Intro
Redazione
Matteo Casari
Daniele Guasco
Simone Madrau
Giulio Olivieri
Cesare Pezzoni
Anna Positano
Collaboratori
El Pelandro
Giacomo Bagni
Davide Chicco
Diego Curcio
Marco Giorcelli
Matteo Marsano
Carlotta Queirazza
Emiliano Russo
Paolo Sala
Grafica e Impaginazione
Matteo Casari
Contatti
http://compost.disorderdrama.org
[email protected]
Compost
c/o Matteo Casari
C.P.1009
16121
Genova
Pubblicazione NON periodica, amatoriale,
destinata alla distribuzione gratuita, fotocopiata in proprio e senza alcuna pretesa di completezza. Questa pubblicazione è una produzione
Disorder Drama.
Un sincero ringraziamento al collettivo del
Laboratorio Sociale Occupato Autogestito
Buridda, senza cui non saremmo riusciti ad arrivare qui.
Se interessati a collaborare, con parole o disegni, contattateci
Arrivederci a CMPST #9 - [01.2009]
2 CMPST #8[12.2008]
Come i ntrod u rre u n nu mero d i
Com po s t che per u n motivo o per
l’a ltro a s pet ta d i ven i re pubb l ica to da s ei mes i? Volendo d i fat ti
e a v ven i menti cu ltu ra l mente i m por ta nti, pos itivi o negativi, a Ge nova ce ne sono s tati vera mente
mo lti, ma tut to q ues to va i n s e condo p ia no nel l’era del la cri s i,
perché a f u ria d i s enti rmelo ri pe tere a nche q ua ndo va do a com p ra re l e s i ga ret te o a fa re le pa ro l e crociate nel s i lenzio del m io
ga b i net to, orma i a nch’io sono
s tato tra sci nato i n q ues to i ncubo
i n cu i non potremo pi ù s ta re tutto i l g iorno a pa rla re a l cel l u la re,
non potremo pi ù u sa re l’a utomo b i l e a nche per fa re trecento me tri, sa remo cos tret ti a orga n iz za re
l e s et ti ma ne b ia nche prendendo
u n a l bergo con solo d ue s tel le,
mentre q uel l i che s i s pa r tiva no le
tor te sono pa s sati a raccog l iere
a nche l e b riciole (ved i a l la voce
sa ccheg g io
del l’u n iver s ità) .
La domanda allora è : perchè
Compost nell’era della cri s i?
Compost cerca di racconta re es perienze culturali legate a
Genova in qualche modo, in un
set tore che è sempre in cri s i per
un motivo o per l’altro, ma che
nonostante questo trova il modo
di andare avanti. Q uindi, di argomenti con cui riempire queste
pagine ne abbiamo ancora in
abbondanza, storie di persone
che, cri s i o meno, riescono a pro porre la propria mu s ica, i propri
libri, la propria es pres s ione ar ti stica, s pes so con non pochi pro blemi. Compost continua, ma gari facendos i at tendere un po’
troppo ma continua, cos ì come
continuano ad es serci proposte
ed iniziative da conoscere e rac contare.
di Daniele Gua sco
News
Le foto della copertina sono di Giulia
Repetto - http://www.flickr.com/people/giugi
Anche questo numero è stato reso possibile dai contributi avanzati dal Benefit del
24/01/08 al Laboratorio Buridda con PortRoyal, Contesti Scomodi feat. Bobby Soul,
Fabio Zuffanti e Hipurforderai, oltrechè dalle offerte raccolte.
Disponibile anche un Pay Pal sul sito!
Supporta COMPOST!
News da http://cmpstr.tumblr.com/
- Mike Watt dei Minutemen si è innamorato
della musica genovese e nel suo podcast
The Watt From Pedro Show ha passato in
serie Cartavetro, Japanese Gum, Rice On
The Record (alle prese con una cover di
Rocktone Rebel) e Varusclis
Via San Vincenzo 20r 010 542422
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Piazza Truogoli di S. Brigida 29r
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Visita il sito internet aggiornato giornalmente
con recensioni, commenti, forum e iniziative!
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- Mutande, strilla e pestonate gratuite nell’album d’esordio degli Eat The Rabbit, finalmente uscito per la Que Suerte! Records in coproduzione con Marsiglia.
- Esordio, per ora solo live, anche per le She
Said What?!. La metà ritmica delle disciolte Starfish vi stupirà per ignoranza.
- Da qualche settimana Pernazza impazza
anche nei WAM (a.k.a. Wax Anatomical
Models).
- 2Novembre in tour in tutta Italia per promuovere il nuovo disco.
- In attesa del loro album (in uscita tra un
anno!) gli eSMEN regalano dal loro sito il
loro primo singolo e vincono il PIVI come
miglior video con Sog For Ced.
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3 CMPST #8[12.2008]
Cronache Vere
“Ma non sono diventato una persona, un adulto che avrei disprezzato
vent’anni fa. E oggi non rifiuto né disprezzo quello che ero e ho fatto allora. E questo è già un bel risultato.”
Crapping Dogs / Contrattacco / Sybil (...)
Intervista con Franco Zaio
di Diego Curcio
DOPOLAVORO PUNK
Franco Zaio, classe 1964 e professione libraio, è quel che si può definire senza timor di retorica un eroe dell’underground genovese. Una di
quelle persone che hanno lasciato un segno indelebile nella scena
musicale di casa nostra e che dopo quasi 30 anni di onorato servizio continuano ancora a suonare e a produrre materiale innovativo.
Basti per tutti il recentissimo “Last Blues” uscito a settembre per Devega, un cd in cui il nostro ha cantato e messo in musica alcune delle
più belle poesie di Cesare Pavese. Prima di questo progetto (davvero notevole), però, Franco è stato soprattutto uno dei massimi esponenti del punk e dell’hardcore genovese, anche se lui, nella nostra
città, c’è arrivato quando era già un adolescente. I Crapping Dogs
prima e Contrattacco poi (autori anche di una splendida fanzine
omonima uscita nel 1984) sono stati due veri e propri punti di riferimento per i punx di Genova (una ristampa del loro materiale sarebbe
doverosa). Anche se, da come potremmo vedere da questa chiacchierata, la vicenda artistica di Franco è molto più varia e complessa.
Se mi passi un po’ di cronistoria o di antefatto vorrei partire da come ti ho conosciuto.
Avevo letto una tua mini intervista da “reduce” dei furious years su Rocksound Speciale Punk e quando via mail ho chiesto a
Stefano Gilardino (redattore della rivista)
quale gruppo hardcore degli anni Ottanta
genovese mi potesse consigliare, senza indugi mi ha parlato dei Crapping Dogs. “Il
loro batterista lavora da Feltrinelli - mi ha
detto - si chiama Franco Zaio” e da lì, per
quel che mi riguarda, è partito tutto quanto.
4 CMPST #8[12.2008]
Conoscendoti ho scoperto che oltre a quella
band e al punk c’era molto di più. Ma per
ora vorrei iniziare da qui. Come sei entrato in
contatto con questo tipo di musica e quando è nato tutto?
Alle medie ho comprato i 45 giri dei Clash,
Jam e Sex Pistols, e il primo Lp dei Ramones.
Da quel momento la mia vita e anche la mia
attitudine è cambiata. Mi chiudevo in garage con “It’s alive” nel walkman a suonare la
batteria, ho cominciato così. Poi a 18 anni
ho conosciuto Marco Menduni che cercava
Franco
un batterista per i Crapping Dogs et cetera.
Come dicevo prima le tue esperienze
musicali sono state molte e continuano tuttora. Hanno avuto come base quasi sempre
Genova, anche se tu non sei nato qui e hai
vissuto in giro per l’Italia. Vediamo se me le
ricordo tutte e se mi puoi raccontare a grandi linee la storia di ogni gruppo.
Crapping Dogs?
Batterista con sbattimento di duplicazione
e spedizione cassetta in giro, contatti con le
fanzine dell’epoca. Due brani su “Raptus negazione e superamento”, Lp della Meccano
Records del 1983 e una cassetta riprodotta
Tupelo Twins
a pezzi su vari cd-compilation. Da tempo si
parla di una riedizione su cd di tutto il materiale (tipo le cose che fanno lovehate80.
it e la SOA).
Contrattacco?
Batterista anche lì. Punk-anarchico tipo
Dirt, Crass, Conflict. Lunghi testi in italiano
su argomenti molto impegnati tipo guerra,
femminismo, nucleare, USA, Chiesa, animalismo. Qualche registrazione dispersa, niente
di “ufficiale” tranne una fanzine molto bella
(che tu conosci).
Lost?
I Lost (1986/1990) erano: Riky (ex Zincoblenda), Putro (ex Crapping Dogs), Luca (ex CD e
Beat Machine), il Barba e io. Sono nati dalle ceneri dei Crapping Dogs, all’incirca nel
1986, quando avevamo preso un andazzo
dark-wave, con la scomparsa dalle scene di
Paolo Mileo. Io sono passato dalla batteria
alla voce, sostituito da Luca (batterista grandioso). I Lost hanno fatto decine di concerti,
alcuni gloriosi topo quelli coi Died Pretty, coi
That Petrol Emotion, coi Boohoos, coi Sick
Rose, e soprattutto Arezzo Wave 1987, coi
CCCP! Avevamo anche inciso un disco coi
controcazzi su 24 piste, ma è restato, classico
genovese, nei cassetti. Per un breve periodo
abbiamo avuto un manager cialtrone, addirittura. Insomma, tutto poi si è risolto in tanti
concerti (e sbronze) al Quaalude e al Coccodrillo (a cui sfondai anche il palco con un
salto!), e tanto tanto divertimento rock’n’roll.
Non abbiamo “fatto carriera” un po’ perché
non ce ne fregava niente (ognuno col suo
lavoro), un po’ perché la nostra proposta
musicale era troppo eterogenea per essere
“incanalata” commercialmente: alla fine
dei concerti facevamo cover di Ramones,
Husker Du (Sorry somehow), Stooges, Kinks,
Bo Diddley, Garland Jeffreys, Springsteen,
Patti Smith, Julian Cope... Facevamo quello
che ci piaceva fregandocene delle mode e
pure coi testi in inglese! Piacevamo a tutti e
a nessuno. Puro rock a 360 gradi, senza compromessi. I pochi soldi dei concerti finivano
in birra e cibo. La saletta era nei vicoli pieni
di merda, vomito e siringhe usate dietro a via
Cairoli. C’è stato un momento in cui avevamo la sensazione (ad Arezzo) che stavamo
per diventare famosi. Ma ci siamo persi. Lost,
appunto. Peccato.
Tupelo Twins?
I TT erano un grande gruppo di cover che
riuscivano a rendere rock’n’roll qualsiasi canzone. Nati inizialmente come tributo al Re
del R’n’R, Elvis, nato a Tupelo (il suo gemello
morì), i TT iniziarono a spaziare fra pezzi di Bo
Diddley, Chuck Berry, Beatles, Stones, Animals, Doors, Hendrix, Dylan, Clash, U2, Soft
Cell (Tainted love, ovvio)...il tutto nel nome
del rock’n’roll, ossia energia, divertimento,
casino, ma con stile. Pi al basso fretless, An
alla Fender “Keith Richards”, Ez alla Gibson
“free jazz”, At all’armonica a bocca (nonché imbonitore e idolo delle folle, ogni volta)
e io alla voce e batteria in piedi alla Stray
Cats. Per un po’ ci furono anche The Barba (chitarra) e l’Orco Infricciatore (basso).
Quaalude, Mister Do, Coccodrillo, Alassio,
Loano...Ogni concerto si trasformava in una
festa, a volte delirante: eravamo una vera
party-band (feste di laurea degne di Animal
house, travolgenti Louie Louie mixate a Vi-
Cronache Vere
“Facevamo quello che ci piaceva fregandocene delle mode e
pure coi testi in inglese! Piacevamo a tutti e a nessuno. Puro rock
a 360 gradi, senza compromessi.“
cious e Wild thing). Solo due pezzi originali:
“One gin, three beers and my highway” e
“Sunday morning blues”, con cui vincemmo
un concorso su Videomusic. Cosa rimane?
Tanti bei ricordi, e il Rock’n’roll che, come
direbbe il mio amico Wilson, scorre ancora
silenziosamente nel sangue e ci fa sentire vivi
e migliori, alla faccia del colesterolo e dei fighetti che ci circondano.
Pino e gli Abeti?
Prima di avere dei figli (avanti Cristo, direi) passavo i capodanni coi vecchi amici in luoghi sperduti e freddi, tipo il Beigua.
Ricordo che un anno andammo a dormire
col cappotto: non c’era il riscaldamento!
In questi veglioni tragicomici, veri massacri
enogastronomici, si materializzava la leggendaria one night band Pino e gli Abeti: 6
o 7 ubriachi col fez in testa e occhialinasobaffi finti che stupravano classici del rock da
party con testi pecorecci
Ramoni?
Qui entriamo nella leggenda. Nati quasi
per scherzo a metà anni Novanta in cucina,
mentre mia cognata faceva da mangiare
canticchiando le canzoni dei Ramones in
zeneize e italiano, sono diventati un culto
anche fuori Genova, grazie al 7 pollici split
coi Beat-Offs. Abbiamo fatto da spalla ai
Mummies e nientemeno che a Dee Dee Ramone. Al secondo figlio ho ceduto le bacchette e il microfono, mia cognata è andata a vivere fissa a Londra, e i fratelli Carraro e
l’ottimo Francu Ramone hanno proseguito la
“tradizione”. Io suonavo la batteria e cantavo con tanto di parrucca alla Ramones (anche Marky ha la parrucca, sai?).
5 CMPST #8[12.2008]
Cronache Vere
“Io, comunque, penso di essere punk ancora adesso, almeno
“dentro”! Il punk e i punx hanno cambiato la mia vita, travolgendola, forse rovinandola (non ho studiato né
fatto carriera alcuna), ma mi hanno
lasciato dentro un serbatoio di energia e cultura a cui attingo spesso.”
Sybil?
I Sybil sono nati da un’idea di Mauro
Ghirlanda e Sandro Carraro, che all’epoca (1996) suonavano in gruppi hardcore e
punk-rock genovesi e volevano mettere insieme una band “tranquilla” alla Smog. Io
ero il batteria e scrivevo qualche pezzo. E a
completare il quartetto c’era Laura Ligabue,
la nostra cantante. Il mix di tutti noi era magico e anche punk, nel suo essere così non
pretenzioso, immediato, volutamente sgangherato. Con accenni emo-core e indie. Il
nome era preso a prestito da quello di una
Vj di Mtv, Sybil Buck. Abbiamo registrato un
mini-cd (“In a small town”) per Candy Apple
e Green Records, ma ci siamo sciolti quasi
subito
Anticorpi?
Sono stati il proseguimento del discorso
Lost negli anni 90 con tre musicisti diversi
(Luca Nocentini basso, Andrea Frascolla e
Luca Pagnotta chitarra, Gino Paciello batteria), solo che suonavo anche la chitarra
elettrica, con testi in italiano e cover più classiche (Stones, Doors, Velvet, Steppenwolf).
Numerosi concerti, un 7” allegato alla rivista
Urlo, brani su alcuni cd-compilation, due
demo ben recensiti. Poi lavoro e famiglie
hanno preso il sopravvento.
E così arriviamo ai dischi come Franco
Zaio solista fino al bellissimo cd su Pavese
6 CMPST #8[12.2008]
che merita un bel approfondimento visto
che è fresco di stampa e sarà, come spero,
uno dei regali di Natale più gettonati.
Dopo gli Anticorpi ho continuato a scrivere e a registrarmi da solo le mie canzoni, uno
strumento alla volta. Non riuscivo più a suonarle con un gruppo (saletta, concerti), non
ne avevo più né il tempo né la voglia. E poi
così facendo suonavano proprio come volevo, non dovevo discutere con nessuno. Il primo esperimento solista è una cassetta senza
titolo del 1996 (mai uscita su cd), “Le canzoni
nel cassetto” del 2001 è andato anche nei
negozi, benché autoprodotto in toto. Stessa
sorte doveva capitare a “Last blues”, ma è
giunto alle orecchie della Devega che me
lo ha pubblicato, e sta avendo un riscontro
impressionante.
Ok finita la parte “agiografica” che ne dici
se ci buttiamo sul sentimentale. Nel senso
che vorrei chiederti cosa ti ricordi degli anni
Ottanta e com’era essere un punk a Genova
in quel periodo?
Non era molto divertente essere punk nei
primi anni 80, eri una specie di nemico pubblico, ti davano addosso tutti. Per i fasci eri
un freak da sopprimere, per i compagni un
nichilista vestito da fascista, per i regolari un
insetto schifoso, per i genitori un esaurito/drogato/disperato, per la polizia una specie di
terrorista: essere fermati per “controlli” dalla
polizia era una prassi quotidiana, un’abitudine pesante. Aggiungi le varie divisioni e
incomprensioni fra skin, anarchici, 77, HC…
Io comunque penso di essere punk ancora
adesso, almeno “dentro”! Il punk e i punx
hanno cambiato la mia vita, travolgendola,
forse rovinandola (non ho studiato né fatto
carriera alcuna), ma mi hanno lasciato dentro un serbatoio di energia e cultura a cui
attingo spesso. Una coscienza critica (sarcastica), una visione della vita più libera ed
aperta, un’estetica, un senso dell’umorismo
e dell’essere in qualche modo sempre “di-
verso” e dalla parte sbagliata. Rimpiango
quell’energia quella sensazione un po’ fatua
di essere un ribelle-rivoluzionario-antagonista, stemperata negli anni dal cinismo. Ma
non sono diventato una persona, un adulto che avrei disprezzato vent’anni fa. E oggi
non rifiuto né disprezzo quello che ero e ho
fatto allora. E questo è già un bel risultato.
Hai visto nascere alcuni centri sociali cittadini ed evolversi la scena musicale underground genovese. Segui ancora le band
locali, come è cambiata la città sotto questo
punto di vista?
Da almeno 10 anni (da quando sono
papà) esco e bazzico locali e CSA molto
poco. Quello che ho notato è che i locali
hanno causato la nascita di troppe coverband, spesso tecnicamente bravissime, ma
senza creatività propria. “Ai miei tempi” il
livello tecnico strumentale era inferiore ma
c’era tanta voglia di fare le proprie cose, di
essere originali, e c’era anche più curiosità
live del pubblico. Ora la curiosità viaggia su
myspace, più che altro (ma ben venga, per
carità, è bellissimo: solo che non è musica
dal vivo). Anche se forse il mio è un ragionamento da vecchio rincoglionito nostalgico,
chiedo venia.
Quali sono i tuoi cinque dischi fondamentali e i cinque libri, visto che lavori in una libreria?
Domandona, come si fa?! Ti elenco i libri
e i dischi che hanno “segnato” alcune fasi
della mia vita.
- Husker Du, Zen Arcade
- Ramones, It’s Alive
- Dream Syndicate, Ghost Stories
- The Clash, Sandinista
- Joy Division, Closer
I libri:
- Cesare Pavese, Il Mestiere Di Vivere
- Emily Dickinson, Tutte Le Poesie
- Sartre, La Nausea
Cronache Vere
- Nietzsche, Al Di Là Del Bene E Del Male
- Pessoa, Il Libro Dell’Inquietudine
Questa, invece, la chiedo per me. Scusate l’uso privatistico della fanzina, ma mi puoi
raccontare qualcosa del concerto degli Husker Du dell’87 che io mi sono perso per evidenti ragioni anagrafiche (avevo 5 anni…)?
Torino, Big Club. Viaggio in auto con Warehouse uscito da poco. Prima del concerto
andai a trovare il leggendario Giulio Tedeschi, vecchio amico, nella sede (una specie
di garage!) della Toast records. Gli Husker
mi lasciarono a bocca aperta per violenza
e incisività, uscii sotto shock acustico, dopo
una Reoccurring Dreams apocalittica. Unica nota negativa: Bob e Grant non si guardavano neanche in faccia, erano furiosi, la
tensione sul palco era palpabile. A parte il
bassista che saltava come un grillo. A fine
concerto venne fuori a fare le foto-ricordo coi fans solo lui, gli altri due erano belli
“cotti”, mi sa. Gli Husker univano in uno stile
personale e travolgente i Ramones e Patti
Smith, i Buzzcocks e i Sonic Youth, i Beatles
e i Black Flag, insomma sono stati uno dei
miei massimi.
Oltre alla musica la tua produzione spazia
anche in campo letterario. Come è partita
l’idea del “Fu Mattia Bazar” (il libro sugli strafalcioni di commessi e clienti delle librerie)?
“Campo letterario” è una parola esagerata: mi sono limitato a “passare” a un agente
letterario le “chicche” sentite sul lavoro, che
raccolgo continuamente da anni. Ora sta
per uscire il sequel: “Il buio oltre le seppie”,
sempre edizioni Orme. Epperò ti confesso
che un’ambizione letteraria in effetti la covo,
travolta/sommersa dalla quotidianità. Chissà che prima o poi non esca un libro davvero mio. Un mio racconto lo trovate su
http://www.leggendoscrivendo.it/AUTORI/DWLA/ZAIOIl%20mio%20primo%20giorno
%20di%20scuola.pdf
E la tua attività di blogger (http://zaio.blogspot.com/)?
E’ una mia valvola di sfogo, confessione,
espressione. Non ha alcuna ambizione giornalistica né letteraria, è un po’ diario, un po’
guestbook, un po’ block notes. Lo faccio
soprattutto per me, anche se i commenti mi
divertono, e mi fa piacere vedere nello stat
che mi leggono un centinaio di persone ogni
giorno, mica male. Ho anche un myspace
“musicale”, quasi una necessità, oltre che
una fonte di contatti e aggiornamento, una
figata. Avercelo avuto negli anni 80! Non mi
interessano per niente invece facebook o il
myspace “personale”.
Ultima domanda molto classica: progetti
futuri?
A dichiararli mi metto nei guai pubblicamente perché sono molti e chissà quando
li realizzerò, tra famiglia e lavoro. Già per il
disco di Pavese ho impiegato anni! Vabbè,
per Compost mi sputtano ed elenco random
cosa c’è in pentola (a bagnomaria), ma non
garantisco tempistiche: disco su Antonia
Pozzi (se ho il permesso degli editori) / disco
su Emily Dickinson (possibilmente con Sybil o
Anais) / disco di pezzi miei (parole e musica)
/ romanzo fintoautobiografico / pamphlet
su libri, librai e mondo editoriale / pamphlet
su Genova e i genovesi visti da un genovese “acquisito” / disco su Tim Burton e le sue
filastrocche bislacche (previo permesso ed.)
/ disco su Joy Division tradotti in italiano e
acustici. Questi sono solo i progetti “artistici”,
anzi: dopolavoristici. Perché prima/davanti
a queste quisquilie ci sono i figli, la moglie,
il lavoro, la sussistenza economica. Ne riparliamo fra qualche anno, ok? I miei colleghi
mi chiedono: ma dove lo trovi il tempo?! Io
dico: c’è chi fa le partite di calcetto, chi va
in palestra, chi si riposa. Io scrivo e strimpello,
quando ho del tempo libero, tutto lì.
“Che strana città, Genova. Questa
è la vetrata della mia fermata della
metropolitana (Dinegro). Già, perchè
si da il caso che a Genova la metro sia
allo stesso livello sul porto: quella che
si vede tutta deformata è la sagoma di
un traghetto che mi potrebbe portare
nella mia amata Sardegna. O chissà
dove. Due caratteristiche essenziali
della genovesità: una struttura urbana in verticale anzichè in orizzontale,
e l’avere sempre negli occhi e nella
testa quella idea un po’ visionaria di
un mare, di un altrove, di uno spazio libero. Moltissimi genovesi dicono “Non
potrei vivere in una città senza mare”.
Avere quella visuale fa parte della loro
impostazione mentale. Aggiungete un
forte vento costante, l’attitudine al lamento vittimista e sarcastico (il famoso mugugno) e capirete che in questa
città sono tutti un po’ matti, anche
solo per adattarsi all’ambiente.“
dal blog di Franco
Trovate ancora info e la possibilità di commentare e scrivere a
Franco su
http://zaio.blogspot.com/
7 CMPST #8[12.2008]
Cronache Vere
“Sul finire degli anni 90 c’era un bel
fermento, si respirava un’atmosfera
stimolante e frizzante. Non c’era il demenziale sovraffollamento di oggi.“
Numero6 / Laghisecchi / Nome / Prisoner
Intervista con Michele Bitossi
di Simone Madrau
VERTICALIZZO E BADO
ALSODO
Michele Bitossi non è certo persona che abbia bisogno di presentazioni. E se mai ne avesse, bastano due nomi a far dire ‘aaah ma
sì’: Laghisecchi e Numero6. Compost ripercorre l’ascesa del nostro,
dai concerti al Palace alle pagine di Pitchfork attraverso il turbine
di personaggi e comprimari più o meno celebri legati a filo doppio
alle sue vicende. Piccolissimi pezzi in un mosaico sempre più importante, che nemmeno l’impegno di una famiglia sembra poter limitare.
Ti racconto una storia. Era la seconda metà
degli anni 90, andavo in classe in quarta o quinta liceo a Recco e di cosa succedesse a Genova non sapevo nulla. Ricordo a malapena un
video dei Blindosbarra su VideoMusic. Però
seguivo molto da vicino il rock indipendente,
anche italiano. Era un periodo che ero in questo
giro di sei o sette persone dove c’era un grande
spaccio di cassettine, ciascuno comprava un
cd e lo copiava agli altri. Poi un giorno, tra un
Rosemary Plexiglas e un Lungo I Bordi, qualcuno in qualche discorso fece sbucare il nome
Laghisecchi. Aggiungendo: ‘sono di Genova’.
Inevitabilmente rimasi incuriosito ma non riuscii
mai a mettere le mani sopra a quel materiale.
Cosa mi sono perso?
Beh, ti sei perso due album in cui una band
di sciammannati poco più che ventenni cercava, a mio avviso con qualche successo, una
‘via italiana’ al suono che band come Pavement, Built To spill, Grandaddy, Sebadoh e altri
stavano sviluppando ormai da qualche tem8 CMPST #8[12.2008]
po. Dopo un ep autoprodotto nel 1995, che per
quanto ingenuo e assai limitato da molti punti
di vista ci ha permesso di arrivare al primo contratto discografico, abbiamo realizzato Radical
Kitsch nel 1998 e Très Bien: Piano B nel 2000. Soprattutto il primo ha ricevuto un’accoglienza
lusinghiera da parte dei media e del pubblico,
che si è dimostrato decisamente recettivo e interessato al progetto. Pensa che abbiamo anche venduto un buon numero di dischi! Si parla
di altri tempi. Sul finire degli anni 90 c’era un bel
fermento, si respirava un’atmosfera stimolante
e frizzante. Non c’era il demenziale sovraffollamento di oggi. Era una dimensione ideale per
scrivere, produrre, suonare cose nuove. Hai citato due album di Scisma e Massimo Volume
molto importanti ed estremamente rappresentativi di quel momento magico. Quanto ai
Laghi si tratta di un’avventura che ricordo con
enorme affetto. Ci siamo divertiti alla grande e,
cosa significativa, ricevo ancora adesso numerosi attestati di stima di gente che ci seguiva e
aveva apprezzato il nostro lavoro. Con Andrea
(Tarick1), Giorgio e Pietro si è anche parlato di
una reunion. Chi vivrà vedrà...
Parliamo di questioni molto venali. A quanto ho capito vendevate più dischi allora, dove
appunto per fare le cassettine qualcuno doveva comprare l’originale, a dispetto di ora in cui
comunque l’annosa questione file-sharing, da
un lato una croce per le vendite dei dischi, contribuisce paradossalmente anche alla visibilità
di un gruppo indipendente. Pensare di arrivare
a campare con queste cose in quel momento
aveva più senso rispetto all’oggi?
In parte ti ho già risposto prima. In effetti
parliamo di 10 anni fa ma sembrano molti più
a causa della velocità con cui la tecnologia
ha bruciato le tappe. Allora c’era sicuramente
maggiore meritocrazia e selezione: se volevi farti
produrre un disco in qualche modo dovevi meritartelo, convincendo pienamente l’etichetta
(indie o major) di turno. Non essendo per niente
sviluppato il concetto di home-recording i costi di produzione erano decisamente più alti
rispetto ad oggi e, fatalmente, c’era molta più
Michele - foto di Anna Positano
ponderatezza, ragionamento, attenzione di
adesso. Non parliamo poi del file-sharing, che
come sanno anche le pietre ha rivoluzionato
tutto e ha riscritto le regole del gioco. Quanto
alle vendite: certamente si vendevano più dischi, e tutta una serie di contingenze alimentava la fiducia che si potesse fare della musica il
proprio lavoro.
Rimanendo su toni internettiani, e se proprio
vogliamo parlare di ‘scena’ di allora, sei d’accordo con quanti affermano che tale definizione avesse più senso in quel periodo, dove
l’assenza del web 2.0 rendeva più autentici i
rapporti tra i gruppi, le persone, le associazioni
e i locali che animavano la città? Che mazzo ti
sei fatto, in termini di comunicazione, per far arrivare i Laghisecchi dalla saletta al buon livello
di popolarità che avevate raggiunto?
Tocchi un tasto per me piuttosto nevralgico
e significativo. Oggi viviamo un momento stranissimo, a tratti assurdo e inquietante a proposito dei rapporti interpersonali, e non mi riferisco
solo al campo musicale, che comunque per
varie ragioni può tranquillamente essere preso
a paradigma di tante altre sfere che implicano
i contatti tra le persone. Ogni giorno la gente
tende a evitarsi o a mandarsi affanculo nella
vita reale per poi diventare disponibilissima, affabile, brillante dietro una tastiera e un monitor,
per interminabili sessioni su Facebook. È agghiacciante. Senza internet c’erano miliardi di
opportunità in meno, questo è certo. Esistevano
però contatti e rapporti più autentici e sentiti fra
individui. Ricordo con affetto e orgoglio gli anni
90 quando organizzavo con altri serate incredibili al circolo Giustiniani, al Palace di Quarto e in
altri posti ancora. I concerti ‘Laghisecchi-Age’.
Regnava una passione sconfinata e le soddisfazioni arrivavano sia in termini di risposta del
pubblico che (incredibile a dirsi) sul versante
economico. Mi sono sicuramente dato da fare
molto per promuovere i miei progetti. Lo faccio da sempre e sempre lo farò, almeno fino a
quando crederò in ciò che faccio e a prescindere da etichette e uffici stampa.
Chi era Michele in quel periodo? Come ti
senti cambiato umanamente ed artisticamente
da allora ad oggi?
Ero un ‘poco più che ventenne’ alle prese
con la Facoltà di Lettere Moderne (poi terminata con non poca forza di volontà) che dedicava molto del suo tempo alla scrittura di canzoni, a tentativi più o meno sensati di produzione
delle stesse, a suonarle con i suoi amici, a organizzare concerti, serate danzanti, pazzeggiare
parecchio. Sento di essere molto cambiato
Cronache Vere
“Sento di essere molto cambiato e trovo che ciò sia assolutamente nell’ordine delle cose.”
e trovo che ciò sia assolutamente nell’ordine
delle cose. Proprio in questi giorni sto scrivendo
un testo di un brano nuovo che parla del fatto
che alcuni dei miei amici conducono praticamente la stessa identica vita di 13-14 anni fa;
fanno le stesse cose. Alcune le condivido, altre
proprio non le capisco: nel dubbio mi faccio i
cazzi miei e, se mai, ne parlo in una canzone.
Io sono diventato papà di un bambino splendido di un anno e mezzo. Ho priorità diverse da
quelle di un tempo, mi piace passare del tempo con lui e con la mia ragazza, scrivere, cose
così. Artisticamente spero di aver sviluppato il
mio songwriting in una direzione più matura e
consapevole. Una cosa che noto con soddisfazione è che, belle o brutte che siano, riesco
a scrivere pezzi più diretti, semplici, d’impatto.
Un tempo ero intimorito dalla semplicità che
confondevo pericolosamente con la banalità,
impelagandomi in prolissità disastrose e parlandomi addosso.
Tocco una questione magari spinosa, magari no. In quasi due anni che frequento i locali
genovesi non ricordo concerti dei Numero6. Se
ci sono stati comunque sono stati decisamente
pochi. Di mezzo c’è il problema di cui si parlava
a suo tempo con Ex-Otago (ovvero quello sacrosanto per cui un gruppo si trova a chiedersi:
‘se il nostro cachet cresce e in tutta Italia suoniamo a una cifra tot perchè dobbiamo suonare gratis o a meno solo perchè siamo di Genova?’)? O ci sono altre questioni di mezzo?
In effetti l’ultimo concerto dei Numero6 a
Genova risale a circa un anno e mezzo fa. In
linea di massima non ho alcun problema concettuale a suonare nella ma città, anzi. Diciamo tranquillamente che il pubblico di Genova
non ha mai appoggiato e sostenuto davvero
le realtà locali, cosa che al contrario accade
regolarmente in tantissime altre città, grandi,
9 CMPST #8[12.2008]
Cronache Vere
“Il fatto di regalare un disco gratuitamente on line è ormai qualcosa
di
piuttosto
ordinario.”
medie e piccole. Gli stimoli a esibirsi qui non
sono quindi immensi. Detto questo i Numero6
dopo il tour di Dovessi mai svegliarmi hanno
deciso che i prossimi concerti sarebbero avvenuti dopo il prossimo album. Non erano quindi
previste esibizioni live di supporto all’ultimo ep,
uscito nel maggio scorso. Ci stiamo prendendo quindi una lunga pausa (riprenderemo a
suonare dal vivo non prima dell’estate 2009)
anche perché la band si sta riassestando dopo
alcuni cambi di organico. Detto questo la questione cachet per quanto ci riguarda andrà intesa in senso lato, e non solamente in relazione
a Genova: d’ora in poi o verremo pagati quello
che riteniamo il giusto per la nostra ‘prestazione
lavorativa’ o ce ne staremo a casa a fare altro.
Capisco e condivido pienamente, per altro, il
punto di vista degli amici Ex-Otago: anche noi
ci siamo trovati in situazioni del genere, sgradevoli e imbarazzanti.
Non bastasse ciò, e premesso che la mia
memoria visiva è terrificante, non ricordo di
avervi mai visto ai concerti altrui qui a Genova (sempre limitandomi ovviamente alle ultime due stagioni). Non frequento molto il Milk,
magari siete passati di lì - ma Buridda niente,
e Checkmate ancora meno. Ok, siete gente
impegnata che fa video e tour in giro per l’Italia.
Poi? Famiglia?
Rispondo a titolo personale perché non amo
farmi troppo i cazzi degli altri... In effetti negli ultimi due anni ho frequentato poco e niente le serate ‘indie’ genovesi nei locali che citi. Questo
per una serie di ragioni tra cui la più importante
è, come ti ho accennato, che sono diventato
papà. La cosa, puoi immaginare, mi ha totalmente rivoluzionato la vita. Esco molto meno di
prima la sera perché preferisco stare con mio
figlio; quando lo faccio frequento i concerti
solo quando c’è qualcosa che realmente mi
10 CMPST #8[12.2008]
Numero6 Live @ Truogoli di Santa Brigida - foto di Anna Positano
interessa, diversamente uso il tempo libero che
ho per suonare, scrivere, stare con i miei amici.
Detto questo al Milk ci sono stato proprio 3 giorni fa a vedere gli eSMEN, un gruppo genovese
a mio avviso validissimo, a cui ho anche dato
una mano nella promozione del singolo Who
Cares?.
Numero6 è un progetto che lega a sè nomi
piuttosto noti nell’ambiente. Sono coinvolgimenti ben noti a chi vi segue e anche a chi non
vi segue da vicino, ma credo siano in pochi a
sapere come tu e queste persone siate entrati
in contatto ed è su questo punto che vorrei farti
soffermare: quali storie, quali incroci più o meno
casuali vi hanno portato prima a incontrarvi e
poi a decidere una collaborazione? Partiamo
da una mia conoscenza: Filippo Quaglia (Q,
intervistato sullo scorso numero di Compost,
NdSimo).
Con Filippo ci conosciamo ormai da parecchi anni. E’ prima di tutto un carissimo amico,
con cui mi trovo perfettamente a mio agio. Abbiamo iniziato a collaborare in occasione del
progetto messo in piedi insieme a Enrico Brizzi.
Filippo di fatto non fa parte ufficialmente dei
Numero6 ma gravita attivamente intorno aila
band e ad altri nostri progetti portando ottime
idee e buon umore.
Altro amico, ma più di vecchia data (Compost#1, NdSimo): Lorenzo Vignolo.
Cronache Vere
Con Lorenzo la collaborazione risale al 2003,
anno in cui girammo il nostro primo videoclip
‘serio’, ossia La Stabilità, che poi ebbe una fortuna mediatica enorme rispetto alle aspettative.
Da lì abbiamo realizzato insieme a lui altre quattro volte lavorando sempre in sintonia e con
grande voglia di condividere la creatività per
fare dei video che ci rappresentassero davvero
e non fossero semplicemente un mero esercizio
di stile. Noi siamo impegnati da sempre nella
scrittura e nella realizzazione di nostri video, di
cui spesso siamo anche produttori esecutivi.
Da poco tempo, fra l’altro, abbiamo iniziato a
fare video anche per altri artisti. In quest’ottica
devo dire che con Lorenzo ci siamo sempre trovati bene, sia per quanto concerne gli aspetti
creativi che per quelli più meramente organizzativi.
Procedo. Enrico Veronese.
Beh, Enver è un mio caro amico. Lo considero uno dei più grandi appassionati di musica
‘indie’ che ci siano in Italia. E’ una persona pura,
sincera e vera fino in fondo, senza mezzi termini,
a costo di risultare antipatico. Gli voglio un sacco di bene e gli sono molto riconoscente per
l’appoggio che ci ha dato fin dall’inizio e che
ci continua a dare. Lui di fatto è un ‘agitatore’
della scena indie italiana. Quando ‘sposa’ un
progetto lo supporta in tutto e per tutto con
una passione e una tenacia incredibili. Penso,
per esempio, alla spinta che ha dato agli Offllaga Disco Pax degli inizi.
Di Enrico in Enrico: Brizzi.
Anche lui un carissimo amico, oltre che uno
scrittore che da sempre apprezzo. Lo avevamo contattato per partecipare a Dovessi mai
svegliarmi insieme agli altri autori che ci hanno regalato uno scritto inedito da pubblicare sul booklet del cd. In quell’occasione non
ha potuto partecipare. Mi ha poi telefonato
un giorno di circa due anni fa coprendomi di
complimenti per il disco. A quel punto ho colto
la palla al balzo chiededendogli un testo per
un inedito: lui ha accettato e, nel giro di 3 giorni,
mi ha spedito via mail le liriche di Navi Stanche
Di Burrasca. Da lì è nata una collaborazione
che ci ha portato a realizzare Il Pellegrino Dalle
braccia D’Inchiostrro: Reading In Concerto Per
Viandanti Del XXI Secolo, un disco di canzoni
inedite con testi tratti da quello che ormai è il
suo penultimo romanzo in cui noi suoniamo e
cantiamo e lui declama; a mio avviso tale disco, che uscirà nel corso del 2009, stupirà molti.
Nel frattempo abbiamo fatto insieme a lui tantissime date dal vivo riscuotendo un successo
davvero incoraggiante.
E infine, immancabile, Will Oldham.
Beh, io sono da sempre un suo fan. Lo considero un grande songwriter e amo il tuo timbro
vocale. Un giorno mi è saltato in mente di provare a contattarlo per proporgli una collaborazione con noi; nella fattispecie mi sarebbe
piaciuto da matti sentirlo cantare in una nostra
canzone. Gli ho scritto e, dopo qualche giorno,
mi ha risposto dicendo che avrebbe lavorato
volentieri con noi a patto di poter cantare in
italiano. La cosa sulle prime mi ha lasciato un
tantino perplesso. Poi ho realizzato che potenzialmente poteva trattarsi di una straordinaria
figata. Quando mi è arrivato a casa il cd con
le sue tracce vocali ho avuto la piena conferma di questa sensazione. E’ stato commovente
ascoltare Bonnie Prince Billy cantare e interpretare Da Piccolissimi Pezzi. Fra l’altro si è confrontato con un testo pieno di parole particolari e
complicate. Questo featuring ci inorgoglisce
tantissimo e ci ha permesso di fare capolino
con il nostro ultimo ep (in cui è presente il pezzo cantato da Will) in importanti siti web e radio
stranieri.
A proposito: aneddoti su Pitchfork? Sapevi
che vi avrebbero recensito? In caso negativo,
quale è stata la reazione dei Numero6 quando
avete aperto quella pagina?
In effetti sapevo che sarebbe uscito qualcosa perché un loro giornalista mi ha scritto
Numero 6
chiedendomi il permesso (figurati un po’! ;) ) di
pubblicare un articolo a proposito dell’ep e, in
particolare, relativamente alla collaborazione
con Will Oldham. Ho ovviamente acconsentito. Quando poi ho visto la recensione su quella
che da molti è considerata una vera e propria
‘bibbia’ della musica indie mondiale mi sono
abbastanza emozionato. E’ stata un’uscita
piuttosto importante: i download dell’ep hanno
subito un’impennata impressionante da tutto il
mondo perché su Pitchfork capitano ogni giorno centinaia di migliaia di navigatori. Una grande soddisfazione per noi, senza alcun dubbio.
L’ep in questione, Quando Arriva La Gente Si
Sente Meglio, è uscito, ed è tuttora, in download
gratuito da www.numero6.com : una scelta motivata da qualcosa in particolare o la semplice
voglia di fare un regalo al vostro pubblico?
La situazione del mercato discografico è
ormai precipitata. Dischi non se ne vendono
più. Si continuano a fare perché il supporto
continua a essere ancora un biglietto da visita
‘fisico’ importante da presentare ai media oltre
che un ‘gadget’ da provare a piazzare ai concerti. Il fatto di regalare un disco gratuitamente
on line è ormai qualcosa di piuttosto ordinario;
casi eclatanti come quello dei Radiohead hanno provocato un vero e proprio terremoto. Nel
nostro piccolo abbiamo optato per questa so11 CMPST #8[12.2008]
Cronache Vere
luzione al fine di testarla. I risultati dell’operazione sono ad oggi davvero sorprendenti: si parla
di più di 8000 download.
Accade talvolta che ascoltando un testo ci
ritrovi un pezzetto di vita vissuta. Con i Numero6
mi è capitato ascoltando Automatici. Mi sono
allora chiesto quale fosse la storia dietro a quel
testo, quella che l’ha ispirata. E ora lo chiedo a
te, a patto che questo non ti costringa a scendere troppo nel ‘personale’.
Ho scritto quel testo partendo da una situazione effettivamente personale. Ho poi provato a dare alle liriche un taglio universale, dato
che si parla di un qualcosa che a mio avviso
accade piuttosto spesso nelle dinamiche di
coppia. Sono contento che ti sia riconosciuto
in quel testo. È successo in effetti a parecchia
altra gente che, facendomelo notare, mi ha
riempito di gioia.
Rimanendo su Dovessi Mai Svegliarmi: in Verso Casa dichiari che ne hai abbastanza ‘di sti
trenta stronzi che si osservano tra loro, senza mai
12 CMPST #8[12.2008]
rivolgere uno sguardo a chi per sbaglio questa
sera sta sudando sopra il palco’. Una presa di
posizione tosta, ma indiscutibilmente sacrosanta. Il dito era puntato su un generico pubblico
‘indie’ oppure, venendo tu da Genova, ti riferivi
anche solo minimamente al pubblico locale,
tradizionalmente freddino sul piano della partecipazione fisica?
Guarda, ho scritto di getto il testo di quella
canzone una notte, intorno alle 3. Ero appena
rincasato. Ne venivo da uno dei locali genovesi
che hai citato prima in cui si era svolto un grande concerto di una grande band. Nel corso
della serata ho notato una serie di cose che
puntualmente capitano in queste situazioni.
Mi riferisco in particolare all’atteggiamento di
certo pubblico di area ‘indie’, che si pone spesso in maniera del tutto irritante e che farebbe
bene a farsi un esame di coscienza. Devo dirti
che parecchio dello scazzo che ho maturato
nei confronti delle esibizioni live dipende, oltre
che dalle situazioni tecniche piuttosto demenziali che si trovano in giro, dall’atteggiamento
distruttivo di certa gente. In quella canzone
parlo di Genova e, di conseguenza, del pubblico locale.
Inevitabile la domanda su quello che succederà adesso. Filippo mi accennava la scorsa
stagione che l’album nuovo dei Numero6 è in
cantiere ma che tu stavi ancora scrivendo. Ora
che sono passati alcuni mesi, ti senti di poter
anticipare qualcosa di più in merito? Nuove
collaborazioni, qualche svolta in mente a livello
di suono?
Attualmente sono impegnato in un progetto
parallelo piuttosto misterioso (i Nome, NdSimo)
che pare stia funzionando bene. Per ora è uscito un singolo, poi ne uscirà un altro e si sta progettando l’album. Le nuove canzoni dei Numero6 stanno venendo fuori. Non abbiamo fretta,
ci prenderemo tutto il tempo di cui abbiamo
bisogno per fare le cose bene e, soprattutto,
esattamente come vogliamo. Collaborazioni
immagino ce ne saranno; ho già qualche idea
“Diciamo
tranquillamente
che il pubblico di Genova
non ha mai appoggia to e
sos tenu to dav vero le real tà locali, cosa che al con trario accade regolarmen te in tanti s s ime al tre ci t tà,
grandi, medie e piccole.”
ma preferisco non anticipare niente. Per quanto riguarda il suono avrei voglia di fare un album veloce, frizzante e rumoroso, per cui uscirà
certamente un disco acustico. In questi casi
l’imprevedibilità e all’ordine del giorno. In ogni
caso sono dell’idea che, al giorno d’oggi, prima di buttare fuori un album bisogna pensarci molto bene. Con tutte le uscite che ci sono
il rischio di ‘bruciarlo’ è sempre dietro l’angolo.
Credo sia opportuno gestire oculatamente le
uscite, magari centellinandole e cercando di
creare attenzione progressivamente attorno a
un progetto. In questo senso editare dei singoli
non è male.
Per finire: all’inizio dell’intervista ti ho mentito.
Ho un altro ricordo dei Laghisecchi. Se ti dico
Help!, Red Ronnie e TMC2 provi ribrezzo, nostalgia o fai spallucce?
Red Ronnie e i suoi programmi, discutibilissimi quanto si vuole per una miriade di ragioni,
rimangono di fatto gli ultimi in cui progetti più o
meno emergenti avevano a disposizione uno
spazio per presentare le loro canzoni, dal vivo,
in televisione. Attualmente non mi risulta che
esistano situazioni di questo tipo. Aggiungo
anche che i frangenti in cui andammo ospiti a
Help! coincidono con un periodo della mia vita
molto sbarazzino, per cui li ricordo con molto
piacere.
Più info su Michele andate su
http://www.numero6.com
Produzioni
”Credimi, quando passo adesso da Cornigliano e vedo la
nuova skyline mi fa ancora
effetto: un reset della memoria.”
Nolider / Bumaye / Bazooka
Intervista con Giuseppe Caroleo
di Matteo Casari
AMMAZZALO!
Spesso parliamo con persone che hanno fatto del gran casino anni
e anni prima che noi arrivassimo anche solo a formalizzare l’idea di
musica indipendente. In questo numero, dalla gestazione lunga e laboriosa, mi sono scavato e scelto la possibilità di scambiare qualche
domanda con uno di quelli che vedevo da sotto il palco anche io.
Gli anni ‘90, la loro seconda parte, è un territorio in cui molte delle
dinamiche dei decenni precedenti sono andate a farsi benedire,
sulla scorta di un miraggio di farcela, come chi arrivava al giro del
Consorzio Produttori piuttosto che a chi si mescolava al fermento nazionale più o meno già video-attivo. Si parla dello stesso decennio in
cui, però, le meccaniche negative contro cui diamo testate giornalmente, in questa città, si sono consolidate e hanno messo radici tali
da risultare inattaccabili. In quello squarcio di fine millennio si inserirono i Nolider e il giro di gruppi quivi citati. In qualche maniera non
godettero delle gioie del tutto è possibile, pur credendoci, ma furono
le prime vittime sacrificali di questi ultimi anni. Così Giuseppe si è letteralmente forgiato una nuova ragione sociale, Bumaye, che sta producendo materiale di design al confine con l’arte. E, finalmente, ha
trovato il tempo per dedicarsi un po’ alla musica col progetto Bazooka.
Nolider, un disco solo Ornitorinco del
1999 uscito per Devega. Che fine avete
fatto?
Nolider... Nel ‘99 stavamo registrando quello che doveva essere il secondo disco, all’epoca lavoravo in Polo nia, navi, piattaforme petrolifere, Leo
era in studio con noi quei giorni, poi
succede che dieci anni di band li senti sulla schiena, hai aspettative che ti
consumano, non vuoi più suonare per
4 birre medie, non vedevo evoluzione,
ma dove cazzo andiamo così? Poi Leo
inizia ad ammalarsi, io sentivo di non
aver più granchè da dire davanti a un
microfono, e ho mollato il gruppo. Andrea Cussotti, Antonio Bordino e Danilo
Rolle fortunatamente stanno bene e gli
auguro il meglio.
Non eravate metal, non eravate noise, non eravate hiphop... Cosa diavolo
cercavate di fare?
Oggi il crossover come genere musicale è codificato digerito e fuorimo da...C’era più rock nell’aria, a mezzogiorno vedevi i video dei Nirvana e dei
R.A.T.M., e vedevi gente in giro con
tshirt dei Primus o dei Fugazi, provavamo a dire la nostra, e cercando di
copiare quelli bravi uscivano cose alla
fine personali.
Dieci anni soltanto dalla registrazione del disco ma le cose sono cambiate
radicalmente a livello globale. Quanto
era difficile arrivare al cd? Voi foste gli
unici di quel giro a produrre qualcosa
in pù della cassettina di ordinanza.
La preproduzione con Vittorio Dellacasa, ci aprì le porte del giro grosso,
il disco fu registrato da Carlo U.Rossi,
nei suoi Transeuropa studio di Torino,
sacrifici e salvadanai rotti. Mille copie
vendute, ma senza una distribuzione
seria anche il disco più bello è come
non farlo.
13 CMPST #8[12.2008]
Produzioni
bi a villa Serra : i primi li ho trovati maturi,
belli pastosi, caldi e rumorosi, meritano
più attenzione di quella che hanno, gli
Stalker hanno scatenato l’apocalisse,
fuori dal tendone il diluvio, felpe con
i cappucci che ondeggiano, un suono
enorme e preciso, marziale, un performer come Alberto Fascetta è un bene
cittadino da tutelare, alta scuola H.C.
Sul gasometro di Cornigliano
L’anno scorso avete fatto un concerto al Milk, nessuna voglia di tornare?
Il concerto al Milk era un omaggio a
Leo, a cinque anni dalla sua scomparsa. È stato emozionante, è stato bellissimo rivedere gli altri, fare gli stupidi in
sala prove, improvvisare cose nuove:
Si dai ! Allora ci rivediamo ! Minchia si !
Hai sentito che pezzone che è uscito?
Dai ! La settimana prossima... Poi vince la vita che stai vivendo, il lavoro,
il divano, il telecomando, gli altri progetti... Forse è stato bello così, senza programmi. Spesso su myspace mi
chiedono dei Nolider, voglio fare la
paginetta nostalgica con il video di
quel concerto.....
Della scena cittadina più pestona attuale segui nessuno?
In homepage ho un pezzo dei 2novembre e nel lettore mp3 gli Stalker...
Quest’estate li ho visti suonare entram-
“Mille copie vendute, ma senza
una distribuzione seria anche il
disco più bello è come non farlo.”
14 CMPST #8[12.2008]
Compagni di viaggio di quel periodo? i Bluma? i Voyeur? Che aria tirava?
Anche loro si sono cibati dell’illusione di quei momenti, dove sembrava
possibile per tutti poter fare i musicisti
per davvero.
Leonardo Montaruli. Di Leo su Compost non abbiamo mai parlato. Manca
a chi lo conosceva appena, posso immaginarmi a chi lo frequentava.
L’artista Leonardo Montaruli son sicuro che avrebbe fatto parlare di sè:
un grande illustratore, un b -boy con un
flow invidiabile, aveva stile da vendere
e una testa fresca, aveva le antenne
tese. L’amico Leo, posso solo dire che
mi manca di brutto, solo oggi riesco
ad avere quel minimo di distacco tecnico che mi permette di scriverne. Ho
in cantiere una specie di romanzo, che
si intitolerà “Leo, è questo che siamo”,
la frase è rubata al grande Emidio
Clementi. Ci sono io che gli racconto
cos’è successo in questi anni, proprio
come farei se mi spuntasse davanti, al
bar, in fila per un concerto, alla fermata della metro di Brin. il tipo di dialogo
e confronto che mi manca.
Bumaye / Anello
Con i Topi Muschiati per certi versi ti
sei ibridato recentemente... Ho sentito
su myspace il progetto Bazooka con
Q. Solo un divertissement o ci prenderai gusto? Avete intenzione di proporlo
anche live?
Bazooka ci stà piacendo sempre
di più, con Q abbiamo un’approccio
talmente facile che evitiamo tutte le
menate da progetto musicale, zero
stress...non puzziamo di saletta, lavoriamo nel suo studio casalingo bello
e profumato. Vantaggi del’elettronica.
C’è fiducia e stima reciproca, non ce
lo aspettavamo, ma inizia ad esserci
l’interesse di alcune etichette, vedremo. Circa il live stiamo cercando di costruirlo, penso che in primavera si farà
qualcosa.
Produzioni
“C’era più rock nell’aria, a
mezzogiorno vedevi i video
dei Nirvana e dei R.A.T.M.”
tempeste nel Baltico, Poi pian piano è
diventato il mio modo di raccontare i
vari immaginari che mi girano in testa,
fino a produrre pezzi per l’arredamento
e vari elementi di interior design. Il 13
dicembre presenterò presso Violabox
(via Trebisonda 56) la nuova collezione
“Scars”. Posso dirti che è dura, che ho
grandi soddisfazioni ma grande precarietà, dall’America arrivano un sacco
di “Wow! Great work! ”, ma con i complimenti ci riempi l’ego, non la pancia... È sempre una vita da stuntman
per chi sceglie di vivere con la propria
espressione... Dunque cicatrici...
Bumaye / Giuseppe
Oggi ti occupi prevalentemente di
design e delle tue collezioni di anelli,
personali e riconoscibilissimi, nonchè
diffusissimi a livello cittadino. Riesci
ad uscire da Genova con questo progetto? Com’è nata la questione gioielli
fatti di “lavoro” ?
Il progetto Bumaye nasce a seguito
del vuoto creativo del dopo Nolider.
Facevo (e faccio) il carpentiere, lavo ravo il ferro e ho provato a guardare dei tubi in maniera diversa : i primi
pezzi sono nati in Polonia per ammortizzare il terrore che avevo durante le
Non riesco più a trovare l’intervista
che ti feci giusto nel ‘99 per Marstyle:
pare che internet l’abbia fagocitata e
distrutta. Ma mi ricordo che finimmo a
parlare di boiler da barca. Tra i tanti lavori che hai fatto, hai operato a lungo
sui Gasometri di Cornigliano, ormai dismessi e in demolizione. Cosa pensi di
tutte le trasformazioni urbane che abbiamo visto in atto in città negli ultimi
vent’anni?
Che vista dai 107 m di altezza del Gasometro grande ! 150.0 0 0 metri cubi di
gas ! Abbiam fatto la guardia ad un’arma di distruzione di massa ! Avendo lavorato in quella specie di penitenziario
che è l’Ilva, quel luogo l’ho soprattutto odiato, ma credimi, quando passo
adesso da Cornigliano e vedo la nuova skyline mi fa ancora effetto, un reset
Nolider / Antonio
della memoria, dove mi trovo? Speravo
in interventi che mantenessero almeno il ricordo dell’epopea industriale di
Genova.Il fatto è che ciò che altrove
si chiama archeologia industriale qui è
solo ferro vecchio, da spianare per far
posto a pile di container, poi mettiamo
due panchine per i vecchi e un bel discount... Chi come me ha lavorato in
quel luogo e ha vissuto questa trasformazione è paragonabile ad un esploratore che viene spedito indietro nel
tempo, mezz’ora prima dell’estinzione
dei dinosauri.
Più
v i tà
i n fo
sulle
di
Giuseppe
attisu
ht t p ://w w w.mys pa ce.
c o m / b a zo o ka s o u n d
ht t p ://w w w.mys pa ce.
c o m / b u m a ye d e s i g n
h t t p : / / w w w. b u m a y e . e t s y.
com
ht t p ://w w w.b u m a ye.i t
15 CMPST #8[12.2008]
Esperimenti
“Ci siamo trovati e secondo
me
abbiamo
subito
iniziato a fare delle belle cose di
ricerca, ed è quello che cerchiamo di continuare a fare. “
St.Ride / Mongoholi Nasi / Uomi
Intervista con Maurizio Gusmerini e Edoardo Grandi
di Daniele Guasco
TERRITORI (NON) COMUNI
Non è facile intervistare gli St.Ride, del resto si tratta di una esperienza di musica sperimentale made in Genova tanto conosciuta e rispettata fuori dai confini cittadini quando oscura e poco conosciuta nei
suoi contorni esterni ai contenuti dei loro dischi e dei loro concerti.
Conoscerli meglio anche come persone è una novità, ed è stato anche un incontro molto piacevole condito da fatti strani come un telefono staccato da anni che inizia a squillare in una scena da film horror
giapponese a metà intervista nel loro splendido studio di registrazione.
Ecco quindi il resoconto dell’incontro con uno dei progetti più prolifici
ma anche meno conosciuti dell’attuale panorama musicale genovese.
Partirei chiedendovi cosa c’è stato per
voi artisticamente prima degli St.ride. Progettando questo articolo constatavo come
non ci fossero notizie su di voi in ambito musicale precedenti al 2000. cosa facevate
quindi prima di iniziare questo progetto?
Maurizio: Io sono sempre stato un accanito ascoltatore e ho iniziato a fare musica
proprio con gli St.Ride. In precedenza ho
solo svolto un po’ di attività come dj, nell’ultimo periodo dello Psycho, poi al Lucrezia ed in seguito al Buscavida.
Edoardo: Io invece pur non suonando
avevo già lo studio, quindi per me la musica era un lavoro prima di tutto. Avevamo
16 CMPST #8[12.2008]
registrato un po’ di gente, magari aiutando, ma come musicista vero e proprio prima degli St.Ride avevo fatto veramente
poco e niente. Con lui ci siamo trovati e secondo me abbiamo subito iniziato a fare
delle belle cose di ricerca, ed è quello che
cerchiamo di continuare a fare.
Quindi possiamo dire che gli St.Ride nascono come progetto “vergine”, immune
da esperienze precedenti?
M.: Si certamente, io non avevo mai
suonato nulla prima di iniziare questo progetto. È una partenza da zero che è nata
da una voglia di fare. Edo aveva già la sua
professionalità per lo studio, aveva lavorato anche per delle installazioni.
E.: Si, ma molti anni fa, materiale per
delle installazioni, colonne sonore, lavoretti sporadici però, quello a cui tengo però
sono le cose che faccio adesso con lui. Poi
lavorando in studio principalmente lavori
per gli altri, non per te stesso e per la tua
espressione.
Andando invece a parlare in maniera diretta del progetto St.Ride partirei da questo
concetto di confraternita su cui insistete
molto sul vostro sito.
M.: Il concetto di confraternita nacque
come scherzo, ma neanche troppo. L’idea
di gruppo tradizionale, o comunque dei
ragazzini che si mettono insieme per beccare della figa suonando, per noi era proprio fuori portata come cosa. Diciamo che
abbiamo accentuato molto per avere un
contesto in cui non prenderci troppo sul
serio, per evitare anche la retorica o un
certo tipo di supponenza. Quindi ci piaceva questo concetto di confraternita di
cui possono far parte un tot di persone,
esistenti o meno, anche perché non ci
piace metterci sugli scudi o raccontare
Esperimenti
“È molto difficile trovare un modo
per definire come io e lui riusciamo
a interagire, è un tipo di rapporto
artistico in continua evoluzione.“
noi stessi, l’importante è che poi la musica
parli per noi. L’intenzione è e resta buttare
giù qualcosa che possa essere interessante, non troppo scontato, e da questo nasce anche l’idea della confraternita, dare
un’idea delle cose che facciamo senza
farle cadere dall’alto.
Il progetto St.Ride infatti pur partendo
da voi due mi sembra infatti molto aperto
come progetto.
M.: Abbiamo effettuato delle collaborazioni con altri musicisti (tra cui vorrei citare
Dubmaster Spillus, una persona adorabile,
con cui c’è un’amicizia di lunga data), ma
non hanno avuto ulteriori sviluppi, anche
se non è detto che in futuro non riproveremo. Secondo me St.Ride siamo e rimaniamo io e Edo, è già abbastanza difficile per
noi due sintonizzarci e trovare un campo su
cui andarsi a confrontare. Le collaborazioni sono stati dei tentativi dettati anche dalla voglia di relazionarci di più con l’esterno
e per provare approcci diversi con la materia, che però alla fine ci hanno mostrato
che i risultati più coerenti con le nostre intenzioni li otteniamo al meglio quando ci
confrontiamo solo noi due. È molto difficile
trovare un modo per definire come io e lui
riusciamo a interagire, è un tipo di rapporto artistico in continua evoluzione.
E.: Io ho iniziato a suonare con lui perché
musicalmente era molto anarchico. In studio venivano soprattutto giovani per imparare e per avere un punto di riferimento
per creare qualcosa di buono anche tecnicamente; il mio socio è un insegnante di
musica per cui la maggior parte dei gruppi
che entravano qua dentro venivano a cercare la precisione del basso che entra con
la cassa, la voce giusta, clichè già conosciuti. Poi mi sono trovato con lui in una situazione in cui ero l’alieno quando dicevo
frasi del tipo “Questa cosa non può tenere,
non è nei canoni giusti”, mentre Maurizio
riusciva a dare l’irrazionale alle cose che
facevamo. Allora ci siamo lasciati andare,
lui veniva un po’ verso le mie idee mentre
io mi spostavo molto verso di lui, diciamo
che lo scambio non è stato pari, io ho fatto
una fatica notevole ad abbandonare certi concetti musicali, così come lui ha fatto
altrettanta fatica per riuscire a inventarsi
alcune cose. Sicuramente la nostra fortuna è avere lo studio a disposizione che ci
permette di provare molto spesso, per cui
riusciamo a scambiarci tanti dati. Pur essendo però due personalità tanto diverse il
risultato finale riesce ad essere ben amalgamato.
M. Questo proprio grazie allo sforzo di entrambi di andare verso l’altro, o comunque
di trovare un territorio comune di dialogo.
Passando a parlare dei vostri dischi, partendo dall’esordio pubblicato da Snowdonia si possono notare molti cambiamenti
dal punto di vista sonoro. Ad esempio
“Carne al fuoco” è un disco molto rumoroso, pieno di fischi e feedback, mentre “Se
sto qui nevica” è già più vicino a un’idea di
melodia, più elettronico. Si tratta di un’evoluzione oppure sono i volti diversi del progetto St.Ride?
M.: Non so dirti se si tratta di un’evoluzione perché la nostra musica non segue una
precisa direzione di crescita, nel senso che
man mano che portiamo avanti il nostro
lavoro, che impariamo delle cose, arriviamo a un confronto che ci porta sempre più
in là in quella che è la nostra capacità di
dialogare attraverso la musica. Non cerchiamo un percorso che parta da un punto ed arrivi ad un altro, si tratta piuttosto di
sguardi diversi. “Carne al fuoco” è un di-
Maurizio (foto di Anna Positano)
sco live quindi deriva da una moltitudine di
spunti pensati per essere suonati dal vivo,
mentre “Se sto qui nevica” è nato in studio,
è un lavoro più meditato.
E.: In “Se sto qui nevica” c’è stata una
maggior ricerca verso la musicalità, anche
spaziando tra possibili generi, un tentativo
di avvicinarci a nostro modo a qualcosa
di più ascoltabile, ma si tratta comunque
di una tappa.
Si può quindi dire che pur nella loro diversità ci sia una linea rintracciabile che
17 CMPST #8[12.2008]
Esperimenti
unisce tutti questi album?
M.: Direi di si, anche se non ti so dire quale.
E.: Effettivamente c’è, particolarmente nei primi due o tre lavori, poi abbiamo
preso preso una strada più live, più immediata, meno meditata. Il disco su Snowdonia mi piace ancora adesso, ma lo trovo
meno personale delle cose che abbiamo
fatto in seguito, “St.ride sucks” ad esempio
è molto rumoroso ma non abbiamo cercato di condirlo con ritmiche come quelle
che componevamo agli esordi.
M.: Nei nostri primi lavori ci dedicavamo
a un’elettronica vicina al loop e a un certo tipo di ripetitività, col tempo abbiamo
cercato di slegarci da quest’ottica che
trovavamo un po’ limitante per i nostri obbiettivi, abbandonare il loop, il sample per
dirigerci verso una costruzione più libera
dei brani. Io ho imparato a usare qualche
strumento.
Ma quindi mancando una direzione unitaria, se qualcuno che non ha mai ascoltato i vostri brani vi chiedesse che musica
fate cosa rispondereste? Io vi trovo molto
indefinibili come gruppo, anche parlando
di avanguardie musicali.
M.: Questa è una cosa a cui teniamo
molto, portare avanti il nostro discorso personale e non essere legati a nessun tipo di
genere che renderebbe limitante il nostro
lavoro. Quello che ci interessa è tirare fuori
le nostre urgenze, ciò che peschiamo dalla nostra nostra visione del mondo, nella
nostra vita.
“Questa è una cosa a cui teniamo
molto, portare avanti il nostro discorso personale e non essere legati a nessun tipo di genere che renderebbe limitante il nostro lavoro.“
18 CMPST #8[12.2008]
Maurizio e Edo - Live In Buridda 2007 (foto di Anna Positano - theredbird.org)
Passiamo alla vostra dimensione live.
Dal mio punto di vista la prima volta che vi
avevo sentito dal vivo non mi eravate piaciuti niente, vi avevo trovato freddissimi.
Invece la seconda volta eravate già più
vicini al pubblico, più legati a chi avevate
davanti e vi ascoltava. Come affrontate i
vostri concerti e come si è evoluto il vostro
rapporto con il palco?
E.: Adesso Maurizio ha anche la chitarra,
mentre prima suonava solamente con dei
lettori cd.
M.: Si, usavo dei lettori cd anche per la
difficoltà di ricreare certi suoni dal vivo.
La chitarra mi permette di avere anche
un approccio più fisico al concerto. Poi
non è che suoniamo tantissimo dal vivo,
agli esordi faceva molto l’inesperienza,
a questo aggiungi che siamo genovesi e
che l’approccio freddo fa parte proprio
del nostro modo di porci rispetto al pubblico. Inoltre credo che facendo elettronica
come la facevamo noi si creava una sorta
di scollamento percettivo, mentre suonando una strumento, chi ascolta vede quello
che sto facendo e quindi si crea una percezione migliore che può portare a un miglioramento del dialogo con chi ascolta.
Ho notato anche una notevole distanza
tra quello che suonate su disco e quello
che suonate dal vivo.
Esperimenti
“In certi ambienti però c’è,
effettivamente, una eccessiva
puzza sotto il naso, quando non
l’idea di avere il tesoro in tasca.“
M: Quello che suoniamo su disco è spesso irriproducibile. All’inizio ci interessava relativamente questo fattore, mentre adesso sentiamo l’esigenza di creare musica
suonandola live. Al momento registriamo
direttamente quello che suoniamo, magari sovraregistrando altre tracce successivamente, mentre prima svolgevamo
un lavoro di costruzione che che non era
replicabile dal vivo; in questa nuova maniera si evita quello scollamento che c’era
tra concerto e disco. Già il prossimo disco
che verrà pubblicato da Setola Di Maiale
andrà in questa direzione.
Hai già accennato alla vostra genovesità. Genova come città quanto influenza il
vostro approccio alla musica?
M.: Genova ci influenza al mille per mille. Noi siamo genovesi con tutti i difetti dei
genovesi, facciamo una musica scoscesa, frastagliata, come il nostro territorio e
come il nostro carattere. Non potrebbe
uscire diversamente, spigolosa. Non possiamo evitare di essere quello che siamo.
Invece dal punto di vista della musica
a Genova, cosa ne pensate del suo stato
attuale?
M.: Se devo essere sincero non ho preferenze per qualche gruppo genovese
in particolare. Anche se c’è tanta buona
volontà, secondo me ci sono poi troppi
prodotti derivativi, strettamente di genere,
trovo che ci siano poche idee realmente
fresche. Personalmente preferisco chi rischia, magari facendo delle cose brutte
cercando la sua strada, rispetto a chi si
adagia sulle cose, magari ben fatte, ma
precotte.
Quando faccio il vostro nome parlando
con musicisti d’avanguardia o comunque
legati alla sperimentazione, questi apprezzano sempre tantissimo il vostro lavoro.
Cosa ne pensate delle avanguardie italiane? Io le vedo come molto produttive,
ma da un lato chiuse un po’ troppo in se
stesse, dall’altro giustamente lontane da
un pubblico che non sarebbe ricettivo a
certe proposte.
M.: Anche quando ci si dedica a certe
musiche si cerca un riscontro per quello
che stai facendo, poi però è facile che il
ritorno di pubblico sia scarso. In parte è
una conseguenza della poca disponibilità
all’ascolto nei confronti di musiche considerate, secondo me a torto, difficili. In più
ritengo che la musica in genere non ha più
il ruolo importante che aveva fino a qualche tempo fa, non è più il mezzo con cui
si veicolano le emergenze, nè un media
ritenuto degno di più di tante riflessioni, raramente si va oltre ad un approccio di un
consumo stile patatine fritte. Credo però
che la poca attenzione del pubblico sia
un segnale che vada tenuto in seria considerazione, e dovrebbe indurci a fare delle analisi sull’effettiva attuale capacità di
comunicazione della scena. Pensando al
mondo dell’avanguardia mi viene prima
di tutto da ridere ripensando al pezzo degli Skiantos (Largo All’Avanguardia), che
dovrebbe indurci tutti a prenderci un po’
meno sul serio (anche se, guardandoci
intorno, i segnali che arrivano dal sociale
non sono molto allegri). Per quello che riguarda i gruppi, a partire dagli Starfuckers
/Sinistri, che secondo me sono un gruppo
di livello mondiale, passando per i Vonneuman, i Jealousy Party, gli Anatrofobia, gli A
Spirale e arrivando fino a musicisti come
gli Harshcore o a quello che fa Malagnino,
o la scena romana, di cose interessanti ce
n’è tantissime. In certi ambienti però c’è
Maurizio (foto di Anna Positano)
effettivamente una eccessiva puzza sotto
il naso quando non l’idea di avere il tesoro
in tasca.
Per finire con un’ultima domanda, se nei
vostri album la musica, i rumori, la fanno
da protagonisti, nei titoli dei brani c’è una
grande attenzione alle singole parole, tanto che spesso vanno a descrivere sia come
sonorità che come immagini la canzone a
cui danno il nome.
M.: In realtà non è stata una cosa immediata, nel primo disco non avevamo ancora sviluppato questo tipo di idea. In conseguenza del fatto che non usiamo parole
cantate, è nata l’esigenza di concentrare
il senso e il ruolo di un testo all’interni dei
titoli, che possono nascere da una ricerca o da un’idea che scaturisce dal brano
stesso. Hanno sempre una stretta relazione
con il pezzo, anche se non sempre è direttamente consequenziale. E’ un fattore per
noi molto importante perché aumenta la
nostra possibilità di comunicare e di creare un’interazione o un cortocircuito con
l’ascoltatore.
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19 CMPST #8[12.2008]
Produzioni
“Io sono uno che crede che il
dj, chi fa il dj di professione, sia
il cuscinetto che sta tra l’underground e la massa, io ho sempre pensato questo. Cioè, tu sei
colui che mette a conoscenza.“
Costreet rec - Ory J
Intervista con Orazio Bongiovanni
di Emiliano Russo
COSTRETTI A EMERGERE #1
Succedono per caso ma non senza logica, le cose. Per caso, registrando
l’account su un magazine on line e scorrendo la lista degli utenti, ritrovo
l’amico Orazio, in arte Ory J aka Punknown (www.oryj.it). Che oltre ai saluti
mi linka alla sua nuova netlabel e m’invita ad ascoltare le releases, scaricabili gratuitamente. Sorpresa: Costreetrec si presenta in modo superbo
(www.costreetrec.com), da far invidia al sito della celeberrima M-nus. E
le releases? Sono tre, tutte dannatamente buone. Nasce l’esigenza di rivederci e magari fare una bella chiacchierata per impreziosire Compost,
come Mat in tempi non sospetti mi aveva già invitato a fare. Logicamente.
Dicevamo: Genova non esiste. Ma forse
guardiamo le cose dall’angolo sbagliato: a
Genova, semplicemente, le vie della visibilità
sono scarsamente conosciute e frequentate.
Secondo me, rispetto ad una città come
Milano, dove sembra di trovare di tutto, dove
generi e trends sono presenti al completo, qui
a Genova la stagnazione è vera solo in superficie: c’è un vero e proprio sottobosco di pulsioni artistiche underground, che alla fine però
restano sepolte. Non emergono. Ma la cosa
incredibile è che Genova in realtà pullula di
queste cose, come non ho visto da nessun’altra parte. Ma magari qui si avvantaggiano situazioni molto meno interessanti, che arrivano
ad una sovraesposizione immeritata.
20 CMPST #8[12.2008]
Genova pullula di queste “pulsioni artistiche”, quindi. In numero superiore perfino alla
succitata metropoli meneghina, ma manca la
forza per consacrarle, al momento del dunque
non trovano sbocchi. Altrove però paiono esserci, tra quanti operano nello stesso settore,
antenne molto più concrete e attente, e non
appena qualcosa di valido si agita sotto la
superficie non esitano a farsi sotto. Come testimonia il manifesto di pagina 23: Londra un
anno fa, il club Aquarium, una serata di culto
con artisti del roster Cocoon, della Kompakt,
della Border Community e tra questi, tra i
nomi a caratteri più grandi, quello di Ory! A
questo punto, urge sapere com’è andata.
E’ successo che dopo la mia release sull’etichetta di Berlino, la Autist, ho avuto un sacco
Premessa solo per quest’episodio:
per gli aficionados della techno,
vera e propria comunità trasversale
di ravers instancabili e clubbers impenitenti che si ritrovano ovunque,
e senza premeditazione, ogni qual
volta ha senso esserci, in Italia, nel
resto d’Europa, dal Club to Club
al Sonar, da sperduti resort in Cornovaglia ai club di Berlino, Genova
semplicemente non esiste. Dopo
l’età d’oro, la prima metà degli anni
’90, le rotte per un buon technoparty
transitano sempre più al largo dalla
nostra città. Ultimamente qualche
segnale di risveglio c’è, promettenti
ma ancora flebili vagiti: sono orgogliosi tentativi di spezzare l’automarginalità, ma anche gli inerziali frutti
di una seconda ondata di scene,
esplose su scala globale sull’onda
del successo della minimal, una
marea di tale portata da non poter
restare tagliati fuori. Qualcosa doveva muoversi per forza, insomma. Ma
nonostante le increspature le nostre
acque restano sempre troppo sta-
Produzioni
gnanti: le ultime due stagioni di un
club come lo 010 (forse giunto ad un
nuovo, prematuro capolinea) sono la
testa di ponte del rinnovato impulso,
una situazione capace di riprendere fili interrotti per la presenza di un
nome storico della techno a Genova
come Roby J, e di ripristinare una
politica di resident djs che abituino
il pubblico a ricercare la buona musica con passione (Verrina, Foglino,
Baroffio aka SMBP, lo stesso Roby
J) e non solo quando a proporla è la
guest di grido. Una situazione, quella
dello Zerodieci, grazie alla quale la
città è diventata tappa sempre meno
sporadica per artisti le cui agenzie
fino a due/tre anni fa nemmeno ipotizzavano un tour qui da noi: e bene
o male i nomi più interessanti che
stanno muovendosi underground,
quelli potenzialmente capaci di dare
un futuro alla techno, alla house, alla
musica elettronica, sono stati testati
anche da noi. Sono emerse poi giovani realtà nostrane, come Flexible,
già apparsa su queste pagine, ma
difficoltà impensabili si oppongono
continuamente a queste realtà in fin
dei conti ancora, e sempre, in emersione. Fine della premessa, valida
per tutte le chiacchierate a partire
da questa. Dove finiamo per soffermarci su quanto d’interessante esce
dalle teste di questi producers di
talento che, pur alieni alla luce del
sole, in realtà non mancano neanche qui da noi. Tanto che parlando
con Ory J aka Punknown (non solo
un calembour, un nick molto significativo ai fini di quanto stiamo dicendo.) si fa strada una considerazione
di questo tipo…
di visibilità e probabilmente anche il suono
particolare di quell’ep, un 4 tracce particolarmente dark, si adattava un pochino di più a
quello che era l’ambient londinese, e quindi
sono stato contattato dal ragazzo che organizzava questo party per andare su a suonare.
Non in dj set, loro erano proprio interessati al
prodotto che avevano sentito sulla release.
Quindi sono andato su a fare il live e mi hanno accolto bene, nel senso che mi hanno
trattato, cosa che mi ha stupito, realmente da
artista: non che non lo fossi, però su la visuale
è forse un po’ più professionale verso l’artista,
nel senso che tu arrivi, ti vengono a prendere
e ti portano in albergo, hai tutto quello che ti
serve, ti portano nel locale e insomma, vieni
trattato proprio da artista al 100%. Grazie soprattutto ad una release su un’etichetta che
a livello europeo è tenuta abbastanza in considerazione. Successivamente a questa ovviamente ne ho fatte altre, ma da lì è nato il
contatto, l’interessamento verso di me e la mia
musica.
E com’è andata la serata?
La serata è andata bene. Erano due le sale,
nella sala principale suonavano i local più
importanti tra i quali Phil Kieran e tutti gli altri,
nella mia, più piccola, c’era questa situazione
di live set e la gente è rimasta contenta, e anch’io sono rimasto stupito dell’attenzione mostrata al prodotto che stavo offrendo in quel
momento.
Da parte del pubblico?
Da parte del pubblico, quindi nel momento
in cui tu suoni. In Italia spesso chi si avvicina in
consolle, viene anche chi ti fa i complimenti
ma il più delle volte viene per chiederti qualcosa del tipo “oh c’hai mica quel disco lì”
“c’hai mica quel disco là” “puoi mettere mica
questo” e magari non capiscono neanche
che tu in quel momento stai suonando un live,
e quindi non puoi cambiare nel senso che i
pezzi sono tuoi, tu stai suonando la tua musica
Ory J al lavoro
e il concetto è totalmente diverso. Lì, invece,
c’è un interessamento proprio verso il prodotto che tu offri, quindi vengono e ti chiedono
magari “ma questa musica dove la posso trovare?”, ascoltano con interesse e per questo
sono anche più critici, però la cosa bella è
che sono comunque interessati a quello che
fai e sentono la differenza: non sanno di ascoltare un dj set x o un live set x, sanno che stanno
ascoltando un live set di quell’artista e sono
interessati a capire e a conoscere meglio il tuo
prodotto. La cosa bella è stata quella.
Ospiti importanti ed artisti emergenti, a contatto: una consuetudine, per quel pubblico.
C’erano anche artisti sempre magari locali
ma che erano collegati più a situazioni di etichette indipendenti, e magari forse neanche
tanto conosciuti da noi. Sicuramente è consueto a Londra entrare in un posto del genere
e trovare situazioni di questo tipo. Tra l’altro oltre a me c’era anche un’altra persona che veniva dal Portogallo, che è Zentex e ha fatto il
live praticamente a cascata con il mio, anche
se di un genere diverso, ed ha avuto lo stesso
tipo di feedback.
21 CMPST #8[12.2008]
Produzioni
Zentex è un nome che ultimamente è circolato molto nell’underground, non proprio uno
sconosciuto...
Si, tra l’altro ha fatto molte releases su etichette importanti, vedi la cosa bella è stata
arrivare dall’Italia e trovare artisti validi provenienti da altre parti, che so, dal Portogallo.
La Autist però non è una netlabel.
No, la Autist è un’etichetta a tutti gli effetti,
nel senso che ha fatto le prime sei releases
esclusivamente in vinile, perché esiste ormai
dal 1998 ed era nata proprio come etichetta
techno, poi con l’avvento del digitale anche
loro ovviamente si sono dati al digitale e praticamente ora fanno solo digitale. Però alla
base di una netlabel c’è l’idea di dare la musica free, loro sono una label nel senso che la
musica loro la vendono, non la regalano. Una
label che a tutt’oggi ha molti consensi.
Le netlabels invece permettono di far circolare la musica fuori dalle logiche di mercato,
ma soprattutto di aggirare le pastoie in cui per
ragioni mai del tutto limpide si fermano le cose
che non sono considerate di moda. Tra queste, Costreet!
Si, infatti il discorso netlabel che ho voluto
mettere in piedi con Costreet è proprio questo,
proprio perché iniziando a fare produzioni per
altre etichette nel mercato digitale mi sono
accorto che sì un sacco di artisti possono far
trovare e vendere la propria musica, ma il mercato che si crea diventa... come dire? Perde
la qualità. Questo perché, nel momento in cui
tu acquisti un vinile lo paghi x e una royalty va
all’artista, però ovviamente ci sono le spese di
produzione e un margine perché una label le
possa sostenere, facendo il digitale invece le
etichette non hanno nessuna spesa di produzione, però per guadagnare devono vendere un numero abnorme di mp3, perché tu un
mp3 lo puoi vendere a 1e, 1 e 50, calcola che
la media è suddivisa a 1/3, cioè un terzo va
all’artista, un terzo all’etichetta e un terzo al di22 CMPST #8[12.2008]
stributore digitale, quindi più e.p. riesce a produrre e più un’etichetta, nel numero, guadagna. Solo che così il mercato si satura e perde
qualità, perché a questo punto per guadagnare un’etichetta ogni settimana, ogni due
settimane deve proporre un artista nuovo con
un progetto nuovo, una cosa nuova: questo
vuol dire che a volte devi produrre anche in
modo forzato. Così non vanno tanto per il sottile, una volta producono x, che garantisce 100
download, la volta dopo y e alla fine dell’anno tirano su una cifra che gli permette di fare
altre cose, o con cui comunque l’etichetta e
chi la gestisce sopravvivono. Proprio per questo ho voluto fare un discorso contrario, perché questa logica va contro il prodotto stesso:
uno che fa musica e magari musica techno
non è che fa tutta la vita quel dato genere
di techno, magari ci sono momenti della vita
in cui ascolti generi più contaminati, o senti
più tuo un certo genere musicale piuttosto
che un altro e vuoi esprimerti in una maniera
diversa, però magari a quel punto non trovi
un’etichetta! Per dire, la stessa Autist se prende una certa linea musicale, una certa linea
di mercato magari poi non è più interessata
ad un prodotto che non corrisponde a quella
linea, e il problema è proprio questo, che alla
fine per le logiche di mercato tutte le etichette
tendono ad accumulare un numero enorme
di produzioni sostanzialmente simili. Allora, siccome credo in questi progetti alternativi, che
magari, se tu li metti su Beatport o comunque
li dai ad un’etichetta, sempre che abbia l’intenzione di pubblicarli, non riscuotono tanto
interesse perché…
Perchè magari hanno bisogno di maturare
con il tempo, senza l’assillo del successo ad
ogni costo.
Certo, esatto, soprattutto senza questa
cosa, senza l’idea che il prodotto che tu dai
è valido solo perché potenzialmente può valere x download o x vendite, e allora a quel
punto ho preferito creare questo canale dove
l’artista potesse realmente esprimere al 100%
quella che era la sua concezione di musica
elettronica, di musica techno, di musica house, quello che è. E darla gratuitamente. Però
il prodotto non è assolutamente contaminato
da nessun tipo di situazione che possa essere
economica, o comunque di propaganda di
un certo tipo di situazione: è solamente la musica, fine a se stessa.
Sapresti dire quanti download hanno avuto
le release della Costreet? Anche a spanne,
magari a giudicare dai feedback ricevuti (la
domanda richiede un controllo del traffico del
sito e la risposta arriverà per email, qualche
giorno dopo).
Sicuramente ogni release supera o rimane
poco sotto i 1000 download, per il momento,
ma non avendo un dato chiaro potrebbero
essere gli stessi utenti a scaricarle quindi, scremando il dato per renderlo più veritiero, direi
500-600. Ma non possono essere dati scientifici.
Invece, il nome? Costreet per assonanza mi
ha dato l’idea di qualcosa che era ormai costretto ad uscir fuori, e mi ha anche dato l’idea
per intitolare questa serie di chiacchierate…
ma dimmi, se ho mancato il bersaglio.
No no, infatti: Costreet è un po’ l’italianizzazione di quello che voleva essere, un nome
nato per gioco. Avevo in mente da tantissimi
anni l’idea di fare quest’etichetta. Ovviamente 10 anni fa non era pensabile poter tirare su
un discorso di questo tipo, anche per i costi,
invece oggi grazie a internet, grazie a cose
tipo le licenze creative commons che si sono
costituite uno può tirarsi su un’etichetta e dare
la sua musica tranquillamente, ed essendo
anche tutelato, no? Costreet nasce appunto
con un mio amico, stavamo scherzando proprio sul fatto di essere costretti, è un po’ anche
l’immagine di una gioventù che abbiamo
passato e che probabilmente tanti giovani
ancora adesso passano a Genova, no? E’ una
Produzioni
La prima release è a mia nome, ho fatto un
e.p. di tracce che paradossalmente erano
state tutte scartate da altre etichette ma sulle
quali volevo puntare, in cui credevo tantissimo, mi dispiaceva proprio tenerle lì. Allora ho
voluto fare questa release strana, fondamentalmente strana, strana nel senso che non era
adatta come prodotto esclusivamente per il
dancefloor, no? Era sicuramente un prodotto
dance, però arricchito, più contaminato, diciamo tra virgolette “intelligent”. E infatti l’ho
voluta chiamare Tribute proprio per questo
motivo, intanto un tributo che facevo a quello
che era il mio background, alla musica che
ascolto che non è per forza esclusivamente
techno, e poi perché credevo tantissimo in
alcuni pezzi che avevo fatto e volevo dar loro
comunque visibilità.
città che ti costringe a vivere una certa realtà,
dalla quale vorresti fuggire ma nella quale sei
costretto a rimanere, dove provi un odio-amore, qualcosa che ti mantiene legato a questa
realtà. E, senza italianizzare, il nome Co-street
richiama comunque l’idea di una street company, no? Una compagnia nata nella strada,
vivendo proprio la strada, Genova, con tutte
le realtà che potevano esserci underground,
nel territorio genovese o ligure, e che sono rimaste vive. Ed è nata Costreet. Una cosa dal
basso. Il senso è quello, si.
La prima release è a tuo nome giusto?
Si, suona come un biglietto da visita, traccia
quelle che sono le tue coordinate sonore.
Si, esattamente, a me piace pensare come
quando compravo i dischi, non che oggi non
li compri più, però quando li compravo come
una volta, passando le giornate nei negozi
di dischi, mi piaceva pensare che ogni vinile
avesse una storia alle spalle, un suo concetto, e nel momento in cui ne prendevi uno,
pensandolo come un momento particolare,
esclusivo, di una storia più articolata, costruivi
mentalmente anche il dj set: mi piaceva pensare subito come sarei riuscito ad incastrare i
vari generi che poi, alla fine, nel momento in
cui tu suoni, quando crei questa colonna sonora per le persone che vivono il club, danno
la sensazione di ascoltare non un suono sempre uguale a se stesso, omogeneo, ma come
tante piccole perle tutte collegate da un filo.
E come Costreet ho voluto fare esattamente
questo, sono voluto partire con questo tipo
di prodotto che sicuramente era un prodotto
che intanto non si trovava sul mercato, almeno per quanto riguarda il digitale, perché era
un prodotto in cui credevo, e da lì ho voluto
applicare la stessa logica alle altre releases
che sono state fatte poi su Costreet, e se tu
ascolti ogni release ti accorgi che ognuna ha
la propria identità ma allo stesso tempo si può
trovare un legame tra di loro e costruire magari un set, mixandole.
Dici che non sono strettamente orientate al
dancefloor, ma mi sembra evidente la ricerca
di un equilibrio tra la ricercatezza sonora e la
ballabilità, perché poi ballare è il modo in cui
alla fine il pubblico viene a contatto con una
proposta musicale.
Si, sicuramente c’è un buon compromesso
tra le due cose. Poi, sai, dire adatto al dancefloor dipende sempre dal contesto, perché
tanto tu lo saprai sicuramente meglio di me
che altrove il dancefloor è concepito in maniera differente da quello che potrebbe essere il dancefloor concepito qua, quindi magari
dire che non sono adatte al dancefloor è…sicuramente non sono adatte ad un certo tipo
di dancefloor.
Sembrano anche concepite come tracce
da live, più che bombe isolate per un dj set
fatto di hit.
Si sono sicuramente tracce da eseguire
live.
Ascoltandole, mi sono appuntato un po’ di
cose sparse riguardo gli autori delle release.
Correggimi se sbaglio: Seba kiodin (http://
www.myspace.com/sebakiodin) mi sembra
quello che cerca di più la fuga dall’orecchiabilità, dall’immediatezza sia del ritmo sia
anche della melodia, Masta e Faktor (http://
www.myspace.com/mastafaktor) quelli proprio devoti ai suoni del passato, fondanti, che
so Detroit o prima Warp, ma sempre comunque attualizzati, Molex (http://www.myspace.
com/molex82) quello che invece agisce più
sottopelle, il più acido del team.
Allora, Seba è un ragazzo di PD che ho conosciuto la scorsa estate quando sono andato
a suonare a Bologna. A me piace molto il suo
23 CMPST #8[12.2008]
Produzioni
perché è un prodotto di matrice house ma
completamente fuori dagli standard in questo
momento, in un dj set sentire suonare roba del
genere, soprattutto qua, è difficile. Lui stesso
ha difficoltà nel proporsi. Tieni presente che
questa release è l’unica che ha fatto nella sua
vita, ho ascoltato molte cose sue e sono veramente valide, e per me questa cosa ha dell’incredibile. Un po’ andrà anche a fortuna, forse,
però mi sembra strano che nessun’etichetta
trovi interesse in questo tipo di suoni. Molex invece è il più giovane…
Immaginavo.
Esatto, è uno di quelli che probabilmente
ha subito di più tutta questa ondata di nuova
musica techno degli ultimi anni. Secondo me
vale anche lui, tra l’altro ha fatto un’uscita in vinile su Leftuum, l’etichetta di Marc Ashken, un
pezzo inserito in una compilation di vari artisti,
voglio dire, lui, un ligure.
Di Genova.
Si, di Genova e comunque nel suo essere
contemporaneo secondo me ha un tocco
originale nelle cose che fa, anche lui è uno
che da qui a breve troverà sicuramente una
collocazione tra gli artisti emergenti della musica techno contemporanea, minimal o quel
genere lì. Mastafaktor invece…
Li conosciamo
Si, li conosciamo da tempo, loro hanno sicuramente un tocco più maturo nel produrre
musica elettronica, tra l’altro è uscito un loro
vinile su Mina records, etichetta svizzera, e un
loro pezzo è stato appena remixato da gente
come Agnes, Dave DK, se cerchi in rete lo trovi
(appena avvistato, infatti, tra le novità su juno.
co.uk, un terzo remixer è Drei Farben). E’ uscito il 20 agosto. Voglio dire, sono artisti che nel
loro genere hanno visibilità anche all’estero,
producendo come nel caso di Mastafaktor e
Molex anche vinile, tutti e tre fanno parte di
Costreet e, come ti dicevo, al’interno di Co24 CMPST #8[12.2008]
street hanno una loro logica.
Vi siete trovati seguendo la stessa direzione.
Esatto, è stato bello collaborare, perché comunque la release di Mastafaktor è stata fatta
in collaborazione, lavorando tutti quanti insieme per cercare di tirar fuori un buon prodotto,
poi è subentrata anche Bellotta, che è una
ragazza di vent’anni, argentina (http://www.
myspace.com/belusalinas), che ha fatto un
remix per noi, secondo me bellissimo, e questo link con l’Argentina per noi è stato anche
motivo d’orgoglio.
Si torna all’abusato discorso per cui, soprattutto a Genova, nemo propheta in patria ma
poi quando le cose circolano, magari in rete
e a disposizione di tutti, le affinità con altre
scene vengono fuori e forse si scorge meglio
anche la propria, di identità.
La cosa strana è che all’estero non si ha la
percezione della vera realtà, di come vivono
la loro cosa gli artisti di qua: qua chi fa musica di questo tipo, magari per hobby, riceve
come me un sacco di email dall’estero e si
rende conto che là hanno un’idea completamente diversa, siccome là ci campano: questi ragazzi che mi hanno chiamato da Londra
ci vivono con queste cose, organizzando le
serate, vivendo nei club, come scelta di vita.
Qua, è molto difficile. E’ molto difficile fare una
scelta di questo tipo, quindi quando tu vai lì, e
magari hai anche delle release all’attivo, sei
un artista che bene o male ha una determinata visibilità, per loro è scontato che tu faccia
questo nella vita. Quindi io dall’estero ricevo
un sacco di email di gente che, a parte farmi
i complimenti per questa o quella release, mi
tratta come se fossi non dico come uno arrivato, ma uno che comunque con queste cose
ci campa. Da una parte mi spinge a continuare ad andare avanti, dall’altra dico però,
possibile che…
Un’arma a doppio taglio: da una parte, dici,
La cover della prima uscita
strappando tempo di qua e di là sono riuscito
a creare qualcosa di competitivo con quello
che esce nel resto del mondo, l’altra faccia
della medaglia è dire cazzo se potessi dedicarmici a tempo pieno, eliminerei tanti sacrifici supplementari, a volte possibili ma altre
volte no.
Infatti anche la release con Mastafaktor
ha richiesto molto impegno da parte di tutti,
comunque, in base agli impegni di tutti, lavoro, cazzi e tutto il resto, vedersi magari la sera,
fare, sai, poi pesa la stanchezza, subentra un
po’ di svogliatezza, magari c’è gente che comunque ha fatto delle release e vede che
non ha ancora dei feedback. Il problema non
è all’estero, è in casa tua, fuori io vedo gente
che mi manda un sacco di promo pensando di darmi la loro musica perché io la possa
suonare e dargli un feedback. Arrivano non
solo da ragazzi, anche da etichette, all’estero scatta un meccanismo per cui se vedono
che sei un artista di un certo tipo danno per
Produzioni
scontato che tu faccia questo nella vita e
automaticamente ti arrivano feedback, automaticamente ti arrivano promo, vogliono
sapere il tuo parere, ti chiedono di collaborare, ci sono agenzie che curano la distribuzione
dei promo di diverse etichette e monetizzano
quest’attività in base ai feedback, a quanto
se ne parla. In Italia questo non succede. Mi
è arrivato un ultimo promo dalla Tuning Spork,
di Minimono che è anche un amico mio, remixato da Jay Haze.. mentre il disco che esce
di x, y, di un’italiano su etichetta italiana mica
te lo mandano, magari ti arriva il comunicato
che dice è uscito questo disco e se vuoi te lo
vai a comprare, al di là del fatto che tu puoi
decidere se suonarlo o no, e se ti piace o no.
All’estero ragionano diversamente, se tu fai
queste cose sei visto come un professionista:
lo fai di mestiere. E ti trattano come tale.
Mi hai accennato del clima che si è venuto
a creare in occasione della collaborazione
con Mastafaktor, ci vuoi svelare qualche segreto su come realizzate i pezzi, se collaborate
spesso o lavorate autonomamente, o se ogni
disco fa storia a sé...
Questo disco in particolare è stato creato in
team perché abbiamo voluto che tutto uscisse dallo stesso banco. Ognuno poi fa i dischi a
casa propria col proprio studio, la mia release
l’ho fatta a casa mia, Molex a casa sua, per
quanto riguarda Mastafaktor invece ognuno
di noi ha lavorato a casa propria ma poi abbiamo portato le produzioni per fare il master
finale da loro, per dargli un suono omogeneo.
Quindi abbiamo seguito le stesse regole, diciamo, di suono, per tutta la release. Però di
solito ognuno lavora per i cavoli suoi, ognuno
ha i propri trucchetti per far uscire il proprio
suono.
Bolle qualcos’altro in pentola?
Intanto uscirà un’altra release su un’etichetta argentina: mi piace sempre collaborare
(per la discografia: http://www.discogs.com/
artist/ory+j). Per quanto riguarda Costreet sto
ancora decidendo quale sarà la prossima,
sto valutando un po’ di cose ma ce ne sarà
sicuramente una. Devo ancora decidere, capire di chi. Per quanto riguarda il mio progetto
personale è continuare con Costreet, mi piacerebbe farla diventare un’etichetta a tutti gli
effetti.
So (lo so perché me l’hai detto tu, in un’altra
occasione..) che il tuo cruccio è la stampa in
vinile.
Si, vorrei fare in modo che diventasse un’etichetta a tutti gli effetti e quindi mantenere la
netlabel, con i prodotti magari non adatti al
vinile ma pur sempre di qualità, e stampare
vinili, produrre la nostra musica, fondamentalmente. Personalmente mi piace collaborare
quindi più contatti ricevo, più collaborazioni
ho meglio è per me, quindi in questo caso ci
sarà appunto una release sempre in digitale
per la Miniatura che è una label argentina, poi
altri progetti, con altre etichette.
Notavo la cura con cui è stato realizzato il
sito, pur nella sua essenzialità. Si sente quasi la
ricerca di un sentire comune non solo tra chi
produce la musica, ma anche nello scegliere
i collaboratori, magari gli amici, che seguono
tutti gli altri aspetti cui voi non potete star dietro
direttamente.
Si la cosa bella è che ovviamente essendo
un’etichetta il cui unico scopo fondamentalmente è quello di autopromuoversi non ci
sono fini lucrosi, di conseguenza la gente che
ne fa parte lavora per passione, per la voglia
di comunicare. Tu non hai visto la prima versione del sito. Ora è stato completamente rifatto
da un ragazzo di Imperia, e devo dire che il
risultato ci ha soddisfatti enormemente, siamo
certi che l’aspetto così curato dal punto di
vista grafico predispone molto meglio chi finisce a spulciare le nostre produzioni. Il ragazzo
che cura il sito, Dimitri, si fa chiamare DMY (
http://www.myspace.com/welovedimi ) e si
occupa fondamentalmente di visuals, e il sito
è nato in una sera: lo conosce bene Sergio dei
Mastafaktor, ci siamo visti ed è nato tutto così,
praticamente ascoltando in sottofondo la nostra musica che andava, e lui ha dato sfogo,
seguendo l’idea che volevamo trasmettere,
diciamo che è nato tutto in modo molto naturale. Il logo è stato creato così, non come un
lavoro commissionato, lui è comunque coinvolto nella musica elettronica e il lavoro è nato
dalla condivisione delle nostre idee, facendogli capire quello che ci interessava, perché ci
interessava anche avere un buon biglietto da
visita. Nel senso che un sito di buon livello grafico cattura di più l’attenzione e soprattutto se
i contenuti sono di buona fattura, non vanno
sprecati.
Visto che si è parlato di sintonia con le persone, su suggerimento di un amico bolognese vorrei allargare il discorso ad esperienze
diverse dalla musica che possono influire su
Un’immagine dello Zerodieci
25 CMPST #8[12.2008]
Produzioni
quello che fai: un libro, un film, un’abitudine,
un vizio...
Libro, ti direi Il piccolo Principe.
Non è la prima volta che sento questo titolo
in cima alle preferenze di qualcuno che conosco, mi sa che prima o poi dovrò deporre la
mia storica diffidenza e leggerlo…
Non è un libro pesante, te lo leggi in un pomeriggio e ogni volta che lo leggo svela comunque una visione differente di quello che
è il mio essere in quel momento. Film, un film
che mi piace e che potrebbe essere anche
scontato, ma te lo dico lo stesso è Matrix, perché.. quando era uscito mi ricordo che sono
andato a vederlo quattro volte. Al cinema.
All’epoca mi aveva proprio flashato, al di là
di come è costruito il film e del concetto che
lo tiene su, l’avevo sentito un film molto mio e
come me probabilmente tante persone. Matrix, il primo episodio, perché poi la trilogia, le
cagate uscite dopo mi avevano deluso. Però
il concetto dell’essere inconsapevole di vivere una realtà, coincideva un po’ con un mio
non dico malessere, ma quella sensazione di
essere sempre fuori posto, oppure cose che
uno prova, no? Da ragazzo, come tanti. Poi
a parlare di musica ci sono tanti movimenti
che hanno toccato questa sensazione. Poi,
hai detto… vizio, abitudine? A parte fare musica e ascoltarla, direi niente di particolare..
secondo me però tutto il contesto conta, una
persona deve trarre ispirazione da ogni cosa,
a me non è mai piaciuto essere catalogato in
un genere, o in una matrice particolare, quindi è per quello che le cose che faccio sono
sempre differenti, rielaborazioni di quello che
assorbo, ed ogni cosa può influenzarti in determinati periodi.
Torniamo in tema, visto che, anche se non lo
ammetterai mai, sei pure un grande dj: spesso chi produce come dj non è molto aperto,
viceversa ci sono grandi dj’s che magari non
hanno la stessa sensibilità in uno studio però
26 CMPST #8[12.2008]
Punknown e Molex Live @ Castellaccio 15/09/07 (Faktor sullo sfondo)
hanno la capacità rara di cogliere al momento giusto quello che si muove in giro, e valorizzarlo.
Sono cose che ho sempre fatto e ho sempre
sentito mie, anzi non sono nemmeno del tutto
soddisfatto delle cose che faccio e di come
sto dietro alla ricerca, figurati… ho sempre pensato una cosa, forse te l’ho anche già detta:
una volta, quando ho iniziato io, la differenza
la faceva la borsa dei dischi, nel senso che una
volta non c’era internet, non c’era il download,
non c’erano i computer portatili da portarsi
dietro con mille mp3 dentro e la differenza la
facevi tu, la tua voglia di spendere, buttare anche via dei soldi perché molto spesso, e questo
dipendeva dalle politiche dei vari negozi di dischi, tu ti trovavi ad ascoltare magari 100 dischi
ma comunque 100 dischi che ti davano loro
a prescindere, a meno che tu già non sapevi
cosa acquistare e allora andavi e chiedevi
proprio quel prodotto tale, ma una volta la differenza la faceva questo, io son sempre stato
uno che crede che il dj non sia uno che mette della musica così, a caso, ma sia uno che
Produzioni
“Poi, sai, è importante anche il
background. Perché secondo
me i ragazzi più giovani devono comunque farsi, ascoltare
tanta musica, mettersi lì e conoscere. Il problema è che la cultura non te la fai in due giorni.”
costruisce una colonna sonora, che per quella
serata costruisce un’emozione, no? Suonando
anche dischi che non sono tuoi, alla fine: tu
suoni la musica degli altri. E in base a questo
io mi sono dedicato totalmente alla ricerca
ma perché era qualcosa che a me piaceva
proprio, io passavo pomeriggi interi da un negozio all’altro ad ascoltare maree di dischi, e
la cosa di cui mi son reso conto e questa probabilmente è sempre stata la costante, è che
molto spesso in quest’attività è sempre stato
molto difficile riuscire poi a proporre dei set di
un certo tipo, però una volta ti ripeto la differenza la faceva la borsa dei dischi, e in base a
questo uno suonava. Però il concetto secondo
me è che uno dj lo deve essere, non è che lo
fa: quindi, essere dj è una cosa che devi avere
dentro, è l’espressione di un talento ma prima
ancora di un interesse che hai verso la musica. Perché sai, poi è sempre relativo, nel senso
che alla fine uno segue un proprio gusto, una
ricerca che è sua personale: può anche non
essere condivisa da chi sta a sentire, ma non è
che per forza chi ascolta deve capire, certo nel
momento in cui vai a suonare in un posto e magari sei pagato per fare una cosa il tuo dovere
è far ballare le persone, non è che devi andare
lì a mettere.. chiaro. Però sotto questo punto di
vista io sono uno che crede che il dj, chi fa il dj
di professione è il cuscinetto che sta tra l’underground e la massa, io ho sempre pensato questo. Cioè, tu sei colui che mette a conoscenza.
Anche se ormai comunque si è molto allargato
anche il concetto di underground, vedo che
ci sono persone in giro che magari non fanno
i disc jockey e conoscono un sacco di musica
elettronica, che conoscono un sacco di artisti
e dj, questo sempre per l’esplosione delle comunicazioni e tutto il resto quindi tutto è molto
più fruibile da parte di tutti, però c’è ancora
una fascia di underground secondo me che è
sempre lavoro del dj, in base alla propria sensibilità e ai propri gusti, mettere a contatto con le
persone che vanno a ballare. Cioè quando vai
a sentire uno bravo è perché ti fa sentire qualcosa che in quel momento lì, per come la mette, per come la miscela, per come cazzo ne so
ti sta comunicando un qualcosa di diverso, lo
senti proprio diverso.
Un classico è sentire un pezzo incredibile da
un dj, fare carte false per trovarlo e quando finalmente lo metti tu non fa più lo stesso effetto.
Questo purtroppo dipende anche dal dancefloor che trovi… comunque è sempre l’incastro che conta, è sempre trovare l’armonia,
la linea armonica che sia originale e fatta con
raziocinio, con spirito.
Tu da dj genovese stai trovando qualcosa di
valido nell’underground di questa città? Così
magari mi dai lo spunto per inanellare una catena di articoli…
Non voglio fare nomi perché non vorrei pigliarmi dei vaffa, da qualcuno…
Che non nomini?
Da chi non nomino, da chi nomino, guarda…
a Genova manca tutto, soprattutto la cultura
da parte del pubblico, però i primi anni che ho
cominciato a fare il dj alla fine tutti i dj che andavano a suonare nei club più importanti in quel
periodo, dal centro al sud, erano quasi tutti genovesi, nel senso: ce n’erano un sacco.
Cos’è successo allora?
Eh, è successo che comunque questo è un
ambiente difficile, tra gli stessi artisti purtroppo
non vive un ambiente di solidarietà, non vive un
ambiente di rispetto, probabilmente sarà anche
tipico del ligure che in linea di massima è una
persona un po’ chiusa…
No, te lo dico perché se vai in giro per parties, ti chiedono di dove sei e rispondi di Genova, produci lo stesso effetto di nominare una
città fantasma…
Ma siamo una città fantasma! Però vedi secondo me è qualcosa che non ha tanto a che
fare con l’essere genovese, piuttosto… lì ci sono
un sacco di aspetti che bisognerebbe mettere
in fila, al di là dell’artista emergente ligure o genovese o che ne so, poi sai è importante anche
il background. Perché secondo me i ragazzi
più giovani devono comunque farsi, ascoltare
tanta musica, mettersi lì e conoscere, il problema è che la cultura non te la fai in due giorni,
io vedo molti ragazzi che oggi sono un po’ più
grandi quando gli parlavi di house dicevano no,
house, i cantati, che schifo, e oggi si sono rotti
le scatole di ascoltare i martelloni e invece apprezzano magari le produzioni che uscivano 15
anni fa di Todd Terry, Frankie Knuckles, di tutta sta
gente qua e oggi magari han voglia di suonare
quella roba lì. Però tu che l’hai vissuta 15 anni fa
oggi tu vedi il contrasto nel proporre quella musica lì, perché dici cazzo io l’ascoltavo 10 anni fa,
semmai oggi mi piacerebbe suonare qualcosa
che fa riferimento a quel periodo ma magari
non tutta quella musica lì. Questo per dirti che
se non ascoltano, non fanno conoscenza e non
si informano e non si comprano anche dei dischi 70, 80, non so, quelli che sono stati i grandi
movimenti musicali, uno deve conoscere per
poter anche a un certo punto far bella figura.
Non so, oggi nessuno sa chi è Giorgio Moroder,
ma tutti suonano I feel love senza sapere che c’è
un italiano dietro, che seppure a fatica si è visto
riconoscere il suo ruolo nella storia della musica,
oggi tutti sanno chi è Richie Hawtin, stanno tutti
dietro la Minus e la Plus 8 ma se 10 anni fa te ne
uscivi con un disco di Plastikman rischiavi i pomodori. La cultura, uno non se la improvvisa.
Più info su Ory J e la Costreet su
http://www.myspace.com/punknown
http://www.myspace.com/costreetrec
27 CMPST #8[12.2008]
Import
“In realtà c’è una competizione incredibile tra gruppi, e non
solo, che è assolutamente deleteria per tutti, per chi organizza,
per i gruppi e per il pubblico.“
Second Skin
Intervista con Claudia e Francesco
di Giulio Olivieri
SECONDA PELLE
A sfogliare i numeri di Compost usciti sinora si può notare come siano stati sfiorati quasi tutti i generi musicali, tranne - se non di sfuggita
- quel magmatico universo che è il metal. Area vastissima - su cui il rischio di generalizzare è, in pratica, ad ogni parola, tanto che già il solo
scrivere questo è parlare per luoghi comuni - e su cui scrivere cazzate
è abbastanza facile, il metal a Genova ha sempre avuto un seguito
non indifferente; un fatto che negli ultimi anni il sottoscritto ha potuto
verificare in diversi concerti. Come primo incontro con questo genere
non potevamo trovare di meglio che intervistare Claudia e Francesco
/ Cisco di Second Skin: da qualche anno a questa parte Second Skin si
è imposta come l’organizzazione di riferimento genovese per i concerti
di area metal, grazie ad una programmazione varia (dal metal-core
al death, dallo stoner al grind, ma arrivando persino all’hip hop) e di
qualità che è riuscita a convincere non solo chi segue il genere ma
anche chi proviene da altre esperienze musicali. L’idea, poi, di organizzare, soprattutto, veri e propri mini-festival tematici rende spesso le
loro iniziative tra le più interessanti del panorama cittadino. Noterete
che, forse, alla fine, si parla meno di musica e più di quello che uno fa
quando lavora con la musica: un’altra occasione per vedere (e capire
un po meglio) cosa accade dietro le quinte.
28 CMPST #8[12.2008]
Come nasce “Second Skin”? C’è stato un momento particolare che vi ha fatto dire “ora ci provo anch’io”?
Claudia: Second Skin nasce nell’agosto del 2006 davvero per caso. Il periodo era davvero terribile: avevo subito un
brutto lutto in famiglia e uscivo messa
male da una storiaccia… Un giorno mi
scrive su msn un amico chiedendomi se
ci poteva essere la possibilità di organizzare un live a Genova per il suo gruppo,
i Payback. Senza nemmeno troppi pensieri ho chiesto a quello che era il gestore della Madeleine se potevo organizzare questo live (ignorando in realtà tutto
quello che c’era dietro ad un live). Gezio
mi disse subito si, e da lì iniziò tutto. Fissammo la data per il 27 ottobre (2006)
ed iniziai a guardarmi intorno ed informarmi in merito a cosa dovevo e non dovevo fare. Il nome Second Skin in sé, è il
titolo di un pezzo degli Skinlab (Second
Skin: The New Flesh), un gruppo thrash
metal di San Francisco che ascoltavo ed
ascolto tutt’ora. In realtà, visto il periodo
mi sembrava il nome più azzeccato per
Import
la ”pellaccia” che avevo messo su non
per scelta mia ma per situazioni esterne.
Nessun momento particolare mi ha portata a dire “ora ci provo anche io” perché in realtà a prescindere dalla scena
musicale a Genova, ero davvero alla
frutta per i fatti miei e, non avendo nulla
da perdere, la vedevo come un’esperienza positiva con la quale potevo solo
che maturare ed aiutarmi da sola.
periodo ero totalmente sola salvo Lorenzo (Krin - DSA COMMANDO) che curava
le grafiche già dalla prima data e che
mi segue tutt’ora. Riccardo si è unito a
noi nel febbraio 2007 nella prima data
al c.s.o.a Emiliano Zapata e poi definitivamente la stagione successiva come
fonico, insieme a Francesco che invece
organizza con me, e infine Luca come
secondo fonico.
Il primo passo fu -se non erro- la serie
di concerti alla Madeleine, che mi par
di ricordare pienissima la prima sera...
Cosa vi è rimasto come esperienze di
quei primi concerti?
C: Ero felicissima. Non pensavo potesse interessare a qualcuno ciò che avevo
organizzato. La prima data, era stata fatta in collaborazione con Matteo di Rock
in Genova, che aveva più esperienza di
me. Doveva essere solo un evento “isolato” ma Gezio mi chiese di fissare ancora
dei gruppi fino a Dicembre, visto il riscontro che aveva avuto la serata (si pensava ci fossero state 200-250 persone in totale tra dentro e fuori… Alle 23 Via della
Maddalena era piena). Così iniziai a cercare gruppi su myspace e a seguire ancora di più i live in giro per l’Italia e da lì,
i mesi successivi suonarono: Kernel Zero,
Stigma, Asura, Break is Over, Elder Fate,
Evil Vikings, Naema, Rumors of Gehenna,
Ritual of Rebirth, Last Minute to Jaffna,
Sinè etc. Più passava il tempo e più organizzare diventava aria per i polmoni…
Ed io iniziavo a riprendermi. L’esperienza
Madeleine è stata indubbiamente molto
bella, ho imparato a gestire meglio le serate “in piccolo”: tenete conto che quel
Se la memoria non mi inganna avevate già fatto partire la pagina myspace
prima di annunciare i primi concerti e
da allora è stato uno dei canali principali per comunicare le date: ma allora
questo web 2.0 (myspace, facebook e
compagnia varia) è utile o no per chi
lavora nella musica (specie in una città
senza una radio che possa fare da punto
di riferimento e in cui la stampa cittadina
dedica spesso poco spazio alla musica
dal vivo)? E, a proposito di comunicazione, la grafica dei vostri flyer e poster
è sempre stata abbastanza riconoscibile e d’impatto: chi si occupa di questo
aspetto?
C: Si, il profilo myspace di 2nd skin fu
aperto pochi giorni dopo aver fissato la
prima data. L’idea di Rock in Genova era
buona ed immediata, quindi continuai
anche io seguendo quella linea aprendo però il myspace musicale, perché la
mia intenzione era quella di dare la possibilità di ascoltare gli mp3 dei gruppi
prima di ogni concerto: una sorta di “almeno non puoi dire che non ti piacciono
finchè non li hai sentiti”. Myspace è stato, ed è ancora oggi il canale principale
da noi utilizzato per sponsorizzare le no-
Claudia - Foto di Simone Lezzi
stre serate, oltre al mitico attacchinaggio old school! Come già detto prima, il
nostro grafico è da sempre Krin. Siamo
entrambi della provincia di Savona e lo
conoscevo di vista già da anni, ma da
buoni Savonesi quali siamo, non ci siamo
quasi mai parlati, fino a quando non ci
siamo ritrovati per caso nello stesso corso di laurea, ovvero Disegno Industriale. I
primi di settembre del 2006 ci siamo visti
per caso al Banano Tsunami in condizioni
abbastanza “alcoliche”, gli ho racconta29 CMPST #8[12.2008]
Import
Francesco nelle foto promo dei Sin Of Lot - Foto di Simone Lezzi
to del progetto e si è offerto di aiutarmi
com” ma come “11am”. In generale se
con le grafiche (visto che sono palese- la pubblicità è l’anima del commercio, a
mente negata nelle composizioni grafi- lui in ogni caso devo molto.
che di qualsiasi tipo). Oltre questa collaborazione, che dura da ancora prima
Da organizzare date al booking: cosa
che iniziasse il progetto 2nd skin, è nata vi ha mosso verso questo nuova situaziosenza dubbio anche una bella amicizia.
ne? E, alla luce dei rapporti con locali e
Ad oggi lui si occupa di video-motionsituazioni di altre città, come è cambiato
graphics, ha realizzato le grafiche del
(se è cambiato) il vostro modo di vedere
cd dei Klasse Kriminale Strenght & Unity
la situazione musicale genovese?
(2007) e tutte quelle del suo gruppo rap
C: Il salto di qualità è arrivato con Ciunderground, i DSA COMMANDO. Prossi- sco, Ricky e Luca… Nettamente!!! Da
mamente potrete riconoscere le sue gra- sola non potevo pensare di fare altro.
fiche non più come “krin183@hotmail.
Con un valido aiuto e due fonici prepa30 CMPST #8[12.2008]
rati, possiamo permetterci di allargare il
nostro target di bands e portarle a Genova. Infatti ci siamo uniti alla United
Booking Network (nell’ottobre 2007) che
comprende altre quattro città (Padova,
Torino, Roma e Pescara), collaboriamo
spesso anche singolarmente con queste
quattro realtà passandoci tour esteri o
semplicemente facendo girare in promozione gruppi italiani con CD appena
pubblicati. Abbiamo abbandonato i
locali per organizzare solo in centri sociali e collaborare con essi. Un esempio
è la realtà Malevoci D.I.Y. con la quale
abbiamo organizziamo un paio di live
quest’anno. Lorenzo (Malevoci) si sbatte come noi e con noi ed è molto alla
mano; ed anche in questo caso è nata
un’amicizia. Il nostro modo di vedere la
scena Genovese… Preferirei che lo definisse Cisco, nota la mia grande diplomazia… E note le critiche smosse da un
anno a questa parte su diversi forum da
una persona a mio avviso davvero ignorante. Per quanto mi riguarda mi limiterò
a citare Kaos dicendo: “qualcuno parla
piano, io vado più lontano”.
Francesco: Dal mio punto di vista il
panorama musicale genovese non è
cambiato tanto, si è completamente
stravolto. Mentre prima pensavo che in
qualche modo ci fosse una scena con la
S maiuscola dove i gruppi si supportano,
dopo aver ampliato il target mi sono reso
conto che non esiste proprio la cosi detta
“scena”. In realtà c’è una competizione
incredibile tra gruppi, e non solo, che è
assolutamente deleteria per tutti, per chi
organizza, per i gruppi e per il pubblico.
Ci si trova in situazioni paradossali, dove
Illustrazione di Krin da una locandina
chi si lamenta che non ci sono possibilità di suonare, poi non viene ai concerti!
Dall’altra parte c’è il pubblico, che vorrebbe non ci fosse un ingresso ai concerti
e che non consuma, ma pretende. In più
noi affrontiamo anche il problema che
molti ascoltatori del metal non vengono
allo Zapata, altro paradosso, visto che è
uno dei pochi spazi (si parla al massimo
di 2-3) dove si può suonare del metal o
simili... E forse l’unico (insieme al Pinelli)
dove c’è un impianto che permetta di
microfonare tutto. Bisogna anche dire
che purtroppo non è una situazione che
riguarda solo Genova o la Liguria, ma un
po’ tutta la penisola, l’affluenza ai concerti è bassa un po’ ovunque... Non rimane che sperare che le cose cambino
e continuare a sbattere la testa, prima o
poi spero si possa tornare come ai tempi
d’oro!
Nei primi vostri concerti cercavate di
metter d’accordo tanto chi veniva da un
retroterra metal quanto chi veniva dall’hardcore, per poi allargarvi verso altri
generi come lo stoner e l’hip hop: cosa vi
ha spinto a lavorare in nuovi ambiti?
C: Beh, innanzitutto la voglia di cambiare, poi la voglia di sperimentare e
quindi di educare anche un Genovese
ad ascoltare live diversi da quelli della
sua saletta prove. Si è deciso di trattare
un genere diverso ogni mese apposta
per variare, creare un evento e non un
live qualunque, contattare gruppi validi
e collaborare il più possibile con la realtà locale. Da semplici live puntiamo a
organizzare “mini-fest” in modo da non
annoiare nessuno ed andare incontro
un po’ a tutti. Cisco e Ricky vorrebbero
organizzare una due giorni di live… della
serie “ne resterà solo uno”, spero di farcela…
E ora l’inevitabile domanda sul pubblico: non vi siete mai preoccupati di esser
diplomatici quando si tratta di andare a
testa bassa contro alcune deleterie abitudini del pubblico genovese, a partire
dall’assurdo vizio di arrivare tardi ai concerti... Vi è mai capitato che qualcuno si
incazzasse?
F:Certo che fai domande mirate a toccare i tasti dolenti... Anche in questo caso
i problemi sono più di uno. Oltre a venire tardi il pubblico va via presto....Questo vuol dire che la maggior parte delle
volte bisogna cercare di far suonare ad
orari prestabiliti i gruppi, il che andrebbe bene se il lasso di tempo fosse ampio,
ma putroppo non è cosi e la cosa deter-
Import
“Sièdecisoditrattareungenerediverso
ogni mese apposta per variare, creare un evento e non un live qualunque“
mina un numero di gruppi praticamente
standard e 30 minuti a testa di live, cosa
scandalosa... Sinceramente nessuno si è
mai incazzato dopo aver suonato, anzi…
Però è capitato a me personalmente di
sentirmi un po’ in colpa perché l’ultimo
gruppo della scaletta avesse suonato
davanti a poche persone... Tra l’altro
si tratta dei Cubre, un gruppo che dire
“figo” è sminuirlo!!!
Quali sono i concerti che vi hanno
lasciato maggiormente soddisfatti? e chi
vorreste organizzare, ad averne la possibilità?
C: Credo di parlare a nome di tutti
quando dico Kaos, Dj Trix e Moddi (12
gennaio 08). Tantissime persone, più o
meno 70. Live spettacolare, le persone
contente e prese benissimo. Era il primo
live in cui ha partecipato attivamente
Krin con noi. E’ stato uno sbattone allucinante, e di mezzo c’erano soldoni a sto
giro, ma la soddisfazione ha superato la
stanchezza. Per quanto mi riguarda di
live “belli” ce ne sono stati diversi (non
cito gruppi per evitare di fare eventuali
torti inutili ad altri), posso però dire che
le serate Metalcore sono state le meno
soddisfacenti dal punto di vista del pubblico e di questo siamo davvero dispiaciuti.
Più info su Second Skin su
h t t p : // w w w. m y s p a c e . c o m /
2ndskininc
31 CMPST #8[12.2008]
Edizioni
“Ci solleticava l’idea di fare
qualcosa di diverso qui a Genova. Anche perché se riesci a Genova vuol dire che
ce la puoi fare dappertutto.“
Chinaski Edizioni
Intervista con Federico Traversa
di Davide Chicco
LAMENTI PREVENTIVI
Ed eccoci qui con Federico Traversa, capo supremo (!) della Chinaski Edizioni, una casa editrice “indie” presente a Genova dal 2004.
Raccontaci com’e’ nata questa esperienza: era un progetto che avevi in mente da molto tempo oppure una mattina, ti
sei svegliato, ed hai deciso di fondare una
casa editrice? Hai iniziato quest’avventura
tutto solo oppure hai avuto dei compagni
d’(inizio) avventura? Costoro sono ancora
“in affari” con te oppure si sono persi negli
anni?
Ero da poco tornato dalla Tailandia dove
avevo vissuto per un po’. In quel periodo era
uscito il mio primo libro che era stato ben promosso, così un casino di scrittori mi mandavano
mail per ricevere consigli su come pubblicare i
loro libri. Non sapevo cosa rispondere, ero uno
scrittore, non un editore. Fu la mia ragazza a dirmi: “Perché non apriamo una casa editrice?”.
Decidemmo di tentare, quasi per gioco. Non
pensavo allora che sarebbe diventato un lavoro vero. Chiamai Marco Porsia, un amico che
si occupava di brevetti e proprietà industriali di
giorno ma di notte scriveva e si esibiva in giro
con il gruppo poetico dei “Per Certi Versi”. Gli
proposi la cosa e anche lui salì a bordo. Non
avevamo una lira quindi il primo problema fu
recuperare i fondi. Iniziammo a coinvolgere
amici musicisti per organizzare serate in giro nei
32 CMPST #8[12.2008]
locali per sovvenzionare il progetto. Un sacco
di gente si offrì di suonare gratis. Quando raccogliemmo il minimo necessario per aprire la
società e pubblicare un paio di libri partimmo.
Fu un periodo incasinato, in Chinaski entravano
e uscivano persone di tutti i tipi. Solo io, Marco e
Francesca siamo dentro dall’inizio.
Come forse saprai, la redazione e l’essenza di Compost si pongono la priorita’ di
vedere il capoluogo ligure da diversi punti
di vista e percezione. La decisione di creare
una casa editrice proprio qui a Genova e’
stata una scelta ragionata oppure una scelta forzata? All’inizio ti sei chiesto se non era
magari il caso di far partire quest’avventuta
magari a Milano, a Bologna, o a Londra o
a Berlino?
Ci solleticava l’idea di fare qualcosa di diverso qui a Genova. Anche perché se riesci a Genova vuol dire che ce la puoi fare dappertutto.
Quando poi abbiamo trovato un distributore
nazionale e i nostri libri sono andati in tutta Italia
abbiamo venduto molto più fuori che in Liguria.
D’altronde sta città è così: prendere o lasciare.
Io prendo perché amo il mare e con dieci minuti di scooter sono in spiaggia. A Milano sai
che palle…
Oltre al lato personale e lavorativo, immagino che nella scelta di fissare a Genova
la propria casa base sia dipesa anche da
un punto di vista culturale sulla citta’. Come
vedi Genova da un punto di vista artistico
e culturale? Credi che l’offerta (per amanti
di lettura, scrittura, arti visive, musica, ecc)
sia tutto sommato soddisfacente oppure sia
tutto da buttare via?
La scena genovese, intesa come arte, letteratura, musica ecc, è buona, molto buona.
Il problema sono i genovesi che vedono tutto
quello che esce da qui con sospetto. E’ una
sorta di attitudine provinciale ‘all’incontrario’
che non fa bene a nessuno.
Ed ora la domanda “d’obbligo” che facciamo a molti intervistati per Compost. Molta gente a Genova si lamenta (strano!, ndr)
delle scarse possibilita’ in ambito musicale,
culturale, lavorativo, ecc ecc che la citta’
offre, soprattutto in rapporto a livello di popolazione ed espansione che un luogo con
632’000 cervelli pensanti (si fa per dire...,
ndr) potrebbe proporre. Limitandoci al contesto musicale-artistico, credi che il problema sia la scarsa partecipazione della cittadinanza alle attivita’ culturali? Oppure il
Edizioni
“Il problema sono i genovesi che
vedono tutto quello che esce da
qui con sospetto. E’ una sorta di
attitudine provinciale ‘all’incontrario’ che non fa bene a nessuno.”
problema nasce dalla carenza di strutture?
Credi che le istituzioni (Comune, Provincia,
Regione, Municipi) dovrebbero essere piu’
attente? Oppure sei per una visione piu’ liberal, da “laissez faire”?
Bella domanda. Credo che la risposta sia da
ricercarsi in una buona miscela delle cose di
cui accennavi prima: scarsa partecipazione,
carenze di strutture, poco interesse da parte
delle istituzioni. Detto questo chi vuole fare faccia, vedo troppa gente che neanche ci prova
e questo non va mai bene. Prima provaci poi
semmai lamentati. A Genova si tende invece
al ‘lamento preventivo’.
Indipendentemente dal peso che ognuno puo’ dare al problema, su un punto credo potremo concordare tutti: a Genova si
risparmia troppo e s’investe troppo poco.
Credi che a Genova le persone abbiano effettivamente troppa paura o scarsa voglia
d’investire in nuovi progetti (musicali, culturali, artistici, imprenditoriali)? La mentalita’
dei milanesi, ad esempio, e’ davvero cosi’
diversa?
Gli imprenditori genovesi hanno il braccino corto… vedi Garrone che non compra un
attaccante alla Sampdoria. Scherzi a parte,
c’è da dire che investire in una città con la più
bassa natalità d’Italia e con una popolazione
composta per la metà da over 50 non è commercialmente molto attraente.
Le statistiche internazionali non vedono
molto bene l’Italia dal punto di vista dell’incoraggiamento e della spinta verso l’imprenditoria privata, denunciando un sistema italico bloccato da mille burocrazie e
Federico con Tonino Carotone alla presentazione de “il Maestro Dell’Ora Brava”
mille regole regoline regolamenti regolucce che frenano lo sviluppo (basti pensare
che il tempo medio per aprire un’impresa
in Italia, tra permessi e tutto quanto, e’ di 2
anni; mentre in Danimarca 15 giorni, ndr).
Com’e’ stato dal punto di vista imprenditoriale / organizzativo l’inizio della Chinaski?
Vi siete trovati di fronte a mille ostacoli e
mille paletti come si legge sui giornali?
Oppure alla fin fine ve la siete cavati senza
grosse difficolta’?
Un bordello. Hai presente il film “Le Dodici fatiche di Asterix?”. E’ stato proprio come quando Asterix deve superare la prova di ritirare il
documento in quell’ ufficio tutto incasinato e
lo mandano da un piano all’altro facendolo
impazzire. La burocrazia in Italia è assurda! Per
fortuna ho sempre avuto Marco al mio fianco
che è molto bravo ad orientarsi fra uffici, documenti e permessi…
Nel vostro catalogo ci sono molti titoli
che narrano di vicende legate al mondo
del rock. Proprio in questo periodo e’ uscito “Rock Conorer” di Episch Porzioni che
tratta d’alcune famose storie di decessi nel
mondo del rock n roll. Credi che il genere
editoriale sulle storie e le biografie di personaggi musicali sia sempre una buona
scommessa? Non si rischia di correre il rischio che il libro venga venuto solo ad uno
sparuto gruppo di fan(atici)?
33 CMPST #8[12.2008]
Edizioni
“Noi cerchiamo sempre di far
sì che venga fuori lo stile personale dello scrittore anche
quando si parla di musica. Le
nostre non sono biografie rock
ma letteratura rock. Diamo tutto per far uscire un buon libro.“
Dipende da come fai le cose. Noi cerchiamo sempre di far sì che venga fuori lo stile personale dello scrittore anche quando si parla di
musica. Le nostre non sono biografie rock ma
letteratura rock. Diamo tutto per far uscire un
buon libro. Quando ho scritto “Il Maestro dell’Ora Brava” con il mio amico Tonino Carotone
ho passato con lui quasi un anno in tour fra Italia e Spagna e ti assicuro che la vita del buon
Tonino non è esattamente facile da seguire…
Adesso usciamo con un libro su “Il Caso Cobain” scritto ancora da Episch, che si è sparato
un mese in America a rovistare fra la gente più
furiosa di Seattle. Il suicidio del cantante della
Nirvana è pieno di contraddizioni. Pensavo
fosse tutta una bufala la storia dell’omicidio su
commissione ma dopo aver letto il libro e tutta
la fitta documentazione, beh… Non sono più
così sicuro. Tornando alla tua domanda, cerchiamo di dare roba decisamente vissuta a
chi ci segue, tutto in stile Chinaski. Credo sia per
questo che i nostri libri funzionano.
Nel mondo delle biografie, specialmente in quelle legate al rock, spesso chi narra
si lascia andare ad “interpretazioni un po’
personali della storia”. Talvolta si rischia
d’allontanarsi un po’ dalla realta’ ed arrivare
a narrare aneddoti e vicende molto diverse
da quelle realmente esistite. Avete sentito anche voi questo problema nell’ideare
“Rock coroner”? Avete scelto di rimanere
fedeli alla verita’ fino all’ultimo oppure a
volte vi siete lasciati sedurre da versioni un
po’ romanzate della stessa?
34 CMPST #8[12.2008]
In Rock Coroner, Episch ha romanzato se
stesso, non le storie dei musicisti. Quelle sono
tutte vere e fatte con un’accurata ricostruzione
dei fatti. Poi, se il suo stile lo porta a raccontare
un suo aneddoto personale finalizzato alla narrazione ben venga. Episch in questo è bravissimo, mi ricorda molto Hunter Thompson.
Sfogliando sempre il vostro catalogo, s’incontrano svariati titoli riguardanti il mitico
Don Andrea Gallo, famoso prete della Comunita’ Cristiana di Base di San Benedetto
Al Porto che (per fortuna nostra) interpreta
la sua missione in maniera molto poco Ratzingeriana. Conosci personalmente Don
Andrea Gallo? Com’e’ nata la vostra collaborazione?
Don Gallo l’ho conosciuto quando ho accompagnato Tonino Carotone, che voleva
incontrarlo, alla comunità San Benedetto. Era
stato Manu Chao a parlargliene. Con Andrea si
è creato subito un rapporto speciale, tanto che
abbiamo scritto insieme un libro: “Io Cammino
con gli Ultimi” e girato un Dvd “In Viaggio con
Don Gallo” dove collaborano tanti amici come
Tonino, Manu, Roy Paci, Cisco, Moni Ovadia, Esmen, Piero Pelù e tanta altra gente che apprezza l’operato del Gallo. Andrea è una persona
incredibile, quando lo incontri diventi più possibilista sull’esistenza di un Dio buono e caritatevole. Aver scritto un libro con lui è la cosa più
importante che abbia fatto nella mia vita.
Oltre a creare e distribuire libri, so che siete la casa editrice di Ergo Sum, rivista giovanile studentesca di Genova (alla quale
anch’io collaborai qualche anno fa, ndr).
Com’e’ nata l’idea di lavorare con gli ErgoSum-boys? Come vedi il ruolo di Ergo Sum
all’interno del (piccolo) mondo delle riviste
studentesche genovesi?
Ora non siamo più gli editori di Ergo Sum. Lo
siamo stati per qualche mese quando l’Università o il Comune, non ricordo di preciso, gli aveva tagliato i fondi a causa della famosa foto
Federico con Don Gallo
della statua di Gesù avvolta in un profilattico
con scritto sotto “anche io uso il preservativo”.
Ci sembrava giusto aiutarli perché la libertà di
stampa è fondamentale e la crociata contro
di loro fu veramente assurda. L’accordo era
che ci saremmo occupati della rivista fin quando loro non sarebbero riusciti ad autoprodursi
e così è stato. Sono bravi ragazzi, intelligenti e
pieni di entusiasmo. Ergo Sum è davvero un bel
giornale.
Un’ultima domanda: diceva Woody Allen, “Leggo per legittima difesa”. Federico
Traversa per cosa legge?
Per emozionarmi e collezionare diversi punti
di vista che mi aiutino ad affrontare la mia vita
con più strumenti possibili. Sempre avanti e senza paura.
Compra i libri Chinaski su
http://www.chinaski-edizioni.com
Columns
Indie Maphia For Dummies
di Daniele Guasco
Spesso ci si lamenta dell’aridità dell’educazione culturale in ambito musicale della maggioranza delle perso ne, della cosiddetta massa, ma ahimè
questo problema si presenta anche in
altri ambiti.
Qualche giorno fa mi trovavo privo di
libri da leggere, così a casa dei miei
genitori ho visto una copia di “La solitudine dei numeri primi ” di Paolo Giordano.
“Mamma posso prendermi quel libro? ”
“Se vuoi si, ma è una schifezza incredibile.”
Non curante degli avvertimenti ho
iniziato a leggere questo bestseller che
ha fatto urlare al miracolo buona parte
dell’Italia letteraria, ed era veramente
tanto che non abbandonavo un libro
a metà. Tralasciando la trama, storia
d’amore tra una storpia viziata che diventa odiosa sin dalle prime pagine e
un tizio strambo che si fa dei tagli per il
trauma subito causando la morte della sorellina ritardata, quello che mi ha
lasciato senza parole è la totale mancanza di spessore dei personaggi, la
caratterizzazione tanto forzata quanto
inutile nel dare personalità ai protagonisti del romanzo. Appuntandomi mentalmente che anche quando si parla
di libri la mamma ha sempre ragione,
a buttarmi nello sconforto è come un
libro simile venga eretto a baluardo di
una nuova letteratura italiana (tanto
da vincere il premio Strega).
Sempre Combatte Con Le Ciabatte
di Giacomo Bagni
Dunque. Detto che il titolo è indicativo solo della mia personale attitudine a restare sempre in casa casa ab bracciato alle mie amate ciabatte di
pelo fucsia, che la vera cucina è quella dove abbondano le bestie morte e
che a Genova dovrebbe essere bandita qualunque musica che non sia lo
ska, posso passare ad illustrarvi quella
che è e sarà la prossima moda della
indie-scena genovese (cosa per cui
sono stato profumatamente pagato
da svariegate importanti multinazionali di gadget). Ciò di cui stiamo parlando sono un dei famigerati occhiali da
sole rossi e plasticosi delle Tartarughe
Ninja. Sfortunatamente per voi sono
fuori produzione da metà degli anni
‘90 e io ne posseggo, dopo averlo rubato ai miei cugini seienni, l’unico paio
ancora in circolazione. A stretto giro di
ragionamento io sono molto fashion e
voi non lo sarete mai. Punto.
Al Cinema
con Hipurforderai
SCHERMO NERO Sentite quest’aria
di Natale? Le luci, gli addobbi, i prezzi
delle vetrine del centro, i barboni col
cappellino da babbo natale… e quant’è bello il cinema a Natale? Che oltre
a non poter fumare ti becchi solo film
cagosi con la sala piena di bambinetti
urlanti o di gente che va al cinema una
volta all’anno per vedere il nuovo film
di De Sica. Nonostante questo io amo
il cinema, e ho imparato ad amarlo in
maniera un po’ conflittuale proprio da
pischello e proprio sotto natale (so che
alcuni di voi avranno già sentito questa
storia, ma grazie a Dio Compost non lo
leggono solo gli amici di Hipurforderai...
almeno spero). Era il 1987, avevo 6 anni,
era pochi giorni prima di Natale, e la
mia mamma decise di portarmi al cinema per la prima volta, pensando “oh
che bello, danno un film coi cagnolini,
ai bambini piacciono i cagnolini”. Era
Quattro cuccioli da salvare, storia di sta
povera bestia di cane sfigatissimo che
cade in mare, si trova su un’isola dove
causa madre defunta farà da balia a
quattro piccoli puma sfigatissimi. Una
tristezza di film esasperante, crudelissimo nel modo in cui metteva in crisi quel povero sacco di pulci. La cosa
mi depresse un sacco, al mio secondo
“mamma, ma il cagnolino…” anche
mia madre capì che forse era meglio
leggere prima le trame, che negli anni
ottanta il cinema era molto più duro di
adesso nell’insegnare quanto la vita sia
una merda, anche per un cane e per
quattro puma. Qualche mese dopo, fomentata da mamme di amichetti e da
una campagna pubblicitaria devastante decise di riprovarci, mi portò così a
vedere in una sala che ora ospita l’anagrafe di Rapallo Chi ha incastrato Roger
Rabbit?, film che un po’ tutti abbiamo
visto e quindi non c’è bisogno che stia a
raccontarvi la scena di scarpetta e l’effetto che ebbe su di me. Hipurforderai
scemo a pensare fino a sei anni che il
cinema fosse divertimento! Arrivò il Natale del 1988 e mia madre si disse “non
c’è due senza tre”: L’orso ! Splendido film
35 CMPST #8[12.2008]
Columns
(questo posso dirlo oggi) di Jean-Jacques Annaud, successone autunnale di
quell’anno che veniva replicato per il
periodo delle feste, perché “ai bambini
piacciono gli animali pelosi, anche gli
orsi”. In confronto alla scena della madre dell’orsetto protagonista del film, la
scena della madre di Bambi è da cagarsi addosso dal ridere. Io piangevo,
mia madre piangeva anche se penso
che le sue fossero lacrime di esasperazione. Rispetto all’orsetto di Annaud
il cane di Quattro cuccioli da salvare
aveva vinto la lotteria. Andammo a
casa e ci dedicammo al mondo dell’home video, partendo da… DUMBO”!
Mia madre non mi portò più al cinema
per un bel pezzo, fino a Indiana Jones
e l’ultima crociata l’anno seguente per
poi culminare con Die Hard 2 l’anno
successivo, una serie di pellicole che
mi riappacificarono con il cinema, tra
fruste e sparatorie, facendomi sognare
di diventare un archeologo che risolve
i problemi a frasi ganze e massacri, ma
questa è un’altra storia. Un film da vedere? Dovrebbe essere uscito direttamente in dvd Fido, ottimo film del canadese
Andrew Currie, in cui gli zombie vengono messi al servizio dell’uomo come
schiavi grazie a dei collari di controllo.
Ben diretto, ben recitato e soprattutto
ben scritto, è uno dei migliori film capitati sottomano nell’ultimo periodo. Un
film da evitare? Max Payne, perché se
dopo mezz’ora nel videogioco avevo
fatto fuori a pistolettate un numero di
sgherri pari agli abitanti della Sardegna (d’estate) , nel film dopo mezz’ora
cercavo solo un cuscino.
36 CMPST #8[12.2008]
This Ain’t No BBQ
di Anna Positano
Eccoci a fine anno, quando si fanno i
conti con i buoni propositi disattesi e con
i “Ma nell’anno che viene...!”. Facendo
un bilancio del 2008 posso ritenermi abbastanza soddisfatta: mi sono laureata,
ho ricominciato a suonare con la mia
batterista (She Said What?!), ho passato
l’Esame di Stato e quello d’Inglese, sono
stata mantenuta dai miei in attesa di essere una fotografa, sono stata ammessa
al London College of Communication e
quindi nel 2009 lascerò il Bel Paese (di
merda) per un anno. Ah, mi hanno anche scomunicata*.Diciamo che fa tutto
parte del piano A. Si, mi fa strano: il piano A presupone l’esistenza di altri piani
con conseguente alfabeto, e di solito è
il primo a fallire. E invece. Vado a Londra. Bello, ma quello che lascio qui a
congelare è più importante.
Non mi vengono in mente storielle divertenti questa volta, chiedo scusa. Basta melodramma, però.
La settimana scorsa stavo cucinando
per i gruppi al Lab.Buridda, in compagnia, tra gli altri, di Davide dei Japanese
Gum (ancora grazie!). Ex vegano, è uno
dei carnivori più educati nei confronti
dei vegetariani che io conosca. Parlando del più e del meno, mi ha passato
sotto banco una ricettina niente male,
che si confà perfettamente alla piega
che sta prendendo la mia vita. Vita da
uno in camera da uno con cibo da uno
(Matte, vieni a trovarmi! uno diviso due
fa due).
una cipolla piccola piccola
una fetta di pane integrale
un uovo
un po’ di burro
parmigiano
pepe
sale
Fate fondere in una padella una parte del burro e mettete la fetta di pane
ad abbrustolire (non deve carbonizzarsi!) da entrambe le parti. Nel frattempo sminuzzate la cipolla e mettetela a
soffriggere in un’altra padella col burro
e un pizzico di sale. Mescolate il parmigiano e l’uovo e aggiungeteli alla cipolla, mescolando come per fare le uova
strapazzate. Si può aggiungere sale e
pepe a piacere a fine cottura. Ora, la
parte più complicata di questa ricetta:
mettere l’uovo strapazzato sopra la fetta di pane. Senza far cadere nemmeno
un pezzettino di uovo. No, non ci potete riuscire. Buon appetito alla faccia
del colesterolo e della ciccia. Pare che
questa roba vada bene anche per colazione, ma trovo che la sola idea sia rivoltante. Penso che nelle prossime puntate proporrò cose ancora meno sane
di questa, visto che il Regno sarà il mio
ispiratore. Preparatevi. Dopo diverso
tempo dietro a questa rubrica mi sorge
qualche dubbio: qualcuno di voi amati lettori di CMPST ha mai provato una
di queste ricette? Quanta gente avete
avvelenato? Avete conquistato il vostro
amore con la cucina? Siete diventati
vegetariani grazie a questa rubrica? Fatemi sapere! <anna[at]theredbid.org>
*per maggiori informazioni www.uaar.it
Columns
A Steady Diet Of Mat
di Matteo Casari
Che poi uno si fa pure prendere male. E
magari non ha tutta quella voglia di confrontarsi. Però beh insomma, dai, pure che si
prova a fare qualcosa. Siamo in fondo ad un
anno, bisestile, brutto e tutto infarcito di otto,
che per i cinesi sarà pur tutta fortuna ma per
noi pare, dico pare, sia stata tutta negatività.
Liste di fine anno e bilanci in un anno del genere sono come calci nei denti. Gli elenchi
delle cose non fatte sono lunghe il triplo di
quelle portate a termine. Siamo agli sgoccioli
e ancora non abbiamo concluso le pratiche
per diventare associazione, dopo nove anni!
Abbiamo dimezzato il numero di Compost
usciti, solo tre rispetto ai cinque del primo
anno. Non siamo riusciti a trovare il coraggio
di investire di più sulla stampa e uscire con
una rivista più importante. Il progetto CMPSTR è ancora nella sua fase uno, ossia il blog
linkato qui accanto da Simone: la fase due,
quella fisica, è ancora momentaneamente
sospesa. Abbiamo fatto si il quarto Rural Indie
Camp e il Maritima Festival durante l’estate,
ma anche nei concerti la situazione è sempre al limite. Poca promozione, zero comunicazione. Parliamo, diciamo cose e ci pare di
lanciarle al vento. Il pubblico e, soprattutto,
gli indirizzari di chi è invitato a partecipare e
a portare le proprie esperienze paiono immobili, di una staticità Beckett-iana. Ce la
cantiamo e ce la suoniamo da soli, quando
possiamo e quando riusciamo. Per quanto
possibile noi gli ami li abbiamo lanciati tutti in
quello stagno di lacrime che è Genova. Mi rifiuto di credere che i centocinquanta gruppi
locali che abbiamo fatto suonare negli anni
non conoscano l’esistenza e le proposte di
Disorder Drama. E allora, se leggete questo
è un appello alle armi, a partecipare, a farci
cambiare idea e costruire insieme, nel 2009,
quelle strutture che mancano a questa città
di morti di sonno ultracentenari.
Non Sono Un Poeta
di El Pelandro
Come tutti sanno, quest’estate mi è venuto un accidente.
Quindi, come ogni miracolato,
ho dovuto aprire il mio cuore alla bontà
e al dogma.
Tra poco celebreremo il Santo Natale.
Lo celebrerò anche io, volenterosa
pecorella del Signore.
Nutrirò il mio spirito
di spirito e ravioli,
libando e godendo,
come tramandato dalla tradizione,
nei secoli dei secoli,
amen.
La festività del Capodanno
invece
dovrebbe essere abolita perchè non
serve a una minchia,
come i capelli lunghi che,
anzi,
talvolta causano persino incidenti molto seri.
L’epifania non ho mai ben capito cosa sia,
ma la accetto,
perchè sviluppa attorno a sè
ogni anno,
quella particolare aura di malinconica
e perversa curiosità
che così tanto giova a noi spiriti redenti.
Screamazenica
di Simone Madrau
Screamazenica urla SEDICI! e vi invita a inserire tra i vostri feed rss
di http://cmpstr.tumblr.com
Iosonocosìhypechefacciounmatrimonioin
campagna, domani. Celebra Don Bilivdeaip.
(Tristan giustifica la propria assenza all’ultima
notte bianca genovese sul myspace di Disorder Drama.)
Ma quello è sangue? (Anna aka The Red
Bird @ Notte Bianca 2008 fissando sguarofromginocchiotocaviglia di Matteo Casari.)
Sì. E quello è alcol? (Matteo Casari aka
Sguarofromginocchiotocaviglia @ Notte
Bianca 2008 fissando il cocktail di Intortetor.)
Questa si chiama ‘I Want To Be A Nerd’, o
‘I Want To Be eMpTV’. (Eat The Rabbit live @
TagoFest 2008.)
Se gli Youth Of Today avessero omesso la
loro palese omosessualità oggi suonerebbero così. (Er P recensisce Eat The Rabbit su
Rumore.)
Sarò io ad essere disattento ma prima di
conoscere Matteo e voi non avevo mai percepito Genova come uno dei poli di riferimento per la musica indipendente italiana.
(Ehr, ma... Veramente... Oh bè: rendiamo
grazie a Onga/BoringMachines @ TagoFest
2008.)
La percezione che da fuori si ha dell’universo genovese è latentemente diversa da quella che ne ricavano i suoi protagonisti. [...] Se
altrove il capoluogo ligure viene considerato
brulicante e fertile, in loco ci si rammarica
delle tante occasioni perdute e dei limiti soggettivi che frenano le pur ottime velleità di
affermazione. (Amen. Enrico Veronese, Blow
Up.)
E cosa fa, lancia bigliettini ai croceristi con
scritto ‘I Love Boat Very Much’? (Il nostro Intortetor nazionale dopo aver appreso che
Denize oggi fa il fonico sulle navi.)
Gonzo Dresda olè! Le due facce dell’intrattenimento. (Ivan dei (Gonzo) Dresda si
autosponsorizza su Facebook - network che
dal prossimo numero di Compost avrà un suo
spazio come sottorubrica di Screamazenica.)
37 CMPST #8[12.2008]
Fumetti
Tuono Pettinato
Ospitiamo con grandissimo orgoglio
uno dei virgulti migliori dell’italica genie di fumettisti attuali. L’avrete visto in
lungo e in largo per l’Italia, anche a Genova, come airguitarist dei Laghetto.
Nonchè non ve lo sarete certo perso
come protagonista, insieme al Dr.Pira,
Maicol&Mirco, Ratigher e LRNZ della matta
matta matta crew dei Super Amici, responsabili, tra l’altro di Hobby Comics, la nuova
rivista prodotta dallla nostra conoscenza
Silvana con la sua GRRRZetic editrice.
38 CMPST #8[12.2008]
Arte
Kabuto
Massimo Repetto è nato a Genova
il 02/08/1976, e ha compiuto i suoi
studi al Liceo Artistico e all’Accademia
di Belle Arti.
Si occupa di poster art, packaging,
logo design, illustrazione, abbigliamento...
[email protected]
39 CMPST #8[12.2008]