La legislazione scolastica italiana in campo artistico, musicale e coreutico. Aggiornamento: 5/1/2013 § 1. La situazione prima delle riforme. Non si può aprire un serio discorso sulla normativa scolastica italiana in campo artistico, musicale e coreutico senza tratteggiare, sia pur brevemente, un quadro esauriente della situazione precedente. Nell’aprile 1994 è stata riordinata integralmente la legislazione scolastica italiana che, a seguito di numerosissime modifiche e aggiornamenti, consisteva in un ginepraio di leggi e normative applicative molto complesse. Col d. lgs. 16 aprile 1994, n. 297, dal titolo «Approvazione del testo unico sulle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado» si è voluto raccogliere in un Testo Unico tutta la legislazione in vigore. Ciò chiaramente ha riguardato anche il settore artistico e musicale. L’insegnamento della musica in Italia, fino al 1999, era caratterizzato dal permanere di un doppio canale di formazione musicale: da una parte la formazione musicale professionale, appannaggio dei Conservatori di Musica, dall’altra la formazione musicale non professionale, o educazione musicale, impartita dalla scuola dell’obbligo, dall’Istituto magistrale e dalla Scuola magistrale. Secondo il programma ministeriale dell’epoca, «l’educazione musicale di base non intende avviare alla formazione di futuri musicisti, ma fornire un primo livello di alfabetizzazione nel campo dei suoni». L’obiettivo era dunque una familiarizzazione generale col mondo della musica, cui veniva riconosciuto un valore educativo; al contrario, l’obiettivo dei Conservatori era formare musicisti professionisti (concertisti, professori d’orchestra, cantanti e compositori). Per quanto riguarda la Scuola elementare, la materia di studio era l’«educazione al suono e alla musica». All’insegnante elementare non era richiesta alcuna competenza musicale, oltre alla preparazione fornitagli dall’Istituto magistrale o (per la scuola materna) dalla Scuola magistrale. L’orario era mediamente di due ore settimanali. Nella Scuola media, la materia era denominata «educazione musicale», era affidata a docenti in possesso di diploma di Conservatorio o di laurea in musicologia. Obiettivi e programmi (come nella Scuola elementare) non erano molto particolareggiati e lasciavano uno spazio pressoché totale all’insegnante. La Scuola magistrale, triennale, preparava esclusivamente all’insegnamento nella scuola materna. Il corso di musica intendeva offrire una conoscenza basilare della musica e del repertorio vocale relativo alla prima infanzia. L’Istituto magistrale, quadriennale, preparava alla professione di maestro elementare. L’insegnamento della musica veniva impartito solo per un’ora settimanale, cercando di rivolgere la propria attenzione alle metodologie più appropriate per l’età scolare. Entrambi gli Istituti non riuscivano comunque a superare nei programmi e nella vita scolastica la didattica musicale nozionistica di stampo ottocentesco, fatta di «nominalismo, solfeggismo e aritmeticismo» (COLARIZI). In nessuna di queste scuole era previsto lo studio di uno strumento musicale (tranne per i rudimenti di flauto dolce impartiti alla scuola media): lo studio di uno strumento o del canto non era evidentemente considerato formativo. Né era considerato formativo lo studio della storia della musica nella secondaria superiore (a differenza dello studio della storia dell’arte). Un discorso a parte va fatto per l’Università, in cui lo studio della musica è presente soltanto a livello teorico (ad es., i corsi di laurea in Discipline della musica e in Musicologia, solitamente afferenti alle facoltà di Lettere e filosofia). La formazione musicale professionale, come detto, avveniva esclusivamente nei Conservatori di Musica, cui si devono aggiungere gli Istituti musicali pareggiati ai Conservatori (per lo più provinciali o comunali), le scuole civiche (anch’esse comunali o provinciali), fiorite un po’ dappertutto nel tentativo di soddisfare la grande richiesta di istruzione musicale, e le scuole e le accademie private. I Conservatori di Musica e gli Istituti musicali pareggiati rilasciavano quello che allora era l’unico titolo musicale professionale (per strumento, canto, composizione, etc.): il diploma. Ai Conservatori si accedeva mediante esame di ammissione, con parametri di età variabili a seconda del corso prescelto. La durata dei corsi era anch’essa variabile a seconda dello strumento: si andava dai 5 anni del canto ai 6-7 degli strumenti a fiato e del contrabbasso, ai 9 dell’arpa, ai 10 di pianoforte, chitarra, archi, composizione. L’ordinamento dei Conservatori, regolato da norme vetuste (1912-1918; i programmi risalivano al 1930), mirava a curare una preparazione esclusivamente tecnico-professionale dello studente. Il fine esplicito dei Conservatori era quello di preparare concertisti o compositori. Non era presente (fino agli anni ’70 del 1900) alcuna scuola di didattica. Non essendo sostanzialmente previsti altri insegnamenti al di fuori di quelli strettamente tecnicomusicali, la formazione culturale restava affidata alla scuola, attraverso la doppia frequenza ScuolaConservatorio o Università-Conservatorio. Un discorso simile si può fare anche per l’Accademia Nazionale di Danza. La formazione musicale e coreutica in Italia prima delle riforme Doppia scolarità Scuola-Conservatorio o Scuola-Accademia di Danza (6) (5) 4 3 2 1 5 4 3 2 1 3 2 1 5 4 3 2 1 FORMAZIONE FORMAZIONE MUSICALE O CULTURALE COREUTICA Università Conservatorio di Musica Scuola media superiore (Accademia Nazionale di Danza) Scuola media inferiore Scuola elementare Si può dunque notare agevolmente la differenza rispetto all’insegnamento dell’arte: qui lo studente segue un percorso verticale unitario, che dopo la formazione generale data nella scuola elementare (educazione all’immagine) e media (educazione artistica, ora arte e immagine), gli permette di scegliere un Liceo ad hoc, il Liceo artistico, con uno sbocco successivo nell’Accademia delle Belle Arti. Nel caso di scelta diversa, egli studia il disegno e/o la storia dell’arte (intesi come discipline formative) nella scuola secondaria superiore. § 2. (Segue): I problemi. Possiamo dire che non c’era settore istituzionale e culturale italiano ed europeo che non lamentasse la totale inadeguatezza della struttura didattica musicale italiana, tant’è che negli ultimi 40 anni sono stati più volte annunciati radicali interventi, mai attuati fino al 1999 (riforma dei Conservatori e delle Accademie). a. Problema prioritario era innanzitutto la non ben definita collocazione istituzionale dei Conservatori (problema condiviso con le Accademie). Essi non erano Università, e il diploma non era una laurea. Ciò faceva sì che il nostro titolo fosse riconosciuto solo parzialmente in Europa, e che i nostri studenti, una volta all’estero, dovessero spesso frequentare da capo le Università (o le scuole musicali superiori, di grado universitario) straniere. D’altra parte il diploma di Conservatorio non era neanche un diploma di scuola media superiore, e dunque non dava accesso all’Università. Chi voleva accedere all’Università (o b. c. d. e. alle scuole musicali superiori straniere) doveva avere anche un diploma di scuola media superiore. Il diploma, in fin dei conti, non aveva un valore chiaro e spendibile. Le Università curavano (e curano) la sola formazione teorica (storia della musica, paleografia musicale, estetica, etc.), i Conservatori curavano la sola formazione tecnico-strumentale. Possiamo dunque comprendere come in Italia sia rimasta (purtroppo) ben viva la distinzione tra “musica teorica” e “musica pratica” che ci trasciniamo fin dall’antica Grecia: da Platone, attraverso il teorico medievale Severino Boezio, fino ai filosofi Benedetto Croce e Giovanni Gentile (XX secolo), la “cultura” coincideva con la speculazione astratta. Boezio, per esempio, non riconosceva all’esecutore (strumentista o cantor) nemmeno la qualifica di musicus, poiché musicus era colui che manteneva un rapporto intellettuale e non pratico con la musica. In questa visione (fatta propria dalla riforma scolastica voluta da Gentile in epoca fascista) ciò che è pratico non è cultura ma techné, arte nel senso di mestiere, arte dell’artigiano. Lo studio della musica pertanto non venne inserito nei programmi della scuola (né, d’altra parte, lo si ritenne degno di poter figurare nelle Università), e fu ghettizzato nei Conservatori. La preparazione italiana era dunque sempre monca: il musicista italiano poteva non essere colto (se non si preoccupava di darsi una cultura da sé); il musicologo italiano poteva non conoscere la musica (se non si preoccupava di conoscerla da sé). La doppia scolarità (frequenza contemporanea Scuola-Conservatorio) provocava un’ulteriore, grave conseguenza: l’abbandono scolastico. Frequentissimi erano gli studenti di Conservatorio che si fermavano alla licenza media, senza proseguire gli studi nella secondaria superiore. Come accennato, il diploma di Conservatorio, unico titolo musicale professionale, era finalizzato a formare musicisti professionisti, e non didatti. L’immobilismo dei programmi dei Conservatori si rifletteva anche sull’insegnamento dell’educazione musicale: i docenti di educazione musicale nella scuola erano in massima parte in possesso del semplice diploma di Conservatorio e non avevano altra preparazione didattica che quella curata da sé al di fuori del Conservatorio stesso. La fortissima richiesta di formazione musicale strumentale o vocale non necessariamente professionalizzante, non curata dalla scuola, unita a motivazioni concomitanti di ordine politico, ha causato - specie negli anni ’70 - un aumento esponenziale del numero dei Conservatori e degli Istituti musicali pareggiati. Ciò ha portato almeno due conseguenze: 1) lo snaturamento dei Conservatori, che da scuole destinate a formare una élite di musicisti professionisti, diventano scuole di massa destinate in massima parte a dare una semplice formazione di base (senza avere però né la vocazione, né le competenze, né l’ordinamento o i programmi adeguati allo scopo) ad allievi che in gran parte abbandoneranno gli studi musicali dopo pochi anni; 2) la crescita esponenziale del numero (simmetrica all’abbassamento del livello qualitativo) dei diplomati, destinati a non avere alcuno sbocco sul mercato artistico-professionale o didattico. Ciò ha creato una gravissima situazione di disoccupazione o di diversa occupazione: si pensi all’ingolfamento delle graduatorie di educazione musicale nella scuola media, o all’impressionante numero di musicisti diplomati che opta per l’insegnamento di sostegno o per altri tipi di lavoro. Volendo tentare una summa, avevamo in Italia un sistema della formazione musicale professionale (Conservatori e Istituti pareggiati) chiuso in se stesso, impermeabile a ogni innovazione, fermo ai programmi e all’impostazione strutturale e culturale dei primi decenni del ’900, totalmente avulso dalla realtà culturale, musicale e didattica nazionale e internazionale e inadeguato persino a supportare la nuova funzione richiestagli di formazione musicale (anche) non professionale. Dall’altra parte, avevamo un sistema della educazione musicale (scuole pubbliche) caratterizzato da una certa evoluzione nei programmi, ma che si ostinava a non considerare formativo lo studio di uno strumento musicale e si avvaleva di docenti cui non era richiesta alcuna preparazione musicale specifica (materne, elementari) o cui non era richiesta alcuna preparazione didattica specifica (medie e magistrali). § 3. Tentativi di riforma: 1) la scuola. La scuola media a indirizzo musicale, nata in via sperimentale nel 1979, aggiornata con il d.l. 13 febbraio 1996 e ricondotta a ordinamento con legge 124/1999, offre per la prima volta la possibilità dello studio di uno strumento musicale al di fuori del Conservatorio (e a fini non professionalizzanti, ma educativi). Il d.l. del 1996 afferma, tra l’altro, che tale esperienza «deve trovare ulteriore, progressiva diffusione sul territorio, allo scopo di soddisfare in maniera sempre più estesa e adeguata la crescente richiesta di fruizione della cultura musicale da parte delle giovani generazioni, attraverso un modello organizzativo che assorbendo altre esperienze, consenta un approccio più idoneo e ordinato al fatto musicale inteso nella sua globalità». Regolate definitivamente dal D.M. 201/1999, ad oggi le scuole medie ad indirizzo musicale sono circa un migliaio, distribuite in maniera non uniforme sul territorio nazionale. Ognuna di esse cura l’insegnamento di 4 diversi strumenti musicali, scelti dalla stessa scuola, di solito senza alcuna programmazione territoriale, né alcuna intesa con i Conservatori. L’ammissione al corso avviene per esame, con una prova attitudinale svolta davanti a una commissione di cui fa parte il docente di educazione musicale e i docenti di strumento. Gli allievi che frequentano il corso hanno di solito circa un’ora (individuale o per piccoli gruppi) di strumento alla settimana, più un’ora di musica d’insieme. Ciò non varia l’orario delle altre materie scolastiche, dal momento che gli insegnamenti musicali (pur essendo curriculari) sono svolti al di fuori dell’orario normale delle lezioni (in genere nel pomeriggio). Vaghi, se non assolutamente generici, i programmi (sia teorici che pratici, sia di strumento che di musica d’insieme) sono rimessi sostanzialmente alla buona volontà del docente di strumento (Allegato A del D.M. 201/1999). Non era dapprima richiesta neanche alcuna preparazione didattica specifica dei docenti. Questi dovevano essere in possesso del diploma di Conservatorio, e venivano immessi in una graduatoria provinciale per la cui compilazione si guardava anche ai titoli artistico-professionali posseduti. I Licei musicali sperimentali nascono a metà degli anni ’70 come sperimentazione interna ai Conservatori di musica, con lo scopo manifesto di permettere agli allievi di Conservatorio che finivano la scuola media di conseguire un diploma di scuola secondaria superiore. Qualcosa di simile si era già fatto, circa un decennio prima, con l’istituzione delle scuole medie annesse ai Conservatori. In qualche caso (davvero sporadico) la sperimentazione ha riguardato qualche istituto esterno al Conservatorio, che alla fine del quinquennio rilasciava il diploma di “maturità artistica ad indirizzo musicale”, equipollente a qualunque altro diploma di scuola secondaria superiore. L’obiettivo principale dell’istituzione del Liceo musicale sperimentale è stato quello di comporre il divario tra professionalità musicale e formazione culturale, con l’inserimento nel curriculum di studi di discipline di carattere storico, letterario, artistico, scientifico, non previste dal curriculum tradizionale dei Conservatori. In questo modo l’istituzione del Liceo musicale sperimentale veniva a colmare una lacuna negli studi musicali e a risolvere alcune gravi difficoltà, come la frequenza di un doppio ordine di studi (scuola secondaria e Conservatorio) o peggio, l’abbandono degli studi scolastici dopo la terza media per frequentare il solo Conservatorio. Nel 1999 il Ministero della Pubblica Istruzione (retto al tempo da Luigi Berlinguer) istituisce i cosiddetti Laboratori musicali nelle scuole di ogni ordine e grado. A circa 400 scuole italiane è concesso un finanziamento una tantum (in media 40 milioni delle vecchie lire) utilizzabile per l’acquisto di strumenti e attrezzature musicali. Sfogliando le circolari ministeriali e i documenti prodotti dal c.d. “gruppo di lavoro” costituito presso il Ministero per la creazione dei Laboratori, si può constatare come il Laboratorio musicale sia pensato sostanzialmente in senso fisico come “luogo in cui fare musica”, ossia luogo permanentemente attrezzato e adibito a che studenti e docenti vi si riuniscano e facciano concretamente musica assieme. Viene dunque sottolineato il ruolo attivo e creativo del discente che non deve limitarsi a “ricevere” insegnamenti, ma deve “fare” musica, pur se guidato e coadiuvato dal docente. § 4. (Segue): 2) la formazione dei docenti. L’istituzione, dapprima in via sperimentale, poi ordinaria, di nuovi corsi nei Conservatori (o l’innovazione di quelli tradizionali) è stato l’unico modo, fino alla riforma del 1999, per cercare di svecchiare strutture e programmi vetusti e obsoleti. Mentre le sperimentazioni sugli insegnamenti tradizionali (ad es. pianoforte, composizione, etc.) sono state ristrette a pochissimi Conservatori (Milano tra questi), diffusione ben maggiore hanno avuto i corsi di nuova istituzione (si pensi allo studio degli strumenti antichi, del jazz, della musica elettronica, e così via). Tra i corsi di nuova istituzione merita la nostra attenzione il corso di Didattica della musica, nato una trentina di anni fa, poiché esso rappresenta una novità dirompente nei Conservatori italiani: per la prima volta, infatti, nel Conservatorio nasce un corso dedicato alla formazione dei didatti e, cosa ancora più importante, si riconosce ad esso valore abilitante per l’insegnamento dell’educazione musicale nella scuola. Si trattava di un corso post-diploma, quindi sempre in qualche maniera legato alla vecchia logica dell’insegnamento conservatoriale, ma imperniato su materie eminentemente pedagogicomusicali; per la sua giovane età esso ha potuto giovarsi dell’apporto delle migliori e più recenti esperienze didattiche maturate soprattutto all’estero e importate in Italia da “pionieri” della didattica musicale, corale e strumentale. La via adottata dall’Università per la formazione dei docenti di educazione musicale è stata invece la Scuola universitaria di specializzazione all’insegnamento secondario (S.S.I.S.), una scuola biennale post-laurea, dalla frequenza obbligatoria, finalizzata - nei progetti iniziali del Ministero - a risolvere il problema dei concorsi e del precariato. La breve esperienza (un decennio circa) delle scuole universitarie di specializzazione, fonti di infiniti contrasti, può dirsi oramai conclusa con la sospensione dei corsi avvenuta nel 2008. Per quanto riguarda espressamente le materie artistiche e musicali, le scuole di specializzazione universitarie davano a parer nostro una preparazione esclusivamente teorica e del tutto avulsa dalla realtà dell’insegnamento artistico e musicale scolastico. § 5. La riforma di Accademie e Conservatori di Musica. Dopo decenni di aspri dibattiti, con legge 21 dicembre 1999 n. 508 i Conservatori di Musica, insieme alle Accademie, sono stati finalmente riformati ed elevati al livello universitario, sotto la comune denominazione di Istituzioni di Alta Formazione Artistica e Musicale (AFAM). La riforma di Accademie e Conservatori può dirsi a ragione il “grimaldello” attraverso cui si è finalmente scardinato l’incancrenito status quo della formazione musicale italiana (professionale e non). È la “rivoluzione imposta” (dall’Europa) che sta permettendo lo svecchiamento delle strutture e dei programmi, di tutta l’impostazione dell’insegnamento musicale, non solo nei Conservatori stessi, ma anche in tutto il resto dell’istruzione nazionale. Ma analizziamo uno ad uno gli aspetti peculiari della riforma: 1. i Conservatori e le Accademie escono dal loro secolare “limbo” (scuola secondaria? scuola professionale?) per approdare chiaramente alla fascia universitaria, acquistando un’autonomia pari a quella delle Università, potendosi dotare di propri Statuti e quindi eleggere propri organi di autogoverno (D.P.R. 28 febbraio 2003, n. 132). Elevando al livello universitario Accademie e Conservatori (tutte “Istituzioni di Alta Cultura”) viene finalmente data piena applicazione all’art. 33 della Costituzione; 2. i titoli conseguiti col nuovo ordinamento (diplomi accademici di I e II livello) vengono equiparati ai titoli universitari (rispettivamente a lauree e lauree magistrali). Le corrispondenze sono stabilite definitivamente dalla legge 228/2012 (legge di stabilità 2013, art. 1, commi 102-106) che prevede, nel dettaglio: a. l’equipollenza dei diplomi accademici di I livello alle lauree universitarie della classe L-3 (Lauree triennali in Discipline delle arti figurative, della musica, dello spettacolo e della moda); b. l’equipollenza dei diplomi accademici di II livello alle lauree magistrali universitarie (Lauree quinquennali nella classe LM 45 - Musicologia per Conservatori, Istituti musicali pareggiati e Accademia Nazionale di Danza; classe LM 12 - Design per l’ISIA; classe LM 65 - Scienze dello spettacolo e produzione multimediale per l’Accademia Nazionale di Arte Drammatica; classe LM 89 Storia dell’arte, classe LM 12 - Design e classe LM 65 - Scienze dello spettacolo e produzione multimediale per le Accademie di Belle Arti); 3. viene prevista l’istituzione di master, corsi di perfezionamento e specializzazione, corsi di formazione alla ricerca (equiparati ai dottorati di ricerca universitari); 4. i diplomi conseguiti con il vecchio ordinamento vengono dapprima equiparati alla laurea (triennale) dalla legge 268/2002 (naturalmente solo per chi possiede anche un diploma di scuola secondaria superiore) e successivamente ai diplomi di II livello (e dunque alla laurea magistrale quinquennale) dalla legge 228/2012 (legge di stabilità 2013, art. 1, comma 107); 5. i diplomi accademici di II livello (e dunque anche quelli di vecchio ordinamento) costituiranno titolo di accesso per i corsi universitari di specializzazione e di dottorato di ricerca; 6. i programmi si rinnovano e una serie di discipline teoriche si aggiunge a quelle pratiche. L’impostazione e la struttura universitaria dei corsi dovrebbe finalmente portare alla formazione di un musicista colto e consapevole; 7. accanto alla tradizionale formazione dei concertisti, dei compositori, degli orchestrali, dei direttori d’orchestra, si apre finalmente la porta alla formazione dei didatti, sia di musica che di strumento (triennio e biennio superiore per la formazione dei docenti), alle nuove tecnologie musicali (biennio superiore ad indirizzo tecnologico), alla musicologia (biennio superiore ad indirizzo musicologico), ai nuovi linguaggi musicali (trienni e bienni superiori di jazz, musica popolare, musica elettronica). La diversificazione dei percorsi permetterà a ciascuno studente di scegliere il corso più confacente al proprio talento e alle proprie esigenze, abbandonandosi definitivamente il vecchio percorso unitario e indifferenziato; 8. per quanto riguarda le scuole inferiori, il passaggio di Conservatori e Accademie all’Università impone la creazione di una serie di scuole ad indirizzo musicale e coreutico (scuole primarie, scuole secondarie di primo grado, Licei) che curino la formazione musicale e coreutica di base, prima appannaggio esclusivo dei Conservatori e dell’Accademia Nazionale di Danza; 9. il nuovo modello, imponendo la frequenza obbligatoria in tutto il percorso di istruzione musicale, permetterà anche la fine di una piaga tutta italiana: il mercato dei privatisti, cioè di coloro che studiavano lo strumento o il canto con un insegnante privato (spesso, gli stessi docenti di Conservatorio) e si recavano in Conservatorio solo per sostenere i pochi esami previsti nel vecchio ordinamento e conseguire il diploma da esterni. La riforma, tra pressioni e resistenze varie (soprattutto interne alla categoria), ha avuto un cammino lentissimo. Prendiamo l’esempio dei Conservatori di Musica. Solo con il D.P.R. n. 132/2003 (a 4 anni di distanza dall’emanazione della l. 508/1999), è stata riconosciuta l’autonomia statutaria e organizzativa a Conservatori e Accademie. Nell’anno accademico 2003-2004 nei Conservatori è stato istituito in via sperimentale il triennio superiore di primo livello (corrispondente ai corsi di laurea triennale presso le Università). Il successivo D.P.R. n. 212/2005, insieme ai D.M. applicativi, dalla gestazione quanto mai travagliata, che vedono definitivamente la luce solo nel 2009, riconducono ad ordinamento il triennio, istituendo in via definitiva - a partire dall’a.a. 2010/11 - il corso di diploma accademico triennale di primo livello, che sostituisce integralmente gli ultimi tre anni di corso del vecchio ordinamento. Al termine del triennio agli studenti è conferito il diploma accademico di I livello, equiparato definitivamente alla laurea con legge 228/2012 (legge di stabilità 2013). Dall’anno accademico 2004-2005 i Conservatori sono stati autorizzati ad attivare in via sperimentale anche il biennio superiore di secondo livello (corrispondente ai corsi di laurea magistrale presso le Università), negli indirizzi interpretativo-compositivo e tecnologico. Qualche Conservatorio istituisce - sempre in via sperimentale - il biennio superiore ad indirizzo musicologico. Al termine del corso l’Istituzione rilascia il diploma accademico di II livello, equiparato alla laurea magistrale sempre con legge 228/2012 (legge di stabilità 2013). La stessa legge impone anche la messa a regime di tutti i corsi sperimentali entro il 2013. Con D.M. n. 137/2007 è stato da ultimo istituito, a partire dall’a.a. 2007/2008, il biennio superiore per la formazione dei docenti, dotato (inizialmente) di valore abilitante per l’insegnamento della musica e dello strumento musicale nella scuola secondaria. Il biennio didattico, unitamente al triennio di primo livello, sostituisce la vecchia scuola quadriennale abilitante di didattica della musica. Successivamente, in seguito alla riforma della formazione dei docenti (D.M. 10 settembre 2010, n. 249), di cui parleremo più avanti, il biennio superiore didattico viene riordinato (D. M. 8 novembre 2011) e il tirocinio viene scorporato. Ne consegue che il percorso per l’abilitazione diventa, da biennale, triennale: un biennio didattico di II livello più un anno di tirocinio formativo attivo (TFA) abilitante. Che succede invece della parte pre-accademica, ossia dei corsi inferiori, precedenti a triennio e biennio, presenti nei Conservatori e nell’Accademia Nazionale di Danza? In attesa di una compiuta riforma degli studi musicali inferiori, il D.P.R. 212/2005, all’art. 12 commi 3 e 4, autorizza Conservatori e Accademia di Danza a riorganizzare le attività didattiche e, in particolare, a rimodulare i corsi inferiori, disciplinandoli in modo da consentire la frequenza agli alunni iscritti alla scuola media e alla scuola secondaria superiore. Lo stesso D.P.R. (art. 4 co. 4) autorizza Conservatori e Accademia di Danza a mantenere i corsi di livello inferiore già eventualmente attivati (junior schools, corsi propedeutici, corsi di base, etc.). Il fine di tali norme è quello di garantire allo studente-musicista, fino alla completa attivazione delle scuole musicali e coreutiche inferiori (primarie, secondarie di I grado, Licei), un’adeguata preparazione durante tutto il percorso musicale inferiore, accompagnandolo fino all’ingresso nel triennio superiore. § 6. La riforma della scuola. Già il ministro dell’Istruzione Berlinguer, alla fine degli anni ’90, aveva tentato, infruttuosamente, di dar vita ad una riforma della scuola pubblica italiana. Un tentativo più corposo fu fatto dal ministro dell’Istruzione Moratti, tra il 2003 e il 2005. L’avvio della riforma è stato dato dalla legge n. 53 del 28 marzo 2003, con la quale il Parlamento ha conferito al Governo la delega ad emanare una serie di decreti legislativi di riforma. L’iter della riforma, molto travagliato e fonte di innumerevoli contrasti e polemiche, è durato più di due anni e mezzo. La riforma Moratti è stata poi oggetto di importanti modifiche sotto il Governo successivo (ministro Fioroni). Infine, nell’ultima legislatura, sotto il ministro Gelmini e il ministro dell’economia e delle finanze Tremonti, la legge 133/2008, art. 64 - nel quadro delle esigenze di razionalizzazione e di contenimento della spesa pubblica – ha dato ad una serie di regolamenti il compito di riordinare l’intero assetto dell’organizzazione scolastica. Quali sono gli assi portanti del riordino della scuola pubblica in questo primo scorcio del XXI secolo? Per quanto riguarda la struttura dei corsi di studio, si tratta di poco più che un restyling. Nonostante le numerose critiche, resta infatti identica la scansione temporale della scuola gentiliana: ai tre anni di materna (ora chiamata scuola dell’infanzia) seguono i canonici cinque di elementare (ora scuola primaria) e tre di media (ora scuola secondaria di primo grado). Infine, i 5 anni di scuola secondaria superiore (ora scuola secondaria di II grado. Il primo ciclo di istruzione comprende 8 anni (5 di scuola primaria più 3 di scuola secondaria di I grado). Il secondo ciclo i successivi 5 anni. Resta intatto, dunque, anche il totale di anni di studio pre-universitari (13), uno in più rispetto alla maggioranza degli Stati occidentali. La scuola dell’infanzia e il I ciclo d’istruzione sono stati riordinati con D.P.R. 89/2009. Tra le novità, la soppressione del modulo a più insegnanti nella scuola primaria e il ripristino del modello più tradizionale del maestro prevalente. Con il riordino del I ciclo da parte del ministro Gelmini, tramonta definitivamente l’idea (fatta propria dal ministro Berlinguer) di accorpare scuola elementare e media in un unico ciclo di 7 anni. Scuola primaria e secondaria di I grado rimangono due entità ben distinte, e ne restano intatti tutti i problemi lamentati, specie per la secondaria di I grado (in primis, la prematura ed eccessiva frammentazione disciplinare e la scarsa qualità della preparazione degli studenti). Il II ciclo comprende il sistema dei licei, degli istituti tecnici e della formazione professionale che - se si prescinde dalle numerose sperimentazioni - era sostanzialmente fermo dalla riforma Gentile del 1923. Dopo il tentativo morattiano di sopprimere gli istituti tecnici (attraverso una loro trasformazione in licei economico e tecnologico), la legge 40/2007 (art. 13), sotto il ministro Fioroni, li ripristina, prevedendone però il riordino (mediante una drastica riduzione del numero degli indirizzi) e l’ammodernamento. Il riordino complessivo del II ciclo si compie definitivamente sotto il ministro Gelmini, sempre sulla base dei regolamenti previsti dall’art. 64 della legge 133/2008. Dopo una lunga gestazione, i regolamenti sugli istituti professionali, gli istituti tecnici e i licei vengono approvati in via definitiva con tre D.P.R. del 15 marzo 2010 (rispettivamente n. 87, 88, 89), ed entrano in vigore dall’a.s. 2010/2011. Il liceo risulta diviso in sei diverse tipologie: 1) artistico, 2) classico, 3) scientifico, 4) linguistico, 5) delle scienze umane, 6) musicale e coreutico. Alcune di esse saranno a loro volta articolate in indirizzi (sei per l’artistico), sezioni (due per il musicale e coreutico) e opzioni (due per lo scientifico, due per il liceo delle scienze umane), per un totale di 14 percorsi. Da ultimo è stata prevista anche l’istituzione una settima tipologia di liceo, il liceo sportivo. Scopo dei licei rimane quello di dare una formazione di base ampia, utile ad acquisire le conoscenze, le abilità e le competenze adeguate a leggere e interpretare la realtà con atteggiamento critico, razionale, ma anche creativo e progettuale. Il liceo durerà sempre cinque anni (suddivisi in 2 bienni e un quinto anno) e sarà propedeutico all’accesso all’Università e all’Alta formazione artistica e musicale (AFAM). Gli istituti tecnici vengono drasticamente riordinati. I 10 settori e 39 indirizzi esistenti (che davano vita ad una selva di centinaia di percorsi diversi) vengono ridotti a soli 2 settori e 11 indirizzi. Scopo degli istituti tecnici è dare una formazione tecnica e scientifica di base necessaria a un inserimento altamente qualificato nel mondo del lavoro e delle professioni. Il percorso durerà sempre cinque anni (suddivisi in 2 bienni e un quinto anno). Anche la formazione professionale viene profondamente ridefinita, sia per quanto riguarda il numero di indirizzi (da 5 settori e 27 indirizzi si passa a 2 settori e 6 indirizzi), sia per il monte ore annuo (fortemente ridotto). Scopo della formazione professionale è dare un’istruzione generale e tecnico-professionale necessaria per ruoli tecnici nei settori produttivi e dei servizi di rilevanza nazionale. Sono previsti laboratori, stage, tirocini e alternanza scuola-lavoro per apprendere, specie nel secondo biennio e nel quinto anno, attraverso un’esperienza diretta. Il percorso durerà sempre cinque anni (suddivisi in 2 bienni e un quinto anno). Gli Istituti professionali possono però continuare ad organizzare percorsi triennali per il conseguimento di qualifiche professionali sulla base della programmazione delle Regioni. Riguardo la sostanza delle riforme, una delle novità più rilevanti è la concessione alle singole scuole (già a partire dalla fine degli anni ’90, con il ministro Berlinguer) di una certa autonomia, che esse possono utilizzare per realizzare in sede locale adattamenti, integrazioni e arricchimenti rispetto al curricolo formativo nazionale. Altra importante novità, introdotta – sotto il ministro Fioroni - dalla legge finanziaria 2007 (comma 622), è l’innalzamento dell’obbligo scolastico da 8 a 10 anni, fino a comprendere il primo biennio del secondo ciclo, già a partire dall’anno scolastico 2007/2008. Il ministro Gelmini interviene - tra l’altro - sulla valutazione degli studenti. In particolare, con il DPR 122/09 viene ripristinata per tutti gli ordini e gradi di scuola la valutazione numerica (in decimi). Per essere ammessi agli esami finali del I e del II ciclo bisogna avere la sufficienza (il 6) in tutte le discipline. Viene restituito rilievo alla valutazione del comportamento degli studenti, attraverso il voto di condotta, anch’esso espresso in decimi, e che fa media con gli altri voti. L’insufficienza in condotta determina la non ammissione all’anno successivo o agli esami finali. Con il D.M. 249/2010, il ministro Gelmini riforma completamente il sistema di formazione dei docenti. I percorsi di formazione iniziale dei docenti della scuola dell’infanzia, del primo ciclo e del secondo ciclo si svolgeranno d’ora in poi presso le Università e le Istituzioni di Alta formazione artistica, musicale e coreutica, in appositi corsi, rispettivamente, di laurea magistrale e di diploma accademico di secondo livello, seguiti da un anno di “tirocinio formativo attivo” con valore abilitante. Gli accessi saranno a numero programmato, sulla base del fabbisogno stimato. Attraverso un D.P.R. (in dirittura d’arrivo) verranno riordinate e accorpate le classi di concorso per l’insegnamento, per adeguarle al nuovo quadro normativo. Dovrebbe presto cambiare anche il sistema di reclutamento e la carriera dei docenti (varie proposte di legge in tal senso sono attualmente all’esame del Parlamento). § 7. La riforma della scuola e la musica. Ma come esce la musica dalla riforma della scuola? Cominciando la nostra analisi dall’educazione musicale (ora chiamata semplicemente “musica”), la situazione sembra sostanzialmente stazionaria nel primo ciclo. Da una parte, lo studio della musica rimane in orario curriculare nella scuola dell’infanzia, nella primaria e nella secondaria di primo grado. Nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria essa è rimasta purtroppo finora affidata ad insegnanti cui non era richiesta specifica preparazione musicale. Per ovviare a tale problema, è intervenuto il recentissimo D.M. 8/2011, che stabilisce, all’art. 2, che “Le istituzioni scolastiche facenti parte dei sistema nazionale di istruzione, anche attraverso specifici accordi di rete […] affidano prioritariamente l’insegnamento curricolare di musica nella scuola primaria a docenti compresi nell’organico ad esse assegnato, in possesso, oltre che dell’abilitazione all’insegnamento per la scuola primaria, dei titoli di cui all’articolo 3”, ossia titoli di studio musicali (diplomi di vecchio ordinamento, diplomi accademici di I e II livello). La riforma dei Conservatori, con l’istituzione di bienni didattici, dovrebbe gradualmente assicurare una migliore preparazione didattica dei docenti della scuola secondaria di primo grado. In tutto il primo ciclo, inoltre, si apre - con l’autonomia scolastica - la breccia dei progetti laboratoriali. In una scuola che ha fatto propri e potenziato gli insegnamenti della lingua straniera, dell’informatica e della tecnologia, introducendo anche lo studio di una seconda lingua fin dalla secondaria di I grado, tra le attività opzionali comincia a diventare molto richiesta l’attività musicale. Un’occasione di lavoro in più per i musicisti, che possono essere chiamati nelle scuole come “esperti esterni”, a contratto. Molti dirigenti più lungimiranti, specie nella scuola primaria, cominciano ad affidare con contratto d’opera ad esperti esterni qualificati i progetti dedicati all’insegnamento della musica. Per quanto riguarda il secondo ciclo scolastico (la scuola secondaria di secondo grado), con la riforma Gelmini l’insegnamento della musica è purtroppo scomparso dai programmi di tutti i licei, anche di quello delle scienze umane che avrebbe dovuto raccogliere l’eredità degli ex istituti magistrali. E ciò in grave contrasto con ciò che si afferma nello stesso “Profilo culturale, educativo e professionale dei Licei” (allegato A al regolamento sui licei): lo studente liceale dovrebbe imparare a “saper fruire delle espressioni creative delle arti e dei mezzi espressivi, compresi lo spettacolo, la musica, le arti visive”. La musica (insieme ad altre discipline artistiche, musicali e coreutiche) è semplicemente stata inserita tra gli insegnamenti facoltativi aggiuntivi attivabili a scelta dalle singole istituzioni scolastiche. Saranno dunque gli artisti a doversi fare promotori di se stessi e dell’insegnamento della loro disciplina, convincendo dirigenti scolastici e collegi dei docenti ad attivare gli insegnamenti aggiuntivi di discipline musicali. Riferendoci adesso alla formazione strumentale e coreutica, anche qui sono presenti importanti novità. La riforma dei Conservatori e delle Accademie, con la loro elevazione al livello universitario, ha praticamente imposto la creazione dei licei musicali e coreutici. Con la creazione di un liceo ad hoc la musica (insieme alla danza) è stata elevata definitivamente alla stessa dignità delle altre materie di studio, riscattandosi finalmente dalla condizione di vero e proprio apartheid culturale nella quale era stata tenuta in precedenza. Riportiamo l’art. 7 del regolamento sui licei (D.P.R. 89/2010), che riguarda il liceo musicale e coreutico: Articolo 7 (Liceo musicale e coreutico) 1. Il percorso del liceo musicale e coreutico, articolato nelle rispettive sezioni, è indirizzato all’apprendimento tecnico-pratico della musica e della danza e allo studio del loro ruolo nella storia e nella cultura. Guida lo studente ad approfondire e a sviluppare le conoscenze e le abilità e a maturare le competenze necessarie per acquisire, anche attraverso specifiche attività funzionali, la padronanza dei linguaggi musicali e coreutici sotto gli aspetti della composizione, interpretazione, esecuzione e rappresentazione, maturando la necessaria prospettiva culturale, storica, estetica, teorica e tecnica. Assicura altresì la continuità dei percorsi formativi per gli studenti provenienti dai corsi ad indirizzo musicale di cui all’articolo 11, comma 9, della legge 3 maggio 1999, n. 124, fatto salvo quanto previsto dal comma 2. 2. L’iscrizione al percorso del liceo musicale e coreutico è subordinata al superamento di una prova preordinata alla verifica del possesso di specifiche competenze musicali o coreutiche. 3. L’orario annuale delle attività e insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti è di 594 ore nel primo biennio, nel secondo biennio e nel quinto anno, corrispondenti a 18 ore medie settimanali. Al predetto orario si aggiungono, per ciascuna delle sezioni musicale e coreutica, 462 ore nel primo biennio, nel secondo biennio e nel quinto anno, corrispondenti a 14 ore medie settimanali. 4. Il piano degli studi del liceo musicale e coreutico e delle relative sezioni è definito dall’allegato E al presente regolamento. Dal “Profilo educativo, culturale e professionale dello studente” (Allegato A al regolamento sui licei), si evince che a conclusione del corso di studi del liceo musicale e coreutico lo studente - oltre a raggiungere i risultati di apprendimento comuni - dovrà, per la sezione musicale: • eseguire ed interpretare opere di epoche, generi e stili diversi, con autonomia nello studio e capacità di autovalutazione; • partecipare ad insiemi vocali e strumentali, con adeguata capacità di interazione con il gruppo; • utilizzare, a integrazione dello strumento principale e monodico ovvero polifonico, un secondo strumento, polifonico ovvero monodico; • conoscere i fondamenti della corretta emissione vocale; • usare le principali tecnologie elettroacustiche e informatiche relative alla musica; • conoscere e utilizzare i principali codici della scrittura musicale; • conoscere lo sviluppo storico della musica d’arte nelle sue linee essenziali, nonché le principali categorie sistematiche applicate alla descrizione delle musiche di tradizione sia scritta sia orale; • individuare le tradizioni e i contesti relativi ad opere, generi, autori, artisti, movimenti, riferiti alla musica e alla danza, anche in relazione agli sviluppi storici, culturali e sociali; • cogliere i valori estetici in opere musicali di vario genere ed epoca; • conoscere e analizzare opere significative del repertorio musicale; • conoscere l’evoluzione morfologica e tecnologica degli strumenti musicali. per la sezione coreutica: • eseguire ed interpretare opere di epoche, generi e stili diversi, con autonomia nello studio e capacità di autovalutazione; • analizzare il movimento e le forme coreutiche nei loro principi costitutivi e padroneggiare la rispettiva terminologia; • utilizzare a integrazione della tecnica principale, classica ovvero contemporanea, una seconda tecnica, contemporanea ovvero classica; • saper interagire in modo costruttivo nell’ambito di esecuzioni collettive; • focalizzare gli elementi costitutivi di linguaggi e stili differenti e saperne approntare un’analisi strutturale; • conoscere il profilo storico della danza d’arte, anche nelle sue interazioni con la musica, e utilizzare categorie pertinenti nell’analisi delle differenti espressioni in campo coreutico; • individuare le tradizioni e i contesti relativi ad opere, generi, autori, artisti, movimenti, riferiti alla danza, anche in relazione agli sviluppi storici, culturali e sociali; • cogliere i valori estetici in opere coreutiche di vario genere ed epoca; • conoscere e analizzare opere significative del repertorio coreutico. Il piano degli studi del liceo musicale e coreutico (Allegato E al regolamento sui licei) prevede le seguenti discipline specifiche per la sezione musicale: esecuzione e interpretazione (3 ore settimanali nel primo biennio, 2 ore settimanali nel secondo biennio e al quinto anno); teoria, analisi e composizione (3 ore settimanali per tutti e cinque gli anni); storia della musica (2 ore settimanali per tutti e cinque gli anni), laboratorio di musica d’insieme (2 ore settimanali nel primo biennio, 3 ore settimanali nel secondo biennio e al quinto anno), tecnologie musicali (2 ore settimanali per tutti e cinque gli anni). Per la sezione coreutica si prevedono: storia della danza (2 ore settimanali nel secondo biennio e al quinto anno), storia della musica (un’ora settimanale nel secondo biennio e al quinto anno), tecniche della danza (8 ore settimanali tutti e cinque gli anni), laboratorio coreutico (4 ore settimanali nel primo biennio) e coreografico (3 ore settimanali nel secondo biennio e al quinto anno), teoria e pratica musicale per la danza (2 ore settimanali nel primo biennio). PIANO DEGLI STUDI del LICEO MUSICALE E COREUTICO 1° biennio 2° biennio 1° anno 2° anno 3° anno 4° anno Attività e insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti – Orario annuale Lingua e letteratura italiana 132 132 132 132 Lingua straniera 1 99 99 99 99 Storia e geografia 99 99 Storia 66 66 Filosofia 66 66 Matematica 99 99 66 66 Fisica 66 66 Scienze naturali 66 66 Storia dell’arte 66 66 66 66 Religione cattolica o attività alternative 33 33 33 33 Totale ore 594 594 594 594 Sezione musicale Scienze motorie e sportive 66 66 66 66 Esecuzione e interpretazione 99 99 66 66 Teoria, analisi e composizione 99 99 99 99 Storia della musica 66 66 66 66 Laboratorio di musica d’insieme 66 66 99 99 Tecnologie musicali 66 66 66 66 Totale ore 462 462 462 462 Sezione coreutica Storia della danza 66 66 Storia della musica 33 33 Tecniche della danza 264 264 264 264 Laboratorio coreutico 132 132 Laboratorio coreografico 99 99 Teoria e pratica musicale per la danza 66 66 Totale ore 462 462 462 462 Totale complessivo ore 1056 1056 1056 1056 5° anno 132 99 66 66 66 66 66 33 594 66 66 99 66 99 66 462 66 33 264 99 462 1056 In prima applicazione sono stati attivati soltanto 40 licei musicali e 10 coreutici su tutto il territorio nazionale. Altri se ne sono aggiunti successivamente (nell’a.s. 2011/12 risultavano attivi 65 licei musicali e 17 coreutici). Essi devono obbligatoriamente avvalersi della collaborazione dei Conservatori di Musica e dell’Accademia Nazionale di Danza (mediante convenzioni) per l’insegnamento delle discipline musicali e coreutiche (art. 13 commi 8 e 9 del regolamento sui Licei). Dopo gli iniziali timori di una sua soppressione, anche la scuola secondaria di I grado ad indirizzo musicale è stata confermata. Il D.M. n. 37/2009 (Nuove classi di abilitazione e composizione delle cattedre della scuola secondaria di I grado) all’art. 2 comma 2 recita: 2. I corsi ad indirizzo musicale, ricondotti ad ordinamento dalla legge 3 maggio 1999, n. 124, si svolgono oltre l’orario obbligatorio delle lezioni di cui al comma 1 del presente articolo e sono regolati dal D.M. 6 agosto 1999, n. 201 ed assicurano l’insegnamento di quattro diversi strumenti musicali. La speranza è che i corsi ad indirizzo musicale nelle scuole medie possano essere potenziati (mediante una maggiore diffusione territoriale, la previsione di programmi di studio più cogenti, la possibilità di attivare più di quattro strumenti, l’introduzione dell’indirizzo coreutico accanto a quello musicale, il convenzionamento con Accademie e Conservatori di Musica). Per il momento, nelle nuove Indicazioni nazionali emanate nel 2007 (ministero Fioroni) si dice semplicemente che per le competenze specifiche relative allo studio dello strumento musicale nelle scuole secondarie di primo grado, in attesa di una definitiva attuazione della Riforma degli studi musicali, del conseguente avvio dei Liceo Coreutico e Musicale e della definizione dei livelli di entrata e uscita di quel settore, restano in vigore le indicazioni contenute nell’Allegato A del DM 201/99. Per quanto riguarda l’istituzione, pur essa indispensabile, di scuole primarie ad indirizzo musicale, dopo anni di attesa ha provveduto (seppure in maniera parziale) il già citato D.M. 8/2011 che, in applicazione del D.P.R. 89/2009 di riforma del I ciclo (art. 5 comma 7), ha sostanzialmente recepito le conclusioni della commissione ministeriale - presieduta dall’ex ministro Berlinguer - per la diffusione della pratica musicale nella scuola. Il D.M. 8/2011 istituisce corsi di pratica strumentale nella scuola primaria, aperti ai bambini delle classi III, IV e V. La scelta delle scuole in cui avviare i corsi ad indirizzo musicale sarà fatta attraverso apposito bando. Saranno considerati requisiti preferenziali, oltre alle adeguate risorse strutturali, l’aver già sviluppato negli anni precedenti iniziative di apprendimento musicale (come per es. i laboratori musicali); la collaborazione con Istituzioni di comprovata qualificazione nel campo della Didattica della Musica (Istituzioni AFAM, Licei, Scuole ad indirizzo, etc.) e con Enti - pubblici e privati - disponibili a sostenere o finanziare le attività; la presenza di personale qualificato. Per il reclutamento del personale si farà riferimento prima di tutto (per motivi economici) alle professionalità interne alla scuola primaria fornite di adeguati titoli di studio musicali e al personale interno delle scuole secondarie di I e II grado ad indirizzo musicale convenzionate. In mancanza, si potrà fare ricorso a personale esterno, avendo particolare riguardo ai docenti abilitati nella classe di concorso in esubero A031 (ed. musicale nella scuola secondaria di II grado). Al fine di assicurare la massima qualità all’offerta formativa, verranno valutati anche i titoli artistico-professionali degli aspiranti. Come per la scuola secondaria di I grado, non è stato purtroppo (ancora) previsto l’indirizzo coreutico. Da ultimo, con la recente riforma dell’Università (legge 30 dicembre 2010, n. 240), sempre a firma Gelmini, è stata consentita la doppia frequenza Conservatorio-Università (art. 29, comma 21), per qualche anno rimasta in dubbio o addirittura vietata. Il quadro della formazione musicale e coreutica che si prospetta per l’immediato futuro è pertanto il seguente: La formazione musicale e coreutica in Italia dopo le riforme Percorso verticale unico Doppia scolarità Scuola-Conservatorio Scuola-Conservatorio o (o Accademia di Danza) Scuola-Accademia di Danza FORMAZIONE CULTURALE E MUSICALE FORMAZIONE FORMAZIONE CULTURALE E (O COREUTICA) CULTURALE MUSICALE (O COREUTICA) (6) (6) Conservatorio di Musica 5 5 (Accademia Nazionale 4 Conservatorio di Musica 4 Università di Danza) 3 (Accademia Nazionale di Danza) 3 2 2 Corsi ordinamentali 1 1 FORMAZIONE CULTURALE E MUSICALE (O COREUTICA) 5 4 3 2 1 3 2 1 5 4 3 2 1 Liceo musicale e coreutico Scuola secondaria di I grado ad indirizzo musicale (manca ancora l’indirizzo coreutico) Corsi di pratica musicale nella scuola primaria (manca ancora l’indirizzo coreutico) FORMAZIONE CULTURALE 5 4 3 2 1 3 2 1 5 4 3 2 1 FORMAZIONE MUSICALE (O COREUTICA) Scuola secondaria di II grado Conservatorio di Musica (Accademia Nazionale di Danza) Scuola secondaria di I grado Corsi di base (attivi fino al completamento delle riforme) Scuola primaria Come si può notare, lo studente potrà (almeno per il momento) scegliere tra ben 4 differenti percorsi di formazione culturale e musicale: il percorso tradizionale, caratterizzato dalla doppia scolarità (scuola- AFAM), il percorso verticale unico, che parte dai corsi di pratica musicale nella scuola primaria per arrivare ai corsi AFAM di livello universitario, ma anche qualunque “incrocio” tra le varie tipologie (percorso unitario di formazione di base, poi doppio percorso in fascia universitaria, oppure doppio percorso di base, poi percorso unitario in fascia universitaria). Ma ci sono, in più, altre due possibilità: lo studente finisce il percorso di base unitario (o quello doppio) e decide di iscriversi semplicemente ad una qualsiasi facoltà universitaria. Anche se con numerosi distinguo, sembra pertanto che la diffusione della pratica musicale e coreutica nella scuola di base e nella fascia universitaria possa essere possibile più di prima, e con personale più preparato didatticamente che in precedenza. Si aprono dunque prospettive di occupazione del tutto nuove per i musicisti e per i danzatori. Ma molto dipenderà ancora una volta dalla capacità comunicativa del’artista, dalla capacità di farsi promotore di se stesso e dei valori veicolati dal linguaggio musicale, sia nei confronti del dirigente scolastico e dell’utenza (genitori e alunni) sia, soprattutto, nei confronti della classe politica e sindacale. Mai come oggi, in un tempo che sembra poter fare a meno dell’arte, un’offerta di arte qualitativamente superiore può stimolare una ripresa della domanda. Ognuno di noi è chiamato a fare la propria parte. Domenico Piccichè - Referente Nazionale CNAFAM Coordinamento Nazionale Formazione Artistica, Musicale e Coreutica www.cnafam.weebly.com - [email protected]