Islam - Carlo Magno

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L’ITALIA
DEI LONGOBARDI
E DI GREGORIO MAGNO
1 La spartizione dell’Italia
Invasione dell’Italia Appena riconquistata dai Bizantini, nel 568 l’Italia fu invasa da
una nuova popolazione germanica di origine probabilmente scandinava: i Longobardi.
I Longobardi, in precedenza, si erano stanziati in Pannonia. Insieme con altri gruppi
germanici, guidati dal re Alboino traversarono in massa le Alpi orientali e costrinsero i
Bizantini alla difensiva. Divisi in bande agguerrite, i cui capi erano chiamati «duchi»,
essi avanzarono saccheggiando e distruggendo. Caddero nelle loro mani, una dopo l’altra, Aquileia, Treviso, Vicenza, Verona,
Brescia, Bergamo e, nel 569, Milano; per
L’ITALIA DIVISA TRA LONGOBARDI E BIZANTINI
BRENNERO
la cattura di Pavia – che diventerà capitale
Sabiona
del regno longobardo – occorsero invece
Bolzano
GRAN
Ceneda
S. BERNARDO
Cividale
altri tre anni; fu quindi la volta della ToTrento
Bergamo
Ivrea Milano
Treviso Aquileia
scana e dell’Umbria; altri gruppi si spinseVerona
Grado
Susa
Brescia
Pavia
Vicenza
ro verso sud e occuparono Benevento, che
Lodi
Mantova
Torino Asti Piacenza Po
divenne il centro principale dei territori
Reggio
Parma
Persiceta Comacchio
Genova
Modena
longobardi nel Meridione.
Ravenna
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Lucca
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Perugia
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Spoleto
Amelia
Tuscania
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Ragusa
Spalato
M
AR
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Tevere
Romània e Longobardia I Longobardi
non riuscirono a occupare tutta la penisola, né i Bizantini riuscirono a cacciare i
Longobardi oltre le Alpi: nel 603 le due
forze contrapposte giunsero quindi a un
accordo con il quale fu decretata la divisione politica dell’Italia. La parte bizantina, o Romània (che diede il nome all’attuale Romagna), si contrappose alla Longobardia. I Bizantini controllavano il Meridione, le isole e la Liguria. La capitale bizantina era Ravenna, governata da un
funzionario chiamato esarca (da cui il nome di Esarcato dato alla regione), investito di poteri amministrativi e militari. Bisanzio controllava anche la Pentapoli («le
cinque città»), che comprendeva cinque
città adriatiche (Ancona, Senigallia, Fano, Pesaro, Rimini) e cinque dell’entroterra (Gubbio, Jesi, Cagli, Fossombrone e
Savona
Varigotti
Albenga
RI
AT
IC
O
Roma
Siponto
Lucera
M
A
Gaeta
R
Napoli
T
SARDEGNA
Benevento
I
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Brindisi
Salerno
Taranto
R
E
Otranto
N
O
CALABRIA
Territori longobardi
Impero bizantino
Regno dei Franchi
Sede di un ducato longobardo
Sede di un ufficiale dipendente
dal re (gastaldo)
Altre città
Palermo
Reggio
SICILIA
Agrigento
29 L’ITALIA DEI LONGOBARDI E DI GREGORIO MAGNO
Siracusa
591
MAR
IONIO
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GUIDAALLOSTUDIO
1. Come era divisa l’Italia al
principio del VII secolo?
2. Sottolinea sul testo i caratteri
tipici della civiltà romana presenti
nell’Italia del VII secolo.
Urbino). In questi territori si mantennero inalterati alcuni elementi tipici della civiltà
romana: il sistema della terra incentrato sul latifondo [cfr. 26.5] e l’organizzazione del territorio imperniata sulle città.
I Longobardi dominavano invece il Nord Italia, la Toscana e i territori di Spoleto e
Benevento, che costituivano due ducati indipendenti.
2 Prime vicende del regno longobardo
anarchia
Letteralmente «senza governo». Indica
una situazione politica nella quale non
viene più riconosciuta l’autorità dello
Stato, sia per assenza di un valido
potere, sia per inefficienza
dell’esercizio del potere da parte dei
governanti.
Un cavaliere longobardo, VII sec.
[Historisches Museum, Berna]
I Longobardi attribuivano grande
importanza al cavallo e ne
facevano il simbolo del prestigio e
della posizione sociale
dell’individuo. Lo dimostra anche
la presenza del cavallo nelle arti
applicate, come in questa
raffigurazione di un cavaliere al
galoppo.
I Longobardi prima dell’invasione Sui Longobardi prima dell’arrivo in Italia sappiamo molto poco: erano un popolo senza scrittura e le nostre informazioni dipendono
quasi esclusivamente dai corredi trovati nelle tombe. L’impressione che si ricava da queste testimonianze è che la società longobarda fosse poco stratificata. I Longobardi erano
una popolazione guerriera, che si era temprata – nelle regioni danubiane – in decenni
di lotte per la sopravvivenza contro altre popolazioni barbare. L’esercizio delle armi, considerato l’unica attività veramente degna, era anche la principale risorsa economica: il
bottino, il saccheggio, il tributo imposto ai vinti rendevano marginali e ben poco considerate attività come l’agricoltura e il commercio. I Longobardi erano però grandi allevatori dell’animale prediletto dai guerrieri, il cavallo.
Caratteri della regalità longobarda Nelle dure e incessanti lotte che i Longobardi
avevano dovuto affrontare in Europa orientale, la loro monarchia si era andata caratterizzando in senso elettivo e la trasmissione del potere supremo avveniva più per considerazioni di merito che di discendenza. Al sovrano si richiedevano soprattutto il valore
militare e la capacità di trascinare il popolo guerriero di vittoria in vittoria. Questa caratteristica introdusse elementi di forte competitività in seno all’aristocrazia e fece della
regalità un’istituzione perennemente in bilico e sottoposta alla tensione di forze centrifughe. Non a caso gran parte della storia politica dei Longobardi è una catena di usurpazioni, tradimenti, assassinii, colpi di mano.
Come tutti i re longobardi, anche Alboino era un grande combattente. Prima dell’invasione dell’Italia egli aveva condotto due vittoriose campagne contro i Gèpidi [cfr.
28.7]. Aveva anche personalmente ucciso il loro re Cunimondo, facendo del suo teschio
una coppa da cui bevve. Quello che secondo la tradizione sarebbe stata una manifestazione di macabro scherno, va in realtà interpretato come una sorta di assunzione magica delle prerogative regali e della potenza vitale del defunto, secondo un’usanza che non
desta stupore in società guerriere come quella longobarda. Alboino aveva poi sposato la
figlia di Cunimondo, Rosmunda. Questo matrimonio gli fu fatale, perché Rosmunda
non tardò a vendicare la morte del padre: nel 572 la regina ordì infatti una congiura che
portò all’uccisione di Alboino.
Anarchia militare Alla morte del sovrano la debolezza della compagine longobarda e l’irrequietezza dell’aristocrazia si manifestarono in tutta la loro gravità. Infatti, a Clefi, il successore di Alboino, seguì un periodo di anarchia militare (574-584),
durante il quale non fu eletto alcun re. I duchi ne approfittarono per procedere
all’occupazione di nuovi territori. Essi tuttavia non seguivano un piano
di conquista preciso, ma si muovevano nelle direzioni in cui incontravano minori resistenze. Fu così che bande di Longobardi si spinsero
verso ovest, in Piemonte, e verso l’Italia centrale e meridionale, dove
fondarono due importanti insediamenti: Spoleto e Benevento. I territori conquistati furono organizzati in ducati, circoscrizioni incentrate attorno a città strategicamente importanti e aventi funzioni di controllo militare e amministrativo del territorio. Un ruolo di primo piano fu svolto dai ducati di Spoleto e Benevento, dotati di autonomia
di azione nei rapporti con l’impero bizantino e la Chiesa di Roma.
592
Parte 5 L’ETÀ TARDOANTICA
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Rafforzamento della monarchia Al periodo di anarchia pose fine l’elezione al trono
di Autari (584-590). Sotto di lui fu ricostituita l’autorità regia: i duchi, che godevano di
ampi margini di autonomia rispetto al potere centrale, furono convinti a cedere alla corona la metà dei beni fiscali di ciascun ducato; queste risorse andarono a costituire un
vasto patrimonio necessario all’esercizio del potere centrale. Per amministrare queste terre il re utilizzava emissari chiamati gastaldi. Al fine di rafforzare la propria posizione,
Autari cercò alleanze con altre popolazioni germaniche, e sposò la principessa bavara,
Teodolinda, che era di religione cattolica. Infatti i Longobardi erano ariani (e quindi,
secondo la prospettiva cattolica, «eretici»: cfr. 26.2), e per di più avevano mantenuto alcuni riti di carattere decisamente pagano; il fatto poi che la loro legge proibisse la conversione al cattolicesimo non favoriva certamente l’integrazione tra le due comunità.
Pur non introducendo alcuna novità sul piano religioso, Autari mostrò maggiore apertura nei confronti dei Romani e chiamò alcuni di loro a far parte del consiglio di corte.
In questo avvicinamento tra vincitori e vinti fu importante il ruolo svolto dalla cattolica
Teodolinda [cfr. 29.3].
Corona votiva, inizio VII sec.
[Tesoro del Duomo, Monza]
La cosiddetta «Corona di
Teodolinda» fu donata dalla
regina Teodolinda al Duomo di
Monza ed è una corona votiva,
esempio di oreficeria longobarda
databile al VII secolo. Si tratta di
un diadema in oro, gemme e
madreperla, di gusto
bizantineggiante; le gemme che
la rivestono, di forma circolare o
quadrata, sono racchiuse da sottili
lamine d’oro e disposte in cinque
ordini paralleli. Si notano anche
dei piccoli fori lungo i bordi
perlinati superiore ed inferiore,
evidentemente usati per esporre
la corona ed agganciarvi
decorazioni pendenti.
GUIDAALLOSTUDIO
1. Come eleggevano i Longobardi il
proprio re? 2. Dove si trovavano i
ducati di Spoleto e Benevento? 3.
Quale fu la politica intrapresa dal re
longobardo Autari? 4. Quale
religione professavano i Longobardi?
3 Lo stanziamento dei vincitori e i rapporti con i Romani
Crisi economica e demografica L’invasione longobarda trovò un paese in sfacelo,
indebolito dalla ventennale guerra gotica e prostrato da una terribile pestilenza, che nel
565 aveva spopolato città e campagne. Dunque l’impatto dell’invasione longobarda fece precipitare una situazione che già era molto critica. Le attività commerciali crollarono e si ridussero a scambi in natura su scala locale. Anche la circolazione e la coniazione di moneta si contrassero bruscamente. Il pesante calo demografico incise sulla
produzione agricola: la mancanza di manodopera e la contrazione del fabbisogno alimentare favorirono l’abbandono di molte aree coltivate, mentre si diffondeva ulteriormente nella penisola l’economia degli spazi aperti e incolti.
Un dominio duro A differenza dei Goti [cfr. 28.5], i Longobardi esercitarono in Italia
un dominio duro, restio al dialogo, alieno dai compromessi. Le strutture amministrative romane furono cancellate e i sudditi di origine romana collocati in una posizione d’inferiorità: essi non erano considerati uomini liberi e di conseguenza non avevano il diritto di portare le armi. L’aristocrazia romana, che sotto i Goti aveva mantenuto una posizione di rilievo, fu sistematicamente abbattuta: le sue terre furono confiscate e molti suoi rappresentanti furono messi a morte. Una sorte analoga toccò ai
membri dell’aristocrazia ecclesiastica. Alcune città, private dei loro vescovi, caddero
in rovina.
L’insediamento longobardo Nei territori occupati, i Longobardi costituivano una
percentuale minima della popolazione. In mancanza di stime precise, si può fissare un
ordine di grandezza, puramente orientativo, del 5%. Di conseguenza, il loro insediamento si svolse, tanto nelle città quanto nelle campagne, in piccoli gruppi familiari,
29 L’ITALIA DEI LONGOBARDI E DI GREGORIO MAGNO
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VITA SOCIALE
DIRITTO
soltanto distruttivo. Le tracce più
profonde e ampie della presenza
longobarda in Italia si trovano nella
nostra lingua.
Ancora oggi gli italiani usano
correntemente, senza saperlo,
alcune centinaia di parole
longobarde, che riguardano tutti i
campi: il diritto, l’amministrazione,
la vita materiale, l’esercito, la
toponomastica.
Alcune di esse furono
Lingua longobarda
e lingua italiana
L’invasione longobarda fu la più
violenta della storia d’Italia, ma
l’incontro tra gli invasori e gli
abitanti della penisola non fu
probabilmente introdotte già dagli
Ostrogoti, popolo germanico
come i Longobardi, ma gli
studiosi non sono sempre in
grado di determinare a quale
preciso influsso debba essere
ricondotta l’origine di ogni
singola parola germanica
presente nella nostra lingua.
Distinguiamo, per argomento, i
principali prestiti germanici
all’italiano.
Parti del corpo e
attività connesse
Anca, bernoccolo, ciuffo, grinfia, guancia, milza, nocca, schiena, stinco, zanna,
zazzera; (ar)rancare, grattare, guarire, leccare, recare, russare, strisciare.
Animali, caccia e
attività connesse
Bracco, briglia, falco, sperone, stambecco, staffa, trappola, zecca; ghermire,
graffiare, tubare.
Parti ed elementi
della casa
Balcone, palco, rampa, sala, spalto, stamberga, stucco.
Arredi, utensili e
attività connesse
Banco, bara, barella, benda, federa, gruccia, guanciale, panca, predella, scaffale,
spranga, stanga, tappo; arredare, bussare, spaccare, spruzzare, strappare.
Area di Santa Croce, Firenze
Dall’andamento ellittico delle
case, nella parte inferiore
dell’illustrazione, è riconoscibile
l’impianto dell’anfiteatro romano
di Firenze, che certamente era
ancora esistente al tempo
dell’occupazione longobarda: lo
testimonia tutt’oggi l’esistenza, in
quest’area della città, di Via del
Parlascio, dal termine bera-laikaz
(«arena degli orsi») con il quale i
Longobardi designavano gli
anfiteatri.
La donna, la cucina
Brodo, bucato, crusca, zuppa; (ar)rostire, guarnire, strofinare, stropicciare.
e le attività connesse
Abbigliamento
Banda, fazzoletto, nastro, roba, tasca.
La campagna
Greppia, greto, melma, mucchio, slitta, stecca, zolla; ammucchiare, attecchire,
guadagnare (originariamente nel senso di «pascolare»).
Armi, esercito e
attività connesse
Banda, elmo, fodero, gonfalone, guardia, guerra, schiera, spione, tregua;
albergare («ospitare»), guardare.
Diritto e vita sociale
Baruffa, bega, faida, fio, manigoldo, schiatta, sgherro, sguattero; (am)miccare,
(ar)raffare, arzigogolare, danzare, scherzare, stuzzicare, trescare.
Aggettivi di qualità
Bianco, bigio, bruno, fresco, gaio, guercio, lesto, ricco, sbilenco,
sghembo, smilzo, snello, zeppo.
Anche molti nomi di luogo
della nostra penisola
derivano da termini
longobardi e attestano la
presenza longobarda in una
determinata zona.
Da una parola longobarda significante
Toponimi italiani
pianura
boschetto recintato
fattoria
terreno padronale
confine
zona di guardia
bosco di montagna
collinetta
torrente
villaggio
arena degli orsi
Braida, Breda, Brera
Gaggio, Gaio
Sala (p. es. Sala Baganza a Parma e Sala Consilina a Salerno)
Sondrio, Sondalo
Staffolo, Staffoli
Guarda, Niguarda, Guastalla
Gualdo, Gaudo
Toppo, Toppolo, Toppole
Pescia, Pesciola, Pesciole, Peccioli
-amo, -imo, suffissi di molti toponimi (p. es. Aramo, Salissimo, Sculcamo)
Perilascio, Parlascio
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Parte 5 L’ETÀ TARDOANTICA
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aventi anche funzioni di unità militari, chiamati fare, chiusi e staccati rispetto alle popolazioni locali. I luoghi prescelti – nelle città, nelle fortezze, nei nodi stradali – rispondevano quasi sempre a esigenze
di controllo militare del territorio. Testimonianze odierne di questi insediamenti sono i caratteristici toponimi in «fara» diffusi nella penisola: per esempio Fara Gera d’Adda (Lombardia), Fara in Sabina (Lazio), Fara Novarese (Piemonte), Fara San Martino (Abruzzo), Fara
Vicentino (Veneto), ecc. Ma i toponimi di origine longobarda ancora oggi esistenti in Italia sono molto numerosi, così come numerose
sono le parole longobarde di uso corrente nella nostra lingua.
In mancanza di documenti letterari soddisfacenti, le fonti più utili per lo studio di questi insediamenti sono essenzialmente archeologiche, e tra queste le principali sono i sepolcreti. Lo studio delle
inumazioni indica l’esiguità numerica degli occupanti (in media 300
presenze circa per generazione in ogni sepolcreto, con punte maggiori, ma non di molto, nelle città), il carattere guerresco del loro
modo di vita (quasi tutti i maschi adulti risultano sepolti con le armi), il distacco delle popolazioni locali (che venivano sepolte in cimiteri separati).
L’avvicinamento tra Longobardi e Romani Alla morte di re Autari, avvenuta in circostanze misteriose – si disse che era stato avvelenato –, la regina Teodolinda sposò in seconde nozze Agilulfo (591-616), duca di Torino. Nel suo lungo regno, Agilulfo diede nuovo slancio alla politica di rafforzamento della monarchia, tanto all’esterno – dove riprese l’offensiva contro i territori bizantini –
quanto all’interno, dove cercò di comprimere l’autonomia dei duchi. Agilulfo tentò anche d’intrecciare rapporti più stretti con la popolazione di origine romana. In questa politica svolse un ruolo decisivo la religione e, in particolare, la grande personalità di papa
Gregorio Magno [cfr. 29.5]. Quest’ultimo si era reso conto che i Longobardi erano ormai una realtà radicata nella penisola e che di questa realtà la Chiesa doveva prendere
atto, se voleva alleviare le sofferenze delle popolazioni sottomesse e recuperare al cattolicesimo quegli invasori ancora per metà ariani e per metà pagani. Egli riconobbe
quindi l’entità politica longobarda intrattenendo rapporti con i duchi e con la corte, dove la regina Teodolinda, favorevole al cattolicesimo, svolgeva una preziosa opera di mediazione.
Una nuova atmosfera cominciava ora a caratterizzare i rapporti tra vincitori e vinti: la
convivenza, anche se densa di sospetti e inasprita da gravi squilibri sociali [cfr. 29.4], aveva
favorito a lungo andare la circolazione dei comportamenti, delle abitudini, delle usanze.
Di questa nuova atmosfera sono ancora una volta preziosa testimonianza i cimiteri, dove
ora troviamo Longobardi e Romani non più separati, ma sepolti gli uni accanto agli altri.
Progressi del cattolicesimo L’avvicinamento al cattolicesimo, tollerato da Agilulfo,
divenne aperto consenso presso i suoi successori, finché il re Ariperto (653-661) sconfessò apertamente l’arianesimo e aderì ufficialmente alla religione cattolica.
Rilegatura dei Vangeli
di Teodolinda
[Tesoro del Duomo, Monza]
L’Evangeliario fa parte dei doni
offerti a Teodolinda da Gregorio
Magno in occasione del
battesimo di suo figlio Adaloaldo.
GUIDAALLOSTUDIO
1. Come erano trattati i sudditi
romani dai Longobardi? 2. Quanti
erano i Longobardi in Italia? 3. Chi
era Agilulfo? 4. Quali rapporti
instaurò Gregorio Magno con i
Longobardi?
4 La società longobarda
L’Editto di Rotari Nel 643, su iniziativa del re Rotari (636-652), il popolo longobardo,
riunito in solenne assemblea a Pavia, approvò la sua prima raccolta di leggi scritte, nota
appunto come Editto di Rotari. Le consuetudini erano state fino a quel momento tramandate oralmente.
Come abbiamo visto, la maggiore difficoltà nello studio della società longobarda, nei
primi cento anni circa dopo la loro occupazione dell’Italia, dipende dall’assenza quasi
29 L’ITALIA DEI LONGOBARDI E DI GREGORIO MAGNO
ON LINE
DOCUMENTI
L’Editto di Rotari
595
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à Fibula a ponte, VI sec.
[da una tomba di Castel Trosino,
Museo dell’Alto Medioevo, Roma]
totale di fonti scritte contemporanee. L’Editto solleva questo velo e ci presenta la società
longobarda in un quadro sufficientemente articolato.
L’Editto fu scritto in latino, non perché nella sua elaborazione avessero avuto un ruolo decisivo individui di origine romana, ma perché il latino svolgeva la funzione di «linguaggio tecnico», tradizionalmente in uso per esprimere contenuti di carattere giuridico e istituzionale.
Distinzioni sociali Il sistema sociale appare fondato su una netta distinzione tra «liberi», gli arimanni, i guerrieri, e «non liberi», i servi, che provvedevano al lavoro dei
campi e alla pastorizia. Tra questi due livelli ve ne era uno intermedio, quello degli aldi, individui «semiliberi» che non possedevano né terre né armi e si ponevano sotto la
protezione di un padrone. Questa divisione tuttavia non costituiva una cesura insuperabile: un libero, infatti, poteva perdere la libertà in conseguenza di una colpa grave o
della rovina economica. Ma poteva anche accadere che un non libero particolarmente
meritevole ottenesse la libertà, anche se il passaggio di condizione richiedeva l’approvazione della comunità solennemente riunita.
à Fibula rotonda, VII sec.
[da una tomba di Castel Trosino,
Museo dell’Alto Medioevo, Roma]
Le testimonianze artistiche
relative al primo periodo delle
invasioni barbariche sono legate
essenzialmente a oggetti quali
decorazioni di abbigliamento e di
armi, o oggetti votivi, comunque
appartenenti al corredo personale
con cui il defunto veniva sepolto.
La loro decorazione unisce alla
tradizione dell’arte tardoromana il
gusto tipicamente barbarico per il
colore e per le rappresentazioni
zoomorfe.
596
Procedimenti giudiziari Il non libero non aveva un’autonoma capacità di agire in
campo giudiziario, e non aveva capacità di parola in sede legale. In suo nome poteva agire soltanto il libero da cui egli dipendeva. Solo i liberi potevano dunque usufruire pienamente della legge longobarda. L’accusato poteva discolparsi ricorrendo al giuramento solenne, sui Vangeli o sulle armi, eventualmente rafforzato dal giuramento di altri liberi che si facevano garanti. Tra i Longobardi il giuramento aveva un’importanza enorme, e chi lo avesse pronunciato falsamente si esponeva al discredito sociale e – si riteneva – a terribili punizioni da parte della divinità.
La distinzione tra liberi e non liberi determinava anche una diversificazione delle pene in base alla qualità delle persone. A tale proposito è esemplare il caso del guidrigildo, ossia della somma che i colpevoli di ferimento o di omicidio erano obbligati a versare alla vittima o ai suoi parenti, al fine di evitare la vendetta privata (faida). L’entità del
guidrigildo, infatti, variava non solo in base alla gravità del delitto, ma anche allo stato
sociale e giuridico dell’individuo.
Caratteri dell’economia L’Editto trasmette informazioni importanti anche riguardo
all’economia e all’organizzazione del lavoro. La società longobarda si basava sull’agricoltura, sulla proprietà privata (prerogativa esclusiva dei liberi) e su rapporti di produzione di tipo signorile. La ricchezza era costituita quasi esclusivamente dalla proprietà
di terra, di servi, di bestiame. Nell’Editto il lavoratore appare soprattutto in quanto contadino, e l’unica manodopera non connessa alla terra è costituita dai
cosiddetti maestri comacini (probabilmente dal nome della città di Como), che si spostavano da un luogo all’altro per restaurare o costruire
edifici. Il commercio vi è praticamente assente, anche se certamente non possiamo immaginare che fosse del tutto scomparso.
Di particolare importanza si rivelano anche le attività della caccia (che integrava in modo consistente il fabbisogno di carne) e
della raccolta (delle ghiande, del miele, dei frutti selvatici,
ecc.). Alcune norme dell’Editto, per esempio, regolano in modo minuzioso lo sfruttamento degli alveari nei boschi o si soffermano sul criterio per assegnare una preda colpita da più cacciatori. Tutto questo rimanda a un sistema economico molto
semplice, in cui la dipendenza dall’ambiente naturale era fortissima. Nell’Editto, infatti, la città fa la sua apparizione solo in riferimento a problemi di ordine pubblico, o in quanto luogo di residenza del re, ma non come luogo qualificato da una specificità economica (commercio, artigianato).
Parte 5 L’ETÀ TARDOANTICA
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Nuove esigenze sociali Circa un secolo dopo l’Editto di Rotari, il re Liutprando [cfr.
29.7] attribuì validità anche alla legge romana, ponendo così fine a quell’identificazione tra legge longobarda e piena capacità giuridica che caratterizzava l’Editto di Rotari.
Questa decisione, che nasceva da nuove esigenze sociali, ebbe enorme importanza per
i rapporti tra la popolazione di origine longobarda e quella di origine romana. La fine
dell’epoca eroica delle conquiste, inoltre, aveva modificato l’antico carattere tendenzialmente ugualitario della società longobarda e introdotto distinzioni di rango e di ricchezza. Liutprando trasse le conseguenze di questa evoluzione e distinse, tra gli arimanni, due categorie fondamentali: i «minimi», individui capaci di combattere ma che
non possedevano né terre né case, e i «primi», che comprendevano i nobili e i giudici.
La legislazione di Liutprando prendeva in considerazione anche la nuova situazione economica. Emergeva in modo netto il ruolo più attivo del commercio e dei ceti che
vi erano coinvolti, la diffusione della moneta, di guadagni non esclusivamente agricoli,
del prestito a interesse.
GUIDAALLOSTUDIO
1. Che cos’è l’Editto di Rotari?
Perché fu scritto in latino? 2. Chi
erano gli aldii? E gli arimanni?
3. Quale valore aveva il giuramento
per la legge longobarda? 4. Chi
erano i maestri comacini? 5. Quale
diritto era in vigore nell’Italia del VII
secolo?
potere temporale
5 L’età di Gregorio Magno
Nella storia del papato, la conquista longobarda dell’Italia segnò una svolta decisiva.
Il vescovo di Roma, infatti, si trovò improvvisamente privo di una concreta protezione politica e militare, in un territorio di frontiera tra l’Italia bizantina e l’Italia
longobarda. Per sopravvivere, era necessario trovare uno spazio politico autonomo:
la risposta che la Chiesa romana trovò a questa necessità gettò le basi del suo potere
temporale [cfr. 29.7].
Potere politico rivendicato dal papa su
un territorio o sulla persona
dell’imperatore, rispetto al quale si
proclamava superiore in autorità. Il
potere temporale del papa storicamente
ha avuto origine con le donazioni
territoriali longobarde e franche, e si è
consolidato nel corso delle lotte
medievali contro l’autorità imperiale,
prima, e signorile, poi.
Un politico intelligente Il maggior interprete di questa fase della storia del cristianesimo fu papa Gregorio Magno (590-604),
uno dei grandi fondatori della Chiesa medievale. Discendente da
una nobile famiglia romana, egli univa a una vastissima conoscenza del diritto e a uno scrupoloso rispetto per la legge, una duttilità che gli consentiva di destreggiarsi abilmente nelle situazioni
più difficili. Prima di essere nominato papa, Gregorio era stato ambasciatore pontificio presso la corte di Costantinopoli: qui aveva
potuto comprendere quanto fosse radicata, in Oriente, l’idea dell’autorità imperiale in quanto autorità suprema e incontrastata
(anche in materia di religione: cfr. 28.2), e quanto sarebbe stato
inutile, di conseguenza, il tentativo del papa di Roma di far valere in quella parte del mondo il proprio primato. Eletto al pontificato, egli concentrò quindi il suo impegno sulla Cristianità occidentale.
Nel VI secolo il papato era il maggior proprietario terriero dell’Europa occidentale. I suoi possedimenti, chiamati patrimoni, si
estendevano in tutta l’Italia, oltre che in Dalmazia, Gallia, Sardegna, Sicilia, Corsica, Africa. Li gestiva una fitta rete di amministratori diretta da Roma. Gregorio mostrò una cura particolare nell’amministrazione di queste immense proprietà, i cui proventi ave-
Gregorio Magno allo scrittoio e tre monaci scrivani, IX sec.
[Kunsthistorisches Museum, Vienna]
Come testimoniato da questa tavoletta in avorio, Gregorio Magno fu assai noto
in tutto il Medioevo per le numerose opere scritte nel corso della sua vita, cui
affiancò un’instancabile opera pastorale, che gli valse l’appellativo di consul Dei
(«console di Dio»).
29 L’ITALIA DEI LONGOBARDI E DI GREGORIO MAGNO
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ON LINE
DOCUMENTI
• Gregorio Magno Un’economia dal
volto umano
• Giovanni Diacono Il «granaio
comune» dei fedeli
ON LINE
DOCUMENTI
Beda Lo schiavo biondo e la
conversione degli Angli
vano una spiccata destinazione sociale. Oltre al mantenimento del papato, essi servivano infatti al mantenimento delle chiese povere, dei monasteri, al riscatto dei prigionieri, e all’approvvigionamento delle popolazioni locali, prima fra tutte quella di Roma,
la cui sopravvivenza dipendeva ora dall’organizzazione papale come un tempo da quella imperiale. Il popolo di Roma si riconosceva pienamente nel suo vescovo, che era ormai la massima autorità in città e nel territorio circostante.
Il prestigio e l’autorità di papa Gregorio si accrescevano anche perché il vescovo di
Roma rappresentava per l’Occidente l’unico punto di riferimento sicuro. Gregorio infatti stabilì con i vescovi occidentali rapporti diretti attraverso lo scambio di lettere, nelle quali venivano affrontati problemi relativi all’organizzazione delle diocesi, ai rapporti col potere politico, alla cura delle anime, ecc.
Per protesta contro il patriarca di Costantinopoli, che aveva assunto il titolo di «patriarca ecumenico» (vale a dire universale), Gregorio prese un titolo che resterà per secoli nella titolatura ufficiale del papato: «servo dei servi di Dio». Alla pomposa e ambiziosa espressione bizantina il vescovo di Roma contrapponeva un titolo di umiltà, che
traduceva in termini ufficiali una delle massime virtù cristiane.
VITA SOCIALE
DIRITTO
sua disciplina, dal suo raggio
d’azione. L’alta qualità morale di
alcuni monaci spinse spesso i fedeli
a sceglierli come vescovi, ma nel
complesso quella monastica rimase
Il mondo
sempre un’organizzazione alternativa
dei monaci
rispetto all’organizzazione
ecclesiastica.
Accanto all’eremitismo si sviluppò, Suscitava inoltre forti critiche
l’esibizionismo di molti monaci.
già nell’epoca di sant’Antonio,
Quasi tutto, nell’aspetto di questi
un’altra forma di monachesimo, il
individui, appariva come una
cenobitismo. A differenza degli
provocazione: il loro corpo ricoperto
eremiti [cfr. Gli eremiti, p. 520],
di stracci o di pelli, i capelli e la
che cercavano di raggiungere la
barba troppo lunghi, il loro
perfezione spirituale da soli, i
ostentato disgusto per la società
cenobiti conducevano una vita in
civile. Questi uomini «diversi»
comune, nel chiuso dei loro
apparivano appunto come dei
monasteri.
provocatori, se non come dei
Già nel IV secolo il cenobitismo,
sovversivi: le città li rifiutavano e
che per comodità chiameremo
non mancarono episodi cruenti. In
monachesimo, s’impiantò in
Occidente e nei secoli successivi vi Oriente, i monaci costituirono
si diffuse fino a diventare una delle talvolta bande agguerrite e pronte
più importanti istituzioni dell’Europa persino alla violenza pur di far
prevalere questa o quella posizione,
medievale.
per esempio durante una disputa
Il cammino del monachesimo fu
teologica. Non meno inquietante
inarrestabile, ma in un primo
momento incontrò molte resistenze. appariva il fatto che i loro gruppi
Dobbiamo considerare che la scelta erano costituiti da individui di tutte
radicale del monaco non esprimeva le condizioni sociali: schiavi,
braccianti, proprietari terrieri,
soltanto disprezzo per la vita
artigiani e persino ricchi signori.
mondana. Nel momento stesso in
Quello dei monaci sembrava
cui si ritirava, il monaco prendeva
le distanze anche dalla Chiesa, dalla davvero un mondo alla rovescia.
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Parte 5 L’ETÀ TARDOANTICA
Per dedicarsi totalmente al Signore,
i monaci non lavoravano e
sopravvivevano grazie alle
elemosine dei fedeli. Ma poiché
essi erano solitamente laici e non
chierici (diremmo oggi «preti»),
questo attirava su di loro l’accusa di
oziosità. La trasformazione dei
monasteri in luoghi produttivi (ora
et labora), che in Occidente è legata
all’iniziativa di san Benedetto, fu
anche una risposta concreta ed
efficace a queste critiche.
I monaci erano riluttanti a farsi
inquadrare nei ranghi della Chiesa e
quando dovevano darsi una
«regola» che ordinasse la vita del
monastero, se la davano a proprio
piacimento. I monaci preferivano
ubbidire all’abate del loro
monastero più che al vescovo della
città vicina. L’abate era una figura
amata e riverita: «Lo spirito del
Signore è in quell’uomo – disse un
monaco del suo abate – e se mi
ordina muori, io muoio, e se mi
ordina vivi, io vivo».
Nelle campagne, il monaco era una
figura centrale e le sue funzioni
potevano assomigliare, per certi
aspetti, a quelle degli antichi
stregoni dei villaggi: curava le
malattie della gente e del bestiame,
purificava i luoghi infestati dai
demoni, sedava le contese tra i
fedeli. Il suo prestigio si fondava su
una vita esemplare, fatta di digiuni,
di privazioni, di preghiere. La sua
sapienza – che si nutriva di contatti
assidui con la divinità – era un
serbatoio cui attingeva la
disperazione degli uomini.
Il prestigio di questi eroi popolari,
che vantavano un rapporto
privilegiato con la divinità, s’impose
presto anche nel mondo urbano, e
tra il V e il VI secolo il monaco
divenne una figura di moda. Averne
uno come amico era considerata
una vera fortuna. Gli aristocratici e
gli imperatori se li contendevano e
li consultavano. Il favore popolare
che si riversava sui monaci più
famosi li rendeva personaggi temuti
persino dai sovrani: il loro
appoggio rendeva più solide le
fondamenta del potere, la loro
ostilità poteva causare gravi
problemi di ordine pubblico. Si
ripeteva così quello stesso
paradosso che abbiamo osservato a
proposito degli eremiti: quello di
uomini che presi da orrore per il
mondo si ritirarono ai margini della
società civile, e che furono al tempo
stesso gli agenti di molte
trasformazioni di quella stessa
società che avevano rifiutato.
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Una prospettiva «mondiale» Sotto il profilo concreto egli agì però in una dimensione «mondiale», soprattutto in quella parte dell’Occidente che era di fatto sottratta
all’influenza bizantina. Lo abbiamo già visto tessere con la corte e con i duchi longobardi una rete di rapporti destinata, in progresso di tempo, a convertire quel popolo al cattolicesimo [cfr. 29.3]. Ma l’iniziativa di Gregorio non si svolse solo in questa
direzione. Si occupò della riforma della liturgia romana, compreso il canto, che da
lui prese il nome di gregoriano, e diede impulso all’opera di evangelizzazione dei pagani. Nel 595 egli lanciò infatti una delle più importanti imprese missionarie dell’età medievale: un gruppo di monaci guidati da Agostino (il futuro sant’Agostino di
Canterbury) diede l’avvio all’evangelizzazione degli Anglosassoni, ancora pagani: nel
corso del VII secolo l’Inghilterra fu conquistata al cattolicesimo e legata strettamente all’osservanza romana. Il cattolicesimo fece inoltre importanti progressi in Spagna,
grazie all’opera dell’arcivescovo Isidoro di Siviglia, e in Gallia, dove gli stretti legami
con la corte franca furono ulteriormente rafforzati. Ma Gregorio fu impegnato a fondo anche nella lotta contro le pratiche pagane sopravviventi in aree apparentemente
del tutto cristianizzate.
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GUIDAALLOSTUDIO
1. Spiega il significato
dell’espressione potere temporale.
2. Cos’erano i patrimoni della
Chiesa? Com’erano gestiti? 3. Chi
era il «servo dei servi di Dio»? 4. In
quali direzioni s’indirizzò
l’evangelizzazione cristiana nel VII
secolo?
L’abbazia benedettina
[disegno di A. Baldanzi]
Il monastero era organizzato in
cinque strutture principali: la
chiesa (oratorium), il luogo della
preghiera; il dormitorium, per
dormire; il refectorium, con la
cucina, le latrine e la stanza dove i
monaci si riunivano per i pasti;
una zona dedicata all’accoglienza
degli ospiti (cella hospitum); e,
infine, una portineria (portaria),
ossia il luogo deputato alle
comunicazioni fra la comunità e il
mondo esterno. Queste strutture,
che si ripetono in tutte le
fondazioni benedettine, si
organizzavano attorno al chiostro,
considerato il cuore del monastero.
Nell’ala orientale del complesso
monastico si trovavano poi gli
edifici dedicati alle attività
culturali, e quindi la sacrestia, la
sala capitolare, le stanze da lavoro,
gli armaria per la conservazione
dei testi e lo scriptorium dove
venivano ricopiati. Oltre il muro di
cinta si estendevano le vaste
proprietà che con il tempo il
monastero accumulava.
1. Chiesa abbaziale; 2. Chiostro;
3. Dormitorio; 4. Sala Capitolare;
5. Parlatoio; 6. Refettorio;
7. Cucina; 8. Scriptorium e
biblioteca; 9. Stalle, magazzini e
cantine; 10. Portineria.
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6 La diffusione del monachesimo
L’Irlanda di san Colombano L’Occidente, devastato dalle invasioni e dalle carestie,
creò un tipo di monachesimo originale rispetto alle esperienze anacoretiche e cenobitiche sviluppatesi nel IV secolo in tutto l’impero romano e ne fece ben presto uno degli
elementi portanti della società dell’epoca.
Un forte impulso venne dall’Irlanda, l’isola cristianizzata alla fine del V secolo da san
Patrizio e miracolosamente risparmiata dalle migrazioni dei barbari. Dall’Irlanda gruppi di monaci vaganti sciamarono quasi subito in tutta Europa, animati da uno slancio
missionario ignoto al monachesimo orientale. Essi convertirono i pagani e gli eretici
spingendosi, con un’audacia che non conosceva ostacoli, nelle città occupate, nelle
campagne, negli accampamenti degli invasori. Tra loro spiccava san Colombano, fondatore, tra l’altro, del monastero di Bobbio, presso Piacenza. La fondazione del monastero di Bobbio riveste una duplice importanza, politica e culturale: politica perché questa fu la prima di una lunga serie di fondazioni monastiche che, dalla seconda metà del
VII secolo, fu sostenuta dai cattolici sovrani longobardi; culturale perché presso di esso
fu costituito uno dei più importanti centri di copiatura di testi manoscritti: un esempio
che sarà molto seguito in Italia e in Europa e che consentirà la trasmissione di fondamentali opere della cultura classica e cristiana.
 I monaci irlandesi diedero vita,
durante i loro spostamenti nel
continente, ad una rete di
fondazioni monastiche che
svolsero un ruolo determinante
nel processo di evangelizzazione
dell’Europa centro-settentrionale.
IL MONACHESIMO IRLANDESE
MARE
DEL
NORD
Bangor
Elphin
York
Tuam
Armagh
Cork
Cloyne
Utrecht
OCEANO
ATLANTICO
Osnabrück
Fulda
Canterbury
Erfurt
Würzburg
Echternach
Rouen
Luxeuil
Tours Besançon
Poitiers
Lione
Bordeaux
S. Gallo
Salzburg
Aquileia
Milano
Alessandria
Arles
Bobbio
Aix-enProvence
Lisbona
Toledo
Roma
Montecassino
Cordova
Ippona
Cartagine
MAR
MEDITERRANEO
Territori cristianizzati
alla fine del IV secolo
Espansione
del monachesimo irlandese
Centri di evangelizzazione
Principali diocesi
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Parte 5 L’ETÀ TARDOANTICA
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 Il monastero di S. Benedetto
di Subiaco
Il monastero di S. Benedetto (o del
Sacro Speco) di Subiaco si presenta
oggi come un edificio scenografico,
insediato nella curvatura di una
immensa parete di roccia e sorretto
da nove alte arcate, in parte ogivali.
L’interno – complicato labirinto di
ambienti, chiesette, cappelle,
talvolta ricavate dalla roccia – è
ricoperto da una preziosa
decorazione di varie epoche: dalle
opere bizantine (VIII secolo) al
prezioso ritratto di san Francesco
(1223), ritenuto la prima fedele
raffigurazione mai realizzata del
santo.
La «Regola» di san Benedetto Il vero fondatore del monachesimo occidentale, tuttavia, fu san Benedetto da Norcia, vissuto tra il 480 circa e il 547, che conferì al movimento monastico quei caratteri peculiari che esso avrebbe mantenuto per secoli. In contrasto con le abitudini dei monaci vaganti, che praticavano e diffondevano la fede spostandosi dove ritenevano di volta in volta che ce ne fosse più bisogno, Benedetto affermò
la severa norma della stabilitas («stabilità»), fondata sulla convinzione che il monaco
doveva essere lo stabile punto di riferimento dell’intera comunità; di qui il divieto assoluto di allontanarsi dalla propria sede. Inoltre, mentre i monaci vaganti erano completamente autonomi, i benedettini furono sottoposti all’autorità dell’abate, il capo del monastero, responsabile dell’applicazione di un rigoroso codice di comportamento spirituale e materiale: la Regola.
Un altro punto essenziale di differenza era contenuto in una delle idee centrali che
ispirava la Regola e che fu poi condensata nella formula ora et labora, cioè «prega e lavora»; un concetto certamente non ignoto nei monasteri precedenti ma che Benedetto
valorizzò come elemento fondamentale nella formazione spirituale dei suoi monaci.
«L’ozio è il nemico dell’anima», si ripeteva nei monasteri benedettini.
I monasteri benedettini Nei dettami della Regola sono condensate le ragioni del prestigio e del successo che le organizzazioni benedettine riscossero soprattutto in Italia.
Prima nei dodici piccoli monasteri di Subiaco, vicino a Roma, poi nell’abbazia di Montecassino, accanto alla quale la sorella di Benedetto, Scolastica, fondò un monastero
femminile, si aggregarono comunità dove regnavano l’ordine e la preghiera.
Nei monasteri la giornata cominciava con l’opus Dei, cioè con la recita corale dell’ufficio divino, e continuava con attività agricole e artigianali di ogni genere, tra le quali
la copiatura dei testi sacri. Ciò preservava i monaci dalla presunzione che può derivare
29 L’ITALIA DEI LONGOBARDI E DI GREGORIO MAGNO
 San Benedetto, XI sec.
[Oratorio di S. Benedetto, Civitate]
ufficio divino
È l’insieme delle preghiere che gli
ecclesiastici hanno l’obbligo di recitare
durante la giornata. Esse sono
distribuite secondo le otto ore
canoniche: mattutino (mezzanotte); lodi
(alba); prima (alle 6); terza (alle 9);
sesta (alle 12); nona (alle 15); vespro
(al tramonto); compieta (prima del
riposo notturno).
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GUIDAALLOSTUDIO
1. Da dove provenivano i monaci
vaganti? 2. Quale attività si
praticava nel monastero di Bobbio?
3. Spiega il significato della formula
ora et labora.
dall’intellettualismo, dalle forme di fanatismo religioso che a volte animavano i monaci
orientali e i vaganti, e permetteva l’inserimento dei contadini, che trovavano nel monastero quell’atmosfera di laboriosa umiltà cui essi erano abituati. Inoltre, fatto non meno
importante, il monastero diventava così un’unità produttiva autosufficiente, da cui nei
momenti di emergenza potevano addirittura partire aiuti e soccorsi per la popolazione
bisognosa.
L’egemonia del monachesimo all’interno del mondo cattolico, tuttavia, non era soltanto economica e culturale, ma anche religiosa. Fu dai monasteri che vennero i quadri più preparati della gerarchia ecclesiastica e fu la vita monastica quella che apparve
la forma più pura e completa di cristianesimo, il modello cui guardavano costantemente
i laici e gli altri ecclesiastici.
7 La fine del regno longobardo e l’emergere del papato
à Alla donazione di Sutri (728),
considerata l’atto di nascita del
potere temporale del papato,
seguirono nel tempo altre
donazioni, sia da parte di privati,
sia da parte di sovrani, che
andarono a rimpinguare il
Patrimonio di San Pietro. Tra le
tante, ricordiamo le donazioni dei
re franchi Pipino il Breve e Carlo
Magno.
Patrimonio di S. Pietro
prima del 756
756 (Pipino)
757-781
787
Territori longobardi
IL PATRIMONIO DI S. PIETRO
Mantova
Longobardi, Bizantini e papato Completata la conversione al cattolicesimo e realizzata anche a livello giuridico l’integrazione tra Romani e Longobardi [cfr. 29.3], Liutprando (712-744) avviò una nuova fase di espansione territoriale a danno dei due ducati autonomi (Spoleto e Benevento) e dei territori bizantini. I Bizantini in Italia erano sulla difensiva: Bisanzio, infatti, non poteva dedicare troppe cure al fronte italiano, perché
dilaniata da una gravissima crisi interna [cfr. 29.8]. Nei territori bizantini, inoltre, vi era
un forte malcontento contro l’imperatore d’Oriente: le popolazioni mal sopportavano la
pesante oppressione fiscale, mentre il pontefice di Roma – insieme con le varie chiese
locali – era sempre meno disposto ad accettare le ingerenze di Costantinopoli nella vita religiosa della Cristianità occidentale.
A differenza della Chiesa orientale, dove l’imperatore interferiva anche nelle questioni teologiche [cfr. 28.9], il vescovo di Roma rivendicava infatti con sempre maggiore
fermezza l’autonomia del potere «spirituale» rispetto a quello «temporale». Una posizione che si era accentuata a partire da Gregorio Magno ed era fondata, sotto il profilo
dottrinario, sull’idea che il vescovo di Roma era depositario della «tradizione apostolica» più pura in quanto successore diretto di san Pietro [cfr. 24.8]. Questa affermazione
dell’autonomia e del primato religioso del pontefice romano aveva inevitabili ripercussioni di carattere politico: essa significava che sullo scenario internazionale agiva ora
un’altra potenza, il papato. Pur se priva di un proprio esercito, la
Chiesa di Roma aveva infatti l’autorità per mobilitare forze esterne al servizio dei propri interessi.
Ferrara
Reggio
Modena
MAR
Ravenna
Bologna
ADRIATICO
Rimini
Lucca
Firenze
Pesaro
Fano
Ancona
Pisa
Siena
Numana
Osimo
Spoleto
Viterbo
Rieti
Sutri
MAR
TIRRENO
ROMA
Ceprano
602
Iniziativa longobarda Approfittando della situazione, Liutprando invase l’Esarcato e la Pentapoli e occupò il Lazio. L’azione longobarda venne osteggiata da tutti, poiché né il papa Gregorio II, né i funzionari bizantini locali, né gli stessi duchi longobardi di Spoleto e Benevento, gelosi della propria indipendenza,
potevano trarre vantaggio da un dominio incontrastato del re longobardo in Italia. Alla fine, nel 728, Liutprando dovette ritirarsi,
e a questo contribuirono non solo l’opposizione dei duchi, ma forse anche i suoi scrupoli religiosi. Abbandonando il Lazio, il sovrano concesse al papa, in segno di riconciliazione, parte del Lazio con il territorio di Sutri nel viterbese. Il gesto, divenuto celebre come donazione di Sutri, segnò un’ulteriore avanzata del potere temporale del papa.
Intervento dei Franchi Alla morte di Liutprando gli eventi subirono un’improvvisa accelerazione. Nel 751, il nuovo re Astolfo
(749-756) rioccupò i territori bizantini dell’Esarcato e della Penta-
Parte 5 L’ETÀ TARDOANTICA
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La donazione di Costantino, part.,
XIII sec.
[Chiesa dei Quattro Santi Coronati,
Roma]
Nella donatio Costantino
concedeva al papa: il primato sulle
Chiese d’Oriente; le chiese del
Laterano, di S. Pietro e S. Paolo
Fuori le Mura, oltre a beni in varie
province; le insegne imperiali; il
privilegio di promuovere i senatori
al clericato; ogni potere sul
Laterano, la Chiesa di Roma,
l’Italia. Redatto negli ambienti
della curia romana nell’VIII
secolo, questo documento
costituirà dall’XI secolo in poi
l’argomentazione principale a
sostegno della supremazia papale.
La falsità del documento fu
dimostrata nel XV secolo e
riconosciuta dalla Chiesa solo nel
XIX secolo.
poli, conquistando Ravenna e minacciando direttamente la stessa Roma. La mossa questa volta si rivelò azzardata, perché favorì l’alleanza tra il papato e la dinastia franca dei Pipinidi [cfr. 31.1]. Nel 755, infatti, Stefano II chiamò in suo soccorso Pipino il Breve, il quale, sceso in Italia, riconquistò a vantaggio di Roma gli ex territori bizantini occupati dai
Longobardi (Esarcato, Pentapoli e Lazio), che andarono a formare il cosiddetto Patrimonio di San Pietro.
Stretti tra due potenze, i Franchi a nord e il papato a sud, i Longobardi, come vedremo, erano condannati a un rapido declino.
Un celebre falso A quanto sembra, in questo periodo venne elaborata anche la donazione di Costantino, un documento secondo cui l’imperatore romano Costantino il
Grande avrebbe concesso territori in Italia alla Chiesa già nel IV secolo. Il documento
– smascherato come un falso solo nel XV secolo dall’umanista Lorenzo Valla – fu spesso utilizzato dai papi del Medioevo nelle loro controversie con sovrani e imperatori sulla legittimità del potere temporale della Chiesa. In realtà, la falsa donazione sarebbe stata scritta proprio intorno al 754, a opera della cancelleria papale, per giustificare legalmente l’appello di Stefano II ai Franchi.
GUIDAALLOSTUDIO
1. Il re Liutprando intraprese
iniziative militari? 2. La Chiesa
aveva un esercito? 3. Cosa stabiliva
la donazione di Sutri? 4. Chi era
Pipino il Breve? 5. Chi era Lorenzo
Valla?
8 La lotta contro le immagini
Il movimento iconoclasta Dall’inizio dell’VIII secolo sino alla metà del IX, l’impero bizantino fu travagliato da una controversia di carattere religioso: l’iconoclastia (dal
greco eikòn, «icona, immagine», e klào, «spezzo, distruggo»), ovvero la lotta contro il
culto delle icone. Il movimento iconoclasta si era sviluppato soprattutto nelle regioni
orientali dell’impero bizantino, dove si sentiva più forte il richiamo delle altre grandi religioni rivelate, l’ebraismo e il giovane islamismo [cfr. 30], che proibivano la raffigurazione della divinità, e in questo si allontanavano dalla tradizione greco-romana. Al con29 L’ITALIA DEI LONGOBARDI E DI GREGORIO MAGNO
603
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trario, sia a Costantinopoli sia nelle regioni occidentali dell’impero, si era radicata la tendenza a rappresentare non solo Cristo e la Madonna, ma anche i santi. Il conflitto sulle immagini fu così la cornice ideologica di una vastissima lotta sociale fra gli iconoclasti e i tradizionalisti «iconodùli» («servi delle icone»), accusati di diffondere, con la venerazione delle immagini, l’ignoranza e la superstizione tra il popolo.
Un imperatore iconoclasta La controversia acquisì una dimensione politica quando
salì al trono Leone III (717-741): l’imperatore era originario dell’Isauria, una regione
dell’Anatolia dove il movimento iconoclasta aveva raccolto numerosi seguaci. Leone III
inaugurò una politica ufficialmente iconoclasta e ordinò la distruzione di tutte le immagini, da quelle riprodotte sulle tavole di legno a quelle presenti in affreschi e mosaici. Ogni immagine venne condannata come un segno di idolatria, e il fanatismo degli
iconoclasti scatenò una serie di sanguinose rivolte e repressioni.
GUIDAALLOSTUDIO
1. Contro chi combattevano gli
iconoclasti? 2. Quale atteggiamento
assunse Gregorio II nei confronti
dell’iconoclastia?
L’atteggiamento del papato Come suddito dell’imperatore d’Oriente e come vescovo cattolico sul quale l’imperatore pretendeva di esercitare la propria autorità in materia religiosa, il papa romano Gregorio II (715-731) era tenuto, in teoria, a schierarsi dalla parte degli iconoclasti; ma le profonde radici che il culto delle immagini aveva in Italia, insieme con la tendenza sempre più forte della Chiesa di Roma a rendersi autonoma da Costantinopoli, facevano pendere nettamente la bilancia a favore dell’orientamento opposto. Il pontefice, infatti, inizialmente condannò l’iconoclastia, successivamente, nel 731, scomunicò l’imperatore e i suoi seguaci.
L’ITALIA DEI
LONGOBARDI
E DI GREGORIO
MAGNO
1 La spartizione dell’Italia
Nel 568 una nuova invasione
germanica sconvolge l’Italia: ne
sono protagonisti i Longobardi,
guidati da Alboino. Divisi in
bande, saccheggiano e
distruggono ovunque entrando
presto in conflitto con i
Bizantini. Nel 603 poi,
giungono a un accordo che
sancisce la divisione politica
dell’Italia. Ai Longobardi vanno
Nord Italia, Toscana, Spoleto,
Benevento; ai Bizantini rimane
invece il controllo della
Romània e della Pentapoli.
2 Prime vicende
del regno longobardo
La società longobarda è una
società guerriera e la loro stessa
monarchia, di carattere elettivo,
604
SINTESI
si fonda sulle capacità militari
del sovrano. L’aristocrazia
longobarda, divisa al suo interno,
esercita un potere autonomo, a
scapito del potere regio, molto
debole e spesso in balìa dei
conflitti tra i duchi. Alla morte
di re Alboino, ucciso dalla
moglie Rosmunda, segue un
periodo di anarchia militare, di
cui approfittano i duchi, i quali
organizzano le nuove conquiste
territoriali in ducati dotati di
ampie autonomie. A questo stato
di cose pone fine il re Autari, il
quale ricostituisce l’autorità regia
e organizza l’amministrazione
del regno affidandola ai gastaldi.
3 Lo stanziamento
dei vincitori e i rapporti
con i Romani
Il dominio longobardo in Italia
Parte 5 L’ETÀ TARDOANTICA
è molto duro e fa precipitare
una situazione già molto
critica: si contraggono l’indice
demografico, la manodopera
agricola, la circolazione e
coniazione monetaria, il
commercio; si abbandonano
molte aree agricole,
aumentano gli spazi incolti. La
precedente classe dirigente
romana e la gerarchia
ecclesiastica vengono
annientate. I Longobardi
costituiscono una percentuale
minima dell’intera popolazione
e vivono in piccoli gruppi
familiari (fare), distaccati
rispetto alla popolazione locale.
Sotto il re Agilulfo, tuttavia, le
relazioni con la popolazione
romana migliorano; la stessa
Chiesa, grazie a Gregorio
Magno, intrattiene rapporti
sempre più intensi con le
autorità longobarde, soprattutto
dopo le nozze della cattolica
Teodolinda col re Agilulfo. I
progressi in questo campo
culminano, alla metà del VII
secolo, con la conversione al
cattolicesimo di re Ariperto.
4 La società longobarda
L’editto di Rotari (643), prima
raccolta di leggi scritte dei
Longobardi, fornisce un quadro
del loro sistema sociale, fondato
su una rigida distinzione tra
liberi, dotati di dignità giuridica,
e non liberi. La società
longobarda si basa sull’agricoltura
e su rapporti di produzione di
tipo signorile; particolare
importanza hanno anche le
attività della caccia e della
raccolta, mentre appare essere
quasi assente il commercio.
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Liutprando, nella prima metà
dell’VIII secolo, attribuisce
validità anche alla legge
romana: questa decisione ha
enorme importanza per i
rapporti tra le due popolazioni.
Dalla sua legislazione, inoltre,
emerge anche il nuovo slancio
del commercio e della
circolazione monetaria.
5 L’età di Gregorio Magno
Con la conquista longobarda
dell’Italia il papa si trova privo
di protezione politica e militare:
la necessità di acquisire un
autonomo spazio politico trova
espressione soprattutto con il
papato di Gregorio Magno.
Questi mostra una cura
particolare nell’amministrazione
del patrimonio della Chiesa e
assume il ruolo di massima
autorità a Roma e nel territorio
circostante mentre conquista
una maggiore autonomia per la
Chiesa di Roma rispetto
all’impero di Costantinopoli. In
realtà, egli agisce secondo una
prospettiva «mondiale»,
curando il dialogo con i
Longobardi, riformando la
liturgia ecclesiastica e donando
un rigoroso impulso sia alla
evangelizzazione dell’Europa
sia alla lotta contro le pratiche
pagane ancora vive soprattutto
nelle campagne.
6 La diffusione
del monachesimo
Determinanti, nell’opera di
evangelizzazione, sono i
monaci: in tutto l’Occidente
essi diffondono la fede e
fondano monasteri con un
dinamismo ignoto al
monachesimo orientale. Un
forte impulso parte dall’Irlanda
e dai suoi monaci vaganti, tra i
quali san Colombano, che
presso Piacenza fonda
l’importante monastero di
Bobbio. Il vero padre del
monachesimo occidentale è san
Benedetto, che fissa il principio
della residenza stabile dei
monaci (in modo che essi
possano divenire punto di
riferimento per l’intera
comunità). Egli fa dei
monasteri, basati sulla Regola,
centri di preghiera e insieme
unità produttive autosufficienti.
Da ciò un’egemonia del
monachesimo nel mondo
cattolico che è insieme
economica, culturale e
religiosa.
7 La fine del regno
longobardo e l’emergere
del papato
La situazione dei Bizantini in
Italia è molto critica, nei primi
decenni del 700. Bisanzio è
infatti dilaniata da una
drammatica frattura interna e
nello stesso tempo deve
fronteggiare le ribellioni delle
popolazioni dei territori
bizantini vessati dalle ingenti
imposizioni fiscali. Anche le
chiese locali e il papato si
dimostrano sempre meno
disposte ad accettare
l’ingerenza di Costantinopoli
nella Cristianità occidentale.
Di questa situazione decide di
approfittare Liutprando, che
invade l’Esarcato, la Pentapoli e
il Lazio. Nel 728, però, si ritira
e cede al papa, in segno di
riconciliazione, parte del Lazio
e il territorio di Sutri. Morto
Liutprando, il successore
riprende una politica aggressiva,
e questa volta il papa chiede
l’aiuto dei Franchi, che
29 L’ITALIA DEI LONGOBARDI E DI GREGORIO MAGNO
riconquistano i territori presi
dai Longobardi. Questi,
consegnati al papa,
costituiscono il Patrimonio di
San Pietro. Viene elaborato
probabilmente in questo
periodo un documento poi
rivelatosi falso, la «donazione di
Costantino».
8 La lotta
contro le immagini
Nell’VIII-IX secolo l’impero
bizantino conobbe una nuova
controversia religiosa.
L’iconoclastia (lotta contro il
culto delle immagini), che ha
particolare seguito nelle zone
orientali, si oppone agli
iconodùli (tradizionalisti),
presenti soprattutto a
Costantinopoli. Essa acquisisce
una dimensione politica con
l’ascesa al trono di Leone III
(717-741), che adotta una
politica ufficialmente
iconoclasta, dando luogo anche
a gravi episodi di violenza.
Come suddito dell’impero
d’Oriente, il papa Gregorio II è
teoricamente tenuto a sostenere
tale politica; egli, invece, la
condanna e scomunica
605
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 618
NASCITA
ED ESPANSIONE
DELL’ISLAM
1 L’Arabia preislamica
L’Oasi di Taghit nel Deserto
del Sahara, Algeria
[© Jose Fuste Raga/Corbis]
Bizantini contro Persiani Tra il VI e il VII secolo due grandi potenze si contendevano la supremazia sul Medio Oriente: l’impero bizantino e l’impero persiano [cfr. 28].
Questo antagonismo sfociò in una sorta di guerra permanente, che non arrivò tuttavia
a un esito chiaro e definitivo: i Bizantini portarono il loro attacco in Mesopotamia, i
Persiani in Siria e in Egitto. Vittorie alternate a sconfitte, città prese e perdute, incursioni e saccheggi da ambo le parti non sortirono altro effetto che quello di prosciugare
uomini e mezzi e d’indebolire entrambe le compagini. Troppo impegnati a combattersi, Bizantini e Persiani non si accorsero che, non lontano da loro, prendeva corpo
una terza potenza, giovane e temibile. Quando se ne avvidero, era ormai troppo tardi. Raccontare la nascita di questa terza potenza vuol
dire raccontare insieme la nascita di una religione e di un impero, tra i più grandi che siano mai esistiti.
La penisola arabica Lo scenario dove comincia questa avventura è la penisola arabica, un
immenso territorio di tre milioni di kmq, in
massima parte dominato dal deserto. Gli insediamenti nella penisola avevano mantenuto la
loro tradizionale suddivisione in due grandi
aree geografiche e ambientali. La prima era
l’antica Arabia Felix dei Romani, vale a dire le
regioni dello Yemen e dello Hadramaut: si trattava di terre fertili e ricche d’acqua, grazie soprattutto alle piogge monsoniche e a evoluti sistemi d’irrigazione.
Qui vivevano popolazioni sedentarie e
fioriva un’intensa vita urbana, vivacizzata
principalmente dai traffici tra l’India, la Birmania, l’Africa orientale e le regioni mediterranee e mesopotamiche, e da produzioni locali come quella dei cereali, dell’incenso e
delle piante aromatiche. L’organizzazione
politica era di tipo monarchico e l’influenza
persiana era molto forte. A quest’area si contrapponevano le enormi distese desertiche
618
Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 619
L’ARABIA PREISLAMICA
Cesarea
Bosra
Alessandria
 La penisola arabica è stata sin
dall’antichità al centro di una
intensa rete di traffici commerciali
con le regioni mediterranee.
Spezie, oro, pietre preziose
costituivano le principali ricchezze
di una regione il cui territorio è in
gran parte desertico.
IMPERO
PERSIANO
Gerusalemme
Hira
Petra
Duma
GOLFO
PERSICO
Suk al-Kurn
Kaibar
Sūk Dubā
Hadjar
Medina (Yathrib)
Badr
Suhār
al-Mashkār
¯
Yamama
Ukaz
La Mecca
MAR
ROSSO
Impero bizantino
Arabia Felix romana
Nadjrān
Samharm
Shabwa
Suk Hadhramaut
Marib
San’a
HADHRAMAUT¯
Zafar
Timna
al-Shihr
YEMEN
¯
Vie carovaniere
Principali città
Principali mercati
OCEANO
INDIANO
Aden
punteggiate di oasi e solcate dai nomadi beduini, che secondo la tradizione erano gli
Arabi autoctoni, o «i veri Arabi». I Beduini vivevano di allevamento, del commercio
carovaniero e di razzie. Fieri e bellicosi, erano organizzati in comunità rinsaldate dai
vincoli della famiglia e della tribù. Tutti i membri della tribù, considerati uguali tra
loro, si riconoscevano nella guida di un capo eletto, assistito da un consiglio. Altro
personaggio di grande rilievo nella comunità era il poeta, simbolo vivente delle antiche tradizioni che configuravano l’identità della tribù: spettava a lui, infatti, cantare
le glorie remote e recenti della comunità e compiere alcuni importanti riti religiosi.
Tra i Beduini, la proprietà privata aveva margini assai ridotti e tanto gli animali quanto i pascoli erano considerati beni collettivi.
Il quadro religioso Anche se non mancavano zone segnate da influenze ebraiche (soprattutto nello Yemen e lungo le vie carovaniere) e cristiane (principalmente nelle regioni settentrionali), in Arabia erano molto diffusi i culti politeistici. Primeggiavano i culti degli alberi e delle pietre sacre, ma si veneravano anche divinità come la dea del Sole, Venere, la dea del Destino,
e soprattutto Allah (il Dio), la divinità suprema. I luoghi sacri erano spesso considerati zone di asilo e vi si svolgevano pellegrinaggi. I
più importanti di questi pellegrinaggi avevano come meta La Mecca,
una delle principali città dell’Arabia. Situata in un crocevia di piste lungo la grande via carovaniera che collegava lo Yemen a Gaza, essa era
pellegrinaggio
Dal latino peregrinus, «straniero». È
un’esperienza tipica della devozione
religiosa, consistente nel recarsi, da
soli o in gruppo, presso un santuario o
un luogo comunque sacro per
compiervi speciali atti di religione, sia
per manifestare i propri sentimenti
verso la divinità o un santo, sia per
espiare un peccato. In tutte le religioni
del mondo l’esperienza è collegata alla
convinzione che in determinati luoghi,
più che altrove, si manifesti una
potenza divina o comunque
soprannaturale.
 ll popolo della Mecca intorno alla «Kaaba»
La Kaaba (raffigurata al centro di questa miniatura turca) è un edificio in pietra senza
finestre, di forma cubica (12 metri di lunghezza, 10 metri di larghezza, 15 metri di
altezza), vuoto all’interno e ricoperto da un pesante drappo di seta nera decorato con
citazioni del Corano. Per i musulmani la Kaaba è la «casa di Dio», dove il divino
entra in contatto col mondo terreno. L’immagine mostra una pratica molto diffusa che
consiste nel fare sette volte il giro dell’edificio. Ancora oggi la deambulazione attorno
alla Kaaba costituisce uno dei cardini del pellegrinaggio alla Mecca.
30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM
619
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 620
GUIDAALLOSTUDIO
1. Nell’Arabia preislamica vivevano
solo popolazioni nomadi?
2. Descrivi la rete commerciale che
attraversava l’Arabia preislamica.
3. Quali religioni erano presenti
nell’Arabia preislamica? 4. Cosa si
venerava presso la Kaaba?
un luogo brulicante di uomini, di merci, di culti. In questa città, le carovane si rifornivano di acqua, si tenevano mercati, affluivano i pellegrini che si recavano in preghiera
presso i numerosi santuari che vi sorgevano. Il più importante di questi santuari, famoso e celebrato in tutta la penisola arabica, era la Kaaba: si credeva che il suo edificio cubico (Kaaba vuol dire precisamente «cubo») fosse stato costruito da Abramo e da suo figlio Ismaele per custodire la Pietra Nera portata dall’arcangelo Gabriele.
2 Nascita di una religione
ON LINE
DOCUMENTI
Ali Muhammad Bal’ami
La rivelazione
L’ascensione di Maometto
[Biblioteca Nazionale, Parigi]
Secondo la tradizione
islamica, durante il periodo
della predicazione di
Maometto alla Mecca, verso il
620, avvenne l’eccezionale
viaggio mistico del profeta a
Gerusalemme, seguito
dall’ascensione al cielo; sotto
la guida dell’arcangelo
Gabriele, Maometto ascese i
sette cieli e incontrò i profeti
che l’avevano preceduto, fra
cui Gesù, Mosè e Adamo,
ritenuto per l’Islam il primo
profeta.
Un uomo chiamato da Dio Questa realtà complessa fu sconvolta e rimodellata da una
vicenda i cui inizi si riassumono nella figura di Muhammad, Maometto (570 ca. - 632).
Sulla famiglia e sull’infanzia di Maometto siamo poco informati. Sappiamo che, rimasto orfano, fu allevato dal nonno, che ricopriva, alla Mecca, l’importante carica di
guardiano della sorgente principale (era lui che sovrintendeva alla distribuzione dell’acqua alle carovane). Sappiamo che all’età di 25 anni sposò una ricca vedova di nome
Khadigia, e che questo matrimonio mise la sua esistenza al riparo da qualsiasi preoccupazione economica. Pur continuando a occuparsi di affari, Maometto ebbe quindi modo di dedicarsi alla meditazione e alla religione. Si trattò di un’esperienza segnata dal richiamo all’unità fondamentale del Divino e dalla relazione diretta con Dio. Secondo la
tradizione, la svolta avvenne nel 610, quando, una notte, gli apparve l’arcangelo Gabriele, che rivelò di essere stato inviato da Allah e gli ordinò di pregare e recitare (qur’ān,
da cui deriva Corano: cfr. 30.3) la parola divina. Incoraggiato da Khadigia e dai familiari, tre anni dopo Maometto decise di intraprendere la predicazione.
Il contenuto originario di questa predicazione era semplice e suggestivo: Maometto
invitava ad abbandonare il politeismo e ad adorare Allah come unico dio, a fare atto di
sottomissione (Islam) alla sua autorità, annunciava il giudizio finale in cui gli uomini sarebbero stati giudicati per le loro azioni, predicava la generosità e la carità per i poveri;
egli condannava inoltre alcune pratiche diffuse nella società tribale, come il matrimonio tra consanguinei e l’infanticidio delle figlie femmine.
Reazioni Il messaggio incontrò subito il favore dei ceti
meno abbienti e degli schiavi, ma affascinò anche alcuni
membri delle famiglie più influenti della Mecca. Esso suscitò tuttavia la forte opposizione dei capi locali. Questi
ultimi temevano infatti che l’appello al monoteismo frenasse – con gravissimi danni economici – l’afflusso dei
pellegrini, richiamati alla Mecca da innumerevoli santuari e da svariate divinità.
La comunità dei sottomessi (muslim, da cui musulmano) ad Allah dovette quindi subire una dura persecuzione. Una prima migrazione di donne e bambini prese la direzione dell’Etiopia cristiana, e la circostanza
conferma l’esistenza di un legame tra la nuova religione
e il cristianesimo; legame che è evidente, peraltro, in
quei versetti del Corano che esaltano la figura della Vergine e ammettono il concepimento di Gesù da parte dello Spirito Santo, attribuendogli in tal modo una posizione di rilievo nella stirpe dei profeti che avevano preceduto Maometto.
La comunità musulmana crebbe malgrado le persecuzioni. Nel 622, per sottrarsi a una nuova minaccia, più
grave delle precedenti, Maometto e i suoi seguaci decise-
620
Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 621
La moschea della rocca di Omar
a Gerusalemme
Oltre a Medina, capitale e luogo
di sepoltura di Maometto, e alla
Mecca, dove è custodita la Kaaba,
la terza città santa dell’Islam è
Gerusalemme. Qui sorge, nel
cosiddetto «nobile recinto sacro»,
di 15.000 mq, la moschea della
rocca di ’Umar (Omar), un edificio
ottagonale atipico nell’edilizia
sacra musulmana: esso fu eretto,
infatti, nell’VIII secolo a opera di
architetti bizantini e risente,
dunque, dell’influsso dei modelli di
chiesa a pianta centrale
tipicamente bizantini, come la
basilica di Santa Sofia.
ro di emigrare e si rifugiarono nella città di Yathrib, un nodo molto importante lungo la
via carovaniera che collegava La Mecca con la Siria e con l’Egitto. Questa emigrazione
(o ègira) fondò la nuova era musulmana, che comincia precisamente nel giorno corrispondente al nostro 16 luglio 622 (primo giorno del calendario musulmano). La fuga
dalla Mecca favorì lo spirito di coesione dei seguaci di Allah e incentivò al tempo stesso
la diffusione del messaggio.
La comunità di Medina e il giudaismo Dopo l’ègira, Yathrib fu dichiarata la «città
del profeta» (Madinat al-nabi, da cui Medina), e la casa di Maometto, riconosciuto
ormai come unico intermediario tra i fedeli e Allah, divenne un luogo di preghiera e
di raccolta degli esuli. A Medina si precisò e si definì il rapporto tra l’Islam e il giudaismo. In una prima fase il modello giudaico fu particolarmente forte. Maometto
adottò per esempio i divieti alimentari ebraici e il digiuno [cfr. 30.3]. La preghiera comunitaria veniva inoltre recitata in direzione di Gerusalemme. Tuttavia, i rapporti tra
le due religioni erano destinati a incrinarsi: malgrado le affinità, esse si differenziavano infatti su aspetti assolutamente centrali. Maometto si considerava un profeta della
stessa stirpe di Noè, Abramo, Mosè e Gesù e, in quanto ultimo profeta, si riteneva depositario della rivelazione divina più pura e autentica.
Questa convinzione era oggettivamente in antitesi con la concezione del popolo
ebraico come popolo «eletto» da Dio. Per gli ebrei, di conseguenza, Maometto non era
altro che un profeta arabo, che diffondeva nel suo popolo una sorta di imitazione del
giudaismo. Quando l’impossibilità di conciliare queste visioni risultò evidente, si giunse all’aperta rottura: le tribù ebraiche di Medina, accusate di solidarizzare con i nemici
dell’Islam, furono espulse e subirono massacri. Fu quindi modificato il rituale della preghiera, che da quel momento in poi venne recitata rivolgendosi non più verso Gerusalemme ma verso la Mecca, mentre il semplice digiuno fu sostituito dal lungo periodo di
astinenza del Ramadan [cfr. 30.3].
30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM
ON LINE
DOCUMENTI
Il Dio dei musulmani
e il Dio dei cristiani
621
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 622
GUIDAALLOSTUDIO
1. Cosa significa il termine Corano?
2. Sottolinea nel testo gli elementi
essenziali del messaggio religioso di
Maometto. 3. Come reagirono gli
abitanti della Mecca alla
predicazione di Maometto? 4. Quali
furono i rapporti tra islamismo e
giudaismo?
Il trionfo di Maometto A Medina la comunità musulmana acquistò anche una compattezza di tipo militare. Per sopravvivere, gli esuli si diedero infatti alle antiche ed eroiche attività dei Beduini: la razzia, l’assalto alle carovane, il brigantaggio. Queste fiere attività guerriere, canalizzate soprattutto contro la Mecca, accrebbero il prestigio del profeta, diedero ulteriore coesione al gruppo e inaugurarono una fase di espansione che
portò i musulmani a estendere il loro dominio su molte tribù e a sferrare l’attacco decisivo contro i nemici: l’11 gennaio del 630, ottavo anno dell’ègira, Maometto e i suoi seguaci entrarono trionfalmente nella Mecca. La città fu dichiarata città sacra dei musulmani, tutti gli idoli furono distrutti, la popolazione giurò fedeltà al profeta. Molte altre
tribù della regione si convertirono. Maometto morì nel giugno del 632, circondato da
un enorme prestigio.
3 I fondamenti della fede
Il libro sacro In lunghi anni di predicazione e di lotte, il contenuto della religione musulmana si era andato arricchendo e precisando, e aveva assunto un carattere più sistematico. Alla base della religione musulmana c’è un libro sacro, il Corano (da qur’ān,
«lettura ad alta voce, recitazione»). Esso è costituito dall’insieme delle rivelazioni che,
secondo Maometto, Dio gli aveva fatto. Il libro, scritto in arabo, si divide in 114 capitoli di varia lunghezza, detti sure, e ogni capitolo in versetti. La raccolta non fu opera di
Maometto, che non si preoccupò mai di ordinare in una trascrizione definitiva la propria predicazione, ma del suo segretario Zeid-ibn-Thabit, che decise di riunire le sure
e nel 650 predispose una «seconda edizione», che costituisce oggi il testo canonico. Il
criterio seguito dal redattore nella sistemazione dei materiali si basa unicamente sulla
Il corpo di guardia del califfo
suona la fine del «Ramadan»,
XIII sec.
[miniatura dal Maqaˉmaˉt di al-Hariri,
Biblioteca Nazionale, Parigi]
L’inizio e la fine del mese di
digiuno, Ramadan, vengono
dichiarati dopo che due persone
degne di fede hanno osservato
l’arrivo della nuova lunazione.
622
Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 623
LA DISTRIBUZIONE DEI MUSULMANI NEL MONDO CONTEMPORANEO
STATI UNITI
FEDERAZIONE RUSSA
VENEZUELA
ECUADOR
CILE
BRASILE
ESTONIA
LETTONIA
BIELORUSSIA
GRAN
BRETAGNA
ARGENTINA
GERMANIA
CECENIA
FRANCIA
BOSNIA
ALBANIA
PORTOGALLO SPAGNA
TUNISIA
MAROCCO
OCEANO ATLANTICO
LIBIA
ALGERIA
MAURITANIA
BULGARIA
GEORGIA
UZBEKISTAN KIRGHIZISTAN
TURKMENISTAN
ARMENIA
TAGIKISTAN
TURCHIA
AZERBAIJAN
AFGHANISTAN
LIBANO SIRIA
IRAN
PALESTINA
IRAQ
ISRAELE
GIORDANIA
EGITTO
PAKISTAN
KUWAIT
E.A.U.
ARABIA
QATAR
SAUDITA
NIGER
CIAD
COREA
DEL SUD
BANGLADESH
YEMEN
GIBUTI
BURKINA
FASO
NIGERIA
ETIOPIA
BENIN
GUINEA BISSAU GUINEA
REP.
TOGO
CENTRAFRICANA
SOMALIA
SIERRA LEONE
CAMERUN
GHANA
UGANDA
LIBERIA
KENYA
COSTA
D’AVORIO
CONGO
SENEGAL
TAIWAN
FILIPPINE
BRUNEI
SRI LANKA
MALDIVE
MALAYSIA
INDONESIA
GIAVA
COMORE
Aree di assoluta predominanza musulmana
Aree in cui la presenza musulmana
è superiore al 90%
Aree in cui la presenza musulmana
è tra il 50% e il 90%
Aree in cui la presenza musulmana
è tra il 10% e il 50%
Presenze di comunità musulmane
ZAMBIA MOZAMBICO
VIETNAM
CAMBOGIA
SEYCHELLES
TANZANIA
OCEANO PACIFICO
BIRMANIA LAOS
THAILANDIA
ERITREA
SUDAN
GIAPPONE
CINA
INDIA
OMAN
MALI
MONGOLIA
KAZAKISTAN
OCEANO INDIANO
ZIMBABWE
MADAGASCAR
LESOTHO
REP. SUDAFRICANA
lunghezza delle sure. I temi si susseguono dunque l’uno all’altro casualmente, ma compongono comunque un’omogenea sintesi del messaggio di Maometto. Il contenuto del
Corano, in cui Allah parla in prima persona, è assai vario. Nelle parti più antiche prevalgono la proclamazione dell’onnipotenza divina, la minaccia del cataclisma che porrà
fine al mondo e del conseguente Giudizio divino, la descrizione dei premi e castighi
dell’altra vita. A queste si alternano storie di precedenti profeti (ebraici e arabi) ed esempi dell’ira divina punitrice. Nelle parti più recenti, invece, il contenuto è prevalentemente normativo, con precetti cultuali, norme giuridiche, esortazioni ai fedeli, polemiche con ebrei e cristiani.
Nel Corano i fedeli ricercavano una risposta a tutti gli interrogativi umani, non solo in
materia di religione, ma anche di rapporti sociali, di economia, di politica. Essendo il testo coranico insufficiente a tale scopo, si fece ricorso anche alla sunna, il corpus delle tradizioni, raccolte dai compagni di Maometto, relative al comportamento che il profeta aveva adottato di fronte a problemi particolari. La sunna divenne pertanto uno dei testi basilari del diritto musulmano, valido per la maggioranza dei fedeli.
 Secondo recenti statistiche,
l’Islam è al secondo posto nella
graduatoria delle grandi religioni
professate nel mondo. Alla fine
del XX secolo, infatti, l’Islam ha
conosciuto un’espansione al di
fuori delle sue aree tradizionali di
insediamento (paesi arabi
dell’Asia Minore, dell’Africa
settentrionale, dell’Asia centrale,
dell’Indonesia e del
subcontinente indiano),
realizzatasi grazie ad una efficace,
e talvolta aggressiva, opera di
proselitismo.
Le rivelazioni precedenti Nella concezione musulmana, l’Islam (letteralmente «sottomissione a Dio») non era una nuova religione, ma la stessa religione eterna che era
30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM
623
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 624
ECONOMIA
AMBIENTE
La moschea
Un suono più di ogni altro
scandisce la vita quotidiana di
ogni città islamica: è il richiamo,
cantilenato e insistente, con cui il
muezzin, dall’alto dei minareti
delle moschee, per cinque volte
ogni giorno, a cadenze precise,
chiama i fedeli al dovere
fondamentale della preghiera.
Per pregare, i musulmani non
hanno bisogno di luogo specifico:
possono farlo ovunque, al chiuso
come all’aperto, purché si
rivolgano in direzione della Mecca
e del suo santuario, la Kaaba, il
luogo più sacro dell’Islam.
Naturalmente anche la religione
islamica ha il suo edificio sacro,
destinato in modo specifico alla
preghiera: la moschea, dal termine
arabo masgid, letteralmente
«luogo dove ci si prosterna».
Ogni musulmano può recarsi nella
moschea quando vuole, ma è
importante non mancare al rito
collettivo del venerdì, quando i
fedeli si riuniscono per pregare
insieme sotto la guida di un
imam.
Secondo la tradizione, la forma
delle più antiche e venerabili
moschee sarebbe derivata dalla
casa di Maometto a Medina.
Questa casa veniva ricordata come
un complesso molto modesto,
recintato da un muro di mattoni
d’argilla che racchiudeva un
cortile rettangolare pavimentato
solo di sabbia e ghiaia; una parte
del cortile era coperta da un
portico il cui tetto era fatto
d’argilla e di foglie di palma. In
questo cortile il Profeta era solito
riunire i propri seguaci,
discutendo non soltanto di
questioni religiose ma anche di
argomenti politici e giuridici.
624
Quasi tutte le moschee del mondo
islamico, anche le più grandi e le
più prestigiose, riecheggiano il
modello originario della dimora di
Maometto. L’architettura delle
moschee può raggiungere effetti di
grande varietà e complessità, ma
lo schema di base è unico. Esso è
costituito da due parti: un vasto
cortile rettangolare a cielo aperto,
con portici e gallerie lungo i lati,
in cui si trova una fontana per le
abluzioni che il fedele deve
compiere prima di rivolgersi a
Dio; una sala coperta, destinata
alla preghiera.
Questa sala, priva di qualsiasi
oggetto di culto, è caratterizzata da
un elemento specifico e
fondamentale: una nicchia,
chiamata mihrab, ricavata nella
parete orientata verso la Mecca,
che indica esattamente la direzione
verso cui il fedele deve rivolgersi.
A destra del mihrab si trova un
pulpito sopraelevato, spesso di
La fontana
per le abluzioni
nella moschea
di Fez, Marocco
Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO
legno, chiamato minbar. Qui,
durante il rito collettivo del
venerdì, l’imam pronuncia la sua
predica rivolgendosi ai fedeli.
La sala di preghiera, soprattutto
nelle moschee più importanti, ha
in genere dimensioni molto
grandi, per accogliere un grande
numero di fedeli, e il suo spazio
può essere straordinariamente
dilatato in altezza grazie a una
grande cupola.
La vastità di questi spazi è
accentuata dalla mancanza quasi
totale di arredi, fatta eccezione per
i tappeti e le stuoie su cui si
prosternano i fedeli e per le
lampade. La proibizione religiosa
di rappresentare sia la figura
divina sia quella umana spiega la
mancanza di statue, affreschi e
mosaici che illustrino il Dio dei
musulmani oppure eventi e scene
della vita di Maometto e degli
uomini santi che con le loro opere
hanno reso grande l’Islam. Anche
da questo punto di vista, la
differenza tra la chiesa cristiana e
la moschea islamica è totale.
Ma non per questo le moschee
sono prive di decorazioni:
pavimenti, pareti e volte sono
spesso ricoperti da un reticolo
decorativo a motivi geometrici e
vegetali, fatto di maioliche dai
colori smaglianti, di stucchi
finemente traforati, di legni
intarsiati.
Le moschee più importanti non
sono soltanto luoghi di culto. Esse
sono spesso collegate a scuole
dove si tiene l’insegnamento del
Corano destinato ai fanciulli.
Talvolta accanto alla moschea
sorge una madrasa (letteralmente
«luogo dove si studia») dove
viene impartito un insegnamento
di livello universitario. Nelle
antiche madrase oltre alla
religione si studiavano anche il
diritto, la filosofia, la medicina,
l’astronomia, la letteratura.
Giardina2_P6_cap30_30 22/03/11 09.52 Pagina 625
stata in precedenza rivelata agli ebrei e ai cristiani, e che questi avevano corrotto. I musulmani, come abbiamo visto, non negavano la validità delle rivelazioni che erano state fatte ai profeti del passato, tra i quali includevano Gesù, ma ritenevano che la rivelazione ricevuta da Maometto fosse la più completa e pura. Nel cristianesimo, inoltre, essi non accettavano il dogma della Trinità, perché lo ritenevano il segno di una tendenza politeistica.
I «cinque pilastri» Ma che cosa voleva, e vuol dire, essere musulmani? Sostanzialmente adempiere a cinque compiti fondamentali, i cosiddetti «cinque pilastri»:
■ la doppia professione di fede («Non c’è altro Dio che Allah e Maometto è il suo profeta»);
■ la preghiera, da recitare cinque volte al giorno al richiamo del muezzin con il viso rivolto verso la Mecca. La preghiera può essere recitata nella moschea oppure in un luogo qualsiasi reso sacro e delimitato da una stuoia o un tappeto. Mentre le preghiere quotidiane vengono recitate anche individualmente, quella del venerdì a mezzogiorno è
collettiva, viene celebrata nella moschea ed è guidata dall’imam (direttore della preghiera), che non è un sacerdote, bensì uno studioso di testi sacri la cui autorità è riconosciuta dalla comunità;
■ l’elemosina legale per l’assistenza ai poveri, pari a un decimo del reddito;
■ il digiuno nel mese di Ramadan, ossia il nono mese dell’anno lunare durante il quale è
proibito mangiare, bere (oggi anche fumare) e avere rapporti sessuali dall’alba al tramonto;
■ il pellegrinaggio alla Mecca, per chi ne ha la possibilità, da compiere almeno una volta nella vita.
I «buoni costumi» Venivano poi i cosiddetti «buoni costumi», stabiliti dal profeta. Tra
questi primeggiava, quasi come una sorta di sesto pilastro, il gihâd, parola araba che significa letteralmente «sforzo, impegno, lotta» e che nel Corano è seguita dalla locuzione «sul cammino di Dio». Il gihâd indica un concetto fondamentale dell’islamismo: la
guerra santa, intesa sia come opera missionaria per la propagazione della fede, sia come
vera e propria lotta armata contro gli infedeli. Nella formulazione dei giuristi musulmani
la legge relativa al gihâd consisteva in uno stato di guerra imposto sia dalla religione, sia
dalla legge, che poteva concludersi solo con la conversione o il soggiogamento di tutta
l’umanità. Era quindi giuridicamente impossibile che venisse firmato un trattato di pace tra l’Islam e un popolo che non fosse musulmano. Il concetto di guerra santa, come
avremo modo di vedere, non era una prerogativa musulmana: esso infatti era condiviso
anche dal cristianesimo.
Altre norme riguardavano aspetti del comportamento (per esempio l’uso del velo
femminile, già adottato nell’Oriente cristiano) e la vita matrimoniale: a una donna
musulmana era proibito sposare un ebreo o un cristiano, mentre a un musulmano era
concesso sposare donne di religione diversa; l’adulterio era punito con la massima severità; la poligamia – limitata però a un massimo di quattro mogli, tutte di pari diritti – era consentita.
muezzin
Dall’arabo mu’adhlin, «colui che
pronuncia l’adhan», l’«invito alla
preghiera». Persona addetta alla
moschea, che dall’alto del minareto
richiama i fedeli alla preghiera
adoperando una formula stabilita,
modulata secondo una cantilena.
GUIDAALLOSTUDIO
1. Da chi fu redatto il Corano?
Secondo quali criteri? 2. Qual è il
contenuto del Corano e della sunna?
3. In cosa consistono i «cinque
pilastri» della fede? 4. Che cos’è il
gihâd?
4 La successione al profeta e le lacerazioni
del mondo islamico
I primi califfi Durante la vita di Maometto l’Islam si era dunque dato un sistema
religioso e dei princìpi di vita. Mancava però ancora uno Stato musulmano e mancava, soprattutto, una definizione della legittimità del potere. Lo si vide chiaramente
subito dopo la morte del profeta, quando la comunità musulmana fu lacerata da duri contrasti per la successione (Maometto non aveva lasciato nessuna indicazione al
riguardo). Dopo molte controversie prevalse infine la decisione di nominare succes30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM
625
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 626
Veduta aerea della città di Kerbala nell’Iraq centrale
Questa città è uno dei più importanti luoghi di pellegrinaggio degli sciiti. Il suo impianto è quello tipico
di molte città islamiche: si notano il dedalo delle vie che s’intersecano e il grande spazio riservato alle
moschee. Non esistono piazze simili a quelle delle città occidentali. I cortili delle moschee fanno parte
dell’edificio religioso e non vi si possono svolgere attività profane.
VITA SOCIALE
DIRITTO
disposte persino al martirio nel
nome dell’Islam.
La vita sociale s’ispirava invece al
principio dell’inferiorità femminile,
sancito addirittura dalla volontà
divina: «Gli uomini sono superiori
La donna islamica
alle donne perché Dio ha prescelto
alcuni esseri sugli altri», recita un
Il paradiso islamico è un giardino celebre versetto del Corano. A
di delizie dove il buon credente
questo principio si adeguava il
trascorrerà la vita ultraterrena tra
diritto musulmano, che traeva la
acque fresche, piante dai frutti
sua principale ispirazione dal Libro
prelibati, fiori profumati, in
sacro. Il Corano raccomanda alle
compagnia di belle fanciulle dagli donne un comportamento riservato
occhi di velluto e dalle labbra di
e pudico, ma non dice che debbano
corallo. Il fascino femminile ha
vivere segregate né che debbano
sempre ispirato i poeti musulmani, portare il velo. Tuttavia, fin dalle
che hanno esplorato tutte le
origini la società islamica si è
sfumature dell’amore che solo le
basata sul principio della
donne sanno suscitare. Non solo il separazione sociale tra i sessi: gli
fascino di creature delicate ma
spazi delle donne, in altre parole,
anche quello di donne virili,
coincidono solo in minima parte
capaci di tener testa agli uomini e con quelli degli uomini. L’esistenza
626
Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO
delle donne islamiche ricorda per
molti aspetti quella di altre società:
abbiamo visto, per esempio, che
anche la condizione delle donne
greche era caratterizzata da forme di
segregazione. Ma la condizione
delle donne musulmane ha anche
molti tratti originali.
Nella vita sociale, l’iniziativa della
donna era soffocata dal fatto che la
legge non le consentiva di agire
autonomamente, ma solo tramite un
tutore di sesso maschile: il padre, il
marito, un parente. La
subordinazione al tutore
condizionava la vita della donna fin
dal momento più importante, la
scelta di un marito.
La donna sposata doveva vivere tra
le pareti domestiche, e
possibilmente nella parte più
interna della casa. Le era consentito
uscire soltanto con il permesso del
marito, anche se si trattava di
recarsi alla moschea. Nella
moschea, per altro, la sua presenza
non era del tutto gradita, perché si
riteneva che distogliesse gli uomini
dalla preghiera. Più si saliva nella
scala sociale, più questi limiti
erano rigidi: le donne del popolo,
costrette a lavorare nei campi o
nelle botteghe, conducevano una
vita più libera, e le case modeste
non disponevano di spazi da
riservare alle donne. La morale
richiedeva che fuori di casa, o nella
stessa casa quando erano presenti
maschi estranei alla ristretta cerchia
familiare, le donne dovessero
velarsi il capo e il volto.
Il marito aveva il diritto di punire la
moglie disubbidiente e poteva
persino ripudiarla. Il ripudio era
l’usanza che più di ogni altra
indeboliva la posizione della donna.
Giardina2_P6_cap30_30 22/03/11 09.51 Pagina 627
sore del profeta (khalifa, califfo, letteralmente «sostituto») Abu Bakr (632-634), uno
dei primi «compagni», nonché suocero di Maometto.
Abu Bakr riuscì a reprimere la secessione di alcune tribù beduine superficialmente islamizzate e desiderose di sottrarsi alla tutela musulmana. Egli lanciò anche
una spedizione verso il nord, oltre i limiti dell’Arabia: nel 634 le
truppe bizantine poste a difesa della Siria furono pesantemente
sconfitte. Ebbe così inizio la grande espansione islamica. Sotto
il califfato di Omar (634-644), anch’egli appartenente alla cerchia dei «compagni» del profeta, gli Arabi strapparono ai Bizantini l’Egitto, la Siria, la Palestina, e ai Persiani la Mesopotamia.
Con la conquista araba, la Palestina, già Terrasanta degli ebrei e
dei cristiani, divenne anche uno dei luoghi sacri della religione
musulmana.
Sotto il successore di Omar, Othman (644-656), si aprì una grave crisi politica, nonostante i successi militari del califfo che conquistò la costa settentrionale dell’Africa fino a Tripoli (647) e sottomise definitivamente l’impero persiano (651). Tutto dipese dalla scelta di Abu Bakr come primo successore di Maometto: essa
aveva infatti emarginato i parenti più stretti del profeta, soprattut-
Maometto e Abū Bakr nella grotta, XVII sec.
[Sächsische Landesbibliothek, Dresda]
Abū Bakr fu uno dei primi seguaci di Maometto già a La Mecca; a Medina
divenne uno dei suoi più importanti consiglieri politici e militari. Poiché sua
figlia Aisha divenne sposa di Maometto, in qualità di suocero del Profeta egli
fu sempre tenuto in alta considerazione e, dopo la morte di quest’ultimo, fu
scelto come primo califfo.
La moglie ripudiata, infatti, veniva
separata dai figli e si ritrovava
spesso in miseria. Non le restava
che vivere a carico della propria
famiglia di origine, che però non
aveva nessun obbligo legale nei
suoi confronti e che l’accoglieva
soltanto come atto di carità.
La disparità tra i sessi era sancita
anche dall’usanza della poligamia:
l’adulterio sia femmile sia
maschile era punito con la
massima severità, ma un marito
poteva avere molte mogli. Il
Corano limita la poligamia a
quattro mogli. Impone però di
amarle e di accudirle tutte
parimenti. Questo obbligava il
marito a garantire a ciascuna
moglie e ai figli un alloggio
separato e ugualmente decoroso.
Gli altissimi costi di una simile
organizzazione hanno sempre
rappresentato un forte freno alla
poligamia.
La condizione femminile che
abbiamo descritto è quella tipica
delle antiche società islamiche,
che hanno trasmesso le loro
usanze alle generazioni
successive. Oggi la condizione
delle donne nel mondo
islamico è molto variegata: in
alcuni paesi permane la
discriminazione tradizionale; in
altri essa si è addirittura
aggravata, assumendo le
forme di una violenta
oppressione; in altri ancora,
le donne hanno invece raggiunto
la parità giuridica rispetto agli
uomini, studiano, lavorano,
sono libere di scegliere. L’Islam,
non dobbiamo dimenticarlo, è
un mondo complesso e
diversificato.
Yahya Al-Wasiti, Marito e moglie si accusano reciprocamente, XIII sec.
[dal Maqaˉmaˉt di al-Hariri, Biblioteca Nazionale, Parigi]
Al tempo di Maometto l’adulterio, considerato un crimine, era punito
con cento colpi di frusta quando era l’uomo a compierlo, con la
lapidazione quando era la donna. La miniatura, che risale al XIII secolo,
raffigura un miglioramento rispetto alla tradizionale disparità sessuale:
l’accusa di adulterio si discute ora davanti a un giudice.
30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM
627
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 628
to il cugino Alì (656-660), che era stato addirittura il primo dei convertiti all’Islam dopo Khadigia. Fu proprio Alì ad animare l’opposizione contro Othman, che sfociò in
una sanguinosa congiura: nel 656 alcuni soldati penetrarono nel palazzo del califfo a
Medina e uccisero Othman mentre stava leggendo il Corano. Alì prese il potere, ma
il suo prestigio risultò ben presto incrinato dal sospetto – che per molti era una certezza – di essere stato il mandante dell’assassinio.
GUIDAALLOSTUDIO
1. Chi era il khalifa? 2. Quali
territori furono conquistati all’Islam
dai primi quattro califfi? 3. Chi
erano gli sciiti e i sunniti?
Sciiti e sunniti L’Islam si spaccò in due fazioni: dalla parte di Alì si schierarono i fedeli di Medina, dall’altra le tribù della Mecca e tutti coloro che non avevano approvato
l’assassinio di Othman. Ebbe così inizio la prima di una lunga serie di guerre che, da allora ai giorni nostri, avrebbero periodicamente lacerato l’Islam. Nel corso del conflitto,
Alì accettò la proposta dei suoi nemici di risolvere la contesa mediante un arbitrato: esso fu sfavorevole al califfo, in quanto stabilì che Othman era stato ucciso ingiustamente, che Alì era il responsabile del delitto e che occorreva di conseguenza nominare un
nuovo califfo. Alì non accettò il verdetto e si ritirò con i suoi seguaci in Iraq, dove fondò
la «fazione di Alì» (shi’a, da cui sciiti); egli venne ucciso l’anno dopo da un sicario di
una setta intransigente e rigorista. Il nuovo califfo Mo’awiya (660-680), che cercò di porre fine alla debolezza cronica del potere centrale istituendo l’ereditarietà del potere califfale, fu riconosciuto dalla maggioranza dei musulmani ortodossi o sunniti, detti così
perché si riconoscevano nella sunna [cfr. 30.3]. Con il nuovo califfo si insediava al vertice dell’Islam la dinastia degli Omayyadi. Da questo momento in poi sunniti e sciiti rappresentarono due grandi correnti del mondo islamico, destinate a segnare la sua storia
fino ai giorni nostri.
5 Gli Omayyadi e la ripresa dell’espansione islamica
Le direttrici della conquista Con l’avvento della dinastia omayyade (661-750), l’Islam riprese la sua prorompente espansione. Il califfo Mo’awiya spostò la capitale a Damasco, in Siria, e da qui prese l’avvio un’iniziativa militare
che, sotto di lui e i suoi immediati successori, si svolse in tre
direzioni principali: Asia Minore e Costantinopoli, Africa e
Spagna, Asia centrale e India.
L’accesso al Mediterraneo dotò gli Arabi di una nuova arma con cui attaccare l’impero bizantino: la flotta. Una grande squadra navale costruita nei cantieri di Tripoli, Tiro, Acri
e Alessandria, e dotata di equipaggi siriani, libanesi e palestinesi, effettuò spedizioni contro Cipro, Creta e Rodi. L’obiettivo principale rimaneva però Costantinopoli. Nel 668669 i musulmani assediarono la capitale bizantina: fu il primo di tanti assalti, da parte di terra e di mare, che si spensero tuttavia contro le imprendibili mura della città cristiana e contro l’organizzazione e le risorse tecnologiche dei Bizantini. Tra queste ultime restò famoso il cosiddetto «fuoco
greco», prodigio bellico dell’epoca, consistente nell’uso in-
Battello a vela nel Golfo Persico
Molto presto gli Arabi dovettero apprendere l’arte della navigazione
per poter sopperire sia alle esigenze delle comunicazioni negli
immensi domini islamici, sia alle esigenze belliche, soprattutto nel
confronto con Bisanzio. La miniatura rappresenta un battello a vela
che attraversa il Golfo Persico e testimonia l’alto grado di
innovazioni tecniche apportate (in particolare si possono notare
nella miniatura il timone e l’ancora).
628
Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 629
cendiario della nafta [cfr. Il fuoco greco, p. 572]. I guerrieri arabi avevano in precedenza inflitto pesanti ridimensionamenti all’impero bizantino, ma non riuscirono a sopraffarlo, come avevano fatto con l’impero persiano.
Ben più consistenti furono i successi degli Arabi in Occidente. Intorno al 670 ebbe inizio la conquista dell’Africa settentrionale. Malgrado le tenaci resistenze dei Berberi (tribù nomadi dell’Africa
settentrionale), nel giro di pochi decenni gli Arabi
occuparono il Maghreb e si spinsero fino alle coste atlantiche. Nel 711, un esercito arabo, rinforzato da contingenti berberi islamizzati, guidato dal
governatore di Tangeri Tariq ibn Ziyad, passò lo
stretto (il promontorio che lo sovrasta prese il nome dal condottiero: Gibilterra viene appunto da
Djebel Tariq: «montagna di Tariq»), e nel giro di
appena cinque anni conquistò tutta la penisola
iberica, abbattendo, con l’aiuto delle popolazioni
locali, il regno visigoto. Alcune avanguardie musulmane, rinforzate da contingenti baschi, oltrepassarono i Pirenei e penetrarono in Gallia, spingendosi fino a Poitiers, dove furono sconfitte dai
Franchi nel 732. Nei secoli successivi il dominio
arabo in Spagna andò progressivamente riducendosi, ma nelle regioni centro-meridionali, che restarono più a lungo nell’orbita islamica, e soprattutto in Andalusia, la presenza araba segnò un periodo di grande fioritura economica e culturale, ancora oggi testimoniato da una splendida architettura.
Il terzo teatro militare musulmano si aprì verso
l’Asia centrale e l’India. Le operazioni belliche islamiche mossero dall’Iran nordorientale e portarono alla conquista dell’Afghanistan e
delle città di Bukhara e Samarcanda, lungo la Via della Seta; a sud esse si spinsero
fino al fiume Indo. All’espansione musulmana verso oriente si frapponeva l’insormontabile ostacolo dell’impero cinese: nel 751 gli eserciti cinesi e quelli arabi si affrontarono nella memorabile battaglia di Talas: i Cinesi furono sconfitti, ma i musulmani avevano ormai esaurito la loro spinta propulsiva, che si perse nelle immense
distese dell’Asia centrale.
Cause del successo islamico Come spiegare questa rapida e prorompente espansione? Secondo alcuni storici, la molla principale sarebbe stata l’entusiasmo religioso,
che avrebbe spinto i guerrieri arabi a diffondere l’Islam ovunque. Altri hanno insistito
sul sovrappopolamento delle comunità arabe e sulla necessità di dare sfogo a esso attraverso la conquista di nuovi spazi. Ambedue queste interpretazioni contengono una
parte di verità, ma è necessario considerare anche altri fattori.
Anzitutto il quadro politico esterno, caratterizzato – come abbiamo visto – dalla estenuante guerra tra Bizantini e Persiani, che prosciugò le risorse umane ed economiche dei contendenti e li rese poco attenti alla crescente minaccia araba. Questa rivalità accanita tra le due principali potenze dello scenario mediorientale
fu sfruttata alla perfezione dall’iniziativa musulmana, che vi si insinuò come un
cuneo.
30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM
Il Taj Mahal di Agra,
in India
L’architettura islamica ha lasciato
testimonianze del suo splendore
in tutte le regioni in cui nel corso
dei secoli si è propagata la civiltà
musulmana. Il capolavoro
dell’arte musulmana in India è
senza dubbio il Taj Mahal, il
celebre mausoleo eretto presso
Agra da un sultano in memoria
della sua sposa, morta nel 1631.
La tomba sorge in un vasto
giardino ed è in marmo bianco
con intarsi di pietre dure;
presenta agli angoli quattro
minareti.
629
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 630
L’ESPANSIONE DELL’ISLAM TRA VII E X SEC.
 In pochi secoli l’Islam costruì
uno dei più grandi imperi che
fossero mai esistiti. Come quello
romano, questo impero era al
tempo stesso una compagine
mediterranea e continentale.
Talas 751
Lago
d’Aral
Buchara 712
M
725
CORSICA Roma
AR
Kabul
CA
S
PIO
Danubio
MAR NERO
Costantinopoli
Tig
r
IMPERO
i
PERSIANO
SARDEGNA
Cordova
Baghdad
IMPERO BIZANTINO Antiochia Eufrate
Granada BALEARI
Jerez 711
Siffin 657
Bassora
SICILIA
Kerbela
Rodi 654 CIPRO
Gibilterra
Cartagine MAR
GOLF
CRETA
Damasco Kufa
MED
O
ITERR
PERS
Kairuan
Tāhūda 683
ICO
ANEO
Gerusalemme
MAGHREB
Alessandria
Tripoli
LIBIA
EGITTO
TR I
Medina
POL
ARABIA
ITAN
IA
Badr 624
Toledo
do
REGNO
DEI
Poitiers 732
FRANCHI
In
OCEANO
ATLANTICO
678
La Mecca
M
AR
OCE
l’Islam nel 632
(morte di Maometto)
dal 632 al 661
(califfato elettivo)
dal 661 al 750
(califfato omayyade)
dal 750 al 945
(califfato abbaside)
Jerez 711 battaglie principali
ANO
IND
IAN
O
Siviglia
RO
SS
O
Nilo
Molte popolazioni dei territori bizantini e persiani, infatti, si arresero facilmente e
accolsero come dei «liberatori» i nuovi padroni; molti fattori giocarono in tal senso: primi fra tutti, la dura oppressione delle minoranze religiose e degli «eretici» messa in atto tanto dai Persiani quanto dai Bizantini, e il peso dei tributi da loro imposti.
Bisogna inoltre considerare il fattore militare, ossia l’alto grado di organizzazione
dell’esercito arabo, i cui generali avevano spesso combattuto come mercenari per gli
imperi bizantino e persiano. Quanto all’entusiasmo religioso, esso era certamente
molto vivo in settori considerevoli del mondo islamico e nel suo ceto dirigente, ma i
guerrieri beduini, che rappresentavano il nucleo più forte e combattivo degli eserciti
arabi, erano anche i meno profondamente toccati dalla nuova religione e avevano una
pratica talvolta molto superficiale dell’Islam. Per loro valevano motivazioni più semplici, che rimandavano al carattere guerriero delle loro tradizioni [cfr. 30.1], che furono abilmente utilizzate dai califfi per cementare l’unità araba intorno alla causa dell’Islam.
L’organizzazione della conquista Nei territori conquistati, gli Arabi, che mancavano di esperienze amministrative collaudate, mantennero spesso al loro posto gli
esperti funzionari bizantini o persiani; questi ultimi furono però messi alle dipendenze, in ogni singola provincia, di governatori musulmani, gli emiri, dotati di poteri civili e militari. Sotto il profilo tributario, l’assetto dei territori annessi fu stabilito in modo differenziato: alle popolazioni che ebbero modo di trattare la loro resa (per esempio in Siria, in Egitto e in parte dell’Iraq) fu imposto un dominio moderato: i vecchi
proprietari terrieri conservarono le loro terre dietro il versamento di un’imposta, mentre le terre appartenenti ai sovrani nemici, ai proprietari fuggitivi o ai soldati morti in
combattimento furono confiscate in quanto bottino di guerra. Un trattamento analogo ebbero tutte le altre terre conquistate con la forza delle armi. I cospicui redditi dei
dominatori venivano integrati dalla decima, pagata dai proprietari musulmani, e dalla
capitazione, una tassa personale pagata (oltre all’imposta fondiaria) dai sudditi non
musulmani. Questi ultimi, assolti i propri obblighi fiscali, erano lasciati liberi di praticare la loro fede.
Tre categorie Con il passare del tempo, la popolazione dei territori sottoposti al dominio musulmano si ritrovò divisa in tre categorie fondamentali: la categoria superiore
630
Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 631
comprendeva i musulmani di Arabia (i cosiddetti «musulmani di origine»), gli unici
che avessero il diritto di militare nell’esercito. In virtù della loro adesione all’Islam fin
dall’inizio e delle loro vittorie militari, essi costituivano una sorta di aristocrazia, composta di grandi proprietari, funzionari, giudici. Veniva poi la categoria dei nuovi musulmani, convertitisi in un’epoca più recente: non potevano militare nell’esercito e di
conseguenza non avevano il diritto di godere dei proventi delle conquiste. Essi si ponevano sotto la protezione di un capotribù musulmano diventandone clienti. Nelle mani
dei convertiti stava la maggior parte delle attività commerciali e artigianali; essi avevano
inoltre incarichi di responsabilità nell’amministrazione. La terza categoria era composta dai sudditi non musulmani; la maggior parte viveva nelle campagne, spesso al servizio dei proprietari musulmani.
6 Dagli Abbasidi alla fine dell’unità politica islamica
Un nuovo corso politico Alla metà dell’VIII secolo, il riemergere di laceranti conflitti interni relativi alla legittimità dei criteri di successione [cfr. 30.4], portò al rovesciamento della dinastia omayyade. Nel 750 Abu al Abbas, zio del profeta, grazie all’appoggio degli sciiti e dei Persiani islamizzati, uccise l’ultimo califfo omayyade e si
impadronì del potere. L’avvento degli Abbasidi (750-945) fu qualcosa di più che un
semplice cambio di dinastia. Questi, infatti, inaugurarono un nuovo corso politico: terminata l’epoca delle grandi conquiste territoriali, si doveva provvedere al consolidamento del potere centrale. Per prima cosa, la capitale venne trasferita da Damasco, in
Siria, a Baghdad, in Iraq, città di nuova fondazione, che presto rivaleggiò con Costantinopoli per grandezza e per splendore dei monumenti: con questa decisione il
Mediterraneo cessava di essere il baricentro economico e politico dell’Islam a vantaggio della Persia. In secondo luogo, gli Abbasidi ridussero drasticamente il potere
dei ceti dirigenti arabi, coinvolgendo nell’amministrazione dell’impero an-
GUIDAALLOSTUDIO
1. Quali furono le direzioni di conquista
dei califfi omayyadi? 2. Quali eserciti
combatterono la battaglia di Talas?
3. Perché gli eserciti arabi riscossero
rapidi successi? 4. Come
amministrarono gli Arabi i territori
sottomessi? 5. In quali categorie era
divisa la popolazione governata dai
musulmani?
 Piatto del periodo abbaside con
raffigurazione di pesce, IX sec.
[Ashmolean Museum University
of Oxford, Oxford]
La ceramica abbaside raggiunse un
altissimo grado di perfezione in
Iraq nel IX secolo, quando, per
imitare la ceramica cinese Tang, si
escogitarono nuove tecniche,
forme e colori. Caratteristici sono i
vasi smaltati a disegni assai
semplici, con decorazione dipinta
in blu cobalto intenso. Altre
ceramiche più tarde sono dipinte
con figure umane o animali, dal
tratto sommario, eseguite in nero,
blu e marrone rossastro, su uno
sfondo incolore.
 La moschea abbaside di Samarra (Iraq)
Samarra, sulla riva orientale del Tigri a circa
cento chilometri da Baghdad, fu la capitale degli
Abbasidi per un breve periodo, dall’835 all’892.
In questo lasso di tempo Samarra divenne una
delle città più sontuose del mondo islamico; la
moschea che vi fu costruita, oggi in buona parte
distrutta da un attentato, era la più grande del
mondo. Dell’antica città sopravvivono oggi solo
le mura perimetrali e il gigantesco minareto
spiraliforme, detto malwiyya.
30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM
631
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 632
ECONOMIA
AMBIENTE
circostanze particolari. Tutte le città
islamiche erano però accomunate
da alcuni elementi fondamentali.
Anzitutto la Grande Moschea, dove
la collettività si raccoglieva per la
preghiera del venerdì. Situata
La città islamica
sempre al centro della città (la
medina degli Arabi), questa
moschea simbolizzava la società
Alle origini della storia dell’Islam
islamica in quanto comunità di
troviamo la vitalità delle genti
credenti uniti da vincoli e da
nomadi della penisola araba. Ma
solidarietà religiose.
quando le tribù che furono
A questo edificio si affiancava
protagoniste della prima e
solitamente una scuola
folgorante espansione islamica
d’insegnamento coranico
entrarono nelle maestose città del
Vicino Oriente – eredi di una civiltà (madrasa), con gli alloggi per gli
studenti. Ma la Grande Moschea
millenaria, dove erano confluite
tradizioni persiane, greche, romane non era soltanto un luogo di culto:
qui si svolgevano anche cerimonie
e bizantine – le loro abitudini
solenni della vita pubblica, come la
cambiarono radicalmente.
Le tradizioni nomadiche sarebbero proclamazione del califfo, e
venivano letti i proclami delle
rimaste sempre molto forti nel
autorità.
mondo islamico, ma nei territori
La politica, la giustizia e le finanze
conquistati l’Islam diventò a sua
si concentravano però nel Palazzo,
volta una civiltà urbana ed ebbe
dove risiedeva il califfo o il
nella città il centro vitale della
governatore. Per la sua
propria economia e della propria
cultura. Tra l’VIII e l’XI secolo tutto collocazione in un luogo elevato e
il mondo islamizzato – dall’Iran alla strategico, per le sue dimensioni,
Mesopotamia, dalla Siria all’Egitto, per le sue mura alte e forti, il
Palazzo dominava la città,
dalla Tunisia al Marocco, dalla
Spagna alla Sicilia – conobbe una
prodigiosa fioritura urbana. Abitati
già esistenti furono colonizzati e
rimodellati con nuovi caratteri, ma
moltissime furono anche le nuove
fondazioni: Kufa, Basra, Baghdad in
Iraq, Il Cairo in Egitto, Fez in
Marocco, sono solo alcune tra le
prime e più famose città fondate
dagli Arabi musulmani.
La forma e il carattere delle singole
città dipendevano dalle situazioni
ambientali (clima, morfologia,
ecc.), dalle caratteristiche delle
città preesistenti e da tante altre
Il mercato delle verdure
di Rissani, Marocco
Nelle città islamiche i prodotti
alimentari e le stoffe sono venduti
nelle botteghe del suq, oppure
all’aperto.
632
Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO
ribadendo il ruolo centrale del
califfo (della sua persona o
dell’autorità che lo rappresentava),
guida e riferimento della comunità
dei credenti.
Altro elemento immancabile nelle
città islamiche era il mercato (suq
in arabo, bazar in persiano),
autentico nucleo pulsante della
vita economica. Esso era un
insieme di botteghe commerciali e
artigianali – da poche centinaia a
molte migliaia secondo
l’importanza della città –
normalmente molto piccole,
raggruppate secondo le tipologie
di merci vendute: gioielli,
vasellame di terracotta, manufatti
di metallo, tessuti, cordami, cuoi,
carni, spezie, e così via. Le
botteghe potevano disporsi lungo
le strade di un quartiere, oppure al
coperto, all’interno di complessi
architettonici talvolta grandiosi. I
bagni pubblici, ereditati dalla
tradizione romana delle terme, si
trovavano dappertutto e
costituivano un altro elemento
caratteristico delle città islamiche.
Intorno ai poli costituiti dalla
Grande Moschea, dal Palazzo e dal
mercato, si sviluppavano i
quartieri abitativi. In ciascun
quartiere tendevano a riunirsi gli
appartenenti a uno stesso gruppo
etnico, religioso e talvolta
economico. I quartieri occupati
dagli Arabi si distinguevano
comunque da quelli abitati dalla
popolazione locale convertitasi
all’Islam, e da quelli delle
minoranze religiose, come i
cristiani e gli ebrei. I quartieri
tendevano a disporsi a raggiera,
come tanti spicchi separati da
alcune strade principali
convergenti verso il centro
dell’abitato.
Agli occidentali che le visitavano,
le città islamiche apparivano
caotiche e inquietanti, e ancora
oggi molti turisti provano la stessa
impressione. A loro volta, i
musulmani che arrivavano in una
città cristiana avvertivano un acuto
disagio e non vedevano l’ora di
andarsene. Per i loro abitanti, le
città islamiche rappresentavano un
universo ordinato e rassicurante,
che esprimeva perfettamente le
esigenze e i valori della comunità
cui appartenevano.
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 633
LA FRAMMENTAZIONE DELL’ISLAM
OCEANO
ATLANTICO
Lago
d’Aral
M
REGNO DEI
FRANCHI
AR
Samarcanda
S
CA
PI
O
MAR NERO
Omayyadi
Tahiridi
Costantinopoli
Cordova
Kabul
IMPERO BIZANTINO
ri
Tig
te
fra
Eu
idi
Fez
m
Idrisiti
sta
Ru
LF
OP
ERS
ICO
Il Cairo
Tulunidi
N
Medina
La Mecca
O
Dinastie che prendono il potere
all’interno del governo abbaside
Califfato abbaside
SS
RO
ilo
AR
M
Aghlabiti
Saffaridi
Damasco
GO
Aghlabiti
Samanidi
Baghdad
MAR MEDITERRANEO
Tripoli
 La cartina mostra il processo
di frammentazione politica e
territoriale che interessò il
mondo islamico nel corso dei
secoli IX-X.
OCEANO
INDIANO
che i musulmani di origine non araba, dando così vita ad una compagine multietnica
e cosmopolita. Essi inoltre rafforzarono il potere centrale mediante la creazione di un
rigido apparato burocratico controllato dal wazir, o visir, capo dell’amministrazione.
L’apogeo della civiltà araba Sotto il califfato abbaside la civiltà araba raggiunse il
suo apogeo: la lingua araba divenne il principale mezzo di comunicazione tra i popoli dell’impero, oltre che la lingua ufficiale della religione e della cultura. Quest’ultima
conobbe una piena fioritura in tutti i campi del sapere: da quello letterario – a questo
periodo risalgono le storie delle Mille e una notte – a
quello scientifico e artistico. La posizione geografica
della nuova capitale, infatti, favorì il contatto tra le tradizioni e le culture ellenica, iranica e indiana, che si
influenzarono e alimentarono l’una con l’altra. Dobbiamo infatti a intellettuali di lingua araba, e in particolare ad Avicenna (X secolo) e Averroè (XII secolo),
la trasmissione all’Occidente latino e cristiano della
filosofia greca (soprattutto Aristotele e Platone), nonché della medicina (Ippocrate e Galeno) e della matematica (Euclide). Anche le attività economiche conobbero un periodo di prosperità, come documentato dall’ampia circolazione di monete in oro, dall’incremento della produzione artigianale e del commercio, dalla nascita di nuovi centri di consumo e di
scambio.
 Yahya al-Wasiti, Una biblioteca
araba, XIII sec.
[dal Maqāmāt di al-Hariri, Biblioteca
Nazionale, Parigi]
L’immagine, che raffigura una
scena di lettura e insegnamento
all’interno di una biblioteca
pubblica, con i volumi ben
ordinati in scaffali, dà un vivace
quadro della vita culturale araba.
Già nel X secolo la biblioteca
principale di Cordova, nella
Spagna musulmana, conteneva
quasi 400.000 libri (circa uno per
ogni abitante della città), mentre
nei monasteri cristiani più ricchi i
libri si contavano appena a
dozzine.
La frammentazione del califfato Dalla seconda
metà del IX e durante il X secolo, il califfato andò incontro ad una progressiva disgregazione. La moltiplicazione degli uffici determinò un aumento del
potere dei visir, i quali formarono clientele potentissime che minarono la compattezza interna dell’impero; contestualmente, motivazioni di carattere etnico e religioso determinarono l’insorgere di spinte
autonomistiche nelle province, dando impulso alla
creazione di piccole compagini territoriali autono-
30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM
633
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 634
ECONOMIA
AMBIENTE
La cucina araba
Nel distinguere minuziosamente
ciò che per i musulmani è lecito o
illecito, il Corano si occupa anche
dell’alimentazione. I divieti più
importanti derivano dalle antiche
tradizioni semitiche e in
particolare da quella ebraica: è
proibito consumare carne di
maiale; inoltre, la carne degli altri
animali può essere consumata
solo se halal, ossia se sono stati
macellati secondo la norma, che
prevede il totale dissanguamento.
Vietato è anche il vino, e vietate
tutte le bevande fermentate, che
provocano ebbrezza. Questa
proibizione non risulta formulata
in modo esplicito nel Corano, ma
secondo alcuni trovava
fondamento in un episodio della
vita di Maometto. Si raccontava
infatti che il Profeta fosse rimasto
turbato dall’indegno spettacolo di
alcuni fedeli ubriachi che
recitavano erroneamente il Libro
sacro. Sembra tuttavia che questa
osservanza non fosse strettissima:
sappiamo infatti di grandi califfi e
di individui dall’ottima reputazione
che indulgevano nel bere. Dove
non c’erano vigneti, le bevande
alcoliche si ricavavano dai cereali,
dalla canna da zucchero e da
un’infinità di frutti, come i datteri, i
fichi, le albicocche, le ciliegie.
Il pasto principale, in genere
quello serale, si consumava in
compagnia, seduti a gambe
incrociate su stuoie e cuscini o
accovacciati sui talloni, attingendo
da un piatto comune. Si mangiava
con le mani, o meglio usando tre
dita della mano destra,
precedentemente purificata,
sempre secondo il modello di
Maometto. L’unica posata era il
cucchiaio, necessario per le zuppe
634
– di carne, di verdure, di cereali –
che abbondavano
nell’alimentazione islamica.
Quella che viene chiamata
comunemente «cucina araba»
nacque dall’incontro tra le usanze
alimentari tipiche delle tribù
nomadi e le tradizioni alimentari
dei paesi conquistati. Data la
grandissima estensione del mondo
islamico e il numero delle culture
che esso assorbì, è discutibile
parlare in generale di cucina
araba. Ricorrono però in quasi
tutto il mondo musulmano alcuni
ingredienti caratteristici e alcune
pietanze tipiche, che in molti casi
si sono trasmessi con piccole
modifiche dal Medioevo a oggi.
L’elemento centrale del pasto era
la carne grassa e saporita del
montone. Molti erano i modi di
cucinarla: bollita a lungo fino a
sfaldarla in teneri frammenti,
oppure fritta nel grasso, più
raramente arrostita; la carne di
montone poteva essere inoltre
addolcita con il miele o con lo
zucchero, marinata con ingredienti
acidi come lo yoghurt e il succo
degli agrumi, oppure con l’aceto.
Nella cucina di genti che dovevano
parte della loro fortuna alle
carovane e ai cammelli, non
potevano ovviamente mancare le
spezie. In ogni ricetta entravano
aromi diversi, mischiati e dosati
con arte, che esaltavano i sapori e
i colori delle vivande. Pepe,
Yahya al-Wasiti, Scena di pranzo,
XIII sec.
[dal Maqaˉmaˉt di al-Hariri, Biblioteca
Nazionale, Parigi]
Nelle società islamiche tradizionali
vi è la consuetudine di consumare
i pasti seduti su tappeti, attorno a
tavoli molto bassi. In genere,
all’inizio e al termine del pasto si
ringrazia Dio per il cibo, che viene
così sacralizzato.
Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO
cumino, cannella, zafferano e altre
spezie più rare e preziose, erano
tuttavia alla portata soltanto dei
ricchi.
Il gusto agrodolce è uno degli
elementi caratteristici della
tradizione culinaria islamica, e si
ritrova ancora oggi nella cucina di
quei paesi europei, come la Sicilia
e la Spagna, dove l’influsso arabo
è stato più forte.
Solo chi aveva denaro poteva
permettersi il pane bianco, leggero
e fragrante, mentre la gente
comune doveva accontentarsi di
pane scuro e grossolano, ricavato
da farina d’orzo, di sorgo, di
miglio e persino dai semi dell’uva
e dalle ghiande.
Poco presenti nella dieta delle
tribù nomadi, le verdure avevano
invece un posto importante
nell’alimentazione dei musulmani
sedentari. Spinaci, cavoli e
cavolfiori, porri e cipolle, carote e
asparagi, rape e zucche erano
largamente impiegati in cucina, ma
il posto d’onore spettava senz’altro
alla melanzana, il cui consumo si
diffuse rapidamente anche
sull’altra sponda del Mediterraneo.
La frutta fresca, e molti tipi di
frutta secca (uva, albicocche,
mandorle, nocciole) entravano
come ingredienti importanti nei
dolci, altra grande passione
dell’Islam. I viaggiatori europei
che giungevano nei paesi arabi
restavano incantati dalla varietà e
dalla raffinatezza dei loro dolciumi.
Molto tempo prima che in Europa
apparissero i gelati, i ricchi
musulmani gustavano squisiti
sorbetti di frutta, fabbricati con il
ghiaccio prelevato in alta
montagna.
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 635
me (Spagna, Maghreb, Egitto, Yemen, ecc.). È il caso dell’emirato di Cordova, governato da un ramo superstite omayyade, che in questo periodo consolidò la sua presenza in Andalusia e inaugurò una politica espansionistica, sia ai danni dei cristiani
del Nord, sia dei Berberi del Maghreb. Nello stesso quadro si inserisce l’iniziativa degli Aghlabiti in Nord-Africa, cui gli Abbasidi riconobbero nell’801 il potere sull’emirato di Kairuan (Tunisia).
Il Mediterraneo saraceno Sotto gli Aghlabiti, bande di Saraceni (dall’arabo sharqiyn,
termine con cui si indicavano le tribù nomadi del Sinai) islamizzati, approfittando
della debolezza dei Bizantini in Sicilia, nell’827 intrapresero la conquista dell’isola,
che fu completata nel 902. Per la sua collocazione geografica e per le sue risorse, l’isola aveva da sempre un ruolo strategico fondamentale negli equilibri mediterranei.
Sotto il dominio islamico essa ebbe una grande fioritura: i Saraceni vi introdussero
nuove colture, come quelle degli aranci, dei mandarini e dei limoni, vi costruirono
infrastrutture moderne (soprattutto nell’irrigazione) e splendidi edifici, che fondevano in una mirabile armonia il gusto islamico con le tradizioni artistiche locali. Fu
allora che Palermo divenne il centro più importante dell’isola e insieme una delle
città più ricche e colte dell’epoca.
I Saraceni non limitarono la loro iniziativa militare alla Sicilia. Mossero anche contro i territori bizantini dell’Italia meridionale e occuparono Taranto e Bari, dove sorsero due emirati. Le loro scorrerie li portarono anche verso Roma, che fu saccheggiata nell’846. Nell’890 essi riuscirono a insediarsi a Frassineto, nel cuore della Provenza, dove rimasero per circa un secolo, utilizzando questa postazione per effettuare in-
 S. Giovanni degli Eremiti,
Palermo, prima metà del XII sec.
 La moschea di Cordova, interno
Durante il dominio arabo la Spagna e la Sicilia conobbero un periodo di grande
splendore economico e artistico. L’influsso arabo-islamico si protrasse nel tempo
indipendentemente dalle vicende della storia politica e militare. In queste due
immagini vediamo: il chiostro della chiesa di S. Giovanni degli Eremiti, a
Palermo, eretta in età normanna ma di evidente gusto architettonico arabo, e
l’interno della moschea di Cordova, la più grande dopo la Kaaba della Mecca,
caratterizzato da una vera e propria foresta di colonne (se ne contano 1293) che
presentano archi a ferro di cavallo tipicamente musulmani.
30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM
635
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 636
ECONOMIA
AMBIENTE
meno delicati di quelli
spesso di foglie di palma
e che deve essere accudito
dell’ecosistema. Tutto dipende
intrecciate. Accumulandosi su
dall’uomo in modo meticoloso e
continuo. Attraverso un’esperienza dall’imparzialità e dalla correttezza queste barriere, la sabbia forma
con cui l’acqua viene assegnata ai catene di dune sempre più alte,
maturata nel corso dei millenni,
che proteggono l’oasi come argini.
l’uomo ha introdotto le piante più singoli coltivatori: nessuno deve
avere più di quanto gli è dovuto, e Piccole come un giardino o grandi
adatte a quell’ambiente, a
L’oasi
come una città, le oasi hanno reso
cominciare dalla palma, che con il a ogni proprietario spetta una
determinata quota d’acqua. Le
possibile nei deserti sia la vita
suo sviluppo in altezza e il suo
quote
possono
essere
vendute,
sedentaria sia quella nomade.
fitto
fogliame
costituisce
Un deserto infuocato, dune di
comprate,
trasmesse
in
eredità,
Esse, infatti, non sono state
l’ombrello
di
protezione
sotto
il
sabbia fino all’orizzonte e
possono
frammentarsi
o
soltanto uno spazio abitato da
quale
possono
essere
coltivati
gli
all’improvviso un ciuffo di palme e
aumentare,
ma
nessuno
può
coltivatori stanziali, ma anche
alberi
da
frutta
e
gli
ortaggi.
una pozza d’acqua fresca. L’oasi
modificarle
a
proprio
arbitrio.
punti di sosta e di rifornimento per
Sotto
le
fronde
dei
palmizi
il
suolo
sembra quasi un incantesimo, uno
L’individuo
più
autorevole
della
le carovane, e luoghi di scambio
viene
suddiviso
in
parcelle,
spontaneo e miracoloso dono della
delle merci. Molte di esse sono
coltivate
come
le
aiuole
di
un
comunità
era
il
«maestro
natura. E invece anche l’oasi è
state costruite lungo le vie
giardino
e
separate
da
muretti
di
dell’acqua»,
colui
che
governava
spesso una costruzione dell’uomo,
carovaniere, a distanze tali da
mattoni
crudi
seccati
al
sole.
Le
la
distribuzione
tutelando
i
diritti
un prodotto della sua fatica e della
di
ciascuno.
Questi
maestri
corrispondere alle esigenze dei
case
dei
contadini,
anch’esse
di
sua tenacia, non meno artificiale di
detenevano
un
sapere
antico,
che
viaggiatori.
mattoni
crudi,
si
dispongono
ai
un ponte o di un palazzo.
consentiva,
mediante
tecniche
In tutte le aree desertiche le oasi
margini
delle
coltivazioni,
A prima vista, il deserto sembra
sono oggi in pericolo. Queste
speciali,
di
misurare
rapidamente
agglomerate
o
in
ordine
sparso.
escludere la presenza di acqua: le
isole di verde nel deserto
la
quantità
d’acqua
immessa
nei
Nell’economia
dell’oasi,
l’acqua
è
il
piogge sono quasi inesistenti e
scompaiono perché i loro abitanti
vari
canali.
bene
più
prezioso
e
viene
non ci sono corsi d’acqua perenni.
emigrano verso le città e perché le
L’oasi
è
costantemente
minacciata
distribuito
con
estrema
parsimonia.
Eppure anche il deserto ha la sua
carovane di cammelli cedono il
dal
vento
e
dalla
sabbia.
Per
I
tunnel
la
convogliano
in
un
acqua: basta saperla cercare e
posto alle carovane di camion. È
evitare
la
sua
morte,
gli
uomini
bacino,
dal
quale
confluisce
in
portarla in superficie. Fin da tempi
un processo inarrestabile e per
costruiscono
e
ricostruiscono
piccoli
canali
che
la
portano
alle
antichissimi, i gruppi umani che
bloccarlo non esistono rimedi
incessantemente
intorno
a
essa
varie
cellule
coltivate.
La
comunità
frequentano il deserto hanno
validi.
delle
barriere
artificiali,
fatte
che
abita
nell’oasi
ha
equilibri
non
escogitato a questo scopo metodi
diversi e ingegnosi.
In rari casi bastava scavare un
L’oasi di Hadj Guelman
semplice pozzo. Ma se si voleva
Quest’oasi si trova nel deserto del Sahara lungo i confini libici e algerini. Nell’immagine si possono notare i
portare l’acqua in una zona che ne recinti posti a barriera contro la sabbia e le case in mattone costruite a ridosso della vegetazione. Nel deserto
era sprovvista, e se si voleva
del Sahara la coltivazione all’interno delle oasi è ancora più ardua e impegnativa che altrove a causa delle
particolarità climatiche che caratterizzano questa vastissima zona dell’Africa: piove molto poco, le temperature
garantire a quella zona un
sono altissime di giorno (fino a 50°) e molto basse di notte, e sono assai frequenti le tempeste di polvere e
rifornimento idrico copioso e
sabbia determinate dalla forte ventosità.
costante, era necessario ricorrere a
tecniche ben più complesse.
Spesso venivano scavati lunghi
tunnel sotterranei, che sfruttando
la pendenza del suolo
convogliavano verso l’oasi l’acqua
accumulatasi in cavità anche molto
lontane dal luogo di destinazione.
Grazie a questi tunnel, che si
estendono talvolta per centinaia e
centinaia di chilometri, era
possibile creare un giardino dove
prima c’era soltanto sabbia.
Ma l’acqua è soltanto il primo
requisito per la creazione di
un’oasi. Questa è infatti un
ecosistema complesso, che si
basa sull’alleanza tra le varie
specie vegetali e i microrganismi,
636
Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 637
cursioni nelle valli alpine e nel Piemonte. In quei decenni, il terrore dei Saraceni si
diffuse in quasi tutta la penisola: essi giungevano all’improvviso sulle loro navi veloci,
saccheggiavano i porti, penetravano nell’entroterra e assalivano le fattorie, i villaggi, i
monasteri (celebri i saccheggi di Montecassino e Farfa). Gli abitanti che cadevano
nelle loro mani finivano in schiavitù.
I Turchi selgiuchidi Il califfato abbaside ricevette il colpo di grazia nel corso dell’XI
secolo, quando tribù di Turchi selgiuchidi, genti originarie delle steppe asiatiche convertitesi all’Islam, penetrarono nell’impero e furono accolte nell’esercito come mercenari, acquisendo sempre maggiore potere al punto da proclamarsi protettori del califfato abbaside. La dinastia abbaside, tuttavia, mantenne formalmente il potere fino al 1258,
anno in cui Baghdad fu espugnata dai Mongoli.
GUIDAALLOSTUDIO
1. Quali riforme furono introdotte dai
califfi abbasidi? 2. Chi furono
Avicenna e Averroè? 3. Gli emiri
erano autonomi dal califfo?
4. Sottolinea sul testo le località
italiane conquistate o attaccate dai
Saraceni.
7 Le città e le oasi
Da nomadi a sedentari Nei paragrafi precedenti abbiamo visto come in breve tempo gli Arabi, la cui cultura apparteneva alle grandi tradizioni nomadiche della penisola arabica, si trovarono a dominare vasti territori caratterizzati da un’antichissima civiltà urbana. Essi non rifiutarono questa civiltà, ma vi s’inserirono e la trasformarono,
aprendo una nuova epoca nella storia dell’urbanesimo.
Le città islamiche erano centri religiosi, politici, culturali ed economici. Elementi
architettonici tipici della tradizione romana, come le terme pubbliche, convivevano
con edifici nuovi come le moschee. La piazza centrale, tipica della città greca e romana, perse importanza, ma si ricrearono nuovi spazi di aggregazione. Il tradizionale
impianto della casa romana con atrio centrale permaneva in quello della casa araba,
che tuttavia era organizzata in modo tale da separare gli spazi maschili da quelli femminili. In obbedienza a un precetto coranico, le decorazioni delle case e degli edifici
pubblici abbandonarono le raffigurazioni del corpo umano e si sbizzarrirono nei motivi geometrici, vegetali e animali.
Grazie alla disponibilità d’acqua e alla presenza dei bagni pubblici, la popolazione
urbana viveva mediamente in condizioni igieniche superiori a quelle delle città cristiane.
ON LINE
APPROFONDIMENTI
La casa islamica
CAUSE DEL SUCCESSO ISLAMICO
Debolezza bizantina
e persiana
Entusiasmo
religioso
contro: l’oppressione di
minoranze religiose
Appoggio delle
popolazioni locali
Sovrappopolamento
delle comunità
arabe
contro:
l’oppressione fiscale
SUCCESSO
ISLAMICO
Efficiente
organizzazione
militare
Sostanziale
rispetto della
proprietà privata
Moderata
imposizione
fiscale
Tolleranza
religiosa
Mantenimento
dell’amministrazione
locale
30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM
637
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 638
Un bagno dell’Alhambra, Granada
L’Alhambra (dall’arabo Qal’ah al-hamraˉ’, «fortezza rossa») è un
recinto fortificato situato su una collina, protetta dalle imponenti
vette della Sierra Nevada, in una posizione che domina la città
di Granada. Costruita dagli Arabi durante la dominazione
islamica attorno al 1100, l’Alhambra ha subìto diverse
trasformazioni nel corso dei secoli, a seconda delle dinastie
regnanti. È costituita fondamentalmente da tre aree distinte: la
Alcazaba (la fortezza), che aveva funzioni difensive; i Palazzi
Nasridi, con le lussuose dimore dei sultani; il Generalife, l’area
dedicata alla produzione ortofrutticola e al pascolo per i
consumi della città.
Come sempre, le città furono le maggiori produttrici di cultura. La scienza araba fu per alcuni
secoli la più progredita del mondo: mentre nell’Occidente cristiano le opere degli scienziati greci
non venivano più lette, nel mondo islamico esse
venivano tradotte e studiate, e in molti casi fu solo
grazie all’iniziativa degli studiosi arabi che esse non
andarono perdute per sempre. Non si trattava soltanto della conservazione di un sapere, perché le
conquiste della scienza greca furono la base di nuovi progressi, soprattutto nel campo dell’algebra e
della geometria. Dall’Islam, che l’aveva importata
dall’India, si propagò la numerazione araba, che
sostituì progressivamente la farraginosa numerazione romana.
GUIDAALLOSTUDIO
1. I musulmani introdussero le
terme nelle città? 2. Quali sono le
origini della numerazione che a
tutt’oggi adoperiamo? 3. L’Islam
danneggiò l’economia del
Mediterraneo?
638
Economia Le conquiste islamiche unificarono anche sotto il profilo economico territori in precedenza divisi e frammentati. Dalla Spagna all’India, una fitta rete di vie
commerciali consentì un intenso movimento di merci e di persone. Le strade tradizionali, che ripetevano gli antichi percorsi delle arterie romane e ne utilizzavano ancora in gran parte le infrastrutture, s’integrarono con le vie carovaniere punteggiate dalle oasi e percorse dai dromedari e dai cammelli.
Le rotte marittime si connettevano a questi circuiti grazie alla disponibilità di una
buona marina mercantile, protetta da una flotta da guerra in grado di rivaleggiare con
quella bizantina. Gli intensi contatti con il Sudan, ricco di miniere d’oro, rese possibile la coniazione di monete d’oro, che aggiungendosi a quelle d’argento rafforzarono il ruolo dell’economia monetaria nell’area islamica. Pur se parzialmente ridimensionata, questa rete di traffici e di collegamenti rimase attiva anche quando venne meno l’unità politica dell’Islam che era stata in precedenza garantita dal califfato
abbaside.
Anche nel settore dell’agricoltura, l’economia araba unì tradizione e innovazione.
Se si esclude la viticoltura, ridimensionata dal divieto religioso di bere bevande alcoliche, i musulmani mantennero in vita tutte le tradizionali colture mediterranee. Ma
prospettive nuove e vantaggiose furono aperte dalle coltivazioni degli agrumi e dello
zucchero, che con il tempo avrebbero rivoluzionato anche i gusti dell’Occidente. Per
la prima volta gli Europei seppero che cos’erano le albicocche, le arance, i limoni, i
mandarini e le melanzane.
Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO
Giardina2_P6_cap30_30 16/03/11 12.36 Pagina 639
NASCITA ED
ESPANSIONE
DELL’ISLAM
SINTESI
1 L’Arabia preislamica
coesione anche militare,
avviando una prima fase di
espansione coronata dal
Tra VI e VII secolo, mentre
trionfale ritorno alla Mecca,
Persiani e Bizantini sono
dichiarata città santa dei
impegnati in un conflitto
permanente, emerge una nuova musulmani. Maometto muore
potenza destinata a minacciare i nel 632.
loro tentativi di supremazia sul
Medio Oriente. Lo scenario in
3
cui si sviluppa il nuovo, grande I fondamenti della fede
impero è la penisola arabica.
Dopo la morte di Maometto
L’Arabia preislamica è divisa tra viene redatto il libro sacro
una zona fertile e ricca d’acqua, dell’Islam, il Corano, in cui i
con un’intensa vita urbana e
fedeli trovano le prescrizioni e i
commerciale, ed enormi distese comandamenti del profeta,
desertiche solcate dai Beduini,
mentre le tradizioni relative al
bellicose tribù nomadi che
comportamento del Profeta
vivono di allevamento,
rispetto a problemi particolari
commercio carovaniero e
sono nella Sunna. Oltre ai
razzie. Molto diffusi sono i culti cinque pilastri della fede
politeistici; il principale centro
(professare il monoteismo,
religioso della penisola arabica è pregare, pagare l’elemosina,
la Mecca, situata al crocevia
digiunare nel mese di Ramadan
di importanti traffici
e compiere almeno una volta
commerciali, e luogo di
nella vita il pellegrinaggio alla
venerazione, tra l’altro, della
Mecca) il profeta stabilisce
Pietra Nera custodita nella
l’osservanza dei cosiddetti
Kaaba.
«buoni costumi», primo fra tutti
il gihâd (la guerra santa), che
impegna i devoti a combattere
2 Nascita di una religione contro pagani e infedeli.
Dopo la rivelazione (610),
Maometto, rimodellando alcuni
elementi della tradizione
giudaica e cristiana, si dedica a
una predicazione dai contenuti
semplici: l’invito ad adorare
Allah come unico dio e a
sottomettersi (Islam) alla sua
autorità, il giudizio finale,
l’aiuto ai poveri. Tale
predicazione viene accolta
soprattutto dai ceti meno
abbienti, ma osteggiata dalla
maggioranza dei capi tribali, che
iniziano le persecuzioni dei
musulmani. Maometto, quindi,
è costretto alla fuga dalla Mecca
(622, ègira) e all’esilio a
Medina. Qui il profeta definisce
il rapporto della nuova fede col
giudaismo e la nascente
comunità musulmana acquista
4 La successione
al profeta e le lacerazioni
del mondo islamico
Alla morte del profeta si
verificano contrasti per la
successione, infine risolti con la
nomina a califfo di Abu Bakr,
che dà inizio all’espansione
islamica. Sotto il suo successore,
Omar, gli Arabi strappano
l’Egitto, la Siria, la Palestina a
Bisanzio, e la Mesopotamia
all’impero persiano. Sotto il
califfo Othman, cui si deve la
conquista dell’Africa
settentrionale e la sottomissione
dell’impero persiano, hanno
luogo una serie di conflitti
politici legati alla successione
che sfociano in una divisione
alla frammentazione del mondo
islamico. La dinastia omayyade
viene spodestata dagli Abbasidi,
che spostano la capitale da
Damasco a Baghdad. È questa
l’epoca d’oro della cultura
araba, che fa proprie,
reinterpretandole, le tradizioni
5 Gli Omayyadi
culturali orientale e greca.
e la ripresa
Nel tempo, tuttavia, gli
dell’espansione islamica
Abbasidi perdono il controllo
Con il nuovo califfo Mo’awiya, si degli emirati di Marocco,
insediano al potere gli Omayyadi Tunisia, Egitto, Spagna, mentre
l’emirato di Cordova si espande
che guidano la ripresa
a nord e gruppi di Saraceni
dell’espansione araba. Allestita
una potente flotta, i musulmani provenienti dal Sinai
conquistano la Sicilia e avviano
attaccano l’impero bizantino,
scorrerie nei territori bizantini
giungendo anche ad assediare
dell’Italia meridionale e in tutto
Costantinopoli, ma senza
riuscire a piegarlo. A Occidente, il Mediterraneo. La dinastia
abbaside regna fino al 1258,
invece, conquistano le coste
quando Baghdad viene
atlantiche del Nord Africa e la
espugnata dai Mongoli.
penisola iberica, ma vengono
fermati dai Franchi a Poitiers
(732). A Oriente, gli Arabi
7 Le città e le oasi
giungono fino all’India, ma
vengono frenati dai Cinesi. Alla Le città islamiche sono centri
base dell’espansione islamica vi
religiosi, politici, culturali,
sono: l’entusiasmo religioso;
economici, nei quali convivono
un’efficiente organizzazione
elementi tipici della città
militare; la debolezza degli
romana, come le terme, con
imperi bizantino e persiano; la
edifici nuovi come le moschee.
collaborazione delle popolazioni I bagni pubblici sono molto
soggette, stanche
diffusi e quindi le condizioni
dell’oppressione bizantina e
igieniche sono superiori a
persiana.
quelle delle città cristiane. Le
Nei territori conquistati,
città sono anche grandi
organizzati in province governate produttrici di cultura: la scienza
da emiri, i musulmani esercitano araba è una delle più
il dominio in forme moderate.
progredite del mondo, e
La società, intanto, si stratifica in all’Islam si deve anche
diversi livelli (musulmani di
l’introduzione in Occidente
origine, nuovi musulmani e
della numerazione araba. Le
sudditi non musulmani), la cui
conquiste islamiche permettono
gerarchia è fortemente
la ricostituzione delle antiche
condizionata dal fattore religioso. rotte commerciali, che
collegavano il Nord Africa con
6 Dagli Abbasidi alla fine l’India e con il Sudan, ricco di
d’oro. Inoltre, in
dell’unità politica islamica miniere
seguito alle conquiste, accanto
alle antiche colture agricole, ne
A partire dalla metà dell’VIII
vengono introdotte di nuove,
secolo le divisioni interne –
dinastiche e religiose – portano insieme a nuove piante.
religiosa. Il cugino di Maometto,
Alì, eliminato Othman, crea uno
scisma, dando vita alla setta degli
sciiti in opposizione ai sunniti, la
maggioranza dei musulmani
ortodossi.
30 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ISLAM
639
Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 646
L’IMPERO
CAROLINGIO
1 Le origini del regno franco
Il battesimo del re Clodoveo,
XV sec.
La miniatura quattrocentesca
raffigura il re Clodoveo immerso
nel fonte battesimale: l’antico rito
prevedeva infatti l’immersione
totale del battezzando.
Nell’immagine è disegnato il
«fiore di giglio» che sarà adottato
come simbolo nazionale francese
solo alla fine del XIV secolo.
I Franchi Tra il IV e il V secolo, nel corso del processo di disgregazione dell’impero romano d’Occidente [cfr. 27.6], i Franchi, popolazione germanica divisa in tribù condotte
da capi militari, si erano stanziati lungo i corsi dei fiumi Meno e Reno. Verso la fine del
V secolo essi vennero riuniti sotto la guida di Clodoveo (481-511), re dei Franchi Salii,
fondatore della dinastia merovingia (dal nome del leggendario conquistatore Meroveo,
un capotribù del V secolo). Questi aveva intrapreso una politica di conquista che, nel
giro di pochi anni, aveva portato i Franchi al dominio di tutta la Gallia e della valle del
Reno. Come sua capitale Clodoveo aveva scelto Parigi, l’antica Lutezia, che aveva mantenuto il nome dell’originaria tribù gallica dei Parisii.
A differenza di altre popolazioni germaniche, che erano già state convertite all’arianesimo [cfr. 26.2], i Franchi erano ancora pagani, e questo favorì il loro passaggio diretto al cattolicesimo. Ciò ebbe importanti ripercussioni anche sul piano politico e
sociale. Il battesimo di Clodoveo, avvenuto intorno al
496, portò infatti alla giovane monarchia franca il consenso e l’appoggio dell’aristocrazia gallo-romana, dalle cui file venivano reclutati i vescovi di quelle regioni: si operò così una saldatura tra i vertici del popolo
vincitore e i vertici delle popolazioni romane. Per
rafforzare ulteriormente la sua immagine di sovrano,
Clodoveo, nel 510, fece redigere la Lex Salica, una
raccolta di norme consuetudinarie franche.
Malgrado questi rapidi e notevoli successi, la monarchia franca era minata da alcuni gravi elementi di debolezza, che spingevano alla frammentazione politica.
All’irrequietezza dell’aristocrazia guerriera, che mal tollerava la presenza di una forte monarchia, si aggiungeva la concezione patrimoniale del regno. Infatti, alla
morte di Clodoveo, nel 511, il regno franco fu diviso fra
i suoi quattro figli: nacquero così quattro nuove realtà
politiche, geografiche ed etniche, la Neustria (fra la
Schelda e la Loira), l’Austrasia (comprendente la
Champagne e le terre della Mosa e della Mosella), la
Borgogna (fra la Loira e il Rodano) e l’Aquitania.
Dai Merovingi ai Pipinidi Si aprì di conseguenza un
periodo di gravi contrasti politici e di lotte fratricide, du-
646
Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO
Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 647
N
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Rodano
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rante il quale i Franchi non solo dovettero rinunciare alle loro mi- IL REGNO FRANCO SOTTO I MEROVINGI ni
so
Fri
re espansionistiche, ma furono costretti a fronteggiare la pressione
ni
sso
BRITANNIA
Sa
Reno
esercitata lungo le frontiere orientali da altre popolazioni germaMosa
niche, non convertite al cristianesimo, come i Frisoni, gli AleDI RE
lii
Sa
TU GN
RI O
manni, i Bavari e i Sassoni.
AUSTRASIA
N
Meno GIA
i
Della crisi della dinastia merovingia approfittarono le aristoh
nc
Fra
Se
crazie dei singoli regni, le quali accrebbero i loro poteri a danno
nn
a
della monarchia. È in questo contesto che emersero i maggiorParigi
BRITANNIA
NEUSTRIA
domi (maior domus) o maestri di palazzo, funzionari addetti alReno
l’amministrazione delle terre e del fisco reali.
Loira
BORGOGNA
Nel corso della seconda metà del VII secolo, tra tutti i maePoitiers
OCEANO
stri di palazzo si imposero quelli d’Austrasia, i cosiddetti PipiAQUITANIA
ATLANTICO
ITALIA
nidi, dal nome del loro capostipite Pipino di Landen. Questi
conobbero il loro apice con Pipino II di Heristal (679-714), il
PROVENZA
quale, eliminati i maestri di palazzo di Neustria e Borgogna,
GUASCOGNA
procedette alla riunificazione del regno franco e rese ereditaria
REGNO
la carica di maestro di palazzo. Il suo successore, Carlo Mar- DEI VISIGOTI
Territorio dei Franchi nel 481
(avvento di Clodoveo)
tello (714-741), consolidò il potere paterno e si contraddistinTerritorio conquistato sino
se nella lotta in difesa della Cristianità. Egli infatti bloccò a Poitiers, nel 732, il pealla morte di Clodoveo (511)
ricolo di un’incursione musulmana dalla Spagna verso occidente [cfr. 30.5]. La batSuccessive conquiste
dei Merovingi
taglia di Poitiers contribuì al consolidamento del prestigio dei Pipinidi e, parallelamente, alla rovina della reputazione dei re merovingi, passati alla storia come «re
fannulloni».
GUIDAALLOSTUDIO
Carlo Martello si comportò come un «re di fatto» persino in punto di morte, quan1. I Franchi si convertirono
all’arianesimo? 2. Dove si trovava
do divise la responsabilità di maestro di palazzo del regno fra i suoi due figli, Carlol’Austrasia? 3. Chi erano i maestri di
manno, cui andarono l’Austrasia, l’Alemannia e la Turingia, e Pipino il Breve, cui anpalazzo? Come erano nominati? 4. Per
quali gesta è ricordato Carlo Martello?
darono Neustria, Borgogna e Provenza.
2 La dinastia carolingia e il crollo del regno longobardo
Ascesa dei Carolingi Nel 747 Carlomanno si ritirò nel monastero di Montecassino,
abdicando in favore del fratello, Pipino il Breve (751-768), capostipite della dinastia carolingia. Questi nel 751 depose Childerico III, l’ultimo sovrano merovingio, e si fece,
prima, acclamare re da un’assemblea di grandi dignitari, poi, consacrare con l’olio santo da un monaco. La cerimonia dell’unzione venne ripetuta nel 754 da papa Stefano II
(752-757), recatosi appositamente in terra franca. Il gesto equivaleva a una consacrazione divina della dinastia di Pipino, che ora i Franchi non potevano più considerare come un usurpatore; di conseguenza, il re aveva contratto un debito di riconoscenza nei
confronti del papa.
I Franchi infatti apparivano al papato come gli alleati ideali per realizzare l’autonomia politica da Bisanzio. Stava così per verificarsi una vera e propria svolta che avrebbe
avuto per l’Italia e per l’Europa intera conseguenze decisive. La Chiesa di Roma, tradizionalmente fedele all’imperatore d’Oriente, fino ad allora riconosciuto come l’unico
imperatore «romano» di pieno diritto, poneva le basi per un distacco da Costantinopoli che si sarebbe via via approfondito fino a diventare incolmabile. Contemporaneamente, rivolgendosi ai Franchi, gettava un ponte fra l’Italia e l’Europa continentale legando strettamente le sorti dell’una a quelle dell’altra.
unzione
L’unzione di oggetti e di persone con le
sostanze più diverse – grasso animale,
essenze, olio – rientra nei riti di molte
religioni. L’unico carattere comune alle
varie religioni è il fatto che l’unzione
indica sempre il passaggio della
persona o della cosa da una condizione
a un’altra. Nella liturgia cattolica
l’unzione, applicata con il segno della
croce, equivale a una consacrazione.
L’unzione di un sovrano significa che
egli è consacrato da Dio nelle sue
funzioni.
Intervento dei Franchi in Italia Tra il 754 e il 756, Pipino, in risposta alla richiesta di
aiuto lanciata da Stefano II, compì due spedizioni militari in Italia contro i Longobardi,
ricacciandoli nei loro precedenti confini [cfr. 29.7]. Il dominio longobardo si apprestava
ormai al declino. Desiderio (757-774), successore di Astolfo, fu costretto a lunghe e com31 L’IMPERO CAROLINGIO
647
Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 648
ON LINE
DOCUMENTI
Eginardo Ritratto di Carlo Magno
GUIDAALLOSTUDIO
1. Pipino il Breve fu un re oppure un
maestro di palazzo? 2. Quale aiuto
ottenne il papa Stefano II dal re dei
Franchi? 3. Chi era il re dei
Longobardi nell’anno 774?
Un guerriero franco
Questa immagine fa parte di una
ricca decorazione di affreschi
dell’oratorio del convento di San
Benedetto, a Malles, in Alto Adige.
A lungo identificato, a torto, con
Carlo Magno, il guerriero è il
dignitario che donò l’edificio ed è
rappresentato con lo scramasaxus
(la terribile spada piatta che
assicurò tante vittorie ai Franchi),
che, impugnato a mo’ di croce,
sembra sottolineare il legame tra le
bellicose tradizioni franche e la
diffusione della fede cristiana.
648
plesse trattative diplomatiche. Per ingraziarsi i Franchi, egli diede la figlia Ermengarda in
sposa a Carlo (il futuro Carlo Magno) figlio maggiore di Pipino. Ma questo gesto di riappacificazione venne annullato dagli eventi della corte franca. Nel rispetto della tradizione franca, Pipino designò come successori al trono entrambi i figli. Carlo e Carlomanno
regnarono così insieme per tre anni; ma alla morte di Carlomanno, avvenuta nel 771,
Carlo si fece nominare unico re, ripudiando Ermengarda e costringendola all’esilio a Pavia, insieme alla vedova di Carlomanno. I Franchi entrarono nuovamente in conflitto con
i Longobardi. Nel 774 Carlo scese in Italia, conquistò Pavia, catturò Desiderio e lo rinchiuse in un convento. La conquista franca segnò la fine del dominio longobardo in Italia, mentre Carlo aggiunse al titolo di «re dei Franchi» quello di «re dei Longobardi».
A questa data l’Italia si presentava quindi divisa in quattro zone d’influenza: l’Italia
franca, corrispondente al vecchio regno longobardo; l’Italia bizantina, che comprendeva la Sicilia, la Sardegna, la Calabria e parte della Puglia; il Patrimonio di San Pietro, corrispondente al territorio centrale controllato dal papato; il ducato longobardo di
Benevento. I primi anni della dominazione franca non determinarono alcun cambiamento nell’amministrazione degli ex territori longobardi. Carlo infatti, subito dopo la
conquista, abbandonò l’Italia per fronteggiare i Sassoni che premevano lungo i confini
orientali del regno. I tentativi di insurrezione organizzati dai duchi longobardi, tuttavia,
convinsero Carlo della necessità di consolidare la presenza franca nella penisola: egli separò la corona d’Italia da quella dei Franchi e l’affidò a suo figlio Pipino, che nel 781 fu
incoronato dal papa re d’Italia; contestualmente procedette alla sostituzione dei ceti dominanti locali con personaggi dell’aristocrazia franca.
3 In nome di Cristo: le conquiste di Carlo Magno
Carlo regnò dal 771 all’814. Le sue conquiste gli valsero l’appellativo di «Grande» (Carolus Magnus, ossia Carlo Magno). Il suo esercito non aveva rivali in Europa, e poteva
contare su una forte e ben addestrata cavalleria, su un armamento «moderno» (come
spade leggere e resistenti), sull’impiego di cartografi per la preparazione delle campagne
militari e delle battaglie.
Le campagne militari I Franchi combatterono per tredici anni (dal 772 al 785) i Sassoni, una popolazione pagana stanziata nella Germania del Nord. Malgrado la conversione forzata al cristianesimo di gran parte della nobiltà sassone e la sua formale sottomissione, gli episodi di ribellione si ripeterono uno dopo l’altro scatenando una feroce
repressione: nel 782, per esempio, a Verden, Carlo fece decapitare in un solo giorno
4500 contadini sassoni ribelli. Nel 784, il re annesse anche la Frisia settentrionale, le
cui popolazioni avevano reagito duramente ai tentativi di conversione da parte dei missionari cristiani. Con questa conquista il sovrano si assicurò anche uno sbocco sul Mare del Nord, area di grande importanza per i traffici commerciali tra il continente e la
Scandinavia.
Nel 776, Carlo passò all’offensiva contro i musulmani di Spagna. Dopo alcuni insuccessi iniziali egli riuscì, nell’arco di un ventennio, a strappare al controllo islamico il
territorio compreso tra i Pirenei e il fiume Ebro, dove fu istituita la marca [cfr. 31.5] di
Spagna. Queste guerre vennero poi celebrate dai poemi cavallereschi francesi: un episodio reso celebre dalla Chanson de Roland fu la battaglia di Roncisvalle, quando, nel
778, l’armata franca fu attaccata al rientro in Francia dai guerrieri musulmani coadiuvati dai montanari baschi. La retroguardia, guidata dal conte Rolando (o Orlando), fu
completamente annientata. Anche se Roncisvalle fu un episodio di secondaria importanza, l’epopea franca contribuì a diffonderne la fama nel mondo cristiano.
Dopo l’annessione della fertile Baviera, nel 778, Carlo mosse contro gli Àvari, una
popolazione dell’Asia centrale affine agli Unni, temuta per le continue incursioni che
si erano spinte fino all’Austria e al Friuli. Dopo due campagne, nel 795 e 796, gli Àvari
Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO
Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 649
furono sottomessi e convertiti al cristianesimo; il tesoro
della corte carolingia si arricchì del bottino accumulato
dagli Àvari in decenni di continue razzie.
Caratteri della conquista franca L’espansionismo carolingio non fu il frutto di una strategia premeditata per
dar vita a un impero europeo. Le continue iniziative militari si sommarono più che altro casualmente, in risposta
ai ripetuti attacchi che venivano da varie direzioni oppure per prevenire potenziali pericoli. Questa esigenza di sicurezza, sollecitata da forti tradizioni guerriere e unita a
un forte ideale religioso (la protezione e la propagazione
del cristianesimo), costituì la molla fondamentale dell’espansionismo franco, che portò all’aggregazione di un
enorme territorio, esteso dal Mare del Nord all’Italia centrale, dal fiume Ebro al fiume Elba.
Carlo Magno e i guerrieri franchi si ritenevano protagonisti di una grande missione: convertire l’Europa. La
guerra santa per la vera fede, contro tutti gli infedeli: fu
questa la più esplicita parola d’ordine dell’espansionismo
carolingio. La conversione al cristianesimo dei nemici era
la condizione necessaria per formare un solo popolo, e
questo obiettivo doveva essere raggiunto con qualsiasi
mezzo, compreso il terrore.
L’IMPERO CAROLINGIO
MARE
DEL NORD
Brema
FRISIA
SASSONIA
NEUSTRIA
Parigi
MARCA
DI Rennes
BRETAGNA
Tours
Colonia
TURINGIA
Aquisgrana
Fulda
Magonza
Treviri
IA
RAS
Reims
T
S
Würzburg
AU
Metz
BORGOGNA
ALEMAGNA
BAVIERA
Salisburgo
San Gallo
Poitiers
CARINZIA
Coira
Lione
AQUITANIA
GUASCOGNA Tolosa
Ratisbona
Lorsch
Strasburgo
LOMBARDIA
Milano
Pavia
PROVENZA
SETTIMANIA
Venezia
PATRIMONIO
Arles
Nizza
MARCA DI
SPAGNA
DI
Spoleto
DUCATO
S. PIETRO
DI SPOLETO
Roma
Benevento
Barcellona
Napoli
MAR
ME
DIT
ER
RA
Regno franco nel 771
Conquiste di Carlo Magno
Aree di influenza dell’impero carolingio
Servitore della Chiesa Proseguendo su questa linea di
monarca cristiano, Carlo Magno prese anche provvedimenti in materia ecclesiastica:
per esempio, l’obbligo di rispettare il riposo della domenica. Come scrisse il monaco Alcuino, Carlo fu «cattolico per la fede, re per il potere, pontefice per la predicazione».
Convocò e presiedette concili di vescovi, e nel 794, quando si chiuse quello di Francoforte, i prelati lo salutarono con queste solenni parole: «Che egli sia signore e padre.
Che egli sia re e sacerdote. Che egli sia il grande imperatore e pilota di tutti i cristiani».
Ma Carlo Magno, a differenza dell’imperatore di Bisanzio, non pensò mai di sostituirsi ai vescovi e al papa, e non confuse mai il potere spirituale con quello temporale.
Egli si comportò sempre come un fedele servitore di Roma, al quale era riservato il compito di combattere i nemici della Chiesa, non quello di curare spiritualmente le anime
dei sudditi. Si trattava, tuttavia, di un equilibrio delicato in cui era difficile evitare che
la religione si intrecciasse alla politica. Quanto ciò fosse vero lo dimostra la sensazionale vicenda che si svolse nel giorno di Natale dell’800.
O
ON LINE
DOCUMENTI
Eginardo Convertire con il terrore
GUIDAALLOSTUDIO
1. Sottolinea nel testo tutti i popoli
affrontati nelle guerre dai Franchi.
2. Quali erano i punti di forza
dell’esercito di Carlo Magno?
3. Cosa narra la Chanson de
Roland? 4. Spiega il significato
della guerra santa per i Franchi.
4 Il Sacro romano impero
Il Natale dell’800 Nella basilica di San Pietro, quel giorno, si svolse una solenne cerimonia. Con sorpresa generale, il papa Leone III (795-816) depose una corona d’oro
sul capo di Carlo, che era inginocchiato in preghiera, e dichiarò: «A Carlo, l’augusto incoronato da Dio, grande e pacifico imperatore dei Romani». I guerrieri franchi acclamarono il nuovo imperatore, mentre da Roma si diffondeva un nuovo messaggio: da quel
momento, il prestigioso titolo di «imperatore dei Romani» non era più una prerogativa
riservata al sovrano bizantino. Per la prima volta dalla caduta dell’impero romano, un
monarca occidentale acquisiva la carica di cui nessun altro goto, longobardo o franco
aveva mai osato fregiarsi e che, soprattutto, recava il suggello della consacrazione papale. Secondo Eginardo, biografo di corte, Carlo non sarebbe mai entrato in San Pietro se
avesse conosciuto le intenzioni di Leone III. Questa affermazione è stata messa in dub31 L’IMPERO CAROLINGIO
NE
DUCATO
DI
BENEVENTO
649
Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 650
Louis-Félix Amiel, Carlo Magno
imperatore d’Occidente, 1837
[Museo nazionale Châteaux de
Versailles et de Trianon, Versailles]
Carlo Magno ebbe una vita ricca
di avventure e fu un grande
guerriero. Ma la tradizione
francese lo ricorda soprattutto
come il padre della nazione,
come un venerabile antenato. In
quanto tale, è spesso raffigurato –
ma si tratta di ritratti puramente
fantasiosi come questo – come un
vecchio autorevole e saggio.
GUIDAALLOSTUDIO
1. Secondo quale rituale si svolse
l’incoronazione di Carlo Magno? 2.
Carlo Magno accettò di essere
imperatore dei Romani?
bio da alcuni storici moderni, ma non vi sono elementi validi per contestarne la veridicità. L’incoronazione di Natale si rivelò un evento più vantaggioso per il pontefice che
per il nuovo imperatore, ed è probabile che Eginardo avesse raccolto al riguardo i veri sentimenti di Carlo. L’incoronazione di Natale, infatti, fu una geniale mossa politica del
papa. Leone III, che ancora nel 799 aveva visto mettere in
discussione la propria autorità in un tumulto tra fazioni aristocratiche romane, divenne l’artefice del Sacro romano
impero, con una procedura che in seguito sarebbe stata necessaria per ogni sovrano che intendesse portarne la corona. Con questo gesto, la posizione di Leone risultava rafforzata sul piano interno rispetto alle fazioni romane; sul piano internazionale, poi, il papa disconosceva di fatto il potere degli imperatori bizantini, così invadenti in materia religiosa ma militarmente assenti, ed esaltava, senza peraltro
esservi sottomesso, la potenza dei sovrani franchi.
Carlo Magno aveva, dunque, buone ragioni per rimpiangere di essere entrato in San Pietro in quel giorno di
Natale dell’800. La formula pontificia capovolgeva il cerimoniale osservato dagli imperatori bizantini, che si facevano prima acclamare dalla folla e dall’esercito, e soltanto dopo si facevano incoronare dal patriarca di Costantinopoli.
Carlo, invece, fu prima incoronato «imperatore dei Romani» e poi acclamato dalla folla dei Franchi, e questo rituale aveva un profondo significato simbolico: il potere imperiale discendeva da Dio e dal suo rappresentante in terra,
il papa; l’imperatore, di conseguenza, era detentore di un’autorità temporale soggetta all’autorità spirituale del pontefice.
Guerra con i Bizantini A Bisanzio, l’incoronazione di Carlo Magno venne considerata come una vera e propria usurpazione, da parte di un re barbaro, del titolo che da
sempre era spettato al vero imperatore «romano». La tensione, che già da tempo covava, finì per sfociare in una dura guerra combattuta nel Veneto, in Istria e in Dalmazia. Il conflitto si concluse senza sostanziali modifiche territoriali, e con una piccola
vittoria diplomatica per l’impero carolingio: con un trattato stipulato nell’812, Carlo
Magno, in cambio di alcune concessioni territoriali, venne infatti riconosciuto dall’imperatore bizantino Michele I «imperatore e augusto», anche se non «imperatore
dei Romani».
Lo stesso Carlo si rese conto del pericolo contenuto nella formula dell’incoronazione.
La cancelleria di corte definì la capitale carolingia Aquisgrana come «seconda Roma»,
ma non usò mai il termine di «impero romano», preferendo quello più ambiguo di impero franco e cristiano. Quando, inoltre, nell’813 Carlo Magno affiancò suo figlio Ludovico il Pio (814-840) alla guida dell’impero, non volle ricorrere alla consacrazione papale, e si limitò a farlo acclamare imperatore dai Franchi. Ma tutte queste cautele non potevano bloccare il processo ormai avviato, e dai tempi di Carlo Magno in poi il rapporto
tormentato fra papato e impero divenne uno degli assi portanti della politica europea.
5 L’ordinamento dell’impero
La corte Il sovrano e i suoi dignitari risiedevano nella corte (palatium), che costituiva
il centro dell’impero carolingio. La corte aveva sede principale in Aquisgrana, ma la residenza imperiale poteva spostarsi a seconda delle esigenze militari e politiche, in mo-
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Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO
Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 651
do che l’imperatore potesse essere presente nelle situazioni più critiche, che potevano
minacciare la stabilità e la coesione dell’impero. La gestione dell’amministrazione centrale dell’impero era affidata a due funzionari, scelti tra i più stretti collaboratori del sovrano: il conte palatino, un laico incaricato dell’esercizio dell’alta giustizia e del coordinamento di altri funzionari, come, ad esempio, l’addetto al tesoro regio (camerarius) e
il controllore del fisco regio (siniscalcus); l’arcicappellano, un ecclesiastico responsabile degli affari di natura religiosa e della gestione della cancelleria regia, il luogo in cui
venivano redatti i diplomi regi e i testi legislativi, i capitolari. I capitolari – detti così perché suddivisi in brevi articoli, i «capitoli» –, venivano emanati dai «placiti», assemblee
di grandi dignitari, sia laici sia ecclesiastici, che periodicamente si riunivano nel palatium. Da alcuni capitolari si evince chiaramente lo sforzo unificatore di queste assemblee, che cercavano di produrre una legislazione omogenea, capace di rappresentare le
volontà imperiali al di sopra dei particolarismi locali. Ma i tentativi della corte carolingia in materia legislativa non ebbero sempre il seguito voluto: l’impero restava una realtà
sovranazionale, formata da tanti popoli che continuavano a rispettare le proprie leggi e
consuetudini.
alta e bassa giustizia
Organizzazione territoriale L’impero si divideva in contee, marche e ducati. Le prime, governate dai conti (dal latino comes, «compagno» dell’imperatore), erano circoscrizioni interne: il conte, scelto dal re, esercitava funzioni civili e militari: amministrava la giustizia, riscuoteva tasse e tributi, convocava e guidava l’esercito. Le marche erano invece circoscrizioni più ampie poste nelle zone di confine dell’impero e governate
dai marchesi. I ducati infine erano distretti caratterizzati da una forte identità etnica, ossia abitati da popoli recalcitranti all’inserimento nell’impero carolingio, come i Bavaresi e i Bretoni.
Un’altra importante funzione era quella dei missi
dominici, i «messaggeri del signore»: si trattava di ispettori inviati dal sovrano, con il compito di segnalare e reprimere gli eventuali abusi di governanti e amministratori. Inviati in genere a coppie (un vescovo e un laico),
i missi assicuravano la comunicazione tra centro e periferia; la presenza di un ecclesiastico garantiva gli interessi della Chiesa nell’amministrazione carolingia.
Sempre nell’ottica del controllo del territorio imperiale, Carlo diede nuovo impulso all’istituto giuridico dell’immunità. Nelle terre immuni, appartenenti
soprattutto agli enti ecclesiastici (vescovadi, abbazie,
monasteri), nessun funzionario pubblico poteva entrare e tanto meno esigere il pagamento delle imposte, amministrare la giustizia, reclutare truppe. Queste prerogative pubbliche venivano infatti esercitate
immunità
Sono i due ambiti giurisdizionali entro
i quali in età medievale venivano
discusse e giudicate le cause. L’alta
giustizia comportava, in campo penale,
il diritto di comminare la pena di morte
o la mutilazione per reati quali
l’omicidio, le lesioni gravi, l’incendio,
la rapina, lo stupro, ecc.; in campo
civile, le cause relative alla proprietà
fondiaria e alla libertà delle persone. La
bassa giustizia riguardava le cause
penali di minor rilievo e altre cause
civili, specie quelle relative agli
obblighi di natura economica.
Dal latino immunis, «non sottoposto a
munus, obbligo», e quindi esente.
L’immunità indica in generale il
privilegio di un individuo, di un
gruppo, di un’istituzione che, per le
funzioni ricoperte, gode di un
particolare trattamento rispetto alla
legge.
Il trono imperiale nella Cappella Palatina, IX sec.
Carlo Magno fece edificare il Palazzo di Aquisgrana sul modello
delle costruzioni architettoniche della Roma imperiale del periodo
di Costantino; esso doveva essere la manifestazione più concreta
della concezione del governo imperiale. Oltre agli edifici della
reggia e agli annessi servizi militari e amministrativi, fu aggiunta la
Cappella, consacrata da papa Leone III nell’805 (è l’unica parte
ancora intatta del complesso originale), che era collegata al
Palazzo da una galleria lunga duecento metri. Al suo interno,
posto significativamente di fronte all’altare, è conservato il trono
marmoreo di Carlo Magno, simbolo della concezione sacrale del
potere dell’imperatore.
31 L’IMPERO CAROLINGIO
651
Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 652
ECONOMIA
AMBIENTE
sul modello antico. Per altro verso, ricchi di mobili, di drappi e di
i territori da lui governati erano or- tappeti, di oggetti preziosi, di
mai sempre più vasti, e avevano bi- tavole d’oro con vedute di Roma e
sogno di un centro amministrativo di Costantinopoli, la biblioteca,
l’archivio. Qui giungevano gli
stabile, che fosse punto di riferiAquisgrana,
ambasciatori provenienti da ogni
mento per tutti i sudditi.
la seconda Roma
parte del mondo, inviati dagli
È difficile comprendere perché la
emiri arabi e dall’imperatore
scelta sia caduta proprio su
Era il centro politico e
Aquisgrana. La località aveva una bizantino, dal papa di Roma e dal
simbolico dell’impero carolingio. sua importanza strategica, ma non califfo di Baghdad, con i loro doni
Ai tempi di Carlo Magno si
e i loro corteggi. Qui affluivano i
era certo l’unica dell’impero ad
chiamava Aquisgranum perché in
tributi dei sudditi e i bottini frutto
avere questo requisito.
epoca romana vi scaturivano delle Probabilmente Carlo la preferì ad
di tante spedizioni vittoriose.
acque termali (aquae) dedicate a
L’unica struttura rimasta praticaaltre semplicemente perché il
Grannum, la divinità celtica delle
luogo lo affascinava e la presenza mente intatta è la Cappella Palatina,
acque. I francesi lo chiamano
malgrado le aggiunte successive e
delle terme lo rendeva
invece Aix-la-Chapelle, facendo
alcune discutibili decorazioni interparticolarmente gradevole.
riferimento alla sacralità cristiana
ne effettuate nell’Ottocento. Questo
Non si trattava di un palazzo nel
del luogo, dove nel V secolo fu
edificio aveva tre funzioni. La prisenso proprio del termine, ma di
eretto un santuario intitolato alla
un complesso di edifici, che fu co- ma era quella di consentire lo svolSanta Vergine e dove era custodito struito tra il 786 e l’804 circa. I
gimento delle funzioni religiose. La
il tesoro di reliquie raccolto da
principali erano due, l’Aula, dove seconda era quella di riservare al
Carlo Magno e arricchito in
il sovrano esercitava le sue funzio- sovrano una posizione elevata duseguito da altri imperatori. Oggi
rante i riti liturgici, in modo da enfani ufficiali, e la Cappella PalatiAquisgrana (in tedesco Aachen) è na, che legittimava il suo potere
tizzare il distacco insuperabile tra la
una città della Germania presso il dal punto di vista religioso.
sua persona, i nobili, i normali sudconfine belga e olandese.
diti. La terza era quella di custodire
Dell’Aula restano soltanto pochi
Mentre i sovrani merovingi erano
le reliquie che Carlo aveva raccolto
resti, ma il suo ricordo è rimasto
soliti spostarsi da una residenza
in tutte le regioni del suo dominio.
negli scrittori dell’epoca, che
all’altra, e la loro era di conseguen- celebrano l’immensa sala di
La più preziosa di queste reliquie
za una corte itinerante, che si
era probabilmente la cosiddetta
ricevimento con il trono, gli
muoveva insieme con il re, Carlo
cappa di san Martino. Martino
appartamenti della famiglia reale,
Magno decise di far costruire un
palazzo dove risiedere stabilmente.
Questa decisione rispondeva a due
Appartamenti imperiali
esigenze complementari, una simbolica, l’altra politica. Non appena
Aula Regia
Portico
Portico
cominciò a concepire l’idea di far rivivere lo splendore dell’impero romano, e soprattutto dopo la sua incoronazione imperiale, il sovrano
comprese che questo nuovo messaggio doveva necessariamente accompagnarsi alla
creazione di un vero e proprio palazzo imperiale,
Ricostruzione del palazzo
di Aquisgrana al tempo
di Carlo Magno
[disegno di D. Spedaliere]
Il palazzo di Aquisgrana fu il più
grande complesso in pietra
edificato a nord delle Alpi dopo la
caduta dell’impero romano.
652
Ingresso
monumentale
Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO
di Tours, vissuto nel IV secolo, era
stato una figura di primo piano
nella diffusione del cristianesimo
in Gallia e fu il santo più popolare
della Francia medievale. Tra le
leggende fiorite intorno alla sua
figura, la più famosa raccontava
come egli, quando era ancora un
cavaliere dell’esercito romano,
vedendo un povero tremare dal
freddo, gli avesse donato metà del
proprio mantello. Poiché in latino
tardo mantello si diceva cappa,
l’edificio religioso di Aquisgrana
dove era custodita la cappa di san
Martino prese il nome di
«cappella». Di qui l’uso, oggi
comune, di indicare con questo
nome una piccola costruzione a
una sola navata destinata al culto,
generalmente annessa o
incorporata in un altro edificio
sacro o profano.
Con la sua struttura solida e slanciata, con il mirabile equilibrio delle
sue parti, con i marmi di ogni colore prelevati da antichi monumenti
romani e ricomposti in una concezione originale, la Cappella Palatina
di Aquisgrana ci appare come uno
dei più grandi capolavori dell’architettura medievale.
Cappella Palatina
Atrio
Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 653
L’ORDINAMENTO CAROLINGIO
IMPERATORE
ORGANIZZAZIONE
AMMINISTRATIVA
• conte palatino (giustizia)
• camerario (tesoro regio)
• siniscalco (fisco regio)
• arcicappellano (cancelleria)
ORGANIZZAZIONE
TERRITORIALE
• contee
• marche
• ducati
FUNZIONI
DI CONTROLLO
missi dominici (un laico,
un ecclesiastico)
direttamente da vescovi e abati, che in tal modo si inserivano a pieno titolo nella compagine politico-amministrativa dell’impero.
Il ruolo dell’aristocrazia Conti e marchesi non ricevevano stipendio: in compenso
dei loro servizi ottenevano terre e il diritto di percepire un terzo del reddito prodotto nella regione. L’appoggio dell’aristocrazia franca a Carlo Magno era dunque cementato da
uno stretto rapporto tra le conquiste del sovrano e i vantaggi economici e politici che ne
traevano i suoi sostenitori. L’impero carolingio non aveva una struttura amministrativa
come quella che era stata dell’impero romano e che caratterizzava ora l’impero bizantino o i califfati arabi. I conti, che in tutto l’impero non erano più di 250, avevano a disposizione solo pochi aiutanti; la stessa organizzazione centrale era alquanto precaria:
basti dire che della segreteria di corte si occupavano unicamente i chierici che celebravano le funzioni nella cappella reale.
GUIDAALLOSTUDIO
1. L’imperatore risiedeva
stabilmente ad Aquisgrana? 2. Cosa
erano i capitolari? 3. Cosa
distingueva contee, marche e
ducati? Cosa erano le terre immuni?
6 Il «rinascimento» carolingio
Iniziativa culturale Accanto alla sua azione in campo militare e amministrativo, Carlo Magno attuò anche una ben precisa iniziativa in campo culturale. Egli comprese infatti che la forza dell’impero dipendeva anche dal livello culturale dei suoi funzionari.
Il problema fondamentale era l’analfabetismo, che affliggeva anche i ceti alti. I monasteri erano gli unici luoghi dove ferveva la produzione dei libri, grazie all’impiego di
monaci specializzati nella difficile arte della ricopiatura e della miniatura. Anche se tra
i loro ranghi non mancavano certo gli analfabeti e i semi-analfabeti, i monaci e in genere gli uomini di Chiesa erano rimasti, dopo la tempesta delle invasioni barbariche, l’unica categoria in cui la capacità di leggere e di scrivere fosse abbastanza diffusa. Era inevitabile che Carlo guardasse a loro.
Insistente fu il suo invito a chierici e monaci, affinché acquisissero l’uso di un latino
più chiaro e corretto, che consentisse loro di esercitare cariche amministrative a corte o
di svolgere le funzioni di missi dominici e, soprattutto, di coltivare una esatta lettura e interpretazione dei testi sacri. Come funzionari di un impero che aveva un’estensione considerevole e controllava aree con tradizioni linguistiche e politiche assai differenti, gli
ecclesiastici dovevano garantire la chiarezza e l’esattezza della comunicazione scritta di
notizie e disposizioni; come esponenti della Chiesa, essi dovevano assicurare un’ineccepibile intelligenza e trasmissione della Parola di Dio.
La scrittura L’impegno profuso da Carlo Magno per risolvere i problemi dell’organizzazione amministrativa e della vita religiosa sortì conseguenze di notevolissimo rilievo. L’esigenza di chiarezza nell’espressione scritta portò alla trasformazione delle varie
31 L’IMPERO CAROLINGIO
653
Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 654
SCIENZA
TECNICA
calce e fatta asciugare tesa entro un
telaio. Bisognava poi raschiarla per
eliminare le scorie e levigarla con
la pietra pomice. Veniva infine
tagliata per farne fogli uguali.
Si passava poi alla seconda fase: le
Libri e monasteri
pagine venivano cucite in fascicoli
di quattro fogli (i cosiddetti
Dopo la caduta dell’impero romano quaternioni, da cui la parola
«quaderno») che, ripiegati,
i libri divennero rari in Occidente.
formavano sedici pagine. Venivano
Erano molto più numerosi gli
inoltre rigate per facilitare
uomini che sapevano maneggiare
l’allineamento della scrittura.
una spada che quelli in grado di
La terza fase era quella più
leggere e scrivere. Fu allora che
andò perduta la maggior parte della impegnativa: si svolgeva nello
scriptorium e consisteva nella
letteratura antica: opere di storici,
scrittura e nell’ornato. La scrittura
di poeti, di filosofi e di scienziati
scomparvero nel nulla perché, non avveniva ricopiando o sotto
dettatura. Questa fase poteva durare
avendo lettori, non furono più
mesi o anni, a seconda
ricopiate. In questo gigantesco
naufragio la scrittura sopravvisse in dell’ampiezza del testo e della
qualità formale della scrittura e
alcune piccole isole di cultura, i
dell’ornato.
monasteri.
Per comprendere quanto fosse
Ogni volta che veniva fondato un
faticosa questa operazione
monastero ci si preoccupava di
dobbiamo tener presenti alcuni
fornirlo dei libri indispensabili:
aspetti. Lo strumento per scrivere,
infatti la Regola benedettina
il calamo, era una semplice
includeva la lettura tra gli obblighi
quotidiani dei monaci. Ai monasteri cannuccia di legno o una penna
d’oca: maneggiarlo non era facile
più piccoli bastavano, oltre alle
e doveva essere rifilato in
Sacre Scritture, pochi altri libri di
continuazione. L’inchiostro
carattere religioso; le abbazie più
doveva essere adoperato
ricche cercavano invece di
attentamente per evitare macchie.
procurarsi il maggior numero
Per evidenziare le iniziali e i
possibile di opere dei Padri della
titoli, l’inchiostro nero veniva
Chiesa, di Vite dei santi, di storie
alternato a quello rosso, ricavato
ecclesiastiche, di Atti dei concili.
da un minerale, il minio.
Monasteri come Bobbio e
Montecassino furono all’avanguardia Successivamente, il verbo
«miniare» passò a indicare tutte
anche nella ricopiatura dei testi
le figure colorate, che vennero
classici, e fu solo grazie alla loro
dette miniature. Prima
iniziativa che alcuni autori antichi
dell’invenzione
della stampa,
sopravvissero al disastro. Costituire
l’uniformità
grafica
di un libro era
una bella biblioteca monastica
affidata
alla
calligrafia
del
richiedeva uno sforzo enorme e
copista, e questo accresceva
senza fine: i libri venivano cercati
enormemente i tempi.
ovunque, chiesti in prestito e
La scrittura era dunque uno dei
ricopiati nel monastero stesso.
lavori più impegnativi per i
La produzione libraria avveniva
monaci. Un copista dell’VIII secolo
tutta dentro il monastero e
comprendeva varie fasi. Bisognava volle ricordarlo con queste
parole: «Carissimo lettore,
anzitutto preparare la pergamena,
prendi il libro soltanto dopo
ricavata dalle pelli dei vitelli, delle
esserti lavato bene le mani, gira
pecore o dei capretti. Per evitare
i fogli con delicatezza, tieni
che marcisse, la pelle veniva
immersa in un bagno d’acqua e di
lontano il dito dalla scrittura,
654
Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO
per non sciuparla. Chi non sa
scrivere crede che non occorra
nessuna fatica. Sapesse quanto è
penosa l’arte dello scrivere: affatica
gli occhi, spezza la schiena; tutte le
membra fanno male! Tre dita
scrivono, ma è l’intero corpo che
soffre».
Nella quarta e ultima fase i fascicoli
venivano riuniti e rilegati con una
coperta. La coperta era fatta
solitamente con due tavole di legno
rivestite poi con del cuoio. Quasi
tutti i libri usciti da uno scriptorium
finivano nella biblioteca del
monastero e solo pochi venivano
consegnati ad altri monasteri o a
singoli individui che li avevano
richiesti. Ma la biblioteca era solo
un luogo di conservazione dei libri,
perché la lettura poteva avvenire
ovunque nel monastero.
I monaci leggevano soprattutto le
Sacre Scritture e alcuni testi di
argomento religioso. Il resto dei
libri, che era la maggior parte, non
aveva lettori. Essi venivano ricopiati
perché rappresentavano un bene
importante, che arricchiva il
patrimonio del monastero e ne
accresceva il prestigio.
scriptorium
Dal latino scribere, «scrivere». Nei
monasteri era il locale destinato alla
scrittura e alla miniatura dei codici.
L’accesso allo scriptorium, solitamente
posto accanto o nella biblioteca, era
permesso soltanto ai copisti, al
bibliotecario e ai superiori. In esso
regnava il silenzio.
Un codice miniato
[Biblioteca Marciana, Venezia]
Il codice, di cui è qui illustrata una pagina, contiene quattro dei nove
libri retorici attribuiti a Cicerone, che ci sono pervenuti grazie al lavoro
dei copisti medievali. La miniatura in alto rappresenta un oratore,
probabilmente Cicerone, in piedi sul podio, circondato da ventisei
giovani che ascoltano e discutono fra loro.
Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 655
La minuscola carolina, IX sec.
Nel IX secolo la minuscola carolina si impose come la scrittura
prevalente in Europa, perché offriva un ottimo mezzo di
comunicazione per facilità di esecuzione scrittoria e per leggibilità
(nette divisioni tra parole, pochi legamenti tra le lettere della
medesima parola, ecc.). La pagina del codice, di cui è qui riprodotto
un particolare, riporta il Salmo 91 dell’Antico Testamento.
grafie in uso nell’impero e alla loro riduzione a un’unica tipologia, la minuscola carolina che, salvo una pausa
tra XII e XV secolo (dovuta all’avvento della scrittura gotica elaborata negli ambienti universitari), ha predominato nel mondo occidentale fino ai nostri giorni.
In campo religioso, l’esigenza di una corretta trasmissione del repertorio di canti gregoriani, fino a quel momento tramandati oralmente, portò all’elaborazione di
un’efficace scrittura musicale.
La scuola di corte Inoltre, per assicurare una appropriata formazione culturale sia ai chierici sia ai laici, nel
781 il monaco Alcuino, autorevole consigliere di Carlo
Magno, fondò presso la corte di Aquisgrana una scuola, la
Schola palatina, il cui esempio fu seguito presso numerose chiese, cattedrali e monasteri. La Schola palatina
rappresentò un qualificato centro d’insegnamento delle
sette arti liberali (il trivio: grammatica, retorica, dialettica; il quadrivio: aritmetica, geometria, musica, astronomia) e un polo di attrazione per uomini di cultura provenienti da tutto l’Occidente franco: uno fra tutti, il già più
volte ricordato Paolo Diacono, di nobile famiglia longobarda friulana, autore della Storia dei Longobardi e dotto revisore di codici manoscritti.
Un rinascimento? Il risveglio dell’interesse per gli studi e il desiderio di recupero del
latino sollecitarono anche un più aperto rapporto della ristretta cerchia intellettuale con
il patrimonio culturale classico. È forse esagerato parlare di «rinascimento carolingio»,
come è stato fatto forzando alcuni elementi di somiglianza con il Rinascimento italiano
di qualche secolo dopo, ma certamente nel IX secolo si assistette a una cauta ripresa dell’esercizio dello spirito critico anche nella lettura dei testi sacri e a un più largo interesse verso i tesori della letteratura latina che, anche grazie all’introduzione della minuscola carolina, vennero più frequentemente e con maggior cura riprodotti dai copisti.
GUIDAALLOSTUDIO
1. Perché Carlo Magno era
interessato all’uso della lingua latina
nell’impero? 2. Che cos’era la
minuscola carolina? 3. Come erano
suddivise le arti liberali?
7 Il declino dell’impero carolingio
La successione imperiale Carlo Magno, nel pieno rispetto della tradizione franca,
decise, nell’806, di dividere il territorio dell’impero fra i suoi tre figli, Carlo, Ludovico
e Pipino. La scomparsa precoce di due dei tre figli, fece sì che alla sua morte, avvenuta
nell’814, Ludovico il Pio (814-840) rimanesse l’unico erede. Uno dei primi atti del
nuovo imperatore fu la ricerca di una soluzione al problema della successione che, in
qualche modo, preservasse l’unità della compagine imperiale. Fu così che nell’817 Ludovico emanò una disposizione – la cosiddetta Ordinatio imperii (Ordinamento dell’impero) – con la quale proclamò unico successore il primogenito Lotario; agli altri
due figli, Pipino e Ludovico il Germanico, egli attribuì invece rispettivamente i regni
di Aquitania e di Baviera. Si trattava di una delibera innovativa, che andava contro la
31 L’IMPERO CAROLINGIO
655
Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 656
tradizione franca. Si può quindi facilmente immaginare il risentimento dei due fratelli che si videro posposti al primogenito. Quando poi Ludovico il Pio inserì tra gli eredi Carlo (il futuro Carlo il Calvo), un figlio avuto da un’altra moglie, si scatenò un conflitto aperto.
Spartizione L’impero si ritrovò lacerato dalle lotte tra gli aspiranti al trono: fratelli contro fratelli e figli contro il padre. Nella corsa al potere, il patrimonio della dinastia carolingia fu letteralmente dissipato per comprare la fedeltà e l’appoggio dei feudatari. Il prestigio della corona imperiale ne uscì gravemente compromesso. Alla morte di Ludovico
il Pio e di Pipino, i tre contendenti rimasti si affrontarono in battaglia: nell’841, presso Fontenoy, Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico sconfissero uniti il fratello Lotario. L’anno dopo i due si giurarono reciproca fedeltà a Strasburgo, alla presenza dei propri eserciti. Nell’843 i tre fratelli giunsero a un’intesa che fu formalizzata con il trattato di Verdun:
a Lotario fu assegnato il regno d’Italia, con l’aggiunta del territorio compreso tra i fiumi
Reno e Loira (che dal nome del sovrano prese successivamente il nome di Lotaringia);
Ludovico il Germanico ebbe il regno di Germania; Carlo il Calvo il regno di Francia.
In ossequio alla volontà paterna, a Lotario fu concesso il diritto di fregiarsi del titolo di imperatore: ma si trattava ormai soltanto di un attributo onorifico. L’impero, diviso in tre regni indipendenti, non esisteva più.
I tre regni nati dall’accordo di Verdun non erano soltanto il frutto di una rigida spartizione territoriale. La loro identità coincideva infatti con quella delle tre principali «na-
ON LINE
DOCUMENTI
Nitardo Due lingue per due eserciti
 Ludovico il Pio, IX sec.
[Österreichische Nationalbibliothek, Vienna]
In questa miniatura tratta dalle Lodi della S. Croce
(840 ca.) di Rabano Mauro, il successore di Carlo
Magno viene raffigurato come difensore della Croce.
L’IMPERO CAROLINGIO
DOPO LA SPARTIZIONE DI VERDUN (843)
MARE DEL
NORD
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a
Elb
Re
Verdun
Parigi
REGNO
DI
GERMANIA
Strasburgo
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Rodan
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REGNO
DI
FRANCIA
REGNO
D’ITALIA
Pavia
Roma
MAR
ME
Regno di Carlo il Calvo
Regno di Lotario I
Regno di Ludovico il Germanico
Patrimonio di S. Pietro
656
DI
TE
DUCATO
DI SPOLETO
RR
AN
EO
Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO
Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 657
zionalità» dell’Europa del tempo: l’italiana, la francese, la tedesca. Una realtà nuova,
che preannunciava gli sviluppi futuri della storia europea.
La fine della dinastia carolingia Nell’875 l’imperatore Ludovico II, succeduto a Lotario, moriva senza lasciare eredi. Il regno d’Italia e il titolo di imperatore passavano quindi allo zio Carlo il Calvo. Intanto il processo di disgregazione politica e territoriale dell’impero carolingio proseguiva. A nulla valse l’effimera riunificazione dei regni d’Italia,
Francia e Germania avvenuta, nell’884, sotto Carlo il Grosso (881-887). Questi infatti, dimostratosi incapace di contrastare le incursioni normanne [cfr. 32.2], fu costretto nell’887
ad abdicare. Da questo momento in poi i vari territori dell’impero carolingio conobbero
destini politici e istituzionali differenti. Il regno di Germania, con relativo titolo imperiale, fu affidato ad Arnolfo di Carinzia; il regno di Francia andò a Oddone di Angers; il regno
d’Italia fu attribuito da un’assemblea nobiliare a Berengario I, marchese del Friuli.
L’IMPERO
CAROLINGIO
1 Le origini
Nel 751, Pipino il Breve si fa
1. Che cosa stabiliva la Ordinatio
imperii dell’817? 2. Come fu diviso
l’impero dal trattato di Verdun
dell’843? 3. Berengario I, re d’Italia,
era anche imperatore?
SINTESI
consacrare re dal papa dando
origine alla nuova dinastia
del regno franco
carolingia e contraendo un
debito di riconoscenza con il
I Franchi, popolazione
germanica divisa in tribù, nel V papa. I Franchi intervengono
dunque al fianco del papato
secolo si riuniscono sotto
contro i Longobardi, dal
Clodoveo, fondatore della
momento che i Franchi
dinastia dei Merovingi, e
appaiono gli alleati ideali per
giungono a dominare la Gallia
realizzare l’autonomia politica
e la valle del Reno. Sotto
da Bisanzio. Dopo la sconfitta
Clodoveo, della dinastia dei
Merovingi, il regno dei Franchi dei Longobardi da parte di
Pipino il Breve, il loro re,
assume un ruolo di potenza
territoriale dominante. Nel 496 Desiderio, cerca di avvicinarsi
ai Franchi facendo sposare a
Clodoveo si converte al
Carlo, figlio di Pipino, sua
cristianesimo, stabilendo stretti
rapporti con l’aristocrazia gallo- figlia Ermengarda.
romana. Alla morte di Clodoveo Successivamente, però, Carlo la
il regno, diviso in quattro parti,
ripudia, scende in Italia e pone
attraversa un periodo di crisi di
fine al dominio longobardo.
cui approfittano i Pipinidi,
L’Italia risulta divisa in quattro
«maestri di palazzo» che si
zone d’influenza: franca,
sostituiscono ai Merovingi alla
bizantina, il Patrimonio di San
guida del regno. Pipino II
Pietro, i ducati longobardi.
riunifica il regno franco; Carlo
Martello ne consolida il
3 In nome di Cristo: le
prestigio con la vittoria di
Poitiers.
conquiste di Carlo Magno
2 La dinastia carolingia
e il crollo
del regno longobardo
GUIDAALLOSTUDIO
la Baviera e sconfigge gli Àvari.
Tale espansionismo non è
dovuto a una strategia
premeditata, bensì è la
conseguenza dei ripetuti
attacchi dall’esterno e del
desiderio di proteggere e
propagare il cristianesimo. La
guerra santa contro gli infedeli
è il motivo ispiratore
dell’espansionismo carolingio: la
conversione, ottenuta anche
con la violenza, è ritenuta una
missione fondamentale. Carlo
Magno si comporta come un
servitore della Chiesa,
preservando il difficile
equilibrio tra potere spirituale e
temporale.
preoccupazione in Carlo
Magno: infatti essa nega
l’indipendenza dell’imperatore e
acuisce il contrasto con i
Bizantini, che sfocia in una
guerra. Nonostante le cautele di
Carlo Magno, il vincolo creatosi
tra papato e impero sarà
determinante negli sviluppi
successivi della politica
europea.
5 L’ordinamento
dell’impero
Il sovrano e i dignitari risiedono
nella corte, che ha sede ad
Aquisgrana, ma in realtà può
spostarsi a seconda delle
esigenze militari e politiche.
Nella corte si riuniscono i
4 Il Sacro romano impero grandi dell’impero per emanare
i capitolari, miranti a unificare
Carlo Magno, il giorno di
dal punto di vista legislativo
Natale dell’800, viene
l’impero (che rimane tuttavia
incoronato da papa Leone III
una realtà multietnica).
«imperatore dei Romani», un
L’amministrazione centrale
atto che segna la nascita del
dell’impero è affidata a due
Sacro romano impero. In questo funzionari: il conte palatino e
modo il pontefice riafferma
Il regno di Carlo Magno segna
l’arcicappellano. Il territorio
solennemente la propria
una grande espansione dei
dell’impero è diviso in
autorità e taglia i ponti con le
Franchi: dapprima nella
circoscrizioni, contee, marche e
pretese bizantine sulla Chiesa di ducati, affidati a conti, marchesi
Germania del Nord contro i
Sassoni, poi contro i musulmani Roma. L’incoronazione
e duchi, il cui operato è
controllato dai missi dominici,
di Spagna. Inoltre Carlo annette provoca, tuttavia, una certa
31 L’IMPERO CAROLINGIO
657
Giardina2_P6_cap31_31 16/03/11 12.42 Pagina 658
funzionari dipendenti
direttamente dall’imperatore.
Carlo favorisce anche
l’immunità di alcune terre,
proprietà soprattutto di enti
ecclesiastici, che non vengono
amministrate da funzionari
pubblici ma da vescovi e abati.
Conti e marchesi ricevono, per
i loro servizi, terre e privilegi.
6 Il «rinascimento»
carolingio
Carlo Magno promuove anche
la rinascita culturale: in
particolare, poiché i monasteri
sono gli unici luoghi in cui la
cultura viene ancora trasmessa,
658
sollecita chierici e monaci
all’uso di un latino più corretto
così che essi possano adempiere
meglio ai loro compiti religiosi
e, nel contempo, essere
impiegati quali funzionari
imperiali. L’esigenza di maggior
chiarezza nella scrittura porta
all’introduzione della
minuscola carolina, mentre la
necessità di una migliore
formazione culturale è
all’origine della fondazione
della Schola palatina e di altri
centri di insegnamento delle
sette arti liberali. Il risveglio
dell’interesse per gli studi e la
rinnovata attenzione per il
recupero del patrimonio
Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO
culturale classico ha portato
molti studiosi a parlare di
«rinascimento» carolingio.
figli. Infine, l’accordo di Verdun
(843) sancisce la spartizione
dell’impero tra i tre figli
superstiti: a Lotario viene
assegnato il regno d’Italia, a
7 Il declino
Ludovico il Germanico il regno
dell’impero carolingio
di Germania, a Carlo il Calvo il
regno di Francia. Lotario viene
L’organizzazione dell’impero
proclamato imperatore come
mostra ben presto i suoi limiti
stabilito dal padre, ma si tratta
già con il successore di Carlo
solo di un titolo onorifico:
Magno, Ludovico il Pio, il
quale, non volendo suddividere l’impero viene infatti diviso in
l’impero tra i suoi figli, secondo tre regni di pari rilevanza, che
corrispondono alle tre principali
la tradizione franca, con
«nazionalità» dell’Europa del
l’Ordinatio imperii designa
tempo. I regni ritrovano
come suo unico erede il
primogenito Lotario. Ciò causa un’effimera riunificazione sotto
una lunga lotta che oppone l’un Carlo il Grosso, costretto
l’altro Ludovico e i suoi quattro tuttavia ad abdicare nell’887.
Giardina2_P6_cap32_32 16/03/11 12.48 Pagina 665
IL SISTEMA FEUDALE
1 Le origini
Rapporti di vassallaggio Carlo Magno cercò di dare al suo impero un’organizzazione efficiente, per farne una compagine duratura e non un’esperienza effimera. In
questo impegno – che significava in primo luogo centralizzazione e controllo – egli dovette tuttavia confrontarsi con le antiche tradizioni del suo popolo: i nobili franchi, dotati di un vasto seguito personale, si sentivano più come dei compagni d’arme del re che
come suoi subordinati. Fieri della propria indipendenza, riconoscevano l’autorità del sovrano, ma entro limiti ben precisi.
Per evitare che l’irrequietezza della nobiltà esplodesse in rivolte e in conflitti, Carlo
Magno fece a sua volta ricorso alla tradizione, dando nuovo vigore all’antica consuetudine franca del vassaticum o vassallaggio. Si trattava del rapporto reciproco e personaL’omaggio del vassallo, XIII sec.
L’arte medievale ha lasciato
alcune raffigurazioni di queste
cerimonie, che avevano
un’importanza fondamentale.
Come si vede in una miniatura
del XIII secolo, era necessario che
il rito del giuramento si svolgesse
in pubblico, cioè in presenza di
persone in grado di testimoniare
gli obblighi di subordinazione e
di protezione reciproca che
venivano fondati con quella
cerimonia.
32 IL SISTEMA FEUDALE
665
Giardina2_P6_cap32_32 16/03/11 12.48 Pagina 666
feudo
Feudo deriva dal termine di origine
germanica feohu, che significava
«bene» o «bestiame». In seguito la
parola passò a indicare un bene
qualsiasi, e quindi la terra concessa dal
signore al vassallo.
le tra il senior, signore, e i suoi vassi, «vassalli» (dal celtico gwassalw, «servitore»). In
cambio di un feudo o beneficio, solitamente un possedimento terriero, il vassallo assicurava al signore il suo sostegno militare. Carlo Magno fondò su questo rapporto i vincoli tra la sua persona e i potenti del regno: conti, duchi, marchesi e persino gli stessi
funzionari imperiali ricevettero terre in beneficio, e si vincolarono di conseguenza al
sovrano in un legame di fedeltà personale. La diffusione di questo sistema determinò la
nascita di una nuova organizzazione politica e sociale, che giunse a maturazione intorno all’anno Mille, quando la vediamo diffusa, sia pure con caratteristiche diverse, in
buona parte del continente. Gli storici la chiamano sistema vassallatico-beneficiario o
feudale.
In origine, il feudo era revocabile: alla morte del vassallo, o per altri gravi motivi, il
signore aveva il diritto di recuperare il beneficio e di assegnarlo ad altri. Si trattava di un
principio fondamentale, che Carlo Magno e i suoi successori cercarono di difendere
contro le pretese dei feudatari. Il potere del signore sul vassallo si basava proprio su di esso: infatti, un vassallo che non avesse timore di perdere il beneficio o che i suoi figli ne
fossero privati, tendeva inevitabilmente ad acquisire pericolosi margini di autonomia e
a svincolarsi dal rapporto con il signore.
Giuramento e investitura Il rapporto di vassallaggio non era un semplice contratto,
ma un legame di ordine morale, sancito da un rito intriso di elementi religiosi. Il futuro
vassallo, in ginocchio, metteva le mani congiunte in quelle del signore, per dichiarare
la sua volontà di diventare uomo di un altro uomo (era questo, per l’appunto, l’atto di
omaggio). Il signore faceva quindi rialzare il vassallo, che prestava giuramento di fedeltà
posando la mano destra su un oggetto sacro e recitava un giuramento. Al giuramento faceva seguito l’investitura: il signore consegnava al vassallo un simbolo del feudo da lui
concesso: per esempio uno scettro, un’insegna, un bastone, una zolla erbosa, un guanto, un anello. Il vincolo così consacrato non poteva essere violato: sul vassallo che fosse
venuto meno agli obblighi assunti si riversava la riprovazione collettiva, e lo si bollava
con il marchio ignominioso di «fellone». Ugualmente riprovevole era un signore che
non rispettava gli impegni presi nei confronti del vassallo.
GUIDAALLOSTUDIO
1. Perché il vassallaggio era un
patto reciproco? 2. Perché il
sovrano preferiva che il feudo fosse
revocabile? 3. Descrivi la cerimonia
dell’investitura. 4. Ogni vassallo
dipendeva da un unico signore?
Una rete intricata I primi vassalli di Carlo Magno, divenuti potenti, ebbero a loro volta altri vassalli e così di seguito: venne dunque a costituirsi una intricata rete di relazioni personali. Una rete, quindi, diversa dall’immagine tradizionale del sistema feudale come una piramide compatta, con ogni pietra al suo posto. I legami di vassallaggio, come
abbiamo visto, erano forti, e solitamente rispettati, ma non rappresentavano una rete di
relazioni precise e stabili. Le entità territoriali su cui i signori esercitavano il loro potere erano spesso cellule dai contorni sfuggenti e mutevoli, disposte l’una dentro l’altra in
un groviglio intricato di relazioni non di rado vaghe e mal definite. C’era il caso di vassalli che dipendevano da più signori (fino a diverse decine), oppure di feudi inglobati in
un territorio più vasto senza che tra i rispettivi signori ci fossero rapporti di vassallaggio.
C’erano inoltre signori che possedevano terre e servi in zone il cui controllo militare era
assicurato da un altro signore, e così via. Il risultato era un sistema molto più fluido di
quanto saremmo portati a immaginare.
2 Le ultime invasioni
Nuovi nemici Mentre l’impero carolingio si frantumava [cfr. 31.7], l’Europa cristiana
doveva affrontare l’assalto di nuovi nemici esterni: tra la fine del IX e l’inizio del X secolo, Arabi, Vichinghi e Ungari seminarono ovunque il terrore facendo rivivere i drammatici momenti della caduta dell’impero romano. Abbiamo già parlato della conquista
musulmana della Sicilia e della Spagna, e delle ripetute razzie che i Saraceni effettuavano nelle regioni costiere della nostra penisola [cfr. 30.6].
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Parte 6 L’ALTO MEDIOEVO
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