Da Bari a Brescia sei giornate di incontri e show per raccontare il

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CRONACHE
Martedì 11 Aprile 2017 Corriere della Sera
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Il patrimonio di saperi che può rilanciare la nazione
Note in classe
L’ora della svolta
La tradizione italiana
Ma non può esserci sensibilità per la
musica «alta» se non viene insegnata nel
percorso di studi. «Un Paese con un passato musicale importante come il nostro
non può prescindere da questa conoscenza», ha detto spesso Riccardo Muti, artista
che più di ogni altro ha dimostrato di avere a cuore l’educazione e la civiltà musicale, perché «suonare insieme è educazione
civica, educa alla convivenza civile, a rispettare gli altri». E «la conoscenza della
musica rende un popolo migliore, più
sensibile». Da De Sanctis a oggi, va detto,
la musica è cambiata: si è compiuta una
rivoluzione. Discorsi su ritmi e note, strumenti, cori e orchestre sono pratica diffusa in molte scuole, a partire dalle elementari, talvolta anche dalla materna.
E con la delega sulla cultura umanistica
approvata venerdì scorso (insieme agli altri decreti legislativi che hanno completato la riforma della Scuola, la legge 107/15),
la strada dell’educazione musicale è se-
Settantacinque quelli selezionati ogni
anno (su 600 che fanno domanda) «non
per avviarli alla professione musicale, anche se tanti proseguono gli studi — spiega —. Puntiamo su socializzazione e inclusione (di 226 iscritti, 38 hanno disabilità) e a una formazione completa degli
individui». I docenti sono formati per
personalizzare i percorsi di studio sulle
esigenze dei ragazzi e per spingerli ad
adoperare tutti i sensi, per farli lavorare in
gruppo, facendo sì che si aiutino gli uni
con gli altri. La pratica musicale «crea un
legame equilibrato tra le aree di sviluppo
della persona, facilita la confidenza con le
proprie risorse, porta a un metodo di studio». Ma per fertilizzare musicalmente il
Paese attraverso la scuola, servono laboratori e tecnologie all’avanguardia. Altrimenti, anziché école de la mixité, di chi
regala agli altri la cosa più preziosa che
possiede, la propria differenza, si trasformano suoni e canto in privilegio di bambini che hanno la fortuna di nascere in famiglie musicalmente colte e benestanti.
«La musica non può appartenere a
un’élite. È un diritto per tutti», dice Spadolini. Ma a far fare musica a tutti non basteranno ancora i tantissimi docenti confluiti nel nuovo organico potenziato (2
mila, su 55 mila neoassunti). «Possono
fare molto le associazioni di genitori e le
reti di scuole».
Progetti nati dal territorio, come «ABC
orchestra» della Fondazione La Nuova
musica di Milano, per esempio, che da
dieci anni porta la pratica strumentale e
orchestrale nelle scuole pubbliche, entrata in 3.500 classi del capoluogo e della
provincia, ma anche in Liguria ed Emilia
Romagna. «I bambini portano qualsiasi
strumento abbiano a casa, o ne costruiamo con materiale di recupero. Da subito,
grazie a docenti formati per la direzione,
li mettiamo in grado di fare attività di
gruppo», spiega Anna Mortara, presidente della Fondazione e guida artistica dell’«Orchestra Under 13», che raccoglie dal
bacino delle orchestre scolastiche la crema dei pulcini della musica classica.
Oppure progetti nati nelle scuole. Quelle grandi, magari, come l’istituto comprensivo di Baseliano e Sedegliano (Udine): 1.300 alunni su vari plessi, in cinque
Comuni: «Una realtà eterogenea, con tanti ragazzi del mondo», racconta Fabrizio
Fontanot, 55 anni, da 28 insegnante di
musica «fuori dall’ordinario». Diplomato
in composizione, strumentazione per
banda, laurea in composizione di musica
da film, scrive da sé la musica per la banda
scolastica nata tra i banchi. 80 elementi
(«tanti gli strumenti che abbiamo avuto
in comodato dal Comune», dice), che
hanno optato per il laboratorio musicale
(ma potevano scegliere anche teatro, video, cucina, arte) e per due ore a settimana provano brani che diventano concerti
che animano la vita cittadina. Per loro e
per far comprendere meglio il gesto del
direttore d’orchestra, Fontanot ha anche
creato un «simulatore bandistico»: un
gioco di realtà virtuale che consente agli
alunni di «immergersi» nell’orchestra e
di provare da casa. Progetto che entrerà
nel database che l’Indire, insieme a Miur e
Cnapm, sta realizzando: si chiama «Musica a scuola» e raccoglierà su web le buone
pratiche nella didattica della musica: contenuti che qualsiasi docente potrà inserire
e a cui potrà ispirarsi per replicare le lezioni in classe.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Erica Mou
Fabrizio Moro
Nata a Bisceglie 27 anni fa, Erica Mou è una
cantautrice da sempre attenta anche alla
letteratura. Tra i suoi album, «Tienimi il posto»
e «Contro le onde». Sarà a Bari il 22 aprile
Nato a Roma nel 1975, con le sue canzoni ha
vinto numerosissimi premi, tra i quali, ultimo in
ordine di tempo, il Disco d’oro per le oltre
25.000 copie di «Portami via». Sarà a Bari
di Antonella De Gregorio
SCUOLA
esiliarla ci pensò Francesco De Sanctis —
ministro dell’Istruzione oltre che letterato
— secondo il quale la musica, insieme al
ricamo, era «arte donnesca». Iniziò da lì,
di fatto, l’estromissione della musica, pratica e teoria, dalla scuola italiana; la separazione fra conservatori e università;
l’analfabetismo nazionale che ha reso le
sale da concerto e gli auditorium dei «dopolavoro» della terza età.
Mentre in Austria e Croazia la «grande»
musica gode di un pubblico intergenerazionale, in Germania i giovani seguono i
concerti di musica classica tanto quanto si
recano a teatro o nei musei. Sarà perché in
quasi tutti i comuni sono presenti le Musikschulen, senza vincoli di accesso, o
perché nella scuola pubblica tedesca
l’educazione musicale inizia dall’asilo per
proseguire fino all’ultimo anno, con benefici anche per l’industria musicale, che
registra continui balzi in avanti, mentre
tanti enti lirici e musicali italiani sopravvivono solo con i finanziamenti statali.
La riforma dà strumenti decisivi
per l’educazione musicale
Ma da trent’anni si sperimenta
il valore del suonare assieme
Con l’aiuto che viene «dal basso»
gnata. Avremo scuole in cui si impara «a
leggere, scrivere, a far di conto e a far di
canto», secondo un’espressione cara all’ex ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer, che dal 2006 anima e presiede il Comitato nazionale per l’apprendimento
della pratica musicale (Cnapm). Un organo del Miur che ha prodotto corsi di formazione per 8 mila docenti, in collaborazione con Università, Iafm (Istituti per l’alta formazione musicale), associazioni ed
esperti; istituito la Settimana della musica
a scuola (a maggio); indetto concorsi e redatto proposte di legge. Com’è stato per il
Piano nazionale per la formazione musicale, in parte recepito nella «Buona scuola», che introduce, per la prima volta a
pieno titolo, la musica (ma anche teatro,
danza e grafica) nell’offerta formativa delle scuole di ogni ordine e grado. Per consentirlo, ci saranno due miliardi di euro
all’anno e 2.400 docenti dedicati.
Intanto, un po’ alla rinfusa, a partire dagli anni 70 sono fiorite forme di sperimentazione in tutto il territorio italiano:
scuole medie in cui sono entrati strumenti diversi dal flauto dolce, spesso detestato. Laboratori di musica alle elementari,
sospinti dalla legge sull’autonomia scolastica (200 finanziati nel ’99, con un fondo
«una tantum» di 8 miliardi di lire). Ma anche la riorganizzazione dell’alta formazione musicale. O i nuovi licei musicali e coreutici: 43 nel primo anno di attivazione
(2011), 140 oggi, con 10 mila iscritti. «Anni
proficui, pur con i tempi lenti della burocrazia — commenta Annalisa Spadolini,
flautista, docente di scuola media e referente nazionale del Cnpam —. Il risultato
è che oggi abbiamo 2 mila primarie con
laboratori di musica, 1.400 SMIM (le scuole medie a indirizzo musicale), 140 licei
musicali: il 40% delle scuole italiane che
punta sulla musica».
Con luci e ombre. Ci sono eccellenze
dove le note e la musica suonata insieme
sono strumento di integrazione e motivano i ragazzi. Succede alla Vivaio di Milano,
nata negli anni Venti come scuola per i
ciechi e cresciuta come modello di integrazione tra allievi vedenti, non vedenti e
con altre disabilità, presa a modello oggi
anche da insegnanti giapponesi che hanno chiesto di poter «apprendere» la metodologia. Gli alunni qui imparano (anche) a recitare e a suonare: ogni settimana, su 40 ore di lezione, ne dedicano 5 alla
musica. «Studiano uno strumento, apprendono l’assemblaggio ritmico, la storia della musica, partecipano all’orchestra
e al coro della scuola», spiega la vicepreside, Paola Romanelli.
Socializzazione e inclusione
Il tour
Da Bari a Brescia
sei giornate
di incontri e show
per raccontare
il Paese positivo
L’
anno scorso il Bello dell’Italia ha animato sei
città (da Rovereto a Catania) con un roadshow
in altrettante tappe; ha prodotto decine di
inchieste per capire meglio le potenzialità (così
come le debolezze) del nostro Paese; ha messo
intorno a un tavolo rappresentanti della politica e
della società civile per trovare risposte alla domanda:
«Sappiamo davvero valorizzare la nostra bellezza?».
E quest’anno, forte di quei numeri, torna con
inchieste come quella che leggete in questa pagina,
un canale online (www.corriere.it/bello-italia, in
lavorazione) e con un roadshow tutto nuovo, che
prenderà il via il 22 aprile a Bari e si concluderà il 27
maggio a Brescia. La domanda sarà sempre la stessa:
«Che cosa possiamo fare per valorizzare quello che
abbiamo, dall’arte all’economia alle risorse sociali?».
E ancora: come dare più peso al nostro turismo, alla
ricerca, al patrimonio culturale? In ogni tappa (che
avrà luogo ogni sabato, per sei settimane di seguito)
coinvolgeremo le città ospitando incontri, dibattiti,
spettacoli, conversazioni-concerto, visite guidate e
show dal vivo. Non solo. Grazie alla collaborazione
che stiamo instaurando con le amministrazioni
locali, ci saranno manifestazioni spontanee e musei
aperti. Senza contare che, il giorno precedente alla