La coscienza morale (Martedi 14 Novembre)
Nel Catechismo della Chiesa Cattolica si legge: “La libertà fa dell’uomo un soggetto
morale perché solo se è libero l’uomo diviene padrone dei propri atti, i quali sono
moralmente qualificabili in buoni e cattivi”. Mediante il suo agire libero, la persona umana
esprime se stessa e, nello stesso tempo, realizza se stessa. Le fede della Chiesa, fondata
sulla divina Rivelazione, ci insegna che ciascuno di noi sarà giudicato secondo le sue
opere. Si noti: è la nostra persona che sarà giudicata in base alle sue opere. Da ciò si
comprende che nelle nostre opere è la persona che si esprime, si realizza e, per così dire,
si plasma. Per opere, non si intendono solo le opere buone come il volontariato etc, ma
l’agire dell’uomo nel suo complesso.
“Siamo opera sua, creati in Cristo Gesù, per le opere buone che Dio ha predisposto
perché noi le praticassimo.” Ef, 2, 10

Cosa è il bene morale?
La persona umana è dotata di una sua propria verità, di un suo proprio ordine intrinseco, di
una sua propria costituzione. Quando le sue opere si accordano con questo ordine, con la
costituzione propria di persona umana creata da Dio, sono opere buone «che Dio ha
predisposto perché noi le praticassimo». La bontà del nostro agire scaturisce da
un'armonia profonda fra la persona e i suoi atti, mentre, al contrario, il male morale segna
una rottura, una profonda divisione fra la persona che agisce e le sue azioni. L'ordine
inscritto nel suo essere, quell'ordine che è il suo bene proprio, non è più rispettato nelle e
dalle azioni. La persona umana non è più nella sua verità. Il male morale è precisamente il
male della persona come tale; il bene morale è il bene della persona come tale.
Il bene morale è qualcosa che è PER noi e che è l’espressione delle nostre vere esigenze,
quelle di creature di Dio, quelle che percepiamo nella nostra mente. Infatti, c’è una
profonda assonanza tra la parte più vera di noi e ciò che la legge di Dio ci comanda. La
legge di Dio, che ha come obiettivo il nostro bene, è la legge morale. Questo progetto
creativo di Dio, in quanto conosciuto e partecipato dall'uomo, è ciò che noi chiamiamo
legge morale.
La legge morale ha come compito quello di realizzare le esigenze della persona umana,
che è stata pensata e voluta dalla Sapienza creatrice di Dio, come finalizzata alla
comunione con lui. Questa legge è la legge dell'uomo, una legge cioè che è propria
dell'uomo: solo l'uomo è soggetto alla legge morale e in questo sta la sua dignità vera. Il
codice di questa alleanza non è scritto primariamente sui libri, ma nella mente dell'uomo
(«la legge della mia mente»), in quella parte, cioè, grazie alla quale egli è costituito a
«immagine e somiglianza di Dio».
Alcuni aspetti propri della legge morale, si ritrovano nella lettera di San Paolo ai Romani:
“Sappiamo infatti che la legge è spirituale, mentre io sono di carne, venduto come schiavo
del peccato. Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io
faccio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la
legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti
che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non
la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio.
Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.
Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me.
Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra
legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del
peccato che è nelle mie membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo
votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io
dunque, con la mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato.”
Innanzitutto, dobbiamo precisare che quando San Paolo usa i termini carne, corpo,
membra, non intende il corpo umano ma l’intera persona umana, la natura umana, in
quanto assoggettata e chiusa in quei falsi valori che la attirano con la promessa seduttrice
di una vita apparentemente più piena.
C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo
Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?: Proprio per
questo c’è la Redenzione: il frutto della Redenzione è la liberazione dell’uomo da questa
situazione drammatica e la sua abilitazione ad un comportamento onesto, degno di un
“figlio della Luce”. Il dramma dell’uomo era stato percepito già secoli prima della nascita di
Cristo da Socrate, che si chiedeva come potesse l’uomo, conoscendo il bene, fare il male.
Per lui, la causa non poteva che essere l’ignoranza (se non si fa il bene è perché non si sa
che è il nostro bene), mentre la Chiesa, che discolpa il peccato nell’ignoranza, non
giustifica la mancanza di preparazione e di formazione.
Legge della mia mente: si noti l’apostolo chiama la legge di Dio “legge della mia mente”.
La legge morale è, nello stesso tempo, LEGGE DI DIO e LEGGE DELL’UOMO.
Per comprendere questa verità, (che sottolinea la vicinanza tra intelletto e fede, come
detto nell’enciclica Fides et Ratio ), dobbiamo continuamente riandare nel profondo del
nostro cuore, alla prima verità del Credo: “Credo in Dio Padre… creatore…”.
Dio crea l’uomo e questi, come ogni creatura, si ritrova sorretto dalla Provvidenza di Dio,
poiché il Signore non abbandona nessuna delle opere delle sue mani creatrici. Questo
significa che Egli si prende cura della sua creatura, conducendola –con forza e soavità- al
suo fine proprio, nel quale essa raggiunge la pienezza del suo Essere.
L’azione moralmente cattiva è quindi quella che allontana l’uomo da se stesso, dalla sua
vera natura. E’ nell'azione retta che la persona umana realizza la verità del suo essere,
mentre, quando agisce non rettamente, essa fa il suo male, distruggendo l'ordine del
proprio essere. La vera e più profonda alienazione dell'uomo consiste nell'azione
moralmente cattiva: in questa, la persona non perde ciò che ha, ma perde ciò che è,
perde, cioè, se stessa. «Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero se poi perde se
stesso?» ci dice il Signore. L'unico vero male, interamente male, per la persona umana è il
male morale.
Lo Spirito Santo legge dell'uomo redento
«La legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della
morte... perché la giustizia della legge si adempisse in noi che non camminiamo secondo la carne
ma secondo lo Spirito» (Rm 8,2.4).
Camminare secondo lo Spirito, e così vivere la nostra vita in modo conforme alla volontà di Dio, è
il frutto della Redenzione. Lo Spirito Santo è il dono per eccellenza che il Redentore fa a chi si
accosta a lui con fede; lo Spirito, come ci insegna l'apostolo, è la legge dell'uomo redento.
Che cosa significa «la legge dell'uomo redento è lo Spirito Santo»? Significa che nella «nuova
creatura», frutto della Redenzione, lo Spirito ha posto la sua dimora, realizzando una presenza di
Dio molto più intima di quella conseguente all'atto creativo. Non si tratta, infatti, solamente del
dono dell'esistenza, ma del dono della stessa Vita di Dio, della Vita vissuta dalle tre Persone della
Trinità.
La persona umana, nelle cui profondità spirituali lo Spirito ha posto la sua dimora, è illuminata
nella sua intelligenza ed è mossa nella sua volontà, perché comprenda e compia «la volontà di Dio,
ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2). Si realizza così l'antica profezia: «Porrò la mia
legge nel loro animo, la scriverò nel loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo»
(Ger 31,33); e ancora: «Porrò il mio Spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei precetti e vi
farò osservare e mettere in pratica le mie leggi» (Ez 36,27). Nell'atto stesso con cui Dio crea
l'uomo, egli inscrive nel cuore dell'uomo la sua legge. L'essere personale dell'uomo è dotato di un
suo ordine proprio, è finalizzato alla comunione con Dio e con le altre persone umane. In una
parola: è dotato di una sua verità, alla quale la libertà è subordinata. Nello stato di «giustizia
originale» questa subordinazione era realizzata pienamente. L'uomo godeva di una perfetta libertà
perché voleva il bene: lo voleva non per una imposizione esterna, ma per una sorta di «coincidenza
interiore» della sua volontà con la verità del suo essere, creato da Dio.
In conseguenza della ribellione a Dio, si è spezzato nella persona umana il vincolo della libertà
con la Verità, e la legge di Dio è sentita come una coazione, una costrizione della e contro la
propria libertà. E' il «cuore» stesso della persona che è diviso. Da una parte, infatti, essa è portata e
sospinta, nella sua soggettività libera, a compiere il male, a costruire un'esistenza - come singolo e
come comunità - contro la Sapienza creatrice di Dio. Dall'altra, tuttavia, poiché il peccato non ha
distrutto completamente quella verità e quella bontà dell'essere, che è patrimonio ricevuto nell'atto
della creazione, l'uomo sente nostalgia di restare in armonia con le radici profonde del proprio
essere. Ciascuno di noi sperimenta questo stato di divisione, che si manifesta nel nostro cuore quale
combattimento tra il bene e il male. E il risultato è che, in questa condizione, se l'uomo segue le
cattive inclinazioni, diviene schiavo del male; se invece segue la legge di Dio, esperimenta questa
obbedienza come una sottomissione a un'imposizione estrinseca e, quindi, non come atto di totale
libertà. E' il dono dello Spirito che ci rende liberi della vera libertà, divenendo egli stesso la nostra
legge. La persona umana agisce liberamente quando le sue azioni nascono veramente e totalmente
dal suo io: sono azioni della persona e non soltanto azioni che accadono nella persona.
La libertà è una grazia ma anche un imperativo
«Voi... fratelli - dice l'apostolo Paolo - siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non
divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli
altri... Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni
gli altri» (Gal 5,13.15).
«Voi... fratelli, siete stati chiamati a libertà» (Gal 5,13). La Redenzione ci pone in uno stato di
libertà, che è frutto della presenza in noi dello Spirito, poiché «dove è lo Spirito ivi è libertà» (2Cor
3,17). Questa libertà è, al tempo stesso, un dono e un compito: una grazia e un imperativo.
Nello stesso momento infatti in cui l'apostolo ci ricorda che siamo chiamati alla libertà, ci avverte
pure del pericolo che corriamo di fare un cattivo uso di essa: «Purché questa libertà - egli
ammonisce - non divenga un pretesto per vivere secondo la carne» (Gal 5,13). (E la «carne» nel
vocabolario paolino, non significa «corpo umano», ma l'intera persona umana in quanto
assoggettata e chiusa in quei falsi valori che la attirano con la promessa seduttrice di una vita
apparentemente più piena). Il criterio per discernere se l'uso che facciamo della nostra libertà è
conforme alla nostra chiamata ad essere liberi oppure è in realtà una ricaduta nella schiavitù è la
nostra subordinazione o insubordinazione alla carità, cioè alle esigenze che da essa derivano.
E' di fondamentale importanza notare che questo criterio di discernimento ci è donato nella vita di
Cristo: la libertà di Cristo è la vera libertà e la nostra chiamata alla libertà è chiamata a partecipare
della libertà stessa di Cristo. Cristo visse nella piena libertà perché, nella radicale obbedienza al
Padre «ha donato se stesso in riscatto per tutti. Questo è il messaggio della salvezza» (1Tm 2,5).
Cristo è sommamente libero proprio nel momento della sua suprema subordinazione e obbedienza
alle esigenze dell'Amore salvifico del Padre: nel momento della sua morte.
Situazione simile è riscontrabile in Maria: nell'Angelus si dice: Ecco sono la serva del signore
(serva non è intesa in senso dispregiativo) mi accada secondo la tua parola; situazione simile è la
preghiera di Gesù nel monte degli olivi. In questi esempi, si nota che la libertà è autentica perché
subordinata all’amore del Padre.
«Siete stati chiamati a libertà»: dice l'apostolo. Siamo stati resi partecipi della stessa libertà di
Cristo: la libertà di donare se stessi. L'espressione perfetta della libertà è la comunione nel vero
amore. Davanti ad ogni persona umana dopo questa chiamata, si è aperto lo spazio di una decisiva
e drammatica alternativa: la scelta fra una (pseudo-) libertà di autoaffermazione, personale o
collettiva, contro Dio e contro gli altri, e una vera libertà di autodonazione a Dio e agli altri. Chi
sceglie l'autoaffermazione, resta sotto la schiavitù della carne, nella estraneità da Dio; chi sceglie
l'autodonazione, vive già la vita eterna. La libertà vera è quella che sta subordinata all'amore, poiché
- ci insegna l'apostolo - «la carità è la pienezza della legge» (Rm 13,10). Da questo insegnamento
possiamo capire, ancora una volta, che per l'apostolo non si dà, nell'uomo giustificato, una
contrapposizione fra libertà e legge morale. E la ragione è precisamente che la pienezza della legge
è la carità. Il senso ultimo di ogni norma morale è la carità; ogni norma morale non fa che esprimere
una esigenza della verità e dell'amore. Sembra di ricordare le parole di S.Agostino che metteva la
Carità, cioè l’amore, come cardine della legge morale “Ama et fac quod vis”.
Noi tutti, qualunque sia la cultura a cui apparteniamo, definiamo l'amore come «volere il bene della
persona amata». Si noti: della persona amata, per se stessa, e non soltanto di colui che ama. In
questo secondo caso, infatti, l'amore maschererebbe in realtà un rapporto con l'altro di carattere
utilitaristico o edonistico. Il bene della persona è ciò che essa è: è il suo essere. Volere il bene è
volere che l'altro sia nella pienezza del suo essere. Per questo, il più puro atto di amore che si
possa pensare è atto creativo di Dio: esso fa sì che ciascuno di noi semplicemente sia. C'è, dunque,
una connessione inscindibile fra l'amore verso una persona e il riconoscimento della verità del
suo essere: la Verità è il fondamento dell'amore. Si può avere l'intenzione di amare un altro, ma
non lo si ama realmente se non si riconosce la verità del suo essere. Si amerebbe, di fatto, non
l'altro, ma quell'immagine dell'altro che noi ci siamo creati e ci si esporrebbe così al rischio di
commettere le più gravi ingiustizie in nome dell'amore dell'uomo. Poiché «questo uomo» non
sarebbe quello reale, nella verità del suo essere, ma quello pensato da noi prescindendo dal
fondamento della sua verità oggettiva.
Le norme morali sono le immutabili esigenze, che emergono dalla verità di ogni essere. Ogni essere
esige di essere riconosciuto, cioè amato in modo adeguato, alla sua verità: Dio come Dio, l'uomo
come uomo, le cose come cose. «La pienezza della legge è l'amore» ci insegna l'apostolo. Quanto è
vera questa affermazione! L'amore è la realizzazione piena di ogni norma morale, perché esso vuole
il bene di ogni essere nella sua verità: quella verità la cui forza normativa nei confronti della libertà
è espressa dalle norme morali.
La libertà, vissuta come potere sganciato dalla legge morale, si rivela potere distruttivo dell'uomo:
di se stesso e degli altri. «Guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri», ci
ammonisce l'apostolo. Questo è l'esito finale dell'esercizio della libertà contro la legge morale: la
distruzione reciproca. Anziché, dunque, contrapporsi alla libertà, la legge morale è ciò che
garantisce la libertà, ciò che fa sì che essa sia vera, non una maschera di libertà: il potere di
realizzare il proprio essere personale secondo la verità.
“Coscienza significa riconoscere l’uomo , se stesso e l’altro da sé, come creazione e rispettare in
quest’uomo il suo creatore.”R. Schneider
Se riprendiamo la definizione che Reinhold Scnheider, scrittore cattolico tedesco, dà di morale, si
può vedere che se non riconosciamo noi stessi e l'altro da noi come creazione e non rispettiamo in
questi il creatore si ha l'autodistruzione. Si pensi ai regimi totalitari e alle guerre che hanno
insanguinato il secolo scorso e l'inizio di questo: è evidente la non sacralità della persona umana,
la considerazione di essa come un oggetto, e non come il prodotto dell'amore di un Creatore.
Libertà anche da ciò che alla società sembra giusto non farsi omologare la rosa bianca (leggi
qualcosa) era una voce fuori dal coro, Herbert Marcuse della scuola di Francoforte 1998-1979 già
metteva in guardia dalla società che creava i bisogni
“Una confortevole levigata, ragionevole,democratica non-libertà” l’uomo è schiavo della società
che gli crea i bisogni e gli fa credere che siano indispensabili.
La Redenzione, restituendo pienamente l’uomo alla sua verità e alla sua libertà, gli ridona la piena
dignità di persona. La redenzione ricostruisce cosi l’alleanza della persona umana con la Sapienza
creatrice. Possiamo leggere in questa chiave buona parte del vecchio e del nuovo testamento: Dio
che fa alleanze e cerca di riprendere il suo popolo ogni volta che lo tradisce e che tradisce se stesso.
Ogni volta che il popolo tradisce l’alleanza, accadono segni che gli fanno capire che i divieti non
sono imposti per un gioco di Dio ma per il bene dell’uomo.
Perché la libertà e il bene morale portano con se l’obbligo
Le parole di S. Paolo ci descrivono quale è il compito a cui è chiamata la coscienza morale
dell'uomo: «Discernere la volontà di Dio, cio che è buono, a lui gradito e perfetto».
Che cosa intende l'Apostolo quando parla di «discernimento» in questo campo? Se noi facciamo
attenzione alla nostra esperienza interiore, constatiamo la presenza dentro di noi di un'attività
spirituale, che possiamo chiamare l'attività valutativa. Non è forse vero che spesso ci capita di dire,
o di pensare: «Questo è giusto, questo non è giusto?». Esiste cioè, in ciascuno di noi, una sorta di
«senso morale» che ci porta a discernere ciò che è bene e ciò che è male, così come esiste una sorta
di «senso estetico» che ci porta a discernere ciò che è bello da ciò che è brutto. E' come un occhio
interiore, una capacità visiva dello spirito, in grado di guidare i nostri passi sulla via del bene.
Ma le parole dell'Apostolo hanno un significato più profondo. L'attività della coscienza morale non
riguarda soltanto ciò che è bene e ciò che è male universalmente. Il suo discernimento riguarda in
particolare la singola e concreta azione libera che stiamo per compiere o abbiamo compiuto. E' di
essa che la coscienza ci parla, è essa che la coscienza valuta: questa azione, ci dice la coscienza, che
tu, nella tua irripetibile singolarità, stai compiendo (o hai compiuto) è buona o è cattiva.
Da dove arrivano i criteri di giudizio della coscienza? In base a che cosa la nostra coscienza morale
giudica le azioni che stiamo per compiere o che abbiamo compiute? Il Concilio Vaticano II dice:
«Norma suprema della vita umana è la legge divina, eterna, oggettiva e universale, per mezzo della
quale Dio con un disegno di sapienza e amore ordina, dirige e governa tutto il mondo e le vie della
comunità umana... l'uomo coglie e riconosce gli imperativi della legge divina attraverso la sua
coscienza che egli è tenuto a seguire fedelmente in ogni sua attività, per arrivare a Dio suo fine»
(«Dignitatis Humanae»).
La coscienza morale non è un giudice autonomo delle nostre azioni. Essa desume i criteri dei suoi
giudizi da quella «legge divina, eterna, oggettiva e universale», da quella «verità immutabile», di
cui parla il testo conciliare: quella legge, quella verità che l'intelligenza dell'uomo può scoprire
nell'ordine dell'essere. E' per questa ragione che il Concilio dice che l'uomo, nella sua coscienza, è
«solo con Dio». Si noti: il testo non si limita ad affermare: «è solo», ma aggiunge «con Dio». La
coscienza morale non chiude l'uomo dentro una invalicabile e impenetrabile solitudine, ma lo apre
alla chiamata, alla voce di Dio.
Kant, Critica della ragion pratica, Conclusione
Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú
spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale
in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero
avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le
connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza.
In questo, non in altro, sta tutto il mistero e la dignità della coscienza morale: nell'essere cioè il
luogo, lo spazio santo nel quale Dio parla all'uomo. Di conseguenza, se l'uomo non ascolta la
propria coscienza, se consente che in essa prenda dimora l'errore, egli spezza il vincolo più
profondo che lo stringe in alleanza con il suo Creatore. Se la coscienza morale non è l'istanza ultima
che decide ciò che è bene e ciò che è male, deve conformarsi alla verità immutabile della legge
morale, ne consegue che essa non è giudice infallibile: può errare. Questo punto merita una
particolare attenzione. «Non conformatevi» insegna l'apostolo, «alla mentalità di questo mondo, ma
rinnovatevi nello spirito della vostra mente» (Rm 12,2). In questo contesto si inserisce bene il
caso della Rosa Bianca, un gruppo di giovani berlinesi, che nella Germania nazista si
occuparono di organizzare la resistenza distribuendo volantini nelle Università. Uno di questi,
Sophie Scholl, fu arrestata nel 1943 dalla Gestapo: interrogata per molto tempo dall'ufficiale
Mohr, Sophie non tradì i suoi compagni e rifiutò di accettare anche un compromesso per la
sua libertà Per questo, fu decapitata nel 1943 insieme al fratello e ad un altro compagno.
Sophie e i suoi compagni non si erano conformati alla mentalità nazista e hanno difeso i loro
ideali, anche se a costo della morte.
Nel primo volantino si legge: Non c'è nulla di più indegno per un popolo civile che lasciarsi
"governare", senza alcuna opposizione, da una cricca di irresponsabili dominati dai propri istinti.
Non è forse vero che ogni onesto tedesco oggi si vergogna del suo governo? E chi di noi ha idea
delle dimensioni dell'infamia che un giorno cadrà su di noi e sui nostri figli, quando sarà caduto il
velo dai nostri occhi e saranno venuti alla luce i crimini più orribili, infinitamente superiori ad ogni
misura? Se il popolo tedesco è già così corrotto e deteriorato nella sua più intima essenza, da
rinunciare, senza alzare neppure una mano e in una sconsiderata fiducia nella discutibile legittimità
della storia, al bene supremo che un uomo possiede e che lo eleva al di sopra di ogni creatura,
ovvero alla libera volontà; se rinuncia alla libertà dell'uomo di intervenire sul corso della storia e
sottoporlo alle proprie decisioni razionali; se i tedeschi, così privi di ogni individualità, sono ormai
diventati una massa tanto insulsa e vile, allora davvero meritano la rovina.
Si capisce il rifiuto per il governo nazista ma anche la completa presa di distanza dal popolo
tedesco, che resta a guardare senza opporsi alla perdita totale della libertà e della dignità umana. Era
questo lo scopo dei volantini: far riprendere al popolo tedesco la sua coscienza morale individuale,
quella che permette di “intervenire sul corso della storia”.
Nel secondo volantino invece: Non vogliamo scrivere, in questo foglio, della questione ebraica, né
pronunciare discorsi in difesa. No, solo come esempio vogliamo ricordare brevemente il dato di
fatto che, dalla occupazione della Polonia, trecentomila ebrei sono stati assassinati in quel Paese
nel più bestiale dei modi. Qui noi vediamo il più orrendo delitto contro la dignità umana, un delitto
che non ha confronti in tutta la storia dell'umanità. Anche gli ebrei sono uomini, qualunque sia la
posizione che si vuole assumere sulla questione ebraica; e tutto questo è stato perpetrato contro
degli uomini. Forse qualcuno dice che gli ebrei hanno meritato questo destino; questa affermazione
sarebbe una mostruosa presunzione.
Nei giudizi della vostra coscienza si annida sempre la possibilità dell'errore. La conseguenza che
deriva da tale errore è molto seria: quando l'uomo segue la propria coscienza errata, la sua azione
non è retta, non realizza obiettivamente ciò che è bene per la persona umana. E questo, per il
semplice fatto che il giudizio della coscienza non è l'ultima istanza morale. Certo, «succede non di
rado - come il Concilio precisa immediatamente - che la coscienza sia erronea per ignoranza
invincibile». In tal caso essa «non perde la sua dignità», e l'uomo che ne segue il giudizio non
pecca. Lo stesso testo conciliare, però, prosegue osservando: «Ma ciò non si può dire quando
l'uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in
seguito all'abitudine del peccato» («Dignitatis Humanae», 3).
Non è dunque sufficiente dire all'uomo: «Segui sempre la tua coscienza». E' necessario aggiungere
subito e sempre: «Chiediti se la tua coscienza dice il vero o il falso, e cerca instancabilmente di
conoscere la verità». Se non si facesse questa necessaria precisazione, l'uomo rischierebbe di
trovare nella sua coscienza una forza distruttrice della sua umanità vera, anziché il luogo santo ove
Dio gli rivela il suo vero bene.
E' necessario «formare» la propria coscienza. In tale impegno il credente sa di avere un particolare
aiuto dalla dottrina della Chiesa. «Infatti per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità,
e il suo compito è di annunziare e di insegnare in modo autentico la verità che è Cristo, e nello
stesso tempo di dichiarare e di confermare con la sua autorità i principi dell'ordine morale che
scaturiscono dalla stessa natura umana» («Dignitatis Humanae», 14).
Indifferenza verso la verità
Il cammino verso una coscienza morale matura, tuttavia, non può neppure avere inizio, se lo spirito
non è libero da una malattia mortale, oggi molto diffusa: l'indifferenza verso la verità. Come
potremmo, infatti, essere preoccupati che la verità abiti nella nostra coscienza, se riteniamo che
l'essere nella verità non sia un valore di importanza decisiva per l'uomo? Numerosi sono i sintomi di
tale malattia. L'indifferenza verso la verità si manifesta, ad esempio, nel ritenere che la verità e la
falsità, in etica, siano soltanto una questione di gusti, di decisioni personali, di condizionamenti
culturali e sociali. Basti pensare al recente referendum sulla procreazione assistita, dove si è
dibattuto sull'inizio della vita. Può la vita essere decisa con una votazione, in base alle nostre
opinioni?
A volte, si ritiene che sia sufficiente eseguire ciò che pensiamo, senza preoccuparci ulteriormente se
ciò che pensiamo sia vero o falso o anche che il nostro essere graditi a Dio non dipenda affatto dalla
verità di ciò che noi pensiamo di lui, ma solo dal credere sinceramente in ciò che noi professiamo.
Indifferenza verso la verità è ancora il ritenere più importante per l'uomo cercare la verità che
raggiungerla, giacché questa, in definitiva, gli sfugge irrimediabilmente; e confondere, di
conseguenza, il rispetto dovuto ad ogni persona, qualunque siano le idee che professa, con la
negazione dell'esistenza di una verità obiettiva.Se una persona umana è indifferente, nel senso
sopraddetto, verso la verità, non si darà pensiero della formazione della propria coscienza, e finirà,
presto o tardi, per confondere la fedeltà alla propria coscienza con l'adesione a una qualsiasi
opinione personale o all'opinione della maggioranza.
Da dove deriva questa gravissima malattia spirituale? La sua origine ultima è l'orgoglio, nel quale,
secondo tutta la tradizione etica della Chiesa, sta la radice di ogni male umano. L'orgoglio porta
l'uomo ad attribuirsi il potere di decidere, come arbitro supremo, di ciò che è vero e di ciò che è
falso, a negare, cioè, la trascendenza della verità nei confronti della nostra intelligenza creata e a
contestare, di conseguenza, il dovere di aprirsi ad essa, di accoglierla non come propria invenzione
ma come dono che le è fatto dalla luce increata. Già il peccato originale è segnale di questo poiché
Adamo ed Eva hanno peccato di superbia, ritenendosi in grado di scegliere la cosa giusta per il loro
bene, indipendentemente da Dio.
Appare chiaro, allora, che l'origine dell'indifferenza verso la verità risiede nelle profondità del cuore
umano. Non si trova la verità, se non la si ama; non si conosce la verità, se non si vuole conoscerla.
«Vivere secondo verità nella carità», è ciò a cui ci invita l'apostolo. Abbiamo individuato il punto
di partenza per la formazione della coscienza morale: l'amore della verità.