Giardina2_P5_cap29_29 16/03/11 12.27 Pagina 591 L’ITALIA DEI LONGOBARDI E DI GREGORIO MAGNO 1 La spartizione dell’Italia Invasione dell’Italia Appena riconquistata dai Bizantini, nel 568 l’Italia fu invasa da una nuova popolazione germanica di origine probabilmente scandinava: i Longobardi. I Longobardi, in precedenza, si erano stanziati in Pannonia. Insieme con altri gruppi germanici, guidati dal re Alboino traversarono in massa le Alpi orientali e costrinsero i Bizantini alla difensiva. Divisi in bande agguerrite, i cui capi erano chiamati «duchi», essi avanzarono saccheggiando e distruggendo. Caddero nelle loro mani, una dopo l’altra, Aquileia, Treviso, Vicenza, Verona, Brescia, Bergamo e, nel 569, Milano; per L’ITALIA DIVISA TRA LONGOBARDI E BIZANTINI BRENNERO la cattura di Pavia – che diventerà capitale Sabiona del regno longobardo – occorsero invece Bolzano GRAN Ceneda S. BERNARDO Cividale altri tre anni; fu quindi la volta della ToTrento Bergamo Ivrea Milano Treviso Aquileia scana e dell’Umbria; altri gruppi si spinseVerona Grado Susa Brescia Pavia Vicenza ro verso sud e occuparono Benevento, che Lodi Mantova Torino Asti Piacenza Po divenne il centro principale dei territori Reggio Parma Persiceta Comacchio Genova Modena longobardi nel Meridione. Ravenna RE GN Drava OD Ad ige EG LI AV AR I CEN ISIO va Sa MON S Nizza CORSICA Bologna Pistoia Firenze la v i Rimini Luni Lucca Ancona Arno Arezzo Gubbio Osimo Volterra Siena TUSCIA Fermo Perugia Chiusi Todi Spoleto Amelia Tuscania Surri Ragusa Spalato M AR AD Tevere Romània e Longobardia I Longobardi non riuscirono a occupare tutta la penisola, né i Bizantini riuscirono a cacciare i Longobardi oltre le Alpi: nel 603 le due forze contrapposte giunsero quindi a un accordo con il quale fu decretata la divisione politica dell’Italia. La parte bizantina, o Romània (che diede il nome all’attuale Romagna), si contrappose alla Longobardia. I Bizantini controllavano il Meridione, le isole e la Liguria. La capitale bizantina era Ravenna, governata da un funzionario chiamato esarca (da cui il nome di Esarcato dato alla regione), investito di poteri amministrativi e militari. Bisanzio controllava anche la Pentapoli («le cinque città»), che comprendeva cinque città adriatiche (Ancona, Senigallia, Fano, Pesaro, Rimini) e cinque dell’entroterra (Gubbio, Jesi, Cagli, Fossombrone e Savona Varigotti Albenga RI AT IC O Roma Siponto Lucera M A Gaeta R Napoli T SARDEGNA Benevento I R Brindisi Salerno Taranto R E Otranto N O CALABRIA Territori longobardi Impero bizantino Regno dei Franchi Sede di un ducato longobardo Sede di un ufficiale dipendente dal re (gastaldo) Altre città Palermo Reggio SICILIA Agrigento 29 L’ITALIA DEI LONGOBARDI E DI GREGORIO MAGNO Siracusa 591 MAR IONIO Giardina2_P5_cap29_29 16/03/11 12.27 Pagina 592 GUIDAALLOSTUDIO 1. Come era divisa l’Italia al principio del VII secolo? 2. Sottolinea sul testo i caratteri tipici della civiltà romana presenti nell’Italia del VII secolo. Urbino). In questi territori si mantennero inalterati alcuni elementi tipici della civiltà romana: il sistema della terra incentrato sul latifondo [cfr. 26.5] e l’organizzazione del territorio imperniata sulle città. I Longobardi dominavano invece il Nord Italia, la Toscana e i territori di Spoleto e Benevento, che costituivano due ducati indipendenti. 2 Prime vicende del regno longobardo anarchia Letteralmente «senza governo». Indica una situazione politica nella quale non viene più riconosciuta l’autorità dello Stato, sia per assenza di un valido potere, sia per inefficienza dell’esercizio del potere da parte dei governanti. Un cavaliere longobardo, VII sec. [Historisches Museum, Berna] I Longobardi attribuivano grande importanza al cavallo e ne facevano il simbolo del prestigio e della posizione sociale dell’individuo. Lo dimostra anche la presenza del cavallo nelle arti applicate, come in questa raffigurazione di un cavaliere al galoppo. I Longobardi prima dell’invasione Sui Longobardi prima dell’arrivo in Italia sappiamo molto poco: erano un popolo senza scrittura e le nostre informazioni dipendono quasi esclusivamente dai corredi trovati nelle tombe. L’impressione che si ricava da queste testimonianze è che la società longobarda fosse poco stratificata. I Longobardi erano una popolazione guerriera, che si era temprata – nelle regioni danubiane – in decenni di lotte per la sopravvivenza contro altre popolazioni barbare. L’esercizio delle armi, considerato l’unica attività veramente degna, era anche la principale risorsa economica: il bottino, il saccheggio, il tributo imposto ai vinti rendevano marginali e ben poco considerate attività come l’agricoltura e il commercio. I Longobardi erano però grandi allevatori dell’animale prediletto dai guerrieri, il cavallo. Caratteri della regalità longobarda Nelle dure e incessanti lotte che i Longobardi avevano dovuto affrontare in Europa orientale, la loro monarchia si era andata caratterizzando in senso elettivo e la trasmissione del potere supremo avveniva più per considerazioni di merito che di discendenza. Al sovrano si richiedevano soprattutto il valore militare e la capacità di trascinare il popolo guerriero di vittoria in vittoria. Questa caratteristica introdusse elementi di forte competitività in seno all’aristocrazia e fece della regalità un’istituzione perennemente in bilico e sottoposta alla tensione di forze centrifughe. Non a caso gran parte della storia politica dei Longobardi è una catena di usurpazioni, tradimenti, assassinii, colpi di mano. Come tutti i re longobardi, anche Alboino era un grande combattente. Prima dell’invasione dell’Italia egli aveva condotto due vittoriose campagne contro i Gèpidi [cfr. 28.7]. Aveva anche personalmente ucciso il loro re Cunimondo, facendo del suo teschio una coppa da cui bevve. Quello che secondo la tradizione sarebbe stata una manifestazione di macabro scherno, va in realtà interpretato come una sorta di assunzione magica delle prerogative regali e della potenza vitale del defunto, secondo un’usanza che non desta stupore in società guerriere come quella longobarda. Alboino aveva poi sposato la figlia di Cunimondo, Rosmunda. Questo matrimonio gli fu fatale, perché Rosmunda non tardò a vendicare la morte del padre: nel 572 la regina ordì infatti una congiura che portò all’uccisione di Alboino. Anarchia militare Alla morte del sovrano la debolezza della compagine longobarda e l’irrequietezza dell’aristocrazia si manifestarono in tutta la loro gravità. Infatti, a Clefi, il successore di Alboino, seguì un periodo di anarchia militare (574-584), durante il quale non fu eletto alcun re. I duchi ne approfittarono per procedere all’occupazione di nuovi territori. Essi tuttavia non seguivano un piano di conquista preciso, ma si muovevano nelle direzioni in cui incontravano minori resistenze. Fu così che bande di Longobardi si spinsero verso ovest, in Piemonte, e verso l’Italia centrale e meridionale, dove fondarono due importanti insediamenti: Spoleto e Benevento. I territori conquistati furono organizzati in ducati, circoscrizioni incentrate attorno a città strategicamente importanti e aventi funzioni di controllo militare e amministrativo del territorio. Un ruolo di primo piano fu svolto dai ducati di Spoleto e Benevento, dotati di autonomia di azione nei rapporti con l’impero bizantino e la Chiesa di Roma. 592 Parte 5 L’ETÀ TARDOANTICA Giardina2_P5_cap29_29 16/03/11 12.27 Pagina 593 Rafforzamento della monarchia Al periodo di anarchia pose fine l’elezione al trono di Autari (584-590). Sotto di lui fu ricostituita l’autorità regia: i duchi, che godevano di ampi margini di autonomia rispetto al potere centrale, furono convinti a cedere alla corona la metà dei beni fiscali di ciascun ducato; queste risorse andarono a costituire un vasto patrimonio necessario all’esercizio del potere centrale. Per amministrare queste terre il re utilizzava emissari chiamati gastaldi. Al fine di rafforzare la propria posizione, Autari cercò alleanze con altre popolazioni germaniche, e sposò la principessa bavara, Teodolinda, che era di religione cattolica. Infatti i Longobardi erano ariani (e quindi, secondo la prospettiva cattolica, «eretici»: cfr. 26.2), e per di più avevano mantenuto alcuni riti di carattere decisamente pagano; il fatto poi che la loro legge proibisse la conversione al cattolicesimo non favoriva certamente l’integrazione tra le due comunità. Pur non introducendo alcuna novità sul piano religioso, Autari mostrò maggiore apertura nei confronti dei Romani e chiamò alcuni di loro a far parte del consiglio di corte. In questo avvicinamento tra vincitori e vinti fu importante il ruolo svolto dalla cattolica Teodolinda [cfr. 29.3]. Corona votiva, inizio VII sec. [Tesoro del Duomo, Monza] La cosiddetta «Corona di Teodolinda» fu donata dalla regina Teodolinda al Duomo di Monza ed è una corona votiva, esempio di oreficeria longobarda databile al VII secolo. Si tratta di un diadema in oro, gemme e madreperla, di gusto bizantineggiante; le gemme che la rivestono, di forma circolare o quadrata, sono racchiuse da sottili lamine d’oro e disposte in cinque ordini paralleli. Si notano anche dei piccoli fori lungo i bordi perlinati superiore ed inferiore, evidentemente usati per esporre la corona ed agganciarvi decorazioni pendenti. GUIDAALLOSTUDIO 1. Come eleggevano i Longobardi il proprio re? 2. Dove si trovavano i ducati di Spoleto e Benevento? 3. Quale fu la politica intrapresa dal re longobardo Autari? 4. Quale religione professavano i Longobardi? 3 Lo stanziamento dei vincitori e i rapporti con i Romani Crisi economica e demografica L’invasione longobarda trovò un paese in sfacelo, indebolito dalla ventennale guerra gotica e prostrato da una terribile pestilenza, che nel 565 aveva spopolato città e campagne. Dunque l’impatto dell’invasione longobarda fece precipitare una situazione che già era molto critica. Le attività commerciali crollarono e si ridussero a scambi in natura su scala locale. Anche la circolazione e la coniazione di moneta si contrassero bruscamente. Il pesante calo demografico incise sulla produzione agricola: la mancanza di manodopera e la contrazione del fabbisogno alimentare favorirono l’abbandono di molte aree coltivate, mentre si diffondeva ulteriormente nella penisola l’economia degli spazi aperti e incolti. Un dominio duro A differenza dei Goti [cfr. 28.5], i Longobardi esercitarono in Italia un dominio duro, restio al dialogo, alieno dai compromessi. Le strutture amministrative romane furono cancellate e i sudditi di origine romana collocati in una posizione d’inferiorità: essi non erano considerati uomini liberi e di conseguenza non avevano il diritto di portare le armi. L’aristocrazia romana, che sotto i Goti aveva mantenuto una posizione di rilievo, fu sistematicamente abbattuta: le sue terre furono confiscate e molti suoi rappresentanti furono messi a morte. Una sorte analoga toccò ai membri dell’aristocrazia ecclesiastica. Alcune città, private dei loro vescovi, caddero in rovina. L’insediamento longobardo Nei territori occupati, i Longobardi costituivano una percentuale minima della popolazione. In mancanza di stime precise, si può fissare un ordine di grandezza, puramente orientativo, del 5%. Di conseguenza, il loro insediamento si svolse, tanto nelle città quanto nelle campagne, in piccoli gruppi familiari, 29 L’ITALIA DEI LONGOBARDI E DI GREGORIO MAGNO 593 Giardina2_P5_cap29_29 16/03/11 12.27 Pagina 594 VITA SOCIALE DIRITTO soltanto distruttivo. Le tracce più profonde e ampie della presenza longobarda in Italia si trovano nella nostra lingua. Ancora oggi gli italiani usano correntemente, senza saperlo, alcune centinaia di parole longobarde, che riguardano tutti i campi: il diritto, l’amministrazione, la vita materiale, l’esercito, la toponomastica. Alcune di esse furono Lingua longobarda e lingua italiana L’invasione longobarda fu la più violenta della storia d’Italia, ma l’incontro tra gli invasori e gli abitanti della penisola non fu probabilmente introdotte già dagli Ostrogoti, popolo germanico come i Longobardi, ma gli studiosi non sono sempre in grado di determinare a quale preciso influsso debba essere ricondotta l’origine di ogni singola parola germanica presente nella nostra lingua. Distinguiamo, per argomento, i principali prestiti germanici all’italiano. Parti del corpo e attività connesse Anca, bernoccolo, ciuffo, grinfia, guancia, milza, nocca, schiena, stinco, zanna, zazzera; (ar)rancare, grattare, guarire, leccare, recare, russare, strisciare. Animali, caccia e attività connesse Bracco, briglia, falco, sperone, stambecco, staffa, trappola, zecca; ghermire, graffiare, tubare. Parti ed elementi della casa Balcone, palco, rampa, sala, spalto, stamberga, stucco. Arredi, utensili e attività connesse Banco, bara, barella, benda, federa, gruccia, guanciale, panca, predella, scaffale, spranga, stanga, tappo; arredare, bussare, spaccare, spruzzare, strappare. Area di Santa Croce, Firenze Dall’andamento ellittico delle case, nella parte inferiore dell’illustrazione, è riconoscibile l’impianto dell’anfiteatro romano di Firenze, che certamente era ancora esistente al tempo dell’occupazione longobarda: lo testimonia tutt’oggi l’esistenza, in quest’area della città, di Via del Parlascio, dal termine bera-laikaz («arena degli orsi») con il quale i Longobardi designavano gli anfiteatri. La donna, la cucina Brodo, bucato, crusca, zuppa; (ar)rostire, guarnire, strofinare, stropicciare. e le attività connesse Abbigliamento Banda, fazzoletto, nastro, roba, tasca. La campagna Greppia, greto, melma, mucchio, slitta, stecca, zolla; ammucchiare, attecchire, guadagnare (originariamente nel senso di «pascolare»). Armi, esercito e attività connesse Banda, elmo, fodero, gonfalone, guardia, guerra, schiera, spione, tregua; albergare («ospitare»), guardare. Diritto e vita sociale Baruffa, bega, faida, fio, manigoldo, schiatta, sgherro, sguattero; (am)miccare, (ar)raffare, arzigogolare, danzare, scherzare, stuzzicare, trescare. Aggettivi di qualità Bianco, bigio, bruno, fresco, gaio, guercio, lesto, ricco, sbilenco, sghembo, smilzo, snello, zeppo. Anche molti nomi di luogo della nostra penisola derivano da termini longobardi e attestano la presenza longobarda in una determinata zona. Da una parola longobarda significante Toponimi italiani pianura boschetto recintato fattoria terreno padronale confine zona di guardia bosco di montagna collinetta torrente villaggio arena degli orsi Braida, Breda, Brera Gaggio, Gaio Sala (p. es. Sala Baganza a Parma e Sala Consilina a Salerno) Sondrio, Sondalo Staffolo, Staffoli Guarda, Niguarda, Guastalla Gualdo, Gaudo Toppo, Toppolo, Toppole Pescia, Pesciola, Pesciole, Peccioli -amo, -imo, suffissi di molti toponimi (p. es. Aramo, Salissimo, Sculcamo) Perilascio, Parlascio 594 ➔ ➔ ➔ ➔ ➔ ➔ ➔ ➔ ➔ ➔ ➔ Parte 5 L’ETÀ TARDOANTICA Giardina2_P5_cap29_29 16/03/11 12.27 Pagina 595 aventi anche funzioni di unità militari, chiamati fare, chiusi e staccati rispetto alle popolazioni locali. I luoghi prescelti – nelle città, nelle fortezze, nei nodi stradali – rispondevano quasi sempre a esigenze di controllo militare del territorio. Testimonianze odierne di questi insediamenti sono i caratteristici toponimi in «fara» diffusi nella penisola: per esempio Fara Gera d’Adda (Lombardia), Fara in Sabina (Lazio), Fara Novarese (Piemonte), Fara San Martino (Abruzzo), Fara Vicentino (Veneto), ecc. Ma i toponimi di origine longobarda ancora oggi esistenti in Italia sono molto numerosi, così come numerose sono le parole longobarde di uso corrente nella nostra lingua. In mancanza di documenti letterari soddisfacenti, le fonti più utili per lo studio di questi insediamenti sono essenzialmente archeologiche, e tra queste le principali sono i sepolcreti. Lo studio delle inumazioni indica l’esiguità numerica degli occupanti (in media 300 presenze circa per generazione in ogni sepolcreto, con punte maggiori, ma non di molto, nelle città), il carattere guerresco del loro modo di vita (quasi tutti i maschi adulti risultano sepolti con le armi), il distacco delle popolazioni locali (che venivano sepolte in cimiteri separati). L’avvicinamento tra Longobardi e Romani Alla morte di re Autari, avvenuta in circostanze misteriose – si disse che era stato avvelenato –, la regina Teodolinda sposò in seconde nozze Agilulfo (591-616), duca di Torino. Nel suo lungo regno, Agilulfo diede nuovo slancio alla politica di rafforzamento della monarchia, tanto all’esterno – dove riprese l’offensiva contro i territori bizantini – quanto all’interno, dove cercò di comprimere l’autonomia dei duchi. Agilulfo tentò anche d’intrecciare rapporti più stretti con la popolazione di origine romana. In questa politica svolse un ruolo decisivo la religione e, in particolare, la grande personalità di papa Gregorio Magno [cfr. 29.5]. Quest’ultimo si era reso conto che i Longobardi erano ormai una realtà radicata nella penisola e che di questa realtà la Chiesa doveva prendere atto, se voleva alleviare le sofferenze delle popolazioni sottomesse e recuperare al cattolicesimo quegli invasori ancora per metà ariani e per metà pagani. Egli riconobbe quindi l’entità politica longobarda intrattenendo rapporti con i duchi e con la corte, dove la regina Teodolinda, favorevole al cattolicesimo, svolgeva una preziosa opera di mediazione. Una nuova atmosfera cominciava ora a caratterizzare i rapporti tra vincitori e vinti: la convivenza, anche se densa di sospetti e inasprita da gravi squilibri sociali [cfr. 29.4], aveva favorito a lungo andare la circolazione dei comportamenti, delle abitudini, delle usanze. Di questa nuova atmosfera sono ancora una volta preziosa testimonianza i cimiteri, dove ora troviamo Longobardi e Romani non più separati, ma sepolti gli uni accanto agli altri. Progressi del cattolicesimo L’avvicinamento al cattolicesimo, tollerato da Agilulfo, divenne aperto consenso presso i suoi successori, finché il re Ariperto (653-661) sconfessò apertamente l’arianesimo e aderì ufficialmente alla religione cattolica. Rilegatura dei Vangeli di Teodolinda [Tesoro del Duomo, Monza] L’Evangeliario fa parte dei doni offerti a Teodolinda da Gregorio Magno in occasione del battesimo di suo figlio Adaloaldo. GUIDAALLOSTUDIO 1. Come erano trattati i sudditi romani dai Longobardi? 2. Quanti erano i Longobardi in Italia? 3. Chi era Agilulfo? 4. Quali rapporti instaurò Gregorio Magno con i Longobardi? 4 La società longobarda L’Editto di Rotari Nel 643, su iniziativa del re Rotari (636-652), il popolo longobardo, riunito in solenne assemblea a Pavia, approvò la sua prima raccolta di leggi scritte, nota appunto come Editto di Rotari. Le consuetudini erano state fino a quel momento tramandate oralmente. Come abbiamo visto, la maggiore difficoltà nello studio della società longobarda, nei primi cento anni circa dopo la loro occupazione dell’Italia, dipende dall’assenza quasi 29 L’ITALIA DEI LONGOBARDI E DI GREGORIO MAGNO ON LINE DOCUMENTI L’Editto di Rotari 595 Giardina2_P5_cap29_29 16/03/11 12.27 Pagina 596 à Fibula a ponte, VI sec. [da una tomba di Castel Trosino, Museo dell’Alto Medioevo, Roma] totale di fonti scritte contemporanee. L’Editto solleva questo velo e ci presenta la società longobarda in un quadro sufficientemente articolato. L’Editto fu scritto in latino, non perché nella sua elaborazione avessero avuto un ruolo decisivo individui di origine romana, ma perché il latino svolgeva la funzione di «linguaggio tecnico», tradizionalmente in uso per esprimere contenuti di carattere giuridico e istituzionale. Distinzioni sociali Il sistema sociale appare fondato su una netta distinzione tra «liberi», gli arimanni, i guerrieri, e «non liberi», i servi, che provvedevano al lavoro dei campi e alla pastorizia. Tra questi due livelli ve ne era uno intermedio, quello degli aldi, individui «semiliberi» che non possedevano né terre né armi e si ponevano sotto la protezione di un padrone. Questa divisione tuttavia non costituiva una cesura insuperabile: un libero, infatti, poteva perdere la libertà in conseguenza di una colpa grave o della rovina economica. Ma poteva anche accadere che un non libero particolarmente meritevole ottenesse la libertà, anche se il passaggio di condizione richiedeva l’approvazione della comunità solennemente riunita. à Fibula rotonda, VII sec. [da una tomba di Castel Trosino, Museo dell’Alto Medioevo, Roma] Le testimonianze artistiche relative al primo periodo delle invasioni barbariche sono legate essenzialmente a oggetti quali decorazioni di abbigliamento e di armi, o oggetti votivi, comunque appartenenti al corredo personale con cui il defunto veniva sepolto. La loro decorazione unisce alla tradizione dell’arte tardoromana il gusto tipicamente barbarico per il colore e per le rappresentazioni zoomorfe. 596 Procedimenti giudiziari Il non libero non aveva un’autonoma capacità di agire in campo giudiziario, e non aveva capacità di parola in sede legale. In suo nome poteva agire soltanto il libero da cui egli dipendeva. Solo i liberi potevano dunque usufruire pienamente della legge longobarda. L’accusato poteva discolparsi ricorrendo al giuramento solenne, sui Vangeli o sulle armi, eventualmente rafforzato dal giuramento di altri liberi che si facevano garanti. Tra i Longobardi il giuramento aveva un’importanza enorme, e chi lo avesse pronunciato falsamente si esponeva al discredito sociale e – si riteneva – a terribili punizioni da parte della divinità. La distinzione tra liberi e non liberi determinava anche una diversificazione delle pene in base alla qualità delle persone. A tale proposito è esemplare il caso del guidrigildo, ossia della somma che i colpevoli di ferimento o di omicidio erano obbligati a versare alla vittima o ai suoi parenti, al fine di evitare la vendetta privata (faida). L’entità del guidrigildo, infatti, variava non solo in base alla gravità del delitto, ma anche allo stato sociale e giuridico dell’individuo. Caratteri dell’economia L’Editto trasmette informazioni importanti anche riguardo all’economia e all’organizzazione del lavoro. La società longobarda si basava sull’agricoltura, sulla proprietà privata (prerogativa esclusiva dei liberi) e su rapporti di produzione di tipo signorile. La ricchezza era costituita quasi esclusivamente dalla proprietà di terra, di servi, di bestiame. Nell’Editto il lavoratore appare soprattutto in quanto contadino, e l’unica manodopera non connessa alla terra è costituita dai cosiddetti maestri comacini (probabilmente dal nome della città di Como), che si spostavano da un luogo all’altro per restaurare o costruire edifici. Il commercio vi è praticamente assente, anche se certamente non possiamo immaginare che fosse del tutto scomparso. Di particolare importanza si rivelano anche le attività della caccia (che integrava in modo consistente il fabbisogno di carne) e della raccolta (delle ghiande, del miele, dei frutti selvatici, ecc.). Alcune norme dell’Editto, per esempio, regolano in modo minuzioso lo sfruttamento degli alveari nei boschi o si soffermano sul criterio per assegnare una preda colpita da più cacciatori. Tutto questo rimanda a un sistema economico molto semplice, in cui la dipendenza dall’ambiente naturale era fortissima. Nell’Editto, infatti, la città fa la sua apparizione solo in riferimento a problemi di ordine pubblico, o in quanto luogo di residenza del re, ma non come luogo qualificato da una specificità economica (commercio, artigianato). Parte 5 L’ETÀ TARDOANTICA Giardina2_P5_cap29_29 16/03/11 12.27 Pagina 597 Nuove esigenze sociali Circa un secolo dopo l’Editto di Rotari, il re Liutprando [cfr. 29.7] attribuì validità anche alla legge romana, ponendo così fine a quell’identificazione tra legge longobarda e piena capacità giuridica che caratterizzava l’Editto di Rotari. Questa decisione, che nasceva da nuove esigenze sociali, ebbe enorme importanza per i rapporti tra la popolazione di origine longobarda e quella di origine romana. La fine dell’epoca eroica delle conquiste, inoltre, aveva modificato l’antico carattere tendenzialmente ugualitario della società longobarda e introdotto distinzioni di rango e di ricchezza. Liutprando trasse le conseguenze di questa evoluzione e distinse, tra gli arimanni, due categorie fondamentali: i «minimi», individui capaci di combattere ma che non possedevano né terre né case, e i «primi», che comprendevano i nobili e i giudici. La legislazione di Liutprando prendeva in considerazione anche la nuova situazione economica. Emergeva in modo netto il ruolo più attivo del commercio e dei ceti che vi erano coinvolti, la diffusione della moneta, di guadagni non esclusivamente agricoli, del prestito a interesse. GUIDAALLOSTUDIO 1. Che cos’è l’Editto di Rotari? Perché fu scritto in latino? 2. Chi erano gli aldii? E gli arimanni? 3. Quale valore aveva il giuramento per la legge longobarda? 4. Chi erano i maestri comacini? 5. Quale diritto era in vigore nell’Italia del VII secolo? potere temporale 5 L’età di Gregorio Magno Nella storia del papato, la conquista longobarda dell’Italia segnò una svolta decisiva. Il vescovo di Roma, infatti, si trovò improvvisamente privo di una concreta protezione politica e militare, in un territorio di frontiera tra l’Italia bizantina e l’Italia longobarda. Per sopravvivere, era necessario trovare uno spazio politico autonomo: la risposta che la Chiesa romana trovò a questa necessità gettò le basi del suo potere temporale [cfr. 29.7]. Potere politico rivendicato dal papa su un territorio o sulla persona dell’imperatore, rispetto al quale si proclamava superiore in autorità. Il potere temporale del papa storicamente ha avuto origine con le donazioni territoriali longobarde e franche, e si è consolidato nel corso delle lotte medievali contro l’autorità imperiale, prima, e signorile, poi. Un politico intelligente Il maggior interprete di questa fase della storia del cristianesimo fu papa Gregorio Magno (590-604), uno dei grandi fondatori della Chiesa medievale. Discendente da una nobile famiglia romana, egli univa a una vastissima conoscenza del diritto e a uno scrupoloso rispetto per la legge, una duttilità che gli consentiva di destreggiarsi abilmente nelle situazioni più difficili. Prima di essere nominato papa, Gregorio era stato ambasciatore pontificio presso la corte di Costantinopoli: qui aveva potuto comprendere quanto fosse radicata, in Oriente, l’idea dell’autorità imperiale in quanto autorità suprema e incontrastata (anche in materia di religione: cfr. 28.2), e quanto sarebbe stato inutile, di conseguenza, il tentativo del papa di Roma di far valere in quella parte del mondo il proprio primato. Eletto al pontificato, egli concentrò quindi il suo impegno sulla Cristianità occidentale. Nel VI secolo il papato era il maggior proprietario terriero dell’Europa occidentale. I suoi possedimenti, chiamati patrimoni, si estendevano in tutta l’Italia, oltre che in Dalmazia, Gallia, Sardegna, Sicilia, Corsica, Africa. Li gestiva una fitta rete di amministratori diretta da Roma. Gregorio mostrò una cura particolare nell’amministrazione di queste immense proprietà, i cui proventi ave- Gregorio Magno allo scrittoio e tre monaci scrivani, IX sec. [Kunsthistorisches Museum, Vienna] Come testimoniato da questa tavoletta in avorio, Gregorio Magno fu assai noto in tutto il Medioevo per le numerose opere scritte nel corso della sua vita, cui affiancò un’instancabile opera pastorale, che gli valse l’appellativo di consul Dei («console di Dio»). 29 L’ITALIA DEI LONGOBARDI E DI GREGORIO MAGNO 597 Giardina2_P5_cap29_29 16/03/11 12.27 Pagina 598 ON LINE DOCUMENTI • Gregorio Magno Un’economia dal volto umano • Giovanni Diacono Il «granaio comune» dei fedeli ON LINE DOCUMENTI Beda Lo schiavo biondo e la conversione degli Angli vano una spiccata destinazione sociale. Oltre al mantenimento del papato, essi servivano infatti al mantenimento delle chiese povere, dei monasteri, al riscatto dei prigionieri, e all’approvvigionamento delle popolazioni locali, prima fra tutte quella di Roma, la cui sopravvivenza dipendeva ora dall’organizzazione papale come un tempo da quella imperiale. Il popolo di Roma si riconosceva pienamente nel suo vescovo, che era ormai la massima autorità in città e nel territorio circostante. Il prestigio e l’autorità di papa Gregorio si accrescevano anche perché il vescovo di Roma rappresentava per l’Occidente l’unico punto di riferimento sicuro. Gregorio infatti stabilì con i vescovi occidentali rapporti diretti attraverso lo scambio di lettere, nelle quali venivano affrontati problemi relativi all’organizzazione delle diocesi, ai rapporti col potere politico, alla cura delle anime, ecc. Per protesta contro il patriarca di Costantinopoli, che aveva assunto il titolo di «patriarca ecumenico» (vale a dire universale), Gregorio prese un titolo che resterà per secoli nella titolatura ufficiale del papato: «servo dei servi di Dio». Alla pomposa e ambiziosa espressione bizantina il vescovo di Roma contrapponeva un titolo di umiltà, che traduceva in termini ufficiali una delle massime virtù cristiane. VITA SOCIALE DIRITTO sua disciplina, dal suo raggio d’azione. L’alta qualità morale di alcuni monaci spinse spesso i fedeli a sceglierli come vescovi, ma nel complesso quella monastica rimase Il mondo sempre un’organizzazione alternativa dei monaci rispetto all’organizzazione ecclesiastica. Accanto all’eremitismo si sviluppò, Suscitava inoltre forti critiche l’esibizionismo di molti monaci. già nell’epoca di sant’Antonio, Quasi tutto, nell’aspetto di questi un’altra forma di monachesimo, il individui, appariva come una cenobitismo. A differenza degli provocazione: il loro corpo ricoperto eremiti [cfr. Gli eremiti, p. 520], di stracci o di pelli, i capelli e la che cercavano di raggiungere la barba troppo lunghi, il loro perfezione spirituale da soli, i ostentato disgusto per la società cenobiti conducevano una vita in civile. Questi uomini «diversi» comune, nel chiuso dei loro apparivano appunto come dei monasteri. provocatori, se non come dei Già nel IV secolo il cenobitismo, sovversivi: le città li rifiutavano e che per comodità chiameremo non mancarono episodi cruenti. In monachesimo, s’impiantò in Occidente e nei secoli successivi vi Oriente, i monaci costituirono si diffuse fino a diventare una delle talvolta bande agguerrite e pronte più importanti istituzioni dell’Europa persino alla violenza pur di far prevalere questa o quella posizione, medievale. per esempio durante una disputa Il cammino del monachesimo fu teologica. Non meno inquietante inarrestabile, ma in un primo momento incontrò molte resistenze. appariva il fatto che i loro gruppi Dobbiamo considerare che la scelta erano costituiti da individui di tutte radicale del monaco non esprimeva le condizioni sociali: schiavi, braccianti, proprietari terrieri, soltanto disprezzo per la vita artigiani e persino ricchi signori. mondana. Nel momento stesso in Quello dei monaci sembrava cui si ritirava, il monaco prendeva le distanze anche dalla Chiesa, dalla davvero un mondo alla rovescia. 598 Parte 5 L’ETÀ TARDOANTICA Per dedicarsi totalmente al Signore, i monaci non lavoravano e sopravvivevano grazie alle elemosine dei fedeli. Ma poiché essi erano solitamente laici e non chierici (diremmo oggi «preti»), questo attirava su di loro l’accusa di oziosità. La trasformazione dei monasteri in luoghi produttivi (ora et labora), che in Occidente è legata all’iniziativa di san Benedetto, fu anche una risposta concreta ed efficace a queste critiche. I monaci erano riluttanti a farsi inquadrare nei ranghi della Chiesa e quando dovevano darsi una «regola» che ordinasse la vita del monastero, se la davano a proprio piacimento. I monaci preferivano ubbidire all’abate del loro monastero più che al vescovo della città vicina. L’abate era una figura amata e riverita: «Lo spirito del Signore è in quell’uomo – disse un monaco del suo abate – e se mi ordina muori, io muoio, e se mi ordina vivi, io vivo». Nelle campagne, il monaco era una figura centrale e le sue funzioni potevano assomigliare, per certi aspetti, a quelle degli antichi stregoni dei villaggi: curava le malattie della gente e del bestiame, purificava i luoghi infestati dai demoni, sedava le contese tra i fedeli. Il suo prestigio si fondava su una vita esemplare, fatta di digiuni, di privazioni, di preghiere. La sua sapienza – che si nutriva di contatti assidui con la divinità – era un serbatoio cui attingeva la disperazione degli uomini. Il prestigio di questi eroi popolari, che vantavano un rapporto privilegiato con la divinità, s’impose presto anche nel mondo urbano, e tra il V e il VI secolo il monaco divenne una figura di moda. Averne uno come amico era considerata una vera fortuna. Gli aristocratici e gli imperatori se li contendevano e li consultavano. Il favore popolare che si riversava sui monaci più famosi li rendeva personaggi temuti persino dai sovrani: il loro appoggio rendeva più solide le fondamenta del potere, la loro ostilità poteva causare gravi problemi di ordine pubblico. Si ripeteva così quello stesso paradosso che abbiamo osservato a proposito degli eremiti: quello di uomini che presi da orrore per il mondo si ritirarono ai margini della società civile, e che furono al tempo stesso gli agenti di molte trasformazioni di quella stessa società che avevano rifiutato. Giardina2_P5_cap29_29 16/03/11 12.27 Pagina 599 Una prospettiva «mondiale» Sotto il profilo concreto egli agì però in una dimensione «mondiale», soprattutto in quella parte dell’Occidente che era di fatto sottratta all’influenza bizantina. Lo abbiamo già visto tessere con la corte e con i duchi longobardi una rete di rapporti destinata, in progresso di tempo, a convertire quel popolo al cattolicesimo [cfr. 29.3]. Ma l’iniziativa di Gregorio non si svolse solo in questa direzione. Si occupò della riforma della liturgia romana, compreso il canto, che da lui prese il nome di gregoriano, e diede impulso all’opera di evangelizzazione dei pagani. Nel 595 egli lanciò infatti una delle più importanti imprese missionarie dell’età medievale: un gruppo di monaci guidati da Agostino (il futuro sant’Agostino di Canterbury) diede l’avvio all’evangelizzazione degli Anglosassoni, ancora pagani: nel corso del VII secolo l’Inghilterra fu conquistata al cattolicesimo e legata strettamente all’osservanza romana. Il cattolicesimo fece inoltre importanti progressi in Spagna, grazie all’opera dell’arcivescovo Isidoro di Siviglia, e in Gallia, dove gli stretti legami con la corte franca furono ulteriormente rafforzati. Ma Gregorio fu impegnato a fondo anche nella lotta contro le pratiche pagane sopravviventi in aree apparentemente del tutto cristianizzate. 9 5 6 3 4 1 7 8 2 10 GUIDAALLOSTUDIO 1. Spiega il significato dell’espressione potere temporale. 2. Cos’erano i patrimoni della Chiesa? Com’erano gestiti? 3. Chi era il «servo dei servi di Dio»? 4. In quali direzioni s’indirizzò l’evangelizzazione cristiana nel VII secolo? L’abbazia benedettina [disegno di A. Baldanzi] Il monastero era organizzato in cinque strutture principali: la chiesa (oratorium), il luogo della preghiera; il dormitorium, per dormire; il refectorium, con la cucina, le latrine e la stanza dove i monaci si riunivano per i pasti; una zona dedicata all’accoglienza degli ospiti (cella hospitum); e, infine, una portineria (portaria), ossia il luogo deputato alle comunicazioni fra la comunità e il mondo esterno. Queste strutture, che si ripetono in tutte le fondazioni benedettine, si organizzavano attorno al chiostro, considerato il cuore del monastero. Nell’ala orientale del complesso monastico si trovavano poi gli edifici dedicati alle attività culturali, e quindi la sacrestia, la sala capitolare, le stanze da lavoro, gli armaria per la conservazione dei testi e lo scriptorium dove venivano ricopiati. Oltre il muro di cinta si estendevano le vaste proprietà che con il tempo il monastero accumulava. 1. Chiesa abbaziale; 2. Chiostro; 3. Dormitorio; 4. Sala Capitolare; 5. Parlatoio; 6. Refettorio; 7. Cucina; 8. Scriptorium e biblioteca; 9. Stalle, magazzini e cantine; 10. Portineria. 29 L’ITALIA DEI LONGOBARDI E DI GREGORIO MAGNO 599 Giardina2_P5_cap29_29 16/03/11 12.27 Pagina 600 6 La diffusione del monachesimo L’Irlanda di san Colombano L’Occidente, devastato dalle invasioni e dalle carestie, creò un tipo di monachesimo originale rispetto alle esperienze anacoretiche e cenobitiche sviluppatesi nel IV secolo in tutto l’impero romano e ne fece ben presto uno degli elementi portanti della società dell’epoca. Un forte impulso venne dall’Irlanda, l’isola cristianizzata alla fine del V secolo da san Patrizio e miracolosamente risparmiata dalle migrazioni dei barbari. Dall’Irlanda gruppi di monaci vaganti sciamarono quasi subito in tutta Europa, animati da uno slancio missionario ignoto al monachesimo orientale. Essi convertirono i pagani e gli eretici spingendosi, con un’audacia che non conosceva ostacoli, nelle città occupate, nelle campagne, negli accampamenti degli invasori. Tra loro spiccava san Colombano, fondatore, tra l’altro, del monastero di Bobbio, presso Piacenza. La fondazione del monastero di Bobbio riveste una duplice importanza, politica e culturale: politica perché questa fu la prima di una lunga serie di fondazioni monastiche che, dalla seconda metà del VII secolo, fu sostenuta dai cattolici sovrani longobardi; culturale perché presso di esso fu costituito uno dei più importanti centri di copiatura di testi manoscritti: un esempio che sarà molto seguito in Italia e in Europa e che consentirà la trasmissione di fondamentali opere della cultura classica e cristiana. I monaci irlandesi diedero vita, durante i loro spostamenti nel continente, ad una rete di fondazioni monastiche che svolsero un ruolo determinante nel processo di evangelizzazione dell’Europa centro-settentrionale. IL MONACHESIMO IRLANDESE MARE DEL NORD Bangor Elphin York Tuam Armagh Cork Cloyne Utrecht OCEANO ATLANTICO Osnabrück Fulda Canterbury Erfurt Würzburg Echternach Rouen Luxeuil Tours Besançon Poitiers Lione Bordeaux S. Gallo Salzburg Aquileia Milano Alessandria Arles Bobbio Aix-enProvence Lisbona Toledo Roma Montecassino Cordova Ippona Cartagine MAR MEDITERRANEO Territori cristianizzati alla fine del IV secolo Espansione del monachesimo irlandese Centri di evangelizzazione Principali diocesi 600 Parte 5 L’ETÀ TARDOANTICA Giardina2_P5_cap29_29 16/03/11 12.27 Pagina 601 Il monastero di S. Benedetto di Subiaco Il monastero di S. Benedetto (o del Sacro Speco) di Subiaco si presenta oggi come un edificio scenografico, insediato nella curvatura di una immensa parete di roccia e sorretto da nove alte arcate, in parte ogivali. L’interno – complicato labirinto di ambienti, chiesette, cappelle, talvolta ricavate dalla roccia – è ricoperto da una preziosa decorazione di varie epoche: dalle opere bizantine (VIII secolo) al prezioso ritratto di san Francesco (1223), ritenuto la prima fedele raffigurazione mai realizzata del santo. La «Regola» di san Benedetto Il vero fondatore del monachesimo occidentale, tuttavia, fu san Benedetto da Norcia, vissuto tra il 480 circa e il 547, che conferì al movimento monastico quei caratteri peculiari che esso avrebbe mantenuto per secoli. In contrasto con le abitudini dei monaci vaganti, che praticavano e diffondevano la fede spostandosi dove ritenevano di volta in volta che ce ne fosse più bisogno, Benedetto affermò la severa norma della stabilitas («stabilità»), fondata sulla convinzione che il monaco doveva essere lo stabile punto di riferimento dell’intera comunità; di qui il divieto assoluto di allontanarsi dalla propria sede. Inoltre, mentre i monaci vaganti erano completamente autonomi, i benedettini furono sottoposti all’autorità dell’abate, il capo del monastero, responsabile dell’applicazione di un rigoroso codice di comportamento spirituale e materiale: la Regola. Un altro punto essenziale di differenza era contenuto in una delle idee centrali che ispirava la Regola e che fu poi condensata nella formula ora et labora, cioè «prega e lavora»; un concetto certamente non ignoto nei monasteri precedenti ma che Benedetto valorizzò come elemento fondamentale nella formazione spirituale dei suoi monaci. «L’ozio è il nemico dell’anima», si ripeteva nei monasteri benedettini. I monasteri benedettini Nei dettami della Regola sono condensate le ragioni del prestigio e del successo che le organizzazioni benedettine riscossero soprattutto in Italia. Prima nei dodici piccoli monasteri di Subiaco, vicino a Roma, poi nell’abbazia di Montecassino, accanto alla quale la sorella di Benedetto, Scolastica, fondò un monastero femminile, si aggregarono comunità dove regnavano l’ordine e la preghiera. Nei monasteri la giornata cominciava con l’opus Dei, cioè con la recita corale dell’ufficio divino, e continuava con attività agricole e artigianali di ogni genere, tra le quali la copiatura dei testi sacri. Ciò preservava i monaci dalla presunzione che può derivare 29 L’ITALIA DEI LONGOBARDI E DI GREGORIO MAGNO San Benedetto, XI sec. [Oratorio di S. Benedetto, Civitate] ufficio divino È l’insieme delle preghiere che gli ecclesiastici hanno l’obbligo di recitare durante la giornata. Esse sono distribuite secondo le otto ore canoniche: mattutino (mezzanotte); lodi (alba); prima (alle 6); terza (alle 9); sesta (alle 12); nona (alle 15); vespro (al tramonto); compieta (prima del riposo notturno). 601 Giardina2_P5_cap29_29 16/03/11 12.27 Pagina 602 GUIDAALLOSTUDIO 1. Da dove provenivano i monaci vaganti? 2. Quale attività si praticava nel monastero di Bobbio? 3. Spiega il significato della formula ora et labora. dall’intellettualismo, dalle forme di fanatismo religioso che a volte animavano i monaci orientali e i vaganti, e permetteva l’inserimento dei contadini, che trovavano nel monastero quell’atmosfera di laboriosa umiltà cui essi erano abituati. Inoltre, fatto non meno importante, il monastero diventava così un’unità produttiva autosufficiente, da cui nei momenti di emergenza potevano addirittura partire aiuti e soccorsi per la popolazione bisognosa. L’egemonia del monachesimo all’interno del mondo cattolico, tuttavia, non era soltanto economica e culturale, ma anche religiosa. Fu dai monasteri che vennero i quadri più preparati della gerarchia ecclesiastica e fu la vita monastica quella che apparve la forma più pura e completa di cristianesimo, il modello cui guardavano costantemente i laici e gli altri ecclesiastici. 7 La fine del regno longobardo e l’emergere del papato à Alla donazione di Sutri (728), considerata l’atto di nascita del potere temporale del papato, seguirono nel tempo altre donazioni, sia da parte di privati, sia da parte di sovrani, che andarono a rimpinguare il Patrimonio di San Pietro. Tra le tante, ricordiamo le donazioni dei re franchi Pipino il Breve e Carlo Magno. Patrimonio di S. Pietro prima del 756 756 (Pipino) 757-781 787 Territori longobardi IL PATRIMONIO DI S. PIETRO Mantova Longobardi, Bizantini e papato Completata la conversione al cattolicesimo e realizzata anche a livello giuridico l’integrazione tra Romani e Longobardi [cfr. 29.3], Liutprando (712-744) avviò una nuova fase di espansione territoriale a danno dei due ducati autonomi (Spoleto e Benevento) e dei territori bizantini. I Bizantini in Italia erano sulla difensiva: Bisanzio, infatti, non poteva dedicare troppe cure al fronte italiano, perché dilaniata da una gravissima crisi interna [cfr. 29.8]. Nei territori bizantini, inoltre, vi era un forte malcontento contro l’imperatore d’Oriente: le popolazioni mal sopportavano la pesante oppressione fiscale, mentre il pontefice di Roma – insieme con le varie chiese locali – era sempre meno disposto ad accettare le ingerenze di Costantinopoli nella vita religiosa della Cristianità occidentale. A differenza della Chiesa orientale, dove l’imperatore interferiva anche nelle questioni teologiche [cfr. 28.9], il vescovo di Roma rivendicava infatti con sempre maggiore fermezza l’autonomia del potere «spirituale» rispetto a quello «temporale». Una posizione che si era accentuata a partire da Gregorio Magno ed era fondata, sotto il profilo dottrinario, sull’idea che il vescovo di Roma era depositario della «tradizione apostolica» più pura in quanto successore diretto di san Pietro [cfr. 24.8]. Questa affermazione dell’autonomia e del primato religioso del pontefice romano aveva inevitabili ripercussioni di carattere politico: essa significava che sullo scenario internazionale agiva ora un’altra potenza, il papato. Pur se priva di un proprio esercito, la Chiesa di Roma aveva infatti l’autorità per mobilitare forze esterne al servizio dei propri interessi. Ferrara Reggio Modena MAR Ravenna Bologna ADRIATICO Rimini Lucca Firenze Pesaro Fano Ancona Pisa Siena Numana Osimo Spoleto Viterbo Rieti Sutri MAR TIRRENO ROMA Ceprano 602 Iniziativa longobarda Approfittando della situazione, Liutprando invase l’Esarcato e la Pentapoli e occupò il Lazio. L’azione longobarda venne osteggiata da tutti, poiché né il papa Gregorio II, né i funzionari bizantini locali, né gli stessi duchi longobardi di Spoleto e Benevento, gelosi della propria indipendenza, potevano trarre vantaggio da un dominio incontrastato del re longobardo in Italia. Alla fine, nel 728, Liutprando dovette ritirarsi, e a questo contribuirono non solo l’opposizione dei duchi, ma forse anche i suoi scrupoli religiosi. Abbandonando il Lazio, il sovrano concesse al papa, in segno di riconciliazione, parte del Lazio con il territorio di Sutri nel viterbese. Il gesto, divenuto celebre come donazione di Sutri, segnò un’ulteriore avanzata del potere temporale del papa. Intervento dei Franchi Alla morte di Liutprando gli eventi subirono un’improvvisa accelerazione. Nel 751, il nuovo re Astolfo (749-756) rioccupò i territori bizantini dell’Esarcato e della Penta- Parte 5 L’ETÀ TARDOANTICA Giardina2_P5_cap29_29 16/03/11 12.27 Pagina 603 La donazione di Costantino, part., XIII sec. [Chiesa dei Quattro Santi Coronati, Roma] Nella donatio Costantino concedeva al papa: il primato sulle Chiese d’Oriente; le chiese del Laterano, di S. Pietro e S. Paolo Fuori le Mura, oltre a beni in varie province; le insegne imperiali; il privilegio di promuovere i senatori al clericato; ogni potere sul Laterano, la Chiesa di Roma, l’Italia. Redatto negli ambienti della curia romana nell’VIII secolo, questo documento costituirà dall’XI secolo in poi l’argomentazione principale a sostegno della supremazia papale. La falsità del documento fu dimostrata nel XV secolo e riconosciuta dalla Chiesa solo nel XIX secolo. poli, conquistando Ravenna e minacciando direttamente la stessa Roma. La mossa questa volta si rivelò azzardata, perché favorì l’alleanza tra il papato e la dinastia franca dei Pipinidi [cfr. 31.1]. Nel 755, infatti, Stefano II chiamò in suo soccorso Pipino il Breve, il quale, sceso in Italia, riconquistò a vantaggio di Roma gli ex territori bizantini occupati dai Longobardi (Esarcato, Pentapoli e Lazio), che andarono a formare il cosiddetto Patrimonio di San Pietro. Stretti tra due potenze, i Franchi a nord e il papato a sud, i Longobardi, come vedremo, erano condannati a un rapido declino. Un celebre falso A quanto sembra, in questo periodo venne elaborata anche la donazione di Costantino, un documento secondo cui l’imperatore romano Costantino il Grande avrebbe concesso territori in Italia alla Chiesa già nel IV secolo. Il documento – smascherato come un falso solo nel XV secolo dall’umanista Lorenzo Valla – fu spesso utilizzato dai papi del Medioevo nelle loro controversie con sovrani e imperatori sulla legittimità del potere temporale della Chiesa. In realtà, la falsa donazione sarebbe stata scritta proprio intorno al 754, a opera della cancelleria papale, per giustificare legalmente l’appello di Stefano II ai Franchi. GUIDAALLOSTUDIO 1. Il re Liutprando intraprese iniziative militari? 2. La Chiesa aveva un esercito? 3. Cosa stabiliva la donazione di Sutri? 4. Chi era Pipino il Breve? 5. Chi era Lorenzo Valla? 8 La lotta contro le immagini Il movimento iconoclasta Dall’inizio dell’VIII secolo sino alla metà del IX, l’impero bizantino fu travagliato da una controversia di carattere religioso: l’iconoclastia (dal greco eikòn, «icona, immagine», e klào, «spezzo, distruggo»), ovvero la lotta contro il culto delle icone. Il movimento iconoclasta si era sviluppato soprattutto nelle regioni orientali dell’impero bizantino, dove si sentiva più forte il richiamo delle altre grandi religioni rivelate, l’ebraismo e il giovane islamismo [cfr. 30], che proibivano la raffigurazione della divinità, e in questo si allontanavano dalla tradizione greco-romana. Al con29 L’ITALIA DEI LONGOBARDI E DI GREGORIO MAGNO 603 Giardina2_P5_cap29_29 16/03/11 12.27 Pagina 604 trario, sia a Costantinopoli sia nelle regioni occidentali dell’impero, si era radicata la tendenza a rappresentare non solo Cristo e la Madonna, ma anche i santi. Il conflitto sulle immagini fu così la cornice ideologica di una vastissima lotta sociale fra gli iconoclasti e i tradizionalisti «iconodùli» («servi delle icone»), accusati di diffondere, con la venerazione delle immagini, l’ignoranza e la superstizione tra il popolo. Un imperatore iconoclasta La controversia acquisì una dimensione politica quando salì al trono Leone III (717-741): l’imperatore era originario dell’Isauria, una regione dell’Anatolia dove il movimento iconoclasta aveva raccolto numerosi seguaci. Leone III inaugurò una politica ufficialmente iconoclasta e ordinò la distruzione di tutte le immagini, da quelle riprodotte sulle tavole di legno a quelle presenti in affreschi e mosaici. Ogni immagine venne condannata come un segno di idolatria, e il fanatismo degli iconoclasti scatenò una serie di sanguinose rivolte e repressioni. GUIDAALLOSTUDIO 1. Contro chi combattevano gli iconoclasti? 2. Quale atteggiamento assunse Gregorio II nei confronti dell’iconoclastia? L’atteggiamento del papato Come suddito dell’imperatore d’Oriente e come vescovo cattolico sul quale l’imperatore pretendeva di esercitare la propria autorità in materia religiosa, il papa romano Gregorio II (715-731) era tenuto, in teoria, a schierarsi dalla parte degli iconoclasti; ma le profonde radici che il culto delle immagini aveva in Italia, insieme con la tendenza sempre più forte della Chiesa di Roma a rendersi autonoma da Costantinopoli, facevano pendere nettamente la bilancia a favore dell’orientamento opposto. Il pontefice, infatti, inizialmente condannò l’iconoclastia, successivamente, nel 731, scomunicò l’imperatore e i suoi seguaci. L’ITALIA DEI LONGOBARDI E DI GREGORIO MAGNO 1 La spartizione dell’Italia Nel 568 una nuova invasione germanica sconvolge l’Italia: ne sono protagonisti i Longobardi, guidati da Alboino. Divisi in bande, saccheggiano e distruggono ovunque entrando presto in conflitto con i Bizantini. Nel 603 poi, giungono a un accordo che sancisce la divisione politica dell’Italia. Ai Longobardi vanno Nord Italia, Toscana, Spoleto, Benevento; ai Bizantini rimane invece il controllo della Romània e della Pentapoli. 2 Prime vicende del regno longobardo La società longobarda è una società guerriera e la loro stessa monarchia, di carattere elettivo, 604 SINTESI si fonda sulle capacità militari del sovrano. L’aristocrazia longobarda, divisa al suo interno, esercita un potere autonomo, a scapito del potere regio, molto debole e spesso in balìa dei conflitti tra i duchi. Alla morte di re Alboino, ucciso dalla moglie Rosmunda, segue un periodo di anarchia militare, di cui approfittano i duchi, i quali organizzano le nuove conquiste territoriali in ducati dotati di ampie autonomie. A questo stato di cose pone fine il re Autari, il quale ricostituisce l’autorità regia e organizza l’amministrazione del regno affidandola ai gastaldi. 3 Lo stanziamento dei vincitori e i rapporti con i Romani Il dominio longobardo in Italia Parte 5 L’ETÀ TARDOANTICA è molto duro e fa precipitare una situazione già molto critica: si contraggono l’indice demografico, la manodopera agricola, la circolazione e coniazione monetaria, il commercio; si abbandonano molte aree agricole, aumentano gli spazi incolti. La precedente classe dirigente romana e la gerarchia ecclesiastica vengono annientate. I Longobardi costituiscono una percentuale minima dell’intera popolazione e vivono in piccoli gruppi familiari (fare), distaccati rispetto alla popolazione locale. Sotto il re Agilulfo, tuttavia, le relazioni con la popolazione romana migliorano; la stessa Chiesa, grazie a Gregorio Magno, intrattiene rapporti sempre più intensi con le autorità longobarde, soprattutto dopo le nozze della cattolica Teodolinda col re Agilulfo. I progressi in questo campo culminano, alla metà del VII secolo, con la conversione al cattolicesimo di re Ariperto. 4 La società longobarda L’editto di Rotari (643), prima raccolta di leggi scritte dei Longobardi, fornisce un quadro del loro sistema sociale, fondato su una rigida distinzione tra liberi, dotati di dignità giuridica, e non liberi. La società longobarda si basa sull’agricoltura e su rapporti di produzione di tipo signorile; particolare importanza hanno anche le attività della caccia e della raccolta, mentre appare essere quasi assente il commercio. Giardina2_P5_cap29_29 16/03/11 12.27 Pagina 605 Liutprando, nella prima metà dell’VIII secolo, attribuisce validità anche alla legge romana: questa decisione ha enorme importanza per i rapporti tra le due popolazioni. Dalla sua legislazione, inoltre, emerge anche il nuovo slancio del commercio e della circolazione monetaria. 5 L’età di Gregorio Magno Con la conquista longobarda dell’Italia il papa si trova privo di protezione politica e militare: la necessità di acquisire un autonomo spazio politico trova espressione soprattutto con il papato di Gregorio Magno. Questi mostra una cura particolare nell’amministrazione del patrimonio della Chiesa e assume il ruolo di massima autorità a Roma e nel territorio circostante mentre conquista una maggiore autonomia per la Chiesa di Roma rispetto all’impero di Costantinopoli. In realtà, egli agisce secondo una prospettiva «mondiale», curando il dialogo con i Longobardi, riformando la liturgia ecclesiastica e donando un rigoroso impulso sia alla evangelizzazione dell’Europa sia alla lotta contro le pratiche pagane ancora vive soprattutto nelle campagne. 6 La diffusione del monachesimo Determinanti, nell’opera di evangelizzazione, sono i monaci: in tutto l’Occidente essi diffondono la fede e fondano monasteri con un dinamismo ignoto al monachesimo orientale. Un forte impulso parte dall’Irlanda e dai suoi monaci vaganti, tra i quali san Colombano, che presso Piacenza fonda l’importante monastero di Bobbio. Il vero padre del monachesimo occidentale è san Benedetto, che fissa il principio della residenza stabile dei monaci (in modo che essi possano divenire punto di riferimento per l’intera comunità). Egli fa dei monasteri, basati sulla Regola, centri di preghiera e insieme unità produttive autosufficienti. Da ciò un’egemonia del monachesimo nel mondo cattolico che è insieme economica, culturale e religiosa. 7 La fine del regno longobardo e l’emergere del papato La situazione dei Bizantini in Italia è molto critica, nei primi decenni del 700. Bisanzio è infatti dilaniata da una drammatica frattura interna e nello stesso tempo deve fronteggiare le ribellioni delle popolazioni dei territori bizantini vessati dalle ingenti imposizioni fiscali. Anche le chiese locali e il papato si dimostrano sempre meno disposte ad accettare l’ingerenza di Costantinopoli nella Cristianità occidentale. Di questa situazione decide di approfittare Liutprando, che invade l’Esarcato, la Pentapoli e il Lazio. Nel 728, però, si ritira e cede al papa, in segno di riconciliazione, parte del Lazio e il territorio di Sutri. Morto Liutprando, il successore riprende una politica aggressiva, e questa volta il papa chiede l’aiuto dei Franchi, che 29 L’ITALIA DEI LONGOBARDI E DI GREGORIO MAGNO riconquistano i territori presi dai Longobardi. Questi, consegnati al papa, costituiscono il Patrimonio di San Pietro. Viene elaborato probabilmente in questo periodo un documento poi rivelatosi falso, la «donazione di Costantino». 8 La lotta contro le immagini Nell’VIII-IX secolo l’impero bizantino conobbe una nuova controversia religiosa. L’iconoclastia (lotta contro il culto delle immagini), che ha particolare seguito nelle zone orientali, si oppone agli iconodùli (tradizionalisti), presenti soprattutto a Costantinopoli. Essa acquisisce una dimensione politica con l’ascesa al trono di Leone III (717-741), che adotta una politica ufficialmente iconoclasta, dando luogo anche a gravi episodi di violenza. Come suddito dell’impero d’Oriente, il papa Gregorio II è teoricamente tenuto a sostenere tale politica; egli, invece, la condanna e scomunica 605 Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 618 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM 1 L’Arabia preislamica L’Oasi di Taghit nel Deserto del Sahara, Algeria [© Jose Fuste Raga/Corbis] Bizantini contro Persiani Tra il VI e il VII secolo due grandi potenze si contendevano la supremazia sul Medio Oriente: l’impero bizantino e l’impero persiano [cfr. 28]. Questo antagonismo sfociò in una sorta di guerra permanente, che non arrivò tuttavia a un esito chiaro e definitivo: i Bizantini portarono il loro attacco in Mesopotamia, i Persiani in Siria e in Egitto. Vittorie alternate a sconfitte, città prese e perdute, incursioni e saccheggi da ambo le parti non sortirono altro effetto che quello di prosciugare uomini e mezzi e d’indebolire entrambe le compagini. Troppo impegnati a combattersi, Bizantini e Persiani non si accorsero che, non lontano da loro, prendeva corpo una terza potenza, giovane e temibile. Quando se ne avvidero, era ormai troppo tardi. Raccontare la nascita di questa terza potenza vuol dire raccontare insieme la nascita di una religione e di un impero, tra i più grandi che siano mai esistiti. La penisola arabica Lo scenario dove comincia questa avventura è la penisola arabica, un immenso territorio di tre milioni di kmq, in massima parte dominato dal deserto. Gli insediamenti nella penisola avevano mantenuto la loro tradizionale suddivisione in due grandi aree geografiche e ambientali. La prima era l’antica Arabia Felix dei Romani, vale a dire le regioni dello Yemen e dello Hadramaut: si trattava di terre fertili e ricche d’acqua, grazie soprattutto alle piogge monsoniche e a evoluti sistemi d’irrigazione. Qui vivevano popolazioni sedentarie e fioriva un’intensa vita urbana, vivacizzata principalmente dai traffici tra l’India, la Birmania, l’Africa orientale e le regioni mediterranee e mesopotamiche, e da produzioni locali come quella dei cereali, dell’incenso e delle piante aromatiche. L’organizzazione politica era di tipo monarchico e l’influenza persiana era molto forte. A quest’area si contrapponevano le enormi distese desertiche 618 Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 619 L’ARABIA PREISLAMICA Cesarea Bosra Alessandria La penisola arabica è stata sin dall’antichità al centro di una intensa rete di traffici commerciali con le regioni mediterranee. Spezie, oro, pietre preziose costituivano le principali ricchezze di una regione il cui territorio è in gran parte desertico. IMPERO PERSIANO Gerusalemme Hira Petra Duma GOLFO PERSICO Suk al-Kurn Kaibar Sūk Dubā Hadjar Medina (Yathrib) Badr Suhār al-Mashkār ¯ Yamama Ukaz La Mecca MAR ROSSO Impero bizantino Arabia Felix romana Nadjrān Samharm Shabwa Suk Hadhramaut Marib San’a HADHRAMAUT¯ Zafar Timna al-Shihr YEMEN ¯ Vie carovaniere Principali città Principali mercati OCEANO INDIANO Aden punteggiate di oasi e solcate dai nomadi beduini, che secondo la tradizione erano gli Arabi autoctoni, o «i veri Arabi». I Beduini vivevano di allevamento, del commercio carovaniero e di razzie. Fieri e bellicosi, erano organizzati in comunità rinsaldate dai vincoli della famiglia e della tribù. Tutti i membri della tribù, considerati uguali tra loro, si riconoscevano nella guida di un capo eletto, assistito da un consiglio. Altro personaggio di grande rilievo nella comunità era il poeta, simbolo vivente delle antiche tradizioni che configuravano l’identità della tribù: spettava a lui, infatti, cantare le glorie remote e recenti della comunità e compiere alcuni importanti riti religiosi. Tra i Beduini, la proprietà privata aveva margini assai ridotti e tanto gli animali quanto i pascoli erano considerati beni collettivi. Il quadro religioso Anche se non mancavano zone segnate da influenze ebraiche (soprattutto nello Yemen e lungo le vie carovaniere) e cristiane (principalmente nelle regioni settentrionali), in Arabia erano molto diffusi i culti politeistici. Primeggiavano i culti degli alberi e delle pietre sacre, ma si veneravano anche divinità come la dea del Sole, Venere, la dea del Destino, e soprattutto Allah (il Dio), la divinità suprema. I luoghi sacri erano spesso considerati zone di asilo e vi si svolgevano pellegrinaggi. I più importanti di questi pellegrinaggi avevano come meta La Mecca, una delle principali città dell’Arabia. Situata in un crocevia di piste lungo la grande via carovaniera che collegava lo Yemen a Gaza, essa era pellegrinaggio Dal latino peregrinus, «straniero». È un’esperienza tipica della devozione religiosa, consistente nel recarsi, da soli o in gruppo, presso un santuario o un luogo comunque sacro per compiervi speciali atti di religione, sia per manifestare i propri sentimenti verso la divinità o un santo, sia per espiare un peccato. In tutte le religioni del mondo l’esperienza è collegata alla convinzione che in determinati luoghi, più che altrove, si manifesti una potenza divina o comunque soprannaturale. ll popolo della Mecca intorno alla «Kaaba» La Kaaba (raffigurata al centro di questa miniatura turca) è un edificio in pietra senza finestre, di forma cubica (12 metri di lunghezza, 10 metri di larghezza, 15 metri di altezza), vuoto all’interno e ricoperto da un pesante drappo di seta nera decorato con citazioni del Corano. Per i musulmani la Kaaba è la «casa di Dio», dove il divino entra in contatto col mondo terreno. L’immagine mostra una pratica molto diffusa che consiste nel fare sette volte il giro dell’edificio. Ancora oggi la deambulazione attorno alla Kaaba costituisce uno dei cardini del pellegrinaggio alla Mecca. 30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM 619 Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 620 GUIDAALLOSTUDIO 1. Nell’Arabia preislamica vivevano solo popolazioni nomadi? 2. Descrivi la rete commerciale che attraversava l’Arabia preislamica. 3. Quali religioni erano presenti nell’Arabia preislamica? 4. Cosa si venerava presso la Kaaba? un luogo brulicante di uomini, di merci, di culti. In questa città, le carovane si rifornivano di acqua, si tenevano mercati, affluivano i pellegrini che si recavano in preghiera presso i numerosi santuari che vi sorgevano. Il più importante di questi santuari, famoso e celebrato in tutta la penisola arabica, era la Kaaba: si credeva che il suo edificio cubico (Kaaba vuol dire precisamente «cubo») fosse stato costruito da Abramo e da suo figlio Ismaele per custodire la Pietra Nera portata dall’arcangelo Gabriele. 2 Nascita di una religione ON LINE DOCUMENTI Ali Muhammad Bal’ami La rivelazione L’ascensione di Maometto [Biblioteca Nazionale, Parigi] Secondo la tradizione islamica, durante il periodo della predicazione di Maometto alla Mecca, verso il 620, avvenne l’eccezionale viaggio mistico del profeta a Gerusalemme, seguito dall’ascensione al cielo; sotto la guida dell’arcangelo Gabriele, Maometto ascese i sette cieli e incontrò i profeti che l’avevano preceduto, fra cui Gesù, Mosè e Adamo, ritenuto per l’Islam il primo profeta. Un uomo chiamato da Dio Questa realtà complessa fu sconvolta e rimodellata da una vicenda i cui inizi si riassumono nella figura di Muhammad, Maometto (570 ca. - 632). Sulla famiglia e sull’infanzia di Maometto siamo poco informati. Sappiamo che, rimasto orfano, fu allevato dal nonno, che ricopriva, alla Mecca, l’importante carica di guardiano della sorgente principale (era lui che sovrintendeva alla distribuzione dell’acqua alle carovane). Sappiamo che all’età di 25 anni sposò una ricca vedova di nome Khadigia, e che questo matrimonio mise la sua esistenza al riparo da qualsiasi preoccupazione economica. Pur continuando a occuparsi di affari, Maometto ebbe quindi modo di dedicarsi alla meditazione e alla religione. Si trattò di un’esperienza segnata dal richiamo all’unità fondamentale del Divino e dalla relazione diretta con Dio. Secondo la tradizione, la svolta avvenne nel 610, quando, una notte, gli apparve l’arcangelo Gabriele, che rivelò di essere stato inviato da Allah e gli ordinò di pregare e recitare (qur’ān, da cui deriva Corano: cfr. 30.3) la parola divina. Incoraggiato da Khadigia e dai familiari, tre anni dopo Maometto decise di intraprendere la predicazione. Il contenuto originario di questa predicazione era semplice e suggestivo: Maometto invitava ad abbandonare il politeismo e ad adorare Allah come unico dio, a fare atto di sottomissione (Islam) alla sua autorità, annunciava il giudizio finale in cui gli uomini sarebbero stati giudicati per le loro azioni, predicava la generosità e la carità per i poveri; egli condannava inoltre alcune pratiche diffuse nella società tribale, come il matrimonio tra consanguinei e l’infanticidio delle figlie femmine. Reazioni Il messaggio incontrò subito il favore dei ceti meno abbienti e degli schiavi, ma affascinò anche alcuni membri delle famiglie più influenti della Mecca. Esso suscitò tuttavia la forte opposizione dei capi locali. Questi ultimi temevano infatti che l’appello al monoteismo frenasse – con gravissimi danni economici – l’afflusso dei pellegrini, richiamati alla Mecca da innumerevoli santuari e da svariate divinità. La comunità dei sottomessi (muslim, da cui musulmano) ad Allah dovette quindi subire una dura persecuzione. Una prima migrazione di donne e bambini prese la direzione dell’Etiopia cristiana, e la circostanza conferma l’esistenza di un legame tra la nuova religione e il cristianesimo; legame che è evidente, peraltro, in quei versetti del Corano che esaltano la figura della Vergine e ammettono il concepimento di Gesù da parte dello Spirito Santo, attribuendogli in tal modo una posizione di rilievo nella stirpe dei profeti che avevano preceduto Maometto. La comunità musulmana crebbe malgrado le persecuzioni. Nel 622, per sottrarsi a una nuova minaccia, più grave delle precedenti, Maometto e i suoi seguaci decise- 620 Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 621 La moschea della rocca di Omar a Gerusalemme Oltre a Medina, capitale e luogo di sepoltura di Maometto, e alla Mecca, dove è custodita la Kaaba, la terza città santa dell’Islam è Gerusalemme. Qui sorge, nel cosiddetto «nobile recinto sacro», di 15.000 mq, la moschea della rocca di ’Umar (Omar), un edificio ottagonale atipico nell’edilizia sacra musulmana: esso fu eretto, infatti, nell’VIII secolo a opera di architetti bizantini e risente, dunque, dell’influsso dei modelli di chiesa a pianta centrale tipicamente bizantini, come la basilica di Santa Sofia. ro di emigrare e si rifugiarono nella città di Yathrib, un nodo molto importante lungo la via carovaniera che collegava La Mecca con la Siria e con l’Egitto. Questa emigrazione (o ègira) fondò la nuova era musulmana, che comincia precisamente nel giorno corrispondente al nostro 16 luglio 622 (primo giorno del calendario musulmano). La fuga dalla Mecca favorì lo spirito di coesione dei seguaci di Allah e incentivò al tempo stesso la diffusione del messaggio. La comunità di Medina e il giudaismo Dopo l’ègira, Yathrib fu dichiarata la «città del profeta» (Madinat al-nabi, da cui Medina), e la casa di Maometto, riconosciuto ormai come unico intermediario tra i fedeli e Allah, divenne un luogo di preghiera e di raccolta degli esuli. A Medina si precisò e si definì il rapporto tra l’Islam e il giudaismo. In una prima fase il modello giudaico fu particolarmente forte. Maometto adottò per esempio i divieti alimentari ebraici e il digiuno [cfr. 30.3]. La preghiera comunitaria veniva inoltre recitata in direzione di Gerusalemme. Tuttavia, i rapporti tra le due religioni erano destinati a incrinarsi: malgrado le affinità, esse si differenziavano infatti su aspetti assolutamente centrali. Maometto si considerava un profeta della stessa stirpe di Noè, Abramo, Mosè e Gesù e, in quanto ultimo profeta, si riteneva depositario della rivelazione divina più pura e autentica. Questa convinzione era oggettivamente in antitesi con la concezione del popolo ebraico come popolo «eletto» da Dio. Per gli ebrei, di conseguenza, Maometto non era altro che un profeta arabo, che diffondeva nel suo popolo una sorta di imitazione del giudaismo. Quando l’impossibilità di conciliare queste visioni risultò evidente, si giunse all’aperta rottura: le tribù ebraiche di Medina, accusate di solidarizzare con i nemici dell’Islam, furono espulse e subirono massacri. Fu quindi modificato il rituale della preghiera, che da quel momento in poi venne recitata rivolgendosi non più verso Gerusalemme ma verso la Mecca, mentre il semplice digiuno fu sostituito dal lungo periodo di astinenza del Ramadan [cfr. 30.3]. 30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM ON LINE DOCUMENTI Il Dio dei musulmani e il Dio dei cristiani 621 Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 622 GUIDAALLOSTUDIO 1. Cosa significa il termine Corano? 2. Sottolinea nel testo gli elementi essenziali del messaggio religioso di Maometto. 3. Come reagirono gli abitanti della Mecca alla predicazione di Maometto? 4. Quali furono i rapporti tra islamismo e giudaismo? Il trionfo di Maometto A Medina la comunità musulmana acquistò anche una compattezza di tipo militare. Per sopravvivere, gli esuli si diedero infatti alle antiche ed eroiche attività dei Beduini: la razzia, l’assalto alle carovane, il brigantaggio. Queste fiere attività guerriere, canalizzate soprattutto contro la Mecca, accrebbero il prestigio del profeta, diedero ulteriore coesione al gruppo e inaugurarono una fase di espansione che portò i musulmani a estendere il loro dominio su molte tribù e a sferrare l’attacco decisivo contro i nemici: l’11 gennaio del 630, ottavo anno dell’ègira, Maometto e i suoi seguaci entrarono trionfalmente nella Mecca. La città fu dichiarata città sacra dei musulmani, tutti gli idoli furono distrutti, la popolazione giurò fedeltà al profeta. Molte altre tribù della regione si convertirono. Maometto morì nel giugno del 632, circondato da un enorme prestigio. 3 I fondamenti della fede Il libro sacro In lunghi anni di predicazione e di lotte, il contenuto della religione musulmana si era andato arricchendo e precisando, e aveva assunto un carattere più sistematico. Alla base della religione musulmana c’è un libro sacro, il Corano (da qur’ān, «lettura ad alta voce, recitazione»). Esso è costituito dall’insieme delle rivelazioni che, secondo Maometto, Dio gli aveva fatto. Il libro, scritto in arabo, si divide in 114 capitoli di varia lunghezza, detti sure, e ogni capitolo in versetti. La raccolta non fu opera di Maometto, che non si preoccupò mai di ordinare in una trascrizione definitiva la propria predicazione, ma del suo segretario Zeid-ibn-Thabit, che decise di riunire le sure e nel 650 predispose una «seconda edizione», che costituisce oggi il testo canonico. Il criterio seguito dal redattore nella sistemazione dei materiali si basa unicamente sulla Il corpo di guardia del califfo suona la fine del «Ramadan», XIII sec. [miniatura dal Maqaˉmaˉt di al-Hariri, Biblioteca Nazionale, Parigi] L’inizio e la fine del mese di digiuno, Ramadan, vengono dichiarati dopo che due persone degne di fede hanno osservato l’arrivo della nuova lunazione. 622 Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 623 LA DISTRIBUZIONE DEI MUSULMANI NEL MONDO CONTEMPORANEO STATI UNITI FEDERAZIONE RUSSA VENEZUELA ECUADOR CILE BRASILE ESTONIA LETTONIA BIELORUSSIA GRAN BRETAGNA ARGENTINA GERMANIA CECENIA FRANCIA BOSNIA ALBANIA PORTOGALLO SPAGNA TUNISIA MAROCCO OCEANO ATLANTICO LIBIA ALGERIA MAURITANIA BULGARIA GEORGIA UZBEKISTAN KIRGHIZISTAN TURKMENISTAN ARMENIA TAGIKISTAN TURCHIA AZERBAIJAN AFGHANISTAN LIBANO SIRIA IRAN PALESTINA IRAQ ISRAELE GIORDANIA EGITTO PAKISTAN KUWAIT E.A.U. ARABIA QATAR SAUDITA NIGER CIAD COREA DEL SUD BANGLADESH YEMEN GIBUTI BURKINA FASO NIGERIA ETIOPIA BENIN GUINEA BISSAU GUINEA REP. TOGO CENTRAFRICANA SOMALIA SIERRA LEONE CAMERUN GHANA UGANDA LIBERIA KENYA COSTA D’AVORIO CONGO SENEGAL TAIWAN FILIPPINE BRUNEI SRI LANKA MALDIVE MALAYSIA INDONESIA GIAVA COMORE Aree di assoluta predominanza musulmana Aree in cui la presenza musulmana è superiore al 90% Aree in cui la presenza musulmana è tra il 50% e il 90% Aree in cui la presenza musulmana è tra il 10% e il 50% Presenze di comunità musulmane ZAMBIA MOZAMBICO VIETNAM CAMBOGIA SEYCHELLES TANZANIA OCEANO PACIFICO BIRMANIA LAOS THAILANDIA ERITREA SUDAN GIAPPONE CINA INDIA OMAN MALI MONGOLIA KAZAKISTAN OCEANO INDIANO ZIMBABWE MADAGASCAR LESOTHO REP. SUDAFRICANA lunghezza delle sure. I temi si susseguono dunque l’uno all’altro casualmente, ma compongono comunque un’omogenea sintesi del messaggio di Maometto. Il contenuto del Corano, in cui Allah parla in prima persona, è assai vario. Nelle parti più antiche prevalgono la proclamazione dell’onnipotenza divina, la minaccia del cataclisma che porrà fine al mondo e del conseguente Giudizio divino, la descrizione dei premi e castighi dell’altra vita. A queste si alternano storie di precedenti profeti (ebraici e arabi) ed esempi dell’ira divina punitrice. Nelle parti più recenti, invece, il contenuto è prevalentemente normativo, con precetti cultuali, norme giuridiche, esortazioni ai fedeli, polemiche con ebrei e cristiani. Nel Corano i fedeli ricercavano una risposta a tutti gli interrogativi umani, non solo in materia di religione, ma anche di rapporti sociali, di economia, di politica. Essendo il testo coranico insufficiente a tale scopo, si fece ricorso anche alla sunna, il corpus delle tradizioni, raccolte dai compagni di Maometto, relative al comportamento che il profeta aveva adottato di fronte a problemi particolari. La sunna divenne pertanto uno dei testi basilari del diritto musulmano, valido per la maggioranza dei fedeli. Secondo recenti statistiche, l’Islam è al secondo posto nella graduatoria delle grandi religioni professate nel mondo. Alla fine del XX secolo, infatti, l’Islam ha conosciuto un’espansione al di fuori delle sue aree tradizionali di insediamento (paesi arabi dell’Asia Minore, dell’Africa settentrionale, dell’Asia centrale, dell’Indonesia e del subcontinente indiano), realizzatasi grazie ad una efficace, e talvolta aggressiva, opera di proselitismo. Le rivelazioni precedenti Nella concezione musulmana, l’Islam (letteralmente «sottomissione a Dio») non era una nuova religione, ma la stessa religione eterna che era 30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM 623 Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 624 ECONOMIA AMBIENTE La moschea Un suono più di ogni altro scandisce la vita quotidiana di ogni città islamica: è il richiamo, cantilenato e insistente, con cui il muezzin, dall’alto dei minareti delle moschee, per cinque volte ogni giorno, a cadenze precise, chiama i fedeli al dovere fondamentale della preghiera. Per pregare, i musulmani non hanno bisogno di luogo specifico: possono farlo ovunque, al chiuso come all’aperto, purché si rivolgano in direzione della Mecca e del suo santuario, la Kaaba, il luogo più sacro dell’Islam. Naturalmente anche la religione islamica ha il suo edificio sacro, destinato in modo specifico alla preghiera: la moschea, dal termine arabo masgid, letteralmente «luogo dove ci si prosterna». Ogni musulmano può recarsi nella moschea quando vuole, ma è importante non mancare al rito collettivo del venerdì, quando i fedeli si riuniscono per pregare insieme sotto la guida di un imam. Secondo la tradizione, la forma delle più antiche e venerabili moschee sarebbe derivata dalla casa di Maometto a Medina. Questa casa veniva ricordata come un complesso molto modesto, recintato da un muro di mattoni d’argilla che racchiudeva un cortile rettangolare pavimentato solo di sabbia e ghiaia; una parte del cortile era coperta da un portico il cui tetto era fatto d’argilla e di foglie di palma. In questo cortile il Profeta era solito riunire i propri seguaci, discutendo non soltanto di questioni religiose ma anche di argomenti politici e giuridici. 624 Quasi tutte le moschee del mondo islamico, anche le più grandi e le più prestigiose, riecheggiano il modello originario della dimora di Maometto. L’architettura delle moschee può raggiungere effetti di grande varietà e complessità, ma lo schema di base è unico. Esso è costituito da due parti: un vasto cortile rettangolare a cielo aperto, con portici e gallerie lungo i lati, in cui si trova una fontana per le abluzioni che il fedele deve compiere prima di rivolgersi a Dio; una sala coperta, destinata alla preghiera. Questa sala, priva di qualsiasi oggetto di culto, è caratterizzata da un elemento specifico e fondamentale: una nicchia, chiamata mihrab, ricavata nella parete orientata verso la Mecca, che indica esattamente la direzione verso cui il fedele deve rivolgersi. A destra del mihrab si trova un pulpito sopraelevato, spesso di La fontana per le abluzioni nella moschea di Fez, Marocco Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO legno, chiamato minbar. Qui, durante il rito collettivo del venerdì, l’imam pronuncia la sua predica rivolgendosi ai fedeli. La sala di preghiera, soprattutto nelle moschee più importanti, ha in genere dimensioni molto grandi, per accogliere un grande numero di fedeli, e il suo spazio può essere straordinariamente dilatato in altezza grazie a una grande cupola. La vastità di questi spazi è accentuata dalla mancanza quasi totale di arredi, fatta eccezione per i tappeti e le stuoie su cui si prosternano i fedeli e per le lampade. La proibizione religiosa di rappresentare sia la figura divina sia quella umana spiega la mancanza di statue, affreschi e mosaici che illustrino il Dio dei musulmani oppure eventi e scene della vita di Maometto e degli uomini santi che con le loro opere hanno reso grande l’Islam. Anche da questo punto di vista, la differenza tra la chiesa cristiana e la moschea islamica è totale. Ma non per questo le moschee sono prive di decorazioni: pavimenti, pareti e volte sono spesso ricoperti da un reticolo decorativo a motivi geometrici e vegetali, fatto di maioliche dai colori smaglianti, di stucchi finemente traforati, di legni intarsiati. Le moschee più importanti non sono soltanto luoghi di culto. Esse sono spesso collegate a scuole dove si tiene l’insegnamento del Corano destinato ai fanciulli. Talvolta accanto alla moschea sorge una madrasa (letteralmente «luogo dove si studia») dove viene impartito un insegnamento di livello universitario. Nelle antiche madrase oltre alla religione si studiavano anche il diritto, la filosofia, la medicina, l’astronomia, la letteratura. Giardina2_P6_cap30_30 22/03/11 09.52 Pagina 625 stata in precedenza rivelata agli ebrei e ai cristiani, e che questi avevano corrotto. I musulmani, come abbiamo visto, non negavano la validità delle rivelazioni che erano state fatte ai profeti del passato, tra i quali includevano Gesù, ma ritenevano che la rivelazione ricevuta da Maometto fosse la più completa e pura. Nel cristianesimo, inoltre, essi non accettavano il dogma della Trinità, perché lo ritenevano il segno di una tendenza politeistica. I «cinque pilastri» Ma che cosa voleva, e vuol dire, essere musulmani? Sostanzialmente adempiere a cinque compiti fondamentali, i cosiddetti «cinque pilastri»: ■ la doppia professione di fede («Non c’è altro Dio che Allah e Maometto è il suo profeta»); ■ la preghiera, da recitare cinque volte al giorno al richiamo del muezzin con il viso rivolto verso la Mecca. La preghiera può essere recitata nella moschea oppure in un luogo qualsiasi reso sacro e delimitato da una stuoia o un tappeto. Mentre le preghiere quotidiane vengono recitate anche individualmente, quella del venerdì a mezzogiorno è collettiva, viene celebrata nella moschea ed è guidata dall’imam (direttore della preghiera), che non è un sacerdote, bensì uno studioso di testi sacri la cui autorità è riconosciuta dalla comunità; ■ l’elemosina legale per l’assistenza ai poveri, pari a un decimo del reddito; ■ il digiuno nel mese di Ramadan, ossia il nono mese dell’anno lunare durante il quale è proibito mangiare, bere (oggi anche fumare) e avere rapporti sessuali dall’alba al tramonto; ■ il pellegrinaggio alla Mecca, per chi ne ha la possibilità, da compiere almeno una volta nella vita. I «buoni costumi» Venivano poi i cosiddetti «buoni costumi», stabiliti dal profeta. Tra questi primeggiava, quasi come una sorta di sesto pilastro, il gihâd, parola araba che significa letteralmente «sforzo, impegno, lotta» e che nel Corano è seguita dalla locuzione «sul cammino di Dio». Il gihâd indica un concetto fondamentale dell’islamismo: la guerra santa, intesa sia come opera missionaria per la propagazione della fede, sia come vera e propria lotta armata contro gli infedeli. Nella formulazione dei giuristi musulmani la legge relativa al gihâd consisteva in uno stato di guerra imposto sia dalla religione, sia dalla legge, che poteva concludersi solo con la conversione o il soggiogamento di tutta l’umanità. Era quindi giuridicamente impossibile che venisse firmato un trattato di pace tra l’Islam e un popolo che non fosse musulmano. Il concetto di guerra santa, come avremo modo di vedere, non era una prerogativa musulmana: esso infatti era condiviso anche dal cristianesimo. Altre norme riguardavano aspetti del comportamento (per esempio l’uso del velo femminile, già adottato nell’Oriente cristiano) e la vita matrimoniale: a una donna musulmana era proibito sposare un ebreo o un cristiano, mentre a un musulmano era concesso sposare donne di religione diversa; l’adulterio era punito con la massima severità; la poligamia – limitata però a un massimo di quattro mogli, tutte di pari diritti – era consentita. muezzin Dall’arabo mu’adhlin, «colui che pronuncia l’adhan», l’«invito alla preghiera». Persona addetta alla moschea, che dall’alto del minareto richiama i fedeli alla preghiera adoperando una formula stabilita, modulata secondo una cantilena. GUIDAALLOSTUDIO 1. Da chi fu redatto il Corano? Secondo quali criteri? 2. Qual è il contenuto del Corano e della sunna? 3. In cosa consistono i «cinque pilastri» della fede? 4. Che cos’è il gihâd? 4 La successione al profeta e le lacerazioni del mondo islamico I primi califfi Durante la vita di Maometto l’Islam si era dunque dato un sistema religioso e dei princìpi di vita. Mancava però ancora uno Stato musulmano e mancava, soprattutto, una definizione della legittimità del potere. Lo si vide chiaramente subito dopo la morte del profeta, quando la comunità musulmana fu lacerata da duri contrasti per la successione (Maometto non aveva lasciato nessuna indicazione al riguardo). Dopo molte controversie prevalse infine la decisione di nominare succes30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM 625 Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 626 Veduta aerea della città di Kerbala nell’Iraq centrale Questa città è uno dei più importanti luoghi di pellegrinaggio degli sciiti. Il suo impianto è quello tipico di molte città islamiche: si notano il dedalo delle vie che s’intersecano e il grande spazio riservato alle moschee. Non esistono piazze simili a quelle delle città occidentali. I cortili delle moschee fanno parte dell’edificio religioso e non vi si possono svolgere attività profane. VITA SOCIALE DIRITTO disposte persino al martirio nel nome dell’Islam. La vita sociale s’ispirava invece al principio dell’inferiorità femminile, sancito addirittura dalla volontà divina: «Gli uomini sono superiori La donna islamica alle donne perché Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri», recita un Il paradiso islamico è un giardino celebre versetto del Corano. A di delizie dove il buon credente questo principio si adeguava il trascorrerà la vita ultraterrena tra diritto musulmano, che traeva la acque fresche, piante dai frutti sua principale ispirazione dal Libro prelibati, fiori profumati, in sacro. Il Corano raccomanda alle compagnia di belle fanciulle dagli donne un comportamento riservato occhi di velluto e dalle labbra di e pudico, ma non dice che debbano corallo. Il fascino femminile ha vivere segregate né che debbano sempre ispirato i poeti musulmani, portare il velo. Tuttavia, fin dalle che hanno esplorato tutte le origini la società islamica si è sfumature dell’amore che solo le basata sul principio della donne sanno suscitare. Non solo il separazione sociale tra i sessi: gli fascino di creature delicate ma spazi delle donne, in altre parole, anche quello di donne virili, coincidono solo in minima parte capaci di tener testa agli uomini e con quelli degli uomini. L’esistenza 626 Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO delle donne islamiche ricorda per molti aspetti quella di altre società: abbiamo visto, per esempio, che anche la condizione delle donne greche era caratterizzata da forme di segregazione. Ma la condizione delle donne musulmane ha anche molti tratti originali. Nella vita sociale, l’iniziativa della donna era soffocata dal fatto che la legge non le consentiva di agire autonomamente, ma solo tramite un tutore di sesso maschile: il padre, il marito, un parente. La subordinazione al tutore condizionava la vita della donna fin dal momento più importante, la scelta di un marito. La donna sposata doveva vivere tra le pareti domestiche, e possibilmente nella parte più interna della casa. Le era consentito uscire soltanto con il permesso del marito, anche se si trattava di recarsi alla moschea. Nella moschea, per altro, la sua presenza non era del tutto gradita, perché si riteneva che distogliesse gli uomini dalla preghiera. Più si saliva nella scala sociale, più questi limiti erano rigidi: le donne del popolo, costrette a lavorare nei campi o nelle botteghe, conducevano una vita più libera, e le case modeste non disponevano di spazi da riservare alle donne. La morale richiedeva che fuori di casa, o nella stessa casa quando erano presenti maschi estranei alla ristretta cerchia familiare, le donne dovessero velarsi il capo e il volto. Il marito aveva il diritto di punire la moglie disubbidiente e poteva persino ripudiarla. Il ripudio era l’usanza che più di ogni altra indeboliva la posizione della donna. Giardina2_P6_cap30_30 22/03/11 09.51 Pagina 627 sore del profeta (khalifa, califfo, letteralmente «sostituto») Abu Bakr (632-634), uno dei primi «compagni», nonché suocero di Maometto. Abu Bakr riuscì a reprimere la secessione di alcune tribù beduine superficialmente islamizzate e desiderose di sottrarsi alla tutela musulmana. Egli lanciò anche una spedizione verso il nord, oltre i limiti dell’Arabia: nel 634 le truppe bizantine poste a difesa della Siria furono pesantemente sconfitte. Ebbe così inizio la grande espansione islamica. Sotto il califfato di Omar (634-644), anch’egli appartenente alla cerchia dei «compagni» del profeta, gli Arabi strapparono ai Bizantini l’Egitto, la Siria, la Palestina, e ai Persiani la Mesopotamia. Con la conquista araba, la Palestina, già Terrasanta degli ebrei e dei cristiani, divenne anche uno dei luoghi sacri della religione musulmana. Sotto il successore di Omar, Othman (644-656), si aprì una grave crisi politica, nonostante i successi militari del califfo che conquistò la costa settentrionale dell’Africa fino a Tripoli (647) e sottomise definitivamente l’impero persiano (651). Tutto dipese dalla scelta di Abu Bakr come primo successore di Maometto: essa aveva infatti emarginato i parenti più stretti del profeta, soprattut- Maometto e Abū Bakr nella grotta, XVII sec. [Sächsische Landesbibliothek, Dresda] Abū Bakr fu uno dei primi seguaci di Maometto già a La Mecca; a Medina divenne uno dei suoi più importanti consiglieri politici e militari. Poiché sua figlia Aisha divenne sposa di Maometto, in qualità di suocero del Profeta egli fu sempre tenuto in alta considerazione e, dopo la morte di quest’ultimo, fu scelto come primo califfo. La moglie ripudiata, infatti, veniva separata dai figli e si ritrovava spesso in miseria. Non le restava che vivere a carico della propria famiglia di origine, che però non aveva nessun obbligo legale nei suoi confronti e che l’accoglieva soltanto come atto di carità. La disparità tra i sessi era sancita anche dall’usanza della poligamia: l’adulterio sia femmile sia maschile era punito con la massima severità, ma un marito poteva avere molte mogli. Il Corano limita la poligamia a quattro mogli. Impone però di amarle e di accudirle tutte parimenti. Questo obbligava il marito a garantire a ciascuna moglie e ai figli un alloggio separato e ugualmente decoroso. Gli altissimi costi di una simile organizzazione hanno sempre rappresentato un forte freno alla poligamia. La condizione femminile che abbiamo descritto è quella tipica delle antiche società islamiche, che hanno trasmesso le loro usanze alle generazioni successive. Oggi la condizione delle donne nel mondo islamico è molto variegata: in alcuni paesi permane la discriminazione tradizionale; in altri essa si è addirittura aggravata, assumendo le forme di una violenta oppressione; in altri ancora, le donne hanno invece raggiunto la parità giuridica rispetto agli uomini, studiano, lavorano, sono libere di scegliere. L’Islam, non dobbiamo dimenticarlo, è un mondo complesso e diversificato. Yahya Al-Wasiti, Marito e moglie si accusano reciprocamente, XIII sec. [dal Maqaˉmaˉt di al-Hariri, Biblioteca Nazionale, Parigi] Al tempo di Maometto l’adulterio, considerato un crimine, era punito con cento colpi di frusta quando era l’uomo a compierlo, con la lapidazione quando era la donna. La miniatura, che risale al XIII secolo, raffigura un miglioramento rispetto alla tradizionale disparità sessuale: l’accusa di adulterio si discute ora davanti a un giudice. 30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM 627 Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 628 to il cugino Alì (656-660), che era stato addirittura il primo dei convertiti all’Islam dopo Khadigia. Fu proprio Alì ad animare l’opposizione contro Othman, che sfociò in una sanguinosa congiura: nel 656 alcuni soldati penetrarono nel palazzo del califfo a Medina e uccisero Othman mentre stava leggendo il Corano. Alì prese il potere, ma il suo prestigio risultò ben presto incrinato dal sospetto – che per molti era una certezza – di essere stato il mandante dell’assassinio. GUIDAALLOSTUDIO 1. Chi era il khalifa? 2. Quali territori furono conquistati all’Islam dai primi quattro califfi? 3. Chi erano gli sciiti e i sunniti? Sciiti e sunniti L’Islam si spaccò in due fazioni: dalla parte di Alì si schierarono i fedeli di Medina, dall’altra le tribù della Mecca e tutti coloro che non avevano approvato l’assassinio di Othman. Ebbe così inizio la prima di una lunga serie di guerre che, da allora ai giorni nostri, avrebbero periodicamente lacerato l’Islam. Nel corso del conflitto, Alì accettò la proposta dei suoi nemici di risolvere la contesa mediante un arbitrato: esso fu sfavorevole al califfo, in quanto stabilì che Othman era stato ucciso ingiustamente, che Alì era il responsabile del delitto e che occorreva di conseguenza nominare un nuovo califfo. Alì non accettò il verdetto e si ritirò con i suoi seguaci in Iraq, dove fondò la «fazione di Alì» (shi’a, da cui sciiti); egli venne ucciso l’anno dopo da un sicario di una setta intransigente e rigorista. Il nuovo califfo Mo’awiya (660-680), che cercò di porre fine alla debolezza cronica del potere centrale istituendo l’ereditarietà del potere califfale, fu riconosciuto dalla maggioranza dei musulmani ortodossi o sunniti, detti così perché si riconoscevano nella sunna [cfr. 30.3]. Con il nuovo califfo si insediava al vertice dell’Islam la dinastia degli Omayyadi. Da questo momento in poi sunniti e sciiti rappresentarono due grandi correnti del mondo islamico, destinate a segnare la sua storia fino ai giorni nostri. 5 Gli Omayyadi e la ripresa dell’espansione islamica Le direttrici della conquista Con l’avvento della dinastia omayyade (661-750), l’Islam riprese la sua prorompente espansione. Il califfo Mo’awiya spostò la capitale a Damasco, in Siria, e da qui prese l’avvio un’iniziativa militare che, sotto di lui e i suoi immediati successori, si svolse in tre direzioni principali: Asia Minore e Costantinopoli, Africa e Spagna, Asia centrale e India. L’accesso al Mediterraneo dotò gli Arabi di una nuova arma con cui attaccare l’impero bizantino: la flotta. Una grande squadra navale costruita nei cantieri di Tripoli, Tiro, Acri e Alessandria, e dotata di equipaggi siriani, libanesi e palestinesi, effettuò spedizioni contro Cipro, Creta e Rodi. L’obiettivo principale rimaneva però Costantinopoli. Nel 668669 i musulmani assediarono la capitale bizantina: fu il primo di tanti assalti, da parte di terra e di mare, che si spensero tuttavia contro le imprendibili mura della città cristiana e contro l’organizzazione e le risorse tecnologiche dei Bizantini. Tra queste ultime restò famoso il cosiddetto «fuoco greco», prodigio bellico dell’epoca, consistente nell’uso in- Battello a vela nel Golfo Persico Molto presto gli Arabi dovettero apprendere l’arte della navigazione per poter sopperire sia alle esigenze delle comunicazioni negli immensi domini islamici, sia alle esigenze belliche, soprattutto nel confronto con Bisanzio. La miniatura rappresenta un battello a vela che attraversa il Golfo Persico e testimonia l’alto grado di innovazioni tecniche apportate (in particolare si possono notare nella miniatura il timone e l’ancora). 628 Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 629 cendiario della nafta [cfr. Il fuoco greco, p. 572]. I guerrieri arabi avevano in precedenza inflitto pesanti ridimensionamenti all’impero bizantino, ma non riuscirono a sopraffarlo, come avevano fatto con l’impero persiano. Ben più consistenti furono i successi degli Arabi in Occidente. Intorno al 670 ebbe inizio la conquista dell’Africa settentrionale. Malgrado le tenaci resistenze dei Berberi (tribù nomadi dell’Africa settentrionale), nel giro di pochi decenni gli Arabi occuparono il Maghreb e si spinsero fino alle coste atlantiche. Nel 711, un esercito arabo, rinforzato da contingenti berberi islamizzati, guidato dal governatore di Tangeri Tariq ibn Ziyad, passò lo stretto (il promontorio che lo sovrasta prese il nome dal condottiero: Gibilterra viene appunto da Djebel Tariq: «montagna di Tariq»), e nel giro di appena cinque anni conquistò tutta la penisola iberica, abbattendo, con l’aiuto delle popolazioni locali, il regno visigoto. Alcune avanguardie musulmane, rinforzate da contingenti baschi, oltrepassarono i Pirenei e penetrarono in Gallia, spingendosi fino a Poitiers, dove furono sconfitte dai Franchi nel 732. Nei secoli successivi il dominio arabo in Spagna andò progressivamente riducendosi, ma nelle regioni centro-meridionali, che restarono più a lungo nell’orbita islamica, e soprattutto in Andalusia, la presenza araba segnò un periodo di grande fioritura economica e culturale, ancora oggi testimoniato da una splendida architettura. Il terzo teatro militare musulmano si aprì verso l’Asia centrale e l’India. Le operazioni belliche islamiche mossero dall’Iran nordorientale e portarono alla conquista dell’Afghanistan e delle città di Bukhara e Samarcanda, lungo la Via della Seta; a sud esse si spinsero fino al fiume Indo. All’espansione musulmana verso oriente si frapponeva l’insormontabile ostacolo dell’impero cinese: nel 751 gli eserciti cinesi e quelli arabi si affrontarono nella memorabile battaglia di Talas: i Cinesi furono sconfitti, ma i musulmani avevano ormai esaurito la loro spinta propulsiva, che si perse nelle immense distese dell’Asia centrale. Cause del successo islamico Come spiegare questa rapida e prorompente espansione? Secondo alcuni storici, la molla principale sarebbe stata l’entusiasmo religioso, che avrebbe spinto i guerrieri arabi a diffondere l’Islam ovunque. Altri hanno insistito sul sovrappopolamento delle comunità arabe e sulla necessità di dare sfogo a esso attraverso la conquista di nuovi spazi. Ambedue queste interpretazioni contengono una parte di verità, ma è necessario considerare anche altri fattori. Anzitutto il quadro politico esterno, caratterizzato – come abbiamo visto – dalla estenuante guerra tra Bizantini e Persiani, che prosciugò le risorse umane ed economiche dei contendenti e li rese poco attenti alla crescente minaccia araba. Questa rivalità accanita tra le due principali potenze dello scenario mediorientale fu sfruttata alla perfezione dall’iniziativa musulmana, che vi si insinuò come un cuneo. 30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM Il Taj Mahal di Agra, in India L’architettura islamica ha lasciato testimonianze del suo splendore in tutte le regioni in cui nel corso dei secoli si è propagata la civiltà musulmana. Il capolavoro dell’arte musulmana in India è senza dubbio il Taj Mahal, il celebre mausoleo eretto presso Agra da un sultano in memoria della sua sposa, morta nel 1631. La tomba sorge in un vasto giardino ed è in marmo bianco con intarsi di pietre dure; presenta agli angoli quattro minareti. 629 Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 630 L’ESPANSIONE DELL’ISLAM TRA VII E X SEC. In pochi secoli l’Islam costruì uno dei più grandi imperi che fossero mai esistiti. Come quello romano, questo impero era al tempo stesso una compagine mediterranea e continentale. Talas 751 Lago d’Aral Buchara 712 M 725 CORSICA Roma AR Kabul CA S PIO Danubio MAR NERO Costantinopoli Tig r IMPERO i PERSIANO SARDEGNA Cordova Baghdad IMPERO BIZANTINO Antiochia Eufrate Granada BALEARI Jerez 711 Siffin 657 Bassora SICILIA Kerbela Rodi 654 CIPRO Gibilterra Cartagine MAR GOLF CRETA Damasco Kufa MED O ITERR PERS Kairuan Tāhūda 683 ICO ANEO Gerusalemme MAGHREB Alessandria Tripoli LIBIA EGITTO TR I Medina POL ARABIA ITAN IA Badr 624 Toledo do REGNO DEI Poitiers 732 FRANCHI In OCEANO ATLANTICO 678 La Mecca M AR OCE l’Islam nel 632 (morte di Maometto) dal 632 al 661 (califfato elettivo) dal 661 al 750 (califfato omayyade) dal 750 al 945 (califfato abbaside) Jerez 711 battaglie principali ANO IND IAN O Siviglia RO SS O Nilo Molte popolazioni dei territori bizantini e persiani, infatti, si arresero facilmente e accolsero come dei «liberatori» i nuovi padroni; molti fattori giocarono in tal senso: primi fra tutti, la dura oppressione delle minoranze religiose e degli «eretici» messa in atto tanto dai Persiani quanto dai Bizantini, e il peso dei tributi da loro imposti. Bisogna inoltre considerare il fattore militare, ossia l’alto grado di organizzazione dell’esercito arabo, i cui generali avevano spesso combattuto come mercenari per gli imperi bizantino e persiano. Quanto all’entusiasmo religioso, esso era certamente molto vivo in settori considerevoli del mondo islamico e nel suo ceto dirigente, ma i guerrieri beduini, che rappresentavano il nucleo più forte e combattivo degli eserciti arabi, erano anche i meno profondamente toccati dalla nuova religione e avevano una pratica talvolta molto superficiale dell’Islam. Per loro valevano motivazioni più semplici, che rimandavano al carattere guerriero delle loro tradizioni [cfr. 30.1], che furono abilmente utilizzate dai califfi per cementare l’unità araba intorno alla causa dell’Islam. L’organizzazione della conquista Nei territori conquistati, gli Arabi, che mancavano di esperienze amministrative collaudate, mantennero spesso al loro posto gli esperti funzionari bizantini o persiani; questi ultimi furono però messi alle dipendenze, in ogni singola provincia, di governatori musulmani, gli emiri, dotati di poteri civili e militari. Sotto il profilo tributario, l’assetto dei territori annessi fu stabilito in modo differenziato: alle popolazioni che ebbero modo di trattare la loro resa (per esempio in Siria, in Egitto e in parte dell’Iraq) fu imposto un dominio moderato: i vecchi proprietari terrieri conservarono le loro terre dietro il versamento di un’imposta, mentre le terre appartenenti ai sovrani nemici, ai proprietari fuggitivi o ai soldati morti in combattimento furono confiscate in quanto bottino di guerra. Un trattamento analogo ebbero tutte le altre terre conquistate con la forza delle armi. I cospicui redditi dei dominatori venivano integrati dalla decima, pagata dai proprietari musulmani, e dalla capitazione, una tassa personale pagata (oltre all’imposta fondiaria) dai sudditi non musulmani. Questi ultimi, assolti i propri obblighi fiscali, erano lasciati liberi di praticare la loro fede. Tre categorie Con il passare del tempo, la popolazione dei territori sottoposti al dominio musulmano si ritrovò divisa in tre categorie fondamentali: la categoria superiore 630 Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 631 comprendeva i musulmani di Arabia (i cosiddetti «musulmani di origine»), gli unici che avessero il diritto di militare nell’esercito. In virtù della loro adesione all’Islam fin dall’inizio e delle loro vittorie militari, essi costituivano una sorta di aristocrazia, composta di grandi proprietari, funzionari, giudici. Veniva poi la categoria dei nuovi musulmani, convertitisi in un’epoca più recente: non potevano militare nell’esercito e di conseguenza non avevano il diritto di godere dei proventi delle conquiste. Essi si ponevano sotto la protezione di un capotribù musulmano diventandone clienti. Nelle mani dei convertiti stava la maggior parte delle attività commerciali e artigianali; essi avevano inoltre incarichi di responsabilità nell’amministrazione. La terza categoria era composta dai sudditi non musulmani; la maggior parte viveva nelle campagne, spesso al servizio dei proprietari musulmani. 6 Dagli Abbasidi alla fine dell’unità politica islamica Un nuovo corso politico Alla metà dell’VIII secolo, il riemergere di laceranti conflitti interni relativi alla legittimità dei criteri di successione [cfr. 30.4], portò al rovesciamento della dinastia omayyade. Nel 750 Abu al Abbas, zio del profeta, grazie all’appoggio degli sciiti e dei Persiani islamizzati, uccise l’ultimo califfo omayyade e si impadronì del potere. L’avvento degli Abbasidi (750-945) fu qualcosa di più che un semplice cambio di dinastia. Questi, infatti, inaugurarono un nuovo corso politico: terminata l’epoca delle grandi conquiste territoriali, si doveva provvedere al consolidamento del potere centrale. Per prima cosa, la capitale venne trasferita da Damasco, in Siria, a Baghdad, in Iraq, città di nuova fondazione, che presto rivaleggiò con Costantinopoli per grandezza e per splendore dei monumenti: con questa decisione il Mediterraneo cessava di essere il baricentro economico e politico dell’Islam a vantaggio della Persia. In secondo luogo, gli Abbasidi ridussero drasticamente il potere dei ceti dirigenti arabi, coinvolgendo nell’amministrazione dell’impero an- GUIDAALLOSTUDIO 1. Quali furono le direzioni di conquista dei califfi omayyadi? 2. Quali eserciti combatterono la battaglia di Talas? 3. Perché gli eserciti arabi riscossero rapidi successi? 4. Come amministrarono gli Arabi i territori sottomessi? 5. In quali categorie era divisa la popolazione governata dai musulmani? Piatto del periodo abbaside con raffigurazione di pesce, IX sec. [Ashmolean Museum University of Oxford, Oxford] La ceramica abbaside raggiunse un altissimo grado di perfezione in Iraq nel IX secolo, quando, per imitare la ceramica cinese Tang, si escogitarono nuove tecniche, forme e colori. Caratteristici sono i vasi smaltati a disegni assai semplici, con decorazione dipinta in blu cobalto intenso. Altre ceramiche più tarde sono dipinte con figure umane o animali, dal tratto sommario, eseguite in nero, blu e marrone rossastro, su uno sfondo incolore. La moschea abbaside di Samarra (Iraq) Samarra, sulla riva orientale del Tigri a circa cento chilometri da Baghdad, fu la capitale degli Abbasidi per un breve periodo, dall’835 all’892. In questo lasso di tempo Samarra divenne una delle città più sontuose del mondo islamico; la moschea che vi fu costruita, oggi in buona parte distrutta da un attentato, era la più grande del mondo. Dell’antica città sopravvivono oggi solo le mura perimetrali e il gigantesco minareto spiraliforme, detto malwiyya. 30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM 631 Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 632 ECONOMIA AMBIENTE circostanze particolari. Tutte le città islamiche erano però accomunate da alcuni elementi fondamentali. Anzitutto la Grande Moschea, dove la collettività si raccoglieva per la preghiera del venerdì. Situata La città islamica sempre al centro della città (la medina degli Arabi), questa moschea simbolizzava la società Alle origini della storia dell’Islam islamica in quanto comunità di troviamo la vitalità delle genti credenti uniti da vincoli e da nomadi della penisola araba. Ma solidarietà religiose. quando le tribù che furono A questo edificio si affiancava protagoniste della prima e solitamente una scuola folgorante espansione islamica d’insegnamento coranico entrarono nelle maestose città del Vicino Oriente – eredi di una civiltà (madrasa), con gli alloggi per gli studenti. Ma la Grande Moschea millenaria, dove erano confluite tradizioni persiane, greche, romane non era soltanto un luogo di culto: qui si svolgevano anche cerimonie e bizantine – le loro abitudini solenni della vita pubblica, come la cambiarono radicalmente. Le tradizioni nomadiche sarebbero proclamazione del califfo, e venivano letti i proclami delle rimaste sempre molto forti nel autorità. mondo islamico, ma nei territori La politica, la giustizia e le finanze conquistati l’Islam diventò a sua si concentravano però nel Palazzo, volta una civiltà urbana ed ebbe dove risiedeva il califfo o il nella città il centro vitale della governatore. Per la sua propria economia e della propria cultura. Tra l’VIII e l’XI secolo tutto collocazione in un luogo elevato e il mondo islamizzato – dall’Iran alla strategico, per le sue dimensioni, Mesopotamia, dalla Siria all’Egitto, per le sue mura alte e forti, il Palazzo dominava la città, dalla Tunisia al Marocco, dalla Spagna alla Sicilia – conobbe una prodigiosa fioritura urbana. Abitati già esistenti furono colonizzati e rimodellati con nuovi caratteri, ma moltissime furono anche le nuove fondazioni: Kufa, Basra, Baghdad in Iraq, Il Cairo in Egitto, Fez in Marocco, sono solo alcune tra le prime e più famose città fondate dagli Arabi musulmani. La forma e il carattere delle singole città dipendevano dalle situazioni ambientali (clima, morfologia, ecc.), dalle caratteristiche delle città preesistenti e da tante altre Il mercato delle verdure di Rissani, Marocco Nelle città islamiche i prodotti alimentari e le stoffe sono venduti nelle botteghe del suq, oppure all’aperto. 632 Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO ribadendo il ruolo centrale del califfo (della sua persona o dell’autorità che lo rappresentava), guida e riferimento della comunità dei credenti. Altro elemento immancabile nelle città islamiche era il mercato (suq in arabo, bazar in persiano), autentico nucleo pulsante della vita economica. Esso era un insieme di botteghe commerciali e artigianali – da poche centinaia a molte migliaia secondo l’importanza della città – normalmente molto piccole, raggruppate secondo le tipologie di merci vendute: gioielli, vasellame di terracotta, manufatti di metallo, tessuti, cordami, cuoi, carni, spezie, e così via. Le botteghe potevano disporsi lungo le strade di un quartiere, oppure al coperto, all’interno di complessi architettonici talvolta grandiosi. I bagni pubblici, ereditati dalla tradizione romana delle terme, si trovavano dappertutto e costituivano un altro elemento caratteristico delle città islamiche. Intorno ai poli costituiti dalla Grande Moschea, dal Palazzo e dal mercato, si sviluppavano i quartieri abitativi. In ciascun quartiere tendevano a riunirsi gli appartenenti a uno stesso gruppo etnico, religioso e talvolta economico. I quartieri occupati dagli Arabi si distinguevano comunque da quelli abitati dalla popolazione locale convertitasi all’Islam, e da quelli delle minoranze religiose, come i cristiani e gli ebrei. I quartieri tendevano a disporsi a raggiera, come tanti spicchi separati da alcune strade principali convergenti verso il centro dell’abitato. Agli occidentali che le visitavano, le città islamiche apparivano caotiche e inquietanti, e ancora oggi molti turisti provano la stessa impressione. A loro volta, i musulmani che arrivavano in una città cristiana avvertivano un acuto disagio e non vedevano l’ora di andarsene. Per i loro abitanti, le città islamiche rappresentavano un universo ordinato e rassicurante, che esprimeva perfettamente le esigenze e i valori della comunità cui appartenevano. Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 633 LA FRAMMENTAZIONE DELL’ISLAM OCEANO ATLANTICO Lago d’Aral M REGNO DEI FRANCHI AR Samarcanda S CA PI O MAR NERO Omayyadi Tahiridi Costantinopoli Cordova Kabul IMPERO BIZANTINO ri Tig te fra Eu idi Fez m Idrisiti sta Ru LF OP ERS ICO Il Cairo Tulunidi N Medina La Mecca O Dinastie che prendono il potere all’interno del governo abbaside Califfato abbaside SS RO ilo AR M Aghlabiti Saffaridi Damasco GO Aghlabiti Samanidi Baghdad MAR MEDITERRANEO Tripoli La cartina mostra il processo di frammentazione politica e territoriale che interessò il mondo islamico nel corso dei secoli IX-X. OCEANO INDIANO che i musulmani di origine non araba, dando così vita ad una compagine multietnica e cosmopolita. Essi inoltre rafforzarono il potere centrale mediante la creazione di un rigido apparato burocratico controllato dal wazir, o visir, capo dell’amministrazione. L’apogeo della civiltà araba Sotto il califfato abbaside la civiltà araba raggiunse il suo apogeo: la lingua araba divenne il principale mezzo di comunicazione tra i popoli dell’impero, oltre che la lingua ufficiale della religione e della cultura. Quest’ultima conobbe una piena fioritura in tutti i campi del sapere: da quello letterario – a questo periodo risalgono le storie delle Mille e una notte – a quello scientifico e artistico. La posizione geografica della nuova capitale, infatti, favorì il contatto tra le tradizioni e le culture ellenica, iranica e indiana, che si influenzarono e alimentarono l’una con l’altra. Dobbiamo infatti a intellettuali di lingua araba, e in particolare ad Avicenna (X secolo) e Averroè (XII secolo), la trasmissione all’Occidente latino e cristiano della filosofia greca (soprattutto Aristotele e Platone), nonché della medicina (Ippocrate e Galeno) e della matematica (Euclide). Anche le attività economiche conobbero un periodo di prosperità, come documentato dall’ampia circolazione di monete in oro, dall’incremento della produzione artigianale e del commercio, dalla nascita di nuovi centri di consumo e di scambio. Yahya al-Wasiti, Una biblioteca araba, XIII sec. [dal Maqāmāt di al-Hariri, Biblioteca Nazionale, Parigi] L’immagine, che raffigura una scena di lettura e insegnamento all’interno di una biblioteca pubblica, con i volumi ben ordinati in scaffali, dà un vivace quadro della vita culturale araba. Già nel X secolo la biblioteca principale di Cordova, nella Spagna musulmana, conteneva quasi 400.000 libri (circa uno per ogni abitante della città), mentre nei monasteri cristiani più ricchi i libri si contavano appena a dozzine. La frammentazione del califfato Dalla seconda metà del IX e durante il X secolo, il califfato andò incontro ad una progressiva disgregazione. La moltiplicazione degli uffici determinò un aumento del potere dei visir, i quali formarono clientele potentissime che minarono la compattezza interna dell’impero; contestualmente, motivazioni di carattere etnico e religioso determinarono l’insorgere di spinte autonomistiche nelle province, dando impulso alla creazione di piccole compagini territoriali autono- 30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM 633 Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 634 ECONOMIA AMBIENTE La cucina araba Nel distinguere minuziosamente ciò che per i musulmani è lecito o illecito, il Corano si occupa anche dell’alimentazione. I divieti più importanti derivano dalle antiche tradizioni semitiche e in particolare da quella ebraica: è proibito consumare carne di maiale; inoltre, la carne degli altri animali può essere consumata solo se halal, ossia se sono stati macellati secondo la norma, che prevede il totale dissanguamento. Vietato è anche il vino, e vietate tutte le bevande fermentate, che provocano ebbrezza. Questa proibizione non risulta formulata in modo esplicito nel Corano, ma secondo alcuni trovava fondamento in un episodio della vita di Maometto. Si raccontava infatti che il Profeta fosse rimasto turbato dall’indegno spettacolo di alcuni fedeli ubriachi che recitavano erroneamente il Libro sacro. Sembra tuttavia che questa osservanza non fosse strettissima: sappiamo infatti di grandi califfi e di individui dall’ottima reputazione che indulgevano nel bere. Dove non c’erano vigneti, le bevande alcoliche si ricavavano dai cereali, dalla canna da zucchero e da un’infinità di frutti, come i datteri, i fichi, le albicocche, le ciliegie. Il pasto principale, in genere quello serale, si consumava in compagnia, seduti a gambe incrociate su stuoie e cuscini o accovacciati sui talloni, attingendo da un piatto comune. Si mangiava con le mani, o meglio usando tre dita della mano destra, precedentemente purificata, sempre secondo il modello di Maometto. L’unica posata era il cucchiaio, necessario per le zuppe 634 – di carne, di verdure, di cereali – che abbondavano nell’alimentazione islamica. Quella che viene chiamata comunemente «cucina araba» nacque dall’incontro tra le usanze alimentari tipiche delle tribù nomadi e le tradizioni alimentari dei paesi conquistati. Data la grandissima estensione del mondo islamico e il numero delle culture che esso assorbì, è discutibile parlare in generale di cucina araba. Ricorrono però in quasi tutto il mondo musulmano alcuni ingredienti caratteristici e alcune pietanze tipiche, che in molti casi si sono trasmessi con piccole modifiche dal Medioevo a oggi. L’elemento centrale del pasto era la carne grassa e saporita del montone. Molti erano i modi di cucinarla: bollita a lungo fino a sfaldarla in teneri frammenti, oppure fritta nel grasso, più raramente arrostita; la carne di montone poteva essere inoltre addolcita con il miele o con lo zucchero, marinata con ingredienti acidi come lo yoghurt e il succo degli agrumi, oppure con l’aceto. Nella cucina di genti che dovevano parte della loro fortuna alle carovane e ai cammelli, non potevano ovviamente mancare le spezie. In ogni ricetta entravano aromi diversi, mischiati e dosati con arte, che esaltavano i sapori e i colori delle vivande. Pepe, Yahya al-Wasiti, Scena di pranzo, XIII sec. [dal Maqaˉmaˉt di al-Hariri, Biblioteca Nazionale, Parigi] Nelle società islamiche tradizionali vi è la consuetudine di consumare i pasti seduti su tappeti, attorno a tavoli molto bassi. In genere, all’inizio e al termine del pasto si ringrazia Dio per il cibo, che viene così sacralizzato. Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO cumino, cannella, zafferano e altre spezie più rare e preziose, erano tuttavia alla portata soltanto dei ricchi. Il gusto agrodolce è uno degli elementi caratteristici della tradizione culinaria islamica, e si ritrova ancora oggi nella cucina di quei paesi europei, come la Sicilia e la Spagna, dove l’influsso arabo è stato più forte. Solo chi aveva denaro poteva permettersi il pane bianco, leggero e fragrante, mentre la gente comune doveva accontentarsi di pane scuro e grossolano, ricavato da farina d’orzo, di sorgo, di miglio e persino dai semi dell’uva e dalle ghiande. Poco presenti nella dieta delle tribù nomadi, le verdure avevano invece un posto importante nell’alimentazione dei musulmani sedentari. Spinaci, cavoli e cavolfiori, porri e cipolle, carote e asparagi, rape e zucche erano largamente impiegati in cucina, ma il posto d’onore spettava senz’altro alla melanzana, il cui consumo si diffuse rapidamente anche sull’altra sponda del Mediterraneo. La frutta fresca, e molti tipi di frutta secca (uva, albicocche, mandorle, nocciole) entravano come ingredienti importanti nei dolci, altra grande passione dell’Islam. I viaggiatori europei che giungevano nei paesi arabi restavano incantati dalla varietà e dalla raffinatezza dei loro dolciumi. Molto tempo prima che in Europa apparissero i gelati, i ricchi musulmani gustavano squisiti sorbetti di frutta, fabbricati con il ghiaccio prelevato in alta montagna. Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 635 me (Spagna, Maghreb, Egitto, Yemen, ecc.). È il caso dell’emirato di Cordova, governato da un ramo superstite omayyade, che in questo periodo consolidò la sua presenza in Andalusia e inaugurò una politica espansionistica, sia ai danni dei cristiani del Nord, sia dei Berberi del Maghreb. Nello stesso quadro si inserisce l’iniziativa degli Aghlabiti in Nord-Africa, cui gli Abbasidi riconobbero nell’801 il potere sull’emirato di Kairuan (Tunisia). Il Mediterraneo saraceno Sotto gli Aghlabiti, bande di Saraceni (dall’arabo sharqiyn, termine con cui si indicavano le tribù nomadi del Sinai) islamizzati, approfittando della debolezza dei Bizantini in Sicilia, nell’827 intrapresero la conquista dell’isola, che fu completata nel 902. Per la sua collocazione geografica e per le sue risorse, l’isola aveva da sempre un ruolo strategico fondamentale negli equilibri mediterranei. Sotto il dominio islamico essa ebbe una grande fioritura: i Saraceni vi introdussero nuove colture, come quelle degli aranci, dei mandarini e dei limoni, vi costruirono infrastrutture moderne (soprattutto nell’irrigazione) e splendidi edifici, che fondevano in una mirabile armonia il gusto islamico con le tradizioni artistiche locali. Fu allora che Palermo divenne il centro più importante dell’isola e insieme una delle città più ricche e colte dell’epoca. I Saraceni non limitarono la loro iniziativa militare alla Sicilia. Mossero anche contro i territori bizantini dell’Italia meridionale e occuparono Taranto e Bari, dove sorsero due emirati. Le loro scorrerie li portarono anche verso Roma, che fu saccheggiata nell’846. Nell’890 essi riuscirono a insediarsi a Frassineto, nel cuore della Provenza, dove rimasero per circa un secolo, utilizzando questa postazione per effettuare in- S. Giovanni degli Eremiti, Palermo, prima metà del XII sec. La moschea di Cordova, interno Durante il dominio arabo la Spagna e la Sicilia conobbero un periodo di grande splendore economico e artistico. L’influsso arabo-islamico si protrasse nel tempo indipendentemente dalle vicende della storia politica e militare. In queste due immagini vediamo: il chiostro della chiesa di S. Giovanni degli Eremiti, a Palermo, eretta in età normanna ma di evidente gusto architettonico arabo, e l’interno della moschea di Cordova, la più grande dopo la Kaaba della Mecca, caratterizzato da una vera e propria foresta di colonne (se ne contano 1293) che presentano archi a ferro di cavallo tipicamente musulmani. 30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM 635 Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 636 ECONOMIA AMBIENTE meno delicati di quelli spesso di foglie di palma e che deve essere accudito dell’ecosistema. Tutto dipende intrecciate. Accumulandosi su dall’uomo in modo meticoloso e continuo. Attraverso un’esperienza dall’imparzialità e dalla correttezza queste barriere, la sabbia forma con cui l’acqua viene assegnata ai catene di dune sempre più alte, maturata nel corso dei millenni, che proteggono l’oasi come argini. l’uomo ha introdotto le piante più singoli coltivatori: nessuno deve avere più di quanto gli è dovuto, e Piccole come un giardino o grandi adatte a quell’ambiente, a L’oasi come una città, le oasi hanno reso cominciare dalla palma, che con il a ogni proprietario spetta una determinata quota d’acqua. Le possibile nei deserti sia la vita suo sviluppo in altezza e il suo quote possono essere vendute, sedentaria sia quella nomade. fitto fogliame costituisce Un deserto infuocato, dune di comprate, trasmesse in eredità, Esse, infatti, non sono state l’ombrello di protezione sotto il sabbia fino all’orizzonte e possono frammentarsi o soltanto uno spazio abitato da quale possono essere coltivati gli all’improvviso un ciuffo di palme e aumentare, ma nessuno può coltivatori stanziali, ma anche alberi da frutta e gli ortaggi. una pozza d’acqua fresca. L’oasi modificarle a proprio arbitrio. punti di sosta e di rifornimento per Sotto le fronde dei palmizi il suolo sembra quasi un incantesimo, uno L’individuo più autorevole della le carovane, e luoghi di scambio viene suddiviso in parcelle, spontaneo e miracoloso dono della delle merci. Molte di esse sono coltivate come le aiuole di un comunità era il «maestro natura. E invece anche l’oasi è state costruite lungo le vie giardino e separate da muretti di dell’acqua», colui che governava spesso una costruzione dell’uomo, carovaniere, a distanze tali da mattoni crudi seccati al sole. Le la distribuzione tutelando i diritti un prodotto della sua fatica e della di ciascuno. Questi maestri corrispondere alle esigenze dei case dei contadini, anch’esse di sua tenacia, non meno artificiale di detenevano un sapere antico, che viaggiatori. mattoni crudi, si dispongono ai un ponte o di un palazzo. consentiva, mediante tecniche In tutte le aree desertiche le oasi margini delle coltivazioni, A prima vista, il deserto sembra sono oggi in pericolo. Queste speciali, di misurare rapidamente agglomerate o in ordine sparso. escludere la presenza di acqua: le isole di verde nel deserto la quantità d’acqua immessa nei Nell’economia dell’oasi, l’acqua è il piogge sono quasi inesistenti e scompaiono perché i loro abitanti vari canali. bene più prezioso e viene non ci sono corsi d’acqua perenni. emigrano verso le città e perché le L’oasi è costantemente minacciata distribuito con estrema parsimonia. Eppure anche il deserto ha la sua carovane di cammelli cedono il dal vento e dalla sabbia. Per I tunnel la convogliano in un acqua: basta saperla cercare e posto alle carovane di camion. È evitare la sua morte, gli uomini bacino, dal quale confluisce in portarla in superficie. Fin da tempi un processo inarrestabile e per costruiscono e ricostruiscono piccoli canali che la portano alle antichissimi, i gruppi umani che bloccarlo non esistono rimedi incessantemente intorno a essa varie cellule coltivate. La comunità frequentano il deserto hanno validi. delle barriere artificiali, fatte che abita nell’oasi ha equilibri non escogitato a questo scopo metodi diversi e ingegnosi. In rari casi bastava scavare un L’oasi di Hadj Guelman semplice pozzo. Ma se si voleva Quest’oasi si trova nel deserto del Sahara lungo i confini libici e algerini. Nell’immagine si possono notare i portare l’acqua in una zona che ne recinti posti a barriera contro la sabbia e le case in mattone costruite a ridosso della vegetazione. Nel deserto era sprovvista, e se si voleva del Sahara la coltivazione all’interno delle oasi è ancora più ardua e impegnativa che altrove a causa delle particolarità climatiche che caratterizzano questa vastissima zona dell’Africa: piove molto poco, le temperature garantire a quella zona un sono altissime di giorno (fino a 50°) e molto basse di notte, e sono assai frequenti le tempeste di polvere e rifornimento idrico copioso e sabbia determinate dalla forte ventosità. costante, era necessario ricorrere a tecniche ben più complesse. Spesso venivano scavati lunghi tunnel sotterranei, che sfruttando la pendenza del suolo convogliavano verso l’oasi l’acqua accumulatasi in cavità anche molto lontane dal luogo di destinazione. Grazie a questi tunnel, che si estendono talvolta per centinaia e centinaia di chilometri, era possibile creare un giardino dove prima c’era soltanto sabbia. Ma l’acqua è soltanto il primo requisito per la creazione di un’oasi. Questa è infatti un ecosistema complesso, che si basa sull’alleanza tra le varie specie vegetali e i microrganismi, 636 Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 637 cursioni nelle valli alpine e nel Piemonte. In quei decenni, il terrore dei Saraceni si diffuse in quasi tutta la penisola: essi giungevano all’improvviso sulle loro navi veloci, saccheggiavano i porti, penetravano nell’entroterra e assalivano le fattorie, i villaggi, i monasteri (celebri i saccheggi di Montecassino e Farfa). Gli abitanti che cadevano nelle loro mani finivano in schiavitù. I Turchi selgiuchidi Il califfato abbaside ricevette il colpo di grazia nel corso dell’XI secolo, quando tribù di Turchi selgiuchidi, genti originarie delle steppe asiatiche convertitesi all’Islam, penetrarono nell’impero e furono accolte nell’esercito come mercenari, acquisendo sempre maggiore potere al punto da proclamarsi protettori del califfato abbaside. La dinastia abbaside, tuttavia, mantenne formalmente il potere fino al 1258, anno in cui Baghdad fu espugnata dai Mongoli. GUIDAALLOSTUDIO 1. Quali riforme furono introdotte dai califfi abbasidi? 2. Chi furono Avicenna e Averroè? 3. Gli emiri erano autonomi dal califfo? 4. Sottolinea sul testo le località italiane conquistate o attaccate dai Saraceni. 7 Le città e le oasi Da nomadi a sedentari Nei paragrafi precedenti abbiamo visto come in breve tempo gli Arabi, la cui cultura apparteneva alle grandi tradizioni nomadiche della penisola arabica, si trovarono a dominare vasti territori caratterizzati da un’antichissima civiltà urbana. Essi non rifiutarono questa civiltà, ma vi s’inserirono e la trasformarono, aprendo una nuova epoca nella storia dell’urbanesimo. Le città islamiche erano centri religiosi, politici, culturali ed economici. Elementi architettonici tipici della tradizione romana, come le terme pubbliche, convivevano con edifici nuovi come le moschee. La piazza centrale, tipica della città greca e romana, perse importanza, ma si ricrearono nuovi spazi di aggregazione. Il tradizionale impianto della casa romana con atrio centrale permaneva in quello della casa araba, che tuttavia era organizzata in modo tale da separare gli spazi maschili da quelli femminili. In obbedienza a un precetto coranico, le decorazioni delle case e degli edifici pubblici abbandonarono le raffigurazioni del corpo umano e si sbizzarrirono nei motivi geometrici, vegetali e animali. Grazie alla disponibilità d’acqua e alla presenza dei bagni pubblici, la popolazione urbana viveva mediamente in condizioni igieniche superiori a quelle delle città cristiane. ON LINE APPROFONDIMENTI La casa islamica CAUSE DEL SUCCESSO ISLAMICO Debolezza bizantina e persiana Entusiasmo religioso contro: l’oppressione di minoranze religiose Appoggio delle popolazioni locali Sovrappopolamento delle comunità arabe contro: l’oppressione fiscale SUCCESSO ISLAMICO Efficiente organizzazione militare Sostanziale rispetto della proprietà privata Moderata imposizione fiscale Tolleranza religiosa Mantenimento dell’amministrazione locale 30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM 637 Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 638 Un bagno dell’Alhambra, Granada L’Alhambra (dall’arabo Qal’ah al-hamraˉ’, «fortezza rossa») è un recinto fortificato situato su una collina, protetta dalle imponenti vette della Sierra Nevada, in una posizione che domina la città di Granada. Costruita dagli Arabi durante la dominazione islamica attorno al 1100, l’Alhambra ha subìto diverse trasformazioni nel corso dei secoli, a seconda delle dinastie regnanti. È costituita fondamentalmente da tre aree distinte: la Alcazaba (la fortezza), che aveva funzioni difensive; i Palazzi Nasridi, con le lussuose dimore dei sultani; il Generalife, l’area dedicata alla produzione ortofrutticola e al pascolo per i consumi della città. Come sempre, le città furono le maggiori produttrici di cultura. La scienza araba fu per alcuni secoli la più progredita del mondo: mentre nell’Occidente cristiano le opere degli scienziati greci non venivano più lette, nel mondo islamico esse venivano tradotte e studiate, e in molti casi fu solo grazie all’iniziativa degli studiosi arabi che esse non andarono perdute per sempre. Non si trattava soltanto della conservazione di un sapere, perché le conquiste della scienza greca furono la base di nuovi progressi, soprattutto nel campo dell’algebra e della geometria. Dall’Islam, che l’aveva importata dall’India, si propagò la numerazione araba, che sostituì progressivamente la farraginosa numerazione romana. GUIDAALLOSTUDIO 1. I musulmani introdussero le terme nelle città? 2. Quali sono le origini della numerazione che a tutt’oggi adoperiamo? 3. L’Islam danneggiò l’economia del Mediterraneo? 638 Economia Le conquiste islamiche unificarono anche sotto il profilo economico territori in precedenza divisi e frammentati. Dalla Spagna all’India, una fitta rete di vie commerciali consentì un intenso movimento di merci e di persone. Le strade tradizionali, che ripetevano gli antichi percorsi delle arterie romane e ne utilizzavano ancora in gran parte le infrastrutture, s’integrarono con le vie carovaniere punteggiate dalle oasi e percorse dai dromedari e dai cammelli. Le rotte marittime si connettevano a questi circuiti grazie alla disponibilità di una buona marina mercantile, protetta da una flotta da guerra in grado di rivaleggiare con quella bizantina. Gli intensi contatti con il Sudan, ricco di miniere d’oro, rese possibile la coniazione di monete d’oro, che aggiungendosi a quelle d’argento rafforzarono il ruolo dell’economia monetaria nell’area islamica. Pur se parzialmente ridimensionata, questa rete di traffici e di collegamenti rimase attiva anche quando venne meno l’unità politica dell’Islam che era stata in precedenza garantita dal califfato abbaside. Anche nel settore dell’agricoltura, l’economia araba unì tradizione e innovazione. Se si esclude la viticoltura, ridimensionata dal divieto religioso di bere bevande alcoliche, i musulmani mantennero in vita tutte le tradizionali colture mediterranee. Ma prospettive nuove e vantaggiose furono aperte dalle coltivazioni degli agrumi e dello zucchero, che con il tempo avrebbero rivoluzionato anche i gusti dell’Occidente. Per la prima volta gli Europei seppero che cos’erano le albicocche, le arance, i limoni, i mandarini e le melanzane. Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 639 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM SINTESI 1 L’Arabia preislamica coesione anche militare, avviando una prima fase di espansione coronata dal Tra VI e VII secolo, mentre trionfale ritorno alla Mecca, Persiani e Bizantini sono dichiarata città santa dei impegnati in un conflitto permanente, emerge una nuova musulmani. Maometto muore potenza destinata a minacciare i nel 632. loro tentativi di supremazia sul Medio Oriente. Lo scenario in 3 cui si sviluppa il nuovo, grande I fondamenti della fede impero è la penisola arabica. Dopo la morte di Maometto L’Arabia preislamica è divisa tra viene redatto il libro sacro una zona fertile e ricca d’acqua, dell’Islam, il Corano, in cui i con un’intensa vita urbana e fedeli trovano le prescrizioni e i commerciale, ed enormi distese comandamenti del profeta, desertiche solcate dai Beduini, mentre le tradizioni relative al bellicose tribù nomadi che comportamento del Profeta vivono di allevamento, rispetto a problemi particolari commercio carovaniero e sono nella Sunna. Oltre ai razzie. Molto diffusi sono i culti cinque pilastri della fede politeistici; il principale centro (professare il monoteismo, religioso della penisola arabica è pregare, pagare l’elemosina, la Mecca, situata al crocevia digiunare nel mese di Ramadan di importanti traffici e compiere almeno una volta commerciali, e luogo di nella vita il pellegrinaggio alla venerazione, tra l’altro, della Mecca) il profeta stabilisce Pietra Nera custodita nella l’osservanza dei cosiddetti Kaaba. «buoni costumi», primo fra tutti il gihâd (la guerra santa), che impegna i devoti a combattere 2 Nascita di una religione contro pagani e infedeli. Dopo la rivelazione (610), Maometto, rimodellando alcuni elementi della tradizione giudaica e cristiana, si dedica a una predicazione dai contenuti semplici: l’invito ad adorare Allah come unico dio e a sottomettersi (Islam) alla sua autorità, il giudizio finale, l’aiuto ai poveri. Tale predicazione viene accolta soprattutto dai ceti meno abbienti, ma osteggiata dalla maggioranza dei capi tribali, che iniziano le persecuzioni dei musulmani. Maometto, quindi, è costretto alla fuga dalla Mecca (622, ègira) e all’esilio a Medina. Qui il profeta definisce il rapporto della nuova fede col giudaismo e la nascente comunità musulmana acquista 4 La successione al profeta e le lacerazioni del mondo islamico Alla morte del profeta si verificano contrasti per la successione, infine risolti con la nomina a califfo di Abu Bakr, che dà inizio all’espansione islamica. Sotto il suo successore, Omar, gli Arabi strappano l’Egitto, la Siria, la Palestina a Bisanzio, e la Mesopotamia all’impero persiano. Sotto il califfo Othman, cui si deve la conquista dell’Africa settentrionale e la sottomissione dell’impero persiano, hanno luogo una serie di conflitti politici legati alla successione che sfociano in una divisione alla frammentazione del mondo islamico. La dinastia omayyade viene spodestata dagli Abbasidi, che spostano la capitale da Damasco a Baghdad. È questa l’epoca d’oro della cultura araba, che fa proprie, reinterpretandole, le tradizioni 5 Gli Omayyadi culturali orientale e greca. e la ripresa Nel tempo, tuttavia, gli dell’espansione islamica Abbasidi perdono il controllo Con il nuovo califfo Mo’awiya, si degli emirati di Marocco, insediano al potere gli Omayyadi Tunisia, Egitto, Spagna, mentre l’emirato di Cordova si espande che guidano la ripresa a nord e gruppi di Saraceni dell’espansione araba. Allestita una potente flotta, i musulmani provenienti dal Sinai conquistano la Sicilia e avviano attaccano l’impero bizantino, scorrerie nei territori bizantini giungendo anche ad assediare dell’Italia meridionale e in tutto Costantinopoli, ma senza riuscire a piegarlo. A Occidente, il Mediterraneo. La dinastia abbaside regna fino al 1258, invece, conquistano le coste quando Baghdad viene atlantiche del Nord Africa e la espugnata dai Mongoli. penisola iberica, ma vengono fermati dai Franchi a Poitiers (732). A Oriente, gli Arabi 7 Le città e le oasi giungono fino all’India, ma vengono frenati dai Cinesi. Alla Le città islamiche sono centri base dell’espansione islamica vi religiosi, politici, culturali, sono: l’entusiasmo religioso; economici, nei quali convivono un’efficiente organizzazione elementi tipici della città militare; la debolezza degli romana, come le terme, con imperi bizantino e persiano; la edifici nuovi come le moschee. collaborazione delle popolazioni I bagni pubblici sono molto soggette, stanche diffusi e quindi le condizioni dell’oppressione bizantina e igieniche sono superiori a persiana. quelle delle città cristiane. Le Nei territori conquistati, città sono anche grandi organizzati in province governate produttrici di cultura: la scienza da emiri, i musulmani esercitano araba è una delle più il dominio in forme moderate. progredite del mondo, e La società, intanto, si stratifica in all’Islam si deve anche diversi livelli (musulmani di l’introduzione in Occidente origine, nuovi musulmani e della numerazione araba. Le sudditi non musulmani), la cui conquiste islamiche permettono gerarchia è fortemente la ricostituzione delle antiche condizionata dal fattore religioso. rotte commerciali, che collegavano il Nord Africa con 6 Dagli Abbasidi alla fine l’India e con il Sudan, ricco di d’oro. Inoltre, in dell’unità politica islamica miniere seguito alle conquiste, accanto alle antiche colture agricole, ne A partire dalla metà dell’VIII vengono introdotte di nuove, secolo le divisioni interne – dinastiche e religiose – portano insieme a nuove piante. religiosa. Il cugino di Maometto, Alì, eliminato Othman, crea uno scisma, dando vita alla setta degli sciiti in opposizione ai sunniti, la maggioranza dei musulmani ortodossi. 30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM 639 Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 646 L’IMPERO CAROLINGIO 1 Le origini del regno franco Il battesimo del re Clodoveo, XV sec. La miniatura quattrocentesca raffigura il re Clodoveo immerso nel fonte battesimale: l’antico rito prevedeva infatti l’immersione totale del battezzando. Nell’immagine è disegnato il «fiore di giglio» che sarà adottato come simbolo nazionale francese solo alla fine del XIV secolo. I Franchi Tra il IV e il V secolo, nel corso del processo di disgregazione dell’impero romano d’Occidente [cfr. 27.6], i Franchi, popolazione germanica divisa in tribù condotte da capi militari, si erano stanziati lungo i corsi dei fiumi Meno e Reno. Verso la fine del V secolo essi vennero riuniti sotto la guida di Clodoveo (481-511), re dei Franchi Salii, fondatore della dinastia merovingia (dal nome del leggendario conquistatore Meroveo, un capotribù del V secolo). Questi aveva intrapreso una politica di conquista che, nel giro di pochi anni, aveva portato i Franchi al dominio di tutta la Gallia e della valle del Reno. Come sua capitale Clodoveo aveva scelto Parigi, l’antica Lutezia, che aveva mantenuto il nome dell’originaria tribù gallica dei Parisii. A differenza di altre popolazioni germaniche, che erano già state convertite all’arianesimo [cfr. 26.2], i Franchi erano ancora pagani, e questo favorì il loro passaggio diretto al cattolicesimo. Ciò ebbe importanti ripercussioni anche sul piano politico e sociale. Il battesimo di Clodoveo, avvenuto intorno al 496, portò infatti alla giovane monarchia franca il consenso e l’appoggio dell’aristocrazia gallo-romana, dalle cui file venivano reclutati i vescovi di quelle regioni: si operò così una saldatura tra i vertici del popolo vincitore e i vertici delle popolazioni romane. Per rafforzare ulteriormente la sua immagine di sovrano, Clodoveo, nel 510, fece redigere la Lex Salica, una raccolta di norme consuetudinarie franche. Malgrado questi rapidi e notevoli successi, la monarchia franca era minata da alcuni gravi elementi di debolezza, che spingevano alla frammentazione politica. All’irrequietezza dell’aristocrazia guerriera, che mal tollerava la presenza di una forte monarchia, si aggiungeva la concezione patrimoniale del regno. Infatti, alla morte di Clodoveo, nel 511, il regno franco fu diviso fra i suoi quattro figli: nacquero così quattro nuove realtà politiche, geografiche ed etniche, la Neustria (fra la Schelda e la Loira), l’Austrasia (comprendente la Champagne e le terre della Mosa e della Mosella), la Borgogna (fra la Loira e il Rodano) e l’Aquitania. Dai Merovingi ai Pipinidi Si aprì di conseguenza un periodo di gravi contrasti politici e di lotte fratricide, du- 646 Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 647 N EM AG AL Rodano ALSAZ IA A rante il quale i Franchi non solo dovettero rinunciare alle loro mi- IL REGNO FRANCO SOTTO I MEROVINGI ni so Fri re espansionistiche, ma furono costretti a fronteggiare la pressione ni sso BRITANNIA Sa Reno esercitata lungo le frontiere orientali da altre popolazioni germaMosa niche, non convertite al cristianesimo, come i Frisoni, gli AleDI RE lii Sa TU GN RI O manni, i Bavari e i Sassoni. AUSTRASIA N Meno GIA i Della crisi della dinastia merovingia approfittarono le aristoh nc Fra Se crazie dei singoli regni, le quali accrebbero i loro poteri a danno nn a della monarchia. È in questo contesto che emersero i maggiorParigi BRITANNIA NEUSTRIA domi (maior domus) o maestri di palazzo, funzionari addetti alReno l’amministrazione delle terre e del fisco reali. Loira BORGOGNA Nel corso della seconda metà del VII secolo, tra tutti i maePoitiers OCEANO stri di palazzo si imposero quelli d’Austrasia, i cosiddetti PipiAQUITANIA ATLANTICO ITALIA nidi, dal nome del loro capostipite Pipino di Landen. Questi conobbero il loro apice con Pipino II di Heristal (679-714), il PROVENZA quale, eliminati i maestri di palazzo di Neustria e Borgogna, GUASCOGNA procedette alla riunificazione del regno franco e rese ereditaria REGNO la carica di maestro di palazzo. Il suo successore, Carlo Mar- DEI VISIGOTI Territorio dei Franchi nel 481 (avvento di Clodoveo) tello (714-741), consolidò il potere paterno e si contraddistinTerritorio conquistato sino se nella lotta in difesa della Cristianità. Egli infatti bloccò a Poitiers, nel 732, il pealla morte di Clodoveo (511) ricolo di un’incursione musulmana dalla Spagna verso occidente [cfr. 30.5]. La batSuccessive conquiste dei Merovingi taglia di Poitiers contribuì al consolidamento del prestigio dei Pipinidi e, parallelamente, alla rovina della reputazione dei re merovingi, passati alla storia come «re fannulloni». GUIDAALLOSTUDIO Carlo Martello si comportò come un «re di fatto» persino in punto di morte, quan1. I Franchi si convertirono all’arianesimo? 2. Dove si trovava do divise la responsabilità di maestro di palazzo del regno fra i suoi due figli, Carlol’Austrasia? 3. Chi erano i maestri di manno, cui andarono l’Austrasia, l’Alemannia e la Turingia, e Pipino il Breve, cui anpalazzo? Come erano nominati? 4. Per quali gesta è ricordato Carlo Martello? darono Neustria, Borgogna e Provenza. 2 La dinastia carolingia e il crollo del regno longobardo Ascesa dei Carolingi Nel 747 Carlomanno si ritirò nel monastero di Montecassino, abdicando in favore del fratello, Pipino il Breve (751-768), capostipite della dinastia carolingia. Questi nel 751 depose Childerico III, l’ultimo sovrano merovingio, e si fece, prima, acclamare re da un’assemblea di grandi dignitari, poi, consacrare con l’olio santo da un monaco. La cerimonia dell’unzione venne ripetuta nel 754 da papa Stefano II (752-757), recatosi appositamente in terra franca. Il gesto equivaleva a una consacrazione divina della dinastia di Pipino, che ora i Franchi non potevano più considerare come un usurpatore; di conseguenza, il re aveva contratto un debito di riconoscenza nei confronti del papa. I Franchi infatti apparivano al papato come gli alleati ideali per realizzare l’autonomia politica da Bisanzio. Stava così per verificarsi una vera e propria svolta che avrebbe avuto per l’Italia e per l’Europa intera conseguenze decisive. La Chiesa di Roma, tradizionalmente fedele all’imperatore d’Oriente, fino ad allora riconosciuto come l’unico imperatore «romano» di pieno diritto, poneva le basi per un distacco da Costantinopoli che si sarebbe via via approfondito fino a diventare incolmabile. Contemporaneamente, rivolgendosi ai Franchi, gettava un ponte fra l’Italia e l’Europa continentale legando strettamente le sorti dell’una a quelle dell’altra. unzione L’unzione di oggetti e di persone con le sostanze più diverse – grasso animale, essenze, olio – rientra nei riti di molte religioni. L’unico carattere comune alle varie religioni è il fatto che l’unzione indica sempre il passaggio della persona o della cosa da una condizione a un’altra. Nella liturgia cattolica l’unzione, applicata con il segno della croce, equivale a una consacrazione. L’unzione di un sovrano significa che egli è consacrato da Dio nelle sue funzioni. Intervento dei Franchi in Italia Tra il 754 e il 756, Pipino, in risposta alla richiesta di aiuto lanciata da Stefano II, compì due spedizioni militari in Italia contro i Longobardi, ricacciandoli nei loro precedenti confini [cfr. 29.7]. Il dominio longobardo si apprestava ormai al declino. Desiderio (757-774), successore di Astolfo, fu costretto a lunghe e com31 L’IMPERO CAROLINGIO 647 Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 648 ON LINE DOCUMENTI Eginardo Ritratto di Carlo Magno GUIDAALLOSTUDIO 1. Pipino il Breve fu un re oppure un maestro di palazzo? 2. Quale aiuto ottenne il papa Stefano II dal re dei Franchi? 3. Chi era il re dei Longobardi nell’anno 774? Un guerriero franco Questa immagine fa parte di una ricca decorazione di affreschi dell’oratorio del convento di San Benedetto, a Malles, in Alto Adige. A lungo identificato, a torto, con Carlo Magno, il guerriero è il dignitario che donò l’edificio ed è rappresentato con lo scramasaxus (la terribile spada piatta che assicurò tante vittorie ai Franchi), che, impugnato a mo’ di croce, sembra sottolineare il legame tra le bellicose tradizioni franche e la diffusione della fede cristiana. 648 plesse trattative diplomatiche. Per ingraziarsi i Franchi, egli diede la figlia Ermengarda in sposa a Carlo (il futuro Carlo Magno) figlio maggiore di Pipino. Ma questo gesto di riappacificazione venne annullato dagli eventi della corte franca. Nel rispetto della tradizione franca, Pipino designò come successori al trono entrambi i figli. Carlo e Carlomanno regnarono così insieme per tre anni; ma alla morte di Carlomanno, avvenuta nel 771, Carlo si fece nominare unico re, ripudiando Ermengarda e costringendola all’esilio a Pavia, insieme alla vedova di Carlomanno. I Franchi entrarono nuovamente in conflitto con i Longobardi. Nel 774 Carlo scese in Italia, conquistò Pavia, catturò Desiderio e lo rinchiuse in un convento. La conquista franca segnò la fine del dominio longobardo in Italia, mentre Carlo aggiunse al titolo di «re dei Franchi» quello di «re dei Longobardi». A questa data l’Italia si presentava quindi divisa in quattro zone d’influenza: l’Italia franca, corrispondente al vecchio regno longobardo; l’Italia bizantina, che comprendeva la Sicilia, la Sardegna, la Calabria e parte della Puglia; il Patrimonio di San Pietro, corrispondente al territorio centrale controllato dal papato; il ducato longobardo di Benevento. I primi anni della dominazione franca non determinarono alcun cambiamento nell’amministrazione degli ex territori longobardi. Carlo infatti, subito dopo la conquista, abbandonò l’Italia per fronteggiare i Sassoni che premevano lungo i confini orientali del regno. I tentativi di insurrezione organizzati dai duchi longobardi, tuttavia, convinsero Carlo della necessità di consolidare la presenza franca nella penisola: egli separò la corona d’Italia da quella dei Franchi e l’affidò a suo figlio Pipino, che nel 781 fu incoronato dal papa re d’Italia; contestualmente procedette alla sostituzione dei ceti dominanti locali con personaggi dell’aristocrazia franca. 3 In nome di Cristo: le conquiste di Carlo Magno Carlo regnò dal 771 all’814. Le sue conquiste gli valsero l’appellativo di «Grande» (Carolus Magnus, ossia Carlo Magno). Il suo esercito non aveva rivali in Europa, e poteva contare su una forte e ben addestrata cavalleria, su un armamento «moderno» (come spade leggere e resistenti), sull’impiego di cartografi per la preparazione delle campagne militari e delle battaglie. Le campagne militari I Franchi combatterono per tredici anni (dal 772 al 785) i Sassoni, una popolazione pagana stanziata nella Germania del Nord. Malgrado la conversione forzata al cristianesimo di gran parte della nobiltà sassone e la sua formale sottomissione, gli episodi di ribellione si ripeterono uno dopo l’altro scatenando una feroce repressione: nel 782, per esempio, a Verden, Carlo fece decapitare in un solo giorno 4500 contadini sassoni ribelli. Nel 784, il re annesse anche la Frisia settentrionale, le cui popolazioni avevano reagito duramente ai tentativi di conversione da parte dei missionari cristiani. Con questa conquista il sovrano si assicurò anche uno sbocco sul Mare del Nord, area di grande importanza per i traffici commerciali tra il continente e la Scandinavia. Nel 776, Carlo passò all’offensiva contro i musulmani di Spagna. Dopo alcuni insuccessi iniziali egli riuscì, nell’arco di un ventennio, a strappare al controllo islamico il territorio compreso tra i Pirenei e il fiume Ebro, dove fu istituita la marca [cfr. 31.5] di Spagna. Queste guerre vennero poi celebrate dai poemi cavallereschi francesi: un episodio reso celebre dalla Chanson de Roland fu la battaglia di Roncisvalle, quando, nel 778, l’armata franca fu attaccata al rientro in Francia dai guerrieri musulmani coadiuvati dai montanari baschi. La retroguardia, guidata dal conte Rolando (o Orlando), fu completamente annientata. Anche se Roncisvalle fu un episodio di secondaria importanza, l’epopea franca contribuì a diffonderne la fama nel mondo cristiano. Dopo l’annessione della fertile Baviera, nel 778, Carlo mosse contro gli Àvari, una popolazione dell’Asia centrale affine agli Unni, temuta per le continue incursioni che si erano spinte fino all’Austria e al Friuli. Dopo due campagne, nel 795 e 796, gli Àvari Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 649 furono sottomessi e convertiti al cristianesimo; il tesoro della corte carolingia si arricchì del bottino accumulato dagli Àvari in decenni di continue razzie. Caratteri della conquista franca L’espansionismo carolingio non fu il frutto di una strategia premeditata per dar vita a un impero europeo. Le continue iniziative militari si sommarono più che altro casualmente, in risposta ai ripetuti attacchi che venivano da varie direzioni oppure per prevenire potenziali pericoli. Questa esigenza di sicurezza, sollecitata da forti tradizioni guerriere e unita a un forte ideale religioso (la protezione e la propagazione del cristianesimo), costituì la molla fondamentale dell’espansionismo franco, che portò all’aggregazione di un enorme territorio, esteso dal Mare del Nord all’Italia centrale, dal fiume Ebro al fiume Elba. Carlo Magno e i guerrieri franchi si ritenevano protagonisti di una grande missione: convertire l’Europa. La guerra santa per la vera fede, contro tutti gli infedeli: fu questa la più esplicita parola d’ordine dell’espansionismo carolingio. La conversione al cristianesimo dei nemici era la condizione necessaria per formare un solo popolo, e questo obiettivo doveva essere raggiunto con qualsiasi mezzo, compreso il terrore. L’IMPERO CAROLINGIO MARE DEL NORD Brema FRISIA SASSONIA NEUSTRIA Parigi MARCA DI Rennes BRETAGNA Tours Colonia TURINGIA Aquisgrana Fulda Magonza Treviri IA RAS Reims T S Würzburg AU Metz BORGOGNA ALEMAGNA BAVIERA Salisburgo San Gallo Poitiers CARINZIA Coira Lione AQUITANIA GUASCOGNA Tolosa Ratisbona Lorsch Strasburgo LOMBARDIA Milano Pavia PROVENZA SETTIMANIA Venezia PATRIMONIO Arles Nizza MARCA DI SPAGNA DI Spoleto DUCATO S. PIETRO DI SPOLETO Roma Benevento Barcellona Napoli MAR ME DIT ER RA Regno franco nel 771 Conquiste di Carlo Magno Aree di influenza dell’impero carolingio Servitore della Chiesa Proseguendo su questa linea di monarca cristiano, Carlo Magno prese anche provvedimenti in materia ecclesiastica: per esempio, l’obbligo di rispettare il riposo della domenica. Come scrisse il monaco Alcuino, Carlo fu «cattolico per la fede, re per il potere, pontefice per la predicazione». Convocò e presiedette concili di vescovi, e nel 794, quando si chiuse quello di Francoforte, i prelati lo salutarono con queste solenni parole: «Che egli sia signore e padre. Che egli sia re e sacerdote. Che egli sia il grande imperatore e pilota di tutti i cristiani». Ma Carlo Magno, a differenza dell’imperatore di Bisanzio, non pensò mai di sostituirsi ai vescovi e al papa, e non confuse mai il potere spirituale con quello temporale. Egli si comportò sempre come un fedele servitore di Roma, al quale era riservato il compito di combattere i nemici della Chiesa, non quello di curare spiritualmente le anime dei sudditi. Si trattava, tuttavia, di un equilibrio delicato in cui era difficile evitare che la religione si intrecciasse alla politica. Quanto ciò fosse vero lo dimostra la sensazionale vicenda che si svolse nel giorno di Natale dell’800. O ON LINE DOCUMENTI Eginardo Convertire con il terrore GUIDAALLOSTUDIO 1. Sottolinea nel testo tutti i popoli affrontati nelle guerre dai Franchi. 2. Quali erano i punti di forza dell’esercito di Carlo Magno? 3. Cosa narra la Chanson de Roland? 4. Spiega il significato della guerra santa per i Franchi. 4 Il Sacro romano impero Il Natale dell’800 Nella basilica di San Pietro, quel giorno, si svolse una solenne cerimonia. Con sorpresa generale, il papa Leone III (795-816) depose una corona d’oro sul capo di Carlo, che era inginocchiato in preghiera, e dichiarò: «A Carlo, l’augusto incoronato da Dio, grande e pacifico imperatore dei Romani». I guerrieri franchi acclamarono il nuovo imperatore, mentre da Roma si diffondeva un nuovo messaggio: da quel momento, il prestigioso titolo di «imperatore dei Romani» non era più una prerogativa riservata al sovrano bizantino. Per la prima volta dalla caduta dell’impero romano, un monarca occidentale acquisiva la carica di cui nessun altro goto, longobardo o franco aveva mai osato fregiarsi e che, soprattutto, recava il suggello della consacrazione papale. Secondo Eginardo, biografo di corte, Carlo non sarebbe mai entrato in San Pietro se avesse conosciuto le intenzioni di Leone III. Questa affermazione è stata messa in dub31 L’IMPERO CAROLINGIO NE DUCATO DI BENEVENTO 649 Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 650 Louis-Félix Amiel, Carlo Magno imperatore d’Occidente, 1837 [Museo nazionale Châteaux de Versailles et de Trianon, Versailles] Carlo Magno ebbe una vita ricca di avventure e fu un grande guerriero. Ma la tradizione francese lo ricorda soprattutto come il padre della nazione, come un venerabile antenato. In quanto tale, è spesso raffigurato – ma si tratta di ritratti puramente fantasiosi come questo – come un vecchio autorevole e saggio. GUIDAALLOSTUDIO 1. Secondo quale rituale si svolse l’incoronazione di Carlo Magno? 2. Carlo Magno accettò di essere imperatore dei Romani? bio da alcuni storici moderni, ma non vi sono elementi validi per contestarne la veridicità. L’incoronazione di Natale si rivelò un evento più vantaggioso per il pontefice che per il nuovo imperatore, ed è probabile che Eginardo avesse raccolto al riguardo i veri sentimenti di Carlo. L’incoronazione di Natale, infatti, fu una geniale mossa politica del papa. Leone III, che ancora nel 799 aveva visto mettere in discussione la propria autorità in un tumulto tra fazioni aristocratiche romane, divenne l’artefice del Sacro romano impero, con una procedura che in seguito sarebbe stata necessaria per ogni sovrano che intendesse portarne la corona. Con questo gesto, la posizione di Leone risultava rafforzata sul piano interno rispetto alle fazioni romane; sul piano internazionale, poi, il papa disconosceva di fatto il potere degli imperatori bizantini, così invadenti in materia religiosa ma militarmente assenti, ed esaltava, senza peraltro esservi sottomesso, la potenza dei sovrani franchi. Carlo Magno aveva, dunque, buone ragioni per rimpiangere di essere entrato in San Pietro in quel giorno di Natale dell’800. La formula pontificia capovolgeva il cerimoniale osservato dagli imperatori bizantini, che si facevano prima acclamare dalla folla e dall’esercito, e soltanto dopo si facevano incoronare dal patriarca di Costantinopoli. Carlo, invece, fu prima incoronato «imperatore dei Romani» e poi acclamato dalla folla dei Franchi, e questo rituale aveva un profondo significato simbolico: il potere imperiale discendeva da Dio e dal suo rappresentante in terra, il papa; l’imperatore, di conseguenza, era detentore di un’autorità temporale soggetta all’autorità spirituale del pontefice. Guerra con i Bizantini A Bisanzio, l’incoronazione di Carlo Magno venne considerata come una vera e propria usurpazione, da parte di un re barbaro, del titolo che da sempre era spettato al vero imperatore «romano». La tensione, che già da tempo covava, finì per sfociare in una dura guerra combattuta nel Veneto, in Istria e in Dalmazia. Il conflitto si concluse senza sostanziali modifiche territoriali, e con una piccola vittoria diplomatica per l’impero carolingio: con un trattato stipulato nell’812, Carlo Magno, in cambio di alcune concessioni territoriali, venne infatti riconosciuto dall’imperatore bizantino Michele I «imperatore e augusto», anche se non «imperatore dei Romani». Lo stesso Carlo si rese conto del pericolo contenuto nella formula dell’incoronazione. La cancelleria di corte definì la capitale carolingia Aquisgrana come «seconda Roma», ma non usò mai il termine di «impero romano», preferendo quello più ambiguo di impero franco e cristiano. Quando, inoltre, nell’813 Carlo Magno affiancò suo figlio Ludovico il Pio (814-840) alla guida dell’impero, non volle ricorrere alla consacrazione papale, e si limitò a farlo acclamare imperatore dai Franchi. Ma tutte queste cautele non potevano bloccare il processo ormai avviato, e dai tempi di Carlo Magno in poi il rapporto tormentato fra papato e impero divenne uno degli assi portanti della politica europea. 5 L’ordinamento dell’impero La corte Il sovrano e i suoi dignitari risiedevano nella corte (palatium), che costituiva il centro dell’impero carolingio. La corte aveva sede principale in Aquisgrana, ma la residenza imperiale poteva spostarsi a seconda delle esigenze militari e politiche, in mo- 650 Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 651 do che l’imperatore potesse essere presente nelle situazioni più critiche, che potevano minacciare la stabilità e la coesione dell’impero. La gestione dell’amministrazione centrale dell’impero era affidata a due funzionari, scelti tra i più stretti collaboratori del sovrano: il conte palatino, un laico incaricato dell’esercizio dell’alta giustizia e del coordinamento di altri funzionari, come, ad esempio, l’addetto al tesoro regio (camerarius) e il controllore del fisco regio (siniscalcus); l’arcicappellano, un ecclesiastico responsabile degli affari di natura religiosa e della gestione della cancelleria regia, il luogo in cui venivano redatti i diplomi regi e i testi legislativi, i capitolari. I capitolari – detti così perché suddivisi in brevi articoli, i «capitoli» –, venivano emanati dai «placiti», assemblee di grandi dignitari, sia laici sia ecclesiastici, che periodicamente si riunivano nel palatium. Da alcuni capitolari si evince chiaramente lo sforzo unificatore di queste assemblee, che cercavano di produrre una legislazione omogenea, capace di rappresentare le volontà imperiali al di sopra dei particolarismi locali. Ma i tentativi della corte carolingia in materia legislativa non ebbero sempre il seguito voluto: l’impero restava una realtà sovranazionale, formata da tanti popoli che continuavano a rispettare le proprie leggi e consuetudini. alta e bassa giustizia Organizzazione territoriale L’impero si divideva in contee, marche e ducati. Le prime, governate dai conti (dal latino comes, «compagno» dell’imperatore), erano circoscrizioni interne: il conte, scelto dal re, esercitava funzioni civili e militari: amministrava la giustizia, riscuoteva tasse e tributi, convocava e guidava l’esercito. Le marche erano invece circoscrizioni più ampie poste nelle zone di confine dell’impero e governate dai marchesi. I ducati infine erano distretti caratterizzati da una forte identità etnica, ossia abitati da popoli recalcitranti all’inserimento nell’impero carolingio, come i Bavaresi e i Bretoni. Un’altra importante funzione era quella dei missi dominici, i «messaggeri del signore»: si trattava di ispettori inviati dal sovrano, con il compito di segnalare e reprimere gli eventuali abusi di governanti e amministratori. Inviati in genere a coppie (un vescovo e un laico), i missi assicuravano la comunicazione tra centro e periferia; la presenza di un ecclesiastico garantiva gli interessi della Chiesa nell’amministrazione carolingia. Sempre nell’ottica del controllo del territorio imperiale, Carlo diede nuovo impulso all’istituto giuridico dell’immunità. Nelle terre immuni, appartenenti soprattutto agli enti ecclesiastici (vescovadi, abbazie, monasteri), nessun funzionario pubblico poteva entrare e tanto meno esigere il pagamento delle imposte, amministrare la giustizia, reclutare truppe. Queste prerogative pubbliche venivano infatti esercitate immunità Sono i due ambiti giurisdizionali entro i quali in età medievale venivano discusse e giudicate le cause. L’alta giustizia comportava, in campo penale, il diritto di comminare la pena di morte o la mutilazione per reati quali l’omicidio, le lesioni gravi, l’incendio, la rapina, lo stupro, ecc.; in campo civile, le cause relative alla proprietà fondiaria e alla libertà delle persone. La bassa giustizia riguardava le cause penali di minor rilievo e altre cause civili, specie quelle relative agli obblighi di natura economica. Dal latino immunis, «non sottoposto a munus, obbligo», e quindi esente. L’immunità indica in generale il privilegio di un individuo, di un gruppo, di un’istituzione che, per le funzioni ricoperte, gode di un particolare trattamento rispetto alla legge. Il trono imperiale nella Cappella Palatina, IX sec. Carlo Magno fece edificare il Palazzo di Aquisgrana sul modello delle costruzioni architettoniche della Roma imperiale del periodo di Costantino; esso doveva essere la manifestazione più concreta della concezione del governo imperiale. Oltre agli edifici della reggia e agli annessi servizi militari e amministrativi, fu aggiunta la Cappella, consacrata da papa Leone III nell’805 (è l’unica parte ancora intatta del complesso originale), che era collegata al Palazzo da una galleria lunga duecento metri. Al suo interno, posto significativamente di fronte all’altare, è conservato il trono marmoreo di Carlo Magno, simbolo della concezione sacrale del potere dell’imperatore. 31 L’IMPERO CAROLINGIO 651 Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 652 ECONOMIA AMBIENTE sul modello antico. Per altro verso, ricchi di mobili, di drappi e di i territori da lui governati erano or- tappeti, di oggetti preziosi, di mai sempre più vasti, e avevano bi- tavole d’oro con vedute di Roma e sogno di un centro amministrativo di Costantinopoli, la biblioteca, l’archivio. Qui giungevano gli stabile, che fosse punto di riferiAquisgrana, ambasciatori provenienti da ogni mento per tutti i sudditi. la seconda Roma parte del mondo, inviati dagli È difficile comprendere perché la emiri arabi e dall’imperatore scelta sia caduta proprio su Era il centro politico e Aquisgrana. La località aveva una bizantino, dal papa di Roma e dal simbolico dell’impero carolingio. sua importanza strategica, ma non califfo di Baghdad, con i loro doni Ai tempi di Carlo Magno si e i loro corteggi. Qui affluivano i era certo l’unica dell’impero ad chiamava Aquisgranum perché in tributi dei sudditi e i bottini frutto avere questo requisito. epoca romana vi scaturivano delle Probabilmente Carlo la preferì ad di tante spedizioni vittoriose. acque termali (aquae) dedicate a L’unica struttura rimasta praticaaltre semplicemente perché il Grannum, la divinità celtica delle luogo lo affascinava e la presenza mente intatta è la Cappella Palatina, acque. I francesi lo chiamano malgrado le aggiunte successive e delle terme lo rendeva invece Aix-la-Chapelle, facendo alcune discutibili decorazioni interparticolarmente gradevole. riferimento alla sacralità cristiana ne effettuate nell’Ottocento. Questo Non si trattava di un palazzo nel del luogo, dove nel V secolo fu edificio aveva tre funzioni. La prisenso proprio del termine, ma di eretto un santuario intitolato alla un complesso di edifici, che fu co- ma era quella di consentire lo svolSanta Vergine e dove era custodito struito tra il 786 e l’804 circa. I gimento delle funzioni religiose. La il tesoro di reliquie raccolto da principali erano due, l’Aula, dove seconda era quella di riservare al Carlo Magno e arricchito in il sovrano esercitava le sue funzio- sovrano una posizione elevata duseguito da altri imperatori. Oggi rante i riti liturgici, in modo da enfani ufficiali, e la Cappella PalatiAquisgrana (in tedesco Aachen) è na, che legittimava il suo potere tizzare il distacco insuperabile tra la una città della Germania presso il dal punto di vista religioso. sua persona, i nobili, i normali sudconfine belga e olandese. diti. La terza era quella di custodire Dell’Aula restano soltanto pochi Mentre i sovrani merovingi erano le reliquie che Carlo aveva raccolto resti, ma il suo ricordo è rimasto soliti spostarsi da una residenza in tutte le regioni del suo dominio. negli scrittori dell’epoca, che all’altra, e la loro era di conseguen- celebrano l’immensa sala di La più preziosa di queste reliquie za una corte itinerante, che si era probabilmente la cosiddetta ricevimento con il trono, gli muoveva insieme con il re, Carlo cappa di san Martino. Martino appartamenti della famiglia reale, Magno decise di far costruire un palazzo dove risiedere stabilmente. Questa decisione rispondeva a due Appartamenti imperiali esigenze complementari, una simbolica, l’altra politica. Non appena Aula Regia Portico Portico cominciò a concepire l’idea di far rivivere lo splendore dell’impero romano, e soprattutto dopo la sua incoronazione imperiale, il sovrano comprese che questo nuovo messaggio doveva necessariamente accompagnarsi alla creazione di un vero e proprio palazzo imperiale, Ricostruzione del palazzo di Aquisgrana al tempo di Carlo Magno [disegno di D. Spedaliere] Il palazzo di Aquisgrana fu il più grande complesso in pietra edificato a nord delle Alpi dopo la caduta dell’impero romano. 652 Ingresso monumentale Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO di Tours, vissuto nel IV secolo, era stato una figura di primo piano nella diffusione del cristianesimo in Gallia e fu il santo più popolare della Francia medievale. Tra le leggende fiorite intorno alla sua figura, la più famosa raccontava come egli, quando era ancora un cavaliere dell’esercito romano, vedendo un povero tremare dal freddo, gli avesse donato metà del proprio mantello. Poiché in latino tardo mantello si diceva cappa, l’edificio religioso di Aquisgrana dove era custodita la cappa di san Martino prese il nome di «cappella». Di qui l’uso, oggi comune, di indicare con questo nome una piccola costruzione a una sola navata destinata al culto, generalmente annessa o incorporata in un altro edificio sacro o profano. Con la sua struttura solida e slanciata, con il mirabile equilibrio delle sue parti, con i marmi di ogni colore prelevati da antichi monumenti romani e ricomposti in una concezione originale, la Cappella Palatina di Aquisgrana ci appare come uno dei più grandi capolavori dell’architettura medievale. Cappella Palatina Atrio Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 653 L’ORDINAMENTO CAROLINGIO IMPERATORE ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA • conte palatino (giustizia) • camerario (tesoro regio) • siniscalco (fisco regio) • arcicappellano (cancelleria) ORGANIZZAZIONE TERRITORIALE • contee • marche • ducati FUNZIONI DI CONTROLLO missi dominici (un laico, un ecclesiastico) direttamente da vescovi e abati, che in tal modo si inserivano a pieno titolo nella compagine politico-amministrativa dell’impero. Il ruolo dell’aristocrazia Conti e marchesi non ricevevano stipendio: in compenso dei loro servizi ottenevano terre e il diritto di percepire un terzo del reddito prodotto nella regione. L’appoggio dell’aristocrazia franca a Carlo Magno era dunque cementato da uno stretto rapporto tra le conquiste del sovrano e i vantaggi economici e politici che ne traevano i suoi sostenitori. L’impero carolingio non aveva una struttura amministrativa come quella che era stata dell’impero romano e che caratterizzava ora l’impero bizantino o i califfati arabi. I conti, che in tutto l’impero non erano più di 250, avevano a disposizione solo pochi aiutanti; la stessa organizzazione centrale era alquanto precaria: basti dire che della segreteria di corte si occupavano unicamente i chierici che celebravano le funzioni nella cappella reale. GUIDAALLOSTUDIO 1. L’imperatore risiedeva stabilmente ad Aquisgrana? 2. Cosa erano i capitolari? 3. Cosa distingueva contee, marche e ducati? Cosa erano le terre immuni? 6 Il «rinascimento» carolingio Iniziativa culturale Accanto alla sua azione in campo militare e amministrativo, Carlo Magno attuò anche una ben precisa iniziativa in campo culturale. Egli comprese infatti che la forza dell’impero dipendeva anche dal livello culturale dei suoi funzionari. Il problema fondamentale era l’analfabetismo, che affliggeva anche i ceti alti. I monasteri erano gli unici luoghi dove ferveva la produzione dei libri, grazie all’impiego di monaci specializzati nella difficile arte della ricopiatura e della miniatura. Anche se tra i loro ranghi non mancavano certo gli analfabeti e i semi-analfabeti, i monaci e in genere gli uomini di Chiesa erano rimasti, dopo la tempesta delle invasioni barbariche, l’unica categoria in cui la capacità di leggere e di scrivere fosse abbastanza diffusa. Era inevitabile che Carlo guardasse a loro. Insistente fu il suo invito a chierici e monaci, affinché acquisissero l’uso di un latino più chiaro e corretto, che consentisse loro di esercitare cariche amministrative a corte o di svolgere le funzioni di missi dominici e, soprattutto, di coltivare una esatta lettura e interpretazione dei testi sacri. Come funzionari di un impero che aveva un’estensione considerevole e controllava aree con tradizioni linguistiche e politiche assai differenti, gli ecclesiastici dovevano garantire la chiarezza e l’esattezza della comunicazione scritta di notizie e disposizioni; come esponenti della Chiesa, essi dovevano assicurare un’ineccepibile intelligenza e trasmissione della Parola di Dio. La scrittura L’impegno profuso da Carlo Magno per risolvere i problemi dell’organizzazione amministrativa e della vita religiosa sortì conseguenze di notevolissimo rilievo. L’esigenza di chiarezza nell’espressione scritta portò alla trasformazione delle varie 31 L’IMPERO CAROLINGIO 653 Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 654 SCIENZA TECNICA calce e fatta asciugare tesa entro un telaio. Bisognava poi raschiarla per eliminare le scorie e levigarla con la pietra pomice. Veniva infine tagliata per farne fogli uguali. Si passava poi alla seconda fase: le Libri e monasteri pagine venivano cucite in fascicoli di quattro fogli (i cosiddetti Dopo la caduta dell’impero romano quaternioni, da cui la parola «quaderno») che, ripiegati, i libri divennero rari in Occidente. formavano sedici pagine. Venivano Erano molto più numerosi gli inoltre rigate per facilitare uomini che sapevano maneggiare l’allineamento della scrittura. una spada che quelli in grado di La terza fase era quella più leggere e scrivere. Fu allora che andò perduta la maggior parte della impegnativa: si svolgeva nello scriptorium e consisteva nella letteratura antica: opere di storici, scrittura e nell’ornato. La scrittura di poeti, di filosofi e di scienziati scomparvero nel nulla perché, non avveniva ricopiando o sotto dettatura. Questa fase poteva durare avendo lettori, non furono più mesi o anni, a seconda ricopiate. In questo gigantesco naufragio la scrittura sopravvisse in dell’ampiezza del testo e della qualità formale della scrittura e alcune piccole isole di cultura, i dell’ornato. monasteri. Per comprendere quanto fosse Ogni volta che veniva fondato un faticosa questa operazione monastero ci si preoccupava di dobbiamo tener presenti alcuni fornirlo dei libri indispensabili: aspetti. Lo strumento per scrivere, infatti la Regola benedettina il calamo, era una semplice includeva la lettura tra gli obblighi quotidiani dei monaci. Ai monasteri cannuccia di legno o una penna d’oca: maneggiarlo non era facile più piccoli bastavano, oltre alle e doveva essere rifilato in Sacre Scritture, pochi altri libri di continuazione. L’inchiostro carattere religioso; le abbazie più doveva essere adoperato ricche cercavano invece di attentamente per evitare macchie. procurarsi il maggior numero Per evidenziare le iniziali e i possibile di opere dei Padri della titoli, l’inchiostro nero veniva Chiesa, di Vite dei santi, di storie alternato a quello rosso, ricavato ecclesiastiche, di Atti dei concili. da un minerale, il minio. Monasteri come Bobbio e Montecassino furono all’avanguardia Successivamente, il verbo «miniare» passò a indicare tutte anche nella ricopiatura dei testi le figure colorate, che vennero classici, e fu solo grazie alla loro dette miniature. Prima iniziativa che alcuni autori antichi dell’invenzione della stampa, sopravvissero al disastro. Costituire l’uniformità grafica di un libro era una bella biblioteca monastica affidata alla calligrafia del richiedeva uno sforzo enorme e copista, e questo accresceva senza fine: i libri venivano cercati enormemente i tempi. ovunque, chiesti in prestito e La scrittura era dunque uno dei ricopiati nel monastero stesso. lavori più impegnativi per i La produzione libraria avveniva monaci. Un copista dell’VIII secolo tutta dentro il monastero e comprendeva varie fasi. Bisognava volle ricordarlo con queste parole: «Carissimo lettore, anzitutto preparare la pergamena, prendi il libro soltanto dopo ricavata dalle pelli dei vitelli, delle esserti lavato bene le mani, gira pecore o dei capretti. Per evitare i fogli con delicatezza, tieni che marcisse, la pelle veniva immersa in un bagno d’acqua e di lontano il dito dalla scrittura, 654 Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO per non sciuparla. Chi non sa scrivere crede che non occorra nessuna fatica. Sapesse quanto è penosa l’arte dello scrivere: affatica gli occhi, spezza la schiena; tutte le membra fanno male! Tre dita scrivono, ma è l’intero corpo che soffre». Nella quarta e ultima fase i fascicoli venivano riuniti e rilegati con una coperta. La coperta era fatta solitamente con due tavole di legno rivestite poi con del cuoio. Quasi tutti i libri usciti da uno scriptorium finivano nella biblioteca del monastero e solo pochi venivano consegnati ad altri monasteri o a singoli individui che li avevano richiesti. Ma la biblioteca era solo un luogo di conservazione dei libri, perché la lettura poteva avvenire ovunque nel monastero. I monaci leggevano soprattutto le Sacre Scritture e alcuni testi di argomento religioso. Il resto dei libri, che era la maggior parte, non aveva lettori. Essi venivano ricopiati perché rappresentavano un bene importante, che arricchiva il patrimonio del monastero e ne accresceva il prestigio. scriptorium Dal latino scribere, «scrivere». Nei monasteri era il locale destinato alla scrittura e alla miniatura dei codici. L’accesso allo scriptorium, solitamente posto accanto o nella biblioteca, era permesso soltanto ai copisti, al bibliotecario e ai superiori. In esso regnava il silenzio. Un codice miniato [Biblioteca Marciana, Venezia] Il codice, di cui è qui illustrata una pagina, contiene quattro dei nove libri retorici attribuiti a Cicerone, che ci sono pervenuti grazie al lavoro dei copisti medievali. La miniatura in alto rappresenta un oratore, probabilmente Cicerone, in piedi sul podio, circondato da ventisei giovani che ascoltano e discutono fra loro. Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 655 La minuscola carolina, IX sec. Nel IX secolo la minuscola carolina si impose come la scrittura prevalente in Europa, perché offriva un ottimo mezzo di comunicazione per facilità di esecuzione scrittoria e per leggibilità (nette divisioni tra parole, pochi legamenti tra le lettere della medesima parola, ecc.). La pagina del codice, di cui è qui riprodotto un particolare, riporta il Salmo 91 dell’Antico Testamento. grafie in uso nell’impero e alla loro riduzione a un’unica tipologia, la minuscola carolina che, salvo una pausa tra XII e XV secolo (dovuta all’avvento della scrittura gotica elaborata negli ambienti universitari), ha predominato nel mondo occidentale fino ai nostri giorni. In campo religioso, l’esigenza di una corretta trasmissione del repertorio di canti gregoriani, fino a quel momento tramandati oralmente, portò all’elaborazione di un’efficace scrittura musicale. La scuola di corte Inoltre, per assicurare una appropriata formazione culturale sia ai chierici sia ai laici, nel 781 il monaco Alcuino, autorevole consigliere di Carlo Magno, fondò presso la corte di Aquisgrana una scuola, la Schola palatina, il cui esempio fu seguito presso numerose chiese, cattedrali e monasteri. La Schola palatina rappresentò un qualificato centro d’insegnamento delle sette arti liberali (il trivio: grammatica, retorica, dialettica; il quadrivio: aritmetica, geometria, musica, astronomia) e un polo di attrazione per uomini di cultura provenienti da tutto l’Occidente franco: uno fra tutti, il già più volte ricordato Paolo Diacono, di nobile famiglia longobarda friulana, autore della Storia dei Longobardi e dotto revisore di codici manoscritti. Un rinascimento? Il risveglio dell’interesse per gli studi e il desiderio di recupero del latino sollecitarono anche un più aperto rapporto della ristretta cerchia intellettuale con il patrimonio culturale classico. È forse esagerato parlare di «rinascimento carolingio», come è stato fatto forzando alcuni elementi di somiglianza con il Rinascimento italiano di qualche secolo dopo, ma certamente nel IX secolo si assistette a una cauta ripresa dell’esercizio dello spirito critico anche nella lettura dei testi sacri e a un più largo interesse verso i tesori della letteratura latina che, anche grazie all’introduzione della minuscola carolina, vennero più frequentemente e con maggior cura riprodotti dai copisti. GUIDAALLOSTUDIO 1. Perché Carlo Magno era interessato all’uso della lingua latina nell’impero? 2. Che cos’era la minuscola carolina? 3. Come erano suddivise le arti liberali? 7 Il declino dell’impero carolingio La successione imperiale Carlo Magno, nel pieno rispetto della tradizione franca, decise, nell’806, di dividere il territorio dell’impero fra i suoi tre figli, Carlo, Ludovico e Pipino. La scomparsa precoce di due dei tre figli, fece sì che alla sua morte, avvenuta nell’814, Ludovico il Pio (814-840) rimanesse l’unico erede. Uno dei primi atti del nuovo imperatore fu la ricerca di una soluzione al problema della successione che, in qualche modo, preservasse l’unità della compagine imperiale. Fu così che nell’817 Ludovico emanò una disposizione – la cosiddetta Ordinatio imperii (Ordinamento dell’impero) – con la quale proclamò unico successore il primogenito Lotario; agli altri due figli, Pipino e Ludovico il Germanico, egli attribuì invece rispettivamente i regni di Aquitania e di Baviera. Si trattava di una delibera innovativa, che andava contro la 31 L’IMPERO CAROLINGIO 655 Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 656 tradizione franca. Si può quindi facilmente immaginare il risentimento dei due fratelli che si videro posposti al primogenito. Quando poi Ludovico il Pio inserì tra gli eredi Carlo (il futuro Carlo il Calvo), un figlio avuto da un’altra moglie, si scatenò un conflitto aperto. Spartizione L’impero si ritrovò lacerato dalle lotte tra gli aspiranti al trono: fratelli contro fratelli e figli contro il padre. Nella corsa al potere, il patrimonio della dinastia carolingia fu letteralmente dissipato per comprare la fedeltà e l’appoggio dei feudatari. Il prestigio della corona imperiale ne uscì gravemente compromesso. Alla morte di Ludovico il Pio e di Pipino, i tre contendenti rimasti si affrontarono in battaglia: nell’841, presso Fontenoy, Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico sconfissero uniti il fratello Lotario. L’anno dopo i due si giurarono reciproca fedeltà a Strasburgo, alla presenza dei propri eserciti. Nell’843 i tre fratelli giunsero a un’intesa che fu formalizzata con il trattato di Verdun: a Lotario fu assegnato il regno d’Italia, con l’aggiunta del territorio compreso tra i fiumi Reno e Loira (che dal nome del sovrano prese successivamente il nome di Lotaringia); Ludovico il Germanico ebbe il regno di Germania; Carlo il Calvo il regno di Francia. In ossequio alla volontà paterna, a Lotario fu concesso il diritto di fregiarsi del titolo di imperatore: ma si trattava ormai soltanto di un attributo onorifico. L’impero, diviso in tre regni indipendenti, non esisteva più. I tre regni nati dall’accordo di Verdun non erano soltanto il frutto di una rigida spartizione territoriale. La loro identità coincideva infatti con quella delle tre principali «na- ON LINE DOCUMENTI Nitardo Due lingue per due eserciti Ludovico il Pio, IX sec. [Österreichische Nationalbibliothek, Vienna] In questa miniatura tratta dalle Lodi della S. Croce (840 ca.) di Rabano Mauro, il successore di Carlo Magno viene raffigurato come difensore della Croce. L’IMPERO CAROLINGIO DOPO LA SPARTIZIONE DI VERDUN (843) MARE DEL NORD no a Elb Re Verdun Parigi REGNO DI GERMANIA Strasburgo Danu bio LOT ARI Rodan o NG IA REGNO DI FRANCIA REGNO D’ITALIA Pavia Roma MAR ME Regno di Carlo il Calvo Regno di Lotario I Regno di Ludovico il Germanico Patrimonio di S. Pietro 656 DI TE DUCATO DI SPOLETO RR AN EO Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 657 zionalità» dell’Europa del tempo: l’italiana, la francese, la tedesca. Una realtà nuova, che preannunciava gli sviluppi futuri della storia europea. La fine della dinastia carolingia Nell’875 l’imperatore Ludovico II, succeduto a Lotario, moriva senza lasciare eredi. Il regno d’Italia e il titolo di imperatore passavano quindi allo zio Carlo il Calvo. Intanto il processo di disgregazione politica e territoriale dell’impero carolingio proseguiva. A nulla valse l’effimera riunificazione dei regni d’Italia, Francia e Germania avvenuta, nell’884, sotto Carlo il Grosso (881-887). Questi infatti, dimostratosi incapace di contrastare le incursioni normanne [cfr. 32.2], fu costretto nell’887 ad abdicare. Da questo momento in poi i vari territori dell’impero carolingio conobbero destini politici e istituzionali differenti. Il regno di Germania, con relativo titolo imperiale, fu affidato ad Arnolfo di Carinzia; il regno di Francia andò a Oddone di Angers; il regno d’Italia fu attribuito da un’assemblea nobiliare a Berengario I, marchese del Friuli. L’IMPERO CAROLINGIO 1 Le origini Nel 751, Pipino il Breve si fa 1. Che cosa stabiliva la Ordinatio imperii dell’817? 2. Come fu diviso l’impero dal trattato di Verdun dell’843? 3. Berengario I, re d’Italia, era anche imperatore? SINTESI consacrare re dal papa dando origine alla nuova dinastia del regno franco carolingia e contraendo un debito di riconoscenza con il I Franchi, popolazione germanica divisa in tribù, nel V papa. I Franchi intervengono dunque al fianco del papato secolo si riuniscono sotto contro i Longobardi, dal Clodoveo, fondatore della momento che i Franchi dinastia dei Merovingi, e appaiono gli alleati ideali per giungono a dominare la Gallia realizzare l’autonomia politica e la valle del Reno. Sotto da Bisanzio. Dopo la sconfitta Clodoveo, della dinastia dei Merovingi, il regno dei Franchi dei Longobardi da parte di Pipino il Breve, il loro re, assume un ruolo di potenza territoriale dominante. Nel 496 Desiderio, cerca di avvicinarsi ai Franchi facendo sposare a Clodoveo si converte al Carlo, figlio di Pipino, sua cristianesimo, stabilendo stretti rapporti con l’aristocrazia gallo- figlia Ermengarda. romana. Alla morte di Clodoveo Successivamente, però, Carlo la il regno, diviso in quattro parti, ripudia, scende in Italia e pone attraversa un periodo di crisi di fine al dominio longobardo. cui approfittano i Pipinidi, L’Italia risulta divisa in quattro «maestri di palazzo» che si zone d’influenza: franca, sostituiscono ai Merovingi alla bizantina, il Patrimonio di San guida del regno. Pipino II Pietro, i ducati longobardi. riunifica il regno franco; Carlo Martello ne consolida il 3 In nome di Cristo: le prestigio con la vittoria di Poitiers. conquiste di Carlo Magno 2 La dinastia carolingia e il crollo del regno longobardo GUIDAALLOSTUDIO la Baviera e sconfigge gli Àvari. Tale espansionismo non è dovuto a una strategia premeditata, bensì è la conseguenza dei ripetuti attacchi dall’esterno e del desiderio di proteggere e propagare il cristianesimo. La guerra santa contro gli infedeli è il motivo ispiratore dell’espansionismo carolingio: la conversione, ottenuta anche con la violenza, è ritenuta una missione fondamentale. Carlo Magno si comporta come un servitore della Chiesa, preservando il difficile equilibrio tra potere spirituale e temporale. preoccupazione in Carlo Magno: infatti essa nega l’indipendenza dell’imperatore e acuisce il contrasto con i Bizantini, che sfocia in una guerra. Nonostante le cautele di Carlo Magno, il vincolo creatosi tra papato e impero sarà determinante negli sviluppi successivi della politica europea. 5 L’ordinamento dell’impero Il sovrano e i dignitari risiedono nella corte, che ha sede ad Aquisgrana, ma in realtà può spostarsi a seconda delle esigenze militari e politiche. Nella corte si riuniscono i 4 Il Sacro romano impero grandi dell’impero per emanare i capitolari, miranti a unificare Carlo Magno, il giorno di dal punto di vista legislativo Natale dell’800, viene l’impero (che rimane tuttavia incoronato da papa Leone III una realtà multietnica). «imperatore dei Romani», un L’amministrazione centrale atto che segna la nascita del dell’impero è affidata a due Sacro romano impero. In questo funzionari: il conte palatino e modo il pontefice riafferma Il regno di Carlo Magno segna l’arcicappellano. Il territorio solennemente la propria una grande espansione dei dell’impero è diviso in autorità e taglia i ponti con le Franchi: dapprima nella circoscrizioni, contee, marche e pretese bizantine sulla Chiesa di ducati, affidati a conti, marchesi Germania del Nord contro i Sassoni, poi contro i musulmani Roma. L’incoronazione e duchi, il cui operato è controllato dai missi dominici, di Spagna. Inoltre Carlo annette provoca, tuttavia, una certa 31 L’IMPERO CAROLINGIO 657 Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 658 funzionari dipendenti direttamente dall’imperatore. Carlo favorisce anche l’immunità di alcune terre, proprietà soprattutto di enti ecclesiastici, che non vengono amministrate da funzionari pubblici ma da vescovi e abati. Conti e marchesi ricevono, per i loro servizi, terre e privilegi. 6 Il «rinascimento» carolingio Carlo Magno promuove anche la rinascita culturale: in particolare, poiché i monasteri sono gli unici luoghi in cui la cultura viene ancora trasmessa, 658 sollecita chierici e monaci all’uso di un latino più corretto così che essi possano adempiere meglio ai loro compiti religiosi e, nel contempo, essere impiegati quali funzionari imperiali. L’esigenza di maggior chiarezza nella scrittura porta all’introduzione della minuscola carolina, mentre la necessità di una migliore formazione culturale è all’origine della fondazione della Schola palatina e di altri centri di insegnamento delle sette arti liberali. Il risveglio dell’interesse per gli studi e la rinnovata attenzione per il recupero del patrimonio Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO culturale classico ha portato molti studiosi a parlare di «rinascimento» carolingio. figli. Infine, l’accordo di Verdun (843) sancisce la spartizione dell’impero tra i tre figli superstiti: a Lotario viene assegnato il regno d’Italia, a 7 Il declino Ludovico il Germanico il regno dell’impero carolingio di Germania, a Carlo il Calvo il regno di Francia. Lotario viene L’organizzazione dell’impero proclamato imperatore come mostra ben presto i suoi limiti stabilito dal padre, ma si tratta già con il successore di Carlo solo di un titolo onorifico: Magno, Ludovico il Pio, il quale, non volendo suddividere l’impero viene infatti diviso in l’impero tra i suoi figli, secondo tre regni di pari rilevanza, che corrispondono alle tre principali la tradizione franca, con «nazionalità» dell’Europa del l’Ordinatio imperii designa tempo. I regni ritrovano come suo unico erede il primogenito Lotario. Ciò causa un’effimera riunificazione sotto una lunga lotta che oppone l’un Carlo il Grosso, costretto l’altro Ludovico e i suoi quattro tuttavia ad abdicare nell’887. Giardina2_P6_cap32_32 16/03/11 12.48 Pagina 665 IL SISTEMA FEUDALE 1 Le origini Rapporti di vassallaggio Carlo Magno cercò di dare al suo impero un’organizzazione efficiente, per farne una compagine duratura e non un’esperienza effimera. In questo impegno – che significava in primo luogo centralizzazione e controllo – egli dovette tuttavia confrontarsi con le antiche tradizioni del suo popolo: i nobili franchi, dotati di un vasto seguito personale, si sentivano più come dei compagni d’arme del re che come suoi subordinati. Fieri della propria indipendenza, riconoscevano l’autorità del sovrano, ma entro limiti ben precisi. Per evitare che l’irrequietezza della nobiltà esplodesse in rivolte e in conflitti, Carlo Magno fece a sua volta ricorso alla tradizione, dando nuovo vigore all’antica consuetudine franca del vassaticum o vassallaggio. Si trattava del rapporto reciproco e personaL’omaggio del vassallo, XIII sec. L’arte medievale ha lasciato alcune raffigurazioni di queste cerimonie, che avevano un’importanza fondamentale. Come si vede in una miniatura del XIII secolo, era necessario che il rito del giuramento si svolgesse in pubblico, cioè in presenza di persone in grado di testimoniare gli obblighi di subordinazione e di protezione reciproca che venivano fondati con quella cerimonia. 32 IL SISTEMA FEUDALE 665 Giardina2_P6_cap32_32 16/03/11 12.48 Pagina 666 feudo Feudo deriva dal termine di origine germanica feohu, che significava «bene» o «bestiame». In seguito la parola passò a indicare un bene qualsiasi, e quindi la terra concessa dal signore al vassallo. le tra il senior, signore, e i suoi vassi, «vassalli» (dal celtico gwassalw, «servitore»). In cambio di un feudo o beneficio, solitamente un possedimento terriero, il vassallo assicurava al signore il suo sostegno militare. Carlo Magno fondò su questo rapporto i vincoli tra la sua persona e i potenti del regno: conti, duchi, marchesi e persino gli stessi funzionari imperiali ricevettero terre in beneficio, e si vincolarono di conseguenza al sovrano in un legame di fedeltà personale. La diffusione di questo sistema determinò la nascita di una nuova organizzazione politica e sociale, che giunse a maturazione intorno all’anno Mille, quando la vediamo diffusa, sia pure con caratteristiche diverse, in buona parte del continente. Gli storici la chiamano sistema vassallatico-beneficiario o feudale. In origine, il feudo era revocabile: alla morte del vassallo, o per altri gravi motivi, il signore aveva il diritto di recuperare il beneficio e di assegnarlo ad altri. Si trattava di un principio fondamentale, che Carlo Magno e i suoi successori cercarono di difendere contro le pretese dei feudatari. Il potere del signore sul vassallo si basava proprio su di esso: infatti, un vassallo che non avesse timore di perdere il beneficio o che i suoi figli ne fossero privati, tendeva inevitabilmente ad acquisire pericolosi margini di autonomia e a svincolarsi dal rapporto con il signore. Giuramento e investitura Il rapporto di vassallaggio non era un semplice contratto, ma un legame di ordine morale, sancito da un rito intriso di elementi religiosi. Il futuro vassallo, in ginocchio, metteva le mani congiunte in quelle del signore, per dichiarare la sua volontà di diventare uomo di un altro uomo (era questo, per l’appunto, l’atto di omaggio). Il signore faceva quindi rialzare il vassallo, che prestava giuramento di fedeltà posando la mano destra su un oggetto sacro e recitava un giuramento. Al giuramento faceva seguito l’investitura: il signore consegnava al vassallo un simbolo del feudo da lui concesso: per esempio uno scettro, un’insegna, un bastone, una zolla erbosa, un guanto, un anello. Il vincolo così consacrato non poteva essere violato: sul vassallo che fosse venuto meno agli obblighi assunti si riversava la riprovazione collettiva, e lo si bollava con il marchio ignominioso di «fellone». Ugualmente riprovevole era un signore che non rispettava gli impegni presi nei confronti del vassallo. GUIDAALLOSTUDIO 1. Perché il vassallaggio era un patto reciproco? 2. Perché il sovrano preferiva che il feudo fosse revocabile? 3. Descrivi la cerimonia dell’investitura. 4. Ogni vassallo dipendeva da un unico signore? Una rete intricata I primi vassalli di Carlo Magno, divenuti potenti, ebbero a loro volta altri vassalli e così di seguito: venne dunque a costituirsi una intricata rete di relazioni personali. Una rete, quindi, diversa dall’immagine tradizionale del sistema feudale come una piramide compatta, con ogni pietra al suo posto. I legami di vassallaggio, come abbiamo visto, erano forti, e solitamente rispettati, ma non rappresentavano una rete di relazioni precise e stabili. Le entità territoriali su cui i signori esercitavano il loro potere erano spesso cellule dai contorni sfuggenti e mutevoli, disposte l’una dentro l’altra in un groviglio intricato di relazioni non di rado vaghe e mal definite. C’era il caso di vassalli che dipendevano da più signori (fino a diverse decine), oppure di feudi inglobati in un territorio più vasto senza che tra i rispettivi signori ci fossero rapporti di vassallaggio. C’erano inoltre signori che possedevano terre e servi in zone il cui controllo militare era assicurato da un altro signore, e così via. Il risultato era un sistema molto più fluido di quanto saremmo portati a immaginare. 2 Le ultime invasioni Nuovi nemici Mentre l’impero carolingio si frantumava [cfr. 31.7], l’Europa cristiana doveva affrontare l’assalto di nuovi nemici esterni: tra la fine del IX e l’inizio del X secolo, Arabi, Vichinghi e Ungari seminarono ovunque il terrore facendo rivivere i drammatici momenti della caduta dell’impero romano. Abbiamo già parlato della conquista musulmana della Sicilia e della Spagna, e delle ripetute razzie che i Saraceni effettuavano nelle regioni costiere della nostra penisola [cfr. 30.6]. 666 Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO