Luca Tazzesi - Parsifal Il Parsifal è la più discussa delle opere wagneriane, a cominciare dalla presenza in essa di indizi che rimandano, a detta di diversi studiosi, al cerimoniale massonico. Certo, esiste un illustre precedente in tal senso, costituito dal Mozart di Die Zauberflöte ("II flauto magico"); tuttavia noi sappiamo che Wagner, a differenza di Mozart, poté disporre solo di testimonianze indirette e teoriche: nel 1872, infatti, il musicista aveva chiesto di entrare a far parte della loggia massonica Eleusis, ma la sua richiesta venne quasi subito respinta. Non sembrano peraltro esservi dubbi sul fatto che il Parsifal è un'opera ermetica, per iniziati, il cui significato esoterico riguarda la ricerca del Santo Graal. Purtroppo, dato che noi non sappiamo assolutamente che cosa fosse il Santo Graal (al di là della versione "per profani" che lo identifica con la coppa dell'Ultima Cena), il problema della decifrazione del significato nascosto dell'opera resta intatto. II potere immenso del "Graal" (qualunque cosa fosse) secondo la leggenda può dominare tutto, perfino il concetto fisico del tempo. In sua presenza le leggi della materia vengono profondamente mutate, sublimate (secondo una visione cara agli alchimisti) in una dimensione più alta, il cui accesso è garantito solo a pochi iniziati. Tale sublimazione della materia, nella prospettiva alchemica, si attua attraverso le tre fasi della Grande Opera: Nigredo (Opera al Nero), Albedo (Opera al Bianco) e Rubedo (Opera al Rosso), il cui scopo è ottenere la cosiddetta Pietra Filosofale, che, ben lungi dall'essere qualcosa di materiale, in grado di trasformare i metalli vili in oro, sembra simboleggiasse il raggiungimento di una condizione di perfezione tale da trascendere le leggi della materia, per ottenere quindi l'immortalità: precisamente lo stesso effetto che, secondo la leggenda, sarebbe in grado di produrre il Santo Graal, che quindi finirebbe per essere una sorta di sinonimo della Pietra Filosofale. Tutto questo riposa su una saggezza ancestrale proveniente quasi certamente dall'antico Egitto, tramandataci attraverso il Corpus Hermeticum, attribuito ad Hermes Trismegisto (cioè il dio Thoth "tre volte grandissimo"), composto da 17 trattati. Nel 1460 Cosimo de' Medici riuscì a procurarsi la copia originale appartenuta a Michele Psello ed ordinò a Marsilio Ficino di tradurre il Corpus. Esistono tuttavia molti altri trattati ermetici che non fanno parte del Corpus: col passare del tempo, infatti, prese corpo una raccolta di testi e riferimenti a opere note agli eruditi, scritti in varie epoche. L’Asclepius tra tutti - è considerato quello di maggiore rilevanza, tanto da venire considerato una sua appendice. Esso fu aggiunto alla raccolta di scritti di Apuleio, in quanto si riteneva che Apuleio ne fosse il traduttore o addirittura l'autore. Il Corpus viene generalmente diviso in due parti: Pimander o Poimandres è la parte tradotta nel 1463 da Marsilio Ficino, di gran lunga la più importante: consta di quattordici trattati e riguarda la creazione. Il Poimandres è una sorta di cammino iniziatico attraverso il quale il fedele viene condotto dalla materia alla comprensione del nous ed alla rinascita in Dio, mediante l'insegnamento del suo messaggero Hermes Trismegisto. Anche la leggenda del Graal ha un analogo significato esoterico: segna infatti il passaggio dalla volontà della materia, espressa nella tetralogia wagneriana L'anello del Nibelungo (costituito dai drammi L'oro del Reno, La Valchiria, Sigfrido, Il crepuscolo degli dei), a quella dello spirito, presente appunto nel Parsifal. La leggenda del Graal è legata per la prima volta alla figura di Gesù nel testo "Joseph d'Arimathie Le Roman de l'Estoire du Graal" del 1202, di Robert de Boron, in cui Giuseppe di Arimatea affida la coppa dell'Ultima Cena ad un guardiano soprannominato Re Pescatore o Re Ferito o Re Magagnato, caratterizzato in modi molto diversi dai vari autori, concordi su un unico dettaglio: ha una menomazione alle gambe o ai genitali e ha difficoltà a muoversi. La menomazione del re si ripercuote sul suo regno, che si trasforma in un luogo deserto e devastato, la "Terra Desolata", la "Terre Gaste" (ovvero la Waste Land del celebre poemetto di T.S. Eliot). Per annullare la maledizione è necessario ritrovare il Santo Graal, ma solo "il Cavaliere più virtuoso del mondo" è destinato a ciò: questi è proprio Parsifal, il "puro folle", la cui purezza d'animo confina con l'estrema semplicità di spirito. Ispirato da sogni e presagi e superando una serie di prove tremende, Parsifal rintraccia Corbenic, il Castello del Santo Graal, e giunge al cospetto della Sacra Coppa. Fallisce però la prova alla quale viene sottoposto, e solo dopo molti anni egli (o, secondo altre tradizioni, Galaad, figlio di Lancillotto) riuscirà finalmente a ritrovare il Graal e a porre fine alla maledizione. Ma quale fu la reazione del mondo culturale e filosofico coevo alla comparsa del Parsifal? Nessun'altra opera del periodo suscitò maggiori polemiche e giudizi più contrastanti, a cominciare dalla stroncatura senza riserve di Nietzsche. Che cosa, in quest'opera, poté urtare Nietzsche fino al punto da indurlo ad una drammatica rottura con il suo grande amico Wagner? Il fatto che Wagner, partito dal Walhalla, l'Olimpo degli dei nordici, fosse arrivato ad «inginocchiarsi di fronte alla Croce», per usare l'espressione di Nietzsche stesso, che aveva sperato di vedere nel compositore tedesco il vendicatore di Dioniso, il simbolo stesso dell'arte tragica greca. Fu Gabriele d'Annunzio a prendere appassionatamente le difese di Wagner, del quale era sempre stato un grande estimatore: e questo nonostante la dichiarata adesione di D'Annunzio alla filosofia nietzscheana. D'Annunzio difende il pregio della modernità di Wagner come una condizione tipica della decadenza, che riflette ciò che l'artista e l'uomo contemporaneo sono, in piena accettazione delle contraddizioni che ciò può comportare. Paradossalmente è proprio nel Fuoco, il romanzo in cui D'Annunzio rinnega lo spirito musicale germanico in favore di una ritrovata italianità, che leggiamo il più appassionato elogio del Parsifal. Hitler comprese la natura esoterica del messaggio del Parsifal molto meglio di Nietzsche, pur distorcendone il significato: «ciò che vi è celebrato non è la religione della compassione del cristiano Schopenhauer, ma il puro e nobile sangue, la cui purezza deve essere protetta ad ogni costo dalla confraternita di tutti gli iniziati», affermò il Führer. Non a caso, negli anni immediatamente antecedenti al conflitto, Hitler promosse alcune esplorazioni in Tibet allo scopo di rintracciare il Santo Graal e di identificare la mitica Agarthi, la straordinaria civiltà sotterranea che, secondo le teorie della "Società di Thule", avrebbe avuto sede nelle viscere della terra, patria dei "Superiori sconosciuti" da cui Hitler affermava di ricevere ordini. Al di là di queste forzature, l'interpretazione di Hitler ha il pregio di testimoniare le molteplici chiavi di approccio e la straordinaria profondità intellettuale e spirituale del Parsifal, un'opera che ha pochi paragoni possibili in tutta la storia della musica.