L` anarchia militare - FDA Didattica per le materie letterarie

L’ anarchia militare
Con il termine anarchia militare si indica un turbolento periodo del III secolo d.C., lungo circa 50 anni, in cui
sul trono dell'Impero romano non salirono né un rappresentante del volere congiunto di Senato, esercito e popolo,
né l'erede legittimo di una dinastia. Al contrario diventarono imperatori generali o condottieri militari che ricevevano
il potere assoluto dal solo esercito. Furono le legioni (o la potente guardia pretoriana), in definitiva, a decidere
quando dare (in cambio di gratificazioni e privilegi) e quando togliere (se le promesse non erano state mantenute)
il potere imperiale ai loro rappresentanti, spesso eliminati dopo pochi anni (se non pochi mesi) di esercizio del
potere.
Non era la prima volta nella sua lunga storia che Roma era funestata da guerre civili. A differenza dei casi
precedenti, tuttavia, l'instabilità politica generata dall'anarchia militare fu quella più grave, sia per la lunghezza
della crisi istituzionale (mezzo secolo) sia per la concomitanza di altre grandi difficoltà: invasioni barbariche,
epidemie di peste, secessioni di intere province, carestie, tensioni religiose, crisi economiche. La pressione dei
nemici sulle frontiere e la mancanza di una guida stabile portarono l'Impero sull'orlo del collasso. Intere regioni
(Dacia e Agri decumati) dovettero essere abbandonate definitivamente ai barbari. Alla fine, grazie alla risoluzione
di un altro generale, il dalmata Diocleziano, l'anarchia militare ebbe termine, ma non senza conseguenze: il
principato diveniva dominato e i cittadini sudditi. Iniziava il periodo storico detto Tardo Impero.
La crisi militare e di alternanza di potere, condusse ovviamente ad una riduzione della produzione su base
agricola e mineraria e conseguente crisi dell'industria artigianale, che difettava non solo delle materie prime ma
soprattutto del lavoro che le era stato sottratto, a causa delle continue guerre di confine , oltre a quelle civili in
seguito all'alternarsi di imperatori ed usurpatori.
A questa si sommò quella dei trasporti interni per la riapparizione di brigantaggio e pirateria, con
conseguente difficoltà di approvvigionamento dei grandi centri urbani; a cui si sommarono il moltiplicarsi di zecche
regionali ovunque nell'Impero (con conseguente aumento del volume della moneta messa in circolazione), un
costante depauperamento dei materiali impiegati e conseguente drastica riduzione di quelli preziosi nel battere
nuova moneta, ed una crescente e devastante inflazione dei prezzi causata da una limitata offerta rispetto alla
domanda.
Ai problemi sopra elencati si aggiungano altri due importanti fattori di tipo militare:
1.Le ambizioni di numerosi prefetti del pretorio e governatori delle province "militari", ovvero che
possedevano almeno una legione, come la Germania superiore o quella inferiore, le due Pannonie, o la Britannia,
ed altre ancora;
2.La volontà degli eserciti e della guardia pretoriana che innalzano o rovesciano gli imperatori per interessi
personali e per campanilismo provinciale.
Alcuni storici hanno individuato le cause latenti della crisi In un tale tipo di potere che si esplica nelle
situazioni in cui una classe dominante (in questo caso l'oligarchia senatoria romana) entra in crisi, ma non c'è
ancora un'altra classe (l'ordine equestre nel caso in questione) in grado di sostituirla al potere. In questa
situazione il vuoto viene riempito da personaggi carismatici autoinvestiti. Tale potere è particolarmente instabile e
vulnerabile, perché non ha vere radici nella società ed è alla costante ricerca di una legittimazione, nella tradizione
umana o nell'investitura divina. Esso non costituisce un'alternativa stabile all'aristocrazia, ma versa in una
condizione di cronica precarietà e discontinuità. Settimio Severo (imperatore dal 193 al 211) si era illuso di avere
restaurato l'ordine, riformando lo Stato e fondando la sua dinastia, invece il suo sogno si infranse del tutto non solo
per l'inettitudine dei successori, ma anche per lo squilibrio di base e la violenza congenita di un sistema in cui la
vecchia aristocrazia, sconfitta politicamente dall'esercito, non voleva comunque uscire di scena e nello stesso
tempo non esisteva nessun altro ordine sociale (una "nuova" borghesia) in grado di emergere. Il potere restava,
quindi, in bilico nelle mani di condottieri militari, a loro volta fortemente dipendenti dalla volontà (spesso venduta al
miglior offerente) delle legioni e dei pretoriani.
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Tale periodo è da ricercarsi nell'ambito della crisi del terzo secolo che investì l'impero romano, ovvero dal
235 anno dell'ascesa al trono di Massimino il Trace a quella di Diocleziano del 284. Durante i circa 50 anni della
crisi si alternarono più di venti imperatori cosiddetti "legittimi" ed un numero doppio di usurpatori sul trono di Roma.
Per un certo periodo, dal regno di Gallieno a quello di Aureliano, l'impero fu diviso anche in tre parti: l'Impero
Romano propriamente detto, l'Impero delle Gallie ad Occidente e il Regno di Palmira ad Oriente.
All'uccisione di Alessandro Severo (ultimo erede della dinastia dei Severi), dietro istigazione del generale
Massimino il Trace, gli succedette quest'ultimo nel 235. Massimino dopo un solo triennio fu ucciso dalle sue stesse
truppe accampate nei pressi di Aquileia, nel maggio del 238. Gli succedettero in pochi mesi Gordiano I (morto
suicida), Gordiano II (morto in battaglia), Pupieno e Balbino (due senatori trucidati dalla guardia pretoriana) ed
infine Gordiano III che regnò fino al 244, ma che fu probabilmente assassinato per volontà del prefetto del
Pretorio, Filippo l'Arabo. Filippo, che subentrò a Gordiano sul trono imperiale, cadde in battaglia contro il rivale
Decio nel 249, che a sua volta morì insieme al figlio Erennio Etrusco, destinato a succedergli, nella battaglia di
Abrittus contro i Goti nel 251.
A Decio succedette Gaio Vibio Treboniano Gallo che associò al trono prima il figlio minore di Decio,
Ostiliano, (nel 251), e poi il proprio figlio, Volusiano. Anche questi ultimi perirono al termine di una cruenta
battaglia per mano della soldataglia, dietro istigazione del futuro imperatore Emiliano. Emiliano non durò più di tre
mesi, morendo anch'egli per mano dei suoi stessi soldati presso Spoleto. A lui succedettero nel 253 Valeriano,
(catturato dai Sasanidi nel 260), ed il figlio Gallieno fino al 268.
In questo periodo l'impero rimase diviso per quasi quindici anni tre parti: ad Occidente l'Impero delle Gallie
(retto dagli usurpatori come Postumo (260-268), Leliano (268), Marco Aurelio Mario (268-269), Vittorino (269-271),
Domiziano II (271) e Tetrico (271-274)) ed a Oriente il Regno di Palmira (dove si alternarono prima Settimio
Odenato, nominato da Gallieno corrector totius Orientis, dal 262, poi il figlio Vaballato insieme alla madre Zenobia
fino al 272).
A Gallieno, ucciso da una congiura dei suoi stessi generali nel 268, succedette il primo degli imperatori
illirici: Claudio il Gotico, che regnò fino al 270 e morì di peste. Gli subentrò il fratello Quintillo, che poco dopo si
fece da parte (forse suicidandosi) per lasciare il posto ad Aureliano. Quest'ultimo riuscì nell'impresa di riunificare
l'impero, combattendo prima Zenobia e Vaballato in Oriente e poi Tetrico in Occidente. Anch'egli fu ucciso da una
congiura militare nell'autunno del 275.
Ad Aureliano succedette un membro del Senato, un certo Marco Claudio Tacito, il quale regnò per meno di
un anno fino al giugno del 276, quando sembra sia stato colto da infarto. Il regno del fratello Floriano, che si era
proclamato Augusto, dopo aver ricoperto il ruolo di prefetto del Pretorio, alla morte di Tacito, terminò con la sua
uccisione in seguito ad una congiura militare, seguita alla cocente sconfitta ad opera del futuro imperatore Marco
Aurelio Probo nell'agosto del 276. Quest'ultimo regnò per ben sei anni fino al 282, quando anch'egli fu ucciso da
una congiura militare. Durante il suo regno si ricordano due usurpatori in Gallia: un certo Gaio Quinto Bonoso e
Tito Ilio Proculo.
A Probo succedette Marco Aurelio Caro, elevato alla porpora imperiale dalle legioni di Rezia e Norico. Egli
a sua volta nominò suoi eredi per l'Occidente il figlio maggiore Marco Aurelio Carino e per l'Oriente l'altro figlio
Numeriano. A quest'ultimo, una volta ucciso nel 284 dal prefetto del pretorio, Arrio Apro, succedette Diocleziano, il
quale si scontrò nel 285 con Carino per il ruolo di unico imperatore e lo batté nel corso della battaglia del fiume
Margus.
Divenuto ora unico padrone dell'impero romano, Diocleziano, pensando che il sistema di governo
dell'impero fosse inefficace per garantire un adeguato controllo di un territorio tanto vasto e militarmente
minacciato su più fronti, cominciò prima ad affiancarsi un cesare per l'Occidente, e dal 293 istituì la cosiddetta
tetrarchia, un sistema di governo che divideva l'impero in due macro aree, una occidentale e l'altra orientale, a loro
volta suddivise in altre due sub-aree.
L'imperatore Massimino il Trace iniziò il turbolento periodo dell'anarchia militare, che terminò solo con
Diocleziano cinquant'anni dopo.
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Nel 235 dopo l'assassinio di Alessandro Severo, ultimo della dinastia dei Severi divenne imperatore
Massimino. Originario della Tracia, fu il primo barbaro a raggiungere la porpora imperiale, essendo nato non
ancora cittadino romano. Fu anche il primo imperatore a non aver mai messo piede a Roma, in quanto trascorse
l'intera durata del suo regno impegnato in campagne militari (prima contro gli Alemanni, poi contro Sarmati e
Daci). Il fatto che la sua carriera fosse legata esclusivamente all'esercito (non si curò nemmeno di comunicare
l'elezione al Senato) dimostra come i nobili senatori ed i ricchi finanzieri stessero perdendo il loro potere. Si
credeva addirittura che facesse parte di una famiglia dediticia, cioè di quelle famiglie cui anche dopo l'editto di
Caracalla non era stata riconosciuta la cittadinanza romana. Il suo regno ebbe però vita breve, giusto il tempo di
difendere i confini danubiani.
Nel 238 le province africane si rivoltarono contro la politica fiscale di Massimino, volta a compiacere
l'esercito, ed elessero quale loro nuovo imperatore Gordiano I, il quale affiancò alla guida dell'Impero il figlio
Gordiano II. Entrambi furono però, poco dopo, assassinati da uomini fedeli a Massimino, tanto che il Senato di
Roma decise di eleggerne due di nuovi, formando di fatto una diarchia. Si trattava di Pupieno e Balbino (tardo
aprile, inizi di maggio 238). Tuttavia una fazione a Roma preferì il nipote di Gordiano I, Gordiano III, costringendo
alla fine i due nuovi Imperatori eletti dal senato a proclamare cesare il giovane Gordiano,.
I tre avversari di Massimino potevano contare su milizie formate da coscritti e da gruppi di giovani, mentre
l'imperatore aveva a propria disposizione un grande esercito che veniva da anni di guerre. Massimino decise
allora di marciare rapidamente su Roma per spazzare via i suoi oppositori. Non considerò, però, le difficoltà
connesse con l'attraversamento delle Alpi alla fine dell'inverno. Quando l'esercito di Massimino giunse in vista di
Aquileia, la città chiuse le porte all'imperatore. Massimino prese allora una decisione a lui fatale: invece di
scendere rapidamente sulla capitale con un contingente, mise personalmente sotto assedio la città di Aquileia. Il
prolungato assedio, la penuria di viveri e la rigida disciplina imposta dall'imperatore causarono l'ostilità delle truppe
verso l'imperatore, tanto da portare i soldati ad assassinarlo nel suo accampamento, assieme al figlio Massimo ed
ai suoi ministri (10 maggio 238).
Il senato elesse imperatore il tredicenne Gordiano III e ordinò la damnatio memoriae per Massimino. Poco
dopo essere stato nominato imperatore dall'esercito con il consenso del Senato, Gordiano III decise di affrontare
l'impero persiano, rinato sotto la nuova dinastia dei Sasanidi. Gordiano III affiancò come proprio consigliere il
prefetto Temesiteo, divenuto sui suocero avendone sposato la figlia. Quest'ultimo però morì prematuramente,
dopo i primi successi romani contro il nemico orientale. Trovatosi da solo, Gordiano sembra fu sconfitto da Sapore
I o più probabilmente ucciso dal nuovo prefetto del pretorio, Giunio Filippo, figlio di un cittadino romano dell'Arabia,
che ne prese il posto, trattando poi una resa poco onorevole per l'Impero romano con il "re dei re" sasanide.
La morte improvvisa dell'Imperatore Gordiano, a cui i soldati costruirono presso Circesium un cenotafio
(sulla riva dell'Eufrate, in località Zaitha), non sappiamo se in battagliao per mano del suo successore, il prefetto
del Pretorio, Filippo l'Arabo, determinarono il ritiro delle armate romane,una pace giudicata da Zosimo
disonorevolee probabilmente la perdita di parte della Mesopotamia e dell'Armenia,sebbene Filippo si sentisse
autorizzato a fregiarsi del titolo di Persicus maximus.
L'Oriente romano fu, quindi, affidato da Filippo al fratello, Gaio Giulio Prisco, nominato Rector
Orientis,mentre la linea difensiva in Mesopotamia/Osroene era riorganizzata attorno alle città/roccaforti di Nisibis,
Circesium e Resaina. Vi è da aggiungere che l'alterna fase dell'anarchia militare in cui per circa un cinquantennio
versò l'Impero romano, determinarono non pochi vantaggi a favore del nascente Impero sasanide, che non si
lasciò sfuggire l'occasione di sorprendenti rivincite, fino ad occupare la stessa Antiochia di Siria nel 252 e nel 260.
Poco dopo Filippo decise di muovere alla volta del Danubio, dove respinse un'incursione di Carpi. Egli fu
anche ricordato per aver celebrato, nel 248, i giochi e gli spettacoli per i mille anni della fondazione di Roma.
L'imperatore (paradossalmente un "non-romano") predispose che tale festività dovesse essere celebrata con
giochi grandiosi (lotte gladiatorie ed esibizioni di animali esotici) per dimostrare, ancora una volta, la forza e la
grandezza dell'Impero romano.
Nel 249 il generale Decio, che l'anno precedente aveva fermato l'invasione dei Carpi, venne proclamato
imperatore dalle armate pannonico-mesiche, si diresse in Italia, portando con sé buona parte delle truppe di
confine, e presso Verona riuscì a battere l'esercito di Filippo l'Arabo, che morì insieme a suo figlio. Ma l'aver
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sguarnito le difese dell'area balcanica permise, ancora una volta, a Goti e Carpi di riversarsi nelle province di
Dacia, Mesia inferiore e Tracia. Sembra infatti che i Goti, una volta passato il Danubio ghiacciato, si divisero in due
colonne di marcia. La prima orda si spinse in Tracia fino a Filippopoli (l'odierna Plovdiv), dove assediarono il
governatore Tito Giulio Prisco; la seconda, più numerosa (si parla di ben settantamila uomini) e comandata da
Cniva, si spinse in Mesia inferiore, fino sotto le mura di Novae.Decio avviò una feroce repressione verso i cristiani:
questo soprattutto per una politica di rafforzamento dell'autorità imperiale attraverso il culto dell'Imperatore,
collante fondamentale per un Impero che stava crollando.
Nel 250 Decio fu costretto a fare ritorno sulla frontiera del basso Danubio, per affrontare l'invasione
compiuta l'anno precedente dei Goti di Cniva. Si trattava di un'orda di dimensioni fino ad allora mai viste,
coordinata inoltre con i Carpi che assalirono la provincia di Dacia. Cniva, respinto da Treboniano Gallo presso
Novae, condusse le sue armate sotto le mura di Nicopoli. L'imperatore era deciso a sbarrare la strada del ritorno ai
Goti in Tracia e ad annientarli. Decio, però, subì una cocente sconfitta. La sconfitta inflitta a Decio fu tanto pesante
da impedire all'imperatore non solo la prosecuzione della campagna, ma soprattutto la possibilità di salvare
Filippopoli che, caduta in mano ai Goti, fu saccheggiata e data alle fiamme. Al principio del 251 la monetazione
imperiale celebrò una nuova "vittoria germanica", in seguito alla quale Erennio Etrusco fu proclamato augusto
insieme al padre Decio. Ma ancora i Goti, riuscirono a battere Decio, uccidendo persino l'imperatore ed il figlio
maggiore, Erennio Etrusco. Era la prima volta che un imperatore romano cadeva in battaglia contro un nemico
straniero. Rimase allora imperatore il figlio minore, Ostiliano, il quale fu a sua volta adottato dall'allora legato delle
due Mesie, Treboniano Gallo, a sua volta acclamato imperatore in quello stesso mese. Gallo, accorso sul luogo
della battaglia, concluse una pace poco favorevole con i Goti di Cniva: non solo permise loro di tenersi il bottino,
ma anche i prigionieri catturati a Filippopoli, molti dei quali di ricche famiglie nobili. Inoltre, furono loro garantiti
sussidi annui, dietro alla promessa di non rimettere più piede sul suolo romano.
Due anni più tardi, nel 253, una nuova ondata di Goti, Borani, Carpi ed Eruli portò distruzione fino a
Pessinunte ed Efeso via mare, e poi via terra fino ai territori della Cappadocia.E mentre Emiliano, allora
governatore della Mesia inferiore, era costretto a ripulire i territori romani a sud del Danubio dalle orde dei barbari,
scontrandosi vittoriosamente ancora una volta con il capo dei Goti, Cniva e ottenendo grazie a questi successi il
titolo di imperatore, ne approfittarono le armate dei Sasanidi di Sapore I, che provocarono un contemporaneo
sfondamento del fronte orientale, penetrando in Mesopotamia e Siria fino ad occupare la stessa Antiochia. Poco
più tardi, anche Gallo morì assassinato dal suo luogotenente Emiliano, in Mesia. Nel frattempo Valeriano
(governatore della Rezia), venuto a conoscenza della morte di Treboniano, si dichiarò imperatore e scese in Italia
contro Emiliano con l'esercito renano. Nel 253 gli eserciti di Valeriano ed Emiliano si scontrarono, ma i soldati di
Emiliano decisero di abbandonarlo e lo uccisero vicino non molto lontano da Spoleto o Narni.
È in queste circostanze che fu elevato alla porpora Valeriano (22 ottobre del 253). Il senato romano ratificò
la nomina ad imperatore delle truppe di Rezia. E così succedette ad Emiliano. Le continue invasioni a settentrione
ed in Oriente costrinsero il nuovo imperatore a spartire con il figlio Gallieno (253-268) l'amministrazione dello Stato
romano, affidando a quest'ultimo la parte occidentale e riservando per sé quella orientale, come in passato era già
avvenuto con Marco Aurelio e Lucio Vero (161-169).
Partito per il fronte orientale, riuscì a cacciare i Sasanidi dai territori imperiali, riconquistanto Antiochia che
era stata assediata e poi conquistata, per poi concentrarsi nella riorganizzazione dell'intero limes orientale negli
anni successivi. Dovette però disporre ogni possibile resistenza contro i Barbari da settentrione, attraverso i suoi
generali, quando dal 254 al 256 nuove incursioni di Goti devastarono buona parte dei territori di Tracia, Macedonia
e Ponto, generando il panico negli abitanti dell'Acaia, tanto da disporre di ricostruire le antiche mura di Atene e di
molte altre città del Peloponneso.Il punto più basso si raggiunse nel 260, quando Valeriano fu sconfitto in battaglia
e preso prigioniero dai Sasanidi, morendo in prigionia senza che fosse possibile intraprendere una spedizione
militare per liberarlo.
Come conseguenza di questa grave sconfitta l'impero subì una scissione in tre parti per quasi quindici anni,
che però ne permisero la sopravvivenza: ad Occidente l'Impero delle Gallie, retto dagli usurpatori come Postumo
(260-268), Leliano (268), Marco Aurelio Mario (268-269), Vittorino (269-271), Domiziano II (271) e Tetrico (271274); mentre ad Oriente il Regno di Palmira, dove si alternarono prima Settimio Odenato, nominato da Gallieno
corrector totius Orientis, dal 262, poi il figlio Vaballato insieme alla madre Zenobia fino al 272.
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Gli "imperatori delle Gallie" non solo formarono un proprio senato presso il loro maggiore centro di Augusta
Treverorum e attribuirono i classici titoli di console, pontefice massimo o tribuno della plebe ai loro magistrati nel
nome di Roma aeterna, ma assunsero anche la normale titolatura imperiale, coniando monete presso la zecca di
Lugdunum, aspirando all'unità con Roma e, cosa ben più importante, non pensando mai di marciare contro gli
imperatori cosiddetti "legittimi" (come Gallieno, Claudio il Gotico, Quintillo o Aureliano), che regnavano su Roma
(vale a dire coloro che governavano l'Italia, le province africane occidentali fino alla Tripolitania, le province
danubiane e dell'area balcaniche). Essi, al contrario, sentivano di dover difendere i confini renani ed il litorale
gallico dagli attacchi delle popolazioni germaniche di Franchi, Sassoni ed Alemanni. L'Imperium Galliarum risultò,
pertanto, una delle tre aree territoriali che permise di conservare a Roma la sua parte occidentale.
Gallieno, divenuto unico imperatore nella parte centrale dell'Impero, dovette chiedere aiuto in Oriente al
sovrano di Palmira, Settimio Odenato, lasciando a quest'ultimo una specie di sovranità sulla parte orientale
dell'Impero, attribuendogli il titolo di Dux Orientis, che ne causò la secessione alla morte dei due sovrani (nel 268).
In campo militare Gallieno affidò il comando delle legioni, non più all'ordine senatorio (legatus legionis), ma a
quello equestre (praefectus legionis). Gallieno morì assassinato nel 268 da ufficiali illirici.
Se da un lato l'impero romano sembra abbia attraversato, sotto Gallieno uno dei periodi più "bui" della sua
storia, questo imperatore rappresentò il punto di svolta nel tragico periodo della crisi del III secolo, che era seguito
alla dinastia dei Severi. Non è un caso che proprio Gallieno sia stato il primo a regnare per quindici anni (sette con
il padre ed otto da solo), cosa assai rara se si considera il primo periodo dell'anarchia militare (dal 235 al 253).
Era, infatti, dai tempi di Settimio Severo (193-211) che un Imperatore romano non regnava tanto a lungo.
Oggi la critica moderna sembra rivalutarne il suo operato, nel tentativo di salvare almeno il "cuore-centrale"
dell'Impero romano, creando quindi le basi per una riunificazione territoriale, avvenuta, poco dopo, con gli
imperatori illirici (268-282). Gallieno, infatti, pose le prime basi per un periodo di ripresa, riconquista e
restaurazione che sfociò nel periodo tetrarchico di Diocleziano (284-306).
Nel 268 fu imperatore di nuovo un militare: Claudio II detto il Gotico, proveniente dalle zone illiriche. Nelle
zone balcaniche si impegnò nell'arginare le incursioni gotiche. Morì a Sirmio a causa della peste che in quegli anni
imperversava in Illiria.
Nel 270 divenne imperatore Aureliano. Intanto i due regni di Gallia e Palmira erano passati rispettivamente
a Pio Tetrico e a Zenobia. Primo obiettivo di Aureliano fu la riconquista di Palmira, che avvenne tra il 271 e il 273.
Tornando in Occidente riconquisterà anche il regno gallico, riunificando l'Impero romano e guadagnandosi il titolo
di restitutor orbis. Gli succedette Marco Claudio Tacito, imperatore dal 275 al 276. Nel 276 divenne imperatore
Marco Annio Floriano, ma per pochissimo tempo. Di rilievo fu poi il suo successore Marco Aurelio Probo,
imperatore dal 276 al 282 che si fece notare per aver sconfitto ripetutamente i barbari sul Reno e il Danubio.
A Probo successe, infine, Marco Aurelio Caro imperatore dal 282 al 283, insieme ai figli Numeriano e
Carino. Numeriano fu imperatore dal 283 al 284. Riuscì a dare vita ad un brevissimo periodo di recupero
economico e culturale. Carino fu imperatore dal 284 al 285.
La crisi si arrestò solo con una serie di imperatori che provenivano dai ranghi militari delle province illiriche,
a partire da Claudio il Gotico, seguito da Aureliano, Marco Aurelio Probo e Marco Aurelio Caro, i quali riuscirono
nell'impresa di riunificare l'impero, respingendo i continui attacchi dei barbari lungo il fronte Reno-danubiano, fino
ad approdare alla riforma tetrarchica di Diocleziano nel 284, che permise la prosecuzione dell'impero romano
d'Occidente per altri due secoli e di oltre un millennio dell'impero romano d'Oriente (o Impero bizantino).
Il prezzo da pagare per la sopravvivenza dell'Impero fu però molto alto: l'abbandono dei cosiddetti Agri
decumates sotto Gallieno (attorno al 260),della provincia delle Tre Dacie (sotto Aureliano, nel 271 circa),oltre alla
perdita seppure temporanea della provincia di Mesopotamia, rioccupata solo con Galerio verso la fine del III
secolo.
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