Dall`armonia alla dissonanza

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DALL’ARMONIA ALLA DISSONANZA
ARMONIA
Le capacità percettive dell’uomo definiscono l’idea di “musica” come una fenomenologia sonora organizzata.
Il primo modello che descrive la “musica” è quello fisico - matematico dell’armonia: fu sviluppato da Pitagora nel V
secolo a.c.
Il più recente inizia con la scoperta dell’organo del Corti (nel 1850) e compie una tappa fondamentale negli studi
dell’ungherese Georg Von Békésy, che nel 1961 ricevette il premio Nobel per le scoperte e le spiegazioni nel campo
della psicofisica della coclea.
Nel II° millennio a.c. i musicisti cinesi, studiando il suono prodotto dalle canne sonore, scoprirono che certi suoni, pur
diversi tra loro, se uditi sequenzialmente determinano una sensazione estetica gradevole: individuarono così delle
precise correlazioni numeriche tra le dimensioni delle canne sonore, i suoni emessi e tra i suoni stessi.
Alle stesse conclusioni arrivarono 1500 anni dopo i musicisti greci studiando il suono prodotto da strumenti
monocorda: civiltà lontane nel tempo e nello spazio definirono le stesse consonanze.
Una coppia di suoni si rivela consonante quando le lunghezze delle corde (o delle canne) che li emettono stanno nei
seguenti rapporti:
- 1:1 unisono
- 2:1 ottava
- 3:2 quinta perfetta (1,5)
- 4:3 quarta perfetta (1,33).
In questi intervalli si ha la massima consonanza, ma anche nei seguenti è ben presente (malgrado i Greci non li
avessero ritenuti abbastanza armoniosi da meritare attenzione):
- 5:4 terza maggiore (1,25).
- 5:3 sesta maggiore (1,67)
- 6:5 terza minore (1,2).
Pitagora diede la prima giustificazione di questa consonanza di carattere mistico-matematica.
E’ difficile isolare le idee originali dell’autore da quelle dall’opera collettiva della comunità pitagorica, per cui è più
corretto far riferimento al pensiero della scuola pitagorica di cui, comunque, si hanno migliori documentazioni di
quello cinese.
Pitagora vedeva nei numeri l’essenza delle cose, i numeri erano la chiave di lettura della natura e della sua struttura
“armonica”. Il senso originario del detto “le cose sono numeri” non era puramente geometrico, ma anche fisico: ogni
materia è composta di punti materiali e dalla figurazione -numero e ordine- di questi punti dipendono le proprietà dei
corpi. Si stabilisce così una corrispondenza tra dei fenomeni qualitativi e un processo quantitativo: è l’inizio della
fisica-matematica. Negli intervalli di ottava, quinta, quarta, i più consonanti, i numeri presenti sono 1, 2, 3, 4, la cui
somma è 10, il numero perfetto.
Rispettando la decade, che “compie e realizza ogni cosa”, Pitagora privilegiò i numeri presenti nella quinta e
nell’ottava (la quarta è definita implicitamente essendo complementare alla quinta nell’ottava).
Partendo da una nota e procedendo per innalzamenti di quinte e ritorni di una ottava, Pitagora costruì la scala diatonica,
che porta tuttora il suo nome, e che fino a tutto il 1600 fu di uso generale.
Ad esempio, partendo dal fa, si ha:, fa -> do, do -> sol, sol -> re, re -> la, la -> mi, mi -> si, si -> fa.
La scala pitagorica fu assunta dalla chiesa come base della musica, tanto che papa Giovanni XXII° nel 1324 emise un
editto dove si stabiliva che gli unici accordi consentiti per accompagnare il canto ecclesiastico erano quelli di ottava,
quinta e quarta. Se il papa aveva ritenuto necessario esprimere un’opinione sul gusto musicale dell’epoca indica il fatto
che già a quei tempi la musica “profana” cominciava ad assumere importanza e la polifonia cominciava ad assumere un
ruolo sempre più “preoccupante”.
Inoltre occorre anche sottolineare che il definire le note per intervalli di quinte e ottave presenta alcuni intervalli meno
consonanti, per esempio la terza maggiore do-mi, cioè note che suonate assieme generano un suono instabile, non
fermo: uno strumento accordato secondo questa scala non può suonare in tutte le tonalità.
Ma la storia procede anche contro il volere dei papi. Cosicché nei secoli a seguire la scala pitagorica si trasformò
gradualmente in quella tolemaica, che però non fu chiamata col suo vero nome ma, più oppurtunisticamente, scala
giusta…
La scala che fornisce una maggiore armonia si attribuisce a Tolomeo d’Alessandria, vissuto nel II secolo a.c.;
denominata scala naturale (o giusta o di giusta intonazione) è costruita con tutti gli intervalli consonanti individuati dai
musicisti greci: più che sulla perfezione numerica, questa scala è improntata alla massima armonia.
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Per quanto riguarda la costruzione della scala pitagorica si ha che, partendo dal fa:
1) il do, quinta del fa, ha una frequenza pari a 3/2 di quella del fa, ma deve essere abbassata di un’ottava e quindi ha
una frequenza pari a 3/4 quella del fa iniziale (il fa avrà una frequenza pari a 4/3 di quella del do);
2) la quinta, il sol, ha una frequenza pari a 3/2 quella del do;
3) il re, quinta del sol, ha una frequenza pari a 3/2 di quella del sol, cioè 9/4 di quella del do, ma deve essere abbassata
di un’ottava e quindi ha una frequenza pari a 9/8 quella del do iniziale;
4) analogamente al punto 2, dal re si definisce il la;
5) analogamente al punto 3 dal la si definisce il mi diminuendolo di un’ottava,
infine si arriva a definire il si.
A lato è visibile la raffigurazione di una Lyra, immagine proveniente dalla
tomba del tuffatore di Paestum (V° sec. a.c.): sono chiaramente visibili le sette
corde, il giogo in legno inserito nella cassa di risonanza (un carapace di
tartaruga), sul giogo le chiavi per tendere le corde.
Nella seguente tabella sono rappresentate la scala tolemaica e la scala pitagorica a partire dal do.
.
scala
pitagorica
tolemaica
Do
1/1
1/1
Re
9/8
9/8
Mi
81/64
5/4
Fa
4/3
4/3
sol
3/2
3/2
la
27/16
5/3
si
243/128
15/8
Do
2/1
2/1
La scelta della nota campione era del tutto arbitraria e le note non erano così denominate: nel corso del XIX secolo si è
scelta come nota campione di la quella la cui frequenza è pari a 440 Hz. L’ottava corrispondente è così la seguente:
do
264
re
mi
fa
sol
la
si
Do
9/8(264) = 297 5/4(264) = 330 4/3(264) = 352 3/2(264) = 396 5/3(264) = 440 15/8(264) = 2/1(264) = 528
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La successione di numeri sopra scritta significa che se f è la frequenza del do, la frequenza del re è pari a (9/8) f, quella
del mi è (5/4) f, così via fino a raddoppiare la frequenza f e ottenere ancora una nota do, ma più alta di una ottava.
All’affermazione della scala giusta contribuirono sicuramente i seguenti due fattori: alcuni strumenti medioevali
“profani” potevano emettere solo certe note ma consentivano di produrre intervalli di terza; nel 1400 il belga Josquin
Despés propose composizioni in cui si realizzava quella fusione tra melodia e armonia che in Bach raggiungerà valori
supremi.
Nel 1571 l’armonia fu così ridefinita dal veneziano Gioseffo Zarlino che elevò definitivamente la scala naturale a
quella di massima armonia. In questa scala si verifica che i tre accordi triadici di do detti di tonica, cioè do-mi-sol, di
dominante sol-si-re e di sottodominante fa-la-do hanno tutti gli stessi rapporti di frequenza 4:5:6.
La ragione di tale armonia fu spiegata nel corso del 1700 in base a due criteri evidenziati dagli studi di Jean Philippe
Rameau (1683-1764) e quelli del violinista Giuseppe Tartini (1692-1770):
1) le note di un accordo devono avere in comune il maggior numero di ipertoni (i suoni reali devono essere pensati
scomposti nella sovrapposizione di tanti suoni elementari, ciascuno di frequenza multiplo intero di una frequenza
fondamentale detta armonica fondamentale);
2) due note emesse simultaneamente devono produrre, per sovrapposizione nell’orecchio dell’ascoltatore, un suono
non emesso dalla sorgente: questo “terzo suono” ha frequenza pari alla differenza tra le frequenza delle prime due
(questo fenomeno è dovuto ad una peculiarità del nostro sistema uditivo).
Quest’ultimo criterio corrisponde ad un particolare fenomeno evidenziato da Tartini, che scoprì come certi gruppi di
note emesse simultaneamente danno luogo ad una nota, detta basso fondamentale, che in pratica è la subtonica
mancante. Ad esempio: per gli intervalli consonanti di quinta (es: do-sol) sono emesse due note la cui differenza di
frequenza è 3/2 - 1 = 1/2 cioè generano nell’orecchio una subtonica di una ottava più bassa del tono fondamentale (un
do di frequenza metà di quella corrispondente al do emesso). Analogamente l’emissione del tono fondamentale e della
terza (es: do-mi) genera un terzo suono di frequenza 5/4 - 1 = 1/4, cioè una subtonica di due ottave più bassa del tono
fondamentale (un do di frequenza pari a 1/4 di quella del do emesso). L’emissione della quinta e della terza (es: sol-mi)
genera un subtono di frequenza 3/2 - 5/4 = 1/4 del tono fondamentale, due ottave più basso (un do di frequenza 1/4 del
do di cui il sol e mi emessi sono quinta e terza).
La spiegazione dei criteri ha un preciso riscontro fisico.
Un suono puro, ad esempio quello emesso da un diapason, presenta una sola frequenza di oscillazione, l’andamento
spaziale di queste perturbazioni è una sinusoide perfetta.
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La perturbazione prodotta da un suono reale si presenta con un’andamento periodico ma molto più frastagliato del
suono puro. Il suono reale può però essere scomposto nella sovrapposizione di tanti suoni puri di diversa ampiezza e di
frequenze multiple intere di una frequenza fondamentale pari a quella del suono reale: questa scomposizione si articola
in suoni detti armonica fondamentale, prima armonica, seconda armonica....
Questo scomposizione del suono è fondato sul teorema di Fourier che
stabilisce: qualunque funzione continua e periodica può essere scomposta in
una serie di funzioni sinusoidali e cosinusoidali di frequenza multiplo intero
della frequenza della funzione originale.
Un esempio dell’applicazione del teorema di Fourier è rappresentato a
fianco.
In alto la funzione originale, corrispondente al suono reale, di frequenza f,
la 1 funzione è l’armonica fondamentale di frequenza f, la 2 è la prima
armonica di frequenza 2f e così via fino alla 11ª armonica di frequenza 12f,
ogni armonica corrisponde ad un suono puro: la somma delle 12 funzioni
illustrate è approssimativamente uguale alla funzione originale, la
sovrapposizione è tanto migliore quante più sono le armoniche.
DISSONANZA
La dissonanza nasce quando due suoni reali non soddisfano le condizioni di
consonanza.
Un esempio di intervallo dissonante è il semitono do do#: le due note hanno
armoniche abbastanza vicine da produrre anche il fenomeno dei battimenti,
non gradito al nostro orecchio.
In realtà l’assenza di battimenti è certamente una condizione necessaria per la consonanza, la presenza non è altrettanto
condizione necessaria per la dissonanza.
Ad esempio: nell’accordo di sol settima sol si re fa, alla consonanza della triade del sol maggiore sol si re, si aggiunge
la settima nota contando dal sol, il fa appunto. La nota aggiunta non porta elementi di consonanza, anzi introduce delle
armoniche che producono battimenti. Ma proprio da questo accostamento scaturisce l’effetto “elettrizzante”
dell’accordo.
Gradualmente nel corso del XVIII, XIX e XX secolo la differenza tra consonanza e dissonanza si affievolisce ed il
gusto del compositore, inteso come primo ascoltatore, si evolve verso la perdita del senso della tonalità.
E’ interessante notare che i concetti di consonanza trovano un riscontro nei gusti dei neonati, che gradiscono melodie
basate su intervalli consonanti. Nel corso della crescita e della maturazione dell’individuo si verifica un processo di
allargamento del gusto musicale che rispecchia sostanzialmente l’evoluzione storica: l’esigenza di strutture musicali
diverse, sempre più complesse, fino a diventare devianti dal gusto “classico”, implica che il nostro sistema percettivo
sia capace di una continua evoluzione tale da ampliare la disponibilità dell’uditore. Sulla base di questa considerazione
il campo della ricerca musicale è caratterizzato da un processo di continua espansione verso la dissonanza ma con una
relazione di inversa proporzionalità alla quantità di pubblico interessato.
GLOSSARIO MUSICALE ESSENZIALE
scala cromatica: rappresenta una divisione dell’ottava in 12 semitoni, do do#=reb re re#=mib mi fa fa#=solb sol
sol#=lab la la#=sib si do, separate da intervalli di semitono: queste note corrispondono ai tasti bianchi e neri del
pianoforte. In origine l’alterazione in diesis corrispondeva ad una nota di frequenza pari a 25/24 della frequenza della
nota di riferimento, il bemolle ad una nota di frequenza 24/25; contestualmente all’introduzione della scala temperata si
sono uguagliate le alterazioni contigue, cioè, ad esempio, si è assunto che il do# sia uguale al reb.
scala diatonica: rappresenta una divisione dell’ottava in otto note, do re mi fa sol la si do, separate da 5 intervalli di
tono e 2 di semitono (tra mi fa, tra si e do), corrispondenti ai tasti bianchi del pianoforte;
dominante: considerata una tonalità e la relativa scala, la dominante è la quinta nota a partire dalla nota fondamentale.
intervallo: distanza melodica tra due note, esprimibile anche come rapporto tra le frequenze;
ipertono: suono di frequenza multiplo intero della frequenza del suono fondamentale;
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ottava: intervallo di note compreso tra una nota e quella più alta, di frequenza doppia (oppure tra una nota e quella più
bassa, di metà frequenza)
sottodominante: considerata una tonalità e la relativa scala, la sottodominante è la quarta nota a partire dalla nota
fondamentale.
temperata: scala di note ottenuta modificando la frequenza di accordatura della scala tolemaica. La necessità di questa
approssimazione deriva dal fatto che uno strumento a note fisse (ex. pianoforte) una volta accordato in base alla scala
naturale non può suonare in tutte le tonalità. A questa lacuna si è ovviato ritoccando le frequenze di accordatura, ossia
con il temperamento. Esistono diversi temperamenti, quello detto equabile definisce uguali i dodici intervalli della
scala cromatica, con un rapporto di frequenza per un semitono pari a 2 = 1, 05946
Questo si traduce in imprecisioni armoniche per cui la terza maggiore corrisponde a 1,260 invece del valore ideale
5/4=1,25 della scala naturale.
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tonalità: dipendenza di un insieme di suoni da uno di essi, detto tonica, attorno al quale i suoni si alternano con
funzioni ed effetti diversi. La tonalità di un brano stabilisce la nota di avvio, quella di chiusura e quelle della melodia.
Stabilisce inoltre la struttura armonica cioè la simultaneità di più note, secondo una struttura tonale basata su tre
accordi triadici principali: tonica, dominante, sottodominante. Esempio. La tonalità di do non ha alterazioni in chiave,
la scala è do re mi fa sol la si do. La tonica è l’accordo costruito sul do cioè do mi sol (tonica, terza, quinta), l’accordo
di sottodominante è costruito sulla quarta nota a partire dal do, cioè sul fa, le note sono fa la do (tonica, terza, quinta),
l’accordo di dominante è costruito sulla quinta nota a partire dal do cioè sul sol, le note sono sol si re (tonica, terza,
quinta);
tonica: nota che suonata assieme alla terza e alla quinta nota della scala diatonica, costituisce l’accordo triadico (nella
tonalità di do l’accordo do-mi-sol è l’accordo triadico fondamentale);
suono fondamentale: suono di frequenza minima tra quelle costituenti il suono complesso emesso; nel caso di una
corda (o di una canna aperta alle estremità) la frequenza minima del suono emesso è definita dal rapporto tra la
velocità di propagazione della perturbazione nella corda ed il doppio della lunghezza.
Bibliografia essenziale:
Andrea Frova Fisica nella musica, Zanichelli.
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