IL TROVATORE DI GIUSEPPE VERDI IN UNA PROSPETTIVA

ANNAMÁRIA SZILÁGYI
IL TROVATORE DI GIUSEPPE VERDI
IN UNA PROSPETTIVA NARRATOLOGICA
Introduzione
Il Trovatore di Giuseppe Verdi risale a un dramma spagnolo, intitolato
El trovador, opera di Antonio García Gutiérrez, che costituisce la base
del libretto italiano scritto da Salvatore Cammarano. L’esistenza di
due varianti della stessa trama drammatica offre l’occasione di
dimostrare che il melodramma, grazie alla ricchezza dei suoi mezzi
espressivi aumentò la drammaticità della stessa storia.
Nell’analizzare questi mezzi espressivi utilizzo un nuovo punto di
vista che può condurci a risultati interessanti e sorprendenti, meno
studiati fino a questo momento: con la prospettiva narratologica cerco
di illuminare le differenze di genere tra dramma e melodramma, e
inoltre cerco di scoprire paralleli tra il melodramma romantico e il
genere narrativo del romanzo ottocentesco. Dopo l’esposizione delle
basi teoretiche, esaminerò le parti concrete del melodramma in cui
appaiono i mezzi espressivi tipicamente narratologici, il che dimostra
l’esistenza di uno sviluppo narratologico nel campo dell’opera
romantica. La presenza di questi elementi avvicina il melodramma al
genere del romanzo storico, mentre riduce la sua parentela con il
genere drammatico, anche se la sua relazione con quest’ultimo è
innegabile. Ma è noto che la drammaticità di queste opere aumenta
appunto con l’introduzione dei mezzi espressivi del genere narrativo
che sono presenti piuttosto nella musica che nel testo letterario.
Basi teoretiche
Dal punto di vista narratologico, il dramma e il melodramma
comprendono
differenze
fondamentali
di
genere.
Esiste
un’opposizione classica tra generi letterari di tipo narrativo e di tipo
rappresentativo; con la terminologia di Platone e Aristotele, questi
300
vengono chiamati, rispettivamente, diegesis (narrazione) e mimesis
(rappresentazione) o, con la definizione di Goethe e Schiller, questa
distinzione è fra i generi epici e i generi drammatici. Nei generi
drammatici, gli attori ricreano sul palcoscenico gli eventi senza
mediazione esterna, e l’azione teatrale si presenta come evento
autonomo che non lascia trasparire l’attività dell’autore, mentre la
narrazione rievoca fatti trascorsi, e li ricrea nell’immaginazione di chi
legge o ascolta. Quindi, nella narrazione è presente l’intervento
dell’autore, ma nella rappresentazione non contiamo sulla sua
presenza. Secondo Goethe e Schiller, “il poeta epico espone gli
avvenimenti come interamente trascorsi, il poeta drammatico come
interamente presenti” (Zoppelli 1994:13).
Il teatro musicale è un genere essenzialmente rappresentativo in
cui, invece, possono confluire elementi epici come, per esempio,
l’utilizzo del coro o l’illusione dell’evento presente come se avvenisse
in quell’istante. L’intervento dell’autore è un fattore che accomuna
l’opera in musica al romanzo e la distingue dal dramma, visto che la
musica agisce sui tempi drammatici, fornisce informazioni e
suggerisce diversi punti di vista. Per capire meglio le differenze di
genere fra il teatro di parola e quello musicale, bisogna modellare i
loro statuti di comunicazione.
a)
teatro di parola:
autore
→
personaggio
↔ personaggio
→ destinatario
Lo statuto comunicativo del teatro di parola rinchiude gli eventi in
una cornice in cui la comunicazione va da personaggio a
personaggio, e solo all’esterno della cornice appare l’intervento
dell’autore, visto che lo spettacolo è inteso come un atto di
comunicazione tra autore e pubblico. Vediamo che cosa succede nello
statuto di comunicazione del teatro musicale.
301
b)
teatro musicale:
elemento musicale
autore
destinatario
personaggio
↔ personaggio
Lo schema della comunicazione del teatro musicale viene arricchito
dall’elemento musicale che non è indirizzato da personaggio a
personaggio, ma direttamente dall’autore al pubblico. All’interno della
cornice, i personaggi comunicano tramite un canale verbale, ovvero il loro
cantare viene percepito dagli altri personaggi come atto del parlare. La
musica, invece, è uno strato aggiunto, un messaggio che il compositore
invia, in prima persona, allo spettatore, sovrapponendolo all’atto verbale
prodotto dai personaggi. La linea tratteggiata rappresenta l’elemento
musicale che unisce autore e destinatario, e che attraversa la cornice
interna. Quindi, nel teatro musicale convivono due statuti di
comunicazione: uno interno, verbale, che costituisce la parte drammatica
autosufficiente, e uno esterno, musicale, che attraversa trasversalmente la
cornice chiusa e che presta una responsabilità estetica al compositore.
L’intervento del compositore è presente dall’esordio del genere operistico,
cioè dalla formazione dell’opera veneziana, in cui i frammenti di testo di
carattere moralizzante – le parti ariose che comprendono il valore
musicale dell’opera – si intendono diretti più dall’autore al destinatario
che da personaggio a personaggio, e contrastano con i frammenti di
carattere recitativo che costruiscono il dialogo tra i semplici personaggi.
Questa netta distinzione esiste anche nell’opera seria settecentesca, anche
se in quest’epoca il compositore si comporta come drammaturgo
nascondendosi dietro i personaggi, e non sfruttando la sua possibilità di
intervento. Nell’800, invece, il compositore interviene più direttamente nel
senso che la musica diventa il fattore primario che costituisce l’opera
d’arte; a questo punto, l’uso della musica assume dimensioni
tendenzialmente narrative. (Zoppelli 1994:12-21)
302
Nel caso de Il Trovatore, ci sono numerosi elementi narrativi.
L’opera si definisce come dramma della narrazione, perché sulla
scena non succede niente, ma tutto viene narrato. Nella prima scena
del primo atto, Ferrando narra la tragedia, cioè l’antefatto
dell’intreccio del melodramma; nella seconda scena, Leonora fa
conoscere il suo incontro con il Trovatore; nella prima scena del
secondo atto, Azucena narra la morte della madre e del figlio; nella
seconda scena, il Conte parla delle sue pene d’amore; e nella prima
scena del terzo atto, Ferrando e il coro avvertono della battaglia e
dell’arrivo di Azucena.
Il tema del fuori scena viene ripetuto anche musicalmente: il canto
del Trovatore nel primo atto, il coro degli zingari nel secondo,
l’organo della chiesa nel terzo, o il Miserere di voci interne nel quarto
atto, in cui, mentre Leonora pregusta il sacrificio per il suo profondo
amore, Manrico, in una prigione non vista dallo spettatore, esprime il
suo desiderio di morte e il suo affetto per Leonora. L’unica azione di
Leonora è l’atto del suicidio, l’ingestione del veleno contenuto nel suo
anello, che è difficilmente percepibile dallo spettatore visto che la
censura non permetteva un aperto suicidio sulla scena. Nell’ultima
scena in cui viene rappresentata la morte di Leonora, ritornano, nella
mente dei protagonisti, le visioni del passato e il sogno per un futuro
irrealizzabile: “Ai nostri monti ritorneremo’; ‘Parlar non vuoi?’; ‘Donna,
svelami... narra”.(Gerardi 1981: 62-63) Infine, anche il finale
tragicissimo, arricchito con l’estrema drammaticità del discorso
musicale, è narrato sulla scena dai due sopravvissuti:
Azucena
Conte
Azucena
Conte
Azucena
Conte
Azucena
Conte
Azucena
Conte
(destandosi) Manrico!... Ov’è mio figlio?
A morte corre!...
Ah ferma!... m’odi...
(trascinando Azucena verso la finestra) Vedi?
Cielo!
È spento!
Egli era tuo fratello!...
Ei!... quale orror!...
Sei vendicata, o madre! (Cade a’ pié della finestra.)
(inorridito) E vivo ancor! (Cattaneo 1988: 23-24)
303
Quindi, l’intreccio del dramma spagnolo offre molte occasioni
narrative. La tecnica del fuori scena non è una novità nel genere
drammatico, mentre la novità sarà l’elemento musicale che Verdi
presta a queste narrazioni: l’intreccio drammatico si arricchisce della
musica che, con l’aiuto dell’orchestra, assume una responsabilità
informativa nel commentare le azioni, i sentimenti nascosti dei
personaggi, o nel descrivere l’ambiente circostante con gesti
orchestrali e con suoni di natura e, inoltre, proietta diversi punti di
vista. Il passato terrificante viene narrato due volte: la prima, da
Ferrando, la seconda, da Azucena, in una maniera assolutamente
differente riflettendo sulle diverse prospettive rappresentate dai due
protagonisti, visto che Ferrando sta a fianco del Conte di Luna,
mentre Azucena è schierata dalla parte opposta. La musica,
esprimendo gli affetti dei personaggi, crea due narrazioni che
apparentemente hanno un argomento in comune, ma rappresentano
due mondi differenti e indipendenti, proiettando due punti di vista
assolutamente opposti.
Nelle parti successive del mio studio vengono analizzati
dettagliatamente gli elementi narratologici della musica verdiana,
elementi che non – o solo molto scarsamente – appaiono nell’intreccio
drammatico.
1. Canto realistico
Il primo modello del canto realistico ne Il Trovatore è quello di Manrico
(“Deserto sulla terra”) nella Parte Prima. La romanza del protagonista
è una musica in musica; quindi appare di nuovo un elemento lontano
dal genere drammatico che conosce solo il discorso diretto, e così
l’opera si avvicina sempre di più al genere del romanzo. È una
musica in scena, in cui la dimensione musicale è percepita come
prodotto del personaggio stesso, come una musica in musica; il
protagonista sta realmente cantando e suonando, e il suo canto
possiede la responsabilità del personaggio. È una musica che sta
dentro la cornice comunicativa dell’opera, cioè risuona come musica
anche agli orecchi degli altri personaggi.
304
Non è, quindi, un canto operistico condotto dal compositore stesso,
che rende musicali momenti che nella realtà non sono tali. Nel canto
operistico i personaggi parlano, comunicano verbalmente all’interno
della cornice, ma il compositore aggiunge alla sua comunicazione
verbale una dimensione musicale. Questo tipo di canto, che era
presente in ogni frammento musicale de Il Trovatore fino a questo
momento, viene percepito dai personaggi come atto verbale e non
musicale. Il canto di Manrico è, invece, una serenata, una musica di
scena, ovvero un canto realistico, percepito dai personaggi come
musica.
Certe volte, la distinzione tra canto realistico e operistico è meno
evidente, ma in questo caso è molto visibile, basti pensare alla
reazione del conte alla voce di Manrico, dalla quale il pubblico
comprende che anche lui sente una musica, e non un atto verbale. La
funzione più importante della musica di scena è tradizionalmente
quella di aggiungere vivacità e varietà coloristica all’opera teatrale,
che così è più divertente per lo spettatore (Zoppelli 1994:25-28).
Nell’800 si usò spesso questa tecnica, aumentando il numero delle
canzoni, ballate, serenate, inni, preghiere, cantici o danze che sono
adatti ad inserirsi, come musica in scena, nello svolgimento
dell’opera. A Verdi piace molto la varietà dei colori della musica di
questo tipo e, di conseguenza, ogni sua opera ha almeno un
frammento elaborato in questo modo.
La romanza è anticipata e poi accompagnata dagli arpeggi del liuto,
che sarà lo strumento tipico del personaggio. Ma dobbiamo
sottolineare il fatto che, nell’attività artistica di Verdi, la scelta di uno
strumento solista che accompagna i frammenti lirici dei protagonisti
non raggiunge il livello del leitmotiv wagneriano; il compositore non
li usa per caratterizzare l’interiorità di un certo personaggio, ma per
descrivere meglio un sentimento o una situazione. È evidente che
l’arpa è lo strumento che si mette in rapporto con il nome di Manrico
o, meglio dire, lo strumento non è il motivo identificante di lui ma
della sua qualità di trovatore, caratterizzata tradizionalmente con il
liuto.
305
Un altro modello del canto realistico è legato alla personalità di
Azucena. Nell’apparire sulla scena, la vecchia allude alla morte di sua
madre (“Stride la vampa!”, Verdi 2000:58-62) Narra l’azione del rogo
con tutta la sua terribilità, in cui la fiamma è la forza più attiva sia
concretamente – uccide la madre zingara - , che psichicamente –
anche Azucena arde nella fiamma della vendetta. Questo brano
musicale mette in luce i pensieri più segreti di Azucena, l’immagine
ossesiva del rogo e la spinta interna alla vendetta. La musica ha un
effetto oscuro e mistico, che conserva le tracce dei sanguinosi rituali
pagani della magia. Il tempo di allegretto e il ritmo di tre ottavi,
caratteristici del ballo popolaresco, riflettono il mondo pieno di
credenze superstiziose di Azucena. Anche la canzone di Azucena è
un elemento narrativo lontano dal genere drammatico con il quale
l’opera si avvicina sempre di più al genere del romanzo. La sua
canzone viene percepita come un canto realistico, una musica in
musica visto che gli zingari la ascoltano come musica, perché alla fine
commentano: “Mesta è la tua canzon!” (Gerardi 1981:43). Azucena così
risponde agli zingari: “Del pari mesta – Che la storia funesta – Da cui
tragge argomento!” (Gerardi 1981:43) È una musica che sta dentro la
cornice comunicativa dell’opera, cioè risuona come musica anche agli
orecchi degli altri personaggi.
2. La narrazione focalizzata
A proposito del romanzo ottocentesco, la fusione dei generi è un
luogo comune la cui influenza è enorme nello sviluppo dell’opera
lirica del secolo, il che non è sorprendente visto che i due generi,
proprio in quei tempi, fioriscono e vivono la loro grande stagione. Il
fenomeno è messo in rilievo dal fatto che l’opera lirica dell’800 si
arricchisce di numerosi elementi narrativi. Lo statuto comunicativo
dell’opera in musica permette al compositore di esercitare il potere
narrativo proprio di chi racconta. Secondo Carl Dahlhaus esiste “un
fattore che accomuna l’opera in musica al romanzo e la distingue dal
dramma: la presenza estetica dell’autore. Come nel genere epiconarrativo, anche nell’opera la presenza di un ‘narratore’ che pilota gli
306
eventi è costitutiva sotto il profilo estetico [...] Il carattere dell’epico,
che nel dramma è un contrassegno di modernità, nell’opera è almeno
parzialmente un elemento di tradizione (cit. in Zoppelli 1994:15).
La Parte Prima comincia con la narrazione di Ferrando. Nel
dramma spagnolo, i tre servitori raccontano la terrificante storia del
passato, ma il librettista fa cambiamenti importanti: i due protagonisti
attivi della sua narrazione sono Ferrando, il servitore, e il coro
maschile. La narrazione ha uguale funzione in tutt’e due le varianti:
presentare al pubblico gli avvenimenti fuori di scena, nel passato, e
far conoscere allo spettatore il sistema dei conflitti nel corso di tutta
l’azione.
All’inizio della scena, ascoltiamo una breve introduzione
orchestrale, che ha la funzione di descrivere l’ambiente e di
presentare l’atmosfera di questa prima scena. Dal punto di vista
narratologico, l’orchestra ha il ruolo di commento o, certe volte, di
contraddizione nell’intreccio dell’opera romantica, cioè, in altre
parole: l’orchestra corrisponde alla voce del compositore, ed ha una
responsabilità informativa che, nell’opera ottocentesca, le viene
assegnata con sempre maggior frequenza. Essa può fornire
informazioni sull’azione – avvenimenti passati o futuri sconosciuti
allo spettatore - , sull’interiorità del personaggio – ciò che egli pensa e
sente ma non dice -, o sull’ambiente descrivendo gli elementi
ambientali ritenuti importanti. In questo caso avviene proprio questo,
cioè l’orchestra descrive l’ambiente e l’atmosfera della narrazione di
Ferrando, e serve come una breve introduzione.
Poi, comincia il discorso musicale tra Ferrando e il coro maschile,
che serve sempre da commento e sintesi alle frasi del servo. Il
protagonista comincia a parlare del presente, di un misterioso
trovatore che sembra essere il rivale del suo conte, ma poi il gruppo
maschile lo spinge a ricordare una storia più terribile e più
emozionante: quella della zingara e del rapimento del figlio del
vecchio conte. Dal punto di vista narratologico, la narrazione di
Ferrando è una delle chiavi dell’analisi. Con la possibilità di
richiamare il passato nel presente, Verdi dà il ruolo di narratore alla
bocca di Ferrando, usando la tecnica di focalizzazione in cui gli eventi
307
scenici sono presentati dal punto di vista di un personaggio. La
focalizzazione è estranea al teatro di parola, ma, grazie ad alcuni
giochi con parametri della voce e degli effetti orchestrali, l’opera in
musica può applicare questa tecnica narrativa(Zoppelli 1994:24).
Questo succede nel caso di Ferrando. Il protagonista descrive
l’antefatto, cioè gli eventi che avevano avuto luogo fuori scena. La
narrazione di Ferrando viene condotta dalla prospettiva del
personaggio: lo spettatore vede gli eventi passati tramite gli occhi di
Ferrando, che, attraverso i suoi sentimenti e i suoi ricordi, rivela la
sua simpatia per la famiglia del conte di Luna. Tutta la scena, incluso
il coro e l’orchestra che esprimono i suoi sentimenti, viene focalizzata
dal punto di vista di Ferrando. La narrazione di Ferrando, quindi, è
una rimembranza, un passaggio che porta lo spettatore ad un
momento tragico del passato non sperimentato dal pubblico, e che
rievoca le immagini e i ricordi personali del protagonista. Il testo
verbale fornisce il contenuto preciso dell’immagine pensata, e la
musica offre la dimensione prospettica della penetrazione interiore
del personaggio. Quindi, né il dramma né il libretto contengono
quest’elemento narratologico, ma é la musica che offre la dimensione
focalizzata.
Succede lo stesso nel caso di Azucena, nella Parte Seconda. In
questa parte Azucena narra la stessa storia che ha raccontato
Ferrando nella Parte Prima. La zingara rievoca le immagini della
terribile tragedia che sconvolge la sua anima anche al momento
dell’azione. Viene fuori che la morte della madre sul rogo non è
l’unica atrocità che ha segnato la sua vita, ma nel passato è successa
un’altra tragedia che pesa ancora di più sull’animo dell’ormai vecchia
gitana. Dopo aver rapito il figlio del conte per vendicare la madre, al
momento di gettarlo nel fuoco Azucena si era confusa essendo fuori
di sé, e invece di quel bambino aveva bruciato il suo proprio figlio.
Quindi, Manrico non è suo figlio. Si completa così la storia narrata da
Ferrando nella Parte prima dell’opera e, ascoltata dalla bocca della
zingara, diventa una storia più autentica, personale e reale, e non si
ferma al livello di una leggenda contenente falsificazioni, elementi
non reali, misteriosi, e persino magici.
308
La storia viene focalizzata dal punto di vista di Azucena, e riceve
un colorito assolutamente diverso da quello della narrazione di
Ferrando. Il servo, rappresentando l’opinione del conte e della società
tradizionale, accentua l’anima malvagia della madre zingara e di
Azucena, e le condanna per la loro vita superstiziosa, segnata dalla
magia. Lui rappresenta la voce della gente comune, che guarda di
mal occhio il modo di vita degli zingari, e che considera Azucena e
sua madre come streghe maligne. La narrazione di Azucena, invece,
richiama l’attenzione sul lato opposto: vediamo la faccia umana di
Azucena, che soffre per gli eventi del passato. Lei sottolinea la forza
dei teneri sentimenti tra madre e figlia, e cerca di dare una
spiegazione alla sua terribile azione: era fuori di sé, quando bruciò il
suo proprio figlio; nel conoscere l’incidente fatale, lo spettatore sente
compassione per la donna che perde madre e figlio quasi nello stesso
momento. In altre parole, Ferrando presenta la strega Azucena,
mentre la zingara fa vedere la madre–figlia Azucena. L’uso di queste
diverse prospettive nel racconto, è una tecnica efficace per richiamare
l’attenzione dello spettatore e, con l’aiuto di queste focalizzazioni, si
ottiene una maggior immedesimazione visto che si ripercorre l’azione
passo a passo, e il pubblico deve scoprirla dall’interno, insieme ai
personaggi.
Nel caso di Azucena, la narrazione è una rimembranza integrale, e
ciò significa che i ricordi del passato sono rievocati dal personaggio e
non dall’autore – quest’ultimo potrebbe essere il leitmotiv o motivo
identificante. L’allucinata ricomparsa del motivo della vampa nella
mente di Azucena, durante il racconto a Manrico, è una ricomparsa al
quadrato, poiché la zingara (nel momento della narrazione) rivive la
situazione con il bimbo davanti al rogo – primo livello di ricordo -, in
cui era stata assalita dall’immagine del fuoco che aveva arso la madre
– secondo livello di ricordo. Nel trattare delle reminiscenze e delle
rimembranze, ci si accorge del fatto che i due concetti sono quasi
sinonimi, ma esiste una piccola differenza tra essi: la reminiscenza è un
ricordo, o una rievocazione, relativi ad un oggetto o ad un evento
passato che lo spettatore ha visto realmente, mentre la rimembranza si
riferisce all’immaginazione del personaggio relativa a scene del
309
passato a cui non abbiamo direttamente assistito. (Zoppelli 1994:117118) Adottando queste definizioni, si afferma che entrambe le
narrazioni – sia quella di Ferrando che quella di Azucena – sono
rimembranze. Quest’affermazione è appoggiata anche dal fatto che in
questi casi non esiste un’intera melodia musicale che rievochi gli
eventi, e quindi i due motivi musicali – quello del servo e quello della
zingara – non si corrispondono, tutti e due hanno una melodia
diversa, che riappare nel corso della loro narrazione, ma il racconto di
Azucena non include gli elementi e i motivi uditi nella parte prima
dell’opera.
Durante la narrazione dell’atto del rogo, la musica ritorna al ritmo
del ballo e al tempo di allegretto dell’aria “Stride la vampa”, e gli archi
cominciano a suonare lo stesso motivo musicale che prima Azucena
cantava nel suo canto realistico. Questo è il motivo della vampa, del
fuoco e della follia che, a questo punto, diventa il motivo identificante
di Azucena. Azucena rivive il terribile rogo, come se si impazzisse di
nuovo. Dentro di lei risuona la voce della madre: “Mi vendica!”.
(Verdi 2000:72) L’orrore del rogo viene aumentato con il passaggio
cromatico della musica che raggiunge il culmine nel punto in cui
Azucena si accorge che il figlio del conte è accanto a lei, e comprende
che suo figlio sta morendo sul rogo.
Il motivo della vampa si ripete anche nella Parte Terza quando il
conte arresta la zingara e vuole bruciarla sul rogo - è noto che in
questo caso non Azucena, ma il Conte menziona il motivo della
vendetta, e infine Ferrando e il coro dei soldati toccano il tema del
rogo e la vampa infernale che sarà la tomba della strega malvagia. La
forza della vampa riappare ultimamente nell’immaginazione di
Azucena nella Parte Quarta. Nella musica si sente la gradazione della
sua follia, che è sempre più forte e che, a poco a poco, domina tutta la
sua interiorità. La sua voce comincia ad essere impazzita quando dice
a Manrico: “Non odi?... gente s’appressa... – I carnefici son... vogliono al
rogo – Trarmi!... difendi la tua madre!” (Gerardi 1981:61) e ripete la
stessa linea cromatica, accompagnata dalle semicrome, in allegro,
apparsa all’inizio del suo racconto, nella Parte seconda, ma Manrico
non ode nulla. Azucena, invece, continua il suo cammino verso la
310
follia gridando tre volte, senza badare a Manrico – indicazione del
compositore: “Il rogo!...” e poi aggiunge: “parola orrenda!”. (Verdi
2000:227) Con queste parole ricomincia il motivo musicale di “Stride
la vampa”, con il ritmo popolaresco di tre ottavi, con il tempo in
allegretto e con lo stesso motivo melodico suonato dagli strumenti di
legno anche se non nella stessa tonalità. Manrico cerca di calmarla, e
alla fine la zingara si addormenta. Anche a questo punto, la musica
segue fedelmente le fasi dell’addormentarsi e della crescente
stanchezza di Azucena: gli staccati e le pause dell’orchestra in tempo
andantino simboleggiano i suoi occhi che stanno chiudendosi.
Abbiamo già analizzato due differenti focalizzazioni della stessa
storia, quella di Ferrando e quella di Azucena. Il “Miserere” della
Parte Quarta è un po’ differente: qui non appare una narrazione come
nei casi precedenti, ma si presenta la pura focalizzazione musicale.
Dopo la cavatina di Leonora segue il coro interno che canta il Miserere
e suona la campana dei morti; quindi, la musica conferisce un effetto
funebre e tragico alla scena, come se accompagnasse Leonora al suo
ultimo cammino verso la tomba. La campana dei morti è un suono di
natura che appare nell’opera diverse volte e fornisce informazioni
spazio-temporali: aumenta l’effetto del buio notturno, e, inoltre,
prevede simbolicamente gli eventi tragici. Il Miserere, nonostante che
sia un intermezzo, o un tempo di mezzo funzionalmente secondario
tra la cavatina e la cabaletta di Leonora, oltre a dare informazioni
secondarie sulla situazione drammatica, costituisce il vero culmine
emotivo della scena, grazie alla sua focalizzazione e alla sua
straordinaria efficacia emotiva: il coro interno è focalizzato alla
personalità di Leonora: “Miserere d’un alma già vicina – Alla partenza
che non ha ritorno! – Miserere di lei, bontà divina, - Preda non sia
dell’infernal soggiorno! (Gerardi 1981:57) Il Miserere lascia intendere
che la sorte della protagonista è già prevista.
311
3. Suoni di natura
I suoni di natura non appartengono al corpus dell’orchestra, servono
esclusivamente a suggerire l’esistenza stessa di uno spazio, di un
mondo esterno a quello scenicamente visibile, e quindi non si
identificano con le musiche realistiche o dei suoni di scena. (Zoppelli
1994:124-125) Ogni parte contiene almeno uno suono di questo tipo.
Nella Parte prima, durante la narrazione di Ferrando il suono della
campana di mezzanotte assume la funzione di descrivere un
ambiente fuori scena e di aumentare l’effetto orroristico della musica,
e della situazione, basti pensare che il servitore sta proprio parlando
del mondo superstizioso della zingara. Nella Parte Seconda, si ode il
rintocco della campana de’sacri bronzi, che segnala lo squillo del rito
di monacazione di Leonora. La sua funzione è dare informazioni
sull’ambiente spazio-temporale: informa il conte e i suoi servitori sul
tempo e sul fatto che devono fare in fretta se vogliono rapire Leonora
prima dell’annunzio del voto sacro. Nella Parte Terza, il suono
dell’organo informa Leonora e Manrico sull’ambiente spaziotemporale: i due amanti si accorgono così che devono lasciare la
cappella che sta per essere chiusa. E infine, nella Parte Quarta, dopo
il coro interno del Miserere focalizzato sulla personalità di Leonora,
prevedendo la sua sorte tragica, suona la campana dei morti, che
aumenta l’atmosfera funebre e tragico della scena.
Conclusioni
Nel presente studio, ho sottolineato le differenze tra dramma
spagnolo e melodramma italiano dal punto di vista narratologico, le
quali provengono dal fatto che il dramma e il melodramma
ottocenteschi rappresentano due differenti generi artistici: il dramma
è un genere assolutamente rappresentativo mentre, nel caso del
melodramma ottocentesco, la classificazione è problematica poiché,
per l’influenza del romanzo romantico, questo genere misto assume
anche funzioni narrative, e quindi si trova al limite fra un genere
rappresentativo e uno narrativo. Per questa ragione, mi sono
312
permessa la libertà di parlare dell’opera in una prospettiva
narratologica. Ho dimostrato la presenza di tanti elementi
narratologici: la narrazione focalizzata sulla prospettiva di uno o
dell’altro protagonista, che viene accentuata con la forza viva della
musica; la musica di scena; i diversi suoni di natura, che sono presenti
in ogni parte dell’opera, e che danno informazioni sull’ambiente
spazio-temporale; o addirittura l’orchestra che assume le funzioni di
descrivere e rispecchiare un ambiente, un sentimento specifico, o
appunto la prospettiva di un personaggio. Questi sono gli elementi
che rendono l’opera coerente e unitaria.
D’altro canto, è noto che le differenze tra le due varianti de Il
Trovatore non sono dovute soltanto alla prospettiva narratologica ma
anche alle diverse tradizioni teatrali dei due popoli mediterranei. Lo
studio dettagliato di questo problema potrebbe essere un altro punto
interessante nell’analisi comparativa tra il dramma spagnolo e il
melodramma italiano.1
L’attenzione agli elementi narratologici consente di intendere
meglio il miracolo compiuto da Verdi aumentando la drammaticità
del melodramma italiano rispetto al dramma spagnolo. Con questi
mezzi espressivi, le situazioni e i personaggi diventano più autentici,
caratterizzati molto più profondamente del dramma, soprattutto la
figura di Azucena si arricchisce con nuovi significati morali,
similmente ad altri protagonisti di questo periodo verdiano, come,
per esempio, Rigoletto o Violetta. Il melodramma ottocentesco si
avvicina al genere del romanzo, come viene evidenziato anche dalla
caratterizzazione drammatica dei personaggi: l’opera verdiana
sostiene una morale media che è simile, pur nella diversità di
orizzonti, a quella affermata dal romanzo manzoniano.
1
Per altre informazioni sul tema, vedi Szilágyi 2004.
313
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