UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO
CUORE
FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE POLITICHE E DELLE
RELAZIONI INTERNAZIONALI
FINANZA ISLAMICA COME
ESEMPIO DI FINANZA ETICA
Relatrice:
Ch.ma prof.ssa
SIMONA
BERETTA
Candidato:
STEFANO
MENEGALDO
Matricola:
3702479
Introduzione
In una prima e semplicistica definizione l'economia islamica rappresenta
quel complesso di pratiche, transazioni, contratti e relazioni tra soggetti che
trovano ispirazione e sono conformi ai dettami e alle tradizioni della Sharia (la
Legge per i musulmani). Secondo la Sharia, l'obiettivo di una banca islamica non
sarebbe solo la realizzazione di profitti, considerata lecita e auspicabile, ma anche
contribuire al bene della collettività, facendo ad esempio prestito ai poveri e ai
bisognosi senza applicarvi nessun interesse.1
In Italia, ad oggi, i diversi momenti dello studio del sistema bancario
islamico possono essere sintetizzati in tre tappe principali. Prima di tutto sono
stati raccolti, tradotti in lingua italiana e studiati i materiali normativi (accordi
internazionali, leggi, regolamenti, circolari, atti costitutivi, statuti) che regolano
l'attività delle principali banche islamiche. Dall'analisi di questo lavoro ci si è resi
conto che il vero interesse, in relazione alla volontà d'importare strumenti di
finanza islamica in Italia, non andava tanto ricercato all'interno di quegli Stati
convinti di aver realizzato il proprio sistema economico e giuridico alla piena
conformità con l'Islam, ma piuttosto in tutti quegli altri contesti non totalmente o
per niente islamici dove l'attività bancaria islamica deve necessariamente
differenziarsi trovando soluzioni diverse rispetto al sistema mondiale dominante
1 Riassunto ed elaborato da Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza islamica. Quando i
mercati incontrano il mondo del Profeta, Bologna, Il Mulino, 2009, pp. 12 e seguenti; Emilio
Vadalà, Capire l'economia islamica, Brolo (Messina), Yorick Editore, 2004, pp. 42 e seguenti.
che critica radicalmente in uno dei suoi elementi fondanti: l'interesse.2
Nel Corano, infatti, v'è una ferma condanna al domandare interessi, tradotti
con il termine riba - che in arabo letteralmente significa “incremento”, “eccesso”,
“crescita” - senza peraltro dare alcuna dettagliata spiegazione. Alcuni studiosi
sostengono che ciò sia da attribuirsi al fatto che tale termine era ampiamente
diffuso all'epoca della rivelazione – ovvero prima del VI secolo d.C. quando
l'Islam divenne il principio organizzativo dominante in tutto l'Oriente – per cui
non vi fu la necessità, per il Profeta, di fornire ulteriori dettagli.3
Storicamente, dalla comparsa dell'Islam fino alla fine degli anni '50 del
secolo scorso, l'economia dei Paesi del Medio-Oriente è sempre stata molto
arretrata, prevalentemente agraria e rurale e quindi disinteressata ai servizi
finanziari che risultavano addirittura assenti, e i rapporti commerciali con il
mondo circostante erano molto limitati. Le cose cambiarono a partire dagli anni
'60 e '70 dello scorso secolo: molti Paesi islamici scoprirono eccezionali riserve di
petrolio che cominciarono a esportare verso i Paesi occidentali, i quali però si
fondavano su un'economia legata agli interessi. In quegli anni i Paesi islamici
diventarono ben presto i più importanti investitori-risparmiatori al mondo; questo
afflusso di capitali, non accompagnato da una crescita parallela dei consumi, portò
a una situazione di eccesso di offerta di liquidità che pose il problema di come
rinvestire questi fondi. La scelta naturale, infatti, sarebbe stata quella di
continuare a prestarli ai Paesi occidentali a un tasso d'interesse fisso ma questo era
proibito dalla Sharia. Per questa ragione nacquero le prime banche islamiche che
prestavano senza interesse, rispettando il divieto della riba, e che saranno
3
2 Gian Maria Piccinelli, Banche islamiche in contesto in islamico, materiali e strumenti giuridici,
Roma, Istituto per l'Oriente, 1996, pp. 4-5.
Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna, Il Mulino 2009, pag. 21.
l'oggetto principale di questo breve elaborato.4
Questo saggio è stato strutturato in tre distinti capitoli con l'intento non tanto
di analizzare i complessi sistemi di economia e di finanza islamica, ma con quello
di inquadrarli, portandoli come esempio, nel contesto della lunga lotta all'usura.
Nel corso del primo capitolo verrà tentato un riassunto – talvolta anche critico – di
come, a partire dalla notte dei tempi, l'uomo abbia sempre tentato di porre un
freno alla sua intrinseca capacità di trarre guadagno dai bisogni dei propri fratelli
tramite lo strumento dell'usura. Durante il secondo capitolo l'economia islamica
verrà analizzata prendendola in oggetto in un contesto più ampio di quello
bancario e finanziario. Volgendo un excursus dei limiti e delle libertà, sempre
rimanendo in ambito economico, derivanti dal pieno rispetto della Sharia, oltre
che a uno studio, pur superficiale, delle politiche economiche dei Paesi Islamici. Il
capitolo conclusivo sarà dedicato a una comparazione tra l'economia islamica e
quella tradizionale, in previsione di un utilizzo di strumenti di finanza islamica
anche in Italia come già avvenuto in moltissimi contesti non islamici.
4
Emilio Vadalà, Capire l'economia...,Brolo (Messina), Yorick Editore, 2004, pp. 42 e seguenti.
Capitolo primo
Gli sviluppi storici della lotta all'usura
1.1. La lotta all'usura nell'antichità
La questione riguardante l'usura è in sé intrinseca di significati morali molto
forti oltre a essere capillarmente diffusa in ogni strato sociale di tutte le civiltà. È
per questo che
ha costituito fin dall'antichità un problema da combattere e
regolamentare. Già Aristotele scriveva in la Politica:
ben ragionevolmente si nutre odio per il prestito a interesse, in quanto trae
guadagno dal denaro stesso e non dal fine per cui esso fu escogitato: infatti esso
fu prodotto per gli scambi, mentre l'interesse ne aumenta la quantità. Di qui esso
ha tratto il nome con cui lo si designa in greco: infatti i figli sono simili ai
genitori e l'interesse è denaro di denaro, costituendo appunto per questo il più
innaturale di tutti i modi di arricchire.
I primi riferimenti alla pratica dell'usura si possono ritrovare nei testi veda
dell'India antica (2000-1000 a.C.), nei quali ripetutamente si definisce l'usuraio
chiunque presti denaro a interesse. Tanto nei testi induisti sul prato (720 a.C.),
così come nei testi buddhisti e gli attacchi (601-408 a.C.) compaiono abbondanti
riferimenti al prestito di interessi, evidenziando un disprezzo per questa pratica.
Un legislatore conosciuto di quell'epoca impose il divieto alle caste superiori di
prestare denaro dietro interesse. Un altro esempio di leggi che ponevano dei
vincoli alle attività creditizie si può trovare nel codice Hammurabi in Babilonia
tra il 1792 e il 1750 a.C..5
In Grecia Solone con la Seisachtheia del 594 a.C. proibì i debiti con
garanzia il corpo del debitore ed eliminò tutte le obbligazioni per i prestiti
restituendo molte proprietà ai possessori originali. Un'affine eliminazione dei
debiti a Sparta si compiva ogni qualvolta saliva al trono un nuovo re. Nella Roma
antica, oltre a Aristotele, numerosi pensatori dell'antichità condannarono la pratica
dell'usura: Platone, Catone, Cicerone, Seneca e Plutarco. In più occasioni il
popolo fu convinto a battersi per Roma con la promessa della cancellazione dei
debiti. Vennero posti dei limiti massimi all'interesse, come il fenus unciarum o la
centesima usurae. Per Tacito nelle prime leggi delle dodici tavole era stato
proibito un tasso di interesse superiore al fenus unciarum, cioè la dodicesima
parte del capitale. Con la Lex Genucia del 342 a.C si cercò di abolire tutti i
prestiti a interesse, ma non si è affatto certi su quanto sia stato rispettato tale
divieto né della durata in vigore della legge. All'epoca di Giulio Cesare i tassi
d'interesse per un prestito salirono attorno a una media del 12%, valore che scese
fra il 4 e l'8% al tempo dell'imperatore Giustiniano.6
5 Riassunto ed elaborato da Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna 2009, pp.
32 e seguenti; Oreste Bazzichi, Dall'usura al giusto profitto. L'etica economica della Scuola
francescana, Cantalupa TO, Effatà Editrice, 2008, pp. 17-27; Enrico Giustiniani, Elementi di
finanza islamica, Torino 2006, pp. 27 e seguenti.
6 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino, Marco Vaòerio Editore, 2006, pp. 27 e seguenti.
1.2. La condanna nel Ebraismo e nel Cristianesimo
Secondo l'antica dottrina sociale della Chiesa, l'usura - definita come il
compenso che il mutuante richiede per concedere un prestito oltre al rimborso
della somma mutuata - era ritenuta illecita.7 Diversi sono i fondamenti biblici di
tale proibizione, due dei passi più significativi sono nel Deuteronomio:8
A tuo fratello non darai in prestito a interesse. Interesse per denaro,
interesse per cibo o qualsiasi cosa si presta a interesse. Allo straniero potrai
prestare per interesse, ma non a tuo fratello. (23,20)
Il Signore benedirà tutte le opere delle tue mani, tu presterai a molte genti,
ma tu non prenderai a prestito nulla. (28,12)
E anche nel Levitico:
Se tuo fratello impoverisce e si trova nell'indigenza in mezzo a voi, tu lo
sosterrai come un forestiero e un ospite perché possa vivere presso di te. Non
trarre da lui alcun interesse o utile; ma temi il tuo Dio, e il tuo fratello vivrà
7 Giacomo Costa, Usura in Dizionario di dottrina della Chiesa. Scienze sociali e Magistero, Vita e
Pensiero Edizioni, pp. 638-641.
8 Secondo Giustiniani sempre nel Deuteronomio (15,1) il concetto viene rafforzato con la previsione
anche di una cancellazione periodica dei debiti: alla fine di ogni sette anni celebrerete l'anno di
remissione. Ecco la norma di questa remissione: ogni creditore che abbia diritto a una
prestazione personale in pegno per un prestito fatto al suo prossimo, lascerà cadere il suo diritto:
non lo esigerà dal suo prossimo, dal suo fratello, quando sarà proclamato l'anno di remissione
per il Signore. Potrai esigerlo dallo straniero; ma quanto al tuo diritto nei confronti di tuo
fratello, lo lascerai cadere.
presso di te. Non gli presterai il tuo denaro a interesse, né gli darai i tuoi viveri
per ricavarne un utile.(25,36)
Questi precetti biblici erano indirizzati al popolo d'Israele, la proibizione
dell'usura valeva all'interno delle comunità ebraiche ma consentita verso gli
stranieri, cristiani e musulmani, senza incappare in peccato. Il prestito a interesse
poteva essere visto perfino come metodo di deperimento nei confronti dello dello
straniero stesso. Nella metà IV secolo, Sant'Ambrogio, vescovo di Milano nel
374, scrive nel De Tobia questo passo biblico:
Ma forse replicherai che sta scritto: allo straniero presterai ad interesse...
chi erano allora gli stranieri? Se non i Amaleciti, gli Amorrei e i nemici? Da
costoro – dice la legge – esigi l'interesse. A chi vuoi nuocere con ragione, a chi è
portata guerra a buon diritto, a costui si intima legittimamente di pagare gli
interessi... esigi gli interessi da colui che potresti uccidere senza commettere
delitto. Combatte senza spada chi domanda gli interessi, si vendica del nemico
senza ferire chi si farà verso il nemico esattore degli interessi. Dunque dove è il
diritto di guerra, quivi è anche il diritto di usura.9
Nell'Esodo il “comportamento da usuraio” è distinto dal “richiedere interesse”.
Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all'indigente che sta con te,
non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse.
(22,24)
9 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino, Marco Valerio Editore, 2006, pp. 27 e seguenti.
L'usura doveva consistere nella compera da parte del creditore dei diritti
quasi assoluti sulla famiglia e le proprietà del debitore. Il decimo comandamento
dell'antico Decalogo (ripartito tra il nono e il decimo nel nostro) avrebbe dovuto
attenuare l'asprezza con cui questi privilegi venivano esercitati dalle classi
benestanti dell'epoca. L'usura dell'Antico Testamento era dunque sinonimo di
schiavitù. In Luca Gesù non chiede che si rinunci solo all'interesse ma anche al
denaro prestato, i rapporti umani devono essere espressione di carità, non di
contratti.10
E se prestate a coloro da cui sperate di riceve, che merito ne avrete? Anche
i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece
i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla,e il vostro premio
sarà grande e sarete figli dell'Altissimo. (6.34-35)
In nessun precetto biblico, dunque, esiste il divieto di concedere prestiti, ma
piuttosto quello di sperare di recuperarli. L'uso del prestito ad interesse continuò
sicuramente a esistere e propagarsi anche dopo l'imporsi del Cristianesimo, senza
peraltro perdere l'intensità dei periodi precedenti, tanto che la Chiesa Cattolica, a
partire dal XI secolo, mise un severo veto sia sull'usura sia sul prestito a interesse,
in quanto a portatori di situazioni di fortissima disparità e debolezza.
Sant'Agostino da Tagaste, Vescovo di Ippona, si scagliò contro l'uso del prestito a
interesse, sostenendo che far pagare un interesse vuol dire vendere il tempo. Ma
essendo il tempo un bene di Dio, e non degli uomini, vendere il tempo è come
vendere un bene prezioso di dominio non proprio. Nel Concilio lateranense II del
1139 i padri conciliari, invece di affermare l'illiceità del prestito ad interesse,
10 Giacomo Costa, Usura in Dizionario..., pp. 638-641.
condannarono l'insaziabile rapacità degli usurai, azione vergognosa e
detestabile, condannata dal Vecchio e dal Nuovo Testamento.11
La dottrina scolastica dell'usura ha, da parte sua, da sempre voluto
rivendicare la propria totale autonomia dalla Rivelazione Divina. La sua
evoluzione dal XIII al XVII secolo è stata spesso oggetto di feroci e talvolta
ingiuste critiche. Il creditore non avrebbe alcun diritto a condividere gli eventuali
guadagni del debitore, ma ciò non escludeva la possibilità per il creditore di avere
diritto a uno scarto positivo tra la somma anticipata e quella rimborsata
giustificata da una serie di svantaggi per creditore includendo tra essi il danno
emergente (cioè la perdita subita) e il lucro cessante (cioè il mancato guadagno). É
per questo motivo che in un'accezione moderna, accolta ad esempio dalla
legislazione civile e penale di molti Stati tra cui quello italiano, è solo un interesse
eccessivo che può essere ritenuto usuraio.12
Con la fondazione dei Monti di Pietà nel XV secolo, non senza dispute tra
gli stessi ordini religiosi, la Chiesa cercò di frenare il fenomeno dell'usura al
danno dei più poveri. Il frate perugino Fortunato Coppoli, nel Consilium montis
pietatis, scritto per l'emergente Monte di Perugia nel 1462, scompose le fattispecie
del prestito su garanzia in quattro rapporti specifici fondamentali: il contratto di
mutuo, il contratto di pegno, il contratto di locazione d'opera (facio ut des) e il
contratto di mandato. Questo consisteva in un prestito senza usura, il debitore
11 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino 2006, Marco Valerio Editore, pp. 30 e seguenti. Sempre
secondo Giustiniani, “già nel medioevo iniziarono le prime interpretazioni atte ad aggirare le
regole dottrinali di proibizione del prestito ad interesse, anche perché in quei tempi erano spesso i
monasteri e le congregazioni religiose a disporre di denaro. Uno dei metodi di prestito usato dai
monaci inglesi era il mortgage, termine usato ancora oggi per tradurre la parola “mutuo”. Il
debitore, in cambio di un prestito di denaro, cedeva il processo e il godimento della proprietà di
un podere. Questa proprietà veniva resa, se il debitore pagava quanto dovuto nel momento
dovuto. Mort, sta a significare che il bene era per il mutuatario, da subito “morto”, nel senso che
la rendita non andava a lui e non contribuiva a pagare il prestito. Il prestito si chiamava invece
vifgage, nel caso in cui beni prodotti dal terreno andassero al debitore, contribuendo così al
pagamento del debito. In entrambi i casi tecnicamente non era usura perché non c'era pagamento
di interesse”.
12 Giacomo Costa, Usura in Dizionario..., pp. 638-641
doveva versare una parte in più (id quod interest) agli impiegati del Monte che
avevano cura del suo pegno e per questo diritto a uno stipendio per il loro lavoro.
Tale principio trovò legittimità con la Bolla Inter Multiplices del 4 maggio 1515
di Papa Leone X, che esprimeva in modo chiaro l'opinione della Chiesa sulla
liceità dei Monti di Pietà e che questi ultimi potessero pretendere, oltre alla
restituzione del capitale, un leggero interesse del 5 o 6% a titolo di salario per gli
impiegati e per le spese necessarie alla conservazione degli immobili e delle
suppellettili. La raccolta del risparmio e l'erogazione del credito si trasformavano
dunque, grazie all'opera dei Monti da attività riprovevoli, in espressioni caritative,
nell'incontro tra logica dell'istituto di credito e solidarismo cristiano.13
Nel 1830 Papa Pio VIII autorizzava i confessori che lo ritenessero
opportuno ad assolvere dei convertiti che avessero peccato concedendo dei prestiti
a interesse a danno di commercianti, purché il contratto fosse consentito dalla
legge civile di quel Paese. Nella condanna che troviamo invocata da Leone XIII
nel 1891 in RN, 2 e 17 il termine “usura” cambia visibilmente di significato
venendo non più applicato all'analisi della singola transazione, nel suo specifico e
variabile contesto, ma ai rapporti tra le classi dei “ricchi” e dei “bisognosi”.
Secondo questo criterio l'usura non sarebbe solo un mezzo di sfruttamento dei
secondi ad opera dei primi, ma addirittura un'aggressione dolosa ai crediti dei più
poveri e ai loro esigui risparmi che sono da considerare “sacrosanti”.14
A partire dall'età contemporanea in poi, la rigida condanna contro l'usura
non avrà più riscontri nella realtà della cultura occidentale, e con questa cadde
13 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino, Marco Valerio Editore, 2006, pp. 32 e seguenti. Sempre
secondo Giustiniani, “non era raro verso la fine del XV secolo che banchieri e mercanti,
richiedessero consulenze alle facoltà teologiche su quesiti relativi a materie economiche a
sottolineare l'attenzione del mondo degli affari ai problemi etici e la difficoltà di distinguere tra
lecito ed illecito nelle transazioni finanziarie e commerciali”.
14 Giacomo Costa, Usura in Dizionario..., pp. 638-641. Sempre secondo Costa “forse il riferimento è
qui al rischio che tali fondi potrebbero evaporare in un fallimento bancario. [...] Solo nel XX
secolo, d'altronde, si è addivenuti a diverse forme di assicurazione dei depositi”.
anche la sempre discussa censura al prestito ad interesse.15
In Teoria generale (Libro VI, cap. V), J.M. Keynes ritiene che
"l'atteggiamento della Chiesa medievale nei confronti del tasso di interesse fosse
essenzialmente assurdo". Fu infatti la violazione di tale divieto - che comportava
la scomunica per gli esseri umani e l'interdetto per le città che la consentivano - a
gettare le basi del capitalismo.
1.3 Il divieto Coranico
Nell'Arabia antecedente Maometto, l'usura (riba) costituiva una pratica
particolarmente costosa e diffusa nella società mercantile di Mecca e Medina con
la quale, alla fine del prestito, il creditore raddoppiava la somma dovutagli dal
debitore inadempiente.16 Il passo del Corano considerato dagli interpreti come uno
dei fondamenti della disciplina giuridica islamica in materia di obbligazioni e
contratti è sicuramente Cor. II, 275-283:
Coloro che praticano l'usura, il dì della Resurrezione sorgeran dai sepolcri
come chi è reso epilettico dal contatto di Satana. Questo perché essi hanno detto:
15 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino, Marco Valerio Editore, 2006, pp. 34.
16 Gian Maria Piccinelli, Banche islamiche in contesto in..., Istituto per l'Oriente, Roma, 1996, pp.
20. Sempre secondo Piccinelli, “Dio rivela questo versetto a Muhammad in risposta a coloro che
sostenevano che non vi fosse alcuna differenza tra il profitto derivante da un'attività commerciale
e il lucro usuraio proveniente dagli esosi interessi ricevuti per il prestito di capitali”. Secondo
Giustiniani, invece, il passo più completo presente nel Corano (Al 'Imran, 130) è certamente
questo: O voi che credete, non cibatevi dell'usura che aumenta di doppio in doppio. E temete Dio,
affinché possiate prosperare. Sempre secondo Gisutinaini, “non stupisce, dunque, che il Corano
contenga una riprovazione di carattere generale del prestito ad interesse, ovvero dell'usura, che
viene espressa in chiara contrapposizione alla pratica dell'elemosina, un'attività, come vedremo,
rientrante tra i cosiddetti pilastri dell'Islam, verso il povero ed il bisognoso, oggetto di un giudizio
di piena meritevolezza. Afferma infatti il Corano: Dà al consanguineo il suo diritto e al povero e
al viandante: questo è meglio per coloro che bramano il volto di Dio! Quel che voi prestate a
usura perché aumenti sui beni degli altri, non aumenteranno presso Dio. Ma quello che date in
elemosina vi sarà raddoppiato”. Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino, Marco Valerio Editore,
2006, pp. 34 e seguenti.
“la compravendita è come l'usura”. Ma Dio ha permesso la compravendita
(tigara) e ha proibito l'usura (riba). […] Dio distruggerà l'usura e moltiplicherà
il frutto delle elemosine, ché Dio non ama nessun negatore perverso. […] O voi
che credete! Temete Dio e lasciate ogni resto d'usura, se siete credenti! - E se non
lo fate, ascoltate le dichiarazioni di guerra da parte di Dio e del suo messaggero;
[…] Se il vostro debitore si trova in difficoltà, gli sarà accordata una dilazione
fino a che una facilità gli si presenti; ma se rimetterete il debito, sarà meglio per
voi, se sapeste! (vv. 275-280).
Il termine riba letteralmente significa “accrescimento”, “aumento”.
Esattamente per riba si intende un vantaggio patrimoniale senza corrispettivo
stipulato a favore di una delle due parti contraenti nello scambio di due
prestazioni di natura pecuniaria. Il divieto della riba si riferisce ad un concetto
molto più ampio rispetto a quello di usura; mentre quest'ultima risulta nel far
pesare sul prestito un tasso di interesse “spropositato”, riba consiste nel
contrattare un prestito basato sull'applicazione di interessi. Ciò significa che per la
legge islamica la ricezione di interessi è da considerarsi sempre illegittima. Anche
nel più semplice caso di un prestito che non comporti alcun rischio per il
creditore, ogni compenso che superi l'ammontare di quanto prestato è certamente
riba e quindi haram (vietato).17
È dunque respinta ogni tipologia di ritorno positivo da un investimento
economico stabilito in anticipo sia esso fisso o variabile. Nei precetti coranici non
sarebbe nemmeno accettata l'idea che l'interesse sia il prezzo da pagare per il
rischio di default del debitore. Viene quindi sostenuta l'interpretazione che di
norma ogni prestito contenga di per sé garanzie per cui il creditore è in qualche
17 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino, Marco Valerio Editore, 2006, pp. 35 e seguenti.
modo tutelato e il debitore rimane la controparte debole in una distribuzione
asimmetrica di rischi. La proibizione della riba vieta infatti ogni forma di
“incremento” fissato ex ante senza nessuna assunzione di rischio.18
Lo sviluppo dei rapporti commerciali ha costretto, anche nelle società
islamiche, molti soggetti a dare e prendere delle somme di denaro applicandovi
una sorta di interesse. Per far fronte a questa necessità, evitando al contempo che
venisse violato il precetto coranico, sono stati pensati nel tempo una serie di
espedienti giuridici. Ad esempio, si è fatto ricorso a contratti composti da una
serie di atti, ciascuno dei quali in sé perfettamente lecito, ma nel loro insieme
destinati a realizzare un proposito che oltrepassa sicuramente i limiti riconosciuti
dalla legge islamica.19
Sovente il debitore, pur formalmente ricevendo un prestito senza interesse,
doveva ripagare il creditore utilizzando forme diverse dal denaro. In altri casi si
usava scalare una certa somma da pagamenti che il debitore avrebbe incassato in
futuro, o ancora si trasformava il prestito in una doppia vendita. In questo caso,
per esempio, un soggetto comprava da un altro un tappeto a 100 e glielo rivendeva
dopo un anno a 115. Pertanto, passato un anno, il primo proprietario del tappeto
aveva di fatto ottenuto un prestito di 100 al tasso di interesse del 15% garantito
dal bene. All'elusione del divieto di prestito a interesse ha sicuramente giovato il
fatto che i precetti coranici vietassero sì il pagamento degli interessi ma non
prevedessero alcuna pena per chi li praticava. Questo lascia capire quanto l'Islam
ritenesse questo divieto attinente più alla sfera della coscienza individuale che a
quella politica o giuridica. Solo il giudizio divino, e non quello umano, avrebbe
colpito chi trasgrediva tale precetto.20
18 Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna, Il Mulino, 2009, pp. 23.
19 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino, Marco Valerio Editore, 2006, pp. 37 e seguenti.
20 Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna, Il Mulino, 2009, pp. 33 e seguenti.
L'incensante sviluppo della finanza moderna e il continuo adattamento
interpretativo della dottrina islamica hanno fatto sì che alcune interpretazioni più
moderniste - spesso aspramente e apertamente criticate da buona parte del mondo
musulmano - accogliessero la giustificazione degli interessi. Si può citare come
esempio la fatwà di inizio novecento del muftì d'Egitto Muhammad Abduh che
affermò la liceità degli interessi pagati sui depositi presso le casse di risparmio,
distinguendo l'interesse usuraio dalla partecipazione agli utili di un affare
legittimo. Alla fine degli anni ottanta un altro muftì d'Egitto, Muhammad Sayyid
Tantawì, è giunto ad affermare la liceità degli interessi pagati sui titoli di Stato del
debito pubblico. Utilizzando i fondi raccolti con la cessione di questi titoli, lo
Stato è legittimato a perseguire le sue finalità di utilità sociale a sostegno dello
sviluppo sociale e culturale di tutti i cittadini. In tale caso l'interesse costituirebbe,
da una parte, la quota del profitto derivata dagli investimenti pubblici spettante al
risparmiatore, e dall'altra. un incentivo alla raccolta dei capitali come concreto
strumento di solidarietà sociale.21
Giustiniani riporta che “nel XVI secolo, in occidente, un modo assai diffuso dai mercanti per
aggirare il divieto canonico di percepire un interesse sul capitale prestato, consisteva nella
contestuale stipula di tre contratti, ciascuno dei quali esente dal sospetto di usura; si trattava di
una sorta di combinazione tra un contratto di società, uno di assicurazione del capitale e un terzo
contratto, equiparabile a un contratto di vendita o di ulteriore assicurazione. Con quest'ultimo
infatti il contraente rinunciava a una parte del profitto per accontentarsi di un rendimento minore
ma certo, che si attestava per lo più attorno al 5%”. Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino, Marco
Valerio Editore, 2006, pp. 38.
21 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino, Marco Valerio Editore, 2006, pp. 40 e seguenti.
Capitolo secondo
L'economia islamica
2.1
I capisaldi dell'economia islamica
I principi coranici sono particolarmente ferrei nel campo produttivo
condizionando molti aspetti importanti della vita economica di una comunità,
dalla libertà imprenditoriale alle scelte d'investimento, da quelle di consumo al
ruolo economico della donna nella società. Gli agenti economici devono operare
all'interno di regole costruite secondo le fonti tradizionali dell'Islam, regole che
tendono ad evitare sprechi, eccessi, ostentazione della ricchezza, attività che
generano esternalità negative; regole che promuovono generosità, lavoro duro,
l'applicazione di prezzi equi.22
La proprietà privata, anche se garantita e da tanti ritenuta un diritto
inviolabile dell'uomo, trova molte limitazioni: la prima dovuta al fatto che tutti i
beni sono donati agli uomini da Dio, il solo che ne può rivendicarne la proprietà
assoluta; la seconda riguarda il rispetto della natura e del prossimo. Infatti, ogni
membro dell'umma (la comunità islamica) non dovrebbe mai essere privato dei
beni necessari per poter vivere dignitosamente. La religione musulmana predica
22 Emilio Vadalà, Capire l'economia..., Brolo (Messina), 2004, pp. 27 e seguenti.
sobrietà e austerità, rifiutando qualsiasi eccesso, sfarzo e lusso in quanto risultato
della concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi. Qualsiasi uomo detiene
quindi il diritto di usufruire dei beni affidatigli da Dio, purché questo non si
trasformi in un diritto esclusivo a disporre di quei beni. Significativamente
importante per l'Islam è dunque l'equa distribuzione della ricchezza. Secondo il
Corano, Dio ha creato ogni cosa nella giusta quantità per soddisfare ogni bisogno
umano. La scarsità delle risorse è, invece, frutto del comportamento dell'uomo,
dell'avarizia e del desiderio di accumulazione.23
I musulmani maschi possono liberamente produrre e commerciare per il
proprio personale profitto, ma solamente se da questa loro libertà non discendono
svantaggi per gli altri: devono pagare salari giusti, applicare prezzi equi e
accontentarsi di un profitto normale, che non sfoci in situazioni di controllo
incondizionato del mercato. Tutto questo vale tuttavia solamente per i maschi,
assai diverso è il discorso per la popolazione femminile. Secondo la Sharia (la
Legge di Dio per i musulmani), infatti, la donna non può ricoprire alcun ruolo
economico: non deve partecipare alla vita produttiva, non ha libertà di movimento
e non possiede libertà di iniziativa imprenditoriale. Queste prescrizioni, ad
eccezione di alcuni Paesi della sponda sud del Mediterraneo come Giordania,
Marocco, Tunisia e Libano che stanno cercando di riscoprire un ruolo economico
per la donna, hanno finito per rendere nullo il contributo delle donne alla crescita
economica24
Il terzo pilastro dell'Islam prevede il pagamento dell'imposta coranica
(zakak). La Sharia obbliga ogni musulmano con capacità contributiva a versare
un'imposta a titolo di assistenza pubblica. L'assoluta efficacia di tale contributo
23 Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna 2009, pp. 18 e seguenti.
24 Emilio Vadalà, Capire l'economia...,Brolo (Messina), 2004, pp. 29 e seguenti.
deriva dal fatto che questo deriva direttamente da un comando divino, da un
ordine che viene da Dio stesso; non si tratta di un contributo volontario o
personale, ma di un obbligo religioso della cui osservanza l'individuo è
responsabile direttamente davanti a Dio. L'obbligo pesa solamente per coloro che
raggiungono il minimo imponibile (nisab), pari al valore di 85 grammi di puro oro
o 595 grammi di puro argento. Generalmente è calcolata pari al 2,5%
dell'incremento della ricchezza. Nel Corano è indicato come distribuire la zakat:
Le elemosine sono per i bisognosi, per i poveri, per quelli incaricati di
raccoglierle, per quelli di cui bisogna conquistarsi i cuori, per il riscatto degli
schiavi, per quelli pesantemente indebitati, per [la lotta sul] sentiero di Dio e per
il viandante. (At-Tawba, 60).25
Il motivo dell'obbligo di tale pagamento si può ritrovare negli obiettivi di
equità e giustizia economico-sociale che sono alla base del modello islamico; la
sua osservanza rafforza, da una parte, il cammino del singolo musulmano sulla via
della fede, e, dall'altra, insegue quei fini sociali di lotta alla povertà evitando che
la ricchezza si concentri nelle mani di pochi. La zakat continua tutt'oggi a
costituire un importante strumento di politica economica per raggiungere
importanti scopi di welfare state. La legge islamica stabilisce una serie di norme e
precetti per la regolazione e la giusta applicazione della zakat; seguendo la
tradizione i beni soggetti a tale imposta sono: l'oro, l'argento, i beni commerciali
25 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino 2006, pp.13 e seguenti. Sempre Giustiniani aggiunge che
“Secondo l'interpretazione prevalente, i bisognosi sarebbero i musulmani, mentre i poveri sono i
cittadini non musulmani. Quelli incaricati si riferiscono a tutta l'amministrazione dello Stato.
Quelli di cui bisogna conquistarsi i cuori possono essere diverse categorie di soggetti: per
esempio, nuovi convertiti o i non musulmani utili alla causa islamica per la loro posizione
politico-sociale o professionale”.
e, secondo alcune interpretazioni, anche i beni agricoli.26
La zakat viene erogata attraverso enti preposti e può anche essere distribuita
sotto forma di borse di studio ai studenti e ricercatori musulmani più brillanti e
promettenti o anche come garanzia a organismi e istituzioni di pubblico servizio
volte ad assicurare queste cause. Alcuni Paesi, come ad esempio gli Stati Uniti,
concedono delle detrazioni fiscali ai musulmani che depositano somme a titolo di
zakat ad operatori adeguatamente identificati dal fisco dello stesso Paese. Oltre
all'elemosina obbligatoria è stata pensata una forma di carità privata (sadàqa)
assolutamente libera e che il testo sacro giudica con maggior favore:
Se lasciate vedere le vostre elargizioni, è un bene; ma è ancora meglio per
voi, se segretamente date ai bisognosi; [ciò] espierà una parte dei vostri peccati.
Dio è ben informato su quello che fate. (Al-Baqara, 271).27
La Sharia impone ai fedeli musulmani di non consumare tutti i beni a
proprio piacimento, tanto che questi sono divisi in tre categorie: halal, beni
permessi e liberamente consumabili anche se sempre seguendo il valore della
moderazione; haram, beni il cui consumo è rigidamente proibito (alcool, carne di
maiale, gioco d'azzardo, seta, materiali preziosi come oro e argento, con alcune
26 Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna 2009, pp. 26 e seguenti. Sempre da
come riportano Mauri e Hamaui, “in alcuni Paesi musulmani la zakat è, oggi, imposta per legge,
in altri non è obbligatoria ed è riscossa attraverso agenzie semi-governative, mentre in altri
ancora la zakat è volontaria e viene pagata attraverso gli sportelli delle banche islamiche o
istituti come le fondazioni pie e le istituzioni caritatevoli. In alcuni casi il pagamento è
accompagnato da vantaggi fiscali come ad esempio la creazione di un credito d'imposta per
l'importo versato”.
27 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino 2006, pp. 13 e seguenti. Giustiniani riporta anche come “il
tema dell'elemosina sia un concetto ben presente anche nella religione cristiana, che cerca di
creare una seppur minima redistribuzione della ricchezza. Concetti evidenti in due passi di
Matteo. (6,1): guardatevi dal fare elemosina davanti agli uomini, per essere da loro ammirati;
altrimenti voi non ne avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. (6,3): Anzi quando
fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra quello che fa la destra affinché la tua elemosina si
faccia in segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa palesemente”.
eccezioni – diverse da Paese a Paese – per le donne); makrough, beni che devono
essere consumati solamente secondo certe condizioni (ad esempio in certe
ricorrenze particolari etc.). Si può ben capire, quindi, come in una economia
islamica si tenda a valorizzare i beni di prima necessità che devono essere
disponibili a basso prezzo e in quantità sufficienti per tutti. Viene invece
scoraggiata - anche tramite elevate imposte su produzione e importazione - la
realizzazione e il consumo di beni di lusso.28
Si è visto nel precedente capitolo come il divieto della riba trovi
fondamento nel principio islamico secondo cui non vi può essere alcun guadagno
senza l'assunzione di un rischio. Bisogna però aggiungere come alcune scuole
giuridiche islamiche abbiano elaborato due distinte nozioni di riba: riba
al-nasiah,
detta
anche
riba
pre-islamica,
e
riba
al-fadl;
interpretate
rispettivamente come “riba nel debito” e “riba nello scambio”. Il termine riba
al-nasiah deriva da nasa'a che ha come proprio significato posporre, riferito al
tempo concesso al debitore per ripagare il prestito evitando il pagamento
dell'interesse. La Sharia vieterebbe dunque di fissare a priori un ritorno positivo
sul denaro prestato. Ma se da una parte l'Islam ha vietato l'interesse e permesso la
compravendita, dall'altra non ha concesso qualunque cosa nella compravendita. È
a questo scopo che è stata pensata la proibizione del riba al-fadl: è vietato ogni
incremento rispetto a quanto sarebbe giustificato dal controvalore dell'oggetto
della transazione.29
Tutti gli approcci volti a distinguere fra usura e interesse, fra prestiti
destinati al consumo e prestiti destinati alla produzione, sono stati quasi
completamente rifiutati. Tranne qualche sporadica opinione discorde - in
28 Emilio Vadalà, Capire l'economia..., Brolo (Messina), 2004, pp. 35 e seguenti.
29 Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna 2009, pp. 21 e seguenti.
particolar modo nelle scuole più tradizionali - rimane il giudizio unanime che non
vi sia alcuna differenza tra usura (riba) e interessi e che sia dal Corano sia dallo
hadith (la tradizione relativa agli atti e alle parole del Profeta), risulti chiaramente
che qualsiasi pagamento in aggiunta rispetto a quanto prestato è da ritenersi riba.
Seguendo l'interpretazione generalmente accettata dallo hadith, i giuristi
musulmani sostengono che un bene materiale debba essere restituito nella stessa
sostanza: oro per oro, argento per argento, orzo per orzo, grano per grano,
datteri per datteri, sale per sale, simile per simile, uguale per uguale, da una
mano all'altra.30
L'incertezza è solitamente conosciuta con il termine ghàrar (rischio).
Questo divieto si verifica sia in quelle condizioni di informazioni incomplete (sul
prezzo, sull'oggetto della vendita) sia in quelle di incertezza sullo stesso oggetto
del contratto (eventi aleatori). Mentre la proibizione della riba è assoluta il ghàrar
è vietato solo se rilevante. Secondo alcune interpretazioni giuridiche, l'eccessiva
incertezza andrebbe assimilata alla scommessa (qimàr) che è espressamente
vietata dalla legge islamica. Il maysìr (speculazione) indica la volontà di
scommettere sul risultato futuro di un evento. Questo processo può comunque
venire più o meno sostenuto da adeguate informazioni e analisi. Nel primo caso è
conforme alla Sharia mentre nel secondo no.31
Seguendo l'educazione insegnata dal Profeta, tutto quello che accade è già
stato deciso dall'alto e nessuna azione umana può cambiare il corso degli eventi
voluti da Dio. Nonostante ciò gli insegnamenti divini esortano il fedele stesso a
compiere tutte le azioni alla sua portata per ridurre gli effetti negativi degli eventi.
30 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino 2006, pp. 35 e seguenti.
31 Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna 2009, pag. 26. Sempre Hamaui e
Mauri precisano che “la proibizione del ghàrar non vieta le garanzie fornite dai produttori di un
bene reale o servizio (warranty) bensì solo i diritti finanziari aleatori separati rispetto una
transazione reale, evidenziando quanto nell'economia islamica sia importante il rapporto tra
economia reale ed economia finanziaria”.
Le parole del Profeta indicano quindi la possibilità di prendere tutte le precauzioni
possibili per evitare eventi spiacevoli: il contratto di assicurazione può dunque
essere d'aiuto per ridurre il rischio di perdite legate a eventi negativi fortuiti o
luttuosi.32
Un hadith (racconto tratto dalla sunna, la seconda fonte della Legge
islamica dopo il Corano) narra che il Profeta un giorno vide un beduino lasciare
slegato il proprio cammello e gli chiese: “perché non leghi il tuo cammello?” Il
beduino rispose: “Io rimetto la mia fede in Dio”. Il Profeta ribatté: “lega prima il
tuo cammello e poi abbi fede in Dio”. Nel corano c'è scritto:
Ma piuttosto aiutatevi l'un l'altro a praticare la pietà divina, e non
appoggiatevi gli uni agli altri per commettere iniquità e prevaricazioni. (V:2)
Sembra abbastanza chiaro dunque che l'Islam non vieti in modo assoluto di
proteggersi dai rischi della vita. Se da una parte il fedele musulmano è esortato ad
accettare le sfortune che gli possono capitare, perché discendono dal volere di
Dio, dall'altra gli è permesso prendere le dovute precauzioni per impedire che tali
eventi accadano.33
Gli studi svolti da numerosi economisti islamici concordano che la Sharia
ammetta il principio della determinazione dei prezzi attraverso il mercato, vale a
dire dall'incontro tra domanda e offerta. Contrastante la Legge islamica, invece, è
che i prezzi vengano definiti dall'acquirente o dal venditore attraverso l'esercizio
di un potere di mercato. Il Corano vieta tassativamente il monopolio. Contrari alla
32 Federica Miglietta, I principi della finanza islamica, in Banca e finanza islamica. Contratti,
peculiarità gestionali, prospettive di crescita in Italia, a cura di Claudio Porzio, Roma, 2009, pag.
25.
33 Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna 2009, pp. 123 e seguenti.
Sharia, e quindi da considerare illegittimi, sarebbero i prezzi controllati; non
secondo tutti però, per una certa giurisprudenza islamica, infatti, sono da
considerare leciti i prezzi controllati purché essi siano equi.34
2.2 La banca islamica e i suoi strumenti
Il modello creato dalle banche islamiche ha da subito posto in evidenza due
prospettive essenziali: la prima è l'eliminazione della riba e degli interessi
pecuniari da qualsiasi operazione bancaria, la seconda è il forte utilizzo di
tecniche operative di natura direttamente o indirettamente partecipativa. Gli
istituti di credito islamici offrono, oltre all'intermediazione depositi-prestiti,
l'intero servizio di prodotti finanziari. Essi accettano depositi dai clienti e operano
come agenti degli stessi nella tutela e nella collocazione dei fondi ricevuti, creano
fondi comuni per l'investimento e li gestiscono liberamente in progetti produttivi,
forniscono la liquidità necessaria alle imprese anche attraverso la partecipazione
diretta o indiretta nel capitale delle stesse.35
Per quanto riguarda l'analisi dell'efficienza, il divieto del pagamento di un
tasso di interesse crea non pochi problemi riguardo all'allocazione del rischio e
alla sua gestione. Negare del tutto la possibilità di ottenere una ricompensa fissa
in forma d'interessi non tiene conto della possibilità che molti clienti hanno di
sopportare differenti livelli di rischio, una banca può diversificare meglio il
34 Emilio Vadalà, Capire l'economia..., Messina, 2004, pp. 33 e seguenti. Vadalà sostiene inoltre che
“la legge coranica proibisce anche la najash, cioè la pratica di offrire per una merce un prezzo
più alto di quello di mercato al solo fine di danneggiare gli altri acquirenti realmente interessanti
all'acquisto del bene”.
35 Gian Maria Piccinelli, Banche islamiche in...Roma, 1996, pp. 69 e seguenti.
pericolo nel prestare i fondi rispetto a un semplice risparmiatore. Inoltre la
proibizione del pagamento di un interesse fisso non mette a riparo da tutti i rischi
finanziari, poiché sussiste sempre l'eventualità del default del debitore.36
Per far fronte a tale problematica le banche islamiche si sono mosse in una
duplice direzione. Da una parte si è recuperata la dottrina giuridica islamica
relativa a quei contratti che avrebbero potuto trovare applicazione nell'ambito del
sistema attuale, dall'altra sono stati recuperati alcuni contratti in uso presso le
banche non islamiche adeguandoli ai principi sciaraitici. Il risultato è un nuovo
tipo di banca che, pur con i suoi tratti caratteristici, riprende in molti dei suoi
elementi i modelli operativi già ampiamente sperimentati dal sistema bancario
occidentale, riportando però ogni singolo atto sotto il controllo della Sharia.37
La comprensione del funzionamento della banca islamica e delle sue basilari
funzioni non può fare a meno di un'attenta analisi dei contratti che si basano sulla
legge islamica. Qualsiasi operazione bancaria, sia di raccolta sia d'impiego fondi,
si rifà a forme contrattuali che si basano sulla giurisprudenza commerciale
islamica (fiqh al-muamalat). La giurisprudenza islamica disciplina che i rapporti
tra le parti possano presentarsi come promessa unilaterale, promessa bilaterale, o
contratto. I contratti, a loro volta, si dividono in unilaterali o bilaterali. I primi
sono generalmente gratuiti e non richiedono un'esplicita accettazione dell'offerta.
Fra i contratti unilaterali ricordiamo: il qard, un prestito monetario privo
d'interessi e con l'obbligo di restituire l'esatta somma prestata, e l'hiba, un dono
36 Emilio Vadalà, Capire l'economia..., Brolo (Messina), 2004, pp. 47 e seguenti. Vadalà precisa
inoltre che “in nessun Paese islamico si è mai sperimentata la completa assenza di un sistema
basato sull'interesse; generalmente si crea una convivenza tra banche interest-based e istituzioni
finanziarie islamiche”.
37 Gian Maria Piccinelli, Banche islamiche in...Roma, 1996, pag. 71. Giustiniani sintetizza che “il
modello islamico si distingue dal modello di banca convenzionale occidentale, in termini di
caratterizzazione dei rischi di business, per i seguenti fattori: maggiore incidenza dei rischi
operativi/legali; diversa caratterizzazione dei “rischi reputazionali”, maggiore incidenza dei
rischi di impresa rispetto a quelli classici di credito”. Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino 2006,
pag. 66.
utilizzato anche dalle banche islamiche per elargire delle ricompense sui conti
correnti dei clienti anche se non previste contrattualmente. La tipologia dei
contratti bilaterali è ben più articolata. Le principali forme utilizzate in ambito
finanziario sono: contratti di scambio, contratti di partecipazione, contratti di
trasferimento di usufrutto, contratti di garanzia, contratti di agenzia e contratti di
custodia.38
Per quanto concerne la raccolta fondi le banche islamiche utilizzano tre
tipologie di depositi: conti correnti (al-hisàb al garì), depositi a risparmio (hisàb
al-tawfir) e conti d'investimento (hisàbàt al-istimàr). I conti correnti non offrono
ai clienti alcun compenso finanziario. In pratica vengono utilizzati come mezzi
che forniscono servizi di deposito di denaro, di prelievo/trasferimento fondi (per
mezzo di assegni, carte di debito, bonifici) e di addebito automatico delle spese
sostenute dal cliente. Al conto corrente non può essere accostata alcuna carta di
credito visto il divieto di fare uso di pagamenti dilazionati con interesse che
accompagnano sempre tale forma tecnica. La retribuzione dei depositi a risparmio
dipende dall'andamento economico della banca e dalla volontà della sua direzione.
Questa ricompensa è considerata adeguata al diritto islamico, non essendo una
condizione essenziale del contratto di deposito. I clienti vengono sovente ripagati
con doni in natura (hadiyya, ikràmiyya) o in denaro (hiba), o anche con la
possibilità di accedere a condizioni vantaggiose al credito (tamwìl) per l'acquisto
rateale o per il finanziamento di piccoli progetti. I depositi a risparmio, infine,
sono paragonabili ai nostri libretti nominativi. La tipologia di depositi che più
delle altre contraddistingue le banche islamiche è costituita dai conti
d'investimento, dai quali non è possibile prelevare le somme depositate prima
della scadenza del contratto. Tale prodotto creditizio vuole che la banca si
38 Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna 2009, pag. 80.
impegni professionalmente nella ricerca di progetti meritevoli di finanziamento e
investa le somme depositate per conto dei clienti. Periodicamente restituisce una
parte degli utili (o delle perdite) del progetto sulla base di quanto stabilito in
anticipo in misura sostanzialmente comparabile con la redditività dei depositi a
termine delle banche tradizionali.39
La mancanza di un'assoluta tutela dei depositi, dovuta all'estensione
generale del principio partecipativo, e della conseguente idea di rischio che
condiziona tutta l'attività bancaria islamica rende il sistema islamico di raccolta e
gestione del risparmio continuamente soggetto a forti rimproveri da parte dei più
attenti critici occidentali. La mancanza di un chiaro obbligo di rimborso dei fondi
raccolti presso il pubblico rappresenta, infatti, uno dei principali elementi di
“incompatibilità” con il sistema bancario occidentale.40
Le modalità di finanziamento elaborate dalle banche islamiche si dividono
in due grandi gruppi: i contratti direttamente partecipativi (denominati spesso
profit and loss sharing o PLS) e i contratti indirettamente partecipativi (not profit
and loss sharing). Le prime sono modalità di finanziamento assimilate dal fatto
che sia il finanziatore sia l'imprenditore condividono il rischio dell'investimento.
39 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino 2006, pp. 67 e seguenti. Giustiniani precisa che “questi
ultimi rappresentano una sorta di ibrido tra strumenti di debito e capitale: sono redimibili a
scadenza, sono gestiti/investiti sostanzialmente a discrezione della banca, non prevedono diritto di
voto, presentano un rendimento variabile (commisurato alla redditività della banca ), non
garantiscono la restituzione del capitale. Rappresentano quindi una tipologia di
compartecipazione al rischio dove forte risulta l'aspetto fiduciario. La banca si obbliga a
rispettare delle regole minime come: la divisione degli attivi bancari propri dell'istituto da quelli
della clientela e per questi ultimi divisi per scadenza, indisponibilità delle somme depositate ai
creditori della banca, controllo islamico sulla tipologia dell'investimento dei fondi dei clienti, costi
di gestione a carico della banca, previsione di una percentuale fissa sui profitti dei fondi gestiti
per conto del cliente a titolo di rimborso dei costi amministrativi”. Secondo Mauri e Hamaui “il
depositante in conti d'investimento di una banca islamica è quindi una figura simile all'investitore
in fondi comuni d'investimento e in termini di profilo rischi/rendimento si colloca a metà strada
tra l'azionista e il depositante tradizionale: come il primo rischia il capitale versato; come il
secondo non ha alcun diritto di voto in assemblea. Ciò pone dei problemi di corporate governance
poiché il depositante non ha alcun controllo sull'utilizzo dei soldi versati e il rischio di azzardo
morale è molto elevato. La banca islamica dovrebbe essere, quindi, molto sensibile al rischio di
reputazione al fine di evitare la corsa agli portelli”. Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e
finanza..., Bologna 2009, pag. 93.
40 Gian Maria Piccinelli, Banche islamiche in...Roma, 1996, pag. 74.
Le seconde possono essere utilizzate solo quando le tecniche PLS non sono
applicabili (come nel caso di debitori molto piccoli o nel credito al consumo),
perché non utilizzano alcun contratto di condivisione degli utili e delle perdite
dell'operazione finanziaria. A differenza delle prime, le tecniche non PLS hanno
un rendimento predeterminato (che però, almeno formalmente, non può essere un
tasso di interesse). Anche se non condividono il principio del profit and loss
sharing, sono considerate pertinenti ai principi islamici perché il ritorno
dell'investimento non è legato alla dimensione temporale ma a servizi connessi
all'operazione. Secondo gli economisti islamici, il principio che deve in ogni caso
ispirare sia le tecniche di finanziamento direttamente partecipative sia quelle che
non entrano in questo quadro è unico: i rischi di un'operazione devono essere
sopportati da tutte e tre le parti in causa: investitore, banca e debitore. É
considerato illecito qualsiasi guadagno, profitto o remunerazione senza aver
assunto alcun rischio, che può essere di mercato, legato all'obsolescenza del bene
o un rischio operativo.41
Secondo molti economisti occidentali è possibile riscontrare in questo
genere di contratti una simulazione dell'interesse bancario che ritornerebbe sotto
forma di profitto o provvigioni. Si sbagliano, non è a livello economico che si
possono distinguere interesse e profitto, ma su quello giuridico: l'interesse indica
un ritorno sempre positivo in cambio dell'uso di un capitale di proprietà del
creditore, pagato sistematicamente dal debitore che lo impiega, senza considerare
il tipo di utilizzo di quest'ultimo. Il profitto, invece, rappresenta quello che
effettivamente entra nelle tasche dell'imprenditore come ricompensa per il proprio
lavoro una volta tolte tutte le spese e gli oneri necessari per la sua attività.
Solamente il profitto, e non l'interesse, è destinato a coprire il reale rischio
41 Emilio Vadalà, Capire l'economia..., Brolo (Messina), 2004, pp. 52 e seguenti.
d'impresa, nonché a premiare le fatiche e le capacità dell'imprenditore.42
La mudaraba e la musharaka sono le due principali tecniche a disposizione
delle banche islamiche di partecipazione agli utili (o alle eventuali perdite) di una
determinata operazione finanziaria. L'Arabia del settimo secolo dopo Cristo, che
già conosceva una forma embrionale del contratto di mudaraba dai tempi
preislamici,
praticava
un'economia
prevalentemente
fondata
sull'autofinanziamento e sul finanziamento diretto dal capitalista all'imprenditore.
Per non cadere nei nei frequenti prestiti a tasso d'usura v'era la pratica di stipulare
dei contratti che legavano a vicenda fornitori di capitale e di lavoro (solitamente
appartenenti alla stessa tribù). Tali contratti (chiamati appunto mudaraba)
permettevano di far fruttare i capitali dei primi affidandoli a persone esperte (le
seconde) e capaci di portare a buon termine una spedizione commerciale. Il
rapporto tra rabb al-mal (capitalista) e il mudarib (colui che conduceva
personalmente l'affare) terminava con la divisione dei profitti nelle quote
concordate o con la sopportazione delle eventuali perdite, ognuno per la sua parte
di conferimento. Questa tecnica divenne, con la proibizione coranica della riba, la
struttura portante del credito alle attività commerciali.43
Nel mudaraba, paragonabile alla nostra società in accomandita, la banca
finanza l'idea dell'imprenditore che si deve occupare anche del lavoro e della
gestione operativa del progetto. I profitti sono divisi fra banca e cliente finanziato
sulla base di un tasso di profitto concordato (mai tramite un importo fisso), mentre
le perdite sono interamente sopportate dal finanziatore. L'affare è gestito
liberamente dall'imprenditore che non deve ingerenze. Il gestore (mudarib) non
può investire più capitale rispetto a quello prestato dal finanziatore (rabb al-mal)
42 Gian Maria Piccinelli, Banche islamiche in...Roma, 1996, pp. 77 e seguenti.
43 ivi, pp. 99 e seguenti.
e previsto dal mudaraba. La ripartizione degli utili, salvo accordi ad hoc, è
permessa solo dopo la liquidazione totale delle passività e la restituzione del
capitale apportato dal rabb al-mal. Nella raccolta del capitale da parte degli istituti
islamici i risparmiatori svolgono il ruolo di rab al-mal e la banca di mudarib, a
quest'ultima potrà essere consentito d'investire capitale proprio che va ad
aggiungersi a quello fornito dal contratto di mudarabah. La partecipazione agli
utili e alle perdite avverrà, in quest'ultimo caso, in proporzione al capitale
apportato.44
Nei contratti musharaka, un'impresa intende sviluppare un'idea per la quale
realizzazione sono necessarie risorse finanziarie maggiori rispetto a quelle a sua
disposizione che chiede a una banca di finanziarla partecipando al suo progetto
stipulando un contratto di musharaka. In questo caso, a differenza del contratto di
mudaraba, entrambe le parti partecipano sia ai profitti sia alle perdite del progetto
finanziato tramite quote che possono essere uguali o differenti e di diverse forme:
denaro, immobili, terreni ma anche bene immateriali come il marchio (brand), la
reputazione acquisita nel tempo. Secondo questo schema contrattuale la
percentuale di partecipazione ai profitti del progetto viene definita nel contratto,
mentre la partecipazione alle perdite è proporzionale all'ammontare di capitale
conferito.45
44 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino 2006, pp. 69 e seguenti. Giustiniani parla anche dell'uso di
un contratto simile alla mudaraba, “il mozara'ah, per il finanziamento di attività agricole dove il
raccolto viene diviso tra finanziatore e imprenditore mentre eventuali perdite sono sopportate solo
dal primo che potrà fornire sia capitali liquidi che terreni”. Mauri e Hamaui distinguono “tra
contratti mudaraba vincolanti e non vincolanti. Nei primi il capitale è apportato in relazione ad
uno specifico progetto mentre nel secondo caso viene data la libertà al mudarib nella scelta degli
investimenti”. Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna 2009, pp. 86 e
seguenti.
45 Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna 2009, pp. 89 e seguenti. Sempre
Hamaui e Mauri precisano che “in linea teorica ogni partner può partecipare alla gestione
(conferendo il lavoro) ma di norma viene nominato un membro della partnership o un terzo
esterno ad essa per la conduzione dell'operatività giornaliera”. Piccinelli accenna ad “un
particolare tipo di contratto che è rappresentato dalla musharaka mutanaqisa (o decrescente),
utilizzato nel credito a favore di artigiani o piccole industrie. Con questo sistemala banca
partecipa al finanziamento totale o parziale di un progetto, ricevendone una quota di utili
Il contratto musharaka indica una formula generale che assume nella prassi
una serie di schemi che differiscono l'uno dall'altro; i più comuni sono il
mufawada e l'inan. Il mufawadah è una tecnica nella quale tutti i soci sovventori
(cioè tutti coloro che partecipano agli sviluppi della società finanziandola, ne
seguono la vita societaria e condividono i suoi eventuali utili) contribuiscono allo
stesso modo e hanno identici privilegi, doveri contrattuali e diritti alla
distribuzione degli utili e alla diminuzione per perdite. Nella più diffusa tecnica
dell'inan è possibile variare i diritti e le perdite a seconda del contributo offerto
alla società. Secondo molti economisti islamici la forte base egualitaria che ne
contraddistingue la struttura rende il contratto di musharaka la forma più pura di
finanza islamica.46
I contratti indirettamente partecipativi disciplinano il trasferimento della
proprietà di un bene da una persona a un'altra. Numerose sono le tecniche
contrattuali previste dal diritto islamico, ognuna delle quali ha proprie specificità.
Questi contratti di scambio vengono utilizzati per facilitare il finanziamento di
una determinata transazione visto l'ormai noto divieto coranico del prestito a
interesse. Il contratto di muràbaha si presenta come una doppia vendita con
pagamento differito. Si tratta di uno dei contratti maggiormente utilizzati dagli
istituti creditizi islamici per il finanziamento alle imprese, per operazioni di
“decrescente” di anno in anno, mentre l'imprenditore che ha beneficiato del finanziamento
riacquista parallelamente la piena disponibilità di una quota “crescente” del capitale
dell'impresa”. Gian Maria Piccinelli, Banche islamiche in...Roma, 1996, pag. 126.
46 Federica Miglietta Maria Grazia Starita, Una tassonomia dei contratti, in Banca e finanza
islamica. Contratti, peculiarità gestionali, prospettive di crescita in Italia, a cura di Claudio
Porzio, Roma, 2009, pp. 31 e seguenti. Sempre Miglietta e Starita riportano che “una ricerca
condotta nel 1999 su una cross section di intermediari finanziari islamici, però, dimostra che il
musharaka non rappresenta una scelta molto comune da parte degli intermediari. Kahf (1999)
evidenzia, infatti, come le formule di finanziamento utilizzate siano, in ordine decrescente, il
murabaha (37%), il mudaraba (19%), l'ijiara (9%) e solo in ultimo il musharaka, con un 6%.
nonostante la perfetta conformità ai canoni della Sharia, quindi, gli istituti finanziari islamici
preferiscono formule di finanziamento alternativo”. Qui i due autori fanno riferimento a: M. Kahf,
Islamic Banks at the Threshold of the Third Millennium”, in Thunderbird International Business
Review, vol. 41, n° 4/5, July-October, pp. 445-460.
credito al consumo, e per operazioni di investimento della liquidità. L'acquirente
che intende acquistare un determinato bene individua con il venditore le
caratteristiche del bene e il prezzo di vendita. Non avendo a disposizione l'intera
somma necessaria, l'acquirente si rivolge a una banca islamica stipulando un
contratto muràbaha per ottenere un finanziamento. Seguendo questo schema
contrattuale la banca islamica acquista la proprietà del bene dal venditore pagando
un prezzo P. Al pagamento del prezzo o dell'ultima rata la banca islamica
trasferirà la proprietà del bene all'acquirente (cliente-finanziato) al prezzo (P + K)
stabilito in sede di stipula del contratto. Tale tecnica permette dunque alla banca di
effettuare un'operazione di finanziamento a beneficio dell'acquirente senza
prestare una somma di denaro a interesse ma attraverso una doppia vendita il cui
pagamento può avvenire a rate o in un momento successivo alla consegna del
bene.47
Una banca islamica può anche effettuare operazioni di leasing (ijara), dove
il cliente corrisponde all'istituto un canone periodico inclusivo del costo d'acquisto
del bene sostenuto dalla banca e di un canone d'affitto per l'utilizzo del
macchinario stesso. Al-istisnà è un contratto che permette a una delle due parti di
ordinare all'altra di fabbricare e fornire un bene con caratteristiche, data di
47 Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna 2009, pp. 82 e seguenti. Sempre
Mauri e Hamaui riportano che “benché si tratti di una delle strutture contrattuali maggiormente
utilizzare dalle banche islamiche il finanziamento mediante una muràbaha è stato al centro di
discussioni. Molti si chiedono quale sia la differenza tra il margine del profitto e l'interesse
pagato in un prestito bancario, in particolare quando si evidenzia una stretta relazione tra il
primo e i tassi di interesse prevalenti sul mercato. Alcuni giuristi islamici sostengono che nel
contratto islamico non vi è prestito di moneta ma l'acquisto di un determinato bene nell'interesse
del cliente della banca e che il finanziamento risultante è strettamente legato al bene reale. La
banca è, inoltre, esposta anche ai rischi legati al possesso di un bene fisico, come il furto e il
danneggiamento. Il contratto di muràbaha sarebbe quindi una forma di finanziamento che si
configura come contratto di vendita in cui il prezzo è aumentato a causa del pagamento differito e
del servizio offerto dalla banca. Nel Corano sta scritto: “[...] ma Dio ha permesso la
compravendita e vietato il ribà” (II: 275). Tuttavia non tutti i giuristi islamici, e in particolare
quelli del Medio Oriente, accettano tale struttura contrattuale poiché non è presente alcun
criterio di partecipazione ai profitti e alle perdite. Infatti tale struttura contrattuale presenta
caratteristiche non dissimili da un'operazione di anticipo di fatture ampiamente utilizzata
nell'economia convenzionale”.
consegna, prezzo e data di pagamento (che può essere differito) determinati nel
contratto. Al-istinà al-tamwili è composto invece da due contratti istinà differenti;
il primo, tra cliente-finanziato e banca, dove quest'ultima si impegna a consegnare
il prodotto descritto nel contratto in un tempo prestabilito, mentre il beneficiario si
impegna a pagare il relativo prezzo in rate successive. Con il secondo contratto di
istinà la banca subappalterà a un terzo la fabbricazione del bene secondo le
specifiche previste. Quest'ultimo dovrà consegnare il prodotto alla banca (o
all'acquirente finale se autorizzato dalla banca) nella data prestabilita, che è la
stessa stabilita nel primo contratto di istinà. Simile al al-istinà al-tamwili, è lo
ijàra wa iktinà, un contratto di leasing finanziario dove il cliente ha la possibilità
d'acquistare il bene nel momento in cui i pagamenti accumulati hanno raggiunto
un livello pari al prezzo di vendita concordato.48
Un altro contratto indirettamente partecipativo molto utilizzato è il contratto
salam. Tale strumento assomiglia a un contratto a termine di un bene la cui
consegna è differita nel tempo. La differenza tra i due contratti è tuttavia piuttosto
rilevante, infatti, mentre nel contratto a termine tradizionale il prezzo viene
regolato alla consegna del bene, nel contratto islamico il prezzo è pagato alla
stipula del contratto. È importante osservare come il contratto salam rappresenti
un'eccezione al divieto alle vendite a termine poiché queste risultano essere
palesemente contrarie a due delle più importanti condizioni di validità di un
48 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino 2006, pp. 73 e seguenti. Giustiniani, inoltre, riporta che
“alcuni fuqahà hanno espresso dei dubicirca l'ammissibilità del leasing finanziario rispetto la
dottrina islamica, sia perché non annullabile, sia perché trasferisce l'intero rischio sul locatario,
specie se il valore residuale del bene è stato fissato precedentemente. Il leasing finanziario può
diventare anche più oneroso di un che l'acquisto a pronti. Ci sono fuqàha che considerano lecito il
leasing finanziario a determinate condizioni, come ad esempio che i rischi della locazione siano a
carico del locatore che è il reale proprietario del bene. In secondo luogo i pagamenti della
locazione non possono iniziare prima che il locatario sia entrato in possesso del bene e la
locazione può continuare solamente fino a quando il bene può essere utilizzato dal locatario. In
terzo luogo tutti i difetti di fabbricazione e danni futuri che vanno al di fuori del controllo del
locatario, devono essere di competenza del locatore. Al locatario tuttavia può essere assegnata la
responsabilità della conservazione e della manutenzione del bene”.
contratto ispirato dai principi islamici: l'esistenza del bene e la sua effettiva
proprietà da parte del venditore. Infatti, al tempo della stipula del contratto
l'oggetto potrebbe non esistere o il venditore non averne la proprietà.49
La verifica alla conformità con i dettami e le regole della Sharia di qualsiasi
operazione svolta da una banca islamica è solitamente svolta da uno specifico
organo dello stesso istituto chiamato Consiglio di controllo sciaraitico. Il
principale compito del consiglio è quello di stabilire preventivamente se
attraverso un singolo atto la banca possa commettere una violazione a un
qualunque divieto della Sharia e alle norme di legge (qanun) che riguardano tale
atto.50
Accanto ai contratti direttamente e indirettamente partecipativi esiste il qard
al-hasana, il mutuo islamico senza interessi. Data la sua funzione essenzialmente
caritatevole, l'utilizzo del mutuo di beneficenza viene limitato principalmente al
finanziamento di operazioni di beneficenza e al credito al consumo. Per sussidiare
le organizzazioni no profit le banche islamiche utilizzano i fondi speciali della
zakat e gestiti separatamente dalle altre risorse. In questo caso non sono previste
né commissioni bancarie, né rimborsi di eventuali spese a carico del debitore che
49 Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna 2009, pp. 82 e seguenti. Sempre
secondo Mauri e Hamaui “la giurisprudenza commerciale islamica ritiene che il contratto salam
sia più equo di un contratto a termine convenzionale poiché entrambe le parti ricevono un
contestuale beneficio: l'acquirente elimina il rischio legato all'incertezza futura del prezzo del
bene da acquistare mentre il venditore riceve il prezzo che può investire nel processo produttivo.
Si tratta di un contratto che è spesso utilizzato nel finanziamento alle piccole e medie imprese
poiché, vendendo in anticipo il prodotto finito, consente loro di raccogliere il necessario capitale
per comprare le materie prime e finanziare il processo produttivo”. Secondo Piccinelli, invece, “il
salam è una delle più diffuse forme tradizionali di credito agrario che nasce dalla necessità
dell'agricoltore – che non dispone di idonei mezzi finanziari – di trovare dei fondi sufficienti a
realizzare in tempo il raccolto sperato e provvedere ai suoi bisogni immediati. [...] Con questo
contratto un commerciante acquista da un agricoltore il raccolto prima che giunga a
maturazione, purché sia già esistente e quantitativamente quantificabile”. Gian Maria Piccinelli,
Banche islamiche in...Roma, 1996, pag. 146-147.
50 Gian Maria Piccinelli, Banche islamiche in...Roma, 1996, pp. 83 e seguenti. Piccinelli aggiunge
che “i Consigli di controllo sciaraitico sono generalmente composti da un numero variabile
(compreso tra tre e sette) di esperti nella Sharia, nominati dal Consiglio di amministrazione o
dall'Assemblea generale dei soci della banca. Con lo scopo di assicurare maggiore autonomia e
indipendenza al Consiglio nell'esercizio delle sue funzioni di controllo e onde evitare pressioni di
natura gerarchica, i suoi membri non possono essere scelti tra gli impiegati della banca”.
deve appartenere una delle categorie di persone per le quali il diritto musulmano
consente che siano spesi i proventi della zakat. Data la sua particolare natura, il
mutuo senza interessi è impiegato per prestiti a breve e brevissimo termine. Non
mancano tuttavia casi nel quale il suo rimborso può essere fissato con scadenze
sino a due anni.51
In Inghilterra è già in uso un tipo di mutuo immobiliare che si avvicina al
qard al-hasana, ed è il manzil (casa) murabaha. Questa operazione era già molto
richiesta prima che le leggi finanziarie (Finance Act) del 2003 e 2005 abolissero
la doppia imposta di registro nelle transazioni immobiliari assimilabili al contratto
murabaha che la facevano costare circa il 30% in più rispetto a un mutuo
immobiliare normale. Tale maggior costo era dovuto al doppio trasferimento di
proprietà.52
Nel manzil murabaha il cliente individua l'immobile e si accorda sul prezzo
con il venditore. La banca islamica compra la casa e la rivende al cliente con
ricarico. Le rate sono mensili e la durata massima è fissata a quindici anni.
L'immobile è registrato a nome del cliente con ipoteca legale a garanzia della
banca. Nel prezzo che pagherà il cliente sono comprese le spese amministrative,
un rendimento per i depositari e un margine di profitto per la banca. Un prodotto
simile al manzil murabaha è il manzil ijara che garantisce una maggiore
flessibilità. La banca compra la casa e si impegna a rivenderla al cliente allo
stesso prezzo entro un massimo di 25 anni. L'affitto che il cliente dovrà pagare
alla banca durante questo periodo viene fissato di anno in anno e corretto al
ribasso per tener conto delle rate già pagate. Il cliente può acquistare l'immobile
dalla banca in qualsiasi momento. Per tutti i mutui che si basano sulla tecnica
51 Gian Maria Piccinelli, Banche islamiche in...Roma, 1996, pp. 80 e seguenti.
52 Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna 2009, pag. 106.
manzil è richiesto un acconto del 20% del valore dell'immobile per garantire al
cliente una quota significativa di proprietà del bene fin dall'inizio.53
2.3 La finanza islamica
Il divieto della riba non limita i suoi effetti all'attività bancaria di prestito
ma pesa anche sull'utilizzo degli strumenti di mercato come i titoli di stato o le
obbligazioni societarie che non sono accettati dagli economisti musulmani in
quanto strumenti basati sul tasso d'interesse. Gli stessi economisti islamici hanno
superato questo limite elaborando degli strumenti (i sukuk) che, nel rispetto della
Sharia, riproducono le funzioni di un bond; il pagamento periodico di cedole e il
rimborso del capitale a scadenza. Se da una parte un bond tradizionale e un sukuk
rispondono alla stessa esigenza economica, dall'altra presentano alcune differenze
non solo di tipo giuridico: mentre chi possiede un bond è titolare di un diritto
finanziario a un flusso di cassa, il possessore di un sukuk è titolare di un diritto di
proprietà su di una porzione del bene o insieme di beni sottostanti l'emissione. Ne
consegue che mentre il pagamento della cedola di un bond è indipendente
dall'andamento degli asset sottostanti, la remunerazione di un sukuk è legata al
ritorno atteso del progetto finanziato.54
53 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino 2006, pp. 76 e seguenti.
54 Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna 2009, pp. 110 e seguenti. Mauri e
Hamaui riportano, inoltre, che “recentemente hanno avuto particolare diffusione strutture
convertibili in azioni denominate Qpo (qualifying public offering), sukuk che danno al possessore
del titolo il diritto di partecipare, talvolta a sconto, all'offerta pubblica di azioni di una società. Si
tratta di una tipologia spesso utilizzata anche per portare a quotazione una società: attraverso
l'emissione di un sukuk viene conferito capitale che poi viene trasformato in capitale di rischio e
offerto sul mercato finanziario”. Sempre secondo questi autori “è importante sottolineare che per
emettere sukuk non è necessario essere una società Sharia compliant, così come non occorre
essere musulmani per sottoscriverli. Ciò amplia sia la domanda che l'offerta di tali strumenti” e
ancora che “il paradosso è che a fronte di una domanda di prodotti non vi è una sufficiente e
Fino agli anni ottanta le possibilità d'investimento dei fondi azionari islamici
non andavano oltre a dei titoli gestiti secondo linee guida elaborate palesemente
per assecondare l'interpretazione individuale degli investitori di cosa fosse o non
fosse accettabile in base alla Sharia. Non era rado quindi trovarsi di fronte a delle
differenze di ragionamento o di conformità da un'istituzione a un'altra o da un
Paese islamico all'altro. Negli ultimi quindici anni l'evoluzione dei mercati ha
favorito la nascita di organizzazioni internazionali che forniscono la necessaria
assistenza nella pratica contabile e di mercato seguendo gli standard della
Sharia.55
Un progetto particolarmente interessante per la finanza islamica è
sicuramente l'Isalamic stock tranding, all'interno del quale vengono portati avanti
alcuni tentativi di realizzo di borse islamiche. L'Islamic Dow Jones market index è
un indice, quotato alla borsa di New York, in grado di misurare, tramite uno
standard internazionale, le prestazioni di portafogli di titoli selezionati dai
comitati etici islamici tra quelli ritenuti compatibili con la Sharia. Per la
realizzazione di tale indice il primo passo è stato quello di escludere qualsiasi
industria con una linea di commercio e/o produzione incompatibile con la Sharia.
In pratica, vengono escluse tutte quelle aziende che hanno partecipazioni o redditi
da attività proibite come l'allevamento di suini, produzione di bevande alcoliche,
produzione e trasformazione di tabacco, attività finanziarie convenzionali,
fabbricazione e commercio d'armi, interessi in casinò, scommesse, pornografia,
cinema, musica, etc. Le aziende con le attività economiche ritenute conformi alla
Legge islamica sono state ulteriormente filtrate per eliminare quelle con i rapporti
adeguata offerta per assorbire tale domanda. In tale necessità si inserisce il discorso
dell'innovazione finanziaria. Si discute molto a riguardo di hedge funds sharia compliant o di
prodotti con strutture complesse, tuttavia l'industria è ancora deficitaria di prodotti base come
fondi obbligazionari (fondi sukuk). La sfida è fornire un adeguato servizio e una gamma più
ampia di prodotti”.
55 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino 2006, pp. 81 e seguenti.
finanziari inaccettabili. Le aziende che passano anche a quest'ultimo controllo
vengono incluse nell'universo di quelle che possono emettere azioni accettabili dal
punto di vista islamico negli indici di mercato di Dow Jones.56
Nonostante le limitazioni dovute alla scelta dei titoli, il mercato dei sukuk è
cresciuto esponenzialmente fino a raggiungere nel 2007 la dimensione di 60
miliardi di dollari, raddoppiando i 500 milioni di dollari di fine 2001. Le ragioni
di questa crescita vanno ricercate soprattutto in Medio Oriente, dove l'eccesso di
liquidità a seguito dell'incremento delle quotazioni del greggio, l'imponente
sviluppo di progetti di infrastrutture (a metà 2008 stimati in 1.600 miliardi di
dollari) e la necessità di finanziarli, l'interesse delle autorità di regolazione nel
promuovere un mercato di capitali islamico hanno aumentato non di poco l'offerta
di titoli sukuk. L'interesse per i fondi islamici non trova spazio solo tra quei fedeli
che vogliono investire i propri risparmi secondo i principi coranici ma anche tra
quegli investitori convenzionali che sono alla ricerca di una maggiore
diversificazione dei propri rendimenti. Infatti, gli indici azionari islamici hanno
storicamente fatto registrare un andamento non correlato con quelli convenzionali
e durante l'ultima importante crisi creditizia hanno avuto prestazioni superiori a
quelle degli indici convenzionali poiché escludono il settore finanziario. I fondi
islamici formano perciò una categoria d'investimento a sé stante che può
contribuire a rendere un'allocazione finanziaria più completa.57
56 ibidem. Giustiniani inoltre riporta che le aziende eliminate dall'indice sono “quelle che hanno: un
rapporto tra il loro debito totale (pari alla somma del debito di breve termine, della parte corrente
del debito a lungo termine) e la capitalizzazione media del mercato annuale (patrimonio totale),
superiore o uguale a 33%; un rapporto tra la somma della cassa e di titoli che danno diritto a una
parte di utile in forma di dividendo diviso la capitalizzazione media del mercato annuale superiore
o uguale a 33%; un rapporto crediti verso clientela (pari alla somma dei crediti a breve termine e
i crediti a medio lungo termine) sul totale attivo superiore o uguale al 45%”. Secondo Mauri e
Hamaui “si vuole, in altri termini, evitare l'investimento in aziende che da un lato siano
eccessivamente indebitate e dall'altro abbiano un eccesso di liquidità in bilancio invece che
allocata nel processo produttivo” Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna
2009, pag. 120.
57 Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna 2009, pp. 121-122. Mauri e Hamaui
ricordano però che “la crisi dei subprime, che ha colpito i mercati finanziari a partire dall'estate
Capitolo terzo
La finanza islamica in contesto non islamico
3.1 L'attività bancaria islamica nella prassi finanziaria occidentale
Ogni forma d'innovazione finanziaria obbliga la regolamentazione
prudenziale a interrogarsi sui propri limiti e sulla validità di regole che appaiono
difficilmente conciliabili con istituzioni, prodotti e culture finanziarie diverse
rispetto a quelle su cui tali regole erano state costruite.58 Si ritiene quindi
opportuno, facendo implicito riferimento all'analisi precedente (par. 2.2), fornire
un quadro di sintesi dell'impatto che i principali strumenti d'intermediazione
hanno sulla gestione della banca islamica.
La raccolta fondi delle banche islamiche viene svolta principalmente tramite
due metodi: i conti correnti, ossia depositi con finalità transattive e privi di rischi,
essendo garantito il rimborso del capitale, ma che non assicurano alcun
rendimento; e i conti di investimento che comportano il rischio di perdita del
capitale a fronte di un rendimento variabile e non garantito. Confrontando le
caratteristiche di questi prodotti con quelli a loro assimilabili delle banche
2007, ha avuto ripercussioni anche sul mercato sukuk con una riduzione del numero di emissioni
nella prima metà del 2008 e un allargamento degli spread” cit pag. 115.
58 «Less apparent understanding of the new environment can create a sense of greater risk
even if the objective level of risk in the system is unchanged or reduced» R.C. Merton (1995),
Financial innovation and the management and regulation of financial institutions, Journal of
Banking and Finance, 19, 3-4, June, 461- 481. Ripreso in E. Montanaro, La banca islamica: una
sfida per le regole di Basilea, in Studi e note di economie, 3/2004.
tradizionali risulta chiaro che nel contesto islamico alcuni depositanti
partecipando ai rischi dell'attività - nel senso che l'eventuale rendimento ottenuto
è legato ai risultati dell'attività di impiego - appaiono come soggetti assai
particolari. Questo perché, in termini d'assunzione dei rischi, la banca islamica si
pone in una situazione più defilata rispetto alla banca tradizionale; all'opposto, è
sicuramente meno garantita la posizione del soggetto creditore. Sono invece
pienamente compatibili con l'attività bancaria tradizionale i depositi in conto
corrente dove il mancato riconoscimento degli interessi è coerente con la prassi di
alcuni Paesi occidentali nei quali i depositi a vista non sono remunerati. Molti
studiosi islamici percepisco invece i sistemi d'assicurazione sui depositi contrari
alla legge coranica; questo perché annullerebbero la condivisione del rischio da
parte del depositante. In effetti, nei Paesi dell'area MENA (Medio Oriente e Nord
Africa) non esiste un sistema d'assicurazione se si fa eccezione per Libano e
Turchia.59
L''autorizzazione della Islamic Bank of Britain è stata sicuramente la pietra
miliare nella risoluzione del principio di tutela dei depositi. La normativa inglese
esige l'obbligatorietà del rimborso non condizionale affinché si abbia un deposito.
Ovviamente ciò contrasta con la nozione di conto d'investimento della banca
islamica. La questione è stata superata con l'inclusione di specifiche clausole nel
contratto di deposito della
Islamic Bank of Britain. Il titolare dei conti
d'investimento islamici è esposto al rischio di vedere intaccato il valore nominale
del deposito; tuttavia, nell'eventualità in cui il rischio si compia, la banca può
limitare o annullare la perdita rinunciando all'incasso delle commissioni e
attingendo a un fondo destinato alla stabilizzazione degli utili. Un altro punto
59 Claudio Porzio, L'attività bancaria islamica e il contesto dei sistemi sistemi finanziari occidentali
in Banca e finanza islamica. Contratti, peculiarità gestionali, prospettive di crescita in Italia, a
cura di Claudio Porzio, Roma, 2009, pp. 95-96.
stabilisce che gli azionisti non abbiano diritto alla distribuzione degli utili nel caso
in cui non siano stati rispettati i diritti dei depositanti. Il nodo saliente del
problema è stato affrontato obbligando la banca a offrire al depositante un
pagamento per l'ammontare della perdita subita. quest'ultimo può accettare o
rifiutare tale offerta. Se accetta, la banca ripagherà il depositante ma questo non
sarà più considerato coerente con i principi islamici. In questo modo sono stati
preservati sia il principio di partecipazione ai profitti e perdite sia quello di tutela
dei depositi.60
Bisogna inoltre evidenziare come, sempre per quanto concerne la raccolta
fondi, manchino tutta quella serie di strumenti volti a soddisfare le esigenze di
lungo termine di tutti i possibili tipi clientelari. In particolare quegli articoli ideali
per investimenti di medio-lungo periodo come, ad esempio, fondi immobiliari e
prodotti destinati ai bisogni nella fase post-lavorativa. Infine potrà risultare utile
osservare la tipologia di clientela servita, prevalentemente d'estrazione medio-alta
e con rilevanti disponibilità finanziarie.61
Le operazioni d'impiego fondi sono limitate nel numero e usano schemi
contrattuali di tipo partecipativo. Si possono suddividere in: direttamente
partecipative, quando sono fondate sulla compartecipazione ai profitti e alle
perdite dell'impresa (profit and loss sharing o PLS); e in indirettamente
partecipative, se si basano sulla locazione o sulla vendita di beni (no PLS o trade
financing). Al pari degli analoghi prestiti delle banche convenzionali, anche nei
60 Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna 2009, pp. 105 e seguenti. Sempre
secondo Hamaui e Mauri, “l'Inghilterra ha affrontato la questione della finanza islamica evitando
ogni discussione o pregiudizio religioso e culturale ma considerandola un'innovazione
finanziaria, al pari di tante altre che, periodicamente, emergono nell'ambito dell'industria dei
servizi finanziari. [...] Si è inoltre cercato di evitare una legislazione che fosse separata, riferita
ad uno specifico credo religioso e si è mantenuto il principio di un'unica licenza bancaria (a
differenza di altri Paesi come la Malesia dove sono state introdotte due tipologie di licenza). Non
è stata quindi introdotta la categoria “banca islamica” bensì si è opportunamente modificata la
normativa esistente al fine di consentirle di operare”.
61 Claudio Porzio, L'attività bancaria... in Banca e finanza islamica..., a cura di Claudio Porzio,
Roma, 2009, pag. 103.
contratti partecipativi v'è sempre presente l'analisi dei profitti di criticità del
prenditore dei fondi. Le due più comuni tecniche di finanziamento PLS (i contratti
di mudaraba e musharaka) presentano caratteristiche simili alle operazioni di
private equity o corporate banking. In termini giuridici, infatti, questi contratti
non rappresentano operazioni finanziarie o di credito bensì vere e proprie attività
d'impresa alle quali la banca partecipa attivamente. L'applicazione del principio
del PLS comporta peculiari vantaggi e svantaggi in termini sia micro che macro;
se da una parte riduce l'instabilità del sistema economico aumentandone la
flessibilità e l'efficienza per effetto della condivisione dei profitti e delle perdite,
auspica una maggiore trasparenza delle informazioni contabili e - nella funzione
di allocazione delle risorse - vede la prevalenza di contratti partecipativi; dall'altra
parte potrebbe causare un'inefficiente allocazione sia dei rischi - per la preferenza
verso forme improduttive che garantiscono il capitale come oro, valute, immobili,
etc - sia del risparmio.62
A livello macroeconomico applicare la logica del Profit and Loss Sharing
alla banca centrale o al governo di un Paese risulta assai complesso poiché è
difficile determinarne profitti o perdite. Definire una corretta misura del
rendimento dei servizi generali di un governo o delle operazioni di un'autorità
monetaria obbliga spesso le stesse autorità dei Paesi islamici a ricorrere a controlli
diretti sulla quantità di credito e sui tassi d'interesse e ad applicare coefficienti di
riserva obbligatoria molto elevati causando persistenti pressioni inflazionistiche. Il
problema di fondo è che le autorità centrali non sempre riescono ad assorbire la
liquidità in eccesso nel sistema, anche perché la presenza di mercati interbancari
interesed-based non è ammessa dalla Sharia. La soluzione che alcune banche
centrali hanno sviluppato è stata la creazione di un sistema di operazioni di
62 ivi, pp. 98 e seguenti.
mercato e un meccanismo di contrattazione interbancaria rispettoso della
proibizione della riba. Sintetizzando, si tratta di usare un tasso di partecipazione
agli utili della banca anziché un tasso d'interesse. 63
Un altro effetto, a livello macroeconomico, causato dal principio del profit
and loss sharing è che in un sistema economico di tipo islamico né le teorie
keynesiane né il modello IS-LM funzionano più. Infatti, per la Sharia la moneta
andrebbe detenuta solamente per effettuare transazioni e non avrebbe nessun altro
valore. Nel corso degli anni '80 sono stati condotti alcuni test statistici per
verificare se la domanda di moneta dei Paesi islamici fosse legata o meno ai tassi
d'interesse e al tasso di inflazione. Coerentemente da quanto spiegato finora, i
risultati sono stati negativi; la domanda di moneta sembra essere spiegata
solamente dal livello del reddito e quindi da scopi puramente transattivi.64
I contratti partecipativi tra finanziatore e imprenditore, secondo alcuni,
eliminerebbero una delle più serie cause d’instabilità economica. Il fatto che le
obbligazioni finanziarie dovute dai mutuatari alle banche islamiche non
corrispondano a una somma fissa, ma a un ammontare variabile, risolve, in parte,
il problema dell'asimmetria tradizionale tra tassi d'interesse fissi e incertezza dei
profitti. Inoltre, a differenza di quanto succede nel sistema bancario tradizionale nel quale l'inadempienza o il fallimento di un debitore non incide in alcun modo
sugli impegni assunti dalla banca verso i clienti-depositanti - la sostituzione
dell'interesse con la partecipazione agli utili rende possibile prevenire crisi
63 Emilio Vadalà, Capire l'economia..., Brolo (Messina), 2004, pp. 54 e seguenti. Vadalà riporta che
“il problema principale che queste iniziative hanno incontrato è stato quella della creazione di un
complesso sistema di reporting e di diffusione delle informazioni, condizione essenziale per il
corretto funzionamento di un contratto di tipo profit-loss-sharing; sopratutto quando il numero
dei contraenti e delle operazioni concluse è molto elevato”. Inoltre “la Malesia è attualmente
l'unico Paese in cui esiste un general purpose government funding, cioè un prestito pubblico,
rispettoso della proibizione della riba, che finanza l'attività complessiva del governo”. Pag. 56.
64 ivi, pag. 47. I test statistici e la loro elaborazione sono opera di Euromoney (1983), Free the
Markets and Develop, may.
sistemiche, contribuendo così alla stabilità dell'intera economia. Sempre per
quanto riguarda la maggiore efficienza sociale della banca islamica, assicurata
dalle forme d'impiego di tipo partecipativo, si deve però osservare che i mutuatari
- comunque motivati a ottenere profitti, in quanto da questi dipende la loro
remunerazione – essendo svincolati da qualsiasi obbligo di restituzione delle
somme ricevute potrebbero essere indotti ad assumersi dei rischi troppo elevati.
Infine, anche i finanziamenti tradizionali, e non solamente quelli islamici,
vengono concessi se il finanziatore è convinto delle possibilità di successo del
progetto.65
Il contratto murabaha è assimilabile a una compravendita con mark-up e,
affinché sia compatibile con i principi della Sharia, è necessario che il bene sia,
anche per un breve periodo, in possesso del finanziatore che deve assumersi i
rischi connessi al suo mantenimento in buone condizioni sino al trasferimento
definitivo all'utilizzatore finale. Il contratto di ijara è facilmente assimilabile al
leasing finanziario anche se, a differenza di quelli tradizionali, la responsabilità
per il mantenimento e l'assicurazione del bene restano a carico del locatore. Nella
maggior parte delle operazioni indirettamente partecipative derivate da contratti
assimilabili alla compravendita a termine (principalmente murabaha, ijara, e bay
al-salam) potrebbe sembrare che la banca svolga il ruolo d'intermediario
commerciale, assumendosi anche tutti quei rischi relativi all'underlying (rischio di
obsolescenza, rischio di deprezzamento, etc.). L'istisna può efficacemente essere
utilizzata anche dalle piccole e medie imprese e dalle famiglie come strumento di
65 Claudio Porzio, L'attività bancaria... in Banca e finanza islamica..., a cura di Claudio Porzio,
Roma, 2009, pp.99 e seguenti. Secondo Porzio non può quindi essere generalizzata l'affermazione
di Costa che “la partecipazione agli utili consente di convogliare i fondi investiti verso i progetti
con le maggiori prospettive (teoriche) di redditività, mentre nel sistema basato sull'interesse i
fondi vengono erogati ai mutuatari più meritevoli di credito, i cui progetti non sono
necessariamente i più redditizi”. Costa (2001), I principi della finanza islamica,
www.dse.ec.unipi.it.
finanziamento non essendosi alcun obbligo di versare anticipatamente o alla
consegna il prezzo concordato. Inoltre questo schema rende possibile l'acquisto o
la fabbricazione di beni anche a elevato valore sociale.66
Riassumendo, gli aspetti più positivi che l'attività bancaria islamica può
trasmettere ai sistemi finanziari occidentali riguardano, da un lato, la possibilità di
ricorrere direttamente allo strumento azionario per la capitalizzazione delle
imprese, dall'altro, la capacità di trasformare, di fatto, il sottoscrittore di conti
d'investimento in fornitore di capitale di rischio senza essere pienamente
coinvolto (con il diritto di voto) nella gestione delle risorse fornite. Al contrario,
gli aspetti che andrebbero migliorati riguardano sia il mancato soddisfacimento
delle esigenze di finanziamento connesse al lungo termine (l'istisna esaurisce solo
una parte delle richieste derivanti dalla gestione del capitale fisso), che la
mancanza di comunicazione verso gli operatori di private equity e venture capital
volta a promuovere l'assistenza finanziaria alle imprese nei diversi stadi del loro
sviluppo attraverso il veicolo azionario.67
3.2 Prospettive di sviluppo in Italia
I rapporti finanziari tra l'Italia e il mondo islamico sono antichi, la Banca di
Roma già nel primo novecento aprì una propria filiale in Africa orientale ancora
prima di stabilirsi in una città come Milano. Il nostro Paese - geograficamente
proteso al centro del Mediterraneo - è da sempre attento al mondo arabo.
66 ivi, pag. 101.
67 ivi, pag. 103.
Unitamente a Grecia, Austria, Stati Uniti, Russia e Giappone, l'Italia si è
fatta promotrice della costituzione di un Banca regionale di sviluppo per il Medio
Oriente e il Nord Africa, promossa dal vertice di Casablanca nel 1993.68 A partire
dagli accordi di Barcellona 1995 - che prevedevano a partire dal 2010 la creazione
di un'area di libero scambio tra i Paesi del partenariato euro-mediterraneo - l'Italia
insieme all'Unione Europea ha avviato un deciso processo d'avvicinamento alle
economie dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo. 69
In Italia vi è una sola filiale di banca islamica privata, la iraniana Bank
Sepah con sede a Roma. Dopo una prima analisi del sistema islamico potrebbe
apparire problematica - nel breve periodo - la possibilità per una banca islamica di
operare nel nostro Paese in prima persona, mancando ancora un bacino di clienti
islamici qualitativamente e quantitativamente adeguato. Appare più praticabile la
possibilità per una banca italiana di aprire uno “sportello” islamico.70 Bisogna qui
distinguere le iniziative di origine italiana e da quelle di origine europea, viste le
possibilità connesse al mercato unico dei servizi finanziari in termini sia sotto il
profilo di libertà di stabilimento di filiali sia di libera prestazione di servizi.71
In Italia il decollo della finanza islamica dipende da due tipi di fattori: quelli
di carattere sistematico, come gli interventi regolamentari e fiscali, e quelli di
68 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino 2006, pag. 117.
69 Emilio Vadalà, Capire l'economia..., Brolo (Messina), 2004, pp. 9 e seguenti. Vadalà sottolinea che
“il partenariato inizialmente coinvolgeva , oltre ai 15 Paesi dell'Unione Europea, 12 Paesi
dell'area del Mediterraneo (cosiddetti “Mediterranean partther countries”, MPCs): Algeria,
Marocco, Tunisia, Egitto, Giordania, Libano, Siria, Israele, Autorità Palestinese, Cipro,Malta e
turchia; dal maggio 2004, in seguito all'allargamento, Malta e Cipro fanno parte del partenariato
come membri dell'Unione Europea. Attualmente gli strumenti finanziari più importanti del
partenariato sono rappresentati dal programma “MEDA” che sostiene iniziative di carattere
bilaterale e regionale, e la facility finanziaria creata dalla Banca Europea degli Investimenti, che
finanza progetti di investimento nei Paesi parther” pag. 11.
70 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino 2006, pp. 117 e seguenti.
71 Maria Grazia Starita, Le prospettive della banca e della finanza islamica in Italia in Banca e
finanza islamica. Contratti, peculiarità gestionali, prospettive di crescita in Italia, a cura di
Claudio Porzio, Roma, 2009, pag. 195. Secondo Starita “la nazionalità della banca è la variabile
indipendente [...] la variabile dipendente, invece, è il grado di coerenza con la religione islamica
(Sharia compliance) , che è massimo per i progetti di banca concepiti in ottica islamica ed è
minimo, invece, per le c.d. Islamic windows, in quanto nati da un soggetto economico
occidentale”.
condizionamento e di opportunità economica, ad esempio, la compatibilità dei
contratti islamici con il diritto italiano. Per quanto riguarda il profilo sistematico
servirebbe da prima ampliare la definizione di attività bancaria al fine di farvi
rientrare il modus operandi della banca islamica (banca come gestore di fondi sul
lato del passivo e banca nel capitale delle imprese dal lato dell'attivo). Andrebbe
poi abolita - seguendo il già citato (par 2.2) recente esempio dell'Inghilterra - la
doppia imposta di registro nelle transazioni immobiliari dando così modo anche
alla popolazione musulmana che vive in Italia di accedere ai mutui immobiliari.
Per favorirne l'utilizzo la contrattualistica islamica andrebbe separata dalla
contabilità generale sia per tenere conto delle diverse fasi di sviluppo dei contratti,
sia per isolare le componenti di ricavo e di costo che nell'ambito della contabilità
analitica possono essere ricondotte ai contratti islamici.72
Rimarrebbero poi da analizzare più attentamente alcuni specifici problemi di
compatibilità con la nostra giurisprudenza. Per prima cosa, l'oggetto sociale di una
banca islamica potrebbe non risultare compatibile con il Testo Unico Bancario, il
quale (art. 14) autorizza all'esercizio dell'attività bancaria solamente in senso
“convenzionale”, ovvero, operante sia in funzione di raccolta di depositi sia di
erogazione del credito. In realtà, sono state autorizzate come banche in Italia
numerose intermediarie che non svolgono contestualmente le due funzioni
bancarie tipiche: soggetti specializzati nel leasing, factoring, credito al consumo e,
sopratutto, nella prestazione di servizi d'investimento. Questo è permesso dalla
duplice valenza che nel nostro ordinamento prendono le nozioni di banca e di
attività bancaria, dove il concetto di banca è di fatto molto più ampio. Si possono
perciò ritenere compatibili con l'ordinamento del sistema finanziario italiano
72 ivi, pp. 198 e seguenti.
queste specifiche caratteristiche operative delle banche islamiche.73
Alcune tecniche partecipative spesso utilizzate dalle banche islamiche per
effettuare finanziamenti sono assimilabili al nostro contratto di “associazione di
partecipazione” disciplinato dall'art. 2549 del codice civile, il cui utilizzo apre due
ordini di problemi legati al delicato tema dei rapporti tra banca e soggetti non
finanziari. Il primo è costituito dalla possibile ingerenza nella gestione della banca
da parte di soggetti non bancari o comunque non autorizzati; il secondo rischio è
che, attraverso il meccanismo di trasmissione degli utili e delle perdite, si
determini una posizione di influenza dominante a favore di terzi associati non
finanziari.74
Analizzando il primo aspetto, la Banca d'Italia ritiene che l'associazione in
partecipazione “non configura una gestione in comune dell'attività che ne
costituisce oggetto, ma comporta unicamente la suddivisione degli utili e delle
perdite nella misura contenuta in cambio di un apporto economicamente
valutabile”.75 Ovvero, non distribuisce agli associati alcun potere decisionale o di
gestione, quindi non è ipotizzare alcuna violazione della riserva dell'attività
bancaria. Ritornando al secondo aspetto, gli accordi di associazione in
partecipazione devono essere sottoposti preventivamente all'autorità di vigilanza
in modo che questa elimini dal contratto quei vincoli contrattuali che,
determinando una posizione di influenza dominante a favore di associati non
finanziari, andrebbero a violare il principio di separatezza.76
73 Claudio Porzio, L'attività bancaria... in Banca e finanza islamica..., a cura di Claudio Porzio,
Roma, 2009, pp. 133-134. Sempre secondo Porzio “per quanto attiene alle forti motivazioni
religiose alla base del rapporto tra banca e operatori economici (soprattutto depositanti e
azionisti) islamici, i quali non mettono il profitto al centro delle proprie decisioni, l'esperienza
della Banca Popolare Etica e l'offerta di prodotti di risparmio etico dimostrano da un lato la
legittimità e il riconoscimento di motivazioni differenti alla base delle scelte finanziarie, dall'altro
che la normativa non può essere applicata in modo differenziato”.
74 ivi, pag.134.
75 Banca d'Italia, Bollettino di vigilanza, Roma, gennaio 2003, pag. 9.
76 Claudio Porzio, L'attività bancaria... in Banca e finanza islamica..., a cura di Claudio Porzio,
Roma, 2009, pag. 134. Porzio aggiunge che “per quanto riguarda la composizione dell'attivo, un
Si può facilmente prevedere che le nuove disposizioni apportate al codice
civile in materia diritto societario agevoleranno la stipula di nuovi contratti Sharia
compliant. Queste hanno, da un lato, ampliato la gamma degli strumenti
disponibili per il finanziamento dell'impresa, legando tempo ed entità di rimborso
all'andamento economico della società, e, dall'altro, disciplinato i patrimoni
destinati a uno specifico affare con l'apporto di terzi.77
In un'analisi permissiva, le tecniche di raccolta e gestione fondi tipiche di
una banca islamica non dovrebbero rallentare un'eventuale autorizzazione alla
costituzione di istituzioni islamiche anche in Italia. In una visione restrittiva,
invece, l'occhio potrebbe cadere sul divieto di corrispondere/ricevere interessi e
sulla compartecipazione ai risultati della gestione d'impresa sia per la raccolta sia
per gli impieghi. Questi due principi che, come si è visto, costituiscono le
fondamenta dell'intera economia islamica contrasterebbero con le idee generali di
separatezza tra banca e impresa e di tutela del depositante. Se a prevalere sarà la
seconda visione, vorrà dire che per consentire in Italia lo svolgimento di attività
bancaria islamica il Testo Unico Bancario andrebbe modificato e adattato di
conseguenza.78
vincolo che potrebbe risultare stringente per le banche islamiche, in conseguenza dell'incidenza
dei contratti di vendita a termine di beni e di musharakah, è quello per il quale il totale degli
investimenti in partecipazioni e in immobilizzazioni debba essere contenuto entro il limite del
patrimonio di vigilanza. Lo schema dell'associazione in assicurazione potrebbe essere riferito
anche ai conti di investimento di tipo mudarabah nei quali la banca, in qualità di associante,
attribuisce ai “depositanti”, che assumono la veste di associati, la possibilità di partecipare agli
utili dell'attività bancaria a fronte del “deposito”, ossia un apporto economicamente valutabile”.
Pag. 135.
77 C. Porzio, G. Squeo, “IAS 32 e riforma societaria: come classificare gli strumenti societari”, in R.
Mazzeo, E. Palombini, S. Zorzoli (a cura di), IAS-IFRS e imprese bancarie, Edibank, Milano,
2005.
78 Claudio Porzio, L'attività bancaria... in Banca e finanza islamica..., a cura di Claudio Porzio,
Roma, 2009, pag. 135. Porzio spiega anche che “le norme poste a tutela degli investitori,
indipendentemente dalle caratteristiche tecniche dei contratti di raccolta, impongono anche a una
banca islamica l'adesione al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi la quale è condizione
essenziale per l'ottenimento dell'autorizzazione: ciò non costituisce un onere significativo poiché i
contributi sono rapportati alla massa protetta che potrebbe essere ridotta (se non assente) rispetto
alla complessiva operatività aziendale; alcuni problemi potrebbero invece derivare dalla
circostanza che i fondi di tutela e garanzia non sono unanimemente considerati dagli scolari
conformi alla legge coranica”.
Le opportunità per gli sportelli islamici di banche italiane possono essere
almeno due: soddisfare i futuri bisogni di sofisticazione finanziaria delle comunità
islamiche presenti in Italia e le esperienze maturate nel social banking e nel
welcome banking. Attualmente i bisogni finanziari della collettività islamica
stabilita in Italia risulta legata principalmente alle rimesse e, più in generale, agli
strumenti di pagamento; questo perché la maggior parte delle comunità islamiche
sono ancora alla loro prima generazione. Considerati i saggi di risparmio e
d'investimento e i livelli d'intraprendenza del popolo musulmano, non sembra
difficile ipotizzare che in un futuro assai prossimo si potrà assistere a un graduale
affinamento delle loro esigenze finanziarie. Come sta già succedendo in alcune
regioni del nord-Italia, le seconde generazioni tendono, infatti, ad avviare attività
imprenditoriali e richiedere servizi su misura.79
Per quanto riguarda il secondo punto, vanno sottolineate quelle significative
esperienze di social banking che molte banche italiane hanno maturato nel campo
dell'offerta dei servizi destinati ai soggetti al margine del sistema finanziario.
Queste persone non sono solo immigrati, ma anche lavoratori precari, casalinghe,
studenti, etc. ovvero tutti quei soggetti che nel gergo bancario sono definiti “non
bancabili” in quanto non prestano garanzie sufficienti per ottenere credito dalle
banche.80 Le offerte proposte per questo genere di clientela si concentrano sul
servizio bancario di base (un pacchetto standardizzato di servizi collegati al conto
corrente) molto spesso accompagnato da iniziative di educazione finanziaria volte
a far conoscere le potenzialità del servizio. I servizi di welcome banking, invece,
79 Maria Grazia Starita, I profili di applicabilità dei contratti islamici: una possibile chiave di lettura
in Banca e finanza islamica. Contratti, peculiarità gestionali, prospettive di crescita in Italia, a
cura di Claudio Porzio, Roma, 2009, pag. 201. Si veda a tal proposito l'indagine sul biellese di E.
M. Napolitano (a cura di), Il Welcome Banking, Quaderni di Welcome Marketing, 2006,
www.etnica.biz.
80 A. Omarini (a cura di),Il migrant banking, Bancaria Editrice, Roma, 2006. e P. Bongini,
Formazione indifferenziata o formazione mirata? Dalla Financial Education alla Financial
Literacy nelle esperienze internazionali, intervento al convegno ADEIMF, Bergamo, 2009.
sono chiaramente destinati a soddisfare i bisogni dei soggetti immigrati, oltre che
di iniziative volte a favorire l'integrazione finanziaria delle comunità di
immigranti.81
Infine, per quanto riguarda gli esempi che possono giungere da modelli di
banche islamiche europee e di sportelli islamici di banche europee, è fuori dubbio
che l'esempio da seguire e che più di tutti gli altri ha avuto successo in Europa sia
quello inglese. L'Islamic Bank of Britain ha ben otto filiali e registra ottimi
risultati in termini di clienti e sopratutto di interesse da parte della comunità
finanziaria: in effetti rappresenta un benchmark per le altre esperienze di islamic
banking.82
3.3 Il cammino della finanza etica
Come dovrebbe essere ormai chiaro, in un certo senso nell'Islam è stato
anticipato il dibattito sul concetto di eticità della finanza. Tutto ha avuto inizio
dalla volontà di controllare le destinazioni degli investimenti finanziari al fine di
indirizzarli verso tipologie moralmente accettabili e conformi con i precetti della
Sharia. La ricerca del profitto non può, nell'Islam, far venir meno la base di
81 Maria Grazia Starita, Le prospettive della... in Banca e finanza islamica... a cura di Claudio
Porzio, Roma, 2009, pag. 201-202.
82 ivi, pag. 202. Secondo Starita, in Italia, “può essere interessante analizzare l'attività di Banca
UBAE (Unione delle Banche Arabe ed Europee), la cui mission consiste nel costituire una testa di
ponte tra Paesi del Nord Africa in cui sono presenti le banche arabe ed Europa, operando
prevalentemente nel trade banking. Banca UBAE, infatti, ha sviluppato competenze, uniche nel
suo genere, relative all'assistenza nei traffici legali al commercio internazionale da e verso i
Paesi del mondo arabo, fornendo coperture del rischio Paese e del rischio controparte. In altri
termini la banca ha sviluppato una competenza significativa nella cosiddetta trade finance, ossia
l'assistenza finanziaria finalizzata all'acquisto di materie prime o alla liquidazione anticipata dei
crediti connessi al commercio estero. Il capitale relazionale di Banca UBAE può essere una buona
base di partenza per la costituzione della prima banca islamica in Italia”. Pag. 201.
solidarietà e cooperazione sulla quale è unicamente possibile la costruzione e il
raggiungimento di un sufficiente livello di sviluppo per ogni uomo e per ogni
popolo. L'Islam contemporaneo, puntando sul suo forte e costante rapporto con la
tradizione e tramite nuovi filoni di pensiero, ha ritrovato nelle sue stesse origini
alcuni strumenti - che nella sua storia più recente erano stati messi in disparte
perché ritenuti anacronistici - destinati a formare una società più equa secondo il
volere di Dio.
La dottrina sociale della Chiesa, viceversa, è spesso apparsa poco incisiva in
merito ai problemi del credito e della finanza, mentre ha, a più riprese,
ampiamente discusso dei fattori produttivi (in particolare capitale e lavoro)
riconoscendo i ruoli dell'imprenditore e dell'impresa come indispensabili
strumenti per l'organizzazione dei fattori stessi, arrivando in epoca più recente ad
affermare la giusta funzione del profitto come indicatore del buon andamento
dell'azienda.83
In uno degli isolati riferimenti espliciti, nell'enciclica Quadrasesimo anno
scritta da Pio XI dopo la Grande crisi delle Borse del '29, emerge una visione
molto negativa del credito e una vistosa sopravvalutazione del potere di cui
dispone chi lo esercita:
“Le ultime conseguenze dello spirito nella vita economica sono poi quelle
che voi stessi, venerabili fratelli e diletti figli, vedete e deplorate; la libera
concorrenza cioè si è da se stessa distrutta; alla libertà del mercato è sottentrata
la egemonia economica; alla bramosità del lucro è seguita la sfrenata cupidigia
del predominio; e tutta l'economia è così diventata orribilmente dura,
83 Francesco Cesarini, Finanza in Dizionario di dottrina della Chiesa. Scienze sociali e Magistero,
AA.VV, Vita e Pensiero Edizioni, pp. 309-313.
inesorabile, crudele. A ciò si aggiungono i danni gravissimi che sgorgano dalla
deplorevole confusione delle ingerenze e servizi propri dell'autorità pubblica con
quelli della economia stessa: quale, per citarne uno solo tra i più importanti,
l'abbassarsi della dignità dello Stato, che si fa servo e docile strumento delle
passioni e ambizioni umane, mentre dovrebbe assidersi quale sovrano e arbitro
delle cose, libero da ogni passione di partito e intento al solo bene comune e alla
giustizia. Nell'ordine poi delle relazioni internazionali, da una stessa fonte sgorgò
una doppia corrente: da una parte, il nazionalismo o anche l'imperialismo
economico; dall'altra non meno funesto ed esecrabile, l'internazionalismo
bancario o imperialismo bancario internazionale, per cui la patria è dove si sta
bene. […] Questo potere diviene più che mai dispotico in quelli che, tenendo in
pugno il denaro, la fanno da padroni: onde sono in qualche modo i distributori
del sangue stesso, di cui vive l'organismo economico, e hanno in mano, per così
dire, l'anima dell'economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe
nemmeno respirare”.
Nel 1967 Papa Paolo VI, nell'enciclica Populorum progressio, sviluppa il
tema dello squilibrio distributivo di risorse e ricchezze affermando che:
“gli sforzi, anche considerevoli, che vengono dispiegati per aiutare sul
piano finanziario e tecnico i paesi in via di sviluppo sarebbero illusori, se il loro
risultato sarebbe parzialmente annullato dal giuoco delle relazioni commerciali
tra paesi ricchi e paesi poveri. La fiducia di questi ultimi sarebbe profondamente
scossa se avessero l'impressione che si togli loro con una mano quel che si porge
con l'altra”.
Lo stesso tema verrà sviluppato successivamente da Giovanni Paolo II
nell'enciclica Sollicitudo rei populis rei socialis dove porrà la povertà e le
migrazioni come le emergenze del nuovo millennio, aggiungendo che:
“è necessario denunciare l'esistenza di meccanismi economici, finanziari e
sociali i quali, benché manovrati dalla volontà degli uomini, funzionano spesso in
maniera quasi automatica, rendendo più rigide le situazioni di ricchezza degli uni
e di povertà degli altri”.
Lo stesso Wojtyla nell'enciclica Centesimus Annus del 1991 definirà la
globalizzazione come:
“né buona né cattiva […] ma come ogni altro sistema, deve essere al
servizio della persona umana, della solidarietà e del bene comune”.
Oggi il modello capitalistico occidentale sembra entrato in una crisi seria,
ormai incapace di creare un benessere diffuso è diventato sempre più difficile da
difendere come un sistema di valori universale. Abbandonato il liberismo
estremo, servirebbe oggi sostenere un adeguato dialogo volto a trovare un accordo
su un sistema di regole e di strutture che aiutino a tenere sotto controllo i guasti
del capitalismo. Questo tema ritorna anche nelle parole di Giovanni Paolo II
nell'enciclica Centesimus annus:
“se con “capitalismo” si indica un sistema economico che riconosce il
ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del mercato, della proprietà privata e
della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività
umana nel settore dell'economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse
sarebbe più appropriato parlare di “economia d'impresa”, o di “economia di
mercato”, o semplicemente di “economia libera”. Ma se con “capitalismo” si
intende un sistema in cui la libertà nel settore dell'economia non è inquadrata in
un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale
e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è
etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa”.
In un altro passo Giovanni Paolo II afferma che:
“la Chiesa non ha modelli da proporre. I modelli reali e veramente efficaci
possono solo nascere nel quadro delle diverse situazioni storiche, grazie allo
sforzo di tutti i responsabili che affrontino i problemi concreti in tutti i loro aspetti
sociali, economici, politici e culturali che si intrecciano tra loro. A tale impegno
la Chiesa offre, come indispensabile orientamento ideale, la propria dottrina
sociale , che – come si è detto – riconosce la positività del mercato e dell'impresa,
ma indica, nello stesso tempo, la necessità che questi siano orientati verso il bene
comune. Essa riconosce anche la legittimità degli sforzi dei lavoratori per
conseguire il pieno rispetto della loro dignità e spazi maggiori di partecipazione
nella vita dell'azienda, di modo che, pur lavorando insieme con altri e sotto la
direzione di altri, possano, in un certo senso, “lavorare in proprio” esercitando
la loro intelligenza e libertà”.
Gli ultimi scandali finanziari che hanno colpito in parte anche il nostro
Paese, hanno risollevato il dibattito sulla questione dell'etica negli affari. Nel
sistema di mercato il profitto non dovrebbe più costituire lo scopo immediato
dell'imprenditore ma ritornare a essere il logico risultato del buon fine del
progetto imprenditoriale. A questo proposito Giovanni Paolo II affermava che:
“ad esso va aggiunta la considerazione di altri fattori umani e morali che,
nel lungo periodo, sono almeno egualmente essenziali per la vita dell'impresa”.
Il mercato dovrebbe rappresentare un sistema di cooperazione volontaria in
cui il successo dell'imprenditore coincida con la libertà di scelta e il benessere dei
consumatori. Se l'imprenditore fa un uso corretto del proprio capitale di rischio,
reinvestendolo per migliorare i mezzi di produzione e i prodotti offerti,
guadagnando un profitto, risponde all'etica del capitalismo.
Molti sentono oggi, nel contesto della Dottrina Sociale della Chiesa, il
bisogno di un nuovo trattato di De Justina et Jure che rielabori un'etica della
finanza all'altezza di quelli che il Molina, o il de Lugo, sempre attenti osservatori
delle istituzioni finanziarie europee della loro epoca e delle operazioni che in esse
venivano compiute, scrissero alla fine del '500.84
84 Riassunto ed elaborato da: Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino 2006, pp 127 e seguenti. Gian
Maria Piccinelli, Banche islamiche in...Roma, 1996, pag. 8 seguenti. Giacomo Costa, Usura in
Dizionario..., pp. 638-641. , Finanza in Dizionario di dottrina della Chiesa. Scienze sociali e
Magistero, pp.309-313.
Conclusioni
Nel 1935, in seguito alla grande crisi dei mercati, l'economista e statistico
statunitense Irving Fisher teorizzò che la creazione di moneta dovesse spettare
solamente allo Stato e che la sua offerta dovesse essere controllata in base alle
variazioni di un indice del livello dei prezzi confrontabile in qualsiasi momento.
In base a questo modello le banche avrebbero dovuto offrire due forme di conto
bancario: conti correnti non basati sull'interesse e conti d'investimento. Riguardo
ai primi, la banca doveva mantenerne a riserva il 100%, con la sola possibilità di
addebitare una commissione per la conservazione del conto, e poteva concedere a
prestito solo i fondi disponibili attraverso i suoi conti d'investimento. I depositanti
avevano diritto a un rendimento e non potevano ritirare il loro denaro durante il
periodo dell'investimento; la banca aveva diritto a una commissione per la sua
attività di intermediario finanziario. Tale sistema sarebbe stato perfettamente
aderente a quello islamico.85
Lo stesso Fisher descriverà un altro aspetto critico con il quale la finanza
tradizionale deve tutt'ora fare i conti e quella islamica no, ovvero con il
comportamento pro-ciclico dell'economia. È noto, infatti, che le banche
tradizionali tendano a erogare più credito alle imprese nei momenti favorevoli del
ciclo economico, mentre nei momenti di debolezza del ciclo, quando le imprese
85 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino 2006, pag. 123.
avrebbero maggiore bisogno di credito, le banche tendono a stringere i lacci della
borsa. In un sistema basato sulla condivisione dei profitti e delle perdite le banche
islamiche propendono, invece, ad avere un approccio più di lungo periodo che
finisce per ridurre i cicli economici, invece di ampliarli.86
Secondo gli economisti islamici i circoli viziosi dell'economia caratterizzata
dalla volatilità del mercato sono causati dalla libertà illimitata concessa alle
banche di creare moneta e di aumentarne l'offerta concedendo credito provocando
così l'effetto cosiddetto di “espansione multipla del deposito”. Un processo
destinato a diventare sempre più ingovernabile se consideriamo che nell'intero
mondo finanziario gli strumenti derivati, che coprono ormai il 95% delle
transazioni, non hanno nessun legame con la produttività reale dell'economia. I
finanziamenti delle istituzioni islamiche si basano, invece, sulla presenza di un
bene sottostante, garantendo sempre una correlazione tra l'economia finanziaria e
quella reale.87
Il mercato del credito, inoltre, permette l'insorgere di fenomeni speculativi:
molte bolle finanziarie vengono gonfiate dalla possibilità offerta agli operatori di
operare a leva, ovvero indebitandosi. Qualsiasi bolla è destinata a scoppiare
provocando un crollo dei prezzi dei beni e i suoi effetti sui cicli economici
risultano spesso devastanti. Molte delle crisi prima finanziarie e quindi
economiche osservate nel corso degli ultimi decenni trovano le loro origini nei
crolli di borsa dei mercati immobiliari e delle materie prime.88
86 Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna 2009, pag. 68.
87 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino 2006, pag 122.
88 Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna 2009, pag. 68. Gli stessi autori
aggiungono che “anche la politica economica seguita dalle autorità monetarie dei paesi
secolarizzati può giocare un ruolo molto rilevante nell'ampliare i cicli. Infatti, spesso le banche
centrali fissano i tassi di interesse a un livello inferiore al tasso di rendimento di capitale che,
peraltro, non è noto. Questo stimola gli investimenti e quindi l'economia oltre a quanto
desiderato, provocando inflazione e di conseguenza una violenta reazione delle autorità
monetarie. Tutto ciò amplifica i cicli economici come ci hanno insegnato quasi un secolo fa Knut
Wicksell e Friedrich von Hayek. Questo evidentemente non può succedere in un'economia basata
sul principio della condivisione dei profitti e delle perdite in cui il rendimento del capitale
Per quanto riguarda la gestione dell’azienda di credito, il sistema della
Profit and Loss Sharing, potenzialmente, induce la banca a una più attenta
selezione dei progetti da finanziare e a un costante monitoraggio della conduzione
operativa. Gli strumenti che utilizzano il modello FLS possono essere applicati
tanto alla produzione, quanto al commercio. Elementi partecipativi possono
riscontrarsi anche nelle operazione bancarie passive quali depositi a termine o
d’investimento. La banca, cioè, deve entrare nel merito dell’idea imprenditoriale e
seguirne lo sviluppo. 89
Tutto questo ci fa capire come, dal punto di vista macroeconomico, gli economisti
islamici ritengano che la stabilità debba essere la principale virtù di un'economia
che rispetti i dettami morali del profeta. Un sistema economico senza debiti
appare, infatti, più stabile di uno in cui imprese e privati abbiano un illimitato
accesso al mercato del credito. Tendenzialmente una società di capitale a
responsabilità limitata tende a indebitarsi eccessivamente e a rischiare di più
giacché sopporta solo parzialmente i costi del fallimento. Infatti, se l'azienda
genera dei profitti, questi al netto degli oneri finanziari, sono distribuiti
interamente agli azionisti, mentre se l'impresa fallisce i creditori spesso perdono
tutto il credito fornito.90
Quando si parla di islamizzazione non stiamo parlando, dunque, di un
sistema in assenza di liberalizzazione, ma di un diverso tipo di liberalizzazione,
uno in cui tutte le decisioni economiche, siano esse private o pubbliche, devono
passare per il filtro dei valori morali prima di essere soggette alla disciplina del
mercato. Naturalmente, l'attività bancaria esercitata seguendo i principi islamici
comporta rischi maggiori, ma è proprio la condivisione dei rischi che giustifica
finanziario coincide sempre con il rendimento del capitale reale”.
89 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino 2006, pag 123.
90 Rony Hamaui Marco Mauri, Economia e finanza..., Bologna 2009, pag. 68.
all'interno del sistema islamico la partecipazione ai profitti e quindi la riscossione
di un utile sul capitale impiegato.91
91 Enrico Giustiniani, Elementi..., Torino 2006, pag 132.
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A. Omarini (a cura di),Il migrant banking, Bancaria Editrice, Roma, 2006
Gian Maria Piccinelli, Banche islamiche in contesto in islamico, materiali e
strumenti giuridici, Roma, Istituto per l'Oriente, 1996
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina
sociale della Chiesa, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2004
Claudio Porzio (a cura di), Banca e finanza islamica. Contratti, peculiarità
gestionali, prospettive di crescita in Italia, Roma, Bancaria Editrice, 2009
Roberto Ruozi, “La finanza islamica: mito o realtà?” (Islamic finance: myth or
reality), Bancaria n° 09/2009, pp.88-90
Emilio Vadalà, Capire l'economia islamica, Brolo (Messina), Yorick Editore,
2004
Indice
Introduzione
pag. 2
Capitolo primo: Gli sviluppi storici della lotta all'usura
1.1
1.2
1.3
La lotta all'usura nell'antichità
La condanna nel Ebraismo e nel Cristianesimo
Il divieto Coranico
pag. 5
pag. 7
pag. 12
Capitolo secondo: L'economia islamica
2.1
2.2
2.3
I capisaldi dell'economia islamica
La banca islamica e i suoi strumenti
La finanza islamica
pag. 16
pag. 23
pag. 35
Capitolo terzo: La finanza islamica in contesto non islamico
3.1
3.2
L'attività bancaria islamica nella prassi finanziaria occidentale
Prospettive di sviluppo in Italia
3.3 Il cammino della finanza etica
pag. 38
pag. 44
pag. 50
Conclusioni
pag. 56
Bibliografia
pag 60