gli anni successivi
videro la chiusura di gallerie, la proibizione di riviste e
l’emigrazione degli artisti qualificati come “degenerati”.
Nel 1937 una mostra itinerante volume dai nazisti, dal
titolo “Entartene Kunst” (16), in gran parte proveniente
dalla Nationalgalerie, rivelò ai tedeschi ed al mondo le
idee del potere in fatto di arte. Aufmarsch der Nullen, il
malinconico, ironico quadro di Werner Heldt è del
1933/34. L’arte a Berlino diventò clandestina. Ne è
testimonianza il caso di Karl Hofer: allontanato
dall’insegnamento all’Università di Berlino nel 1934,
venne espulso dall’Accademia di Prussia nel 1938 e
interdetto dal dipingere e dall’esporre. Hofer, fino ad
allora un pittore di ridenti paesaggi ticinesi e di silenziose
e leggere figure di donna, divenne un pittore delle tetre
visioni del suo tempo.
I nazionalsocialisti cercarono di riformare l’intera cultura e
di assoggettarla alla loro ideologia, con un regime
totalitario ed una cultura omologata dall’apparato di potere
nazionalsocialista. Il nuovo uomo-modello doveva
corrispondere all’ideale razzista e divenne il soggetto
caratteristico e dominante dell’arte nazionalsocialista. La
visione artistica del Terzo Reich è fedelmente rispecchiata
nelle opere di Arno Breker e Fritz Klimsch. Culto del
corpo, unità razziale e forza militare costituiscono la base
dell’ideale culturale dei nazionalsocialisti, che aspira ad
un’omogeneità che tende ad annullare tutte le forme
eccentriche e divergenti. Ciò implicò in molti casi il
divieto di svolgere la propria attività. Poiché Hitler si
sentiva particolarmente competente nel settore dell’arte e
dell’architettura, intervenne smodatamente nelle attività
artistiche, imponendo l’annientamento di ogni influsso
stilistico moderno internazionale, che doveva essere
schiacciato dalla rappresentazione del patetico eroismo
dell’anima e del corpo.
11. Il secondo dopoguerra
Quando la Seconda Guerra mondiale terminò nel Maggio
del 1945, la vita culturale della città dimostrò tutta
l’energia che era sopravvissuta al nazismo: si tennero fin
da subito mostre, promosse dalle autorità cittadine, fra le
rovine, la più significativa delle quali fu senza dubbio
quella allestita nel 1946 dal titolo La Peinture Française
Moderne, organizzata dalla sezione culturale delle forze
francesi occupanti presso le rovine del Castello Imperiale,
poi demolito, nella parte orientale della città.
Inaspettatamente i berlinesi vi fecero la fila per ore. Già
nell’agosto dello stesso anno, Gerd Rosen apriva la sua
galleria d’arte d’avanguardia in mezzo alle rovine della
Kurfurstendamm in un locale che prima era stato un
negozio di tessuti militari.
Con la divisione della città, Berlino Ovest eredita la parte
occidentale, più recente, della città, l’area della Kudamm e
della Gedachtniskirche, che continuerà ad essere il centro
artistico anche negli anni del dopoguerra. Anche
intellettualmente, Berlino Ovest esprime il Nuovo Ovest
della città. Heinz Trokes, il primo direttore della Galleria
Rosen (e che con Jurgen Eggert aveva inaugurato la
galleria nell’agosto del 1945), è uno dei principali
esponenti dello stile postbellico berlinese di quegli anni.
La galleria Rosen si impegnò molto, comunque, anche ad
esporre tutti quei giovani pittori cui il nazismo aveva in un
modo o nell’altro vietato di esporre.
L’acuirsi dei contrasti fra le forze alleate e la nascita delle
due Germanie all’insegna di opposte ideologie ebbe un
forte effetto sulla vita culturale di questa città divisa.
Durante il dibattito sul Realismo nella Germania Est degli
anni Cinquanta, città di provincia come Halle, Lipsia e
Dresda emersero come centri propulsivi, ma non così
Berlino. Gli artisti della parte occidentale rifiutarono le
norme estetiche del realismo socialista, orientandosi verso
le idee che circolavano nei paesi occidentali. Così ciò che
si propagò nella Berlino Ovest degli anni Cinquanta fu
l’estetica dell’Espressionismo Astratto nella versione
dell’Ecole de Paris, del Tachisme e dell’Action Painting.
Fu così che gli artisti tedeschi svilupparono il loro stile,
risultato di una tradizione che risaliva all’era weimariana.
In primo luogo perché la questione della pittura astratta era
iniziata nel 1910 con i quadri di Vassily Kandinsky e la
generazione successiva era già indirizzata verso
l’astrattismo quando nel 1933 il regime nazista stroncò alla
radice questo sviluppo. Quelli che allora erano ancora
giovani, come Theodor Werner a Berlino, adesso aveva
l’opportunità di riprendere nel punto in cui aveva
forzatamente dovuto lasciare.
In secondo luogo, sotto il nazismo molti artisti
svilupparono una profonda avversione all’allegorismo
figurativo voluto dal regime. Ciò condusse in molti casi al
rifiuto di ogni forma di realismo ed all’opzione radicale
verso l’astratto, inteso come mezzo per esprimere
l’autonomia dell’immagine e come testimonianza di libertà
individuale e di responsabilità intellettuale. Fra i primi
rappresentanti dell’Informale a Berlino vi furono Fred
Thieler e Herbert Kaufmann.
Ma, nel suo cuore, Berlino era ed è una città indelicata. Ci
furono contrasti fra astratti e figurativi alle mostre fin dai
primi anni Cinquanta, ma questi culminarono nel 1953 con
la polemica fra i pittori figurativi capeggiati da Karl Hofer,
Direttore dell’Akademie der Kunst di Berlino, e quelli
astratti guidati dal critico Will Grohmann, veemente
campione dell’avanguardia internazionale.
Tuttavia la stagione informale, per i loro stessi più giovani
esponenti, come lo scultore Rolf Szymanski o il pittore
Walter Stohrer, o anche per due outsider come Georg
Baselitz e Eugen Schonebeck, stava volgendo al termine.
Non importa quanto fedeli fossero ai loro insegnanti, gli
studenti dei pittori informali delle scuole d’arte erano
stanchi dell’ormai esausta estetica tachiste. Questi studenti
– fra i quali Karl Horst Hodicke, Bernd Koberling,
Wolfgang Petrick, Markus Lupertz - fondarono nel 1964 la
prima galleria autogestita di Berlino, che prese il nome dal
dalla strada in cui era situata, Grossgorschen 35. I
Grossgorscheners volevano qualcosa di massiccio, focoso
e sfacciato, qualcosa che si imprimesse bene in mente –
essi volevano ricreare a Berlino la grande città dell’arte.
Ma non con distacco, come gli artista pop americani; al
contrario, appassionatamente. Così nasceva una nuova
arte, ironicamente concreta, trivialmente metaforica,
adeguata a Berlino, radicata fra realismo e gestualità.
Nello stesso anno, il renano René Block apriva un piccolo
spazio espositivo a Berlino, con l’intenzione di aprire alle
nuove tendenze realistiche, prime fra tutte quelle del
Nouveau Realisme e della Pop Art. Block inaugurò con
una mostra di artisti tedesco-occidentali e berlinesi - fra i
quali Sigmar Polke, Gerhard Richter, Wolf Vostell e
K.H.Hodicke - dal titolo “Neodada, Pop, Decollage,
Kapitalistischer Realismus”. Block ospitò, nello stesso
anno, anche la prima mostra berlinese di Joseph Beuys.
Ma non mancavano le polemiche. Sempre nel 1964,
l’Akademie der Kunst ospitò la mostra “Nuovi Realisti e
Pop Art”. Nessuno del gruppo esposto da Block vi era
incluso ed egli protestò presentandosi all’inaugurazione
con una maschera antigas. Ma ormai Berlino e la
Germania erano meta di una nuova invasione: quella della
Pop Art inglese e americana.
Dall’agosto del 1961 Berlino era divisa e questa divisione
epitomizzava la divisione del mondo in blocchi. La città
diventa simbolo di una frontiera ed al tempo stesso di una
ferita: due mondi vi si interfacciano in modo aggressivo.
Per ventotto anni, questa città è stata la capitale di un
equilibrio precario. La sua parte occidentale è stata la
vetrina propagandistica del consumismo e del benessere
occidentale, mentre quella orientale il simbolo di libertà
sottomesse. A Berlino Ovest si è respirato per quasi trenta
anni un benessere gonfiato, abbondantemente foraggiato
dal governo federale, che ha fatto di questa città nella città
una costruzione artificiale degna della migliore fiction
hollywoodiana, la cui cultura rimaneva legata ad eventi
ormai consegnati al passato – le avanguardie storiche, i
cabaret, il jazz, il cinema, ma che continuavano a
caratterizzarla, come se il tempo non fosse passato – come
se il nazismo non ci fosse mai stato, oppure a fenomeni
eccessivi, estremizzati, irruenti, che intendevano reagire al
clima di felicità artificiale della città.
Ma ciò che sembrava destinato a durare finì il 9 novembre
1989. Il crollo del Muro determinò la fine di un certo
clima culturale che aveva fatto di Berlino la capitale di una
certa cultura estetica degli anni Ottanta, quella della Neue
Welle, un misto di neodecadentismo espressionistico e
tecnologizzato che ebbe esiti e suggestioni molto
interessanti, per esempio, in campo musicale.
I Grossgorschen 35 oggi possono essere considerati come i
padri del Movimento dei Neue Wilden, i pittori sregolati
che immortalarono la generazione dell’undeground
berlinese degli anni Ottanta e Novanta, quella della
discoteca e del rock) (17). I Selvaggi berlinesi, a differenza
dei loro colleghi di Colonia, desideravano rappresentare
direttamente le loro esperienze di vita ed utilizzare
nuovamente la metropoli, al pari dei loro progenitori
espressionisti, come soggetto pittorico.
Oggi i Neue Wilden sono ormai un reperto del passato,
pezzi di una tradizione neoespressionistica, individualista
ed antiborghese, ormai trascorsa. Ma Berlino rimane. La
riunificazione tedesca e il ritorno a capitale della nazione
ne hanno fatto un immenso, ciclopico laboratorio di
architettura. Il che la rende ancora, anche se in altro modo
e quindi con non poche contraddizioni, una metropoli
d’avanguardia.
NOTE
(1) LaBerlino guglielmina era così severamente reazionaria che
erano proibite anche le scuole di nudo. Un deputato aveva tuonato
nel Reichstag: “Il nudo non è tedesco!” consegnandolo così al
catalogo delle perversioni che venivano dall’odiata Francia.
(2) Fondata il 2 maggio 1898, la Secessione Berlinese ebbe come
primo presidente Liebermann, seguito da Corinth. Inizialmente
posta al n.12 della Kantstrasse, si trasferì poi sulla Kudamm.
(3) La galleria di Gurlitt, che in realtà era una modesta bottega
d’arte, era posta sulla Potsdamerstrasse.
(4) Al 35 di Viktoriastrasse i cugini Bruno e Paul Cassirer
aprirono il 1° novembre 1898 il loro salone d’arte, a cui era
annessa una casa editrice, con una mostra su Degas, Meunier e
Liebermann. Il sodalizio tra i due cugini durerà fino al 1905,
quando Bruno sceglierà di condurre separatamente la casa editrice
e Paul la galleria. Successivamente, nel 1909, Paul Cassirer aprirà
una sua casa editrice, la Paul Cassirer Verlag.
(5) Fondata nel 1910 nell’ambito del Paul Cassirer Verlag, la
rivista ebbe fra i suoi collaboratori Wilhelm Herzog, il critico
Alfred Kerr e lo scrittore Heinrich Mann.
(6) “Kunst und Kunstler” si farà portavoce della Secessione
berlinese col suo redattore Karl Scheffler.
(7) La Neue Sezession si stabilì al n. 232 della Kudamm, nello
stesso edificio che ospitava il Graphisches Kabinett I.B. Neumann,
mercante d’arte molto attivo nel divulgare il dadaismo berlinese. Si
sciolse nel 1914 con l’inizio della guerra.
(8) Pare che fosse poco più che un negozio di cornici
(9) Nel 1900 Berlino contava 1.890.000 abitanti. ; tra il 1904 e il
1905 arriverà a superare i 2 milioni; nel 1920 la Grande Berlino
raggiungerà i 3.858.000.
(10) Un aspetto di questa decadenza lo si rintraccia negli
angoscianti dipinti di Kirchner, specie nelle spettrali immagini di
prostitute sulle strade berlinesi, che rappresentano il culmine della
sua visione dell’eros mercenario come qualcosa di demoniaco e di
cittadino insieme. La prostituta di Kirchner è una sorta di alienata
civile, simbolo di una “vanitas” che alla vigilia della guerra suona
inquietante.
(11) Così Walden nel 1923: “Non è una grande città quella in cui i
Tedeschi parlano francese, i Russi parlano tedesco, i Giapponesi un
incerto tedesco e gli Italiani l’inglese ? “
(12) Nato nel 1878, Herwarth Walden era un musicista e redattore
della rivista teatrale “Der Neue Weg”, che in polemica con
l’orientamento estetico conformista della rivista, se ne andò per dar
vita ad una propria pubblicazione, che nel marzo 1910 uscì col
titolo “Der Sturm”. Walden fu l’instancabile animatore delle
avanguardie berlinesi fra gli anni Dieci e Venti, vero punto di
riferimento per gran parte degli artisti di quel periodo. Nel 1932
emigrò a Mosca. Vittima del regime staliniano, morì deportato in
Siberia nel 1941.
(13) La storia del termine è emblematica: coniato da Lovis Corinth
alla XXII mostra della Secessione berlinese, venne diffuso da
Wilhelm Worringer su “Der Sturm”, ma fu Walden a farne il
marchio di fabbrica della nuova arte europea.
(14) Nel 1911 Franz Pfemfert inizia a pubblicare “Die Aktion”,
una rivista militante pacifista e chiaramente orientata a sinistra, che
crede nella funzione politica dell’arte.
(15) La vita di Felix Nussbaum (1904-1944) fu a suo modo
emblematica. Ebreo di nascita, dopo che il suo studio venne
incendiato dai nazisti nel 1932 si rifugiò prima ad Alassio e poi a
Rapallo, ma nel 1934 emigrò ad Ostenda in Olanda e poi a
Bruxelles. Quando i nazisti invasero il Belgio, venne internato
prima nel campo di concentramento di St, Cyprien, nel sud della
Francia. Evaso durante il trasporto a Bourdeaux, ritornò a
Bruxelles, ma qui venne arrestato di nuovo, su delazione e
deportato ad Auschwitz, dove morì nel 1944.
(16) E’ curioso che il termine “degenerato” applicato a certi esiti
artistici sia stato usato per la prima volta nella Germania
guglielmina per apostrofare la pittura espressionista. Una mozione
al Ministero della Cultura del Reich, nel 1913, chiedeva che
“all’arte patologica non fosse concesso alcun sostegno, cioè non si
procedesse ad alcun acquisto di opere per i musei. Giacché qui,
signori, abbiamo a che fare con un indirizzo che (…) ha il
significato di una degenerazione, uno dei sintomi di una malattia”.
(17) Nuovi Selvaggi si presentano a Berlino nel 1980 con una
mostra dal titolo emblematico “Heftige Malerei” alla Haus am
Waldsee. Il gruppo berlinese, fondato nel 1977 presso una gallerie
indipendente di Moritzplatz a Kreuzberg, era formato da Rainer
Fetting, Helmut Middendorf, Wolfgang Cylarz (Salomé) e Bernd
Zimmer.
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