L`Esobiologia e la ricerca dell`origine della vita

L’Esobiologia
L'Esobiologia e la ricerca dell'origine della vita
Con questa breve relazione presenterò i caratteri principali dell’esobiologia, una nuova scienza
che si sta recentemente affermando, il cui scopo è quello di studiare le origini della vita sulla
terra e su altri pianeti.
Secondo gli scienziati evoluzionisti, la "ricetta" per ottenere la vita è relativamente semplice:
luce, acqua, calore, atmosfera, e molecole organiche; nelle condizioni postulate dagli
evoluzionisti, la vita sarebbe nata dagli elementi inerti presenti sulla Terra in seguito al Big
Bang (abiogenesi); questo però viene contestato dai sostenitori della legge della biogenesi di
Pasteur, i quali asseriscono che non è possibile creare la vita utilizzando solo degli elementi
inerti. Esiste perciò un’altra teoria che sostiene che la vita sia giunta sulla Terra
da un altro pianeta (Marte?), ma questo non fa che spostare il problema: come ha avuto
origine la vita su Marte?
Mi occuperò quindi solo della prima ipotesi, andando ad indagare sui fatti che possono avere
portato alla nascita della vita sulla Terra.
L’Esobiologia, dato il suo aspetto multidisciplinare, coinvolge astronomi, biologi, fisici, chimici e
geologici, passando dall’analisi dei mattoni base per la formazione della vita nell’universo fino
al tentativo di stabilire contatti radio con eventuali civiltà extraterrestri evolute.
Il primo passo per la formulazione di ipotesi sulla vita su altri pianeti è quello di analizzare la
nascita della vita sul pianeta Terra. Infatti il nostro pianeta presenta (o ha presentato) alcuni
aspetti fondamentali per la formazione della vita: temperatura, dimensioni, presenza di acqua
e di un satellite sufficientemente grande.
La temperatura è, infatti, essenziale: un pianeta troppo distante dalla stella madre o uno
troppo vicino (come Mercurio) presentano temperature eccessivamente basse e alte
rispettivamente: infatti, anche se sappiamo che alcuni batteri terrestri possono vivere a
condizioni di vita estreme, perché la vita si possa sviluppare è necessaria una distanza
ragionevole dalla stella; nel caso del sistema solare, ad esempio, questa fascia può essere
individuata tra Venere e Marte (la nostra Terra, infatti, si trova in mezzo a questa fascia).
Anche un nucleo caldo e attivo favorisce la formazione della vita, grazie alla fornitura di
energia essenziale allo sviluppo dei microrganismi.
Inoltre, un pianeta che mantenga liquido il suo interno, grazie all'elevata temperatura del
nucleo, sarà sicuramente dotato di un campo magnetico, fattore importante per la protezione
delle forme di vita dalle radiazioni solari e dai raggi cosmici, altamente ionizzanti e quindi
"ostili" alla vita.
Importante è anche la dimensione del piante: un pianeta troppo piccolo ha una debole
attrazione
gravitazionale
e
non
è
in
grado
di
trattenere
l’atmosfera,
mentre
uno
eccessivamente grande presenta una pressione al livello del suolo inadatta ad ospitare la vita.
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Altro elemento essenziale è, come abbiamo detto, l’acqua: questo composto fondamentale per
gli organismi viventi, che in caso di spinta disidratazione muoiono, si può trovare solo in
pianeti con ben determinate condizioni di temperatura e pressione; nel caso dei due pianeti
vicini al nostro, Marte e Venere, abbiamo che la pressione di 90 atmosfere e la temperatura di
490°C del secondo e la temperatura di –60°C e la pressione di 6 millesimi di atmosfera del
primo non sono adatte alla presenza di acqua allo stato liquido.
L’ultimo fattore, che sembrerebbe ininfluente ad un primo esame, è la presenza di un satellite
di dimensioni sufficienti a stabilizzare il pianeta: la Terra, con la sua Luna di dimensioni
relativamente elevate, ha un asse di rotazione con una inclinazione più o meno costante,
mentre Marte, a causa della piccolezza dei suoi satelliti, ha un asse che ha subito cambiamenti
di inclinazioni relativamente rapidi, anche di 60-80°, con conseguenti sconvolgimenti climatici,
tanto che l’acqua, una volta presente abbondantemente sulla superficie del pianeta, è ora
scomparsa, anche se si ipotizza la presenza di laghi sotterranei.
Tanto per fare un esempio dell’influenza dell’inclinazione dell’asse del pianeta sul clima, basti
pensare che la minima variazione di 2° provocata dalla Luna sulla Terra ha dato origine al
fenomeno eclatante delle glaciazioni.
Oltre a questi fattori, bisogna ricordare un altro requisito essenziale: la presenza del carbonio,
elemento alla base della vita come noi la conosciamo. Senza stare ad approfondire
l’argomento, specifico della biologia, ricordiamo che il carbonio è presente nei carboidrati, nei
lipidi, negli amminoacidi e conseguentemente nelle proteine, “macchine” che svolgono funzioni
essenziali nelle cellule degli organismi viventi.
Infine, una altra caratteristica importante del pianeta è l’atmosfera, ovvero l’insieme di gas
attorno al pianeta che viene trattenuto dall’attrazione gravitazionale.
Infatti questi gas rappresentano l’ambiente in cui gli organismi si svilupperanno. Nel caso della
Terra, essa aveva inizialmente una atmosfera simile a quella di Giove, costituita cioè da
idrogeno, elio, metano , ammoniaca ed acqua allo stato di vapore, ma in seguito ad una
sconvolgimento fu privata di questa atmosfera e se ne formò lentamente un’altra grazie alla
evaporazione dei ghiacci portati dalle comete, composta principalmente da H2O, azoto
molecolare e anidride carbonica.
La Terra aveva una temperatura più bassa di quella di Venere perché più lontana dal Sole (il
calore interno conta relativamente poiché, viste le somiglianze tra i due pianeti, si può
considerare all'incirca della stessa entità), per cui il vapore acqueo prodotto per degassamento,
attività vulcanica ed evaporazione dei ghiacci portati dai planetesimi, ha potuto raggiungere, in
atmosfera, la saturazione, condensando e formando gli oceani. La formazione di grandi
quantità di acqua liquida è stata importantissima perché ha potuto dare il via ad un primordiale
"ciclo del carbonio", uno dei cicli biogeochimici fondamentali per la vita sulla Terra: negli
oceani, infatti, si è disciolta, sotto forma di carbonati, la stragrande maggioranza della CO2
(secondo alcuni calcoli, negli oceani sarebbe attualmente disciolta una quantità di CO2 pari a
50 volte quella presente in atmosfera).
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A questo punto, si pone un problema: l’atmosfera era di tipo ossidante o riducente?
H. C. Urey, dell'Università di Chicago, premio Nobel per la chimica, supponeva che l'atmosfera
primordiale fosse riducente (ricca di gas contenenti idrogeno come CH4 ed NH3), e ciò ispirò
l'esperimento Miller-Urey, forse il più conosciuto, e tra i primi nel suo genere. Furono ricreate
in laboratorio le condizioni primordiali ipotizzate: l'atmosfera era simulata da gas come
metano, ammoniaca e idrogeno, mentre l'oceano era simulato da vapore acqueo. I gas furono
fatti attraversare da scariche elettriche, e ne risultò la produzione di alcuni amminoacidi
(composti organici), che insieme costituiscono le proteine, atte anche alla duplicazione del
DNA, che è la base del nostro codice genetico.
Solitamente
si
pone
l'enfasi
sulla
produzione
degli
amminoacidi, ma non viene dato risalto al fatto che in questo e
in altri esperimenti simili furono prodotti miscugli racemici (in
uguale quantità) di amminoacidi destrogiri e levogiri.
In natura quasi tutti gli amminoacidi che compongono le
proteine
sono
levogiri,
mentre
gli
acidi
nucleici
sono
esclusivamente destrogiri. Non può nascere alcuna forma di
vita da una qualunque combinazione di entrambi; anche un
solo amminoacido destrogiro, aggiunto a una catena di
amminoacidi levogiri, può modificare la proteina rendendola
non attiva biologicamente.
Questo perciò rende il celeberrimo esperimento inutile dal punto di vista scientifico, anche
perché fu condotto con livelli inaccettabili di interferenza umana.
Secondo recenti esperimenti di laboratorio e ricostruzioni al calcolatore dell'atmosfera, inoltre,
le radiazioni Uv di origine solare avrebbero, nel caso l'atmosfera fosse stata riducente,
distrutto le molecole contenenti idrogeno presenti nell'atmosfera, perché non filtrate dallo
schermo di ozono (se non c'era ossigeno…), causando la perdita nello spazio dell'idrogeno
libero.
Questi risultati fanno ritenere che i componenti più abbondanti dell'atmosfera fossero anidride
carbonica (CO2) e azoto molecolare (N2), espulsi dai vulcani e dalle rocce per degassamento:
questo tipo di atmosfera, ossidante, non avrebbe favorito la sintesi né di amminoacidi, né di
altre molecole fondamentali per lo sviluppo della vita. Però, altri studi indicano che le nubi
potrebbero
aver
protetto
i
gas
contenenti
idrogeno
dalle
radiazioni
ultraviolette;
contemporaneamente, il vento solare e i raggi cosmici potrebbero aver favorito la sintesi di
idrogeno libero - e, di conseguenza, di CH4 ed NH3 - dalla dissociazione di molecole d'acqua.
Si pensa, perciò, che ad un certo punto l’atmosfera fosse satura di vapore acqueo; su questo
strato gassoso di H2O agivano indisturbati i raggi ultravioletti solari; quelli di lunghezza d'onda
appropriata (minore di 2000 Å) davano il via ad un fenomeno dissociativo noto come "fotolisi
dell'acqua", liberando ossigeno. Quest'ultimo, che a -50°C non condensa, passa in parte sopra
lo strato di vapore acqueo sotto forma di ozono (O3), assorbendo gli Uv e proteggendo lo
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strato gassoso di vapore acqueo prima che questi lo raggiungessero (si ritiene che questo
meccanismo di protezione sia divenuto efficace quando l'ossigeno raggiunse un valore di
pressione parziale nell'atmosfera pari almeno ad 1/1000 di quello attuale). A tal proposito, è
importante ricordare che nel caso di un pianeta come Venere questo fenomeno ha portato alla
perdita totale dell’acqua: gli Uv solari hanno potuto distruggere tutto il vapore acqueo in
atmosfera, liberando idrogeno (fuggito in gran parte nello spazio) e ossigeno (che ha formato
ossidi sulla crosta). Sulla Terra ciò non è accaduto soprattutto perché la maggior parte dell'H e
O è stata preservata dalla decomposizione fotolitica grazie al fatto di essere riuscita a passare
allo
stato
liquido
proprio
per
il
fenomeno
della
condensazione.
L'ossigeno, però, non assorbe gli Uv di lunghezza d'onda pari a 2500-3500 Å (che distruggono
le molecole biologiche); questi, quindi, potevano arrivare fino alla crosta, e potevano essere
schermati solo da uno strato d'acqua di qualche metro. Ciò escluderebbe la vita sulla
terraferma o in piccole pozze, ma non la formazione di molecole organiche complesse ad opera
degli Uv; la profondità dello strato protettivo d'acqua, poi, non doveva essere eccessiva,
altrimenti la scarsità di luce di appropriata lunghezza d'onda non avrebbe favorito la comparsa
della fotosintesi. Per bloccare la frazione di Uv biologicamente letale almeno al livello
superficiale dell'oceano, rendendolo quindi tutto disponibile alla vita, la pressione parziale
dell'ossigeno
libero
doveva
arrivare
a
circa
1/100
dell'attuale.
Il contributo a questo aumento di ossigeno libero è arrivato, probabilmente, dalla comparsa
delle prime forme bentoniche (cioè di mare profondo) che eliminavano ossigeno In questo
modo, l’atmosfera del nuovo pianeta è divenuta adatta alla vita di superficie.
Questa è, in sintesi, l’attuale ipotesi formulata dalla esobiologia sull’origine della vita sulla
Terra: come si vede, non dà vere e proprie spiegazione, ma tende più che altro ad elencare
una serie di caratteristiche che dovrebbero avere i pianeti per poter ospitare la vita come noi la
conosciamo.
Per quanto riguarda l’aspetto pratico della esobiologia, può essere interessante ricordare il
caso del Vostok Lake. Scoperto nella base russa di Vostok, in Antartide, nel 1996, è un lago
sotterraneo, situato a circa 3600m sotto il livello attuale del ghiaccio. Il ghiaccio che lo
sovrasta dovrebbe risalire a circa 420'000 anni fa (vedi immagine 2), per cui, analizzando le
acque del lago, risalenti a milioni di anni fa, si potrebbe avere un’indicazione della vita
presente prima delle glaciazioni e quindi si potrebbero ottenere informazioni essenziali sulla
formazione della vita sulla terra. Si pone però un problema, che è un problema di fondo della
esobiologia: come analizzare il lago senza contaminarne le acque con i nostri batteri? Se infatti
si utilizzassero strumentazioni contaminate, il soggetto da analizzare presenterebbe poi forme
di vita non originarie, ma portate da noi, e potrebbe risultare arduo determinare se esse siano
autoctone o importate accidentalmente dalla sonda. Come ha detto lo scienziato chimico
atmosferico James H. Butler, il lago (o un eventuale pianeta da analizzare) è il corrispondente
biologico
del
principio
di
indeterminazione
di
Heinsenberg:
come
analizzarlo
senza
contaminarlo?
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Anche
l’ipotesi
sull’impiego
di
robot
idraulici, avanzata per lo
studio di Europa o anche
del lago Vostok, è stata
scartata,
perché
esperimenti condotti in un
acquario
hanno
in
Giappone
dimostrato
che
l’acqua viene contaminata
dagli scarichi idraulici del
robot.
Studiare il lago di Vostok
è
divenuto
principio
anche
etico:
un
“Come
portare un campione del
lago
di
Vostok
superficie
per
analizzarlo?”
Immagine 2
vuole
in
“Nessuno
scritto
sulla
sua
lapide: ho contaminato il
lago di Vostok” (David Karl, oceanografo).
Stefano Masi
Liceo Fermi
4°F
Bibliografia
http://astroemagazine.astrofili.org
http://www.ips.it/scuola/concorso/taramelli/belloni.html#LA%20VITA
http://www.bo.astro.it/~universo/webcorso/webleggere/palumbo/pal1.html
http://www.earthinstitute.columbia.edu/news/story3_2_01.html
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