CSEAAM
CENTRO STUDI DI EDUCAZIONE AMBIENTALE
PER L’AREA MEDITERRANEA
BOSCO GIARDINO
ESPERIENZE DI EDUCAZIONE AMBIENTALE
TRA SCUOLA, CAMPAGNA E LABORATORIO
Osservazione, elaborazione e archiviazione
Distretto Scolastico 35 - Mirano (VE)
" Un bosco per tutti coloro che hanno
occhi per vedere e orecchie per sentire,
naso per odorare e mani per toccare,
bocca per gustare e mente per capire,
dà poche certezze
sulle proprie conoscenze
ma apre all’esperienza dei sensi
e alla curiosità della scoperta
dei propri limiti.
Forse, se ci chiedessimo più spesso
il perché delle cose e degli eventi,
saremmo in grado di risolvere
attraverso le idee formulate, i quesiti,
ché qualsiasi cosa
può essere l’esca per qualcosa d’altro.”
(Pensieri rimasti in mente. 1966)
CSEAAM - Centro Studi di Educazione Ambientale per l'Area Mediterranea
Testi e ideazione: Giuseppe Spinelli
Disegni: Elena Campanini, Luigi Muggiasca, Nunzia Schiariti, Rosy Catalano
Revisore bozze: Elisabetta Spinelli
Consulente: Antonio Todaro
Grafica: Leda Psallidi - Coordinamento tecnico della versione digitale: Alessandro Signori
Distretto scolastico n° 35 - Mirano
Presidente: Tiziana Poggioli
Coadiuvatori: Stefano Antonini, Umberto Tronchin
Collaborazione scientifica: Vallì Fonfon
Il Presente contributo, dal titolo originale “Classificare e ordinare le piante”, é stato elaborato dal CSEAAM per il corso di
aggiornamento "Percorsi di educazione ambientale" organizzato nel 1996 dal Distretto scolastico n° 35 di Mirano (VE).
Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e delle convenzioni internazionali. Nessuna parte di questa pubblicazione
può essere riprodotta o duplicata con sistemi elettronici o meccanici. E' consentito l'uso per fini didattici, indicandone la fonte.
© CSEAAM 2000.
SOMMARIO
Presentazione. A. Todaro
p.
1. Classificazione e determinazione
1.1. Cenni propedeutici
1.2. Breve storia della classificazione
1.3. Categorie tassonomiche e nomenclatura
1.4. La chiave dicotomica
p. 7
p. 9
p. 11
p. 16
p. 23
2. Nel mondo delle piante legnose
2.1. Alberi e arbusti
2.2. Riconoscere la morfologia
2.3. Odori e colori
2.4. Adattamenti ed ecologia
2.4.1. Fattori abiotici
2.4.2. Fattori biotici
2.4.3. Forme biologiche
2.5. Genesi
p.
p.
p.
p.
p;
3. Dalla teoria alla pratica per un progetto di educazione ambientale
3.1. La scoperta dell’avventura
3.2. L’ambiente bosco
3.3. Obiettivi e contenuti dell’educazione ambientale
3.4. Organizzare un programma di lavoro
3.5. Il percorso proposto
3.6. Il materiale da distribuire
p.
p.
p.
p.
p.
p.
p.
4. Il piacere della scoperta
4.1. Considerazioni generali
4.2. Il luogo
4.3. Attività di organizzazione delle idee
4.4. L’uscita sul campo
4.5. La restituzione in laboratorio
p; 97
p. 99
p. 100
p. 102
p. 106
p. 116
Conclusioni
p. 133
Bibliografia
p. 135
Allegati:
5
33
35
39
63
65
p. 73
81
83
84
85
86
91
93
a1 - Organizzazione del lavoro elaborato dalla S.M.I. “Matteotti” di Maerne p. 139
a2 - L’albero e il bosco, una storia che ci riguarda da vicino
p. 143
Rubrica fogliario/chiave dicotomica
PRESENTAZIONE
I
l presente lavoro apre il sipario sul palcoscenico di un sito di Mirano ove viene data voce protagonista alla
Botanica. E’ un palcoscenico popolato da una serie di quinte ove teoria e sperimentazione, principi generali e
sollecitazioni didattiche, specificatamente mirate e strettamente connesse al territorio, si alternano offrendosi
all’insegnante sullo sfondo di un copione legato al tema dell’ambiente.
L’ambiente é una delle tematiche verso cui si va sempre più aprendo la nostra scuola. Basta dare un’occhiata
alle riviste di didattica che ne propongono sempre più insistentemente esempi di programmazione educativa e
istruttiva. Ma quale ambiente?, visto che le caratteristiche e le potenzialità sono molto articolate e complesse.
Il Prof. Spinelli qui cerca di riannodare i fili verdi che interessano una didattica ambientalista rivolta al mondo
delle piante. Lo fa analizzando specifici contenuti delle discipline coinvolte, proponendo e sollecitando operosità
anche ludiche in modo da consentire ai partecipanti alle attività di individuare alcuni percorsi culturali che consentano, al termine delle varie proposte, di acquisire una visione unitaria del paesaggio e del territorio locale.
Per riannodare alcuni dei tanti “fili” culturali, che sono sottesi all’ambiente locale, egli sollecita prima ad
individuarli, sollevarli ed analizzarli singolarmente. In altre parole, smontarli per ricercare e capire la loro valenza
culturale. Successivamente, intrecciarli all’interno di un telaio pedagogico calandoli nella realtà locale.
Nel concretizzare questo percorso, sostenuto da un’ipotesi metodologica e didattica, si rende evidente la straordinaria complessità di una didattica che deriva da un modo di procedere sistemico, diventando d’obbligo da quando si parla d’ambiente, e che é in grado di assicurare l’intera forza cognitiva e creativa.
In quest’ottica, la didattica, proposta dal prof. Giuseppe Spinelli, diviene la sede di un incontro tra le idee e i
comportamenti degli alunni, la professionale competenza dei docenti e la peculiarità dell’offerta culturale.
Nel presentare il lavoro di questo appassionato educatore e, da tempo, sensibile divulgatore delle tematiche
ambientali, viene da chiedersi quanta fiducia egli debba avere nelle potenzialità dell’educazione ambientale se
ritiene utile offrire al docente della attuale scuola italiana un insieme di qualificati strumenti didattici. È certo che
questi ,se opportunamente utilizzati, possono contribuire alla conoscenza e salvezza dell’ambiente, nella certezza
che una corretta cultura ambientale costituisce la matrice indispensabile per una politica di autentica crescita
civile e morale della nostra società.
Di certo gli studenti potranno compiere osservazioni ed esperienze di prima mano su cui riflettere, riorganizzare i contenuti acquisiti procedendo con particolare correttezza metodologica. E procedendo in questo itinerario
culturale, la nostra scuola potrà finalmente permettersi di convertirsi in un sistema educativo aperto in grado di
instaurare con l’extrascuola una relazione di complementarietà e di interdipendenza, assicurando cultura per
tutti i dodici mesi dell’anno, in quel particolare laboratorio della mente che dovrebbe essere in tutte le nostre aule.
Antonio Todaro
5
1. CLASSIFICAZIONE E DETERMINAZIONE
"Allora il Signore Iddio ... li condusse all'uomo per vedere come li avrebbe
chiamati; in qualunque modo l'uomo avesse chiamati gli esseri viventi, quello doveva
essere il loro nome. E così l'uomo impose dei nomi a tutto il bestiame,a tutti
gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche..."
(Genesi, II-19,20).
“...L’inganno e l’errore risiedono in ciò che il nostro giudizio aggiunge a quanto
attende di essere confermato o di non essere smentito.”
(Epicuro, 341-271 a.C.)
“Il primo tentativo di capire quello che si vede consiste nell’inquadrare l’esperienza in
un sistema categoriale precedente.”
(U. Eco, 1997)
1.1. CENNI PROPEDEUTICI
Gli esseri viventi sul nostro pianeta, all’interno della biosfera, hanno la caratteristica comune di essere in grado di accrescersi, riprodursi, reagire alle sollecitazioni
esterne, comunicare, consumare energia, autoregolarsi e mutare nel tempo. Grazie a
queste capacità, dai più elementari organismi si è arrivati, dopo 3,5 miliardi di anni,
all’attuale varietà di forme viventi: circa 2,4 milioni di specie conosciute e, probabilmente, altrettante di sconosciute (e/o scomparse). (1)
Tutti gli esseri viventi consumano energia per contrastare la tendenza ad
aumentare la loro entropia (cioè la diminuzione dell'ordine). (tav.1.) I continui
necessari apporti di energia vengono fondamentalmente acquisiti utilizzando direttamente l'energia solare, utilizzando energia chimica libera, oppure utilizzando altri
organismi viventi o non più viventi. (2) Ovvero abbiamo esseri autotrofi ed esseri
eterotrofi. Genericamente parlando diciamo che i primi sono piante e i secondi animali. (3) Come si può vedere abbiamo iniziato a specificare “nomi” per chiarirci le
idee e poterle trasmettere in modo che ogni “addetto” le comprenda. In definitiva
tutti rispondono all'istintivo bisogno dell'uomo di dare un nome alle cose quasi a
voler esorcizzare o acquisirne il possesso, senza contare la praticità della comunicazione verbale rispetto a quella gestuale per indicare oltre i concetti, anche di “cosa”
si tratti. La trasformazione in comunicazione scritta é un passo successivo per fermare nel tempo concetti e situazioni. Prima le pitture, i pittogrammi e gli ideogrammi (che derivano dai segni gestuali) che indicano concetti; infine le lettere che esprimono suoni per indicare parole con un loro preciso significato.
Il lavoro di crescita culturale continua nell’organizzare le parole per risolvere
quesiti dopo esserseli posti. Spesso la risposta presuppone una ricerca a cui collaborano più specialisti. Nel caso specifico chi ha preparato lo schema che qui si propone (tav.2.) può essere considerato un “tassonomo”, chi incasella gli esseri viventi
utilizzando le regole tassonomiche é un “sistematico”, chi predispone una guida
per riconoscere ogni essere conosciuto fino a quel momento é un “classificatore” e
chi usa tale guida per individuare le varie specie conosciute è un “determinatore”.
Si può capire come possa essere importante per tutti una cultura di base (risultante
dalle interrelazioni tra scienze della natura e scienze umane) per comprendere il
mosaico entro il quale agisce la propria specializzazione.
D’altro canto se la curiosità innata va sostenuta, va sollecitato anche ogni atteggiamento di rispetto verso il mondo a cui abbiamo dato un nome e che con noi vive
e si trasforma nel tempo. Si tratta di amministrare i processi vitali di GEA, la terra,
con un uso (e non uso) attento delle sue molte risorse (conservazione).
9
Dal greco
βιος = che vive
e σφαιρα = palla
Dal greco
ετερος = altro,
αυτος = stesso
e τροφος = che si nutre di.
Dal latino
animal = essere vivente
e planta = virgulto.
Energia radiante
CO2+H2O
Energia termica
(da Spinelli, 1989)
Energia muscolare
FOTOSINTESI
Sostanze organiche +O2
RESPIRAZIONE
Energia chimica
Tavola 1. Fotosintesi e respirazione.
Il continuo apporto di energia (diretta sotto forma di luce e indiretta sotto forma di materia) richiesto dagli esseri viventi é
necessario per costruire nuove strutture, sostituire quelle consumate ed eseguire il lavoro biologico.
La materia é ricavata direttamente dall’ambiente (sia dal substrato chimico-fisico sia da altri esseri viventi) e l’energia viene
resa disponibile attraverso la fotosintesi e due processi che avvengono all’interno delle cellule: la respirazione anaerobica e la
respirazione aerobica. Sono questi gli stimoli biochimici che mettono in atto il meccanismo definito “la vita”. Ogni processo si
realizza mediante una serie di reazioni strettamente legate le une alle altre. Le piante (nella loro quasi totalità) sono in grado di
fabbricare autonomamente i propri materiali nutritivi attraverso un processo chimico noto come fotosintesi; esse sono considerate gli organismi produttori di materiali nutritivi per tutti gli altri organismi che vivono sulla terra (animali, funghi, molti
protoctisti e molti batteri) i quali devono procurasi il cibo adottando altre strategie.
L’invenzione della fotosintesi ha consentito di utilizzare una fonte di energia illimitata come é l’energia solare. Con questa
energia (642 kcal.) si innesca una successione di reazioni chimiche che si conclude con la costruzione degli zuccheri
(CnH2nOn), sostanze altamente energetiche, a partire da sostanze molto semplici: acqua (H2O) e anidride carbonica (CO2)
con un rilascio, intuibile, di ossigeno (O2).
La conservazione passa attraverso affettività, sensibilità, percezione, conoscenza
e partecipazione. E’ dunque un fatto culturale e la cultura può riappropriarsi di
questa attenzione attraverso un’educazione che faccia emergere se stessi (conosci te
stesso) e formi altresì ai mutui rapporti impostati sui valori considerati tali da tutti i
popoli. Così, attraverso la percezione, lo studio successivo dell’ambiente e l’introspezione si avvia un’educazione ambientale. Permanente, se si crede, come é inevitabile che sia.
Fonte di carbonio
Fonte di energia
Luce solare
Composti chimici
Fotoautotrofi
Chemioautotrofi
Fotoeterotrofi
Chemioeterotrofi
CO2
Sostanze
organiche
Tavola 2. Suddivisione degli organismi viventi in base al modo in cui si approvvigionano di energia.
10
1.2. BREVE STORIA DELLA CLASSIFICAZIONE.
Il primo serio studioso di botanica fu TEOFRASTO di ERESO (371-285 a.C.) del quale
abbiamo due trattati che evidenziano, tra l’altro, il ruolo delle foglie come organi di
nutrizione e un criterio di classificazione delle piante in base al loro portamento.
C’é chi afferma che designò ogni pianta con un nome binomiale, di certo si sa che
tentò di organizzare le piante in categorie omogenee. D'altro canto sull'asserto del
suo maestro ARISTOTELE (384-322 a.C.) che affermava "una cosa possiede o non possiede una determinata proprietà", sono basate le attuali chiavi analitiche per la
determinazione delle specie. (4)
Il pensiero aristotelico permeò il mondo romano e dominò fino al Rinascimento
quando lo studio della flora inizia ad evolversi, secondo un moderno metodo scientifico, nelle diverse “scuole botaniche” degli stati italiani. (5) Per tutto il Medioevo,
invece, la scienza languì e si sviluppò la tendenza a rappresentare le piante in erbari
figurati, spesso fantasiosamente, e a raccogliere le piante utili in “orti dei semplici”.
Medioevale é il trattato del salernitano M.PLATEARIO (XII sec.) “Liber de simplici medicina” che probabilmente abbinava al testo anche una iconografia, come sarà evidente nel “Tractatus de herbis” del senese B. MINI (XIV sec.) che ne ha ampliato e rimaneggiato l’opera. Per rimanere nel territorio della Repubblica di S.Marco, a Padova
e a Venezia operano il S AVONAROLA (1384-1461), il M ICHIEL (1510-1576),
l'ANGUILLARA (1512-1570) e a Verona il CALZOLARI (1521-1600). (6) Tra gli autori citati non va dimenticato il CESALPINO (1519-1603) che fu il primo che affrontò il problema di dare un nome alle piante utilizzando le differenze riscontrate negli organi
della fruttificazione. Egli ha anche il merito di aver iniziato a sostituire gli erbari
figurati (collezioni di disegni raffiguranti le piante) (tav. 3.) con erbari di essiccata
(collezioni di piante secche poste su fogli di carta) (tav. 4.) ed aver evidenziato il
legame esistente tra forme e funzioni.
Come si può intuire i secoli XV-XVI furono un periodo di grande attività
durante i quali si costituiscono anche i primi orti botanici universitari. (7) E’ il
periodo delle grandi scoperte geografiche e l’esigenza della precisione nello studio delle piante rimette in moto un rinnovato interesse. (8) L’ampliamento e l’approfondimento delle conoscenze scientifiche, connesso al metodo sperimentale
di indagine proposto da G ALILEO (1564-1642), inizia ora a stimolare una più
attenta osservazione del reale. Ma dal 1600 la scuola botanica italiana, così ben
avviata, arresta il suo percorso a tutto vantaggio di altri paesi europei. Il processo, con la condanna di Galileo e "della pretesa che l'intelletto umano potesse scoprire i segreti del mondo senza rivelazione divina", come sottolineava POPPER
(1902-1994) nel 1969, si ferma momentaneamente specie negli Stati legati al potere della Chiesa. Riprende solo dopo la seconda metà del secolo XVIII con l'illuminismo e l'influsso della cultura centroeuropea. La scoperta di nuovi mondi,
intanto, aveva ampliato enormemente gli orizzonti geografici e il numero di
piante da catalogare, facendo diventare pressante l'esigenza di individuare criteri
guida per una nuova classificazione funzionale che permettesse di assegnare loro
un nome. Infatti le piante vengono ancora spesso individuate attraverso un nome
cui subito segue una descrizione in latino che sottolinea le loro caratteristiche
principali (polinomio o nome-frase). (9)
E’ LINNEO (Carl von Linné)(1707-1778) che elencò e descrisse le varie parti di ciascun essere vivente secondo un ordine rigorosamente fisso, con una uniformità di
criteri. Nella sua opera "Philosophia botanica” (1751) propose di utilizzare gli organi
riproduttivi vegetali come criterio guida per la classificazione delle piante.
11
Dal greco βοτανικη
che deriva da
βοτανη = erba.
(da Platearius, in Malandin 1990)
Disegno del Platearius
(da Sacheverell Sitwell, 1990)
(da Pirola in Stagi, Leonardi, 1982)
Disegno medioevale
Incisione del Brunfels
Incisione del Robert
Tavola 3. Riproduzioni botaniche a confronto.
I disegni medioevali sono spesso fantasiosi e denotano come il disegnatore non conoscesse la pianta e la disegnasse sulla base di
descrizioni; con la stessa iconografia si illustravano anche specie affini ma diverse (vedi nello stesso testo il disegno di Acoro
identico a quello di Iris). Altri disegni dello stesso periodo sono più precisi anche se molti artisti disegneranno osservando degli
essiccata che non permettono di comprendere la tridimensionalità presente in natura. Qui sono riprodotti dello stesso genere
Helleborus un disegno medioevale presente nel libro del Platearius (XII SEC.) stampato nel 1488, una incisione rinascimentale in legno del Brunfels stampata nel 1530 e infine una incisione di Nicholas Robert pubblicata nel 1701.
12
(da Curti, 1993)
Tavola 4. Foglio di un erbario settecentesco conservato nella Biblioteca dell’Orto dell’Università di Padova.
Si tratta di un erbario con essiccata (datato 1730) preparato dal monaco “Fra Giorgio da Venezia”che operò a Verona dove
“Fra Fortunato da Rovigo” e “Fra Petronio da Verona” avevano intrapreso la preparazione di una collezione di essiccata per i
monaci a scopo pratico e di studio, raccolta in otto volumi (più un volume di indici). Le specie rappresentate nella pagina 69
sono: Filipendula vulgaris Moench e Laburnum anagyroides Med.
(da Spinelli, 1989)
Artemisia follis incanis pinnatis,
pinnis primis bilobatis,
pinnulis incisis lanceolatis,
floribus pendulis.
HALLER
Prima
1753
Artemisia absinthium
Dopo
LINNEO
Tavola 5. Semplicità della denominazione binomiale.
Quando vengono descritte nuove specie ancora oggi se ne fa una precisa descrizione in latino (diagnosi) con indicazioni di
dove verrà conservato il campione della nuova specie (olotipo). Il Genere e la specie sono quelli proposti dal botanico che ne ha
prodotto la prima diagnosi o ha istituito quel Genere.
Secondo tale criterio egli le divise in due grandi gruppi: crittogame, le piante i cui
organi riproduttori non sono visibili, e fanerogame, le piante con organi riproduttori
ben evidenti. Linneo inoltre perfezionò e introdusse, sulla falsariga di precedenti
tentativi, per esempio dei fratelli svizzeri JEAN (1541-1673) e GASPARD BAUHIN (15601624) che insegnarono a Montpellier all'inizio del XVII secolo, due soli nomi latini
(nomenclatura binomiale) invece di una lunga descrizione per individuare la pianta
(nomenclatura polinomiale). (tav. 5.) (10)
Linneo indicò così, nel suo trattato "Species plantarum" pubblicato nel 1753, la
13
Dal greco
κρυπτος = nascosto,
φανερος = evidente
e γαµος = nozze
chiave di lettura della classificazione e la gerarchizzazione da lui proposta: generi
che definivano il gruppo di appartenenza e specie, all'interno di quel genere, per
definirne gli individui. (11)
Il nome scientifico di un organismo vivente é così dato da un nome generico e
da un nome specifico, uso che tutt'ora permane. La denominazione binomiale permette la precisa identificazione della pianta cosa che non avveniva con i “nomi volgari” che spesso definiscono con lo stesso nome piante differenti (omonimia). Il
nome generico é tipico di quel gruppo, mentre il nome specifico può essere attribuito a diverse piante come ad esempio “officinalis”: Rosmarinus officinalis, Lavandula
officinalis. Come lingua veicolare si utilizzò ancora il latino, la lingua “dotta” del
tempo. Va ricordato che Linneo non fu un botanico in senso stretto ma un biologo
appassionato.
Anche in Italia (ma il vecchio sistema polinomiale persisterà ancora) ALLIONI
(1725-1804) indica per primo alcune specie con il loro "binomio" linneano. E’ sua
l’opera in tre volumi con 92 tavole dei fratelli Peiroleri “Flora pedemontana sive enumeratio methodica stirpium indigenarum pedemontii” del 1785. Il fatto di potersi ricordare facilmente, senza confusioni e ambiguità le specie vegetali che in italiano
hanno spesso lo stesso nome pur appartenendo a specie vegetali differenti e di
comunicare con tutto il mondo per scopi scientifici, indusse a descrivere e ordinare
le piante secondo le nuove proposte.
Ai sistemi soggettivi “artificiali” di classificazione si cercò di opporre un sistema
che tenesse conto delle reali affinità tra le piante. Nascono le basi per un ”sistema
naturale” che tende ad individuare ed evidenziare i caratteri da confrontare. E’ J.
RAY (1628-1708) il precursore di tale nuovo indirizzo a cui segue M. ADANSON (17271805) che si basa sulla forma degli organi delle piante per giungere alla loro classificazione.
Intanto si andava sviluppando la teoria evoluzionistica che permise di spiegare
le minori o maggiori affinità tra le specie. C. DARWIN (1809-1882), che pubblica
"L'origine delle specie" nel 1859, ha il pregio di presentare la sua teoria evoluzionistica supportata da una precisa documentazione e di spiegare con la “selezione naturale” la teoria della trasformazione nel tempo e nello spazio degli esseri viventi.
Egli introduce il concetto di sistema naturale di classificazione per cui le specie affini sono quelle che hanno il grado di parentela più forte rispetto a quelle meno affini. (12)
Nasce la classificazione filogenetica, una classificazione in cui gli organismi
sono raggruppati in funzione della loro origine evolutiva comune e non solo sulla
base di somiglianze e affinità generali. (13)
De CANDOLLE (1778-1841) e altri autori elaboreranno sistemi formali fino a giungere ai sistemi tassonomici che terranno conto dei livelli di organizzazione come nel
sistema di A. ENGLER (1844-1930). (tav.6.)
Engler pone le basi della moderna sistematica per giungere alla "New systematics", così definita nel 1940 da J.S.HUXLEY (1887-1975). La nuova sistematica fu fondata da D OBZANSKY (1900-1975) un genetista, da G.G.S IMPSON (1902-1991) un
paleontologo e da E.MAYR (1904-1987) un ornitologo, come risultato della fusione
della sistematica biologica con la genetica delle popolazioni. (14)
Le affinità esistenti tra gli organismi viventi sono interpretate in termini filogenetici e oggi la distinzione può essere fatta su caratteri "primitivi" o "evoluti" confrontando la specie oggetto di studio con le forme ancestrali. La ricerca delle relazioni di omologia tra strutture costituisce il fondamento degli studi filogenetici
(ovvero delle sequenze evolutive). Già W. von GOETHE (1749-1832) suggerì che
potesse essere possibile una omologia nelle forme delle foglie (sepali, petali, squa-
14
(da Minelli, 1991)
Tavola 6. Albero genealogico degli esseri viventi.
L’albero genealogico (filogenetico) degli esseri viventi qui riprodotto é stato disegnato nel 1866 dallo zoologo tedesco E.
Haeckel.
15
Tavola 7. Omeosi.
E’ presentato il disegno di Goethe a illustrazione dei risultati dei suoi studi sulle forme fogliari del garofano. Egli, per primo,
ipotizzò una loro graduale metamorfosi. Oggi é confermato che i nomofilli, i petali e i sepali prendono tutti origine dai primordi fogliari equivalenti presenti sui primordi del germoglio. Sono pertanto definite strutture omologhe. Omeosi (dal greco
οµοιωσις che significa somiglianza) é il termine che indica il trasferimento di forme e funzioni fra organi diversi.
me, normofilli) in quanto hanno la stessa origine e la stessa sequenza di sviluppo.
(15) (tav.7)
Il problema é riconoscere i caratteri primitivi da quelli evoluti sfuggendo alla
logica che 'semplicità' sia sinonimo di "primitività". Infatti basterebbe pensare alle
monocotiledoni che sono oggi considerate le piante più evolute ma posseggono
prevalentemente un'impollinazione anemofila, ovvero una condizione più primitiva rispetto all'impollinazione entomofila (se ne può dedurre che per le piante risultava essere più vantaggioso sfruttare il vento come vettore per il polline). In realtà i
rapporti filogenetici tra i vari gruppi di organismi sono poco conosciuti e non sono
definiti con precisione (o con certezza).
I diversi studiosi interpretano pertanto in modo diverso i dati rilevati (pochi
sono i fossili di piante da cui trarre significative informazioni e ridotte sono le
conoscenze su altri caratteri quali quelli chimici o quelli fisiologici, per cui ci si
basa prevalentemente sull'analisi delle strutture vegetali attuali). (16) Conseguentemente le classificazioni filogenetiche possono essere diverse da autore ad
autore. (17) (tav.8.)
Non v’é, infatti, concordanza tra i botanici soprattutto sulla suddivisione e definizione delle famiglie e degli ordini da attribuire alle classi delle angiosperme. In
realtà anche le divisioni delle gimnosperme sono contraddittorie. Ma poiché la
maggior parte dei tassonomisti segue le linee della teoria evolutiva, da uno studio
delle analogie e somiglianze tra organismi spesso nascono le ipotesi evolutive
seguite per individuare la casella a cui assegnare un determinato essere vivente.
(tav. 9.)
1.3. CATEGORIE TASSONOMICHE E NOMENCLATURA.
Dal greco
ταξις = ordine,
ordinamento
e νοµιος = modo di
distribuire ordinatamente.
Dal latino
classis = categorie da
suddividere.
Nel momento in cui si descrive, si dà un nome e si ordinano le diverse specie di
viventi organizzandole secondo una certa logica, ci si occupa di tassonomia.
La tassonomia dà un nome agli organismi viventi in funzione delle loro relazioni di parentela seguendo un palinsesto di classificazione naturale che ricostruisce la storia dell’evoluzione. Viene assegnato così il tassello di riferimento nel
mosaico della biosfera. L'insieme delle conoscenze e dei criteri, che permettono
di individuare affinità e differenze degli esseri viventi, secondo uno schema che
16
Regno
Divisione
Classe
Ordine
Famiglia
Genere
Specie
autore
PLANTAE
Angiospermae
Dicotyledones
Rosales
Leguminosae
Robinia
pseudoacacia
L.
Regno
Divisione
PLANTAE
Magnoliophytina
(Angiospermae)
Magnoliatae
(Dicotyledones)
Fabales
Fabaceae
Robinia
pseudoacacia
L.
Classe
Ordine
Famiglia
Genere
Specie
autore
Regno
Divisione
Genere
Specie
autore
PLANTAE
Spermaphyta
(Phanerogamae)
Angiospermae
Dicotyledones
Fabales
Fabaceae
(Papilionaceae)
Robinia
pseudoacacia
L.
Regno
Divisione
Classe
VEGETALIA
Angiospermae
Dicotyledones
Ordine
Rosales
Famiglia
Genere
Specie
autore
Leguminosae
Robinia
pseudoacacia
L.
Sottodivisione
Classe
Ordine
Famiglia
Regno
Divisione
Sottodivisione
Classe
Ordine
Famiglia
Genere
Specie
autore
VEGETALIA
Magnoliophyta
(Anthophyta)
Magnoliophytina
(Angiospermae)
Magnoliopsida
(Dicotyledonopsida)
Fabales
Fabaceae
Robinia
pseudoacacia
L.
Gymnospermae
Coniferales
Taxodiaceae
Sequoia
sempervirens
Endl.
(in Fenaroli-Gambi, 1976, secondo Engler)
Conipherophytina
(Gymnospermae)
Pinatae
Pinales
Taxodiaceae
Sequoia
sempervirens
Endl.
(in Fitschen, 1977, secondo Takhtajan)
Gymnospermae
Coniferopsida
Pinales
Taxodiaceae
Sequoia
sempervirens
(Lamb.) Endl.
(in Rameau, Mansion, Dumé, 1989, secondo Engler)
Gymnospermae
Coniferopsida
Pinopsida)
Coniferales
(Pinales)
Taxodiaceae
Sequoia
sempervirens
(Lamb.) Endl.
(in Ferrari, Medici, 1996, secondo Wettstein)
Pinophyta
Conipherophytina
(Gymnospermae)
Pinopsida
Pinales
Taxodiaceae
Sequoia
sempervirens
Endl.
(in Gerola, 1997, secondo Takhtajan e Cronquist)
Tavola 8. Esemplificazioni di classificazioni seguite da diversi autori come rilevato dai rispettivi testi.
17
PLANTAE
angiosperme
(dicotiledoni
monocotiledoni)
gimnosperme
gnetali
(uva marina)
gimnosperme
cicadali
(cicas)
Basidiomiceti
(funghi)
gimnosperme
coniferali
(conifere)
gimnosperme
ginkgoali
(ginkgo)
pteridofite
pterofite
(felci)
(felci)
calamofite
(equisetali)
anelli
(vermi segmentati)
brachipodi
(terebretula)
ctenofori
(tentacolati)
zigomiceti
(funghi
coniuganti)
oomiceti
(muffe
acquatiche)
crisofite
(alghe gialle
e diatomee)
mixomiceti
(funghi
mucillaginosi)
rodofite
(alghe rosse
multicellulari)
cordati
emicordati
echinodermi
platelminti
(vermi piatti)
cnidari
(celenterati)
poriferi
(spugne)
flagellati
(vari tipi)
chitidriomiceti
(funghi acquatici)
feofite
alghe brune
multicellulari)
artropodi
Eucarioti
clorofite
(alghe verdi uni
e multicellulari)
nematodi
(vermi
cilindrici)
rotiferi
ascomiceti
(lievito di birra
e muffa verde)
briofite
muschi ed
epatiche)
ANIMALIA
molluschi
licheni
(ascobasidiolicheni)
lepidofite
(licopodi)
psilliofite
(pulicaria)
sarcodini
(vari tipi)
sporozoi
(plasmodio)
protozoi
(ciliati)
PROTOCTISTA
batteri fermentativi
clanobatteri
matanogeni
batteri gram-positivi
batteri
chemiosintetici
autotrofi
enterobatteri
batteri azotofissatori
aerobi
spirochete
batteri
fotosintetici anaerobi
eubatteri
alofili estremi
termoacidofili
archibatteri
Procarioti
(da Venturelli, Virli 1995)
deuteromiceti
(funghi
imperfetti)
FUNGI
MONERA
Tavola 9. Albero filogenetico attuale.
La suddivisione in 5 regni (Monere, protoctisti, funghi, piante e animali) é stata proposta per la prima volta da WHITTAKER
R.H. nel 1969 e modificata nel 1990 da Margulis L. et alii, che sostituirono il nome protisti (proposto da Haeckel nel 1868) con
il nome protoctisti già proposto da Hogg nel 1860.
Dal francese
sistematique che deriva
dal latino systematicus a
sua volta derivato dal
greco συστηµατικος
che deriva da
συστηµα = sistema.
riveli l’origine dei diversi gruppi (e quindi la struttura dell’albero evolutivo), costituisce invece la sistematica. Porre invece ogni organismo vivente in una gerarchia
ordinata sulla base di caratteri distintivi che si ripetono costantemente, comuni per
ogni livello e già individuati, viene detta classificazione. La classificazione dà ordine alla varietà degli oggetti presenti sul pianeta terra e la classificazione filogenetica
raggruppa gli organismi in funzione della loro origine evolutiva comune. Chi usa
invece una classificazione per identificare un organismo vivente compie una determinazione. Se la classificazione consente di ordinare le piante, la determinazione
consente di riconoscere le diverse specie sulla base di una guida alle osservazioni
che rispondono a quesiti tra loro collegati (chiave dicotomica).
18
1. Descrittivo (mette in evidenza un carattere particolare delle specie che vi appartengono)
Taxus baccata
(dal greco ταξες = τοξον = tossico)
2. Commemorativo
a. di personaggio storico
Paulownia imperialis
(da Anna Paulowna, 1795-1865, figlia dello ctzar Paolo I
e moglie di Guglielmo III)
b. di personaggio famoso
Sequoia sempervirens
(da Sequoiah, capo Cherokee che nel 1820 ne inventò
l’alfabeto)
c. di studioso
Parrotia persica
(da F.W. Parrot, 1792-1841)
d. di primo coltivatore
Albizzia julibrissim
(dal conte F. degli Albizzi)
e. per onorare amici
Lagerstroemia indica
(da M. von Lagerstöm, 1691-1759, amico di Linneo)
f. di chi ha introdotto la pianta dal paese d’origine
Robinia pseudoacacia
(da J. Robin, giardiniere di Luigi XIV e fondatore dell’orto
botanico di Parigi)
g. di direttore d’orto botanico Gletitsia triacanthos
(da G.Gleditsch, 1714-1786, dell’orto botanico di Berlino)
h. mitologico - religioso
Juglans regia
(da Jovis glans; Giove era re degli dei dell’Olimpo)
i. di artista
Chorisia insignis
(da J.L.Choris illustratore )
l. di chi l’ha descritta per prima Davidia involucrata
(da A. David, 1826-1900, missionario-naturalista)
3. Geografico (dal nome di una località)
4. Sistematico
(dal nome di una specie che ne fa parte)
5. Mercantile (fa riferimento alla sua utilizzazione)
6. Morfologici
Cupressus sempervirens
(da κυπαρισσοσ = di Cipro)
Pinus pinea
Picea excelsa
(da pix - picis = perché se ne ottiene pece)
a. perché somiglia ad altro genere
Pseudotsuga menziesii
b. perché riferito ai caratteri delle piante che vi appartengono
Scyadopitys verticillata
(Abete parasole)
7. Autoctoni (così chiamati nella loro lingua d’origine) Gingko biloba
Tavola 10. Derivazione dei nomi scientifici: il genere.
Ogni gruppo di individui che possiede specifiche caratteristiche in comune
costituisce un "TAXON" che si pone ad un certo livello di organizzazione ed é compreso in "TAXA" di rango superiore e contiene TAXA di rango inferiore. (18) In botanica i ranghi principali sono: Regno, Divisione, Classe, Ordine, Famiglia, Genere,
Specie. Specie simili vengono inserite nei generi appropriati e i generi, con una figura del fiore analoga, vengono inseriti in una stessa famiglia. Così di seguito. (19)
Il genere é dunque il taxon che comprende più specie affini tra loro: indica il
gruppo a cui appartiene quell’individuo. I nomi dei generi possono essere descrittivi, oppure commemorativi o geografici o sistematici, ecc. (tav.10). La specie é l’unità
fondamentale della classificazione e se esiste una qualche variabilità tra i suoi indi-
19
vidui, li si suddivide in sottospecie (ssp) e/o varietà (var.). La specie individua l’individuo all’interno del gruppo. La specie viene indicata con un termine aggettivato
e fa riferimento, anche in questi casi, a particolari della pianta oppure indica lo studioso, il raccoglitore, il coltivatore o chi la ha introdotta, oppure fa riferimento all’area di provenienza o, infine, indica caratteri strutturali propri della pianta. (tav.11.) I
nomi scientifici e quelli “volgari” attingono dal latino, dal greco o da altre lingue
(toponimia). (tav.12.)
1. Descrittivo (riferito a particolari della pianta)
Cotoneaster horizontalis
(dal portamento prostrato)
2. Commemorativo
a. storico
Pinus montezumae
(da Montezuma re atzeco del XVI secolo)
b. personaggio famoso
Acacia farnesiana
(dal cardinale Farnese)
c. studioso
Celtis tournefortii
(da J.P. Tournefort botanico francese , 1656-1708)
d. arboricoltore
Abies weitchii
(da J.H. Weitch, 1868-1907)
e. chi l’ha introdotta
Chamaecyparis lawsoniana
(introdotta nel 1854 dal vivaista C.Lawson)
f. mitologico - religioso
Paliurus spina-christi
h. scopritore
Araucana bidwillii
(scoperta nel 1846 da T.Bidwill, 1815-1853)
i. direttore di orto botanico
Pinus wallichiana
(da N. Wallich, sovrintendente del
giardino botanico di Calcutta nel 1830)
l. raccoglitore
Ailanthus giraldii
(da G.Giraldi, raccolse piante in Cina attorno al 1890)
3. Geografico
Prunus persica
4. Mercantile
Acer saccharinum
6. Morfologico
a. strutturale
Prunus spinosa
b. somigliante
Robinia pseudoacacia
7. Religioso
Cedrus deodara
(da deva-daru = albero degli dei)
Tavola 11. Derivazione dei nomi scientifici: la specie.
Ogni pianta é designata, come si é potuto notare, dal genere e da un aggettivo
specifico (nome scientifico), che vanno scritti facendoli risaltare dal contesto: sono
in corsivo se inseriti in una qualsiasi altra forma di scrittura. Il nome del Genere ha
l'iniziale maiuscola mentre quello della specie va sempre in minuscolo. La pianta
“rosmarino” é indicata con Rosmarinus officinalis .
Ogni taxon é seguito dall'indicazione dell'autore che lo ha descritto per primo e
ha proposto il nome secondo le disposizioni del codice internazionale di nomenclatura botanica (ICBN). Il nome scientifico del rosmarino completo é: Rosmarinus officinalis L., dove L. sta per Linneo. Ad un certo livello gerarchico vale infatti sempre il
primo nome dato in conformità alle regole nomenclaturali (leggittimità del nome). Se
viene cambiato il nome ad un taxon, oppure vi é l'attribuzione a un'altra specie o altro
genere, il nome dell'autore del "basionimo" viene posto tra parentesi, seguito dall'abbreviazione dell'autore della nuova dizione: Chaenomeles speciosa (Sweet) Nakai. (20)
All'interno della specie, come detto, una variabilità nei caratteri osservati, può
20
AILANTO
ARANCIA
AZZERUOLO
BAGOLARO
BERGAMOTTO
CARPINO
CINNAMOMO
COCCO
FRASSINO
GINKGO
HINOKI
PAPAJA
SORBO
TAMARINDO
dal malese
dal sanscrito
dal persiano
dal toscano
dal turco
dal celtico
dal greco
dal portoghese
etimologia sconosciuta
dal cinese
dal giapponese
dal caraibico
dal latino
dall’arabo
Aylanto = albero del cielo
Nagaranja = gusto degli elefanti
Azadi = albero derakt = libertà
Bacola = piccola bacca
Beg-armodi = pera del principe
Kar = duro, pin = testa
Kinnamomon = nobile pianta perfetta
Cocos = maschera
Era albero sacro alle popolazioni nordiche
Gyn-kyo = albicocco d’argento
Hi-No-Ki = albero del sole
Ababai
Sorbere = bere
Tamar = frutto hindi = indiano
Tavola 12. Etimologie di alcuni nomi volgari delle piante.
permettere di individuare una sottospecie (ssp.), ovvero un gruppo all'interno della
specie, in genere ben delimitato dagli altri gruppi presenti (a causa di barriere geografiche, per esempio). La specie può inoltre avere al suo interno delle variazioni
strutturali rispetto al 'tipo' (che designano anche un gruppo di individui intraspecifici non ancora ben noti); si parla: di varietà se é presente in natura (Pinus sylvestris
var. scotica) e di cultivar se é coltivata (Pinus sylvestris 'Aurea').(21) Nel primo caso
si tratta del pino silvestre che vive in Scozia e nel secondo caso del pino silvestre
ottenuto in vivaio che ha foglie di colore dorato. Si può avere inoltre anche una
forma (f.), data da un mutante particolare che ne definisce, ad esempio, il colore di
suoi organi (Acer pseudoplatanus f. purpureum). (tav. 13.)
Due specie di taxa vicini possono incrociarsi tra loro e se ne ottiene un ibrido
che mostra di solito i caratteri dei due genitori. Se l'incrocio é tra specie dello stesso
genere si pone una x tra i nomi (Platanus x acerifolia é l'ibrido tra Platanus orientalis e
Platanus occidentalis); se l'incrocio é avvenuto tra specie di due generi diversi la x si
antepone al nome (x Cupressocyparis leylandii é l'ibrido tra Cupressus macrocarpa e
Chamaecyparis nootkatensis).
Famiglia ERICACEAE
(da Brickell, 1989 - modificato)
Genere
Daboecia
specie
D. azorica
Genere
Vaccinium
Genere
Rhododendron
Genere
Erica
specie
D. cantabrica
ibrido
D. x scotica
cultivar
‘Silverwells’
forma
f. alba
cultivar
‘Bicolor’
cultivar
‘Alba Globosa’
Tavola 13. Esemplificazione di rapporti nomenclaturali.
21
Regno: VEGETALIA
Divisione
Classe
Ordine
Famiglia
Genere
Ginkgophyta
Pinophyta
Ginkgopsida
Pinopsida
Ginkgoales
Pinales
Ginkgoaceae
Pinaceae
Ginkgo
Picea
Cedrus
Pinus
Sequoia
Cupressus
Chamaecyparis
Thuja
Calocedrus
Taxus
Magnolia
Laurus
Chimonanthus
Philadelphus
Hydrangea
Cotoneaster
Crataegus
Photinia
Chaenomeles
Rubus
Rosa
Prunus
Platanus
Gleditsia
Laburnum
Robinia
Lagerstroemia
Tilia
Ailanthus
Acer
Aesculus
Ilex
Evonymus
Parthenocissus
Cornus
Aucuba
Hedera
Betula
Alnus
Carpinus
Ostrya
Corylus
Fagus
Quercus
Salix
Populus
Ulmus
Celtis
Morus
Broussonetia
Ficus
Buxus
Diospyros
Fraxinus
Forsythia
Ligustrum
Osmanthus
Nerium
Vinca
Vitex
Clerodendrum
Sambucus
Viburnum
Lonicera
Ruscus
Phyllostachys
Taxodiaceae
Cupressaceae
Magnoliophyta
Taxopsida
Magnoliopsida
Taxales
Magnoliales
Laurales
Saxifragales
Taxaceae
Magnoliaceae
Lauraceae
Calycanthaceae
Saxifragaceae
Rosales
Rosaceae
Hamamelidales
Fabales
Platanaceae
Caesalpiniaceae
Fabaceae
Myrtales
Malvales
Rutales
Sapindales
Rhamnales
Cornales
Lytraceae
Tiliaceae
Simaroubaceae
Aceraceae
Hippocastanaceae
Aquifoliaceae
Celastraceae
Vitaceae
Cornaceae
Betulales
Araliaceae
Betulaceae
Celastrales
Corylaceae
Fagales
Fagaceae
Salicales
Salicaceae
Urticales
Ulmaceae
Moraceae
Liliopsida
Euphorbiales
Ebenales
Oleales
Buxaceae
Ebenaceae
Oleaceae
Gentianales
Apocynaceae
Lamiales
Verbenaceae
Dipsacales
Caprifoliaceae
Liliales
Poales
Liliaceae
Poaceae
Tavola 14. Quadro d’unione dei generi (secondo Takhtajan e Cronquist) trattati nell’area di indagine.
22
Può capitare che si sviluppi una pianta dal punto di innesto tra due specie con
tessuti dei due genitori. In tal caso si antepone un + al nome della specie: un ibrido
da innesto tra Laburnum e Cytisus é il + Laburnocytisus adamii.
Se poi viene scritto solo il genere seguito da sp. (Quercus sp.) significa che si
sta prendendo in esame una qualsiasi specie all'interno di quel genere; se il genere
é seguito da spp. (Quercus spp.) significa che si sta parlando in generale di più
specie appartenenti a quel genere. Molte specie vengono spesso indicate con la
dizione più usata anche se non ufficiale ma è opportuno stendere una lista della
dizione corretta a cui fare riferimento. (22) Solo il binomio proposto per primo
per una data specie é ritenuto valido e i successivi sono compresi in una lista di
sinonimi (sono nomi diversi da quello assegnato ufficialmente ma attribuiti al
medesimo taxon). L'Acer opalus Mill. ssp. obtusatum (Waldst. et Kit.) Gams é un
sinonimo insieme all'Acer neapolitanun Ten., dell'Acer obtusatum Waldst. et Kit. ex
Willd (Fitschen J., 1977). Vale il principio della priorità e solo se la descrizione e la
denominazione di una pianta soddisfano le norme riportate nel già citato codice
internazionale di nomenclatura botanica, il nome ha validità internazionale.
Quercus robur L., descritto e pubblicato da Linneo nel 1753, ha priorità su Quercus
pedunculata Ehr., descritto da Ehrhart nel 1789. Il binomio accettato viene modificato, per esempio, a seguito della costituzione di nuovi generi o specie, a cui
accreditare quella specie. (23)
Gli omonimi sono invece nomi eguali attribuiti a differenti taxa. In Italia é il caso
del “bucaneve” che designa indifferentemente l’Helleborus niger e il Galanthus nivalis
e, nei paesi anglosassoni, quello del “sycamore” che in Scozia indica l’Acer pseudoplatanus, in Inghilterra il Platanus x acerifolia e negli States il Platanus occidentalis. Ai
fini del presente lavoro si é adottata la nomenclatura riportata da FITSCHEN (1977)
basata sugli studi di TAKHTAJAN (1973), utlizzando per inquadrare i Taxa superiori
anche i lavori del CRONQUIST (1992). (tav.14).
1.4. LA CHIAVE DICOTOMICA.
La botanica sistematica ricerca dunque i modi per organizzare su basi filogenetiche un sistema di classificazione naturale delle piante. Tale organizzazione permette di dare un nome ad ogni essere vivente che viene individuato sulla base di una
chiave di lettura (chiave dicotomica).
La chiave dicotomica é costituita da una sequenza di scelte che il suo autore propone a chi la sta usando. In genere vengono fornite due possibilità e, a seconda della
scelta fatta, si continua seguendo le indicazioni analitiche proposte. (tav.15) (24)
Ogni autore può costruirsi una sua specifica chiave dicotomica stabilendo il
modo di seguire le sequenze e quali elementi prendere in considerazione. Certo è
che occorre essere ordinati e proporre le sequenze in modo ragionato riducendo il
numero dei passaggi, allegando un glossario figurato con i termini botanici corretti
per facilitare le scelte delle sequenze. Nel caso di alberi e arbusti si possono prendere in considerazione il portamento generale dell'albero e la eventuale caducità delle
foglie, la scorza (colore e disegno), le caratteristiche dei rametti (forma, colore, pelosità), le foglie (forma, picciolo, pelosità, caratteri sulle due pagine, dimensioni,
odori, distribuzione lungo il rametto), i fiori (forma, colore, dimensioni), i frutti
(forma, dimensioni e colore), i semi (forma, dimensioni), le gemme invernali
(forma, colore e presenza di altri elementi) e le cicatrici fogliari. La determinazione
consiste nel seguire la chiave dicotomica impostata (un gruppo di osservazioni
generali nel cui interno si individua un sottogruppo) fino ad arrivare, per fasi suc-
23
(da Spinelli,1989.)
1 - Frutto con cupola
1 - Frutto con ali
5
2
2 - Ali rotondeggianti
1 - Ali allungate
Ulmus
3
3 - Un unico frutto
1 - Due frutti uniti a formare
1 - uno schizocarpo
4
Acer
4 - Ala ritorta ad elica
1 - Ala diritta
Ailanthus
Fraxinus
5 - Foglia a margine
1 - intero liscio o sinuato
1 - Foglia a margine lobato
1 - o comunque non intero
Quarcus ilex
6 - Ghiande con cupula a squame appressate
1 - Ghiande con cupula a squame allungate
7 - Margine della
1 - foglia con lobi acuti
1 - Margine della foglia
1 - a denti evidenti
8 - Foglia pubescente
1 - Foglia non così
9 - Foglia quasi sessile
1 - con orecchiette
1 - Foglia non così
10 - Foglia con lobi arrotondati
10 - Foglia non così
6
11 - Foglia con incisioni
10 - fino alla metà del lembo
8
7
10 - Foglia con incisioni
10 - fin oltre la metà del lembo
Quercus cerris
Quercus castaneifolia
Quercus pubescens
9
Quercus robur
10
Quercus petraea
11
Quercus rubra
Quercus palustris
Tavola 15. Esemplificazione di guida dicotomica.
cessive, alla specie che si sta osservando. Tra i libri italiani più significativi per la
determinazione botanica della flora abbiamo oggi la Flora d'Italia del PIGNATTI
(1982), che segue le opere sulla flora italiana del B ERTOLONI (1775-1869), del
PARLATORE (1816-1877), del FIORI (1865-1950), dello ZANGHERI (1976) e del DALLA
FIOR (1981). Si tratta di libri specialistici; per pubblicazioni illustrate di più facile
approccio é riportata un’apposita bibliografia.
24
NOTE.
1. Se si vuol utilizzare una terminologia rigorosa, può essere definito “vivente” ogni struttura in grado di metabolizzare e perpetuarsi. Il sistema vivente quindi nel suo complesso costituisce un modo di esistere molto stabile. Le strutture
che non soddisfano la definizione data sono inanimate o morte.
Il primo sistema chimico che può considerarsi vivente risale a circa quattro miliardi di anni fa, cioé poco più di
mezzo miliardo di anni dopo il consolidamento della crosta terrestre. Questo significa che la vita ha avuto un’origine in
condizioni fisico chimico-ambientali specifiche diverse dalle attuali ma tali da permettere agli eventi ‘titoli’ di concretizzarsi.
HALDANE (1860-1964) e OPARIN (1936) avevano teorizzato fin dagli anni ‘30 un’atmosfera primitiva priva di ossigeno
libero. Successivamente nel 1950 UREY (1893-1981) e il suo allievo MILLER (1952) avallarono tale ipotesi con una serie di
verifiche di laboratorio che tendevano a far luce su quali reazioni chimiche fossero potute avvenire sulla terra primitiva.
Nel suo dispositivo Miller creò un’atmosfera di metano (CH4), ammoniaca (NH3), vapor d’acqua (H2O) e idrogeno
(H2) (come si può rilevare ancor oggi nelle emissioni vulcaniche) al di sopra di un “oceano” di acqua. Sottopose i gas
all’azione di una scarica elettrica continua (simulante i fulmini) e, dopo pochi giorni, dall’analisi del contenuto della
“brodaglia” ottenne preziose informazioni dai nuovi composti (aminoacidi) formati. In questo contesto la vita sulla terra
viene intesa come un processo globale innescato da un flusso continuo di energia elettromagnetica proveniente dal sole
in un’atmosfera primitiva terrestre riducente, ricca di idrogeno, donatori di idrogeno e pochissimo ossigeno libero.
Tra i fossili più antichi vi sono quelli provenienti dalla formazione di PILBARA (Australia Nord Occidentale), datati
3,5 miliardi di anni fa e certamente risultato di un’evoluzione ipotetica a partire dai primi composti organici avvenuta in
miliardi di anni prima. Da queste forme si arriva all’oggi dove la varietà delle forme viventi é difficilmente valutabile:
secondo alcuni autori (Moore, 1974) sulla terra vivrebbero circa 2,4 milioni di specie conosciute.
Oggi la vita, da un punto di vista strettamente scientifico, é intesa come un “sistema chimico aperto, capace contemporaneamente di crescere, riprodursi, reagire agli stimoli ed evolversi” (Ageno M., 1987).
La storia di questi eventi é legata allo studio dell’evoluzione: una storia degli artifici che l’innumerevole varietà degli
organismi viventi apparsi sulla terra, ha via via inventato per compensare il mutare delle locali condizioni ambientali.
“Ho chiamato questo principio, grazie al quale ogni lieve variazione, se utile, viene conservata, con il termine di selezione”: così scriveva DARWIN nel 1859 quando definì il meccanismo della casualità evolutiva; un principio che ha superato per 135 anni
le prove, le indagini e le verifiche.
2. Ogni essere vivente é un sistema organizzato e ordinato (L. Ingraham, 1975) ed é l’energia acquisita dal sole o da
altre fonti che si trasforma per compiere il lavoro necessario e organizzare i nuovi sistemi. In altre parole i sistemi per
rimanere organizzati hanno bisogno di energia, scomparendo la quale, degradano. Occorre dunque energia libera disponibile, più un certo disordine (entropia), rappresentato da molecole a basso peso molecolare (CO2 = anidride carbonica o
biossido di carbonio), H2O = acqua), libere nell’ambiente (gas o vapore). Nel caso delle piante legnose (come nella maggioranza delle piante) l’approvvigionamento di energia é realizzato tramite una serie di reazioni chimiche di cui le fasi
iniziali utilizzano la luce solare (fotosintesi) per aggregare nei cloroplasti nuove molecole. Per tale ragione le piante vengono più specificatamente chiamate “fototrofe” superando il concetto di autotrofia. La fotosintesi si attua in due fasi:
nella fase luminosa la luce attiva la clorofilla contenuta nei cloroplasti e avviene la scissione dell’acqua nei suoi due componenti fondamentali H (idrogeno) e O (ossigeno) e l’anidride carbonica in C (carbonio) e O. L’ossigeno in parte si libera,
mentre l’idrogeno, nella fase oscura, viene legato al carbonio e a parte dell’ossigeno. Il prodotto finale della reazione é
uno zucchero a sei atomi di carbonio, con un assorbimento di energia (nel violetto-blu e nel giallo-arancione) pari a 684
kcal.
In una foresta solo l’1°/°° - 3°/° dell’energia proveniente dal sole é incamerato attraverso la fotosintesi. La CO2 viene
fissata in ragione di 1-2 kg peso secco/anno/m2, fino a punte massime di 9 kg come avviene nella canna da zucchero.
3. LINNEO suddivideva gli esseri viventi in piante e animali. Al suo tempo le conoscenze erano macroscopiche: fanerogame e vertebrati essenzialmente. Attualmente alcuni botanici sottolineneano la distinzione tra vegetali e piante. I
vegetali sono considerati tutti gli esseri che sintetizzano attraverso la luce e le piante sono quei vegetali con organizzazione superiore e, in particolare, quelle che hanno colonizzato le terre emerse. La pianta é un organismo vegetale costituito da radici, fusto e foglie, e le alghe che sono organismi autotrofi, ricadono nei ‘vegetali’.
4. Il sapere scientifico é legato ad un processo che si sviluppa nel tempo e porta a conoscenze tra loro interrelate. Tale
processo inizia, per la cultura occidentale, nel VI secolo a.C., in Grecia, un paese che stava vivendo una fase di grande
espansione demografica, sociale, economica e culturale tale da influenzare tutta l’area mediterranea. Mileto, in particolare, con i suoi continui contatti culturali e commerciali con l’oriente é il fulcro del nuovo pensare “scientifico”, speculativo
e pragmatico insieme. E’ qui che inizia il suo cammino la scienza moderna con grandi pensatori come TALETE di Mileto
(624-548 a.C.), ANASSIMANDRO (570 a.C. ca. - ) e ANASSIMENE (546-528 Ca. a.C.). Essi indagano sul mondo della natura e
introducono un nuovo spirito critico nell’atteggiamento dell’uomo verso il mondo naturale facilitando il passaggio dal
mito alle scienze.
25
Successivamente, verso la metà del IV secolo a.C. ARISTOTELE fonda ad Atene il Liceo che diventa la scuola di formazione degli studiosi di un nuovo modo di intendere l’uomo nel suo rapporto con l’ambiente.
Aristotele scrisse opere che spaziano in ogni campo della conoscenza. Le sue osservazioni dirette sugli esseri viventi
e le sue ricerche consentono di considerarlo un uomo di scienza nel senso più moderno del termine. Nella sua opera
“Historia animalium”, descrive 495 specie di animali ordinati secondo forme e abitudini, mostrando di aver compreso
come le varie specie fossero classificabili secondo un ordine graduale. Nel trattato menzionato si legge: “... la natura procede gradualmente dalle cose inanimate alla vita animale, così che é impossibile determinare un’esatta linea di demarcazione che consenta di stabilire da quale parte collocare una forma intermedia ...”. Si delinea così l’opportunità di una classificazione gerarchica che parta dall’esame delle singole specie raggruppandole in insiemi sempre più ampi fino a risalire al “summus
genus” che le comprende tutte (beninteso, Aristotele nelle sue opere non ha mai affrontato un esplicito schema di classificazione ordinato gerarchicamente, come verrà affrontato successivamente).
L’opera di Aristotele fu continuata dai suoi allievi, il più noto dei quali é TEOFRASTO. Egli mostra di condividere le
stesse tendenze “evoluzionistiche” del suo maestro. Fece importanti studi nell’ambito delle scienze naturali in generale e
della botanica in particolare dove iniziò a utilizzare una nomenclatura tuttora in uso (carpo, pericarpo, monocotiledoni,
dicotiledoni). Le sue opere di botanica, come la “Storia di Piante” e la “Cause delle Piante”, sono ricche di dati e osservazioni su più di 600 piante che classifica, ordina e raggruppa in modo molto accurato basandosi sulla morfologia dell’apparato riproduttore. Esse rappresentano i più sistematici trattati di biologia pervenuti dall’antichità anche se scrive
sopratutto delle presunte proprietà medicinali delle piante allora conosciute corredandole di leggende. Nell’opera Περι
φυτων ιστορια (Historia plantarum) Teofrasto classifica le piante in δενδρον (albero), θαµνος (frutice), φρυγανον (suffrutice) e ποα (erba). Al loro interno egli individua generi, specie e varietà (Cortesi F., 1950). Mi sembra poi importante citare
anche EPICURO (341-271 a.C.) che non poteva non conoscere piante con proprietà medicamentose, vista la sua fama di
medico.
D’altro canto non bisogna dimenticare che ancora oggi i membri di culture a tecnologie primitive riconoscono i frutti
eduli da quelli velenosi, le erbe utili per cacciare e le piante velenose o medicinali, le piante da cui ottenere fibre e quelle
officinali, gli alberi da cui trarre specifici legni per costruire certi utensili piuttosto che altri, e nel caso degli sciamani
anche le piante “magiche” e allucinogene. Essi attuano una classificazione ‘pratica’ inserendo le piante in un gruppo
“utilitaristico” piuttosto che in un altro dando loro un nome per individuarle e trasmetterne così l’uso legato alla propria
cultura.
5. Se le prime rappresentazioni di piante medicinali risalgono a circa 7000 anni fa (sono state ritrovate in Cina) e le
prime incisioni di rami e foglie, su osso, addirittura al paleolitico, le prime pitture nell’area mediterranea raffiguranti
erbe (ritrovate nelle tombe egizie) sono del 2000 a.C. Agli intenti decorativi di assiri, egizi, greci e romani si affiancano le
prime citazioni di 70 piante riportate nella bibbia, le oltre 300 piante descritte dai medici greci e le ben 500 piante descritte dagli scrittori latini: VARRONE (116-27 a.C.) e VIRGILIO (70-19 a.C.) nel I sec.a.C., COLUMELLA nel I sec. I romani continuano l’opera scientifica dei greci ampliando quelle applicazioni pratiche agronomiche e medicinali, basterebbe citare
PLINIO il vecchio (Plinius secundus)(23-79) che nella sua “Naturalis historia” scrive di botanica nei libri XII-XXVII e
descrive oltre 800 specie di piante. Egli ricorda le opere di CRETEVAS o CRATENAS(120-63 a.C.), medico di Mitridate V.
Eupatore, METRODORO di Atene (II sec. a.C.), DIONISO (I sec.) come illustratori botanici, e si può ritenere che dal primo
derivino le illustrazioni degli erbari redatti dal VI secolo in poi (Pirola A., 1982). Da citare anche LUCREZIO (99-55 a.C.) e il
suo “De Rerum Naturae” che se anche non parla di piante riprende lo scritto di Epicuro Περι µυσεως, e DISCORIDE medico del I sec. che scrive “De materia medica” (Περι υλης ιατρικης) in cui tratta solo di piante medicinali (si tratta di 600
piante descritte e illustrate in 5 libri di cui nel primo vengono descritti gli alberi). Un “Codex vindebonensis” (conservato
alla biblioteca di Vienna) fatto redigere nel 472 dalla figlia dell’imperatore d’oriente Anicio Olibrio, Juliana Anicia, viene
definito ‘Erbario di Dioscoride’ e le illustrazioni ivi riportate (sembra copiate dagli originali di Cretevas), più o meno
rimaneggiate, verranno utilizzate fino al XVIII secolo (si può ricordare il Codex neapolitanus del secolo VIII con figure
schematiche). Ma dopo la caduta dell’impero romano, la tolleranza culturale che l’aveva contraddistinto viene annullata
dai secoli ‘bui’ del Medio Evo in cui sembra prevalere un integralismo religioso intollerante e repressivo, facendo una
debita eccezione del regno di Sicilia dello svevo Federico II (1194-1250). Le autorità ecclesiastiche e politiche misero infatti al bando e spesso distrussero la maggior parte di queste opere del mondo antico e quelle poche che sfuggirono vennero
conservate nelle abazzie. Il Medio Evo, dunque, non fu molto favorevole allo sviluppo delle scienze e ben poco aggiunse,
nel campo della botanica, a quanto precedentemente acquisito. Una probabile eccezione fu, nella prima metà del XII
secolo a Salerno, un trattato redatto dal PLATEARIUS che descrive gli usi di 276 piante spontanee impiegate nella medicina domestica locale. IL testo di tale autore é conosciuto come ‘Circa instans’ dalle prime parole del prologo: “Circa instans
negocium in simplicibus medicinis nostrum versatur propositum” (E’ nostro intento occuparci ora delle medicine semplici).
Ricordo che oltre agli erbari figurati erano in uso anche raccolte di calchi di piante impressi a nerofumo “ectypa plantarum” su fogli di carta.
Fatto è che le piante venivano studiate soprattutto nei monasteri dove si allestiva un ‘orto dei semplici’ con piante
medicinali ed aromatiche di cui si conoscevano, spesso empiricamente, le proprietà terapeutiche. Per “semplici” si intendevano le singole specie, che venivano utilizzate nei miscugli medicamentosi. D’altro canto fermenti latenti si svilupparono successivamente con l’impulso dato dalla cultura araba che aveva recuperato le conoscenze greche, romane e, verosimilmente, anche quelle delle aree orientali con cui era venuta in contatto. Tanto é vero che nella Facoltà di Medicina di
26
Parigi dei 13 libri (più precisamente si tratta di manoscritti) inventariati nel 1395, più della metà erano traduzioni di testi
di medici arabi o commentari su questi ultimi (Hahn A., Dumaitre P., Samion-Contet J., 1962).
6. A Ferrara operano il GHINI (1490-1556) di Pisa e l'ALDOVRANDI (1522-1605) di Bologna; il MATTIOLI a Siena (15011577) che scrisse opere per il riconoscimento delle piante descrivendole e riproducendole (fa disegnare 1200 piante)
spesso rappresentate con caratteri non realistici. Probabilmente ci si basava su essiccata, ovvero piante conservate in fogli
di carta, e quindi di per sé appiattite e la rappresentazione tridimensionale era frutto dell’immaginazione dell’artista. E’
opportuno poi citare, oltre al CESALPINO di Arezzo, il DELLA PORTA (1536-1615) del Regno di Napoli. Qui, nel 1809, sorgerà
la prima scuola "italiana" moderna di floristi e speciografi, voluta dal TENORE (1780-1861) (Pignatti S., 1982). Del Tenore
conosciamo una “Flora napoletana” (1811-1838), ossia una descrizione delle piante indigene del Regno di Napoli, in 5
volumi con 350 tavole colorate a mano. Vogliamo anche ricordare il MICHELI (1679-1737) fiorentino e il TODARO (18181892) che a Palermo pubblica l’Hortus botanicus panormitanus sive plantae novae vel criticae quae in horto botanico panormitano
coluntur descriptae et iconibus illustratae (1875-1892).
7. Il secolo XV é il secolo del risveglio dell’interesse verso la natura e matura contemporaneamente la necessità di
una precisa descrizione della realtà osservata in modo approfondito. A partire dal XVI secolo la storia naturale trae giovamento dalle riedizioni e dai commenti dei precedenti scrittori classici (come i “Commentari a Dioscoride” del Mattioli);
in questo periodo, grazie anche alla diffusione della stampa, vengono pubblicate le opere di Teofrasto, Plinio e
Dioscoride. Il MICHIEL pubblica a Venezia “Cinque libri delle piante” con disegni acquarellati. Si fa sempre più spazio il
confronto tra le descrizioni degli antichi e l’osservazione diretta, la scoperta di nuove flore (e faune), il diffondersi di
erbari e la nascita degli orti botanici (Padova, Pisa, Firenze nel 1545, Bologna nel 1567, Leida nel 1577, Lipsia nel 1580,
Montpellier nel 1593, Parigi nel 1635).
Come detto, la tradizione della coltivazione delle piante medicinali era in uso fin dal medioevo presso le comunità
monastiche (certosini, benedettini, francescani) e fino a tutto il XVI secolo. Nella prima metà del sec.XVI, per volere del
Senato della Repubblica Veneta, si avviò lo studio delle piante medicinali e viene fondato a Padova il primo orto botanico universitario (29 giugno 1545). Nel XVII-XVIII secolo lo studio delle piante diventa dominio delle sedi accademiche
(Forneris, Moggi, 1995) e, a partire da tale momento, si avvia il collezionismo e la dettagliata analisi botanica che caratterizzerà poi il secolo XIX e l'inizio del XX. I giardini botanici vengono ora realizzati tenendo presente l'ambiente di vita
delle piante, l'uso che se ne fa o le famiglie a cui appartengono; tutte le piante sono inoltre cartellinate con indicazioni
anche dell'area di origine. Oggi gli orti botanici sono organizzati come 'banca dati vivente' e l’area é intesa non solo come
“contenitore” ma come ambito di ricerca appoggiandosi ad una biblioteca per acquisire tutte le conoscenze utili alla sua
gestione. Del resto una identica funzione ebbe il primo orto botanico che si conosca nella storia e che conteneva tutte le
piante utilizzate dagli egizi (Gerola, 1996).
8. Si sviluppa l’interesse naturalistico di molti artisti come LEONARDO DA VINCI (1452-1519), CRANACH (1472-1553),
DÜRER (1471-1528), ecc., anche se sopravvive ancora il gusto per le creature esotiche, meravigliose e spesso fantasiose. Si
tende al dettaglio e le rappresentazioni delle piante sono più precise anche grazie allo sviluppo delle scuole fiamminghe
e tedesche e il risveglio delle arti figurative. La botanica era ancora intesa come depositaria di quelle nozioni relative alle
piante medicinali e alla descrizione delle loro proprietà terapeutiche. Essa pertanto dipende dalla medicina e ciò induce a
osservare, raccogliere, disegnare e catalogare. Si diffondono gli erbari figurati a stampa come quello di Gherardo CIBO
(1512-1600). Le illustrazioni sono spesso di tipo schematico, disegnate a memoria su indicazioni di terzi o riportate da
testi più antichi, frequentemente di pura fantasia. D’altro canto alcuni disegni dell’edizione 1488 del Platearius sono
abbastanza corretti (sia pur schematici) e a colori come la Primula veris o l’Helleborus viridis.
Permane per tutto il '500, con una massima diffusione in epoca tardo rinascimentale grazie alle incisioni su legno e la
stampa, la scelta di utilizzare disegni poco esatti (e quindi inaffidabili) per costituire 'erbari'. Per altro emergono i tentativi di artisti quali il WEIDITZH., allievo del Dürer che disegna direttamente dal vivo le piante per le illustrazioni (gli originali sono incisioni xilografiche) dell’”Herbarum vivae eicones” del botanico tedesco BRUNFELS (1488-1534) datato 1530 e
della “De historia stirpium” del FUCHS datato 1542. L’erbario del Brunfels é uno dei primi lavori contenenti descrizione e
figure delle specie di una regione europea. In qualche misura si cerca di discostarsi dall’iconografia poco precisa antecedente. Una maggiore precisione nel tratto (quando invalse l'uso delle acqueforti che permetteva un'iconografia più accurata e attendibile) e la notevole produzione libraria del XVII secolo favoriscono, d’altro canto, la divulgazione delle conoscenze botaniche antiche, facendo riscoprire e revisionare in modo critico i testi classici che erano stati tramandati per
ripetute copiature di testi e disegni (quindi spesso mediate da influenze culturali diverse da quelle originali o alterati da
interpretazioni individuali). E’ solo con la costituzione degli orti botanici che si diffuse l'uso di preparare erbari (libro di
essicati) piuttosto che erbari a stampa. Interessante, tra gli altri, un erbario conservato presso l'orto botanico
dell’Università di Padova della prima metà del secolo XVIII, attribuito ad un frate veneziano. Altro erbario di essiccatta
in 12 volumi, datato 1767, con didascalie e una bibliografia essenziale é quello del TRIUMFETTI, conservato presso la
Biblioteca Casanatense di Roma. Da allora invalse sempre più l’uso di considerare l'erbario una raccolta di piante essiccate. Cionondimeno pregevoli diventano le opere illustrate di botanica grazie alle incisioni su rame (la prima delle quali
é napoletana) e ricorderò le opere del REDOUTÉ (1759-1840) abile artista di fiori e rose in particolare. Alla bilbioteca
Casanatense, già menzionata, si trovano i 5 volumi dell’AUDIFFREDI datati 1770 in cui le diverse specie sono organizzate
27
secondo il metodo di classificazione di Tournefort, considerato il padre della botanica descrittiva (Ceccapieri, 1991).
E’ dal 1700 infatti che si iniziano a produrre volumi botanici con tavole tratte da incisioni in rame e poi colorate a
mano, metodo che proseguirà fino al 1830. Dal 1830 prevalsero altre tecniche: acquatinta, mezzatinta, acquaforte a fondo
puntinato e infine la litografia che verso la fine dell’800 permise la stampa a colori. Il migliore artista illustratore é ritenuto il botanico tedeco EHRET G.D. (1708-1770) che disegnò per opere botaniche come “Plantae selectae” e “Hortus nitidisimis” (Sitwell, 1990). Altri importanti illustratori botanici sono i fratelli FRANZ e FERDINAND BAUER che pubblicano le loro
tavole nei volumi di LAMBERT A.B. “A description of the Genus Pinus” del 1803-1824 e nei dieci volumi della “Flora
greca” del 1806-1840 curati da J. SIBTHORP (1758-1796).
Dalla metà del XVI e poi più specificatamente nel XVII e XVIII secolo, si consoliderà la pratica del disegno sotto la
supervisione di un botanico. In Italia (collezioni del Museo dell’Orto Botanico dell’Università degli Studi di Firenze))
CALAMAI (1800-1851) riproduce preziosi modelli di piante in cera (Moggi, 1981)
Gli erbari fino alla fine del XVII secolo rimangono dunque una raccolta di disegni. Ma con la "rivoluzione scientifica"
si preferiscono le osservazioni personali e si iniziano a preparare campioni essiccati. D’altro canto si tenga presente che
fin dal secolo XVI si era iniziato a produrre erbari di essiccata montati su carta quando questa, con l’avvento della stampa, iniziò ad essere meno costosa. Si parla dell’inglese J. FALCONNER, erborista a Ferrara, come il primo che preparò un
erbario di essiccata, una procedura apparsa verso la fine del XV secolo (Lieutaghi P., 1990), rammentando, d’altro canto,
che viene indicato come autore del primo libro di essiccata di piante medicinali, il GHINI.
9. La “botanica” ha un suo nuovo impulso nel Rinascimento e si consolida a partire dal XVI secolo come scienza
finalizzata a classificare, catalogare e denominare le specie vegetali. Con la scoperta dell’America, aumenta l’inventario
delle piante conosciute e si complica il modo di designarle. Le osservazioni e le descrizioni confuse delle nuove piante e
dei nuovi animali spingono ad individuare un agile sistema di classificazione che permetta un facile riconoscimento e un
confronto tra esseri viventi.
La mancanza di una nomenclatura rigorosa e univoca comportava gravi errori di copiatura delle lunghe frasi per
descriverla fatto che rende difficile il riconoscimento della stessa pianta in ambienti diversi. Si classificano le piante con
criteri soggettivi: in ordine alfabetico, secondo l’ordine aristotelico (alberi, arbusti, erbe), in erbe odorifere e non, in piante purganti, piante medicamentose o piante velenose, piante con nomi di santi, piante alimentari, piante aromatiche,
piante tessili, piante ornamentali, piante da legno, piante da frutto, ecc., o anche osservando le loro forme e arrivando a
riunire sotto un unico nome piante particolarmente simili. Inoltre si ha la tendenza a distinguere le piante mediante l’aggiunta di un aggettivo scelto in base al colore dei fiori, ai caratteri dei luoghi in cui crescevano, ecc, tentativi che testimoniano l’aspirazione a concretizzare il concetto di genere o specie già introdotto da Teofrasto.
Di questo periodo sono i “botanici mistici”, il più noto rappresentante dei quali é PARACELSO (T. Bombast von
Hohenheim, 1493-1541) il quale affermava: “La virtù salutare della pianta dipende dalla somiglianza della sua forma con
quella della parte del corpo umano che si intende curare”. E’ la cosidetta teoria delle segnature: ogni pianta aveva una
forma assegnata da Dio in modo che l’uomo potesse riconoscerne l’uso a cui era destinata (il gheriglio delle noci che
assomiglia al cervello era prescritto contro il mal di testa, per esempio).
E’ il CESALPINO, in Italia, che inizia un periodo (siamo nel XVI secolo) in cui verranno poste le basi per un sistema
di classificazione più corretto e impostato su criteri oggettivi validi una volta per tutte (propone i caratteri di fiori,
frutti e semi) come é evidenziato nel “De Plantis” (1583). Partendo dal presupposto che classificare non può significare descrivere, ma ordinare secondo una gerarchia naturale, nell’opera menzionata egli riuniva circa 1500 piante in 20
classi definite sulla base di caratteri morfologici. Tale classificazione inizia con una prima grande divisione del mondo
vegetale in: alberi e arbusti da una parte e cespugli ed erbe dall’altra. Le successive separazioni tengono conto di altre
caratteristiche come: morfologia del frutto, morfologia dei semi, ecc. Nasceva così il primo sistema naturale costruito
gerarchicamente in modo discendente. Dopo il Cesalpino i sistemi di classificazione si moltiplicarono ma tendenzialmente la scelta dei caratteri rimase arbitraria. A lui, tra l’altro, si fa risalire la separazione della botanica dalla medicina (Malandin, 1990).
Numerosi sono poi i botanici che operano all'estero, tra i tanti menzioniamo: G.BAUHIN di Basilea (1560-1624) che studiò una nomenclatura più rispondente alle esigenze di snellire la definizione delle piante, l'inglese J. RAY (1627-1705) che
distinse le mono dalle dicotiledoni e diede il via a un sistema naturale di classificazione. In particolare Ray fu il primo
studioso moderno che sostenne l’utilità di seguire un modo di classificare “ascendente”; egli inoltre definisce per primo
il concetto di “specie” e introduce il concetto della comune discendenza tra individui della stessa specie. Un contributo
importante per sollecitare l’uso di tale metodo lo si deve a G. PONTEDERA (1688-1757), docente presso l’Università di
Padova. Ricordiamo anche il provenzale G.PITTON de TOURNEFORT (1656-1708), che propone un metodo di classificazione
basato sulla corolla del fiore. In tale classificazione le piante vengono divise in 22 classi e nella classe XVIII e XIX erano
raggruppati gli alberi.
10. Gaspare BAUHIN descrive 6000 piante nella sua opera “Pinax Theatri Botanici” del 1623 (e ben 18.655 nel suo
“Methodus Plantarum Novarum”) seguendo uno schema: forma del fiore, forma del frutto, forma del seme. Egli poi
aggiunge per ogni specie un sinonimo, usato da autori precedenti. E’ il primo tentativo di nomenclatura binomia
fecendo riferimento ad uno schema comune. D’altro canto nel 1694 CAMERARIUS nel suo libro “De sexu plantarum epistola”, descrive il sesso dei fiori (fatto contestato dalla maggior parte dei botanici d’allora) e su questa intuizione
28
Linneo elaborò il suo sistema di classificazione. Beninteso l’uso degli organi sessuali del fiore non tiene conto delle
affinità tra le specie (rimane cioé un sistema artificiale).
In realtà, alcuni disegni dell’opera del Platearius (nell’edizione a stampa del 1488) presentano definizioni in uno o
due nomi latini. Trascrivo: Capparis, Bardana, Avena, Primula veris, Malva ortensis, Consolida minor, Centaurea maior, Cassia
fistula che sono stati ripresi poi da Linneo e da altri autori. Ci sarebbe cioé già una nomenclatura binomiale non codificata a meno che i nomi non siano stai inseriti in epoche successive. Certo é che nel volume di essiccata di L.SABBATI del 1738
vengon riportati alcuni binomi per distinguere una data pianta: tale é il caso del “Therebinthus vulgaris” e, nel volume a
questo precedente di circa un secolo del De l’OBEL “Plantarum seu stirpium iconas”, si utilizzano ancora binomi in latino, come nel caso del “Pinus maritima” per indicare le diverse xilografie delle piante. Quale utimo esempio cito che nell’iconografia accurata del MATTIOLI (1565) e dello JONSTON (1662) viene riportata una nomenclatura binomiale per indicare le diverse piante, come “Mespilus altera, Malus vulgaris”. Si tratterebbe allora più di regolamentare una nomenclatura
su basi “universali” per evitare confusioni e sinonimie, piuttosto che inventare un binomio già usato come concetto e
probabilmente in abbozzo fin nei testi greci. Bauhin ha cercato di dare un ordine alla confusione imperante tra i diversi
autori e di trovare gli equivalenti tra i nomi medioevali delle piante e quelli della sua epoca, utilizzando caratteri definiti
per inquadrare quel binomio; ovvero egli ha cercato di superare l’arbitrarietà delle classificazioni precedenti. Per altro,
ancora siamo lontani dal concetto di specie utilizzabile come unità base di classificazione.
11. Linneo é il primo teorico della biologia sistematica; nel suo sistema di classificazione l’unità base é rappresentata
dalla specie. Ogni specie é la manifestazione della potenza creatrice divina: “... tot enumeramus species, quot ab initio creavit
Infinitum Eus...”. La sua opera principale é il “Systema Naturae” edita nel 1736 e successivamente ripresa e ampliata (fino
alla decima edizione del 1758). Qui egli descrisse l’universo in un insieme di “non viventi” e di “viventi” (animali e piante),
con una uniformità di criteri e un ordine fisso, utilizzando un linguaggio semplice, condensato e facilmente accessibile.
Ha così imposto un nuovo metodo di lavoro in alternativa alle vaghe e prolisse descrizioni del tempo. Gli zoologi in
particolare considerano tale decima edizione come base per la nomenclatura scientifica degli esseri viventi. Per quanto
riguarda le piante, nell’opera “Philosophia botanica “ del 1751, egli espone un metodo di studio impostato sulla morfologia del fiore (numero e disposizione delle varie parti), ponendo attenzione alle sue componenti sessuali. Seguendo tale
criterio Linneo costruì un sistema di classificazione in cui ogni specie conosciuta di animale e vegetale occupava un
posto; ciò comportò il raggruppamento delle specie in generi, di questi in ordini e degli ordini in classi. Il sistema di classificazione proposto da Linneo viene anche detto “sistema sessuale”, ma é da sottolineare, comunque, che esso é un
modo di classificare “soggettivo” perché viene arbitrariamente scelto una particolare caratteristica del vivente.
Linneo chiude il periodo dei “sistemi artificiali”. Il sistema basato sugli organi sessuali é attualmente completamente
abbandonato a causa della sua artificialità ma rimane valida la sua struttura logica diffusa ancora nei manuali di riconoscimento delle piante (le chiave analitiche o dicotomiche).
Per primo J. MILLER classificò le piante del ‘Physic Garden di Chelsea’ secondo il sistema linneano riportando i disegni dei fiori nell’ordine da lui designato nel libro ”Illustratio systematis sexualis Linnaei” del 1770-77. Le regole di
nomenclatura proposte da Linneo ebbero come conseguenza la revisione di tutte le conoscenze botaniche del tempo,
accentuando gli sforzi per un’iconografia precisa, naturale, corretta e utile ai fini scientifici. Tali obiettivi vengono sanciti
da CURTIS W. che fonda nel 1787 il ‘The Botanical Magazine’ e avvalendosi anche dell’opera dell’illustratore FITCH W.H.
(1817-1892).
12. Dopo Linneo la problematicità di questo argomento diventa sempre più complessa. Si deve ricordare B. M. de
LAMARCK (1744-1829), che contribuì in modo determinante a divulgare l’aspetto evoluzionistico della biologia e a sostenere lo studio della sistematica zoologica dalle forme più semplici a quelle più complesse. Né si può dimenticare
WALLACE (1823-1913), che contemporaneamente a DARWIN, elaborò la teoria biologica più influente del XIX secolo inducendo a interpretare i rapporti di somiglianza tra le specie come conseguenza dei rapporti di parentela. Infine é da ricordare anche E. HAECKEL (1834-1919), che trasse da tutti questi studi la convinzione che la classificazione dovesse essere
fondata sui rapporti di parentela che uniscono le varie specie, cioé sulla filogenesi: la storia stessa degli organismi.
Ricordiamo che Haeckel si é interessato anche di relazioni ambientali e che a lui si deve il nome di “Ecologia”.
13. Prima di Lamarck e Darwin gli studiosi di questo argomento erano convinti che la grande varietà delle piante e
degli animali fosse stata creata direttamente da Dio (fissità della specie) di cui vedevano l’ordine nelle varie modificazioni. Per tale motivo il settore delle scienze naturali relativo alla classificazione e alla nomenclatura degli esseri viventi o
dei fossili era considerata la parte più nobile poiché poteva consentire di avvicinare e capire l’ordine divino.
Si tenga presente che il concetto di specie si é evoluto nel tempo partendo dal concetto espresso da CUVIER (17691832): la specie é l'insieme di individui simili tra loro nati gli uni dagli altri o da genitori comuni a cui assomigliano.
Cuvier, come Linneo, era convinto che le specie fossero fisse e immutabili. Oggi la teoria evoluzionistica prima sviluppata da Lamarck e poi da Darwin e Wallace, fa rilevare la variabilità e il cambiamento all'interno di una specie. La specie é
pertanto formata da "quegli individui che si incrociano tra loro generando una prole feconda" come si espresse
DOBZHANSKY nel 1937. In realtà tale definizione non é sempre applicabile in campo botanico, in quanto molte specie vegetali sono in grado di incrociarsi dando origine a una prole ibrida fertile (come in Quercus spp., oppure in Platanus spp.).
Il platano orientale (specie di origine mediterraneo orientale e presente in rare stazioni calabresi, siciliane e campane),
29
per esempio, si incrocia con il platano occidentale (originario dell’America Settentrionale) dando origine ad un ibrido
(Platanus x acerifolia) che a sua volta si riproduce.
D'altro canto molto spesso le specie ci sono note in modo non preciso in quanto dobbiamo tenere conto della variabilità, dell'evoluzione che esse continuamente subiscono e del loro bagaglio cromosomico. Pertanto pur essendo caratterizzante il concetto di "specie" questo é legato all'interpretazione che l'autore di quella flora dà agli studi sulla natura, in
quel periodo preciso della ricerca scientifica, come ha scritto PIGNATTI (1982).
A questo punto ci sono tutte le premesse, come si espresse Darwin nell’origine delle specie, per la costruzione di un
“sistema naturale” di classificazione. Un tale sistema accomuna piante parenti tra di loro in quanto hanno seguito linee
evolutive parallele discendendo da progenitori comuni. Alcuni botanici ammettono, a questo proposito, che l’origine di
tutti i viventi possa essere avvenuta da un unico capostipite (origine monofiletica), altri invece riconducono tale evento a
più capostipiti (origine polifiletica). ambedue cercano di costruire un albero genealogico detto ‘filogenetico’ che unisce i
diversi taxon in base alle loro rassomiglianze o alle origini. In una interpretazione che privilegi l’aspetto evoluzionistico
ogni gruppo di individui (generi, famiglie,...) rappresenta una parte del “grande albero” genealogico che esprime tutti i
rapporti di parentela tra individui (Minelli, 1991). Ogni albero genealogico ha ramificazioni che pongono in relazione gli
esseri viventi in funzione delle supposte o reali, differenti o comuni, origini. La distanza tra i rami di tale albero genealogico é legata alle affinità e alle correlazioni rilevabili attualmente tra le varie specie sulla base di altri fattori (come la convergenza o il parallelismo) indipendentemente dalla loro origine. La ramificazione legata alle origini é studiata dalla
sistematica filogenetica; quella legata agli altri fattori é studiata dalla sistematica fanetica (sistematica delle forme).
Oggigiorno si parla, inoltre, di sistematica cladistica che deriva dal concetto di “clade”, termine coniato dal botanico
tedesco W.HENNIG, per indicare l’insieme delle unità tassonomiche che derivano da un unico progenitore ancestrale. In
tal senso possiamo avere linee monofiletiche e polifiletiche.
Ripetiamo che il concetto di Botanica si consolida dal XVI secolo in poi come scienza della collocazione e della descrizione dei vegetali, svincolandoli dallo studio delle loro proprietà mediche. Tale sviluppo concettuale fu possibile grazie a
quattro fattori: 1. l’invenzione della stampa, 2. la produzione di carta a bassi costi, 3. la riscoperta dei testi classici, 4.
l’ampliamento degli orizzonti grazie alle scoperte geografiche. Le nuove tecniche di incisione ebbero poi il merito di rendere più precisa l’iconografia tralasciando le stilizzazioni medioevali spesso approssimate. Il lavoro iconografico diventerà così il risultato della collaborazione tra artista e botanico in quanto diventa via via più importante evidenziare quei
particolari della morfologia utili per la classificazione e l’identificazione corretta della specie.
14. La New Sistematics é basata sullo studio degli esseri viventi in natura, non solo dal punto divista morfologico ma
anche da quello degli aspetti funzionali e dinamici del collegamento con l'ambiente. E' lo studio comparato dei diversi
organismi dove la morfologia (la conoscenza delle differenze strutturali) e la storia evolutiva (filogenesi) costituiscono la
base per la disposizione dei gruppi della tassonomia.
La tassonomia é la scienza che studia la struttura dei vari taxa, li riunisce via via in taxa di ordine superiore e li sistema in un palinsesto di classificazione naturale, ricostruendo e rappresentando l’evoluzione degli esseri viventi. La tassonomia definisce i criteri, la prassi e la nomenclatura utile per caratterizzare i diversi gruppi superiori. E’ insomma, la tassonomia, lo studio teorico dei metodi di ordinamento della classificazione attraverso la descrizione dei principi, delle
prodecure e delle norme che la regolano. Riassumiamo qui di seguito, per evitare confusioni che la tassonomia studia gli
esseri viventi con lo scopo di metterne in risalto diversità e somiglianze in modo da rendere possibile la loro identificazione (riconoscimento) e la loro collocazione in uno schema generale. Alla tassonomia interessano i modi per classificare
gli esseri viventi.
La sistematica invece si occupa della valutazione, delimitazione e determinazione della somiglianza dei gruppi naturali in cui ripartire gli organismi in base a caratteri comuni e relazioni di parentela. Stabilisce i criteri da seguire per
“incasellare” l’essere vivente nel taxon più appropriato, dandogli un nome, e ne definisce i limiti. La sistematica può
seguire due percorsi: uno in cui gli esseri viventi sono raggruppati secondo una gerarchia discontinua (classificazione
artificiale) e uno in cui essi sono collegati da una certa continuità (classificazione naturale). Nella classificazione i vari
individui vengono riuniti in gruppi (specie, generi, famiglie, ordini, classi) sempre più grandi e sempre più complessi
seguendo un ordine gerarchico e stratificato. La classificazione porta a disporre tutti gli esseri viventi in un ordinato
sistema di categorie sistematiche. Ovvero, la determinazione é il riconoscimento di una data specie sulla base di uno
schema già esistente (classificazione) messo a punto dalla tassonomia (Gerola F.M., 1996). In realtà alcuni studiosi considerano sistematica e tassonomia sinonimi, altri considerano la tassonomia parte integrante della sistematica (come relativa alla nomenclatura e alla classificazione degli esseri viventi) e altri ancora considerano la sistematica come l’aspetto
pratico e la tassonomia come l’aspetto teorico della stessa branca di studi. I vari tipi di classificazione dipendono dalla
logica secondo cui é impostato il lavoro: il criterio gerarchico é la linea più propriamente tassonomica; se vien scelto
invece un altro intento (somiglianza morfologica, oppure importanza agraria o altre proprietà) si cura maggiormente l’aspetto sistematico.
Oggigiorno la sistematica, pur basata ancora sui livelli di organizzazione e sui gradi di sviluppo delle specie vegetali,
come si può confrontare nel sistema proposto da ENGLER in collaborazione con PRANTL (1849-1893), un altro botanico
tedesco, che considera sempre più la ricostruzione dei legami filogenetici intercorrenti tra le diverse specie come sottolineò WETTSTEIN(1863-1931). L'ordinamento sistematico non solo ci permette dunque di classificare facilmente e di reperire
le specie che ci interessano ma anche di mettere in evidenza il grado di parentela esistente tre le diverse piante. E' chiaro
30
che più le piante sono lontane tra loro nel sistema tanto meno sono imparentate e tantomeno sono in grado di avere una
discendenza feconda che in genere rimane all'interno della stessa specie.
15. Goethe comprese che era possibile osservare una transizione di forme (concetto di omologia) dai nomofilli agli
antofilli che dunque dovevano avere una stessa origine (sono tutte foglie) e sono da considerarsi strutture omologhe.
Invece le foglie e i cladodi sono strutture analoghe in quanto svolgono stesse funzioni ma hanno origine diverse.
Ricercare le omologie tra gli esseri viventi, ovvero i rapporti evolutivi, é oggi alla base degli studi filogenetici.
16. E’ vero anche che ancora oggi una particolare attenzione viene rivolta agli organi della riproduzione sessuale in
quanto sono quelli che risentono di meno delle influenze ambientali. In ogni caso occorre utilizzare sempre una pluralità
di caratteri confrontati tra loro per differenziare i vari gruppi sistematici e definire l’appartenenza di quell’essere vivente
a questo o quel taxon. Infatti, più sistemi di analisi vengono presi in considerazione e maggiore é la precisione nell’individuare le relazioni filogenetiche tra le specie.
17. Gli esseri viventi possono essere ordinati tenendo presente la loro morfologia o altri principi. Il riconoscimento di
una specie in natura permette di passare alla descrizione della stessa osservando il maggior numero di individui e poi
confrontando i dati ottenuti con quanto riportato in erbari o pubblicazioni. Volendo approfondire la questione, alle osservazioni generali di tipo morfologico, ancorché affiancate da dati misurati, si devono aggiungere considerazioni su bagaglio genetico, ecologia, fenologia, comportamento e distribuzione, per giungere all'immagine globale della specie.
Va da sé che i nomi possono cambiare perché o la pianta é stata identificata non correttamente in origine e il primo
nome corretto pubblicato é quello che viene proposto, oppure perché il genere é variato in base alle nuove conoscenze
botaniche, oppure si é scoperto che lo stesso nome indicava due piante differenti. In definitiva nel momento attuale possiamo solo verificare se la specie esiste in un certo territorio e se é distinta rispetto alle altre specie vicine. Tralasciando
ogni giudizio sulla validità di una specie che ha solo valore relativo ed é funzionale alla ricerca svolta.
Attualmente la sistematica biologica é interessata da nuovi indirizzi di studi a livello molecolare e da una revisione e
un completamento delle idee di Darwin (neodarwinismo). Il sistema di classificazione neodarwiniano si propone di evidenziare i rapporti che consentono di ricostruire le derivazioni filogenetiche tra i vari taxa. E’ così ormai largamente
accettata, tra gli esseri viventi, la divisione tra Procarioti (con nucleo non circondato da membrana) ed Eucarioti (con
nucleo circondato da membrana). Ai primi appartengono gli archibatteri e gli eubatteri, ai secondi le alghe, i funghi, le
piante e gli animali.
18. Le categorie gerarchiche sono dette taxa e la loro denominazione viene basata sulla nomenclatura binaria. Ogni
gruppo sistematico di individui costituisce un taxon (plurale taxa): il genere é un taxon, la famiglia é un taxon, la specie é
un taxon. Ogni specie, sulla base delle affinità filogenetiche, é inserita in un genere, questo nella famiglia e così via fino al
Regno. Il termine TAXON é stato accettato al VII convegno internazionale di botanica di Stoccarda (1950) per indicare un
gruppo sistematico di qualsiasi entità definendo, contemporaneamente, le desinenze da dare ad ogni gruppo per indicare il rango del taxon:
le divisioni o stipiti -phyta, le classi -opsida, gli ordini -ales e le famiglie -aceae.
I nomi scientifici di ogni Taxon (ad esclusione di Genere e specie) seguono norme stabilite da un codice internazionale di nomenclatura botanica che viene aggiornato ogni 6 anni (per le piante coltivate si segue uno specifico codice internazionale di nomenclatura). Il recente codice internazionale di nomenclatura botanica (Tokio Code, 1994) riporta che per
designare categorie di ordine superiore al genere si deve fare riferimento al genere che caratterizza il taxon stesso. La
famiglia, ad esempio, viene indicata sulla base del genere più importante ivi presente e non più su basi morfologiche:
così le compositae il cui nome di riferisce al carattere morfologico “capolino” sono oggi più propriamente dette asteraceae
dalla specie più rappresentativa. Così Rosa dà il nome alla famiglia delle rosaceae, all’ordine delle rosales, ecc. La nomenclatura più specifica é fissata sempre dai congressi internazionali di botanica e periodicamente si fa la revisione dei nomi
accettando nell'uso quello dato dall'autore che ha descrittto per primo la pianta. Per tale motivo al nome scientifico segue
l'abbreviazione del nome dello studioso e abitualmente si riporta nei saggi una lista di sinonimi per i nomi non più utilizzati.
Il codice internazionale di nomenclatura botanica stabilisce regole precise per la descrizione e la denominazione
dei taxa vegetali e per l’accettazione di nuovi taxa é necessaria una descrizione in latino (diagnosi) e una pubblicazione effettiva. Tuttavia permane una certa confusione perché c’é una continua disparità di vedute tra i botanici. Le denominazioni dei diversi taxa, la loro ampiezza e la composizione variano da autore ad autore, tanto che si tende a scrivere
anche il nome dell’autore che ha proposto quel dato taxon per primo. La confusione é notevole sopratutto quando se ne
vuole fare un uso didattico, così occorre comprendere che le Dicotyledones e le Monocotyledones del Syllabus di ENGLER
(196412) sono le Magnoliatae e le Liliatae del TAKHTAJAN (1973) e corrispondono alle Magnoliopsida e alle Liliopsida del
CRONQUIST (1992), rispettivamente.
19. Le piante che hanno caratteri analoghi sono comprese nella stessa specie (o nella stessa sottospecie quando si
hanno modeste variazioni della forma tipica). Le specie che concordano nella maggior parte dei caratteri (e sulla base
delle affinità filogenetiche) sono riunite nel genere; più generi simili sono riuniti in una famiglia, più famiglie formano
31
un ordine, più ordini una classe, più classi si raggruppano in divisioni e queste costituiscono i regni. Il sistema gerarchico utilizzato é vincolato alle nostre attuali conoscenze (connesse alla capacità di indagine sulle affinità delle piante).
Viene valutato il grado di affinità (dai rapporti filogenetici) e il grado di somiglianza (dalla coincidenza di diversi caratteri). La categoria (taxon) "specie" viene attribuita alla più piccola unità di gruppo di individui riconosciuta come tale
(comunità ereditaria) e che si distingue da tutte le altre unità in base a caratteri costanti, ereditari e di isolamento riproduttivo. La specie é l’insieme degli individui che formano popolazioni geneticamente simili tra loro (Stebbing in Gerola
F.M., 1996). A livello delle specie si diramano, infatti, le linee evolutive tra le diverse comunità. Quando due popolazioni
di origine comune hanno raggiunto un certo grado di divergenza (per cui gli individui che vi appartengono sulla base
dei caratteri che manifestano possono essere riconosciuti come facenti parte dell'una o dell'altra popolazione), si possono
considerare appartenenti a due specie distinte. I vegetali possono essere classificati o secondo un rapporto anatomico che
ne caratterizzi la filogenesi oppure attraverso un’indagine sierodiagnostica sulla specificità delle albumine e di alcune
reazioni (composizione della parete cellulare e biosintesi della cellulosa, sequenze nucleotidiche degli acidi nucleici, presenza di specifici enzimi, ad esempio) per comprenderne l’appartenenza a specifici taxon. Il metabolismo e la struttura
della pianta, ai fini sistematici, non hanno valore assoluto se non sono collegati a più indagini prima di dare una risposta
attendibile.
20. La nomenclatura usata nella sistematica delle scienze naturali ha un suo linguaggio impostato in modo da rendere univoca l’identificazione di una specie. Alla base della nomenclatura botanica vi sono delle regole elaborate da Linneo
che sono state poi via via aggiornate e perfezionate nei congressi internazionali di botanica e che vengono accettate in
tutto il mondo. In questo sistema Quercus cerris (cerro), Quercus ilex (leccio), Quercus petraea (rovere) sono tre specie diverse individuate da aggettivi diversi e appartenenti al genere Quercus e come tali sono riconosciute in tutto il mondo. Ogni
specie viene designata utilizzando l’intero binomio fatto seguire (nei lavori scientifici) dall’iniziale dell’autore che per
primo ha descritto la specie: Salix babylonica L. e Larix decidua Mill. stanno ad indicare due specie, la prima appartenente
al genere Salix e descritta da Linneo, la seconda appartenente al genere Larix e descritta da Miller.
21. Si intende per varietà un gruppo di piante con una specifica particolarità all’interno della specie, trasmissibile
geneticamente; per forma si designano le deviazioni straordinarie dovute a mutazioni, anche queste trasmissibili geneticamente e per cultivar si designano quelle piante i cui caratteri sono trasmissibili solo con la moltiplicazione vegetativa.
22. Nell’esempio dell’acero napolitano (Acer obtusatum Waldst et Kit ex Willd) secondo FITSCHEN J. (1977), FENAROLI
L. e GAMBI G. (1976) riportano quali sinonimi: Acer opalus Mill., Acer tomentosum Koch, Acer velutinum Boissier, Acer neapolitanum Tenore, Acer aetnense Strobl.
23. Un ulteriore esempio é relativo a Quercus sessilis Ehrh. = Quercus sessiliflora Salisb. = Quercus petraea (Matt.) Liebl.
Liebl. é colui che ha descritto per primo la specie attribuendole il basionimo specifico (petraea), mentre Matt. ha descritto
per primo e assegnata la specie al genere Quercus.
24. Nel momento in cui si descrivono le piante si deve attribuire loro un nome e successivamente ordinare le diverse
specie secondo una certa logica. Raggruppando le foglie in insiemi (a seconda dei caratteri comuni), indipendentemente
dalla variabilità individuale (ad esempio le dimensioni), si effettua una classificazione. Un tale modo di operare riunisce
inizialmente le singole piante in gruppi collettivi di rango sempre elevato entro i quali si possono individuare altri caratteri che permettono una suddivisione in un ‘rango inferiore’. Così le varie specie sono riunite in generi, i vari generi in
famiglie, ecc. Ricordo che la guida alle osservazioni (chiave dicotomica) é stata ideata da LAMARCK.
32
2. NEL MONDO DELLE PIANTE LEGNOSE
“Così parla un albero: in me è celato un seme, una scintilla, un pensiero, io sono vita della vita
eterna. Unico è l’esperimento che la madre perenne ha tentato con me, unica la mia forma e la venatura della mia pelle, unico è il più piccolo gioco di foglie delle mie fronde e la più piccola cicatrice della
mia corteccia. Il mio compito è quello di dar forma e rivelare l’eterno nella sua marcata unicità.”
(H. Hesse, 1877-1962) (Alberi, 1919)
2.1. ALBERI E ARBUSTI.
Le piante superiori conosciute ammontano a circa 262.000 specie (300.000 per
alcuni autori come Harrison H.J., 1979) e sono circa 6.000 le specie della flora italiana che giocano un ruolo determinante nel caratterizzare il nostro paesaggio
(Pignatti S., 1982); di queste circa 500 sono specie arbustive e arboree. (1)
Le piante superiori sono differenziate, da un punto di vista embriologico,
morfologico e funzionale in tre organi fondamentali: radice, fusto e foglie. A un
complesso così strutturato viene dato il nome di “cormo” e all’insieme delle piante
che lo posseggono viene dato il nome di cormofite. (2)
Empiricamente parlando le piante superiori si possono distinguere in legnose ed
erbacee sulla base di caratteri morfologici assai semplici quali il grado di lignificazione del fusto, la consistenza dello stesso e il modo diverso di superare il periodo
di aridità. Le piante erbacee sono sempre non lignificate (escludendo i bambù), con
diametro modesto (escludendo i banani) e comprendono prevalentemente piante
annuali o biennali. Le piante legnose hanno fusto lignificato che può raggiungere
notevoli dimensioni sia in altezza che in diametro e comprendono solo piante longeve. Il campo delle indagini può essere ulteriormente ristretto, valutando, nell'ambito delle specie legnose, se la specie è un albero, un arbusto (o frutice) o un suffrutice
(tav.1.) e individuando poi, sia sulla base delle caratteristiche morfologiche delle
foglie, degli pseudofrutti o dei frutti, se appartiene alle "CONIFERE" (portatrici di
coni) oppure alle "LATIFOGLIE" (dalle foglie espanse) che corrispondono alle gimnosperme e alle angiosperme, rispettivamente. (3)
La parte aerea di tali piante legnose é costituita dalle foglie e dal fusto, quest’ultimo con funzione di collegamento tra quelle e le radici. Le piante legnose posseggono un accrescimento primario dato dal meristema apicale (responsabile dello sviluppo in altezza) e un accrescimento secondario dato dal cambio cribro-vascolare
(responsabile dell'accrescimento in diametro). Le parti giovani delle piante sono
rivestite dall’epidermide che é di origine primaria, ma le piante adulte sono caratterizzati da tessuti tegumentali di origine secondaria sulle cui pareti cellulari si é
depositata la suberina, un composto impermeabile ai liquidi e ai gas. Tale strato
impermeabile protegge il fusto dalla perdita di acqua e permette la sopravvivenza
della pianta che ricrea al suo interno l’ambiente ricco di acqua in cui era vissuta
prima della conquista della terraferma..
La diffusione della specie viene affidata al seme. Per tale motivo tali piante sono
state designate con il termine di Spermatofite. Il seme é una struttura che permette la
sopravvivenza dell'embrione (sporofito giovane), al suo interno, finché le condizioni ambientali non sono tali da permetterne l'accrescimento e la germinazione che
darà origine allo sporofito adulto. (4) Le piante superiori sono nella quasi totalità
35
Dal greco
κορµος = ceppo
e φυτον = pianta.
Dal latino arbor = albero,
arbustus che deriva da
arbor=piccolo albero;
frutex=arbusto e
subfrutex=sottoarbusto.
Dal greco σπερµα = seme
e φυτον = pianta.
Chioma
Rami
Tronco o fusto
Piede
Picale
Colletto
Radici
ALBERO
ALBERO
FRUTICE
FRUTICE
SUFFRUTICE
SUFFRUTICE
Tavola 1. Caratteri distintivi di Alberi, frutici e suffrutici.
Le piante con fusto legnoso vengono suddivise in alberi (come il tiglio), frutici (come il mirto) e suffrutici (come la salvia). Gli
alberi posseggono un caule (tronco) ramificato a partire da una certa altezza, gli arbusti possono essere ramificati fin dal livello
del suolo e posseggono più tronchi che si dipartono da un unico ceppo (sono i frutici), oppure posseggono oltre alle radici, un
breve tratto di fusto lignificato, mentre gli ultimi internodi dei rami rimangono erbacei e si rinnovano annualmente (sono i
suffrutici). Lo schema tradizionale descritto che vede le piante morfologicamente divise in radici, fusto e foglie, ha un suo
riscontro negli alberi e negli arbusti ma non é sempre evidente per le piante erbacee nelle quali può mancare una parte (cfr
Lemna sp., una piccola pianta acquatica in cui le radici si innestano sulle foglie). D’altro canto il mondo delle piante é colmo di
sorprese, strategie di sopravvivenza, gusto estetico e mostruosità con strutture atipiche di difficile definizione, se normalità o
anomalie.
Dal greco φως = luce.
Dal greco
γυµνος = nudo,
αγγειον = vaso
e σπερµα = seme.
Dal latino
conifer = che produce
frutti conici, derivato
da conus = cono
e ferre = portare,
derivati a loro volta
dal greco κωνος = cono
e φερω = portare.
dei casi fotoautotrofe, in grado di utilizzare la luce solare quale fonte energetica, per
sintetizzare dalle molecole d’acqua e d’anidride carbonica, zuccheri.
Per quanto riguarda un inquadramento generale, comunemente parlando,
anche se non corrispondono più a unità sistematiche riconosciute, gli alberi, i frutici
(arbusti) e i suffrutici sono Fanerogame e si suddividono in GIMNOSPERME e
ANGIOSPERME. (tav. 2.) (5)
1.1. Le Gimnosperme sono attualmente definite più propriamente con il termine PINOPHYTA.
Si tratta di un gruppo di piante legnose a lenta crescita (50 generi e 500 specie),
prevalentemente arboree (in condizioni climatiche particolarmente fredde possono
trovarsi anche sotto forma arbustiva) che producono semi nudi derivati da gameti
femminili contenuti in ovuli posti sulla superficie di foglie modificate legnose con
funzione protettiva. I semi sono appoggiati su strutture dette "pigne" o “coni” che
possono esere legnose come i "galbuli" dei cipressi (Cupressus spp) o carnose come le
“coccole”dei ginepri (Juniperus spp) con rare eccezioni come gli “arilli” del tasso
(Taxus baccata) in cui l’involucro che avvolge il seme é carnoso e colorato. Negli organi riproduttori maschili le squame portano sulla faccia dorsale le sacche ripiene di
granuli pollinici e, in quelli femminili, le squame portano sulla faccia ventrale gli
ovuli. Il trasporto del polline é prevalentemente affidato al vento (anemofilia) facilitato, in molte specie, dalla presenza di una espansione alare più o meno ampia (tav. 3.).
36
Struttura Gimnosperma
Struttura Angiosperma dicotiledone
Struttura Angiosperma monocotiledone
Tavola 2. Caratteri distintivi tra Gimnosperme e Angiosperme arboree.
Le gimnosperme hanno molti cotiledoni e foglie prevalentemente rigide. Hanno accrescimento laterale e una radice principale
da cui si dipartono radici secondarie. Le dicotiledoni posseggono due o più cotiledoni, fiori a verticilli prevalentemente pentameri (o anche tetrameri), foglie prevalentemente con picciolo e nervature retinervie. Anche loro hanno accrescimento laterale e
una radice principale da cui si dipartono radici secondarie. Le monocotiledoni sono caratterizzate invece da un unico cotiledone, da fiori a verticilli trimeri, foglie guainanti e avviluppanti il fusto, e nervature che decorrono parallele. Non hanno in genere accrescimento laterale con rare eccezioni (Dracaena sp. ha un accrescimento in larghezza dovuto a uno strato di cellule che
“apre” i fasci cribo-vascolari producendo cribo e legno) e hanno numerose radici avventizie.
Taxus baccata
(29 µ)
Fagus sylvatica
(48 µ)
Populus tremula
(29 µ)
Alnus glutinosa
(29 µ)
Pinus sylvestris
(55 µ)
Carpinus betulus
(37 µ)
Quercus petraea Acer pseudoplatanus
(34-35 µ)
(39 µ)
Pinus cembra
(72 µ)
Picea abies
(68-130 µ)
µ (micron) = 1 millesimo di millimetro
Tavola 3. Pollini.
Il polline contiene i gameti che sono deputati alla fecondazione dell’ovocellula. Ogni specie vegetale ha un suo polline con
caratteristiche tali che ne permettono la determinazione. È spesso dotato di sacche aerifere che ne facilitano il trasporto tramite
il vento di modo che si diffonde anche molto lontano dall’area in cui vive l’albero. La loro strutura esterna é molto resistente (é
costituita da sporopollenina) e permette ai pollini di conservarsi per lunghissimi periodi.
37
Dal greco πτερις = felce
e φυτον = pianta.
Ovuli e granuli pollinici sono sempre portati da strobili (coni) diversi che possono essere presenti sullo stesso individuo (pianta monoica) (Abies alba) oppure su
due individui diversi (piante dioiche) (Taxus baccata). (6)
La storia delle conifere risale al carbonifero superiore (circa 290 milioni di anni fa)
che per tale motivo viene chiamato “era delle Gimnosperme”. Le preconifere con
accrescimento secondario e foglie aghiformi si sono originate nel permiano, un periodo dell'era paleozoica (durato circa 38 milioni di anni, caratterizzati da una riduzione
dell'umidità atmosferica, da una aridità climatica e da freddo intenso). Durante tale
periodo avvenne l'estinzione delle grandi pteridofite arboree e la differenziazione e diffusione delle gimnosperme che furono le prime piante in grado di sintetizzare la
suberina. Le gimnosperme hanno la loro massima espansione nel giurassico (un
periodo dell’era mesozoica durato circa 63 milioni di anni) e sono da considerarsi per-
PALEOZOICO (350)
MESOZOICO (150)
Piante vascolari
senza semi
Olocene
Licophyta
Sphenophyta
Pterophyta
NEOZOICO (2)
Pleistocene
Bryophyta
Psilophyta
CENOZOICO (68)
Pliocene
Miocene
Oligocene
Eocene
Pallocene
Cambriano Ordoviciano Siluriano Devoniano Carbonifero Permiano Triassico Giurassico Cretaceo
Pteridospermophyta
Taxodiales
Ginkgophyta
Conipherophyta
Gimnosperme
Cycadales
Gnetophyta
Angiosperme
Magnoliophyta
Tavola 4. Schema dell’evoluzione delle piante.
Nel triassico si diffondono le taxaceae e le auracaraceae; nel giurassico, favorite dal clima più secco, si diffondono le coniferophyta, nel cretaceo le ginkgophyta. È invece a partire dal cretaceo superiore che si diffondono le angiosperme. Nelle zone a
clima continentale secco, lontano dalle paludi, sono le gimnosperme a prendere il sopravvento sulle pteridofite in quanto la
loro riproduzione é svincolata dall’acqua: il fusto protegge il passaggio dell’acqua verso le foglie e queste sono rivestite di cutina che riduce l’evapotraspirazione. La nomenclatura é secondo TAYLOR ed EMBERGER in GEROLA (1996). (I tempi delle ere
sono espressi in milioni di anni.)
tanto le spermatofite più antiche. Solo nel successivo Cretaceo con l’esplosione delle
Angiosperme inizierà il rapido declino delle Gimnosperme di cui molte specie scompariranno durante le fasi glaciali e interglaciali del quaternario e conseguenti oscillazioni climatiche. (tav.4)
1.2. Le angiosperme sono oggi dette MAGNOLIOPHYTA e sono piante in cui il
gamete femminile é contenuto in un ovulo racchiuso in una particolare struttura del
fiore detta ovario. Sono le piante a fiore per antonomasia. (7)
Dall’Eocene le angiosperme diventano il gruppo di piante dominante. Le angiosperme arboree iniziano a predominare a partire dal cretaceo e quando, dal giurassico, il clima diviene più arido con un progressivo raffreddamento (solo verso la fine
38
dell'era cenozoica) si evolvono piante con ciclo vitale breve. Dall'oligocene (durato
14 milioni di anni) inizia, infatti, lo sviluppo delle spermatofite erbacee caratterizzate
dal solo accrescimento primario. Da queste, attraverso radiazione adattativa, si é
ancora ritornati a piante legnose perenni e con accrescimento secondario.(8)
I fiori possono essere sia ermafroditi (¢ ) (Pyrus communis) che unisessuati (¢) ( )
portati da un unico individuo (pianta monoica) (Corylus avellana) o da due individui
distinti (pianta dioica) (Salix sp.). In alcuni casi sono presenti sulla medesima pianta sia
fiori unisessuali maschili e femminili sia fiori ermafroditi (Platanus sp.). Dopo la fecondazione l'ovulo si trasforma in seme e l'ovario in frutto con la funzione di proteggere il
seme e favorirne la disseminazione. Sono suddivise in due classi che corrispondono a
quelle definite dal numero delle foglioline embrionali o cotiledoni presenti nel seme:
£
£
-MAGNOLIOPSIDA (Dicotiledoni) con due cotiledoni (comprendono alberi,
arbusti, suffrutici ed erbe). I fiori sono generalmente a 4-5 petali o loro multipli;
sono cioé tetrameri o pentameri (hanno 4 o 5 elementi inseriti ad ogni verticillo del
perianzio). Le foglie sono generalmente costituite da un picciolo e da una lamina
che é percorsa da una nervatura per lo più pennata o retinervia con una fitta rete di
intersezioni (anastomosi) tra le nervature secondarie. In prevalenza posseggono un
accrescimento secondario che segue quello primario. La maggior parte delle spermatofite sono dicotiledoni: circa 170.000 specie.
Dal greco ανϑος = fiore
e φυτον = pianta.
Dal greco
κοτυληδων = cotiledoni.
-LILIOPSIDA (Monocotildoni) hanno un solo cotiledone, sono prevalentemente
erbacee (tranne Yucca, Dracena e Palme); i fiori sono costituiti in genere da 3 pezzi
fiorali o multipli (hanno 3 + 3 tepali, 3 + 3 stami, 3 carpelli); le foglie in genere non
sono suddivise in lamina e picciolo, sono parallelinervie e di forma lanceolata.
Hanno prevalentemente solo un accrescimento primario. Le monocotiledoni comprendono circa 60.000 specie.
2.2. RICONOSCERE LA MORFOLOGIA.
Per potere riconoscere gli elementi che saranno utilizzati nella chiave dicotomica
occorre avere un'idea del significato dei diversi termini scientifici usati per designare la morfologia della pianta e avere chiaro il loro disegno. La morfologia individua i
caratteri con cui la pianta si presenta nell’ambiente. L’osservazione procederà dal
generale al particolare interessandoci principalmente di organi (come le foglie) o
sistemi di organi (come le gemme), valutandone forma e distribuzione nello spazio
attraverso l’osservazione ad occhio nudo o al massimo con una lente d’ingrandimento e comunque solo di ciò che si vede libero e a portata di mano. In linea di
massima le osservazioni della forma delle foglie e della loro distribuzione lungo il
ramo permettono di determinare le diverse specie di alberi, ma alcune volte è
necessario utilizzare ulteriori informazioni. Nelle tavole allegate si fa riferimento al
portamento, al tronco, alle gemme, alle foglie, ai frutti o agli pseudofrutti. Occorre
ricordarsi che i caratteri tipici delle famiglie, dei generi e delle specie non si ripetono in modo assoluto e uniforme in tutti gli individui, per cui solo l'esperienza permetterà di distinguere tra tutti i caratteri osservati quelli reputati tipici di una specie piuttosto che di un'altra (variabilità individuale). Si tenga presente inoltre che
alla variabilità esistente tra diversi individui si aggiunge quella esistente tra le
diverse zone della stessa pianta. Risulta dunque importante un’osservazione diffusa per individuare i caratteri medi su cui effettuare le proprie rilevazioni.
Da tale generale suddivisione si approfondiranno via via le osservazioni indagando, nei particolari su:
39
Dal greco
µορφη = forma
e λογος = discorso.
Dal greco
επι = sopra
e δερµα = pelle.
Dal latino cuticula
diminutivo di
cutis = pelle.
a. L’epidermide.
Le foglie, i frutti, i rami giovani, i fiori e i fusti erbacei sono rivestiti da un'epidermide, un tessuto adulto primario formato da cellule vive, con funzione di protezione degli strati più interni dalle infezioni, dai danni meccanici, dalle radiazioni
pericolose e di difesa contro un’eccessiva perdita d’acqua. (9) A tal fine le pareti cellulari dell’epidermide sono impregnate di cutina e di cuticola spesso associata a
cere. La superficie dell’epidermide può divenire uno degli elementi diagnostici utili
per riconoscere le diverse specie, utilizzando il tatto. (tav. 5.)
Liscia
Scabra
Pelosa
Coriacea
Tavola 5.
Superficie
dell’epidermide.
Dal greco
στοµα = bocca
e τριχωµα derivato da
δριξ = pelo.
Pruinosa e coriacea
L’epidermide é costituita da specifiche cellule epidermiche e da cellule specializzate (stomi e tricomi). Tralasciando gli stomi presenti generalmente nella superficie
inferiore della foglia e la cui apertura rappresenta il collegamento tra ambiente
esterno agli organi della pianta e i suoi strati più interni, osserviamo i peli. I peli o
tricomi possono essere situati sia sulla pagina superiore della foglia (servono per
rinfrangere la luce e quindi limitare l'irradiazione intensa che potrebbe compromettere la funzionalità della clorofilla), sia sulla pagina inferiore (creano uno strato di
aria che saturandosi di vapore acqueo limita la traspirazione, evitando, inoltre la
dispersione di calore). I peli possono essere di forme diverse: stellato nel tiglio
argentato (Tilia petiolaris), a scudo nell'olivo (Olea europaea), semplice nel tiglio
comune (Tilia platyphyllos) o ghiandolare (Lonicera periclymenum). (tav. 6.) (10)
Bifido
Stellare
Gliandolare
Appuntito
Scutato
Tavola 6. Tricomi.
b. Le gemme.
All’apice del fusto é posta una o più gemme (gemma apicale), cosiccome all’ascella delle foglie (gemma ascellare). Le gemme sono gli apici vegetativi preformati
costituiti da meristema, bozze fogliari, bozze fiorali e primordi dei rami (all'ascella
delle bozze fogliari), e danno origine ad un germoglio in via di sviluppo. I primordi
40
dei rami sviluppandosi originano gemme laterali o ascellari. Le gemme solitamente
vengono classificate in base alla loro posizione (gemme terminali, gemme laterali,
opposte, alterne, distiche), in base al loro contenuto (gemme vegetative, gemme fiorifere, gemme miste) o alla loro attività (gemme dormienti).
Le gemme possono essere nude come nel sambuco (Sambucus nigra) oppure ricoperte da foglioline squamiformi modificate dette perule, come nel carpino (Carpinus
betulus). Possono essere evidenti o anche nascoste dal picciolo della foglia (Robinia
pseudacacia). La loro posizione lungo il ramo, la loro forma, (rotondeggianti in
Fraxinus, fusiformi in Fagus, conica in Platanus, ovoidale in Rhamnus, angolare in
Quercus), le dimensioni (grandi come in Aesculus o piccolissime come in Crataegus),
il colore, l’odore, la presenza di peli (Quercus pubescens), stipole o lacinie (Fagus sylvatica) o resine (Pinus spp.) ed essudati più o meno appiccicosi (Alnus glutinosa), se
sono sessili o meno, se sono appressate o divergenti dal ramo, il numero e la forma
delle perule (o se queste sono +/- combacianti), sono altrettanti elementi da prendere in considerazione per distinguere una specie dall'altra soprattutto durante il
periodo invernale. (tav. 7.) L’osservazione va fatta su diversi rametti giovani (non
Le gemme
si
presentano:
Gemme ascellari
gemma nascosta
Platanus x acerifolia
gemma patente
gemma rotonda
Aesculus
Hippocastanum
Fraxinus
excelsior
gemma
ascellante
gemma
appressata al ramo
Alianthus altissima
Salix alba
gemma obliqua
affusolata
gemma
nuda
gemma
con spine
Fagus sylvatica
Rhamnus frangula
Berberis vulgaris
nuda
con una perula
gemma
su picciolo
Alnus incana
gemma
costoluta
Quercus
Gemme apicali
con due perule
con più perule
gemma
conica su
brachiblasto
Sorbus aria
gemme
addossate
Pyrus
communis
gemme
avvolte
da stipole
Quercus cerris
gemma
ovoidale
Populus
canescens
gemme
vicine
Fraxinus
excelsior
gemma
conica a punte
reflesse
Pinus pinea
Tavola 7. Caratteri delle gemme.
L’apice del germoglio con i tessuti meristematici, durante il periodo di dormienza della pianta é protetto dal freddo, dalla disisdratazione e dall’attacco degli insetti, in una gemma. Le gemme in fase di riposo sono povere d’acqua e ricche di soluzioni concentrate di zuccheri che funzionano come un anticongelante. Le gemme sono nude quando il germoglio termina di accrescersi e sono le
giovani foglie (profilli) a funzionare da gemme che si distenderanno a formare i nuovi nomofilli (Viburnum sp.); le gemme sono
in genere coperte da foglie squamiformi (perule) come in Aesculus spp. e avvolte da stipole come in Fagus sp., da peli semplici
o ghiandolari, dalla base del picciolo come in Platanus spp., da cere, resine o da cellule parenchimatiche. Esse possono suddividersi, per una facile determinazione in: gemme su rami spinosi, gemme su rami rampicanti, gemme su rami; gemme opposte,
gemme alterne, gemme distiche, gemme ovoidali, gemme coniche, gemme rotondeggianti, gemme affusolate, gemme costolute.
41
sui polloni) esposti al sole.
c. Il germoglio.
Il sistema caulinare di una pianta (fusto e foglie) viene designato con il nome di
germoglio. (tav. 8) L’attività meristematica dell’apice del germoglio inizia con la
comparsa di un primordio fogliare nel quale la divisione cellulare di meristemi specifici origina la forma della foglia propria per quella specie. Nel frattempo l’apice
del fusto si allunga grazie all’attività cellulare e si delinea la fillotassi (disposizione
delle foglie lungo il fusto) propria della specie. In realtà nelle piante legnose si possono avere più fillotassi (e forme fogliari diverse da quelle adulte) in funzione dell’età del germoglio e in funzione della sua ortotropia o plagiotropia (A.D.Bell, 1993).
Ovvero vi é un cambiamento di morfologia della pianta nel tempo nell’ambito di
una serie continua che va dalla germinazione alla morte: plantula, stadio giovanile,
stadio immaturo, stadio verginale, stadio riproduttivo, stadio subsenile e stadio
senile, che rimangono indipendenti dall’età assoluta della pianta e sono piuttosto
determinati dalle condizioni ambientali in cui essa vive (Barthélémy D., Edelin C.,
Hallé F., 1989). Inoltre c’é da ricordare che se il meristema apicale funziona indefinitivamente; avviene il continuo allungamento del germoglio con una crescita di tipo
monopodiale, se viceversa il meristema apicale ad un certo momento cessa di fun-
- primordio fogliare
Gemma principale
- apice del germoglio
Gemma laterale
o ascellare
Foglia
G
Fusto
Tessuto vascolare
Cambio
Periciclo
Radice laterale
R
Radice principale
Apice radicale
Cuffia
Tavola 8. Sezione schematica di un germoglio di dicotiledone.
L’embrione che si sviluppa dallo zigote, dopo la fecondazione, é costituito da cellule in continua divisione. Sviluppandosi l’embrione, la crescita per divisione delle cellule rimane limitata agli apici del germoglio e agli apici radicali, dove cellule che mantengono la capacità di dividersi costituiscono il tessuto meristematico primario. Per conseguenza si ha un aumento di dimensioni in senso longitudinale. I meristemi apicali del germoglio, sia principali che laterali, formano anche gli abbozzi, o primordi
delle foglie e dei rami, e dei fiori. Essi costituiscono le gemme delle piante. I nomofilli, i petali, i sepali prendono tutti origine
dai primordi fogliari equivalenti presenti sui primordi del germoglio e sono, pertanto, strutture omologhe. La parte prossimale
del germoglio, prima del profillo (la prima foglia del fusto) é detta ipopodio. Altri tessuti adulti acquisiscono, dopo un certo
tempo, la capacità di riprodursi e sono detti meristemi secondari, come il fellogeno (o cambio del sughero) e il cambio propriamente detto che genera libro e legno. In questo caso si ha un aumento di dimensioni in senso radiale.
42
zionare e prende il sopravvento il meristema ascellare, avremo una crescita di tipo
simpodiale. Ai fini del presente lavoro, per finalità didattiche, definiremo germoglio
la struttura fusto-foglie-gemma apicale cresciuta nell’anno e ancora di consistenza
erbacea, sia essa derivata da una gemma apicale o ascellare. Un cercine di cicatrici
lasciate dalle perule che coprivano la gemma apicale dell'anno precedente indica l'inizio del getto di ciascun anno e ci permette di individuare i rami dell’anno (di
colore prevalentemente verde), i rami di un anno, di due anni, ecc. (tav. 9).
d- Rami e tronco.
Il fusto o caule rappresenta la parte assile del germoglio, ha le funzioni di sostenere i rami e le foglie e permettere loro di ‘conquistare’ uno spazio verso la luce;
garantisce inoltre il trasporto dei liquidi necessari alla pianta per vivere e funziona
anche come organo di riserva. E’ costituito da tubi (tracheidi e trachee), definiti con
il termine di “legno”, che permettono il flusso dell'acqua con i sali minerali dalle
radici alle foglie e da altre cellule specializzare (i cribri) che viceversa permettono la
distribuzione dell’acqua con le sostanze organiche elaborate a seguito della fotosin-
Gemma apicale
Perule (foglie modificate
che avvolgono le gemme)
Lenticelle
Rametto di un anno
Nodo
Gemma ascellare
Cercine lasciato dal
picciolo della foglia caduta
Internodo
Cicatrice ad anello della gemma apicale
che ha formato il rametto di un anno
Nodo
da Spinelli, 1989
Ramo di due anni
Ramo di tre anni
Tavola 9. Aspetto invernale di un ramo. Età, direzione e crescita dei germogli.
Le zone di accrescimento sono dette meristemi. I meristemi primari sono posti all’apice del germoglio che viene protetto nei
periodi di riposo da squame organizzate in una struttura detta gemma.
La gemma apicale racchiude gli abbozzi delle foglie (dei fiori) e dei meristemi apicali. Le perule cadendo lasceranno un cercine e
la distanza tra due successive cicatrici permette di comprendere la crescita del rametto durante un anno e individuare l’età dei
rametti a partire dal germoglio apicale. Le piante sono costituite da unità strutturali ripetitive influenzate dall’ambiente. Una
unità strutturale é costituita da un internodo e da un nodo con gemma e foglia (fitomero). La sua crescita avviene secondo una
simmetria definita geneticamente. Con il termine di profillo si indicano le prime foglie del primo nodo di un ramo (o del germoglio).
L’accrescimento può essere proleptico (ritmico con una fase di riposo stagionale e produzione di gemme) e silleptico (continuo
nel tempo senza riposo e senza gemme)(secondo le definizioni riportate in Bell A.D.,1993). Al cune volte si può osservare la
presenza di un germoglio direttamente dal tronco per risveglio di una gemma dormiente (si parla in tal caso, secondo la dizione della scuola americana, di reiterazione proleptica). Quando sul tronco si formano fasci di germogli si parla di ramificazione
epicornica per la presenza di gemme avventizie di origine endogena o di gemme preventizie di origine superficiale. La caulifloria si ha quando si formano fiori sul tronco o sui rami.
43
tesi, dalle foglie a tutte le altre parti della pianta. Il fusto é costituito inoltre anche
da altre strutture con funzione di sostegno, protezione e accrecimento. I “vasi
legnosi”(il legno) si accrescono annualmente in cerchi concentrici influenzati dall’andamento stagionale e sono visibili tagliando il tronco. (tav. 10.) (11)
Il portamento è il carattere più appariscente dell’albero e rappresenta la forma
che lo stesso ha acquisito durante il suo sviluppo e la sua crescita: ne sono esempi i
rami penduli del salice piangente (Salix babylonica), la forma conica dell'abete rosso
(Picea abies), la chioma a ombrello del pino da pinoli (Pinus pinea) o la chioma emisferica del faggio. Il portamento dell’albero é influenzato ovviamente da fattori
genetici che condizionano l’assetto delle ramificazioni: simpodiale o monopodiale.
(tav. 11.) Tuttavia è bene chiarire che il portamento (o se si vuole, la silhouette) non
Legno
1910
1930
1950
1970
1982
Libro
Tavola 10. Anelli annuali.
Nei climi freddi e temperati la crescita dell’albero é scandita dal ritmo delle stagioni: si arresta nella stagione fredda e riprende
in primavera allorché la temperatura é più mite. Ogni anno si forma un anello di cellule più o meno consistente a seconda delle
condizioni ambientali. In alcune specie come le conifere e molte latifoglie é evidente, mentre per altre (betulle, agrifogli, tigli) é
meno visibile. Ad ogni anello di accrescimento del legno corrisponde in genere un anno di vita dell’albero per cui conteggiando
attentamente tutti gli anelli anuali, si può risalire alla sua età. E possibile in tale maniera confrontare anche gli anelli di diverse piante e riavere una datazione a ritroso nel tempo partendo dalla data certa di un campione di legno. Dall’osservazione dendrologica é poi possibile ricostruire le condizioni climatiche di ogni anno e il periodo in cui si sono verificate. In annate più piovose, infatti, si riscontrano cerchi più chiari e larghi (perché si sviluppano molto); anni meno adatti, più secchi e meno piovosi
hanno invece anelli più stretti e più scuri. Ciascun anello é costituito da un settore interno piùchiaro formato da cellule grandi
e con parete cellulare sottile (legno primaverile) e da una parte più esterna scura formata da cellule più piccole a parete più
spessa (legno autunnale o di chiusura). Ad ogni anello scuro e chiaro corrisponde un anno. L’ampiezza dell’anello e la sua
struttura dipendono dall’attività fisiologica dell’albero, dal suo stato di salute, dal clima e dalle condizioni ambientali locali.
Nelle Gimnosperme costituite da legno omoxilo gli elementi conduttori sono a doppia funzione: di trasporto e di sostegno
(fibrotracheidi). Nel legno primaverile prevale la funzione di trasporto e in quello estivo la funzione di sostegno. Nelle dicotiledoni il legno é invece eteroxilo formato da vasi (trachee e tracheidi), fibre e cellule parenchimatiche. In molte specie l’area del
legno vecchio (quella centrale) appare evidente di colore più scuro (duramen) rispetto a quella più esterna (alburno): é il caso
di Robinia, Larix; in altre piante il colore é uniforme come in Salix, Populus, Abies. Il colore scuro del duramen é dovuto al
fatto che il legno é impregnato di vari prodotti (terpeni, tannini, flavonoidi) con azione fungicida.
L’età degli alberi può essere determinata anche dalle loro dimensioni o, nel caso delle conifere, dal numero dei palchi che posseggono (in genere ogni tre anni un palco).
44
(da Rauh, in Krüssmann, 1968)
Accrescimento
simpodiale
(monocasio)
Accrescimento
monopodiale
F
F
Accrescimento
simpodiale
(dicasio)
M
A
S B
I
I
R
R
(da Bell, 1993)
MODELLI
Crescita
indeterminata
Crescita
determinata
Rauh
Leeuwenberg
Troll
monopoidale
Troll
simpodiale
Champagnat
Scarrone
Tavola 11. Crescita del sistema dei germogli.
La forma della chioma é influenzata dalla disposizione dei rami e delle gemme. L’asse principale dell’albero cresce verticalmente e forma rami di primo ordine che origeneranno rami di secondo ordine, e così via. Se i rami laterali di secondo ordine si sviluppano meno di quelli di primo ordine e questi ancor meno dell’asse principale che si accresce indefinitivamente, si parla di
ramificazione di tipo monopodiale (M) essa é tipica delle gimnosperme a portamento piramidale (abete rosso) e di alcune angiosperme (pioppo). Se al contrario i rami laterali crescono più dell’asse principale, tanto da assumerne le veci, si parla di ramificazione simpodiale (S) che é tipica della maggior parte delle angiosperme (tigli). L’accrescimento simpodiale si ha quando l’accrescimento viene proseguito dalla gemma ascellare; ogni unità simpodiale termina con un fiore o una spina o un viticcio.
L’orientamento dei rami può essere plagiotropo se esso si pone orizzontalmente oppure ortotropo se si pone verticalmente. Il
germoglio é ortotropo quando si sviluppa in direzione opposta alla forza di gravità; é invece plagiotropo quando ha uno sviluppo laterale perpendicolare alla forza di gravità. Un ramo ortotropo può essere piegato verso il basso ma tenderà ad avere sempre
uno sviluppo verso l’alto. Si presti attenzione tra ortotropia (rami verticali) e plagiotropia (rami orizzontali) che possono essere
mascherati da un riorientamento dei rami dovuta al peso o a metamorfosi o anche a interventi antropici.
Lo sviluppo dell’albero può anche essere interpretato secondo un modello architettonico,valutando la ripetizione del modello
(reiterazione) e i mutamenti che hanno potuto influenzare i rami (metamorfosi).
HALLÉ e OLDEMAN nel 1978 hanno descritto (e previsto) 23 sequenze di “modelli architettonici arborei” sufficienti per descrivere le specie tropicali e di ambiti più temperati (cfr Bell, 1993) impostando il loro riconoscimento sulla base del fatto che ogni
pianta legnosa é costituita da unità simili che si ripetono nello spazio (moduli). Tra i più evidenti modelli citeremo il modello
di RAUH (tronco monopodiale, rami monopodiali ortotropi e accrescimento ritmico) tipico di Picea abies; il modello di
LEEUWENBERG (tronco e ramificazione simpodiale con due unità simili terminali) come in Euphorbia punicea; il modello di
CHAMPAGNAT (tronco ortotropo simpodiale in cui ogni unità simpodiale si ripiega per azione del proprio peso) come in Salix
babylonica; il modello di TROLL che si può differenziare nel tipo presente in Prunus ssp (tronco e rami plagiotropi su tronco
monopodiale) e nel tipo presente in Platanus spp. (rami e tronco plagiotropi su tronco simpodiale), o il modello di SCARRONE
(tronco monopodiale con rami ortotropi simpodiali e accrescimento ritmico) come in Phellodrendron chinense. In realtà é
abbastanza complesso individuare l’architettura di un certo albero (é difficile capire alle volte la differenza tra monopodio e
simpodio) proprio perché l’ambiente lo condiziona fortemente e poi perché essa può variare a seconda dell’età. Ad esempio in
Arbutus unedo il modello é differente se l’albero cresce in pieno sole (modello di Leeuwenberg) o all’ombra (modello di
Scarrone) e in Acer pseudoplatanus l’albero inizia la crescita secondo il modello di Rauh e lo termina secondo il modello di
Leeuwenberg) (Bell, 1993).
45
sempre offre dati sicuri per la determinazione della specie, in quanto può essere
influenzato e condizionato da un insieme di fattori quali l'età, le condizioni metereologiche e climatiche (luminosità, ventosità, disponibilità d’acqua), le condizioni
pedologiche, l'azione di agenti patogeni, l'azione dell'uomo e degli animali, la vicinanza di altre piante e la variabilità tra gli individui di una stessa specie. (tav. 12.)
Spesso il portamento é modificato da mutazioni che vengono poi riprodotte
vegetativamente dagli orticoltori per un qualche interesse ornamentale. E’ tale il
caso del salice piangente (Salix alba ‘Tristis’) dai rami penduli, del pioppo italico
(Populus nigra ‘Italica’) a forma di cipresso, prediletto da Maria Teresa d’Austria o
colonnare
ovoidale
piramidale
o scalare
ad ombrello
a ripiani
o tabulare
globoso
decombente
fastigiato
Tavola 12. Portamenti degli alberi.
Il portamento degli alberi dipende dal grado di dominanza apicale e dalla sua durata (Longo, 1986). Se la dominanza esercitata
dall’asse principale é forte e dura tutta la vita, per cui i rami laterali sono più devoli, si ha una ramificazione monopodiale altrimenti é simpodiale e può essere a monocasio o a dicasio. Fondamentalmente il portamento é legato alla diversa velocità di crescita dei rami: se la crescita delle ramificazioni é dappertutto eguale si hanno specie ‘decorrenti’ come quelle che assumono portamento globoso o a ripiani, mentre siamo in presenza di specie ‘excurrenti’ quando la crescita della cima é preminente rispetto a
quella dei rami laterali come nelle specie con portamento fastigiato, piramidale o colonnare (Zimmermann, Brown, 1971).
Il fusto può essere eretto (con portamento perpendicolare al suolo), strisciante (quando si appoggia al suolo), rampicante (quando si sostiene con organi atti ad attaccarsi al sostegno), volubile (quando si sostiene avvolgendosi al sostegno).
Ancora si può indagare sullo sviluppo dell’albero: modesto, medio, notevole; sull’andamento più o meno regolare del fusto, sui
caratteri del fusto: lineare o tortuoso. Anche la chioma può essere regolare o irregolare, folta o rada, raccolta o espansa, inserita
su ramificazioni alte oppure su ramificazioni basse. Per portamento colonnare si intende anche quello delle palme che avendo
solo una gemma apicale sono costituite da un ciuffo di foglie poste su un lungo ‘stipite’.
Ago
(da Spinelli, 1989)
Cercine
Ago su
macroblasto
Rametto dell’ anno
Rametto di un anno
Aghi su
brachiblasto
Tavola 13. Eterocladosi (Eteroclasia).
In alcune specie arboree i rametti possono presentare forme differenti come nel larice (Larix decidua). Ci sono rami d’allungamento (i macroblasti) che portano solo foglie e lungo i quali si sviluppano i brachiblasti (rami corti) che portano foglie e sono
spesso coinvolti nella formazione di spine e fiori. I rami possono anche richiamare l’aspetto di foglie composte come nel cipresso
calvo delle paludi (Taxodium distichum) (rami fillomorfici) e cadere a un’alternanza di stagione lasciando cicatrici evidenti
sul tronco.
46
dal faggio contorto (Fagus sylvatica ‘Tortuosa’).
I rami possono essere molto corti (brachiblasti) e portano sovente fiori oltrecché
foglie, e lunghi (macroblasti) che portano solo foglie e brachiblasti. (tav. 13.)
I rametti posseggono colore (chiaro in Viburmum opulus, scuro in Prunus cerasus,
rosso in Cornus sanguinea, verde in Euonymus europaeus, giallo in Populus nigra) e
caratteri morfologici specifici che sono elementi diagostici per facilitare la determinazione delle diverse specie sia osservandoli con cura che tagliandoli obliquamente.
(tav. 14.)
e. La scorza.
Un altro rivestimento é il sughero, un tessuto adulto secondario originato dal
cambio subero-fellodermico o fellogeno. Sulla superficie interna delle cellule parenchimatiche sottoepidermiche (o a volte anche da quelle epidermiche come nel melo)
viene depositata la suberina che le rende impermeabili.
Per permettere gli scambi gassosi tra l’interno e l’esterno della pianta si forma-
Dal greco
βραχυς = breve,
µακρος = esteso
e βλαστος = germe.
Dal greco
φελλος = sughero
e γενης = nato da.
rametti in sezione
midollo morbido
e spugnoso
Sambucus nigra
senza
midollo
Lonicera xylosteum
appiattito
solcato
alato
striato
cilindrico
liscio
quadrangolare
scabro
peloso
scanalato
con lenticelle
suberificato
quadrangolare concavo
lanoso
midollo
alveolare
Juglans regia
midollo
compatto
Castanea sativa
con aculei
bipartito
trigono convesso
con
verruche
trigono concavo
glandoloso con coste
sugherose
Tavola 14. Rametti.
I rametti possono essere interi e lisci oppure variamente scanalati e con ali (pterocaule).
47
con spine
no, in genere, in corrispondenza degli stomi della precedente empidermide, le lenticelle. (12) Le lenticelle sono aperture di forma e grandezza variabile (da frazione di
millimetri a diversi millimetri) nelle diverse specie, ripiene di cellule tondeggianti
con pareti appena suberificate (o non suberificate), con molti spazi intercellulari
(tessuto di riempimento o sughero lasso) in modo da lasciare la possibilità che passi
l’aria necessaria per gli scambi gassosi. Alla fine dell’estate il fellogeno forma uno
strato di sughero (sughero compatto) che chiude la lenticella. Con il successivo
sopraggiungere della buona stagione, il fellogeno forma nuove cellule di riempimento che premendo contro lo strato di cellule suberificate esterne, lo rompe riaprendo così nuovamente la lenticella.
Tutti i tessuti morti esterni all'ultimo fellogeno sono indicati con il termine di
ritidoma o scorza (e non "corteccia" come impropriamente viene chiamata). Il ritidoma a maturità si ispessisce e si riveste di sughero che ha il compito di ridurre la traspirazione, di proteggere e isolare i tubi interni deputati al trasporto delle soluzioni
sia di sali minerali che nutritive. L'aspetto del ritidoma o scorza, soprattutto nei casi
in cui non si disponga di altri elementi utili per la determinazione, come avviene,
ad esempio, durante la stagione invernale, in mancanza delle foglie é importante
per riconoscere le specie. (tav. 15.)
L’aspetto della scorza varia a seconda dell’età (se si tratta di individuo giovane o
adulto) e dell’altezza a cui si osserva. Le scorze giovani sono generalmente liscie e
colorate, ricoperte di feltro, peli, ghiandole, lenticelle, cicatrici fogliari, spine; quelle
adulte mantengono in alcuni casi la scorza giovanile per l’intero tronco come nel
faggio o solo per le ramificazioni e le parti distali del tronco come nel tremolo, ma
nella maggioranza dei casi si evolvono in un ritidoma variamente articolato.
Della scorza si rileveranno, differenziando tra piante giovani e adulte, il colore,
la presenza e il tipo di fessurazioni, la presenza di lenticelle e di spine e infine di
liquidi trasudanti (ad esempio la resina che fuoriesce dalla corteccia di talune conifere). Si potranno così riconoscere, ad esempio, le betulle (Betula spp.) dalla scorza
biancastra e fessurata trasversalmente; i platani (Platanus x acerifolia) dalla scorza
che si stacca a placche e dal caratteristico colore a macchie chiare e scure; i faggi
dalla scorza liscia e chiara; gli abeti rossi (Picea abies) dalla scorza rossastra a scaglie,
impregnata di resina, i pini silvestri (Pinus sylvestris) con colore dei rami principali
salmone-rossastro; i ciliegi (Prunus cerasus) dal colore del tronco mattone scuro lucido, oppure gli evonimi (Euonymus europaeus) dai rami verdi.
Dal greco
νοµοσ = regola
e φυλλον = foglia.
Dal latino folia
plurale di folium =foglio.
Dal greco φως = luce
e συδδεσις = composizione per formare
un tutto.
Dal greco
ετερος = diverso
e φυλλον = foglia.
f. Nomofilli.
La foglia é il principale organo fotosintetizzante della pianta. La sua forma e la
disposizione lungo il ramo sono elementi fondamentali per la determinazione della
specie dell’albero o dell’arbusto. Ogni specie arborea o arbustiva presenta foglie con
forme caratteristiche che hanno proprie precise connotazioni. In linea generale una
foglia é costituita da un picciolo (che può in realtà anche essere assente) con cui è
ancorata al rametto e attraverso cui passano i vasi e i cribri per il trasporto dei liquidi necessari allo svolgimento di tutte le funzioni fisiologiche della pianta, e una
lamina più o meno espansa, con funzione di laboratorio chimico. (tav. 16) Si presti
poi sempre attenzione alla individualità di ogni albero e alla variabilità esistente
anche al suo interno, per cui le osservazioni e le valutazioni vanno fatte considerando sempre un certo numero di foglie adulte. Inoltre alcune piante come l'edera
(Hedera helix) o il leccio (Quercus ilex) presentano foglie con spiccata diversità morfologica a seconda se siano giovani o adulte o se siano poste al sole o all'ombra o se
siano foglie della chioma o dei polloni. Si parla in tal caso di eterofillia. (tav. 17.)
48
scorze connate al tronco
liscia granulosa
o increspata
(Fagus sylvatica)
suberosa
e protuberante
(Quercus suber)
screpolata con fessure
longitudinali poco profonde
(fessurata)
(Liriodendron tulipifera)
a creste
e solchi profondi
(solcata)
(Quercus robur)
intrecciata,
a losanghe
o a creste geometriche
(Robinia pseudacacia)
profondamente fessurata
in settori geometrici
(fratturata)
(Diospyros kaki)
screpolata,
irregolarmente fessurata
(Cedrus atlantica)
screpolata
a piccole scaglie
(squamosa)
(Picea abies)
con scaglie e placche
allungate asimmetriche
(Pinus pinea)
con spine
(Gleditsia
triacanthos)
(in Vaucher, 1993)
scorze che si staccano in superficie
con lenticelle
(Prunus avium)
in pellicole
che si arrotolano
(Prunus avium)
in placche
che si desquamano
(Platanus x acerifolia)
a strisce flessibili
o filamenti che si
desquamano
(Cryptomeria
japonica)
a placche allungate
rigide che restano
fissate ad una
estremità
(Chamaecyparis
lawsoniana)
spugnosa e fibrosa
anche con creste
longitudinali
(Sequoiadendron
giganteum)
Tavola 15. Scorze.
Tutti i tessuti esterni al fellogeno (che origina sughero) muoiono e formano il ritidoma. Ogni anno si forma nuovo fellogeno
sempre più interno fino ad arrivare al libro secondario.
La foglia é un organo ad accrescimento definito (in quanto non ha cellule meristematiche di accrescimento) ed é destinata a morire, staccandosi dalla pianta. Le
piante che perdono tutte le foglie contemporaneamente sono dette caducifoglie, mentre se la caduta delle foglie é graduale nel corso dell'anno (o di diversi anni) la pian-
49
Dal latino
caducus = destinato a
cadere.
Foglia semplice
Nervatura I
Faccia ventrale o pagina superiore
Nervatura II
Ascella della nervatura
Faccia dorsale
o pagina inferiore
Lamina
o lembo fogliare
Nodo
Internodo
Nodo
Picciolo
Gemme ascellari
Guaina basale
Foglia aghiforme
Foglia composta
LIA AGHIFORME
Rachide
Nervature
Fogliolina
Gemma ascellare
Picciolo
Brachiblasto
Rametto
Gemma apicale
Tavola 16. Parti della foglia.
La superficie superiore di una struttura (foglia o ramo per esempio) secondo la terminologia anglosassone viene designata con
il termine di adassiale e quella inferiore, abassiale. Manterremo le dizioni italiane perché ci sembrano sufficientemente precise.
La parte più distante dal suo punto di inserzione o di origine é detta distale e quella più vicina, prossimale.
Nelle foglie composte la disposizione delle foglioline lungo la rachide può essere opposta oppure alterna o, anche, essere alterna
nella parte distale e opposta in quella prossimale.
Dal latino
semper = senza fine e
viridis derivato da
vivere = essere verde.
ta é detta sempreverde (in quanto sui rami vi sono sempre foglie). Sono caducifoglie
specialmente le angiosperme delle zone temperate in cui esiste un'alternanza stagionale marcata e in cui l'inverno é freddo. Poco prima della caduta delle foglie,
sotto stimoli ormonali la pianta produce alla base del picciolo uno strato di piccole
cellule parenchimatiche con scarsi spazi intercellulari detto strato di separazione (o
di abscissione). Caduta la foglia rimane una cicatrice fogliare che ha forma, posizione dei fasci cribovascolari e localizzazione caratteristici. (tav. 18.) (13)
Si tenga presente che per le gimnosperme, ad eccezione di poche specie che perdono le foglie durante l'inverno come il larice (Larix decidua), il tassodio (Taxodium
distichum) e il ginkgo (Gingko biloba), l'esame delle foglie è possibile tutto l'anno; per
le angiosperme, ad esclusione delle sempreverdi come l'olivo, l'alloro, il leccio o il
mirto (Myrtus communis), l'esame è possibile solo nel periodo che va dalla comparsa
50
Ilex aquifolium
Populus alba
Tavola 17. Eterofillia.
Si parla di eterofillia quando per influenze ambientali si possono osservare più forme diverse di foglie sulla pianta distribuite
in aree diverse (all’ombra, al sole, vicino al suolo). Se invece sullo stesso nodo si notano foglie di forma e dimensioni differenti
si parla di anisofillia. Allorché tale differenziazione é caratterizzata da un bagaglio genetico diverso si parla di dimorfismo o
polimorfismo fogliare. Una pianta può presentare ad esempio nomofilli (aghiformi, squamiformi o laminiformi) e catafilli
(foglie membranacee). L’eterofillia contraddistingue spesso rami con orientamento differente. L’edera (Hedera helix) ad esempio ha un assetto giovanile (ramificazione monopodiale, fillotassi distica, radicante e rampicante con radici avventizie) e un
assetto adulto (ramificazione simpodiale, fillotassi a spirale, con fiori e priva di radici avventizie). Un ramo giovane piantato
per talea origina anche la forma adulta; se invece si pianta un ramo proveniente dalla forma adulta cresce come arbusto e non
diventa rampicante (Bell, 1993). Il ramo mantiene dunque le sue caratteristiche quando se ne fa una talea dalla forma adulta,
mentre evolve in quelle della pianta adulta quando la talea proviene da un ramo giovane. Tale comportamento differenziato
viene detto topofisi.
Acer
Betula
Fagus
Corylus
Euonymus
Castanea
Populus
Platanus
Fraxinus
Modello con
una cicatrice
e senza
canali
evidenti
Alnus
Salix
Quercus cerris
Modello con tre canali evidenti
Aesculus
Modello con più canali evidenti
Tavola 18. Cicatrici fogliari.
Le cicatrici fogliari permettono di comprendere, sopratutto in inverno, la distribuzione delle foglie lungo il ramo e il disegno
della posizione dei vasi vascolari. Ambedue elementi che facilitano la determinazione della specie.
delle foglie fino alla loro caduta, grossomodo da marzo a novembre. A questa
norma fa eccezione, ad esempio, la roverella (Quercus pubescens), una quercia le cui
foglie pur seccandosi alla fine dell'autunno, rimangono sulla pianta fino alla primavera successiva quando inizia un nuovo ciclo stagionale: ciò permette di identificarla anche in pieno inverno (si parla di foglie marcescenti).
L’osservazione delle foglie comporta che:
a. si eviti di indagare sui polloni o sugli esemplari troppo potati;
b. si considerino sempre più rametti dello stesso albero;
c. si esaminino le foglie adulte confrontandole eventualmente con quelle dei
polloni;
d. si valutino le differenze tra foglie in ombra e foglie in luce, tra foglie su brachiblasti o su macroblasti.
51
laminiformi
squamiformi
aghiformi
Tavola 19. Forme delle foglie.
Dal latino
latus = largo,
acus = ago,
squama = squama
e folia = foglia.
Genericamente parlando in base alla forma delle foglie possiamo distinguere:
latifoglie, aghifoglie e squamifoglie per indicare alberi o arbusti con foglie a lamina
espansa, a forma di ago e a forma di tegola. (tav. 19.)
Per l’identificazione della specie l'esame delle foglie deve evidenziare i seguenti
caratteri:
1- la disposizione lungo il rametto (fillotassi)(tav. 20.),
2- le dimensioni (lunghezza e larghezza),
3- la forma della lamina (tav. 21.),
4- la divisione della lamina (tav. 22.),
5- il profilo del margine (tav. 23.),
6- la forma dell'apice e della base (tav. 24.),
7- la lunghezza del picciolo e/o l'assenza dello stesso (foglie sessili)(tav. 25.).
In subordine si prenderà ancora in esame:
8- il tipo di superficie della lamina (liscia, rugosa, pelosa ecc.),
9- il colore sulle due pagine,
10- l’odore e il sapore particolari,
11- la presenza di stipole,
12- la consistenza e la simmetria della lamina (tav. 26.),
13- l'impronta lasciata dalla foglia sul ramo dopo la sua caduta (cicatrice fogliare),
14- la presenza di ghiandole.
In taluni casi diventa elemento diagnostico la forma delle nervature che sono
costituite da fasci conduttori e contribuiscono anche al sostegno della foglia coadiuvate da cellule collenchimatiche e schlerenchimatiche. (tav. 27.)
Nella maggior parte delle dicotiledoni le foglie posseggono una nervatura principale da cui si dipartono obliquamente nervature secondarie (laterali) sempre più
minute (anastomosi); nelle foglie penninervie esse assomigliano ad una penna d’uccello, nelle palminervie (ma sarebbe più giusto chiamarle raggiate) le nervature si
dipartono dal punto di intersezione della lamina con il picciolo e nelle foglie retinervie sono evidenti anche le nervature più minute come in una fitta rete.
Le monocotiledoni hanno, nella maggior parte dei casi, foglie parallelinervie in
cui le nervature principali si diramano longitudinalmente da un punto o da più
punti alla base della foglia e sono intersecate da piccole anastomosi; sono generalmente lanceolate o lineari, non suddivise in lamina e picciolo e possono avvolgere il
fusto con una guaina. Naturalmente ci sono eccezioni: lo stracciabraghe (Smilax
aspera) ha foglie retinervie pur essendo una monocotiledone.
g. Sporofilli e antofilli.
Le strutture delle spermatofite deputate alla riproduzione sono dette “strobili”.
52
a - distribuzione
sul piano
alterne
opposte
verticillate
b - distribuzione
spaziale
fascicolate
1
2
3
4
5
a spirale
decussate
distiche
Tavola 20. Fillotassi.
A. Posizione nel piano e nello spazio.
In ogni specie le foglie sono inserite sul fusto secondo un ordine regolare (fillotassi). La disposizione delle foglie lungo il fusto
avviene in modo da facilitare la captazione della luce. Può variare lungo il rametto per esempio essere decussata nella parte prossimale e opposta in quella distale (Eucalyptus globulus). Le foglie sono impiantate ai nodi e possono essere allineate secondo linee:
ALTERNE (una foglia per nodo). Nello spazio esse possono assumere la:
Disposizione monostica quando tutte le foglie si trovano da un solo lato del rametto, come un pettine (se vi é una leggera torsione tra ogni nodo per una crescita asimmetrica degli internodi, le foglie appaiono spiralate come una scala a
pioli: avremo la disposizione spiromonostica. - Disposizione distica quando le foglie si dispongono su due lati del
rametto come un doppio pettine; nel caso di torsione si ha la disposizione spirodistica). - Disposizione a spirale quando
sono evidenti più di tre file di foglie.
OPPOSTE (due foglie per nodo). Nello spazio assumono la: disposizione decussata quando l’angolo tra le coppie di foglie
é di 90°; se l’angolo é < di 90° la fillotassi é detta bijurata (é una spirale decussata). La fillotassi é detta orixata quando
le foglie opposte sono distiche e presentano dimensioni differenti: più piccole quelle in posizione superiore e più grandi
quelle in posizione inferiore come in Lagerstroemia indica.
VERTICILLATE (tre o più foglie per nodo)
B. Angolo di divergenza.
La linea longitudinale che unisce nello spazio le foglie di eguale posizione é detta ortostica e la spirale tra la foglia più giovane e
la successiva allineata sull’ortostica é detta spirale generatrice (ed é indipendente dal numero di giri attorno al fusto per ottenerla). E’ possibile indicare allora, con una frazione, la disposizione delle foglie alterne lungo il rametto partendo dalla foglia più
giovane. Ad esempio con 2/5 esprimo il concetto che per giungere all’ortostica di partenza devo girare due volte attorno al
rametto e incontrare 5 foglie (ovvero che la foglia 0 é allineata alla foglia 5 da cui si evince indirettamente che le ortostiche presenti sono 5): ogni foglia adiacente é posta a 2/5 x 360° = 144° (angolo fillotattico). I fattori di disturbo sono numerosi e bisogna
prestare attenzione a non commettere errori nei calcoli. Ogni specie ha un suo proprio angolo di divergenza per cui tutte le sue
foglie sono disposte secondo tale ordine. LEONARDO FIBONACCI, matematico pisano del XIII secolo (tra l’altro, ha introdotto in
occidente i ‘numeri’ arabi), ha per primo disposto i numeri in una serie tale che ognuno é la somma dei due precedenti:
1,2,3,5,8,13 ... .Tale serie di Fibonacci si ravvisa anche nelle frazioni delle più comuni fillotassi (1/2, 1/3, 2/5, 3/8, 5/13, 8/21
...) che tendono a raggiungere il valore limite eguale a 0,381966 (valore della sezione aurea, ovvero del rapporto tra altezza e
lunghezza) che moltiplicato per 360° dà un valore pari a 137°30’28”. La pianta sfasa la sovrapposizione delle foglie (e dei
rametti) per permettere la loro maggiore insolazione con un valore angolare che tende a 137°30’28”.
53
foglie lineari
foglie ellittiche
foglie ovate
falciforme flabelliforme troncomucronata palmata
imparipennata
foglie obovate
digitata
trifogliata
bipennata
Tavola 21. Forme della lamina.
incisa
intera
fida
partita
setta
pennata
seghettato
spinoso
lobata
palmata
Tavola 22. Divisione della lamina.
liscio
sinuato
dentato
crenato
doppio
seghettato
ciliato
doppio
dentato
repando
Base
Tavola 23. Profilo del margine della lamina.
ottusa
acuta
cuoriforme
tronca
auricolata
obliqua
con stipole
smarginato
spinoso
Apice
arrotondata
umbonato
arrotondato
acuto
ottuso
Tavola 24. Forma dell’apice e della base della lamina.
54
appuntito
acuminato
a. La foglia può essere:
picciolata
subsessile
a1. Forma del picciolo.
sessile
rotondo
scanalato
compresso
semintero
b. La foglia può anche essere + o - saldata al nodo:
connata
decorrente perfogliata amplessicaule abbracciante embriciata equitante
c. La posizione della foglia rispetto al ramo è:
eretta
appressata
patente
reflessa
Tavola 25. Picciolo e lamina fogliare.
Organi dello stesso tipo saldati insieme si definiscono connati (foglie di Lonicera sp. saldate al nodo), mentre organi di tipo
diverso saldati insieme vengono definiti adnati.e (peduncolo dell’infiorescenza di Tilia spp. saldato alla brattea che lo sottende).
ondulata
piana
conduplicata
involuta
curvata
revoluta
asimmetrica
simmetrica
con stipole
andamento della superficie della lamina
Tavola 26. Simmetria e andamento della superficie laminare.
Le stipole sono espansioni presenti alla base della foglia o delle foglioline delle foglie composte (in tal caso sono dette stipelle) e si formano fin dalle prime fasi del suo sviluppo (primordi fogliari). Possono essere all’estremità prossimale del picciolo
(in Rosa sp. sono adnate al picciolo per un tratto della sua lunghezza) oppure essere presenti all’intersezione del picciolo
con il fusto. Le stipole possono essere caduche o permanenti.
55
rettinervia
(a ventaglio)
penninervia
alterna
uninervia
curvinervia
(lirata)
parallelinervia
retinervia
penninervia
opposta
penninervia
anamostosata
palminervia
palminervia
Tavola 27. Nervature.
Le nervature delle foglie possono essere: campilodrome: se seguono la forma della foglia (Laurus sp.), curvinervie: se sono
curve e parallele per un tratto al margine fogliare (Cornus spp.), rettinervie: se decorrono diritte (Ginkgo sp.), palminervie:
quando le nervature partono tutte da un medesimo punto (Acer spp.), penninervie: se le nervature secondarie si dipartono da
un asse principale (Ostrya sp.), paralleninervie: se sono tra loro parallele (Phyllostachys sp.), retinervie: quando le nervature si intrecciano fittamente (anastomosi) e ricoprono tutta la foglia (Tilia spp.).
Parti di uno strobilo (cono)
femminile di gimnosperma
Parti di uno strobilo (fiore)
ermafrodita di angiosperma
Antera
Stigma
Petali
Squama ovulifera
Ovulo
Squama primaria
copritrice
Filamento
Stilo
Ovario
Sepali
Peduncolo
Ricettacolo
o talamo
Tavola 28.. Stuttura e forma degli strobili.
Gli strobili delle piante superiori sono le strutture deputate a permettere e favorire la fecondazione.
I coni delle gimnosperme sono molto semplici e sempre unisessuati, quelli delle angiosperme invece possono anche essere molto
complessi e costituiti da diverse parti. Un cono femminile si riduce a squame più o meno lignificate che proteggono l’ovulo,
per contro un fiore ermafrodita presenta: peduncolo e talamo con funzione di sostegno; calice formato dai sepali con funzione di
protezione; corolla formata dai petali con funzione di richiamo dei pronubi che permetteranno la impollinazione incrociata
(funzione vessillifera); androceo formato dagli stami costituiti da filamenti e antere: le antere contengono il granulo pollinico;
gineceo formato dal pistillo costituito dallo stigma, dallo stilo e dall’ovario. L’ovario contiene gli ovuli da cui deriveranno, dopo
fecondazione, i semi. Nel loro insieme il calice e la corolla formano il perianzio; l’androceo con il ginegeo, il perigonio.
In alcune piante come in Euphorbia sp. i fiori sono circondati da brattee e stipole fuse facenti funzioni di petali e sepali.
I fiori delle angiosperme sono dunque polimorfi, con una struttura di base formata da pezzi fiorali disposti a spirale o a verticilli sopra un ricettacolo: foglie o fiori sterili (calice e corolla) e fiori fertili (stami e pistilli). L’ovario poi, rispetto al calice può
essere posizionato: infero, semiinfero o supero.
56
Comunemente si parla di coni maschili e femminili nelle gimnosperme e di fiori
ermafroditi oppure di fiori unisessuali femminili (fiori pistilliferi) e maschili (fiori
staminiferi) nelle angiosperme. (tav. 28.)
La pianta che porta fiori maschili e femminili é detta monoica (Pinus spp), mentre quella che porta i fiori maschili e femminili distinti su due individui diversi é
detta dioica (Laurus nobilis). Gli sporofilli comprendono stami e carpelli e gli antofilli indicano sepali, petali oppure le foglie fiorali.
L'esame dei fiori viene attuato mediante l'analisi delle loro caratteristiche più
evidenti quale il colore, le dimensioni, l'odore, il numero sull'asse fiorale, la forma e
la simmetria. La simmetria può essere raggiata nel fiore attinomorfo, come nelle
rosacee (Rosa canina), bilaterale o dorsoventrale nel fiore zigomorfo come nelle fabacee (Sophora japonica) o nelle specie più evolute. (tav. 29.)
Dal greco
ανϑος = fiore, parte
superiore
σπερµα = seme.
e φυλλον = foglia.
Dal latino flos = fiore.
Tavola 29. Simmetria fiorale.
zigomorfo
Digitalis sp.
attinomorfo
dialipetalo
Rosa sp.
attinomorfo
gamopetalo
Datura sp.
I carpelli che costituiscono il fiore possono essere
liberi (fiore apocarpico) oppure saldati assieme
(fiore sincarpico). I fiori possono essere simmetrici o meno a seconda che divisi lungo un piano se
ne ottengano due o più parti speculari. I fiori simmetrici hanno uno o più piani di simmetria. Se il
piano di simmetria é uno solo il fiore viene definito zigomorfo se, al contrario, possono essere individuati due o più piani di simmetria il fiore viene
detto attinomorfo. La corolla può essere a petali
liberi (dialipetala) o a petali saldati insieme
(gamopetala).
Ancora, può essere elemento diagnostico la presenza lungo gli steli di particolari
strutture (peli, ciglia, ghiandole, macchie, vescichette).
Accertata la presenza e le caratteristiche delle strutture sopraindicate, si può
individuare il tipo di corolla del fiore in esame: corolla gamopetala (o simpetala) se
ha i petali uniti e corolla dialipetala se ha i petali divisi. Per maggiore chiarezza
riportiamo alcuni esempi: le querce (Quercus spp.), gli olmi (Ulmus spp.), il sorbo
domestico (Sorbus domestica), i peschi (Prunus persica), i pruni (Prunus spp.) e il ribes
(Ribes rubrum) sono tutte specie a corolla dialipetala; i tigli (Tilia spp.), l'olivo (Olea
europaea) e i sambuchi (Sambucus spp.) sono specie a corolla gamopetala. Se la corolla é assente il fiore é detto apetalo (Salix sp.) Analogo discorso viene fatto per i sepali (con funzione protettiva) che formano il calice.
Nella pratica, per il lavoro che intendiamo proporre, è più che sufficiente svolgere una osservazione fondamentale che consiste nell'individuare simmetria e forma,
e se la specie porta un unico fiore sullo stelo fiorale o se, come avviene nella maggior parte dei generi, porta più fiori riuniti in infiorescenze. (tav. 30.)
Si tenga presente però che un'analisi approfondita sulla tipologia fiorale presuppone precise conoscenze di botanica al fine di interpretare correttamente il
materiale che si sta osservando. E’ relativamente facile un’osservazione sugli antofilli mentre diventa più laboriosa nel caso degli sporofilli. Inoltre i fiori sono presenti
solo per un periodo limitato dell'anno riducendo di fatto le possibili osservazioni e
57
a. Infiorescenze racemose
(da Spinelli, 1989)
Corylus
avellana
(Nocciolo)
Larix decidua
(Larice)
Robinia
pseudacacia
(Robinia)
Amento
o
gattino
Cono
Grappolo
o
racemo
Ligustrum
lucidum
(Ligustro)
Salix caprea
(Salicone)
Pannocchia
(grappolo
composto)
Spiga
Hedera
helix
(Edera)
Amorpha fruticosa
(Indaco bastardo)
Grappolo
di
ombrelle
Tavola 30. Le infiorescenze.
L’infiorescenza é un sistema riproduttivo costituito da un complesso di rami portanti i fiori che derivano da un germoglio. Il
fatto che i fiori siano ragruppati aumenta la possibilità di fecondazione rispetto ai fiori isolati, non solo nel caso di impollinazione dovuta al vento (anemofila) ma anche nel caso di impollinazione tramite insetti pronubi (entomofila).
Le piante anemofile hanno fiori piccoli senza corolla, unisessuati e in genere a fioritura precoce; le piante entomofile hanno fiori
più evidenti, odorosi, colorati e con nettarii per attirare gli insetti. Sono dette cimose quelle con accrescimento simpodiale (ogni
spesso, come nelle gimnosperme e in una parte delle angiosperme arboree, i fiori
sono assai poco evidenti con la conseguenza pratica che risulta difficile la loro
identificazione su queste basi.
Dal latino
fructus che deriva da
frui = podere.
Dal greco
περι = attorno
e καρπος = frutto
h. Frutti e falsi frutti.
Il frutto ha origine dall'ingrossamento dell'ovario a seguito dell'avvenuta fecondazione (l'unione delle cellule maschili contenute nel polline con quelle femminili
contenute negli ovuli) (14). L'ovario si trasforma in frutto e gli ovuli fecondati in
semi. (tav. 31.) I frutti sono detti secchi se il pericarpo a maturità ha una consistenza
legnosa o coriacea con la possibilità di aprirsi per liberare i semi (frutti deiscenti)
oppure essere tutto il frutto elemento di dispersione (frutti indeiscenti). (tav. 32.)
Sono invece frutti carnosi quelli che mantengono una consistenza carnosa. I frutti
58
Ulmus
laevis
(Olmo ciliato)
In fascetti
Ficus
carica
(Fico)
Siconio
Platanus
acerifolia
(Platano)
Capolino
b. Infiorescenze cimose
drepanio
Eucalyptus
camaldulensis
(Eucalipto rosso)
Ombrella
Crataegus
monogyna
(Biancospino)
dicasio
Corimbo
tirso
Sorbus aucuparia
(Sorbo
degli uccellatori)
Corimbo
composto
Viburnum
lantana
(Viburno)
Ombrella
composta
rifidio
fiore si sviluppa all’ascella della bratteola del fiore precedente) e racemose quelle con accrescimento monopodiale. Le infiorescenze cimose possono terminare con un fiore (monocasio), con due fiori (dicasio) o più fiori (pleioclasio). Sia le infiorescenze
cimose che racemose possono avere gli assi principali non terminanti con un fiore e sono dette politeliche in contrapposizione
alle infiorescenze monoteliche che terminano sempre con un fiore.
E’ interessante notare come le infiorescenze ramificate sono derivate da un modulo di ramificazione (paracladio) che ripete il
portamento del ramo che lo genera (paracladia).
possono essere semplici, composti oppure riuniti in infruttescenze:
a- ai frutti secchi indeiscenti appartengono l'achenio (i singoli frutti della ros