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I libri di Massimo Fagioli
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Prima edizione maggio 2015
Copertina: disegno di Massimo Fagioli
Copyright © Massimo Fagioli
L’Asino d’oro edizioni s.r.l.
Via Ludovico di Savoia 2b, 00185 Roma
Redazione: Francesca Fiori
Revisione: Francesca Caddeo
www.lasinodoroedizioni.it
e-mail: [email protected]
ISBN 978-88-6443-013-3
ISBN ePub 978-88-6443-310-3
ISBN pdf 978-88-6443-311-0
L’IDEA della nascita umana
Lezioni 2010
6 marzo
11
20 marzo
39
27 marzo
67
17 aprile
93
24 aprile
127
8 maggio
155
6 marzo
Grazie, grazie di essere venuti. Siamo di nuovo qui dopo un
anno, e dopo otto anni adesso cominciamo il nono. Inizio subito oppure commento il fatto che fa freddo? E voi, nonostante il freddo, siete venuti lo stesso. Carino da parte vostra!
Siete molto simpatici. Allora io devo ripagare di conseguenza
questo vostro... diciamo così... affetto? No. Amore? Nemmeno. Che faccio, rischio? Il vostro investimento sessuale.
Sì, investimento sessuale. Che cos’è? Non capite male.
Qui bisogna imparare – io almeno ho imparato così – che le
parole, almeno per quanto ci riguarda, non vanno prese alla
lettera, perché il linguaggio umano non è fatto da cartelli stradali che ti indicano di voltare a destra o di voltare a sinistra e
che indirizzano il comportamento in modo che uno non si
faccia male o non si sbagli. Qui, cammina cammina, un anno
dopo l’altro... Ho detto appunto dopo otto anni, poi mi è venuto in mente che forse invece sono ottanta. Non ottanta, sono cinquanta. Tra trent’anni saranno ottant’anni che io parlo,
parlo, parlo. Come parlo? Con un mugolio. Lo sapete benissimo, no? Sculaccione al neonato e il neonato piange.
Dunque linguaggio... Questo mugolio... Mi pare che il solito collega anziano mi raccontò che in certe circostanze questo primo mugolio si dovrebbe ripetere da adulti, ma ognuno
ha la propria personalizzazione per una ricreazione del vagi-
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to. E allora diciamo che... possiamo dirlo? L’uomo nasce con
il linguaggio. Aspettate. Non riesco a ricordarmi le parole
esatte, ma un certo pazzerello francese di nome Lacan diceva
che... ah, sì, la formula è questa: «L’inconscio è strutturato
come un linguaggio»1.
Come dicevo, qui bisogna stare attenti a non prendere alla
lettera le parole, perché altrimenti la parola linguaggio significherebbe quello che poi invece si specifica meglio come linguaggio articolato, cioè quello che sto usando io in questo
momento, e non voi che state ascoltando in silenzio. E allora
come si può dire che il neonato nasce con il linguaggio? Sei
scemo, se lo dici! Prima che il bambino parli deve passare almeno un anno e mezzo, se non due. Allora la parola ‘linguaggio’ deve essere intesa in maniera un po’ diversa e non presa
alla lettera. Non è lo stesso che l’inglese, il francese, il tedesco
o lo spagnolo, ma è un movimento dell’ugola, delle corde vocali, della trachea, rinforzato dai polmoni, che permette di
modulare il suono che esce... e che magari, sì, ha come suo
grande progenitore il vagito del bambino, però poi si articola
– e sottolineo ‘si articola’ – in varie modulazioni.
Ecco, diventa complicato. Le modulazioni sono diverse a
seconda delle lingue nazionali: il tedesco modula il linguaggio
in un certo modo, l’inglese in un altro, lo spagnolo in un altro
ancora, e così l’italiano. Il linguaggio è modulato in modo diverso, tanto che poi l’italiano e l’inglese non si capiscono
l’uno con l’altro, anche se dicono la stessa cosa. Tra ‘sedia’ e
‘chair’ che differenza c’è? Sono parole completamente diverse, eppure indicano la stessa cosa.
E allora? Adesso cosa dico? Forse che dentro il linguaggio
1
Cfr. J. Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi
(1953), in Id., Scritti, a cura di G.B. Contri, Einaudi, Torino 1974, vol. I, pp.
230-316. [NdR]
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articolato c’è un... come lo chiamo? Non ho la parola. Contenuto? Ma che vuol dire contenuto? Cos’è, una scatola di
sardine? Allora dico che c’è un... significato? In effetti sia
‘coltello’ che ‘cutieddu’, in siciliano, indicano la stessa cosa.
Cos’è che fa indicare la stessa cosa? Il significato. Sì, possiamo parlare di significato, e sapere che il coltello serve per tagliare il pane, la bistecca, e quindi ha un significato. Allora
questo significato è indipendente dall’articolazione del suono, e non importa che sia inglese, tedesco o francese. L’articolazione della parola è diversa, anche molto diversa, però il
significato è lo stesso, e il significato indica la funzione di una
cosa, a che serve. Ecco! Forse ciò che spiega il mistero invisibile che sta dietro al linguaggio articolato si può chiamare
significato.
La parola significato significa, oppure è... come dire? Un
segno? Un segno – strano che sia un segno dal momento che
è un suono – che indica una cosa. Già, indica una cosa. Era
Wittgenstein a dire che il linguaggio sarebbe indicare le cose?
Mi viene una frase cattiva: come se il linguaggio umano significasse soltanto indicare, fosse come i segnali stradali! Non
è vero. I ‘significati’ stradali, i segni stradali – a parte che non
parlano, ma stanno zitti – sono disegni, sono segni che hanno
un significato, ad esempio volta a destra, volta a sinistra, vai
dritto. Ma i segni... Aspettate. Il segno indica, perché si prende alla lettera. La freccia indica di andare dritto e noi andiamo dritto. Il suono delle parole «vai dritto», invece, potrebbe
significare anche ben altro dall’indicazione della strada da
percorrere a piedi o con l’automobile. «Vai dritto» potrebbe
equivalere a «muoviti bene nella vita», «sii coerente nella vita
con quello che fai». Chiaro, no? Si usa dirlo, no? La freccia
sul segnale stradale dice che è obbligatorio andare dritti, ma
se un padre saggio sul letto di morte dice al figlio: «Vai dritto
nella vita», che significato ha? Di certo non si riferisce alla
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strada da percorrere. «Vai dritto» significa perseguire e non
percorrere. Perseguire una mèta, un ideale. Allora come lo
possiamo chiamare? Come lo chiamo? Se qualcuno mi aiutasse... Io ho un grande conflitto con il tedesco, perché il tedesco distingue la parola ‘significato’, che è Bedeutung, dalla
parola ‘senso’, che è Sinn. Adesso non vorrei dire una stupidaggine, ma credo che questa seconda parola non venga quasi mai adoperata. Se non è così, la prossima volta un germanico si fa trovare qui, mi dà uno schiaffone e mi dice: «Non
è vero, Sinn si usa comunemente».
Siamo partiti dal linguaggio, dal presentare quello che devo fare per due ore per ben sette volte 2, cioè linguaggio articolato. E adoperarlo, ovviamente, in italiano. Così mi è venuto di andare a vedere... perché? Ma perché si tratta di
rapporto interumano, o meglio, di un rapporto interumano
diverso da quello in cui un tizio viene fermato per la strada
da un altro che gli chiede: «Mi dici dov’è il Colosseo?» e lui
gli risponde. Ovviamente questo è un tipo di rapporto... ecco,
un’altra parola, mannaggia!... molto indifferente? Ma dire
‘molto indifferente’ è già dire tanto, perché significa mettere
nell’articolazione della parola ‘indifferente’ un senso oltre che
un significato. Rispondere a chi ti chiede un’informazione
per la strada è un comportamento normale, cortese: di solito
le parole per definirlo sono queste. Perché a me è venuto ‘indifferente’? Perché pensavo a ‘fare la differenza’ con qui, dove non vi devo dire le parole che indichino un cammino da
fare. Con il tizio a cui rispondo di andare a destra, poi a sinistra e poi dritto per arrivare al Colosseo tutto si ferma lì. Del
perché e del per come, di quale possa essere lo stato d’animo,
il pensiero, la mente di questo tizio che vuole andare al Co2
Erano previste sette lezioni, fino al 22 maggio, invece l ’ultima fu quella
dell’8 maggio. [NdR]
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losseo, non me ne occupo per niente, chiaro? Anzi, sarei un
bel cafone a chiedergli che cosa ci va a fare. Mi potrebbe tranquillamente rispondere che sono fatti suoi.
Qui il linguaggio è differente. Vedete che pasticcio? Abbiamo detto che quel rapporto è indifferente, e questo ‘in’ lo
interpreto come ‘senza differenza’. Ma è vero? In italiano ‘in’
significa ‘con’, quindi la differenza c’è. Non si sa, però vengono detti indifferenti quei rapporti sociali comuni che non
impegnano l’identità delle persone. Sia il tizio che sta in difficoltà e chiede l’informazione, sia quello che non è in difficoltà perché sa dove sta il Colosseo e risponde... impegnano?
No, mettono in gioco? No, come si dice? Si lasciano andare?
Non lo so, sono tantissime le parole per dare un senso diverso
a un atteggiamento, un movimento o un comportamento di
questo genere, che come ho detto è del tutto comune, normale, quotidiano e... posso dirlo?, senza tanto senso, e il significato delle parole che dico è solo quello di indicare la strada. Ma che poi quel rapporto abbia un senso mi pare di no,
perché dura nemmeno un minuto e dopo uno lo dimentica
pure. Specialmente se stai in una città turistica e vai in giro,
è una cosa che ti succede almeno dieci volte al giorno, ma
non tocca niente: quello che era prima è quello che c’è dopo.
Cinque secondi di questo genere di rapporto non cambiano
niente né all’uno, né all’altro: la realtà dell’essere umano, dei
due esseri umani, è la stessa di prima senza che ci sia alcuna
differenza con quello che accade dopo. Quindi è un rapporto
indifferente. Ecco, ho giustificato il mio uso di questa parola:
indifferente perché non cambia niente, non cambia la realtà
umana né dell’uno, né dell’altro.
Posso estendere questo pensiero al linguaggio articolato
tante volte usato, non solo nei rapporti interumani, ma anche
nella letteratura, in filosofia, nella stampa, sebbene sia magari
non propriamente parlato, ma scritto, un linguaggio che ri-
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ferisce soltanto le cose, i fatti? I fatti, allora, potrebbero essere
come una scrittura che indica le cose senza che ci sia nessun
senso nel rapporto tra la persona che scrive e quella che legge? Spesso uno compra il giornale, lo guarda e poi lo butta,
e tutto quello che c’era prima ci sarà dopo. Forse si ha solo
qualche nozione in più. Ad esempio so che Balducci oltre a
rubare due miliardi o giù di lì aveva incontri omosessuali con
giovani ragazzi3. Ma a me cosa importa? Ho solo una nozione
in più e tutto quello che c’era prima resta dopo.
E se, non so se dire drammaticamente o addirittura tragicamente, questo accadesse anche quando si studia la storia?
Ci vengono raccontati i fatti, le nozioni, tipo che Francesco I
di Francia fu sconfitto da Carlo V a Pavia nel 1525. E chi se
ne importa! A scuola invece picchiavano forte perché imparassimo tutte queste indicazioni. Per fortuna c’erano anche
professori e professoresse abbastanza intelligenti che dicevano: «Non bisogna fare un’accumulazione di fatti storici, ma
bisogna capire». Che cosa bisognasse capire, però, non me
l’hanno mai detto. «Bisogna capire la storia». E che vuol dire
capire la storia? E così venne il giorno in cui Hegel parlò di
spirito assoluto. E poi venne Marx che disse: «Il senso della
storia è questo». Ma Hegel aveva detto che era un altro! Ecco
dunque il conflitto tra due tesi che volevano interpretare la
storia ognuna a suo modo. Il determinismo della storia di
Marx non era lo stesso dello spirito assoluto di Hegel.
Per non farla troppo lunga, mi fermo qui e prendo rapporto con la realtà... Sapete, in macchina mi ero un po’ appisolato. Entrava un bel sole dai finestrini. Mi sono appena addormentato e ho sognato che era primavera e che fioriva tutto.
Poi invece ho aperto lo sportello e ho avuto una delusione.
3
Cfr. C. Bonini, Balducci, nuova ipotesi di reato: spunta l’ombra della prostituzione gay, in “la Repubblica”, 3 marzo 2010. [NdR]
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Per fortuna che sono abituato a subire le delusioni tra sonno
e veglia! Però adesso mi sveglio, e aprendo gli occhi mi accorgo che questo, e mi pare di averlo denunciato anche l’anno
scorso, è un corso di psicologia dinamica. Voi sapete che in
genere non preparo niente prima, ma in un attimo fuggente
qualche pensiero è volato ed è riuscito a entrare nella macchina insieme ai raggi del sole, ha colpito la testa e sciolto tutto
il ghiaccio che c’era, e ho detto: «Che vuol dire psicologia dinamica? Che senso ha? Che significato ha?». Il significato è
che Massimo Fagioli va a Chieti a fare una lezione di psicologia dinamica. Una specie di indicazione stradale. L’ho chiesto
anche a un collega molto preparato e mi ha risposto: «Guarda
che l’ha detto Janet». Ah, Janet! Adler ha parlato di psicologia
individuale, Jung di psicologia analitica, Janet di psicologia
dinamica e poi... mi vergogno a nominarlo... Freud ha parlato
di psicoanalisi. Ecco, ce l’ho fatta, l’ho detto!
È una storia che inizia al volgere della seconda metà
dell’Ottocento, quando trionfava l’ipnosi che, se vogliamo,
era cominciata ben prima, nel 1784, quando Mesmer andò a
Parigi, anche se tutto era nato a Vienna, nel fermento di quella filosofia... Questa potrebbe essere un’interpretazione hegeliana: dare un senso alla storia in base alla cultura e alle
idee; un’altra interpretazione potrebbe essere che invece furono le condizioni economiche, della produzione e del lavoro, a determinare la rivoluzione francese. Scegliete voi. Vedete voi se... Io non ci sono riuscito. Si può fare un cocktail
e dire che si è trattato di un cinquanta e cinquanta? Comunque, il 1784 sta nell’ambito di quel fermento che si chiama
Illuminismo dell’Encyclopédie, nell’ambito di una certa idea
dell’identità umana detta ragione, che aveva le sue radici in
un certo Montaigne che nel Cinquecento aveva proposto
questo discorso e la ricerca dell’identità umana come razionalità. Se vogliamo, non era un’idea molto originale, perché
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era già stata proposta da Socrate – sebbene lui non abbia
scritto niente – fino ad arrivare ad Aristotele e a tutto quello
che poi viene codificato come logos occidentale. Bisognerà
pur vedere e studiare se comincia tutto da lì e poi si sviluppa
come ipnosi con la Scuola di Nancy o no?
E perché? Perché c’è in ballo una... chiamiamola filosofia,
un movimento di pensiero di alcuni che vogliono tentare di
capire la verità. Ho sentito tanti filosofi, anche recentemente,
compreso Severino, che parlano della filosofia come ricerca
della verità. E io, che mi sono sempre chiesto come mai per
il linguaggio dire solo linguaggio è una cosa, dire linguaggio
articolato è un’altra, ora mi chiedo: per la filosofia non sarà
lo stesso? Non vorrei avere qualche lacuna mnemonica, in
genere non ce l’ho, ma Severino non aggiunge mai alla parola
verità – alètheia la chiama lui – l’aggettivo ‘umana’. Non vorrei interpretare, perché in questa sede non è lecito farlo, tuttavia pensare sì! E allora dobbiamo dire che questo movimento comincia con i presocratici, e non con Socrate e
l’identità razionale di Platone che fa il logos occidentale. Perché? Perché i presocratici si caratterizzano proprio perché
volevano cercare la verità della natura non umana. Quindi,
nella misura in cui Severino parla soltanto di ricerca, dice che
la filosofia è ricerca della verità, in che modo si distingue dai
presocratici? In niente, mi pare chiaro. Allora la vita è l’acqua, il fuoco, l’aria, la terra. È la ricerca della verità della realtà naturale. Siamo ancora lontani dal discorso scientifico che
indaga per sapere esattamente come è fatto un albero e la
verità della Terra che gira intorno al Sole. Devono passare
diversi secoli perché qualcuno arrivi a scoprire la verità
incontestabile della rotazione terrestre intorno al Sole.
E qui... vedete? I tormenti di avere due mogli! Non che
io sia bigamo, ma interessarsi dell’Illuminismo, della ragione
in quanto pensiero verbale della veglia, e interessarsi anche
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di qualche altra cosa che sarebbe il senso, e dunque questa
scoperta sarebbe dovuta all’evoluzione del pensiero... Un’evoluzione ancora non stabilita precisamente, perché qualcuno
dice che ci fu per l’urbanesimo; qualcuno invece dice che ci
fu per lo sviluppo dell’artigianato o per la fine del Medioevo
e del sistema che vedeva contrapposti il signore e i servi della
gleba; qualcun altro dice che fu per l’arte che si verificò una
modifica del pensiero, quando insieme alla lingua italiana toscana di Dante, Petrarca e Boccaccio venne fuori anche un
movimento fondamentale nella pittura, che è la prospettiva,
e quindi Cimabue e Giotto.
Avrò avuto una lacuna mentale? Adesso non ce l’ho, forse
la ebbi trentacinque anni fa. Ma chi si ricorda di trentacinque
anni fa? Voi ancora non ce li avete trentacinque anni, non
eravate nemmeno nati. Nel fare le prime psicoterapie di gruppo o i primi seminari – così li chiamano –, mi venne da dire:
«E se il movimento, la causa di questo sviluppo del pensiero
fosse la prassi? Non un pensiero, ma la prassi». Quale? La
scoperta dell’America. Potrei dire che è stata una prassi cieca,
perché Cristoforo Colombo non sapeva dove sarebbe andato
a finire. Lui pensava di arrivare nelle Indie. Quindi fu una
prassi cieca, però il momento della visione della grandezza e
della forma della Terra, il fatto di scoprire ha ampliato... Il
rapporto più reale, più vero con il fatto fisico della grandezza
e rotondità della Terra ha portato poi Copernico a dire che il
fatto che il Sole girasse intorno alla Terra era una balla.
Per capire una cosa del genere ci vuole una proposizione
di pensiero un po’ più... che dico? Profonda o elaborata? Più
elaborata? Perché? Ma perché quello che si vede è il contrario! Se vi spaparanzate al sole e state a guardare, vedete che
il Sole... praticamente cammina! Un po’ di percezione, come
con le lancette dell’orologio, di cui non si vede esattamente il
moto, però... si muovono. Quindi viene spontaneo dire che è
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