ACI E GALATEA di Carlo Mirabella Un’antichissima leggenda greca narra che Nettuno, Dio del mare, correndo un giorno sulle onde a cavallo di veloci delfini, vide apparire un’isola meravigliosa, un golfo di immensa bellezza, recintato da due fiumi di cui uno era appena un torrentello, e sullo sfondo, maestoso, si ergeva un vulcano, bellissimo e innevato, con pendici ricche di lava, di boschi e di caverne. Era la Sicilia! Al Dio piacque tanto che vi mandò ad abitarla, facendoli uscire dal mare, i suoi figli, i Ciclopi. Si trattava di giganteschi esseri con un occhio solo, posto in mezzo alla fronte. Questi erano ottimi pastori e insegnarono agli uomini l’uso del burro e del formaggio. Ma Nettuno nel suo girovagare, ben presto, si dimenticò di loro. Ed essi, con il passare del tempo, abbandonati sull’isola, diventarono sempre più brutti rozzi e cattivi. Due di loro, Polifemo e Bronte, in particolar modo, cercavano di sopraffare gli altri. Ognuno dei due era riuscito a procurarsi la grotta più grande e più bella ed il gregge di capre e pecore più numeroso. All’alba di ogni giorno essi s’incamminavano per le pendici dell’Etna alla ricerca di buoni pascoli per la propria mandria. Quando li trovavano esaltavano di gioia, sbattendo i pugni per terra o contro dei massi, facendo così tremare tutta la montagna. Aci, figlio di Fauno e di una ninfa del Simeto, s’innamorò perdutamente della ninfa Galatea. Questa era disperata perché amata anche dal Ciclope Polifemo, che, però, era brutto e rozzo ed incuteva enorme paura con il suo unico occhio fiammeggiante che sprigionava odio, proprio in centro la fronte. Il passatempo preferito di Polifemo era incutere paura e terrore alle persone che incontrava nel suo girovagare con le pecore al pascolo e, quando stava ad oziare con il suo amico Bronte sul colle del monte Ziretto, nei dintorni di Castelmola, all’avvistamento di barche di pescatori o di vascelli di conquistatori (fra cui Teocle ed Ulisse, che Polifemo in futuro avrebbe conosciuto con il nome di Nessuno), li prendevano di mira scagliando contro di loro enormi massi e gioendo delle loro male azioni. Tuttavia, per amore di Galatea, Polifemo smise di frequentare il ciclope Bronte e di gettare enormi sassi alle navi che transitavano lungo la sua costa. Un giorno, il Ciclope, preso dalla frenesia di vedere la sua amata Galatea, si mise a cercarla per tutto il bosco attorno all’Etna. La vide, da lontano, nelle braccia di Aci. Allora un urlo bestiale uscì dalla sua gola. Dalla rabbia sradicò decine di alberi con le sue possenti mani, li prese e li lanciò contro i due. Colmo di rabbia, cominciò a battere con i pugni su un grosso masso, e lo sconquassò, facendo tremare tutta la montagna. Galatea, impaurita, si tuffò sott’acqua, nel mare lì vicino; Aci si diede alla fuga, ma il Ciclope, accecato dalla gelosia, sradicò dal suolo un’enorme roccia e la lanciò addosso ad Aci, schiacciandolo. Il corpo del povero pastorello rimase lì, sotto la roccia, senza vita. Appena la notizia giunse a Galatea, questa accorse dove era il corpo di Aci. Alla vista del suo amore gli si gettò addosso piangendo tutte le lacrime che aveva in corpo. Il pianto senza fine di Galatea destò la compassione degli Dei che vollero attenuare il suo tormento trasformando Aci in un bellissimo fiume che scende dall’Etna e sfocia nel tratto di spiaggia dove solevano incontrarsi i due amanti. Gli Dei, impietositi dalle grida e dal lamento di Galatea, trasformarono il sangue che usciva dalle vene di Aci agonizzante in acqua che, successivamente, si trasformò in fiume. Fu così che Galatea rimase per sempre congiunta al suo amore. Non lontano dalla strada primaria, vicino l’attuale borgo marinaro di Capo Mulini, esiste una piccola sorgente chiamata dagli abitanti del luogo “La sorgiva del sangue di Aci” per il suo caratteristico colore rossastro. Pare che dal nome del pastore derivi il nome Aci, dato a tutti i paesi attraversati da quel fiume di lacrime. Il fiume Aci, detto anche fiume Jaci, era un fiume della Sicilia orientale sul quale si sviluppò una notevole mitologia. Chiamato dai Greci «Akis», diede il nome a tutta la zona e ai comuni che tuttora ne occupano il territorio (tra cui Acireale). È stato identificato da alcuni con l'attuale torrente Lavinaio, che passa quasi al confine fra Acireale ed Aci Catena con foce a Capo Mulini. Nell'antichità, la mitologia greca costruì sul fiume il mito dell'amore tra il pastore Aci e Galatea, che, dopo la morte del primo, si trasformarono rispettivamente nel fiume e nella spuma del mare. Tale amore è stato tramandato dai poeti Teocrito, Virgilio ed Ovidio.