Laboratorio di Biologia Molecolare I Corso di Laurea in Biologia Molecolare – Università di Padova (A.A. 2010/2011) Programma dell’esercitazione Clonaggio e screening di frammenti eco compatibili del genoma di lambda. Giorno 1 Giorno 2 Giorno 3 1. Ligazione dei frammenti 1. Recupero delle colonie 1. Isolamento del DNA del genoma di lambda nel di XL1 Blue e inizio della plasmidico dai batteri (30 vettore pBSK+ (2.5-3h) crescita in LB amp min) 2. Lavaggi e incubazioni dei 2 . A l l e s t i m e n t o d e l l a 2. Inizio della digestione con batteri XL1 Blue in diversi r e a z i o n e d i P C R d i enzimi di restrizione (60 tamponi per l a screening. min). trasformazione (60 min) 3. Preparazione del gel di 3. Aggiunta del DMSO e del agarosio DNA; incubazione in 4. Caricamento del DNA ghiaccio per 30 minuti. plasmidico digerito e delle 4. Heat shock e incubazione PCR da colonia nel gel di a 37 °C per 30 min agarosio e corsa elettroforetica (60 min) 5. Piastramento dei batteri (dopo l'aggiunta di X-Gal e 5. Discussione generale dei IPTG) risultati TURNI Il laboratorio è frequentato da 80 studenti. Gli studenti saranno divisi in gruppi da 5 persone, per un totale di due turni frequentati da 8 gruppi l’uno. I turni saranno parzialmente sovrapposti per fittare la settimana: Lunedì Martedì Gruppo I Giorno 1 Giorno 2 Gruppo II Giorno 1 Mercoledì Giovedì Venerdì Giorno 3 Giorno 2 Giorno 3 DESCRIZIONE DELL’ESPERIMENTO Prof. Roberto Bisson Questa esercitazione, focalizzata nel clonaggio di sequenze virali ottenute da un genoma fagico, permette allo studente di sperimentare alcune delle tecniche di base più frequentemente utilizzate nella manipolazione del DNA. In pratica, ad ogni gruppo verranno consegnati un plasmide ed il genoma virale, preventivamente tagliati con gli stessi enzimi di restrizione. Questo consentirà di procedere immediatamente alla ligazione, necessaria per la ricombinazione dei vettori con gli inserti e la successiva circolarizzazione. Il DNA ricombinante sarà poi introdotto in un particolare ceppo di E. coli. Le cellule così trasformate verranno selezionate grazie alla resistenza ad un antibiotico (ampicillina) conferita dalla presenza del plasmide. La distinzione fra i cloni contenenti i vettori con sequenze virali e quelli privi di tali inserti sfrutterà, in prima istanza, una particolare reazione colorimetrica. La presenza o meno del gene nei cloni positivi sarà confermata mediante una analisi diretta del DNA plasmidico. A tale scopo, i cloni isolati verranno fatti crescere e il DNA plasmidico estratto. Tale DNA sarà digerito con gli enzimi di restrizione opportuni e analizzato mediante gel elettroforesi in agarosio. Discuteremo ora in maggior dettaglio alcuni aspetti di questa particolare esercitazione. Il plasmide (pBluescript SK+) Come è noto, i plasmidi batterici sono delle molecole circolari di DNA a doppio filamento in grado di replicarsi autonomamente all'interno della cellula e capaci di conferire ad essa particolari fenotipi. Praticamente tutti i plasmidi usati in biologia molecolare sono artificiali, sono cioè il risultato di manipolazioni relativamente semplici che hanno ricombinato, all'interno della stessa molecola, elementi genetici ottenuti non solo da plasmidi naturali diversi, ma anche dal DNA di virus e di altri organismi sia procariotici che eucariotici. Il plasmide usato in questi esperimenti è del tipo Bluescript, la cui mappa è mostrata qui sotto: Fig. 1 – Mappa del vettore pBluescript® II SK. Anche se la figura mostra due versioni alternative dello stesso vettore, quello usato nell'esperimento è il SK+. Nell'esercitazione i segmenti di DNA virale, ottenuti per digestione del genoma del fago con gli enzimi EcoRI e HindIII, dovranno essere inseriti nel sito di policolnaggio (MCS). Questo è possibile perchè in questa regione, come si può notare, esistono siti di restrizione compatibili (per una immagine d e t t a g l i at a c l i cc a re l ' a re a c h e l i comprende). Come si vede, oltre al gene che conferisce la resistenza all'ampicillina (Ampr) e la necessaria presenza dell'origine di replicazione (ori), il plasmide possiede una parte dell'operone lattosio (lacZ', con il relativo promotore inducibile) e due promotori virali (T3 e T7). I due promotori fagici delimitano un segmento di DNA (definito MCS cioè multiple cloning site o polycloning site) che contiene numerosi siti per gli enzimi di restrizione più comuni ed è inserito in fase nel gene lacZ'. Proprio in questi siti viene di solito inserito il segmento di DNA di interesse (un gene, una sequenza regolatoria, un oligonucleotide o qualsiasi altro tipo di inserto). Nel caso specifico, si tratterà di una sequenza virale inserita fra i siti EcoRI e HindIII. Il plasmide pBSK possiede anche altre interessanti caratteristiche che, per semplicità, non sono qui discusse (ma sono accessibili ai più interessati attraverso questo depliant commerciale). Oltre che dalla resistenza all'antibiotico, la presenza di questo plasmide in un batterio può essere dimostrata con un particolare test colorimetrico che sfrutta l'attività dell'enzima ßgalattosidasi. Ovviamente, nel ceppo batterico usato per la trasformazione, il gene per questo enzima deve essere inattivo. Anche per questo motivo nell'esperimento in oggetto non viene usato il ceppo selvatico di E. coli, ma un ceppo mutante denominato JM 101 che sintetizza una ß-galattosidasi priva dell'estremità amminoterminale e perciò inattiva. Tale attività può essere ripristinata se la cellula viene trasformata con il plasmide pBSK (Fig. 1) che contiene appunto il gene lacZ' codificante un peptide (detto alfa-peptide) che corrisponde ai primi 146 ammino acidi della regione N-terminale dell'enzima. Il peptide è infatti in grado di interagire (associarsi) con la porzione monca della ß-galattosidasi dell'ospite complementandola. Naturalmente, l'espressione della proteina richiede la rimozione del repressore, prodotto del gene lacI, dal promotore di lacZ' per attivare la trascrizione. Per questo motivo, nel mezzo in cui i batteri sono risospesi dopo la trasformazione, immediatamente prima di essere piastrati, viene aggiunto l'induttore artificiale isopropiltiogalattoside (IPTG). Simultaneamente, viene anche introdotto il substrato cromogenico 5-bromo-4-cloro-3-indolil-ß-D-galattoside (Xgal) che viene convertito in un prodotto blu dalla ß-galattosidasi. I cloni che contengono il plasmide sono quindi facilmente identificabili. La presenza di questo particolare costrutto derivato dall'operone lattosio non serve quindi per la selezione dei batteri contenenti il plasmide (compito che viene assolto benissimo dal gene Ampr), ma è utile invece a distinguere i cloni contenenti il plasmide con un inserto da quelli con il plasmide privo di inserto. L'inserimento di DNA estraneo nel polycloning site, infatti, inattiva il gene lacZ' abolendo così l'attività ß-galattosidasica; conseguentemente i cloni appariranno bianchi. Quello che è stato appena detto si applica rigorosamente nelle situazioni in cui il vettore viene tagliato con un singolo enzima di restrizione ed utilizzato per il clonaggio di sequenze contenenti estremità compatibili. In questo caso esistono solo due possibilità durante la ligazione: 1. il plasmide lega l'inserto e circolarizza; il suo inserimento nei batteri e l'induzione con IPTG non possono produrre l'alfa-peptide, la ß-galattosidasi rimane inattiva, non si svluppa la colorazione in presenza di Xgal 2. il plasmide si richiude prima di legare l'inserto riformando il vettore di partenza; il suo inserimento nei batteri in presenza di IPTG produce l'alfa-peptide, la ß-galattosidasi viene complementata, Xgal viene convertito in un prodotto colorato. Nella reazione ligazione, la probabilità di una ricircolarizzazione del plasmide prima della formazione di un legame con l'inserto è infatti molto elevata. Questa situazione ha un riscontro visivo immediato, dopo la trasformazione, con la comparsa di un numero elevato di cloni blu rispetto a quelli bianchi. Per limitare questo evento non desiderato esistono diverse alternative. Si può ad esempio aumentare il rapporto inserto/vettore nella reazione di ligazione. La soluzione più frequente, tuttavia, si basa sulle caratteristiche di questa reazione, schematizzata nella figura qui sotto: Essa consiste nella defosforilazione delle due estremità del vettore prodotte dal trattamento con l'enzima di restrizione. La reazione avviene facilmente in presenza di una fosfatasi (fosfatasi alcalina) e la conseguenza diretta è l'impossibilità di richiudersi del plasmide durante la ligazione; viene a mancare, infatti, uno dei due gruppi fondamentali per permettere la formazione dell'estere. A questo punto, l'unico gruppo fosfato disponibile è quello proveniente dall'inserto che solo può permettere la chiusura del vettore e quindi il suo funzionamento all'interno del batterio dopo la trasformazione: Fig. 2 – La defosforilazione del vettore blocca la sua riligazione. (1) Dopo il taglio con un singolo enzima di restrizione il vettore possiede estremità coesive contenenti un gruppo fosfato in 5' (rosso). (2) La rimozione di questi gruppi con fosfatasi alcalina rende impossibile la loro ligazione. (3) L'inserto (giallo), tagliato con lo stesso enzima di restrizione, possiede estremità compatibili con quelle del vettore e fosforilate. (4) La ligasi può quindi catalizzare la formazione di due legami fosfodiesterici (rossi), mentre altri due rimangono aperti (nicked). Il loro chiusura avverrà solo all'interno della cellula batterica, dopo la trasformazione. Una soluzione, solo apparentemente più complessa, per ridurre drasticamente il problema della ricircolarizzazione del vettore è quella utilizzata in questa esercitazione dove il vettore pBSK+ viene tagliato con due enzimi di restrizione diversi (EcoRI e HindIII); le estremità che si creano sono così incompatibili rendendo la chiusura intermolecolare teoricamente impossibile. Solo inserti con le stesse caratteristiche dovrebbero quindi ricombinarsi con il plasmide per produrre, dopo trasformazione, una larga prevalenza di cloni bianchi. Lo studente dovrebbe riflettere attentamente su questi aspetti. Da un punto di vista teorico una procedura come quella appena descritta dovrebbe escludere completamente la formazione di cloni blu. Perchè allora si afferma che questo è solo "teoricamente impossibile" e si fa un così largo uso del condizionale? Cosa può ancora accadere? L’inserto In ogni esperimento di clonaggio, c'è sempre un altro protagonista ancora più importante del vettore: l'inserto, cioè la sequenza di DNA che, per vari scopi, si deve isolare. Frequentemente accade anche che il clonaggio riguardi simultaneamente molti segmenti diversi come, ad esempio, nella costruzione delle cosiddette librerie. Nel caso di questa esercitazione gli inserti di interesse sono ottenuti dal genoma di un virus batterico, il celeberrimo fago lambda. Naturalmente, per ottenere dei frammenti compatibili con il vettore pBSK+ appena descritto, anche il genoma di lambda deve essere tagliato con EcoRI e HindIII: Fig. 3 – Restrizione singola e doppia del genoma di lambda. I frammenti prodotti sono stati separati in gel di agarosio all'1% (lunghezza 8 cm, 1x TAE, 17 V/cm) nel caso dei campioni trattati con HindIII. Per l'analisi della digestione con il solo EcoRI, a causa delle dimensioni piuttosto elevate di tutti i frammenti, è stato utilizzato un gel di agarosio allo 0,7% (lungo ben 20 cm, per una corsa di 18 ore a 3 V/cm). La quantità totale di DNA caricato è sempre di 0,5 µg di DNA per corsia. Nel caso dei campioni tagliatio singolarmente, oltre alle dimensioni dei frammenti in bp, sono mostrate le quantità relative in termini ponderali (riferite ad 1µg di DNA genomico). Gli asterischi identificano i due segmenti contenenti le estremità coesive che permettono la circolarizzazione del genoma virale nel ciclo vitale del fago. Proprio per la loro lunghezza esse tedono ad appaiarsi generando un prodotto ad alto peso molecolare; i frammenti coinvolti possono essere separati per riscaldamento a 65°C per 5 minuti e successivo raffreddamento in ghiaccio per 3 minuti. come si può notare dalla figura, l'effetto combinato dei due enzimi permette di ottenere frammenti di dimensioni adatte al clonaggio, anche se non tutti avranno le estremità EcoRI/ HindIII compatibili per l'inserimento nel vettore (perchè? quali frammenti nel gel della figura 4 sono sicuramente compatibili?). Trasformazione Il DNA è una molecola con una alta densità di carica negativa. Conseguentemente il suo passaggio attraverso la membrana plasmatica è virtualmente impossibile in condizioni normali. Per questo motivo l'introduzione di DNA nella cellula richiede l'adozione di strategie particolari basate in larga parte su metodi empirici. La più comune di esse, usata anche in questa esercitazione, consiste nel risospendere i batteri, per tempi relativamente brevi e a bassa temperatura, in soluzioni tampone contenenti CaCl2 in combinazione con particolari cationi (nel caso specifico Rb+) ed eventualmente altre sostanze (es.: dimetilsolfossido, indicato nel protocollo con la sigla DMSO). A questi trattamenti viene di solito aggiunto uno shock termico che fa salire ulteriormente l'efficienza di trasformazione, cioè il numero di cellule rese, almeno in apparenza, transientemente permeabili al DNA (competenti). Il corsivo in questo caso è d'obbligo dal momento che il meccanismo attraverso il quale il DNA penetra nella cellula batterica non è affatto chiaro (non è quindi dimostrato che si tratti di permeabilizzazione). Con questi metodi, tuttavia, si può arrivare a frequenze di trasformazione di 108 colonie/µg di DNA plasmidico, un valore più che sufficiente per molti scopi. Preparazione di DNA plasmidico Come è stato detto più sopra, la preparazione del DNA plasmidico dai singoli cloni è necessaria per verificare la presenza dell'inserto nel vettore. Anche in questo caso esistono varie procedure che sostanzialmente differiscono per il modo con cui viene lisato il batterio, una scelta che a sua volta è legata alle dimensioni del plasmide, alle caratteristiche dell'ospite e alla utilizzazione successiva del DNA. Nei due metodi più comuni la lisi è favorita da un trattamento enzimatico (con lisozima per rompere la parete batterica) o, in maniera più drastica, dall'azione di alcali. In entrambi i casi, viene anche impiegato il detergente anionico denaturante SDS (sodio dodecil solfato) che solubilizza la membrana e buona parte delle proteine. La procedura che sarà usata nell'esercitazione è la lisi con alcali. In queste condizioni, la separazione fra DNA plasmidico e genomico è possibile perchè quest'ultimo, dopo la denaturazione provocata dagli alcali, a causa delle sue dimensioni, rimane intrappolato nei detriti cellulari che vengono eliminati con la centrifugazione. In questa fase, bisogna fare attenzione a non agitare violentemente il campione per non provocare la rottura meccanica del DNA genomico (che è fragilissimo) e quindi la contaminazione del DNA plasmidico da parte dei frammenti così generati. Con la centrifugazione vengono eliminate anche molte proteine, incluse quelle insolubili in SDS e quelle precipitate a causa dell'elevata forza ionica indotta dall'aggiunta dell'acetato di potassio (salting out). In passato, una ulteriore deproteinizzazione ed eliminazione di componenti idrofobici (come, ad esempio, i lipidi) veniva compiuta aggiungendo alla soluzione acquosa una miscela di solventi organici comprendenti fenolo, cloroformio ed alcool isoamilico. Si formavano due fasi. Il DNA rimaneva nella fase acquosa mentre le proteine, denaturate dal trattemento, si localizzavano all'interfaccia fra le due fasi. Le precipitazioni successive del DNA con etanolo servivano essenzialmente per ripulirlo da tracce di sali e solventi utilizzati precedentemente. Questo ultimo passaggio, per questioni legate alla lunghezza del tempo richiesto, alla tossicità del fenolo e alla possibilità di perdere il micropellet di DNA durante il lavaggio, è stato progressivamente rimpiazzato da una diversa procedura. In condizioni di pH alcalino e ad alta forza ionica, infatti, il DNA plasmidico viene legato con grande efficienza da matrici di silice. Dopo i lavaggi, condotti con una soluzione che è in grado di rimuovere eventuali impurezze anche di carattere idrofobico, il suo distacco è provocato da una semplice riduzione della forza ionica. Il DNA così rilasciato è di una purezza e concentrazione tali da poter essere usato immediatamente non solo per l'analisi di restrizione, come nel caso presente, ma anche per procedure più complesse come il sequenziamento. Anche se ancora non molto economico, il metodo è notevolmente veloce perchè si basa sull'impiego di colonnine, contenenti silice, preconfezionate. L'uso di kits, come quello appena descritto, si è progressivamente imposto anche in molte altre situazioni, spesso a scapito della comprensione da parte dell'operatore dei meccanismi che sono alla base dell'impiego di particolari soluzioni preconfezionate. Lo studente è invitato a non cadere in questo errore, ma ad esaminare sempre la composizione di ciò che usa e a chiedersi costantemente il significato di ciò che fa. Gel elettroforesi in agarosio Nelle sue varie versioni, il movimento di molecole mediato da un campo elettrico è certamente il fenomeno più sfruttato nell'analisi biochimica. Buona parte di queste tecniche si basano sulla differente velocità di migrazione che, in generale, dipende dal rapporto carica/massa oltre che dalla forma delle molecole. Queste differenze possono essere accentuate da una opportuna scelta dei tamponi (perché?) e del supporto in cui le molecole sono costrette a muoversi. Il supporto può essere immaginato come una rete tridimensionale con buchi o pori di dimensioni definite. In questa matrice, molecole con un diametro più piccolo dei buchi migreranno molto più rapidamente di molecole di dimensioni maggiori, anche a parità di rapporto carica/massa. Al di là del problema della conformazione, che riveste pure una notevole importanza, molecole enormi potrebbero addirittura non entrare nelle maglie e quindi rimanere praticamente immobili. In termini relativi (per esempio rispetto alle proteine) le molecole di DNA hanno di solito dimensioni molto grandi. Conseguentemente il tipo di supporto che viene scelto deve essere a maglie larghe. Questa è la ragione dell'uso dell'agarosio, un polisaccaride che in soluzioni acquose fredde è in grado di formare un gel (a causa dello stabilirsi di ponti idrogeno fra le catene lineari polimeriche), cioè una matrice la cui porosità dipende dalla concentrazione dell'agarosio stesso (la figura qui sotto mostra la struttura dell’unità fondamentale dell’agarosio a sinistra e un modello di una possibile struttura sovramolecolare a destra). In questo tipo di gel è possibile separare molecole di DNA comprese fra le 200 e 50.000 bp. Per la separazione di molecole di DNA comprese fra 0.5 e 10 kb, un gel allo 0.8% di agarosio si rivela sufficiente. Per evitare migrazioni anomale dovute a superavvolgimenti del DNA, è opportuno linearizzare i plasmidi prima di sottoporli a gel elettroforesi. La presenza di markers, cioè di segmenti di DNA di dimensioni note, è assolutamente necessaria per costruire curve di calibrazione che permettano di valutare correttamente il numero di basi che costituiscono il DNA che si sta analizzando. Nel caso specifico, ilmarker sarà costituito prorio da un digerito EcoRI/HindIII di lambda. La visualizzazione del DNA è possibile in luce UV se è presente il colorante fluorescente bromuro di etidio. Questa sostanza, infatti, è in grado di intercalarsi fra le basi del DNA causando un allungamento ed un irrigidimento della molecola. PCR Con il termine PCR (dall'inglese: polymerase chain reaction, cioè reazione di polimerizzazione a catena)si identifica una tecnica che consente di amplificare un segmento definito di DNA in vitro. La reazione è globalmente molto rapida; nel giro di poche ore, essa consente di amplificare la sequenza di interesse fino a 108 volte (con particolari artifici si può arrivare anche a 1010 volte). Con la PCR diventano quindi possibili analisi e manipolazioni di quantità anche molto limitate di DNA (ad esempio quella di un capello o di una goccia di sangue). I confini della sequenza da amplificare sono definiti da due oligonucleotidi (primers), in grado di ibridizzarsi (cioè di legarsi per complementarietà di basi) alle estremità 3' dei filamenti opposti del segmento di DNA. In tale posizione, essi sono in grado di innescare la sintesi di DNA catalizzata dalla polimerasi in presenza di dNTP (cioè: dCTP, dGTP, dATP, dTTP). La reazione comprende tre fasi che, in ordine di esecuzione, sono definite con i termini di denaturazione, annealing ed estensione. L'insieme di queste operazioni costituisce un ciclo che, normalmente, può essere ripetuto efficientemente fino a 25-30 volte. Rappresentazione schematica dei primi tre cicli di reazione della PCR. E' importante notare come, dal secondo ciclo in poi, i segmenti di lunghezza definita (delimitati dai primers) crescano secondo una progressione geometrica (b), mentre è aritmetica la progressione dei segmenti di lunghezza indefinita. Questi ultimi, dopo 25-30 cicli, appresentano una parte trascurabile della popolazione dei segmenti di DNA ottenutidall'amplificazione. La figura è tratta dal testo Genetica Molecolare di R. Knippers (Zanichelli, 1998). L'insieme di queste operazioni costituisce un ciclo che, normalmente, può essere ripetuto efficientemente fino a 25-30 volte. Il controllo delle fasi del ciclo dipende strettamente dalla temperatura. Il riscaldamento del campione a 90 °C provoca infatti la denaturazione del DNA, scoprendo ai primers i confini della sequenza che deve essere amplificata. In queste condizioni, un repentino abbassamento della temperatura (intorno a 45-55 °C) favorisce il posizionamento (ibridazione) dei primers sul DNA, grazie anche al largo eccesso con cui sono presenti nella miscela di reazione. Il successivo innalzamento della temperatura, a circa 70-75 °C, permette quindi ad una particolare DNA polimerasi di duplicare il tratto di DNA delimitato dai primers stessi (fase di allungamento o estensione). Poichè i segmenti neosintetizzati sono a loro volta in grado di legare i primers, cicli successivi di amplificazione continueranno a radoppiare la quantità di DNA presente nel ciclo precedente. Dopo n cicli di amplificazione, la quantità di frammento amplificato sarà quindi 2n il valore iniziale (16.777.216 molecole dopo 25 cicli partendo da una molecola). E' quindi possibile amplificare anche una singola copia di DNA bersaglio. Nel caso di sequenze superiori alle 2.5 Kb, tuttavia, il processo diventa piuttosto inefficiente. Il principio della PCR fu inizialmente messo a punto utilizzando il frammento Klenow della DNA polimerasi I di E. coli. L'enzima doveva perciò essere aggiunto ad ogni ciclo di reazione perchè la temperatura che provocava la denaturazione del DNA lo inattivava irrimediabilmente. Il successivo utilizzo di una DNA polimerasi termostabile, estratta da un batterio termofilo (il Thermus aquaticus, da cui il nome di Taq polymerase), ha migliorato considerevolmente la tecnica. Infatti, è ora sufficiente introdurre l'enzima solo all'inizio del primo ciclo di reazione (ovviamente assieme al DNA contenente la sequenza da amplificare, i primers e i desossiribonucleotidi trifosfato), in un tampone opportuno, perchè il processo possa essere ripetuto più volte con considerevole efficenza. In pratica, nella versione più moderna, la provettina contenente queste sostanze (in un volume di 100 µl) viene inserita in un blocco termico pilotato da un computer secondo i parametri (cioè durata delle varie fasi e temperatura) introdotti dall'operatore. PROTOCOLLO SPERIMENTALE Giorno 1 Clonaggio di una libreria di frammenti di DNA. Vi viene fornita una miscela di frammenti di DNA genomico di lambda digerito con gli enzimi EcoRI ed HindIII, che ligherete in un vettore precedentemente digerito con gli stessi enzimi. Ligazione vettore inserto Allestite una reazione di ligazione per preparare il plasmide ricombinante, ed una reazione di controllo. Preparate e siglate opportunamente due Eppendorf. Nella prima aggiungere mescolando: • 5 µl di H2O • 5 µl vettore (50 ng) • 4µl di tampone 5X per la reazione di ligazione (fornito assieme alla ligasi dal produttore); è costituito da: 150mM Tris-HCl (pH 7.8 at 25°C), 50mM MgCl2, 50mM DTT e 5mM ATP. • 5 µl di DNA genomico (equivalenti ad un rapporto molare con il vettore di 3:1, considerando la somma dei frammenti clonabili) • 1 µl (4-6 unità/µl) di ligasi Mescolare perfettamente usando la punta della pipetta. Incubare la reazione a 25°C (temperatura ambiente) per circa 2 ore e 30 minuti. Nella seconda Eppendorf, come controllo negativo, la ligazione descritta sopra verrà eseguita con il solo vettore introducendo 5 µl di H2O al posto del DNA di lambda Preparazione delle cellule competenti Mezzi e soluzioni LB 10 g/l Bacto triptone 5 g/l estratto di lievito 5 g/l NaCl LBA (per piastre con antibiotici) 10 g/l Bacto triptone 5 g/l estratto di lievito 5 g/l NaCl 15 g/l Agar 100 µg/ml di ampicillina Soluzione di trasformazione I 10 mM MOPS 10 mM RbCl pH 7.0 con Tris Soluzione di trasformazione II 100 mM MOPS 50 mM CaCl2 10 mM RbCl pH 6.5 con Tris DMSO (dimetilsolfossido) IPTG (isopropiltiogalactopiranoside) 100 mM X-GAL (5-bromo-4-cloro-3-indolil-ß-D-galattoside) 40 µg/µl in dimetilformammide Attenzione: i campioni da preparare sono tre, uno per la ligazione vettore/inserto, l'altro per la ligazione del solo vettore, il terzo campione con DNA plasmidico per controllare l'efficienza della trasformazione. Dividere in aliquote da 2 ml in tubi da centrifuga da 13 ml (in ghiaccio). Ciascun gruppo dovrà preparare tre aliquote di cellule competenti (2 per ligazione e 1 per il controllo positivo per verificare l’efficenza dei batteri). Centrifugare per 5 minuti a 4°C a 3000 rpm (centrifuga per cellule). Eliminare il sopranatante e risospendere i batteri in 1 ml di Soluzione di trasformazione I fredda. Centrifugare 5 minuti a 4°C a 3000 rpm (centrifuga per cellule). Eliminare il sopranatante e risospendere i batteri in 1 ml di Soluzione di trasformazione II fredda. Incubare in ghiaccio per 15 minuti. Centrifugare 5 minuti a 4°C a 3000 rpm (centrifuga per cellule). Eliminare il sopranatante (tutto il possibile) e risospendere in 200 µl di Soluzione di trasformazione II fredda. Aggiungere 3 µl di DMSO agitare. Trasformazione Aggiungere a ciascuna delle aliquote di cellule competenti 10 µl di DNA: • Ligazione vettore + lamda digerito • Ligazione vettore (controllo di digestione) • pBSK+ circolare (controllo di trasformazione) Incubare in ghiaccio per 30 minuti Trasferire in bagno a 42 °C per 30 secondi (heat shock). Aggiungere 5 ml di LB medium. Incubare a 37°C per 30 minuti Nel frattempo preriscaldare le piastre con antibiotico, X-Gal e IPTG, in incubatore a 37°C Centrifugare 5 minuti a 20°C a 3000 rpm (centrifuga per cellule). Nel frattempo preparare le anse per piastrare i batteri. Eliminare il sopranatante e risospendere i batteri nel poco liquido residuo. Piastrare immediatamente su piastre con antibiotico. Nel caso delle trasformazioni delle ligazioni il campione va distribuito su due piastre (50 µl nella prima, il restante nella seconda). Mettere le piastre capovolte in incubatore a 37°C per tutta la notte. Giorno 2 Le piastre di trasformazione e di controllo possono essere analizzate immediatamente in termini di numero di colonie e di colore delle stesse. Per poter verificare la presenza di un inserto clonato utilizzeremo due metodiche differenti: da un lato l’estrazione del plasmide seguita da restrizione e corsa elettroforetica, dall’altro una PCR sfruttando i primer “universali” che si appaiano sul vettore ai lati del sito di policlonaggio. Selezione dei cloni da esaminare L’estrazione di DNA plasmidico si effettua a partire da un piccolo volume (2 ml) di coltura liquida della colonia. Oggi inoculeremo alcune colonie in dei tubi con LB, e li metteremo a crescere “overnight”, per averli pronti all’uso domani. Mezzi e soluzioni LB 10 g/l Bacto triptone 5 g/l estratto di lievito 5 g/l NaCl Ampicillina 100 mg/ml Preparare alcune provette con 2 ml di LB (una per colonia prelevata). Aggiungere ampicillina alla concentrazione finale 100 µg/ml. Ogni gruppo deve prelevare: 1 colonia blu (batteri trasformati con il plasmide ricircolarizzato senza inserto, con il gene per la ß-galattosidasi integro, in grado quindi di metabolizzare il cromogeno X-Gal) 4 colonie bianche (batteri trasformati con il plasmide con inserito nel gene per la ßgalattosidasi il DNA esogeno incapaci quindi di metabolizzare il cromogeno) Mettere le colonie a crescere nelle provette con i 2 ml di LB addizionato dell'antibiotico a 37°C sotto agitazione fino al giorno successivo (le cellule raggiungeranno lo stato stazionario). PCR da colonia Per un rapido screening è possibile usare direttamente delle colonie batteriche come templato per la PCR. Per far questo asporteremo parte di una colonia con un puntale sterile e la metteremo a bollire in dei tubini contenenti acqua. Il nostro “templato” sarà pronto. Parallelamente va preparata la miscela di reazione a cui aggiungere il templato. Soluzioni 5X PCR buffer 0.5 M KCl 0.1 M Tris/Cl pH 8.3 7.5 mM MgCl2 Xylene cianolo e tartrazina dNTP mix 2.5 mM dATP 2.5 mM dCTP 2.5 mM dGTP 2.5 mM dTTP Primer I 5 µM (primer M13 for) Primer II 5 µM (primer M13 rev) Taq DNA polimerasi Preparazione del templato – Selezionare una colonia per componente del gruppo. Per ciascuna colonia preparare una eppendorf da 0.5 mL, alla quale aggiungere 20 µl di acqua sterile. Con un puntale da p200 sterile sfiorare la colonia prescelta e pipettare nell’eppendorf. Siglare ogni eppendorf con il nome della colonia. Mettere le eppendorf a 90°C per 10 minuti. Miscela di reazione – In una eppendorf da 0.5 ml sterile mescolare: • • • • • • 25 µl acqua sterile 10 µl di 5X PCR buffer 4 µl di dNTP mix 2 µl del primer forward 2 µl del primer reverse 2 µl di Taq Mescolare e dare una brevissima centrifugata per raccogliere il liquido sul fondo della eppendorf. Aggiungere 5 µl di colonia bollita. Inserire la provetta nel blocco riscaldante della macchina per PCR e far partire il programma per l'amplificazione: Denaturazione iniziale per 2 min a 95°C, seguiti da 30 cicli di amplificazione: • 95°C 30 secondi (denaturazione) • 55°C 30 secondi (annealing) • 72°C 10 secondi (extension) L'ultima estensione viene protratta per 5 minuti. Alla fine della amplificazione mettere la provetta in refrigeratore a -20°C Giorno 3 Mini preparazione di DNA plasmidico Soluzioni Buffer P1 50 mM glucosio 25 mM Tris/Cl pH 8.0 10 mM NaEDTA 1 mg/ml RNAsi A Buffer P2 0.2 N NaOH 1% SDS Buffer N3 3 M KAcetato pH 5.0 sale caotropico Buffer PE 80% etanolo sale caotropico Tasferire 1.5 ml di coltura batterica satura in provetta eppendorf. Centrifugare per 20 secondi a temperatura ambiente a 12000 g (centrifuga Eppendorf ) Eliminare il sopranatante (il più possibile) e risospendere accuratamente i batteri in 200 µl di buffer P1. Aggiungere 200 µl di buffer P2, mescolare per inversione (non vorticare perchè il DNA genomico di E. coli si frammenterebbe contaminando quello plasmidico). Aggiungere 350 µl di buffer N3, mescolare per inversione. Centrifugare per 10 minuti a temperatura ambiente a 12000 g (centrifuga Eppendorf ). Preparare le colonnine contenenti la resina di silicio. Trasferire il sopranatante (evitando il precipitato bianco) nella colonnina. Centrifugare per 1 minuto a temperatura ambiente a 12000 g (centrifuga Eppendorf ). Eliminare l’eluato dalla provetta. Lavare la colonnina con 0.75 ml di buffer PE. Centrifugare per 1 minuto a temperatura ambiente a 12000 g (centrifuga Eppendorf ). Eliminare l’eluato dalla provetta. Ricentrifugare per 1 minuto a temperatura ambiente a 12000 g (centrifuga Eppendorf ) per eliminare le tracce di etanolo. Trasferire la coloninna in una provetta da 1.5 ml pulita, senza tappo (tenere il tappo). Aggiungere 50 µl di H2O esattamente al centro della colonnina. Incubare per 1 minuto a temperatura ambiente. Centrifugare per 1 minuto a temperatura ambiente a 12000 g (centrifuga Eppendorf ). Il DNA così purificato può essere conservato a -20°C e utilizzato per la digestione con tutti gli enzimi di restrizione. I passaggi sono schematizzati qui sotto: Digestione Per ogni colonia da testare, mescolare in una eppendorf: • 3µl di H2O • 4 µl di buffer 5X per la reazione di digestione (generalmente fornito insieme all'enzima di restrizione dal produttore; esso presenta la composizione salina ottimale per quel determinato enzima) • 5 µl della soluzione di enzima EcoRI 2u/µl (10 unità di enzima di restrizione) • 5 µl della soluzione di enzima HindIII 2u/µl (10 unità di enzima di restrizione) • 3 µl di DNA in H2O (circa 1 µg di DNA) Controlli negativi – Preparare un campione “bianco” ed uno “blu” come segue: • 13µl di H2O • 4 µl di buffer 5X per la reazione di digestione (generalmente fornito insieme all'enzima di restrizione dal produttore; esso presenta la composizione salina ottimale per quel determinato enzima) • 3 µl di DNA in H2O (circa 1 µg di DNA) Incubare le reazioni ed i relativi controlli per circa 2 ore a 37°C in bagno termostatico; Gel elettroforesi Come per qualsiasi procedura sperimentale è essenziale leggere tutto il protocollo e non procedere passo passo. Anche per la preparazione del gel è importanti coordinarsi ed avere la “slitta” pronta prima di avere l’agarosio da versare. Soluzioni TAE buffer 40X 1.6 M Tris 1 M NaAcetato 20 mM NaEDTA 4 % v/v acido acetico glaciale (pH 8.00) Colorante 5X 0.2% Tartrazine 0.2% Xilene cianolo 0.2 M NaEDTA pH 8.0 50% glicerolo Etidio bromuro 10 mg/ml Preparare 500 ml di TAE buffer 1X (diluendo il TAE buffer 40X). In una beuta da 250 ml versare 100 ml di TEA buffer 1X appena preparato. Aggiungere 1 g di agarosio regolare. Sciogliere nel microonde facendo attenzione a non fare bollire la soluzione di agarosio. Aggiungere etidio bromuro alla concentrazione finale di 0.5 mg/l. Nel frattempo sigillare il ponte che deve sostenere il gel con nastro adesivo alle estremità (sembra quindi una "slitta"). Sigillare i lati della "slitta" chiusi con il nastro adesivo con un piccolo volume di agarosio fuso, aspettare qualche minuto, quindi versare l'agarosio e inserire il pettine evitando le bolle (i pozzetti che si formano hanno un volume approssimativo di 20-30 µl). Lasciare solidificare a temperatura ambiente. Nel frattempo versare il resto del TAE buffer 1X nella camera di corsa. Inserire il gel nella camera di corsa avendo cura che il gel sia immerso completamente nel buffer TAE 1X che riempie la camera stessa. Togliere il pettine lentamente, tenendosi perpendicolari rispetto al gel, eliminare il nastro adesivo che chiude le estremità. TRACCIA RELAZIONE Descriva i campioni di partenza, i risultati aspettati e quelli effettivamente ottenuti. In sintesi: I. Quali erano i costrutti (cioè i plasmidi) che il suo gruppo ha impiegato nel clonaggio? II. Quanti cloni si aspettava di vedere (in termini relativi) per piastra? Che colore avrebbero dovuto avere? III. Cosa ha effettivamente trovato? (numero di cloni per piastra, colore, e ogni altra informazione utile). Come spiega il risultato? Quali possono essere stati i motivi che hanno determinato o favorito un risultato inaspettato? IV. Identifichi gli inserti clonati riferendosi al pattern di restrizione EcoRI/HindIII del fago lambda mostrato nella pagina dei risultati.