Berlino e l’arte del XX secolo 1. Prodromi Relativamente all’avvento dell’arte moderna a Berlino, ci sono due date da tenere a mente. La prima è il 1876, anno in cui viene completata la costruzione della Nationalgalerie, su progetto di August Stuhler. L’edificio, posto sull’Isola dei Musei, era una costruzione neoclassica nello stile di Schinkel allora imperante in Germania. La collezione d’arte proveniva in larga parte dal lascito di un collezionista berlinese, l’uomo d’affari J.H.W. Wegener, che l’aveva donata nel 1861 allo Stato prussiano. Finalizzata alla valorizzazione la pittura tedesca, la Nationalgalerie fu fin dall’inizio condizionata dal potere politico, che con criteri nazionalistici e antimoderni interferì pesantemente nella politica delle acquisizioni di questo museo. I suoi direttori dovettero subire spesso i diktat prima dello Stato prussiano, poi del regime nazista. Ciò nonostante, l’Impressionismo francese trovò estimatori prima alla Nationalgalerie che nei musei francesi. La seconda data è il 1892, anno in cui scoppia a Berlino il caso Munch. Una mostra delle sue opere, organizzata dal Kunstlerverein, scandalizzò così tanto il pubblico e i circoli accademici – in principal modo la Konigliche Akademie der Kunste - che venne chiusa d’imperio dal presidente del Verein, Anton von Werner, pittore e consigliere artistico del Kaiser. Le idee del Kaiser stesso sull’arte erano del resto note. Qualche anno dopo avrebbe detto: “L’arte che contravviene alle leggi ed ai limiti che ho imposto non è arte”. (1) Il dettato imperiale era rivolto contro le tendenze artistiche (quelle che vennero chiamate in maniera sprezzante la “Rinnsteinkunst”) che nel 1898 avevano dato vita ala Berliner Sezession (2). Artisti come Max Liebermann, che insieme a Lovis Corinth e Max Slevogt introdussero l’Impressionismo in Germania, ma anche Wilhelm Leistikow e Ludwig von Hoffmann, intorno ai quali si era formato il cosiddetto Gruppo degli Undici, guidavano il tentativo di ribellarsi alla tutela imperiale delle arti, contrapponendo all’arte nazionale, i cui principali esponenti erano Anton von Werner e Adolf von Menzel, le tendenze d’avanguardia. Questo tentativo prese il nome di Secessione. Berlino, fino ad allora un eldorado per il classicismo imitativo, la pittura vedutistica e quella che rappresentava le grandi battaglie, si apriva così, sebbene in ritardo, agli sviluppi dell’arte internazionale. 2. La Berliner Sezession Privati e mecenati tuttavia militarono a favore dell’arte moderna, così pure nuove gallerie - Fritz Gurlitt (3), Bernhard Koehler, Paul Cassirer (4) -, riviste -“Pan” (5), “Kunst und Kunstler” (6) - e perfino istituzioni come la Nationalgalerie. Soprattutto i galleristi non cessarono di attirare a Berlino gli artisti d’avanguardia: gli Impressionisti ed i membri di Der Blaue Reiter da Monaco, i pittori di Die Brucke da Dresda, ma anche Kathe Kollwitz, Ernst Barlach, Max Beckmann, Oscar Kokoschka, Georg Grosz, Karl Hofer, Kurt Schwitters. Nel 1902 una nuova mostra di Munch, organizzata da Paul Cassirer in Viktoriastrasse nell’ambito della Secessione ebbe finalmente il successo che meritava. Un altro artista che esercitò un influsso profondo sui giovani artisti berlinesi fu Van Gogh, le cui opere vennero esposte a Berlino nel 1901 (Secessione) e poi nel 1904 (Paul Cassirer). Tuttavia la Secessione ben presto andò incontro ad una scissione: nel 1910 venne fondata la Neue Sezession (7), che raggruppava i 27 artisti rifiutati alla selezione della XX Secessione berlinese, fra i quali alcuni artisti della Die Brucke, che con l’appoggio di Herwarth Walden, Max Pechstein e Georg Tappert esporranno alla galleria di Maximilian Macht in Rankestrasse (8) . Con un’ulteriore spaccatura, La Secessione Libera vedrà la luce nel 1914 con Barlasch, Kokoschka e Macke. 3. Berlino all’alba del Novecento Ma com’era Berlino agli inizi del XX secolo ? L’industrializzazione aveva travolto la Berlino prussiana in un’autentica febbre costruttiva; in poco tempo prese forma una metropoli con dimore lussuose, palazzi immensi ed interminabili file di condomini che spuntavano dal suolo sabbioso della Marca di Brandeburgo. E crebbe così rapidamente da provocare la visione sconcertata degli artisti, con dipinti in cui la città, come un incubo, era un mare di pietra, piena di demoni e di ribellione. In una poesia di Armin T. Wegner i palazzi sono descritti così: “Noi uccidiamo i campi !”. Un sonetto di Georg Heym del 1910 definisce la città “un immenso mare di cemento”. In effetti, è ciò che l’urbanizzazione ha fatto in tutto il mondo. Berlino, la città che è cresciuta più rapidamente delle altre (9), era diventata il simbolo della metropoli moderna, togliendo a Parigi il ruolo di capitale pulsante del XIX secolo. Ma perchè ? La centralità di Berlino per le avanguardie tedesche è il frutto del mutamento dall’utopia romantica della natura alla crassa realtà della dimensione urbana. Negli anni immediatamente precedenti alla prima guerra mondiale, gli artisti espressionisti, ad esempio, lasciano le loro radici naturali (Moritzburg in Sassonia, il “Blaues Land” bavarese, le rive baltiche e del Mare del Nord) per scoprire ed accettare l’innaturalità della metropoli come fascinoso luogo di contraddizioni. Berlino, che non aveva mai avuto una grande tradizione artistica e culturale, rappresentava agli inizi del Novecento, con la sua fulminea crescita e la sua vita frenetica e congestionata, con la sua atmosfera decadente e morbosa e con la sua stessa grandezza territoriale, la promessa di una nuova realtà, che implicava però la perdita dell’innocenza. Hegel aveva detto che Berlino non era un’Atena sulla Sprea, nonostante la sua architettura posticciamente neoclassica. Rathenau l’avrebbe paragonata, in maniera sprezzante, a Chicago. Alfred Doblin, dal canto suo, la chiamava la “Ninive del Brandeburgo” (10). Il fatto è che dal punto di vista architettonico, Berlino al volger del secolo era diventato un crocevia fondamentale. Il viennese Adolf Loos vi risiedeva abitualmente ospite di Peter Behrens, vi erano gli studi di Walter Gropius, Adolf Mayer, Ludwig Mies van der Rohe e Le Corbusier. Ma sarà il convergere nella città delle avanguardie storiche – Espressionismo, Costruttivismo, Dadaismo – a farne un polo magnetico della cultura del XX secolo. Berlino pareva la modernità concretizzata, con i suoi ritmi incalzanti, il costante movimento, la vitalità inesauribile, l’intenso cosmopolitismo (11), che ne facevano un luogo di attrazione ed al tempo steso un fattore di stimolo estetico pari a quello esercitato da altre città (Parigi, Roma, New York) in altri periodi. Con questo suo magnetismo, Berlino pareva compensare il ritardo con cui essa aveva incontrato l’arte moderna. 4. Der Sturm di Herwarth Walden Nel 1910, anno in cui prende avvio Nuova Secessione, Herwarth Walden (12) fonda la rivista “Der Sturm”, nella quale la nuova generazione di artisti berlinesi trova il proprio foro. Der Sturm era comunque un coacervo di attività: rivista, galleria, scuola d’arte e, dal 1918 al 1921, gruppo teatrale. Aveva sede in Katherinenstrasse, per poi trasferirsi all’inizio del 1913 nella più centrale Potsdamerstrasse n.18. Nel 1912 verrà aperta la galleria, situata in Tiergartenstrasse. La prima mostra era sul Blauer Reiter, presa in prestito dalla galleria Thannhauser di Monaco. La seconda fu dedicata ai futuristi italiani, il cui manifesto era stato pubblicato nel 1910 anche sullo Sturm. Nello Sturm Walden formula il manifesto della nuova arte, l’Espressionismo (13): compito della pittura non era più quello di imitare la natura o di fotografare la gente, ma piuttosto di rivelare la condizione interiore, che in pittura prendeva spesso forma nella distorsione della realtà visibile. L’Espressionismo moderno che qui prende avvio era la rappresentazione di un tempo accelerato e dei nervi tesi della vita metropolitana: desiderio e paura, conflitto, inquietudine, premonizione di catastrofe, denuncia e protesta (14). 5. La Novembergruppe Anche nella Novembergruppe, fondata nel 1919, troviamo, di nuovo, artisti provenienti dallo Sturm. Qui però la connotazione di spicco rispetto allo Sturm è la fede nella rivoluzione insieme all’idea di integrare “ tutte le arti sotto le ali di una grande architettura” – non è un caso che al sodalizio aderirono architetti come Erich Mendelssohn, Ludwig Hilbersheimer, Ludwig Mies van der Rohe e Bruno Taut). Un appello ai “rivoluzionari di spirito” mise insieme a Max Pechstein e a César Klein, suoi iniziatori, artisti come Muller, Purrmann, Campendonk, Belling, oltre a drammaturghi, poeti e musicisti. Si tratta insomma di una vera e propria comunità artistica che per la prima volta si poneva l’interrogativo esplicito del ruolo dell’arte nella società. Non richiamandosi ad alcuna tendenza artistica, il gruppo era aperto ad ogni novità. Tuttavia l’istanza utopica di un’architettura del popolo e per il popolo, che si esprimesse attraverso nuove tecnologie (acciaio, cemento, vetro) lo avvicinava fortemente ai Costruttivisti russi, insieme ai quali esposero a Berlino nel 1923. 6. Il cinema Dopo la prima guerra mondiale si svilupparono anche i legami fra pittura, teatro e cinema. Max Reinhardt, che aveva chiamato Munch come scenografo per un lavoro di Ibsen nel 1906, nel 1920 ricorreva a Grosz. Il film espressionista di Robert Wiene “Il gabinetto del dottor Caligari”, del 1920, conteneva esclusivamente scenografie dipinte da giovani pittori quali Walter Rohrog, Walter Reimann e Hermann Warm, che già avevano collaborato ad importanti allestimenti teatrali. Per influsso dello svedese Eggeling, Hans Richter realizzava con “Ritmo 21” la transizione fra pittura e cinema astratto. Berlino diventa anche il centro dell’industria cinematografica tedesca. Nel 1912 iniziano l’attività gli studi di Neubabelsberg; nel 1917 nasce, dalla fusione di numerose case produttrici, l’UFA (Universal Film AG), che diventerà proprietaria di una catena di 56 sale in tutta la città. Contemporaneamente si viene sviluppando un vero e proprio quartiere del cinema intorno a Nollendorfplatz. Dal 1910 al 1926 le sale cinematografiche passano da 139 a 367. La cinematografia berlinese richiama personaggi come il russo Ejzenstein, che nel 1926 proietta all’Apollo Theater sulla Friederichstrasse il suo film “La Corazzata Potemkin” e visita il set dove Fritz Lang sta girando “Metropolis”. 7. Il dopoguerra: Dadaismo Dopo la guerra e l’insurrezione spartachista, l’arte tedesca reagì in due direzioni opposte – Dada e Nuova Oggettività – ma con la stessa provocatoria sicurezza data dal clima rivoluzionario del momento. Il Dada, per la prima volta, mise insieme strumenti pittorici e letterari al fine di dissolvere le certezze borghesi non solo in fatto di arte, ma anche in fatto di percezione della realtà, in nome di una spensierata anarchia. I dadaisti berlinesi dettero un contributo unico all’arte del secolo: il fotomontaggio critico. La sua origine sta nella natura eterogenea dei fatti quotidiani, la fotoriproduzione dei quali, messi insieme caoticamente, dava l’immagine di una dissoluzione. Il nucleo del Dada berlinese fu formata da Raoul Hausmann, George Grosz, Hannah Hoch, John Heartfield, Richard Huelsenbeck e Rudolf Schlichter. Nel gennaio del 1917 Richard Huelsenbeck arrivò a Berlino per mobilitare gli artisti contrari alla guerra. Egli capì che il Dada vi era già presente. In effetti, tendenze predadaiste vi si erano già incubate, specie all’interno delle classi intellettuali berlinesi, espressione delle classi medie, già alla vigilia della prima guerra mondiale: • intorno alle riviste Der Sturm e Die Aktion, dove i dadaisti zurighesi (Hugo Ball, Emmy Hennings e lo stesso Tzara) avevano già pubblicato testi. • con lo scrittore Paul Scheerbarth, che aveva anticipato le teorie dadaiste con i suoi racconti fantastici. • con il Neopathetisches Cabaret, allestito fra il 1911 e il 1912 da Salomo Friedlander (Mynona) e Carl Einstein, entrambi importanti collaboratori di Sturm. Il pittore Raoul Hausmann arrivò invece a Berlino, dall’Austria, nel 1901. Quattro anni dopo conobbe Johannes Baader, progettatore di monumenti funebri e ne divenne intimo amico. Dieci anni dopo iniziò la turbolenta amicizia con Hannah Hoch. Nel 1917 i fratelli Wieland e Helmut Herzfeld fondarono le edizioni Malik, dal titolo di un romanzo di omonimo di Else Laske-Schuler. Helmut Herzfeld cambiò il suo nome in John Heartfield nel 1916 per protesta contro la propaganda nazionalista antibritannica. George Grosz, le cui esperienze al fronte gli avevano inflitto forti trami psichici, divenne un loro stretto compagno di strada. Poi si aggiunge Walter Mehring, autore di saggi e poesie satiriche. Il nucleo del Dadaismo berlinesi veniva così a comporsi di due gruppi piuttosto competitivi, ma legati dal talento comunicativo e conciliativo di Huelsenbeck. Da una parte vi erano individualisti anarchici come Hausmann (il Dadasofo), teorico della contraddizione e promotore dell’azione diretta, Baader genio della parodia e Hannah Hoch, maestra dell’ironia gentile. Dall’altra, i fratelli Herzfeld, Grosz e Mehring rappresentavano la parte politicizzata del Dadaismo, quella orientata a sinistra. Le riviste Jedermann sein eigener Fussball e Die Pleite apparvero successivamente per i tipi di Malik Verlag con le torve illustrazioni di Grosz che erano dirette principalmente contro la mentalità “Legge e Ordine” e la subalternità del governo repubblicano al potere militare. Non ne poté venire che scandalo e bandi. Gli eventi più significativi del Dada berlinese furono senza dubbio la mostra al Graphisches Kabinett di I.B. Neumann nel maggio del 1919 e la Erste Internationale Dada Messe l’anno successivo ad opera di Otto Burchard. Quest’ultima ebbe un grande e scandaloso successo di pubblico e di critica. La tecnica dadaista di sfidare il gusto delle classi medie risulta evidente in questa mostra specie nella sarcastica trivialità degli oggetti esposti come pure della casualità intenzionale dell’allestimento. Fra le opere chiave della mostra vi era Plasto-Dio-Drama Deutschlands Grosse und Untergang, uno dei primi assemblaggi di arte ambientale. Il principio del montaggio di pezzi eterogenei, il mettere insieme parti incompatibili era voluto per reagire contro i principi classici della composizione rigorosa. Perché come il principio della composizione realizza l’immagine di un mondo perfetto, quello del montaggio realizza la contraddizione dell’esistente, nella quale ognuno deve dipanare la sua matassa, deve trovare la sua via, come nell’intrico di una metropoli E’ con questa intuizione che il Dada Berlinese (Heartfield, Grosz Hausmann e Hoch separatamente) ha contribuito all’arte del XX secolo: col il foto-montaggio e col foto-collage. Emblematico di questo procedimento è il foto-montaggio intitolato Dada-Rundschau di Hannah Hoch, che risale al 1919. Esso prende di mira esplicitamente tutti i politici di governo, vecchi e nuovi, reazionari e revisionisti, gli alti gradi dell’esercito, il principe reggente, Hinderburg e perfino Ebert e Noske, in quel momento al vertice della Repubblica di Weimar. A proposito di questi ultimi, la Hoch ne presenta ritagli fotogiornalistici in costume da bagno – mise considerata all’epoca piuttosto volgare da immortalare – con un’aria per niente imbarazzata che esalta il carattere beffardo del tutto. Ai dadaisti il governo socialdemocratico appariva indeciso, immobilista, schiavo delle caste militari, in una parola controrivoluzionario. Il carattere apertamente militante dell’opera è riconoscibile anche dalle due scritte in caratteri giornalistici, che vi campeggiano: Donne tedesche in Parlamento e Libertà senza limiti per H.H.. 8 I Costruttivisti a Berlino Nel 1921 arrivò a Berlino anche El Lissitzky, per diffondere il programma dei Costruttivisti dell’INKhUK (Istituto per la Cultura Artistica). Il suo intento era quello di mobilitare gli artisti dell’avanguardia berlinese alla costruzione di una nuova arte rivoluzionaria. In realtà egli dovette accontentarsi di convincere Carl Einstein, Viking Eggeling, Hans Richter, Raoul Hausmann e Ludwig Hilbersheimer a collaborare alla sua rivista Vesc Gegenstand Objet, diretta insieme allo scrittore Ilja Ehrenburg. Nel programma della rivista vi era esplicitato l’impegno alla creazione di oggetti, ma non necessariamente oggetti di utilità, come volevano i promotori dell’INKhUK. In questo caso Lissitzky e Ehrenburg difendevano un concetto esteso di oggetto, intendendo con esso “ogni lavoro strutturato – fosse una casa, una poesia un dipinto – (..) non calcolato per estraniare la persona dalla vita, ma capace di contribuire alla sua organizzazione”. Ricorda Hans Richter che lui, come altri che accettarono di collaborare a Vesc, vennero introdotti all’idea della nuova arte della Russia rivoluzionaria in maniera esplicita, ma in complesso gli artisti berlinesi non parvero interessati più di tanto all’ortodossia estetica rivoluzionaria. Piuttosto che seguire il programma costruttivista (che mirava alla realizzazione di oggetti utili) , gli artisti tedeschi – impegnati com’erano nell’affrancarsi dall’Espressionismo e dal Dadaismo rimasero affascinati dai quadri e dalle sculture dei Costruttivisti, “dalla precisione, dalla lucidità, dalla fluttuante geometria, dalla nuova tridimensionalità, dalla inattaccabile sicurezza” emanata di queste opere. La sicurezza del disegno formale, che creava nuove architetture nel vuoto utopico dello spazio, era in larga parte un’espressione della convinzione che la Russia rivoluzionaria stava creando una nuova società, qualcosa che ancora doveva venire, che era ancora in fase di costruzione. Era un nuovo modo di intendere la vita, caratterizzato da una progettualità che per il bene della collettività doveva considerare in modo razionale le esigenze materiali. Per Lissitzky convincere i suoi colleghi berlinesi che la battaglia contro l’astrattismo, reo di soggettivismo e individualismo borghese, richiese un grande sforzo di persuasione, ma non tutti si schierarono dalla sua parte. Il russo Naum Gabo risiedette a Berlino dal 1922 al 1932. Il più grande scultore del Costruttivismo abbandonò gran parte dei suoi lavori berlinesi al momento del suo espatrio, sicché gran parte di esso è praticamente perduto. Arrivò a Berlino per organizzare la prima esposizione di arte russa postrivoluzionaria alla galleria Van Diemen e si occupò della sezione relativa alla scultura. Nel 1928 tenne conferenze al Bauhau di Dessau ed elaborò un progetto multimediale (mai realizzato) per inondare di luce la piazza antistante la Porta di Brandeburgo. Dopo che il suo atelier venne messo sottosopra dai nazisti, decise che era tempo di cambiare aria e si rifugiò a Parigi. 9. La Nuova Oggettività Ma la Berlino degli anni Venti veniva riflessa anche nei realismo sociale e critico di pittori come Georg Grosz, Rudolf Schlichter, Otto Dix. Come uno specchio questa pittura catturava la realtà, con tutta la sua fascinosa bruttezza, attraverso un eccesso di fotografica chiarezza. La pittura della Neue Sachlichkeit è legata all’epoca nella quale nacque, quella della Repubblica di Weimar. I suoi inizi sono documentati intorno al 1919, la sua fine nel 1933. Si deve a G.F. Hartlaub, Direttore della Mannheimer Kunsthalle, l’origine del termine Nuova Oggettività, col quale intese mettere insieme le tendenze realistiche nella pittura tedesca degli anni Venti in una mostra allestita nell’estate del 1925 e che vedeva la partecipazione di artisti tedeschi quali Beckmann, Dix, Grosz e F. Nussbaum (15). Il titolo della mostra era significativo: “Neue Sachlichkeit: Deutsche Malerei seit dem Expressionismus”. A Berlino la Nuova Oggettività si coagulò intorno alla casa editrice Malik, a Grosz e Herzfeld. Ma soprattutto intorno al Rote Gruppe, fondato nel 1924 (e presieduto da Grosz stesso). Quando, nel 1933, essa giunse a fine, il suo apice era già passato da un pezzo. 10. L’arte sotto il regime nazista La mostra di Munch al Kronprinzpalais nel 1927 (la terza, dopo quella del 1892 e quella del 1902), quella di Lyonel Feininger alla Nationalgalerie del 1931, l’esposizione di architettura con pitture murali di Kandinsky (1932) sono le ultime testimonianze dell’attività dell’arte d’avanguardia a Berlino, dove il Bauhaus, qui trasferitosi nel 1932, fu chiuso dal regime nazista l’anno dopo. Gli anni successivi videro la chiusura di gallerie, la proibizione di riviste e l’emigrazione degli artisti qualificati come “degenerati”. Nel 1937 una mostra itinerante volume dai nazisti, dal titolo “Entartene Kunst” (16), in gran parte proveniente dalla Nationalgalerie, rivelò ai tedeschi ed al mondo le idee del potere in fatto di arte. Aufmarsch der Nullen, il malinconico, ironico quadro di Werner Heldt è del 1933/34. L’arte a Berlino diventò clandestina. Ne è testimonianza il caso di Karl Hofer: allontanato dall’insegnamento all’Università di Berlino nel 1934, venne espulso dall’Accademia di Prussia nel 1938 e interdetto dal dipingere e dall’esporre. Hofer, fino ad allora un pittore di ridenti paesaggi ticinesi e di silenziose e leggere figure di donna, divenne un pittore delle tetre visioni del suo tempo. I nazionalsocialisti cercarono di riformare l’intera cultura e di assoggettarla alla loro ideologia, con un regime totalitario ed una cultura omologata dall’apparato di potere nazionalsocialista. Il nuovo uomo-modello doveva corrispondere all’ideale razzista e divenne il soggetto caratteristico e dominante dell’arte nazionalsocialista. La visione artistica del Terzo Reich è fedelmente rispecchiata nelle opere di Arno Breker e Fritz Klimsch. Culto del corpo, unità razziale e forza militare costituiscono la base dell’ideale culturale dei nazionalsocialisti, che aspira ad un’omogeneità che tende ad annullare tutte le forme eccentriche e divergenti. Ciò implicò in molti casi il divieto di svolgere la propria attività. Poiché Hitler si sentiva particolarmente competente nel settore dell’arte e dell’architettura, intervenne smodatamente nelle attività artistiche, imponendo l’annientamento di ogni influsso stilistico moderno internazionale, che doveva essere schiacciato dalla rappresentazione del patetico eroismo dell’anima e del corpo. 11. Il secondo dopoguerra Quando la Seconda Guerra mondiale terminò nel Maggio del 1945, la vita culturale della città dimostrò tutta l’energia che era sopravvissuta al nazismo: si tennero fin da subito mostre, promosse dalle autorità cittadine, fra le rovine, la più significativa delle quali fu senza dubbio quella allestita nel 1946 dal titolo La Peinture Française Moderne, organizzata dalla sezione culturale delle forze francesi occupanti presso le rovine del Castello Imperiale, poi demolito, nella parte orientale della città. Inaspettatamente i berlinesi vi fecero la fila per ore. Già nell’agosto dello stesso anno, Gerd Rosen apriva la sua galleria d’arte d’avanguardia in mezzo alle rovine della Kurfurstendamm in un locale che prima era stato un negozio di tessuti militari. Con la divisione della città, Berlino Ovest eredita la parte occidentale, più recente, della città, l’area della Kudamm e della Gedachtniskirche, che continuerà ad essere il centro artistico anche negli anni del dopoguerra. Anche intellettualmente, Berlino Ovest esprime il Nuovo Ovest della città. Heinz Trokes, il primo direttore della Galleria Rosen (e che con Jurgen Eggert aveva inaugurato la galleria nell’agosto del 1945), è uno dei principali esponenti dello stile postbellico berlinese di quegli anni. La galleria Rosen si impegnò molto, comunque, anche ad esporre tutti quei giovani pittori cui il nazismo aveva in un modo o nell’altro vietato di esporre. L’acuirsi dei contrasti fra le forze alleate e la nascita delle due Germanie all’insegna di opposte ideologie ebbe un forte effetto sulla vita culturale di questa città divisa. Durante il dibattito sul Realismo nella Germania Est degli anni Cinquanta, città di provincia come Halle, Lipsia e Dresda emersero come centri propulsivi, ma non così Berlino. Gli artisti della parte occidentale rifiutarono le norme estetiche del realismo socialista, orientandosi verso le idee che circolavano nei paesi occidentali. Così ciò che si propagò nella Berlino Ovest degli anni Cinquanta fu l’estetica dell’Espressionismo Astratto nella versione dell’Ecole de Paris, del Tachisme e dell’Action Painting. Fu così che gli artisti tedeschi svilupparono il loro stile, risultato di una tradizione che risaliva all’era weimariana. In primo luogo perché la questione della pittura astratta era iniziata nel 1910 con i quadri di Vassily Kandinsky e la generazione successiva era già indirizzata verso l’astrattismo quando nel 1933 il regime nazista stroncò alla radice questo sviluppo. Quelli che allora erano ancora giovani, come Theodor Werner a Berlino, adesso aveva l’opportunità di riprendere nel punto in cui aveva forzatamente dovuto lasciare. In secondo luogo, sotto il nazismo molti artisti svilupparono una profonda avversione all’allegorismo figurativo voluto dal regime. Ciò condusse in molti casi al rifiuto di ogni forma di realismo ed all’opzione radicale verso l’astratto, inteso come mezzo per esprimere l’autonomia dell’immagine e come testimonianza di libertà individuale e di responsabilità intellettuale. Fra i primi rappresentanti dell’Informale a Berlino vi furono Fred Thieler e Herbert Kaufmann. Ma, nel suo cuore, Berlino era ed è una città indelicata. Ci furono contrasti fra astratti e figurativi alle mostre fin dai primi anni Cinquanta, ma questi culminarono nel 1953 con la polemica fra i pittori figurativi capeggiati da Karl Hofer, Direttore dell’Akademie der Kunst di Berlino, e quelli astratti guidati dal critico Will Grohmann, veemente campione dell’avanguardia internazionale. Tuttavia la stagione informale, per i loro stessi più giovani esponenti, come lo scultore Rolf Szymanski o il pittore Walter Stohrer, o anche per due outsider come Georg Baselitz e Eugen Schonebeck, stava volgendo al termine. Non importa quanto fedeli fossero ai loro insegnanti, gli studenti dei pittori informali delle scuole d’arte erano stanchi dell’ormai esausta estetica tachiste. Questi studenti – fra i quali Karl Horst Hodicke, Bernd Koberling, Wolfgang Petrick, Markus Lupertz - fondarono nel 1964 la prima galleria autogestita di Berlino, che prese il nome dal dalla strada in cui era situata, Grossgorschen 35. I Grossgorscheners volevano qualcosa di massiccio, focoso e sfacciato, qualcosa che si imprimesse bene in mente – essi volevano ricreare a Berlino la grande città dell’arte. Ma non con distacco, come gli artista pop americani; al contrario, appassionatamente. Così nasceva una nuova arte, ironicamente concreta, trivialmente metaforica, adeguata a Berlino, radicata fra realismo e gestualità. Nello stesso anno, il renano René Block apriva un piccolo spazio espositivo a Berlino, con l’intenzione di aprire alle nuove tendenze realistiche, prime fra tutte quelle del Nouveau Realisme e della Pop Art. Block inaugurò con una mostra di artisti tedesco-occidentali e berlinesi - fra i quali Sigmar Polke, Gerhard Richter, Wolf Vostell e K.H.Hodicke - dal titolo “Neodada, Pop, Decollage, Kapitalistischer Realismus”. Block ospitò, nello stesso anno, anche la prima mostra berlinese di Joseph Beuys. Ma non mancavano le polemiche. Sempre nel 1964, l’Akademie der Kunst ospitò la mostra “Nuovi Realisti e Pop Art”. Nessuno del gruppo esposto da Block vi era incluso ed egli protestò presentandosi all’inaugurazione con una maschera antigas. Ma ormai Berlino e la Germania erano meta di una nuova invasione: quella della Pop Art inglese e americana. Dall’agosto del 1961 Berlino era divisa e questa divisione epitomizzava la divisione del mondo in blocchi. La città diventa simbolo di una frontiera ed al tempo stesso di una ferita: due mondi vi si interfacciano in modo aggressivo. Per ventotto anni, questa città è stata la capitale di un equilibrio precario. La sua parte occidentale è stata la vetrina propagandistica del consumismo e del benessere occidentale, mentre quella orientale il simbolo di libertà sottomesse. A Berlino Ovest si è respirato per quasi trenta anni un benessere gonfiato, abbondantemente foraggiato dal governo federale, che ha fatto di questa città nella città una costruzione artificiale degna della migliore fiction hollywoodiana, la cui cultura rimaneva legata ad eventi ormai consegnati al passato – le avanguardie storiche, i cabaret, il jazz, il cinema, ma che continuavano a caratterizzarla, come se il tempo non fosse passato – come se il nazismo non ci fosse mai stato, oppure a fenomeni eccessivi, estremizzati, irruenti, che intendevano reagire al clima di felicità artificiale della città. Ma ciò che sembrava destinato a durare finì il 9 novembre 1989. Il crollo del Muro determinò la fine di un certo clima culturale che aveva fatto di Berlino la capitale di una certa cultura estetica degli anni Ottanta, quella della Neue Welle, un misto di neodecadentismo espressionistico e tecnologizzato che ebbe esiti e suggestioni molto interessanti, per esempio, in campo musicale. I Grossgorschen 35 oggi possono essere considerati come i padri del Movimento dei Neue Wilden, i pittori sregolati che immortalarono la generazione dell’undeground berlinese degli anni Ottanta e Novanta, quella della discoteca e del rock) (17). I Selvaggi berlinesi, a differenza dei loro colleghi di Colonia, desideravano rappresentare direttamente le loro esperienze di vita ed utilizzare nuovamente la metropoli, al pari dei loro progenitori espressionisti, come soggetto pittorico. Oggi i Neue Wilden sono ormai un reperto del passato, pezzi di una tradizione neoespressionistica, individualista ed antiborghese, ormai trascorsa. Ma Berlino rimane. La riunificazione tedesca e il ritorno a capitale della nazione ne hanno fatto un immenso, ciclopico laboratorio di architettura. Il che la rende ancora, anche se in altro modo e quindi con non poche contraddizioni, una metropoli d’avanguardia. NOTE (1) LaBerlino guglielmina era così severamente reazionaria che erano proibite anche le scuole di nudo. Un deputato aveva tuonato nel Reichstag: “Il nudo non è tedesco!” consegnandolo così al catalogo delle perversioni che venivano dall’odiata Francia. (2) Fondata il 2 maggio 1898, la Secessione Berlinese ebbe come primo presidente Liebermann, seguito da Corinth. Inizialmente posta al n.12 della Kantstrasse, si trasferì poi sulla Kudamm. (3) La galleria di Gurlitt, che in realtà era una modesta bottega d’arte, era posta sulla Potsdamerstrasse. (4) Al 35 di Viktoriastrasse i cugini Bruno e Paul Cassirer aprirono il 1° novembre 1898 il loro salone d’arte, a cui era annessa una casa editrice, con una mostra su Degas, Meunier e Liebermann. Il sodalizio tra i due cugini durerà fino al 1905, quando Bruno sceglierà di condurre separatamente la casa editrice e Paul la galleria. Successivamente, nel 1909, Paul Cassirer aprirà una sua casa editrice, la Paul Cassirer Verlag. (5) Fondata nel 1910 nell’ambito del Paul Cassirer Verlag, la rivista ebbe fra i suoi collaboratori Wilhelm Herzog, il critico Alfred Kerr e lo scrittore Heinrich Mann. (6) “Kunst und Kunstler” si farà portavoce della Secessione berlinese col suo redattore Karl Scheffler. (7) La Neue Sezession si stabilì al n. 232 della Kudamm, nello stesso edificio che ospitava il Graphisches Kabinett I.B. Neumann, mercante d’arte molto attivo nel divulgare il dadaismo berlinese. Si sciolse nel 1914 con l’inizio della guerra. (8) Pare che fosse poco più che un negozio di cornici (9) Nel 1900 Berlino contava 1.890.000 abitanti. ; tra il 1904 e il 1905 arriverà a superare i 2 milioni; nel 1920 la Grande Berlino raggiungerà i 3.858.000. (10) Un aspetto di questa decadenza lo si rintraccia negli angoscianti dipinti di Kirchner, specie nelle spettrali immagini di prostitute sulle strade berlinesi, che rappresentano il culmine della sua visione dell’eros mercenario come qualcosa di demoniaco e di cittadino insieme. La prostituta di Kirchner è una sorta di alienata civile, simbolo di una “vanitas” che alla vigilia della guerra suona inquietante. (11) Così Walden nel 1923: “Non è una grande città quella in cui i Tedeschi parlano francese, i Russi parlano tedesco, i Giapponesi un incerto tedesco e gli Italiani l’inglese ? “ (12) Nato nel 1878, Herwarth Walden era un musicista e redattore della rivista teatrale “Der Neue Weg”, che in polemica con l’orientamento estetico conformista della rivista, se ne andò per dar vita ad una propria pubblicazione, che nel marzo 1910 uscì col titolo “Der Sturm”. Walden fu l’instancabile animatore delle avanguardie berlinesi fra gli anni Dieci e Venti, vero punto di riferimento per gran parte degli artisti di quel periodo. Nel 1932 emigrò a Mosca. Vittima del regime staliniano, morì deportato in Siberia nel 1941. (13) La storia del termine è emblematica: coniato da Lovis Corinth alla XXII mostra della Secessione berlinese, venne diffuso da Wilhelm Worringer su “Der Sturm”, ma fu Walden a farne il marchio di fabbrica della nuova arte europea. (14) Nel 1911 Franz Pfemfert inizia a pubblicare “Die Aktion”, una rivista militante pacifista e chiaramente orientata a sinistra, che crede nella funzione politica dell’arte. (15) La vita di Felix Nussbaum (1904-1944) fu a suo modo emblematica. Ebreo di nascita, dopo che il suo studio venne incendiato dai nazisti nel 1932 si rifugiò prima ad Alassio e poi a Rapallo, ma nel 1934 emigrò ad Ostenda in Olanda e poi a Bruxelles. Quando i nazisti invasero il Belgio, venne internato prima nel campo di concentramento di St, Cyprien, nel sud della Francia. Evaso durante il trasporto a Bourdeaux, ritornò a Bruxelles, ma qui venne arrestato di nuovo, su delazione e deportato ad Auschwitz, dove morì nel 1944. (16) E’ curioso che il termine “degenerato” applicato a certi esiti artistici sia stato usato per la prima volta nella Germania guglielmina per apostrofare la pittura espressionista. Una mozione al Ministero della Cultura del Reich, nel 1913, chiedeva che “all’arte patologica non fosse concesso alcun sostegno, cioè non si procedesse ad alcun acquisto di opere per i musei. Giacché qui, signori, abbiamo a che fare con un indirizzo che (…) ha il significato di una degenerazione, uno dei sintomi di una malattia”. (17) Nuovi Selvaggi si presentano a Berlino nel 1980 con una mostra dal titolo emblematico “Heftige Malerei” alla Haus am Waldsee. Il gruppo berlinese, fondato nel 1977 presso una gallerie indipendente di Moritzplatz a Kreuzberg, era formato da Rainer Fetting, Helmut Middendorf, Wolfgang Cylarz (Salomé) e Bernd Zimmer.