La musica e il mondo Mecenatismo e committenza musicale in Italia tra Quattro e Settecento a cura di Claudio Annibaldi Società editrice il Mulino Introduzione di Claudio Annibaldi principe di Màida, di cui era suddito, il suo primo libro di madrigali u a cui Dossa as~irarela a cinaue voci1. L'esordio non è il ~ i barocco dedicitoria di una pubblicazione del '600 ma è ~artkolarm&teatto a illustrare il binomio musica/mondo che dà il tiiolo a questa antologia, nonché il tipo di committenza musicale che ne costituisce l'oggetto. Giacché qui non interesserà qualsiasi forma di incentivazione della produzione e deile attività musicali, ma solo 1a.promozione e la a t i o n e , daparte di un mecenate individuale o collettivo', eventi sonon kn&iati - oltre che a immediate eiigekze pratiche: cerimoeficanti, ricreative - d a simboiizzazione del suo rango soc+e3. 'm, , Nafi&$ttavi? Beltfamp* natismoN, per indicareTa parucolare forma di committenza musicale considerata in questo volume, si spiega (e lo si vedrà meglio in seguito) con il costante risolversi dei rapporti interpersonali da essa attivati in rapporti di protezione regolati d d a diversa posizione sociale deiie controparti. Occasionali sostituzioni del termine «mecenatismo» con <<committenza>~ e simili non contraddicono tale scelta, in quanto giustificate da un altro aspetto del fenomeno in esame: il suo parallelo risolversi in rapporti di prestazione d'opera regolati da patti di tipo contrattuale. Le oscillazioni terminologiche di questa Introduzione vanno dunque messe in conto alla proteiforrnità del fenomeno mecenatesco-musicale nei secoli XV-XViII e riflettono la ciiffìcoltà, che chi scrive ritiene di avere appena cominciato a superare, di proporne una concettualizzazione adeguata. Per questa definizione di mecenatismo musicale, che verrà ampiamente delucidata neiie pagine seguenti, mi rifaccio a precise acquisizioni degli antropologi deiia musica. «Se ogni aspetto di una determinata cultura ne riflette altri~,scrive ad esempio Alan Merriam, «anche la musica non si sottrae a questa formula teorica. Per esempio, la distinzione culturale tra adulti e bambini si riflette neiia musica, come si vede dall'esistenza di canti speciali che riguardano il mondo infantile; i bambini ' 1O C. Annibaldi A rendere esemplare la testimonianza del madrigalista di Màida è la centralità che attribuisce al mondo: una sineddoche che oggi verrebbe fatto di riferire all'universalità de& uomini, ma che da lui è piuttosto riferita al contesto sociale del rapporto mecenatesco, e in modo da prospettare quest'ultimo in maniera ben diversa da come siamo soliti immaginarlo. Lungi dall'esaurirsi nello scambio personale fra mecenate e musicista, tale rapporto risulta infatti incardinato s d e relazioni di costoro con ilmondo. I1 quale, a ben vedere, non costituisce soltanto il pubblico degli «armoniosi contenti» destifi dii'muiic$i per qualche protettore altolocato, ma è anche la causa sottaciuta del loro'naturale bisogno di protezione. Né possiamo dubitare che, nella sua veste'di pubblico, il mondo valutasse i «contenti» in parola anche sotto il profilo della loro rispondenza al rango del committente. Si pensi d e infinite dedicatone di volumi musicali pubblicati fra '500 e '700, nelle quali i primi due termini della uiade musickta-mecenate-mondosi trasformano in autore e dedicataio. Benché in tal caso le dimensioni del mondo appaiano ulteriormente ridimensionate, coincidendo esso con la schiera dei potenziali acquirenti di un volume musicale a stampa, il meccanismo non è diverso. A indurre un compositore a dedicare la propria opera a un personaggio illustre è il pubblico stesso a cui intende proporla: un pubblico difficile per definizione, ma anche educato a prendere per buono ogni prodotto musicale apprezzato in alto loco. Non a caso nelle dedicatorie in cui la sineddoche anzidetta vira in metafora, e i compositori immaginano di esibire le loro opere nel «teatro del mondo», la platea immancabilmente ostile che si trovano dinanzi è sempre suscettibile di essere ammansita dalla chiara fama del personaggio altolocato che, accettando la dedicatoria della pubblicazione di turno, si è come reso garante della sua qualità intrinsecad. . . L mano a mano che crescono, lasciano questi canti e si indirizzano verso la musica degli adulti. [...l Si conoscono anche gruppi che possono avere una pratica musicale specifica: in alcune societa, per esempio, le associazioni di cacciatori dispongono di canti propri; le organizzazioni di guemeri, i vari raggruppamenti politici, le associazioni religiose, i gruppi economici e cosi via, si distinguono anche s d a base della musica; a un livello più generale la musica può servire a distinguere gli abitanti di un villaggio da quelli di un altro o anche gli europei da& africani. Tale distinzione viene fatta a partire d d a musica, che, come si vede, riflette l'organizzazione sollale e politica, il comportamento economico, l'attività religiosa e le altre attività s d . In questo senso diciamo che la musica simbolizza gli aspetti formali della culturas (A.P. Merriam, The Anthropology of Music, Evanston, N, Northwestern University Press, 1964; trad. it. Anhopohgb &Ih musica, Palermo, Sellerio, 1983, pp. 247-248). A titolo di veloce esemplificazione si considerino le dedicatone di tre volumi musicali pubblicati in Italia nell'arco di circa 120 anni: II primo et secondo Iibm de Tutto ciò ha conseguenze assai rilevanti per lo studio del mecenatismo e della committenza musicale in Italia fra '400 e '700, e nella seconda parte di questa Introduzione ne considereremo le più decisive. Ora, però, interessa chiarire il retroterra ideologico di codesta identificazione fra alto rango sociale e superiore competenza musicale5. Tanto più che si tratta di un chiarimento utile anche a dar Madr&aIi a &qw et a sei voci di Giovan Leonardo Primavera (Venezia, Girolamo Scotto, 1565), il Libm secondo deile ViIhneIIe a l h tupolitona a 3. 4. G 5 voci di Sigismondo d'India (Venezia, erede di A. Gargano, 1612) e le Sonate do chiesa a tre op. I di Arcangelo Coreiii (Roma, Gio. A. Mutij, 1681). Ecco come Primavera si augura che le pecche della sua opera vengano sanate d d a protezione concessale dal Signore di Forlimpopoli: *Non era convenevole che le fatiche et vigilie mie, uscendo in questo publico teatro del mondo col mezzo delle stampe, avessero immediatamente scritto nella prima fronte altro nome che quel di Vostra Signoria Illusmssima [...l perché, in quella parte di splendore in che esse mancassero, fosse supplito loro con l'infinita gloria di lei...>P. Ancora più esplicito 6, mezzo secolo dopo, Sigismondo d'India neli'indirizzarsi d a signora Barbara Landi Barattieri: *Volendo pure anch'io comparire nel teatro del Mondo con qualche ornamento che mi faccia parere non indegno di quel luogo che tengo sotto la protezione di Vostra Signoria Illustrissima, ho giudicato a proposito il mandare d e stampe questi componimenti di musica come più veri ritratti di me stesso, espressi con quei colori, tratteggiati con quelle linee, adornati con quei lumi e raffinati con quell'arte che Vostra Signoria Illustrissima, tanto intendentissima di questa professione quanto ricchissima di tutte quelle virtuose qualità che sono meritamente accompagnate con la chiarezza del sangue, mi ha più volte col pennello del suo profondo giudizio e del suo nobilissimo ingegno vivamente dimostrato, onde, se per me medesmo non meritarò i'applauso che si suole acquistare con le lunghe fatiche, io potrò facilmente essere in pregio per i'onoratissimo nome di Vostra Signoria iiiustrissima e per la parte ch'ella tiene in queste cose mies. Settant'anni più tardi, Coreiii riprende il concetto della funzione protettiva del dedicatario contro u-itici e invidiosi, nel rivolgersi d a massima patrona delle arti nella Roma tardoseicentesca, la regina Cristina di Svezia: «Al riflesso luminoso della real corona di Vostra Maestà ricorrono per ottener qualche luce queste deboli et oscure note, che d a Maestà Vostra riverente consacro, né temono di veder defraudata la loro speranza mentre sanno per prwa che anche l'ombra di quella è propugnacolo della virtù et asilo dell'innocenza; poiché il solo nome della Real Maestà Vostra è quello scudo impenetrabile che difende d d e punture dei Momi e daiie critiche degli Aristarchi. Se la Maestà Vostra averà la bontà, come spero, di gradire e protegger insieme queste primizie de' miei studij, mi dia animo ancora di proseguire altre fatiche già abbozzate e di far conoscere al Mondo che forse non a torto ambisco al glorioso carattere di servidore di Vostra Maestàs. Un accenno awerso ali'identificazione in questione - che è asseverata, fra l'altro, daiia dedicatoria di Sigismondo d'India citata nella nota precedente - ricorre in uno scritto dell'antr~polo~o Tullio Tentori (II rischio deIh c e r t m . Pwgiudiz1YPokre/Cultura, Roma, Studium, 1987, p. 261); *L'equivalenza 'rango sociale' e 'qualità' di intelletto e di sentimento non entra generalmente tra i modeiii culturali italiani né a livello di strati elevati ed intellettuaìi né a quello di strati popoiari~.Sfortunatamente gli esempi addotti a sostegno di questa affermazione (un passo del Convivio dantesco e un sonetto didettale di Carlo Porta) sono del tutto inadeguati a soste- 12 C. Annibaldi conto dei iimiti geografici e cronologici, entro cui i dieci saggi qui proposti scandagliano il fenomeno mecenatesco-musicale. Data la notorietà del Libro del cortegiano in cui Baldassarre Castiglione compendiò d'inizio del '500 tale retroterra ideologico, non occorre spendere molte parole per ricordare come la cultura umanistico-cortese del nostro Rinascimento abbia operato una decisa riqualificazione dell'esperienza estetica, finendo col fare della sensibilità musicale un requisito indispensabile dell'uomo di rango6. Piuttosto mette conto soffermarsi s d a mutazione che questa riqualificazione ha provocato nel mecenatismo musicale dell'epoca, orientandone la funzione primordiale -produrre e gestire eventi sonori simbolizzanti il rango del mecenate secondo codici rigidamente definiti - verso esiti più flessibili e individualizzati, atti a simbolizzare quel rango anche mediante l'esibizione degli interessi musicali, ed eventualmente della personale musicalità, di lui. oderna configurazione del fenomeno in uestione. Coa a t t a (che*icità sse di una con=ione &positivi, d'ora innanzi cont~apporremod'altra come mecenatismo umanistico a mecenatismo istituzionale) s i g d c a infatti conside- mento dei rampoiii di quei principi a pedagogh urnanisti che prowidero a inculcar loro l'amore per le lettere, le arti e la musica7. S A nerla, non foss'altro che per la loro estraneità cronologica d a grande stagione della cultura urnanistica italiana. Anche per tale riqualificazione la cultura italiana del Quattro-Cinquecento sarebbe tributaria di quella francese, avendo questa recepito i'elogio aristotelico della musica sin dai tardo '300: epoca della traduzione francese della Politica curata da Nicola d'Oresme. Cfr. su ciò L. Lockwood, Mucic in Rmairrance Ferrara 1400-1505. The Creation o f a Mucical Centre in the F$eenth Century, Oxford, Oxford UNversity Press, 1984; trad. it. La mucica a Ferrara nel Rimsczkento: La meazione di un centro musicale nel XVl secolo, Bologna, Il Mulino, 1987, pp. 24-25 e 100; e FA. Gallo, Musica nel castello, Bologna, ll Mulino, 1992, pp. 13-14. 7 Per una sintesi telegrafica delle vicende delle cappelle di corte italiane del secolo XV, cfr. N. Pirrotta, Mwica tra Medioevo e Rinascimento, TOMO, Einaudi, 1984, p. 262. Ad anticipare l'inizio di quelle vicende agli anni Dieci del '400 ha provveduto A. Atlas, Pandol! III Malatesta mecenate mucicale: mucica e mwiclrti presso una signorio del primo Quattrocento, in «Rivista italiana di musicologia», m, a umanistico-cortese E bensi vero che nel 1475, a oltre cinquant'anni dall'istituzione delle prime cappelle di corte italiane, un musicista dd'esperienza internazionale come Johannes Tinctoris ne attribuiva la proliferazione più d a liberalità dei principi interessati che al loro amore per la musica*. Tuttavia si rammenti la contrapposizione prospettata una volta da Nino Pirrotta fra la polifonia franco-fiamminga, considerata come propaggine dello scolasticismo medioevale, e il canto «al liuto>> prediletto dai letterati italiani del '400, inteso come emblema musicale dell'umanesimo rinascimentale9. E la si pensi come contrapposizione fra repertori afferenti, non che a due culture diverse, aiìe due diverse forme di mecenatismo musicale che avevano appena iniziato a coesistere. Ci si accorgerà che Tinctoris, proprio perché il suo dire è circoscritto a una tipica emanazione del mecenatismo istituuonale come le cappelle di corte (all'epoca lui stesso faceva parte di quella del re di Napoli), non aveva modo di richiamarsi d'idea della naturale inclinazione e competenza musicali dell'uomo di rango, come invece fanno, a mezza via fra ritualità e imbonimento, le dedicatorie cinque-seicentesche summenzionate, che sono quasi tutte degate, vedi caso, a volumi di musica profana. Non ultima differenza fra mecenatismo istituzzbnale e mecenatismo umanistico è dunque la= stanziale separatezza dei repertorf musicali da essi incentivati, le diformità morfologiche celando una diversa funzionalità simbolica nei riguardi del rango del committente. a -detto chiaramente che ben m h i . tra ti --- gli autori ~ r o ~ o sin questa antologia, sarebbero disposti a sottoscrGere la d e h H o n e di mecenatismo musicale che ho appena formulato, e che qualcuno di [: " . 2 1988, pp. 60-78. Sul «progetto di formazione dell'aristocrazia», attuato dagli urnanisti italiani della prima metà del secolo, cfr. L. Lockwood, Mucic in Rmaircance Ferrara, cit., trad. it., pp. 45-47. Sdia parte che in tale progetto ebbe la musica, cfr. anche FA. Gallo, Muica nel castello, cit., pp. 98-101. Due passaggi del proemio del Pmportionale mucices - per il cui testo originaie cfr. C.E.H. Coussemaker, Srriptonrm de mucica rnedii ami m a series, Paris, Durand & Pedone-Lauriel, 1864-76 (ed. anastatica, Hiidesheim, Oims, 1963), N , pp. 153-155 - sono riportati in L. Lockwood, op. cit., p. 215 della trad. italiana. Cfr. N. Pirrotta, Mucica tra Medioevo e Rinascimento. cit., pp. 220-225. 14 C. Annibaldi loro trasecolerebbe addirittura nello scoprire di aver contribuito alla bibliografia suli'argomento. In realtà i quarantaquattro anni che separano il saggio più antico dal più recente (quelli di Strunk e di Brown, rispettivamente pubblicati nel 1947 e nel 1991) coincidono con il mezzo secolo speso dalla musicologia internazionale per maturare un approccio scientifico al fenomeno in questionelo.1i che, in pratica, è sigrdìcato abbandonare a fatica la visione idealistico-romantica del mecenatismo in senso lato, per cui il sostegno economico profuso a un artista è fondamentalmente un tributo al genio di lui, e orientarsi gradualmente verso la prospettiva antropologica a cui ho testé accennato, secondo la quale il mecenatismo musicale si risolve essenzialmente nella produzione e nella gestione di simboli sonori di gruppo e di classe. Di qui il rinnovamento delle prospettive di ricerca e l'incameramento, nella bibliografia specifica, di scritti che in altri tempi sarebbero stati considerati non pertinenti, come i saggi di Palisca e di Frey inclusi in questo volume. I quali non investigano la genesi mecenatesca di nessuna composizione, ma sono pur sempre fondamentali per la comprensione del mecenatismo musicale italiano fra '400 e '700, in quanto il primo ricostruisce il retroterra umanistico degli esperimenti di teatro musicale che consentirono alla corte fiorentina di primeggiare su tutte le corti europee del primo '600, e il secondo prospetta come operazione prettamente mecenatesco-istituzionale la trasformazione postuma della polifonia palestriniana in repertorio emblematico della cappella papale. Tutto ciò ha influito non soltanto suiia scelta dei saggi qui proposti, ma, innescando una sorta di reazione a catena, anche suii'impostazione deli'apparato informativo ad essi allegato. Per esempio, il fatto di poter selezionare scritti dal contenuto vario e fìnanche insolito (si pensi al saggio di HiU suiia confraternita minorile frequentata dai dei cameratisti fiorentini) imponeva di prevenire lo sconcerto del lettore dinanzi a scritti eccentrici rispetto alle sue aspettative suii'asse tematico del volume. Ciò si prospettava come compito specifico della mia introduzione ma comportava a sua volta il rischio di renderla troppo prolissa per il lettore impaziente di procedere oltre. Ho quindi cercato di parare tale rischio, combinando due distinte caratteristiche dei volumi capostipiti di questa collana. Da Musica e storia tra Medio Evo e Età moderna di Alberto Gallo ho preso l'idea di un'introduzione concepita piuttosto come la formulazione di un'ipotesi di lavoro che come presentazione puntuale dei saggi O' Su questo problema si rinvia il lettore d e sezioni 2-4 deiie Indicazioni bibliografiche. prescelti; mentre da Drammatu~iamusicale di Lorenzo Bianconi ho esemplato le premesse allegate alle cinque parti del presente volume, onde presentare le rispettive coppie di saggi in rapporto alla problematica esposta in queste pagine introduttive. Inoltre, a differenza delle due antologie citate ma sempre allo scopo di rendere più agile l'apparato informativo della mia, ho smistato nelle Indicazioni bibliografiche conclusive tutti i rilievi storico-critici suiia tradizione disciplinare retrostante i saggi in questione. Così corredato, La musica e il mondo dovrebbe non deludere il lettore più esigente, tornar utile a quello genericamente interessato ai progressi della musicologia storica, e insegnare qualcosa persino al più impaziente. Per quanto morali, i percorsi di lettura di quest'ultimo non potranno non incrociare le cinque premesse anzidette, e dunque non dovrebbe sfuggire neppure a lui la nuova visione del fenomeno mecenatesco-musicale che emerge dagii studi più recenti (anche italiani, naturalmente: ché l'importanza dei contributi nostrani al riguardo non va misurata suiia circostanza che, essendo facilmente reperibili, questo volume non ne include nessuno). Quanto al lettore soltanto interessato ad aggiornarsi suii'attuale dibattito musicologico, egii non dovrà far altro che seguire il percorso suggerito dall'indice. Compirà così una sorta di visita guidata del fenomeno mecenatesco-musicale nell'Italia quattro-settecentesca, completa di esemplificazione preliminare - teorica nel saggio di Brown, pratica in quello di Atlas - dei problemi quotidianamente affrontati dagli addetti ai lavori. Per lui, quindi, questa Introduzione fhisce qui. E delle Indicazioni bibliografiche basterà che legga, volendo rendere la visita più proficua, l'ultima sezione. Nessuna scorciatoia è prevista, invece, per il lettore intenzionato ad acquisire una visione specialistica del tema che qui interessa. Egii non potrà esimersi dalla lettura integrale delle Indicazioni bibliografiche e tanto meno dei successivi paragrafi della presente Introduzione, dove appunto si formula l'ipotesi di lavoro succitata e se ne ilhstrano puntualmente i vantaggi. In compenso potrà optare per percorsi di lettura alternativi a quello suggerito dall'indice. Ad esempio, tenendo conto non già dell'assortimento tematico dei dieci saggi ma della successione dei loro ambiti cronologici, egli potrà rinviare alla fine la lettura del saggio di Marx e leggere in sua vece quello di Palisca. Spazierà così suii'intera parabola storica del mecenatismo umanistico: ancora suiio sfondo nello scritto di Atlas, in primo piano in quello di Strunk, riferito da Palisca alle sue dotte radici accademiche, affiancantesial mecenatismo ist3uronale nei saggi di Hiii e di Frey, considerato da Jander in un contesto provinciale del tardo '600, 16 C. Annibaldi compromesso dd'awento dell'opera impresariale nel saggio di Bianconi e Walker, spodestato dal collezionismo in quello di Murata, e tuttavia ancora capace, a '700 inoltrato, di sortite memorabili come quelle accreditate da Marx al cardinale Pietro Ottoboni iuniore. 2. Ma sono agibili anche alui percorsi, più ingranati nell'attuale dibattito musicologico sul mecenatismo e la cornrnittenza musicale. Volendone individuare subito un altro, basta spostare l'attenzione dalla tematica dei saggi qui proposti al loro taglio metodologico. Sotto questo aspetto, che essi si dislochino lungo il cinquantennio occorso agli specialisti per mettere a fuoco il fenomeno in questione non è più un rilievo anagrafico buono a giustificare certe disomogeneità d'approccio, ma diventa uno specifico motivo di interesse. Infatti consente di individuare il punto di volta di tale vicenda nella sostituzione del modello metodologico derivato dagli studi sul mecenatismo letterario e artistico - centrati per definizione sulla genesi di opere concrete: testi letterari, quadri, statue, edifici - con un modello più consono allo statuto dell'opera d'arte musicale. Considerati in quest'ottica, i saggi raccolti nella prima e nell'ultima sezione dell'antologia delineano un percorso di lettura a sé. Giacché nei primi due Brown e Atlas privilegiano apertamente il momento compositivo e tendono a risolvere il rapporto mecenatesco nella confezione di testi musicali dotati di una loro oggettualità; mentre negli ultimi due Bianconi, Walker e Murata ancorano esplicitamente quel rapporto al momento performativo: risolvendolo nella produzione di eventi musicali o teatrali-musicali effimeri per definizione (eventualipartiture essendo meri supporti dell'esecuzione viva) n. Certo, considerando che il saggio di Murata porta la stessa data di quello di Atlas, e che il saggio di Bianconi e Walker è stato pubblicato sette anni prima di quello di Brown, si sarebbe portati a intendere le due ottiche anzidette non tanto come I'alfa e l'omega dello stesso itinerario conoscitivo, ma come opzioni metodologiche alternative. In realtà, è lo statuto stesso della musica come arte temporale Per quanto riguarda il saggio di Bianconi e Walker, il carattere accessorio della partitura di uno spettacolo operistico seicentesco emerge soprattutto nel paragrafo introduttivo dell'edizione inglese (omesso nella traduzione qui pubblicata) che sottolinea il diverso destino delle fonti letterarie e musicali del teatro musicale del tempo (le une pervenuteci quasi ai completo, le aitre andate in parte disperse), nonché la tendenza a non distinguere la composizione dall'esecuzione e daila messinscena da parte di un pubblico sostanzialmente indifferente alla qualità intrinseca della partitura. Cfr. L. Bianconi-T. Walker, Production, Conmmption and Politica1 Function of Seventeenth-CenturyItalian Opera, in uEarly Music History*, 4,1984, pp. 211-213. a rendere incongruo il riferimento al mecenatismo artistico e letterario da parte di chi intenda studiare quello musicale. Ed è verosimilmente a tale incongruità che vanno riferite le difficoltà di fondo accusate da Brown e Atias nei saggi rispettivi: d d a persuasione di non poter venire a capo del fenomeno senza averne inventariato gli i&niti aspetti quantitativi (la mappa, meticolosissima, che ne traccia Brown ha lo scopo precipuo di individuare le piste ancora da battere) d o scoramento per la scarsa rispondenza delle fonti musicali ove le si interroghi sul loro retroterra mecenatesco, come s'industria di fare Atias rivolgendo a una di esse alcune diecine di domande, puntualmente unanswered. Tutt'altre prospettive si schiudono a chi privilegi il momento performativo. Perché ciò ribalta, tanto per cominciare, i termini del problema, trattandosi non più di correlare un testo musicale, dotato di una sua tangibilità e anaiizzabile in tutti i dettagli, agli ipotetici desiderata di chi l'ha patrocinato, ma di individuare il rapporto che corre fra un evento musicale, transeunte per definizione e spesso inanalizzabile per natura, a un dato assolutamente dete-ato: il rango di chi, patrocinando quell'evento, ha di fatto affidato alla musica il compito di ostentare al mondo la propria posizione sociale. Si pensi, per intenderci, a questa stessa antologia. Considerata secondo l'ottica che sottende i saggi di Brown e di Atlas, essa o f i e una panoramica del mecenatismo musicale italiano fra '400 e '700 decisamente insufficiente, essendone esclusi, per non dir altro, casi di mecenatismo femminile e ricco-borghese. Inoltre essa mostra un'atteni o n e insufficiente verso l'interrelazione fra la morfologia di un'opera e i desiderata del committente, visto che, oltre ad Atlas, solo Strunk, Hil, Jander, Bianconi e Walker si soffermano su composizioni di cui ci sia pervenuto il testo scritto. Una ben diversa valutazione del volume darà chi riconduca il fenomeno mecenatesco-musicale d'attitudine di un evento sonoro scritto o improvvisato a esteriorizzare il rango sociale del mecenate di turno. Adottando tale punto di vista, infatti, si è preparati a disporre solo di informazioni indirette sull'evento che interessa (cronachistiche, archivistico-amministrative e simili) e dunque a scavare, prima che nella partitura eventualmente impiegata per realizzarlo, intorno d'evento stesso onde pervenire, quanto meno, a una visione dinamica dei suoi rapporti con la produzione e la circolazione musicale dell'epoca. Da questo punto di vista, la casistica forzatamente limitata offerta da questa antologia è un motivo di più per apprezzare la scelta dei saggi che la compongono. Giacché, se la prima e l'ultima coppia esempiifìcano, come abbiamo appena visto, l'itinerario delineato negli ultimi 18 C. Annibaldi cinquant'anni dagli studi più importanti sul mecenatismo musicale italiano fra '400 e '700, gli altri sei saggi si combinano - suggerendo un ulteriore percorso di lettura - in una sorta di modello da laboratorio dei suoi ingranaggi essenziali: quelli di Strunk e di Frey concernendo la produzione e, rispettivamente, la riproduzione di repertori musicali esclusivi; quelli di Palisca e di Marx la consulenza teorica richiesta dalla produzione di repertori siffatti e, rispettivamente, l'organizzazione pratica del corrispondente momento riproduttivo; quelli di Hill e di Jander la discesa verso il basso di esperienze musicali maturate al vertice della piramide sociale e, rispettivamente, il loro ritorno verso l'alto sotto specie di omaggi cortigiani al principemecenate di turno. N6 -le rnroswttive dischiuse da una nozione di mecenatismo musi-.---r cale incentrata sul modello petformativo si esauriscono in una visione dinamica del coinvolgimento dell'intera piramide sociale da parte del fenomeno in questione (con tutto quello che ciò implica a proposito della disseminazione di modelli culturali elitari come strumento di controllo sociale). Infatti, cercare di elaborare ulteriormente la prospettiva emergente dai saggi di Bianconi, Walker e Murata significa chiedersi quale prestazione tecnico-musicale possa mai prendere il posto della stesura di una partitura come oggetto del rapporto mecenatesco. E accorgersi che, a rigore, quel posto non può essere preso che dall'intera gamma delle prestazioni necessarie a realizzare un evento musicale: comprendendo fra esse non solo la realizzazione dell'evento stesso o il reclutamento degli esecutori a ciò necessari ma, appunto, anche la stesura di un'eventuale partitura", la copiatura delle relative particelle vocali e strumentali e simili. Certo, il fatto che tali prestazioni oscillino fra impegno artistico e mansione amministrativa o che, essendo espletabili in tempi diversi, possano talora essere distribuite fra più musicisti e talaltra accentrate da uno solo rischia di rendere il contenuto del rapporto mecenatesco-musicale estremamente fluttuante e generico. E tuttavia proprio questo consente un rilievo decisivo: Se infatti associamo a questa tendenziale genericità di contenuti il fatto che il rapporto in questione correla immancabilmente persone di diversa estrazione sociale, esso di- l2 Naturahente inserire il lavoro compositivo fra le prestazioni funzionali al momento esecutivo non significa dimenticare che si tratta della prestazione storicamente più prestigiosa, essendone dipesa l'emancipazione della musica dalla sua rninorità culturale rispetto alle altre arti. Si ricordi il celebre parallelo fra Josquin Desprez e Michelangelo tracciato a meta Cinquecento nei Ragionamenti accademici di Cosirno Bartoli (Venezia, Francesco de Franceschi, 1567, cc. 35v-36r). viene assimilabile agii infiniti scambi di protezione contro sottornissione che awiluppavano tutta la società italiana quattro-settecentesca in una fitta rete di relazioni paternalistico-clientelari. Possiamo quindi riepilogare le considerazioni sin qui fatte sul cdté antropologico, definendo ogni sorta di mecenatimo musicale upp scambio quella società " p + ~ e n wittomif-t ~p q u d c a t o d d a competenza ~ e x W u sno che ~ di tale competeva o*, al fine di simboleggiare il proprio rango soaale attraverso ac-'.a. conci eventi sonori13. Ritoccare in questo modo la definizione di mecenatismo proposta all'inizio di questa Introduzione presenta molteplici vantaggi. Per intanto pratici: giacché consente, ad esempio, di districarsi nella complessa fenomenologia della cornmittenza musicale fra '400 e '700, ~ ~c w e mecenateschi s solo ~ quei rappwi c di c&t-~ in cui il b h m i o mwci5ta/coqmiuenie appare intqrcambiabJe %I il b@& ~Izientekgdnno(o smolpadtvne. per w e termini^^ -e* m qu&w deddcsstaia di vdumi m u a - dd'epoca). Tuttavia è prevedibile che il ritocco in questione rappresenti un piccolo choc per il lettore ancora suggestionato dall'ottica idealistico-romantica del fenomeno mecenatesco-musicale.Desiderando che più oltre egii si convinca anche dei vantaggi teorici della definizione che ne ho appena proposto (vantaggi che, in certa misura, dipendono proprio dal moderato effetto di choc della defìnizione stessa), vorrei dunque rassicurarlo: essa non fa che spiegare quanto implicito nella dedicato" del madrigalista calabrese citata all'inizio. Fotse che quegh accennava d'amore per la musica nutrito dai principi di cui i suoi colleghi e lui stesso sollecitavano la protezione? Certamente no. Fondava invece il rapporto mecenate-musicistasu tre fattori decisameme =%$ci: la su riorità sociale deii'uno (evidenziata dal suo rango pmapesco), fiisogno dell'altro di sentirsi *sicuro e ben difeso>>,e il contesto sociale (il mondo) da cui traeva origine ìi loro rapporto è W**' verso cui rifluivano gli narm6niosi concentir da tale rapporto propinab s3s%> Se l'assimilazione del mecenatismo musicale al paternalismo comporta qualche perplessità, lo si deve semmai d a necessità di estendere d'uno un aspetto alquanto sgradevole dell'altro: I'even- c&e aterualistiio-clienfelar ?l!+ --l l3 Per questa definizione del rapporto paternalistico-clientelare mi riferisco a J.W. Bennet, PaternaIim, in InternatìonaI Enqchpedia of the SmaI Sa'ences, New York, Macmillan, 1968, XI, pp. 472-477. Quanto d a proposta di definire il musicista &o dei secoli XVI-XVIII come un fornitore di servizi artigimahente quaEcati, essa tutt'dtro che inedita: cfr. L. Bianconi, Il Seicento, Torino, EDT, 1982, p. 89. , 20 C. Annibaldi tualità che ii "cliente", parificato per definizione a un infante incapace di badare a se stesso, venga raggirato dal "padrino" a proprio vantaggioll. Tuttavia si consideri come, fra '400 e '700, fruire di una protezione altolocata significasse accettare preliminarniente e incondizionatamente ogni manifestazione del potere sociale di chi la concedeva. Si converrà che un musicista dell'epoca poteva solo augurarsi che tutte le iniziative del mecenate da lui servito si risolvessero a vantaggio, non già escludere che qualcuna si ritorcesse ai -proprio propri danni. A questo punto è chiaro che i risvolti economici del rapporto mecenatesco-musicale diventano del tutto secondari. E non solo nei confronti del mecenate, a cui sono ovviamente da attribuirsi ambizioni di prestigio e non fini di lucro, bensì anche nei confronti del che smsso deve aver cercato una protezione altolocata -musicista. -- - - -non tanto per i relativi vantaggi economici, quanto per i vantaggi non monetizzabili derivanti dal sentirsi «sicuro e ben difeso* in ogni contingenza quotidiana e professionale. La quale è un'eventualità che basta da sola a dichiarare l'ingenuità di quanti ritengono ancor oggi che ii reddito di un musicista attivo tra '400 e '700 rispecchi fedelmente la sua condizione sociale. Considerazioni analoghe valgono per le prestazioni dei musicisti stessi, e in particolare per quelle dei compositori, di cui, con ingenuità non minore, si lamenta spesso il condizionamento da parte dei desiderata dei committenti. In qealfa, inquadrando tali prestazioni nell'ambito di uno scambio paternalistico-clientelare che anche il @aride musicista m n poteva ed& gh si xitorcesse contro (chi non ricorda le recriminazioni di Monteverdi nei confronti del duca Vincenzo Gonzaga?)lr, esse ci si prospettano come prestazioni for: nite da musicisti che ef& psicol~gicamentee tecnicamente attrez;ati a lavorare in condizioni, per così dire, di cattività creativa. E cke dunque erano awezzi h a condiiionare a proprio vantaggi i desdeGhz 3truiAAse questi erano flessibili o generici, sia a ritagliarvi un pro-' pK6 spazio dilibertà inventiva, se erano rigidi e puntuali. Così, anCMLl't&timusicali pervenutici andranno valutati in p&is in base alla =apacità degli autori di destreggiarsi con le richieste dei rispeitivi committenti. Certo, di tali richieste i documenti ci dicono spesso p'oco o nulla: però sappiamo che esse non potevano non riferirsi a eventi musicali adeguati al rango di chi li patrocinava. Donde la possibilità di risolvere ii problema sollevato da Atlas, circa i nessi fra la 14 l5 Cfr.J.W. Bennet, art. cit., p. 472. Cfr. P. Fabbri, Monteverdi, Torino, EDT, 1985, pp. 150-151. Introduzione 21 realtà sonora di una panitura e il retrostante rapporto mecenatesco, analizzando le tecniche messe in opera nella prima onde simbolizzare musicalmente ii rango dell'eventuale committente. Che non erano dawero poche, grazie aile varie modalità di allusione stilistico-morfologica a disposizione dei compositori (si vedano al riguardo le messe di Cornago e del Palestrina discusse più oltre da Atlas e Strunk). Insomma: risolvere ii rapporto fra struttura sonora e genesi mecenatesca di opere concrete può anche servire a tacitare le periodiche apprensioni di taluni studiosi sulla scarsa libertà creativa dei musicisti del passato. Tutto ciò è quasi lapalissiano. Ma non è difficiie prevedere che ci si industrierà ancora a lungo a indurre la condizione sociale dei musicisti del '400-'700 dai loro emolumenti, che non si cesserà tanto presto di deprecare la mortificazione della loro creatività da parte di una committenza assillante, e che si continuerà a disperare di poter mai chiarire ii modo in cui la commissione di un'opera ha potuto riverberarsi suil'opera stessa16.Gli è che l'ala della musicologia storica occupatasi sin qui di mecenatismo è dominata da un orientamento neopositivista che, diversamente dal positivismo verace, insiste a guardare d'acquisizione del documento (musicale e no) come a un punto d'arrivo anziché come aila premessa per l'elaborazione di un'ipotesi interpretativa del documento stesso. E tuttavia ciò non s i d c a , come solitamente si pensa, che studiosi così orientati si astengano dail'interpretare i dati raccolti, porgendoli, per così dire, asetticamente. Signrhca bensì che li valutano, più o meno consapevolmente, aila luce del proprio anacronistico senso comune: fonte prima degli errori, delle goffaggini e delle mistificazioni che ricorrono in molti studi sul mecenatismo e la committenza musicale, e che sventuratamente finiscono spesso per trasformarsi in acquisizioni scientifiche indiscusse dato che, per accorgersi di certe topiche, occorrerebbe ripetere pari pari le ricerche di chi le ha perpetrate. Un esempio palmare di questo stato di cose ci è offerto daila musicologia statunitense. Monopolizzatrice da oltre un trentennio del settore disciplinare che qui interessa (donde la sua supremazia nell'ambito stesso di questo volume), essa ha avuto tutto l'agio di prendere coscienza della propria anima neopositivistica. Ciò ha non sol- l6 Per un'esemplificazione di questi atteggiamenti-tipo si rinvia al terzo paragrafo di questa Introduzione. Contro la tentazione di indurre la condizione sociale del musicista cinquecentesco dai suoi cespiti aveva già messo in guardia, molti anni fa, C. Anthon, Some Aipm of the Sociaf Statu of Ztafian Muicians d&g the Sixteenth Centuty, in aJoumal of Renaissance and Baroque Music*, I, 1946-47,pp. 112-113. 50 Premessa tano come sbocchi immediati dei due saggi di questa prima parte. Non a caso, dopo aver sottoscritto una teoria di chiara derivazione burckhardtiana come quella dei Big men di Gundersheimer, il primo di essi termina domandandosi quanto ancora pesi, sul nostro modo di rapportarci al fenomeno predetto, l'eredità di Burckhardt. Né è un caso che il secondo, benché fondato sull'ipotesi di un personale interesse del re Alfonso il Magnanimo per la messa en titre, finisca col chiedersi se non pecchiamo d'ingenuità nel dare per scontata la musicofilia dei grandi mecenati del passato. In tal modo, e sia pure in virtù di una mera torsione dialettica delle posizioni sin lì accolte, Atlas si affaccia sulla nozione di committenza più storicamente appropriata a qualificare il mecenatismo del personaggio da lui studiato: quel mecenatismo istituzionale di cui abbiamo detto nell'Introduzione, e di cui uno dei più attenti recensori del libro di Atlas sulla Napoli aragonese ha saputo intravedere per tempo, se non l'importanza euristica, l'essenza culturale: «Il rapporto dei re aragonesi verso la musica, se ci si attiene rigorosamente alle fonti docurnentarie, è curiosamente neutrale, a volte persino negativo. Si ha la sensazione che ai livelli più alti del potere politico la pratica del mecenatismo musicale fosse tollerata meno per il suo valore intrinseco che per la sua efficacia come segno esteriore di cultura, di pietà religiosa e di prestigio internazionale. E non c'è dubbio che questo atteggiamento fosse tanto radicato nella coscienza dell'ambiente di corte da diventare effettivamente parte del valore intrinseco della musica* (R. Woodley, Recensione ad A. Atlas, Music at the Aragonese Court of Naples, in «Early Music History», 7, 1987, p. 253). [C.A.] Per un dibattito sul mecenatismo musicale tra Quattro e Settecento di Howard Mayer Brown Che il mecenatismo sia stato «uno dei fenomeni sociali domipanti l'Europa preindustriale~ è ormai acqutsuione storiografica i unanime1. E la messe degli - scritti dedicati& nedi ultimi t e m ~ mostra c o m e w u o i meccanismi, dgi suorfini e delle sue modalità d'estrinsecazione sia diventato un settore impanante della gcerca storica. Il quadro d'insieme più utile per comprendere natura o x a m 6 l z i o n i degli studi sul mecenatismo ci è fornito non tanto dalle numerose monografie proposte in anni relativamente recenti intorno a temi particolariz, quanto dai risultati, riuniti successivamente in volume, di convegni dedicati al fenomeno nella sua giobalità3. Da un certo punto di vista, si può dire che il dedicarvisi ha surrogato per gli storici della cultura le indagini sulla storia politica ed economica, e per gli storici dell'arte gli studi sull'individualità e l'opera dei grandi artisti del passato4. Così gli uni si sono interessati ~ - --- Z - --- ' W.L. Gundersheimer, Patmnage in the Renatisance: An Euploratory Appmach, in Patmnage in the Renuizcance, a cura di G.F. Lytle e S. Orgel, Princeton, 1981, p. 3. Si vedano, ad esempio, i seguenti studi (tutti menzionati in W.L. Gundersheimer, Patmnage, cit.): F. Haskeil, Patmns and Paintm: A Study in the Reiatrom Between Italian Art and Son'eo, New York, 1963 (trad. it. Mecenatr' e pittoti Studio sui rappom'fra arte e società italiana nell'età barocca, Firenze, 1966); M . Levey, Painting at Court, New York, 1971; H. Trevor-Roper, Ptinces and Am'sts: Patmnage and Ideology at Four Habsburg Courts, 1517-1633, London, 1976 (trad. it. Pnnapi e a h t i : mecenatirmo e ideologia in qwttm corti degli Arburgo, Torino, 1980); A.G. Dickens, The Courts of Eumpe: Politics, Patmnage and Royalo, 1400-1880, London-New York, 1977. Oltre a Gundersheimer, Patmnage, cit., si vedano particolarmente: F.W. Kent-P. Simons, Renarjsance Patmnage: An Inlroductory Eciay, in Patmnage, Art and Soneo in Renaissance Italy, a cura di F.W. Kent, P. Simons e J.C. Eade, Carnberra(hdord, 1987, pp. 1-21; e L. Hunt, Inlroduction: Hktory, C u ~ h r eand Text, in The New Cultura1H*, a cura di L. Hunt, Berkeley-LosAngeles-London, 1989, pp. 1-22. Questo non s@ca che in awenire non debbano più studiarsi opere e personalith di rilievo, o che le ricerche sulla committenza musicale non possano occuparsi utilmente di composizioni specifiche. 1 52 H.M. Brown alla tipologia dei rapporti fra protetti e protettore e alla rete di alleanze su cui riposava l'efficacia sociale del sistema mecenatesco, ai meccanismi mediante cui si entrava al servizio di istituzioni laiche o ecclesiastiche, ai condizionamenti reciproci che strutturavano la condotta delle diverse fasce sociali, al condizionamento della stessa vita quotidiana tramite la progettazione e realizzazione di spazi adibiti ad abitazioni, luoghi di culto, sedi di attività lavorative, eccetera. Gli altri si sono occupati altresì di sceverare fra mecenatimo e clientelismo, ossia fra patrocinio artistico e patrocinio politico, e - su un piano più propriamente storico - hanno cercato d'intendere singole iniziative mecenatesche nel contesto,d'una più generale teorizzazione dell'incidenza del mecenatismo sulla storia della società e dell'intel- % stata diversa se la si fosse realizzata in un altro contesto sociale, per un'altra istituzione, o per un altro committente individuale? E chi ritenere responsabile delle sue caratteristiche intrinseche: il committente, l'autore o un loro intermediario? Come e perché un committente poteva pensare di perseguire tramite l'arte le mire politiche, dinastiche, culturali che riteneva più appetibili? In qual modo ci si serviva dell'arte a scopi di controllo sociale? Ecco alcune questioni riducibili spesso a più essenziali questioni economiche circa il rapporto fra offerta e domanda - che gli studiosi del mecenatismo arti- Per un dibattito sul mecenatimo musicale 53 opere e gruppi di opere determinati. Occorrerebbe scrivere la storia di istituzioni musicali, ricostruire le condizioni di lavoro dei musicisti, indagare l'organizzazione di varie specie di gruppi musicali. Chi componeva o eseguiva musica nelle grandi corti reali e nelle piccole corti principesche, presso istituzioni municipali o presso cattedrali e collegiate, presso coqGrazioni, confratemite, teatri pubblici, eccetera? Chi decideva di commissionare o far eseguire certe musiche? E che cosa significava scrivere un pezzo, per quanto concerneva i doveri e le responsabilità del compositore? Insomma: quali meccanismi regolavano la richiesta di composizioni o di esecuzioni musicali? Va da sé che poter rispondere a questi interrogativi relativamente a siti ed epoche particolari significherebbe essere già a buon punto nella comprensione dei meccanismi in questione. Negli ultimi anni, del resto, alcuni studiosi si sono occupati della storia di singoli centri musicali, mettendoci a disposizione una serie di monografie sulle corti di Ferrara e di Mantova (di cui si sono interessati Anthony Newcomb e Lewis Lockwood, da un lato, e Iain Fenlon e WiUiam Prizer dall'altro), sulla corte aragonese di Napoli e sulle istituzioni cittadine della Bruges medioevale (studiate, rispettivamente, da M a n Atlas e Reinhard Strohm), nonché sulla vita musicale di Firenze e di Siena, a cui si è dedicato Frank D7Accone>. Le ricerche sulle corti italiane del nord tra '400 e '500 hanno evidenziato i1 peso assunto dal singoIo principe nen'orientamentuò e nello sduppo delle politiche artistiche locali, confermando la teoiia dei Big men qstems formulata da Werner Gundersheirner6. Che i grandi del tempo potessero avere un tal peso è indubbio. Ed è sicuramente neìl'individualità e neiie predilezioni personali del (o della7 grande di turno che vanno cercate, almeno in parte, le ragioni per cui ceke corti commissionarono più musica di altre o ce^ tipi di musica si legarono più d'altri a situazioni e Iuoghi articolari. Ogni grande, inoltre, godeva deìl'appoggio di clan famig 'ari e di istituzioni uffi- f tri tipi di artista, essi hanno attivamente contribuito all'immagine pubblica di principi e sovrani? Interrogativi siffatti chiariscono che la ricerca sul mecenatismo non va confusa con gli studi di storia politica, economica e culturale, ruotando essa intorno a un copus di oggetti artistici (opere figurative, componimenti musicali, testi letterari) che sollecitano giudizi critici. Ma gli studi sul mecenatismo potrebbero e dovrebbero mirare a qualcosa di più che a interpretare in un modo o nell'altro > L. Lockwood, Music in Renairrance Ferrara, 1400-1505, Oxford, 1984 (trad. it. Lo musica a Ferrara nel Rinascimento, Bologna, 1987); A. Newcomb, The Madngal at Ferrara, 1579-1597, Princeton, 1985; A. Atlas, Music at the Aragonese Court of Naples, Cambridge, 1985; I . Fenlon, Music and Patmnage in Skteenth-Century Mantua, Cambridge, 1980-82 (trad. it. Musica e mecenati a Mantova nel '500, Bologna, 1992); W. Prizer, Courtly Pastimes: The Fmttole of Marchetto Cara, Ann Arbour, 1980; R. Strohrn, Music in Lote Medieval Bruges, Oxford, 1985; F. D'Accone, The Singers of San Giovanni in Florence During the F$eenth Century, in uJournal of the American Musicological Societp, XiV, 1961, pp. 307-358. Di quest'uitimo studioso va segnalato, con numerosi altri saggi, l'imminente libro s d a musica a Siena. Cfr. Gundersheimer,Patmnage, cit., pp. 13-16. 54 Per un dibattaio sul mecenatimro musicale H.M. Bnwn ciali di vario genere e, volendo comprendere la funzione sociale della musica del passato, occorrerebbe tener conto anche di legami siffatti. Così, ad esempio, bisognerebbe chiarire in quale misura i rapporti fra mecenati e musicisti erano contrattuali, oppure basati su una comunanza di interessi culturali e magari anche su un rapporto di amicizia, autentico o simulato che fosse. Quale valore dare all'ammonimento di Piero Strozzi a Giulio Caccini, che progettava di trasferirsi a Genova, quando gli ricorda che i patrizi fiorentini lo avevano protetto e considerato quasi un loro pari, mentre quelli genovesi non avrebbero fatto complimenti nel trattarlo come un semplice musico, e lo avrebbero comandato a bacchetta7? Cosa erano esattamente «la materia e il soggetto» che il duca Guglielmo di Baviera inviava a Orlando di Lasso perché li rivestisse della sua musica? E quale fu il ruolo di Nicolaus Stopio, consulente letterario di quel duca, al momento di scegliere i testi da passare al compositore8? Manca anche uno studio che indaghi sulla natura del fenomeno mecenatesco - e quindi sui suoi scopi, le sue strategie, i suoi meccanismi - a diversi livelli sociali. E si potrebbe anche pensare di estendere l'ambito dell'indagine a tipi di musica emarginati e non pridegiati, in quanto sfuggiti da sempre, per una ragione o per l'altra, a qualunque protezione ufficiale. C'è dunque bisogno di studiare, oltre alla politica artistica di re e principi regnanti, il modo in cui funzionava la committenza delle compagnie di laudesi e delle corporazioni artigiane, delle comunità cittadine e delle confraternite religiose, dei conventi e di consimili istituzioni minori. Un esempio fascinoso di quanto sia istruttivo studiare comparativamente gli effetti della committenza su uno specifico prodotto musicale è il saggio in cui Bianconi e Walker mostrano le mutazioni dell'opera seicentesca a seconda che fosse progettata e allestita per i teatri impresariali di Venezia, per quelli privati della Roma papale o per qualche fiera cittadina9. Né c'è minor bisogno di studiare il ruolo delle donne nella committenza musicale cinque-seicentesca, sulla scia, fra l'altro, dello studio di William Prizer intorno al ruolo cruciale giocato da Isabella d'Este Gonzaga nella storia deiia musica mantovana (e conseguentemente, potremmo aggiungere, sulla storia musicale dell'intera Italia H. Mayer Brown, The Geograpby of Flotentine Monody: Cacchi at Home and A h a d , in «Early M u s b , M, 1981, pp. 147-168. Cfr. Dae Munchner Furstenhochzeir von 1568. Massimo Tmiano: Daaloge, a cura di H. Leichtmann, Mwichen-Salzburg, 1980. [Per una traduzione parziale deiio scritto in parola, si veda il penultimo saggio di questa antologia.] I 55 cinquecentesca)'O. Si pensi a un personaggio come madame De Retz, la cui importanza nella vita musicale parigina del XVI secolo è incontestabile, benché resti tuttora da precisarne gli esiti e i termini. Alcuni studiosi sono stati attratti dalla possibilità di prospettarsi le testimonianze artistiche del passato come simbolizzazioni deiie credenze e dei valori costitutivi di società perente. Al di là deiie loro diverse estrinsecazioni, mi pare che tentativi siffatti abbiano un denominatore comune. Si pensi a quelli volti a definire il senso che un'opera d'arte possedeva per i destinatari d'origine. o a leggerla come spia di aspetti del passato altrimenti irrecuperabiii, o a sottolineare non tanto i suoi contenuti quanto la sua azione sul fruitore (specialmente il modo in cui agiva, o si intendeva che agisse, nel contesto sociale d'appartenenza). Non si può certo dire che gli storici della musica antica abbiano dato la priorità a quest'ordine di problemi. Sarebbe opportuno, dunque, adoperarsi per tradurli in chiave musicologica e chiedersi quanto coincidano con aspetti del fenomeno mecenatesco-musicale. dell'ordine costituito? O sono le musiche ufficiali del tempo a covare in sé elementi trasgressivi? Se non erro, alla musica dei secoli XVI e XVII non sono mai state poste domande del genere. Ma vale la pena di porgliele? Quanto servirebbero a far uscire allo scoperto il postulato sottaciuto di taluni studi sul mecenatismo: narrare la storia di artisti in cattività ansiosi di infrangere i ceppi che li impacciavano? Inoltre potremmo (e forse dovremmo) porci domande direttamente concernenti il momento in cui viviamo, chiedendoci, ad esempio, se il mecenatismo illuminato di un tempo comportava o no dei vantaggi creativi. 11 sito e la tipica struttura sociale deiia Firenze cinque-seicentesca hanno calamitato l'attenzione degli studiosi - e specialmente di quelli interessati al mecenatismo - più di qualunque altra città dello W. Prizer, habella d'&e and Lumezia Borgk as P a m m of M&: The Fmttola at Mantua and Ferrasa, in «Journal of the American Musicologicd Society~, XXXWJl, 1985, pp. 1-33. 56 H.M. Bnwn l'epoca. Non è difficile spiegare questa predilezione: pochissime città hanno archivi altrettanto ricchi e nessuna ha la posizione privilegiata nella storia della musica che Firenze possiede in quanto culla debitamente orgogliosa dell'opera in musica. Ultimamente, però, lo studio del mecenatismo in altre società ha ampliato il campo visivo dei musicologi, al punto che i tempi sembrano maturi per un suo ulteriore ampliamento. Un ampliamento da avviarsi, per esempio, con una serie di confronti puntuali fra diversi tipi di mecenatismo. E dunque con una serie di domande sulle differenze esistenti, sotto questo aspetto, fra questa e quella corte reale; fra re e principi, da un lato, e membri dell'alta aristocrazia ecclesiastica dall'altro; fra corti maggiori e minori; fra cattolici e protestanti; fra municipalità, piccole corti e privati cittadini; fra il signore d'una corte e i cortigiani che presurnibilmente &erano soggetti. Dopodiché dovremo porci pur sempre una domanda su quanto tutto ciò prometta dawero di modificare le nostre vedute sulla musica europea fra '400 e '700. Per quanto le nostre prospettive ci sembrino inedite, infatti, l'immagine burckhardtiana dello stato come opera d'arte potrebbe non esserne neppure scalfita. Intorno a una messa per la corte aragonese di Napoli di Allan Atlas Negli ultimi anni gh specialisti della musica del '400 e del primo '500 si sono concentrati sul problema del mecenatismo in misura crescente e con risultati spesso sorprendenti. Essi ci hanno insegnato moltissimo su come il tale re o il tale duca sapeva organizzare e gestire la cappella musicale e i gruppi strumentali della propria corte; sulle tattiche che adottava per assicurarsi i servigi di musici reputati; sugli incidenti politici e diplomatici che potevano verificarsi quando uno stesso musico era concupito da più principi; sull'importanza delle relazioni dinastiche e commerciali; sul sistema delle prebende ecclesiastiche con cui venivano integrati i salari dei musici di corte; e persino sui risvolti umani dei rapporti che legavano principildatori di lavoro e musici/prestatori d'opera. In effetti si tratta per lo più di nei studi di taglio, per così dire, «sociologico-documentaristico>>, quali mecenati e mecenatismo si stagliano via via sullo sfondo di istituzioni musicali, libri-paga, affari di stato, owero di personali manie di grandezza e persino di preoccupazioni per l'aldilà. Senonché, studi siffatti si occupano assai poco di musica. E, quando lo fanno, si limitano a rilevare corrispondenze generiche fra i gusti personali del mecenate di turno e il tipo di musica prodotto nel suo entourage, o le caratteristiche stilistiche di un particolare genere musicale'. Così an- ' Così Iain Fenion (Music and Pamnage in StXteenth-Century Mantua, vol. I, Cambridge, 1980, trad. it. Musicrsti e mecenati a Mantoua nel '300, Bologna, 1992, pp. 102-105) osserva che il predominante carattere liturgico deiia produzione di Jacques da Mantova d e t t e «le predilezioni musicali» del cardinale Ercole Gonzaga, e che i testi di buon numero di mottetti deiio stesso compositore «rispecchiano la varietà e il carattere deiie attività politiche di Ercole, come governante, riforrnista religioso e diplomatico». Analogamente Lewis Lockwood (Sttategies of Musrc Patronage rn the Fifeenth Century: The Cappella of Ercole I d'fife, in Music in Medieool and Early Modern Eumpe, a cura di I. Fenion, Cambridge, 1981, pp. 243-244) discute la programmatica semplicità di alcune composizioni liturgiche ferraresi, come i doppi cori per i testi deli'Ufficio conservati in I-MOe, a. M.1. 11-12, osservando come esse seguano una tradizione risalente a Dufay, ma siano dotate «anche [di] una partico-