ZUCCA R., Antas - Antiquarium Arborense

IL TEMPIO DI
ANTAS
Alla venerata memoria di
Ferruccio Barreca
© Copyright 1989 by Carlo Delfino editore, Via Rolando 11/A, Sassari
SARDEGNA ARCHEOLOGICA
11
Raimondo Zucca
Guide e Itinerari
IL TEMPIO DI
ANTAS
Carlo Delfino editore
Alla scoperta del tempio di Sardus Pater
La ricerca del tempio di Sardus Pater è stata la più appassionante
questione di topografia antica della Sardegna
È difficile spiegare il fascino che ha avvinto uomini di tutti i tempi,
gettatisi alla ricerca di città o templi perduti: ricordiamo la scoperta
di Troia, dopo tre millenni di vane ricerche, ad opera di Heinrich Schliemann, la individuazione di Pompei e la localizzazione delle bibliche mura di Gerico, la città più antica del mondo.
Allorquando nel XVI secolo anche in Sardegna, con qualche ritardo rispetto alle capitali dell’Umanesimo e del Rinascimento, ripresero a circolare, soprattutto fra le mani del clero, i codici ed i primi libri
a stampa degli autori greci e latini, nacque immediatamente un vivace interesse sulle città antiche dell’isola.
In particolare le prime edizioni della Geografia di Tolomeo
stimolavano l’interesse dei Sardi: un capitolo del terzo libro dell’opera tolemaica era dedicato all’Isola di Sardegna”, ed in esso erano
elencate decine e decine di località costiere ed alcuni abitati dell’interno. Sulla costa centro occidentale erano segnate Tárrai p6/is (Tharros), le foci del Thyrsos potamòs (fiume Tirso), le foci dell’Ieròspotamòs (fiume Sacro). Othdia p6/is (forse Othoca, presso S. Giusta), il
Sardopátoros ieròn (tempio di Sardus Pater) e Neapolis (localizzata a
sud del Golfo di Oristano, sulle sponde meridionali della laguna di
Marceddì). Nel Cinquecento, si avevano due sole certezze: Tharros,
sul promontorio di San Marco, e le foci del Tirso. Neapolis ed Othaia
erano poste, con molti punti interrogativi, sulla costa Arburese o di
Fluminimaggiore ed il Fiume Sacro risultava essere, forse, uno dei
corsi d’acqua che si gettano nel sistema lagunare del Terralbese.
5
Quanto al tempio di Sardus Pater si brancolava nel buio. Nonostante che Tolomeo avesse puntualmente indicato per ciascuna delle
località le coordinate geografiche (longitudine e latitudine), tuttavia
le ubicazioni permanevano incerte in quanto tali coordinate erano
state ricavate in base a determinati calcoli, non proprio esatti, effettuati sulle distanze marittime tra le varie città.
Ma tutto questo non bastava a scoraggiare gli ardimentosi fondatori della storiografia e della corografia della Sardegna moderna.
D’altro canto vi erano due scrittori medievali, l’Anonimo di
Ravenna nel VII secolo e Guidone nel XII, che citavano il tempio di
Sardus nelle proprie opere geografiche, redatte utilizzando largamente le fonti dell’antichità.
L’Anonimo Ravennate indicava Sartiparias (intendi Sardipatris ternplum = tempio di Sardus Pater) lungo una strada tra Sulci (S. Antioco) e Neapolis (GuspiniS. Maria de Nabui).
Guidone, menzionando il medesimo itinerario tra Sulci e Neapolis,
ricordava Sardiparias, una forma cioè più prossima a quella genuina
di Sardipatris temp/urn.
La mancata indicazione delle distanze tra le località citate rendeva
comunque ardito l’utilizzo delle due opere ai fini topografici.
Il primo studioso ad occuparsi dell’ubicazione del tempio di Sardus Pater fu il vescovo sassarese Gianfrancesco Fara, che scriveva
intorno al 1580.
Il Fara fissava il tempio sul caput Neapolis, l’alto promontorio sul
mare attualmente chiamato Capo Pecora.
Sulla base degli stessi dati di Tolomeo, un trentennio dopo il grande
geografo olandese, Filippo Clüver sistemava il Sardopatoros ieròn
sul promontorio della Frasca, che chiude a mezzogiorno il lunato
Golfo di Oristano. Il Clüver, non riuscendo ad individuare i ruderi del
tempio sull’altopiano basaltico della Frasca, pensò ad una seconda
soluzione: il geografo egiziano non avrebbe parlato di un tempio
(ieròn) ma di un promontorio (akron) denominato, in onore di una
divinità, dal “Sardus Pater’’.
L’ipotesi era ardita e venne ben presto abbandonata.
Nel Seicento si sprecarono le proposte di localizzazione del decantato tempio sulla base di false etimologie, in omaggio al gusto acritico dell’epoca.
6
Erano quelli i tempi delle lotte municipalistiche fra Cagliari e Sassari ed ogni elemento era utilizzato artatamente a sostegno del primato dell’una o dell’altra città. Anche i templi pagani erano una carta
buona per affermare la rinomanza, nell’antichità, del capo di sopra o
del capo di sotto.
Francisco De Vico, alfiere delle ragioni del Sassarese, mediante un
farraginoso ragionamento, localizzava il tempio nella località, prossima a Porto Torrcs, di lonano, fatta derivare da Fanurn Io/ai (tempio
di Iolao), identificato nel tempio di Sardus Pater.
A sud rispondeva il Padre Salvatore Vidal che riconosceva il tempio in questione a Gonnosfanadiga, azzeccando per capriccio del
caso l’etimologia, in quanto Fanadiga è l’esito di fanatica, “addetta al
fanumtempio”. Se non era a Gonnosfanadiga, seguitava nelle sue
elucubrazioni Salvatore Vidal, il tempio era a Serdis, villa medioevale presso Uras, che avrebbe tratto sicuramente il nome da Sardus.
A metà strada tra Nord e Sud si poneva il cappuccino Giorgio Aleu
che ricavava l’ubicazione del tempio dal toponimo di Padria, ricondotto a (Sardus) Pater.
La febbre del Sardus Pater fu mitigata nel secolo XVIII, quando
alcuni studiosi si occuparono esclusivamente della moneta battuta in
Sardegna con la sua effigie.
Il canonico Gian Paolo Nurra in un manoscritto del principio del
Settecento descrive tale moneta con la rappresentazione di Sardus
con la “mitra”, mentre Stanislao Stefanini in una retorica orazione
sulle lodi antiche della Sardegna ricava dal frequente rinvenimento
nell’isola di quelle monete la diffusione del culto di Sardus Pater,
mentre non accenna alla questione del tempio. La storiografia sarda
diviene riflessione critica sulle vicende del passato isolano con lafortunata opera “Storia di Sardegna” di Giuseppe Manno, la cui prima
edizione risale al 1825. Questo autore è incerto sulla ubicazione del
tempio tra il Capo Pecora, come voleva il Fara nel Cinquecento, ed il
Capo Frasca. Lo scolopio Vittorio Angius, infaticabile viaggiatore di
Sardegna e redattore di tutte le voci sarde del Dizionario geografico
di Goffredo Casalis, esita fra la tradizionale localizzazione del tempio sul promontorio della Frasca e la sua proposta di ubicarlo alla
sommità del monte Arcuentu, nel Guspinese, a 785 metri di quota.
Anche Alberto Lamarmora si cimenta nel problema ed infine si
7
mostra favorevole a collocare il tempio a nord del Capo Pecora, sulla
costa occidentale, in lcoalità Acqua Bella, dove intravede alcuni
ruderi.
Nel 1859 lo stesso Lamarmora muterà idea e si riferirà al promontorio della Frasca in quanto in un frammento di colonna miliaria, rinvenuto a Neapolis, ad oriente di quel promontorio, si menziona una
via che conduce fino ad un sito, il cui nome, parzialmente conservato, termina in ellum.
Il Lamarmora, anzichè [UsJellum, propone di integrare [sac]ellum,
tempietto (di Sardus Pater).
In questo coacervo di supposizioni, a metà del secolo scorso, nacque il caso della “Carte d’Arborea”, i geniali falsi fabbricati in Oristano che, d’incanto, risolvevano tutti quei “buchi neri” che la storiografia ufficiale aveva individuato nel suo plurisecolare percorso.
Non mancava, certamente, in quelle Carte la soluzione al problema
topografico del tempio di Sardus Pater.
Nel “Ritmo di Gialeto”, opera attribuita al secolo VII, si esalta Sardus Pater giunto dalla Libia a recare la civiltà in Sardegna e si descrive il suo tempio, posto sul promontorio della Frasca “contra Tharros
proximum”, di fronte a Tharros, a breve distanza da quella città.
In un’altra carta arborense si narra che, allorquando nel V secolo
Tharros fu assalita dai Vandali, gli abitanti dell’altopiano della Frasca
temendo un analogo attacco, trassero l’antica statua di Sardus dal
tempio e la recarono a Tunis Libisonis, dove sarebbe stata ancora
ammirata, alla fine dell’Vili secolo, dallo scrittore Antonio di Tharros.
Le pergamene d’Arborea ci informano infine sulla scoperta nel
secolo XV, tra le rovine dell’antica Olbia, di una statua di Sardus, che
andò ad arricchire la collezione di antichità del nobile soldato Giovanni Cariga.
La statua rappresenta Sardus assiso su un trono decorato da un
grifone; la divinità ha la chioma fluente, cinta da una benda, e la
lunga barba gli incornicia il volto; il corpo è rivestito da un aderente
chitone e sulla spalla sinistra reca un mantello. Con la destra Sardus
tiene il calamo mentre nella sinistra impugna un rotolo (volumen).
Sullo zoccolo del trono un’improbabile iscrizione ebraico-fenicia
direbbe “ab Shardòn”, (Padre Sardo).
Naturalmente tutto questo era frutto di fantasia, ma l’inaspettata
8
conferma offerta dalle carte dell’ubicazione del tempio sul Capo Frasca fece fortuna.
Lo stesso Alberto Lamarmora, come abbiamo visto, mutò opinione sulla localizzazione del santuario e nel 1850, durante un giro di
ispezione delle torri litoranee sarde, sbarcò sul Capo Frasca e fece
alcune ricerche senza alcun risultato, “perchè – affermava il Generale la mia fermata fu di pochi istanti”.
Ricerche più approfondite condussero in quell’altopiano, nel maggio del 1858, Giovanni Spano, padre dell’archeologia sarda, ed il suo
allievo Vincenzo Crespi.
“Io sono d’opinione – scriveva lo Spano – che questo tempio fosse
collocato alla falda orientale del monte (della Frasca) in faccia a Neapolis e al fiume sacro nel sito detto S. Giorgio, dove esistono ruderi
di edificio, massi squadrati, frammenti di marmo e di stoviglie”.
Di quell’edificio il giovane Crespi curò la planimetria, senza che
sorgesse il minimo dubbio sulla effettiva natura del complesso edilizio, nonostante che absidi, vasche, bocche di forno ed altre particolarità indicassero chiaramente la natura termale della struttura.
Ma forse qualche sospetto sulla funzione di quel sontuoso edificio
di Capo Frasca era maturato anche nella mente del vecchio canonico
Spano, che indubbiamente non vi compì alcuno scavo.
La localizzazione del tempio era ormai consacrata: storici del calibro di Ettore Pais e di Camillo Bellieni, archeologi della statura di
Antonio Taramelli e di Gennaro Pesce di riferirono sempre al promontorio della Frasca quale sede del Sardopatoros leron.
Ad esprimere dubbi sulla tradizionale ubicazione del tempio sul
Capo Frasca furono in questo secolo due studiosi: Carlo Albizzati,
che in uno studio sul Sardus Pater proponeva di identificare il tempio
nel Sinis, nel territorio dei Tharranses, e Giovanni Lilliu.
Quest’ultimo nel 1951 diresse, per conto della Soprintendenza alle
antichità, una campagna di scavi nella località di S’Angiarxia, sulla
spiaggia orientale del promontorio della Frasca. Tale località corrisponde al sito di San Giorgio nel quale lo Spano vi aveva segnalato i
ruderi del presunto tempio di Sardus Pater.
Lo scavo, condotto fra il maggio ed il luglio del 1951, rivelò l’amara realtà: le imponenti rovine di S’Angiarxia si riferivano non già
al decantato tempio, bensì ad una prestigiosa villa marittima romana
9
che si apriva col suo porticato di oltre quaranta metri sul Golfo di Oristano.
Accennando a questi scavi in una nota del lavoro sui Bronzetti
nuragici di Terralba” il Lilliu, dissentendo dalla consueta localizzazione del tempio sul promontorio della Frasca, esprimeva l’opinione
che il santuario andasse ricercato nelle immediate vicinanze della
città di Neapolis, presso le foci del Fiume Sacro, forse il Riu Sitzerri o il Flumini Mannu che sboccano all’altezza di quella città.
La installazione del Poligono di tiro Interforze sul promontorio
della Frasca, al principio degli anni Sessanta, rappresentò un freno
all’attività di ricerca, clandestina, che nel corso dei decenni aveva
interessato numerosi siti archeologici di quell’altopiano. A sciogliere
10
Fig. 1. Le rovine del temio
di Antas viste dal Lamarmora
il secolare quesito sulla ubicazione del tempio fu una straordinaria
scoperta nel cuore delle montagne iglesienti. Nel quadro delle missioni congiunte, effettuate di concerto tra la Soprintendenza alle antichità di Cagliari e l’Istituto di Studi del Vicino Oriente dell’Università di Roma, Gennaro Pesce e Sabatino Moscati decisero di promuovere un vasto intervento di scavo nella località di Antas, presso
Fluminimaggiore, nella Sardegna sudoccidentale, affidandone la
direzione a Ferruccio Barreca.
Questo studioso, di formazione classica, era giunto in Sardegna nel
1957 in qualità di Ispettore della Soprintendenza alle antichità di
Cagliari, di cui doveva divenire, un decennio dopo. Soprintendente,
dedicandosi, in collaborazione con Moscati e Pesce, alla scoperta
11
della Sardegna fenicia e punica.
Dopo la individuazione delle fortezze fenicie e cartaginesi di
Monte Sirai e di Pani Loriga e dei microinsediamenti punici del Sulcis, la ricerca si orientò verso l’Iglesiente settentrionale, rivolgendosi nel 1966 alla valle di Antas.
Il sito era ben noto alla letteratura archeologica per la presenza di
imponenti ruderi di un tempio romano.
Nel 1838, Alberto Lamarmora nelle sue peregrinazioni attraverso
l’isola, intento a compilare il Voyage en Sardaigne, giunse in una
“foresta verde cupo di quercie assai pittoresca; alcuni di quegli alberi, crescendo in mezzo allo stesso tempio, ne hanno accellerato la
distruzione; al primo sguardo, non si vede altro che un ammasso di
frammenti di colonne accatastate con i resti di cornici e capitelli; ma
esaminando questi resti con un po’ di cura, si riconosce che il basamento dell’edificio è, per così dire, completamente intatto”.
Il Generale Lamarmora si rammaricò che in quel sito disabitato
non potesse trovare un gruppo di persone indispensabili per spostare
i pesanti blocchi, onde rintracciare, in particolare, i frammenti dell’iscrizione dell’architrave, solo in parte evidenti, che avrebbero restituito la titolatura del tempio.
L’anno successivo, il Generale incaricò il più prestigioso architetto
di Cagliari, Gaetano Cima, di recarsi nella valle di Antas per rilevare
il tempio e per sovraintendere alle operazioni di ricerca dei frammenti mancanti all’epigrafe del frontone. La fatica del Cima non fu
coronata dal successo e nel 1840, nel secondo volume del suo Voyage, il Lamarmora potè pubblicare, insieme ai rilievi ed alle proposte
di ricostruzione del tempio redatti dal Cima, una assai parziale lettura dell’epigrafe, attribuita ad Antonino Pio (138-161 d.C.) od a
Marco Aurelio (161-180 d.C.).
L’imponenza dei ruderi suggerì al Lamarmora l’ipotesi che il tempio fosse un santuario extraurbano del territorio della città mineraria
di Metalla (“Le miniere”), menzionata nell’Itinerarium Antonini, tra
Neapolis e Sulci, lungo la strada costiera settentrionale ed occidentale detta “a Tibulas Sulcis”.
Fig. 2. Rilievo e ricostruzione ideale del tempio di Antas ad opera del Cima
(da La Marmora)
12
13
Fig. 3. Frammentti del frontone con iscrizione ricomposti dal Lamarmora (da
Lamarmora)
Pur non potendosi ricostruire puntualmente il tracciato della strada
romana, le trenta miglia romane (circa 45 Km) assegnate dall’Itinerarium sia al tratto Neapolis-Metalla sia a quello fra Metalla e Sulci
inducevano a localizzare Metalla presso Fluminimaggiore, nei dintorni di Antas.
A corroborare questa ubicazione venne il rinvenimento in alcune
località dell’isola di una moneta romana, della seconda metà del I
secolo a.C., che recava sul rovescio un tempio tetrastilo (identificato
con quello di Antas) e la lettera M (ritenuta l’abbreviazione di
M(etalla).
Allo stesso tempio di Antas si riferì qualche tempo dopo Vittorio
Angius nell’articolo Flumini-Majori (Fluminimaggiore) del Dizionario-geografico-storico di Goffredo Casalis.
Lo scolopio Angius ammise cavallerescamente che il merito della
scoperta del tempio doveva tributarsi al Lamarmora, pur dichiarando
di aver visitato nello stesso anno 1838, in “quella selvosa regione” di
Antas, l’edificio monumentale, attribuito al principato di Antonino
Pio.
L’Angius riportò l’impressione che il tempio fosse stato distrutto in
epoca imprecisabile.
Giovanni Spano non si occupò in dettaglio del tempio di Antas, ma
accennò ad esso in vari suoi lavori a proposito della probabile
localizzazione di Metalla, cui veniva attribuito lo stesso luogo di
culto.
Il tempio, di difficilissimo accesso, fu trascurato dagli studiosi: nel
penultimo decennio del secolo scorso la valle di Antas fu raggiunta
14
Fig. 4. Frammenti di colonne e di capitelli disegnati dal Cima (da Lamarmora)
faticosamente dallo Schiemt, un illustre epigrafista tedesco cui Theodor Mommsen aveva commissionato l’incarico della revisione diretta delle iscrizioni latine di Sardegna: non tutti i blocchi dell’epistilio
riconosciuti dal Lamarmora erano allora in vista, ma l’esame
approfondito dei frammenti evidenti al suolo suggerirono di riferire
l’iscrizione all’Imperatore Commodo (180-192 d.C.).
Ettore Pais, pubblicando nel 1923 la monumentale “Storia della
Sardegna e Corsica durante il dominio romano” illustrò l’epigrafe di
Antas attribuendola con probabilità a Commodo e presentò l’immagine ottocentesca del tempio avviluppato dal bosco tratto dall’Atlante del Lamarmora.
Lo stato dei luoghi, dopo un secolo, era immutato: solamente le
Guerre Mondiali, sottraendo al mercato usuale i metalli, aveva spinto i cacciatori alla disperata ricerca del piombo e le grappe plumbee
15
che univano i blocchi del tempio si erano trasformate in pallini da
caccia. Gli incendi, la ricerca del legname, l’apertura dei cantieri
minerari e la bramosia di tesori archeologici fecero scomparire le
ultime traccie del lussureggiante manto boschivo. Nel 1954 un’ardimentosa studentessa dell’Ateneo Cagliaritano, L. Caboni nell’ambito delle ricerche per la propria tesi di laurea sui Culti e templi punici
e romani in Sardegna, si portò ad Anta e nel coacervo dei blocchi e
delle membrature architettoniche del tempio scoprì un frammento
dell’epistilio, fino ad allora sfuggito alle ricerche, che, completato
con un ulteriore blocco inscritto rinvenuto nel 1967, consentì successivamente a Giovanna Sotgiu di restituire la lezione integrale della
iscrizione frontonale.
Al principio degli anni Sessanta, giunse ad Antas un altro ricercatore, Foiso Fois, che curava lo studio della viabilità romana dell’isola. Il Fois compì due osservazioni di grandissimo interresse: rilevando ex-novo il tempio, da un lato si rese conto che il Cima aveva omesso nella sua pianta due piccoli ambienti quadrangolari che chiudevano il sacello sul lato breve nord-occidentale, dall’altro comprese che
la tecnica edilizia usata per edificare il tempio differiva da quella
Fig. 5. Antefissa con personaggio alato (da Lamarmora)
16
delle strutture sottostanti la gradinata d’accesso.
Quest’ultimo particolare indusse il Fois ad ipotizzare, sei anni
prima dell’inizio degli scavi, l’origine punica del luogo di culto di
Antas.
Il tempio pareva, comunque, destinato a restare anonimo quando,
nel 1966, nel corso dei lavori preliminari di sistemazione dell’area di
Antas, nel coacervo di materiali accumulati sul tempio si recuperò
una tabella in bronzo, recante una dedica a Sardus Pater, presentata
tempestivamente da Piero Meloni nel V Congresso Internazionle di
Epigrafia Greca e Latina di Oxford.
L’importantissimo reperto costituiva la prima spia del culto di Sardus praticato nel santuario di Antas.
Nell’anno successivo gli scavi archeologici restituirono in luce un
nuovo frammento della iscrizione dell’epistilio, che si ricomponeva
con il blocco inscritto scoperto nel 1954 dando l’integrale titolatura
del tempio: Temp[l(um) D]ei fSa]rdi Patris Babfi] (Tempio del Dio
Sardus Pater Babi).
La scoperta fece scalpore, suscitando il generale interesse dei mass
media, in quanto pareva risolvere il secolare problema topografico.
Gli scavi precedettero nel settembre 1967 e nel successivo settembre 1968 e rivelarono, sottostante la scalinata del tempio romano, un
luogo di culto cartaginese dedicato al Dio Sid, cui si riferivano una
ventina di epigrafi puniche.
Allo scavo seguì nel 1969 un preliminare rapporto di scavo (Ricerche
puniche ad Antas) edito dall’Istituto di Studi del Vicino Oriente
dell’Università di Roma nella prestigiosa serie degli Studi Semitici.
Il volume conteneva un’introduzione di Sabatino Moscati, mentre
Ferruccio Barreca curava lo studio del tempio. La ricca documentazione epigrafica era analizzata da Mohamed Fantar; a Maria Giulia
Amadasi era affidato lo studio sul Dio Sid; le categorie materiali
puniche (amuleti, terrecotte, monete) erano pubblicate da Enrico
Acquaro e Dalila Fantar; Serena Maria Cecchini, infine, dava l’edizione degli scavi di un villaggio tardo antico presso il tempio di
Antas.
Nel 1976 hanno avuto termine i lavori di anastilosi del tempio di
Sardus Pater diretti da Ferruccio Barreca, cui va rivendicato il merito di aver restituito alla valle di Antas il monumento che la pietà reli-
17
Fig. 6. Moneta coniata al tempo del pretore Azio Balbo, nel 38 a.C. , con l’effige del Sardus Pater
Fig. 7. Tabella bronzea da Antas con dedica al Sardus Pater
18
Fig. 8. Figura divina in bronzo da Gesturi
19
giosa antica aveva innalzato alla massima divinità dei Sardi.
Dopo un’interruzione di oltre un quindicennio gli scavi archeologici sono stati ripresi ad Antas, nel 1984, da Antonio Zara sotto la
direzione congiunta di Ferruccio Barreca e Giovanni Ugas.
Nell’area a sud del tempio sono state messe in luce tre tombe a
pozzetto della prima età del Ferro, una delle quali ha restituito un
bronzo che rappresenta una figura maschile ignuda che brandisce una
lancia, forse la più antica raffigurazione di Sardus.
Nei vent’anni successivi alle scoperte di Antas si sono moltiplicati
gli studi archeologici, topografici, storici, relativi al tempio di Sardus
Pater ed alla divinità Sid-Sardus Pater. In generale non sono stati sollevati dubbi sulla identificazione del tempio di Antas con il Sardopatoros ieròn di Tolomeo, anche se alcuni studiosi (C. Puxeddu, G.
Tore) hanno ribadito l’eventualità che una imponente struttura romana in località Sa Tribuna, all’estremità meridionale dell’altopiano
della Frasca potesse identificarsi con il tempio principale di Sardus.
Il culto di SidSardus Pater
Lo scrittore greco Pausania, che scrisse una Descrizione della Grecia
intorno al II secolo d.C., sulla base della propria esperienza diretta
dei monumenti antichi, menziona tra i doni consacrati ad Apollo nel
celebre tempio di Delfi una statua in bronzo di Sardus Pater.
La scultura in bronzo era posta, nell’ambito del tempio delfico, in
“un luogo lastricato di marmo bianco che viene detto omphalòs, perchè è riguardato come il centro della terra”.
La statua di Sardo era collocata dopo le “cinque statue di Apollo
che i Liparei avevano preso ai loro nemici, i Tirreni [Etruschi]” ed
una statuetta di un piccolo Apollo, “consacrato da Echecratide di
Larissa, ritenuta la più antica offerta del tempio”. All’immagine di
Sardo seguiva “un cavallo di bronzo con una iscrizione dicente che
Callia, ateniese, figlio di Losimaclite, aveva compiuto l’offerta a
spese dei Persiani”. Pausania precisa che la statua in bronzo di Sardo
era stata inviata “dai Barbari che sono all’Occidente ed abitano la
Sardegna”, verosimilmente i Sardi e non già i Cartaginesi dell’isola.
20
Lo stesso autore ci offre ampie notizie sulla figura di Sardo: “si
dice che i primi a passare con navi nell’isola [di Sardegna] fossero
Libici e loro condottiero fosse Sardo figlio di Màkeris [= Melkart,
divinità feniciopunica corrispondente ad Erakle], essendo così denominato dai Libici e dagli Egiziani, Erakle. Molto celebre fu il viaggio di Makeris a Delfi.
Sardo portò i Libici a Ichnusa [antico nome della Sardegna] e perciò l’isola cambiò il nome nel suo [denominandosi Sardegna]. La
flotta dei Libici non scacciò gli indigeni, ma questi li accolsero più
per forza che per benevolenza. Né i Libici, né i nativi sapevano edificare città, ma abitavano dispersi in capanne e spelonche come potevano”.
Pausania d’altro canto non fu il primo scrittore classico a trattare
delle divinità eponima dei Sardi.
Pur non escludendo che autori più antichi (in particolare Timeo di
Fig. 9. Antas. Testa in terracotta di persona divina maschile barbuta
(Melkart)
21
Fig 10. Antas.
Testa di persona
divina femminile
(Tanit) attribuibile a bottega argiva.
Tauromenio nel
IV sec. a.C.) ne parlassero, la prima menzione letteraria di Sardus
Pater è contenuta nelle perdute Historiae di Sallustio, del I secolo
a.C.: “Sardus, generato da Ercole, insieme ad una grande moltitudi-
Fig 11. Antas. Profilo in ardesia di
persona
divina
maschile imberbe
(Sid)
22
ne di uomini, partito dalla Libye [Africa settentrionale], occupò la
Sardegna e del suo nome denominò l’isola”.
Da Sallustio dipendono le successive attestazioni latine e,
probabilmente, a già ricordata narrazione di Pausania.
Gaio Silio Italico (I secolo d.C.) nel libro XII del suo poema “Punicae” dedica due versi a Sardus: “dopo che i Greci chiamarono l’isola Ichnusa, Sardus confidando nel generoso sangue di Ercole Libico,
le cambiò il nome dandole il suo”. Nella sua “Raccolta delle cose
memorabili”, Gaio Giulio Solino, nel III secolo d.C. annotava: “Non
importa dunque narrare come Sardo, nato da Ercole, Norace da Mercurio, l’uno dall’Africa, l’altro da Tartesso della Spagna, arrivassero
sino a questa isola [di Sardegna] e da Sardo si sia denominato il
paese, da Norace la città di Nora”.
Fig. 12. Antas. Testa in terracotta di persona maschile divina, imberbe, con
berretto frigio (Sid)
23
Nella curiosa operetta “Sulle nozze della Filologia e di Mercurio”
Marziano Capella, nel pieno V secolo d.C., ricorda di sfuggita che
“Invero la Sardegna fu denominata da Sardo figlio di Ercole”.
Quasi due secoli più tardi, il vescovo di Siviglia Isidoro nei “Libri
delle etimologie”, trascrivendo quasi alla lettera Sallustio, affermava:
“Sardo, nato da Ercole, partito dalla Libia con una grande
moltitudine, occupò la Sardegna e dal suo nome diede una nuova
denominazione all’isola’’.
In pieno Medioevo Guidone nell’opera Geographica, derivava da
Isidoro le informazioni sul nome dell’isola:
“La Sardegna (...) è così denominata dal figlio di Ercole Sardo, che
con una grande moltitudine partito dalla Libya, occupò la Sardegna e
dal suo nome, diede una nuova denominazione all’isola”.
Due tardissime attestazioni bizantine su Sardo, potrebbero discendere da fonti greche classiche, forse a Timeo.
Eustazio nelle annotazioni all’opera di Dionisio Periegeta afferma
che “La Sardegna fu denominata da Sardón, figlio di Erakle”.
La medesima nota si riscontra negli Schólia (annotazioni) anonimi
all’opera geografica di Dionisio: “Sardò [= Sardegna]: da Sardòn,
Fig 13. La valle di Antas vista da Sud-Ovest, prima degli scavi
24
figlio di Erakle”.
Su queste scarse fonti letterarie si è esercitata l’analisi degli storici delle religioni e dei filologi onde definire le caratteristiche di Sardus Pater, prima che le scoperte di Antas consentissero di arricchire
il quadro delle nostre conoscenze.
Raffaele Pettazzoni riscontrava in Sardus Pater il carattere del dio
unico e supremo inserendolo nel più vasto contesto degli “Esseri
Supremi” delle ‘’culture primitive’’.
Carlo Albizzati considerava Sardus il Baal che si venera in Sardegna, uno dei tanti dei di nazioni, regioni, luoghi, città che i Cartaginesi volevano fabbricarsi nei paesi di conquista, sollecitando con la
parvenza del nome il favore dei popoli locali (G. Lilliu). A sostegno
di questa seconda tesi si è segnalata una statuina punica di bronzo da
Gesturi rappresentante un tipo stante, barbato, con lunga tunica e
tiara di penne e l’epiteto stesso di Pater (che traduce il punico BA’al)
dato a Sardus.
Ugo Bianchi ha posto invece l’accento sul carattere primordiale, indigeno, di fondatore attribuito dalle fonti a Sardus, vedendo nella
leggenda il riverbero di migrazioni dal Nord-Africa in Sardegna in
Fig 14. Antas. Il tempio durante i lavori preliminari
25
Fig. 15. Veduta da Sud-Ovest del tempio Sardus Pater: in primo piano, i pozzetti delle tombe nuragiche (da Ugas)
Fig. 16. Antas. Planimetria generale delle tombe nuragiche (da Ugas)
26
età preistorica.
Le scoperte archeologiche ed epigrafiche di Antas hanno evidenziato che Sardus fu preceduto nel culto da Sid.
Questa divinità in precedenza era scarsamente conosciuta: Sid compariva a Cartagine in coppia con Melkart e Tanit (Sidmelkart e Sidtanit) e come componente di nomi teofori.
Il primo teoforo con Sid è attestato da uno scaraboide siro-fenicio
del VII sec. a.C.
Le attestazioni sarde di nomi composti con Sid sono: Meleksid, Bodsid (Olbia); YatonSid (Monte Sirai).
Sul carattere di Sid qualche lume si può ricavare dalla preponderante attestazione nell’area semitica del teoforo Yatonsid con allusione ad una natura benefica del dio.
L’etimo di Sid sembra essere in relazione con una radice semitica che
significa “cacciare” per cui non può escludersi che Sid possa ricollegarsi con le divinità fenicie Agreus (“cacciatore”) ed Alieus (“pescatore”) ricordate da Filone di Biblo.
È stato osservato che Sid e Sardus sono rispettivamente l’interpretazione cartaginese e romana della stessa figura divina (F. Barreca);
questa identità aiuta a comprendere la oscura espressione appresaci
dalla epigrafia di Cartagine: SidMelkart e SidTanit poichè Sardus
dalle fonti letterarie è detto figlio di Erakles-Màkeris (identificato
con Melkart) SidMelkart deve interpretarsi “Sid figlio di Melkart” ed
analogicamente sidTanit si intende “Sid figlio di Tanit”.
Il supposto attributo di cacciatore di Sid appare confermato dai
giavellotti e dalle punte di freccia metalliche scoperte ad Antas. Una
piccola ancora ed un delfino, provenienti dalla stessa località, potrebbero indicare un carattere anche marinaro di Sid. A Sid furono dedicate nel tempio di Aritas delle statuette delle divinità guaritrici Shadraphà ed Horon, in rapporto, probabilmente, a prerogative salutifere delle stesso a Sid, come documenta un serpentello bronzeo, tipico
attribuito di divinità guaritrici, rinvenuto ad Antas.
Nella iscrizione latina dell’epistilio del tempio ed in alcune epigrafi
puniche di Antas appare il medesimo epiteto di Sardus-Sid:
BABI/Baby; che è stato considerato una apposizione di Sid [e di Sardus] che sembra provenire dal sustrato religioso e linguistico mediterraneo dei protosardi presso i quali Baby sarebbe stato un appel-
27
Fig 17. Planimetria e sezione delle tombe nuragiche (da Ugas)
28
Fig 18. Antas. Veduta dell’inumato della tomba T3 (da Ugas)
29
30
lativo della suprema divinità maschile (F. Barreca).
Alcuni studiosi, infine, hanno posto in luce il carattere fondamentale comune a Sid ed a Sardus: Sid (che secondo un’ipotesi di Giovanni Garbini sarebbe il dio eponimo di Sidone) fu il dio in testa al
popolo dei Fenici che sbarcarono in Sardegna, come Sardus era stato
il condottiero che dopo aver attraversato il corso del mare aveva recato nell’isola tirrenica un manipolo di uomini: la stirpe dei Sardi.
ITINERARIO
Da Cagliari, attraverso la superstrada a quattro corsie 130
“Iglesiente”, si raggiunge in 52 chilometri la città di Iglesias; si transita nel cuore della città medievale sino ad imboccare, sulla destra, la
statale 126.
La strada per 13 chilometri tende a salire bruscamente in un
panorama di scisti, ravvivati dal verde intenso di quercie e lecci, sino
a varcare il passo (segnalato) di Genna Bogai, a 549 m. sul livello del
mare.
Da questa vetta la via discende tra fitti boschi per tre chilometri
sino al bivio (indicato con la segnaletica turistica) per il Tempio di
Antas, in territorio di Fluminimaggiore.
La strada (in corso di sistemazione nel 1988) si snoda in una valletta, incassata tra pareti calcareee e solcata dal Rio Antas, per 2,200
chilometri fino al cancello d’ingresso all’area archeologica.
Apertura continuata; ingresso gratuito.
Una stradina bianca di un centinaio di metri ci conduce di fronte al
tempio di Antas.
▼
Fig 19. Antas. Figurina in bronzo dalla tomba T3 (da Ugas)
31
Fig. 20. Antas. Il tempio romano visto da Nord durante i lavori di scavo e
restauro.
Fig. 21. Antas. Il podio del tempio romano con ingresso laterale, da SudOvest, durante i lavori di scavo e di restauro
32
La necropoli nuragica
La prima fase d’utilizzo dell’area si riporta al periodo nuragico del
Bronzo Finale (1200-900 aC.), cui si riferiscono, probabilmente,
ceramiche d’impasto, anelli digitali in bronzo, una perlina in vetro
verde ed un frammento di lamina in bronzo. Tali reperti, rivenuti in
un’area distante quaranta metri a sud del podio del tempio romano,
sono stati problematicamente ascritti dallo scavatore, Giovanni Ugas,
a sepolture ad incinerazione del Bronzo Finale, connotate da un terriccio ricco di carboni e di ossa umane combuste.
Con certezza può affermarsi che l’area funeraria nuragica fosse in
uso nella prima età del Ferro (IX-VIII secolo a.C.), giacchè a questo
ambito cronologico si ascrivono le tre tombe a pozzetto orientate in
senso NordSud visibili a 21 metri a Sud del podio romano.
Si tratta di fosse circolari scavate nel banco di schisto grigio, di m.
0.80 (T. 1,3)/0.87(T.2) di diametro, con profondità di m. 0.35(T.l),
0.45(T.2), 0.68(T.3).
Le tombe 1 e 3 contenevano un individuo inumato, mentre la
tomba 2 va considerata un cenotafio.
Nella tomba i si è rinvenuta una perlina di bronzo e due vaghi di
collana in oro; nel pozzetto 2 una semplice perla in cristallo di rocca.
Più ricca appare la tomba 3, da cui provengono tre vaghi sferici in
cristallo di rocca, quattro perle (a botticella, cilindrica, ad anello,
biconica) in ambra; tre vaghi in vetro verde e giallo-ocra, un vaso in
argento laminato in oro, un pendaglio a disco ugualmente in argento,
un anello digitale ed una statuina in bronzo.
Il defunto appare essere un dolicomorfo di tipo mediterraneo,
deposto in ginocchio o seduto.
La tipologia dei pozzetti funerari richiama con immediatezza la necropoli indigena della prima età del Ferro e del periodo Orientalizzante (VII sec. a.C.) di Monte Prama-Cabras, in cui i pozzetti dotati
di lastrone di copertura erano, in origine, contrassegnati da statue in
arenaria gessosa alte circa m. 2,5/3, rappresentanti arcieri e “pugili”
secondo iconografie documentate nella bronzistica nuragica.
Evidentemente il defunto fu sepolto adornato da una collana
(composta da undici perle di varia materia e da un pendaglio d’argento) e da un anello digitale, mentre nella mano destra gli fu collo-
33
Fig 22. Antas. Il tempio punico: prima fase (A) e seconda fase (B)
cata la statuina citata.
Questa figurina, di artigianato indigeno influenzato da modelli
levantini, presenta un individuo ignudo, stante con le ginocchia leggermente flesse, il braccio destro alzato in gesto di benedizione e con
la mano sinistra impugnante una lancia. La testa evidenzia un naso a
listello, gli occhi a globetto e la bocca dischiusa; i padiglioni auricolari sono piuttosto ampi ed inorganici, il capo è ricoperto da una
calottina.
La statuina trova un confronto puntuale con il bronzetto nuragico
di guerriero nudo con lancia rinvenuto da Daniela Rovina nell’area
del pozzo sacro di Serra NieddaSorso.
La cronologia andrà posta tra il IX e i primi tempi dell’VIlI secolo
a.C.
La statuina potrebbe rappresentare la più antica raffigurazione di
Sardus PaterBabai.
Benchè nel nostro bronzo non compaia la tiara piumata che coro-
34
na la testa di bronzetto da Decimoputzu, possibilmente identificata
anch’essa con Sardus Pater, tuttavia la presenza della lancia nei bronzetti nuragici di Antas e di Sorso richiama con immediatezza il medesimo attributo di Sardus Pater sul rovescio della moneta di M. Atius
Balbus, la lancia impugnata da Sid nella pittura della “Tomba di Sid”
nella necropoli punica di Tuvixeddu e Carales e nel rasoio di Sid da
Cartagine e la numerosa serie di giavellotti votivi in ferro di Antas.
Come si è detto il teonimo Babai ridotto in età punica e romana ad
appellativo rispettivamente di Sid e Sardus Pater, deve ascriversi ad
Fig 23. Antas. Il tempio punico: veduta assonometrica.
35
ambito linguistico e culturale paleosardo, cioè nuragico.
Il dio guerriero e cacciatore dei Sardi era venerato in questa valle
di Antas sin dal IX sec. a.C., epoca in cui viene concepito in aspetto
antropomorfo.
Non deve essere escluso che il culto di Sardus-Babai fosse connesso alla venerazione degli antenati sepolti nella valle sin dai tempi
del Bronzo finale, in quanto una delle caratteristiche di Babai-SidSardus era, secondo la intuizione di Jean Ferron, quella dell’dncetre,
“progenitore e fondatore della stirpe”.
Il luogo di culto nuragico dovrà essere definito nelle indagini future: allo stato attuale delle ricerche ignoriamo se i bronzi votivi indigeni rinvenuti nell’area di Antas (una faretrina”, un stiletto a capocchia modanata, una spada miniaturistica, un arto inferiore di figurina,
una statuina di devoto, riportabili all’Vili secolo a.C.) siano da attribuirsi (in parte o totalmente) a sepolture ovvero alla stipe del presumibile santuario nuragico.
Il tempio di Sid
Il tempio di Antas venne edificato su un modesto rilievo (m. 363
sul livello del mare) che costituisce l’estremità delle falde meridionali del Monte Conca S’omu (Il cocuzzolo della casa”).
L’edificio si presenta orientato da sudest a nord-ovest imponendo
ai fedeli l’ascesa al podio mediante una lunga scalinata. Questa gradinata insiste sull’area dell’originario tempio punico dedicato a Sid.
Il tempio punico
Le testimonianze edilizie del primitivo luogo di culto punico sono
state quasi completamente annientate nel corso dei lavori di ricostruzione del tempio in forme romano-italiche, probabilmente in età
augustea (27 a.C.-14 d.C.).
Possiamo individuare a due metri in direzione nord-ovest, a partire dall’inizio della scalinata, in corrispondenza dell’estremità
36
sudoccidentale (a sinistra di chi sale la gradinata) del secondo ripiano romano, la traccia di un muro di schegge piatte di calcare, cementate da malta di fango scuro.
Questa struttura apparteneva probabilmente al lato sudorientale del
sacello punico.
Ad otto metri a nord ovest del primo gradino, immediatamente a
monte dei muretti, alti circa 90 centimetri, in schegge di arenaria connesse da fango rossastro (di età romana), si osservano, alcuni residui
murari costruiti con la medesima tecnica della prima struttura, a
schegge di calcare appiattite.
Questi muretti si addossano ad una roccia calcarea di m. 3 di
lunghezza e di m. 4.25 di larghezza, definendo un quadrato di circa
metri 4.75 dilato.
Ancora a nord-ovest della roccia delimitata dalle strutture in schegge calcaree si estende un pavimento in calce e pietrisco, di m. 5.50 x
4.50, che si addentra sotto gli ultimi gradini della scalinata romana
sino a raggiungere le fondazioni del podio.
I blocchi in arenaria che delimitano i lati nord-orientale e sudorientale della gradinata sono in gran parte riutilizzati dalla struttura
templare punica.
In particolare sono stati evidenziati tre elementi di gole egizie, rocchi di colonne (diametro m. 0.50), due mezzi capitelli dorici (diametro m. 0.82; altezza m. 0.30), scolpiti nell’arenaria e rifiniti con stucco colore bianco avorio.
Altri blocchi e membrature architettoniche del luogo di culto punico furono riusati come materiale di riempimento per la formazione
dell’alto podio in fase romana.
I tratti murari superstiti relativi al sacello di Sid consentono
esclusivamente la formulazione di ipotesi ricostruttive.
Il tempio di Sid sorse intorno al 500 a.C., in un’area contrassegnata dall’affioramente calcareo di m. 3 x 4.25 già ricordato che assunse il valore di roccia sacra.
Il luogo di culto in origine dovette essere un semplice sacello
rettangolare di circa m. 9 x 18, accessibile sul lato breve sud-orientale ed orientato con gli spigoli, in modo che l’angolo in alto a destra
fosse rivolto a nord, secondo una norma rituale semitica derivata
dalla credenza che la divinità avesse la propria dimora celeste nel
37
Nord.
All’interno del sacello, in aderenza al lato sudoccientale si elevava
l’altare, probabilmente a cielo scoperto, costituito dal roccione sacro
delimitato da bassi muretti di schegge di calcare bianco.
Sulla roccia sacra lo scavo ha evidenziato tracce esistenti di bruciato, che documentano i sacrifici (di olocausto?) alla divinità.
Il sacello a sua volta era compreso all’interno di un grandissimo
témenos quadrato di circa m. 68 dilato, formato da un muro di pietre
calcaree poligonali cementate da malta di fango nerastro.
Il tempio fu ampiamente ristrutturato intorno al 300 a.C., secondo
modelli punicoellenistici.
Il sacello del 500 a.C., venne, probabilmente, scompartito in un
vestibolo (A), un vano mediano (B) [attiguo alla roccia altare (D) ] e
in un penetrale C provvisto di un’ala parallela al muro perimetrale
nordorientale, mantenendosi immutato l’ingresso e l’orientamento. Il
penetrale (C) fu dotato di un pavimento in pietrisco e calce, superstite nello spazio di m. 5.50 x 4.50, evidenziato nel corso degli scavi.
La presenza di una larga macchia di bruciato sul pavimento in
calce denunzia la pratica di sacrifici non solo sulla roccia-altare, conservata nel suo uso, ma anche nel penetrale.
Le trasformazioni più significative effettuate nel tempio di Sid
riguardarono la decorazione esterna.
Infatti anche ad Antas si introdussero gli elementi caratteristici dell’ellenismo punico, derivati dall’Egitto tolemaico, quali la trabeazione a gola egizia, unita all’ordine dorico.
E presumibile che due colonne con capitelli dorici (in arenaria
stuccata), prive di funzione portante, decorassero il prospetto del
sacello, terminato superiormente dalla cornice a gola egizia. Questo
amalgama greco-egizio di stili architettonici, proprio dell’ecclettismo
cartaginese, è bene attestato non solo in area metropolitana ma anche
nell’ambito dell”impero marittimo” di Cartagine e segnatamente in
Sardegna, dove lo riscontriamo nel grande tempio delle semicolonne
doriche di Tharros e, particolarmente, nei prospetti di sacelli raffigurati nelle stele del Tofet.
Tra il lato nordorientale del sacello ed il muro parallelo del témenos
l’indagine archeologica ha identificato un ambiente rettangolare di
m. 12.30 x 3.30, contenente frammenti di sculture votive puniche,
38
che hanno suggerito, per il vano, l’interpretazione di deposito di ex
voto.
A sud-ovest del tempio e precisamente a m. 9.70 dalla scalinata
furono evidenziate nel corso degli scavi le deboli tracce di una struttura in pietrame di circa m. 1.15 x 0.83, che dovette fungere da altare a cielo aperto, come documentano gli abbondanti resti di cenere
scoperti all’intorno.
Il labile quadro del tempio di Sid può essere precisato dall’analisi
dei doni votivi, in origine deposti, come si è detto, nell’ambiente
rettangolare a nord-est del sacello.
Una nutrita serie di ex-voto erano sostenuti da basette con iscrizione dedicatorie puniche, di cui diamo di seguito la traduzione italiana.
1) Base cilindrica in bronzo, seconda metà del III sec. a.C.
Al Signore Sid potente Baby, statua di bronzo che ha dedicato Himilkat, figlio di Abdeshmun, figlio di Bodmelqart, che appartiene
a/popolo di Karali.
2) Base frammentaria in calcare grigio:
[] che è del popolo di Karali, figlio di 1] ii sufeta. Che Egli [il dio
Sid] ascolti la sua voce, che Egli lo benedica.
3) Placca di bronzo frammentaria, destinata ad essere fissata con
chiodi su un piedestallo o su un altarino:
[I che ha dedicato a Himilkat [ figlio di Baalyathon [...A] derbaal, il
sufeta, figlio di J che è del popolo di Sulki, nell’anno di [1 Hanno.
4) Placca in bronzo frammentaria VIV secolo a.C.:
]rtyathon[]l ‘incarico]figlio di Barguish [...fiJglio di Baalyassaf
[]figlio di Magonit [i le coperture del tetto (?) [irish, figlio di A rish.
5) Base frammentaria in calcare grigio: [] statua in pietra rivestita
d’oro che ha dedicato Bodashtart, figlio diI 6) Base cilindrica di calcare bianco, ricomposta parzialmente da due frammenti: AI Signore,
a [Sid Potente B]aby, statua di Horon[] Magone, figlio di... poichè
Egli (Il Dio Sid) ha as]coltato [la sua] v[oce] 7) Base quadrangolare in marmo bianco, frammentaria: Al Signore, a Sid Potente, questa
statua che ha dedicato!] Guermeiqart. Che Egli ascolti [la sua] voce
[I 8) Base quadrangolare in calcare grigio, frammentaria: [... A Sid]
il Potente Baby /] schiavo di Bodashtart, figlio di Magone perch è
Egli ha ascoltato la sua voce, che tu possa benedirlo. 9) Frammenti di
39
Fig 24. Antas. Tempio di Sardus Pater Babai: planimetria e sezioni del tempio costruito sotto Caracalla
una base cilindrica in marmo: Al Signore Sid potente Baby, statua di
Shadraphaf. .. A]donibaal. 10) Frammento di base, in calcare: Al
Signore, Sid, il potente!] 11) Base quadrangolare modanata, in calcare: Al Signore Sid potente Babyi 12) Frammento di base quadrangolare, in calcare nero: Al Signore Sid il [potente...] il sufeta figlio di/
i 13) Frammento di base modanata, in calcare bianco: []trt, perchè
Egli ha ascoltato la sua voce. 14) Frammento di base quadrangolare,
40
in calcare grigio: [] che Egli lo benedica. 15) Frammento in calcare
grigio: i figlio di sh 16) Frammento di placchetta in pasta silicea bluvioletto, con resti di lettere: Baal/1, figlio!] 17) Frammento di base,
in calcare bianca: A Sid potente, voto di Abd[ Aztaf, figlio di
Himilkat. 18) Base di forma cubica: voto di Bodashtatfiglio di Abdo,
figlio di Meli
Oltre a queste iscrizioni si hanno un orecchino aureo con la dedica “A
Sid potente” della fine del III-II secolo a.C., un pendente rettangolare in bronzo con una epigrafe quasi scomparsa ed un frammento di
coppetta in pasta grigia e vernice nera con le lettere neopuniche A, S,
probabilmente abbreviazioni di A(don) [= Signore] S(id).
Maria Antonietta Minutola ha ipotizzato che alcune delle basi
inscritte sostenessero le prestigiose statuine marmoree e in alabastro,
scolpite in ambiente greco, scoperte nel tempio di Sid. La scultura
greca più antica rinvenuta ad Antas è una testa in marmo pario, a
Fig 25. Antas. Tempio di Sardus Pater visto da Sud
41
grossi cristalli, di Afrodite del tipo Frejus, del 420 a.C., attribuita ad
una bottega di Argo influenzata sia dalla tradizione dello scultore
Policleto, sia da modelli ateniesi.
Alla metà del III secolo a.C. si attribuisce una testina femminile col
capo velato in marmo, forse Demetra, scolpita ad Alessandria su
modello di Skopas.
Allo stesso ambiente si ascrive una testa muliebra con pettinatura
a fiocco in marmo grigio, rappresentante Kore, la figlia di Demetra.
Si hanno anche una statuina di danzatrice acefala in alabastro, un
frammento di statuetta femminile rivestita con peplo e mantello in
marmo bianco pentelico ed un torso maschile in marmo bianco pario,
attribuiti a scuola alessandrina della seconda metà del II sec. a.C.
Queste ultimi tre sculture, benché si ascrivono ad epoca politicamente romana, denotano la prosecuzione del culto di Sid nell’antico
Fig 26. Antas. Tempio del Sardus Pater visto da Sud-Est
42
Fig 27. Antas. Tempio del Sardus Pater visto da Nord-Est
tempio pufico per gran parte dell’età romana repubblicana, dal
238/37 a.C. a tutto il IT secolo a.C. e, forse, sino al I secolo a.C.
Nel tempio punico erano stati depositati, inoltre, oggetti aurei
(foglie di diademi, pendenti, borchie), numerosi chiodi in bronzo con
capocchia laminata in oro, amuleti egittizzanti e diverse centinaia di
monete in bronzo di zecche di Sicilia, Cartagine e Sardegna, estese
tra il IV ed il III secolo a.C.
Il tempio di Sardus Pater
Il tempio di Sid dovette mantenersi, come si è detto, sino ad età
tardo repubblicana (I secolo a.C.). Tale inquadramento cronologico
potrebbe essere suggerito sia dal frammento di ceramica a vernice
nera con l’iscrizione votiva neopunica graffita A(don) S(id), sia,
soprattutto, dai dati stratigrafici. Lo scavo dell’area di culto ha evi-
43
denziato nel livello sottostante la pavimentazione in cocciopesto
della gradinata del tempio romano, elementi architettonici del precedente sacello punico (due capitelli ionici), un frammento di iscrizione cartaginese del III secolo a.C., un frammento di vaso a pareti sottili (?) del II secolo a.C. ed un frammento di statuina di Musa in
marmo della seconda metà del II secolo a.C.
Evidentemente i materiali, quando furono gettati nella colmata che
doveva sostenere la gradinata, avevano perduto la loro originaria funzione monumentale o votiva, per cui siamo portati ad ammettere che
fosse trascorso qualche tempo dalla offerta alla divinità della statuina più tarda (seconda metà del II secolo a.C.) al momento in cui essa
venne gettata nel riempimento, piuttosto che ipotizzare una distruzione violenta del precedente santuario ed una immediata ricostruzione.
D’altro canto l’attribuzione della costruzione del tempio del Sardus Pater ad Augusto si basa sia sull’analisi della struttura architettonica e della sua decorazione, sia sul favore che Augusto dovette riservare al culto della divinità locale di Sardus Pater.
Allorquando nel 38 a.C. Ottaviano (che avrebbe assunto il nome di
Augusto nel 27 a.C.) ottenne la Sardegna strappandola allo sventurato figlio di Pompeo, Sesto Pompeo, tra gli altri provvedimenti adottati fece battere in una zecca di una città sarda (Carales, Sulci, Neapolis?) una moneta in bronzo recante sul dritto la testa nuda, di profilo a sinistra o a destra, di M. Azio Balbo, pretore della Sardegna nel
59 a.c. e suo avo materno, con la legenda M. Atius Balbus Pr(aetor).
Sul rovescio la moneta ha la testa barbata di profilo, a destra o a
sinistra, di Sardus Pater, con corona piumata costituita da un numero
variabile di elementi (da cinque a sette), e giavellotto sulle spalle. L’iscrizione è Sard(us) Pater.
L’addensarsi dei valori di peso intorno ai grammi 6,68 consente di
collocare il bronzo nell’epoca in cui l’asse fu battuto con il sistema
quartunciale, tra ii 39 ed il 15 a.C..
Questa osservazione permette di superare la difficoltà connessa
all’attribuzione della moneta al propretorato di M. Azio Balbo in Sardegna nel 59 a.C. Fino al 45 a.C., infatti, non si hanno esempi, nella
monetazione della repubblica, di emissioni con effigie del magistrato sotto il cui governatorato si sia avuta la coniazione. Viceversa dalla
44
metà del I secolo a.C., diviene frequente, sul diritto delle monete,
l’effigie di magistrati defunti.
La moneta, nota in diverse varianti iconografiche, metrologiche,
epigrafiche e dimensionali, è attestata in oltre duecento esemplari a
Nora, Bithia, Sulci, Othoca, Tharros, Cornus, Olbia, Arborea, Guasila, Tonara, Vallermosa, Antas, Narbolia, Cabras, Arbus, Gonnosfanadiga e Samassi.
Fig 28. Antas. Ruderi dei sacelli punici incorporati nella scalinata ed il tempio del SArdus Pater.
45
La moneta, pur rispondendo alla necessità di circolante durante il
turbolento periodo delle guerre civili, rappresentava un programmatico atto di deferenza di Ottaviano nei confronti di un importante
culto locale, che potè svilupparsi, probabilmente, con la costruzione,
sulle rovine del precedente luogo di culto punico, del tempio di Sardus ad Antas.
L’edificio templare, che mantiene l’orientamento del precedente
tempio punico, si articola in una scalinata di m. 17,25 x 9,30 (corrispondenti a circa 58 x 31 piedi romani) e nel podio dim 23,25 x 9,30
(78 x 31 piedi), elevato m 1,10 sul piano di campagna.
La gradinata, corrispondente in parte all’area del tempio punico di
Sid, assai poco conservata a causa degli scavi clandestini e per la
necessità di effettuare i saggi stratigrafici, si componeva di numerosi
ripiani, brevi come si osserva nella planimetria del tempio inserita
nell’Atlante del Lamarmora.
Sul quarto ripiano, in corrispondenza della roccia sacra del tempio
cartaginese, si elevava l’ara sacrificale, secondo i canoni rituali romani.
I ripiani erano pavimentati in cocciopesto, superstite in un unico
lembo di m 2 x 0,95 presso l’angolo nord della gradinata. Questa era
costruita con blocchi squadrati di calcare sui lati brevi, mentre le fiancate erano costituite da blocchi di arenaria di riutilizzo.
All’interno di questa gabbia rettangolare di blocchi furono riutilizzati i residui dei muri del tempio punico per la creazione di fosse per
risparmio di materiale, composte anche da murelli realizzati ex novo
con scaglie di arenaria cementate con malta di fango rosso. Questo
tipo di griglia per la costituzione di basamenti è comune sia in ambito greco (templi di Askiepios, Castore e Polluce, Zeus Olimpio ad
Agrigento; di Apollo Eretimio a Rodi), sia in contesti punici (tempio
c. d. di Tanit a Nora) e romani (tempio di Venus (?) in via Malta a
Carales).
Il podio in opus quadratum, dotato di una proporzione di 2,5: 1, è
delimitato da blocchi in calcare di dimensioni variabili [lunghezza m
2,70 (9 piedi) / 0,90 (3 piedi); spessore m 0,90 (3 piedi); larghezza m
0,45 (1,5 piedi] collegati da incavi “a coda di rondine” in cui erano
colate le grappe di piombo, rinvenute nel corso degli scavi.
Il legamento dei blocchi mediante “code di rondine” documentato
46
Fig. 29. Antas. Tempio del Sardus Pater: veduta assonometrica
47
in area greca e punica ad es. a Tharros, mura urbane del IV secolo
a.C.), penetra in Roma intorno alla fine del II secolo a.C., divenendo
frequente nel secolo successivo ed in particolare in età augustea
(Roma, Rostri augustei, Ara Pacis, foro di Augusto etc.), periodo che
conclude la divulgazione di questo sistema di collegamento dei blocchi.
Il tempio di Sardus si suddivide longitudinalmente in pronao, cella
e adyton bipartito.
Il pronao, profondo m 6,60 (22 piedi) ha quattro colonne sul
prospetto e due sui lati. Le colonne centrali hanno un intercolumnio
di m 3 (10 piedi), mentre le colonne laterali presentano in rapporto a
quelle centrali un intercolumnio di m 2,4 (8 piedi). Il diametro della
colonna è alla base di m 0,95 (circa 3 piedi e 2 unciae).
Le colonne, in calcare locale, composte da rocchi a fusto liscio per
una altezza ricostruita di m 8, hanno basi attiche [diametro m 0,95,
altezza m 0,45 (= piedi 1,5)] e capitelli ionici. Questi ultimi, dovuti a
maestranze che lavoravano in loco, i distaccano dalla forma canonica per la mancanza dell’abaco e del canale delle volute; inoltre insolita importanza viene attribuita alle frecce del kyma ionico, grandi
quanto gli ovoli; mentre il sommoscapo, lavorato in pezzo unico col
capitello, presenta un profilo “concavo”. (S. Angiolillo).
Le deviazioni dal modello ionico (evidenti anche nel fusto liscio
invece che scanalato) sembrano attribuibili ad un profondo restauro
del tempio promosso sotto Caracalla, tra il 213 ed il 217 d.C.
Simonetta Angiolillo ha comunque rilevato che la riduzione dell’abaco e la tendenza alla eliminazione del canale delle volute si riscontrano sin dal II secolo d.C. in Africa.
La conferma di una datazione all’iniziale III secolo d.C. per il prospetto tetrastilo del tempio è offerta dalla iscrizione dell’epistilio:
Imp (eratori) [Caes (ari) M.] Aurelio Antonino. Aug(usto) P(io)
F(elici) temp ([l(um) dJei [SaJrdi Patris Bab[i/vetustate
cJon[lapsumJ (?) [i A[j restitue[ndumJ cur[avitJ Q (?) Co[elJius o
Co[cceJius Proculus
In onore dell’imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto,
Pio Felice, il tempio del dio Sardus Pater Babi, rovinato per l’antichità, fu restaurato a cura di Quinto (?) Celio (o Cocceio) Proculo”.
La dedica si data tra il 213 d.C. (epoca in cui l’attributo di Felix è
48
Fig. 30. Antas. Tempio del Sardus Pater: particolare
49
Fig. 31. Antas. Tempio
del Sardus Pater:
ingresso nororientale
Fig. 32. Antas. Planimetria di murature riferibili al villagio
50
ufficialmente introdotto nella titolatura di Caracalla) e l’aprile 217
(uccisione dell’imperatore a Carre).
La presenza del nome di Caracalla all’inizio della iscrizione deve
interpretarsi come una associazione tra il culto di una divinità indigena e culto imperiale, favorita dal nostro Imperatore.
Il tempio era coronato da un frontone triangolare, quasi assolutamente non conservato già ai tempi del Lamarmora (1838).
Il pavimento del pronao risulta del tutto distrutto dagli interventi
clandestini.
In fondo al pronao era il muro sud orientale della cella, residuo in
un filare di blocchi calcarei, spessi m 0,80 nel quale si apre la porta,
di cui osserviamo la soglia lunga m. 2. La cella dim 11,25 x 7,40 (38
x 24 piedi) è decorata da pilastri addossati alle pareti, mentre il pavimento conserva il rivestimento musivo per l’intera superficie.
Il mosaico presenta una fascia di raccordo bianca di m 2,36, il
bordo nero di cm 18, che delimita il campo integralmente bianco. Il
tipo di decorazione musiva è documentato sia in età tardo-repubblicana sia in periodo imperiale; secondo Simonetta Angiolillo, l’ordito
a file parallele del mosaico è riscontrabile in particolare in età severiana (ultimi decenni del II secolo-primi decenni del III secolo d.C.),
anche se in Sardegna non sono noti edifici pubblici dell’epoca dei
Severi dotati di un mosaico di tale povertà.
Alla cella si poteva accedere anche mediante due ingressi coassiali disposti sui lati sud occidentale e nord orientale, ed aprentesi a m
1,95 dalla parete di fondo.
Questi ingressi, larghi m 1,90, erano entrambi accessibili mediante scale di tre gradini, anche se al momento degli scavi era conservata esclusivamente la scaletta d’accesso sud occidentale che appariva
restaurata in antico in modo rozzo e sommario.
Nel muro di fondo della cella si aprono due porte della larghezza
di m 1,30, dotate, di soglie, che immettono nei due minuscoli vani
quasi quadrati (m 3,20 x 2,70 quello settentrionale; m 3,20 x 2,75
quello occidentale) che formano l’adyton bipartito.
Immediatamente davanti agli accessi ai due ambienti si aprono due
bacini quadrati di m 1,20 dilato x m i di profondità, cui si può discendere con tre gradini di cm 25 di larghezza.
Le due vaschette sono impermeabilizzate con uno strato di fine
51
cocciopesto che le rende atte al contenimento di acqua lustrale per
cerimonie di purificazione.
Il Lamarmora dalla congerie di materiali accumulati sui ruderi del
tempio potè ricavare che “il tetto [del tempio] era di tegole piatte,
coperte nelle connessure da coppi con le estremità ornate d’antefisse
di terracotta. Un frammento di queste ultime è stato trovato tra le
macerie: vi si vede un braccio appoggiato su una voluta ed un pezzo
d’ala: è stato facile farne una restaurazione presso a poco completa”.
Nonostante che il passo citato dello studioso piemontese suggerisca
la connessione della decorazione fittile con l’ultima fase del tempio,
databile, come si è visto, al principio del III secolo d.C., dobbiamo
ritenere che le terrecotte architettoniche templari in questione si riferiscano invece all’originario tempio di Sardus Pater, di periodo augusteo.
È noto infatti come “l’età antonina (138-192 d.C.) sia l’epoca nella
quale cade in disuso la decorazione architettonica fittile” (Lucilla Anselmino), mentre è proprio nell’età augustea che si assiste al maggior
sviluppo delle terrecotte architettoniche. Queste considerazioni generali sono rafforzate dall’esame della decorazione fittile di Antas.
Le antefisse presentano un personaggio alato (Scilla?) desinente,
inferiormente, in due volute, secondo una iconografia nota sia in
antefisse e lastre fittili, sia in pitture funerarie di area centro italica
nell’estrema età repubblicana.
Le lastre campana di Antas raffigurano un repertorio mitografico in
corso di studio comprendente una chimera, un grifo e figure femminili ammantate e alate che ben si adattano al classicismo augusteo. I
gocciolatoi del tempio sono foggiati a protome leonina, secondo un
modello diffuso sin da età arcaica ed ininterrottamente attestato ancora in epoca alto imperiale, ad esempio a Pompei e nella villa di Settefinestre nel territorio di cosa.
La decorazione fittile di Antas, prodotta con argilla colore ocraarancio, ricca di inclusi vulcanici, parrebbe riportarsi a botteghe
urbane, rappresentando così la più antica importazione in Sardegna di
opus doliare urbano, seguita in età neroniana dai laterizi delle terme
di Olbia.
In Sardegna, d’altro canto, la decorazione architettonica fittile si riduce a due lastre “campana” (da Grugua-Buggerru e da Padria [Guru-
52
lis Vetusi) ed a un capitello corinzio da Ploaghe, attribuibili a produzione di Roma o dell’area laziale.
Riassumendo i dati evidenziati dallo scavo diremo che il tempio di
Sardus Pater fu edificato probabilmente in età augustea secondo un
modello romano italico variato in funzione della persistenza culturale punica che impose l’orientamento con gli angoli, le aperture simmetriche laterali, l’adyton bipartito (che ritorna ad esempio nel tempio di Nora a divinità salutare, nella fase costantiniana) e le vaschette per le abluzioni rituali.
Il tempio augusteo (?) dotato di una fastosa decorazione fittile, era
probabilmente pavimentato con un pavimento musivo policromo, i
cui frammenti sono stati recentemente individuati da Giovanni Ugas
nelle discariche antiche. In uno dei vani dell’adyton bipartito doveva
essere ospitata la statua in bronzo di Sardus, di cui residua esclusivamente un dito di una mano, la cui lunghezza (cm 15) suggerisce le
dimensioni colossali (oltre tre metri) del simulacro di culto.
L’altro ambiente poteva ospitare una seconda statua (di Mdkeris
Ercole, padre di Sardus ?) piuttosto che un altare, dato che l’ara
sacrificale, secondo l’uso romano era localizzata sulla scalinata d’accesso al tempio.
Caracalla provvide ad un radicale restauro del tempio con la
ristrutturazione del prospetto, privato ormai delle secolari terrecotte
frontonali, e con la nuova pavimentazione musiva. Il tipo di tempio
tetrastilo di Antas è assai comune sia in area urbana, sia in ambito
peninsulare e provinciale.
A Djemila, nel nord Africa, il tempio tetrastilo della Gens Septimia
può offrirci un’immagine adeguata di un edificio di culto d’età
severiana, simile a quello di Antas.
La conclusione del millenario culto di Babai-Sid-sardus dovrebbe
porsi intorno al IV secolo d.C.
Lo scavo del materiale di crollo del tempio di Antas ha evidenziato come materiali più tardi monete imperiali romane del IV secolo
d.C. che offrono, evidentemente, il terminus post quem per la caduta
in disuso o per la distruzione violenta (supposta dall’Angius) del
tempio.
Il Cristianesimo nel IV secolo si era affermato ormai nelle principali città della costa, dove si organizzavano le gerarchie ecclesiasti-
53
che, attestate a Carales sin dal 314 (episcopus Quintasius) ed a Sulci
nello stesso IV, se non in precedenza (il Beatus Antiochus, era pontifex Cristi (vescovo di Sulci).
Possiamo credere che tra l’affermazione della libertà di culto, sancita da Costantino nel 313, e la proclamazione del Cristianesimo religione di stato da parte di Teodosio, il tempio di Sardus Pater sia stato
abbandonato ed il culto assorbito dalla devozione a S. Angelo, documentata nella omonima località prossima ad Antas. I doni votivi riferibili al tempio di Sardus Pater sono abbondantissimi: statuette in
bronzo prevalentemente ridotte ai piedi, ma talora integre, con la rappresentazione di Ercole e di altre divinità indeterminate; un delfino
eneo, un dava nodosa (di Ercole ?), lancie in ferro (attributo di Sardus), 42 monete repubblicane, 1103 monete imperiali.
Una offerta votiva indeterminata (una statuetta ?) era accompagnata
da una tabella ansata in bronzo con la dedica “Sardo Patri/Alexander/A ug(usti) Ser(vus), Regionarius, /d(onum) d(edit)”. (Alexander,
schiavo, imperiale, addetto alle regiones (partizioni delle proprietà
imperiali), ha offerto in dono a Sardus Pater), del III secolo d.C.
Il villaggio di Antas
A duecento metri a sud-ovest del tempio di Antas i lavori di
disboscamento dell’area in breve pendio, promossi dalla soprintendenza archeologica di Cagliari nel 1967, hanno messo in luce numerosi ambienti a pianta subcircolare edificati con pietre di piccola pezzatura cementate con malta di fango.
I vani hanno un diametro compreso tra i metri 3 ed i m 6; lo spessore murario è di metri 0,50. La pavimentazione degli ambienti è realizzata con lastre irregolari di pietra e con frammenti di embrici.
Il modesto abitato era cinto da un muro non continuo ad andamento curvo che si interrompe in prossimità di un passaggio tagliato nella
roccia ed inciso dal secolare transito dei carri.
I materiali archeologici del centro evidenziano l’utilizzo dell’area
in età tardo romana. I manufatti sono prevalentemente locali (vasi da
fuoco d’impasto) pur non mancando ceramiche in sigillata chiara
54
africana di tipo “D”.
Si ebbero anche vetri (punte e lame in ferro, un orecchino in bronzo, un peso eneo sferoidale schiacciato ai poli con l’indicazione in
greco di tre once (IV/V secolo d.C.). Assai rilevanti per la storia economica del villaggio sono i rinvenimenti di piombo fuso e di scorie
di lavorazione del vetro, putroppo non in connessione con ambienti
adibiti a produzione artigianale. Tra le abitazioni ed il muro curvileneo sono state scoperte quattro tombe a cassone, una delle quali con
corredo costituito da tre brocchette in ceramica comune di fase tardo
antica o della prima età altomedievale. Il defunto recava nell’anulare
sinistro un anello in argento e stagno decorato da un serpente e dotato di una iscrizione latina, interpretata da R. Du Mesnil du Buisson
come dedica a Sid:
Sida (vel Sidia) Babi dedi don (vel donum) denarios XCIV (ho dato
in dono a SidBabi 94 denarii).
Il culto a Sid parrebbe proseguire, accanto alla interpretatio romana della stessa divinità come Sardus Pater, in età imperiale: nel centro di Sulci di origine fenicia, Giovanna Sotgiu, ha infatti proposto di
riconoscere nel signum Sidon(ius) di un magistrato cittadino del III
secolo d.C., C. Caelius C. f(ilius) Magnus, la probabile testimonianza di una devozione personale a Sid.
55
56
57
58
59
60
61
62
BIBLIOGRAFIA
Alla scoperta del tempio di Sardus Pater
Sulle proposte di localizzazione del tempio di Sardus Pater nei
secoli XVIXIX:
J.F. FARÀ De chorographia Sardiniae, Torino 1835, p. 78
PH. CLAUVERIUS, Sardiniae antiquae tabula chorographica illustrata, Torino 1785
S. VIDAL, Annales Sardiniae, 3, Milano 1649, p. 93.
F. DE VICO, Historia General de la Isla YReyno de Sardeña, 2, Barcelona 1639, fi 19 v20.
G. ALEU, Successos Generales de la Isla Y Reyno de Sardefla, 2,
1684 (ms.).
S. STEFANINI, De Veteribus Sardiniae laudibus Cagliari 1773, p.
30;
G. MANNO, Storia di Sardegna, 1, Torino 1825, p. 296
V. ANGIUS in G. CASALIS, Dizionario Geografico Storico. Statistico ed Economico degli Stati d. S. M. il Re di Sardegna, 18 ter, Torino 1850
A. LAMARMORA, Voyage en Sardaigne, 2, Paris 1840
ID Itinerario dell’isola di Sardegna, (traduz. G. Spano), Cagliari
1868
G. SPANO, Moneta e Statua di Sardopatore, Buliettino archeologico Sardo, I, 1855, pp. 912;
G. SPANO, Descrizione dell’antica Neapolis, Bullettino archeologico Sardo, 5, 1859, p. 136;
G. SPANO, Itinerario antico della Sardegna con carta topografica
colle indicazioni delle strade, città oppidi, isole e fiumi, Cagliari
1869, pp. 456
E. PAlS, La Sardegna prima del dominio romano, Roma 1881
Nel nostro secolo, accanto alla vulgata opinio sulla ubicazione del
tempio di Sardus sui Capo Frasca, si è ipotizzata una localizzazione
nel territorio tharrense.
A. ALBIZZATI, Sardus Pater, in AA VV, II convegno archeologico
in Sardegna, Reggio Emilia 1927, p. 105 o presso Neapolis (G. LILLIU, Bronzetti nuragici di Terralba, in Annali delle Facoltà di Lettere e FIlosofia e Magistero
63
dell’Università di Cagliari, 21, 1953
Sugli scavi di S’Angiarxia: G. PESCE in Fasti Archeologici, VI,
1953, p. 356
r
e R. ZUCCA, Neapolis e il suo territorio, Oristano 1987, pp. 119 ss.
Sulle indagini di L. Caboni, G. SOTGIU, Le iscrizioni latine del
tempio del Sardus Pater ad Antas, Studi Sardi 21, 1970, p. 8. Foiso
Fois ha documentato le proprie ricerche ad Antas in I ponti romani in
Sardegna, Sassari 1964, pp. 117-118, tav. 120-121, dove corregge la
pianta del tempio edita da A. LAMARMORA, Voyage en Sardaigne
2, Paris 1840, p. 522 ss. (Atlas, p1. XXXVI) Su Antas hanno scritto,
prima degli scavi del 1967-1968, G. CASALIS, Dizionario geografico cit., p. 45; TH. MOMMSEN ad CIL, x, 7593; E. PATS, Storia
della Sardegna e della Corisca durante il dominio romano, Roma
1923, p. XX. Gli scavi di Antas del 1967-68 sono stati editi da AA
VV, Ricerche puniche ad Antas, Roma 1969.
Per i più recenti interventi cfr. O. UGAS, G. LUCIA, Primi scavi nel
sepolcreto nuragico di Antas, AA VV, La Sardegna nel Mediterraneo
tra il secondo e il primo millennio a.C., Cagliari 1987, pp. 255 Ss.
Per una riproposizione della tradizionale ubicazione del tempio di
Sardus Pater sul Capo Frasca cfr. G. TORE, Due cippi trono del
tophet di Tharros, in Studi Sardi, 22, 1973; G. PUXEDDU, Romanizzazione, AA VV, La diocesi di Ales, Usellus Terralba, Cagliari
1975
II culto di SidSardus Pater
Le fonti classiche sono rappresentate da PAUSANIA, X, 17, 1-2;
18, 1; SALLUSTIO, Historiae, Maurenbrecher; SILIO ITALICO,
Punicae, XII, 359-60; SOLINO, Rerum Memoriabilium Collectanea,
IV, 1; MARZIANO CAPELLA, De nuptiis Philologiae et mercurii,
VI, 645; ISIDORO, Etymologiarum libri, XIV,
6, 39; GUIDONE, Geographica, 64; EUSTAZIO, Parekbolari, ad v.
458; Schola. Genos Dionysioy Alexandreos toy periegetoy Sardo. Il
tempio è documentato da Tolomeo III, 3, 2. ANONIMO RAVENNATE, Cosmographia, 5, 26;
GUIDONE, Geographica, 64.
64
Sul culto cfr. R. PETTAZZONI, La religione primitiva di Sardegna, Piacenza 1912; C. ALBIZZATI, Sardus Pater, cit.; U. BIANCHI, Sardus Pater, AA VV, Atti del Convegno di studi religiosi sardi,
Padova 1963, pp. 33-51; M. G. GUZZO AMADASI, Note sul dio
Sid, AA VV, Ricerche puniche adAntas, cit., pp. 95ss. M. SZNYCER,
Note sur le dieu Sid et le dieu Haron d’après les nouvelles inscriptions puniques d’Antas (Sardaigne), Karthago 15, 1969, pp. 67 ss.; J.
FERRON, Le dieu des inscriptions d’Antas (Sardaigne), in Studi
Sardi, 22 (1973), pp. 269 ss.; C. GROTTANELLI, Melpart e Sid fra
Egitto, Libia e Sardegna, Rivista di Studi Fenici, 1, 1973, pp. 153 ss.;
F. BARRECA, Il tempio di Antas e il culto di Sardus Pater, s.l. 1975;
M. L. UBERTI, Haron ad Antas e Astarte a Magia, Annali dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli, 38, 1978, pp. 315 Ss.; P.
MELONI, La Sardegna romana, Sassari 1980, pp. 325 ss.; G. SOTGIU, Un devoto di Sid nella Sulci romana imperiale ? (Rilettura di
un’iscrizione: ILSARD 3), Epigraphica 44, 1982, pp. 17 ss.; C.
TRONCHETTI, Sulla statua del Sardus Pater a Delfi (I rapporti fra
il mondo greco e la Sardegna: note sulle fonti, Egitto e Vicino Oriente, 9, 1986, pp. 121 ss.
Itinerario
Sulla fase nuragica cfr. G. LILLIU, Sculture della Sardegna Nuragica, Cagliari 1966, p. 107, n° 50; E. ACQUARO, Una faretrina votiva de Antas, Oriens Aniquis, 8, pp. 127-29; F. BARRECA, Sardegna
nuragica e mondo feniciopunico,
AA VV, Sardegna preistorica. Nuraghi a Milano, Milano 1985, p.
134, frg. le.; O. UGAS, G. LUCIA, Primi scavi nel sepolcreto nuragico di Antas, cit., pp. 55 Ss.;
Sul tempio di Sid cfr. F. BARRECA, Lo scavo del tempio, AA VV,
Ricerche puniche ad Antas, cit., pp. 9 Ss.; ID, Fluminimaggiore
(Cagliari). Località Antas, AA VV, I Sardi, Milano 1984, pp. 54 Ss;
ID, La civiltà feniciopunica in Sardegna, Sassari 1986, passim.
Sulle iscrizioni puniche cfr. M. FANTAR, Les inscriptions, AA VV,
65
Ricerche
puniche, cit., pp. 47 ss.; G. GARBINI, Le iscrizioni puniche di Antas
(Sarde
gna), Annali dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli, 29, 1969,
pp. 317 ss.; M. L. UBERTI, A. M. COSTA, Una dedica a Sid, Epigraphica, 42, 1980, pp. 195 55.
Sulle sculture greche di Antas cfr. M. A. MINUTOLA, Originali
greci prove
nienti dal tempio di Antas, Dialoghi di Archeologia, 9-10 (19761977), pp. 399 ss.
Da Antas proviene inoltre ceramica attica a vernice nera del IV
Secolo a.C. (scavi G. Ugas), cfr. R. ZUCCA, Neapolis, cit., tav. 49,
nr. 86.
Inquadramento generale sulla fase punica di Antas in S. MOSCATI,
“Sardus
Pu/er” Nuove scoperte puniche in Sardegna, Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, 41, (1968-69), pp. 53 ss.;
ID, Italia punica, Milano 1986, pp. 283 ss.
Sul tempio di Sardus Pater cfr. F. BARRECA, Lo scavo del tempio,
cit.; ID,
Il tempio di Antas, cit.; P. MELONI, Stato attuale dell’Epigrafia latina in Sar
degna e nuove acquisizioni, Acta of the fifth epigraphich Congress,
Cambrige
1967, pp. 244 5.; G. SOTGIU, Le iscrizioni latine del tempio del Sardus Pater ad Antas, cit., pp. 7, ss.(= AE, 1971, 119, 120; 1972, 227).
A. MASTINO, Le titolature di Caracalla e Geta attraverso le iscrizioni (indici), Studi di Storia antica, 5, Bologna 1982, p. 70, n° 319;
A. MASTINO, Le relazioni tra Africa e Sardegna in età ronana.
Inventano preliminare in AA VV, L’Africa romana, 2, Sassari 1985,
pp. 6768.
Sulla moneta di Sardus Pater e Azio Balbo, cfr. I. DIDU, La cronologia della
moneta di M. Azio Balbo, Ce.S.D.I.R. Atti, VI, 197475, pp. 107 ss.
Sulla tipologia del tempio romano cfr. S. ANGIOLILLO, L’arte della
Sarde
gna romana, Milano 1987, pp. 84 ss.
Sui caratteri architettonici S. ANGIOLILLO, L’arte, cit., pp. 98
66
9; Sul pavimento musivo cfr. S. ANGIOLILLO, Mosaici antichi in
Italia, Sardinia, Roma 1981, p. 77.
Sul villaggio di Antas cfr. S. M. CECCHINI, Sondaggi al villagio,
AA VV, Ricerche puniche, cit. pp. 147 ss.; sull’anello con possibile
dedica a Sid cfr. R. DU MESNIL DU BUISSON, Nouvelles Etudes
sur les dieux et les mythas de Canaan, Leiden 1973, pp. 228; G.
SOTGIU, Nuovi contributi dell’epigrafia latina alla conoscenza
della Sardegna romana, AA VV, Stato attuale della ricerca storica in
Sardegna, in Archivio Storico Sardo 32, 1982, pp. 103 s.
Per una interpretazione cristiana dell’anello cfr. P. B. SERRA, Reperti tardo
antichi e altomedievali della Nurra, Sassari 1986, pp. 19 41.
67
68
GLOSSARIO
Adyton
Anastilosi
Antropomorfo
Antroponimo
Base attica
Cenotaflo
Dolicomorfo
Ecclettismo
Epistilio
Eponimo
Gola egizia
Intercolumnio
Olocausto
Opus doliare
Opus quadratum
Penetrale
Piede romano (pes)
PodIo
Penetrale (v.) del tempio.
Procedimento di restauro concernente la
ricomposizione delle colonne (o, in generale, delle strutture) di un edificio.
Rappresentato sotto aspetto umano.
Nome di individuo.
Base di colonna caratterizzata da un trochilo (gola) tra tori (elementi convessi).
Tomba priva di deposizione, eretta a scopo
commemorativo.
Tipologia antropologica caratterizzata dal
cranio allungato.
Carattere culturale caratterizzato dalla fusio
ne di elementi di diversa origine.
Architrave di un edificio dotato di colonne
sulla fronte.
Personaggio che dà il proprio nome ad un
popolo, una città, una regione etc.
Membratura architettonica di origine egiziana.
Distanza tra due colonne.
Sacrificio costituito dall’arsione totale
della vittima (umana o animale).
Produzione fittile (cioè in terracotta) (laterizi, terrecotte architettoniche etc.).
Tecnica edilizia caratterizzata dall’uso di
blocchi in pietra squadrata.
Il settore più sacro dei luoghi di culto, corrispondente al Qodesh Qodashin (Sancta
Sanctorum) del tempio di Gerusalemme.
=
Unità di misura corrispondente a metri
0,296.
Basamento del tempio etruscoitalico e
69
Pronao
Temenos
Teoforo
Teonimo
Terminus post quem
Tetrastilo
Uncia
romano.
Ambiente antistante alla cella (naòs).
Muro di recinzione (haràm in punico) del
tempio, che delimita l’area sacra dalla zona
profana.
Antroponimo formato con un nome divino.
Nome divino.
Termine cronologico a partire dal quale si
data uno strato archeologico.
Edificio dotato di quattro colonne sul prospet
to.
Unità di misura lineare romana corrisponden
te a m 0,0246 (si noti che l’uncia è anche
una
unità ponderale).
Fotografie
Nino Souinas, 8, 9, 10, 11, 12, 25, 26, 27, 28, 29, 31.
Raimondo Zucca, 6, 7.
Istituto per la Civiltà FenicioPunica CNR, 13, 14, 20, 21.
Soprintendenza Archeologica di Cagliari, 18, 19.
70
Indice
Alla scoperta del tempio di Sardus Pater .......................................5
Il culto di Sid Sardus Pater ..........................................................17
Itinerario ......................................................................................25
Il tempio di Sid
Ii tempio punico
Il tempio di Sardus Pater ..............................................................39
Il villaggio di Antas ......................................................................51
Bibliografia ...................................................................................52
Glossario .......................................................................................55
71
72
73