Andrea Zuckerman Gran Maestro dell’Ordine Templare Rinato Direttore Generale dell’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire” Direttore Generale del Partito Mondialista SCRITTI MONDIALISTI aggiornato al 09/07/2016 2 INDICE ORIGINE DEL MONDIALISMO Chi siamo, da dove veniamo, cosa vogliamo IL PARTITO MONDIALISTA: FUNZIONE E STRUTTURA Il Manifesto del Partito Mondialista Come diventare mondialisti MONDIALISMO E ISLAM Israele combatte per noi Per una vera pace La posta in gioco Stupri islamici, le femministe tacciono Il Dio di Gesù Cristo non è il dio di Maometto Il Mondialismo non è un imperialismo Israele in pericolo, Europa indifferente Iran, l'attacco preventivo è il male minore Israele risponde all'attacco terrorista di Hamas, nonostante la pusillanimità del mondo Adesso Ahmadinejad è davvero un tiranno. Abbattiamolo! Sul mare di Gaza Israele combatte per difendere la civiltà Chi brucia il Corano è "pazzo". E chi uccide in nome del Corano? L’Islam è nemico del genere umano. Fermiamolo! Fermare l’Islam per salvare anche gli islamici Dal Marocco allo Yemen i popoli lottano per libertà e democrazia Dichiarazione di sostegno al popolo libico in lotta per libertà e democrazia Tripoli liberata dal tiranno. Prossima tappa: Damasco! No alla menzogna dello Stato palestinese! Gheddafi ucciso, sic semper tyrannis! Dichiarazione di sostegno al popolo siriano in lotta per libertà e democrazia "Pillar of Defense", Israele difende libertà e democrazia Lost in action L'Islam deve scegliere: integrarsi o scomparire Messaggio del Partito Mondialista al popolo di Egitto in lotta per libertà e democrazia La "Shale Revolution" e l'Impero Mondiale A Gaza Israele combatte per difendere la civiltà L'Islam, il Cristianesimo e l'invidia del kalashnikov Alla guerra dichiarata dall'Islam si deve rispondere con la guerra Contro l'Islam assassino ci vogliono rimedi estremi 6 13 36 39 41 43 44 46 49 51 53 56 59 62 66 69 72 74 77 78 80 82 83 86 89 91 93 94 97 100 103 106 3 In Libia la nostra cacciatrice ha appena cominciato A nemico totale, guerra totale Non c'è posto per l'Islam nel mondo 108 110 114 MONDIALISMO E RUSSIA Petrolio e libertà Bisogna fermare Putin. subito Putin e Ahmadinejad padroni d'Eurasia Satellite abbattuto, lo scudo USA funziona. E Putin mastica amaro... Tra Kossovo e Ossezia la democrazia fa la differenza Un Anello per domare Putin Chi conquista l'Heartland libera l'Eurasia (da Putin) Ucraina libera, prossima tappa: Mosca ! Invasione dell'Ucraina, per Putin è l'inizio della fine I fatti d'ucraina nel progetto mondialista e la risposta personale ad esso 119 121 123 125 127 129 131 133 135 137 MONDIALISMO E CINA Tibet in croce, boicottare la Cina è un dovere Libertà per gli Uiguri, o andranno con Al Qaeda I giovani musulmani non gridano più «Morte a Israele». E adesso tocca alla Cina 141 144 146 MONDIALISMO E AMERICA America, “Report” scopre l’acqua calda I leaders cambiano, noi restiamo. E resistiamo L'America di Obama lega le mani a Israele Obama è un incapace, la salvezza verrà da Israele 1919-1991, le occasioni perdute dell'America Scoop di Wikileaks: l’America non vuole vincere in Afghanistan Con Obama l'America tradisce la sua missione Messaggio dal futuro Il tiranno Obama va eliminato. Ora! 149 151 153 155 159 163 166 168 171 MONDIALISMO E ANTIMONDIALISMO Antonioni, il comunista che sognava l'apocalisse Contro la fame, cambia i regimi Harry Potter è dei nostri. E anche le Winx Contro il fondamentalismo induista ci vuole più mondialismo Buttafuoco si rassegni, l'Occidente non è al tramonto Nazione, il regalo avvelenato della Francia al mondo Il generale svela le menzogne degli eurasisti Per i mille Kossovo del pianeta l’unica soluzione è l’Impero mondiale Solo l'Impero mondiale può risolvere il problema dei rom La lotta tra Oriente e Occidente in un fumetto “per ragazze” 175 177 179 181 183 186 188 194 197 200 4 Contro il Wwf delle culture Datagate, l'unico rimedio è l'Impero mondiale L'impero "antimperialista" del Male Heidegger, antisemita perché antimondialista Solo l'Impero mondiale può fermare le stragi del Mediterraneo L'Italia mafioleghista in un racconto di pistolere Perché l'Occidente domina il mondo Brexit vince, allelujah ! L'Inghilterra è sempre stata "altra" dall'Europa Le tattiche mutano, la strategia rimane MONDIALISMO E CRISTIANESIMO La Chiesa ha tradito Gesù Cristo? No, ma alcuni cattolici… La Chiesa non si schiera, i cristiani sì: contro Israele e USA Senza Impero non c’è Chiesa Senza Chiesa niente Impero Lefebvriani, antimondialismo e latinorum A Gerusalemme cambiano i patriarchi ma le menzogne restano La meta finale della Storia: l'Impero mondiale dei figli dell'uomo Il "dialogo Chiesa-Islam" come l'Asse Roma-Berlino? Karol Wojtyla, un Beato mondialista Da un piccolo seme nascerà l'Impero mondiale La Chiesa è diventata islamica Il Papa Francesco e il nordamerica "morto" per la Chiesa Messaggio del Partito Mondialista a Sua Santità Papa Francesco I in occasione della veglia di preghiera e digiuno per la pace in Siria La Chiesa diventa razzista contro Israele Da Betlemme le solite menzogne di Natale L'ingenuità del Papa sulla guerra e i mal di pancia dei cattolici La lezione della Scozia al mondo: unità ! Incarnazione e Stato Mondiale: riflessioni su una recente affermazione di un teologo cristiano La Chiesa "mondana" e antimoderna si allea con il tiranno Putin e con l'Islam assassino La Chiesa diventa politeista per odio verso l'Impero mondiale Obama e Bergoglio, i traditori del Mondialismo Bergoglio vuole il suicidio dell'umanità. Noi no La Chiesa è Occidente o non è 203 205 207 209 213 215 218 223 226 230 235 239 242 245 247 250 253 258 262 264 267 271 274 277 279 284 287 289 291 294 296 298 301 5 ORIGINE DEL MONDIALISMO 6 CHI SIAMO, DA DOVE VENIAMO, COSA VOGLIAMO È nella natura di questo mondo destinato a perire che il giorno si alterni alla notte, che il buon grano sia mescolato alla paglia, l'oro al piombo e la verità più eccelsa alla più sordida menzogna. Nulla di sorprendente, dunque, se intorno al mondialismo - inteso quale visione comprensiva della società e dello Stato - e a quanti se ne fanno portatori nelle diverse epoche storiche, i mondialisti, esiste una gran varietà di opinioni contrastanti: alcuni (pochi in verità) ci considerano poco meno che santi ed eroi, menti illuminate che cercano di gettare ponti tra i popoli per costruire un'umanità nuova; altri (la gran maggioranza) ci accusano di essere una congrega di avidi profittatori, sempre intenti a ordire complotti per sovvertire governi, per abbattere le Tradizioni (dove mai vanno a ficcarsi, le Tradizioni!) e la Religione (quale, di grazia?), per cancellare le diversità nazionali e creare un'umanità "omologata" che adori soltanto il dio Dollaro. Una confusione ancor più grande, se possibile, sussiste riguardo alle nostre origini, alla nostra identità collettiva: c'è chi ci bolla sic et simpliciter come massoni, anticlericali, addirittura satanisti... Nulla di sorprendente, lo ripetiamo, poiché, come dice il Filosofo, la verità è una, l'errore molteplice. Ma poiché la molteplicità delle opinioni errate su di noi rischia di confondere le menti di chi non possiede sufficienti conoscenze e spirito critico, il comitato direttivo dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire", in unione con tutti gli aderenti, ha deciso di pubblicare questa succinta esposizione storica, per spiegare in modo chiaro ed esauriente, chi siamo, da dove veniamo e cosa vogliamo. *** La nostra storia inizia il mattino del giorno di Pasqua dell'anno del Signore 1118, quando un gruppo di cavalieri crociati, sotto la guida del nobile Hugues de Payns e del suo fraterno amico Gaudefroy de Saint-Homer, giurarono nelle mani del patriarca di Gerusalemme Gormond de Picquigny di voler osservare in perpetuo i voti di castità, obbedienza e povertà e di combattere fino alla morte contro gli infedeli per difendere i pellegrini di Terrasanta; una decisione provvidenziale, poiché subito dopo il re Baldovino II di Gerusalemme, entusiasta dell'iniziativa, assegnava loro come sede alcuni locali del palazzo reale in prossimità della Cupola della Roccia, costruita dai musulmani sulle rovine dell'antico Tempio di Salomone. Così nacque l'Ordine dei Poveri compagni d'armi di Cristo e del Tempio di Salomone (Pauperes commilitones Christi templique Salomonis), presto divenuti più noti come milites templi e, nelle varie lingue europee, templiers, templars, Tempelritter, templarios, Templari. Dieci anni dopo, il concilio di Troyes approvò la nostra regola, redatta da Bernardo di Chiaravalle, e da allora l'Ordine crebbe in potenza e prestigio, sino a ottenere dai Papi l'esenzione da ogni tassa imposta dai sovrani temporali e l'assoggettamento alla giurisdizione esclusiva della Sede Apostolica. Combattemmo con onore in Terrasanta, anche se non riuscimmo a impedire che i regni cristiani 7 d'Oltremare fossero progressivamente erosi e alfine sconfitti dai musulmani; in compenso ci espandemmo in Europa, ove i nostri adepti si contavano a decine di migliaia e le nostre "case" e castelli crebbero a centinaia, dalla Spagna che riconquistammo pezzo per pezzo fino alla Foresta Nera, e dalla Scandinavia fino alla Puglia. Contrariamente a ciò che molti credono, durante la nostra permanenza in Terrasanta non entrammo in possesso né del Santo Graal, né dell'Arca dell'Alleanza, né tantomeno di conoscenze esoteriche in materia di architettura o in altri campi. Le nostre chiese, cappelle e residenze furono costruite con il contributo di maestri tagliapietre e architetti di tutto il mondo allora conosciuto (anche ebrei e musulmani), ma il loro sapere non proveniva da Salomone, bensì dai matematici greci dell'antichità. Nella Cupola della Roccia, che avevamo trasformato in chiesa, scavammo alla ricerca del tesoro di re Salomone ma trovammo solo poche monete d'oro e d'argento con l'iscrizione "NERO CAESAR AUGUSTUS", oltre a vari bacili in bronzo usati dai Leviti per raccogliere il sangue degli animali immolati. A Costantinopoli, invece, conquistammo un tesoro spirituale: nel 1204 Ottone de la Roche, capo della Crociata che aveva conquistato la città, approfittando della confusione del saccheggio si impadronì della Santa Sindone, sottraendola dalla chiesa di Santa Maria delle Blachernae ove era custodita, e un anno dopo, per timore di incorrere nella scomunica lanciata da Papa Innocenzo III contro i trafugatori di reliquie, la affidò ai nostri emissari ad Atene; da lì fu trasportata prima a San Giovanni d'Acri, poi, via Cipro, a Marsiglia e infine a Parigi. Ivi la custodimmo e venerammo per cento anni, conservandola ripiegata, all'uso orientale, in modo che fossero visibili solo la testa e il volto di Colui che chiamavamo "l'Homme bafoué" (l'Uomo oltraggiato). La vera fonte della nostra ricchezza fu altrove, al di là dell'oceano: alleatici con i Vichinghi che già da un secolo avevano raggiunto le coste oggi chiamate Terranova e Labrador, e approfittando del clima più caldo dell'attuale, creammo una serie di basi d'approvvigionamento lungo tutta la costa orientale del Nordamerica, e ci spingemmo a sud fino alla Florida e oltre, fino al Messico. Lì stringemmo buoni rapporti con gli indigeni, che ci credettero déi (Quetzalcoatl, il dio barbuto dagli occhi azzurri di cui gli Aztechi incontrati da Cortés attendevano il ritorno dal mare, altro non era che la raffigurazione mitologica dei templari di stirpe normanna incontrati tre secoli prima); edificammo una fiorente colonia, e con il lavoro dei nativi sfruttammo con efficienza le numerose miniere d'argento dello Yucatan. Accumulammo così una ricchezza tale, da divenire i banchieri dei re della terra, e questo fu la causa della nostra rovina. Il re di Francia Filippo IV detto il Bello (bello forse nel corpo, ma immondo e disgustoso nell'anima), per rimpinguare le casse dello Stato da lui dissanguate nella scellerata guerra con gli Inglesi, dopo aver espropriato i beni dei cambiavalute ebrei e dei mercanti lombardi e tassato fino all'osso il clero di Francia, mise infatti gli occhi sui nostri tesori. Dopo aver tentato invano di farsi ammettere nell'Ordine al fine di assumerne la guida, infiltrò nelle nostre file spie con l'incarico di carpire informazioni utili a coglierci in fallo, e nel funesto venerdì 13 ottobre dell'anno 1307, con la complicità degli inquisitori, fece arrestare i nostri capi in tutto il regno e con la tortura 8 li costrinse a confessare falsamente di aver commesso atti di sodomia sui novizi - per tali vennero fatte passare le umiliazioni cui di buon grado essi si sottoponevano, a imitazione dell'Uomo dei dolori - e soprattutto di aver adorato l'idolo chiamato Baphomet o Bafometto - che in realtà, come sopra abbiamo detto, era il Volto della Sindone -. Il nostro Gran Maestro Jacques de Molay confidava nell'aiuto del Papa; e in verità Clemente V, pur già prigioniero ad Avignone, riuscì a farsi consegnare i prigionieri, che subito ritrattarono le confessioni loro estorte, e ad avocare a sé il processo che si protrasse fino al 1312, allorché al concilio di Vienne i cardinali non riuscirono a trovare un accordo sulla richiesta di condanna. Il Papa stesso era intenzionato ad assolverci formalmente dall'accusa di eresia (la più grave e pericolosa); ma le pressioni di Filippo, deciso addirittura a provocare uno scisma della Chiesa di Francia, e il ricordo terribile dell'attentato di Anagni al suo predecessore Bonifacio VIII prevalsero sulla voce della coscienza. Con la bolla Vox in excelso il Papa, pur riconoscendo l'assenza di colpa, sciolse l'Ordine per legitima suspicio, proibendone la ricostituzione sotto pena della scomunica, e il 18 marzo 1314 Jacques de Molay e il precettore di Normandia Geoffrey de Charny furono arsi vivi a Parigi, sull'isoletta della Senna detta "dei giudei". Quel giorno i nostri occhi si aprirono, e comprendemmo che la soggezione del Papato ai sovrani temporali metteva nelle mani di questi un formidabile potere: il potere della fede. L'accusa di eresia, brandita contro di noi come una spada, ci aveva d'un colpo alienato le simpatie del popolo; allo stesso modo qualunque oppositore di questo o quell'altro re o feudatario avrebbe potuto esser messo a morte col favore di una folla plaudente, purché si trovassero falsi testimoni disposti ad accusarlo. Comprendemmo che non ci sarebbe mai stata pace per la Cristianità fin quando Chiesa e Stato non fossero stati profondamente riformati dall'interno come avevano auspicato san Francesco d'Assisi e san Domenico di Guzmán, sottraendo le questioni religiose alla giurisdizione secolare e garantendo a ogni essere umano il diritto di rivolgersi a Dio secondo il dettame di una libera coscienza, senz'altro limite che quello della difesa delle altrui persone e beni. Da allora questa divenne la nostra missione. *** La scomunica del 1312 segnò la nostra messa al bando "ufficiale", ma non la nostra fine. Lo stesso giorno dell'arresto di de Molay e degli altri capi templari la Sindone di Cristo, per ordine del nostro Gran Maestro, fu presa in consegna dai membri della famiglia de la Roche (la pronipote di Ottone, Jeanne de Vergy, nel 1340 sposò Geoffrey de Charny, nipote e omonimo di quello arso sul rogo, portandogli in dote la santa reliquia), mentre la nostra flotta ancorata a La Rochelle, carica dei nostri tesori, prendeva il largo alla volta della Scozia, il cui re Roberto I aveva deciso, al pari dei sovrani di Spagna e Portogallo, di non dare esecuzione alla bolla papale. La maggior parte dei cavalieri trovò dunque rifugio in quei paesi; i templari spagnoli costituirono l'Ordine di Montesa che conservò i beni loro già appartenuti, mentre quelli portoghesi costituirono l'Ordine di Cristo che fu guidato per vent'anni dal re 9 Enrico il Navigatore. Il nostro primo obiettivo fu di consolidare ed estendere le colonie al di là dell'Atlantico: perciò nel 1398 Lord Henry Sinclair, Gran Maestro dell'Ordine scozzese, partì con 12 navi e un equipaggio multietnico verso la terra allora chiamata Nuova Scozia ed oggi Rhode Island ove passò l'inverno, per poi esplorare il New England e il Massachusetts; prove del suo viaggio sono la torre ottagonale costruita a Newport (Rhode Island), la grande stele di Westford (nel Massachusetts) che raffigura un cavaliere in armatura con le insegne di Sir James Gunn, luogotenente di Sinclair, e lo scheletro in armatura ritrovato nel 1832 a Fall River (sempre in Massachusetts). I nostri fratelli di Lisbona, invece, favorirono l'esplorazione dell'America centrale da parte dei Portoghesi. Fra i nostri progetti c'era la fondazione di un regno in Messico da chiamare Arcadia, che avrebbe dovuto esser popolato da membri delle tre religioni ed esser ispirato ai princìpi della separazione fra Stato e Chiesa e della tolleranza religiosa; in questo piano coinvolgemmo non solo l'ordine francescano, ma anche il cardinale genovese Giovanni Battista Cybo - che col nostro aiuto divenne Papa col nome di Innocenzo VIII - e uno dei suoi figli naturali, un valente marinaio che aveva sposato la figlia di un nostro gran Maestro e che proteggeva i suoi natali sotto il falso nome di... Cristoforo Colombo. Davvero credevate che la scoperta dell'America sia avvenuta per caso? Chi di voi sa che sulla tomba di Innocenzo, in san Pietro, sta scritto: "Durante il suo regno la scoperta di un Nuovo Mondo"? E come sarebbe stato possibile scrivere una tale assurdità, dal momento che quel Papa è morto il 25 luglio 1492 e Colombo è partito da Palos il 3 agosto, se quel viaggio fosse stato il primo? E perché mai le bianche vele delle tre caravelle recavano impressa la croce rossa del nostro Ordine? Per un caso? Davvero credete che Colombo abbia avuto solo molta fortuna nell'approfittare delle correnti favorevoli, o che fosse ridotto alla disperazione quando il suo equipaggio si ribellò ed egli offrì la sua testa se entro tre giorni non avessero avvistato terra, e la sera del terzo giorno così avvenne? E perché decise di attendere l'alba del 12 ottobre per sbarcare, ancora per un caso? Nessun caso, nessuna fortuna, niente disperazione. Semplicemente, Colombo aveva già percorso quella rotta nel 1485, istruito da marinai portoghesi che a loro volta avevano appreso da noi; semplicemente, la sua spedizione "ufficiale" fu finanziata dai nostri fratelli spagnoli, che fornirono anche marinai esperti nel seguire la rotta; e la data del 12 ottobre, semplicemente, era il giorno in cui Filippo l'Infame aveva inviato i suoi sgherri a portare in tutto il regno di Francia l'ordine di arresto dei nostri predecessori, la vigilia dell'anniversario di quel giorno tremendo e provvidenziale in cui noi Templari scomparimmo visibilmente dal mondo per rinnovarlo nel segreto. Per nostra iattura Ferdinando V d'Aragona, nuovo re della Spagna riunificata, aveva stretto intesa alle nostre spalle con Rodrigo Borgia, che proprio quell'anno sarebbe divenuto Papa col nome di Alessandro VI, e fece in modo che nell'equipaggio fossero inclusi alcuni "gentiluomini", spie che prima sobillarono i marinai, poi obbligarono il genovese ad attraccare su un'isola anziché raggiungere il continente; non perché il re volesse frenare l'ambizione dell'ammiraglio - al quale era stato promesso il titolo di governatore delle terre da scoprire - come credono gli 10 storici, ma perché il re e il Papa, insieme, volevano metterci fuori gioco e impadronirsi delle nostre colonie e delle nostre miniere. Alla perdita del Messico rimediammo con la guerra da corsa, e il Nuovo Mondo restò per secoli un rifugio sicuro per quanti fuggivano dalle persecuzioni e una fonte copiosa di ricchezze che, fatte rifluire nella vecchia Europa e oculatamente investite con l'aiuto di mercanti e banchieri (ebrei, ma non solo), ci permisero di alimentare l'ascesa della potenza navale degli Olandesi, in un primo tempo, e poi degli Inglesi. Questi si rivelarono discepoli più fedeli dei primi: mentre l'Olanda, impegnata a difendersi dalle pretese annessionistiche di Luigi XIV, perdeva di vista le colonie d'oltremare, l'Inghilterra consolidò ed estese i nostri insediamenti in Nordamerica; prese stabile possesso del Canada strappandolo ai Francesi, e noi con essa. Le nostre ricchezze ci permisero addirittura di finanziare la pubblicazione di opuscoli e romanzi utopistici come "La Nuova Atlantide" di Francis Bacon - un ottimo scrittore e filosofo che perdette la carica di Lord cancelliere e finì in rovina in seguito a un'accusa di corruzione giudiziaria (chiedeva troppo per i servigi che ci prestò) -; con quei libelli, mescolando realtà e fantasia, comunicammo all'opinione pubblica allora nascente la novità della vita negli insediamenti d'Oltreoceano, ove nel frattempo era stata proclamata la libertà di religione (e proprio nel Rhode Island; indovinate perché?). Una pratica che abbiamo mantenuto fino ad oggi, anche se adesso utilizziamo films e fictions come Il mistero dei templari della Disney. Nel frattempo alcuni adepti di tendenza riformata avevano fondato la Massoneria, con la quale estendemmo la nostra influenza sulla società civile inglese e da lì, in pochi anni, sull'intera Europa; ma le sommosse scatenate a Firenze nel 1737 da circoli massonici locali favorevoli alla nuova dinastia inglese degli Hannover, protestanti, attirarono contro la nuova associazione gli strali della Santa Sede, nonostante che i massoni avessero ammesso nei loro ranghi e protetto i cattolici sia in Inghilterra che in Irlanda (dove non a caso la scomunica pontificia fu pubblicata solo nel 1798). La motivazione ufficiale fu il carattere "eretico" delle dottrine massoniche e la segretezza dell'appartenenza, ma si trattò solo di un pretesto: le costituzioni redatte dal pastore presbiteriano James Anderson affermavano recisamente che "un libero muratore non può essere un ateo stupido né un libertino senza religione", e come detto le logge accoglievano (e accolgono tuttora) fedeli di tutte le religioni e confessioni cristiane. Il vero motivo della scomunica, ancora una volta, fu di natura politica. Comunque, essa determinò una involuzione ateistica e anticristiana delle logge continentali, in particolare francesi, che l'Ordine non poteva tollerare. Abbandonammo perciò i massoni europei a loro stessi e fondammo il "Rito scozzese antico e accettato": scozzese in quanto ne furono artefici i nostri maestri di Scozia, discendenti della famiglia Sinclair; antico perché conservava la professione di fede nell'Essere Supremo, Grande Architetto dell'universo, e nell'immortalità dell'anima; accettato perché venne adottato ai primi del XIX secolo dalle logge degli Stati Uniti d'America, le quali provvidero anche a rafforzare il carattere biblico e teista dell'appartenenza. Per questo motivo da allora non abbiamo avuto più alcun rapporto con la massoneria anticlericale franco-spagnolo-italiana, mentre abbiamo continuato a collaborare con il ramo anglosassone in molti campi, soprattutto durante la 11 resistenza al nazifascismo e poi nel corso della Guerra Fredda. Il frutto migliore del nostro lavoro di squadra e compasso fu il superamento dell'ormai antistorica diffidenza di Washington nei confronti della Chiesa cattolica, che portò il Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan il Precursore e il Pontefice Giovanni Paolo II il Grande ad allearsi per combattere e alfine sconfiggere il comunismo. *** Questa è la nostra storia. Oggi una buona parte dei nostri obiettivi iniziali si è realizzata. La Chiesa cattolica ha riconosciuto nella dichiarazione conciliare Dignitatis humanae che il dovere, fondamentale per ogni essere umano, di ricercare la Verità e di aderire ad essa, per essere conforme alla dignità dell'uomo creato intelligente a immagine di Dio deve esercitarsi senza costrizioni esterne, nella libertà da persecuzioni motivate dall'appartenenza o meno a una determinata religione. Gli Stati democratici e liberali, dal canto loro, hanno accettato i princìpi di libertà e uguaglianza per tutti i loro cittadini, combattendo le discriminazioni fondate sul sesso, sulla razza e sulla religione. Ora resta da compiere l'ultimo sforzo: stabilire l'uguaglianza di tutti gli esseri umani al di là delle barriere costituite dalle diverse appartenenze nazionali. Ciò potrà avvenire solo con la creazione di una Lega delle Democrazie la cui guida dovrà essere assunta dal popolo e dal governo degli Stati Uniti d'America, il primo paese in cui sono stati proclamati gli immortali diritti di ogni uomo alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Questa Lega delle Democrazie dovrà utilizzare tutti i mezzi dalle sanzioni diplomatiche ed economiche fino alla guerra - per abbattere le dittature nazionalcomuniste e le tirannie nazislamiche in Russia, in Cina, in Iran, in Venezuela e in tutti i paesi del Terzo Mondo oppressi dalla fame e dalla miseria materiale e spirituale, per stabilire in quei paesi governi liberaldemocratici rispettosi dei diritti dell'uomo, per costruire apparati burocratici efficienti e rispettosi della legge e una magistratura indipendente da pressioni di gruppi politici, economici e religiosi. Il punto omega di questo processo sarà inevitabilmente la creazione di un Impero mondiale a struttura federale, nel quale la più ampia autonomia finanziaria e gestionale dei singoli territori si accompagni a un massiccio investimento di capitali e di conoscenze per sollevare la condizione della Russia, della Cina e del Sud del pianeta al livello dell'Occidente, e per garantire a tutto il genere umano l'uguaglianza nella libertà e nella prosperità. A questo altissimo impegno si dedica, oggi come ieri, l'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e il suo ramo esecutivo, il Partito Mondialista. 12 IL PARTITO MONDIALISTA: FUNZIONE E STRUTTURA 13 IL MANIFESTO DEL PARTITO MONDIALISTA A Giovanni Paolo II, capo della Chiesa universale, pace e vita eterna A George Walker Bush, capo dell’Impero universale, vita e vittoria INTRODUZIONE Uno spettro si aggira per la Terra di Mezzo: lo spettro del mondialismo. Tutte le potenze dell’Eurabia si sono coalizzate in una sacra caccia alle streghe contro questo spettro: il vecchio califfo e il nuovo zar, il re di Francia e il cancelliere di Prussia, contadini, intellettuali e ambientalisti. Dov'è il partito di opposizione che non sia stato bollato di mondialismo dai suoi avversari al governo, dove il partito di opposizione che non abbia ritorto l'infamante accusa di mondialismo sia contro gli esponenti più progressisti dell'opposizione che contro i suoi avversari reazionari? In Italia si può persino assistere allo spettacolo di un partito di maggioranza che accusa, volta a volta, questo o quell’altro alleato di essere – horribile dictu! – massone, tecnocratico e cosmopolitico, in una parola: mondialista. Di qui due conseguenze. Il mondialismo viene ormai riconosciuto da tutte le potenze della Terra come una potenza. È gran tempo che i mondialisti espongano apertamente a tutta l’umanità la loro prospettiva, i loro scopi, le loro tendenze, e oppongano alla favola dello spettro del mondialismo un manifesto del partito. A questo scopo il Consiglio Direttivo dell’associazione internazionale “New Atlantis for a World Empire”, composto da uomini e donne di ogni razza, lingua, popolo e nazione, si è dato convegno nella culla dell’Occidente e, in unione con gli associati, ha redatto il seguente manifesto, che viene pubblicato in lingua italiana. Roma, 3 aprile 2005 In albis 14 SOLDATI E BORGHESI La storia di ogni società è stata finora la storia di una lotta all’ultimo sangue fra soldati e borghesi. Greci contro Persiani, Sparta contro Atene, Chiesa e Impero, feudatari e cittadini, ariani ed Ebrei, in breve chiusura e apertura si sono sempre reciprocamente contrapposte, hanno combattuto una battaglia ininterrotta, aperta o nascosta, una battaglia che si è conclusa di volta in volta con un allargamento degli spazi di libertà per gli individui e un aumento di benessere dell'intera società. Nelle precedenti epoche storiche noi troviamo dovunque una suddivisione completa dell’umanità fra popoli “chiusi” e “aperti” e un conseguente diverso atteggiarsi dei loro cittadini nei confronti delle res novae e delle questioni fondamentali che agitavano ciascuna società. Nel sesto secolo avanti Cristo, in Oriente, le SS assire furono debellate dai Persiani e Ciro – detto poi non a torto il Grande – creò il primo impero multietnico della storia, giungendo a finanziare personalmente il ritorno degli esuli in Israele e la ricostruzione del Tempio. Cento anni dopo, in Grecia, Sparta – metà comune sessantottina, metà caserma – tentò invano di distruggere la florida democrazia ateniese, rea di permettere ai propri cittadini di vivere ciascuno come voleva. Roma unì genti di ogni lingua, razza e religione in un solo popolo, fece del mondo intero una sola città, e col suo fascino riuscì, morente, a instillare nei barbari assassini il desiderio di farla rinascere. Dopo i secoli bui del Medioevo, il Duecento vide la nascita della borghesia: i servi della gleba, in fuga dalle corvées feudali, si affrancarono trasferendosi nei Comuni italiani e nelle ricche città commerciali dell’Hansa, e fecero la fortuna loro e quella dei propri discendenti; da qui si affermò il luogo comune “l’aria della città rende liberi”. La scoperta dell'America, il periplo dell'Africa crearono un nuovo terreno per la borghesia rampante. Il mercato delle Indie orientali e quello cinese, la colonizzazione dell'America, il commercio con le colonie, la moltiplicazione dei mezzi di scambio e delle stesse merci diedero un impulso fino ad allora sconosciuto al commercio, alla navigazione, all'industria, e quindi favorirono un rapido sviluppo dell'elemento innovatore nella decadente società feudale. L'innovazione non riguardò solo la sfera economica della vita: pittura, scultura e architettura abbandonarono gli stilemi romanico-gotici e si aprirono alla prospettiva; la cosmologia tolemaica, con le sue sfere cristalline e la Terra al centro dell’universo, lasciò il posto ad uno spazio infinito, nel quale potevano trovar posto persino nuovi mondi, nuove Terre da esplorare. Anche in letteratura soffiò un vento nuovo: ai 15 romanzi cavallereschi, all’armi e agli amori dei nobili si sostituirono i viaggi in paesi lontani di mercanti e naturalisti; i nuovi eroi non si chiamarono più Orlando e Lancillotto, ma Ferdinando Magellano e Robinson Crusoe. Ma i mercati continuavano a crescere e con essi le aspettative. Anche la manifattura non bastava più. Il vapore e le macchine rivoluzionavano la produzione industriale. La grande industria ha creato il mercato mondiale, il cui avvento era stato preparato dalla scoperta dell'America. Il mercato mondiale ha dato uno smisurato impulso allo sviluppo del commercio, della navigazione, delle comunicazioni terrestri. Tale sviluppo ha a sua volta retroagìto sulla crescita dell'industria. E nella stessa misura in cui crescevano industria, commercio, navigazione, ferrovie si sviluppava anche la borghesia. Ed essa accresceva i suoi capitali e metteva in ombra tutte le classi di origine medievale. La borghesia ha rivelato come la brutale esibizione di forza, quella caratteristica del Medioevo che tanto piace agli antimoderni, abbia trovato il suo congruo complemento nella più inerte pigrizia. Solo la borghesia ha dimostrato che cosa l'attività umana può produrre. Essa ha realizzato meraviglie ben diverse dalle piramidi egizie, dagli acquedotti romani e dalle cattedrali gotiche, si è lanciata in ben altre avventure che non le migrazioni dei popoli e le crociate. La necessità di uno sbocco sempre più vasto per i suoi prodotti lanciò la borghesia alla conquista dell'intera sfera terrestre. Bisognava annidarsi dappertutto, dovunque occorreva consolidarsi e stabilire collegamenti. Esportata dagli Europei, compagna di viaggio dei missionari e dei commercianti, la borghesia ha messo radici in tutto il mondo, e ovunque ha sovvertito il “chiuso” mondo tradizionale. La borghesia ha distrutto i rapporti feudali e patriarcali dovunque abbia preso il potere. Essa ha sostituito al potere, diretto e brutale, dell’uomo sull’uomo un potere impersonale, mediato dal denaro; un potere che non dipendeva più dal sangue o dalla religione, ma solo dal talento e dall’abilità personale. Un potere aperto a tutti, che aboliva le vecchie distinzioni in ceti e caste e proclamava l’uguaglianza di tutti gli uomini. La borghesia ha strutturato in modo cosmopolitico la produzione e il consumo di tutti i paesi grazie allo sfruttamento del mercato mondiale. Con grande dispiacere dei reazionari essa ha sottratto all'industria il suo fondamento nazionale. Antichissime industrie nazionali sono state distrutte e continuano a esserlo ogni giorno. Nuove industrie le soppiantano, industrie la cui nascita diventa una questione vitale per tutte le nazioni civili, industrie che non lavorano più le materie prime di casa ma quelle provenienti dalle regioni più lontane, e i cui prodotti non vengono utilizzati solo nel paese stesso ma, insieme, in tutte le parti del mondo. Al posto dei vecchi bisogni, soddisfatti dai prodotti nazionali, se ne affermano di nuovi, che per essere soddisfatti esigono i prodotti delle terre e dei climi più lontani. Al posto dell'antica autosufficienza e delimitazione locale e nazionale si sviluppano traffici in tutte le 16 direzioni, si stringe una reciproca interdipendenza universale fra le nazioni. E ciò sia nella produzione materiale che in quella spirituale. Le conquiste spirituali delle singole nazioni divengono bene comune. L'unilateralità e la delimitazione nazionale diventano sempre meno possibili e dalle varie letterature nazionali e locali si costruisce una letteratura mondiale. La borghesia ha trascinato verso la civiltà persino le nazioni più barbariche, grazie al rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, grazie al continuo progresso delle comunicazioni. I prezzi ben calibrati delle sue merci sono l'artiglieria pesante con cui essa atterra qualsiasi muraglia cinese, con cui essa costringe alla capitolazione financo la più ostinata xenofobia dei barbari. La borghesia costringe tutte le nazioni a far proprio il modo di produzione borghese, se non vogliono affondare; la borghesia le costringe a introdurre esse stesse la cosiddetta civiltà, cioè a diventare borghesi. In una parola, la borghesia si costruisce un mondo a sua immagine e somiglianza. La borghesia ha sottomesso la campagna al dominio della città. Essa ha creato enormi città, ha notevolmente aumentato la popolazione urbana rispetto a quella delle campagne, strappando così all'idiotismo della vita di campagna una parte importante della popolazione. Come ha reso dipendente la campagna dalla città, così ha reso dipendenti i paesi barbarici o semibarbarici da quelli civilizzati, i popoli contadini da quelli borghesi, l'Oriente dall'Occidente. La borghesia tende sempre più a superare la frammentazione dei mezzi di produzione, della proprietà e della popolazione. La conseguenza necessaria era la centralizzazione politica. Province indipendenti, quasi solo alleate, con interessi, leggi, governi e dogane differenti, sono state riunite in un'unica nazione, un unico governo, un'unica legge, un unico interesse di classe nazionale, un'unica barriera doganale. La borghesia ha prodotto, nel corso del suo tricentenario dominio di classe, forze produttive più massicce e colossali di tutte le altre generazioni messe insieme. Controllo delle forze della natura, macchine, impiego della chimica nell'industria e nell'agricoltura, navigazione a vapore, ferrovie, telegrafi elettrici, dissodamento di interi continenti, navigabilità dei fiumi, popolazioni intere fatte nascere dal nulla: quale secolo passato sospettava che tali forze produttive giacessero nel grembo del lavoro sociale? La borghesia ha distrutto, in Europa e in tutti i territori popolati dagli Europei, ogni parvenza del vecchio modo di vita “chiuso” e comunitario che era tipico delle popolazioni patriarcali, dagli Incas alle comunità di villaggio indiane. Anche quando gli squilibri di una crescita economica improvvisa e disomogenea hanno spinto interi popoli ad abbracciare ideologie reazionarie, che pretendevano di sostituire il “freddo” rapporto economico, mediato dal denaro, con i più caldi rapporti del sangue e del suolo, della classe e dell’antagonismo fra le classi, la borghesia ha trovato il modo di 17 annientare i suoi nemici; prima con i superiori mezzi bellici approntati dall’economia di mercato, e senza che ne risentisse il benessere dei civili – mentre la Germania nazista e l’Italietta fascista si trasformavano in caserme, povere di armi e di pane –, poi vincendo la gara con l’Unione Sovietica per assicurare alle grandi masse un tenore di vita crescente, la libertà dalle malattie e dalla povertà. Dopo settant’anni la bandiera rossa è stata ammainata dal Cremlino, e la borghesia ha trionfato. Per dieci anni è parso a tutti gli osservatori che la borghesia, il mercato che ne alimenta la ricchezza e il potere, e la democrazia liberale che ne costituisce l’espressione politica, avessero preso il sopravvento su tutto il pianeta. La sconfitta di Saddam Hussein nella grande guerra del Golfo, con la liberazione del piccolo Stato del Kuwait, e la disfatta del tiranno Milosevic sembrarono sancire la nascita di un Nuovo Ordine Mondiale, regno di pace e di benessere, regno di libertà e giustizia per tutti. A infrangere questo idillico quadretto provvide fin da subito il genocidio nel Ruanda: la colpevole inerzia delle Nazioni Unite, la loro incapacità d’impedire la colossale mattanza furono la spia evidente della loro inadeguatezza a farsi garanti della pace da tutti agognata. Nello stesso tempo, approfittando dell’ambiguo programma “Oil for Food”, il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan e suo figlio si arricchivano scandalosamente intascando le regalie del tiranno baathista. Infine, il sorgere di un movimento integralista islamico, pronto a usare i mezzi più vili e abietti per esorcizzare il secolare complesso d’inferiorità dell’Islam nei confronti dell’Occidente, e attuare il folle progetto di un califfato mondiale sotto le insegne del falso profeta e vero assassino bin Laden, ha prodotto un crescendo di attentati terroristici che ha avuto il suo tragico Golgota nell’infame distruzione delle Torri Gemelle di New York e del Pentagono di Washington. Contro questo nuovo pericolo l’Onu si è rivelato tragicamente impotente; peggio, si è comicamente spaccato tra filoamericani e antiamericani, si è coperto di ridicolo dando la medesima attenzione a rappresentanti di governi liberali e democratici, rispettosi dei diritti umani, e a messi di regimi corrotti e sanguinari, che hanno fatto della menzogna la loro diplomazia e del terrore la loro politica. Di fronte a questo immane pericolo, a questa alleanza di nazionalisti, orfani del comunismo e seguaci della mezzaluna contro l’Occidente e i suoi difensori (l’America e Israele), diviene urgente chiarire la natura del movimento storico di cui la borghesia europea si è fatta storicamente portatrice e ostetrica; un movimento d’uomini e d’idee che supera i confini ristretti dell’Europa e della modernità, che affonda le sue radici nel passato e si proietta con decisione verso il futuro: il mondialismo. 18 II I MONDIALISTI Chi sono i mondialisti? Qual è il rapporto tra mondialisti e borghesi? I mondialisti non sono un partito a sé fra gli altri partiti liberaldemocratici. Essi non hanno interessi separati da quelli dell'intera umanità. Essi non propongono particolari princìpi su come modellare l’umana società. I mondialisti si distinguono dai restanti partiti solo perché, d'un lato, nelle diverse lotte nazionali dei borghesi, dei liberali e dei democratici essi pongono in evidenza e affermano gli interessi comuni di tutta l’umanità, indipendentemente dalla nazionalità; dall'altro, perché essi esprimono sempre l'interesse complessivo del movimento ideale nelle diverse fasi in cui si sviluppa la lotta fra apertura e chiusura, fra società e comunità, fra libertà e tirannide. I mondialisti sono pertanto nella pratica la parte più decisa e più avanzata dei partiti liberaldemocratici di ogni paese, e dal punto di vista teorico essi sono anticipatamente consapevoli delle condizioni, del corso e dei risultati complessivi del movimento per l’unificazione dell’intera specie umana in un solo Impero mondiale. Avanguardie di questo possente movimento d’uomini e d’idee furono i membri del popolo d’Israele dispersi fra le genti, e le sette cristiane protestanti anglosassoni. Gli Ebrei, costretti, a causa del divieto di esercitare qualsiasi mestiere “puro”, a svolgere le attività di cambiavalute e banchieri per vivere, furono per primi indotti a non radicarsi in una classe o corporazione, in una città o nazione particolare, ma ad essere pienamente individui cosmopolitici, e quindi anche cosmostorici (cioè autori e determinatori della storia del mondo). Puritani e calvinisti, dal canto loro, perseguitati dai loro sovrani, costretti ad emigrare in nuove terre, scoprirono di non poter riporre la propria sicurezza in uno Stato-madre onnipotente e totalitario; compresero il valore immenso della libertà e l’infinita dignità dell’individuo solo in mezzo a una natura selvaggia da domare, ritto con la propria coscienza davanti a Dio; e diedero forma logica e giuridica a tali immortali princìpi, edificando una società nella quale la difesa delle istituzioni era affidata alla probità e al senso dell’onore di tutti i suoi cittadini, e dove chiunque, purché avesse talenti e forza di volontà per svilupparli, poteva ascendere ai massimi gradini della scala sociale, indipendentemente dal colore della pelle e dalla nazione di provenienza. 19 Per tal motivo comunisti e nazifascisti hanno perseguitato i figli d’Israele, e tentato – senza successo, Deo gratias – di cancellare il loro seme dalla faccia della terra: perché in essi, giustamente, vedevano gli esponenti della classe universale, banchieri, giornalisti, scrittori, filosofi, scienziati; uomini e donne non radicati in un luogo, in uno spazio determinato, non legati ai falsi miti del sangue e del suolo, ma pienamente, autenticamente cittadini del mondo. E per lo stesso motivo le armate nere, rosse e adesso verdi hanno tentato e tentano di distruggere gli Stati Uniti d’America, dolce terra di libertà, e lo Stato d’Israele, unico avamposto di democrazia in un Oriente oppresso da regimi tirannici, assassini e totalitari. Contro questi assalti brutali e sanguinari deve innalzarsi possente la barriera, lo scudo del movimento mondialista. Il primo compito dei mondialisti è identico a quello di tutti gli altri partiti liberaldemocratici: costituzione della borghesia in classe, annientamento del dominio della tirannide, conquista del potere politico da parte della borghesia. Le formulazioni teoriche dei mondialisti non riposano affatto su idee, su princìpi scoperti da questo o quel riformatore del mondo. Essi sono solo l'espressione generale di rapporti effettivi di una lotta fra princìpi contrapposti – fra chiusura e apertura – che esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi. Mondialismo e Tradizione I tradizionalisti inorridiscono perché noi vogliamo eliminare il Sacro dal mondo. Ma nelle società occidentali la sacralità della natura è stata già abolita duemila anni fa dal Cristianesimo; anzi, esso può parlare, e parla, di sacralità della vita umana proprio in quanto tale sacralità non esiste per i leoni, le farfalle, gli tsunami e il vibrione del colera. Essi ci accusano dunque di voler abolire la sacralità del mondo non umano, in nome della quale si commettono aborti e sterilizzazioni forzate, per salvaguardare la sacralità dei singoli, concreti individui umani. In una parola, essi ci accusano di voler abolire la base del loro dominio. È proprio quello che vogliamo. Dal momento in cui il mondo non-umano non può più essere trasformato in feticcio, tabù, Korbàn – in breve, in un potere sociale monopolizzabile –, cioè dal momento in cui la sacralità dell’uomo non può tramutarsi in sacralità della natura, da quel momento essi dichiarano che ad essere abolito è il Sacro. Essi ammettono così di considerare come sacro nient'altro che il non-umano, il mondo non-umano. E pertanto questa sacralità deve essere abolita. 20 Tutte le obiezioni rivolte contro il modo mondialista di appropriazione e di produzione dei prodotti materiali sono state sviluppate allo stesso titolo nei confronti dell'appropriazione e della produzione dei prodotti spirituali. Come per il tradizionalista la fine della sacralità della natura significa la fine del Sacro stesso, così per lui la fine della cultura nazionale è identica alla fine della cultura in quanto tale. La cultura di cui egli lamenta la perdita è per l'enorme maggioranza dei popoli del pianeta la preparazione a diventare un soldato, un assassino; uno sterminatore di inglesi in nome della Francia, uno sterminatore di francesi in nome della Heimat, uno sterminatore di austriaci in nome dell’Italietta, uno sterminatore di ebrei in nome della razza ariana o della Umma islamica. Di questa cultura un mondo unito farà volentieri a meno. I nemici del mondialismo ci accusano anche di volere la distruzione delle culture indigene o in genere minoritarie, come quella dei nomadi o zingari. Essi accusano noi mondialisti di essere degli sradicati, ed elogiano il radicamento di quelli in un sistema ben compatto di tradizioni e modi di comportamento. In verità, criticandoci, essi ci elogiano. Le culture ancestrali che essi venerano sono come mummie rinchiuse in teche di vetro, che a contatto con l’aria si dissolvono; così si sono disfatte le società Inca e Maya. L’Occidente è libero e vivo come il vento che soffia dove vuole, poiché esso circonda e abbraccia il mondo intero con tutte le sue epoche. Mondialismo e nazionalismo Si è inoltre rimproverato ai mondialisti di voler liquidare la patria, la nazionalità. I poveri, i reietti, gli apolidi, i perseguitati di tutti i luoghi e di tutte le epoche non hanno patria. Non si può togliere loro ciò che non hanno. Il tempo del genocidio armeno, dei gulag, di Auschwitz, delle fosse comuni e delle pulizie etniche è finito. È ora di cambiare! Il sangue versato dagli innocenti, le grida di sofferenza che nessuno ha mai udito, non dovranno più essere inghiottite impunemente nel passato. I mondialisti hanno intenzione di sfondare i vecchi muri dell’indifferenza nazionale e aprire una nuova strada per questa gente. Le divisioni e gli antagonismi nazionali fra i popoli tendono sempre più a scomparire già con lo sviluppo della borghesia, con la libertà del commercio, con il mercato mondiale, con l'uniformità della produzione industriale e delle condizioni di vita che ne derivano. L’instaurazione di un Impero mondiale li farà scomparire ancora di più. L'azione comune almeno dei paesi più civilizzati è una delle prime condizioni per la liberazione dei popoli sottosviluppati dalla maledizione degli odi tribali e delle pulizie etniche. 21 In tanto in quanto viene eliminato lo sfruttamento del singolo individuo da parte di un altro, e sostituito da un sistema di dipendenza onnilaterale e impersonale mediato dal denaro, svanisce anche lo sfruttamento di una nazione da parte di un'altra. Mondialismo e Religione Si è ancora rimproverato a noi mondialisti di voler abolire la religione organizzata in generale, di voler distruggere la Chiesa e le altre comunità religiose; la religione che costituirebbe la base di ogni libertà e dignità personale. Religione organizzata! Ma di quale religione parlate? Del Cristianesimo, diviso tra cattolici, ortodossi, anglicani, protestanti di mille sette? Non abbiamo intenzione di abolirlo, anzi lo consideriamo padre e mallevadore del mondialismo per aver combattuto il panteismo pagano, introdotto la distinzione fra il Creatore e le creature, e per conseguenza iniziato quel processo di desacralizzazione della natura e, nel contempo, di assoggettamento di essa alle leggi eterne di un Dio fedele che ha prodotto lo sviluppo della scienza e dell'industria, della libertà dalle malattie e dalla povertà cui assistiamo da cinquecento anni. L’ultimo Pontefice, poi, ha tessuto il più bell’elogio dell’economia di mercato che è la base materiale delle moderne società d’Occidente, mostrando che la storia del capitalismo è ben lungi dal rassomigliare ad una squallida e ridicola shark tale. Siamo ben consapevoli del fatto che nessuna società aperta, complessa e differenziata al suo interno può sopravvivere senza un consenso di fondo su principi e valori strutturanti la convivenza; principi e valori che sono propri di tutti gli uomini come individui, ma che solo il Cristianesimo come religione organizzata ha fatto emergere alla luce della consapevolezza e innalzato a pilastri angolari di una civiltà universale. Il mondialista non sarà mai un ateo ignorante, un libertino senza cervello, un maiale sazio e annoiato. Oppure parlate della religione come custode dei valori tradizionali, delle culture terzomondiste? Ma dove c’è corruzione diffusa, persecuzione delle minoranze religiose, uso sistematico del terrore sui propri cittadini e del terrorismo verso gli stranieri, la religione, il culto a Dio, assicura il rispetto di qualche valore? Niente affatto. Essa crea solo il vestito nuovo del re, il manto invisibile che dovrebbe coprire le vergogne di quei regimi e che invece, dalla bocca dei bambini e dei lattanti, degli uomini semplici e onesti (alieni dalle fumisterie degli intellettuali veteroeuropei), ne svela ineluttabilmente la nudità e la miseria spirituale. 22 Ciò che vogliono i mondialisti non è l’abolizione della religione in generale, e neppure di una particolare fede religiosa; essi mirano all’abolizione di quella specifica patologia della religione che è il fondamentalismo, vale a dire l’indebita commistione tra religione e scienza, religione e filosofia, religione e diritto, religione e politica. Questo ci porta al primo punto della nostra strategia: la soluzione della questione islamica. 1. Mondialismo e Islam L'eliminazione del potere delle gerarchie religiose nei paesi islamici non è qualcosa di specificamente mondialista. Tutta la storia dell’umanità è storia di una progressiva emancipazione della sfera politico-giuridica da quella dei rapporti fra l’uomo e la Divinità, e per conseguenza di un allargamento degli spazi di libertà per quanti non professavano la religione della maggioranza, in un luogo e un’epoca determinati. Ad esempio, in Atene e a Roma i re-sacerdoti furono ridotti a funzioni rituali e simboliche, a vantaggio delle assemblee elettive e dei rappresentanti del popolo. Così pure, per contrasto, nel Medioevo il tracollo dell’Impero sacro e romano fu determinato dalla sorda opposizione dei vertici della Chiesa latina ad un pieno dispiegarsi della potestà imperiale sull’Italia, che i Papi consideravano loro possesso inalienabile; da qui lo smembramento dell’Europa nei vari Stati nazionali, e lo sforzo dei sovrani assoluti di emanciparsi dalla potestas indirecta della Santa Sede. Ciò che distingue il mondialismo non è l'eliminazione del potere dei clerici in quanto tale, bensì l'abolizione del potere dei clerici islamici, mullah e ayatollah. Ma l’attuale potere dei religiosi islamici è l'ultima e più compiuta espressione della chiusura comunitaristica di quelle società, fondata su contrapposizioni di religione che diventano anche contrapposizioni di classe, sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, della maggioranza da parte della minoranza. In tal senso i mondialisti possono riassumere la loro teoria in questa singola espressione: abolizione della sharia, separazione tra sfera religiosa e sfera laica, esautoramento della casta militare e dei mullah dalle leve del potere, a favore di un potere civile colto e illuminato. Abolizione della famiglia! I musulmani si indignano per questo scandaloso intento dei mondialisti. Su che cosa poggia la famiglia islamica attuale? Sulla disuguaglianza, sulla superiorità dei mariti e sulla sottomissione delle mogli. In senso pieno essa esiste solo 23 per gli uomini; ma essa trova il suo completamento nell'imposizione alle donne di non avere una dignità e nella schiavitù delle mogli. La famiglia islamica, gerarchica decade naturalmente con l'eliminazione di questo suo proprio completamento ed entrambi scompaiono con la scomparsa della disuguaglianza fra uomini e donne. I muslims ci rimproverano di voler abolire lo sfruttamento delle mogli da parte dei loro mariti, lo sfruttamento delle figlie da parte dei loro padri? Confessiamo questo crimine. Ma essi dicono che noi aboliamo i rapporti più cari sostituendo con l'educazione laica quella impartita dai dottori del Corano. E forse che la loro stessa educazione non è determinata dalla società? Dai rapporti sociali nel cui ambito essi educano, dall'interferenza più o meno diretta o indiretta della società per mezzo delle scuole coraniche e così via? Non sono i mondialisti a inventare l'intervento della società nell'educazione; ne cambiano solo il carattere, sottraggono l'educazione all'influsso di una religione dominante. "Ma voi mondialisti volete introdurre la scostumatezza delle donne!", strepita in coro contro di noi l'intelligentsija islamica. Il buon musulmano vede in sua moglie un puro strumento di soddisfazione del suo piacere. Egli sente dire che le donne devono essere parificate agli uomini e non può naturalmente fare a meno di pensare che esse acquisiranno i suoi stessi vizi. Non gli viene in mente che si tratta proprio di abolire la posizione delle donne come puri strumenti di soddisfazione del piacere. Nella sua forma attuale, la religione islamica deriva dalla contrapposizione di “fedeli” e “infedeli”. Osserviamo i due lati di questa opposizione. Essere un “fedele” per l’Islam (un muslim, un sottomesso) significa assumere sulla scena politica una posizione non solo puramente personale, ma sociale. Il potere politico è un prodotto collettivo e può essere messo in moto solo grazie a una comune attività di molti, anzi in ultima istanza di tutti i membri della società. Il potere politico non è quindi un potere solo personale, è un potere sociale. Nell’Islam potere politico e appartenenza alla “vera” religione sono inestricabilmente legati. Gli islamici non hanno ancora assorbito l’aurea massima di Gesù Cristo: date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio. In Occidente questa massima significa che Cesare, cioè il sovrano terreno, ha dei diritti inalienabili, che gli spettano in virtù della sua intrinseca natura e funzione: assicurare la tranquillità della vita terrena contro i pericoli interni ed esterni. Questi diritti, e i 24 corrispondenti poteri, riguardano le tasse e il loro uso per l’utilità pubblica, la protezione delle vite e dei beni dei cittadini contro i violenti e i briganti, la pace e la guerra. Nel mondo musulmano, viceversa, tutto viene considerato proprietà di Dio; il che vuol dire, in pratica, che tutto appartiene a colui il quale, in un certo luogo e momento storico, riesce ad imporsi, con la forza o con la truffa, come “bocca” dell’Altissimo. Tutto: diritti, libertà, denaro sonante e corpi di donne e bambini. (Le principali organizzazioni di tutela dei diritti umani hanno informato per tempo la sonnacchiosa opinione pubblica dell’Occidente che gli ayatollah iraniani son soliti approfittare delle loro posizioni di potere non soltanto per stuprare giovani vergini – coloro che si ribellano vengono accusate di adulterio e lapidate –, ma anche per compiere atti di pederastia nei confronti di bambini di pochi anni e di bambine non ancora mestruate. Così pure è nota l’accusa rivolta da un ministro pachistano alle madrasse del suo paese, di ospitare e coprire molestie sessuali da parte degli insegnanti del Corano nei confronti dei giovani allievi.) Se allora la religione viene separata dalla politica, e trasformata in un fatto che riguarda i singoli e gli associati come uomini, e non più come cittadini, in tal modo non si abbatte la religione (nemmeno la religione islamica). Cambia solo il carattere sociale della religione. Essa perde il suo carattere di passe-partout per l’esercizio del potere politico. Veniamo ai cosiddetti “infedeli”. Con "libertà" si intende nell'ambito degli attuali rapporti islamici con il resto del mondo il libero proselitismo, la libertà di convertire gli “infedeli” all’Islam. Una simile libertà di evangelizzare e convertire non è riconosciuta, nei paesi islamici, ai fedeli di altre religioni come invece lo è in Occidente ai muslims, anzi l’abbandono della fede in Allah è punita con la morte. Nei paesi islamici, inoltre, gli “infedeli” sono relegati al gradino più basso della scala sociale: ad essi sono riservate le professioni che il buon muslim, il sottomesso ad Allah e al califfo del momento, considera impure (sono, non casualmente, quei mestieri e quelle professioni che hanno fatto la fortuna della borghesia occidentale, e che oggi determinano la relativa prosperità delle minoranze religiose nei paesi arabi). I loro diritti civili, in società dominate da monarchie assolute o da dittature militari, sono praticamente inesistenti; ad essi non è riconosciuto neppure quel minimo di solidarietà che si riserva a chi patisce la medesima dura sorte, perché sono appunto fuori dalla cerchia dei “fedeli” e pertanto rubare i loro beni non è ritenuto un furto, ma una restituzione, la loro uccisione non è considerata omicidio, ma eroismo. Il medesimo complesso di superiorità che il muslim ostenta nei confronti dei nasrani – espressione invero di profonda insicurezza e di scarsa autostima – è all’origine di una corsa, da parte di musulmani benestanti ed acculturati, ad arruolarsi come uomini-bomba, ad uccidersi al solo scopo di massacrare il maggior numero di 25 cristiani, di ebrei o di indù, o anche di sciiti e di musulmani “moderati” che ai loro occhi sono peggio che infedeli, sono apostati indegni perfino di esser convertiti. È una palese ovvietà il fatto che non tutti i seguaci di Maometto siano dei terroristi assassini; ma è ben più di un’ovvietà il fatto che tutti gli attentati più sanguinari degli ultimi trent’anni (dai dirottamenti aerei all’abbattimento delle Due Torri, da Bali a Casablanca, fino agli sgozzamenti in Iraq) sono stati compiuti da seguaci di Maometto. Anche il talebano bianco John Walker, prima di andare a combattere contro i suoi fratelli americani tra le montagne dell’Afghanistan, si era convertito al Corano. Nella società islamica è dunque il passato che domina sul presente, in quelle occidentali è il presente che domina sul passato. Nella società islamica il potere politico è indipendente e personale, mentre l'individuo attivo è dipendente e impersonale. E l'abolizione di questo rapporto la intellighentsija islamica la chiama abolizione della religione e della fede in Dio! E a ragione. Si tratta però dell'abolizione della religione e fede integraliste, che negano la legittima autonomia delle realtà temporali. Ma se scompare l’integralismo, allora si apre per tutte le religioni la libera concorrenza nel procacciarsi nuovi adepti; e come in ogni sfera in cui si affermi il principio di una concorrenza libera da ceppi monopolistici od oligopolistici, chi ha più filo da tessere più tesserà; chi propone valori più saldi, più forti, più conformi alla natura razionale e spirituale dell’uomo conquisterà anche più fedeli. Le religioni meno competitive sotto questo profilo scompariranno, come i telai a mano nel 1700 hanno lasciato il posto ai telai meccanici. Coloro che nel Settecento distruggevano i telai a vapore in nome dell’antico uso erano dei criminali – e dai loro zoccoli, i sabots, è derivato il termine “sabotatore” –; allo stesso modo lo sono oggi i gruppi fondamentaslisti islamici che invocano l’intervento dello Stato contro i convertiti al Cristianesimo o ad altre religioni, e la repressione di questi gruppi deve essere l’obiettivo prioritario che uno Stato occidentale ispirato ai princìpi mondialisti deve perseguire nei suoi rapporti con l’Arabia Saudita e con gli altri paesi di questa risma. Ciò non avverrà sicuramente senza spargimento di sangue; ma sarà un eccidio infinitamente minore di quello che si compie attualmente con gli attentati terroristici, le torture, i rapimenti e gli sgozzamenti ripresi in videocamera. Chi oggi ritiene che non valesse la pena di morire per Bagdad appartiene alla stessa genìa di coloro che ieri non ritenevano necessario morire per Praga o per Danzica, e poi morirono a milioni per Parigi, Londra e Roma. Chi viene a patti con gli assassini sperando di esserne risparmiato, chi collabora per viltà al massacro dei propri fratelli, dei propri connazionali, sta solo posticipando la sua fine. Noi mondialisti sappiamo che la guerra sarà lunga e dura, che essa conoscerà avanzate e ritirate, che costerà a molti di 26 noi il sacrificio della vita; ma siamo certi che alla fine la bandiera verde sarà ammainata, come lo furono la bruna e la rossa. 2. Mondialismo e Cina La separazione della sfera religiosa da quella temporale, l’instaurazione di regimi sanamente laici nelle società islamiche è solo il primo passo che i mondialisti dovranno compiere al fine di dare soluzione ai problemi di miseria spirituale e materiale che affliggono i quattro quinti degli abitanti del pianeta, oppressi da regimi tirannici e corrotti, e per evitare che dittatori e demagoghi sfruttino la facile retorica del contrasto tra ricchi e poveri per sottrarsi al castigo dei loro crimini, indirizzando la rabbia dei loro popoli contro un Occidente presentato come sazio ed egoista. Perché tutto cambi, è necessario che nulla rimanga com’è ora. I mondialisti non possono accontentarsi di qualcosa di meno o di diverso da una rivoluzione planetaria, che allinei tutti i paesi della terra al modello di democrazia liberale, fondata sullo Stato di diritto e sul rispetto degli immortali diritti dell’uomo, che costituisce la creazione e il vanto della borghesia angloamericana, e che assicuri libertà e prosperità a quanti ora ne sono privi. La seconda tappa dell’agenda mondialista è dunque costituita dalla soluzione del problema Cina. Nei quattromila anni della sua storia il popolo cinese è sempre stato caratterizzato da un rigido collettivismo che aveva la sua fonte nella concezione patriarcale del potere politico, impersonato da un imperatore investito dal Cielo e padrone assoluto della vita e dei beni dei suoi sudditi. Il carattere collettivista della società cinese era particolarmente evidente nelle campagne, dove si esprimeva apertamente nella proprietà comune dei campi; ma anche nelle città, dove più fervevano i commerci ed esisteva una borghesia colta e raffinata, il controllo della società sull’individuo portava ad una chiusura del paese nei confronti degli stranieri e, per logica connessione, ad una compressione delle spinte innovatrici pur presenti nelle arti e nelle scienze. Basti ricordare che i cinesi, pur avendo sviluppato notevoli conoscenze astronomiche secoli prima degli europei, le utilizzarono esclusivamente per la formulazione di oroscopi, al fine di sanzionare davanti al popolo superstizioso la legittimità delle dinastie di volta in volta regnanti. Sotto questo profilo, la presa del potere da parte dei comunisti non ha modificato la struttura della società cinese: la proprietà collettiva delle terre è rimasta, all’imperatore si è sostituito il partito-Stato ugualmente onnipotente, ugualmente paternalista e tirannico. Lo spazio recentemente lasciato alla libera imprenditoria capitalistica nelle ricche e popolate città della costa non è diversa da quella dei mercanti nel Celeste Impero, per non parlare del fatto che, nella maggioranza dei casi, i nuovi ricchi sono funzionari di partito o loro accoliti. Allora come oggi, ciò che si concede con riluttanza nel campo economico viene negato con i mezzi più 27 abietti in ogni altro settore della vita personale e sociale: dalla libertà di decidere il numero dei propri figli, conculcata col carcere e con aborti coatti, alla libertà di nominare i propri governanti e di sottoporli al giudizio dell’urna, repressa nel sangue in piazza Tienanmen. Anche la possibilità di stabilire un rapporto con il Trascendente, di adorare la Divinità nel modo dettato a ciascuno dalla propria retta coscienza, è lì punita con torture e omicidi sommari, poiché la religione è considerata, oggi come mille anni fa, un instrumentum regni privo di valore autonomo. A quanto detto si deve aggiungere l’atteggiamento fortemente aggressivo, imperialistico ed espansionista del regime comunista cinese, tanto verso lo sfortunato popolo del Tibet quanto verso la piccola isola di Taiwan, ancora considerata una “provincia ribelle” da riconquistare con la forza o con l’inganno, come si è fatto con Hong Kong e Macao, approfittando della ipocrita acquiescenza della vecchia Europa desiderosa di fare affari, non importa che si tratti di vendere automobili o missili. Le campagne, intanto, restano abbandonate a se stesse, in preda alla miseria e all’Aids rapidamente diffusosi, con i contadini che continuano ad annegare le figlie appena nate per non dover sfamare bocche improduttive e risparmiare il costo della dote. Tutti questi orrori dimostrano a sufficienza che la società cinese è ancora dominata dal primato del gruppo sull’individuo, che essa non ha ancora assorbito i princìpi dell’infinito valore e dell’inviolabile dignità di ogni singolo essere umano, dell’uguaglianza davanti alla legge e della sottomissione della politica al diritto che costituiscono la forza della liberaldemocrazia occidentale. È pertanto necessario che i mondialisti esercitino ogni pressione – diplomatica, propagandistica, economica – per sostenere e irrobustire un’opposizione politica e culturale al regime, per indurlo a liberare i dissidenti prigionieri e a concedere una sempre maggiore libertà religiosa e di coscienza, e al contempo per rendere la società cinese sempre più dipendente per il proprio benessere dal legame con l’Occidente. Più i cinesi assaggeranno la libertà in vari campi, più ne gradiranno il sapore e desidereranno gustarne in ogni ambito della vita; e quando il desiderio di libertà sempre maggiori entrerà fatalmente in conflitto con l’ortodossia ideologica, spingendo i vecchi burocrati e le gerarchie militari a tentare di risollevare il loro prestigio con un’avventura militare, la forza congiunta della sollevazione popolare e della sconfitta in campo aperto darà il colpo finale al regime, e la Cina si aprirà definitivamente alla democrazia. 3. Mondialismo e Russia La medesima peste collettivistica che infetta la Cina rappresenta la causa della miseria spirituale e materiale del popolo russo. Fin dai tempi di Ivan il Terribile questo grande paese è stato dominato dalla paura nei confronti dell’individualità, che si trattasse dei contadini proprietari della loro terra (come i kulaki sacrificati ai kolchoz), di una religione non ridotta a strumento del potere politico (come i cattolici 28 di fronte ai cesaropapisti ortodossi), degli intellettuali o della borghesia mercantile e industriale. L’unica eccezione a questo primato del collettivo sul singolo è stata rappresentata dal regno di Pietro il Grande e dal suo sguardo rivolto alla civilizzazione, per apprendere e progredire; non a caso i bolscevichi si fecero un vanto di aver spostato la capitale da San Pietroburgo a Mosca e, insieme, di avere sterminato l’élite colta ed occidentalizzata delle città. Con l’ammainarsi della bandiera rossa e la sostituzione dell’ultimo comunista Gorbaciov con il liberale Eltsin, sembrò per un decennio che la Russia avesse iniziato il lungo, faticoso ma produttivo processo di occidentalizzazione: riconoscimento – seppur parziale – della proprietà privata, collocamento sul mercato dei colossi industriali di Stato, sviluppo della libera iniziativa e di una borghesia dinamica e innovatrice. Tutto questo rischia ora di essere soffocato sotto il pugno di ferro del nuovo zar Putin, l’agente del Kgb che fa politica come le vecchie, decrepite, mortali spie russe di ieri e di oggi, dai Romanov a Gorbaciov: con gli ombrelli dalla punta avvelenata, con le stufe a gas che uccidono nel sonno i ministri georgiani, con i banchetti alla diossina per eliminare gli Yushchenko di turno; o, se preferite, con le false accuse, i processi-farsa, le condanne giudiziarie dei capitani d’industria al solo scopo di confiscare i loro patrimoni. Una politica a colpi di proscrizioni, degna di Silla e dei giacobini! Il processo di occidentalizzazione della Russia non può riprendere se non accompagnato da un parallelo cammino di affrancamento dall’Orso di tutti i paesi “satelliti”, siano essi l’Ucraina, la Georgia e l’Armenia, siano essi le repubbliche exsovietiche dell’Asia centrale. In questo senso il pacifico cambiamento di regime recentemente avvenuto in Kirghizistan rappresenta un altro passo decisivo. Solo in quanto verrà spogliata di tutte le sue protezioni, di tutti i suoi Stati-cuscinetto, e i suoi confini verranno a coincidere con i confini del mondo occidentale, la Russia sarà ad un tempo invogliata e costretta a farsi anch’essa Occidente. 4. Mondialismo ed Europa In questa lunga serie di rivolgimenti politici e sociali, di cambiamenti di regime e di faticoso cammino di gran parte dell’umanità verso il progresso e l’integrazione delle etnie e delle religioni, che ruolo sta giocando, che ruolo potrà giocare l’Europa, la culla della borghesia dinamica e innovatrice? Purtroppo da gran tempo quell’Europa non esiste più; anzi, forse non è mai esistita. Da quando il glorioso impero, sacro e romano, di Carlo Magno fu smembrato tra i suoi discendenti, da quando Francia e Germania si separarono e si formarono le prime monarchie “nazionali”, la vecchia Europa è stata dilaniata da mille differenziazioni: etniche, religiose, politiche. Anche la Chiesa di Roma, per mantenere un dominio morale se non giuridico sull’Italia, ha contribuito a questa 29 lacerazione appoggiandosi alla monarchia francese per contrastare il primato universale dell’Impero, e così facendo ha contribuito ad attirarsi quelle accuse di simonia e commistione fra sacro e profano che hanno prodotto l’ulteriore frattura tra protestanti, cattolici e anglicani. La borghesia, nell’Europa continentale, ha attecchito solo nelle libere città anseatiche, nei comuni dell’Italia settentrionale; ma è stato uno splendore di breve durata, soffocato dal crescente potere della burocrazia assolutistica. L’unico paese europeo nel quale la borghesia ha prosperato e plasmato la società e le istituzioni a sua immagine è stata l’Inghilterra; ma l’Inghilterra è, non a caso, un’isola. Il mare che la circonda rende inutile un esercito permanente, e senza esercito non si danno neppure burocrazia e assolutismo. Per questo è più corretto affermare che, se l’Europa è il continente, l’Inghilterra non è mai stata un paese europeo, bensì oceanico. Oggi gli europei si gloriano delle loro differenze, le considerano una ricchezza; dimenticano, o fingono di aver dimenticato, che esse hanno prodotto per mille anni lutti infiniti, guerre di religione, massacri per stabilire se il re d’Inghilterra potesse o meno governare i suoi possedimenti francesi, se il Reno dovesse essere un fiume tedesco oppure un confine tra Francia e Germania. Anche la storia insanguinata del Novecento è stata determinata dalle rivalità nazionalistiche tra potenze europee. Data questa situazione storica inconfutabile, l’unico ruolo che la vecchia Europa può svolgere nella lotta tra mondialisti e antimondialisti è quella del ritardatore, del freno, del bastone gettato fra le ruote del mondialismo per impedire la sua avanzata. Lo si è visto perfettamente a partire dagli anni ’90, quando gli europei si sono dimostrati ridicolmente incapaci di fermare il genocidio in Bosnia-Erzegovina e hanno dovuto chiedere aiuto agli Stati Uniti d’America, salvo accusarli d’imperialismo a cose fatte. Lo si è visto nuovamente quando gli Stati Uniti hanno deciso di farla finita con il tiranno Saddam: il re di Francia Chirac, degno erede della tronfia grandeur di De Gaulle, e il cancelliere prussiano Schroeder si sono alleati con lo zar Putin e con i mandarini cinesi per mantenere in sella un torturatore, un assassino dei suoi stessi parenti, uno sterminatore di donne e bambini con bombe e gas. Lo si è visto, infine, quando il califfo sanguinario ha colpito la città di Madrid: invece di stringersi come un sol uomo intorno al proprio governo per combattere il terrorismo assassino, gli spagnoli hanno cambiato il loro primo ministro e hanno patteggiato un’ignominiosa ritirata, una tregua che li ha coperti di vergogna e che li preserverà da altri attentati solo a condizione di privarli della loro dignità e libertà. Già ora, divisa com’è in venticinque Stati che perseguono ciascuno il proprio “sacro”, nefando egoismo nazionale, l’Europa costituisce un formidabile ostacolo alle misure che il mondialismo ritiene necessarie per l’unificazione e pacificazione dell’umanità. Ma ancor più grande sarebbe il pericolo, se questi frammenti sparsi riuscissero a delegare una parte cospicua della loro sovranità in politica estera ad una 30 entità sopranazionale; poiché una tale unità – lo dimostra la Storia, che è maestra di vita – potrebbe formarsi solo contro qualcuno: contro gli Stati Uniti d’America, il solo paese che per cento anni ha difeso, praticamente da solo, libertà e democrazia nel Vecchio Continente, il solo popolo ad essersi assunto l’onore e l’onere di lottare contro il terrorismo assassino anche per coloro che li dileggiano e li accusano di essere, contemporaneamente, idealisti e cinici, ingenui e arroganti, isolazionisti e imperialisti, tutto e il contrario di tutto. Nella misura in cui il movimento mondialista necessita di una base statuale, di uno Stato virtuoso che combatta e sconfigga gli Stati canaglia, amici del terrore e della dittatura, esso non potrà trovare tale base né in uno specifico paese europeo, né tantomeno in un superstato Europa la cui unica preoccupazione sarebbe di ostacolare, per quanto possibile, l’azione degli Stati Uniti d’America contro il terrorismo e per l’esportazione di libertà e democrazia. Pertanto è a questi ultimi che i mondialisti di tutti i paesi devono ora rivolgersi con rinnovata fiducia. 5. Mondialismo e America Gli Stati Uniti d’America sono stati per i primi centocinquant’anni della loro storia un paese ferreamente isolazionista. Protesi com’erano nella grandiosa opera di espansione verso l’Ovest, di assoggettamento di una natura selvaggia e di costruzione del primo Stato democratico e liberale di grandi dimensioni, gli americani hanno sdegnato con tutte le proprie forze d’ingerirsi nei conflitti che dilaniavano la vecchia Europa. Questo non impedì loro di liberare il popolo messicano dalla schiavitù degli Asburgo e d’inviare navi e uomini nel Mediterraneo per sgominare le orde di pirati barbareschi, che dalle coste africane esercitavano la tratta degli schiavi; fin dall’inizio i marines hanno rappresentato una speranza di libertà per il resto del mondo, «dai palazzi di Montezuma alle spiagge di Libia». È tuttavia vero che, fino ai primi anni del Novecento, alla diplomazia delle cannoniere essi preferirono quella del dollaro, alla conquista di territori la penetrazione in sempre nuovi mercati. Sono state le due guerre mondiali, e la necessità di contenere l’avanzata del comunismo – un’avanzata condotta nel modo più sporco e abietto, con oppositori fatti volar giù dalle finestre, elezioni truccate e finanziamento di organizzazioni terroristiche nel mondo libero – a far loro comprendere pienamente che la loro libertà e la loro sicurezza sarebbero state sempre in pericolo finché tutto il mondo non fosse stato liberato dai tiranni e dai dittatori, finché non fosse stata assicurata libertà e giustizia per tutti. Da questo punto di vista, la distruzione delle Due Torri non ha fatto altro che ricordare al popolo americano quell’antica lezione, e il programma dell’attuale presidente George Walker Bush non è che l’attualizzazione di una strategia inaugurata da Wilson e Truman. 31 Gli Stati Uniti d’America hanno tutti i requisiti per aspirare al dominio del mondo. La loro democrazia costituzionale e repubblicana ha superato indenne le prove dell’espansione continentale, della guerra civile, dell’allargamento del suffragio, dell’industrializzazione di massa. La loro economia è la più prospera e libera del pianeta, la più dinamica e aperta all’innovazione, al rimescolamento delle élites e all’ingresso di nuovi ricchi. Solo in America un ragazzo che giocava con i transistors nell’autorimessa di famiglia poteva diventare il re dei personal computers e uno degli uomini più facoltosi della storia; solo in America una fanciulla colored poteva diventare Segretario di Stato. La loro società, pluralista senza lotte di classe e laica senza laicismi, riesce egregiamente a bilanciare il massimo grado di libertà individuale con la necessità di rispettare leggi e istituzioni comuni, a far coesistere una giusta separazione tra sfera sacra e sfera secolare con una religiosità diffusa e profondamente radicata nelle menti e nei cuori dei cittadini. La loro politica estera è stata sempre orientata dall’imperativo supremo di accrescere nel mondo libertà e democrazia, di allargare lo spazio del libero commercio e di preservare la libertà di coscienza, come è dimostrato a sufficienza dal loro sacrificio d’uomini e di mezzi nella lotta contro gli Imperi Centrali, contro i totalitarismi nazifascista e comunista, per l’indipendenza delle repubbliche baltiche e l’affrancamento dell’Europa orientale dall’egemonia sovietica. L’appoggio degli Stati Uniti è stato determinante per la riuscita della “rivoluzione delle rose” in Georgia; il monito di Washington ha indotto lo zar Putin a rinunciare ai suoi sporchi trucchi per far vincere il suo uomo di paglia a Kiev, e ad accettare il verdetto del popolo ucraino; la semplice presenza di basi militari americane in Kirghizistan è stata sufficiente per dare alla popolazione il coraggio di ribellarsi all’ennesimo broglio elettorale, e di rovesciare un regime corrotto e autoritario. Solo gli Stati Uniti d’America possiedono la forza economica e militare necessaria per sconfiggere gli Stati canaglia che foraggiano il terrorismo islamico; per liberare i paesi come Cuba e il Vietnam ancora schiavi del comunismo; per difendere la libertà di Taiwan dalle grinfie del drago cinese, e costringerlo a togliere le sue zanne dal Tibet; per distruggere l’autocrazia in Russia e le dittature in tutti i paesi del Terzo Mondo; per impedire che l’Europa sviluppi la propria unità politica in funzione antiamericana, trasformandosi nel banchiere di tutti i tiranni e nel complice di tutte le pulizie etniche. Solo gli Stati Uniti d’America hanno la forza e la volontà per attuare quella che l’ultimo Pontefice ha chiamato «ingerenza umanitaria» a favore dei poveri, degli oppressi, dei perseguitati da regimi tirannici e sanguinari. Lo hanno fatto in Bosnia e in Kossovo, in Afghanistan e in Iraq; lo faranno ancora e sempre, ovunque siano conculcati i diritti imprescrittibili di ogni uomo alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Per tutti questi motivi essi devono ricevere dai mondialisti il più sincero appoggio, la più sicura fedeltà e la massima collaborazione nella loro azione politica su scala planetaria. Per gli stessi motivi essi devono diventare la base avanzata, la 32 portaerei e la punta di lancia per la costruzione di un Impero mondiale che li veda assumere la guida dell’umanità. Questo compito non è superiore alle forze del popolo americano; esso richiede tuttavia scelte coraggiose e ineludibili. Richiede che si denunci con franchezza e senza falsi rispetti lo stato di miseria morale e spirituale in cui versa l’Organizzazione delle Nazioni Unite, che essi hanno pur creato, ma che da decenni è ostaggio dei peggiori tiranni e dittatori, oltre che del potere di veto di francesi, russi e cinesi; compari che si coprono le spalle l’un l’altro, complici nella spoliazione dei popoli del Terzo e Quarto Mondo, alleati nella guerra contro la società libera e aperta rappresentata dalla bandiera a stelle e strisce che i loro servi senza cervello, i loro utili idioti bruciano invano nelle piazze. Richiede che si lavori per la creazione di una Lega delle democrazie a guida americana, che abbia il coraggio di lottare contro i terroristi fanatici e i loro padrini statali anche a costo di esser considerati dei fuorilegge dai sacerdoti del vecchio diritto internazionale in disfacimento, di essere etichettati come cowboys dal grilletto facile da chi è pronto ad allearsi con i peggiori assassini pur di aver salva la vita. Richiede che si abbandoni, nella teoria e nella prassi, il falso mito della sovranità nazionale e dei mille egoismi localistici, e che si intraprenda coraggiosamente e con dovizia di mezzi e d’uomini la creazione di basi militari permanenti in Iraq, in Afghanistan e in tutti i paesi progressivamente liberati dai tiranni. Solo se i riottosi capitribù e potenti locali constateranno che la presenza americana sul loro suolo non è una parentesi, essi potranno persuadersi con buona coscienza a collaborare all’edificazione di società civili aperte e democratiche. Richiede, soprattutto, che il popolo degli Stati Uniti d’America prenda finalmente coscienza della missione provvidenziale ad esso affidata: essere la cittadella sul monte, il faro destinato ad illuminare le genti, l’ostetrico del parto di un’umanità finalmente riunita e in pace. 33 III IL PROGRAMMA MONDIALISTA Abbiamo già visto sopra che il primo passo nella rivoluzione dei mondialisti è l'elevazione della borghesia a classe dominante, la conquista della democrazia liberale e dello Stato di diritto. Il mondialismo userà il suo potere politico per strappare progressivamente agli integralisti e ai nazionalisti tutti i loro strumenti di dominio sulle menti e sui cuori degli uomini e delle donne, per instaurare lo Stato di diritto e il libero mercato, e per aumentare così la prosperità generale e sollevare le condizioni dei miseri. Ciò non potrà accadere solo ricorrendo ai tradizionali interventi umanitari e alla riduzione del debito dei paesi sottosviluppati, ma necessariamente anche mediante l’uso meditato, flessibile e strategico della diplomazia, dei blocchi economici (embargos) e della forza militare, insomma attraverso misure che appaiono insufficienti e inconsistenti se prese isolatamente, ma che interagendo fra loro si spingono oltre i propri limiti e sono inevitabili strumenti di trasformazione dell'intero assetto dei rapporti internazionali. Queste misure saranno naturalmente differenti da paese a paese. Per i prossimi cento anni potranno comunque essere molto generalmente prese le misure seguenti: Acquisizione da parte del popolo degli Stati Uniti d’America della coscienza di sé e della propria missione emancipatrice a livello mondiale, e della necessità di pagare il costo in vite umane e sicurezza che ciò comporterà fino alla realizzazione della propria vocazione imperiale. Denuncia della miseria spirituale e dell’ipocrisia in cui versa l’Organizzazione delle Nazioni Unite, vetrina e palcoscenico di tiranni e dittatori, e suo progressivo svuotamento ed esautorazione. Creazione di una Unione Oceanica delle Democrazie guidata dagli Stati Uniti d’America, che comprenda il Canada, il Regno Unito e i paesi più civilizzati e democratici del Commonwealth (Australia e Nuova Zelanda, Sudafrica, Giamaica). Allargamento progressivo di questa Unione ai membri della «coalizione dei volenterosi» che ha sconfitto Saddam Hussein: la Polonia e gli altri paesi della nuova Europa desiderosi di affrancarsi dalla tutela dell’orso russo, le Repubbliche baltiche, la Georgia, l’Ucraina, l’Armenia, il Kirghizistan e le altre repubbliche dell’Asia centrale. Creazione in tutti 34 questi paesi, come pure in Iraq e Afghanistan, di basi militari permanenti, che favoriscano la penetrazione americana nel Medio Oriente e nell’Asia centrale e assicurino, in prospettiva, il controllo strategico dell’Eurasia. Pressione diplomatica e commerciale sull’Unione Europea per impedire la sua trasformazione in un “grande spazio” politico anti-americano. Sostegno economico, diplomatico e militare a tutti gli intellettuali e i movimenti progressisti dei paesi sottoposti a tirannie e dittature, concessione della cittadinanza americana agli emigrati e ribelli. Impegno degli Stati Uniti d’America, alla testa dell’Unione Oceanica, nella guerra ideologica, mediatica, economica e militare contro gli imperi della Terra di Mezzo. Obiettivi: secolarizzare l’Islam, democratizzare la Cina, occidentalizzare la Russia, americanizzare l’Europa. Espropriazione del potere politico dalle mani dei vertici religiosi integralisti, dei mullah e degli ayatollah, dei burocrati e dei militari, e suo conferimento a governi laici, responsabili davanti al popolo. Educazione gratuita di tutti i bambini secondo le libere scelte dei genitori. Abolizione del lavoro dei bambini e del loro impiego nelle guerre e guerriglie. Uso capillare dei mezzi di comunicazione, in particolare Internet, per l’insegnamento dei princìpi e valori del mondialismo: uguale dignità di tutti gli individui umani dal concepimento alla morte naturale; uguale diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità; separazione fra religione e politica; appartenenza di tutti gli uomini e le donne all’unica specie umana. Adozione di misure pedagogico-simboliche e di programmi di educazione scolastica che favoriscano il progressivo superamento delle diffidenze fra gli appartenenti a diverse etnie. Particolare enfasi andrà conferita ai matrimoni misti. Sostituzione di tutte le valute nazionali con una sola moneta mondiale (la quasi perfetta parità fra Euro e Dollaro faciliterà tale compito). Graduale abbattimento delle barriere doganali, tariffarie, al libero movimento di merci, capitali e uomini, fino alla depoliticizzazione degli Stati nazionali e alla loro trasformazione in entità puramente amministrative di un Impero mondiale. 35 Una volta sparite, nel corso di questa evoluzione, le differenze di origine, e una volta concentrato tutto il potere nelle mani della classe universale, il luogo di nascita perderà il suo carattere politico. Il luogo di nascita in senso proprio è lo strumento organizzato di una etnia per soggiogarne un'altra. Quando gli Stati Uniti d’America prenderanno coscienza della loro missione nella lotta contro la tirannide, erigendosi a Stato egemone in seguito a una rivoluzione, e abolendo con la forza, in quanto Stato egemone, i vecchi rapporti di discriminazione fra “dentro” e “fuori”, insieme a quei rapporti di discriminazione essi aboliranno anche le condizioni di esistenza della contrapposizione fra etnie, delle etnie in genere, e così anche il dominio del popolo statunitense in quanto etnia privilegiata sulle altre. Al posto della vecchia umanità chiusa con le sue etnie e le sue contrapposizioni fra etnie, subentrerà una società aperta in cui il libero sviluppo di ciascuno sarà condizione del libero sviluppo di tutti. I mondialisti sprezzano l'idea di nascondere le proprie opinioni e intenzioni. Essi dichiarano apertamente di poter raggiungere i loro obiettivi solo con il rovesciamento e l’apertura di ogni ordinamento chiuso e settario finora esistente. I mullah e gli ayatollah, il re di Francia e lo zar di Russia, i mandarini cinesi e gli sceicchi arabi tremino al pensiero di una rivoluzione mondialista. Gli esiliati, gli apolidi, i reietti, i poveri non hanno da perdervi altro che le proprie catene. E hanno un mondo da conquistare. Mondialisti di tutti i paesi, unitevi! 36 COME DIVENTARE MONDIALISTI Ogni associazione umana si dà una struttura, una organizzazione in vista dello scopo che intende raggiungere: è chiaro a tutti che la struttura organizzativa di una associazione di giocatori di scacchi è diversa da quella di una chiesa, e questa dall'organizzazione di un partito politico. Il fine dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e del suo ramo esecutivo, il Partito Mondialista, è radicalmente diverso da quello dei tradizionali partiti che hanno calcato la scena negli ultimi cento anni. Noi non ambiamo a conquistare il potere in questo o quello Stato, bensì a DIFFONDERE UN'IDEA, UN PROGETTO, quell'Idea e quel Progetto che troverete esposti nel nostro Manifesto fondativo: l'Idea, nascente dal riconoscimento obiettivo della natura umana e dall'insegnamento della Storia, che ogni individuo umano, in tutti i luoghi e in tutte le epoche, ha il diritto fondamentale e inalienabile a salvaguardare la propria vita, a scegliere liberamente il proprio coniuge, a esercitare la propria libertà e creatività per il sostentamento suo e dei suoi familiari e a godere del frutto del proprio lavoro senza subire discriminazioni di sesso, razza o religione; e il grande Progetto, che costituisce la coerente deduzione da quella premessa, di rimuovere la fonte prima di tali discriminazioni, la divisione dell'umanità in stati e staterelli a base etno-nazionalistico-religiosa con la conseguente differenziazione degli uomini fra chi è "dentro" e chi è "fuori", fra chi appartiene al mio gruppo, e pertanto merita il mio rispetto, e chi appartiene ad un altro gruppo, e perciò meriterebbe solo diffidenza, disprezzo, ostilità. Tale rimozione potrà avvenire soltanto quando la più grande democrazia del pianeta, gli Stati Uniti d'America che hanno liberato il mondo dalla tirannide nazifascista e dal totalitarismo comunista, e che ora conducono pressoché in solitudine la guerra contro il terrorismo fondamentalista islamico e gli Stati-canaglia, prenderanno coscienza della missione storica loro affidata di estendere la loro leadership su tutti i popoli della Terra e di fondare un Impero mondiale che abbatta finalmente ogni frontiera; e quando, contemporaneamente, tutti gli uomini e i popoli della Terra comprenderanno che tale dominio planetario degli Stati Uniti d'America non significherà per essi una dura schiavitù, ma anzi la condizione per porre termine ad ogni rapporto di superiorità-sudditanza tra i popoli, per la costituzione di una Società Aperta Globale nella quale ogni individuo umano potrà sviluppare i propri talenti per il progresso comune. Data questa finalità del Partito Mondialista, ne segue che esso non ha alcun interesse a distribuire tessere di appartenenza, a raccogliere finanziamenti o a colonizzare le istituzioni. Quel che ci interessa è conquistare le menti e i cuori degli uomini e delle donne, far loro comprendere che il mondialismo è per essi ciò che per il borghese gentiluomo di Molière era il parlare in prosa: un elemento strutturale della loro natura umana, qualcosa che essi, nella loro mente e nel loro cuore, hanno sempre conosciuto e desiderato, ma senza esserne consapevoli. Chi prende coscienza del carattere intrinsecamente mondialista della natura umana, e opera di conseguenza per 37 la creazione di uno Stato universale, il solo degno di individui non rinchiusi nelle loro particolarità di sesso, di etnia, di religione, di individui veramente universali, costui è già mondialista senza alcun bisogno di ricevere da noi una tessera. 38 MONDIALISMO E ISLAM 39 ISRAELE COMBATTE PER NOI (20/7/2006) La guerra di Israele contro il fondamentalismo assassino incontra ostacoli di cui solo un ingenuo potrebbe meravigliarsi: è noto a tutti – anche alle cancellerie della Vecchia Europa che ancora rifiutano di inserire Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche, e persino a Prodi, l’«amico degli arabi» – che il regime iraniano degli ayatollah ha dato in subappalto da anni al partito del falso Dio e al suo compare di Gaza (Hamas) l’esecuzione di attentati contro la popolazione civile israeliana. Gli attacchi condotti attraverso tunnel sotterranei con il rapimento e l’uccisione di soldati e coloni, come pure i lanci di missili di fabbricazione cinese forniti da Teheran, da un lato costituiscono uno sviluppo meramente quantitativo del progetto criminale, annunciato dal folle Ahmadinejad, di estirpare dal corpo della Umma il “corpo estraneo piantato dall’Occidente”; dall’altro dimostrano al di là di ogni ragionevole dubbio l’esistenza di quell’«asse del male» che, da Pyongyang a Pechino, da Mosca a Teheran, da Damasco a Cuba, desidera con tutte le sue forze distruggere la società liberale e prospera, fondata sul patrimonio di fede ebraicocristiano, che costituisce il prodotto e il vanto della civiltà occidentale. Lo scopo perseguito da questo asse di forze maligne – al quale prestano interessato sostegno sia i pavidi governanti europei, ormai avvezzi al ruolo di tesorieri dei dittatori, sia (e spiace dirlo) quei settori retrogradi della diplomazia vaticana che vogliono conservare alla Chiesa il ruolo di unica autorità universale – è impedire la costituzione di una società civile cosmopolitica, in cui sia bandita ogni discriminazione fondata sulla razza e sulla religione, in cui non ci sia più differenza tra chi è al di qua o al di là di un determinato confine, tra chi è “dentro” e chi è “fuori” di questo o quel gruppo; una società universale, in cui ad ogni individuo sia garantita la possibilità di sviluppare liberamente i propri talenti per il progresso materiale e spirituale dell’intera umanità. Le prove che oggi subisce Israele, del resto, sono identiche a quelle che ha sofferto e soffre il popolo degli Stati Uniti d’America dall’11 settembre 2001; è il destino della cittadella sul monte, essere assediata da barbari che vogliono soffocare la sua luce. Ma la Storia, maestra di vita, insegna che ogni scontro affrontato dai fautori dell’apertura contro i servi della chiusura etnicistica si è risolto con la sconfitta dei tiranni e con un’estensione della libertà e del benessere a sempre nuovi ceti, a sempre nuovi popoli. Così è avvenuto con la disfatta del Terzo Reich e la rovina della casta militare giapponese, così è avvenuto con l’implosione dell’Urss e il crollo dei regimi comunisti nell’Europa orientale; così avverrà anche in futuro – un futuro lontano, ma certo – quando le forze unite dei popoli fratelli, Israele e USA, condurranno a termine con successo le quattro guerre mondiali contro le potenze della Terra di Mezzo (Islam, Cina, Russia, Europa) e sanciranno la nascita di un Impero mondiale, l’unica entità politica capace di assicurare pace, libertà e giustizia per tutti. L’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire” e il suo ramo esecutivo, il Partito Mondialista, rinnovano la loro solidarietà alle democrazie di USA e Israele impegnate nella lotta per la liberazione del mondo e confermano la ferma 40 volontà di continuare a operare, in applicazione delle determinazioni adottate nel Convegno di Roma del 3 aprile 2005 e pubblicate nel nostro Manifesto, con la parola e con tutti gli altri mezzi LEGALMENTE VALIDI, per il perseguimento di questo nobile scopo. 41 PER UNA VERA PACE (26/7/2006) Soltanto l'attuale presidente del Consiglio italiano, il sempresorridente Prodi, può ostentare ottimismo nei confronti della conferenza "di pace" che si è appena aperta a Roma. Non è infatti possibile aspettarsi nulla di buono da una assise dalla quale sono programmaticamente assenti, da un lato il regime iraniano degli ayatollah e il suo servo siriano, ispiratori e finanziatori del terrorismo fondamentalista e assassino di Hamas e Hezbollah, dall'altro quello Stato di Israele che da settimane è violentemente aggredito e costretto a lottare per la propria sopravvivenza. Il fatto che nessun rappresentante di un governo islamico, sia esso "moderato" o radicale, da sessanta anni voglia sedere allo stesso tavolo con un ambasciatore della «entità sionista», e che il sunnita bin Laden si prepari a diffondere, proprio in queste ore, un messaggio in cui manifesta l'appoggio di al Qaeda agli Hezbollah sciiti e al loro padrino, l'Iran del folle Ahmadinejad che vuol dotarsi della bomba atomica per cancellare Israele dalla carta geografica, dimostra a qualsiasi persona non accecata da pregiudizi ideologici – il che esclude gli antisemiti e gli antiamericani di destra e di sinistra, i sostenitori di una Unione Europea “autonoma” dagli Stati Uniti e i fanatici eurasisti che sognano una santa alleanza tra Berlino, Mosca e Teheran – che la vera posta in gioco dell’attuale conflitto non è la vita di tre soldati rapiti a tradimento contro il presunto “diritto” dell’etnia palestinese a farsi Stato o la tutela della dimezzata sovranità libanese, ma il diritto di Israele a esistere nella sua sede storica contro la pretesa, comune a ogni sottomesso ad Allah, di riconquistare all’Islam quel territorio per l’unico motivo che esso è stato invaso, strappato all’Impero Romano e detenuto da islamici per quasi mille anni. Per la mentalità islamica qualsiasi pezzetto di terra sia mai stato abitato da un muslim, qualunque luogo nel quale sorga una moschea diventa automaticamente dar el-Islam, territorio inalienabile del profeta sanguinario, e i suoi adepti sono obbligati e autorizzati a usare ogni mezzo, dalla menzogna all’omicidio e alla strage, per mantenerne il possesso fino alla fine dei secoli. È per questo motivo che ogni governante islamico ottiene la propria legittimazione, o la perde (come è accaduto a Sadat), sulla base della capacità con cui persegue l’obiettivo di ributtare gli Ebrei in mare. Ma quel che i pavidi Europei devono capire sopra ogni altra cosa è che la distruzione dello Stato ebraico, per gli islamici fondamentalisti, non sarebbe che il primo passo in vista del loro progetto: ricostituire un Califfato esteso da Casablanca a Bali, così potente da invadere il continente europeo, giungere a Roma, sottomettere il Papa e porre i “crociati” del Vecchio Continente di fronte alla stessa alternativa alla quale furono sottoposti quando l’Islam dilagava per tutto il Mediterraneo, convertirsi ad Allah e Maometto, accettando la sottomissione delle donne e la perdita della propria libertà e dignità, o essere sgozzati come pecore da macello. Gli atei e materialisti della sinistra continentale, i quali sperano di salvare la pelle tendendo la mano agli invasori, sappiano che il mondo islamico ha la vista più acuta della loro: esso ha riconosciuto per tempo che la rivoluzione francese e il comunismo, Voltaire e 42 Marx, non sono altro che variazioni all’interno di quell’Occidente le cui radici affondano nel patrimonio di fede ebraico-cristiano, e che è proprio in grazia di quel patrimonio di fede e dei connessi princìpi della separazione tra Cesare e Dio, del primato dell’individuo sulla comunità e della libera espressione della propria personalità, che l’Occidente ha esteso il proprio dominio su tutto il mondo e ha sottomesso l’Islam, determinando il sorgere di quel patologico sentimento di rivalsa che fomenta il terrorismo assassino. Per tutti questi motivi è necessario che gli uomini liberi, da ogni terra e paese, si uniscano alla lotta del popolo d’Israele e del suo unico alleato, la grande democrazia statunitense, contro i nemici della libertà e della pace, e collaborino all’edificazione di un Impero mondiale che abbracci tutta l’umanità, che abbatta i confini tra i popoli, distrugga gli odi di razza e di religione, e assicuri finalmente la vera pace, nella libertà e nella giustizia, per tutti. A questo meritorio compito l’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire” e il suo ramo esecutivo, il Partito Mondialista, continueranno a dare, come sempre, il loro contributo. 43 LA POSTA IN GIOCO (4/8/2006) L’ultima riunione della Conferenza dell’Organizzazione Islamica in Malaysia ha chiarito una volta per tutte, se ce ne fosse ancora bisogno, i veri termini della “questione israelo-libanese”. In primo luogo, il sostegno unanime dato alla “resistenza” Hezbollah contro l’ “aggressione” israeliana, e la contemporanea richiesta alla comunità internazionale di «non lasciare impuniti tali crimini contro i diritti dell’uomo», dimostra che le classi dirigenti islamiche hanno un concetto di diritti umani e di aggressione narcisisticamente autoreferenziale: per essi un musulmano avrebbe il diritto di imporre la propria fede con la menzogna e la violenza, sottomettendo e uccidendo chi non si converte al sanguinario idolo Allah e al falso profeta Maometto, mentre gli “infedeli” non avrebbero alcun diritto, neppure quello elementare di difendersi... Ma il suggello all’assise islamica è stato dato dal folle Ahmadinejad, il quale è ormai determinato a stabilire sul Medio Oriente l’egemonia di una (inedita, ma non sorprendente) alleanza tra l’Islam sciita degli ayatollah e l’Islam sunnita di Al Qaeda. Il dittatore iraniano ha affermato esplicitamente che la richiesta «doverosa» di un cessate il fuoco immediato in Libano costituisce una mossa meramente tattica, dal momento che, a suo dire, «l’unica soluzione del problema mediorientale sarebbe la distruzione dell’entità sionista». In questo modo Ahmadinejad ha messo davanti agli occhi dell’Occidente quella che per i fondamentalisti è la vera posta in gioco: non la restaurazione della sovranità libanese – una maschera di cartapesta da quando Arafat fece di Beirut la capitale dei dirottamenti – e neppure la creazione di uno Statonazione palestinese, bensì la distruzione dello Stato di Israele, il completamento dell’opera di sterminio degli Ebrei iniziata da Hitler, il genocidio di un popolo colpevole di aver insegnato al mondo la fede nella libertà e dignità dell’uomo. Per questo ogni abitante del mondo libero ha il dovere morale di unirsi con la mente, con il cuore e con il braccio alla lotta del popolo di Israele per la propria sopravvivenza. E l’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire”, insieme al suo ramo esecutivo, il Partito Mondialista, sarà in prima fila in questa lotta, nella certezza che, come sono stati sconfitti il totalitarismo nazifascista e la tirannide comunista, così, un giorno, sarà distrutta la feroce teocrazia islamica, e l’umanità vedrà finalmente la pace. 44 STUPRI ISLAMICI, LE FEMMINISTE TACCIONO (27/8/2006) Può aver stupito molti il modo in cui la sinistra attualmente al governo in Italia sta facendo passar sotto silenzio l’ondata di violenze sessuali consumatesi negli ultimi giorni a Milano: il prefetto (la cui permanenza in carica dipende dalla volontà della maggioranza di volta in volta al potere) afferma che «non c’è un’emergenza stupri», e le televisioni di Stato, allineate con il Tg3 di Telekabul (ma quanti, oggi, ricordano l’appoggio vergognosamente sfacciato dato dal 1979, per dieci anni, all’invasione sovietica in Afghanistan, madre del successivo feroce regime talebano?), affermano addirittura che il racconto di due giovani turiste francesi, violentate per ore da quelli che sembravano gentili coetanei, sarebbe «contraddittorio», presenterebbe «punti oscuri», sarebbe insomma «tutto da verificare». Può stupire, soprattutto, che a questa operazione di insabbiamento si sia prestata anche la componente femminista, da sempre inflessibile nel denunciare ogni dubbio sulla sincerità delle vittime di stupro come espressione di odioso “machismo”, come una seconda violenza perpetrata contro la dignità delle donne. Può stupire molti, ma non stupisce chi, come noi dell’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire” siamo allenati a cogliere nell’episodio apparentemente più isolato le tracce di un disegno generale, di quella guerra perenne tra apertura e chiusura, tra libertà e illibertà, tra uguaglianza e discriminazione, tra democrazia e tirannide, tra mondialismo e antimondialismo che si combatte ogni giorno, in ogni luogo, dall’inizio della storia umana. Il motivo del silenzio delle femministe e di tutta l’italica sinistra su questi stupri è molto semplice: sono stati tutti commessi da islamici. Il femminismo italiano, fin dai tempi delle lotte per la legalizzazione del divorzio e dell’aborto, non è mai stato semplicemente “dalla parte delle donne”. Esso, in realtà, mirava a scardinare l’impianto tradizionale, “borghese” della famiglia quale comunità vitalizia formata da un uomo e una donna per la generazione, l’allevamento e l’educazione dei figli, contrapponendole idee e prassi (lo scioglimento del matrimonio ad libitum, la formazione di “famiglie allargate”, l’infanticidio prenatale) che sono state propagandate come “moderne” e “progressiste”, quando in realtà sono tipiche di culture arcaiche, decrepite: la poligamia, il ripudio della moglie, il matrimonio “a tempo”, l’infanticidio sono istituti caratteristici dei popoli dell’Africa nera, della Cina (nelle cui campagne ancora oggi le bambine vengono affogate nei fiumi alla nascita per non costringere il capofamiglia a pagare la dote nuziale) e soprattutto dell’Islam. Il Corano prevede addirittura la facoltà, per un uomo che voglia avere un rapporto sessuale estemporaneo, di celebrare un matrimonio valido solo una o due ore, dopodiché costui non ha alcun obbligo nei confronti della sedotta e abbandonata, neppure quello di contribuire al mantenimento del bambino eventualmente concepito con la sventurata di turno; la quale nel frattempo rischia pure di essere lapidata come adultera, con la benedizione di Allah e Maometto. È per questo che le femministe italiane (e anche europee), dopo aver ottenuto quanto la Sinistra radical-marxista si era prefissa in termini di distruzione della 45 famiglia “occidentale”, ora guardano con comprensione agli immigrati musulmani che vogliono vivere la loro poligamia alla luce del sole, alle donne musulmane infibulate da bambine che vogliono infliggere lo stesso supplizio alle loro figlie per renderle “accettabili” ai futuri mariti della medesima fede, e persino a quei marocchini, algerini, tunisini che sfogano i loro istinti bestiali su donne italiane allo stesso modo in cui gli sgherri serbi di Milosevic e Karadzic violentavano le donne bosniache. Si tratta anche qui di veri e propri stupri etnici, volti a sancire la superiorità degli immigrati, nuova “razza padrona”, sugli autoctoni, a preparare il tempo in cui l’intera Europa, prostrata dall’impoverimento demografico e dall’invasione dei nuovi barbari, si trasformerebbe in Eurabia, realizzando il sogno dei bin Laden e degli Ahmadinejad di un Califfato mondiale che distrugga il “grande satana” americano e faccia piazza pulita dell’odiata “entità sionista”; e per questo la Sinistra, la quale ha sempre disprezzato i valori della libertà individuale e dell’uguaglianza che fanno veramente moderno l’Occidente, tace imbarazzata sugli stupri islamici, vergognandosi di ammettere che il suo obiettivo è l’esatto contrario di quanto propagandato per decenni: è il ritorno al Medioevo, alla donna proprietà del padre e marito (vedi il silenzio ugualmente imbarazzato sull’assassinio della pakistana Hina Saleem, sgozzata dai maschi della sua famiglia per aver rifiutato un matrimonio combinato ed essersi fidanzata con un “infedele”, e su tutte le donne musulmane sfregiate col vetriolo). A tutto questo noi dell’Associazione “New Atlantis for a World Empire” e del Partito Mondialista ci opporremo con tutte le forze, per la vera libertà e la vera emancipazione di tutte le donne e di tutti gli uomini del mondo. 46 IL DIO DI GESÙ CRISTO NON È IL DIO DI MAOMETTO (16/9/2006) Gli studiosi di ecclesiologia dei secoli futuri, e non solo essi, studieranno con particolare interesse la relazione su “Fede e Ragione” tenuta da Benedetto XVI presso l’università di Ratisbona (Regensburg) allorché il romano Pontefice, non immemore dell’antico spirito del professore di teologia Joseph Ratzinger che già aveva dialogato in modo fecondo con il teo-con Marcello Pera sulle radici cristiane dell’Occidente, ha esposto con un argomentare cristallino la differenza fondamentale tra il Cristianesimo (quello autentico, non le sue deviazioni fondamentalistico-creazioniste o positiviste di matrice protestante) e l’islamismo: il primo fondato sulla visione di Dio come Logos, Ragione creatrice e ordinatrice dell’universo; il secondo su una concezione del tutto arbitraria della volontà divina che legittima l’uso della violenza per imporre la sharia. Davanti a una esposizione così pacata imam e ayatollah non hanno perso tempo per imbastire controrelazioni, per opporre argomenti ad argomenti: hanno immediatamente bollato il capo della Cristianità come “ignorante”, le sue parole come “deplorevoli”, gli hanno ordinato di presentare immediatamente le sue scuse, e come ulteriore dimostrazione di tolleranza lo hanno invitato a “toccarsi il collo, che presto gli verrà tagliato”. Alle parole, naturalmente, sono subito seguiti i fatti, in questo caso il lancio di bombe contro due chiese di Nablus e il brutale assassinio di una suora missionaria che aveva dedicato l’intera vita ai poveri della Somalia. Tanto per dimostrare quanto sono tolleranti, loro... Di fronte alla prospettiva di un miliardo e mezzo di musulmani pronti a tagliar la gola al primo cristiano che incontrano – e non è un’esagerazione, come dimostrano anche gli omicidi di sacerdoti avvenuti nella “tollerante” Turchia, il cui gran muftì ha diffidato il Papa dal venire in visita nel prossimo novembre – Benedetto XVI per bocca del neo-segretario di Stato card. Bertone ha fatto sapere di aver voluto soltanto svolgere «alcune riflessioni sul tema del rapporto tra religione e violenza in genere»; ha ricordato che «di fronte alla fervente religiosità dei credenti musulmani, ha ammonito la cultura occidentale secolarizzata perché eviti “il disprezzo di Dio e il cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà”»; ha affermato che «le manifestazioni di violenza non possono attribuirsi alla religione in quanto tale, ma ai limiti culturali con cui essa viene vissuta e si sviluppa nel tempo» e che «testimonianze dell’intimo legame esistente tra il rapporto con Dio e l’etica dell’amore si registrano in tutte le grandi tradizioni religiose»; si è proclamato «vivamente dispiaciuto che alcuni passi del Suo discorso abbiano potuto suonare come offensivi della sensibilità dei credenti musulmani»; e, nel ribadire «il Suo rispetto e la Sua stima» per coloro che professano l’Islam, ha auspicato una «testimonianza comune» di cristiani e musulmani all’«unico Dio, vivente e sussistente, creatore del cielo e della terra». Ora, noi dell’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire” non intendiamo essere più “papisti” del Papa. Ci preme solo mettere in rilievo come sussista una palese contraddizione fra questi due atteggiamenti: da un lato 47 l’evidenziare la differenza, prima che storica, dottrinale che passa fra una religione, come il Cristianesimo, che pone la relazione uomo-Dio sotto il segno della razionalità, affermando che Dio vuole il bene e il vero, è “fedele”, e un’altra, come l’Islam, la quale si gloria dell’assoluta arbitrarietà e imprevedibilità del suo dio, affermando che egli non sarebbe neppure tenuto a rivelare la verità agli uomini; dall’altro il cancellare ogni distinzione sotto la cappa del “timor di Dio” che contrassegnerebbe tutte le culture – tutte, s’intende, tranne l’Occidente “cinico e sprezzante del sacro”. La verità è che molti cattolici – e tra loro anche insigni uomini di Curia – nella loro ansia di mostrarsi attenti alla pluralità delle culture, non lo sono abbastanza per distinguere tra il concetto di Dio “in sé” e il concetto di Dio “per me”, e non comprendono che c’è una differenza abissale tra l’idea che dell’«unico» Dio hanno i cristiani e quella che ne hanno gli islamici: per gli uni Dio è il Dio di Gesù Cristo, colui che ha detto “Rendete a Cesare quel che è di Cesare” e che ha invitato i suoi discepoli a comprendere da loro stessi “ciò che è giusto”, un Dio che guarda alla rettitudine dell’agire più che alla conformità al culto esteriore e che “non fa preferenza di persone”; per gli altri Allah è un dominatore onnipotente il quale chiede di essere temuto piuttosto che amato, e che per bocca del suo profeta Maometto invita i suoi servi a mentire pur di sconfiggere gli “infedeli”. C’è dunque da meravigliarsi che il Cristianesimo abbia saputo accogliere prontamente la possente eredità della filosofia greca col suo primato del Logos, mentre l’Islam, dopo aver contribuito alla riscoperta dei classici, si chiudeva al pensiero raziocinante? Bisogna dunque ricordare che il califfo di Cordova nel 1195 condannava al rogo il filosofo Averroè per aver tentato di conciliare il Corano con la filosofia aristotelica, ed essendo questi fuggito in esilio dava alle fiamme i suoi libri, mentre Tommaso d’Aquino costruiva la sua Somma teologica – vera summa di tutto il sapere dell’epoca – sulla concordanza tra Aristotele e Cristo, e anzi proclamava che la filosofia era più utile della religione per il dialogo fra culture, dal momento che “la ragione è comune a tutti gli uomini”? O che la Bibbia è tradotta in più di cento lingue, mentre i musulmani studiano e pubblicano il Corano solo in arabo antico perché credono che Allah lo abbia dettato in questa lingua, come se il Dio “clemente e misericordioso” fosse monoglotta? E c’è ancora da meravigliarsi che l’Occidente greco-romano-cristiano abbia creato la democrazia e abbia conosciuto quello sviluppo travolgente delle arti, delle scienze e del diritto che ha portato la sua cultura a imporsi su tutte le altre, non per la potenza delle armi, ma per l’attrazione esercitata dalla sua superiore civiltà, mentre l’Islam – che non possiede neppure i termini in arabo per dire “democrazia” e “televisione” – si è espanso, finché ha potuto, solo con la violenza, per poi entrare in una crisi plurisecolare da cui pretende ora di uscire con una nuova guerra santa contro “ebrei e crociati”? Noi comprendiamo la preoccupazione pastorale del Papa per la sorte dei cristiani che vivono, tra mille difficoltà, in terre dove l’Islam è religione di Stato o comunque maggioritaria; ma ogni Papa dovrebbe ricordare sempre che il “gregge” affidatogli da Cristo non è ristretto all’ovile della Chiesa di Roma o dell’ecumene cristiano, ma comprende niente di meno che tutti i popoli della Terra, in tutte le epoche della storia; e che la sua missione consiste nel difendere, proprio in nome di 48 quel Dio che ha voluto unire la propria natura eterna a ogni carne mortale, i diritti di ogni individuo umano, che sia cristiano o musulmano o ebreo o buddista o perfino ateo. Così come hanno fatto i pontefici che hanno combattuto il nazifascismo e il comunismo; così come abbiamo sempre fatto e continueremo a fare noi dell’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire” e del Partito Mondialista. Consapevoli, come siamo, che la storia del mondo è storia della lotta fra gli adoratori del settarismo, della chiusura egoistica degli uomini in gruppi-recinto e della discriminazione fra chi è “dentro” e chi è “fuori”, da una parte, e quanti credono nell’uguaglianza di tutti gli uomini, nell’apertura reciproca dei gruppi e nel meticciato biologico e culturale, dall’altra; e che questa lotta avrà il suo termine inevitabile nella creazione di uno Stato universale per individui universali, di un Impero mondiale che abolirà ogni distinzione tra Giudei e Greci, tra schiavi e liberi, tra uomini e donne, e assicurerà finalmente pace, libertà e giustizia per tutti. 49 IL MONDIALISMO NON È UN IMPERIALISMO (4/7/2007) Nei due anni trascorsi da quando abbiamo deciso di aprire il nostro sito Internet in Italia abbiamo raccolto le opinioni formulate nei nostri confronti da molte persone, sia per contatto diretto con i nostri agenti, sia attraverso blog e forum sulla Rete. Abbiamo così constatato che molti considerano il mondialismo una bieca ideologia al servizio di una presunta ambizione ideologica di non meglio specificati circoli economico-finanziari, oppure di questa o quella multinazionale, o ancora del governo o del popolo degli Stati Uniti d’America in quanto «nazione imperialistica sin dalla sua fondazione», o addirittura dell’intero Occidente «ateo e materialista» impegnato in una aggressiva ri-colonizzazione del Terzo Mondo. Abbiamo pertanto deciso di riservare questo editoriale alla confutazione di tutte queste false opinioni su di noi e sulla nostra causa. Il mondialismo non si propone affatto di sostenere una colonizzazione del mondo islamico – perché è questo che temono gli antimondialisti, tutti più o meno antisemiti e nemici di Israele – né tantomeno di imporre un dominio imperialistico degli Usa sugli altri Stati del pianeta. In primo luogo, perché la conquista di territori altrui non rientra nelle ambizioni dell’uomo della strada e delle istituzioni politiche statunitensi, i quali sono stati caratterizzati entrambi, sin dall’epoca dei Padri Fondatori, dalla tendenza a presentarsi al mondo come la “città sulla collina”, come un modello luminoso di governo e di società liberi ed aperti, rispettosi dei diritti di tutti gli individui umani; tutti gli interventi militari che gli Stati Uniti d’America hanno effettuato sono sempre stati provocati da una aggressione esterna al loro stile di vita liberale e democratico, a partire dalla guerra di indipendenza contro l’assolutismo di Giorgio III, passando per l’affondamento della corazzata Maine che diede inizio alla vittoriosa guerra contro la Spagna (conclusasi con l’indipendenza di Cuba e con un brevissimo protettorato sulle Filippine, sfociato poi nell’indipendenza), fino al vile assalto giapponese di Pearl Harbour del 1941 e all’infame guerra scatenata non dagli Usa, ma dal fondamentalismo terrorista islamico sostenuto dagli Stati-canaglia (Russia, Cina, Iran e Siria) con la distruzione delle Torri Gemelle di New York l’11 settembre 2001. In secondo luogo, e soprattutto, perché il movimento mondialista muove dal principio dell’uguaglianza di tutti gli individui umani, a prescindere dal sesso, dalla fede o dal gruppo di nascita, e dall’altro principio, che dal primo discende, dell’uguale diritto di tutti gli individui umani alla vita, alla libertà in tutte le sue espressioni e alla ricerca della felicità; constata che, in realtà, tra gli uomini sono esistite ed esistono tuttora profondissime, spesso mortali, disuguaglianze; rileva che tale distanza fra princìpi e realtà deriva dal fatto che gli uomini tendono a valutare e a trattare i loro simili non come individui appartenenti alla specie umana e dotati della loro stessa natura umana, bensì a seconda che appartengano o meno al proprio gruppo di nascita, sia esso basato sul colore della pelle, sulla lingua, sui costumi o sulla religione, proteggendo i propri “compagni” e perseguitando, spesso fino al genocidio, gli “estranei”; e di conseguenza opera affinché tutti gli uomini e le donne del mondo 50 riconoscano la verità di quegli immortali princìpi e conformino ad essi le loro condotte individuali e collettive. Per tali motivi il Partito Mondialista ha esplicitamente affermato nel proprio Manifesto fondativo che i tre scandali del mondo islamico, la sottomissione della donna all’uomo, la sottomissione dei sudditi al califfo o dittatore del momento, e la sottomissione degli “infedeli” ai credenti in Allah, i quali insieme determinano l’arretratezza e la pericolosità di quella cultura per il mondo intero, sono tre facce dell’unico problema costituito dalla mancata accettazione da parte dell’Islam dell’aurea massima pronunciata da Gesù Cristo: «Rendete a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio», la quale sola può fondare una società e un governo rispettosi dei diritti di ogni individuo, come li ha fondati nei paesi occidentali determinando la loro superiorità morale e materiale. Ed è per gli stessi motivi che noi mondialisti auspichiamo la creazione di un Impero mondiale da parte degli Stati Uniti d’America: non per dare ad una etnia particolare un potere sovrano su tutte le altre etnie, dal momento che gli Usa sono il popolo più multietnico che esista; ma al contrario perché sappiamo, dalla lezione della Storia, che solo quando questo popolo multietnico assumerà la guida del processo di unificazione di tutti gli Stati e i popoli della terra si realizzeranno le condizioni necessarie per la depoliticizzazione di tutti gli Stati, per l’abbattimento di tutti i confini, in una parola per la completa eliminazione di tutte le discriminazioni fondate sul sesso, sulla razza, sulla religione e sull’appartenenza a qualsiasi gruppo particolare che hanno sempre funestato l’umanità. Questo non vuol dire, come temono i tradizionalisti e i localisti no-global, eliminare le differenze fra le varie culture e religioni in nome dell’omologazione ad un fantomatico “pensiero unico”; vuol dire invece impedire alle legittime differenze culturali di farsi pretesto per discriminazioni nel godimento degli inalienabili diritti umani. Che poi questa situazione di uguale godimento dei diritti da parte di ogni individuo umano, in ogni angolo della terra, venga chiamata Impero mondiale, Repubblica mondiale o in qualunque altro modo si preferisca, a noi mondialisti importa poco o nulla; se non per rendere il giusto tributo di riconoscenza a quei luminosi fari di civiltà che sono stati l'impero persiano, il primo impero multietnico della storia, l'impero di Ciro il Grande che restituì la libertà al popolo d'Israele, e l'impero di Roma che dai colli fatali irradiò la civiltà all'intera Europa, insegnando all'Occidente ad «avere pietà di chi si sottomette» e insieme a «debellare i superbi». Proprio quel che dovrà fare il popolo degli Stati Uniti d'America, degno erede delle insegne dell'aquila, per instaurare il proprio impero, l'Impero mondiale che libererà le genti dalle discriminazioni derivanti dall'etnia, dalla religione e dal luogo di nascita e assicurerà ad ogni individuo umano i sacri e naturali diritti alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. 51 ISRAELE IN PERICOLO, EUROPA INDIFFERENTE (20/9/2007) Israele è in pericolo di vita. Ormai da un anno, dopo che l’attacco lanciato contro il movimento fondamentalista islamico Hezbollah e le sue basi in Libano è fallito a causa dei micidiali bombardamenti compiuti dai terroristi (con missili a lungo raggio forniti da Russia e Cina, via Iran e Siria) e soprattutto della sorda ostilità delle cancellerie europee timorose di inimicarsi l’Islam, lo Stato ebraico è vittima di una manovra a tenaglia che lo sta progressivamente accerchiando: dalla striscia di Gaza – che ieri il gabinetto di sicurezza di Gerusalemme è stato costretto a dichiarare “entità nemica” – partono ogni giorno razzi Qassam contro le città meridionali di Sderot e Asqelon; a nord Damasco non solo dispiega sempre maggiori truppe e armi presso le alture del Golan, ma sta decimando a colpi di autobombe la già esigua maggioranza libanese antisiriana (l’ultima vittima è il leader cristiano Antoine Ghanem, assassinato ieri) allo scopo di riprendere il controllo di quel paese e utilizzarlo come base avanzata per lanciare attacchi contro Israele. Quanto all’Iran, non passa giorno senza che il fanatico tiranno Mahmoud Ahmadinejad o qualcuno dei suoi scagnozzi non annuncino alle masse la prossima cancellazione dalla faccia della terra della nefanda «entità sionista»; e solo un no-global ingenuo o un comunista ipocrita può ignorare, o fingere di non sapere, che Teheran è il burattinaio che muove i fili di Hamas ed Hezbollah e li rifornisce di armi e denaro, e che gli impianti nucleari già funzionanti e quelli in costruzione (venduti a prezzo di favore dal cekista Putin come i razzi anticarro e i missili balistici) non serviranno a produrre energia elettrica, ma bombe atomiche da lanciare su Tel Aviv, Haifa e le altre città israeliane. Di fronte a questa Apocalisse annunciata, qual’è la reazione dell’Europa? Ad oggi solo la Francia, beneficata dal nuovo corso della presidenza Sarkozy, ha mostrato di comprendere il pericolo rappresentato da un Iran potenza nucleare e dotato di missili intercontinentali di fabbricazione russo-cinese, non solo per la sopravvivenza del popolo d’Israele, ma anche per la sicurezza del Vecchio Continente che vedrebbe messa a ferro e fuoco almeno metà del proprio territorio (da Berlino a oriente, per intendersi) e per bocca del suo nuovo ministro degli Esteri Bernard Kouchner ha invitato le imprese francesi a interrompere ogni rapporto commerciale con Teheran e ha affermato senza mezzi termini che «bisogna prepararsi alla guerra». Le altre cancellerie europee - a partire dall'arrogante D'Alema che va a braccetto con il capo di Hezbollah e afferma che «non si deve isolare Hamas» ostentano un imbarazzatissimo silenzio, strette fra il consueto timore di provocare l’ira delle masse islamiche (le quali non hanno alcun bisogno di “provocazioni”, bastando loro la fatwa di qualche imam per scatenarsi) e la speranza che il regime degli ayatollah sia solo una cricca di giocatori di poker che bluffano o una congrega di vecchie volpi della diplomazia che chiedono cento per ottenere cinquanta. Certo il pericolo che i musulmani residenti in Europa si diano a rivolte di piazza come nelle banlieues di Francia qualche anno fa esiste, come pure è fondato il timore che un’ondata di violenza contro gli occidentali si abbatta da Casablanca a Kuala Lumpur; ma sarebbe ingenuo e folle pensare che l’aggressione del fondamentalismo 52 islamico possa essere neutralizzata accondiscendendo a ogni sua richiesta, costruendo sempre più moschee a spese dei contribuenti non-islamici e rifiutando codardamente di difendere Israele dagli attacchi che quotidianamente riceve. E se tra uno o dieci anni l’Iran lanciasse una bomba atomica su Tel Aviv, cosa farebbe l’Europa? Invierebbe al presidente e al primo ministro israeliani un telegramma di condoglianze, “partecipiamo vostro dolore-STOP. Firmato: Javier Solana”? Un po’ poco, ci sembra! L’Europa, che già porta il peso di non aver impedito lo sterminio di sei milioni di ebrei, vuole assumersi la responsabilità storica e morale di permettere che si perpetri un nuovo Olocausto? Se la Germania nazista fosse stata attaccata e sconfitta non appena iniziò a riarmarsi, se Hitler fosse stato tolto di mezzo prima di dar fuoco all’Europa, sei milioni di uomini, donne e bambini non sarebbero stati gasati come bestie e inceneriti nei forni, e altri cinquanta milioni sarebbero stati risparmiati da bombardamenti e fucilazioni. A Teheran sta crescendo un mostro che potrebbe distruggere l’umanità; meglio, molto meglio strozzarlo nella culla. 53 IRAN, L'ATTACCO PREVENTIVO È IL MALE MINORE (8/6/2008) La verità è ormai talmente evidente che le cancellerie della vecchia Europa non hanno neppure tentato di censurarla o di attenuarne la gravità: entro sei mesi l'Iran avrà costruito la sua prima bomba atomica. A dimostrarlo basterebbero, sia pur indirettamente, sia la decisione dell'Aiea (Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica, organo dell'Onu) di proporre nuove e più dure sanzioni contro il regime degli ayatollah reo di aver coperto agli ispettori il vero scopo del suo programma nucleare - del resto solo un ingenuo poteva sinora credere che un paese così ricco di petrolio avesse bisogno del "nucleare civile" per soddisfare il proprio fabbisogno energetico - sia l'annuncio rilanciato dal fanatico Ahmadinejad al recente vertice Fao di Roma circa l'imminente distruzione dello Stato d'Israele. È chiaro che Ahmadinejad, noto membro di una setta sciita che vede nello sterminio degli Ebrei l'esca per propiziare il ritorno del mitico dodicesimo imam e l'avvento del Giorno del Giudizio, ha ripetuto i proclami incendiari dopo mesi di silenzio perché adesso si sente sicuro di poter realizzare i suoi folli progetti messianici a breve scadenza. Di fronte a questa terribile prospettiva, cosa dovrebbe fare il mondo libero? A questa domanda ha implicitamente risposto lo stesso Ahamadinejad quando ha pubblicamente schernito il presidente uscente degli Stati Uniti d'America, George Walker Bush, il quale secondo il tiranno di Teheran sarà costretto a lasciare la Casa Bianca senza aver potuto condurre un attacco preventivo contro l'Iran. In verità, nell'attuale contesto geopolitico mondiale che vede un'Europa strangolata dal caro-petrolio, una Russia fornitrice all'Iran di tecnologia nucleare e di missili balistici capaci di colpire non solo Israele, ma anche le città europee - fino a Madrid, per intendersi - e una Cina comunista sostenitrice della sovrana autodeterminazione di ogni Stato disposto a fornirle energia e materie prime, soltanto gli Stati Uniti hanno la capacità militare di sventare il progetto nazislamico di un nuovo Olocausto. Già quattro volte, nell'ultimo secolo, gli Usa hanno deciso l'esito di un conflitto: la prima nel 1917, dopo che la prima guerra mondiale aveva già provocato milioni di vittime civili, sono intervenuti sulla spinta dell'indignazione causata dalla indiscriminata guerra sottomarina scatenata dai Tedeschi contro le navi mercantili e passeggeri dei paesi neutrali in viaggio da e per l'Europa, e hanno determinato il crollo degli Imperi centrali; la seconda nel 1941, ancora per lo sdegno suscitato stavolta dal vile attacco giapponese a Pearl Harbor, hanno salvato l'Europa e l'Asia dal dominio dell'Asse Roma-Berlino-Tokio, ma non hanno potuto o voluto impedire il genocidio di sei milioni di Ebrei (recentemente Bush ha espresso il rimpianto del suo Paese per non aver bombardato Auschwitz); la terza nel 1996, quando hanno fermato la mano del carnefice Milosevic dopo i massacri di Bosnia e il martirio di Sarajevo; e la quarta nel 1999, quando sono intervenuti di nuovo contro la Serbia per fermare la "pulizia etnica" in Kossovo. In tutte queste occasioni gli Stati Uniti d'America sono entrati in guerra solo dopo che atroci massacri erano stati già compiuti; stavolta l'alleato storico, Israele, chiede loro di intraprendere una vera e 54 propria «guerra preventiva», di sparare insomma il primo colpo. Vediamo dunque quali sarebbero le conseguenze nell'uno e nell'altro scenario: 1) L'AMERICA ATTACCA PER PRIMA L'IRAN - L'Iran ha una superficie grosso modo pari a quella dell'Iraq (liberato da Saddam Hussein nel 2003, e da allora sotto il controllo delle forze della Coalizione dei Volenterosi guidata da Washington) e una popolazione di circa 70 milioni di persone. Un attacco preventivo condotto contro gli impianti nucleari - in gran parte situati a molti metri di profondità nel sottosuolo - e contro i centri di potere del regime islamico (caserme dei Pasdaran, impianti petroliferi, basi aeree, navali e missilistiche) richiederebbe, come per l'Iraq, almeno un mese di massicci bombardamenti con missili Cruise lanciati dalle navi situate nell'Oceano Indiano e con bombe ad alta penetrazione lanciate da fortezze volanti in partenza dalla base di Diego Garcia (la più vicina al teatro delle operazioni) che causerebbero circa 20-30.000 morti fra civili e militari iraniani. L'Iran risponderebbe tentando di bloccare il traffico petrolifero nel Golfo Persico (ad esempio lanciando barchini carichi di esplosivo contro le petroliere), il che farebbe schizzare il prezzo del petrolio a più di 200 dollari il barile per almeno sei mesi, finché la flotta americana non avesse ripreso il controllo dello Stretto di Hormuz. Hamas e Hezbollah userebbero il loro arsenale - missili a media gittata di fabbricazione russa forniti da Teheran - per colpire le città israeliane dalla Striscia di Gaza e dal Libano, provocando centinaia di morti. Alla fine del conflitto le capacità nucleari e militari dell'Iran sarebbero state azzerate, ma gli Usa subirebbero la riprovazione della Russia, delle cancellerie europee e dell'opinione pubblica ciecopacifista di tutto il mondo. 2) L'AMERICA ASPETTA CHE L'IRAN SPARI IL PRIMO COLPO - Il "primo colpo" dell'Iran consisterebbe presumibilmente in un attacco nucleare contro Tel Aviv e Haifa, due città che rappresentano un bersaglio ideale per l'odio di Ahmadinejad: sono i maggiori centri economici, commerciali e tecnologici di Israele, e sono abitate per il 96% da ebrei e arabi di religione cristiana, «porci e scimmie» per il Corano (i pochi arabi di religione musulmana hanno cittadinanza israeliana e sono ben integrati nel tessuto sociale, per cui agli occhi degli ayatollah sono più o meno degli apostati indegni di vivere); e, insieme, in un lancio di missili intercontinentali "made in Russia" contro le città europee. I missili iraniani sterminerebbero almeno 400.000 persone in Israele e svariate migliaia in Europa, dopodiché Israele e gli Usa scatenerebbero il proprio arsenale atomico contro le principali città della Persia, diciamo Teheran e Isfahan (entrambe centri economici e industriali). Risultato: almeno 15 milioni di morti iraniani. Alla fine l'Iran tornerebbe all'età della pietra, Israele sarebbe fortemente ridimensionato come potenza regionale del Medio Oriente e Mosca coglierebbe i frutti di una guerra combattuta per interposta persona, stringendo nei suoi tentacoli un'Europa ferita e terrorizzata e divenendo la potenza egemone d'Eurasia. Se questi sono gli unici scenari possibili, ne segue con necessità assoluta che per gli Stati Uniti d'America, per Israele, per l'Europa e per il mondo intero un attacco preventivo contro l'Iran rappresenta l'opzione migliore, perché determinerebbe il minor numero di vittime da ambo le parti e otterrebbe la fine dell'appoggio iraniano 55 al terrorismo palestinese e quindi, in prospettiva futura, l'evoluzione dell'Iran verso libertà e democrazia, la stabilizzazione dell'area mediorientale, il ribasso del prezzo del petrolio e la fine delle ambizioni egemoniche della Russia. Pertanto noi dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e del Partito Mondialista esortiamo il presidente George Walker Bush a non commettere l'errore di Roosevelt che rifiutò di bombardare Auschwitz e di fermare l'Olocausto; ad attaccare ora, prima che sia troppo tardi. 56 ISRAELE RISPONDE ALL'ATTACCO TERRORISTA DI HAMAS, NONOSTANTE LA PUSILLANIMITÀ DEL MONDO (28/12/2008) Ieri, 27 dicembre, a mezzogiorno ora locale, è scattata l'operazione "Piombo fuso". Ottanta aerei ed elicotteri con la stella di David hanno martellato un centinaio di obiettivi militari nella Striscia di Gaza. In soli 4 minuti sono stati distrutti il comando centrale di polizia, il quartier generale della sicurezza, caserme e basi per l'assemblaggio dei missili che da anni l'infame movimento terrorista e fondamentalista islamico Hamas lancia sul Sud d'Israele, e sono stati uccisi più di 150 miliziani terroristi che si addestravano per sferrare attacchi a tradimento contro il civile e democratico popolo d'Israele. Dopo il tramonto gli attacchi aerei sono ripresi e proseguiti per tutta la notte. Sono state colpite una moschea che fungeva da base logistica per i terroristi assassini e un'officina per la costruzione dei famigerati missili Qassam che anche ieri sono stati scagliati su Israele: sei persone sono state ferite e una donna è stata uccisa da uno di questi missili nella città di Netivot, una donna "colpevole" solo di essere ebrea. Anche oggi proseguono i bombardamenti da parte dell'aviazione israeliana, mentre Ismail Haniyeh, leader dell'illegittimo governo di Hamas che detiene ormai da troppo tempo il potere illegalmente nella Striscia dopo aver eliminato con atroci massacri tutti gli oppositori interni, ha annunciato l'inizio di una "terza Intifada" contro Israele e l'uso di kamikaze contro la popolazione civile israeliana; una tecnica di guerra vigliacca che non è certo una novità e che testimonia, per chi non sia accecato da preferenze ideologiche, del carattere "pacifico" e "moderato" di questa organizzazione. Nel frattempo il territorio israeliano è sottoposto a incessanti lanci di missili provenienti da Gaza, non più solo missili Qassam, ma ora anche di tipo Grad (di fabbricazione iraniana) con una gittata ben maggiore, tanto da arrivare a colpire non solo le consuete città martiri di Ashkelon, Sderot e Gan Yavne, ma anche Ashdod, a 40 km dal confine; un chiaro segnale di come i perfidi capi di Hamas abbiano utilizzato i sei mesi di "tregua" per rafforzare il loro arsenale con missili made in Teheran. E infatti il tiranno iraniano, il folle Ahmadinejad che vuole cancellare Israele dalle carte geografiche, ha prontamente espresso la propria solidarietà ai suoi vassalli palestinesi "vittime dell'aggressione sionista" e inviato una nave con "medicine e aiuti umanitari" che, ne siamo sicuri, conterrà ben poco grano e molto, troppo piombo. Come è ormai (malsana) tradizione dalla guerra libanese del 2006, le diplomazie di tutto il pianeta si sono affrettate a condannare "l'uso sproporzionato della forza" da parte di Israele (Sarkozy, a nome dell'Unione Europea, e il portavoce di Bruxelles Solana), a deplorare "il massacro di civili" (l'ONU e il Vaticano), a ordinare al governo di Gerusalemme di interrompere "immediatamente" i bombardamenti (la Russia, buona amica di Hamas e Hezbollah). Fanno eccezione, per ora, gli Stati Uniti d'America, i quali si sono limitati a invitare Israele a evitare vittime civili, e viceversa hanno apertamente confermato ciò che è sotto gli occhi di tutti: cioè che la colpa dell'offensiva (anzi: contro-offensiva) di Tsahal va attribuita unicamente ad Hamas, 57 colpevole di aver rotto unilateralmente la tregua e di aver ripreso a seminare morte e distruzione nel Sud d'Israele con i suoi bombardamenti missilistici. Ma forse la maggiore saggezza dimostrata da Washington in queste ore è dovuta al fatto che al governo c'è ancora George Walker Bush; dallo staff del "presidente eletto" Obama in vacanza alle Hawaii, infatti, non non è arrivata una parola, e certo Honolulu non è priva di telefoni e antenne paraboliche... Di fronte a questa offensiva verbale ci si dovrebbe chiedere: perché nessun membro della comunità internazionale è intervenuto in questi giorni per impedire agli infami terroristi di Hamas di scagliare i loro missili contro il territorio israeliano, uccidendo, ferendo e terrorizzando centinaia di migliaia di civili innocenti? Perché la comunità internazionale interviene solo ora per legare le mani a Israele, come ha fatto nel 2006 dopo la giusta risposta di Gerusalemme al vile attacco a tradimento portato da Hezbollah con l'acquiescenza del governo di Beirut? A leggere le dichiarazioni che si susseguono da ieri sembra che per la grandissima maggioranza dell'opinione pubblica mondiale esistano soltanto i civili di Gaza, che essi soltanto siano degni di rispetto e di commiserazione. Nessuno tien conto del fatto che le forze armate israeliane, essendo al servizio e a difesa di un popolo e di un governo civili e democratici, mirano a colpire soltanto obiettivi militari, e che le vittime civili nella Striscia si devono al fatto che i perfidi miliziani di Hamas, per sottrarsi ad attacchi come quello attuale, hanno sempre nascosto le loro basi, i loro arsenali, le officine di montaggio dei loro mortali missili in mezzo alle abitazioni civili, nelle scuole, negli ospedali e nelle moschee; i terroristi, invece, non hanno mai preso di mira caserme o installazioni militari situate in territorio israeliano: hanno sempre colpito le città e gli inermi villaggi, per uccidere quanti più "sporchi ebrei" possibile. E perché mai, infine, i "poveri" civili di Gaza hanno permesso in tutti questi anni ad Hamas di costruire una rete di gallerie e depositi sotterranei che si estende per tutta l'area della Striscia (15 km di lunghezza e 10 di larghezza)? Perché hanno permesso a questi banditi assassini di costruire cunicoli e ammassare armi sotto le loro case, perché non si sono ribellati e non li hanno fatti a pezzi? Se lo avessero fatto, se avessero preferito la pace con Israele al fanatismo etnoreligioso, ora non dovrebbero piangere la morte dei loro cari. E se lo facessero ora, almeno salverebbero la vita delle centinaia di feriti ai quali Hamas sta impedendo di attraversare il valico di Rafah per cercare cura e salvezza in Egitto; la motivazione "ufficiale" è che Hamas vorrebbe l'apertura totale del valico, la verità è che vuole utilizzarlo per rifornirsi di nuove terribili armi di distruzione da usare ancora contro l'inerme popolazione d'Israele. Nel frattempo il governo israeliano sta valutando gli effetti conseguiti dalle operazioni aeree, e il ministro della Difesa Ehud Barak non ha escluso l'avvio di una controffensiva di terra: già centinaia si soldati e carri armati sono stati dislocati al confine con Gaza, e 6.500 riservisti mobilitati. Ancora una volta il popolo di Israele, unico paese civile, liberale e democratico del Medio Oriente, unico avamposto dell'Occidente in una terra di barbari terroristi fanatici e di sanguinari dittatori che usano la religione come strumento di discriminazione fra gli uomini e di offesa alla libertà e alla vita degli altri popoli, combatte per difendere il proprio sacro diritto all'esistenza. E noi dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World 58 Empire" e del Partito Mondialista siamo e saremo, come sempre, al suo fianco, per lottare contro tutti i tiranni laici e religiosi e assicurare pace, libertà e giustizia per tutti gli uomini, in Medio Oriente come in tutto il mondo. VINCI, ISRAELE! 59 ADESSO AHMADINEJAD È DAVVERO UN TIRANNO. ABBATTIAMOLO! (14/6/2009) Tommaso d'Aquino, il massimo teologo e filosofo del Medioevo, soprannominato "Dottore Angelico" per la profondità della sua dottrina, colui il cui pensiero è stato assunto in toto dalla Chiesa cattolica quale filosofia ufficiale con l'enciclica Aeterni Patris di Leone XIII (1879), distingueva due categorie di tiranni: 1) il tiranno "per mancanza di titolo", cioè colui che assume il potere su un gruppo d'uomini in violazione delle norme che regolano l'accesso al governo; e 2) il tiranno "per esercizio", cioè colui che esercita il potere nel proprio interesse anziché per il bene comune del gruppo. Anche se di fatto le due situazioni possono sovrapporsi e storicamente lo hanno fatto spesso - poiché chi assume il potere senza averne titolo è portato, per conservarlo, a governare nel proprio interesse, e chi governa nel proprio interesse pur avendone titolo è portato a violare le leggi in materia di accesso alla carica per conservare il potere - la loro distinzione concettuale è della massima utilità nell'attuale fase politica scaturita dalle elezioni presidenziali iraniane dello scorso venerdì 12 giugno. Come i nostri lettori hanno già appreso dai media, la sfida tra il presidente uscente Mahmoud Ahmadinejad, leader della fazione radicale e fondamentalista dei pasdaran (i Guardiani della Rivoluzione khomeinista) e il candidato moderato Mir Hossein Mussavi ha visto una altissima affluenza al voto della popolazione, e in particolare dei giovani e delle donne, le due fasce della società iraniana tradizionalmente più aperte alla modernizzazione del Paese, ad un allentamento dell'occhiuta sorveglianza del clero sciita - dall'imposizione del velo alle donne fino alla proibizione per ragazzi e ragazze di tenersi per mano in strada e di partecipare a feste comuni - e delle sue milizie paramilitari su ogni aspetto della vita e all'integrazione dell'Iran nell'Occidente. Ci si aspettava dunque, sia da analisti interni che da osservatori internazionali, che Mussavi avesse buone probabilità di superare il primo turno elettorale e di affrontare Ahmadinejad in un testa a testa al ballottaggio. In effetti, alla chiusura delle urne Mussavi si è subito proclamato vincitore in base ai dati in suo possesso, e ha messo in guardia i suoi sostenitori contro il pericolo di brogli. Purtroppo mai previsione fu più azzeccata: nel giro di dodici ore Ahmadinejad veniva proclamato ufficialmente vincitore con il 63% dei voti contro il 35 di Mussavi, e la Guida Suprema dell'Iran ayatollah Ali Khamenei (il successore di Khomeini alla carica che rappresenta il vertice "reale" del potere, al di là della facciata democratico-elettiva del Presidente e del Parlamento) si è affrettato ad avallare la proclamazione affermando che la sua vittoria era "una benedizione divina" (tralasciamo facili commenti su un "dio" come Allah che manda i suoi fedeli a farsi esplodere per uccidere civili innocenti, e i cui "sacerdoti", i mullah, gli imam e gli ayatollah, considerano atto di culto lo stuprare sistematicamente i bambini maschi nelle scuole coraniche, il considerare per legge atte al matrimonio bambine di nove anni e l'autorizzare matrimoni "a tempo", anche solo di 15 minuti, giusto il tempo di violare una vergine e consegnarla ai lapidatori). Questa "benedizione" ha dato il destro ad Ahmadinejad per lanciare una massiccia campagna di arresti nei confronti 60 del Mosharekat, il partito di Mussavi, il cui gruppo dirigente è ora quasi interamente detenuto, mentre Mussavi e sua moglie, anche lei fervente riformista, sono scomparsi dalla circolazione e si teme per la loro vita. Contro i sostenitori di Mussavi, scesi in strada a Teheran e in tutto il Paese per protestare contro i brogli, Ahmadinejad ha scagliato le sue ronde di motociclisti armati di manganelli e i terribili basiji, i paramilitari in borghese. Il regime ha tentato di isolare l'Iran dal resto del mondo: il satellite della BBC che trasmetteva il notiziario in lingua farsi è stato oscurato, la sede della tv satellitare Al-Arabiya è stata chiusa per una settimana, giornalisti olandesi e di altri paesi occidentali sono stati arrestati ed espulsi; anche la troupe italiana è stata aggredita, l'interprete massacrata di botte, la cassetta che mostrava la scena sequestrata, il cameraman minacciato di non riprendere gli scontri di piazza; solo la ferma volontà dei giovani iraniani, i più colti e occidentalizzati del Medio Oriente, che hanno usato telefonini e macchine fotografiche per produrre foto e video e li hanno immessi su Youtube sfidando la censura, sta permettendo al mondo di venire informato su quanto sta accadendo in Iran, sulle folle che danno alle fiamme automobili, chioschi, banche e uffici pubblici al grido "Morte al dittatore!", che affrontano coraggiosamente i poliziotti-motociclisti in tuta nera e li linciano se ne trovano qualcuno isolato dai compari, e che, soprattutto, ricevono l'appoggio della grandissima maggioranza della popolazione. Il favore popolare verso i rivoltosi è così manifesto, così evidente, così imbarazzante per la nuova amministrazione del "dialogante" Obama, che il suo vice Joe Biden si è detto "preoccupato" (bontà sua!) per gli sviluppi del dopo-voto, e il Segretario di Stato Hillary Clinton ha fatto sapere che gli Stati Uniti d'America stanno "monitorando" il risultato del voto per accertare che "sia stata rispettata la genuina volontà del popolo iraniano". Ed è proprio questo il punto: gli osservatori mandati da Mussavi a controllare la regolarità dello scrutinio avevano segnalato che il candidato riformista aveva conseguito circa 19 milioni di voti contro gli appena 5 di Ahmadinejad (su un totale di circa 24 milioni di elettori), e già prima del 12 giugno era ben noto a tutti che i riformisti riscuotono consensi soprattutto fra i giovani, in un Paese come l'Iran in cui i giovani costituiscono la fetta più numerosa della popolazione, e nei ceti urbani che sono stati colpiti dalla crisi economica conseguente al crollo del prezzo del petrolio molto più degli abitanti delle campagne, tradizionali sostenitori di Ahmadinejad. Inoltre la cricca al potere si è già resa colpevole di brogli alle elezioni parlamentari e amministrative, e nelle campagne il controllo della polizia sui seggi è pressoché totale. Mohamed Karrubi, un altro candidato riformista alle presidenziali che in passato aveva ricevuto 6 milioni di voti, questa volta se ne è visti riconoscere appena 300mila. Dove sono finiti tutti gli altri? "Travasati" nell'urna di Ahmadinejad, naturalmente. Finora Ahmadinejad aveva esercitato il potere nell'interesse della propria fazione, i pasdaran che detengono il controllo del petrolio, dei commerci, delle banche e di quasi tutte le attività economiche (e non a caso le proteste popolari sono iniziate col dare alle fiamme bazar e banche); aveva represso con durezza e crudeltà le minoranze religiose cristiane, sunnite e bahji; aveva fatto imprigionare, torturare, 61 uccidere decine di migliaia di studenti e altri oppositori; aveva avviato e perseguito un vasto programma di costruzione di centrali nucleari e laboratori di arricchimento dell'uranio allo scopo di dotarsi della bomba atomica, cosa che gli permetterebbe di assumere l'egemonia su tutto il Medio Oriente e soprattutto di realizzare il suo folle sogno: distruggere lo Stato di Israele per favorire il ritorno sulla terra del "dodicesimo imam", perno della fede sciita, e accelerare la venuta del Giorno del Giudizio in cui Allah dovrebbe ricompensare i muslims e condannare all'inferno ebrei, cristiani, pagani e "apostati". Insomma, si era comportato come un tiranno "per esercizio", e le cancellerie occidentali - sia quelle della Vecchia Europa interessata al petrolio e ai traffici con l'Iran, sia la nuova amministrazione americana desiderosa di stringere rapporti su "nuove basi" con l'Islam - avevano sinora reagito con parole tanto indignate quanto inconcludenti. Forse erano ancora prigioniere della dottrina sul tirannicidio elaborata dai maestri medievali come Tommaso d'Aquino, per i quali il cattivo governante deve essere rimosso con la forza solo come "ultima ratio", e solo se si è sicuri che la sua rimozione non arrechi allo Stato danni maggiori della sua permanenza al potere. Ma dal 12 giugno, dopo che le urne hanno sancito la vittoria di Mussavi con 19 milioni di voti su 24, Mahmoud Ahmadinejad non è più il legittimo presidente dell'Iran. Adesso egli esercita il potere contro le norme formali che regolano la procedura di elezione del Presidente della Repubblica Islamica dell'Iran. Adesso egli è un tiranno "per mancanza di titolo", un "vero" tiranno, un usurpatore; e contro gli usurpatori i maestri del pensiero politico occidentale, a partire da Tommaso d'Aquino, prescrivono unanimemente la sollevazione popolare e, nel caso questa si riveli insufficiente, l'intervento delle autorità superiori, l'Impero e la Chiesa, al fine di irrogare l'unica pena degna del loro crimine: la morte. Pertanto l'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e il suo ramo esecutivo, il Partito Mondialista, esortano tutti i governi dell'Occidente, e in particolare il Presidente degli Stati Uniti d'America Barack Obama, sovrano di fatto dell'Impero americano - figura di quell'Impero mondiale che deve venire, e per il cui avvento noi lottiamo e operiamo contro le forze della teocrazia, della dittatura, del tradizionalismo, del nazionalismo xenofobo e del fondamentalismo religioso affinché guidino una Grande Armata per la liberazione del popolo dell'Iran dal tiranno che lo opprime da ormai troppi anni e dalla sua cricca di fanatici violenti e di mullah pedofili. È tempo che il popolo di Persia, erede di quel Ciro che fondò il primo impero multietnico della storia, che restituì la libertà al popolo d'Israele e finanziò con il suo tesoro la ricostruzione di Gerusalemme e del Tempio, si risollevi dalla povertà materiale, dalla miseria spirituale e dall'abiezione morale in cui è sprofondato dalla cacciata del suo legittimo sovrano, lo Scià Reza Pahlevi, e riprenda il suo posto al fianco dei popoli civili. 62 SUL MARE DI GAZA ISRAELE COMBATTE PER DIFENDERE LA CIVILTÀ (31/5/2010) Alle 4 del mattino, ora locale, reparti scelti della Marina israeliana hanno abbordato la flotta di 6 imbarcazioni partita dalla Turchia una settimana fa con l'intenzione esplicita di forzare il blocco navale imposto dallo Stato di Israele alla Striscia di Gaza dal 2007, anno in cui prese il potere in essa il movimento islamico integralista e terrorista Hamas che nel suo statuto costitutivo si propone la distruzione di quella che chiamano "entità sionista". La spedizione era stata organizzata dal "Free Gaza Movement", una galassia di organizzazioni non governative filopalestinesi egemonizzata dall'Ihh, una associazione turca che Israele e la CIA hanno messo da tempo sulla loro lista nera per aver finanziato Hamas e altre organizzazioni terroriste islamiche, come quella facente capo in Italia all'imam della moschea di viale Jenner a Milano. L'abbordaggio era stato preceduto da ripetuti avvertimenti lanciati via radio dalle navi militari con la stella di Davide, con i quali si invitava il convoglio a non entrare in una zona di guerra sottoposta a blocco secondo le norme del diritto internazionale e a dirigersi piuttosto nel più vicino porto israeliano, ove gli 800 attivisti avrebbero potuto con tutta comodità scaricare le 10.000 tonnellate di "aiuti umanitari" - ufficialmente cibo, medicinali, sedie a rotelle per gli invalidi, tende e materiali da costruzione - e supervisionare il loro trasporto a Gaza attraverso i valichi terrestri; ma i sedicenti "pacifisti" avevano rifiutato. I soldati di Gerusalemme, calatisi con delle corde da un elicottero sulla nave turca "Mavi Marmara", quartier generale della flottiglia, sono stati aggrediti da orde di "pacifinti" armati di coltelli, bastoni, spranghe di ferro, persino con delle granate assordanti (il famoso pacifismo turco...), sette di loro sono stati feriti, due in modo grave, e solo allora, dopo essersi consultati via radio con i loro comandanti, sono stati autorizzati ad aprire il fuoco uccidendo sette aggressori e ferendone una quarantina. Nel frattempo i soldati saliti a bordo delle altre imbarcazioni non incontravano alcuna resistenza, e naturalmente su di esse non c'è stato alcun morto o ferito né fra i passeggeri né fra i militari. Tutte le navi sono poi state scortate nel porto di Ashdod, i "pacifinti" feriti portati negli ospedali e gli altri presi in consegna dalle autorità. Al di là delle stucchevoli obiezioni che sono state mosse col senno di poi - era necessario assaltare le navi con dei soldati? Non si potevano mandare dei poliziotti? Non si poteva sparare qualche cannonata di avvertimento davanti alla prua delle navi? (bravi, e se non invertivano la rotta?); non si potevano lanciare dei siluri per danneggiare le sale macchine? (già, così l'ONU avrebbe condannato ufficialmente Israele per pirateria); non si potevano usare commandos di subacquei o minisommergibili per mettere fuori uso le eliche? (e rivolgersi a James Bond, no?) - è necessario ribadire alcuni punti fondamentali: 1) il diritto internazionale autorizza uno Stato impegnato in una guerra contro un altro Stato o organizzazione politica belligerante a porre in essere un blocco terrestre, aereo e navale delle frontiere dello Stato o territorio aggressore allo scopo di impedire al nemico di ricevere armamenti da potenze terze. Il fatto che l'abbordaggio della 63 flottiglia filopalestinese sia avvenuto in acque internazionali, e non nelle acque territoriali israeliane, si spiega semplicemente considerando che gli attivisti avevano rifiutato di dirigersi verso porti israeliani e che il loro scopo, dichiarato fin dalla partenza ai media di tutto il pianeta, era appunto di violare il blocco entrando nelle acque territoriali della Striscia di Gaza. Quindi l'abbordaggio israeliano non può in alcun modo esser considerato una violazione del diritto internazionale; 2) il diritto internazionale prevede che lo Stato imponente il blocco debba lasciar entrare nello Stato o territorio sottoposto a blocco i cosiddetti "aiuti umanitari", ovvero tutto ciò che è necessario per la sopravvivenza della popolazione civile (dove per "civile" si intende il "non militare", cioè chi non combatte contro lo Stato imponente il blocco indossando una divisa) e che non costituisca armamento o mezzo per la costruzione di armamenti. Ebbene, ogni giorno, sottolineo ogni giorno, lo Stato di Israele lascia entrare nella Striscia di Gaza più di cento, sottolineo cento, camion carichi di cibo, medicine e altri beni utili alla popolazione civile: ogni giorno gli abitanti di Gaza ricevono dai "perfidi Giudei" farina, carne, frutta e verdura, latte e formaggio, zucchero, foraggio per il bestiame, antibiotici, vestiti e gasolio in misura dieci volte superiore al carico portato "ufficialmente" dalla Flotilla ottomana. Non solo, ma ogni giorno i "perfidi Giudei" lasciano passare alla frontiera e accolgono nei loro ospedali decine di malati e feriti palestinesi provenienti da Gaza e bisognosi di cure, malati e feriti che magari, poche ore o giorni prima, hanno lanciato contro le città israeliane qualcuno delle migliaia di missili "made in China" comprati da Teheran e recapitati attraverso i tunnel scavati al confine con l'Egitto. Quindi, a parte il fatto che i cosiddetti "civili" di Gaza sono in molti casi combattenti senza divisa, e quindi vigliacchi e violatori del diritto internazionale (il quale prescrive che i combattenti debbano essere facilmente distinguibili dai non-combattenti, proprio al fine di tutelare questi ultimi); a parte che a Gaza anche i cosiddetti "civili" che non fanno parte di Hamas collaborano con esso costruendo i tunnel per il passaggio delle armi, o facendoli costruire dai propri figli ancora infanti, o dando ospitalità nelle proprie case ai terroristi, o custodendo in esse armi e munizioni, e quindi, secondo il diritto internazionale, non possono esser considerati propriamente dei "noncombattenti"; a parte tutto questo, è falso che la popolazione della Striscia di Gaza sia «ridotta alla fame e alla disperazione» per colpa del blocco imposto da Israele. Se la popolazione di Gaza è veramente ridotta alla fame e alla disperazione, la colpa è unicamente dei terroristi di Hamas che taglieggiano i commercianti, incamerano tutti i viveri che giungono dall'esterno, intascano i cento milioni di dollari che ogni anno ogni anno! - l'Unione Europea e i Paesi islamici elargiscono a Gaza, e usano tutto questo cibo e questo denaro non per la sopravvivenza e il benessere della popolazione, bensì per comprare armi sempre più sofisticate allo scopo di uccidere un numero sempre più elevato di "perfidi Giudei"; 3) i cosiddetti "pacifisti" vedono, o credono di vedere, soltanto le sofferenze della popolazione di Gaza. Non vedono, non vogliono vedere le sofferenze degli abitanti di Ashkelon, Sderot e di tutte le altre città e villaggi israeliani che ogni giorno vengono colpiti dai missili lanciati dalla Striscia di Gaza. Non vedono, non vogliono vedere il terrore negli occhi dei bambini ebrei costretti a interrompere i loro giochi e a 64 correre nei rifugi quando la sirena avverte che di lì a cinque o dieci minuti un missile di Hamas porterà loro morte e distruzione soltanto perché sono ebrei. Non vedono, non vogliono vedere il martirio degli studenti iraniani imprigionati per aver protestato contro le elezioni-farsa di un anno fa, né quello dei musulmani Ahmadi massacrati pochi giorni fa a Lahore, considerati eretici sia dai sunniti che dagli sciiti, e che per la legge pakistana non possono neppure chiamarsi musulmani. Non hanno voluto vedere il dolore, l'angoscia negli occhi del padre e della madre di Gilad Shalit, il giovanissimo soldato israeliano rapito dai terroristi di Hamas e prigioniero da troppi anni proprio a Gaza, e non hanno nemmeno voluto farsi latori di una loro lettera ai capi di Hamas con cui chiedevano informazioni sulla salute del loro figlio che neppure la Croce Rossa può visitare; 4) il movimento terroristico Hamas è solo la punta di un iceberg costituito da centinaia di milioni di musulmani che ormai da un secolo hanno abbracciato una interpretazione letterale e fondamentalista del Corano per la quale l'esistenza in vita di esseri umani che professano altre religioni, o si dichiarano atei, o magari seguono una interpretazione non letterale e non fondamentalista dello stesso Corano è una intollerabile offesa ad Allah e Maometto, un'offesa da lavare con il sangue degli "infedeli" e degli "apostati". Togliere il blocco a Gaza, permettere ad Hamas di ricevere liberamente armi, trasformerebbe la Striscia in un santuario del terrore simile all'Afghanistan al tempo dei talebani, al Sudan e alla Somalia, in una portaerei da cui i nemici dell'Occidente lancerebbero attacchi in tutto il Mediterraneo con la benedizione di Bin Laden e Ahmadinejad. L'Islam non è sempre stato così: nelle corti di califfi e sultani sono fiorite per secoli poesia e letteratura, filosofia e medicina; alcuni ebrei e cristiani sono stati tollerati e hanno ricoperto incarichi di grande rilevanza nelle società musulmane. Eppure nel 642, dopo aver conquistato Alessandria d’Egitto, il generale arabo Amr ibn al-’As ordinò di bruciarne la gloriosa biblioteca sentenziando: «Se questi libri contengono cose che sono scritte nel Corano, sono inutili; se contengono cose contrarie a quanto è scritto nel Corano, sono dannosi». Eppure nel XII secolo il filosofo, medico e giurista Abu al-Walid Muhammad ibn Ahmad ibn Muhammad ibn Rushid (più conosciuto come Averroè) fu condannato a morte dal califfo di Cordova per aver sostenuto che Dio non agisce nel mondo con un arbitrio assoluto, ma in modo conforme alla ragione, e che i precetti del Corano non andavano presi alla lettera, come pretendevano gli ignoranti, ma interpretati nel loro significato simbolico (un metodo che Ebrei e Cristiani hanno sempre praticato con la Torah e il Vangelo). Eppure nel 1955 nella traduzione in arabo della Divina Commedia pubblicata in Egitto vennero censurati i versi dell’Inferno relativi a Maometto. Eppure nel 2005 Ahmad al-Baghdadi, docente di scienze politiche in Kuwait, è stato condannato a un anno di galera per aver detto che a scuola è meglio se i bambini passano più tempo a studiare musica che a studiare il Corano. Eppure dal 2007 la televisione egiziana trasmette sermoni di imam i quali seriosamente insegnano che la Terra è piatta perché così sta scritto nel Corano (se non ci credete guardate questo video su Youtube: http://www.youtube.com/watch?v=eMqPI-RMU7Q&feature=player_embedded). Eppure oggi, nel terzo millennio, un gruppo di avvocati del Cairo ha citato in giudizio 65 l'editore delle "Mille e una notte" per ottenere il divieto di pubblicare un'opera di «propaganda sionista» che parla di geni magici, tappeti volanti, animali parlanti e persino di ebrei buoni, onesti e valorosi, tutte cose che essi considerano false perché non menzionate nel Corano. Eppure oggi talebani afghani, qaedisti iracheni e basiji iraniani sgozzano, decapitano, torturano e impiccano musicisti, pittori e registi, insegnando che l'unica "arte" buona per un musulmano è quella di fabbricare cinture esplosive e bombe atomiche per sterminare ebrei e cristiani. E tutto questo avviene, grazie ai miliardi di dollari ricavati dal petrolio o elargiti da "semplici" musulmani a banche islamicamente corrette e ad associazioni "caritatevoli" che finanziano il terrorismo, sotto gli occhi di un Occidente che ha ripudiato la doppia radice grecoromana ed ebraico-cristiana da cui è scaturito il suo primato nelle scienze, nelle arti, nell'economia e nella politica, che si vergogna di aver portato la civiltà al mondo e si affida a un falso messia di nome Obama il quale non perde occasione per genuflettersi davanti a tiranni e tagliagole con la bandiera verde. In conclusione, la posta in gioco nello scontro di Gaza tra la Marina israeliana e i "pacifinti" filo-Hamas non è soltanto la difesa del diritto dello Stato di Israele a esistere e a difendersi contro i suoi nemici. La posta in gioco è la difesa della libertà, della tolleranza, dell'apertura alla conoscenza dell'altro che ha fatto dell'Occidente la più grande e migliore civiltà della Storia. E in questa lotta per la difesa della civiltà ogni uomo e ogni donna amante della vita, della verità e della pace - la vera pace che non è acquiescenza al male, ma nasce dalla giustizia - deve essere, come saremo noi mondialisti, schierato dalla parte di Israele, l'unica democrazia in un Medio Oriente di satrapi feroci e di ayatollah fanatici, l'unico baluardo rimasto a difesa dell'Occidente, della Verità, della Civiltà e della Vita contro le armate dell'Islam sanguinario, della Menzogna, della Barbarie e della Morte. Noi dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e del Partito Mondialista siamo certi che alla fine Israele vincerà. Vincerà contro i missili di Hamas, contro i kamikaze di Al Qaeda, contro i pacifinti strabici e contro l'ONU ipocrita. Vincerà anche per tutti quei milioni di musulmani che sono stanchi di vivere sotto la cappa di piombo di regimi intolleranti e crudeli, per tutti quei musulmani che vogliono vivere anch'essi la loro fede distinguendo fra ciò che si deve a Dio e ciò che si deve a Cesare. Vincerà e restituirà all'Occidente la pace, la sicurezza, la serena coscienza della sua grandezza, della sua missione di liberazione per tutto il genere umano. Perché, come dice il Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, «la salvezza viene dai Giudei». 66 CHI BRUCIA IL CORANO È "PAZZO". E CHI UCCIDE IN NOME DEL CORANO? (11/9/2010) In questi giorni il reverendo americano Terry Jones, che aveva annunciato di voler bruciare 200 copie del Corano per commemorare le 3.000 vittime degli attentati che hanno distrutto le Torri Gemelle e ferito il Pentagono e per protestare contro l'attacco del fondamentalismo islamico contro l'Occidente, è stato oggetto di una serie di attacchi concentrici per costringerlo a desistere: il criptomusulmano Barack Hussein Obama gli ha gettato addosso la colpa di tutte le morti di soldati americani che dovessero avvenire d'ora in poi in Afghanistan (come se i talebani avessero bisogno di qualche Corano bruciato per farsi esplodere contro le pattuglie di marines), il Vaticano ha deplorato la «profanazione di un libro sacro» e paragonato il reverendo Jones ai nazisti che bruciarono il Talmud (sic!), tutti i media mondiali lo hanno bollato come un pazzo esaltato, un fanatico, un uomo assetato di potere e dsideroso di mettersi in mostra. Alla fine, dopo aver ricevuto la "visita" di due agenti dell'Fbi, il povero Jones è stato costretto a fare marcia indietro. Ora noi mondialisti vogliamo chiederci e chiedervi: se chi brucia il Corano è pazzo, chi uccide in nome del Corano che cos'è? I 19 kamikaze che hanno dirottato i quattro aerei dell'11 settembre, non erano forse tutti islamici, cioè seguaci del Corano che dice: «Instillerò il mio terrore nel cuore degli infedeli; colpiteli sul collo e recidete loro la punta delle dita... I miscredenti avranno il castigo del Fuoco!... Non siete certo voi che li avete uccisi: è Allah che li ha uccisi»? Gli ayatollah iraniani che vogliono lapidare Sakineh e altre centinaia di donne, non giustificano la loro volontà omicida citando il Corano che dice: «Flagellate la fornicatrice e il fornicatore, ciascuno con cento colpi di frusta e non vi impietosite [nell'applicazione] della Religione di Allah, se credete in Lui e nell'Ultimo Giorno»? I talebani che hanno buttato giù con la dinamite i Buddha giganti di Bamiyan, non erano forse fanatici adoratori del Corano che dice: «Ben presto getteremo lo sgomento nei cuori dei miscredenti, perché hanno associato ad Allah esseri ai quali Egli non ha dato autorità alcuna. Il Fuoco sarà il loro rifugio. Sarà atroce l’asilo degli empi»? Il folle Ahmadinejad non vuol forse cancellare Israele dalle carte geografiche perché Maometto ha scritto nel Corano: «L'ultimo giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra e l'albero diranno: 'O musulmano, o servo di Allah, c'è un ebreo nascosto dietro di me, vieni e uccidilo'»? Il rifiuto da parte degli islamici di integrarsi nelle società dei Paesi che pure li accolgono e dànno loro casa e lavoro, non è forse dovuto al fatto che nel Corano è scritto: «I credenti non si alleino con i miscredenti, preferendoli ai fedeli. Chi fa ciò contraddice la religione di Allah, a meno che temiate qualche male da parte loro»? E ancora, non è forse scritto nel Corano: «Vorrebbero che foste miscredenti come lo 67 sono loro e allora sareste tutti uguali. Non sceglietevi amici tra loro, finché non emigrano per la causa di Allah. Ma se vi volgono le spalle, allora afferrateli e uccideteli ovunque li troviate. Non sceglietevi tra loro né amici né alleati»? Coloro che massacrano i cristiani in Afghanistan, Pakistan, Iraq, Egitto, Algeria e Indonesia non sono forse tutti musulmani fanatici adoratori del Corano che dice: «Quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete questi associatori [i politeisti, cioè secondo loro - i Cristiani] ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati. Se poi si pentono, eseguono l’orazione e pagano la decima, lasciateli andare per la loro strada»? E ancora, non è forse scritto nel Corano: «La ricompensa di coloro che fanno la guerra ad Allah e al Suo Messaggero e che seminano la corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi, che siano loro tagliate la mano e la gamba da lati opposti o che siano esiliati sulla terra: ecco l’ignominia che li toccherà in questa vita; nell’altra vita avranno castigo immenso, eccetto quelli che si pentono prima di cadere nelle vostre mani. Sappiate, Allah è perdonatore, misericordioso»? La guerra scatenata contro l'America, contro l'Occidente e contro tutti i nonmusulmani dai terroristi fondamentalisti islamici non si fonda forse sul fatto che nel Corano è scritto: «Preparate, contro di loro [i miscredenti], tutte le forze che potrete [raccogliere] e i cavalli addestrati per terrorizzare il nemico di Allah e il vostro e altri ancora che voi non conoscete, ma che Allah conosce. Tutto quello che spenderete per la causa di Allah vi sarà restituito e non sarete danneggiati»? E ancora, non è forse scritto nel Corano: «In verità, coloro che avranno rifiutato la fede ai nostri segni li faremo ardere in un fuoco e non appena la loro pelle sarà cotta dalla fiamma la cambieremo in altra pelle, a che meglio gustino il tormento, perché Allah è potente e saggio»? E la solidarietà che tutti i musulmani del pianeta manifestano costantemente per i terroristi, aiutandoli col denaro e col loro omertoso silenzio, non si fonda forse sul fatto che nel Corano è scritto: «Non sono eguali i credenti che rimangono nelle loro case (eccetto coloro che sono malati) e coloro che lottano con la loro vita e i loro beni per la causa di Allah. A questi Allah ha dato eccellenza su coloro che rimangono nelle loro case e una ricompensa immensa»? È dunque tempo che gli uomini e le donne dell'Occidente la smettano di autoflagellarsi con i sensi di colpa per gli attentati e i massacri che i fondamentalisti islamici compiono ogni giorno contro di essi, come se gli islamici dovessero avere per forza qualche "buona" ragione per avercela con noi, mentre noi non ne avremmo alcuna per tentare almeno di difenderci. I pacifinti sinistri e terzomondisti accusano l'Occidente per il colonialismo e dicono ai terrorizzati occidentali: «È per il vostro colonialismo che l'Islam ce l'ha con voi». Stolti! Quale colpa storica dovevano scontare gli Indiani per subire gli attentati di Mumbai del 2008? Forse gli Indiani hanno mai colonizzato terre islamiche? E i Balinesi, quale colpa dovevano scontare per subire gli attentati del 2002? Quando mai Bali è stata terra islamica? E i cristiani che vengono perseguitati da Casablanca a Giakarta, costringendoli a convertirsi a forza all'Islam o a subire atroce morte, i cristiani che né il Papa né il Tettamanzi costruttore-di-moschee si azzardano a difendere, sono forse anch'essi dei colonizzatori? O non sono forse eredi dei cristiani che abitavano quelle terre secoli 68 prima della nascita di Maometto? La verità, la dura verità che l'Occidente politicamente corretto non vuole accettare, è che gli islamici non ci odiano per quello che facciamo o abbiamo fatto contro di loro; ci odiano semplicemente perché non siamo e non vogliamo essere islamici, perché siamo e vogliamo essere cristiani, ebrei, induisti, ba'ahi, animisti o atei. La verità è che i musulmani odiano tutto ciò che è diverso da loro. Quando l'Occidente comprenderà questa dura ma innegabile verità, sarà capace di fare l'unica cosa giusta: smetterla di difendersi passivamente dagli attacchi che subisce giorno dopo giorno e portare la guerra in casa del nemico, combattere il fondamentalismo islamico nelle sue roccaforti, nei suoi santuari, fino ad abbattere tutti i regimi tirannici che si fondano sul Corano e ridurre i Paesi islamici a colonie di un unico Impero mondiale, che si occupi di deislamizzare le menti e i cuori degli uomini e delle donne e di affermare il sacro principio dell'uguale dignità e libertà di ogni individuo umano, al di là della sua religione, del suo sesso e della sua etnia. Solo allora il mondo conoscerà la vera pace, quella che si fonda non sull'acquiescenza al male, ma sul primato della persona umana, creata a immagine di Dio, rispetto ad ogni comunità di appartenenza. Per questo scopo noi mondialisti lottiamo e lotteremo sempre, nella certezza che questa è la meta finale e inevitabile dell'umanità. 69 L’ISLAM È NEMICO DEL GENERE UMANO. FERMIAMOLO! (21/12/2010) L'attentato recentemente compiuto a Stoccolma da un terrorista musulmano che, grazie a Dio, è stato l'unica vittima della sua infamia - che il suo nome venga cancellato per sempre - ha riproposto per l'ennesima volta alla pigra e imbelle opinione pubblica europea il problema fondamentale della nostra epoca: l'esistenza di decine di migliaia di seguaci del falso dio Allah e del suo falso profeta Maometto pronti a farsi saltare in aria con giubbotti, cinture o zainetti pieni di esplosivo e di chiodi acuminati nel mezzo di strade e piazze affollate da uomini, donne e bambini innocenti, all'interno di centri commerciali e stazioni della metropolitana o ferroviarie o aeroporti, allo scopo di uccidere il maggior numero possibile di "infedeli" - cioè di cristiani, ebrei, indù o atei -, di seminare il terrore e di demoralizzare l'Occidente per costringerlo a sottomettersi in massa all'Islam e instaurare in tutto il mondo regimi basati sulla Sharia (la legge coranica). Temiamo che purtroppo, dopo aver innalzato il livello di allerta durante le imminenti feste natalizie, governi e popoli d'Europa torneranno a far finta che questo problema non esista, esattamente come hanno fatto meno d'un mese fa quando il ramo yemenita di Al Qaeda spedì in Gran Bretagna, Germania e negli Stati Uniti d'America cartucce per stampanti laser imbottite di esplosivo, vantandosi poi di aver paralizzato il traffico aereo commerciale del pianeta con la modica spesa di 4000 dollari: anche allora ci furono retate, arresti, intensificazione delle misure di sicurezza per una settimana, poi l'umanità ricadde nella solita, ingenua illusione che il terrorismo islamico fosse roba di pochi fanatici isolati. Non è così. Purtroppo non è così. Purtroppo l'Islam è una massa di un miliardo di individui abituati da 1400 anni a considerare se stessi come gli unici veri uomini graditi a Dio, e a trattare tutto il resto del genere umano come animali cui è lecito, anzi doveroso fare tutto il male possibile e immaginabile: mentire, ingannare, rubare, fare guerra, rapire donne e bambini per violentarli, bastonarli, frustarli, mozzare naso e orecchie, spezzare la spina dorsale, arderli vivi. Purtroppo gli islamici sono individui cui imam pagati dalla casa reale saudita con i proventi del petrolio venduto a caro prezzo a noi occidentali fanno ogni giorno il lavaggio del cervello con sermoni, teleromanzi e persino cartoni animati per insegnar loro sin dall'infanzia a odiare l'Occidente, il «Grande Satana» americano e il «piccolo Satana» israeliano, a chiamare gli ebrei "porci" e i cristiani "scimmie" e a desiderare il loro sterminio. Le atrocità compiute dai nazisti, la "soluzione finale" progettata da Hitler, il Reich millenario della razza ariana sono bazzecole davanti alla ferocia dei musulmani che obbediscono ciecamente a regimi nazisteggianti, che promettono di completare l'Olocausto del popolo ebraico e tramano ogni giorno per costruire un Califfato Mondiale che costringa tutta l'umanità a scegliere se convertirsi in massa all'Islam o morire. Non è possibile separare, come s'illudono i pacifinti della sinistra internazionale, i musulmani "fondamentalisti" dai cosiddetti musulmani "moderati", perché tutti i musulmani, anche quelli che non combattono a tempo pieno in Afghanistan e Iraq contro le forze della coalizione guidata dagli Stati Uniti d'America - ma ci sono anche 70 terroristi islamici "a mezzo servizio", che si uniscono ai talebani per tre o quattro mesi l'anno e poi tornano a Londra, Parigi, Berlino o Roma come se niente fosse -, mettono i loro risparmi, i proventi di lavori apparentemente normali a disposizione di banche e organizzazioni fintamente "filantropiche" che utilizzano questa ingente massa di denaro per comprare dalla Russia, dalla Cina comunista e dalla Corea del Nord esplosivi, bombe, missili a lungo raggio e armi chimiche, batteriologiche e nucleari da utilizzare contro il mondo libero. Non è possibile neppure fare patti o scendere a compromessi con chi si professa musulmano, perché il Corano insegna a questi individui che ogni azione, anche la più riprorevole, è santa e benedetta se compiuta per arrecare danno a un "infedele" e aumentare la gloria dell'Islam; perciò qualunque promessa un musulmano faccia a un cristiano, un ebreo, un indù o un ateo, quel musulmano sarà sempre sicuro di trovare dieci, cento, mille imam disposti a benedire la rottura di quella promessa; qualunque menzogna un musulmano pronunci nei suoi discorsi a un non musulmano troverà sempre comprensione e addirittura approvazione presso la comunità musulmana mondiale, se quella menzogna sarà servita a uccidere dei non musulmani e a favorire l'espansione planetaria della barbarie islamica. In conclusione, l'Islam non è disposto a venire a patti con nesun'altra religione o cultura, non vuole convivere con nessun altro diverso da esso se non finché lo ritenga necessario per armarsi meglio e prepararsi ad assalirlo a tradimento. L'ISLAM È NEMICO DELL'INTERO GENERE UMANO. Per questo noi mondialisti auspichiamo che cristiani, ebrei, indù e atei dell'intero Occidente si uniscano in una grande alleanza per combattere senza quartiere l'Islam barbaro e bugiardo in ogni parte del mondo, dalle nostre metropoli ai più remoti villaggi del Pakistan e dell'Afghanistan, dalle organizzazioni "filantropiche" saudite alle banche iraniane gestite dai pasdaran, dalle quinte colonne no-global e ciecopacifiste agli Staticanaglia che armano e proteggono i terroristi. La guerra all'Islam, ai suoi complici e ai suoi utili idioti sarà lunga e difficile, costerà all'Occidente lacrime e sangue; ma alla fine la bandiera verde dell'Islam sarà gettata nella polvere come è stato per la svastica e la falce-e-martello, e il genere umano, unito in un solo Impero mondiale federale e liberaldemocratico, conoscerà finalmente pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Per questo noi del Partito Mondialista e dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" auguriamo a tutta l'umanità un buon Natale, nonostante le persecuzioni contro i cristiani in tutto il Medio Oriente, nonostante l'avanzata in Europa dell'empia alleanza Islam-Sinistra-noglobal, nonostante l'America sia schiava del filoislamico Obama e a Israele sia impedito di difendersi contro la minaccia nucleare iraniana: perché la prima venuta nel mondo del Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, ci ricorda che il male non prevarrà, e che non i musulmani bugiardi e violentatori di bambine, ma i giusti erediteranno la terra. Anche l'annuncio da parte della Santa Sede che il Papa lancerà il giorno di Capodanno del 2011 un appello al mondo per fermare le violenze e le persecuzioni commesse dai seguaci di Allah e Maometto contro i cristiani è per noi un segno consolante: finalmente anche la Chiesa, dopo anni di "dialogo" a senso unico e di "tolleranza" ripagata con 71 persecuzioni e minacce di morte, si sta rendendo conto del pericolo mortale rappresentato dall'Islam non solo per libertà e democrazia, ma anche per la stessa continuità della fede cristiana; e quando anche il popolo americano avrà compreso l'inganno in cui è caduto eleggendo il filoislamico Obama e lo avrà gettato nella polvere dandosi un Comandante in capo degno di questo nome, la sacrosanta alleanza tra Roma e Washington guiderà l'Occidente alla liberazione dell'intero genere umano. Per questo, a tutti gli uomini amanti della pace, della vera pace che è fondata sulla giustizia e sul rispetto degli immortali diritti di ogni uomo alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità, buon Natale. 72 FERMARE L’ISLAM PER SALVARE ANCHE GLI ISLAMICI (22/12/2010) Come avevamo previsto, il nostro ultimo editoriale "L'Islam è nemico del genere umano. Fermiamolo!" ha suscitato un vespaio di polemiche tra gli internauti: centinaia di messaggi sono arrivati alla nostra casella e-mail [email protected] solo nelle prime due ore seguenti alla pubblicazione, e molti di essi venivano da quanti non a torto abbiamo chiamato "pacifinti della Sinistra" i quali ci domandavano scandalizzati "Ma voi mondialisti volete sterminare tutti i musulmani?". Ci sembra dunque opportuno, per rispondere a tanto scandalo, completare e precisare il discorso iniziato ieri con quell'editoriale. In primo luogo noi mondialisti abbiamo un sacro rispetto per ogni essere umano, in quanto creato dal Dio Altissimo, Signore del cielo e della terra, a Sua immagine; ma rispettiamo appunto ogni essere umano in quanto individuo, non in quanto membro di questo o quel gruppo, partito, razza o religione. Dall'alba dei tempi i gruppi nascono, si espandono, raggiungono un apice di potenza e ricchezza, poi declinano, si riducono, scompaiono e vengono sostituiti da altri gruppi: nel 539 a.C. l'esercito di Ciro il Grande sbaragliò le armate assiro-babilonesi e fondò il primo impero multietnico della Storia, ma trecento anni dopo quel grande impero fu distrutto da Alessandro Magno che ne fondò uno ancor più esteso, e questo a sua volta fu abbattuto dalla nuova potenza di Roma; duemila anni fa le religioni politeiste di Greci e Romani furono sostituite da una nuova religione partita da una oscura provincia dell'Impero Romano; così è stato per i secoli seguenti e così sarà finché esisterà l'uomo. Nessun gruppo, nessuna razza, nessuna cultura, nessun regno, nessuna religione - neppure quella cristiana - può vantare una garanzia di eternità; pertanto noi mondialisti non feticizziamo nessun gruppo particolare, e abbiamo a cuore soltanto due cose: l'individuo, ogni individuo con i suoi diritti immortali e inalienabili alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità, e l'intera specie umana. Di conseguenza noi mondialisti non vediamo nulla di scandaloso, in linea di principio, nell'idea che una religione come quella islamica possa scomparire dalla faccia della Terra: non sono forse scomparse le civiltà dell'Egitto e della Mesopotamia, Aztechi e Incas? Ciò che è importante per noi non è il fatto che una civiltà, una cultura o una religione scompaiano, ma il motivo per cui scompaiono: Aztechi e Incas praticavano feroci sacrifici umani e conducevano continue guerre contro i loro vicini per procurarsi prigionieri a cui strappare il cuore per offrirlo ai loro falsi déi, e furono proprio quei vicini esasperati dalle continue vessazioni a fornire aiuto ai conquistadores per debellare quegli imperi del male; se dunque l'Islam è una falsa religione che predica violenza e odio contro tutti i non islamici e persino contro gli islamici "tiepidi", che semina morte e distruzione su tutto il pianeta, non sarebbe forse cosa buona e giusta combatterla e distruggerla come religione, cioè come gruppo? Distruggere un gruppo in quanto gruppo, beninteso, non significa sterminarne tutti i membri, e neppure la maggior parte: la distruzione degli imperi incaico e azteco non significò affatto lo sterminio delle popolazioni indigene, ma solo la loro 73 sottoposizione a un diverso potere statale e la "riprogrammazione" dei loro cervelli, e di quelli dei loro discendenti, con una nuova religione e una nuova cultura che consideravano i sacrifici umani e la schiavitù non più cosa buona e giusta, bensì un abominio. Allo stesso modo, ciò che noi mondialisti prepariamo e auspichiamo non è lo sterminio di tutti i musulmani, e neppure della maggior parte di essi: ciò che vogliamo è la distruzione dell'Islam in quanto gruppo, in quanto cultura, in quanto falsa religione di odio e di morte, e la "riprogrammazione" dei cervelli musulmani con una nuova cultura che annulli il lavaggio del cervello praticato dagli imam al servizio dei reali sauditi o degli ayatollah iraniani e li trasformi da potenziali attentatori suicidi in persone normali che vogliano lavorare onestamente, crearsi una famiglia e vivere rispettando il diritto delle loro figlie a non essere mutilate e date in spose contro la loro volontà, il diritto delle loro mogli a non essere umiliate dalla poligamia e dal ripudio, il diritto dei loro vicini a professare una fede diversa dalla loro, gli immortali e inalienabili diritti di ogni essere umano, musulmano o non musulmano, alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Se poi, per garantire la sicurezza del genere umano contro la minaccia di attentati con esplosivi convenzionali o, Dio non voglia, con armi chimiche, batteriologiche e nucleari, si rendesse necessario uccidere dei terroristi islamici, questo per noi non è motivo di scandalo, perché un abisso separa l'uomo buono dall'uomo malvagio, e come dice il Filosofo, se l'uomo buono è superiore agli déi, l'uomo malvagio è inferiore alle bestie, e quindi uccidere un terrorista è come uccidere una bestia ripugnante e pericolosa; se poi i terroristi islamici fossero dieci, cento, mille o un milione, allora sarebbe cosa buona e giusta, per garantire la sicurezza del genere umano, uccidere dieci, cento, mille o un milione di islamici, non in quanto islamici, ma in quanto terroristi. Ma poiché gli islamici che si dedicano al terrorismo non sono un milione, il caso che abbiamo esposto è puramente ipotetico, e i pacifinti della Sinistra che volessero prenderlo a pretesto per accusarci di voler sterminare tutti gli islamici in quanto islamici farebbero un buco nell'acqua. Per gli islamici che non si dedichino al terrorismo, siano essi la maggior parte o una minoranza di tutti i musulmani, l'uccisione non è per noi affatto necessaria: sarebbe sufficiente controllare i flussi internazionali di denaro impedendo loro di finanziare banche "islamicamente corrette" e associazioni fintamente "filantropiche" che in realtà raccolgono miliardi di dollari per finanziare il terrorismo islamico, impedire loro di costruire in Occidente moschee per diffondere i loro sermoni di incitamento all'odio e alla violenza, e soprattutto avviare una vasta e capillare opera di "rieducazione" attraverso scuole, giornali, televisioni e Internet, al fine di annullare il lavaggio del cervello subìto sin dall'infanzia da parte degli imam seminatori di menzogna e di odio e "riprogrammarli" al rispetto del diritto di ogni essere umano alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Anche per questo nobile scopo noi mondialisti lavoriamo: per liberare gli islamici dalla schiavitù di una falsa religione che predica odio, violenza e morte e restituirli al genere umano come persone normali che vogliano vivere in pace come tutti e con tutti, cittadini di un Impero mondiale che assicuri a ogni essere umano, qualunque sia il gruppo a cui appartiene, pace, prosperità, libertà e giustizia. 74 DAL MAROCCO ALLO YEMEN I POPOLI LOTTANO PER LIBERTÀ E DEMOCRAZIA (28/1/2011) Trentasei giorni sono passati dall'ultimo nostro editoriale, non perché non avessimo nulla da dire sui tragici avvenimenti che si svolgevano nel mondo - primo fra tutti il barbaro e vile attentato compiuto dai terroristi islamici contro la Chiesa dei Santi di Alessandria d'Egitto - ma perché noi mondialisti preferiamo fare la Storia prima di scriverla. Oggi, dopo un lungo tour che ha impegnato in prima persona il Chief Director dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" Andrea Zuckerman e gran parte del Comitato Direttivo del Partito Mondialista da Rabat ad Algeri, da Tunisi a Tripoli e Il Cairo, da Ankara a Damasco e da Beirut a Sanaa, possiamo annunciare il successo della nostra operazione "Snow on the Sahara": indignati dalla ingiusta morte di tre giovani che si erano dati fuoco per protestare contro la mancanza di libertà e democrazia, centinaia di migliaia di tunisini sono scesi nelle strade e nelle piazze, hanno affrontato a mani nude la polizia, che dopo breve resistenza ha solidarizzato con i rivoltosi, e hanno costretto a una precipitosa fuga il tiranno Ben Ali che aveva dominato il Paese per 23 anni con l'appoggio della Francia e dell'Italia craxian-berlusconiana. Dalla Tunisia il fuoco della rivolta si è ben presto esteso all'Algeria; poi al Marocco, dove si è sommato alla protesta contro la corruzione dominante nelle istituzioni; alla Libia, dove il dittatore Gheddafi sta tentando a fatica di reprimere i tumulti ostentando sorrisi verso la "rivoluzione del popolo tunisino"; all'Egitto, dove i copti stanchi di essere perseguitati, violentati e massacrati si sono uniti ai giovani musulmani occidentalizzati e all'opposizione liberale ansiosa di disfarsi del "faraone" Mubarak; alla Siria, dove il tiranno e figlio di tiranno Bashar Assad ha prudenzialmente oscurato Facebook per bloccare - invano - le comunicazioni fra i ribelli; in Libano, dove la popolazione si sta sollevando contro la cricca del falso cristiano presidente Suleiman e contro la sua decisione di affidare la guida del governo ai fanatici di Hezbollah uccisori del grande premier Rafik Hariri; e perfino nello Yemen, dove il popolo è sceso nelle piazze per chiedere la fine del trentennale regime di Abdallah Saleh. Manca soltanto la Turchia, dove però l'esercito e i ceti più colti e illuminati da anni si oppongono ai tentativi di Recep Tayyp Erdogan di instaurare la sharia e allontanare il Paese dall'Europa e dagli Stati Uniti d'America, per cui non è detto che anche da Ankara non giungano buone notizie nelle prossime settimane. In poche parole, su tutto il Maghreb e il Medio Oriente si è abbattuta una nevicata di proteste contro regimi corrotti e tirannici che da decenni tenevano il trono col sangue e la truffa, e soffia un vento gagliardo - il vento dello Spirito - che grida per mille bocche due sole parole: «Libertà» e «Democrazia». L'operazione "Snow on the Sahara" costituisce la logica prosecuzione del progetto iniziato da noi mondialisti nel XIX secolo per condurre il mondo islamico ad accettare i princìpi e valori universali, ma portati alla consapevolezza razionale dal Cristianesimo che è l'anima dell'Occidente, della distinzione tra sacro e profano secondo la parola del Signore Gesù Cristo «Rendete a Cesare quel che è di Cesare, e 75 a Dio quel che è di Dio», dell'uguale dignità di ogni individuo umano al di là del suo sesso, della sua razza e della sua cultura di origine, e dell'uguale diritto di tutti gli uomini e le donne alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità; un processo di occidentalizzazione che necessariamente, a causa dell'ipertrofico complesso di superiorità dei muslims nei confronti degli "infedeli" e soprattutto dei nasrani (cioè dei cristiani), doveva sopportare, almeno nelle prime fasi, di svolgersi secondo modalità "autoctone". Abbiamo iniziato coltivando i Giovani Turchi, che hanno avvicinato il morente impero ottomano all'Europa e particolarmente - lo avevamo previsto - all'autoritaria e illiberale Germania di Bismarck; ma il loro dominio si è contaminato con un nazionalismo cieco fino all'atroce genocidio degli Armeni, così abbiamo scelto dalla loro cricca uno degli elementi meno compromessi, un ufficiale di nome Mustafa Kemal. Lo abbiamo iniziato nella nostra loggia di Salonicco "Machedonia resorta et Veritas" insegnandogli tutto quel che gli era possibile recepire circa la superiorità civile e morale dell'Occidente, gli abbiamo dato potere e autorità per abbattere il califfato, togliere l'Islam come religione di Stato, strappare il velo della vergogna dalla faccia delle donne, proclamare la laicità della nuova Turchia e indirizzarla sulla strada virtuosa della neutralità nel grande conflitto fra le democrazie e il nazifascismo e dell'alleanza postbellica con Washington. Di fronte a questi ragguardevoli risultati anche la guerra con la Grecia, lo scambio coatto di 1.400.000 ellenici d'Anatolia con 600.000 turchi europei, la compressione della libertà d'espressione e l'omertà sul genocidio armeno sono stati per noi e per tutto il genere umano, come usano dire i Sioux, un "buono scambio"; di certo il migliore possibile nelle condizioni date (così come fu un buon affare per l'umanità, nello stesso periodo, il "Progetto Meiji" con cui spingemmo il sedicenne Mutsuhito ad abolire il feudalesimo e ad aprire il Giappone all'Occidente, pur con gli inevitabili strascichi nazionalistici e bellicisti). Ma ora, grazie a Internet e ai social networks, i giovani islamici, dalle spiagge atlantiche fino all'Indonesia, possono confrontare le proprie vite oppresse dal conformismo e dalla menzogna con la libertà e l'apertura mentale di cui godono i loro coetanei di New York, Londra o Tokio; possono acquisire coscienza della falsità irredimibile del fanatismo islamico rispetto alla verità luminosa del Cristianesimo che annuncia la pace fra Cielo e terra e abbatte i muri di separazione fra gli uomini e i popoli; possono constatare come la chiamata alla lotta contro il "Grande Satana" americano e contro l'"entità sionista" sia solo lo spauracchio consunto dietro cui regimi corrotti nascondono lo status quo; possono organizzarsi per lottare contro i satrapi laici e teocratici al potere da decenni che si spartiscono le immense ricchezze dei loro Paesi mantenendo le masse nella povertà e nell'ignoranza. La morte di Neda Agha-Soltan e di tanti altri giovani iraniani negli ultimi due anni non è dunque stata vana: dal sangue dei martiri dell'Onda Verde è germinato il seme dell'attuale rivoluzione che porterà il mondo islamico ad abbracciare i diritti immortali e inalienabili dell'uomo annunciati dall'Occidente greco-romano ed ebraico-cristiano; una nuova, ulteriore tappa del cammino iniziato 700 anni fa dai nostri padri Templari verso la creazione di un Impero mondiale che abbatta ogni frontiera tra gli uomini, abolisca ogni discriminazione di sesso, razza e religione, e assicuri finalmente pace, 76 prosperità, libertà e giustizia per tutti. 77 DICHIARAZIONE DI SOSTEGNO AL POPOLO LIBICO IN LOTTA PER LIBERTÀ E DEMOCRAZIA (26/2/2011) Il Partito Mondialista sostiene l'eroica lotta del popolo libico contro il tiranno assassino Muhammar Gheddafi; deplora, condanna e rigetta l'ipocrisia del governo filotirannico d'Italietta e di tutte le cancellerie d'Occidente che per 42 anni hanno tollerato l'infame persecuzione e repressione del popolo libico in nome di meschini interessi affaristici, e che da giorni assistono inerti al massacro di tanti uomini, donne, anziani e bambini innocenti da parte di mercenari e squadroni della morte provenienti dall'Africa subsahariana e anche dall'Europa; respinge come propaganda ridicola e ipocrita lo spauracchio del fondamentalismo islamico e della creazione di un sedicente emirato di Al Qaeda agitato dal regime di Gheddafi davanti agli occhi di un Occidente pavido e interessato solo agli affari con i peggiori tiranni del pianeta; esorta l'America a liberarsi dalla cappa di viltà impostale dall'imbelle Obama e a porsi alla testa di un grande esercito di liberazione del popolo libico dalla tirannia dell'assassino Gheddafi; e invoca il Dio Altissimo Uno e Trino, Signore del cielo e della terra, nelle cui mani sono le vite e i destini degli uomini e dei popoli, e la Santa Vergine Maria, Regina delle Vittorie, che nel giorno della sua apparizione a Lourdes ha donato al popolo d'Egitto la liberazione dal tiranno Mubarak, di mostrarsi benigni anche con il popolo di Libia e liberarlo con mano possente e braccio teso dal tiranno Gheddafi, affinché dopo essere stato martoriato da 42 anni di feroce dittatura di terrore, miseria e morte possa camminare sulla strada, che ha già intrapreso di sua scelta, della libertà e della democrazia. Andrea Zuckerman Chief Director International Society "New Atlantis for a World Empire" CEO Partito Mondialista in unione con il Comitato Direttivo e con tutti gli associati 78 TRIPOLI LIBERATA DAL TIRANNO. PROSSIMA TAPPA: DAMASCO! (28/8/2011) La città di Tripoli, capitale della Libia, festeggia ormai da giorni la liberazione dall'infame regime del colonnello Gheddafi: le ultime sacche di resistenza dei mercenari vengono demolite in una strenua lotta casa per casa, i prigionieri politici che gli sgherri del rais non hanno fatto in tempo a massacrare e bruciare vengono liberati dalle carceri, il dittatore e i suoi figli sono in fuga. Forse potranno rifugiarsi ancora per qualche mese in un cunicolo sotterraneo come topi, come mafiosi siciliani, come vermi che temono la luce del sole; o forse scapperanno in Algeria, paese illiberale proprio come era la Libia, o in Venezuela dal suo compagno di massacri Chavez, o alla corte di qualche tirannello africano o asiatico, ma non importa: anche Annibale, dopo aver dato tanto filo da torcere a Roma ed aver vagato di regno in regno, alla fine restò senza protettori e non poté far altro che suicidarsi. Oggi l'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e il Partito Mondialista, suo ramo esecutivo, festeggiano per la caduta di un'altra tessera del domino mediorientale. Quando, alla fine del 2010, demmo inizio all'operazione "Snow on the Sahara", alcuni dei nostri dubitavano che si potesse andare oltre qualche manifestazione di massa repressa nel sangue e qualche timida riforma; il progetto delineato dal nostro Direttore Generale Andrea Zuckerman - provocare il crollo, uno dopo l'altro, di tutti i regimi tirannici dal Marocco all'Iran mediante lo scatenamento di proteste e sollevazioni popolari appoggiate da interventi militari esterni - sembrava troppo audace anche a quanti di noi avevano studiato a memoria i piani analoghi messi in atto dai nostri predecessori prima nel Giappone di metà '800 e poi in Turchia con la vittoriosa rivoluzione di Mustafa Kemal Ataturk. Ebbene, oggi possiamo dire che le previsioni del nostro Chief Director si stanno realizzando sotto i nostri occhi, giorno dopo giorno: dopo l'esilio di Ben Alì, dopo la deposizione di Mubarak, adesso tocca a Muammar Gheddafi, dopo 42 anni, lasciare il suo trono grondante di sangue; il sangue dei passeggeri degli aerei da lui fatti esplodere o dirottati, il sangue dei soldati americani che morirono nella discoteca "La Belle" di Berlino Ovest per una bomba collocata dai suoi sicari, il sangue degli oppositori assassinati nelle strade di Roma con la tacita complicità degli imbelli Italiani (quegli stessi Italiani che avevano favorito la sua ascesa al potere), il sangue degli abitanti del Ciad cui fece guerra per esportare la sua abietta "rivoluzione verde". Tutto questo sangue ora grida dalla terra vendetta al Giudice delle anime e dei corpi, e certamente quel grido non resterà inascoltato. Oggi noi mondialisti festeggiamo la caduta di un altro regime nemico di Libertà e Democrazia, e ridiamo: ridiamo del patetico primo ministro italiano Berlusconi che a Parigi aveva annunciato l'inizio dei bombardamenti francesi sulle truppe gheddafiane in marcia verso Bengasi con la faccia afflitta di chi ha appena perduto un amico fraterno; ridiamo dei Belpietro, dei Feltri, dei Sallusti, dei Ferrara, di tutti gli alfieri dell'Occidente a corrente alternata, di tutti quelli che "la guerra a Saddam va 79 bene, quella a Gheddafi no perché ci dà il petrolio e ci toglie dai piedi i clandestini"; ridiamo dei Sergio Romano, di tutti quelli che paventano un emirato islamico sulla "quarta sponda", di tutti i corsivisti di "Corriere", "Giornale" e affini che raccontano compunti delle "fucilazioni in piazza" e di come "la gente inizia a rimpiangere Gheddafi", di tutti i pappagalli del "si stava meglio quando si stava peggio" e del "quando c'era lui, caro lei..."; ridiamo di tutti i no-global, complottisti e gli eurasisti che strepitano contro l'«assalto delle demoplutocrazie giudaico-massoniche atlantiste al cuore dell'Eurasia». Noi ridiamo di tutti questi nostalgici del fascismo e del nazismo che si inginocchiano davanti a ogni esibizione di forza bruta, ridiamo di questi ruderi di un passato di genocidi i quali, come il guerriero di un famoso poema, "del colpo non accorti/ancor combattono e son morti". Ridiamo perché, come ha insegnato il grande epistemologo Thomas Kuhn, le rivoluzioni, tanto nelle scienze quanto nella politica e nella società, si compiono quando i difensori del vecchio modo di pensare si estinguono per motivi anagrafici e vengono sostituiti da giovani che impongono un pensiero nuovo, una politica nuova, una società nuova. Oggi tutto questo sta avvenendo nel mondo islamico, e noi non possiamo che esserne felici. Il vecchio mondo arabo delle dittature nazislamiche e delle monarchie oscurantiste sta crollando pezzo dopo pezzo; quello che verrà, tra le inevitabili cadute e riprese, sarà un autentico progresso per centinaia di milioni di esseri umani ai quali finora era stato raccontato che Israele e l'America erano la causa dei loro problemi, della loro povertà, della loro arretratezza spirituale, e che adesso hanno deciso di farla finita con le menzogne e di prendere in mano il loro destino. L'operazione "Snow on the Sahara" proseguirà: in Siria sono ormai 3.000 i morti a causa della brutale repressione portata avanti dal vile Assad con l'aiuto dei suoi padrini di Teheran. La Siria ormai può contare solo sul folle Ahmadinejad; per il resto ha tutto il mondo contro, l'Unione Europea, gli Stati Uniti d'America, l'Onu, perfino la Turchia e gli altri paesi arabi si vergognano di essere accostati ad Assad. Il crollo del regime siriano priverebbe l'Iran di uno sbocco strategico sul Mediterraneo, libererebbe Israele dalla tenaglia di Hezbollah e Hamas, e porrebbe le basi per una ripresa dell'Onda Verde al fine di abbattere finalmente il crudele regime degli ayatollah. Avanti tutta, dunque: prossima tappa Damasco, per abbattere tutti i tiranni, costruire l'Impero mondiale e assicurare pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti! 80 NO ALLA MENZOGNA DELLO STATO PALESTINESE! (24/9/2011) L'affermazione fatta davanti all'Assemblea Generale dell'Onu da Abu Mazen, capo dell'Olp ed erede del terrorista assassino Yasser Arafat, "Il riconoscimento dello Stato palestinese da parte vostra sarà un grande passo sulla via della pace", richiama in modo inquietante gli slogans che il Grande Fratello, il tiranno invisibile e onnipresente del romanzo di Orwell "1984", ammannisce ai sudditi per instupidirli e impedire il rovesciamento del suo regime: "La guerra [contro Israele] è pace", "La menzogna [quella raccontata da settant'anni sull'esistenza di un "popolo palestinese"] è verità", "La schiavitù [all'Olp e ad Hamas] è libertà". In attesa della scontata decisione dell'Organizzazione Non Utile, anzi Dannosa quant'altre mai, noi mondialisti vogliamo qui ricordare a chi ci legge che stare dalla parte dei palestinesi che lanciano missili contro gli innocenti israeliani e sgozzano nel sonno famiglie di ebrei innocenti non è "stare dalla parte della pace". Stare dalla parte della pace, nella guerra fra israeliani e palestinesi, significa ricordare che: 1) i palestinesi sono un'invenzione della propaganda antisemita islamica post1948: prima della nascita dello Stato di Israele quel territorio era sotto mandato britannico, prima ancora era stato parte dell'impero ottomano, e la cosiddetta Cisgiordania, o meglio la Giudea e la Samaria, erano parte del regno di Giordania. Ergo, i palestinesi come nazione e come popolo non esistevano finché la propaganda islamica antisemita non li ha inventati per fare leva sull'amore malato dell'Occidente per il principio di nazionalità; 2) i palestinesi da 130 anni sgozzano gli ebrei senza fare distinzioni tra militari e civili, né fra uomini, donne, vecchi e bambini. Durante la seconda guerra mondiale il Gran Muftì di Gerusalemme si alleò con Hitler promettendo di consegnare ai nazisti gli Ebrei che si fossero rifugiati in Terrasanta per sfuggire alle persecuzioni. Meno di un mese fa terroristi assassini giunti dalla Striscia di Gaza hanno ucciso sette israeliani a Eilat, e i cosiddetti "palestinesi" hanno esultato come iene e bruciato nelle piazze la bandiera con la Stella di David gridando come al solito "Morte a Israele!". Lo scorso 17 aprile è morto un ragazzo israeliano di sedici anni straziato da un missile palestinese lanciato da Gaza contro il suo scuolabus, e i due palestinesi colpevoli dello sterminio della famiglia Fogel, una volta arrestati, hanno precisato di aver sentito piangere il figlio più piccolo di appena TRE MESI mentre uscivano dalla casa, e di essere tornati sui propri passi APPOSITAMENTE PER SGOZZARE ANCHE LUI NELLA CULLA. 81 In conclusione: chi vuole stare DAVVERO dalla parte della pace, deve stare dalla parte di Israele. Tutto il resto è MENZOGNA. Per questo noi del Partito Mondialista e dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" continueremo ad appoggiare sempre e con convinzione la lotta per l'esistenza dello Stato di Israele, unico avamposto di libertà e democrazia in un Medio Oriente schiavizzato da tiranni e dittatori laici e teocratici, e di tutto il popolo ebraico sparso nel mondo e minacciato di un secondo Olocausto dall'Asse del Male nero-rossoverde. Li appoggeremo anche contro lo stesso governo degli Stati Uniti d'America oggi rincitrullito dalle melliflue cantilene del vile Obama, almeno finché il popolo americano non lo caccerà dalla Casa Bianca e non si darà nuovamente un Comandante in Capo deciso a combattere per portare libertà e democrazia a tutti gli uomini e i popoli del pianeta. Li appoggeremo sempre perché gli Ebrei sono stati i primi a rifiutare i miti falsi e mortiferi del sangue e del suolo, a farsi cittadini del mondo, a rifiutare ogni aristocrazia che non fosse basata sul talento e sul merito. Li appoggeremo sempre perché dal popolo di Israele viene Gesù Cristo, colui che ha distinto le "cose di Dio" dalle "cose di Cesare" liberando l'umanità dalle vecchie concezioni sacrali dell'autorità politica e aprendo la via alla libertà del pensiero e della scienza che ha fatto dell'Occidente la più grande civiltà della Storia. Li appoggeremo sempre perché Israele e il popolo ebraico sono il seme dell'Impero mondiale per la cui creazione lavoriamo, quello Stato universale, federale e liberaldemocratico che libererà il genere umano dalla tirannia delle molteplici nazionalità, fonte perenne di discriminazioni, persecuzioni, guerre e genocidi, e assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. 82 GHEDDAFI UCCISO, SIC SEMPER TYRANNIS! (20/10/2011) Oggi, col favore dell'Altissimo, aerei da caccia dell'Alleanza Atlantica hanno bombardato un convoglio in fuga dalla città libica di Sirte uccidendo due figli del dittatore Gheddafi, Mutassim e Saif al-Islam, e ferendo lo stesso tiranno, che poi è stato catturato dalle forze di liberazione della Nuova Libia e ucciso sul posto. Piange la scomparsa di Gheddafi il primo ministro italiano Berlusconi, il quale ha commentato laconicamente "Sic transit gloria mundi" (così passa la gloria del mondo) pensando all'umiliazione cui ha sottoposto il proprio popolo omaggiando il tiranno durante le sue frequenti visite a Roma. Piangono la sua scomparsa Bertinotti, Rizzo, Ferrero e tutti i colonnellini senza esercito della sinistra italiota, orfani dell'ennesimo tiranno santificato come difensore del Terzo Mondo dal colonialismo del "perfido Occidente assetato di petrolio". Piange la sua scomparsa il fascista-leghista Borghezio, che lo chiama "il templare di Allah" perché ha perduto completamente il senso della Storia e del ridicolo. Piangono la sua scomparsa i terroristi assassini dell'Olp, dell'Eta e dell'Ira, orfani del loro maggior fornitore di esplosivo per attentati sanguinari che hanno ucciso migliaia di uomini, donne, vecchi e bambini innocenti. Piangono la sua scomparsa Assad figlio, il folle Ahmadinejad con il suo mentore Khamenei, il cekista Putin e i mandarini cinesi, i quali stanno comprendendo che il movimento iniziato da noi mondialisti con il lancio dell'Operazione "Snow on the Sahara" e lo scoppio della Primavera Araba non si fermerà finché tutti loro non saranno spariti dalla faccia della terra. L'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e il Partito Mondialista, suo ramo esecutivo, plaudono al magnifico esito dell'opera di liberazione del popolo libico portata avanti dalla NATO e confermano che proseguiranno nella loro marcia per la creazione di un Impero mondiale, federale e liberaldemocratico, che abbatta tutti i tiranni e i dittatori laici e teocratici, elimini ogni sovranità dei decrepiti Stati-nazione, e con essa ogni differenza fra cittadini e stranieri e ogni discriminazione di razza, sesso e religione, e assicuri finalmente pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. 83 DICHIARAZIONE DI SOSTEGNO AL POPOLO SIRIANO IN LOTTA PER LIBERTÀ E DEMOCRAZIA (1/6/2012) In questo giorno nel quale i cristiani fanno memoria della Passione e Morte del Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, noi mondialisti non possiamo, non vogliamo, non dobbiamo ignorare il grido di dolore che sale a noi da tante parti della martoriata terra di Siria. Il sangue dei bambini di Hula, di Homs, di Hama, di Damasco e d'Aleppo ancora oggi dalla terra sale al Dio che vede ogni cosa, al Giudice e Vendicatore degli innocenti, a Colui che ha detto: «Guai a chi chiama bene il male e male il bene, guai a chi chiama luce le tenebre e tenebre la luce». Sì, diciamo alto e forte noi mondialisti: guai, guai, guai al sanguinario e menzognero Assad che massacra il suo popolo a colpi di cannone e a furia di sgozzamenti, e poi infama le sue vittime chiamandole "terroristi"; guai al folle Ahmadinejad che arma e finanzia il suo compare di nequizie Assad per imporre la propria egemonia su tutto il Medio Oriente; guai al corrotto e menzognero Putin che protegge quel regime corrotto e sanguinario nell'arengo dell'ONU, Organizzazione Non Utile a difendere il diritto degli innocenti; guai agli ipocriti come Kofi Annan che si presenta come mediatore di pace dopo aver intascato per anni regalìe da un altro tiranno, Saddam Hussein, per chiudere entrambi gli occhi sulle vendite sottobanco di petrolio in violazione di quel programma "Oil for Food" che come segretario dell'Onu avrebbe dovuto far rispettare; e guai, guai, guai agli eurasisti che si nascondono dietro la facciata luccicante di accademie e istittuti di ricerca e pubblicano riviste patinate come "Eurasia" e "Geopolitica", guai ai nazionalboslcevisti, guai ai socialisti nazionali di "Rinascita", guai a tutti gli occidentali traditori come Giuda e venduti al Maligno i quali agitano lo spauracchio del fondamentalismo islamico e di Al Qaeda per paralizzare i governi dell'Occidente e impedir loro di fermare questa atroce mattanza. Noi mondialisti non siamo come costoro, assassini, vili, bugiardi, ipocriti. Noi mondialisti il 26 febbraio 2011, quando il popolo di Libia si era appena sollevato contro il tiranno Muhammar Gheddafi che lo opprimeva da 42 anni, pubblicammo su questo sito Internet una dichiarazione di sostegno alla lotta dei Libici per conquistare libertà e democrazia, e neppure otto mesi dopo, il 20 ottobre, annunciammo con grande gioia che il tiranno Gheddafi era stato eliminato. Noi mondialisti non siamo insieme "sì" e "no", in noi, come nel Signore Gesù Cristo, c'è solo il "sì", un "sì" convinto al desiderio, inscritto da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo e donna nascente al mondo, di vivere in pace, libertà e democrazia, nel rispetto dei diritti immortali e inalienabili di ogni individuo umano alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Pertanto il Partito Mondialista, come ha sostenuto l'eroica lotta del popolo libico contro il tiranno assassino Muhammar Gheddafi, così oggi sostiene l'altrettanto eroica lotta del popolo siriano contro il tiranno assassino Bashar el-Assad; deplora, condanna e rigetta l'ipocrisia di tutte le cancellerie d'Occidente che per 84 troppi anni hanno tollerato e continuano a tollerare l'infame persecuzione e repressione del popolo siriano in nome di meschini interessi affaristici e per non urtare la suscettibilità dell'orso russo, e che da più d'un anno assistono inerti al massacro di tanti uomini, donne, anziani e bambini innocenti da parte di squadroni della morte senza onore né dignità; respinge come propaganda ridicola e ipocrita lo spauracchio del fondamentalismo islamico e di Al Qaeda agitato dal regime di Assad e dai suoi reggicoda eurasisti davanti agli occhi di un Occidente pavido e interessato solo agli affari con i peggiori tiranni del pianeta; esorta l'America a liberarsi dalla cappa di viltà impostale dall'imbelle Obama e a porsi alla testa di un grande esercito di liberazione del popolo siriano dalla tirannia dell'assassino Assad; e invoca il Dio Altissimo Uno e Trino, Signore del cielo e della terra, nelle cui mani sono le vite e i destini degli uomini e dei popoli, e la Santa Vergine Maria, Regina delle Vittorie, che nel giorno della sua apparizione a Lourdes ha donato al popolo d'Egitto la liberazione dal tiranno Mubarak e ha interceduto efficacemente per la liberazione del popolo di Libia, di mostrarsi benigni anche con il popolo di Siria e liberarlo con mano possente e braccio teso dal tiranno Assad, affinché dopo essere stato martoriato per troppi anni da una feroce dittatura di terrore, miseria e morte possa camminare sulla strada, che ha già intrapreso di sua scelta, della libertà e della democrazia, insieme al popolo di Israele, al popolo degli Stati Uniti d'America e a tutti i popoli liberi e giusti dell'Occidente, fino alla meta dell'unificazione di tutto il genere umano in un solo Impero mondiale federale e liberaldemocratico che sia Unità nella Pluralità così come il Signore Dio è Unità nella Trinità. Così come Dio, la cui Santissima Trinità ci apprestiamo a celebrare fra due giorni, è Uno per la natura divina delle sue tre Persone, così un giorno il genere umano sarà riunito in uno Stato mondiale che sarà unico per la natura umana di tutti i suoi membri. Allora cesseranno guerre, tirannie, dittature laiche e teocratiche, persecuzioni e genocidi; allora le ingenti risorse che oggi vengono sperperate in armi e guerre verranno utilizzate per sollevare i popoli del Terzo Mondo dalla loro miseria materiale e spirituale; allora l'essere nati al di qua o al di là di un confine non costituirà più motivo di discriminazione fra gli uomini, perché la terra intera sarà un solo Stato senza confini; allora tutti gli individui umani, qualunque sia la loro religione, la loro etnia o il loro sesso, potranno sviluppare i propri talenti in pace e libertà, nel rispetto dei diritti di ciascuno e di tutti alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Di questo luminoso traguardo sarà anticipazione e segno la liberazione della Siria, per la quale noi mondialisti profonderemo i nostri beni e le nostre vite, nella certezza che il Signore Dio, Giusto Giudice, farà presto vendetta contro il sanguinario Assad come ha fatto vendetta contro il sanguinario Gheddafi, e che questo regime di menzogna, terrore e morte finirà presto come è finito l'altro. Lo abbiamo detto e lo faremo. Andrea Zuckerman Chief Director 85 International Society "New Atlantis for a World Empire" CEO Partito Mondialista in unione con il Comitato Direttivo e con tutti gli associati 86 "PILLAR OF DEFENSE", ISRAELE DIFENDE LIBERTÀ E DEMOCRAZIA (17/11/2012) Da quattro giorni le Forze Armate dello Stato di Israele sono impegnate nell'operazione "Pilastro di Difesa": dopo che i lanci quotidiani di missili dalla Striscia di Gaza contro città e villaggi israeliani avevano raggiunto livelli davvero insopportabili, Israele ha prima eliminato il capo militare dei terroristi di Hamas al Jaaabari - responsabile del rapimento del soldato GIlad Shalit e della morte di moltissimi innocenti Ebrei -, poi ha lanciato una vasta campagna di bombardamenti mirati contro i tunnel che Hamas usa per far entrare missili, armi ed esplosivi nella loro base di Gaza, contro i depositi in cui questi missili, armi ed esplosivi vengono nascosti, e contro gli edifici in cui i terroristi di Hamas si nascondono come ratti, mentre 75.000 soldati si stanno radunando al confine fra Israele e Gaza preparandosi ad un attacco di terra. Nel frattempo il territorio di Israele è stato bersagliato ancor più fortemente dai missili di Hamas: alcuni sono arrivati fino a Tel Aviv, cadendo grazie a Dio in mare senza fare vittime, altri fino a Gerusalemme, uno ha centrato un edificio uccidendo tre innocenti; ciò dimostra senza ombra di dubbio che non si tratta di razzetti artigianali ed innocui, bensì di ordigni mortali, che l'Iran degli ayatollah pedofili e del folle Ahmadinejad fornisce ai suoi figliocci di Hamas, e che vengono introdotti nella base di Gaza attraverso i tunnel scavati con la complicità dell'Egitto (troverete molti articoli e video sull'argomento sulla nostra pagina Facebook "Partito Mondialista" all'indirizzo https://www.facebook.com/pages/Partito-Mondialista/282813698438366 e sul nostro canale YouTube "mondialistparty" nella playlist "IDF News all'indirizzo https://www.youtube.com/playlist?list=PLtGCniAwV7C9wMuTO_lt06cvH6RHgF7j 1). Naturalmente quanto avvenuto ha scatenato la solita ondata di ipocrita indignazione sui media italiani: "Pioggia di missili su Israele in risposta all'uccisione di un capo di Hamas", hanno titolato, come se la responsabilità di aver iniziato le ostilità fosse di Israele, e non dei terroristi di Hamas che da vent'anni lanciano ogni giorno decine di missili su pacifici villaggi e città israeliani! La verità è che l'Europa è malata di antisemitismo da cinquecento anni, da quando Martin Lutero scriveva libelli contro gli Ebrei accusandoli di deicidio e di usura, a quando l'ebreo traditore Karl Marx accusava i suoi ex-fratelli ebrei di adorare il denaro, a quando fascisti, nazisti e comunisti bollavano gli Ebrei come "cosmopoliti" e tuonavano contro le "demoplutocrazie giudaico-massoniche" anglosassoni colpevoli di fondarsi sui diritti dell'uomo, di ogni uomo, anziché sui nefasti idoli del sangue e del suolo; la verità è che l'intera Europa è antisemita e filoislamica, e vorrebbe volentieri vedere distrutto lo Stato di Israele, unico baluardo di Libertà e Democrazia in un Medio Oriente schiavo contento di tiranni e dittatori, e vorrebbe volentieri vedere sterminati tutti gli Ebrei del mondo pur di essere amica della belva islamica assetata di sangue, sperando che si sazi di carne ebraica e non le venga voglia di sbranare anche gli imbelli Europei, troppo vili per difendere con le armi la loro libertà, la loro democrazia e i loro diritti. Illusi! 87 Naturalmente anche i vari regimi islamici hanno fatto sentire la loro indignazione: "Israele ha commesso un crimine contro l'umanità", ha tuonato il nuovo presidente egiziano Mohamed Morsi a nome dei Fratelli Musulmani, come se lanciare da vent'anni migliaia di missili su pacifici villaggi e città di Israele, solo perché abitati da Ebrei, non fosse, questo sì, un atroce crimine contro l'umanità, un crimine che grida vendetta al Dio Altissimo, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe! E naturalmente le cancellerie della vecchia, decrepita Europa malata di filoislamismo antiebraico si sono affrettate a intervenire, condannando come "sproporzionata" la reazione israeliana e prestando i loro buoni uffici al fine di ottenere l'ennesima tregua. Folli! Non sanno, o fingono di non sapere, che per i musulmani le tregue sono solo un gradito intervallo tra un episodio e l'altro della loro interminabile guerra "santa" (jihad) contro Ebrei, cristiani e non-musulmani in genere, gradito perché consente loro di riprendere le forze dopo un attacco e di pianificarne altri ancora più devastanti. Naturalmente anche stavolta le organizzazioni dei pacifinti si sono scagliate contro gli israeliani "assassini", colpevoli di bombardare edifici civili, come se non fosse ormai noto anche ai bambini che i terroristi di Hamas nascondono vigliaccamente le loro armi, i loro esplosivi e i loro missili all'interno di abitazioni civili, per usare i civili come scudi umani. Ultimamente c'è stata anche una patetica e pelosa intemerata del TGcom contro il lancio da parte dell'esercito israeliano di volantini su Gaza con avvertimenti alla popolazione civile di allontanarsi dagli edifici in cui Hamas nasconde armi, esplosivi e missili, per la loro sicurezza. Secondo i giornalisti ipocriti del TGcom, in questo modo Israele violerebbe le convenzioni internazionali costringendo la popolazione di Gaza ad abbandonare le proprie case se non vuole essere considerata un nemico da bombardare; ma in verità gli abitanti di Gaza, se non vogliono essere bombardati da Israele e non vogliono abbandonare le loro case, hanno un'altra possibilità: ribellarsi contro i terroristi di Hamas che usano le loro case per nascondere armi, esplosivi e missili, ucciderli o consegnarli alle autorità di Israele, e impegnarsi sinceramente a non fare mai più guerra a Israele, a non attentare mai più alla vita e alla libertà di innocenti cittadini israeliani con lanci di missili, attentati e rapimenti. Se invece gli abitanti di Gaza tollerano che i terroristi di Hamas usino le loro case per nascondere armi, esplosivi e missili, se addirittura partecipano convintamente a ogni funerale di un capo di Hamas ucciso dalle Forze Armate di Israele, osannando il morto come "martire" e gridando "morte a Israele", come possono poi lamentarsi di essere considerati giustamente dei combattenti nemici e di subire per questo la giusta punizione? Troppe volte Israele ha portato pazienza, troppe volte ha trattenuto la sua giusta ira. Oggi la misura è colma; oggi è tempo che Israele scateni la sua teologica potenza contro quanti vogliono distruggerlo. "Teologica", sì: perché quando nella Storia avviene - raramente, purtroppo - che un individuo o un popolo esercitino la Forza con Giustizia, come Israele ha fatto nel 2008 con l'operazione "Piombo Fuso" e come sta facendo oggi con l'operazione "Pilastro di Difesa", allora tutti gli altri uomini e popoli devono guardare ad esso con timore e tremore, ed esclamare, come gli Egizi ai tempi di Mosè, «Veramente il Signore combatte accanto a Israele!». Sì, davvero il Signore, 88 il Dio Altissimo Creatore del cielo e della terra, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe cammina alla testa del suo popolo e combatte per lui i suoi nemici. E noi mondialisti - dopo che il popolo degli Stati Uniti d'America, rieleggendo per altri quattro anni il vile e filoislamico Barack Hussein Obama, ha dimostrato di voler consegnarsi al Male e di voler ripudiare la missione ad esso affidata, quella per cui lo avevamo creato, di essere la città sulla collina e l'araldo nel mondo di Libertà, Democrazia e Diritti Umani - sosteniamo e sosterremo con ogni sforzo la lotta del popolo di Israele per difendere la propria vita, la libertà dell'Occidente e la civiltà nel mondo intero, per abbattere tutti i tiranni e i dittatori laici e teocratici, e per costruire l'Impero mondiale che assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Perché, come dice il nostro Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, «la salvezza viene dai Giudei», ora e sempre. Amen. VINCI, ISRAELE! 89 LOST IN ACTION (2/2/2013) Il 21 gennaio 2013, alle 9.30 ora locale, un commando del Partito Mondialista si è introdotto segretamente nella centrale nucleare iraniana di Fordo, nei pressi della città di Qom. Il commando, composto da 4 persone, era guidato dal capo dei nostri agenti esecutivi in Iran, nome in codice Ester Firuze; gli altri 3 componenti del commando erano Ernst Gottlieb, François Lévy e Mordechai Reza. Scopo della loro missione era sabotare il programma nucleare militare dell'Iran, distruggendo un impianto ad alta tecnologia collocato nella centrale destinato alla produzione di sincronizzatori (necessari affinché la detonazione degli esplosivi convenzionali all'interno di una bomba termonucleare avvenga in modo controllato al fine di unire i vari frammenti di uranio arricchito, formare la massa critica e avviare la reazione a catena) e danneggiare il maggior numero possibile delle 2.784 centrifughe utilizzate per l'arricchimento dell'uranio. Dopo essersi introdotto nella centrale - situata in un profondo bunker sotterraneo scavato nelle viscere di una montagna - e aver neutralizzato due guardie, il commando ha raggiunto la sala ove era collocato l'impianto di produzione dei sincronizzatori, e l'agente Ester in persona ha posizionato l'esplosivo e regolato il timer per esplodere alle 11.30 ora locale. Mentre già si accingevano ad uscire dalla centrale, i nostri quattro agenti sono stati scoperti da un gruppo di venti pasdaran; dal nostro quartier generale abbiamo assistito impotenti, attraverso le microtelecamere e i microfoni indossati dai nostri, all'uccisione immediata di Gottlieb e Lévy e al ferimento ad un braccio di Reza, il quale veniva catturato insieme a Ester. I due sono stati portati nella stanza adibita alle torture, spogliati e seviziati con coltelli per costringerli a rivelare lo scopo della loro missione; ma entrambi hanno resistito eroicamente, confortandosi a vicenda per più di un'ora, finché alle 11.30 in punto, come previsto, le bombe da essi posizionate sono esplose distruggendo l'impianto di produzione dei sincronizzatori e gran parte della centrale. Nell'esplosione gli agenti Ester Firuze e Mordechai Reza hanno trovato la morte insieme, secondo le nostre stime, a centinaia di pasdaran e di tecnici che lavoravano nell'impianto. Le autorità iraniane hanno tentato invano di tenere nascosto l'accaduto, ma i danni erano così ingenti che hanno dovuto creare un cordone di sicurezza di 30 km intorno alla centrale nucleare e chiudere al traffico la strada statale 7 che attraversa la regione. I corpi di Ester Firuze, Ernst Gottlieb, François Lévy e Mordechai Reza sono stati recuperati nel pomeriggio da un gruppo di insiders mescolatisi alle squadre di soccorso inviate sul posto per la ricerca dei feriti sotto le macerie, portati con un elicottero nel Beluchistan (regione i cui abitanti lottano da anni per l'indipendenza dall'Iran), trasferiti con un volo segreto su una portaerei statunitense in navigazione nel Golfo Persico, e da lì al nostro quartier generale, dove hanno ricevuto l'estremo omaggio. L'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e il Partito Mondialista, suo ramo esecutivo, salutano con affetto, stima e gratitudine l'agente esecutivo Ester Firuze, immolatasi eroicamente con i suoi compagni per rallentare la 90 marcia di morte del regime iraniano verso il possesso dell'arma atomica e il compimento del Secondo Olocausto, e promettono a tutti gli uomini giusti di questa Terra che continueranno senza sosta a lottare, a prezzo della vita, per la realizzazione del Grande Progetto: la creazione di un Impero mondiale federale e liberaldemocratico che abbatta tutti i tiranni laici e teocratici, elimini le vetuste sovranità particolari dei singoli Stati-nazione, istituisca una cittadinanza universale per tutto il genere umano e assicuri ad ogni individuo il rispetto degli immortali e inalienabili diritti alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. 91 L'ISLAM DEVE SCEGLIERE: INTEGRARSI O SCOMPARIRE (25/5/2013) Il Comitato Direttivo dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e del Partito Mondialista, suo ramo esecutivo, in unione con il Direttore Generale Andrea Zuckerman e con tutti gli associati porge le proprie sentite condoglianze al piccolo Jack e a tutta la famiglia di Lee Rigby, il soldato venticinquenne di Manchester, membro del secondo battaglione del Royal Regiment of fusiliers, barbaramente assassinato a Londra da due terroristi islamici, due infami di origine nigeriana a cui la Gran Bretagna aveva dato cittadinanza, diritti e pace che si erano convertiti all'Islam e per questo sono diventati dei barbari assassini. Come il barbaro attentato di Boston, anche questo infame assassinio dimostra in modo inequivocabile che l'Islam è un pericolo per tutto il genere umano. Non vogliamo certo affermare scioccamente che ogni uomo, donna, vecchio o bambino di religione islamica sia per ciò solo un maniaco omicida, no, questo sarebbe espressione di razzismo falso e bugiardo; ma di certo tutti i mandanti e gli esecutori degli infami e brutali attentati terroristici avvenuti negli ultimi vent'anni, dal primo attentato alle Torri Gemelle del 1993 alle autobombe di Nairobi e Dar es Salaam, dal Golgota dell'11 settembre 2001 alle stragi di Madrid e Londra, tutti costoro erano uomini di religione islamica; e tutti gli attentatori suicidi che insanguinano le città di Israele, dell'Iraq e dell'Afghanistan, anche essi sono tutti di religione islamica; fra i peggiori assassini di massa degli ultimi cinquanta anni non si trovano di certo cristiani, né induisti, né membri di altre religioni, ma soltanto islamici. Gli islamici non riconoscono l'uguaglianza in dignità e diritti tra uomo e donna, praticano la poligamia, stuprano le donne e poi le lapidano accusandole falsamente di adulterio, violentano perfino i bambini nelle madrase (le scuole coraniche) trasformandoli in spietate macchine di morte. Gli islamici sono intolleranti verso chiunque non professi la religione islamica, sono ossessionati dalla smania di costringere tutti i non-islamici a convertirsi all'Islam o a morire, compiono i loro assassini in modi brutali, decapitando le loro vittime o facendole a pezzi a colpi di machete, come i due infami assassini londinesi di origine nigeriana e come i membri della setta islamica Boko Haram in Nigeria. Gli islamici vogliono distruggere lo Stato di Israele e sterminare tutti gli Ebrei del mondo soltanto perché gli Ebrei sono riusciti a trasformare il deserto in fertili campi coltivati e a fare del loro piccolo Paese uno Stato democratico, prospero e ricco, mentre gli islamici preferiscono vivere nella miseria e nell'abbrutimento spirituale, e sottomettersi ai più feroci tiranni e dittatori laici o teocratici, pur di poter sfogare sulle donne e sui non-islamici il loro maniacale, psicotico complesso di superiorità. Gli islamici sono pericolosi come gli Incas, i Maya e gli Aztechi che facevano continue guerre ai propri vicini al solo scopo di procurarsi prigionieri da sacrificare ai loro dèi, vittime innocenti che essi poi orribile a dirsi! - scuoiavano e mangiavano; anzi, gli islamici sono ancora più pericolosi, perché Incas, Maya ed Aztechi erano confinati nell'America centromeridionale, erano relativamente scarsi di numero e dotati di armi primitive, mentre gli islamici sono quasi un miliardo, sono diffusi su tutto il pianeta e sono 92 disposti a usare anche armi chimiche, batteriologiche e nucleari pur di sterminare il maggior numero possibile di "infedeli". Insomma, gli islamici sono il pericolo N. 1 per ogni amante della Libertà, della Democrazia e dei Diritti dell'Uomo. È pertanto necessario che tutti gli uomini amanti della Libertà, della Democrazia e dei Diritti dell'Uomo, in Occidente e in tutto il mondo, si uniscano nella grande battaglia contro l'Islam mortifero e assassino, e pongano agli islamici la seguente alternativa: o abbandoanre il lor psicotico complesso di superiorità nei confronti delle donne, dei Cristiani, degli Ebrei e di tutti i non-islamici, accettando di integrarsi pacificamente con il resto del genere umano in un solo Impero mondiale pacifico, prospero e democratico, oppure fare la stessa fine degli Incas, dei Maya e degli Aztechi sacrificatori di uomini e antropofagi, che furono spazzati via dal soffio dello Spirito e dalle armi dei Conquistadores. Questo non significherebbe, naturalmente, lo sterminio di ogni uomo, donna, vecchio o bambino di religione islamica, così come la distruzione dei regni degli Incas, dei Maya e degli Aztechi non ha significato lo sterminio di tutti gli indigeni del Centro e Sud America, ma soltanto l'eliminazione di tutti i combattenti e cannibali fanatici e l'integrazione degli individui pacifici, delle donne e dei bambini nella struttura sociale dei nuovi regni ispanomaericani; significherebbe soltanto l'eliminazione di tutti i terroristi assassini, di quanti prendono le armi contro l'Occidente e contro il mondo libero, e l'integrazione degli individui pacifici, delle donne e dei bambini liberati dalla schiavitù islamica, nella nuova struttura sociale liberale, democratica ed ugualitaria del futuro Impero mondiale, che sarà tollerante con tutti i tolleranti e intollerante soltanto con gli intolleranti, e che assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia ad ogni uomo, donna, vecchio e bambino, indipendentemente dalla sua religione di appartenenza, a condizione che questa religione accetti di convivere pacificamente e rispettosamente con tutte le altre religioni e opinioni su Dio, sull'uomo e sul mondo. Noi mondialisti abbiamo deciso da tre anni di offrire agli islamici la possibilità di accettare libertà, democrazia e diritti dell'uomo: la nostra operazione "Snow on the Sahara", che ha sinora portato alla caduta dei regimi corrotti e assassini di Ben Alì, Mubarak e Gheddafi, e che presto porterà al crollo anche di Assad e Ahmadinejad e alla liberazione dei popoli di Siria e Persia, è volta proprio a consentire agli islamici che lo vogliano di disfarsi dei loro tiranni e dittatori e di camminare con Israele, con l'Occidente e con il resto del genere umano sulla via della pace, della prosperità, della libertà e della democrazia. La responsabilità di rispondere positivamente o negativamente a questo "sacro esperimento" sta nelle loro mani. Sta all'Islam, e all'Islam soltanto, la responsabilità di compiere questa scelta e di assumerne le conseguenze storiche: integrarsi, o scomparire. 93 MESSAGGIO DEL PARTITO MONDIALISTA AL POPOLO DI EGITTO IN LOTTA PER LIBERTÀ E DEMOCRAZIA (29/6/2013) Il Comitato Direttivo del Partito Mondialista, ramo esecutivo della Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire", in unione con tutti gli associati, esprime la sua solidarietà e il suo appoggio al nobile popolo di Egitto in lotta per libertà e democrazia contro il tirannico regime del fondamentalista islamico Mohamed Morsi. Il nobile popolo di Egitto, che ha combattuto e versato il proprio sangue per liberarsi dal vecchio tiranno Mubarak, non può sopportare di essere ancora schiavo del nuovo tiranno Morsi. Perciò noi mondialisti diciamo a voi Egiziani: Combattete, combattete per abbattere il regime tirannico, menzognero, corrotto e assassino del fondamentalista islamico Morsi! Combattete, Egiziani, per costruire un Egitto libero e democratico! Combattete, Egiziani, per costruire un Egitto libero per donne e uomini! Combattete, Egiziani, per costruire un Egitto libero per poveri e ricchi! Combattete, Egiziani, per costruire un Egitto libero per musulmani, cristiani, ebrei, atei, per tutte le religioni e per tutte le opinioni! Combattete, Egiziani, per costruire un Egitto libero, moderno, con separazione fra religione e politica! Alle forze armate egiziane noi mondialisti diciamo: Non opponetevi al giusto desiderio del vostro popolo che chiede libertà, democrazia e la fine del tirannico regime di Morsi! Aiutate il vostro popolo a conquistare libertà, democrazia e modernità! Noi mondialisti sappiamo che la giusta lotta del nobile popolo di Egitto contro il tiranno Morsi sarà vittoriosa, e che il nobile popolo di Egitto saprà liberarsi dal proprio tiranno per camminare sulla via della pace, della libertà, della democrazia e dei diritti di tutti gli uomini e le donne, insieme con Israele, con gli Stati Uniti d'America e con tutto l'Occidente, per costruire insieme l'Impero mondiale che abbatterà tutti i tiranni e i dittatori laici e teocratici e assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti gli uomini e le donne del pianeta Terra. 94 LA "SHALE REVOLUTION" E L'IMPERO MONDIALE (4/8/2013) Cinque giorni fa alcuni giornali italiani, come al solito affetti da provincialismo (leggi: guardare sempre il proprio ombelico nazionale), hanno riportato nelle pagine interne e senza enfasi una notizia che invece avrebbe dovuto comparire in apertura con titoli a nove colonne: il principe saudita Al Waleed bin Talal, nientemeno che nipote del re Abdallah, ha reso pubblica via Twitter una lettera che aveva inviato lo scorso 13 maggio al ministro del Petrolio di Riad, Ali al Naimi, accusandolo di sottovalutare «la minaccia per il regno rappresentata dallo shale gas e dallo shale oil del Nordamerica». Ora, è già un fatto rilevante che in una monarchia assolutista come quella dei Saud simili contrasti emergano alla luce del sole invece di essere risolti con discrezione nell'ombra, ma ancor più rilevante è il merito della questione: che cosa saranno mai, si chiederà il lettore di questa pagina, lo shale gas e lo shale oil? e perché rappresenterebbero un tale pericolo per l'Arabia Saudita? Andiamo con ordine. In inglese shale vuol dire "scisto": si tratta di un tipo di roccia argillosa, impermeabile, disposta in vaste stratificazioni orizzontali situate in genere a 3-4.000 metri di profondità e caratterizzata da microscopici pori che possono contenere o metano (che viene detto shale gas, o gas di scisto) oppure petrolio (e allora si parla di shale oil). Ora, si dà il caso che gli Stati Uniti d'America possiedano riserve vastissime sia di petrolio, sia ancor più di gas contenuti in queste rocce di scisto: per quanto riguarda lo shale oil si parla di circa 1.500 miliardi di barili, mentre per lo shale gas si stima che gli USA dispongano delle maggiori riserve al mondo, pari a circa 132.000 miliardi di metri cubi; ai ritmi di consumo attuali (circa 7 miliardi di barili di petrolio e 700 miliardi di metri cubi di gas all'anno) tali riserve basterebbero a coprire le necessità statunitensi per più di 200 anni. Questi giacimenti erano noti già dagli anni '40 del XX secolo, ma fino a pochi anni fa non era disponibile la tecnologia necessaria a sfruttarli: per estrarre petrolio e gas dalle rocce di scisto è infatti necessario prima trivellare verticalmente fino ai 3-4 km di profondità sopra detti, poi proseguire la trivellazione in orizzontale, seguendo l'andamento degli strati argillosi (horizontal drilling) e infine pompare una miscela di acqua e aria ad alta pressione, per fratturare le rocce e consentire agli idrocarburi liquidi o gassosi di fuoriuscire dai pori ed essere pompati in superficie (il cosiddetto hydrofracking). Da una decina d'anni tale tecnologia è finalmente disponibile, e dal 2008 Barack Hussein Obama - vile e inetto nell'affrontare manu militari le minacce agli Stati Uniti d'America e all'Occidente - ha compiuto l'unica azione per la quale meriterà forse di passare alla Storia: ha emanato una normativa che prevede forti sgravi fiscali e autorizzazioni agevolate per le grandi companies americane che si dedicavano alla ricerca in questo settore, allo scopo di assicurare all'America, nel lungo periodo, l'autosufficienza energetica. Ebbene, le ricerche sono state così fruttuose, che gli Stati Uniti d'America, i quali nel 2008 producevano soltanto 4,9 milioni di barili di petrolio al giorno, grazie allo shale oil nel 2011 ne hanno prodotti 5,7 milioni, esportandone all'estero ben 1,2 95 milioni di barili al giorno - ridiventando quindi un esportatore netto di petrolio, primato che avevano perduto dal 1949 -; nel 2012 la domanda americana di petrolio da Algeria, Angola e Nigeria è diminuita del 41%, e si prevede che nel 2020 gli USA supereranno l'Arabia Saudita diventando il primo produttore al mondo. Per quanto riguarda lo shale gas, poi, la sua produzione nel 2000 copriva appena l'1% del fabbisogno statunitense, ma nel 2006 copriva già il 5,9%, e nel 2010 il 20%; oggi i consumatori americani (non solo cittadini comuni, ma soprattutto imprese) pagano il gas un terzo, e l'elettricità meno della metà degli Europei; gli USA sono divenuti i primi produttori al mondo di metano, superando anche la Russia, che nel 2012 ha dovuto interrompere le trivellazioni nel giacimento artico di Shtokman (il più vasto d'Europa, con una capacità di 3.900 miliardi di metri cubi), perché l'abbassamento del prezzo di mercato causato dallo shale americano ne aveva reso lo sfruttamento economicamente insostenibile; dal 2009 le importazioni di GNL (gas naturale liquido) da parte di Washington sono calate di due terzi, e si prevede che nel 2028 l'America sarà indipendente dal resto del mondo anche per quanto riguarda il fabbisogno di gas naturale. Ora potete dunque comprendere il terrore che si sta diffondendo nella monarchia saudita, che nel 2012 aveva ottenuto ben il 92% delle sue entrate dalla vendita di petrolio: come ha ammonito il principe Al Waleed, nel 2014 la richiesta mondiale scenderà di 250.000 barili al giorno, e questo sarà solo l'inizio, perché anche altri Paesi, come la Gran Bretagna, la Polonia e l'Ucraina, hanno intenzione di sfruttare i loro giacimenti di scisto (i quali, a differenza di quelli "convenzionali", sembrano essere distribuiti sulla superficie terrestre in modo più uniforme). Ma le conseguenze più importanti della "Shale Revolution" saranno di ordine geopolitico: l'indipendenza energetica significherà per gli Stati Uniti d'America l'annullamento del patto siglato nel 1945 da Franklin Delano Roosevelt con Abdulaziz Ibn Saud, che in cambio di un accesso sicuro alle forniture di petrolio ha obbligato Washington non soltanto a garantire assistenza militare all'Arabia Saudita, ma soprattutto a finanziare per settant'anni con oceani di dollari la fanatica ideologia wahabita, cioè la versione più antimoderna e intollerante dell'Islam, quella che ha dato origine a Osama bin Laden e ad Al Qaeda, al terribile Golgota dell'11 settembre 2001 e a tutti le stragi compiute dal terrorismo islamico in ogni parte del mondo. Chiudere il rubinetto del denaro alla petromonarchia fondamentalista dei Saud significherà per gli Stati Uniti d'America affrancarsi dal dilemma che da settant'anni attanaglia la loro politica estera, sempre divisa tra ideali e interessi, fra rispetto dei diritti umani e complicità con i peggiori tiranni e dittatori, fra esportazione della democrazia e mantenimento della stabilità dei regimi e degli approvvigionamenti energetici. D'ora in poi Washington sarà libera di perseguire la sua missione storica: unire sotto la sua guida tutte le democrazie del pianeta per muovere guerra senza quartiere ai terroristi islamici e agli Stati-canaglia che li finanziano e li armano, per liberare tutti i popoli della Terra da tutti i regimi tirannici e dittatoriali, laici e teocratici, e integrarli in un Impero mondiale, federale e liberaldemocratico, che assicuri a ogni individuo umano il rispetto degli immortali e inalienabili diritti alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Come sempre Ragione e Scienza, doni 96 sublimi dell'Altissimo, cooperano alla diffusione di Libertà e Democrazia, come è avvenuto dall'inizio dell'espansione planetaria dell'Occidente ebraico-cristiano, affinché si realizzi la parola del Signore Gesù Cristo: Ut unum sint, che tutti siano uno: un solo popolo, sotto una sola legge. 97 A GAZA ISRAELE COMBATTE PER DIFENDERE LA CIVILTÀ (19/7/2014) Da circa quaranta ore l'esercito di Israele sta operando nella Striscia di Gaza per distruggere le installazioni missilistiche dell'organizzazione terrorista islamica Hamas. Dopo aver sopportato stoicamente per settimane il bombardamento sempre più esteso delle proprie città e villaggi - bombardamento reso, grazie a Dio, in gran parte inefficace dal sistema di difesa antimissile Iron Dome (Cupola di ferro) che intercetta e distrugge in volo gli ordigni di morte - il primo ministro Benyamin Netanyahu, in accordo con il Gabinetto di Sicurezza del governo di Gerusalemme, ha dato il via libera alle forze armate: alle 21.17 del 17 luglio, mentre l'elettricità veniva tagliata e su Gaza cadeva il buio, 40.000 soldati e centinaia di carri armati con la stella di David hanno fatto ingresso in quel territorio che, da quando nel 2005 Israele si ritirò pensando ingenuamente di favorire un embrione di democrazia palestinese, è divenuta un santuario del peggiore estremismo fondamentalista, il regno di Hamas, l'organizzazione terrorista che in nome del falso dio Allah e del falso profeta e vero assassino Maometto vuole sterminare tutti gli ebrei del mondo. Come era avvenuto nei giorni precedenti per le operazioni aeree, anche l'invasione di terra della Striscia di Gaza ha suscitato la reazione scandalizzata delle cancellerie occidentali, ormai totalmente asservite ai diktat di Eurabia, e l'indignazione a comando dei soliti pacifinti, i quali si indignano per i morti palestinesi ma non per quelli israeliani, e protestano contro i missili israeliani lanciati contro le basi di Hamas ma non contro i missili palestinesi lanciati contro le città israeliane e perfino contro la centrale nucleare di Dimona. Barack Hussein Obama, il filoislamico amico e complice di tutti i tiranni, ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte ribadendo il diritto di Israele a provvedere alla propria difesa e contemporaneamente ingiungendo a Netanyahu di "evitare un'escalation"; ma ormai Netanyahu e tutto il popolo di Israele hanno ben compreso che gli USO, Stati Uniti di Obama, sono un gigante dai piedi d'argilla, una pallida ombra della superpotenza che vinse la Guerra Fredda, che liberò il Kuwait dall'occupazione irachena e abbatté il regime corrotto e sanguinario di Saddam Hussein. Oggi gli Stati Uniti d'America, trasformati per opera di Obama da paladini della libertà e della democrazia in alleati dell'Iran degli ayatollah pedofili e in sostenitori dei Fratelli Musulmani egiziani contro il nuovo corso democratico del presidente al-Sisi, non sono in grado di minacciare Israele e di costringere il suo popolo e il suo governo a subire una tregua che, come avvenuto nel 2006, nel 2009 e nel 2012, servirebbe solo ai suoi nemici per ricostituire i propri arsenali e ricominciare tra qualche mese a lanciare nuovi attacchi ancora più sanguinosi. Oggi Israele ha davanti a sé un'occasione unica: non può limitarsi, come pure ha proclamato ufficialmente, a distruggere qualche tunnel usato dai terroristi di Hamas per infiltrarsi nel proprio territorio e rapire civili innocenti, o a smantellare qualche rampa di lancio dei missili che piovono ogni giorno a decine su Tel Aviv, Haifa e sulle altre sue città (missili che Hamas ottiene dall'Iran, missili sempre più potenti, che ormai hanno una gittata superiore ai 150 Km e quindi sono in grado di colpire 98 ogni angolo dello Stato ebraico); non può, dopo la formazione di un governo unitario tra i finti moderati di Abu Mazen e i veri fanatici di Hamas, permettere ai suoi nemici di prendere il controllo anche della Cisgiordania, da dove potrebbero martellare con lanci di missili tutte le città sulla costa; non può, dopo la proclamazione del Califfato su gran parte della Siria e dell'Iraq, consentire che la Cisgiordania venga infiltrata dai fondamentalisti dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (Isil) e diventi terreno di una gara tra sunniti e sciiti a chi vuol dimostrarsi più fedele ad Allah uccidendo il maggior numero di ebrei. Oggi Israele deve farla finita con tutti i suoi nemici storici e prevenire l'ascesa di quelli futuri: deve occupare militarmente tutta la Striscia di Gaza, distruggere tutte le basi di Hamas, della Jihad Islamica e di tutti gli altri gruppi terroristici annidate al suo interno, eliminare i loro capi e tutta la loro struttura di comando. Ma non basta: deve anche annettere giuridicamente al proprio territorio l'intera Cisgiordania - sia la parte di essa più densamente abitata da ebrei, sia quella con popolazione arabo-musulmana - ed espellere verso la Giordania (la quale d'altronde ha già una notevole quota di popolazione che si proclama di "etnia" palestinese, sebbene i palestinesi non siano mai esistiti come gruppo etnico, ma siano un'invenzione della propaganda di Arafat) tutti quei sedicenti "palestinesi", in realtà arabi, che rifiutassero di giurare fedeltà allo Stato di Israele, in modo da trasformare la Valle del Giordano in un nuovo Vallo di Adriano contro i nuovi barbari, in un fossato di difesa dell'unica democrazia del Medio Oriente contro gli assalti dei fondamentalisti dell'Isil che adesso minacciano di prendere il potere anche in Giordania e che da lì potrebbero facilmente passare in Cisgiordania e minacciare Gerusalemme e tutta Israele, se non trovassero appunto nella Valle del Giordano il muro invalicabile di Tsahal. È interesse dell'Occidente e di tutto il genere umano, anche se esso non se ne rende conto, che Israele vinca oggi a Gaza, che distrugga Hamas e tutti i suoi nemici, che occupi Gaza e annetta la Cisgiordania: se gli sciiti di Hamas e i sunniti dell'Isil, divisi religiosamente ma uniti dall'odio verso ebrei e cristiani, riuscissero - Dio non voglia! - a distruggere Israele, il Califfato travolgerebbe anche l'Egitto, si salderebbe con i movimenti fondamentalisti nel Nord Africa e con il regime islamista di Recep Tayyp Erdogan in Turchia, e prenderebbe in una tenaglia l'Europa, minacciando di tagliarle i rifornimenti di gas e petrolio, costringendola ad accettare la penetrazione della sharia, la legge coranica, in tutti i settori della vita sociale, a subire la discriminazione delle donne e il lavaggio del cervello dei bambini per addestrarli a diventare terroristi suicidi, finché nel giro di pochi decenni l'intero continente cadrebbe sotto il dominio dell'Islam, abdicando a duemila anni di civiltà ebraicocristiana e a tutti i progressi compiuti negli ultimi tre secoli nel campo dei diritti civili e politici; a quel punto, anche un'America prostrata da otto anni di regime obamista finirebbe per arrendersi ai fondamentalisti islamici in casa propria, e tutto il genere umano diventerebbe schiavo di un condominio del terrore islamo-russo-cinese che riporterebbe le lancette della Storia al Medioevo, cancellando il primato dell'individuo in nome della prevalenza obbrobriosa della comunità di origine, religiosa o etnica che sia. Contro questo scenario da incubo si erge oggi la sola teologica potenza di Israele, il Messia delle nazioni, il popolo che concilia in sé il 99 massimo della determinatezza e della particolarità con il massimo dell'apertura e dell'universalità: come Gesù Cristo, il Messia atteso dal popolo di Israele, era pienamente maschio, pienamente ebreo, e tuttavia, proprio a partire da questa sua determinatezza e particolarità, annunciò al mondo il messaggio della misericordia di Dio per tutti gli esseri umani, per l'uomo come per la donna, per il Giudeo come per il Greco; così il popolo di Israele, determinato dal sangue e dalla Legge di Mosè, è oggi il solo a portare senza compromessi la bandiera dell'universalismo, a lottare affinché i sacri princìpi della Libertà, della Democrazia e dei Diritti dell'Uomo siano estesi a beneficio di tutti gli individui umani, in ogni angolo del pianeta. Per questo motivo noi mondialisti appoggiamo e appoggeremo sempre, senza riserve, la sacrosanta lotta di Israele per la propria sopravvivenza, sicuri come siamo che essa si inserisce nel quadro della grande guerra che si combatte da secoli tra Mondialismo e Antimondialismo; guerra che finirà inevitabilmente con la creazione dell'Impero mondiale federale e liberaldemocratico, il quale abbatterà tutti i tiranni laici e teocratici e assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. In quel giorno anche lo Stato di Israele, come tutti gli altri Stati, potrà abbandonare senza rimpianti la propria sovranità e la propria separatezza e determinatezza storico-etnica e religiosa, per divenire una semplice circoscrizione amministrativa di un solo Stato mondiale, con un solo popolo e una sola legge, con uguali diritti e doveri per tutti. 100 L'ISLAM, IL CRISTIANESIMO E L'INVIDIA DEL KALASHNIKOV (16/01/2015) I due attacchi terroristici islamici avvenuti la scorsa settimana a Parigi hanno suscitato reazioni ambigue e inquietanti non soltanto presso i soloni della grande stampa europea e internazionale, sempre pronti a giustificare tiranni, dittatori e assassini, ma anche e soprattutto da parte di vescovi, cardinali e addirittura dello stesso Papa Bergoglio. Inspiegabilmente e scandalosamente i massimi rappresentanti della Chiesa cattolica, invece di ricordare l'esortazione di Gesù Cristo a "porgere l'altra guancia a chi ti offende", si sono schierati dalla parte delle masse islamiche fanatizzate, accusando i poveri disegnatori e redattori del settimanale satirico "Charlie Hebdo", il cui sangue macchiava ancora il pavimento del giornale, di "essersela cercata", di aver "mancato di responsabilità", di aver "offeso la fede religiosa di un miliardo e mezzo di musulmani, quanto essi hanno di più caro, di più intimo e profondo"; qualche opinionista cattolico ha addirittura rinfacciato maramaldescamente alle vittime di aver pubblicato vignette "blasfeme" anche nei confronti di Gesù Cristo, della Madonna, della Trinità e del Romano Pontefice, quasi rammaricandosi che i cattolici siano stati più tolleranti degli islamici; e lo stesso Bergoglio, sull'aereo che lo portava dallo Sri Lanka alle Filippine, dopo aver espresso la solita, retorica condanna nei confronti di chi "uccide in nome di Dio" (naturalmente facendo di ogni erba un fascio, senza precisare che c'è Dio e dio, c'è il Dio di Gesù Cristo che è Logos e Pace e c'è il falso dio Allah che è irrazionale e violento), se l'è prontamente rimangiata affermando che "se uno offende, deride e disprezza la religione, si deve aspettare delle reazioni violente" e che se uno offende la religione di un altro è come se gli offendesse la madre e quindi deve aspettarsi "un pugno in testa", proprio lui che di fronte al massacro quotidiano dei cristiani nei paesi islamici pretende di cavarsela a buon mercato dicendo ai fedeli di pregare... Ora, a parte il fatto che per i musulmani il concetto di "offesa alla religione" è piuttosto ampio e confuso (si è ritenuti "blasfemi" anche se si fa un ritratto serio e posato di Maometto, senza alcun intento caricaturale), a noi mondialisti sembra che i cristiani si siano lasciati influenzare negativamente dagli islamici in merito alla nozione di Sacro e al rapporto fra questo e l'uomo. Gli islamici infatti, come indica la stessa parola Islam = sottomissione, credono che il Sacro sia una realtà totalmente avulsa dall'uomo, dalla sua natura razionale e libera, dai suoi desideri e dalla sua aspirazione alla felicità; una realtà assolutamente trascendente, terribile e violenta, davanti alla quale l'uomo potrebbe solo inchinarsi e, appunto, sottomettersi, rinunciando all'uso della propria ragione e della propria libertà per obbedire ciecamente a colui che, di tempo in tempo, si proclama annunciatore della volontà di Dio. Noi mondialisti, invece, riteniamo - come ha detto il nostro Signore Gesù Cristo, il vero Figlio di Dio - che "il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato"; che la libertà di espressione e di religione discende dalla natura dell'uomo creato libero a immagine e somiglianza di Dio, e quindi è, essa sì, un diritto sacro, il diritto più sacro di tutti; che perciò il Sacro ha senso, ed è degno di rispetto, solo in quanto è conforme 101 alla dignità di ogni individuo umano; e che pertanto nessuna vera o presunta offesa a una fede religiosa possa giustificare la messa a morte del vero o presunto "offensore". I cristiani, fino a qualche tempo fa, sembravano aver ben compreso questa verità evangelica: avevano smesso di perseguitare gli "eretici" - qualifica che spesso serviva a mettere al bando ogni nemico o persona "scomoda", come fece Filippo il Bello con noi Templari - e nella Dichiarazione Dignitatis humanae emessa durante il Concilio Vaticano II avevano riconosciuto solennemente che ogni uomo e donna ha il diritto di cercare la verità su Dio, sul mondo e su se stessi senza subire costrizioni; ma da qualche anno essi, quasi fossero vittime della nefasta influenza della propaganda islamica, hanno compiuto molti passi indietro sulla via della tolleranza. Sembra quasi che il Cristianesimo provi nei confronti dell'Islam una sorta di "invidia del kalashnikov" analoga all'"invidia del pene" che Sigmund Freud attribuiva alle ragazze adolescenti; è come se i vertici della Chiesa invidiassero l'intolleranza e il fanatismo dei musulmani, ingannando se stessi e scambiando tale intolleranza e fanatismo per genuina fede in Dio, e di conseguenza desiderassero che tutti i fedeli cristiani fossero altrettanto fanatici e intolleranti nei confronti di quanti offendono la fede cristiana. Non si rendono conto, il Papa Bergoglio, i vescovi francesi, l'ineffabile cardinal Tauran (che qualche anno fa, di fronte all'accusa di "blasfemia" nei confronti di una bambina pakistana affetta dalla sindrome di Down, invitava a "considerare la proporzione tra l'accusa e come si è svolto il fatto, se ci sia stata o meno consapevolezza e volontà", come se l'offesa consapevole e volontaria nei confronti di Maometto possa giustificare una condanna a morte), che la "tiepidezza" dei cristiani nel rispondere alle offese verso la loro religione è un pregio, una benedizione, un grande dono che l'Onnipotente ha fatto loro per il tramite dell'Illuminismo, di quell'Illuminismo che adesso Bergoglio considera diabolico, ma che il suo predecessore Joseph Ratzinger, nel famoso discorso di Ratisbona del 2006, aveva elogiato per aver "costretto" il Cristianesimo a unire insieme Fede e Ragione allontanandosi dalla trappola mortale del fanatismo e dell'imposizione violenta del Vangelo, mentre gli islamici, proprio per aver posto il loro falso dio Allah in una trascendenza oltre il Logos, proprio per aver rifiutato di conciliare Ragione e fede, hanno tentato e tentano da 1.400 anni di sottomettere con la violenza tutto il genere umano alle loro credenze false, fanatiche e discriminatorie nei confronti delle donne e dei non-islamici. Per questo l'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e il Partito Mondialista, suo ramo esecutivo, nel condannare con forza e, noi sì, senza retorica le barbariche stragi compiute dagli assassini islamici in nome di Allah e Maometto, esortano i cristiani di tutto il pianeta a non farsi traviare dai cattivi pastori che non si curano del gregge del Signore Dio, che predicano una falsa misericordia verso gli islamici massacratori di cristiani e poi giustificano la violenza degli stessi islamici nei confronti di tutti i non-islamici, e rinnovano il loro fermo proposito di compiere ogni sforzo per «secolarizzare l'Islam» come primo passo per attuare il Grande Progetto, contenuto nel Manifesto programmatico del Partito Mondialista, di creare un Impero mondiale, federale e liberaldemocratico, che assicuri il rispetto dei diritti sacri e inalienabili di ogni individuo umano alla vita, alla libertà e alla ricerca 102 della felicità. Agli islamici, invece, ricordiamo quanto già scritto nel nostro editoriale del 25 maggio 2013: noi mondialisti, con la nostra operazione "Snow on the Sahara" che ha portato all'esplodere delle Primavere Arabe e alla caduta dei regimi dittatoriali di Ben Ali in Tunisia, di Mubarak in Egitto, di Gheddafi in Libia e di Saleh nello Yemen, abbiamo teso la nostra mano amica verso gli islamici, tentando il "sacro esperimento" di convertirli alla democrazia liberale e al rispetto dei diritti dell'uomo. Ora spetta ad essi, e ad essi soltanto, scegliere se vogliono integrarsi nel mondo globalizzato di oggi e nell'Impero mondiale venturo, convivendo in pace con il resto del genere umano, o se preferiscono essere spazzati via dal soffio dello Spirito di Dio e cancellati dalla Storia, come è avvenuto per il nazismo e il comunismo. 103 ALLA GUERRA DICHIARATA DALL'ISLAM SI DEVE RISPONDERE CON LA GUERRA (28/06/2015) I quattro sanguinosi attacchi terroristici avvenuti lo scorso venerdì 26 in quattro Paesi - Francia, Tunisia, Kuwait e Somalia - dovrebbero finalmente aver aperto gli occhi alle sonnacchiose cancellerie occidentali sulla gravissima situazione in cui il genere umano si trova ormai da più di venti anni: SIAMO IN GUERRA. Da più di venti anni, ovvero dalle prime stragi compiute dai fondamentalisti islamici in Algeria negli anni '90 del XX secolo, L'ISLAM HA DICHIARATO GUERRA A TUTTO IL GENERE UMANO. In questi anni l'Islam ha ucciso più di 100.000 innocenti in Algeria; ha preso il potere in Afghanistan, trasformandolo in un emirato del terrore, con esecuzioni pubbliche quotidiane negli stadi; ha compiuto decine di attentati, dalle ambasciate americane in Kenya e Tanzania all'abbattimento delle Torri Gemelle di New York l'11 settembre 2001, dalle stragi di Madrid, Bali e Londra alle ultime in Tunisia e Kuwait; ha ricreato il Califfato sunnita su più di metà della Siria e su più di metà dell'Iraq, uccidendo, sgozzando, decapitando, vendendo schiave le donne del nemico e addestrando i bambini fatti prigionieri a diventare scudi umani, mentre la teocrazia pedofila degli ayatollah sciiti opprime dal 1979 il nobile popolo di Persia e oggi allunga la sua ombra malefica dal Libano allo Yemen, dalla Siria all'Iraq. Ormai ogni musulmano, in qualunque parte del mondo viva, può trasformarsi da un momento all'altro in un assassino spietato che uccide e decapita il proprio datore di lavoro, come è avvenuto venerdì scorso in Francia, oppure prende in ostaggio uomini, donne e bambini innocenti in una scuola o in un teatro uccidendoli in modo efferato, come hanno fatto i terroristi islamici ceceni a Beslan e a Mosca, oppure si fa esplodere contro una base militare dell'Unione Africana in Somalia o in una moschea della fazione avversa, oppure entra in una pasticceria di Sidney massacrando chiunque gli capiti a tiro, oppure si lancia con la propria automobile contro i passanti, come è avvenuto alcuni mesi fa in Canada, oppure chiede un passaggio a un automobilista per pugnalarlo a morte, come ha fatto un arabo in Israele una settimana fa. È tempo che tutto il genere umano comprenda che l'ISLAM È UNA IDEOLOGIA INTOLLERANTE, TOTALITARIA E ASSASSINA, UNA IDEOLOGIA DI MORTE CHE VA FERMATA A QUALUNQUE COSTO, PENA LA STESSA SOPRAVVIVENZA DELL'UMANITÀ SULLA TERRA. È tempo che tutto il genere umano, dall'America alla Russia, dall'Europa alla Cina, si unisca in una sacra guerra per la sopravvivenza, per la liberazione dal terrore, dall'intolleranza e dall'oppressione portate dall'Islam ovunque esso sia arrivato. Per vincere questa santa guerra della Vita contro la Morte, tutto il genere umano dovrà adottare contro l'Islam misure straordinarie, eccezionali, le uniche adeguate a fronteggiare la minaccia mortale che l'Islam costituisce; misure di emergenza che forse faranno storcere il naso alle anime belle, ai ciecopacifisti, ai cultori dello Stato di diritto senza se e senza ma, a quanti sono convinti che a una guerra di sterminio si 104 possa rispondere con i poliziotti di quartiere e con la magistratura ipergarantista. Non comprendono, questi cultori della legalità assoluta, che lo Stato di diritto, il principio nulla poena sine praevia lege, il giusto processo, la democrazia che conta i voti e non li pesa, sono stati creati nell'Europa stremata dalle guerre di religione per garantire un certo grado di sicurezza agli oppositori dei sovrani e dei governi di volta in volta al potere, sul presupposto che governanti e oppositori, maggioranza e minoranza condividessero un insieme di princìpi e di valori di libertà, uguaglianza, tolleranza per tutte le religioni e le opinioni politiche. Già con l'avvento del comunismo in Russia, e poi del fascismo in Italia e del nazismo in Germania, i più saggi videro e compresero che gli istituti dello Stato di diritto liberale e della democrazia potevano essere usati da forze antiliberali e antidemocratiche per prendere il potere e metterli poi da parte come arnesi inutili, per instaurare regimi totalitari basati sul terrore di Stato e sul più cieco conformismo ideologico. Così come il Terzo Reich e l'Unione Sovietica non sono stati sconfitti e abbattuti da operazioni di polizia e da sentenze giudiziarie, ma da bombardamenti a tappeto, sbarchi aeronavali e schieramenti di truppe e di missili (anche nucleari), allo stesso modo, per sconfiggere l'Islam, sarà necessario SOSPENDERE LE GARANZIE DELLO STATO DI DIRITTO E DELLA DEMOCRAZIA NEI CONFRONTI DEI MUSULMANI. Per sconfiggere l'Islam, sarà necessario affidare la gestione dei musulmani presenti nei Paesi non islamici alla competenza delle Forze Armate. Ogni familiare, parente, amico di un musulmano che compia atti terroristici dovrà essere espulso dall'Occidente. Ogni musulmano che dia denaro, armi o altri aiuti a chi compie attentati terroristici dovrà essere espulso dall'Occidente. Ogni musulmano, sia esso un imam o no, che predichi, giustifichi o invochi l'odio, l'intolleranza, la persecuzione e l'uccisione di individui non musulmani dovrà essere espulso dall'Occidente. Ogni musulmano che rifiuti di giurare fedeltà ai princìpi immortali e inalienabili di libertà, uguaglianza e tolleranza, dovrà essere espulso dall'Occidente. Infine, tutti i Paesi non islamici della Terra dovranno formare un grande esercito, occupare militarmente, uno dopo l'atro, tutti i Paesi islamici, eliminare fisicamente tutti i tiranni e i dittatori laici e teocratici, epurare le forze armate, la burocrazia, la magistratura e i mass media da ogni individuo intollerante e fondamentalista, e creare in quei Paesi una società civile laica, tollerante e democratica, capace di assumere progressivamente l'autogoverno nel rispetto degli immortali e inalienabili diritti di ogni uomo e donna alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Se poi qualche Paese non islamico, come la Russia del tiranno Putin o la Cina comunista, non si schierasse con il resto del genere umano in questa santa guerra contro l'oppressione islamica, tali Paesi e regimi dovranno essere considerati, come l'Islam, NEMICI DEL GENERE UMANO, e trattati come i Paesi islamici, al fine di rimuovere anche i loro tiranni e dittatori e trasformare anch'essi in Paesi liberali, democratici e rispettosi dei diritti umani, in regioni desovranizzate di un unico Impero mondiale federale, liberale, democratico e tollerante. Noi mondialisti sappiamo bene che la guerra di liberazione del genere umano dalla minaccia dell'Islam costerà sangue, sofferenze e lacrime per milioni di 105 innocenti; e sappiamo bene che la minaccia dell'Islam sarà veramente sconfitta soltanto quando saranno sconfitti tutti i regimi tirannici, dittatoriali e totalitari che forniscono ai musulmani armi e complicità. Ma sappiamo pure che l'unica alternativa alla guerra contro l'Islam e contro i suoi complici dell'Asse del Male sarebbe la resa dell'Occidente e di tutto il genere umano alle potenze intolleranti, totalitarie e assassine che strumentalizzano, il Sacro, il Sangue e il Suolo per combattere la civiltà della Vita, della Libertà e dei Diritti dell'Uomo; e sappiamo che, come il genere umano ha saputo sconfiggere il nazifascismo e il comunismo, così saprà sconfiggere anche il terrorismo islamico e ogni altro regime intollerante, tirannico e totalitario. Perché l'aspirazione ad una vita libera, sicura e felice è stata posta da Dio nel cuore di ogni uomo e donna che viene al mondo, dal principio della storia fino a oggi; e tale aspirazione troverà il suo compimento inevitabile nella creazione di un solo Stato mondiale liberale, democratico e tollerante, che assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. ONE STATE FOR ONE PEOPLE: MANKIND/UN SOLO STATO PER UN SOLO POPOLO: L'UMANITÀ. 106 CONTRO L'ISLAM ASSASSINO CI VOGLIONO RIMEDI ESTREMI (21/11/2015) Gli avvenimenti delle ultime settimane mostrano ormai chiaramente a chiunque non sia accecato dai fumi dell'ideologia che L'iSLAM HA DICHIARATO GUERRA A TUTTO IL GENERE UMANO, e che il genere umano ha davanti a sé solo due strade: o sceglie di sottomettersi all'islam assassino e di vivere una vita da dhimmi, da schiavi in balia dei seguaci del falso dio Allah e del falso profeta Maometto, oppure decide, una volta per tutte, di difendersi adottando tutte le misure necessarie a sconfiggere chi vuole sterminarlo. 1) In primo luogo, come in ogni guerra dal principio della storia umana, è necessario compattare il cosiddetto "fronte interno". Ciò implica la necessità di formare una coalizione planetaria di tutti i popoli che non vogliono sottomettersi all'Islam assassino di matrice sunnita autore dei recenti attacchi terroristici a Parigi e Bamako: Stati Uniti d'America e Israele, Europa, India, Giappone, Australia e Nuova Zelanda, ma anche Russia, Cina e l'Iran dominato dalla teocrazia sciita dovranno mettere da parte le loro rivalità politico-economico-religiose e combattere insieme contro il Califfato. Dovranno bombardare a tappeto Raqqa, Mosul e le altre città in mano ai seguaci di al-Baghdadi, con bombe e missili di ogni tipo, distruggere caserme, centri di comando, strade e vie di comunicazione, pozzi petroliferi, raffinerie e depositi, senza escludere l'uso di alcuna arma, compresa la bomba atomica. Del resto, nel 1945 gli Americani non furono forse costretti a incenerire nel fuoco nucleare Hiroshima e Nagasaki per convincere Hirohito e la sua casta di guerrafondai ad arrendersi, e risparmiare così le vite di decine di migliaia di soldati statunitensi e di centinaia di migliaia di civili nipponici che altrimenti sarebbero state sacrificate nella conquista di tutto il territorio del Giappone, in uno stillicidio di combattimenti casa per casa? Ebbene, adesso il pericolo per tutto il genere umano è ben più grave di quello costituito dal Giappone 70 anni fa, pertanto l'uso dell'arma atomica per sconfiggere il Califfato sanguinario non può essere esclusa a priori. 2) Ma non basterà distruggere lo Stato Islamico per sventare il pericolo costituito dall'Islam sunnita: come si è visto nelle strade di Gerusalemme, a Parigi e a Bamako, ma anche in precedenza a Madrid e Londra, a Bali, Bangkok, Mumbai e in tutti i luoghi colpiti dal terrorismo islamico - a partire da New York e Washington, martirizzate l'11 settembre 2001 -, gli islamici sunniti sono un miliardo di fanatici disposti a tutto per imporre la loro ideologia di morte su tutto il pianeta, sono pronti a farsi esplodere sugli autobus e nei teatri, a sparare a caso su persone innocenti nei ristoranti e nelle sale da concerto, ad avvelenare le riserve idriche, ad usare armi chimiche, batteriologiche e nucleari allo scopo malvagio e abietto di uccidere il maggior numero possibile di non-islamici. Per fermarli sarà necessario limitare fortemente, se necessario annullare le libertà di tutti i musulmani residenti in Paesi non-islamici: essi dovranno venire internati tutti in campi di prigionia, così come avvenne per gli Italiani, i Tedeschi e i Giapponesi residenti in Inghilterra e negli Stati Uniti d'America durante la seconda guerra mondiale, perché il pericolo, lo ripetiamo ancora una volta, il pericolo di sterminio per tutto il genere umano è molto 107 più grande oggi di quanto lo fosse 70 anni fa. Inoltre tutte le spie, tutti i traditori, tutti coloro, islamici e non-islamici, che collaboreranno con il nemico in qualsiasi modo, compiendo attentati terroristici, sabotando l'economia e la vita sociale dei Paesi della coalizione anti-sunnita, o diffondendo propaganda a favore del nemico, dovranno essere passati per le armi. 3) Infine, i Paesi islamici a maggioranza sunnita, a partire dall'Arabia Saudita, Quatar, Kuwait e le altre monarchie della penisola arabica che attualmente finanziano il Califfato, e quindi il terrorismo, con i provneti della vendita del petrolio, dovranno essere posti davanti a una scelta: o romperanno i loro legami, le loro complicità, le loro alleanze con il Califfato, cessando ogni finanziamento e ogni fornitura di armi ai terroristi e aderendo alla Coalizione, oppure dovranno subire lo stesso trattamento del Califfato e dei suoi seguaci, dovranno anch'essi venire attaccati, sconfitti e distrutti. Noi mondialisti sappiamo bene che non tutti coloro i quali oggi combattono contro il Califfato sunnita sono animati da ideali di libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani: sappiamo bene che il tiranno Putin sta combattendo il Califfato con lo scopo, neppure troppo nascosto, di mantenere al potere il macellaio Assad per imporre la propria egemonia sul Mediterraneo, utilizzando le basi navali siriane, e che l'Iran dominato dalla teocrazia sciita brama di vendicarsi della sua secolare sottomissione ai sunniti (che costituiscono il 90% di tutti gli islamici del mondo) e di mettersi alla testa della jihad contro l'Occidente. Ma sappiamo pure che le necessità belliche richiedono di stringere alleanze con tutti i nemici del proprio nemico: come 70 anni fa Churchill e Roosevelt strinsero alleanza con Stalin per sconfiggere l'Asse Roma-Berlino-Tokio, così oggi è necessario che l'Europa e gli Stati Uniti d'America una volta che questi ultimi si saranno sbarazzati del tiranno filoislamico Barack Hussein Obama e si saranno dati un Comandante in Capo degno di tal nome - si alleino con il grande tiranno Putin e con i suoi vassalli Khamenei e Assad, come pure con i mandarini del Partito Comunista Cinese, per sconfiggere l'Armata della Morte sunnita. Dopo che questo grande pericolo sarà stato sventato, dopo che il Califfato sarà stato distrutto, al-Baghdadi ucciso con tutti i suoi seguaci, e i sunniti di tutto il pianeta pacificati o neutralizzati in un modo o nell'altro, allora l'Occidente potrà e dovrà rivolgere le proprie armi e i propri eserciti contro l'Asse del Male Mosca-PechinoTeheran, per liberare i nobili popoli di Russia, di Cina e di Persia dalla loro schiavitù e miseria materiale e spirituale, e creare finalmente l'Impero mondiale che assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Ma ogni grande costruzione destinata a durare nei secoli non si realizza in un solo giorno. Oggi è il tempo di combattere il Califfato e i sunniti. Ad ogni giorno basta la sua pena. 108 IN LIBIA LA NOSTRA CACCIATRICE HA APPENA COMINCIATO (6/02/2016) Lo scorso 13 gennaio, nella città libica di Sirte che dalla scorsa estate soffre sotto il giogo del sanguinario Califfato islamico, il sudanese Hamad Abdel Hady, soprannominato Abu Anas Al-Muhajer, che in qualità di giudice della sharia aveva seminato il terrore tra la popolazione, è stato eliminato da questo mondo con un solo, preciso colpo alla testa mentre si trovava nei pressi di un ospedale. Sei giorni dopo, il 19 gennaio, il comandante dell'Isis in Libia Abu Mohammed Dernawi ha ricevuto la stessa giusta punizione per i suoi crimini. Infine, per ora (ma solo per ora), il 23 gennaio Abdullah Hamad al-Ansari, comandante jihadista proveniente dalla città occupata di Obari, nel Sud del Paese, è stato freddato allo stesso modo mentre usciva da una moschea. I miliziani dell'Isis a Sirte sono caduti in preda a un cieco terrore, e hanno iniziato una serie di retate e di arresti indiscriminati nel vano tentativo di catturare il misterioso e imprendibile cecchino, che intanto gli abitanti di Sirte e i social media di tutto il mondo hanno battezzato "Daesh Hunter". Sulla sua identità molto si è scritto in questi giorni: qualcuno lo ritiene un miliziano anti-Isis proveniente dalla città di Misurata, altri pensano sia un ex-militare dell'esercito libico, e altri ancora credono sia un soldato dei reparti speciali americani. Gli unici punti su cui tutti sono d'accordo sono che si tratti di un individuo dall'eccezionale sangue freddo, ottimamente addestrato a colpire i suoi bersagli con un singolo, preciso colpo sparato dall'alto e poi a fuggire senza dare nell'occhio, cosa ancor più sorprendente in una città come Sirte in cui i miliziani del Califfato controllano tutto ciò che si muove. Ebbene, noi del Partito Mondialista siamo in grado ora di dire una parola di verità su questa faccenda: il misterioso "Daesh Hunter" è un nostro agente. Anzi, una nostra agente. Aveva solo 9 anni nell'ottobre 2001, quando la trovarono fra le rovine annerite di quella che era stata la sua casa. Era la terza figlia di un capovillaggio afghano che si era ribellato ai talebani. I fanatici islamici prima uccisero sotto i suoi occhi innocenti il padre, la madre e i due fratelli, poi la violentarono a turno per un giorno e una notte, infine appiccarono il fuoco all'abitazione per cancellare le tracce della loro abiezione. Il Cielo volle che una pattuglia di marines giunta sul luogo la trovasse ancora viva, e fu così che venne affidata alle nostre cure. Era ridotta in uno stato pietoso, povera piccola: il suo corpo era piagato da gravissime ustioni, da lividi e lesioni ai genitali causate dagli stupri seriali che aveva subito, e fu necessario sottoporla a numerose avanzatissime operazioni chirurgiche per ricostruire i suoi organi interni e il suo volto sfigurato dal fuoco, ma ancora peggiori erano le sue condizioni psicologiche; era praticamente ridotta a un vegetale, non riusciva a stare in piedi, a camminare e neppure a parlare, rifiutava il cibo e tentò per due volte di suicidarsi. Solo dopo tre anni di psicoterapia si riprese, e il miracolo avvenne quando uno dei nostri reclutatori le regalò una pistola carica e le disse: «Ora scegli: puoi usarla per ucciderti e porre fine al tuo dolore, oppure puoi usarla affinché nessuna bambina debba più soffrire quello che hai sofferto tu». Da allora lei imparò a sparare con ogni tipo di arma da fuoco, a uccidere usando una matita, a confezionare bombe 109 col pane e a vivere sotto molte identità: prese il nome di Asiya, che in arabo significa "colei che solleva i deboli", e a diciotto anni pronunciò il giuramento solenne di affiliazione al Partito Mondialista. Da allora Asiya ha ucciso numerosi capi del terrorismo islamico, dalla Giudea e Samaria a Gaza, e dall'Iran all'Iraq; quando noi mondialisti abbiamo avuto sentore che l'Isis stava installandosi in Libia decidemmo di infiltrarla nelle milizie jihadiste provenienti dalla Siria, e fu così che ella giunse a Sirte e iniziò prima a individuare i principali esponenti del Califfato, e poi a eliminarli. Ecco, amici della Rete, questa è la vera storia di "Lady Daesh Hunter": una storia di sofferenza e di martirio, ma anche di riscatto e di impegno per la liberazione del genere umano dalla minaccia costituita dall'Islam fondamentalista, sanguinario e assassino. Tutti noi dobbiamo essere grati a uomini e donne come Asiya, uomini e donne i quali rischiano ogni giorno la vita per abbattere tutti i terroristi, i tiranni e i dittatori laici e teocratici che opprimono miliardi di persone innocenti su tutto il pianeta, e per unire tutto il genere umano in un solo Impero mondiale che assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia a tutti gli uomini, le donne, i bambini e le bambine del mondo. A voi terroristi del Daesh, invece, noi mondialisti diciamo: pentitevi e cambiate vita, o l'Angelo della Morte vi colpirà infallibilmente e molto presto. La nostra cacciatrice ha appena cominciato. 110 A NEMICO TOTALE, GUERRA TOTALE (3/04/2016) Le recenti stragi compiute da fanatici terroristi islamici a Bruxelles, in Iraq e in Pakistan dimostrano a sufficienza, per chi avesse ancora avuto bisogno di prove, che L'ISLAM È IL NEMICO DI DIO E DEL GENERE UMANO: - IL NEMICO DI DIO, in quanto l'Islam si fonda sulla credenza superstiziosa in un falso dio, Allah, il quale non conosce distinzione tra Sacro e Profano, tra le "cose di Dio" e le "cose di Cesare", tra religione e scienza, ma considera tutto il sapere umano assoggettato alla sua volontà arbitraria; un falso dio, Allah, il quale è totalmente svincolato dalla ragione e dalla verità, al punto da ordinare ai suoi seguaci di mentire agli "infedeli" pur di prenderli di sorpresa; - IL NEMICO DEL GENERE UMANO, in quanto chi crede nel falso dio Allah e nel falso profeta Maometto non riconosce l'uguaglianza fra uomini e donne e fra musulmani e non-musulmani, ma pensa, parla e agisce per sottomettere le donne al potere arbitrario e stupratore degli uomini musulmani, e per sottomettere i nonmusulmani, le loro vite, le loro libertà, le loro persone e i loro beni, al potere arbitrario, rapace e sopraffattore dei musulmani, a costo di uccidere le donne e di sterminare tutti i non-musulmani. L'ISLAM È DUNQUE IL NEMICO N. 1 DI TUTTO IL GENERE UMANO, IL NEMICO ASSOLUTO, IL NEMICO TOTALE, in quanto chi crede nel falso dio Allah e nel falso profeta Maometto non vuole a nessun costo convivere in pace, sullo stesso pianeta, con dei non-musulmani, ma pensa, parla e agisce al fine di costringere tutti i non-musulmani a convertirsi alla sua stessa superstizione o di sterminarli se non si convertono. Fra l'Islam e tutto il genere umano esiste dunque una INCOMPATIBILITÀ TOTALE, in quanto I MUSULMANI NON TOLLERANO L'ESISTENZA DEI NON-MUSULMANI, e quindi L'ESISTENZA DEI MUSULMANI METTE IN PERICOLO L'ESISTENZA DI TUTTI I NON-MUSULMANI, METTE IN PERICOLO L'ESISTENZA DI TUTTO IL GENERE UMANO. Se dunque l'esistenza dei musulmani mette in pericolo l'esistenza di tutto il genere umano, se dunque l'Islam è il nemico totale del genere umano, come potrà il genere umano salvarsi da questo pericolo di sterminio totale? SOLO RISPONDENDO ALLA GUERRA DELL'ISLAM CON UNA GUERRA CONTRO L'ISLAM. Per natura, infatti, la guerra nasce sempre da un qualche tipo di incompatibilità fra un popolo (o una coalizione di popoli) e un altro popolo (o un'altra coalizione di popoli), e il tipo, il grado, il livello dell'incompatibilità determina il tipo, il grado, il livello della guerra che ne scaturisce. Le guerre combattute per il possesso di un territorio - territorio che può trovarsi o in posizione intermedia tra due Stati, come era il caso delle guerre combattute in Europa dal crollo dell'Impero Romano, per tutto il Medioevo, fino al 1870; oppure su un altro continente, come era il caso delle guerre combattute nel '700 tra Francia e Inghilterra per il possesso del Nordamerica - sono abissalmente diverse dalla guerra che l'Islam ha scatenato contro tutto il genere 111 umano, guerra che nasce da un'incompatibilità assoluta, totale, fra il modo di concepire Dio, l'uomo e la vita in comune degli uomini che è proprio, da una parte, dell'Islam e, dalla parte opposta, di tutti i non-islamici. Se si vuole trovare un termine di confronto con la guerra scatenata dall'Islam contro tutti i non-islamici, lo si può trovare solo nella persecuzione scatenata dai nazisti contro il popolo ebraico e, insieme, nella guerra da essi contemporaneamente scatenata contro le democrazie occidentali: infatti i nazisti vedevano, correttamente, che esisteva una incompatibilità totale fra il loro modo di concepire Dio, l'uomo e la vita in comune degli uomini (un dio "ariano", un genere umano diviso in razze "superiori" e razze "inferiori", una vita in comune degli uomini basata sulla sottomissione e lo sterminio delle razze "inferiori" da parte della razza "superiore" germanica) e il modo di concepire Dio, l'uomo e la vita in comune degli uomini da parte degli Ebrei (un Dio Padre giusto e misericordioso di tutti gli uomini, senza distinzione di sesso, etnia, o religione; un genere umano composto da individui che condividono tutti la stessa natura e sono stati dotati da Dio degli stessi diritti, fra i quali il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità; una vita in comune degli uomini basata sui sacri princìpi di libertà, uguaglianza e fraternità universali); e vedevano, altrettanto correttamente, che il modo di concepire Dio, l'uomo e la vita in comune degli uomini proprio delle democrazie occidentali discendeva dalla religione ebraico-cristiana, era l'applicazione a tutto l'Occidente del modo di concepire Dio, l'uomo e la vita in comune degli uomini proprio degli Ebrei e dei Cristiani che da essi discendono, e quindi era assolutamente, totalmente incompatibile con il modo nazista di concepire Dio, l'uomo e la vita in comune degli uomini. Allo stesso modo, come abbiamo dimostrato all'inizio di questo nostro editoriale, esiste una incompatibilità assoluta, una incompatibilità totale fra il modo di concepire Dio, l'uomo e la vita in comune degli uomini proprio dell'Islam (un dio irrazionale e arbitrario, un genere umano segnato dall'inferiorità delle donne e dei non-islamici nei confronti degli uomini islamici, una vita in comune fra islamici e non-islamici che gli islamici rifiutano totalmente) e il modo di concepire Dio, l'uomo e la vita in comune degli uomini proprio dell'Occidente e di tutto il genere umano che ormai, volente o nolente, ha assorbito i princìpi e i valori ebraico-cristiani e occidentali. Se dunque esiste una incompatibilità totale fra l'Islam e tutto il genere umano, se LA GUERRA SCATENATA DALL'ISLAM CONTRO TUTTO IL GENERE UMANO È UNA GUERRA TOTALE, allora ANCHE IL GENERE UMANO DEVE RISPONDERE ALLA GUERRA TOTALE DELL'ISLAM CON UNA GUERRA TOTALE CONTRO L'ISLAM. GUERRA TOTALE CONTRO L'ISLAM vuol dire che tutti i musulmani residenti in Occidente, siano essi cittadini o stranieri ospiti, devono essere messi di fronte a un aut-aut: poiché molti di essi hanno fornito sostegno economico, logistico e finanziario ai terroristi che hanno ucciso migliaia di innocenti a New York, Washington, Londra, Madrid, Parigi e Bruxelles, se i musulmani abiurano la loro superstizione falsa e barbarica, maledicendo il falso dio Allah e il falso profeta Maometto e giurando fedeltà ai princìpi e valori occidentali di libertà, uguaglianza e laicità, allora verranno assimilati nelle società occidentali ed 112 entreranno a far parte del venturo Impero mondiale come cittadini con uguali diritti e doveri; se invece i musulmani dovessero rifiutarsi di abiurare la loro superstizione falsa e barbarica, se volessero ostinatamente persistere nello schiavizzare le donne e nel massacrare i non-musulmani, ALLORA ESSI DOVRANNO ESSERE TRATTATI COME NEMICI. E il modo in cui si trattano i nemici lo ha indicato chiaramente una settimana fa un soldato israeliano: dopo aver individuato un terrorista islamico armato di coltello che si apprestava a uccidere ebrei innocenti, prima lo ha ferito con una fucilata, poi, quando era a terra, lo ha finito con un colpo in testa. GUERRA TOTALE CONTRO L'ISLAM vuol dire che il trattamento dei musulmani residenti in Paesi non-musulmani, siano essi cittadini o stranieri ospiti, dovrà essere esattamente simmetrico al trattamento dei non-musulmani, cittadini o stranieri ospiti, residenti nei Paesi a maggioranza musulmana: FINO A QUANDO I PAESI A MAGGIORANZA MUSULMANA NON RICONOSCERANNO AI NON-MUSULMANI UGUALI DIRITTI E DOVERI RISPETTO AI MUSULMANI, PER SIMMETRIA I PAESI NON-MUSULMANI DOVRANNO NEGARE AI MUSULMANI LA TITOLARITÀ E IL GODIMENTO DEI DIRITTI CHE VENGONO INVECE PACIFICAMENTE RICONOSCIUTI AI NON-MUSULMANI. Ne consegue che fino a quando i non-musulmani residenti nei Paesi a maggioranza musulmana non godranno di diritti e doveri uguali a quelli dei musulmani, I MUSULMANI RESIDENTI IN PAESI NON-MUSULMANI NON POTRANNO GODERE, AD ESEMPIO, DELLE GARANZIE TIPICHE DELLO STATO DI DIRITTO E DELLA DEMOCRAZIA LIBERALE, COME LA PRESUNZIONE DI INNOCENZA FINO A PROVA CONTRARIA ACCERTATA IN UN REGOLARE PROCESSO E IL DIRITTO-DOVERE DI VOTARE, DI ELEGGERE E DI ESSERE ELETTI; anzi, LA GESTIONE E IL TRATTAMENTO DI TUTTI I MUSULMANI RESIDENTI IN PAESI NONMUSULMANI, siano essi "formalmente" cittadini o stranieri ospiti, dovranno essere sottratti alla pubblica amministrazione civile e alla magistratura e DOVRANNO ESSERE AFFIDATI ALL'ESERCITO E AI SERVIZI SEGRETI, COME SI ADDICE A NEMICI TOTALI. Lo stesso trattamento, del resto, fu adottato dall'Inghilterra e dagli Stati Uniti d'America durante la seconda guerra mondiale, quando centinaia di migliaia di italiani, tedeschi e giapponesi residenti nei territori inglese e statunitense vennero arrestati senza processo e rinchiusi in campi di detenzione fino alla sconfitta dell'Asse Roma-Berlino-Tokio. GUERRA TOTALE CONTRO L'ISLAM vuol dire infine che tutti i Paesi non-musulmani, se vorranno sopravvivere alla guerra di sterminio scatenata contro di essi dall'Islam, dovranno utilizzare contro l'Islam TUTTI I MEZZI E TUTTE LE RISORSE A LORO DISPOSIZIONE: DALLA PROPAGANDA ALLE SANZIONI ECONOMICHE, DAL BLOCCO DEI COMMERCI AI BOMBARDAMENTI MARITTIMI E AEREI, DALL'INVASIONE TERRESTRE FINO ALL'USO DELL'ARMA ATOMICA CONTRO I REGIMI ISLAMICI. I regimi teocratici e dittatoriali islamici, del resto, non fanno mistero di voler dotarsi di armi nucleari per distruggere i popoli di Israele, degli Stati Uniti 113 d'America, di tutto l'Occidente e di tutti i Paesi non-islamici che essi considerano nemici. Pertanto I PAESI NON-ISLAMICI HANNO IL DIRITTO-DOVERE, PER SOPRAVVIVERE ALLA GUERRA DI STERMINIO SCATENATA CONTRO DI ESSI DALL'ISLAM, DI USARE CONTRO L'ISLAM ANCHE L'ARMA NUCLEARE, ANCHE PER PRIMI, E NON SOLTANTO CONTRO L'ISLAM, MA ANCHE CONTRO TUTTI QUEI REGIMI NON-ISLAMICI COME LA RUSSIA DEL TIRANNO PUTIN, O LA CINA COMUNISTA, O LA COREA DEL NORD - CHE PER CIECA IDEOLOGIA DOVESSERO ALLEARSI CON L'ISLAM; IN QUELLO SCIAGURATO CASO, INFATTI, ANCHE QUEI REGIMI DOVREBBERO ESSERE CONSIDERATI NEMICI DEL GENERE UMANO. Del resto anche i Conquistadores, quando giunsero in Sudamerica e videro gli abietti sacrifici umani a cui dovevano sottostare i sudditi degli Aztechi, dei Maya e degli Incas, ne furono talmente inorriditi che, pur di molto inferiori per numero e armi, combatterono contro quei regimi sanguinari fino a distruggerli e a donare a quei popoli la luce della libertà, dell'uguaglianza e del progresso. Allo stesso modo i Paesi non-islamici hanno il sacro diritto-dovere di sconfiggere l'Islam e i regimi suoi complici, come sconfissero il nazifascismo e il comunismo, per assicurare la propria sopravvivenza e per unire tutto i popoli del pianeta in un solo Stato o Impero mondiale che riconoscerà e garantirà uguali diritti e uguali doveri a tutti gli individui umani, siano essi maschi o femmine, cristiani, ebrei, induisti o atei, secondo la Parola del Signore Gesù Cristo, il Figlio del vero Dio: «Non c'è più né Giudeo né Greco, né maschio né femmina, né schiavo né libero, perché tutti sono Uno». 114 NON C'È POSTO PER L'ISLAM NEL MONDO (03/07/2016) Il Comitato Direttivo del Partito Mondialista, in unione con tutti i suoi membri sparsi nel mondo, mentre porge le più sincere condoglianze alle famiglie delle 20 innocenti vittime dell'ennesima strage compiuta da barbari e disumani terroristi islamici, e mentre invoca l'Altissimo, Signore del cielo e della terra, affinché le accolga nel Suo Regno e dia loro la vita eterna, non può non ricordare agli smemorati Italiani, a tutti gli smemorati Occidentali rincitrulliti dalla retorica mielosa degli Obama e dei Bergoglio, che queste atroci mattanze non sono conseguenza di eventi naturali come terremoti o inondazioni, né di sfortunati incidenti automobilistici o ferroviari o aerei dovuti a colpi di sonno o a guasti tecnici o ai problemi psichici di un pilota lasciato dalla moglie, e neppure - come le cancellerie, i vescovadi e le Ong tentano, mentendo, di convincervi - del fanatismo di pochi estremisti che si ritroverebbero in tutte le religioni. Ipocriti! Forse che i cristiani o gli ebrei, gli induisti o i buddisti si fanno saltare in aria in mezzo alle folle per trascinare con loro all'altro mondo il maggior numero possibile di "infedeli"? Forse che cristiani o ebrei o induisti o buddisti accoltellano per le strade i membri delle altre religioni o gli atei, forse essi si introducono nascostamente nella camera da letto di bambine di 13 anni per pugnalarle a morte? No di certo! Tutti questi massacri, tutte queste stragi, tutte queste nefandezze le compiono sempre e soltanto i membri di una specifica religione: l'Islam. Sono gli islamici a compiere attentati in tutto il mondo, da Nairobi e Dar es Salaam nel 1999 all'11 settembre 2001, da Bali a Madrid a Casablanca, da Londra a Mumbai a Buenos Aires, da Parigi a Bruxelles, da Istanbul a Dacca; sono sempre gli islamici a esaminare i loro ostaggi, a fare ad essi l'esame di coranologia, a liberare coloro che sanno ripetere a memoria i versetti del Corano e a torturare, sgozzare gli "infedeli" fino a infierire sui loro cadaveri, senza aver pietà nemmeno delle donne, neppure di una donna incinta. Sono gli islamici a scendere nelle strade e nelle piazze facendo festa orribilmente ogni volta che un ebreo viene pugnalato alle spalle o preso a sassate; sono gli islamici a giustificare la "guerra santa" contro tutti i non-islamici sulla base del Corano, della volontà del falso dio Allah e del falso profeta Maometto ("Combattete coloro che non credono in Allah e nell'Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati": Corano, sura IX, 29); sono gli islamici a proclamare senza vergogna che in nome della jihad tutto è lecito, anche la menzogna (in arabo taqiyya), anche ingannare i non-islamici con false parole ("l'Islam è una religione di pace, l'Islam è una religione di amore"), pur di seminare discordia nel campo degli "infedeli", di minare la loro resistenza allo scopo di sottometterli più facilmente; sono gli islamici che nel 2015 hanno assassinato 3.600 innocenti solo perché erano non-islamici, sono gli islamici che in un solo mese - il mese "sacro", anzi empio, del Ramadan appena concluso - hanno massacrato in tutto il mondo più 115 di 2.000 persone. Mentono, mentono tutti i ciecopacifisti cattosinistri i quali tentano di convincere le opinioni pubbliche dell'Occidente che esisterebbe un Islam "moderato" estraneo alla violenza con il quale bisognerebbe mettersi d'accordo per "isolare gli estremisti"... Ipocriti! Dove sono questi islamici "moderati"? Perché non si fanno vedere, se esistono? Perché non prendono le armi contro i cosiddetti "estremisti", perché non li sconfiggono, non li imprigionano o non li uccidono? Se la maggioranza degli islamici fosse "moderata" come ripetono tutti i giorni i Bergoglio, gli Obama e le Boldrini, avrebbero dovuto sconfiggere ormai da molto tempo i sedicenti pochi "estremisti". La verità è che l'Islam "moderato" non esiste; la verità è che tutti gli islamici vogliono sottomettere l'intero genere umano al falso dio Allah e al falso profeta Maometto, e per raggiungere tale abietto scopo tutti gli islamici sono pronti a usare qualunque mezzo, a seconda delle circostanze, dall'inganno al machete, dalla dissimulazione alle cinture esplosive; tutto, tutto essi ritengono lecito pur di sconfiggere i non-islamici, anche mangiare carne di maiale, anche astenersi dal circoncidere i figli, anche giurare davanti a Dio di non essere islamici e praticare i culti di altre religioni. Gli islamici insegnano ai loro figli a odiare i non-islamici, a non avere rapporti con i essi ("Vorrebbero che foste miscredenti come lo sono loro e allora sareste tutti uguali. Non sceglietevi amici tra loro, finché non emigrano per la causa di Allah. Ma se vi volgono le spalle, allora afferrateli e uccideteli ovunque li troviate. Non sceglietevi tra loro né amici né alleati": Corano, sura IV, 89), a perseguitarli e ucciderli finché non si convertono all'Islam (“Quando poi saranno trascorsi i mesi sacri, uccidete gli idolatri dovunque li troviate, prendeteli, circondateli, appostatevi ovunque in imboscate. Se poi si convertono e compiono la Preghiera e pagano la dècima, lasciateli andare": Corano, sura IX, 5, "versetto della spada"). Gli islamici non si impegnano, come invece fanno gli Occidentali, per il progresso scientifico e sociale, per combattere l'analfabetismo, la povertà e le malattie, perché essi disprezzano la vita in questo mondo e desiderano soltanto sterminare tutti i non-islamici per guadagnarsi così il paradiso secondo quanto ha insegnato loro il falso profeta Maometto ("Se i vostri padri, i vostri figli, i vostri fratelli, le vostre mogli, la vostra tribù, i beni che vi procurate, il commercio di cui temete la rovina e le case che amate vi sono più cari di Allah e del Suo Messaggero e della lotta per la causa di Allah, aspettate allora che Allah renda noto il Suo decreto! Allah non guida il popolo degli empi": Corano, sura IX, 24). Gli islamici non vogliono riconoscere pari dignità e diritti alle donne rispetto agli uomini, né ai non-islamici rispetto ai credenti in Allah e Maometto. Gli islamici non vogliono coesistere in pace e tolleranza con il resto del genere umano. L'Islam è incompatibile con un mondo unito e pacifico, con un mondo fondato sul rispetto della libertà, della democrazia e dei diritti dell'uomo. L'Islam è il Non-assimilabile, il Non-integrabile, il Nemico del genere umano. Non c'è posto per l'Islam nel mondo. Non c'è posto per 1.300 milioni di islamici nel mondo. Non c'è posto neppure per per un solo musulmano, nel 116 mondo. «Che cosa dunque?» chiederete voi, «Dobbiamo forse uccidere con le nostre mani il primo musulmano che incontriamo in strada? Dobbiamo forse organizzare delle ronde di volontari, degli "squadroni della morte" per uccidere gli islamici che vivono nelle nostre città?». NO, NO, NO! In ogni società bene ordinata, in cui viga il principio di divisione dei lavori, mentre ai comuni cittadini compete lo svolgimento dei vari mestieri e delle varie professioni, e i sacerdoti hanno il compito di pregare Dio per il bene del popolo, il compito di difendere la società dai nemici e di mantenere ordine e sicurezza spetta ai Principi, cioè ai governanti dei vari Stati, e a quanti svolgono il mestiere delle armi sotto il comando dei reggitori degli Stati. Per questo l'Apostolo delle genti (Rm 13, 4) ammonisce i cristiani a rispettare le giuste leggi e a non commettere crimini, "perché non invano il principe porta la spada; egli infatti è il ministro di Dio, un vendicatore per eseguire la Sua ira su chi opera il male"; e san Tommaso d'Aquino, nella sua Summa theologica, spiega chiaramente come i doveri del buon governante includano anche, a certe condizioni, il fare la guerra: "Perché una guerra sia giusta si richiedono tre cose. Primo, l‘autorità del principe, per ordine del quale la guerra deve essere proclamata. Infatti una persona privata non ha il potere di fare la guerra: poiché essa può difendere il proprio diritto ricorrendo al giudizio del suo superiore. E anche perché non appartiene a una persona privata il raccogliere la moltitudine, cosa indispensabile nelle guerre. Siccome invece la cura della cosa pubblica è riservata ai principi, spetta ad essi difendere il bene pubblico della città, del regno o della provincia a cui presiedono. E come lo difendono lecitamente con la spada contro i perturbatori interni quando puniscono i malfattori, secondo le parole dell‘Apostolo [Rm 13, 4]: «Non invano l‘autorità porta la spada: è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male», così spetta ad essi difendere lo stato dai nemici esterni con la spada della guerra... Secondo, si richiede una causa giusta: cioè una colpa da parte di coloro contro cui si fa la guerra. Scrive perciò S. Agostino [Quaest. in Iosue 10]: «Si sogliono definire giuste le guerre che vendicano delle ingiustizie: cioè nel caso in cui si tratti di debellare un popolo o una città che hanno trascurato di punire i delitti dei loro sudditi, o di restituire ciò che era stato tolto ingiustamente». Terzo, si richiede che l‘intenzione di chi combatte sia retta: cioè che si miri a promuovere il bene e a evitare il male. Per cui scrive ancora S. Agostino [De civ. Dei 19, 12]: «Presso i veri adoratori di Dio sono pacifiche anche le guerre, che vengono fatte non per cupidigia o per crudeltà, ma per amore della pace, ossia per reprimere i malvagi e soccorrere i buoni»". Ebbene, in questo caso che stiamo trattando sono presenti due dei requisiti prescritti dal Dottore Angelico affinché una guerra sia giusta: la «giusta causa», in quanto l'Islam aggredisce ingiustamente tutti i non-islamici e pretende di sterminare quanti non si sottomettono al falso dio Allah e al falso profeta Maometto; e la «retta intenzione», in quanto una guerra di tutto il genere umano contro l'Islam avrebbe per fine la salvezza di tutto il genere umano dal pericolo dello sterminio o di una 117 sottomissione forzata, che sarebbe contraria al sacro diritto di ogni individuo di cercare la verità su Dio e sul mondo secondo le proprie capacità e di obbedire ai dettami di una retta coscienza senza subire costrizioni. Affinché la guerra del genere umano contro l'Islam possa essere validamente dichiarata manca dunque solo una condizione: che essa sia dichiarata non da comuni cittadini, bensì dai principi degli Stati, ovvero dai governanti di tutto il pianeta. È pertanto sacro dovere dei governanti di tutti gli Stati che vogliano opporsi all'aggressione islamica di coalizzarsi, a cominciare dai Paesi dell'Occidente liberale e democratico, di formare una Grande Alleanza per la Vita, la Libertà e la Democrazia contro la masnada dell'Islam bramoso di imporre tirannide, schiavitù e morte. Se poi gli attuali governanti del pianeta si rifiutassero di muovere guerra all'Islam a causa di inconfessabili e vergognosi interessi ideologici o per ambizione di potere - come ad esempio i governanti della Vecchia Europa che corteggiano gli islamici per ottenere i loro voti; o il tiranno cekista Putin che appoggia gli islamici sciiti dell'Iran contro gli islamici sunniti finanziati dall'Arabia Saudita al solo scopo di imporre la propria egemonia su tutta l'Eurasia; o ancora il tiranno filoislamico Barack Hussein Obama, il quale vuole imporre con l'inganno la sharia sugli Stati Uniti d'America e su tutto l'Occidente -, allora la giusta rabbia dei popoli si leverà contro di essi, li deporrà dai loro troni di menzogna con il voto o con le armi, e sceglierà dei nuovi governanti capaci e disposti a muovere guerra all'Islam assassino fino a cancellarlo dalla faccia della Terra, così come sono stati cancellati dal mondo il nazifascismo e il comunismo, per il bene di tutto il genere umano. 118 MONDIALISMO E RUSSIA 119 PETROLIO E LIBERTÀ (24/12/2006) In questi giorni di festa più consumistica che spirituale, e con i giornali in sciopero permanente effettivo, gli Italiani non hanno forse ancora avuto notizia di un evento che dovrebbe farli riflettere molto, e con loro tutti gli Europei: il colosso energetico russo Gazprom, controllato dallo Stato, ha deciso di adottare una politica tariffaria a doppio binario e secondo un criterio politico. Per dirla in breve, da questo inverno Paesi come Ucraina e Georgia, accusati dal Cremlino di tenere una politica filo-occidentale, pagheranno per il metano fornito da Mosca un prezzo più alto di quello che sarà accordato a regimi "amici" come la Bielorussia. Dovrebbero riflettere in primo luogo gli Italiani, che già lo scorso anno ebbero a soffrire per una riduzione delle forniture di gas adottata formalmente come ritorsione verso un presunto furto da parte del governo di Kiev, ma in realtà per punire quel popolo "colpevole" di aver abbattuto il regime tirannico e comunista amico della Russia e di aver scelto come presidente quel Viktor Yushchenko che il cekista Putin aveva già tentato di assassinare con la diossina, nello stile tipico del Kgb da cui è stato allevato (ombrelli dalla punta avvelenata e tè al polonio, per intendersi); forse, se lo facessero a fondo e secondo verità, si pentirebbero delle loro recenti scelte elettorali e farebbero a pezzi il loro premier, il placido Prodi che due mesi or sono, ponendo la propria firma su un contratto tra Eni e Gazprom, ha aperto a quest'ultima la possibilità di vendere direttamente metano in Italia, assoggettando così il proprio paese al ricatto energetico. Ma dovrebbero riflettere anche tutti gli abitanti del Vecchio Continente, dal momento che la mossa del colosso russo si inscrive in una strategia degna di un campione di scacchi: l'intesa con l'Eni, che fa di Gazprom un fornitore privilegiato di tutta l'Unione Europea; l'alleanza con la compagnia algerina Sonantrach, anch'essa sotto il ferreo controllo dello Stato - di quello Stato ex-colonia francese il cui primo leader, Bourghiba, profetizzò che il ventre delle madri islamiche sarebbe stato l'arma decisiva per la riconquista dell'Europa da parte dei seguaci di Allah -, con la Libia di Gheddafi e con l'Uzbekistan ancora sovietizzante; i buoni rapporti fra la Russia del nuovo zar e il regime iraniano, rapporti che si sostanziano nello scambio di petrolio contro tecnologia nucleare per mettere gli ayatollah in condizione di costruirsi la Bomba e missili a lunghissima gittata (anche intercontinentale) affinché possano lanciarla su Tel Aviv, Haifa e magari anche su Atene, Napoli e Roma; tutto questo costituisce la prova evidente dell'esistenza di quell'«asse del male» contro cui il presidente americano George Walker Bush non cessa di suonare l'allarme fin dall'inizio del suo primo mandato, voce che grida nel deserto dell'indifferenza eurocontinentale. Una impura alleanza tra fondamentalisti islamici e nostalgici del comunismo che vuole usare spregiudicatamente le forniture energetiche come strumento di ricatto al fine di zittire la voce degli Europei quando protestano per la violazione dei diritti umani, di riassorbire sotto la tutela dell'orso russo oggi l'Ucraina e la Georgia, domani la Polonia e gli altri paesi che un tempo facevano parte del Patto di Varsavia, e da qui a dieci o vent'anni, di strangolare l'intero continente nella doppia 120 tenaglia dell'energia e dell'immigrazione per creare quell'entità imperiale estesa da Lisbona a Vladivostok che è nei progetti della lobby eurasista: un'alleanza tra Europa, Russia e Islam autosufficiente dal punto di vista economico, autarchica, dominata da una ideologia comunitaristica e razzista e da una religione neopagana, capace di soggiogare l'Africa e l'Asia, di sconfiggere l'odiata America e di cancellare dalla faccia della terra cristiani ed ebrei, seguaci di religioni universalistiche nemiche di un «sano sentimento dell'identità e dell'appartenenza alla propria comunità». Sarebbe la fine della libertà per miliardi di esseri umani. Se letta in questa prospettiva acquista un barlume di verità anche la tesi, sostenuta da molti no-global, secondo cui le operazioni umanitarie sinora condotte dagli Stati Uniti d'America nel Kossovo, in Afghanistan e in Iraq, e perfino una futura guerra contro l'Iran dei mullah, avrebbero quale scopo nascosto la creazione di governi favorevoli alla costruzione di un immane oleodotto capace di trasportare per migliaia di chilometri, fino in Europa, le ricchissime riserve petrolifere di repubbliche asiatiche come il Turkmenistan, non a caso alleatesi con gli Usa dopo l'11 settembre. La verità è che il petrolio centroasiatico non serve agli Stati Uniti d'America: nel Golfo del Messico e in Alaska ci sono riserve gigantesche ancora non sfruttate. Non serve neppure alla Gran Bretagna, che preferisce approvigionarsi dalle piattaforme nel Mare del Nord. Servirebbe invece moltissimo all'Europa, perché le consentirebbe di liberarsi dal ricatto incrociato di Mosca, Teheran, Algeri e Tripoli e la salverebbe dall'infausto destino di trasformarsi in Eurabia o, peggio ancora, in una succursale dell'Unione Islamo-Sovietica. Finché il progresso tecnologico non affrancherà l'Occidente dalla dipendenza dai combustibili fossili, finché tutte le case dell'Euro-America non saranno riscaldate dall'energia solare, dalle maree o da un nucleare sicuro, e finché tutte le automobili non saranno alimentate con idrogeno, etanolo o zucchero (non sorridete, sono in corso ricerche sorprendenti anche su questo versante) la parola "libertà" farà sempre rima con "petrolio"; insieme staranno in piedi o cadranno. È bene pensarci, la prossima volta che dallo stomaco salga alle labbra un'imprecazione contro Bush e la sua "cricca" di petrolieri. 121 BISOGNA FERMARE PUTIN. SUBITO (8/8/2007) Da alcuni mesi il capo del Cremlino, l’ex agente del Kgb Vladimir Putin, sta dimostrando di essere, se possibile, ancora più pericoloso per la pace e la libertà dell’Occidente di un Bin Laden. Dapprima ha scatenato un’offensiva mediatica, diplomatica e militare contro il progetto statunitense di costruire uno “scudo spaziale” anti-missili balistici mediante il dispiegamento in Polonia e nella Repubblica Ceca di postazioni radar di allerta e batterie di missili intercettori. Un’offensiva iniziata denunciando tale progetto, contemporaneamente, come «inutile», in quanto situato in una posizione tale da non poter fermare i missili eventualmente lanciati dall’Iran, e come «pericoloso elemento di destabilizzazione dell’equilibrio strategico in Europa»; una accusa che rivela soltanto il timore della Russia di vedersi togliere dalle mani la “pistola” nucleare con cui da cinquanta anni tiene sotto ricatto i governi europei, come è dimostrato dalla successiva minaccia di puntare nuovamente i suoi missili a lungo raggio contro le città del Vecchio Continente. Anche la decisione di ritirarsi unilateralmente dal Trattato per la riduzione delle forze convenzionali in Europa rientra nella tattica di minacciare i popoli d’Europa affinché restino, come sono da mezzo secolo, “servi di due padroni”: alleati degli Stati Uniti d’America, ma con un orecchio attento a cogliere i diktat del temibile vicino. In un secondo tempo, Putin ha portato avanti quella strategia di sterminio feroce di ogni forma di dissidenza iniziata con l’uccisione di moltissimi giornalisti indipendenti, fra i quali la famosa Anna Politkovskaja, e di numerosi dissidenti: dopo l’ex colonnello del Kgb Alexander Litvinenko, stroncato da un tè al polonio, è stata la volta di Yuri Golubev, uno dei fondatori di Yukos (la società petrolifera che minacciava di scalfire il monopolio energetico, e il conseguente potere ricattatorio, del colosso statale Gazprom, fatta a pezzi dopo che il suo presidente Mikhail Khodorkovskij è stato imprigionato in Siberia con false accuse). Un altro sicario mandato dal Cremlino, lo scorso giugno, stava per eliminare Boris Berezovski, il leader dell’opposizione democratica anch’egli in esilio a Londra: gli aveva dato appuntamento all’Hotel Hilton di Park Lane, spacciandosi per un amico, e si era portato dietro un ignaro bambino, probabilmente per coprirsi la fuga dopo aver piantato una pallottola nella testa della sua vittima; ma questa volta i servizi segreti britannici sono stati più veloci, e il piano di morte è stato sventato. La rabbia del cekista Putin si è quindi scatenata contro la Gran Bretagna, colpevole di dare asilo a una folta comunità di 250mila russi che si oppongono alla deriva autoritaria del loro paese dopo i progressi e le speranze suscitati dal governo del mite Eltsin, e più in generale di essere la testa di ponte degli Stati Uniti d’America sulla sponda orientale dell’Atlantico. Dapprima la Russia ha rifiutato di consegnare alle autorità inglesi Andrei Lugovoi, il doppiogiochista accusato di aver avvelenato Litvinenko con il polonio; e qualche giorno dopo due bombardieri Tupolev 95 “Orso”, capaci di sganciare fino a 16 testate nucleari, si sono pericolosamente avvicinati allo spazio aereo britannico, come non accadeva dai tempi della Guerra 122 Fredda; due caccia Tornado, partiti dalla base di Leeming, li hanno “agganciati” coi loro radar di attacco, e solo allora gli “Orso” hanno fatto dietrofront e sono tornati alla loro base di Murmansk. La dichiarazione del genrale Zelin, capo dell’aviazione russa, è raggelante per la sua ipocrisia: «I nostri aerei stavano effettuando voli regolarmente pianificati su acque neutrali»; ogni commento è superfluo... Gli ultimi due episodi hanno definitivamente colmato la misura. La sera di lunedì 6 un caccia Su-24 è penetrato nello spazio aereo della Georgia, repubblica exsovietica che dopo la cacciata di Shevardnaze si è avvicinata agli Usa, e ha sganciato una bomba da 700 Kg, per fortuna non esplosa, su un villaggio a 65 chilometri dalla capitale, vicino alla provincia dell’Ossezia del Sud che da anni lotta con l’aiuto di Mosca per la secessione e il congiungimento con la Russia. Le autorità di Tbilisi hanno convocato l’ambasciatore russo Kovalenko ed espresso la loro ferma protesta; Mosca ha malamente negato di aver invaso lo spazio aereo georgiano e di aver sganciato bombe, ma è stata sbugiardata dalle registrazioni dei tracciati radar esibiti alla stampa dal Ministero degli Esteri della Georgia. La scorsa notte, infine, un portavoce della Marina ha riferito che la Russia ha portato a termine positivamente il test di un nuovo tipo di missile balistico a lungo raggio di tipo “Sineva”, lanciato da un sottomarino nucleare in navigazione nell’Oceano Pacifico. Questa escalation di attentati e provocazioni dimostra la crescente volontà del dittatore russo di innalzare la tensione con gli Stati Uniti d’America e con tutto l’Occidente. Se si aggiungono il sostegno a regimi tirannici come l’Iran del folle Ahmadinejad e il Venezuela di Chávez, cui sta fornendo tecnologia missilistica e nucleare, e il rifiuto di isolare i terroristi di Hamas, se ne deve concludere che gli obiettivi perseguiti da Putin in politica estera sono tre, e tutti inquietanti: ricostituire l’egemonia russa sui paesi un tempo membri dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia; aumentare l’influenza di Mosca sull’Europa occidentale attraverso un’alternanza di minacce e offerte di forniture di petrolio e gas; innalzare la tensione in tutte le aree “calde” del mondo allo scopo di tenere alto il prezzo dei combustibili fossili, riempire le casse dello Stato e indebolire il prestigio degli Stati Uniti d’America, ponendosi come alfiere di un mondo “multipolare” in cui la resistenza all’espansionismo Usa è la foglia di fico dietro cui si nasconde la pretesa di tutti i dittatori, comunisti o islamisti, di essere lasciati liberi di opprimere i loro sudditi in casa propria. Per questo motivo l’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire” e il suo ramo esecutivo, il Partito Mondialista, in applicazione di quanto già enunciato nel Manifesto programmatico del 3 aprile 2005, hanno fatto e faranno ogni sforzo per sostenere tutti gli oppositori liberali e democratici al regime autoritario del cekista Putin, al fine di abbattere il suo regno di terrore e morte e restituire la Russia all’Occidente, all’amicizia con gli Stati Uniti d’America, terra di libertà e guida del movimento per la creazione dell’Impero mondiale. 123 PUTIN E AHMADINEJAD PADRONI D'EURASIA (17/10/2007) La recentissima visita di Vladimir Putin in Iran, iniziata con un vertice dei cinque paesi che si affacciano sul Mar Caspio (oltre a Russia e Iran, Azerbaijan, Kazakistan e Turkmenistan) e conclusa con un rafforzamento dell'intesa nucleare con Mahmoud Ahmadinejad, mostra al di là di ogni ragionevole dubbio quale sia il disegno dei due dittatori: essere l'uno la mente, l'altro il braccio di un blocco imperiale eurasiatico. Da un lato Putin, che per aggirare l'ostacolo posto dalla costituzione russa ad una sua terza rielezione consecutiva si appresta a candidare nel 2008 un uomo di paglia e a riservarsi il ruolo di primo ministro (una sorta di Richelieu del XXI secolo), mira a estendere e consolidare il suo potere di ricatto energetico sull'Europa acquisendo il controllo dell'area del Caspio, il più importante bacino al mondo di petrolio e gas naturale già oggi e ancor più nei prossimi decenni, quando i giacimenti del Golfo Persico inizieranno a esaurirsi; per questo ha preteso e ottenuto dai partner rivieraschi l'impegno a non mettere il proprio territorio a disposizione di paesi terzi, così bloccando in un sol colpo sia i tentativi degli Stati Uniti di impiantarvi basi per la lotta al terrorismo in Afghanistan e Iraq, sia il progetto americano di un gasdotto che attraversi il Caspio alleviando la fame d'energia degli europei - si ricordi che la Francia, pur avendo 58 centrali nucleari (il numero più alto in Europa), dipende da approvigionamenti esteri per metà del proprio fabbisogno energetico -. Dall'altro Ahmadinejad, ex-pasdaran che si è fatto le ossa sequestrando i diplomatici americani a Teheran nel 1979 e compiendo incursioni segrete a Kirkuk durante la guerra contro Saddam Hussein, ed è salito alla presidenza come protetto della Guida suprema della Rivoluzione Alì Khamenei, è un fanatico fortemente imbevuto dell'ideologia-forza dell'Islam (non merita di esser chiamata religione): distruggere l'odiata "entità sionista", Israele, come prologo allo sterminio di ebrei, cristiani e apostati (categoria amplissima nella quale rientrano, l'uno per l'altro, sunniti e sciiti, come pure tutti i musulmani "moderati" e quelli non pienamente osservanti) per affrettare la venuta del Giorno del Giudizio, in cui Allah dovrebbe concedere l'eterna beatitudine ai "veri credenti" e condannare all'eterna dannazione i miscredenti; e oltretutto sa benissimo che nessun tiranno islamico può mantenersi al potere se rinuncia a questo obiettivo (il presidente egiziano Sadat fu assassinato dai Fratelli Musulmani, di cui era stato alleato, per aver concluso con Israele la pace di Camp David). Però ha appena 41 anni, e come tutti gli uomini possiede l'istinto di autoconservazione (insieme ad altri ugualmente umani ma indegni di un "buon" musulmano: subito dopo l'elezione fu accusato di aver, nientemeno, guardato delle ballerine senza velo). L'intesa cordiale con Putin, che ha portato sinora alla costruzione dell'impianto nucleare di Bushehr e alla fornitura all'Iran, direttamente o via Cina (a sua volta affamata di petrolio caspico) di missili balistici sempre più potenti - l'attuale Shahab 3 ha una gittata di 1.500 Km, vale a dire fino ad Istambul; lo Shahab 5 in costruzione arriverebbe a 4.900 Km, cioè fino a Lisbona e Seul - gli permette in prospettiva di prendere due piccioni con una fava: radere al suolo due o 124 tre città israeliane (ad esempio Tel Aviv, centro commerciale ed economico dello Stato, Haifa, polo scientifico e tecnologico d'eccellenza, e Ashqelon) uccidendo alcuni milioni di "porci" ebrei (oltre a varie decina di migliaia di arabi che, va da sé, verrebbero bollati come "apostati"); coprirsi di gloria imperitura presso la Umma togliendo al sunnita Bin Laden il titolo di "spada dell'Islam"; e procrastinare il proprio personale Giorno del Giudizio di trenta o quarant'anni grazie ai veti nel Palazzo di vetro dell'amico Putin e ai suoi bombardieri che hanno ripreso a sorvolare i cieli del globo, godendosi le vergini terrene (e forse anche i giovinetti, come è costume dei mullah secondo le denunce di molte ONG) in attesa di quelle celesti... Qualcuno potrebbe obiettare a questa ricostruzione paventando il pericolo per la Russia rappresentato da un Iran dotato della Bomba e di missili in grado di trasportarla su ogni angolo del suo territorio; ma questa critica non tiene conto del fatto che l'arsenale missilistico e nucleare a disposizione di Putin è di gran lunga superiore a quello che ora sta fornendo al suo alleato. Agli ayatollah non conviene sfidare la Russia, oggi come ieri (è per questo motivo che il progetto del giovane Ahmadinejad di assaltare anche l'ambasciata sovietica fu prontamente accantonato); conviene piuttosto esserne la longa manus, il braccio armato a cui affidare il compito impopolare di tenere sotto mira Europa, India, Cina e mezza Africa, mentre l'orso rosso esercita la sua egemonia "morbida" attraverso l'impero di Gazprom. Sarebbe la realizzazione dei sogni più esaltati degli esponenti dell'eurasismo: una Grande Alleanza tra Russia e Islam (con l'Europa nel ruolo di banchiere suo malgrado) in grado di controllare l'intera massa continentale eurasiatico-africana, di cancellare da essa la "spina" Israele, di assoggettare l'Inghilterra e il Giappone e di espellere gli Stati Uniti d'America, ricacciandoli nell'Oceano e nelle sue isole (Australia, Nuova Zelanda e Hawaii) lontano dal Cuore della Terra (Heartland), nuovo centro del potere mondiale. Sarebbe la fine della libertà per i cinque sesti del genere umano. Una prospettiva catastrofica che solo il popolo americano, già impegnatosi tre volte a liberare il mondo prima dall'imperialismo prussiano, poi dall'Asse Roma-Berlino-Tokio, e subito dopo dall'Impero del male comunista, potrà scongiurare, se prenderà coscienza della sua missione storica di portare libertà e democrazia a tutti i popoli e di fondare, con lacrime e sangue, un Impero mondiale in cui finalmente siano assicurati ad ogni uomo e donna gli inalienabili diritti alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. 125 SATELLITE ABBATTUTO, LO SCUDO USA FUNZIONA. E PUTIN MASTICA AMARO... (24/2/2008) Alle 22.30 ora di Washington di mercoledì 20 febbraio il satellite spia americano Nrol-21 che, sfuggito al controllo dopo il lancio in dicembre, stava ricadendo sulla Terra è stato distrutto ad un' altezza di circa 230 chilometri da un missile SM-3 lanciato dall'incrociatore "Lake Erie" della classe Aegis in navigazione al largo delle Hawaii. Il forte impatto del missile privo di testata esplosiva è stato sufficiente a ridurre in mille pezzi il veicolo spaziale del peso di 2500 chilogrammi. Ufficialmente l'azione è stata giustificata dall'esigenza di evitare il rischio che il satellite cadesse su zone abitate inquinandole con i 500 chilogrammi di idrazina (un propellente tossico) che aveva a bordo. In realtà, dal momento che la probabilità di caduta su una zona abitata era molto bassa (il nostro pianeta è coperto per il 70% dagli oceani, a cui vanno aggiunti deserti, monti e foreste) il significato di quanto accaduto va ben al di là di una semplice misura di protezione civile, come dimostrano le veementi proteste subito levatesi da Mosca e Pechino. La verità è che gli Stati Uniti d'America hanno approfittato dell'occasione - che potrebbe anche esser stata creata ad arte impartendo al satellite un ordine di rientro in atmosfera - per eseguire, e con pieno successo, un test di intercettazione di un oggetto piccolo, veloce e molto pericoloso: qualcosa di molto simile, cioè, ad un missile balistico armato con testate nucleari. Fin dall'inizio del suo primo mandato nel 2001 il presidente George Walker Bush si è dato il compito di mettere gli Stati Uniti e i loro alleati al riparo dall'incubo dell'apocalisse nucleare che attanaglia il mondo da cinquant'anni. L'«equilibrio del terrore» fra America e Urss si basava proprio sulla consapevolezza che entrambe le superpotenze sarebbero uscite annientate da un conflitto condotto usando armi atomiche: nessuno dei due contendenti ha mai osato sparare il primo colpo perché il grande numero di ordigni portati a bordo da aerei e sottomarini, in volo e in navigazione 24 ore su 24, avrebbe garantito all'avversario la possibilità di attuare una rappresaglia micidiale anche dopo che tutte le sue città fossero state incenerite. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica nel 1991 le cose, anziché migliorare, sono andate di male in peggio: il nuovo zar di Russia, il gelido Putin che ricorda con nostalgia il periodo staliniano, ha fornito senza scrupoli tecnologia missilistica e nucleare alle peggiori dittature del pianeta, dalla Corea del Nord all'Iran del folle Ahmadinejad che vuole cancellare Israele dalle carte geografiche. Il suo obiettivo è chiaramente la creazione di un "asse del male" che unisca sotto la sua guida tutti i regimi che odiano libertà e democrazia e sono quindi nemici giurati dell'America e di Israele, unico paese democratico del Medio Oriente, allo scopo di stringerli in una tenaglia mortale. L'unico modo per sfuggire a questa trappola consiste nell'allestire un sistema avanzato di difesa basato sull'uso di missili in grado di intercettare le testate nucleari durante il loro volo al di sopra dell'atmosfera, quando, essendosi distaccate dal vettore di lancio, il loro movimento è determinato unicamente dalla forza di gravità terrestre ed esse non possono più cambiare rotta per sfuggire agli inseguitori. 126 Ecco perché l'abbattimento del satellite "impazzito" costituisce per gli Stati Uniti d'America un grande successo, e per Mosca e Pechino un buon motivo per masticare amaro: esso dimostra che gli Usa possiedono finalmente la tecnologia necessaria e sufficiente per costruire uno «scudo spaziale» capace di difendere per sempre il proprio territorio non solo dai missili nucleari provenienti da Russia e Cina, ma anche da quelli che in futuro potrebbero essere lanciati dall'Iran nel corso di una guerra scatenata contro l'Occidente dagli ayatollah per conto dei loro padrini di Mosca. Per questo Putin ha affermato che lo scudo spaziale americano costituisce «una gravissima violazione dell'equilibrio strategico in vigore in Europa da mezzo secolo» e minaccia costantemente i pavidi Europei di puntare i suoi missili contro le loro città se acconsentiranno a ospitare sul loro territorio le postazioni radar e le rampe di lancio dei missili intercettori, come hanno già deciso Polonia e Repubblica Ceca: la verità è che lo scudo Usa difenderebbe non solo gli Stati Uniti d'America, ma anche le città e i popoli d'Europa, e toglierebbe dalle mani della Russia la pistola con cui da cinquant'anni tiene sotto tiro il Vecchio Continente, togliendogli la libertà di schierarsi, come pure vorrebbe, al fianco degli Stati Uniti e costringendolo ad una politica ipocrita di "equidistanza" fra Oriente e Occidente, fra tirannide e libertà. 127 TRA KOSSOVO E OSSEZIA LA DEMOCRAZIA FA LA DIFFERENZA (10/8/2008) La guerra scoppiata tre giorni fa nel Caucaso, con l'occupazione della piccola e pacifica repubblica di Georgia da parte dell'imponente armata russa in risposta ad una operazione di Tbilisi diretta a riportare sotto la legittima sovranità georgiana le regioni dell'Abkhazia e dell'Ossezia del Sud, ha scatenato sui mezzi di comunicazione italiani la solita litania di intellettualoidi filorussi come l'ineffabile Sergio Romano, ai quali non è parso vero di dare addosso ad un Paese che, dopo la "rivoluzione delle rose", ha il torto inescusabile di aver voltato le spalle a Mosca e di essersi schierato con l'Occidente, fino a chiedere l'ammissione nell'Unione Europea e, orrore!, nella Nato. La principale obiezione rivolta da queste quinte colonne di Putin in Italia a chi, come il presidente degli Stati Uniti George Walker Bush, ha condannato l'invasione russa di uno Stato sovrano come riedizione di quanto avvenuto a Budapest nel 1956 e a Praga nel 1968, e ammonito la Russia a restaurare quanto prima l'integrità territoriale della Georgia, è stata la stessa usata dal tiranno Putin e dal suo fantoccio Medvedev: con quale coerenza i paesi occidentali protestano contro il tentativo di secessione dalla Georgia di due regioni a maggioranza russofona, quando pochi mesi fa essi hanno riconosciuto l'indipendenza dalla Serbia del Kossovo, solo perché regione a maggioranza albanese? Sfortunatamente per Putin e per i suoi manutengoli, però, l'analogia non regge. Non regge perché gli albanesi del Kossovo sono stati vittime di una sanguinosa operazione di "pulizia etnica" da parte della Serbia di Milosevic, ovvero di arresti arbitrari, massacri, proibizione di usare la propria lingua e di coltivare la propria cultura, mentre sudosseti e abkhazi hanno goduto fin dalla proclamazione d'indipendenza della Georgia, nel 1991, di speciali statuti di autonomia. Non solo, il presidente georgiano Mikhail Saakashvili aveva lealmente offerto al leader separatista abkhazo Bagapsh la carica di vicepresidente, che questi ha rifiutato perché il suo padrone al Cremlino mirava a ben altro: a mettere le mani sull'oleodotto che da Baku, capitale dell'Azerbaigian, attraversa il territorio georgiano per giungere sulla costa turca, e che attualmente è l'unica via di fornitura all'Europa del petrolio proveniente dal Caspio la quale non passi per la Russia e non sia perciò sotto il controllo di Gazprom. Non regge, inoltre, perché la Serbia sotto il regime di Milosevic era un paese totalitario i cui cittadini erano privati di ogni libertà, da quella di pensiero e di religione a quella di iniziativa economica, mentre la Georgia, dopo la cacciata del corrotto ex ministro sovietico Shevardnaze e l'elezione di Saakashvili, ha avviato profonde riforme volte a migliorare la situazione economica della popolazione e ad attirare investimenti stranieri. Anche in Serbia, del resto, la proclamazione d'indipendenza del Kossovo ha concorso a determinare l'elezione di un presidente e di un governo filo-occidentali, e i frutti si son visti subito: grandi imprese occidentali come l'italiana Fiat - hanno iniziato a investire nel Paese, e Radovan Karadzic, il massacratore dei bosniaci, è stato consegnato al Tribunale per i crimini nella exJugoslavia dopo aver goduto per anni di una impunità garantita dalla copertura delle 128 alte sfere di Belgrado. Insomma, se si può con ragione sostenere l'esistenza di un diritto alla secessione di una parte del popolo soggetto ad uno Stato antidemocratico, al fine di conseguire una vita migliore sotto il profilo materiale e spirituale, non si può attribuire lo stesso diritto ai cittadini di uno Stato democratico per innalzare muri di ostilità tra gli uomini e attuare discriminazioni odiose. Che le istanze secessioniste di abkhazi e sudosseti siano sostenute con le armi da un paese come la Russia, in cui la quasi totalità della popolazione vive in condizioni miserevoli, e la ricchezza è concentrata nelle mani dei fedelissimi di un ex agente del Kgb che ha fatto uccidere centinaia di giornalisti scomodi e rinchiudere gli oppositori in prigioni siberiane, infine, è la prova regina di quale scelta l'Occidente debba compiere: difendere la libertà della Georgia, e con essa la libertà dell'Europa e di tutta l'umanità. Alla faccia di Sergio Romano e di tutti i suoi cloni, meschini adoratori di tiranni e dittatori, destinati a finire con essi nella polvere. 129 UN ANELLO PER DOMARE PUTIN (24/8/2008) Gli eventi seguiti all'infame invasione della libera e democratica Georgia da parte dell'Armata russa, avvenuta lo scorso 7 agosto, hanno mostrato chiaramente al mondo quale pericolo rappresenti la Russia, attualmente e in prospettiva futura, per gran parte delll'umanità. L'esercito di Mosca ha dichiarato di muoversi in difesa delle aspirazioni indipendentiste delle popolazioni di Ossezia del Sud e Abkhazia - regioni in verità dalla composizione etnica variegata e "a macchia di leopardo", dove russi e georgiani convivono negli stessi villaggi e spesso nella stessa famiglia -, ma in realtà lo scopo cui mirava il tiranno Putin era ben più ambizioso: porre sotto il proprio controllo l'oleodotto che da Baku trasporta il petrolio azero attraverso il territorio georgiano fino a Ceyhan in Turchia, l'unica via di rifornimento energetico dell'Europa che non passi in territorio russo e non sia quindi soggetta ad essere aperta e chiusa a piacimento dai suoi compagni cekisti da lui insediati al comando di Gazprom; e quindi porre una pesante ipoteca su Nabucco, il progetto di una pipeline che dal Turkmenistan (via Caspio) dovrebbe percorrere Azerbaigian, Georgia e Turchia per approdare in Bulgaria. Il fatto che Nabucco permetterebbe all'Europa di accedere alle favolose riserve centroasiatiche bypassando la Russia, e quindi liberandosi dal suo ricatto energetico, spiega assai bene non solo perché il progetto sia caldeggiato da Washington, ma anche la durezza dell'intervento di Mosca contro Tbilisi: un'Europa privata di petrolio e gas nei giorni più freddi di uno dei prossimi inverni potrebbe essere costretta a subire qualunque ricatto dell'orso russo, a tollerare qualunque sopruso. Potrebbe essere costretta anche a tollerare una invasione dell'Ucraina al fine di strapparne la metà orientale filorussa (una riedizione su scala più grande di quanto sta accadendo adesso in Georgia) e una rioccupazione delle repubbliche baltiche, colpevoli come Kiev di essersi schierate con gli Stati Uniti d'America dopo essersi liberate dalla schiavitù del Patto di Varsavia. Ma la protervia con cui il tiranno Putin sta punendo i georgiani per la loro scelta di campo filoatlantica non è che un aspetto della sua strategia imperialista a 360 gradi. La Russia è stata, insieme alla Cina, promotrice del cosiddetto Gruppo di Cooperazione di Shangai, un'organizzazione che, nata all'indomani dell'11 settembre 2001 apparentemente per promuovere la collaborazione economica e la lotta al terrorismo, si è sviluppata fino a diventare un'alleanza politico-militare allargata all'Iran e a quasi tutte le ex-repubbliche sovietiche dell'Asia centrale - con lo svolgimento anche di esercitazioni congiunte - allo scopo di "evitare influenze straniere nell'area", ovvero di impedire agli Stati Uniti d'America e ai loro alleati di avere un accesso privilegiato alle sue fonti energetiche. Come se non bastasse, la Russia fornisce da anni armamenti sofisticati sia direttamente a Teheran (da cui finiscono, via Damasco, a Hezbollah e Hamas che li lanciano contro l'odiato Israele) sia alla Cina che poi li rivende agli ayatollah; e sta fornendo supporto logistico e tecnologie ad Ahmadinejad per realizzare il suo folle sogno di cancellare l'«entità sionista» dalle carte geografiche a colpi di bombe atomiche, nonché per trasformare 130 l'Iran nel suo cane da guardia nel Medio Oriente, incaricato di tenere sotto scacco l'India e attrarla nell'orbita della coppia Pechino-Mosca. Tutto questo mentre la popolazione russa vive nella miseria più nera, subendo un crollo demografico di un milione di persone all'anno a causa delle condizioni sanitarie e del reddito pro-capite a livelli sovietici che la roboante propaganda nazionalistico-imperialista del regime non riesce a nascondere. Tutto quanto detto dimostra a sufficienza che il regime di Putin costituisce un pericolo per la libertà e la pace non solo dell'Europa, ma dell'intera Eurasia. Per questo vanno salutati con favore sia il raggiungimento dell'accordo tra Stati Uniti e Polonia per l'installazione in quel Paese di un sistema di 10 missili intercettori nell'ambito del programma denominato "scudo spaziale", sia la decisione dell'Ucraina di integrare il proprio la propria difesa antiaerea con quella della Nato. L'ira con cui Putin ha reagito, fino a minacciare la rottura dei rapporti di collaborazione con l'Alleanza Atlantica e a mettere la Polonia sotto il tiro dei missili nucleari russi, è la spia del pericolo che egli sente avvicinarsi: l'Anello politico-militare che l'America sta stringendo, lentamente ma con tenacia, intorno alla Russia è il solo strumento a disposizione per rovesciare il suo regime di terrore. Lo chiedono i georgiani, lo chiedono gli ucraini, lo chiedono lituani, lettoni ed estoni; lo chiedono polacchi, cechi, slovacchi, ungheresi, bulgari e romeni; lo chiedono tutti i popoli della Nuova giovane Europa che hanno speso lacrime e sangue per liberarsi dal giogo di Mosca e non hanno alcun desiderio di essere "rivenduti" ad essa dalla Vecchia Europa vigliacca e maestra dell'appeasement. Lo chiedono gli israeliani, stanchi di dover combattere per la vita contro l'impura alleanza tra antiamericanismo russo, antisemitismo islamico e indifferenza europea. Lo chiedono, infine, i 140 milioni di russi che sono stanchi di paragonare ogni giorno la loro miseria materiale e spirituale con l'opulenza sfacciata degli oligarchi del Kgb; che aspirano a una vita da esseri umani, in cui prosperità e progresso non siano in antitesi con il diritto di ognuno alla libertà, ma il loro naturale frutto. Come è avvenuto in Europa, grazie alla sintesi tra il logos greco e la Rivelazione ebraico-cristiana, prima che egoismi e odi nazionalistici la soffocassero; come si è ripetuto con maggior successo in America, terra di libertà. «Un Anello per trovarlo, un Anello per domarlo, un Anello per ghermirlo e nel buio incatenarlo» 131 CHI CONQUISTA L'HEARTLAND LIBERA L'EURASIA (DA PUTIN) (7/8/2009) Un anno fa l'Armata Rossa, in esecuzione di un progetto criminale pianificato da mesi, invadeva la repubblica liberale e democratica della Georgia. Il pretesto ufficiale, la tutela della popolazione civile di due provincie ribelli a Tbilisi (Abkhazia e Ossezia del Sud) contro una presunta "pulizia etnica" ordita dal presidente georgiano Mikhail Saakashvili, è stato smascherato quasi subito dalla libera stampa internazionale, che ha mostrato come la pulizia etnica sia stata compiuta dai militari russi e dalle milizie abkhaze e ossetine ai danni dei civili georgiani costretti a lasciare le loro case date alle fiamme. Purtroppo al contributo di verità dei media non ha corrisposto un comportamento altrettanto coraggioso da parte non solo delle cancellerie della Vecchia Europa, da tempo asservite al tiranno cekista Putin (e questo era prevedibile), ma neppure da parte di un Presidente degli Stati Uniti d'America come George Walker Bush che pure aveva fatto dell'esportazione della democrazia nel mondo la massima della sua politica estera, ma che nell'agosto 2008 era ormai giunto quasi al termine del suo secondo mandato e non aveva più la legittimità e l'interesse a impegnarsi in una nuova Guerra Fredda contro l'ex-Impero del Male. La faziosa mediazione di Sarkozy, in pratica una servile acquiescenza ai diktat del nuovo zar, ha ratificato l'annessione di Abkhazia e Ossezia del Sud alla Russia. Cosa ancor più grave, ha sancito il controllo di Putin e del suo apparato di potere sulle condotte che attraversano la Georgia per portare petrolio e gas dalle repubbliche ex-sovietiche dell'Asia Centrale (Kazakhstan, Uzbekistan, Kirghizistan, Tagikistan e Turkmenistan) all'Europa. La gravità di questo fatto può esser compresa tenendo presente che i cosiddetti "Stan" costituiscono il nucleo storico di quella regione che il grande geografo inglese Halford Mackinder, padre della geopolitica, ha chiamato nel 1919 Heartland, cioè Cuore della Terra. Questa regione, estesa approssimativamente dalle pianure dell'Ucraina meridionale alle steppe caspiche, molto fertile, ricchissima di risorse naturali e dotata di buone vie di comunicazione fluviali, costituiva per Mackinder il «perno geografico della Storia», in quanto sede originaria di tutte le tribù e le orde di barbari nomadi che hanno provocato il disfacimento dell'impero di Roma e per secoli hanno percorso l'Europa. A causa della sua lontananza dagli oceani, inoltre, essa rappresenta un baluardo quasi inespugnabile da parte delle potenze marittime; l'unica via d'accesso a questa regione è appunto costituita dalle pianure dell'Europa orientale. Per tali motivi Mackinder raccomandò fermamente al governo britannico di compiere sempre ogni sforzo diplomatico e militare affinché le due potenze terrestri del Vecchio Continente, Germania e Russia, non si alleassero né si sopraffacessero l'un l'altra così da creare un solido blocco di potere sull'Europa dell'Est in grado di controllare l'accesso all'Heartland; il suo insegnamento si può compendiare nella celebre massima «Chi controlla l'Europa orientale governa l'Heartland; chi controlla l'Heartland governa l'Isola del Mondo [ovvero l'insieme Eurasia+Africa]; chi controlla l'Isola del Mondo governa il Mondo». La profonda verità di tale affermazione è sotto gli occhi di tutti nell'attuale momento storico, in cui il tiranno 132 Putin, controllando direttamente o indirettamente i territori su cui passano gli oleodotti e i gasdotti, è in grado di bloccare a suo arbitrio i rifornimenti energetici all'Europa, di strangolarla economicamente, e di conseguenza esercita un formidabile ricatto sui governi europei, ufficialmente alleati di Washington ma di fatto servi di Mosca. È in questa prospettiva storico-geografica che si comprende la necessità vitale per gli Stati Uniti d'America, unico Paese dell'Occidente rimasto ancora indenne dall'egemonia russa, di sostenere economicamente e militarmente la libera, democratica e filo-occidentale Georgia, di aiutare il popolo georgiano a riconquistare le province secessioniste dell'Abkhazia e dell'Ossezia del Sud, e di favorire una piena transizione democratica in Ucraina, sconfiggendo le fazioni filorusse che si oppongono al progetto del presidente Viktor Yushchenko di unire il suo Paese alla Nato. Solo in questo modo l'Occidente potrà acquisire il controllo sulle condotte di transito di petrolio e gas, e di conseguenza conquistare il dominio sull'Heartland; e conquistare l'Heartland, per l'America e per l'Occidente, significherebbe liberare la Russia dalla tirannide putiniana, interrompere il flusso di aiuti economici e militari che da Mosca raggiunge Teheran alimentando il folle progetto di Ahmadinejad e degli ayatollah di costruirsi la Bomba per distruggere Israele, spegnere il turbocapitalismo cinese negatore dei diritti umani e sostenitore delle dittature birmana e vietnamita, togliere ossigeno ai regimi "bolivariani" dell'America Latina che cercano l'alleanza con l'ex-patria del comunismo e con il fondamentalismo islamico contro gli odiati yankees; in una parola, significherebbe far trionfare Libertà e Democrazia su entrambi gli emisferi del globo. Purtroppo questa altissima missione di liberazione e di progresso umano non sembra essere nell'agenda dell'attuale presidente americano Barack Hussein Obama, più preoccupato di dialogare che di agire. Un motivo di più, se non ce ne fossero già abbastanza, per prevedere che la sua stella tracollerà presto. Noi mondialisti, in attesa di quel fausto giorno in cui il popolo americano si doterà di un comandante in capo all'altezza del suo compito storico, continueremo a illuminare i cuori e le menti dei navigatori di Internet per far comprendere la necessità che l'Occidente, guidato dagli Stati Uniti d'America, si assuma la propria responsabilità civilizzatrice nei confronti del resto dell'umanità e costruisca finalmente un Impero mondiale che abbatta ogni regime tirannico e totalitario e assicuri pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. 133 UCRAINA LIBERA, PROSSIMA TAPPA: MOSCA ! (22/2/2014) Il sangue dei 70 martiri versato nei giorni scorsi in piazza Maidan e nelle strade di Kiev ha concimato l'albero della libertà del nobile popolo di Ucraina: oggi il piccolo tiranno Viktor Yanukovich è fuggito dalla sua sua reggia dorata adorna di colonne di marmo, dal suo lussuoso parco di 140 ettari con campo da golf, eliporto privato e un allevamento di struzzi, e si è rifugiato a Kharkiv, nella regione orientale russofona del Paese; il Parlamento ucraino ha votato a larghissima maggioranza la sua messa in stato d'accusa decretandone l'immediata decadenza dalle funzioni e fissando nuove elezioni presidenziali per il prossimo 25 maggio, ha abrogato l'articolo del codice penale usato dal decaduto regime per imprigionare dopo un processo-farsa l'ex Primo Ministro Yulia Tymoshenko, l'eroina della Rivoluzione Arancione del 2004 (che presto sarà liberata), ha rimosso dalle cariche di ministro dell'Interno e di presidente dell'assemblea i fedelissimi di Yanukovich sostituendoli con esponenti dell'opposizione. La capitale Kiev è nelle mani dei cittadini in rivolta, i palazzi del potere sono stati abbandonati e occupati dai manifestanti, la polizia ha affermato in una nota ufficiale di essersi schierata "al fianco del popolo" e di condividere il desiderio comune di "un cambiamento rapido nel Paese". Il partito di Yanukovich sta perdendo deputati a ritmo frenetico, mentre molti ministri del decaduto regime sono spariti dalla circolazione, probabilmente in fuga - come farà forse anche Yanukovich, se la giustizia del popolo non lo raggiungerà prima - verso la corte del loro padrino, il tiranno cekista Putin che finora li aveva appoggiati e protetti dalle sanzioni internazionali mentre mandavano i carri armati a massacrare i loro stessi concittadini, colpevoli ai loro occhi di volere l'adesione dell'Ucraina all'Unione Europea, e quindi a quell'Occidente disprezzato e bollato come "decadente", "moralmente corrotto", "incapace di assicurare benessere e piena occupazione", ma che per gli uomini e le donne di piazza Maidan rappresenta, come effettivamente è, la patria di quei princìpi e di quei valori di libertà, democrazia e rispetto dei diritti dell'uomo che il grande tiranno Putin e il piccolo tiranno Yanukovich hanno sempre conculcato e represso, l'antitesi di quei disvalori mortiferi della comunità forzosamente omogenea, del primato del collettivo sull'individuo, del sangue e del suolo su cui si reggevano e si reggono i loro troni di sangue. Non è un caso che in questi giorni convulsi di lotta il regime di Yanukovich abbia tentato di persuadere i poliziotti a massacrare i loro compatrioti sostenendo che essi fossero sobillati dal "sionismo internazionale": è tipico dei regimi tirannici, dittatoriali e totalitari di destra e di sinistra, fondamentalisti cristiano-ortodossi o islamici, di additare quale capro espiatorio l'Ebreo, l'apolide per definizione, colui che, non avendo radici in nessun luogo particolare, è cittadino del mondo. Il Partito Mondialista, che ha sempre sostenuto, discretamente ma coerentemente, la lotta silenziosa e civile del popolo ucraino per affrancarsi dalla "tutela" dell'Orso russo, saluta oggi con grande gioia il ritorno dell'Ucraina nel consesso dei popoli civili, dell'Occidente che è la più grande e la migliore civiltà della 134 Storia, e annuncia che proseguirà la sua opera per illuminare le menti e i cuori degli uomini e delle donne del nostro tempo circa la bontà e l'inevitabilità di un superamento della vetusta e mortifera distinzione del genere umano in più di cento Stati-nazione estranei l'un l'altro e in guerra perenne fra loro, e della creazione di un solo Stato o Impero mondiale che assicuri pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Il Grande Tiranno Putin inizi a tremare, perché il momento della sua fine è più vicino oggi di quando noi Templari fondammo nel 2005 il Partito Mondialista. Il macellaio Assad, gli ayatollah pedofili di Teheran, i petromonarchi arabi che finanziano alQaeda preghino pure il loro falso dio Allah e il loro falso profeta Maometto: non li salveranno dalla giusta ira dei loro popoli. I mandarini del Partito Comunista Cinese smettano di accumulare nelle banche svizzere le ricchezze sottratte ai loro concittadini, perché non vivranno abbastanza per godersele. Presto, molto presto, il mondo intero sarà una sola casa, una sola famiglia. Presto, molto presto, non ci sarà più né Giudeo né Greco, né cittadino né straniero, né "fedele" né "infedele", perché tutti saranno un solo popolo, con una sola legge, la legge della Libertà, della Democrazia e dei Diritti dell'Uomo. 135 INVASIONE DELL'UCRAINA, PER PUTIN È L'INIZIO DELLA FINE (2/3/2014) Dopo la fuga da Kiev del piccolo tiranno Yanukovich e la proclamazione di un nuovo governo liberale e democratico, il Grande Tiranno Putin ha deciso di gettare la maschera e di mostrare a tutto il mondo la sua arroganza imperialistica: in queste ore 28.000 soldati russi, con centinaia di carri armati, hanno invaso l'Ucraina orientale; decine di aerei ed elicotteri da trasporto di Mosca hanno sbarcato truppe nei principali aeroporti della Crimea, prendendone il controllo; una base radar, un centro di addestramento della Marina ucraina e varie caserme della Guardia frontaliera di Kiev sono state occupate da reparti paramilitari al soldo di Putin, i quali hanno requisito le armi e minacciato i soldati ucraini per "persuaderli" a passare dalla parte del governo-fantoccio da essi insediato a Sebastopoli e Simferopoli. Il piano del cekista Putin è chiaro ed evidente a tutti: prima ha sobillato la rivolta degli ucraini filorussi orientali, spingendoli a occupare le sedi delle amministrazioni locali e concedendo loro prontamente la cittadinanza russa; adesso, con la scusa di voler "difendere la vita dei cittadini russi in Ucraina dagli attacchi dei nazisti" - un argomento che fa sempre presa sulla stolta opinione pubblica della Vecchia Europa, molto sensibile (giustamente) nei confronti del nazifascismo, ma pronta sempre a chiudere entrambi gli occhi di fronte ai soprusi compiuti da Mosca - egli si sta preparando ad annettere l'intera Ucraina orientale alla Federazione Russa, e a tal scopo la Duma sta "casualmente" discutendo una proposta di legge che renderà più facile per il governo russo l'annessione di nuovi territori anche senza un trattato internazionale. Noi mondialisti non riponiamo eccessiva fiducia nella cosiddetta "comunità internazionale": finora il vile Barack Hussein Obama ha reagito soltanto con blande parole di condanna e con la minaccia di non partecipare al G8 di Sochi del prossimo giugno, ma non sembra abbia alcuna intenzione di impegnare la forza militare degli Stati Uniti d'America nella difesa dell'integrità territoriale e della libertà di un Paese che i media filoputiniani d'Occidente dipingono in coro come facente parte del "cortile di casa" del Cremlino, pertanto è molto probabile che, dopo alcune riunioni straordinarie dell'Onu (dove Mosca eserciterà il suo diritto di veto), della Nato e dell'Unione Europea, tutti accetteranno il fatto compiuto così come nel 2008 hanno accettato l'invasione della Georgia e l'annessione de facto alla Russia di Abkhazia e Ossezia del Sud. Del resto l'Occidente non ha forse sopportato senza batter ciglio l'invasione dell'Ungheria nel 1956 e della Cecoslovacchia nel 1968, i massacri di civili innocenti, la repressione di governi espressione della volontà popolare? Allo stesso modo, purtroppo, gli uomini e le donne del nobile popolo di Ucraina, che hanno combattuto per mesi in piazza Maidan in nome dell'idea di Europa come patria di libertà e democrazia, da quella Europa, dimentica del suo glorioso passato, e dall'America, incatenata dal pifferaio maligno Obama, si apprestano a essere traditi, abbandonati a un triste destino di invasione, occupazione brutale, repressione, terrore e morte. 136 È la fine del sogno di un'Ucraina libera e democratica, allora, direte voi? Dobbiamo forse rassegnarci a veder trionfare la violenza sulla ragione, l'arroganza sul diritto, la prepotenza sull'innocenza? No, cari lettori, no. La disperazione appartiene solo a chi non ha lo sguardo lungo di noi mondialisti, a chi vede solo il qui-e-ora e non ricorda quanto è successo l'altro ieri, figuriamoci vent'anni fa. Chi, come noi mondialisti, è abituato a leggere gli avvenimenti del presente inquadrandoli nella prospettiva storica della guerra in corso da cinque secoli tra l'esercito del Mondialismo e la masnada assassina dell'Antimondialismo, riconosce nell'invasione dell'Ucraina in corso in questi giorni la ripetizione dei tentativi compiuti dall'Unione Sovietica di mantenere il potere usando il pugno di ferro; e comprende che, come la repressione delle rivolte di Budapest e Praga non riuscirono a salvare il regime totalitario comunista sovietico dal crollo e dallo smembramento dell'Impero del Male nel 1991, così oggi la repressione della rivolta di Kiev non salverà il regime menzognero e assassino di Putin da una fine ormai vicina. La Storia, maestra di vita spesso inascoltata ma sempre vincente, insegna che il futuro appartiene alla Libertà, alla Democrazia e ai Diritti dell'Uomo, non alla schiavitù, alla tirannide e alla barbarie; che tutti i regimi illiberali, tirannici e totalitari sono sempre prima o poi crollati miseramente, sopraffatti dall'arretratezza tecnologica, dalla miseria economica e dall'anelito di libertà dei propri sudditi; che il genere umano si sta muovendo, lentamente ma irresistibilmente, verso l'unificazione in un solo Stato mondiale che riconoscerà e proteggerà i diritti di ogni uomo e di ogni donna a prescindere dalla sua etnia, dalla sua religione, dalla sua condizione sociale e dalla sua ideologia. Per questo noi mondialisti continueremo a combattere, con la parola e con le opere, al fianco del nobile popolo ucraino oggi minacciato, così come del popolo russo oppresso dal Grande Tiranno Putin, del popolo cinese che geme e soffre sotto il tallone dei mandarini comunisti, dei popoli islamici schiacciati da tiranni laici e ayatollah pedofili, dei popoli africani e latinoamericani impoveriti da dittatori corrotti e assassini, dei popoli europei tentati di diventare i servizievoli banchieri di tutti i tiranni; certi come siamo, che tutti questi regimi tirannici, illiberali e totalitari, laici e teocratici, crolleranno e finiranno nella polvere come è avvenuto per la Germania nazionalsocialista, per l'Unione Sovietica, per la Serbia nazionalcomunista di Slobodan Milosevic e per la Libia di Muhammar Gheddafi, e che presto, molto presto, tutto il genere umano sarà unito nell'Impero mondiale che assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Il fatto che oggi, a Mosca, un centinaio di persone si siano riunite per protestare contro l'invasione dell'Ucraina, ci conferma nella nostra convinzione: per il regime di Putin questo ennesimo crimine sarà l'inizio della fine. 137 I FATTI D'UCRAINA NEL PROGETTO MONDIALISTA E LA RISPOSTA PERSONALE AD ESSO (4/5/2014) I fatti avvenuti in Ucraina negli ultimi giorni, da quando è iniziata la riscossa del legittimo governo di Kiev contro i banditi russofoni spalleggiati e armati da Mosca, hanno sollevato il solito vespaio di polemiche interessate da parte di giornalisti e intellettualoidi asserviti alla lobby putiniana. In particolare in Italia ci si è stracciati le vesti per i 50 ribelli filorussi morti venerdì scorso nell'incendio di un edificio pubblico. Ora, per non farsi travolgere dall'emotività e non rimanere ciechi davanti al significato di questi pur tragici avvenimenti, è opportuno e necessario "inquadrarli" nel contesto storico-geografico cui appartengono, allo stesso modo in cui, per fare un esempio, la liturgia cristiana, in questo periodo di quarantanove giorni che va da Pasqua a Pentecoste, riflette sui tragici eventi della Passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo "inquadrandoli" nel piano di salvezza universale preparato da Dio sin dalla fondazione del mondo. Seguiamo dunque questa pista analogica. Nel grande discorso tenuto a Pentecoste Pietro, sotto la guida dello Spirito Santo, mostra a una folla di pellegrini giunti a Gerusalemme per la festività tradizionale come ciò che era sembrato un caso di cronaca nera abbastanza insignificante - la crocifissione da parte del potere politico-giudiziario romano di un rabbi che godeva di un grande consenso popolare, a causa dell'invidia delle autorità religiose di Israele - era in realtà il compimento della promessa fatta dall'Altissimo al genere umano sin dal primo peccato, allorché il Signore Dio aveva preannunciato che la "stirpe della donna" avrebbe schiacciato la testa al serpente: la promessa cioè di un Messia, Figlio dell'Uomo e Figlio di Dio, il quale avrebbe preso su di sé tutti i peccati del mondo, offrendosi al Padre in sacrificio di espiazione quale «agnello senza difetto e senza macchia», soffrendo e morendo in modo ignominioso per obbedienza d'amore, per poi risorgere liberando l'umanità dalla paura della morte. Ebbene, in modo analogo noi mondialisti vogliamo esortarvi a considerare la morte violenta di quei ribelli filorussi all'interno del grande progetto che stiamo realizzando da 700 anni, da quando cioè la persecuzione di Filippo il Bello ci costrinse a entrare in clandestinità: l'unificazione di tutto il genere umano in un solo Stato o Impero mondiale fondato sulla distinzione fra Trono e Altare, fra le "cose di Dio" e le "cose di Cesare", nel quale nessun individuo possa essere perseguitato per le sue opinioni politiche o religiose, e in cui ogni essere umano possa godere pacificamente dei diritti immortali e inalienabili, dati da Dio, alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Per la realizzazione di questo grande progetto, noi mondialisti abbiamo dapprima utilizzato i nostri buoni rapporti con i sovrani di Scozia, Spagna, Portogallo e Inghilterra allo scopo di riedificare, consolidare ed espandere i nostri insediamenti in terra americana (quegli insediamenti dai quali avevamo tratto la colossale quantità d'argento che aveva fatto di noi Templari i banchieri di tutta l'Europa); poi, grazie alla creazione della Massoneria da un lato, e dall'altro all'infiltrazione dei Gesuiti e degli altri ordini religiosi missionari, abbiamo fecondato le classi intellettuali e le élites al potere tanto nei Paesi europei quanto in Cina e Giappone, stimolando ovunque il 138 rovesciamento dei vecchi regimi teocratici e tradizionalisti e la creazione di governi sempre più profondamente liberali e democratici, aperti al progresso scientifico e tecnico e dediti all'incivilimento dei costumi delle loro popolazioni, disposti a intessere pacifici commerci e scambi di idee con il resto del mondo anziché a conquistare nuovi territori in guerre senza fine. Anche quando i nostri piani hanno subìto delle battute d'arresto - come in Russia con la rivoluzione bolscevica che abbatté il governo riformista di Kerenskij da noi appoggiato, o come in Italia e Germania con la presa del potere da parte di Mussolini e Hitler, o come in Giappone allorché la classe militare impose al Paese il perseguimento una politica estera aggressivamente espansionista - noi mondialisti abbiamo saputo sfruttare adeguatamente la rete transnazionale creata in tanti secoli da banchieri, imprenditori e intellettuali al di qua e al di là dell'Atlantico per mobilitare capitali, uomini e armi in guerre calde e fredde, in lotte di liberazione e attività di contenimento, finché quei regimi mostruosi e inumani sono stati abbattuti, e le bandiere nere e rosse sono finite nella polvere. Ora, è in questo grande progetto di liberazione universale che va "inquadrata" e analizzata la morte violenta di quei 50 ribelli filorussi. In primo luogo, è un fatto incontestabile che quell'edificio pubblico in cui hanno trovato la morte era stato da essi occupato con la violenza dopo aver aggredito vilmente un corteo di pacifici cittadini ucraini che manifestava il proprio desiderio di restare fedeli alla madrepatria e di non passare dalla parte di un regime oscurantista e liberticida come quello che oggi opprime la Russia, e che ha già invaso e occupato manu militari la penisola di Crimea; per cui la loro sorte, pur tragica, deve essere considerata una giusta punizione per i crimini contro le persone e contro l'ordine pubblico da essi compiuti (allo stesso modo per cui il Signore Gesù Cristo, commentando la sorte di un gruppo di Galilei che si erano ribellati ai Romani durante una festa pasquale ed erano stati messi a morte da Pilato, dice: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei? No, io vi dico; ma se non vi convertirete, finirete anche voi così»). Più in generale, le attività violente poste in essere dai russofoni, su ispirazione e con il sostegno politico, finanziario e militare del cekista Putin (che da "buon" agente del Kgb ha una notevole esperienza in materia di complotti, sedizioni e insurrezioni armate contro governi democratici spacciate per "giuste rivolte popolari contro regimi reazionari"), sia negli ultimi mesi in Ucraina, sia da molti anni in Moldavia (dove il governo legittimo deve fronteggiare la loro pretesa di staccare dal resto del Paese la regione della Transnistria per aggregarla alla Russia), sono in radicale opposizione al nostro progetto di accerchiare le quattro potenze autocratiche d'Eurasia, Russia, Cina, Corea del Nord e Iran, con un Anello di Paesi liberali e democratici, rispettosi dei diritti umani e delle minoranze religiose. Il nostro progetto prevede che questi Paesi, in Europa orientale come nel Sud-Est asiatico, sulla sponda sud del Mediterraneo come nel Medio Oriente, saranno disponibili a ospitare basi militari, stazioni radar e batterie di missili antimissile che renderanno impossibile a Putin, ai mandarini del Partito Comunista cinese, al tiranno Kim Kong-Un e agli ayatollah pedofili e antisemiti lanciare le loro bombe atomiche sulle pacifiche città d'Europa, del Giappone e d'Israele, impedendo così a quei regimi tirannici e totalitari di continuare 139 a ricattare il resto del genere umano e facilitando, nel lungo periodo, la sollevazione dei popoli da essi oppressi, il loro crollo e la creazione anche in quei Paesi di governi liberali e democratici, che accetteranno, in accordo con gli Stati Uniti d'America e con tutti i Paesi d'Occidente, di rinunciare alla loro sovranità e di divenire, tutti, a Nord come a Sud, a Est come a Ovest, semplici circoscrizioni amministrative di un solo Impero mondiale federale e liberaldemocratico, che abolirà tutte le vetuste sovranità etno-nazionali e con esse la differenza tra "cittadino" e "straniero", e assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Così come l'assoggettamento di tutti i popoli dall'Iberia alla Persia sotto il dominio illuminato di Roma favorì l'attività evangelizzatrice dei primi cristiani, allo stesso modo l'unificazione del genere umano in un solo Impero mondiale è condizione necessaria affinché si compia il progetto divino di «abbattere il muro di separazione, cioè l'inimicizia» che fin dalla Creazione divide gli uomini, affinché non ci sia più «né Giudeo né Greco, né maschio né femmina, né schiavo né libero, ma tutti siano uno in Cristo»; e come dopo il discorso di Pietro quei pellegrini, che erano convenuti a Gerusalemme «da ogni parte del mondo conosciuto», chiesero all'Apostolo: «Noi, cosa dobbiamo fare?», allo stesso modo ciascun essere umano, davanti al grandioso progetto di liberazione dall'inimicizia, dalle guerre, dalle persecuzioni e dai genocidi che noi mondialisti vi offriamo, è chiamato a dare una risposta personale, a compiere una scelta: opporsi a tale offerta gratuita e disinteressata di pace e prosperità, subendone le necessarie, dolorose conseguenze secondo l'antico e perenne adagio "fata volentem ducunt, nolentem trahunt" (il Destino guida chi vuol seguirlo, e trascina chi recalcitra) - oppure accettarla, facendosi annunciatori del Mondialismo nel proprio ambiente familiare, scolastico, lavorativo e religioso, illuminando i cuori e le menti degli uomini e delle donne del nostro tempo circa la bontà e l'inevitabilità del cammino storico che sta conducendo il genere umano, lentamente ma irresistibilmente, verso l'abbattimento di tutti gli Statinazione e l'unificazione in un solo Stato mondiale. Per quanto ci riguarda, noi mondialisti siamo pieni di speranza: gli Atti degli Apostoli narrano che di fronte all'invito di Pietro «Fatevi battezzare, e ricevete lo Spirito Santo», più di quattromila ebrei, in quel solo giorno di Pentecoste, accettarono il battesimo; allo stesso modo noi mondialisti riteniamo che solo una piccola, esigua minoranza di criminali perversi si opporrà al nostro progetto di unificazione del genere umano, perché il Mondialismo è la risposta all'attesa di pace, uguaglianza e libertà che abita nei cuori e nelle menti di tutti gli uomini e le donne del pianeta, di miliardi di uomini e donne che ogni giorno sacrificano la propria vita per costruire un mondo senza barriere. E per questo vinceranno. 140 MONDIALISMO E CINA 141 TIBET IN CROCE, BOICOTTARE LA CINA È UN DOVERE (21/3/2008) In questo giorno nel quale i cristiani di tutto il mondo fanno memoria della Passione e morte di Gesù Cristo, l'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e il suo ramo esecutivo, il Partito Mondialista, non possono e non vogliono dimenticare il martirio dell'eroico popolo tibetano che in 58 anni ha visto morire un milione dei suoi figli, che ogni giorno è conculcato nei suoi diritti di libertà religiosa e civile dall'infame regime di occupazione comunista cinese; un regime atroce che non permette neppure a un gruppo di pellegrini in esilio di varcare il confine e di recarsi nella propria patria a pregare nei propri templi, ma li uccide a fucilate in un macabro tiro al bersaglio tra le nevi dell'Himalaya, come mostra questo video ripreso tre settimane fa (http://it.youtube.com/watch?v=BkMcj4vQtRU&NR=1). Le proteste, scoppiate a Lhasa il 10 marzo nell'anniversario di una rivolta che fu stroncata nel sangue di 65.000 vittime, continuano tuttora (questo video [http://media.phayul.com/flv-view.aspx?hide=1&av_id=89&av_links_id=195], girato con un telefonino, mostra lo scontro tra i monaci e gli sgherri della polizia cinese avvenuto il 15 marzo a Labrang, nella provincia tibetana dell'Amdo) nonostante la feroce repressione messa in atto da Pechino [http://it.youtube.com/watch?v=R42ECGoddLQ] che ha già provocato più di 100 morti, come documentano queste terribili immagini sfuggite alla censura del regime e trasmesse all'Occidente da un turista francese e dall'agenzia di stampa cattolica Asianews: 142 Nel frattempo, la rivolta del popolo tibetano desideroso di libertà si è estesa alle vicine province del Sichuan, Qinghai e Gansu. Il regime comunista cinese ha accusato la "cricca del Dalai Lama" di aver fomentato gli scontri - una scusa ridicola per chiunque sappia come il capo spirituale dei tibetani abbia sempre seguito nelle sue rivendicazioni politiche il precetto della non-violenza tipico del buddhismo - e si è vantato attraverso l'agenzia di stampa ufficiale Xinhua di aver ricevuto il sostegno di Paesi come Russia, Bielorussia, Vietnam, Pakistan... decisamente i fiori più belli della democrazia. In quest'ora gravida di dolore per il popolo del Tibet e per tutti gli amanti della libertà (che sono numerosi in tutto il mondo, a partire dalla stessa Cina), il Partito Mondialista invita tutti i lettori di questo sito a colpire gli interessi economici del regime comunista cinese: in primo luogo astenendosi d'ora in poi dall'acquistare prodotti "made in China" realizzati da operai sottopagati e supersfruttati (in maggioranza donne e bambini); poi boicottando beni e servizi commercializzati dalle imprese che sponsorizzano le Olimpiadi con cui Pechino sta tentando di presentarsi al mondo con un volto "gradevole". La scelta è varia: Adidas, Coca-Cola, General Electric, Johnson & Johnson, Kodak, McDonald's, Samsung, Visa... se queste multinazionali riscontreranno un calo significativo e prolungato delle vendite e dei conseguenti ricavi saranno indotte a sciogliere i loro contratti con il sanguinario regime cinese, e il danno che questo ne riceverà sarà immenso. Non bisogna dar retta ai difensori delle dittature come l'orrido ministro degli Esteri italiano (ancora per 143 poco) D'Alema, o ai liberali a giorni alterni come Emma Bonino, che temono l'irrigidimento di Pechino ed esortano a non penalizzare il popolo cinese: perché i burocrati del Pcc sanno bene che la Cina ha una popolazione troppo povera per assorbire la sua produzione industriale nel caso venga meno la domanda mondiale, e perché i cinesi sono i primi a non poterne più del regime totalitario che li opprime da più di mezzo secolo e a lottare per abbatterlo, come hanno fatto i martiri di Piazza Tien an Men e come fanno ogni giorno i bloggers che sfidano la censura per far pervenire al mondo libero immagini e notizie della repressione. Se queste forme di boicottaggio economico avranno successo, sarà più facile persuadere i governi occidentali a mettere in atto sanzioni ancora più dure nei confronti di Pechino: non solo il boicottaggio delle Olimpiadi di sangue, ma anche e soprattutto il congelamento dei beni del regime situati in Occidente e la sospensione dei contratti stipulati dalle imprese occidentali. Boicottare la Cina è un dovere di tutti. Per il Tibet messo in croce, per la Birmania schiacciata da un regime nazionalcomunista sostenuto da Pechino, per il Darfur martoriato dal regime islamico del Sudan con la complicità della Cina che ne acquista il petrolio, per tutti gli uomini e i popoli vittime di regimi tirannici. Comincia da qui, dall'ingerenza umanitaria messa in atto da ognuno di noi, la costruzione di quell'Impero mondiale in cui le sovranità e gli egoismi nazionali scompariranno, le discriminazioni di sesso, razza, lingua e religione saranno dissolte, e l'umanità conoscerà finalmente pace e prosperità. 144 LIBERTÀ PER GLI UIGURI, O ANDRANNO CON AL QAEDA (27/7/2009) Sono passati poco più di quindici giorni dai sanguinosi scontri fra cinesi Han e Uiguri scoppiati nella regione "autonoma" dello Xinjiang/Turkestan Orientale. Il 5 luglio gli Uiguri, l'etnia maggioritaria (45% della popolazione, contro il 41 di Han, il 7 di Kazaki, il 5 di cinesi Hui, e un 2% circa di Tagiki, Uzbeki, Tartari, Russi, Tibetani, Manchu e altre minoranze) avevano manifestato nella capitale Urumqi per chiedere giustizia dopo l'uccisione di due loro membri, quando sono stati aggrediti dalla polizia di Pechino e da gruppi di Han armati. Il regime comunista ha ripreso il controllo solo dopo una settimana di violenze che hanno lasciato sul terreno più di 600 morti, imponendo il coprifuoco e comminando la pena di morte ai fomentatori degli scontri, ma nessuno, nemmeno nei palazzi del potere rosso, può illudersi che questo sia l'ultimo atto di una crisi che dura praticamente dal 1949, cioè da quando l'esercito di Mao Tse-Tung riprese il controllo della provincia dello Xinjiang, resasi indipendente una decina d'anni prima come Repubblica del Turkestan Orientale dopo il crollo del Celeste Impero. Forse nessuno di chi ci sta leggendo ha mai sentito parlare dell'esodo dei 60.000 kazaki che nel 1962 varcarono il confine con l'Unione Sovietica per sottrarsi alla pulizia etnica; ma forse qualcuno ricorderà la rivolta di Baren del 1990 che finì con 50 vittime, o quella di Ghulja del 1997 in cui un migliaio di Uiguri si scontrarono con la polizia militare, o gli attentati sui bus di Urumqi di quello stesso anno. Organizzazioni al di sopra di ogni sospetto, come Amnesty International e Human Rights Watch, hanno acceso da tempo i riflettori sulla sistematica violazione dei diritti umani operata dal regime cinese a danno dell'etnia uigura, come pure hanno fatto i sostenitori dell'indipendenza esuli negli Stati Uniti d'America; una comunità guidata non da estremisti fanatici, come vorrebbe far credere Pechino per legare la sua repressione al carro della Guerra al Terrore dichiarata da Washington dopo l'11 settembre, bensì da una imprenditrice di successo e deputata all'Assemblea del Popolo... finché non pronunciò un durissimo discorso a porte chiuse accusando i mandarini del Partito di "genocidio culturale", cosa che le costò il carcere e l'esilio. Guarda caso, di genocidio culturale ha parlato anche il Dalai Lama a proposito della politica di repressione e stravolgimento demografico che si sta compiendo in Tibet. In entrambe le regioni il regime sta procedendo da decenni a trasferire, sia coattivamente che con incentivi economici, centinaia di migliaia di Han ritenuti più fedeli a Pechino; in entrambe le regioni gli Han detengono il controllo delle industrie, dei commerci, della burocrazia e delle forze armate, mentre Uiguri e Tibetani sono ridotti alla fame e alla miseria più nera, privati persino della possibilità di coltivare la propria cultura o di ascoltare le loro musiche tradizionali. Non è dunque casuale che nello Xinjiang/Turkestan Orientale, come nel Tibet, si siano verificati rivolte e scontri interetnici che i comunisti tentano di delegittimare bollandoli come "terrorismo". Ora, noi dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" abbiamo esplicitamente affermato nel capitolo 2 del Manifesto fondativo del Partito Mondialista di essere fermamente, assolutamente contrari a un tradizionalismo 145 pregiudiziale e cieco che in nome del passato pretende di innalzare barriere tra gli uomini; ma non possiamo non condannare con altrettanta durezza ogni tentativo di sradicare culture da parte di un potere, come quello comunista della Cina continentale, che non persegue il bene comune di tutti i suoi cittadini, nella libertà e nella democrazia, ma soltanto l'accrescimento della propria potenza e la conservazione di privilegi per qualche milione di mandarini di partito e funzionari corrotti. Siamo inoltre ben consapevoli che la repressione delle legittime aspirazioni del popolo uiguro - come di quello tibetano - alla libera espressione della propria cultura e religione, e la conseguente disperazione, rischiano di spingere un islamismo moderato e tollerante, come è sempre stato quello turcomanno, nelle braccia di Al Qaeda, i cui capi non aspettano altro per mettere a ferro e fuoco l'intera Asia Centrale. Si consideri infine che il Turkestan/Xinjiang, così come i vari "stan" che lo affiancano ai confini, è ricchissimo di minerali e soprattutto di petrolio e gas, il cui sfruttamento è vitale sia per un'Europa che voglia affrancarsi dai ricatti del cekista Putin, sia per una Cina affamata di energia e già alle prese con i primi black-out nell'erogazione di energia elettrica alle floride regioni orientali, e che stringere accordi commerciali con questi Paesi non vuol dire solo posare un tubo d'acciaio da Astana o Urumqi fino a Vienna: vuol dire soprattutto aprire l'Heartland, il cuore dell'Eurasia, e in definitiva la Russia al vento della civilizzazione, con i benefici effetti che chiunque può immaginare sul tenore di vita e sulla tonalità spirituale di un popolo prostrato dal crollo demografico e dalla tirannide del nuovo padrone del Cremlino. È dunque assolutamente necessario che l'Occidente, a partire dagli Stati Uniti d'America, si risvegli dal sonno obamiano e metta in campo ogni mezzo di pressione, dalle sanzioni economiche alla forza militare, per costringere Pechino a concedere libertà, democrazia e rispetto di leggi certe e uguali per tutti, dall'ultimo contadino ai detentori del potere. Solo in questo modo saranno liberate le risorse finora represse della società civile cinese, e tutti i suoi cittadini, a qualunque etnia appartengano, potranno crescere e prosperare nella vera pace, quella che nasce dalla difesa e promozione dei diritti immortali e inalienabili di ogni essere umano. 146 I GIOVANI MUSULMANI NON GRIDANO PIÙ «MORTE A ISRAELE». E ADESSO TOCCA ALLA CINA (20/2/2011) A imitazione del nostro Signore noi, Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone, non siamo "sì" e "no" insieme: abbiamo una sola parola, e quel che promettiamo lo manteniamo. Nel nostro editoriale del 28 gennaio vi avevamo promesso che su tutto il mondo islamico sarebbe caduta una nevicata di rivoluzioni, e così è stato; vi avevamo annunciato che dopo la fuga di ben Alì dalla Tunisia sarebbe toccato a Mubarak bere l'amaro - ma giusto - calice dell'esilio, e l'11 febbraio gli Egiziani hanno festeggiato la cacciata del Faraone. Ora che la nostra operazione "Snow on the Sahara" è in pieno svolgimento tutta la fascia che va da Casablanca a Teheran è in ebollizione: in Marocco il popolo chiede al re Mohammed VI riforme che limitino i poteri della monarchia e maggiore autonomia per la magistratura; a Tunisi la gente scende in piazza per eliminare dal governo anche gli ultimi esponenti del corrotto regime defunto; in Algeria sempre più persone si scontrano senza paura con gli sgherri di Bouteflika; in Libia i ribelli hanno conquistato Bengasi e tengono sotto assedio il figlio di Gheddafi, il quale ha ordinato ai suoi mercenari di sparare sulla folla con i razzi anticarro perché sa che questa volta finirà impiccato come merita da 42 anni; nello Yemen Alì Abdallah Saleh tenta disperatamente di restare abbarbicato alla poltrona mandando i suoi servi a picchiare i dimostranti che ne chiedono pacificamente le dimissioni; l'emiro del Bahrein si barcamena tra feroci repressioni e promesse di dialogo col solo risultato di esasperare il 70% dei suoi sudditi; in Iran i giovani, che sono i due terzi di una popolazione fra le più istruite del Medio Oriente, danno alle fiamme i ritratti di Khomeini e del suo successore gridando «Dopo Mubarak e Ben Alì, adesso tocca a Sayyed Alì [Khamenei]». Tutte queste rivolte popolari, sia prese isolatamente, sia ancor più nel loro sovrapporsi, intersecarsi e influenzarsi reciproco, hanno sollevato lo stupore, il disappunto, l'inquietudine, il terrore in quella schiera di giornalisti, opinionisti, maitres a penser come l'ex ambasciatore a Mosca Sergio Romano, docenti di relazioni internazionali, arabisti, orientalisti, islamofascisti come Pietrangelo Buttafuoco (il signor "l'Occidente è al tramonto, l'Occidente è al tramonto") e sedicenti esperti di geopolitica alla Lucio-Caracciolo-e-compagni-di-Limes, i quali avevano sempre sentenziato dalle loro cattedre del Nulla che mai e poi mai i musulmani avrebbero accettato i diritti umani, la libertà e la democrazia "importati" dall'Occidente, che il liberalismo e il primato dell'individuo sulla comunità di nascita erano incompatibili con la cultura di popoli abituati, prima e dopo la loro conversione all'Islam, a un modo di vivere comunitaristico, che il XXI secolo avrebbe visto il prevalere del fervore religioso islamico sul materialismo e l'edonismo occidentali, bla bla bla... Per ora tutti questi soloni prezzolati sono costretti a tacere di fronte a un fatto evidente e indiscutibile: da quando i Tunisini hanno dato il via all'Onda della rivoluzione nessuno, nessuno, in nessun Paese in rivolta, ha dato alle fiamme una sola bandiera a stelle e strisce o con la stella di David, nessuno ha calpestato i ritratti di Netanyahu, nessuno ha gridato «Morte all'America» o «Morte a Israele»; piuttosto 147 calpestano i ritratti di Khamenei, Ahmadinejad, dei tiranni che se ne sono andati e di quelli che non se ne vogliono ancora andare, e quando gridano, gridano «Morte al dittatore», «Libertà», «Democrazia». Ciò che i maestri del multiculturalismo razzista non hanno compreso, e che noi mondialisti avevamo invece ben capito e previsto da molti anni, è che il mondo islamico è composto per la grandissima maggioranza di giovani al di sotto dei 30 anni, giovani che guardano le tv satellitari, navigano in Internet, si creano i loro profili su Facebook e "cinguettano" con Twitter esattamente come i loro coetanei occidentali; giovani che attraverso la televisione e il computer apprendono come vivono i giovani in Occidente; giovani che, esattamente come i giovani occidentali, desiderano ascoltare le canzoni di Shakira o di Lady Gaga senza essere additati come peccatori dagli imam e sgozzati da fanatici talebani; desiderano mangiare un piatto di pasta al pomodoro o una crêpe senza essere picchiati da squadracce di motociclisti e arrestati per ordine di un ayatollah; desiderano incontrare persone dell'altro sesso e sposarsi per amore e non per un accordo economico concluso tra famiglie al di sopra delle loro teste; desiderano vivere decentemente del proprio lavoro senza essere costretti a emigrare da governanti corrotti che monopolizzano i proventi delle ricchezze naturali, petrolio, diamanti, uranio e metalli, con cui l'Altissimo aveva benedetto quelle terre affinché fossero utilizzate per il bene comune del popolo e non per l'opulenza di pochi e la miseria di molti; desiderano esprimere liberamente le loro opinioni e contribuire al buon governo dei loro Paesi senza che il dibattito pubblico venga sequestrato da tiranni sanguinari che impegnano ossessivamente i loro popoli in imprecazioni e minacce contro il "Grande Satana" americano e contro l'«entità sionista» per distrarli dai problemi interni. Questi giovani hanno finalmente capito che la causa della loro miseria materiale e della loro arretratezza spirituale non sta a Washington né a Gerusalemme o Tel Aviv, ma nelle loro capitali, nei loro palazzi presidenziali e nelle loro regge, non si chiama Bush o Obama o Netanyahu ma Ben Alì, Mubarak, Saleh, Khalifa, Assad e Nasrallah, Khamenei e Ahmadinejad. Hanno compreso che i regimi da cui sono stati oppressi per decenni si reggono solo sulle fragili fondamenta della loro paura di buttarli giù. E hanno deciso di dire: BASTA! Cosa ci riserva il futuro? Noi mondialisti, ormai lo sapete, preferiamo fare la Storia eseguendo i decreti dell'Altissimo piuttosto che scriverla, e pertanto non ci avventuriamo in previsioni. Ci limitiamo a constatare quanto sta accadendo sotto i nostri, sotto i vostri occhi: proprio oggi in Cina il regime comunista ha messo agli arresti più di 20 avvocati e attivisti in favore dei diritti umani per tentare vanamente di impedire che alcuni giovani, accordatisi tramite forum e social networks, si radunassero in una piazza di Pechino e lanciassero sulla folla e sui giornalisti appositamente convocati mazzi di gelsomini a simboleggiare la volontà di imitare i loro coetanei di Tunisi. L'Onda della libertà ha ormai valicato anche la Grande Muraglia, e non servirà a niente bloccare sui motori di ricerca la parola "gelsomino" (è accaduto davvero) e tutte le notizie su Tunisia, Egitto, Yemen, Iran e dintorni. L'unificazione del genere umano in un solo Impero mondiale federale, liberale e democratico procederà inarrestabile, perché essa costituisce la risposta al desiderio profondo di ogni uomo e donna di vivere in libertà, giustizia e pace con i suoi simili. 148 MONDIALISMO E AMERICA 149 AMERICA, “REPORT” SCOPRE L’ACQUA CALDA (4/06/2007) Se esistesse un premio per il servizio giornalistico più ovvio e scontato – una sorta di IgNobel della stampa – quest’anno se lo aggiudicherebbero certamente Milena Gabanelli e tutta la redazione di “Report” per l’inchiesta “Revolution.com” trasmessa domenica 3 giugno. Quali clamorose novità emergono infatti dal servizio a firma Manon Loizeau? Che negli Stati Uniti d’America esiste un gran numero di individui, associazioni e fondazioni (dalla Freedom House, fondata da un ex giornalista per difendere nel mondo la libertà di stampa col sostegno del senatore repubblicano John McCain, all’Einstein Institute dell’ex consulente dei servizi segreti militari Robert Helvey, dal “Progetto per le democrazie in transizione” dell’ex dirigente della Lockheed Bruce Jackson al miliardario iscritto al partito democratico George Soros) i quali hanno speso milioni di dollari per creare e sostenere gruppi di opposizione democratica ai regimi tirannici e autocratici del serbo Milosevic, del georgiano Shehevardnaze, dell’ucraino Kuchma e del kirghizo Akayev? Che tutti questi gruppi di opposizione democratica finanziati da individui e associazioni statunitensi hanno seguito le istruzioni contenute in un manuale scritto da uno studioso americano di nome Gene Sharp e intitolato “Dalla dittatura alla democrazia”? Che le hanno seguite così bene, quelle istruzioni, da far crollare in pochi mesi, e senza spargimento di sangue, quattro tirannie in cinque anni (Serbia 2001, Georgia 2003, Ucraina 2004, Kirghizistan 2005)? Che senza i finanziamenti e l’appoggio americano Milosevic sarebbe ancora al potere, e le rivoluzioni “delle rose”, “arancione” e “dei tulipani” sarebbero state un fallimento? Insomma, che gli Stati Uniti d’America odiano la tirannide e amano la democrazia? Se questo è lo scoop che intendeva realizzare mandando in onda quel servizio, egregia signora (o signorina) Gabanelli, ebbene è in ritardo di almeno 231 anni… Ora, data la sua giovane età, si può comprendere che Lei non abbia vissuto in prima persona, e con una steadycam in spalla, l’esaltante giornata del 4 luglio 1776; ma poiché si presume che, per fare il giornalista, si debba aver conseguito almeno la licenza elementare, non si può assolutamente scusare il fatto che Lei non conservi memoria di aver studiato a scuola la Dichiarazione d’Indipendenza che quel giorno fu sottoscritta a Philadelphia da uomini illustri come Benjamin Franklin, Thomas Jefferson e George Washington; un documento nel quale si proclamava apertamente il principio di diritto naturale e razionale che «tutti gli uomini sono creati da Dio eguali, e sono dotati dal loro Creatore di uguali diritti, fra i quali il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità», e che «per la difesa di questi diritti sono istituiti governi fra gli uomini», e che pertanto, «qualora un governo, mediante una lunga pratica di malversazioni, arresti illegali e imposizioni fiscali arbitrarie, dimostri di non voler tenere in alcun conto questi diritti, un popolo è legittimato ad opporsi a tale regime, a deporlo e a sostituirlo con un altro di propria scelta». Questa è la pietra angolare su cui è stato fondato l’edificio della democrazia statunitense, e a questi immortali principi il governo e il popolo degli Stati Uniti 150 d’America sono sempre stati fedeli: quando a metà dell’Ottocento rifiutarono di pagare gli odiosi pedaggi pretesi alle loro navi dai pirati barbareschi del Mediterraneo, e mandarono il corpo dei marines appena costituito sulle spiagge di Libia a liberare quanti erano stati resi schiavi da quei predoni; quando nel 1898 sostennero la lotta per l’indipendenza del popolo cubano contro la retrograda Spagna; quando nel 1917, per dare pace alle anime dei passeggeri del transatlantico Lusitania affondato da un sommergibile tedesco, turisti innocenti che si sentivano cittadini del mondo e al mondo chiedevano solo rispetto per le loro vite e i loro beni, inviarono in Europa centinaia di migliaia di volontari che decretarono la vittoria delle democrazie e la disfatta del militarismo prussiano; quando nel 1941, assaliti a tradimento da chi fingeva di impegnarsi in trattative diplomatiche e non si degnò neppure di consegnare una dichiarazione di guerra, impegnarono tutto il loro potenziale bellico, umano e tecnologico per sconfiggere l’Asse Roma-Berlino-Tokio e salvare il mondo dal genocidio; quando per cinquant’anni difesero metà dell’Europa e del mondo dalla minaccia di un’invasione sovietica, finché la bandiera rossa fu ammainata dalla cima del Cremlino e l’ultimo autocrate Gorbaciov fu sostituito dal mite Eltsin. Ed anche oggi, oggi che il nuovo despota russo, l’uomo del Kgb Vladimir Putin, minaccia di puntare i suoi missili nucleari sulle città d’Europa come ritorsione per il dispiegamento ai confini del suo regno di un sistema di difesa anti-missili balistici che egli accusa contraddittoriamente di essere, insieme, «inutile» e «lesivo dell’equilibrio strategico tra le superpotenze nucleari» (cioè, per dirla con brutale schiettezza, di togliere dalle mani dell’orso russo la pistola che per cinquant’anni ha tenuto puntata alla testa dell’Europa, per mantenerla nella schiavitù della paura); oggi che il mondo intero è minacciato di nuove stragi, di infiniti 11 settembre da una piovra fondamentalista islamica che vuole assoggettare l’umanità ad un Califfato mondiale nemico delle donne e della libertà di pensiero; anche oggi il governo e il popolo degli Stati Uniti d’America, siano essi guidati da un presidente repubblicano o democratico, sono sempre alla guida del movimento d’uomini e di donne che opera ogni giorno, con la parola, con la tastiera di un computer o con la canna di un fucile, per abbattere i regimi tirannici, autoritari ed oscurantisti e instaurare nel mondo la vera pace, quella che nasce dal rispetto della libertà e dignità di ogni essere umano. Questa, signora Gabanelli, è la vera notizia. 151 I LEADERS CAMBIANO, NOI RESTIAMO. E RESISTIAMO (12/11/2008) Come i nostri lettori già sanno, il Partito Mondialista ha visto la prima luce il 3 aprile 2005, poche ore dopo la santa morte di Giovanni Paolo II, il Papa che, con la sua instancabile denuncia dei crimini e della menzogna del marxismo-leninismo - denunzia condotta con sovrano sprezzo del pericolo fino a subire un gravissimo attentato ordito dal Kgb (come ha dimostrato il lavoro della Commissione italiana sul dossier Mitrokhin, egregiamente presieduta da Paolo Guzzanti) - ha contribuito, in fraterna e leale collaborazione con l'allora Presidente degli Stati Uniti d'America Ronald Reagan il Precursore, a far crollare l'Unione Sovietica, il regno del Male che in settant'anni aveva massacrato più di cento milioni di esseri umani e seminato in tutto il mondo miseria, terrore e morte. Nel 2005 era Presidente degli Stati Uniti d'America George Walker Bush, colui che aveva saputo rispondere con rapidità e fermezza al vile attacco sferrato dal terrorismo fondamentalista islamico l'11 settembre 2001 contro il popolo americano e contro la più antica e grande democrazia del pianeta; colui che con le operazioni militari Infinitive Justice (Giustizia infinita) e Enduring Freedom (Libertà duratura) aveva inaugurato la Guerra al terrore, portando il ferro e il fuoco in casa del Nemico, stanandolo dalle caverne dell'Afghanistan, liberando milioni di donne dalla schiavitù del burka talebano e restituendo ai bambini la libertà di giocare con gli aquiloni; colui che ha abbattuto il feroce regime di quel Saddam Hussein che pagava 10.000 dollari per ogni palestinese che si faceva esplodere su un autobus di Gerusalemme o davanti a una discoteca di Tel Aviv, che ha gasato un milione di curdi, che ha torturato a morte il suo stesso popolo, che si è arricchito scandalosamente trafficando petrolio sottobanco con la complicità del meschino capobastone dell'Onu Kofi Annan. Per tutti questi motivi egli ha meritato l'eterna riconoscenza del genere umano, e l'attribuzione da parte di noi mondialisti del titolo di nuovo Augusto, Fondatore dell'Impero mondiale. Lo scorso 4 novembre, onorando non a parole, ma con i fatti gli immortali princìpi della democrazia americana, George Walker Bush, il grande Marciatore per la Libertà, ha ceduto lo scettro del comando all'uomo designato a succedergli dal voto popolare. Che la democrazia si fondi sulla volontà del popolo, di tutto il popolo senza discriminazioni di sesso, razza e fede religiosa è indiscutibile; ma è altrettanto certo e provato dalla Storia, maestra di vita, che la volontà popolare ha bisogno di essere illuminata dalla luce della ragione e della conoscenza della realtà, da quella luce senza la quale l'agire politico è simile al vagare di un cieco che sbatte la testa contro il muro dei problemi e delle emergenze perché non li vede (o finge di non vederli). Se il voto del popolo, oltre che condizione necessaria, fosse anche da solo sufficiente a garantire l'esistenza di una "vera" democrazia, cioè di un governo rispettoso dei diritti inalienabili di ogni essere umano - cittadino o straniero, uomo o donna, nato o concepito, sano o malato, cristiano o musulmano, buddista o ateo - alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità, allora regimi come quelli di Mussolini e Hitler, di Lenin e Mao, del cekista bicefalo Putin-Medvedev e del folle antisemita 152 Ahmadinejad dovrebbero essere qualificati e trattati come democratici, anziché, come sono realmente, delle tirannie sanguinarie da abbattere per il bene dei loro popoli sottomessi e dell'intera umanità. Solo il tempo e le opere che compirà potranno dire se Barack Obama sarà un vero presidente americano o un traditore dell'Occidente: come dice il Signore Gesù Cristo, «gli alberi si riconoscono dai frutti». Per il momento, la sua elezione ha coinciso con il più grave attacco che il Partito Mondialista abbia subito dalla sua fondazione: un attacco imprevisto, di una violenza inaudita, condotto in modo concentrico da una Sinistra smaniosa di rivincite provinciali e da una Destra ansiosa di saltare sul carro del vincitore annunciato; un attacco che ci ha costretto a chiudere questo sito Internet per ben otto giorni, e che ha rischiato di distruggere la nostra organizzazione per sempre. Ma l'Altissimo, nel cui Nome noi compiamo la nostra opera, ci è venuto in soccorso nella figura di un servo di Dio, un pastore della Chiesa; un uomo di vasta e profonda cultura, che se la ride di tutte le fole sui complotti giudaico-massonici di cui ci accusano i nostri avversari, gente senza Verità; egli ci ha portato il suo conforto e ci ha offerto il suo sostegno, dimostrando che la Chiesa cattolica è ben altra cosa dai ciecopacifisti alla Alex Zanotelli e dai francescani Pizzaballe che aprono le porte dei Luoghi Santi ai terroristi assassini. Così oggi, nell'ottavo giorno, noi dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e del Partito Mondialista, deposta la veste del lutto, riprendiamo la pubblicazione del nostro sito, più di prima decisi a resistere alla marea montante del nuovo totalitarismo russo-islamo-cinese che fa proseliti tra gli orfani del comunismo e del nazifascismo, cercando di incatenare l'Europa con il ricatto energetico, di attuare con i dittatori africani un empio scambio di protezione politica contro materie prime e di sedurre le masse indigene del Sudamerica con logori slogans anti-yankees. Decisi a resistere anche alle sirene dei Sarkozy e dei Berlusconi che predicano l'appeasement tra America e Russia, disposti, come i loro predecessori a Monaco nel 1938, a vendere l'onore in cambio della pace, e a ritrovarsi nudi come vermi, senza l'uno né l'altra. Il nostro scopo è sempre lo stesso: illuminare le menti e i cuori degli uomini e delle donne che ci incontrano nella Rete, per preparare il tempo in cui il governo e il popolo degli Stati Uniti d'America diverranno consapevoli della missione storica loro affidata di essere la città sulla collina, del dovere sacro di utilizzare la loro superiorità militare, economica e morale per fondare un Impero mondiale che abbatta tutte le tirannie e le dittature laiche e religiose e doni finalmente al genere umano pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Chiunque leggerà questo editoriale sappia per certo: i leaders del mondo libero possono cambiare e anche tradire, ma noi mondialisti restiamo. Noi ci saremo sempre; saremo sempre accanto a voi, dentro di voi, con voi; saremo la voce della vostra coscienza, il sostenitore indefesso della vostra virtù, il fustigatore inflessibile della vostra ipocrisia. Ai nostri alleati diciamo: rallegratevi per questo. Ai nostri nemici diciamo: rassegnatevi. Noi ci saremo sempre. 153 L'AMERICA DI OBAMA LEGA LE MANI A ISRAELE (18/1/2009) Gaza 2008 come Libano 2006. Ancora una volta l'esercito israeliano è costretto a tornare alle proprie basi senza aver finito il lavoro. Ancora una volta i ragazzi che difendono a costo della vita l'unica democrazia del Medio Oriente devono riattraversare il confine sapendo che non potranno annunciare ai loro parenti e amici: "Ce l'abbiamo fatta". Ancora una volta settimane di massicci bombardamenti aerei e navali, cannoneggiamenti di carri armati e incursioni di forze speciali non sono riusciti a eliminare per sempre la minaccia di distruzione che grava su Israele da sessant'anni. Ancora una volta un vigliacco leader di una organizzazione terroristica (nel 2006 Nasrallah di Hezbollah, oggi Meshaal di Hamas) canta vittoria perché le bombe e i missili di Tsahal non sono riusciti a raggiungerlo nel suo bunker sotterraneo, perché la maggior parte dei suoi seguaci, nascosti e coperti dalla popolazione (spontaneamente o per costrizione, poco importa), è sopravvissuta agli attacchi mirati, perché la gran parte del suo micidiale arsenale missilistico è ancora intatta, perché la tregua unilaterale decisa da Gerusalemme gli permetterà di tirare il fiato e di prepararsi a nuovi lanci di missili sempre più potenti contro inermi città israeliane sempre più lontane dal confine e quindi meno attrezzate per dare protezione ai civili, e soprattutto perché facendosi scudo con la popolazione ha "guadagnato" un bel migliaio di morti - in particolare donne e bambini - che potrà in futuro gettare sul piatto della bilancia di eventuali trattative e utilizzare per fomentare l'odio dei musulmani di tutto il mondo contro l'Israele "nazista". E ancora una volta la non-vittoria di Israele non è dovuta a una inferiorità militare, tutt'altro, ma solo alla mancanza di tempo. La differenza fondamentale tra Libano 2006 e Gaza 2008 sta in questo: nel 2006 fu l'Unione Europea traumatizzata dalle "barbare stragi" compiute dall'aviazione israeliana - soprattutto dalla distruzione di un condominio di Cana usato da Hezbollah come nascondiglio e base di lancio per i katiuscia diretti contro il Nord di Israele - a imporre al premier Olmert il cessate il fuoco e il dispiegamento al confine con il Libano di un contingente Onu di "interposizione" che non ha mai ricevuto il mandato di disarmare i terroristi islamici (e di fatto, nonostante i suoi pattugliamenti da operetta, Hezbollah ha oggi a disposizione più di 40.000 missili made in Teheran); stavolta invece lo stato maggiore ebraico e le forze di Tsahal hanno avuto a disposizione appena 22 giorni per tentare la missione impossibile di neutralizzare per sempre l'apparato militare di Hezbollah e mettere in sicurezza il proprio confine meridionale, perché dopodomani, martedì 20 gennaio 2009, sulla piazza del Campidoglio di Washington, un uomo di nome Barack Hussein Obama, scelto lo scorso 4 novembre da un elettorato composto in grandissima maggioranza da afroamericani come mai prima d'ora, acclamato dalle folle di tutto il pianeta come il Kennedy nero e come un nuovo messia, diventerà Presidente degli Stati Uniti d'America. E Obama, lo sanno tutti, era contrario all'operazione "Piombo fuso". La potenza economica e militare di uno Stato non è garanzia della sua civiltà e democraticità. La Russia è sempre stata, per estensione territoriale, risorse naturali e 154 apparato bellico, la prima potenza del continente eurasiatico; ma dagli zar a Putin ha sempre impiegato la sua strabordante potenza per soffocare ogni anelito di libertà sotto la cappa di un regime autocratico ed espansionista (la Georgia di Saakashvili e l'Ucraina di Yushchenko ne hanno fatto e ne stanno facendo tragica esperienza). La Cina, potenza egemone nell'Asia orientale e prima "fabbrica" del pianeta, semina morte e distruzione dal Tibet allo Xinjang, imprigiona sacerdoti cristiani, monaci buddisti e intellettuali dissidenti, protegge le dittature dalla Birmania all'Africa in cambio di petrolio e materie prime. Se in un Paese un governo liberale e democratico viene sostituito, magari con il consenso del popolo, da un regime tirannico che disprezza i diritti naturali di ogni essere umano alla vita e alla libertà, una potenza benevola può trasformarsi in una minaccia per l'intera umanità. Come diceva san Tommaso d'Aquino, "la corruzione dei migliori è la peggiore di tutte". Gli Stati Uniti d'America negli ultimi 60 anni sono stati guidati da capi saggi e buoni che ne hanno orientato la politica interna e internazionale verso traguardi di libertà e di progresso: Roosevelt ha salvato l'Europa dalla barbarie nazifascista e l'Oriente dall'espansionismo giapponese, Truman ha impegnato il suo popolo a contenere la minaccia del comunismo che alfine è stata sconfitta da Reagan, Kennedy e Johnson hanno abbattuto le barriere razziali, i due Bush hanno affrontato la sfida del terrore globale islamico e difeso il diritto alla vita degli esseri umani allo stadio embrionale. Ora Barack Hussein Obama dichiara di voler ritirare i soldati americani dall'Irak, di voler chiudere il carcere "degli orrori" di Guantanamo (e chi chiuderà mai le galere iraniane dove vengono torturate migliaia di studenti colpevoli di aver chiesto libertà agli ayatollah, una libertà incompatibile col Corano?), di voler abrogare le restrizioni poste da George Walker Bush alla concessione di finanziamenti federali per l'uso di embrioni umani nelle ricerche sulle cellule staminali, di voler estendere la praticabilità dell'aborto e legalizzare le unioni tra omosessuali, di voler "dialogare" con le organizzazioni terroristiche palestinesi e di voler "trattare" con il folle Ahmadinejad che le arma e che vuole solo prendere tempo per costruirsi un paio di bombette atomiche da lanciare su Tel Aviv e Haifa e cancellare dalla faccia della terra due o tre milioni di ebrei... Gli americani, desiderosi come negli anni Venti di rinchiudersi in un isolazionismo a prova di 11 settembre, guardano a Barack Hussein Obama come a un salvatore dell'America dal proprio "destino manifesto" di essere il popolo chiamato a portare all'umanità libertà e democrazia; il resto del mondo guarda al Kennedy nero come a colui che lo salverà dall'invadenza, dall'ingenuità e dall'arroganza dei cowboys. Noi dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e del Partito Mondialista aspetteremo che l'America si svegli dal suo letargo, riprenda coscienza di essere la "città sulla collina" e riprenda a combattere per la costruzione di un Impero mondiale che protegga i diritti intangibili di ogni uomo alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Per il momento, le previsioni meteorologiche annunciano cielo sereno su Washington. Come dice la Scrittura, il Padre celeste fa splendere il suo sole sui buoni e sui cattivi. Ma dice anche: Guai ai pastori infedeli che opprimono il mio gregge. 155 OBAMA È UN INCAPACE, LA SALVEZZA VERRÀ DA ISRAELE (14/5/2009) Noi dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e del Partito Mondialista sappiamo bene che un capo di governo, soprattutto se di un Paese democratico, non può essere giudicato se non dopo un congruo periodo di "rodaggio". Per questo motivo ci siamo astenuti sinora dall'esprimere una posizione ufficiale sull'attuale presidente degli Stati Uniti d'America Barack Hussein Obama. Ora, però, la misura è colma; e pertanto, in unione fraterna con tutti gli associati, presentiamo i capi d'accusa e le relative prove. Come sta scritto nel Vangelo, «l'albero si riconosce dai frutti». 1) A neppure 24 ore dalla sua proclamazione ufficiale sulla spianata del Campidoglio di Washington, Barack Hussein Obama ha abrogato il divieto che era stato posto dal suo predecessore George Walker Bush (quantum diversus ab illo!) all'uso di fondi federali per sostenere organizzazioni non governative che promuovono la diffusione dell'aborto nel Terzo Mondo e per finanziare esperimenti di laboratorio su esseri umani allo stadio embrionale vivisezionati allo scopo di estrarne cellule staminali. Come abbiamo chiaramente e nettamente affermato nel Manifesto fondativo del Partito Mondialista, nostro ramo esecutivo, «siamo ben consapevoli del fatto che nessuna società aperta, complessa e differenziata al suo interno può sopravvivere senza un consenso di fondo su principi e valori strutturanti la convivenza; principi e valori che sono propri di tutti gli uomini come individui, ma che solo il Cristianesimo come religione organizzata ha fatto emergere alla luce della consapevolezza e innalzato a pilastri angolari di una civiltà universale» e che pertanto «il mondialista non sarà mai un ateo ignorante, un libertino senza cervello, un maiale sazio e annoiato». Non possiamo dunque che appoggiare convintamente le proteste formulate dalla Santa Sede, la quale ha parlato apertamente di «decisione ideologica contraria alla volontà della maggioranza degli americani» e di «arroganza del potere». 2) Una settimana dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, Barack Hussein Obama ha annunciato il ritiro delle truppe statunitensi dall'Iraq a partire dal 2010, decretato la chiusura del carcere di Guantanamo con la conseguente liberazione di migliaia di terroristi e fiancheggiatori di Al Qaeda, e proibito ai funzionari che lavorano per le agenzie di sicurezza nazionale di usare l'espressione "guerra al terrorismo" e di qualificare i nemici degli Stati Uniti d'America come terroristi. Per il gusto sadico e sciocco di distinguersi dal suo predecessore George Walker Bush, Obama ha azzerato i benefici effetti che erano stati ottenuti dal generale David Petreus con la sua strategia di controinsorgenza (attaccare i terroristi nei loro covi invece di starsene rinchiusi nelle caserme in attesa del prossimo attentato; allearsi con i capitribù sunniti moderati per dividere il fronte nemico; sostenere concretamente la popolazione civile per indurla a togliere il proprio appoggio ai terroristi); ha tradito le giuste attese del popolo iracheno che sei anni fa aveva accolto festosamente gli americani per essere liberato dalla paura e dalla miseria della dittatura di Saddam Hussein; ha detto ai capi tribali come Moqtada al-Sadr che gli Stati Uniti d'America 156 non vogliono assumersi la responsabilità di opporsi alle loro feroci mattanze, che infatti hanno fatto segnare immediatamente una ripresa dopo i molti mesi di calma portati dalla "cura" Petraeus. Inoltre, con una intervista alla tv Al-Arabiya ha teso la mano ai despoti musulmani offrendo loro di perseguire «un nuovo cammino, basato sull’interesse reciproco e sul reciproco rispetto»; in altre parole ha promesso ai tiranni di Teheran e Damasco che gli Stati Uniti d'America non tenteranno di scalzarli dai loro troni di sangue come hanno meritatamente fatto con Saddam e con Milosevic, a costo di gettare nel panico i loro pochi alleati pseudo-moderati (come l'Egitto, l'Arabia Saudita e la Giordania) spingendoli a riarmarsi e a cercare accordi con gli ayatollah. Peccato che il regime iraniano abbia "male" interpretato l'apertura obamiana come un segno di debolezza degli Usa e abbia risposto puntando i propri missili balistici su Israele, l'unica democrazia liberale della regione... 3) Sessanta giorni dopo, Barack Hussein Obama ha inviato il suo segretario di Stato, l'ineffabile Hillary Clinton, in un tour promozionale in Cina e Indonesia. Ai mandarini del Partito Comunista di Pechino ha rivolto un messaggio inequivocabile: «Non lasceremo che le nostre divergenze sui diritti umani ci impediscano di collaborare alla soluzione di vari problemi, come il riscaldamento globale». In altre parole al nuovo presidente del Paese un tempo culla della libertà importa molto più della sorte di due pinguini e quattro orsi polari che di quella di due miliardi di cinesi schiavi di un regime dittatoriale che censura Internet, opprime i Tibetani attuando un feroce genocidio, condanna a morte innocenti senza processo per prelevarne gli organi e usarli per rivitalizzare decrepiti funzionari di partito, rinchiude cristiani e buddhisti in campi di lavoro forzato dove con il loro sangue si producono i beni di consumo di infima qualità con cui la Cina comunista sta scalando le vette dell'economia mondiale. Nel frattempo il tandem Putin-Medvedev (il presidenteombra e l'ombra di un presidente) ha rispedito al mittente la proposta obamiana di scambiare la rinuncia americana al dispiegamento in Polonia e repubblica Ceca del sistema antimissile chiamato "scudo stellare" con un intervento russo per bloccare il programma nucleare dell'Iran: il messia della nuova America pacifista e multilateralista ha praticamente offerto su un piatto d'argento alla Russia i popoli dell'Europa orientale che il suo predecessore Ronald Reagan aveva faticosamente liberato dal giogo di Mosca! Neppure dieci giorni dopo il regime totalitario della Corea del Nord effettuava il lancio di prova di un nuovo missile intercontinentale capace di incenerire la California, e Barack Hussein Obama come ha reagito? Ha forse ordinato di abbattere il missile per dimostrare al fanatico Kim Jong-Il che gli Stati Uniti d'America non tollerano attentati alla loro sicurezza? No! Ha forse inviato nel Mar Cinese la flotta americana del Pacifico per dissuadere Pyongyang dall'attaccare la Corea del Sud o il Giappone, che fino a prova contraria sono ancora alleati fedeli di Washington? No! Ha reagito nel solo modo che conosce: con parole, parole, soltanto parole. 4) Infine, per festeggiare indegnamente i primi cento giorni del suo primo (e speriamo ultimo) mandato, Barack Hussein Obama non ha mosso un dito per salvare dalle orride carceri iraniane la sua concittadina Roxana Saberi. Non ha mobilitato i reparti adibiti alle operazioni speciali per liberare l'innocente giornalista accusata 157 ingiustamente di spionaggio con uno di quei colpi di mano che ormai, con lui al potere, dovremo rassegnarci a vedere soltanto nelle retrospettive di film come "Spy Game"; non ha neppure mandato nel Golfo Persico qualche portaerei per fare almeno un po' paura agli ayatollah; non ha fatto assolutamente nulla, neppure quando la povera Roxana è stata condannata a otto anni di carcere (e Dio solo sa se ne sarebbe uscita viva) e si è sottoposta a un durissimo sciopero della fame per dodici lunghissimi giorni. Si è solo dichiarato, bontà sua, «sollevato» quando il tribunale d'appello di Teheran ha commutato la condanna in due anni con la condizionale e ha rimesso la giovane in libertà perché «l'America non è un paese ostile». Capite? Trent'anni che imam e ayatollah aizzano le folle contro il "Grande Satana americano", e all'improvviso l'America non è più un paese "ostile" all'Iran! Quale empio patto è stato siglato tra Hussein Obama e Mahmoud Ahmadinejad, il folle che vuole cancellare Israele dalle carte geografiche? Forse la liberazione della giornalista iraniano-americana è stata la contropartita alla promessa obamiana di opporsi al bombardamento dei siti nucleari iraniani da parte di Israele, improvvidamente annunciato dal Times per il prossimo 11 giugno? Concludendo, sulla base delle prove qui esposte Barack Hussein Obama deve essere riconosciuto INCAPACE DI GARANTIRE LA SICUREZZA DEL POPOLO CHE LO HA ELETTO E DELL'OCCIDENTE, e il verdetto nei suoi confronti deve essere di CONDANNA, durissima e senza appello. Come reagire a questo tracollo della potenza degli Stati Uniti d'America, del Paese che noi mondialisti avevamo eletto a «base avanzata, portaerei e punta di lancia per la costruzione di un Impero mondiale che li veda assumere la guida dell’umanità» e al quale avevamo promesso «il più sincero appoggio, la più sicura fedeltà e la massima collaborazione nella loro azione politica su scala planetaria»? Non è la prima volta che la Storia, cioè il dispiegarsi nello spazio e nel tempo del progetto dell'Altissimo sulla sua creazione, vede questo alternarsi di avanzamenti e arretramenti della libertà, della democrazia e dell'apertura reciproca degli uomini e dei popoli. Nel V secolo avanti Cristo il multietnico e tollerante impero persiano, che aveva unito genti diverse sotto un mite governo, favorito il commercio e lo scambio di idee (è nella Ionia persiana che nascono insieme moneta e filosofia), riportato gli Ebrei nella loro patria e finanziato la ricostruzione del Tempio, era divenuto un'entità farraginosa nelle mani di satrapi corrotti. Provvidenzialmente, dunque, esso fu sconfitto dalla coalizione delle città-Stato greche guidate da Atene: benché esse si siano poi dilaniate per cento anni avvolgendosi nella spirale di un bieco micronazionalismo, hanno dato un contributo inestimabile alla causa della democrazia, e soccombendo alla forza di Roma l'hanno fecondata con la sua civiltà permettendole di fondare un impero cosmopolitico ancora più grande di quello di Ciro e di Alessandro. Ventuno secoli dopo, i pesanti galeoni dell'Invincibile Armada furono provvidenzialmente affondati dalle agili navi corsare di Francis Drake, e l'impero di Madrid su cui non tramontava mai il sole cedette di fronte al nascente impero britannico, che perseguitò i cattolici ma pose le basi della democrazia parlamentare e dello Stato di diritto. Allo stesso modo, oggi, in attesa che un nuovo attentato di Al Qaeda sul suolo americano - per il quale non bisognerà purtroppo 158 attendere molto tempo, stante il basso livello cui sono ridotte le difese degli Stati Uniti - induca quel popolo a riscattarsi dalla vergogna, a gettare l'incapace Obama nella polvere e a scegliersi un comandante in capo degno di tale titolo, noi mondialisti ci troviamo costretti ad abbandonare la malridotta portaerei a stelle e strisce e a ripiegare, per la salvezza della causa, su un più piccolo ma agile vascello corsaro. Fuor di metafora, il momento storico ci offre l'opportunità di valorizzare adeguatamente il potenziale di emancipazione insito nel popolo e nel governo dello Stato di Israele, del quale in questo giorno gli amanti della libertà celebrano il sessantunesimo anniversario di ricostituzione. È stata l'ispirazione profetica veterotestamentaria dei primi Padri Pellegrini a forgiare lo spirito di tolleranza del popolo americano, a fondare le sue istituzioni sul diritto inalienabile di ogni essere umano alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. È stato il contributo intellettuale e morale degli Ebrei emigrati dall'Europa sottomessa al nazifascismo a impedire che gli Stati Uniti d'America si trasformassero in un popolo di gretti razzisti wasp, a farne la democrazia aperta e progressista che ha sconfitto l'Asse del Male Roma-Berlino-Tokio e ha contenuto per cinquant'anni l'avanzata planetaria del comunismo. Dal 1948 ad oggi Israele ha rappresentato l'avamposto in mezzo alle monarchie fondamentaliste e alle dittature nazicomunisteggianti del Medio Oriente della libertà, della democrazia e del progresso materiale e spirituale di un Occidente che troppo spesso lo ha ricambiato con disprezzo e indifferenza; ha affrontato vittoriosamente quattro guerre, due "intifade", gli Scud di Saddam Hussein e una catena senza fine di attentati terroristici nei ristoranti che ospitavano banchetti nuziali, nelle discoteche in cui giovani innocenti hanno trovato ingiusta morte, sugli autobus che trasportano i bambini ebrei a scuola; e lo ha fatto senza rinunciare alle proprie istituzioni democratiche, senza comprimere i diritti civili e politici dei cittadini israeliani di religione musulmana e cristiana che pure troppo spesso hanno collaborato con il nemico. Noi dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e del Partito Mondialista non intendiamo confermare né smentire che l'aviazione israeliana, il prossimo 11 giugno, scatenerà la sua teologica potenza contro i depositi di uranio arricchito dell'Iran, contro le sue centrali nucleari, contro le sue basi di lancio dei missili balistici armati con testate chimiche e batteriologiche e puntati contro Tel Aviv e Haifa. Possiamo però affermare ufficialmente che se e quando un simile attacco avverrà, il governo e il popolo di Gerusalemme riceveranno da noi mondialisti il più convinto sostegno e la più leale collaborazione. Perché, come sta scritto nel Vangelo, «la salvezza viene dai Giudei». 159 1919-1991, LE OCCASIONI PERDUTE DELL'AMERICA (8/5/2010) In questo giorno nel quale il mondo celebra ufficialmente il 65° anniversario della fine della seconda guerra mondiale (in realtà l'8 maggio 1945 avvenne la resa incondizionata della Germania nazista agli Alleati; le ostilità con il Giappone sarebbero proseguite fino al 16 agosto) noi mondialisti invitiamo i lettori a riflettere sulle due occasioni che nel Novecento gli Stati Uniti d'America hanno avuto tra le mani di ottenere una egemonia democratica sull'Europa, e di conseguenza su tutto il supercontinente eurasiatico; due occasioni che essi, clamorosamente ma non sorprendentemente, si sono lasciati sfuggire. La prima occasione si aprì nel 1919. Due anni prima il presidente americano Woodrow Wilson aveva dichiarato guerra alla Germania e all'Austria, inviando in pochi mesi un corpo di spedizione ingentissimo - ben 116.000 soldati statunitensi morirono e 204.000 restarono feriti - che, insieme ai rifornimenti di armi e generi alimentari e ai finanziamenti concessi a Inghilterra, Francia e Italia, fu decisivo nello spostare le sorti della prima guerra mondiale a favore delle potenze democratiche. L'entrata in guerra fu determinata da vari fattori: ai primi del '900 gli Stati Uniti d'America erano il primo produttore mondiale di cereali e carne bovina, la loro economia rappresentava il 33% del PIL mondiale, la loro industria aveva superato quella inglese, la loro flotta rivaleggiava con quella britannica, dal 1914 al 1916 le loro esportazioni verso l'Europa erano quadruplicate e le loro banche avevano concesso a Francia e Inghilterra prestiti per un totale di 2 miliardi di dollari che sarebbero andati perduti in caso di vittoria della Triplice Alleanza; inoltre l'opinione pubblica americana, inizialmente neutrale, fu scossa e indignata prima dall'affondamento del transatlantico inglese Lusitania da parte di un sottomarino tedesco il 7 maggio 1915 (sciagura che vide la morte di 1.200 passeggeri, di cui 140 americani, su 2.000), poi dalla pubblicazione nel marzo 1917 del famigerato "telegramma Zimmerman" con il quale la Germania prometteva aiuto militare e finanziario al Messico qualora avesse dichiarato guerra agli Stati Uniti. Da parte sua, Wilson voleva riaffermare i sacri princìpi della libertà del commercio marittimo insidiata dalla decisione tedesca di condurre una guerra sottomarina indiscriminata contro tutte le navi, anche neutrali, dirette verso i porti dell'Intesa - e del rispetto dei diritti umani e della democrazia, e al termine del conflitto propose agli Stati europei la creazione di una Società delle Nazioni che avrebbe dovuto fungere da arbitro delle questioni internazionali e bandire per sempre la guerra. Non è esercizio di fantastoria affermare che una Società delle Nazioni guidata da Washington avrebbe potuto stroncare sul nascere il regime nazionalsocialista di Adolf Hitler (eventualmente invadendo la Germania, che a seguito dei trattati di pace nel 1933 era ancora priva di un esercito) e impedirgli di riarmare il Terzo Reich, di far sprofondare il mondo in una guerra ancor più crudele e sanguinosa insieme a Mussolini e Hirohito, di sterminare sei milioni di Ebrei, causare la morte di più di cinquanta milioni di innocenti, ridurre l'Europa a un cimitero di rovine e favorire l'occupazione comunista di metà del Vecchio Continente e di gran parte dell'Asia. Ma 160 gli Stati Uniti d'America ricaddero nella tendenza all'isolazionismo che li aveva caratterizzati sin dalla loro fondazione e il Congresso rifiutò di ratificare l'entrata degli USA nella Società, che fu così privata del suo primo e più importante sponsor e resa di fatto impotente. La seconda occasione è durata dal 1991 al 2000. In quel decennio aperto dal fallito golpe militare contro Gorbaciov che si risolse con l'ascesa al potere di Boris Eltsin e la dissoluzione dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti d'America avrebbero potuto approfittare della vittoria conseguita sullo storico avversario in virtù della loro enorme superiorità economica, tecnologica e soprattutto morale e spirituale. Avrebbero potuto favorire con ogni mezzo la nascita e lo sviluppo in Russia, nell'exUnione Sovietica, in Africa e nel Sudamerica di governi democratici, di economie di libero mercato e di società civili aperte e liberali, sollevando centinaia di milioni di esseri umani da situazioni secolari di fame e miseria. Avrebbero potuto incoraggiare un rapido ingresso dell'Europa centro-orientale nella Nato e nell'Unione Europea, mettendo così la Russia nella condizione di non poter rimandare ulteriormente le profonde riforme del sistema economico e delle istituzioni statali necessarie a divenire uno Stato pienamente democratico e occidentale, in grado di associarsi strettamente con l'America e con l'UE in un sistema di sicurezza transatlantico. Avrebbero potuto, in cambio di aiuti economici, insediare nelle nuove repubbliche ex-sovietiche dell'Asia Centrale basi militari che avrebbero permesso loro di accerchiare la Cina e costringere il regime comunista ad abbandonare la sua stretta di ferro sulla società e concedere finalmente al popolo cinese le libertà di religione, di pensiero, di decidere autonomamente il numero di figli e di iniziativa economica che esso chiede dai tempi di Tienanmen. Avrebbero potuto utilizzare il loro immenso potenziale militare per abbattere le dittature laiche e teocratiche del Medio Oriente, risolvere una volta per tutte la questione arabo-israeliana e prevenire l'esplodere del fondamentalismo islamico. Sappiamo tutti come sono andate le cose. La guerra contro l'Iraq per liberare il piccolo emirato del Kuwait si arrestò quando i carri armati americani erano già sulla strada per Bagdad. Poi a Bush padre succedette Bill Clinton, che nello Studio Ovale preferiva accoppiarsi con le stagiste piuttosto che fare il comandante in capo, e la potenza militare a stelle e strisce fu posta sic et simpliciter al servizio dell'ONU (l'Organizzazione Non Utile, anzi dannosa) e delle sue "operazioni umanitarie". Quando in Somalia la dittatura di Siad Barre crollò e il Paese fu dilaniato dalle lotte fra i vari signori della guerra i soldati dell'esercito più forte del pianeta furono inviati non a sterminare i nemici nel più breve tempo possibile e a trasformare il Corno d'Africa in una testa di ponte per controllare insieme il Continente Nero, il Golfo di Aden (e quindi l'accesso al Mar Rosso e al canale di Suez) e l'Oceano Indiano, ma a fare le crocerossine, a combattere una guerra da operetta senza uccidere nessuno; come era prevedibile molti di loro ci rimisero la pelle, gli altri tornarono in patria con la coda fra le gambe, e per il resto del decennio gli USA si astennero da interventi militari (con le sole eccezioni di un piccolo bombardamento sull'esercito serbo nel 1995, per fermare i massacri in Bosnia, e del più deciso intervento contro Belgrado nel 1999 per fermare la "pulizia etnica" nel Kossovo) e preferirono cogliere i 161 "dividendi della pace": la globalizzazione economica, Internet, un benessere che si reggeva solo sulla volontà pervicace di chiudere gli occhi e disinteressarsi del mondo. La richiesta della Polonia di entrare nella Nato, avanzata nel 1993, fu tenuta nel congelatore per tre anni, e quando fu accettata la Russia di Eltsin si era già riavuta dalla "sbornia" democratica e aveva intrapreso quel processo regressivo che l'avrebbe portata a gettarsi fra le braccia dell'ex agente del Kgb Vladimir Putin. Gli "Stan" centroasiatici furono praticamente abbandonati a loro stessi e ricaddero, uno dopo l'altro, sotto il controllo di Mosca. Quanto al fondamentalismo islamico, poté espandersi senza ostacoli: il lancio di un paio di missili su una fabbrica di armi chimiche in Sudan e su un campo di addestramento di al-Qaeda in Afghanistan non poteva avere che un valore simbolico. Così l'America dovette subire gli attentati dell'11 settembre 2001 e uno stillicidio quotidiano di morti in Iraq e Afghanistan, e oggi si trova a fronteggiare contemporaneamente: una coalizione Russia-Cina-Iran che ha egemonizzato l'Asia Centrale e si propone di tenerne fuori gli USA; un riavvicinamento fra Cina e Giappone fondato sulla contrapposizione tra confucianesimo e "valori occidentali", con il nuovo primo ministro nipponico, il socialdemocratico Yukio Hatoyama, che ha messo in discussione la permanenza delle basi militari statunitensi nel Paese; e un asse Parigi-Berlino-Mosca cementato dal ricatto energetico di Gazprom, con Sarkozy e la Merkel che si sono adoperati indefessamente a giustificare l'aggressione russa alla Georgia del 2008 e a impedire l'ingresso di Tbilisi e Kiev nell'Alleanza Atlantica, e che hanno accolto «con interesse» la proposta di Dimitri Mevedev, il fantoccio pro-tempore di Putin al Cremlino, per la creazione di un sistema di sicurezza esteso da Lisbona a Vladivostok che escluda gli Stati Uniti d'America dall'Eurasia. In conclusione, non si può non concordare con quanto il grande politologo Zbigniew Brzezinski scrisse nel suo saggio "La grande scacchiera" del 1997: «L'America è troppo democratica in casa per essere autocratica all'estero... Non era mai successo che una democrazia populista conquistasse la supremazia internazionale. Ma la ricerca della potenza non è obiettivo da suscitare passioni popolari, se non in presenza di una minaccia o di una sfida improvvisa a quello che l'opinione pubblica considera il proprio benessere. L'autonegazione economica (ovvero gli stanziamenti alla difesa) e il sacrificio umano (le vittime anche tra i soldati professionisti) richiesti dal raggiungimento di quell'obiettivo non sono congeniali agli istinti democratici. La democrazia è nemica della mobilitazione imperiale». La Storia mostra che il popolo americano non si è deciso a entrare nel primo conflitto mondiale né per i morti del Lusitania né per la guerra sottomarina dei Tedeschi contro le sue navi mercantili, ma solo quando si è sentito minacciato da una possibile invasione messicana propiziata da Berlino; come non ha preso le armi contro nazismo e fascismo quando migliaia di ebrei hanno cercato nel suo territorio rifugio dalle persecuzioni, e neppure quando Hitler e Mussolini hanno messo a ferro e fuoco l'Europa, ma solo quando il Giappone ha attaccato e distrutto la sua flotta a Pearl Harbor minacciando di espellerlo dall'Asia e dal Pacifico. Così anche oggi, di fronte all'attacco concentrico dell'autocrazia russa, del turbocomunismo cinese e del 162 fondamentalismo sciita-wahabita islamico non ci si deve meravigliare che l'America abbia dato il potere all'imbelle Obama (che già molti chiamano "Obamba"); semplicemente il popolo americano non si sente ancora minacciato nella sua esistenza al punto da affidarsi anima e corpo a un comandante in capo degno di questo nome. Se le cose stanno così, non bisognerà purtroppo attendere molto perché le cose cambino. Sin dall'epoca dei Padri Pellegrini questo grande Paese è stato la «città sul monte» e la «lucerna posta sul lucerniere» di cui parla il Vangelo; ha sempre avuto gli occhi di tutti puntati addosso, quelli di chi guardava ad esso come a un faro di libertà e quelli di chi lavorava per la sua distruzione. L'unico interrogativo che ci si può porre è: quanti volte dovrà ripetersi l'11 settembre, quante Torri dovranno crollare, quanti innocenti dovranno morire prima che il popolo americano comprenda che l'unico modo per sopravvivere su questo pianeta selvaggio è imporre il proprio dominio universale, che l'unica via per garantire la propria sicurezza e il proprio stile di vita è costruire un Impero mondiale che garantisca la sicurezza, la libertà e la prosperità di tutto il genere umano? 163 SCOOP DI WIKILEAKS: L’AMERICA NON VUOLE VINCERE IN AFGHANISTAN (29/7/2010) Sgombriamo subito il campo da una colossale bugia che in questi giorni circola sui media di tutto il pianeta: non è stato il soldato di prima classe Bradley Manning a trasmettere al sito Wikileaks i 92.000 files classificati sulle operazioni militari condotte dagli Stati Uniti d'America e dai loro alleati in Afghanistan dal 2004 al 2009. Chi ha appena un po' di cervello, del resto, avrà già capito che un ragazzone di 22 anni, seppur analista d'intelligence, non avrebbe mai potuto avere accesso da solo a una così gran mole di documenti sensibili, e tantomeno farla uscire dai segretissimi computers del Pentagono senza che la sua colpevolezza fosse subito evidente "al di là di ogni ragionevole dubbio"; se così non fosse, non lo avrebbero tenuto confinato in un carcere militare in Kuwait per due mesi prima di formulare l'accusa contro di lui. Quanti si stanno mobilitando per difenderlo stiano dunque tranquilli, il ragazzo è solo un capro espiatorio e se la caverà con poco o niente: dal Pentagono in su sanno benissimo che si è trattato di un eccellente lavoro di squadra (e compasso...). Quanto a Wikileaks, ha agito sulla base di quell'antica e perenne repulsione verso la segretezza nella politica estera e nella diplomazia che caratterizza il popolo americano dai tempi della Dichiarazione d'Indipendenza e che è un aspetto del suo rifiuto di uno Stato "pesante" e oppressivo (lo stesso rifiuto su cui si fonda il divieto costituzionale di restrizioni al porto d'armi da parte dei cittadini «essendo necessaria una milizia ben regolata per la sicurezza di uno Stato libero»). Detto questo, cosa c'è di sconvolgente nei famigerati "warlogs"? Che le truppe americane hanno passato per le armi alcuni capi talebani appena catturati senza un regolare processo? Parafrasando Bill Clinton potremmo rispondere: "it's the war, stupid!". Il "regolare processo", questo portento dello Stato di diritto liberale e borghese, non è stato inventato per accertare la responsabilità degli indagati, ma per difenderli da arresti e carcerazioni arbitrarie da parte del sovrano, e quindi è storicamente nato e si è affermato nel presupposto e sotto la condizione che tra lo Stato accusatore e l'accusato esistesse una comunanza di fondo, data dall'appartenenza al medesimo popolo e dalla volontà di preservarne l'esistenza e il bene comune, tale da consentire che fra di essi si instaurasse un duello ad armi pari; nei confronti di nemici esterni e traditori catturati nel corso di un conflitto bellico le garanzie processuali non sono mai state ritenute applicabili. Forse suscitano orrore le stragi di civili "insabbiate"? Dovrebbero suscitare maggior orrore gli attentati con gas tossici compiuti dai talebani contro bambine colpevoli solo di andare a scuola, gli sgozzamenti di musicisti di strada, i kamikaze che si fanno saltare in aria fra la gente che va al mercato a comprare un po' di cibo; ma i pacifinti occidentali tacciono pudicamente di fronte a queste atrocità quotidiane. Oppure ci si indigna perché i governi impegnati in Afghanistan si dicevano "irritati" dall'attività di alcune Ong come Emergency? Allora indignatevi anche contro noi mondialisti, che in tempi non sospetti abbiamo denunciato le collusioni di Gino Strada e dei suoi collaboratori locali con gli assassini dei giusti Sayed e Adjmal, guida e interprete del giornalista di 164 Repubblica Daniele Mastrogiacomo, per la cui liberazione il governo di Prodheini e Dalemah aveva vergognosamente fatto pressioni sul presidente Karzai affinché liberasse cinque pericolosissimi capi talebani, salvo poi lavarsi le mani dal sangue dei due "pezzenti" afghani trucidati al suo posto. Ciò che di veramente scandaloso emerge dai files di Wikileaks, e su cui i media italiani hanno abilmente sorvolato, è il fatto che gli Stati Uniti d'America, a partire da George Walker Bush per continuare con Barack Hussein Obama, abbiano elargito miliardi di dollari a un Paese, il Pakistan, di cui conoscevano bene il doppio gioco; che abbiano fornito montagne di denaro e di armi al suo esercito e ai suoi servizi segreti, sapendo che quel denaro e quelle armi venivano usati per uccidere soldati americani e alleati, ragazzi del Kentucky e della California, inglesi e italiani, polacchi ed estoni che hanno lasciato casa e famiglia non soltanto per una buona paga, ma soprattutto per difendere la loro patria dalla minaccia di un nuovo 11 settembre e per diffondere nel mondo libertà e democrazia. Non si può liquidare tutto ciò con considerazioni di opportunità strategica relative alle molte testate nucleari di Islamabad e al rischio che finiscano nelle mani di Al Qaeda, perché quel regime è già legato a doppio filo al network del terrore. Ciò che è veramente scandaloso è che, ad onta delle proclamazioni ufficiali, LA CLASSE DIRIGENTE DI WASHINGTON NON VUOLE VINCERE DAVVERO IN AFGHANISTAN. Se volesse vincere, capirebbe che deve prima ottenere il controllo del territorio afghano, e che per ottenere il controllo del territorio non si può annunciare in anticipo la data del proprio ritiro, né usare il contagocce quando il generale McChrystal chiede 100.000 uomini in più; si devono mettere in campo tutte le truppe e le armi necessarie affinché gli afghani abbiano più paura di schierarsi contro gli USA che contro i tagliagole di Bin Laden, e si deve essere pronti a lasciarli sul posto per decenni, a costo di sostituire i corrotti governanti, capitribù e signori della guerra locali con governatori a stelle e strisce. Se volesse vincere, smetterebbe di finanziare il regime doppiogiochista pakistano e penserebbe piuttosto a bombardare i santuari talebani nelle zone di confine, a inviare i reparti speciali a Quetta per catturare Bin Laden che, è arcinoto, si nasconde lì col beneplacito dei servizi segreti pakistani, e, se proprio si ha paura delle testate nucleari, si dovrebbe avere il coraggio di requisirle a forza e di "commissariare" l'intero Pakistan e qualsiasi altro Paese complice dei terroristi. Se volesse vincere, capirebbe che in questa epoca di globalizzazione e di frontiere aperte l'unico modo per difendere la libertà, la sicurezza e la stessa esistenza degli Stati Uniti d'America è assumersi l'onere e l'onore di combattere senza quartiere, in prima persona, i terroristi e i loro sostenitori in ogni parte del pianeta, senza affidarsi a esecutori locali più che discutibili. Se volesse vincere, capirebbe che per vincere in Afghanistan è necessario vincere nell'Iraq che è nuovamente sprofondato nel caos, nell'Iran khomeinista che arma i terroristi, nel Sudamerica che vende petrolio agli ayatollah in cambio di sostegno anti-yankees, nella Russia che fornisce missili e centrifughe nucleari a Ahmadinejad affinché tenga sotto scacco l'Eurasia per suo conto, nella Vecchia Europa che elargisce ogni anno milioni di euro a ong filopalestinesi e terzomondiste. Se volesse vincere, capirebbe che la Guerra al terrore finirà solo quando gli Stati 165 Uniti d'America unificheranno tutto il pianeta in un Impero mondiale che garantisca a ogni essere umano il rispetto degli immortali diritti alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Finché non capiranno tutto ciò, gli Stati Uniti d'America sono destinati a subire ancora infiniti scandali, infiniti lutti, infiniti Vietnam. 166 CON OBAMA L'AMERICA TRADISCE LA SUA MISSIONE (7/11/2012) Purtroppo ciò che avevamo previsto si è realizzato: il popolo degli Stati Uniti d'America ha scelto l'imbelle, bugiardo e filoislamico Barack Hussein Obama, si è lasciato incantare dalle sue parole flautate, dalla sua retorica falsa e melensa, si è lasciato convincere a odiare se stesso, a ripudiare la sua missione storica; le parole sagge e veritiere di Mitt Romney non sono state sufficienti a vincere le menzogne di Obama. Gli Stati Uniti d'America hanno sempre combattuto per portare in tutto il mondo libertà e la democrazia, da quando nel 1898 hanno liberato Cuba dal giogo spagnolo, a quando nel 1917 sono intervenuti nel primo conflitto mondiale decidendolo in favore degli Stati liberaldemocratici contro le autocrazie germanicoottomane; da quando nel 1941, dopo essere stati vilmente attaccati a tradimento, hanno profuso uomini e armi per sconfiggere l'Asse del Male Roma-Berlino-Tokio, a quando nel 1989-1991 hanno visto i loro sforzi per difendere l'Europa occidentale dalla morsa del comunismo ricompensati dal crollo del Muro di Berlino e dalla fine dell'Unione Sovietica; da quando nel 1991 hanno sconfitto una prima volta il sanguinario regime di Saddam Hussein per liberare il piccolo Kuwait invaso, a quando nel 2003 lo hanno debellato definitivamente dando la libertà al popolo dell'Iraq; da quando nel 1999 hanno salvato il popolo kossovaro dal genocidio per mano di Slobodan Milosevic, a quando nel 2001, dopo i lutti dell'11 settembre, hanno raccolto le loro forze e dato battaglia al regime fanatico e assassino dei talebani per liberare il popolo dell'Afghanistan. Ma oggi il popolo degli Stati Uniti d'America, evidentemente non ancora stanco dopo 4 anni di ubriacante masochismo, ha ritenuto più gradevole il finto pacifismo di Barack Hussein Obama, il suo tendere la mano a tutti i tiranni e dittatori del mondo promettendo che mai più l'America avrebbe usato la sua potenza economica, politica e militare per scalzarli dai loro troni di sangue. Il popolo degli Stati Uniti d'America ha così deciso di abdicare alla sua missione storica, a quel Destino Manifesto annunciato per la prima volta da John L. O'Sullivan nel 1845: liberare tutti i popoli della Terra dalle tenebre dell'ignoranza e della barbarie, e unirli nell'Impero mondiale della Libertà, della Democrazia e dei Diritti dell'Uomo. Rifiutando la sua missione storica, rifiutando il destino che l'Altissimo ha scelto per essa e per il quale l'ha chiamata ad esistere, l'America diventerà un popolo come tutti gli altri, chiuso nel suo gretto egoismo nazionalistico puntellato dal vieto slogan della comunanza di sangue e di suolo, impelagato negli intrighi della diplomazia segreta e nelle politiche di sopraffazione interna ed esterna che hanno travagliato tutto il resto del genere umano per gran parte della sua storia. Il popolo degli Stati Uniti d'America ha forse deciso così pensando che Barack Hussein Obama non dichiarerà guerra ad altri Paesi e che pertanto gli USA e il mondo saranno in pace; ma la guerra che il nuovo Asse del Male Mosca-Pechino-Teheran ha dichiarato all'Occidente, ai suoi valori, alla sua civiltà fondata sugli immortali e inalienabili princìpi dell'uguaglianza di tutti gli individui umani e sul diritto di ogni uomo e 167 donna alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità, fin dal primo attentato al World Trade Center del 1993, la guerra che che ha avuto il suo tragico Golgota nella distruzione delle Torri Gemelle l'11 settembre 2001, non si fermerà certo per la bella faccia di Barack Hussein Obama né per le sue parole flautate: l'America sarà colpita duramente dai suoi nemici, Dio non voglia!, dai nemici della Libertà, della Democrazia e dei Diritti dell'Uomo, e sanguinerà sotto i loro colpi, e sarà smembrata, dispersa ai quattro venti e gettata nella pattumiera della Storia, come si addice a quanti sotterrano vilmente i talenti loro affidati dal Signore Dio invece di farli fruttificare. Quale altro popolo, adesso, potrà assumersi un così alto incarico? Gli Islamici nascono solo per fare i kamikaze; gli Africani non hanno mai smesso di ammazzarsi a vicenda, come dimostrano le tragiche mattanze del Ruanda e del Congo; gli Europei non riescono a mettersi d'accordo su nulla; i Russi non hanno la più pallida idea di cosa sia la democrazia; la Cina è sprofondata nel più cieco conservatorismo ideologico comunista; l'America Latina segue docilmente chiunque abbia el dinero... Un solo popolo si salva dalla universale corruzione: Israele. Soltanto il popolo di Israele, l'unica democrazia liberale in un Medio Oriente schiavo di tiranni e dittatori laici e teocratici, ha la forza morale e il coraggio necessari per assumersi l'alto onore di combattere per salvare l'Occidente dall'assalto del fondamentalismo terrorista islamico e dal nuovo Asse del Male Mosca-Pechino-Teheran, e di essere per noi mondialisti la nuova punta di lancia, la nuova portaerei, la nuova base avanzata da cui partire per fondare l'Impero mondiale che porterà pace, prosperità, libertà e giustizia a tutto il genere umano. E pertanto sarà il popolo di Israele a guadagnare onore e gloria dal compimento di questa nobile missione. Come dice il Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, «la salvezza viene dai Giudei», ora e sempre. Amen. 168 MESSAGGIO DAL FUTURO (25/11/2323) Salute a voi, uomini e donne del XXI secolo ! Io sono Alex van Buren, Gran Maestro dell'Ordine Templare Rinato, e vi invio questo messaggio attraverso un varco dimensionale per informarvi circa il cammino futuro del genere umano, e darvi la forza di attraversare i tempi di ferro e di fuoco che state vivendo. Da più di 150 anni l'Impero mondiale è una realtà. Il Grande Progetto, per il quale decine di generazioni di Templari e membri del Partito Mondialista hanno sacrificato la vita, è giunto al suo compimento il 7 ottobre dell'anno 2170. In quel giorno, festa di Maria Regina delle Vittorie, l'Assemblea Generale dell'Unione Oceanica delle Democrazie, la coalizione di Paesi guidata dagli Stati Uniti d'America che aveva combattuto e sconfitto l'Asse del Male russo-sino-islamico, proclamò la nascita degli Stati Uniti del Mondo (United States of the World, USW). Gli Stati Uniti del Mondo sono una repubblica federale fondata sul diritto di ogni individuo umano alla vita dal concepimento fino alla morte naturale, sui tre princìpi di libertà, uguaglianza e solidarietà, e sulla "distinzione collaborativa" tra Sacro e Profano. Ogni città e villaggio del pianeta, grande o piccolo, gode di completa autonomia nell'amministrare l'80% del denaro prelevato con le tasse dai propri cittadini, e devolvono il restante 20% alle contee, ciascuna con una superficie di 10.000 chilometri quadrati, che provvedono alle necessità comuni a più città e villaggi; a loro volta le contee devolvono il 20% delle proprie finanze - cioè il 4% totale (20% × 20%) delle tasse pagate da ogni cittadino - ai governi degli Stati Federati, e questi ultimi, infine, devolvono il 20% del loro budget - cioè l'8 per mille (20% × 20% × 20%) delle tasse pagate da ogni individuo umano - al Governo della Federazione, che lo utilizza per finanziare progetti su scala globale. In questi 150 anni il Governo Federale ha condotto con successo importanti programmi di riassetto idrogeologico nei territori fino ad allora sconvolti da alluvioni e calamità naturali: il deserto del Sahara e le steppe dell'Asia Centrale sono ora giardini fioriti, grazie a imponenti opere di ingegneria che estraggono l'acqua dai giacimenti sotterranei risalenti all'ultima era glaciale, e la distribuiscono attraverso un fitto sistema di canalizzazione. La malaria è ormai un ricordo lontano, dopo che la zanzara anofele è stata condotta all'estinzione rilasciando nell'ambiente esemplari maschi geneticamente modificati, e anche i virus Ebola e Hiv, che tanto flagellavano la vostra epoca, sono stati debellati. La legge federale proibisce il lavoro minorile, garantisce a ogni lavoratore della Terra un salario minimo sufficiente ad assicurare una vita dignitosa a lui/lei e alla sua famiglia, regola la collaborazione fra imprenditori e operai all'interno delle aziende. La prostituzione è vietata, l'aborto è consentito solo in caso di pericolo per la vita della madre (il che ha fatto crollare il numero delle interruzioni di gravidanza eseguite in tutto il mondo ogni anno a percentuali statisticamente insignificanti); la violenza contro le donne è duramente repressa dai codici penali di tutti gli Stati Federati, e ingenti risorse sono state impiegate con successo in vasti programmi educativi rivolti alle popolazioni del Terzo Mondo allo scopo di instillare nelle menti 169 e nei cuori delle nuove generazioni il principio dell'uguale dignità di donne e uomini. Tutto il genere umano utilizza una sola moneta. Internet è stato esteso a tutto il pianeta ed è divenuto Globalnet, la Rete Globale; per mezzo di essa ogni individuo può cercare liberamente informazioni su ogni campo dello scibile umano, concludere affari, intrattenere rapporti con le pubbliche amministrazioni, studiare, comprare, vendere e giocare usando un microchip impiantato sottopelle nella mano sinistra. La Costituzione degli Stati Uniti del Mondo garantisce e protegge il diritto di professare qualsiasi religione che non sia incompatibile con l'uguaglianza di tutti gli esseri umani, la parità fra uomo e donna e la libertà di apostasia e di conversione. Di conseguenza l'Islam e l'Induismo sono stati dichiarati "religioni illecite", ma del resto, dopo i massacri avvenuti durante il Grande Scontro delle Civiltà, erano ben pochi i musulmani e gli indù rimasti vivi, perciò non hanno creato problemi di ordine pubblico. Il Cristianesimo, nelle sue varie denominazioni, è ancora la religione di gran lunga prevalente, anche perché era quella praticata dalla maggioranza degli uomini e delle donne sopravvissuti al Clash of Civilizations, ed è diffuso ormai dappertutto, con quasi 3,5 miliardi di fedeli; subito dopo la sconfitta definitiva dell'Islam le conversioni sono state così rapide e numerose, che già nel 2145, quando ancora l'Impero mondiale non era nato e l'Unione Oceanica governava mediante colonie i Paesi sconfitti e conquistati alla democrazia, il Papa Giovanni Paolo V in persona officiò alla Mecca la Messa solenne di inaugurazione della Cattedrale, costruita in meno di cinque anni e capace di ospitare al proprio interno 7.000 fedeli. Certo, oggi che le cose vanno piuttosto bene, sembra impossibile che il genere umano sia stato sul punto di estinguersi tre secoli fa, quando Barack Hussein Obama uccise con le proprie mani il neoeletto Presidente Hillary Clinton mentre stava giurando sulla Bibbia e si proclamò Emiro delle Americhe in mondovisione, mentre l'Iran inceneriva con una pioggia di missili nucleari Tel Aviv e Haifa, Riad, Amman e Istanbul, i sottomarini israeliani per ritorsione distruggevano Teheran e Isfahan, e India e Pakistan si annichilivano reciprocamente. Certo furono tempi duri per voi e per i vostri figli - o forse dovrei dire saranno? - quando il Tiranno Sanguinario Obama impose la sharia come legge suprema negli Stati Uniti d'America con l'appoggio dei pasdaran, e insieme al suo burattinaio Khamenei, a Vladimir Putin e a Xi Jinping firmò il Trattato di Washington che sanciva la divisione del mondo in blocchi continentali - America, Eurasia, il Califfato (sciita) e la Grande Cina - e la messa al bando di liberalismo, democrazia, capitalismo e "sionismo". In quegli anni di grande tribolazione il Partito Mondialista rappresentò l'unico faro di speranza per il genere umano: dopo aver scoperto le trame segrete intessute da Obama con il regime degli ayatollah (troppo tardi per sventarle, purtroppo), riuscimmo almeno a mettere in salvo il giovane senatore repubblicano Marco Rubio e l'anziano vicepresidente democratico neoeletto Joe Lieberman, sostituendoli con dei sosia che furono uccisi nella strage dell'Inauguration Day insieme a tutti i membri del Congresso e ai vertici delle Forze Armate Usa; successivamente, con l'aiuto di reparti dell'Esercito e della Guardia Nazionale che non avevano giurato fedeltà al nuovo regime, lanciammo da Cheyenne il Proclama della Rivolta, e dopo sei anni di aspri combattimenti riuscimmo alfine a liberare l'intero territorio degli Stati Uniti d'America e a catturare 170 l'Emiro Obama, che fu processato, condannato per tradimento verso il genere umano e impiccato insieme con la moglie e le figlie che, fanaticamente, lo avevano supportato fino all'ultimo. Tante cose avrei ancora da raccontarvi, uomini e donne del XXI secolo, ma non sareste in grado di sopportarne il peso; né d'altronde la rivelazione del terribile futuro che vi attende potrebbe cambiarlo anche solo di una virgola, dal momento che, per la Legge di Conservazione del Flusso Storico scoperta dai nostri scienziati cinquant'anni fa, ci è impossibile cambiare ciò che per noi è il passato (come affermerà enfaticamente la professoressa Takako Shimizu dell'Università di Kyoto, "la Natura aborre i paradossi temporali"). Questo messaggio che vi inviamo nel giorno in cui si celebra la solennità di Cristo Re dell'Universo vuol dunque essere soltanto un invito ad essere forti, a non piegare la testa nemmeno di fronte ai tiranni più spietati, a non disperare mai: le città distrutte dal fuoco atomico sono risorte/risorgeranno più belle di prima, e l'Impero mondiale dei figli dell'uomo non avrà mai fine. 171 IL TIRANNO OBAMA VA ELIMINATO. ORA! (20/8/2015) Fin dall'antica Grecia e dal mito di Antigone l'Occidente ha imparato che le leggi non scritte sono più importanti di quelle scritte. Da quando i nostri antenati, i Templari sfuggiti alla persecuzione di Filippo il Bello e insediatisi in Inghilterra, decisero di trasformare le colonie britanniche nel Nordamerica in uno Stato indipendente (vedi il nostro scritto "Chi siamo, da dove veniamo, cosa vogliamo"), tutti i presidenti degli Stati Uniti, da George Washington fino a George Walker Bush, hanno risposto a tre requisiti: erano cristiani, erano membri della Massoneria - più precisamente del Rito Scozzese Antico e Accettato, da noi eretto dopo la secessione delle logge eurocontinentali per riaffermare la fede nel Dio di Gesù Cristo - ed erano già stati ammessi, al momento della candidatura, al 33° grado, il più alto, quello dei Gran Maestri. La prima eccezione a questa legge non scritta si verificò nel 2008, quando un giovane e ambizioso senatore democratico afroamericano si candidò e vinse pur essendo un massone del 32° grado. Quel massone ambizioso era Barack Hussein Obama. Subito dopo la sua proclamazione Obama iniziò a compiere atti che stridevano aspramente con la tradizione: abrogare il divieto che era stato posto dal suo predecessore George Walker Bush (quantum diversus ab illo!) all'uso di fondi federali per sostenere organizzazioni non governative che promuovono la diffusione dell'aborto nel Terzo Mondo e per finanziare esperimenti di laboratorio su esseri umani allo stadio embrionale vivisezionati allo scopo di estrarne cellule staminali; annunciare il ritiro dei soldati americani dall'Afghanistan per il 2010 - così indebolendo la capacità deterrente delle truppe sul campo e provocando la morte di molti bravi ragazzi partiti da New York o dal Minnesota per diffondere libertà e democrazia -; proibire ai funzionari che lavorano per le agenzie di sicurezza nazionale di usare l'espressione "guerra al terrorismo" e di qualificare i nemici degli Stati Uniti d'America come terroristi; promettere dal Cairo ai tiranni di Teheran e Damasco che gli Stati Uniti d'America non avrebbero mai tentato di scalzarli dai loro troni di sangue come avevano meritatamente fatto con Saddam e con Milosevic. Tutti gesti più che sufficienti per indurci a sospettare ch'egli fosse ben più e peggio che un massone giovane, ambizioso e impaziente. Fu così che noi mondialisti avviammo una indagine segreta al fine di scoprire i suoi reconditi propositi, una indagine che ci portò a mettere in luce e a rivelare ai media i numerosi scheletri nell'armadio di Barack Hussein Obama: dal suo legame con la Fratellanza Musulmana e con il regime islamico e assassino del Sudan tramite uno dei suoi numerosi fratellastri, fino al suo essere un criptomusulmano, un musulmano che finge di essere cristiano. Abbiamo tentato di mettere in guardia il popolo americano e il genere umano, sia pur con la prudenza richiesta dall'opporsi al capo del Paese più potente della terra, facendo scrivere e pubblicare nel 2009 da Dan Brown - uno degli intellettuali migliori usciti dal nostro Vivarium - il romanzo The Lost Symbol, in cui l'ambiguità e il pericolo rappresentati da Obama erano adombrati dalla figura del malvagio Mal'akh, che si introduce nella Massoneria e ne scala i vari 172 gradi allo scopo di distruggerla dall'interno. Ma purtroppo l'America e il mondo si sono lasciati incantare dalla sua melliflua retorica pacifista e terzomondista, e non ci ha ascoltato. Nel frattempo Obama ha portato avanti il suo piano per distruggere dall'interno quella che fino ad allora era stata la più grande democrazia della storia, la "città sulla collina", il faro per tutte le genti desiderose di libertà. Dopo il ritiro dall'Afghanistan è venuta la fuga ignominiosa dall'Iraq, abbandonato alle faide tra sunniti e sciiti, agli attentati quotidiani e alle scorrerie del Califfo nero al-Baghdadi; al grido di dolore del nobile popolo di Persia, che combatteva e moriva per opporsi al regime degli ayatollah pedofili, il filoislamico Obama ha risposto con una tonnellata di parole vuote, della serie «non possiamo interferire, ma siamo con voi»; alla possibilità, offertagli nel 2011 da noi mondialisti con l'operazione "Snow on the Sahara", di mettersi alla testa di un grande movimento di liberazione del Medio Oriente da tutti i tiranni laici e teocratici, ha reagito favorendo l'ascesa al potere in Egitto del fondamentalista Morsi e iniziando trattative segrete per "normalizzare" i rapporti degli Usa con il regime familistico-comunista dei Castro e con gli ayatollah iraniani che vogliono dotarsi della bomba atomica per distruggere Israele. Erano indizi più che sufficienti per condannare Barack Hussein Obama come tiranno, e per chiedere al popolo degli Stati Uniti d'America di rimuoverlo dal potere, come noi abbiamo fatto ripetutamente. Ma anche questa volta non siamo stati ascoltati. Finché, nel novembre del 2014, non si è verificato un evento totalmente inaspettato e imprevedibile: nel nostro quartier generale, in circostanze e in un modo tali da sfidare tutte le leggi fisiche oggi conosciute, è apparso un messaggio, scritto da un Gran Maestro templare del remoto futuro, nel quale si avverte l'attuale generazione circa le sciagure che la colpiranno nel 2017, quando Barack Hussein Obama ucciderà con le proprie mani il suo neoeletto successore Hillary Clinton, proclamandosi Emiro delle Americhe e scatenando una guerra nucleare contro Israele e altri popoli insieme all'Iran (potete leggere qui la versione originale, e qui invece una traduzione). Da allora sono passati nove mesi, nei quali le previsioni di quel "messaggio dal futuro" hanno iniziato a compiersi: Hillary Clinton ha annunciato ufficialmente la sua candidatura alle presidenziali del 2016; e Obama ha firmato con l'Iran un accordo che non soltanto non elimina il pericolo nucleare - limitandosi a "congelare" formalmente il cammino di Teheran verso la Bomba per soli 10 anni, ma senza prevedere alcun controllo veramente serio ed efficace -, non soltanto non dice una parola sul fatto che gli ayatollah si sono dotati negli ultimi anni di un arsenale di missili intercontinentali (di provenienza russa, cinese e nordcoreana) in grado di devastare un'area che va da Berlino a Nuova Delhi, non soltanto mette fine alle sanzioni internazionali contro gli ayatollah preparando un afflusso nelle loro casse di più di 150 miliardi di dollari l'anno che saranno utilizzati per finanziare il terrorismo in Medio Oriente e altrove, ma addirittura obbliga gli Stati Uniti d'America a muovere guerra contro Israele qualora esso decida di salvaguardare la propria esistenza lanciando contro gli impianti nucleari iraniani un attacco unilaterale con mezzi militari o anche solo informatici (come già ha fatto in passato).Tutte queste circostanze ci hanno pertanto costretto, dopo lunghe analisi e numerose discussioni 173 fra i nostri scienziati e strateghi militari e politici, a ritenere quel messaggio «inspiegabilmente autentico». In conclusione, tutte il materiale da noi raccolto negli ultimi sette anni prova in modo preciso, concorde e inequivocabile che Barack Hussein Obama è un tiranno, un tiranno musulmano che ha sfruttato la sua affiliazione alla Massoneria, l'appoggio della comunità afromaericana e i cospicui finanziamenti elettorali ricevuti dai peggiori regimi islamici allo scopo di abbattere dall'interno la democrazia americana, distruggere lo Stato di israele, sterminare il popolo ebraico e assoggettare gli Stati Uniti d'America, l'Occidente e tutto il genere umano al dominio dell'Asse del Male russo-cino-iraniano. Anche se il "messaggio dal futuro" ci avverte che è impossibile cambiare quanto esso prevede, noi mondialisti ci rifiutiamo di lasciare che un così triste destino si compia, senza fare quanto è in nostro potere per impedirlo, a costo di sacrificare le nostre vite. Per questo motivo il Partito Mondialista fa appello agli amanti della libertà e della democrazia in America e in tutto il mondo, affinché si attivino al più presto insieme a noi per tentare di fermare il piano criminale e genocida del tiranno Obama, con qualunque mezzo. In gioco ci sono la vita di milioni di uomini e donne innocenti, e la libertà di tutto il genere umano. 174 MONDIALISMO E ANTIMONDIALISMO 175 ANTONIONI, IL COMUNISTA CHE SOGNAVA L'APOCALISSE (1/8/2007) Non è un caso che ieri sera Rai Due abbia deciso di commemorare Michelangelo Antonioni trasmettendo alle 21.00 “Zabriskie Point” e che Rai Tre ne abbia usato la sequenza finale per aprire il suo speciale delle ore 23. Proprio da quel film del 1970 e da quella scena in particolare è possibile comprendere il motivo del fascino, diciamo pure della venerazione che l’intellighenzia di sinistra, non solo in Italia ma un po’ in tutta la Vecchia Europa e perfino presso i cineasti di Hollywood – decisamente la componente più “europea” degli States – ha coltivato per il regista della “incomunicabilità” e della “alienazione”. “Zabriskie Point” mostra chiaramente che l’intento di Antonioni, sin dal suo esordio nel 1950 con la rappresentazione della crisi di una coppia “borghese” in “Cronaca di un amore”, è sempre stato quello di mettere in scena lo stereotipo della società capitalistica disegnato da Marx e Lenin, con tutti i suoi peggiori vizi: la volgarità (i clienti di un emporio che comprano enormi panini imbottiti), l’amore per il guadagno (il gruppo di speculatori edilizi che progetta di trasformare un’area desertica in una zona turistica di gran pregio), la brutalità dei tutori dell’ordine costituito (i poliziotti che all’inizio del film picchiano i partecipanti ad una manifestazione studentesca contro la guerra del Vietnam e al termine uccidono il protagonista, accusato di aver ucciso un loro collega), lo sfruttamento neocolonialista del Terzo Mondo (la cameriera messicana che lavora nella megavilla di proprietà del ricco padre della protagonista), la repressione degli istinti individuali (che si sfogano in una serie di “liberi” amplessi fra sabbie e rocce)... E anche la scena conclusiva, con la terrificante serie di esplosioni (reale, o soltanto immaginata?) che manda in briciole la megavilla e, di seguito, tutti i simboli della civiltà occidentale (ombrelli, sedie a sdraio, un salotto con televisore, una rivendita di vestiti, un distributore di bibite e merendine, una biblioteca) è la risposta alla richiesta dei comunisti di ogni paese dall’800 in poi: «Fateci sognare!». Perché ciò che i comunisti hanno sempre sognato non è tanto un mondo “altro”, di cui non sono mai stati capaci di delineare le caratteristiche, quanto la fine di “questo” mondo, il «superamento dello stato di cose presente» (Marx), in una parola: l’Apocalisse. I comunisti, e tutti i loro epigoni (fascisti, nazisti, eco-catastrofisti, terzomondisti, antiglobalisti), sono in realtà degli inconfessati apocalittici; eredi di quegli gnostici del III secolo per i quali il mondo era la creazione di un dio malvagio, e quindi meritava di essere interamente distrutto affinché sorgesse un mondo nuovo; eredi dei catari, i “puri” che nel Medioevo praticavano il suicidio, l’infanticidio e la soppressione degli anziani e dei malati proclamando l’avvento di un mondo purgato da ogni imperfezione; come il poeta, essi sono capaci di dire soltanto quel che non sono e quel che non vogliono. Per questo comunisti, ambientalisti e no-global son sempre pronti a giustificare ogni massacro compiuto dai fanatici terroristi seguaci di Osama Bin Laden, a partire dall’Olocausto delle Torri Gemelle: perché in quell’orgia di morte e distruzione essi vedono la realizzazione del loro desiderio, la distruzione di questo mondo. 176 Noi mondialisti, che ci riconosciamo nella guida dell’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire” e nel Partito Mondialista, sappiamo bene che questo desiderio di morte non è condiviso dalla grandissima maggioranza della popolazione mondiale, neppure dalla maggioranza dei fedeli musulmani; sappiamo bene che la grandissima maggioranza degli uomini e delle donne desidera invece vivere in pace e libertà, senza essere perseguitati e schiavizzati per il proprio sesso, per la propria razza, per la propria religione; nella sicurezza della vita, nel pacifico godimento dei beni e nel libero sviluppo dei talenti di ognuno per il benessere comune. Noi sappiamo bene che la grandissima maggioranza degli uomini e delle donne di questo pianeta è già mondialista e aspetta solo che qualcuno le riveli la verità su se stessa, come il borghese di Molière dovette pagare un maestro di dizione per scoprire di aver sempre “parlato in prosa”. Noi sappiamo bene che l’Apocalisse, quando verrà, non sarà il rovesciamento del mondo presente, ma il suo compimento; che ad essere distrutto non sarà il mondo, creato da Dio in ogni sua parte «bello e buono e giusto» (come insegnava il grande Eraclito), bensì il peccato che di questo mondo non è una parte, ma solo una privazione, una contraffazione tragica, ma limitata e destinata a finire. Per questo il sogno funesto di Antonioni è destinato a non realizzarsi mai, per questo il comunismo è stato sconfitto dalla Storia e l’Unione Sovietica si è disgregata, per questo il terrorismo islamista non prevarrà e gli Stati-canaglia presto o tardi saranno distrutti: perché la grandissima maggioranza degli uomini non è apocalittica, è integrata. L’Impero mondiale vincerà, perché esso già regna nelle loro menti e nei loro cuori. 177 CONTRO LA FAME, CAMBIA I REGIMI (16/10/2007) La Giornata Mondiale per l'Alimentazione celebrata oggi ha visto il presidente della Fao Jacques Diouf ripetere ancora una volta una notizia scomoda per le cassandre dell'ecocatastrofismo e i soloni della "bomba demografica": la Terra produce da decenni cibo sufficiente, per quantità e qualità, a sfamare ben più dei 6 miliardi di esseri umani che la popolano attualmente. Perché mai, allora, 840 milioni di essi soffrono per fame cronica, e altre centinaia di milioni di denutrizione più o meno grave? Nessun giornale, nessun telegiornale italiano si è curato di rispondere a questa domanda dettata dal buon senso, limitandosi a rivolgere agli abitanti dell'Occidente "sazio e disperato" il solito fervorino peloso alla solidarietà verso i popoli del Terzo Mondo. La verità è molto più complessa e impegnativa: i paesi in cui regnano fame, malattie e povertà sono gli stessi che all'indomani della seconda guerra mondiale combatterono e vinsero sanguinose guerre di "liberazione" dal dominio coloniale delle potenze europee (Inghilterra, Francia, Belgio, Portogallo e Italia) in nome di un preteso «diritto all'autodeterminazione dei popoli», e che, ottenuta l'indipendenza, hanno adottato forme di governo e di organizzazione dell'economia e della società di tipo marxista-leninista e collettivista sorrette dalle forze armate, che hanno represso ferocemente il dissenso interno e scatenato conflitti interminabili con i vicini. Basti pensare a quanto accaduto nel subcontinente indiano dopo la cacciata degli Inglesi: lotte tra indù e musulmani, separazione fra India e Pakistan (dal quale successivamente si è staccato il Bangladesh), migrazioni forzate e massacri per milioni di innocenti, una rivalità che dura tuttora per il controllo della regione del Kashmir; e sebbene l'India, abbandonati i sogni socialisti di Nehru, sia oggi una democrazia di tipo occidentale e vanti un numero sempre crescente di giovani laureati in informatica e altre discipline scientifiche, la maggior parte di quel miliardo di persone (in particolare la popolazione rurale) vive ancora in condizioni di miseria materiale e spirituale, utilizzando gli apparecchi ecografici per uccidere centinaia di migliaia di bambine con l'aborto selettivo anziché affogandole nei fiumi e mantenendo in piedi antiquate discriminazioni contro i fuori-casta e le minoranze etniche. O ancora si guardi alle guerre fra Etiopia, Eritrea e Somalia, paesi dominati per decenni da tiranni comunisti come Amin, Mengistu e Siad Barre; alle guerre civili in Angola e Mozambico, fomentate dall'Urss di Breznev e da Fidel Castro; ai conflitti tribali in Ruanda e Burundi, a quelli religiosi tra musulmani e cristiani-animisti in Sudan e Nigeria; alla sorte del Vietnam dopo la vergognosa fuga degli americani nel 1975, alle mattanze di Pol Pot in Cambogia (due milioni di abitanti su sei sterminati), al regime "socialista" che ha ridotto in miseria la Birmania... In tutta l'Africa e l'Asia la decolonizzazione, lungi dal portare benessere e felicità alle nazioni, ha dilapidato quel poco o tanto di infrastrutture tecnologiche, di istruzione e di modernizzazione dei costumi, in una parola di civiltà, che l'uomo bianco vi aveva portato dalla seconda metà dell'Ottocento; e i regimi comunisti di ieri e islamisti di oggi hanno fatto ancor peggio, imponendo forme di coltivazione della 178 terra inefficienti e orientando la produzione industriale verso l'incremento della potenza militare anziché verso il benessere dei propri cittadini-sudditi. In quindici anni le guerre combattute da 23 paesi africani sono costate più di 300 miliardi di dollari in scuole, ospedali e infrastrutture distrutti, per non parlare dei costi sostenuti dai paesi confinanti per dare ospitalità ai profughi; nel solo Sudafrica le violenze scatenate da bande di neri dopo la fine dell'apartheid provocano la perdita di 22 milioni di dollari l'anno per il ridotto ingresso di turisti. Perfino l'Iran, che pure è ricco di petrolio e gas, è costretto a importare gran parte della benzina consumata da automobili e camion obsoleti (e superinquinanti) a causa della politica dissennata condotta dal Ahmadinejad e dalla cricca di ayatollah che lo sostiene, interessata soltanto ad acquisire tecnologie missilistiche e nucleari nella sua folle ossessione di distruggere Israele e di accelerare il Giorno del Giudizio che dovrebbe sancire la beatitudine eterna per i muslim e la dannazione per "infedeli" e "apostati". Se quindi si vuol trarre una lezione dai discorsi pronunciati in questa giornata, si deve in primo luogo riconoscere la menzogna di quanti (anche in Europa) hanno agitato per decenni la bandiera dell'autodeterminazione dei popoli a scapito dei ben più concreti diritti degli individui alla libertà di religione, di pensiero e di iniziativa economica che hanno determinato la prosperità e il primato materiale e spirituale dell'Occidente su tutte le altre culture della storia; e di qui prendere atto che un autentico riscatto del Terzo Mondo dalla fame e dalla povertà non potrà avvenire senza un previo radicale cambio di regime, con la deposizione di tiranni e dittatori laici e religiosi e l'imposizione di governi rispettosi dei diritti inviolabili di ogni essere umano. Un cambio di regime che soltanto un Occidente consapevole del proprio primato e del connesso dovere di esportare la civiltà è in grado di realizzare utilizzando non solo le arti della diplomazia, ma anche la forza delle armi che spesso è l'unico linguaggio compreso da quei popoli e da quei regimi. La fame scomparirà dalla faccia della terra, in ultima analisi, solo quando tutti i popoli avranno abdicato ad una sovranità nazionale storicamente apportatrice di lutti e miserie e si saranno uniti in un solo Impero mondiale, senza più discriminazioni di sesso, razza, lingua o religione. A questo traguardo, in ottemperanza al programma tracciato nel Manifesto del 3 aprile 2005, noi dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e del Partito Mondialista lavoriamo, affinché ci siano finalmente pane, libertà e giustizia per tutti. 179 HARRY POTTER È DEI NOSTRI. E ANCHE LE WINX (8/11/2007) Dall'alba della storia fiabe, leggende e saghe sono state il mezzo attraverso cui gli uomini hanno dato espressione ai loro sogni, hanno esorcizzato i loro fantasmi, hanno immaginato un mondo libero dalle contraddizioni e dalle violenze della quotidianità. Non è dunque casuale che i più importanti prodotti fantasy degli ultimi quarant'anni (all'incirca) rappresentino la trasposizione narrativa di quei concetti e temi propri del movimento mondialista che potete trovare enunciati in questo sito, in forma generale nel nostro Manifesto programmatico, e più specificatamente nelle sezioni Editoriali e Mediaworld; non certo come conseguenza di un complotto mediatico ordito da qualche multinazionale o circolo giudaicomassonico-esoterico-sinarchico-etc. come ama pensare e scrivere su giornali, libri e in Rete gente di corte vedute; più semplicemente perché il mondialismo costituisce la sintesi dell'eterna aspirazione umana all'unità, al benessere e alla pace. Qualche esempio? Partiamo dal primo telefilm cult nella storia della televisione, "Star Trek". In tutti i paesi del mondo milioni di appassionati conoscono l'astronave Enterprise e il suo equipaggio multietnico: dal capitano Kirk al vulcaniano Spock, freddo e razionale, e al medico di bordo, il sanguigno "Bones" McCoy, dal timoniere giapponese all'armiere russo e all'addetta alle comunicazioni afroamericana, tutte le razze della Terra e tutti i popoli di una utopica Federazione galattica convivono pacificamente in quel microcosmo ispirato ai progetti della "Nuova Frontiera" di Kennedy e della Great Society di Johnson, così come in tutte le altre versioni della saga prodotte dal 1966 ad oggi; e se all'inizio il cosmopolitismo pacifico (non pacifista) dei buoni si contrapponeva alla violenza barbarica dei "mongolici" Klingon, in tempi più recenti il ruolo del nemico "esistenziale" è stato assunto non a caso dai Borg, ibridi uomo-macchina tutti connessi fra loro la cui politica estera consiste unicamente nella cattura di umanoidi da inserire forzosamente nella loro comunità-alveare (un richiamo polemico al fondamentalismo islamico e alla sua pretesa di annullare la libertà individuale nella Umma? Forse...). Venendo ai giorni nostri, un modello di eroe mondialista è il maghetto Harry Potter. Su di lui è stato scritto tutto e il contrario di tutto: gli "intellettuali" di destra e di sinistra lo hanno prima ascritto alla loro fazione, poi lo hanno scaricato sull'altra; l'attuale Papa Benedetto XVI, quando era ancora il cardinale Joseph Ratzinger, lo definì "anticristiano" in quanto le sue avventure sarebbero piene di maghi, streghe e incantesimi e in esse non comparirebbe alcun riferimento a Dio, a Gesù Cristo, alla Madonna e ai santi (da questo punto di vista anche le fiabe dei fratelli Grimm, suoi conterranei, meriterebbero di essere messe all'indice). Proviamo a esaminarlo da vicino: di sicuro non è razzista, dal momento che la sua migliore amica Hermione è una mezzosangue (il termine spregiativo con cui vengono indicati i nati dall'unione di maghi e "babbani", i semplici esseri umani), mentre il suo nemico Lord Voldemort è precisamente un babbano che ha ripudiato le sue origini e odia proprio i mezzosangue; inoltre in "The Order of Phoenix" scambia il suo primo bacio con una compagna di studi indiscutibilmente orientale. Aggiungiamo che non sopporta le 180 ingiustizie, e che nutre una sana diffidenza nei confronti dei burocrati del Ministero della Magia impegnati più a mantenere il proprio potere che ad assicurare la protezione dalle forze del Male; non è forse sufficiente per dimostrare che egli possiede tutte le qualità di indipendenza di giudizio, iniziativa personale, tolleranza verso i "diversi" e amore per la giustizia che sono storicamente proprie dell'uomo anglosassone, e che caratterizzano l'antropologia del cosmopolitismo mondialista? Per finire, non possiamo non accennare - dal momento che questo sito è ospitato su un server italiano e rivolto in primo luogo agli Italiani - al fenomeno editoriale degli ultimi anni, le "Winx": sei studentesse di un esclusivo college per fate provenienti da ogni pianeta della Galassia. La leader indiscussa del gruppo, la fatina dai capelli rossi Bloom, è una apolide: il suo mondo è stato distrutto dalle forze del Male poco dopo la sua nascita, il suo popolo sterminato. "È una senza-patria, una sradicata", direbbero i fanatici del comunitarismo e del nazionalismo, un "elemento sovversivo" alla pari degli ebrei... Eppure è proprio lei il personaggio dotato dai creatori della serie di maggiore sincerità, generosità e nobiltà d'animo, privo anche di quelle piccole idiosincrasie che caratterizzano le sue compagne (ad es. la fissazione per la moda, l'ambientalismo, la musica o la tecnologia); ed è sempre lei quella i cui gadgets sono più ricercati dai piccoli telespettatori. Non sarà dunque che lo status di senza-patria, nella fantasia come nella realtà, doni agli uomini e alle donne cui tocca questo destino l'apertura mentale, la capacità di non discriminare i propri simili fra "compatrioti" e "stranieri", ma di vederli tutti come membri di una comune umanità, che fa di essi degli individui carismatici e cosmostorici, autori e determinatori della storia del mondo? È questa la radice del mondialismo: il desiderio di creare un Impero mondiale nasce proprio dal riconoscimento dell'uguaglianza di tutti gli uomini al di là di ogni discriminazione di sesso, razza o religione, e dalla necessità di superare l'ostacolo all'unità del genere umano costituito dalla divisione del pianeta in Stati organizzati su base etno-nazionale, fonte prima delle guerre e delle tirannie che hanno sempre funestato l'umanità. Il fatto che l'universo della fantasy sia già mondialista rappresenta, a nostro parere, la miglior prova che il mondo "reale" è incamminato anch'esso verso questa meta. 181 CONTRO IL FONDAMENTALISMO INDUISTA CI VUOLE PIÙ MONDIALISMO (26/8/2008) L'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e il suo ramo esecutivo, il Partito Mondialista, condannano con la massima durezza l'ondata di persecuzioni e massacri in corso nello Stato indiano del'Orissa ad opera di fondamentalisti indù che stuprano suore, uccidono sacerdoti, religiosi e laici cattolici, incendiano e devastano scuole, ospedali e centri sociali, costringendo il milione di cristiani della regione a fuggire e a vivere nel terrore; si associano altresì al dolore della gerarchia e del popolo cristiano dell'India, e al loro sdegno per la brutale indifferenza manifestata dalle autorità nazionali e locali di fronte a questa atroce mattanza. Da più di dieci anni l'India è funestata da un movimento religioso nazionalista (avente la sua espressione politica nel Bharatiya Janata Party, il Partito del Popolo indiano) che, dietro un ipocrita appello a restaurare i valori e la cultura tradizionali di quel popolo, mira in realtà a perpetuare lo stato di inferiorità sociale ed economica degli appartenenti alle caste più basse e ai gruppi "tribali" residuo del'antica popolazione preariana. I cristiani rappresentano il bersaglio preferito di questi fanatici sia perché le loro scuole e università e i loro ospedali sono i migliori e più avanzati del Paese, sia soprattutto perché i cristiani, in forza della loro fede nell'uguale dignità di ogni essere umano unito in Gesù Cristo con Dio (fonte del primato dell'Occidente su ogni altra cultura della Storia), aprono le porte delle cure, dell'istruzione e di una vita migliore a questi "intoccabili", che nel sistema sociale tradizionale dell'India sono stati costretti per duemila anni a sopravvivere "contaminandosi" con i cadaveri o spalando letame, umiliati dai membri della casta sacerdotale e di quella dei bramini. Non a caso è dalle scuole e dalle università cattoliche che è uscita la nuova generazione di giovani ex-fuoricasta, istruiti nell'informatica e nella lingua inglese, che ha inserito l'India nel circuito virtuoso della globalizzazione e ha trasformato il distretto di Bangalore nella nuova Silicon Valley, dove si realizzano programmi che girano sui PC di tutto il pianeta. Il fatto poi che vittime delle persecuzioni siano stati non solo i cristiani - spesso condannati in base a leggi locali liberticide per il reato di conversione dall'induismo ad altra fede - ma anche i musulmani (a partire dai massacri di Ayodhya del 1992) e i sikh, dimostra che esse non trovano giustificazione in un presunto "proselitismo" dei cristiani né in una risposta irrazionale ad uno strisciante "neocolonialismo" delle potenze occidentali che li vedrebbe nel ruolo di quinte colonne. Siamo di fronte ad un fondamentalismo aggressivo come quello islamico di cui si fa portatrice al Qaeda, e come quello motivato dalla falsa credenza nell'inuguaglianza degli uomini, nella loro distinzione in "fratelli" e "infedeli", e dal conseguente odio verso tutti coloro che non condividono la propria fede, i propri costumi, il proprio modo di vivere, e che per questo hanno solo due possibilità: convertirsi, o morire. Di fronte a una simile mentalità antiumana, l'unico antidoto è costituito da una intensificazione degli sforzi, da parte di tutti i paesi dell'Occidente, per instillare nelle 182 menti e nei cuori degli indiani - ma anche dei musulmani, come pure degli appartenenti ai cosiddetti "popoli nativi" dell'Africa nera e dell'America latina - dosi massicce e sempre crescenti di rispetto per l'uguale libertà e dignità di ogni essere umano, a prescindere dal suo sesso, dalla sua razza e dalla sua religione. In una parola di mondialismo, unica visione del mondo che creda nella razionalità del mondo e nell'unicità della stirpe umana creati da un Dio-Amore, unica cura ai mali di un'umanità oppressa da egoismi e discriminazioni che attende, come nelle doglie del parto, l'unificazione in un solo Impero mondiale e l'inizio di un'era di pace, libertà e giustizia per tutti. 183 BUTTAFUOCO SI RASSEGNI, L'OCCIDENTE NON È AL TRAMONTO (11/7/2009) Che Pietrangelo Buttafuoco sia un nazifascista era cosa nota dal 2004-2005, allorché pubblico il saggio (saggio?) L'ora che viene. Intorno a Evola e a Spengler e il romanzo di fantastoria Le uova del drago in cui celebrava le gesta immaginarie di una spia del Terzo Reich. Che egli sia anche un filoislamico era parimenti manifesto dal 2008, anno di pubblicazione di Cabaret Voltaire. L'Islam, il sacro, l'Occidente - celebrazione spudorata della "religiosità" islamica contrapposta al "materialismo" occidentale - e de L'ultima del diavolo, romanzo che riportava in auge la leggenda del riconoscimento di carismi profetici nel giovane Maometto da parte di un monaco cristiano. Nulla di sorprendente, quindi, che l'ultima puntata di ieri sera, 10 luglio, del suo talk-show "Il grande gioco" sia stata tutta condotta sul leitmotiv dell'Occidente "terra del tramonto-terra al tramonto", con l'anchorman "saraceno" a battere sui soliti, vieti tasti: l'omologazione culturale portata dalla globalizzazione che produrrebbe una serie di "genocidi culturali incrociati", la civiltà occidentale recepita dal Terzo Mondo solo come una sorta di immenso supermarket, l'America prigioniera del suo immenso debito pubblico in mano alla Cina, gli americani obesi e ingenui che non conoscono Michelangelo... Non ha sorpreso, noi mondialisti, nemmeno il siparietto commosso (ma non certo commovente) dedicato a Martin Heidegger, «colui che ha svelato l'essenza dell'Occidente come oblio dell'Essere», ovvero lo "zappaterra" - questo significa in tedesco heide-egger alemanno che ha tentato di diventare il Führer della filosofia distruggendo il patrimonio metafisico dell'Occidente così come Hitler, il il Führer della politica, ha tentato di abbattere il governo della Legge, possente eredità del pensiero grecoromano ed ebraico-cristiano, per sostituirlo con il dominio di un solo uomo incarnazione dell'Essere "qui ed ora" del popolo tedesco. Nulla di nuovo, dunque, e nulla di vero: con buona pace di Buttafuoco e di tutti gli antioccidentalisti di destrasinistra-centro, l'Occidente non è affatto al tramonto. Meno che mai lo è l'America. Partiamo dal luogo comune della "ingenuità" americana. Come ha fatto notare l'ottima giornalista Lucia Annunziata (ospite tanto stuzzicato quanto ignorato) gli Americani sono un popolo aristocratico ed elitario, in cui i giovani mandriani del Middlewest hanno frequentato le migliori università, e l'idea di Buttafuoco che essi rispondano «Michelangelo? I don't know» è semplicemente una panzana propagandistica; così come è uno stereotipo quello degli Americani grassi, obesi, flaccidi mangiatori di hamburger e hot-dog conditi con salse improbabili. Questi obesi americani sono gli stessi che hanno salvato l'Europa dalla barbarie nazifascista e questo probabilmente è il motivo dell'odio da parte del Buttafuoco -; sono gli stessi che per cinquanta anni hanno difeso l'Occidente dalla minaccia sovietica, e che oggi lo proteggono dal terrorismo fondamentalista islamico e dall'Apocalisse nucleare preparata da Stati-canaglia come la Corea del Nord e l'Iran del folle Ahmadinejad. Quanto alla presunta "ricattabilità" americana a causa del trilione di dollari di buoni del Tesoro detenuti dalla Cina, va sottolineato che questi massicci acquisti di titoli Usa sono necessari prima di tutto al regime comunista di Pechino, per tenere 184 basso il cambio del renmimbi (la valuta nazionale) e sostenere le esportazioni di prodotti che proprio negli Stati Uniti d'America hanno il loro mercato principale; se il regime cinese decidesse di vendere quei titoli provocherebbe un apprezzamento del cambio renmimbi/dollaro che azzererebbe le esportazioni, distruggerebbe il sistema produttivo - data l'assenza di un mercato interno altrettanto vasto - e provocherebbe la fine della Cina come potenza "emergente". Il "materialismo" occidentale, poi, è una accusa che non lascia il segno: ogni grande impero della Storia si è fondato non soltanto sulla superiorità militare (l'hard power), ma anche sul soft power, sulla capacità di legare a sé i sottomessi offrendo loro la condivisione di un patrimonio fatto di idee, valori e, perché no?, anche di ricchezza materiale. Se Roma, la Roma idolatrata dal fascista Buttafuoco, non fosse stata allo stesso tempo imperium ed emporium, non sarebbe riuscita a unificare gran parte dell'Europa, del Nordafrica e del Medio Oriente per cinquecento anni e a lasciare la sua eredità ai posteri. Allo stesso modo la superiorità dell'Occidente su tutte le altre culture storiche deriva non soltanto dai cannoni, ma anche dal patrimonio di valori e princìpi - uguaglianza di tutti gli esseri umani, primato della Ragione e della Legge sulla volontà arbitraria di un sovrano, fede nella razionalità e conoscibilità del mondo creato da un Dio-Logos - ereditato da Atene, Roma e Gerusalemme. Anzi, è stata proprio la superiorità dei princìpi e valori a rendere possibile la nascita della scienza moderna, la vittoria sulle epidemie e sulla fame, la crescita della popolazione, della ricchezza e della potenza anche militare che hanno portato l'Occidente a conquistare l'egemonia sul mondo; altro che crasso "materialismo"! Infine, il vecchio tasto del "genocidio culturale" prodotto dalla globalizzazione. Chiunque abbia un qualche ricordo di quanto studiato a scuola sa, o dovrebbe sapere, che la storia dell'umanità è costellata da una serie lunghissima di "genocidi culturali": ogni volta che un popolo ha conquistato l'egemonia su altri popoli creando un impero - dai Cinesi Han agli Assiro-Babilonesi, dai Persiani ai Macedoni, dai Romani ai Britannici - la cultura del popolo vincitore si è imposta su quelle dei popoli vinti e le ha sostituite interamente, o si è ibridata con esse dando origine a nuove civiltà (come è avvenuto con la cultura greca, che "conquistò il feroce vincitore" romano). L'omologazione culturale attualmente in corso sotto l'egida della lingua inglese e dell'American way of life, pertanto, costituisce la rinnovazione di un fenomeno ben conosciuto dagli storici e che non ha nulla di "terribile" come paventano i no-global alla Buttafuoco; forse qualcuno versa lacrime sulla scomparsa della cultura sumerica o etrusca? E perché dunque ci si dovrebbe scandalizzare per una futura scomparsa della cultura italiana o francese o tedesca o cinese o etiope o indiana? Tanto più che, come noi mondialisti abbiamo rilevato nel nostro Manifesto fondativo (capitolo 2), la maggior parte dei prodotti culturali delle varie epoche storiche ha un contenuto e uno scopo di esaltazione nazionalistica della propria fazione - etnia, religione o classe sociale che sia - e di sopraffazione violenta e sanguinaria di quanti non appartengano a quello specifico "recinto": Greci contro Persiani, Francesi contro Inglesi, Tedeschi contro Francesi, Russi contro Tedeschi, Islamici contro "infedeli". In un futuro Impero mondiale, in cui le appartenenze nazionali non saranno più pretesto per 185 discriminare l'uomo dall'uomo, di tale pluralismo bellicoso delle culture si potrà fare tranquillamente a meno. In conclusione: Buttafuoco e gli altri seguaci di Spengler, Evola e Heidegger si rassegnino. L'Occidente, nonostante la crisi economico-finanziaria di questi anni, conserverà il primato nel tenore di vita e nella potenza militare rispetto a tutti gli altri popoli del pianeta; e sarà l'Occidente, e non Cindia o il Bric (Brasile-Russia-IndiaCina), la civiltà egemone del XXI secolo, quella che sconfiggerà le tirannie dei Putin, degli Hu Jintao e degli Ahmadinejad, che fonderà un Impero mondiale destinato a imporre su tutto il pianeta la liberatrice cultura dei diritti umani e del governo della Legge e a donare finalmente al genere umano prosperità e pace. 186 NAZIONE, IL REGALO AVVELENATO DELLA FRANCIA AL MONDO (7/8/2009) Da alcuni giorni il leader della Lega Nord Umberto Bossi sta vivacizzando le prime pagine dei giornali italici, altrimenti stanche e provinciali come si addice alla calura estiva, con le sue proposte-provocazioni in materia di insegnamento nelle scuole dei dialetti - che lui preferisce chiamare «lingue etniche» e delle «culture» regionali, nonché di affiancare inni e stendardi locali al tricolore nazionale e all'inno di Mameli. Nella maggioranza delle altre forze politiche del Paese queste uscite sono generalmente accolte con fastidio e insofferenza, come provocazioni di un movimento sempre in cerca di visibilità; l'opinione comune degli Italiani, quella del cosiddetto "uomo della strada", tende a distinguere fra la "lingua" nazionale e i "dialetti" considerati espressione di folklore locale. In realtà, a una analisi non superficiale queste dispute rivelano il carattere "artificiale" di un concetto che si tende a dare per ovvio: quello di nazione. Fino al 1400 le uniche nationes esistenti in Europa erano i gruppi di studenti iscritti nelle varie università, che tendevano a far vita comune in base al territorio di nascita. A nessuno sarebbe mai venuto in mente di discriminare i sudditi di un regno o di un impero fra indigeni ed immigrati, perché il criterio di appartenenza allo Stato era la fedeltà ai suoi governanti. È solo durante la Guerra dei Cent'Anni che Giovanna d'Arco rifiuta obbedienza al re d'Inghilterra, legittimo erede al trono di Francia per discendenza da Filippo il Bello, in nome della distinzione fra le due "nazioni" e del motto «la Francia ai Francesi». Dopo la fine del conflitto e la rinuncia dell'Inghilterra ai suoi possedimenti sul Continente, è sempre la Francia a rilanciare l'uso politico della nazione: è Luigi XIV, il "Re Sole", ad avviare un processo di livellamento e omogeneizzazione culturale dei vari popoli che componevano il suo regno: franchi, normanni, bretoni, piccardi, aquitani, borgognoni, provenzali, baschi, stratificatisi nell'Esagono nei millenni a partire dal primo popolamento preistorico ai Galli, dalla conquista romana alle invasioni barbariche, furono costretti ad abbandonare le loro leggi e i loro costumi, la loro stessa identità collettiva per diventare tutti semplicemente "francesi". A completare il processo di ibridazione fra nazionalità e cittadinanza è poi la rivoluzione giacobina che lo esporta in Germania, Italia e nel mondo slavo: dovunque si è ripetuto lo stesso processo di omologazione forzata, di soppressione violenta delle differenze ancestrali in nome dell'idea che i membri di uno Stato debbano avere in comune lingua, usanze, religione e soprattutto discendere dalla medesima etnia o razza («Fatta l'Italia bisogna fare gli Italiani»). Dall'Europa, questo frutto avvelenato è stato infine esportato in Africa, Asia e America latina e soprattutto nel mondo islamico, fomentando prima le guerre di decolonizzazione, poi i conflitti tribali che hanno insanguinato Ruanda e Burundi, Etiopia ed Eritrea, Somalia e Sudan, gli scontri fra islamici e cristiani-animisti nel Darfur, in Nigeria e adesso in India e nel Punjab, sempre in nome della falsa e perniciosa idea che vi debba essere omogeneità di carne e sangue, di lingua e religione fra i cittadini di un Paese, e che a quanti non vogliono adeguarsi alla religione, alle usanze, alla "cultura" maggioritaria non resti 187 altra possibilità che fuggire o morire. Per questo, di fronte sia alle "baruffe chiozzotte" sui dialetti padani, sia alle ben più tragiche persecuzioni contro i cristiani in Pakistan di questi ultimi giorni, noi mondialisti riteniamo che l'unica soluzione sia la fine dell'ibrido nazione-Stato, la separazione fra appartenenza etnica e cittadinanza e il radicamento di quest'ultima nella semplice residenza in un territorio, indipendentemente dal fatto che esso sia quello in cui si è nati oppure no. Ciò sarà possibile solo quando tutti gli Stati della terra abbandoneranno le loro pretese di sovranità assoluta su un territorio e sugli uomini e donne che vi abitano, unendosi in un solo Impero mondiale che abolisca ogni discriminazione di razza, lingua e religione in nome degli immortali ed universali diritti di ogni essere umano alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. 188 IL GENERALE SVELA LE MENZOGNE DEGLI EURASISTI (4/7/2010) Il mondialismo, questo possente movimento d'uomini e di idee il cui scopo è l'unificazione del genere umano in un solo Impero mondiale per far cessare le discriminazioni, le persecuzioni e le guerre storicamente causate dalla divisione dell'umanità in gruppi o Stati etnicamente e religiosamente omogenei, ha sempre trovato sulla propria strada ostacoli posti da quanti in queste divisioni fratricide trovavano l'occasione per ricavare profitti in termini di denaro o di potere; profitti generalmente inconfessabili e perciò bisognosi del manto protettivo ipocrita di qualche ideologia che facesse apparire, di volta in volta, cosa necessaria o addirittura "buona" distinguere gli esseri umani fra chi è "dentro" e chi "fuori" rispetto a un particolare confine. Così ad esempio il poeta greco Euripide afferma in una sua tragedia che «governare sui Barbari agli Elleni ben s'addice», e Aristotele distingueva dagli "stranieri" (Greci di un'altra città che beneficiavano della sacra legge dell'ospitalità) i "barbari", considerati appartenenti a un'altra specie d'uomini per natura rozzi e violenti, dunque inferiori e meritevoli d'essere combattuti con ogni mezzo, fino alla riduzione in schiavitù o all'annientamento. Nell'Ottocento, l'eclissi dello spirito cristiano che per mille e trecento anni aveva insegnato l'uguaglianza naturale di tutti gli uomini portò al sorgere di un nazionalismo esasperato, espresso particolarmente da filosofi tedeschi come Herder che proclamarono come fatto naturale la divisione del genere umano in popoli e culture diversi, e bollarono ogni tentativo di unificazione come un attentato alla pluralità degli usi e dei costumi. In entrambi i casi dietro queste affermazioni si vede chiaramente l'interesse dei membri di un gruppo a dominare su quanti a quel gruppo non appartengono, gli antichi Greci nei confronti dei non-Greci, i Tedeschi nei confronti degli Slavi e degli altri popoli d'Europa. Nell'attuale Terzo Millennio il nemico più insidioso del mondialismo è rappresentato dagli eurasisti o eurasiatisti. L'ideologia eurasista inizia ponendo come verità indiscutibile che esista da sempre una fondamentale unità culturale, sociale e religiosa fra tutti i popoli che dalla preistoria hanno abitato la vasta porzione di superficie terrestre compresa tra le coste portoghesi, l'Estremo Oriente, l'Artico e l'Oceano Indiano che essi chiamano "Eurasia": una cultura unitaria fondata sui tre pilastri della Terra intesa come Grande Madre che reca su di sé, nei confini, il segno della divisione dell'umanità in vari popoli, del Lavoro manuale come unica fonte di ricchezza, e di un Sacro visto in senso panteistico come identità fra Dio e mondo. A questa presunta cultura eurasiatica si contrapporrebbe, nella visione degli eurasisti, la cultura anglosassone - storicamente incarnatasi prima nella Gran Bretagna e poi negli Stati Uniti d'America - che sarebbe invece fondata sul Mare inteso come assenza di confini e dunque di legge, luogo informe di pirati-mercanti, sul Commercio e sulla Finanza come mezzi per depredare "pacificamente" gli altri popoli, e su una Tecnica atea e materialistica che, mirando al dominio sull'ambiente, metterebbe in pericolo la sopravvivenza dell'umanità. Gli eurasisti si propongono di agire come una lobby attraverso riviste come "Eurasia", siti Internet e agenti infiltrati in scuole, università, 189 nei media e nelle istituzioni politiche per instillare nelle menti e nei cuori degli abitanti dell'Eurasia la coscienza di appartenere a un'unica civiltà, e di costruire una grande alleanza fra la Russia, che per essi dovrebbe assumere il ruolo di popolo-guida in virtù delle sue immense riserve di petrolio e gas naturale, la Cina che apporterebbe le risorse finanziarie, l'India che fornirebbe manodopera specializzata in informatica e a basso costo, e un Iran dotato dell'arma atomica, al fine di espellere dal continente eurasiatico la talassocrazia a stelle e strisce - l'«eterna Cartagine» che dal 1989 starebbe tentando di conquistare l'Asia Centrale ricca di risorse naturali, il "cuore della terra" (Heartland) contrapposto alla "mezzaluna interna" (Europa, India ed Estremo Oriente) e alla "mezzaluna esterna" (Gran Bretagna, America e Oceania) nella terminologia del geografo inglese Halford Mackinder -, di distruggere l'«entità sionista» (cioè lo Stato di Israele, che gli eurasisti considerano un volgare avamposto coloniale dell'Occidente e di cui negano persino l'ebraicità) e di fondare un impero in cui lo Stato prevalga sull'individuo, l'appartenenza etnica costituisca legittima fonte di discriminazione fra gli uomini, e i diritti "liberali" alla vita, alla libertà di pensiero e di impresa, e alla proprietà siano subordinati a un non meglio precisato "interesse collettivo della Comunità". Ma non basta: gli eurasisti mirano altresì a fare dell'Africa una miniera di petrolio e minerali a disposizione dell'Eurasia in cambio della non ingerenza negli affari interni dei suoi regimi corrotti e tirannici, e a sollevare contro gli Stati Uniti i popoli dell'America meridionale (che essi chiamano "indiolatina") sull'esempio di dittatori e demagoghi come Chavez, Morales e Lula che negli ultimi dieci anni hanno stretto solidi legami con Mosca, Pechino e Teheran, offrendo accesso a giacimenti petroliferi in cambio di forniture di armamenti e centrali nucleari allo scopo di ottenere anch'essi la Bomba. Il sogno finale degli eurasisti è la distruzione dell'odiata "superpotenza oceanica" secondo la "profezia" di Igor Panarin, un analista del Kgb che nel 1998 previde una seconda guerra civile americana causata dalla crisi economica e dalla rivolta degli Stati più ricchi contro la crescente pressione fiscale di Washington, cui dovrebbe seguire lo smembramento degli Stati Uniti d'America in cinque parti, con l'Alaska che tornerebbe alla Russia (la quale l'aveva acquisita nel '700 e poi venduta agli USA nel 1867), le Hawaii e la California annesse dalla Cina o dal Giappone, il Middlewest dal Canada, il Texas e gli altri Stati del Sud con una ingente popolazione di latinos che si consegnerebbero al Messico e quelli della costa atlantica che sceglierebbero di unirsi all'Unione Europea... Alle menzogne degli eurasisti si potrebbe rispondere con dovizia di argomentazioni razionali e storiche. Si potrebbe ad esempio ricordare che i popoli abitanti nel continente eurasiatico non hanno mai condiviso una medesima concezione religiosa: per Indiani, Cinesi e Giapponesi il Sacro, la Divinità coincide con il mondo, mentre a partire dall'Ebraismo e dal Cristianesimo fino all'Islam si afferma il principio della distinzione fra un Dio Creatore e l'universo inteso quale Creazione. Oppure si potrebbe contestare la definizione svalutativa degli Stati Uniti d'America come «eterna Cartagine», facendo notare agli ignoranti eurasisti che i Romani, contrariamente a quanto afferma la tradizione, avevano maturato una solida esperienza marinara ben prima di affrontare i Cartaginesi, e che pertanto l'equazione 190 Roma = Terra sulla quale essi basano le loro elucubrazioni è una patente falsità. Ma la smentita più forte alle menzogne eurasiste arriva proprio da uno dei loro supporters più accreditati: il generale Fabio Mini, ex comandante della missione NATO Kfor in Kossovo fra il 2002 e il 2003, il quale attualmente collabora con riviste di punta della lobby eurasista come "Limes" e la succitata "Eurasia". A lui è stata recentemente commissionata la prefazione di un libro del redattore di "Eurasia" Daniele Scalea intitolato "La sfida totale. Equilibri e strategie nel grande gioco delle potenze mondiali", che costituisce il tentativo degli eurasisti di assicurare una parvenza di scientificità alla loro ideologia mediante il ricorso alle dottrine di vari esponenti della cosiddetta geopolitica, la scienza (o presunta tale) che si propone di studiare e prevedere i rapporti di forza e le dinamiche di ascesa e caduta di Stati e imperi sulla base della conformazione geografica dei territori. Ebbene il generale Mini, contrariamente alle aspettative dei suoi committenti che desideravano da lui una recensione "in ginocchio", ha esposto nella prefazione a "La sfida totale" una serie di «avvertenze per l'uso» che si possono riassumere in due critiche al lavoro di Scalea: 1) «Alla pari di qualsiasi teoria politica, la geopolitica non è mai obiettiva, asettica o imparziale... Le teorie geopolitiche sono sempre strumentali: servono a prendere parte alla competizione, a spiegarla, ma anche a incitarla, alimentarla e perfino a farla degenerare... Ed anche ammettendo che le teorie siano frutto di elaborazioni scientifiche, la loro applicazione ed interpretazione è sempre a supporto di un'idea, una fede, o soltanto un interesse» (pp. 9-10). Con queste frasi brevi e icastiche Mini assesta un colpo mortale alla pretesa "scientificità" delle teorie eurasiste secondo cui la Russia sarebbe naturalmente destinata a dominare il continente eurasiatico in grazia della vastità del suo territorio e delle sue ricchezze minerarie, ignorando ipocritamente fattori bloccanti come l'alcolismo diffuso, il pessimo sistema sanitario, l'alta mortalità infantile, la scarsa aspettativa di vita e il profondissimo crollo demografico che procede dall'epoca sovietica al ritmo di 700.000 anime in meno all'anno e nel 2010 spingerà la popolazione russa sotto i 140 milioni. Anche la condanna di Israele e della sua politica verso i palestinesi - i quali, come ha fatto notare acutamente la studiosa ebraico-inglese Bat Ye'Or nel suo saggio "Eurabia", non possono neppure essere chiamati nazione e tantomeno popolo, dal momento che dal 1948 fino alla Guerra dei Sei Giorni e alla conquista israeliana del 1967 i territori della Giudea e Samaria (o Cisgiordania che dir si voglia) erano stati occupati dal regno di Giordania, così come la Striscia di Gaza era stata occupata dall'Egitto, ed entrambi erano stati in precedenza parti dell'impero ottomano senza alcuna velleità di indipendenza nazionale - secondo il generale «non può negare il passato del popolo ebraico, la Shoa, lo sterminio subito» (p. 10), come pretendono invece gli eurasisti adoratori del folle Ahmadinejad e del suo progetto di cancellare l'odiata «entità sionista» dalle carte geografiche. A proposito dell'Iran, che per Scalea e i suoi sodali sarebbe una delle chiavi di volta della geopolitica, «non bisogna dimenticare che il regime continua ad essere spietato e che non concede nulla, né al diritto della gente, né alle opposizioni istituzionalizzate» (p. 11). Quanto allo smembramento della Jugoslavia e alla guerra del Kossovo, il 191 generale Mini ha buon gioco nel ricordare agli eurasisti che il serbo Slobodan Milosevic, il musulmano bosniaco Alja Itzbegovic e il croato Franjo Tudjman non erano delle anime belle, che essi «hanno commesso tutti i crimini di cui sono stati accusati e altri che nessuno vuole ricordare» e che dunque «non si può puntare il dito contro gli Stati Uniti senza considerare chi fossero quei personaggi e cosa avessero fatto ai rispettivi popoli», così come la forza dell’UCK «non veniva soltanto dagli aiuti innegabili dei servizi segreti tedeschi, britannici e americani o dai traffici illegali» ma anche e soprattutto «dal supporto di una popolazione che per dieci anni è stata dimenticata dalla comunità internazionale e lasciata alla mercè di un sistema che Milosevic, protetto dalla Russia, voleva repressivo e discriminatorio» (p. 12). Proprio così: la Russia, la "grande madre" degli eurasisti, la patria della buona vita secondo il trinomio Terra-Lavoro-Sacro ha protetto per dieci anni in Serbia un sistema repressivo e discriminatorio nei confronti dei kossovari, parola di Fabio Mini che scrive un giorno sì e l'altro pure su "Eurasia", "Limes" e le altre riviste degli eurasisti! La stoccata più forte ai suoi committenti il generale Mini la assesta parlando della Cina. Il Paese del Dragone avrà avuto molti meriti, non ultimo quello di aver tratto dall'indigenza 200 milioni di cittadini in meno di vent'anni, ma «dare il merito di questo alla fase "preparatoria" di Mao [come Daniele Scalea fa a p. 110 del suo libro] significa sottovalutare i disastri del "[grande] balzo in avanti" e dimenticare quelli della rivoluzione culturale. Assegnare crediti per una politica di successo senza addebitare gli insuccessi, le repressioni, le persecuzioni e le violazioni dei diritti dei cittadini favorisce l'incomprensione e attenta alla credibilità dell'analisi». In altre parole il prefatore afferma che l'autore del libro di cui sta scrivendo la prefazione ha compiuto una "analisi" non credibile, che egli ha spacciato per verità scientifica i suoi desideri, le sue speranze, i suoi sogni... Un individuo simile si può fregiare solo di un titolo: quello di ciarlatano. La stessa lettura distorta della realtà è contenuta per Mini nei capitoli dedicati all'America "indiolatina" e all'Africa: al di là delle ingerenze e delle "provocazioni" americane - come sarebbe la costituzione dell'Africom, il Comando militare istituito da Washington nel 2007 per portare aiuti umanitari al continente nero e prevenire l'insorgere di conflitti, il quale per Scalea sarebbe solo la dimostrazione della perdita di prestigio degli Stati Uniti e della loro volontà di tener fuori la Cina dall'Africa usando la forza bruta - «quanti paesi», si domanda Mini, «hanno saputo e voluto amministrarsi bene? Castro ha fatto di Cuba un piatto da consumarsi freddo, come la vendetta» e il bolivarismo di Chavez «si oppone allo strapotere e all'arroganza americana, ma non destina nulla alla gente o alla stabilità. Fa solo affari privati, come la peggiore politica americana» (p. 13). Insomma il generale Mini, che pure come si è visto non lesina critiche agli Stati Uniti d'America, paragonandoli addirittura ai «pirati barbareschi» (p. 9), e mette perfino in dubbio il carattere ebraico di Israele (p. 10), ritiene che l'analisi geopolitica degli eurasisti sia «di parte», «ambigua e ingannevole», che essa stia «al servizio di qualcosa e di qualcuno, in senso concettuale di sicuro e forse anche in senso materiale», e senza neppure dichiararlo apertamente (p. 13). Esattamente quanto sosteniamo da sempre noi mondialisti, cioè che i nemici di un Impero mondiale fondato dagli Stati Uniti d'America e orientato secondo il sacro principio 192 dell'uguaglianza di tutti gli esseri umani su cui si basa la grande democrazia americana non sono animati dal desiderio di salvare l'umanità da una dittatura universale o di preservare la varietà dei costumi e delle culture da improbabili "genocidi", ma solo dall'egoistico interesse a mantenere la loro piccola o grande fetta di potere e di "beni al sole", si tratti degli ayatollah pedofili o dell'ex agente del Kgb o dei ducetti africani o dei caudillos sudamericani. 2) La seconda critica che il generale Fabio Mini rivolge a "La sfida totale" è di «privilegiare gli attori tradizionali delle relazioni internazionali» (p. 10), cioè gli Stati nazionali, etnicamente omogenei, che Scalea considera ancora pienamente sovrani ed eguali come al tempo del trattato di Westfalia. In realtà, fa notare Mini, questa idea è stata confutata sia prima del 1648 - dal momento che Francia, Spagna e Svezia erano indipendenti dal Sacro Romano Impero fin dalla morte di Carlo Magno, l'Olanda si era già separata da esso e perfino le città imperiali come Amburgo erano definite "libere" - sia dopo, in quanto l'espansionismo napoleonico, l'internazionalismo comunista, il capitalismo e la globalizzazione «hanno in vario modo alterato il principio di uguaglianza fra nazioni e il principio di sovranità al quale si sono spesso appellati i conservatori (vecchi e nuovi) e i nazionalisti» (p. 14). Ma il colpo più duro al sistema degli Stati, per Mini, viene dalla «nascita di un sistema complesso di flussi internazionali che non fanno più capo agli stati e agli interessi nazionali, ma ad attori non statali, legali e illegali, palesi e occulti». Che valore hanno i confini politici per i trafficanti di esseri umani o di droga o di diamanti che attraversano decine di Stati corrompendo una pletora di piccoli burocrati e guardie di confine? Che importanza hanno le leggi statali per i capi di Al Qaeda che si muovono in tutto il mondo raccogliendo fondi e aprendo siti Internet per insegnare ai nemici dell'Occidente "ateo e materialista" a costruirsi bombe micidiali nella cucina di casa? Per questi flussi di uomini, denaro e risorse naturali, chiosa Mini, «non esiste un "cuore" da difendere o da attaccare, non esistono mezzelune interne e non esistono neppure stati canaglia o stati virtuosi»; la nuova geografia che essi disegnano ha bisogno di una propria geopolitica, di una nuova scienza che «sia in grado di individuare più chiaramente gli interessi globali e gli attori capaci di orientarne i flussi e quindi di guidare l'intero sistema» (pp. 14-16). Ebbene, questa "nuova geopolitica" che il generale Mini invoca per spiegare il mondo nuovo, il mondo post-nazionale creato dalla globalizzazione e dalla Rete, è proprio quella che sta alla base del Manifesto del Partito Mondialista: è il riconoscimento, tanto moderno quanto antico, del primato dell'individuo su ogni comunità di cui sia parte per nascita o adesione successiva, volontaria o coatta; è la constatazione del fatto innegabile che le collettività statali nascono, crescono, invecchiano e muoiono, e che pertanto nessuna di esse può arrogarsi un primato sui singoli, irripetibili membri dell'unica "collettività" veramente perenne, la specie umana; è la deduzione logica che, in un mondo in cui i confini statali non possono più fermare né i viaggi della speranza degli immigrati clandestini, né i viaggi della morte degli aspiranti kamikaze, soltanto una autorità globale può imporre un ordine, una regola a fenomeni globali. È questo il contenuto dell'«altro libro» che al termine della sua prefazione il generale Fabio Mini augura a Daniele Scalea di scrivere in un 193 prossimo futuro, ma che l'eurasista Scalea, per l'ideologia aberrante che lo muove, non sarà mai capace di scrivere. Quel libro, quell'analisi, quel progetto lo abbiamo scritto noi, e giorno dopo giorno lo stiamo realizzando. 194 PER I MILLE KOSSOVO DEL PIANETA L’UNICA SOLUZIONE È L’IMPERO MONDIALE (28/7/2010) Il parere consultivo reso dalla Corte dell'Aja, secondo cui la proclamazione d'indipendenza da parte del Kossovo «non è in contrasto con la legge internazionale», ha suscitato, oltre alla scontata euforia di Pristina e all'altrettanto ovvia irritazione di Belgrado, una serie di reazioni contrastanti in tutto il Vecchio Continente: baschi e catalani hanno visto nel pronunciamento - giuridicamente irrilevante, ma politicamente esplosivo - una legittimazione della loro voglia di secessione dalla Spagna, slovacchi e romeni sono preoccupati per le ricadute che esso potrà avere in regioni come la Transilvania abitate da cospicue minoranze ungheresi, i greco-ciprioti temono una separazione unilaterale della parte dell'isola invasa e occupata da Ankara, Mosca ha difeso la sovranità serba sul Kossovo pensando al proprio caotico Caucaso... per non parlare dell'Irlanda del Nord, che potrebbe rivendicare a favore di una secessione da Londra il fatto di non avere neppure un confine terrestre comune con la Gran Bretagna. Insomma, la geografia politica dell'Europa potrebbe da ora in poi subire uno sconvolgimento terrificante, con la ripresa di fenomeni terroristici che da anni covavano sotto la cenere e lo scoppio di nuove guerre interstatali. Di fronte a un simile scenario apocalittico noi mondialisti sentiamo il dovere di esprimere, umilmente ma fermamente, il nostro punto di vista. La questione dei mille Kossovo che dilaniano il pianeta, nella sua radice, è la seguente: esiste un diritto umano all'indipendenza? Come è noto, i giuristi distinguono i diritti in tre categorie.: I diritti civili sono quelli proclamati nella "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino" emanata dai rivoluzionari francesi nel 1789 come propri di ogni essere umano, cioè le libertà di pensiero, di religione, di stampa, di immunità da arresti arbitrari. I diritti politici spettano invece ai soli cittadini, e si sostanziano nel diritto di accedere alle cariche pubbliche, di votare ed essere votati. Infine, con il termine diritti sociali si indica il diritto di ogni essere umano a ricevere dallo Stato di residenza una serie di prestazioni monetarie o sotto forma di servizi amministrativi, come l'istruzione pubblica gratuita, l'assistenza sanitaria, sussidi per maternità difficile, invalidità o disoccupazione e così via. Come si può vedere, mentre i diritti "civili" e quelli "sociali" si predicano come attributi di ogni individuo umano, i cosiddetti diritti "politici" sono legati al possesso della qualità di cittadino, vale a dire di membro di un gruppo di uomini organizzato in Stato. Domanda: in quale delle tre categorie rientrerebbe il preteso diritto a rendersi indipendenti da uno Stato già esistente per formarne uno nuovo o unirsi ad un altro Stato? Risposta elementare: IN NESSUNA. I diritti soggettivi, per loro natura, si predicano degli esseri umani in quanto individui; i cosiddetti "diritti collettivi" o "diritti delle minoranze", detti anche "diritti culturali", altro non sono che il diritto dei singoli membri individuali di un gruppo etnico, linguistico, religioso o culturale a una valorizzazione pubblica della propria lingua, religione o cultura all'interno di una comunità statale composta in maggioranza da membri di differente etnia, lingua, religione o cultura. Giuridicamente parlando, non esistono diritti dei gruppi. I gruppi 195 non sono il soggetto del Diritto, ma della Politica. Se così stanno le cose - e non possono che essere così, se la forza degli argomenti che abbiamo portato ha un valore - che senso ha l'affermazione della Corte olandese di "non contrarietà alla legge internazionale" di una proclamazione d'indipendenza coma quella kossovara? In realtà essa discende dalla teoria della uguale sovranità di tutti gli Stati proclamata nel trattato di Vestfalia del 1648, con il quale le potenze europee dell'epoca (il Sacro Romano Impero germanico, la Francia, l'Olanda, la Prussia e la Svezia) misero fine a una trentennale guerra di religione fra cattolici e protestanti; una teoria funzionale alla seconda affermazione fondamentale di quell'antico documento, quella dell'obbligo dei sudditi di uno Stato di scegliere tra l'adeguarsi alla religione del loro sovrano oppure emigrare in un altro Stato (cuius regio, illius religio), e che in pratica non è mai stata osservata né prima di allora né dopo, ddal momento che in ogni epoca storica gli Stati più potenti dal punto di vista militare ed economico hanno esercitato sugli Stati meno ricchi e meno forti un'influenza più o meno palese, se non altro nelle loro decisioni di politica estera, ovvero nello scegliere se considerare un terzo Stato come "amico" o come "nemico", secondo l'insegnamento del politologo nazista Carl Schmitt (le cui abiette scelte politiche non inficiano, purtroppo, la correttezza delle sue più celebri affermazioni teoriche). Del resto, nel Ventesimo secolo appena trascorso abbiamo potuto constatare la violazione del dogma vestfaliano nella forma dell'esistenza di due grandi coalizioni di Stati, l'una guidata da Washington e l'altra da Mosca, in cui l'ideologia del "paese-guida" informava tanto le scelte di politica estera dei "vassalli" quanto la struttura economica, sociale e culturale al loro interno. Insomma, come scrisse il grande filosofo tedesco Hegel, i trattati obbligano gli Stati soltanto rebus sic stantibus, ovvero finché ad essi conviene, e pertanto non sono da considerare propriamente atti giuridici, bensì atti politici. In conclusione, non esiste, giuridicamente parlando, un diritto umano, e tantomeno "naturale", di un gruppo di uomini a farsi Stato e ad essere riconosciuto da altri gruppi umani come indipendente e sovrano. Su queste materie l'unico criterio risolutore, dall'alba dei tempi fino al Giorno del Giudizio, è stato, è e sarà la forza (militare, economica o culturale) comparata dei vari Stati. Né si può biasimare moralisticamente il fatto che esistano Stati pienamente sovrani e Stati a sovranità limitata, protettorati o addirittura colonie: l'Impero di Roma assicurò pace, ordine e prosperità dalla Britannia all'Eufrate per cinquecento anni, e i popoli sottomessi scoprirono presto che la sudditanza a Cesare era abbondantemente ripagata da un sistema amministrativo non esoso, da legioni efficienti, da un sistema di norme che assicuravano uguali diritti civili a tutti e da imponenti spese per la costruzione di acquedotti, terme e altri edifici pubblici che hanno sfidato i secoli; e identico discorso può esser fatto per l'Impero britannico, che da Londra irradiò la civiltà su metà delle terre emerse e su metà della popolazione mondiale, sradicando pratiche vergognose come il rogo delle vedove indiane sulle pire dei mariti - e lasciando alle ex-colonie la preziosa eredità della common law. Anche la sovranità limitata dei membri del Patto di Varsavia, sancita col sangue degli insorti di Budapest e Praga, non era esecrabile in sé, ma per l'ingiustizia radicale dell'ideologia comunista che si rivelava anche nel 196 modo di gestire il dissenso dei "vassalli": gli Stati Uniti d'America, paese-guida dell'Occidente libero, democratico e prospero, affrontarono e risolsero i medesimi problemi in modo ben diverso dall'Unione Sovietica, utilizzando più la loro superiorità culturale ed economica che quella militare, e con ben diverso esito, come dimostra il crollo di questa e la vittoria di quelli. Di conseguenza l'unico mezzo per impedire ai mille Kossovo del pianeta di esplodere, l'unico mezzo per fermare la scia di sangue provocata dalle rivendicazioni indipendentistiche da Pristina a Belfast e dal Daghestan alla Cisgiordania è l'unificazione del mondo sotto il potere militare, economico e culturale di un solo Stato. Solo in un Impero mondiale, che noi auspichiamo sorga un giorno sotto la guida degli Stati Uniti d'America, "dolce terra dei liberi", tutti gli individui umani potranno godere dei medesimi diritti alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità, come pure del diritto ad essere assistiti dallo Stato in situazioni di difficoltà economica o sociale. Purtroppo al momento il popolo americano è prostrato da una crisi economico-finanziaria che dura ormai da tre anni, e subisce ancora il fascino perverso dell'incantatore Barack Hussein Obama. Ma noi mondialisti siamo fiduciosi: lavoriamo sulla scala dei secoli, non sulla scaletta elettorale degli inquilini protempore della Casa Bianca. E comunque le elezioni di mid-term sono alle porte, e allora tutti i nodi - dalla liberalizzazione dell'aborto e della sperimentazione sugli embrioni, fino al servilismo pro-islamista e alla fallimentare conduzione delle guerre in Iraq e Afghanistan - verranno al pettine. 197 SOLO L'IMPERO MONDIALE PUÒ RISOLVERE IL PROBLEMA DEI ROM (18/9/2010) In questi ultimi giorni la decisione presa dal Presidente francese Nicolas Sarkozy di procedere allo smantellamento dei campi nomadi non autorizzati presenti sul territorio della République e al rimpatrio forzoso dei rom colà giunti da Romania e Bulgaria a partire dalla caduta dei rispettivi regimi comunisti nel 1989 e dall'apertura delle frontiere della Unione Europea ha sollevato aspre critiche nei palazzi di Bruxelles abituati a fare la carità con i soldi e le case d'altri (giustamente Sarkò ha risposto alle accuse della commissaria lussemburghese Reding invitandola ad accogliere gli espulsi nel poco popolato e ricco Principato), nelle cancellerie di Italia e Germania preoccupate di un'ulteriore invasione di massa e negli ambienti della sinistra "al caviale" che ha rimproverato alla Francia di aver abiurato alla sua fama di patria della fraternité e della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino. In verità tali accuse rivelano, a chi non abbia gli occhi della mente accecati da pregiudiziali ideologiche, l'esistenza in seno alle società occidentali di un conflitto tra due visioni del mondo completamente opposte l'una all'altra: lo statalismo nazionalista, da un lato, e l'universalismo mondialista, dall'altro. Lo statalismo nazionalista ha avuto origine di fatto proprio in Francia, quando Giovanna d'Arco contestò il diritto, sancito dalle leggi di successione ereditaria, di Enrico VI a unire nella sua persona i due regni di Inghilterra e Francia al grido «La Francia ai Francesi!»; tuttavia la sua origine come principio giuridico risale al 1648, quando il trattato di Vestfalia pose fine alla sanguinosa Guerra dei Trent'Anni tra l'Impero romano-germanico, cattolico, e la coalizione formata dai principi tedeschi protestanti appoggiati da Francia e Svezia, stabilendo l'uguale sovranità di ogni Stato d'Europa, grande o piccolo che fosse. In tal modo si affermò per tre secoli l'idea che ogni Stato, in quanto rappresentante della propria comunità nazionale considerata, volente o nolente, omogenea per razza, lingua, religione e cultura, avesse il potere insindacabile di regolare quanto accadeva all'interno dei propri confini, e all'inverso che i cittadini di uno Stato - cioè coloro che avevano con un certo territorio un rapporto privilegiato derivante dalla più o meno antica residenza degli antenati godessero nei confronti dell'autorità governante di maggiori diritti rispetto agli "stranieri", cioè a quanti in quel territorio fossero ospiti per motivi di affari, di studio o perché emigrati per sfuggire alla miseria o a persecuzioni. Il passaggio dalle monarchie assolute alla democrazia conseguente alle rivoluzioni del 1789 e del 1848, sebbene avvenuto in nome dei diritti dell'uomo, nel consegnare il potere statale nelle mani delle masse popolari ha fatto dell'appartenenza alla nazione il segno distintivo di coloro che avevano il diritto politico di eleggere i governanti, di farsi eleggere e di entrare nella pubblica amministrazione, abolendo così anche le pur minime possibilità di carriera militare, amministrativa e intellettuale godute dagli stranieri nell'Antico Regime in forza del beneplacito regio; è per questo che nell'Europa degli Stati-nazione ottocenteschi si sviluppano contemporaneamente sia l'odio verso gli stranieri e il desiderio di unificare imperialisticamente tutti i popoli 198 considerati come appartenenti alla stessa nazione - il revanscismo in Francia dopo la sconfitta del 1870 ad opera della Prussia, il pangermanesimo, il panslavismo in Russia - sia un crescente antisemitismo diffuso che si manifesta nell'accusa di tradimento all'ufficiale ebreo-alsaziano Alfred Dreyfus e nei pogrom che in Russia, tra la fine del XIX secolo e l'inizio del Novecento, provocano la morte di migliaia di ebrei e la fuga di molti altri verso gli Stati Uniti d'America. Insomma, nella Vecchia Europa i diritti, proclamati come "dell'uomo", sono in realtà i diritti "del cittadino", e di un cittadino che si identifica e si distingue dagli stranieri per la razza, la lingua, la religione e la cultura, in una parola per l'appartenenza o l'estraneità a una determinata nazione. Nessuna meraviglia, dunque, se queste nazioni l'una contro l'altra armate si siano prima gettate nell'orribile massacro della prima guerra mondiale (che fu essenzialmente una guerra civile europea) e vent'anni dopo siano state funestate dal tentativo nazista di sottomettere l'intero continente e di cancellare il popolo di Israele. Né può suscitare scandalo, da questo punto di vista, che i popoli del Terzo Mondo, liberatisi dal dominio coloniale degli Europei, ma imbevuti della stessa ideologia nazionalista, si siano abbandonati per decenni a guerre tribali e a massacri indiscriminati come in Ruanda, e che i musulmani disprezzino, perseguitino e uccidano cristiani, ebrei, induisti e animisti dall'Algeria all'Indonesia: essi stanno semplicemente applicando con coerenza il principio per cui gli esseri umani hanno più o meno diritti, o nessuno, a seconda che siano dentro o fuori la Umma, la nazione islamica, lo stesso principio che l'attuale Papa difende inconsapevolmente quando tuona contro ogni tentativo di fondare un Nuovo Ordine Mondiale che contempli anche l'uso della forza contro terroristi e Stati-canaglia. Proprio le tragiche esperienze del secondo conflitto mondiale, risoltosi nella vittoria della democrazia grazie al decisivo intervento del popolo americano (il quale non solo sacrificò i suoi giovani sulle spiagge della Normandia e sui monti dell'Appennino, ma rifornì di armi, petrolio e grano l'Unione Sovietica permettendole di resistere all'invasione tedesca), e la presa di coscienza dell'abisso della Shoah in cui l'Europa era sprofondata a causa dei molti collaborazionisti allo sterminio, determinarono l'affermarsi di un modello di società radicalmente opposto al nazionalismo statalista: il modello cosmopolitico degli Stati Uniti d'America, un Paese nato in un continente-isola libero e "vergine" dall'unione di uomini e donne provenienti da ogni angolo della Vecchia Europa, da perseguitati religiosi, esiliati politici, gente in cerca di una vita migliore. In quel nuovo Paese, liberi dai pregiudizi nazionalistici delle ex-patrie, questi uomini e queste donne si fusero insieme in un nuovo popolo che aveva per segni distintivi solo la fedeltà a Dio, che aveva dato loro quella Terra Promessa, e alla Costituzione, che garantiva loro uguale libertà e dignità. Non per niente il nome di questa nuova forma di società, melting-pot (crogiuolo), venne coniato dall'ebreo Israel Zangwill come titolo di uno spettacolo teatrale da lui scritto nel 1909 in onore del Presidente Theodore Roosevelt: un adattamento di "Romeo e Giulietta" in cui un giovane immigrato ebreo russo si innamora di una immigrata russa cristiana, la lascia sconvolto quando scopre che ella è figlia dell'ufficiale zarista colpevole del pogrom che lo costrinse a fuggire dalla Russia, ma poi si riconcilia con la fanciulla celebrando con la loro unione la grandezza 199 dell'America, «il grande crogiuolo nel quale tutte le razze d'Europa si fondono e si riformano» e in cui «Tedeschi e Francesi, Irlandesi e Inglesi, Ebrei e Russi... tutti loro si uniranno per costruire la Repubblica dell'Uomo e il regno di Dio». Vediamo così che la politica delle espulsioni varata dalla Francia di Sarkozy e i massacri degli "infedeli" da parte dei seguaci di Allah e Maometto sono entrambi figli della concezione nazionalistica tipica della Vecchia Europa, in cui si proclama sì che «tutti gli uomini sono uguali», ma si agisce come se alcuni, i cittadini, fossero «più uguali degli altri». Per sconfiggere questa visione della società non servono certo i lamenti e le riprovazioni delle anime belle, della sinistra terzomondista o del Vaticano; serve invece inculcare nelle menti e nei cuori degli uomini e delle donne una visione diversa. Solo quando tutti gli uomini e le donne del pianeta avranno compreso di essere membri a ugual titolo di una sola specie, di una sola grande famiglia chiamata Umanità, e costruiranno un Impero mondiale in cui ogni sovranità nazionale sarà abolita e tutti saranno cittadini del mondo, solo allora i rom, i musulmani e tutti gli altri membri di gruppi linguistici, etnici, religiosi o culturali avranno la stessa dignità, potranno vivere e cercare la loro fortuna in qualunque luogo della terra, e se commetteranno dei crimini saranno giudicati come individui e non collettivamente. 200 LA LOTTA TRA ORIENTE E OCCIDENTE IN UN FUMETTO “PER RAGAZZE” (3/8/2011) I molti Italiani che leggono da anni con assiduità e sincero interesse quanto pubblichiamo su questo sito Internet sanno già che noi mondialisti non abbiamo disdegnato di prendere in considerazione opere letterarie, cinematografiche, televisive e perfino fumettistiche, nella consapevolezza che fantasy e science-fiction, lungi dal costituire meri passatempi infantili, rappresentano - come le antiche saghe e leggende - la proiezione dei più profondi e insopprimibili desideri umani, primo fra tutti quello a una comunione umana senza barriere (vedete ad es. gli editoriali "Harry Potter è dei nostri. E anche le Winx" e "Un fumetto pieno di saggezza"). Per questo motivo tali nostri seguaci "della prima ora" non si sorprenderanno se in questi giorni estivi funestati dalla doppia strage di Oslo, dal martirio del popolo siriano e dall'ansia per la sorte economica e politica degli Stati Uniti d'America, noi dedichiamo questo editoriale all'analisi di un fumetto giapponese apparentemente estraneo, anzi completamente agli antipodi rispetto alla tragica serietà degli eventi odierni: il manga "Magic Knight Rayearth", composto da due serie pubblicate originariamente tra il 1993 e il 1996. Come detto, all'apparenza l'opera si presenta come un ibrido tra un fumetto "per ragazze" (shōjo manga), sentimentalistico e sdolcinato, e un'avventurosa storia d'azione. Nella prima serie tre studentesse giapponesi di 14 anni - Hikaru (il cui nome significa "luce" o "fuoco"), Umi ("mare") e Fu ("vento") -, in gita con le rispettive classi alla Torre di Tokio, vengono trasportate magicamente in una dimensione parallela e si ritrovano sul pianeta Sephiro, un mondo che si regge sulla forza di volontà della Colonna Portante; qui le tre ragazze apprendono che l'attuale Colonna, la principessa Emeraude, è stata rapita dal sommo sacerdote Zagato facendo piombare quel mondo nel caos, e che esse sono state convocate allo scopo di adempiere una leggenda: assumere il ruolo di "cavalieri magici" (magic knights), risvegliare dal loro sonno millenario tre giganteschi robot da combattimento - 201 Rayearth, il Guerriero del Fuoco; Ceres, il Guerriero dell'Acqua; e Windam, il Guerriero del Vento - e liberare la principessa affinché pace e ordine tornino a regnare. Da qui la storia segue i canoni classici dei giochi di ruolo di ambientazione medievalistica - quelli, per intenderci, che tanto piacciono a molti giovani maschi occidentali come Breivik, i quali prima si imbottiscono la testa di idee confuse sui «Templari difensori della Tradizione» (quando la verità è l'esatto opposto), poi vagheggiano un ritorno a un mitico Medioevo da romanzetti gerarchico e teocratico, e infine tentano di realizzare i loro sogni a colpi di autobombe e kalashnikov -: le tre ragazze, accompagnate da un buffo animaletto-guida di nome Mokona, incontrano vari personaggi, si procurano delle armi, risvegliano i Guerrieri, affrontano e sconfiggono i servi di Zagato fino a uccidere lo stesso gran sacerdote. A questo punto il classico, melenso finale che tutti si aspetterebbero si rovescia nel suo contrario: le ragazze scoprono che Emeraude non era mai stata rapita, ma si era volontariamente autoreclusa nel vano tentativo di soffocare l'amore per Zagato (sentimento che l'aveva distolta dal suo compito di Colonna Portante, gettando il proprio mondo nel caos), e non potendo né suicidarsi né essere uccisa da un abitante di Sephiro, aveva poi convocato i "cavalieri magici" allo scopo di sfuggire con la morte al suo angoscioso dilemma, e ora, resa folle dalla disperazione, si avventa su di loro per vendicare la morte del suo amato; alle tre eroine, spinte dall'istinto di conservazione, non resta che esaudire il desiderio della principessa dandole la morte, il che le riporta a Tokio un istante dopo la loro "partenza". La seconda serie vede le protagoniste, spinte dal rimorso, incontrarsi nuovamente sulla Tokio Tower e di nuovo essere trasportate nell'universo di Sephiro, che nel frattempo si sta avviando alla completa distruzione per mancanza della sua Colonna, mentre gli emissari di altri tre mondi, spinti dai motivi più vari, ambiscono ad assumere quel titolo; qui le tre ragazze, mentre affrontano in combattimento gli "invasori", riflettono tra loro e con altri personaggi sull'assurdità di un sistema, come quello della Colonna Portante, che sacrifica la vita e la felicità di un singolo individuo al benessere della collettività. Alla fine il buffo Mokona, rivelatosi come il dio creatore di quell'universo e del suo ordine tradizionale e l'artefice della seconda "convocazione", si pone quale arbitro della contesa assegnando la vittoria a Hikaru; ma la giovane terrestre, in accordo con le altre due e con gli amici di Sephiro, decide di abolire il sistema della Colonna Portante e di condividere con il popolo il compito di ricostruire quel mondo e garantirne la pace, in una sorta di Commonwealth esteso agli abitanti degli altri pianeti. Come si può comprendere dal nostro succinto riassunto, e da alcuni "indizi" seminati qua e là dalle autrici - le "maghette" tracciano nell'aria delle grandi stelle di David; una di esse si vanta di esser molto brava nei balli tradizionali e «specialmente nel mayim mayim» (la più famosa danza ebraica); la ragazza che si impone quale leader "naturale" del trio ha un aspetto fisico (statura bassa e capelli rossi) che ricorda, al femminile, i tratti del biblico David da giovane: «fulvo [cioè rosso di capelli], con begli occhi e gentile di aspetto» (1 Sam 16,12) -, i temi affrontati in quest'opera sono carichi di tutta la serietà e la drammaticità del nostro mondo reale che in questa prima decade del Terzo Millennio ha visto il crollo delle Due Torri e la 202 Guerra al Terrore e oggi assiste incerto alla Primavera Araba e all'ascesa apparentemente irresistibile della Cina capital-comunista: il confronto tra l'Oriente collettivista e totalitario, rappresentato dalla triade Mosca-Pechino-Teheran, e l'Occidente ebraico-cristiano fondato sul primato della persona umana e dei suoi inalienabili diritti rispetto allo Stato; l'idea tipicamente orientale per cui «è bene sacrificare uno solo affinché il popolo non perisca» contrapposta al principio-guida dell'Occidente, per il quale il bene del Tutto sociale non può prescindere dal bene di tutti i suoi membri; la lotta fra una Tradizione acriticamente accettata dalla massa, idolum tribus che vuol rinchiudere gli uomini nel proprio angusto e mortifero orizzonte, e la Ragione critica del singolo, immagine del Logos divino, che mette in discussione le convinzioni tralatizie e apre le società a sempre nuovi traguardi di civiltà e promozione umana; il senso della Storia quale cammino di sofferta, ma progressiva e inarrestabile affermazione della democrazia liberale e della politica come "bene comune" (common wealth) di tutti, senza discriminazioni di sesso, classe, razza o religione, rispetto alle vetuste e antiumane concezioni dello Stato come proprietà esclusiva di un monarca o del proletariato o della razza ariana o dei muslims o degli uomini contrapposti ai sudditi o ai borghesi "nemici del popolo" o alle razze "inferiori" o agli "infedeli" o alle donne. Niente male, per essere solo un fumetto "per ragazze"! 203 CONTRO IL WWF DELLE CULTURE (31/10/2011) Nelle ultime settimane noi mondialisti abbiamo ricevuto numerosi messaggi, sia sulla nostra casella di posta elettronica [email protected] che sulla nostra pagina Facebook "Partito Mondialista", da parte di persone che ci accusavano di voler distruggere le religioni cosiddette "tradizionali", "etniche" o "ancestrali" col pretesto di voler secolarizzarle al livello del Cristianesimo, come è nostra intenzione fin dalla stesura del Manifesto del Partito Mondialista nel 2005 (vedi il capitolo II). Queste persone assomigliano agli ambientalisti radicali del Wwf, che meglio sarebbe chiamare "conservazionisti", i quali credono che le specie animali attualmente viventi sulla Terra debbano essere conservate in saecula saeculorum, e che pertanto quelle specie che sono in via di estinzione - in via di estinzione, naturalmente, per colpa dell'uomo cattivo, "il cancro della terra", come lo chiamò vent'anni fa il rappresentante del Wwf in Italia Fulco Pratesi - debbano essere "protette" mendiante l'istituzione di parchi o riserve interdette per sempre all'accesso dell'uomo cattivo; allo stesso modo, questi "conservazionisti culturali" credono che le culture minoritarie stiano scomparendo non perché è legge naturale che le culture, così come le specie viventi, nascano, si sviluppino, decadano e scompaiano, ma perché oppresse dalle culture maggioritarie cattive, e soprattutto dalla cultura che per essi è la più cattiva di tutte, la cultura occidentale liberaldemocratica e capitalistica di origine greco-romanno-ebraico-cristiana, e che pertanto i cattivi capitalisti cristiani abbiano l'obbligo morale di istituire delle "riserve culturali" i cui abitanti dovrebbero esser condannati fino alla fine dei tempi a vivere secondo la cultura "tradizionale" che professano attualmente, senza avere contatti "corruttori" con membri di altre culture. Per dimostrare a chi legge quanto siano buone e degne di esser conservate queste culture e religioni "tradizionali", noi mondialisti adesso vi racconteremo una storia vera: la storia di una strega africana suo malgrado. La chiameremo Ziwa, il nome non è importante, come lei ce ne sono tante in Africa. È nata albina. I suoi genitori non hanno voluto seguire il consiglio degli anziani del villaggio, che li avevano esortati ad abbandonarla nella foresta affinché non attirasse gli spiriti maligni. Così Ziwa è cresciuta nella sua capanna ai margini del villaggio, allevando capre come tutti nella sua regione. Quando Ziwa aveva 25 anni - ed era quindi già una vecchia, in una regione ove l'età media non supera i 38 anni - una capra di proprietà di una donna sua vicina le si avvicinò mentre raccoglieva le erbe con cui lei era solita prepararsi, seguendo i consigli della defunta madre, un unguento per proteggere la pelle chiarissima dai raggi del sole, ne mangiò un po', e poiché quelle erbe contengono un alcaloide mortale per uomini e animali se ingerito, morì all'istante. Ziwa si offrì di cedere una delle sue capre alla vicina per risarcirla della perdita dell'animale, ma quella prima la picchiò, poi si recò dal capovillaggio e la accusò di essere una strega. Il capovillaggio, riuniti tutti i capifamiglia, sentenziò che Ziwa era una strega, che ella usava le erbe per preparare veleni e filtri magici, che la sua presenza aveva adirato gli spiriti buoni degli antenati, e che pertanto era necessario che lei, i suoi animali, la sua 204 capanna e le poche cose che possedeva fossero bruciati per scacciare dal villaggio gli spiriti maligni. Detto fatto, uno stuolo di uomini armati di lance, coltelli e torce accese si recò alla capanna di Ziwa, afferrò la donna, la legò, sgozzò una ad una tutte le sue capre e dette fuoco alle carcasse e alla capanna. Quando stavano per bruciare viva anche lei, Ziwa fu salvata da due missionari comboniani intervenuti in extremis, i quali offrirono 100 dollari al capovillaggio e 20 a ciascuno dei pii capifamiglia convincendoli a ceder loro la donna e a portarla via sulla loro jeep. Oggi Ziwa vive nella missione dei padri comboniani della sua regione, fa da madre a otto bambini abbandonati dalle loro famiglie perché albini come lei, ha imparato a leggere e scrivere, e studia per diventare medico. Questa è la storia di una delle tante vittime delle assurde superstizioni che ancor oggi impestano i cervelli di molti Africani. E da questa storia si possono, si devono trarre due conclusioni: 1) anche contro queste superstizioni, anche per la salvezza delle tante, troppe Ziwa africane, asiatiche e latinoamericane, noi mondialisti lavoriamo per la creazione di un Impero mondiale; 2) se le religioni "tradizionali" insegnano agli uomini che è lecito uccidere uomini, donne e bambini perché albini, o malati di Aids, o semplicemente "diversi" dalla media locale, come insegnano le credenze tribali africane, allora distruggere queste religioni "tradizionali" è non solo lecito, ma doveroso per il bene di quelle stesse popolazioni. E al diavolo i paladini del Wwf culturale. 205 DATAGATE, L'UNICO RIMEDIO È L'IMPERO MONDIALE (27/10/2013) Negli ultimi giorni le "rivelazioni" sapientemente distribuite da Edward Snowden agli organi di stampa circa le attività di intercettazione svolte dalla Nsa (National Security Agency) nei confronti di capi di Stato e di governo della Vecchia Europa hanno sollevato un vespaio di polemiche scandalizzate e spinto politici e opinionisti a pretendere da Barack Hussein Obama non soltanto delle scuse ufficiali, ma addirittura una sorta di messa in mora degli Stati Uniti d'America, un loro "commissariamento" da parte delle cancellerie europee simile a quello esercitato dalla UE nei confronti degli Stati troppo indebitati. Tutto questo scandalo sarebbe semplicemente molto ridicolo, se non celasse una grande ipocrisia e una realtà inquietante. L'ipocrisia sta nel fatto che gli Europei, scandalizzatisi per lo spionaggio USA nei confronti dei loro governanti - e, si presume alquanto temerariamente, anche di semplici cittadini -, non si pongono alcun interrogativo circa una eventuale attività di intercettazione delle loro comunicazioni telefoniche e informatiche da parte della Russia o della Cina o di Paesi islamici come l'Iran. Forse il cekista Putin, che ad ogni inverno minaccia l'Europa di chiudere i rubinetti del gas, e che adesso tiene decine di attivisti di Greenpeace prigionieri con l'accusa di pirateria, è considerato più affidabile di un presidente americano che ordina di intercettare le comunicazioni di sospetti terroristi e dei loro complici e finanziatori? Forse il mandarino capitalcomunista Xi Jinping non spierebbe le industrie europee e americane per carpire segreti utili ad alimentare in modo truffaldino la crescita economica del Drago cinese, mentre lo farebbe il capo del Paese che vanta il maggior numero di premi Nobel per le scienze, che ha inventato i computer e Internet? Forse la retorica melliflua del nuovo presidente-fantoccio iraniano Rohani, già colpevole (per sua stessa, orgogliosa ammissione) di aver mentito ai diplomatici occidentali al fine di far avanzare nascostamente il programma nucleare di Teheran, ha fatto dimenticare agli smemorati Europei che l'Iran possiede già missili capaci di portare testate atomiche sulle loro città? Eppure politici e opinione pubblica del Vecchio Continente si preoccupano soltanto delle spiate da parte di Washington, da parte della "nazione indispensabile", da parte del Paese che li ha liberati dal nazifascismo, che li ha protetti dalle grinfie dell'Orso russo per cinquant'anni, che oggi si assume il maggiore costo economico e in vite umane nella guerra globale al terrorismo islamico. Perché? La verità, l'inquietante, dura verità, è che gli Europei non si considerano più alleati degli Stati Uniti d'America. Dal 1989-1991, anni dell'abbattimento del Muro di Berlino e della dissoluzione dell'Unione Sovietica, gli Europei si sono illusi di non avere più nemici al mondo, di non avere più bisogno di essere protetti dallo scudo militare e politico degli Stati Uniti d'America, e hanno tolto dalla soffitta e rispolverato il loro atavico complesso di superiorità nei confronti degli Americani, da sempre visti come mandriani rozzi e violenti, la Bibbia in una mano e il Winchester nell'altra, persuasi ingenuamente, addirittura!, di essere la "città sulla collina", il popolo scelto da Dio per portare al genere umano libertà, democrazia e progresso... 206 La verità è che gli Europei, di destra, di sinistra e di centro, si sentono una "colonia" dell'America, e hanno una dannatissima voglia di buttarsi fra le braccia di Putin, dei mandarini cinesi, degli ayatollah iraniani, di chiunque essi pensano possa liberarli dalla sudditanza nei confronti di Washington e restituire loro il primato perduto da quando, impantanati nelle trincee della prima guerra mondiale, furono costretti a invocare l'intervento degli yankees per impedire alla Germania di conquistare l'intera Eurasia da Lisbona a Vladivostok. La verità è che gli Europei non hanno mai sopportato l'American way of life, il primato dell'individuo sulla collettività, la preferenza verso il mercato e la concorrenza piuttosto che verso uno Stato protettore e guardiano asfissiante, l'enfasi data alla libertà piuttosto che all'uguaglianza, l'ammirazione per chi giunge in cima alla scala sociale grazie alla ricchezza accumulata col sudore della fronte invece che per ereditarietà; e per questo essi si sono sempre sentiti, e si sentono oggi, più vicini ai regimi comunitaristici e totalitari della Russia, della Cina e dei Paesi islamici che alla democrazia liberale d'Oltreoceano. La conclusione che si deve dunque trarre è che oggi, come nel 1914, come nel 1938, gli Stati Uniti d'America - se si fa eccezione da Israele, Stato liberaldemocratico sì, ma troppo piccolo per esercitare un'influenza a livello globale sono l'unico Paese del mondo a conservare un sistema sociale e politico fondato su Libertà, Democrazia e Diritti dell'Uomo, e ad avere il potere economico, propagandistico e soprattutto militare necessario per esportare tale sistema di vita al resto del genere umano. Per questo noi mondialisti continueremo a operare affinché il popolo americano si liberi al più presto dall'incantesimo schiavizzante del pifferaio Barack Hussein Obama, si dia un Comandante in Capo degno di questo nome, e riprenda a combattere la buona battaglia per liberare il genere umano da tutti i tiranni e i dittatori, laici e teocratici, e costruire l'Impero mondiale che assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Soltanto allora, quando non ci saranno più molti Stati-nazione sovrani in competizione l'uno contro l'altro, ma un solo Stato mondiale, solo quando gli uomini non si considereranno più nemici perché abitano sulle rive opposte di un fiume o dai lati opposti di una catena montuosa, soltanto allora non ci sarà più alcun Datagate, perché gli uomini e le donne di tutto il pianeta si tratteranno l'un l'altro come membri di una sola patria, il mondo. 207 L'IMPERO "ANTIMPERIALISTA" DEL MALE (19/1/2014) L'accusa che viene rivolta più frequentemente contro noi mondialisti è di essere degli "imperialisti", ovvero, secondo i nostri avversari, di voler instaurare su tutto il genere umano il dominio imperialistico di una sola nazione o etnia, volta a volta identificata con il popolo degli Stati Uniti d'America, o con gli "anglosassoni", o con la famigerata "lobby giudaico-massonica", quando non addirittura con gli Hyksos o i Cro-Magnon o i discendenti di Atlantide, o con qualche razza di rettiloidi come pensa quel buontempone di David Icke... Ora, a parte la stupidità di chi attribuisce velleità etno-imperialistiche a un popolo come quello statunitense che storicamente si è formato dalla mescolanza di individui provenienti da etnie diverse (il melting pot), ciò che merita una attenta riflessione è il fatto che i nemici del mondialismo si autodefiniscano "antimperialisti", laddove essi sono i tristi epigoni di ideologie su cui sono stati fondati imperi di terrore e morte. Pensiamo ad esempio agli antimondialisti "di destra": non si ricollegano essi forse al fascismo mussoliniano e soprattutto al nazionalsocialismo hitleriano, due correnti di pensiero che hanno spinto la Germania e l'Italia a muovere guerra ad altri popoli, a sottomettere quasi tutta l'Europa, a massacrare milioni di innocenti sol perché membri di nazioni considerate inferiori e indegne di esistere? Eppure eccoli lì, su riviste e siti Internet, a strillare contro il "pensiero unico" imposto dagli States, a predicare la "libertà dei popoli di autogovernarsi", a sostenere l'uguale dignità di tutte le culture, compresa quella islamica che predica come dovere del "vero credente" lo sterminio di ebrei e cristiani. Discorso analogo vale per gli antimondialisti "di sinistra", i quali, fingendo di aver dimenticato che l'Unione Sovietica ha costruito sull'ideologia marxista-leninista un impero esteso su tutta l'Europa centro-orientale che è durato per settant'anni, e represso nel sangue ogni tentativo di rivolta o anche solo di riforma pacifica, oggi si alleano anch'essi con i terroristi di Hamas e con i tagliagole talebani sostenendo - come ha fatto recentemente la giornalista del "Manifesto" Geraldina Colotti - che «dopo la scomparsa dell'Unione sovietica la bandiera dell'antimperialismo e della questione sociale è stata ripresa dai movimenti islamici». Per non parlare degli eurasisti e del loro vate, il nazionalbolscevico Alexander Dugin, che nel suo libro-oracolo La Rivoluzione conservatrice in Russia si scaglia contro la "globalizzazione unipolare dominata dagli Stati Uniti", ma nel contempo vaticina l'avvento di un impero eurasiatico governato dalla triade MoscaPechino-Teheran, e non si vergogna di chiamarlo addirittura «il Regnum», o anche «l’impero della Fine». Quindi i nemici "antimperialisti" dell'Impero mondiale per cui noi Templari lavoriamo sono non soltanto nostalgici di imperi passati, ormai morti e sepolti nella polvere della Storia, ma addirittura si fanno sostenitori e profeti di imperi futuri; ma di quale "antimperialismo" essi parlano, allora? In verità il concetto di "impero", come molte altre nozioni della scienza politica, non è affatto monolitico e univoco, ma plurisenso. Esistono infatti, storicamente e teoricamente, due modelli antitetici di impero: ci sono imperi come quello persiano di Ciro il Grande, che garantì libertà di culto a tutti i popoli sottomessi, autorizzò gli 208 Ebrei a tornare nella loro terra e finanziò la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, o come quello creato da Roma, che unì genti diverse sotto un'unica legge e assicurò a gran parte del mondo allora conosciuto cinque secoli di pace e ordine, o come l'impero britannico che portò la civiltà a mezzo miliardo di esseri umani; e ci sono imperi di altro stampo, come quello degli Assiri, che deportavano e sterminavano chiunque rifiutasse di prosternarsi a Marduk, come il Califfato islamico che per secoli ha ridotto ebrei, cristiani e indù allo stato di dhimmi, sudditi di serie B oppressi da tasse e persecuzioni, o come appunto il Terzo Reich nazista e l'Urss comunista, che hanno sterminato milioni di esseri umani in nome della lotta contro le "razze inferiori" e contro i "nemici di classe". La differenza fra queste due forme opposte di impero sta nel fatto che gli imperi del primo tipo si fondavano sul primato dell'individuo rispetto all'etnia di origine, e quindi sull'uguale dignità di tutti i cittadini davanti alla legge (fosse essa espressione della volontà di un uomo o di un parlamento), mentre gli imperi del secondo tipo si fondavano, all'opposto, su un preteso primato dell'etnia (basata sui criteri del territorio, o del sangue, o della religione, o dell'economia), da cui derivava logicamente la costruzione di una società organizzata secondo livelli gerarchici, in cui i cittadini avevano differenti diritti e doveri a seconda della loro appartenenza territoriale o nazionale o religiosa o di classe. E la conferma di questa analisi è offerta ancora una volta dall'eurasista Dugin, quando afferma che «nel sistema mondiale eurasista la fondamentale figura storica agente non è l’individuo, ma la comunità, l’ethnos, la cultura, la formazione sociale organica», esattamente all'opposto di quanto avviene nell'Occidente che egli avversa e vuole distruggere. In conclusione, la guerra che si combatte da secoli tra mondialismo e antimondialismo non è un conflitto tra un "imperialismo" visto sic et simpliciter come cattivo e un "antimperialismo" considerato per se stesso come sempre buono, bensì una lotta tra due modelli di società, uno basato su libertà e uguaglianza, l'altro su schiavitù e disuguaglianza. Per questo noi mondialisti non ci lasceremo intimorire dalla retorica flautata degli imperialisti antimperialisti, ma continueremo nella nostra opera di illuminazione delle menti e dei cuori degli uomini e delle donne del nostro tempo, affinché comprendano la bontà e l'inevitabilità del cammino storico che sta portando il genere umano, lentamente ma sicuramente, verso l'unificazione in un solo Stato o Impero mondiale, nel quale non ci sarà più «né Giudeo né Greco, né schiavo né libero, né uomo né donna», perché tutti saranno una cosa sola, cittadini uguali davanti ad un'unica legge. 209 HEIDEGGER, ANTISEMITA PERCHÉ ANTIMONDIALISTA (22/1/2014) Un terremoto sta scuotendo il mondo ovattato della filosofia internazionale da quando l'editore tedesco Klostermann, poco più di un mese fa, ha annunciato l'imminente pubblicazione dei "Quaderni neri" di Martin Heidegger, il diario segreto che egli vergò su taccuini dalla copertina nera - da cui il nome - per più di quarant'anni, dal 1931 fino al 1975 (l'anno precedente alla sua morte). Il motivo di tanto can-can è duplice: in primo luogo, fino a poco tempo fa quasi nessuno conosceva l'esistenza di questo diario composto in totale da 33 quaderni (a marzo ne verranno pubblicati tre); ma ciò che più intriga è la ridda di indiscrezioni, trapelate più o meno ufficiosamente, in merito al loro contenuto, che è sembrato subito poter gettare luce su un aspetto sinora oscuro della vita e del pensiero di questo famigerato (per i detrattori) o famoso (per i discepoli sfegatati) filosofo nazista: stiamo parlando del suo vero o presunto antisemitismo. Che Heidegger abbia aderito al nazionalsocialismo fin dalla presa del potere da parte di Adolf Hitler è cosa nota, come è risaputo ch'egli, al momento della nomina a rettore dell'Università di Friburgo, pronunciò un discorso apertamente celebrativo del nuovo regime, attribuendogli nientemeno il merito di aver avviato il ritorno della filosofia alle sue origini (ovvero a quella "aurora del pensiero" da lui identificata con la dottrina parmenidea dell'eternità dell'Essere uno e immobile, prima che il "parricidio" di Platone spostasse l'attenzione degli uomini dall'ascolto oracolare della voce dell'Essere allo studio della natura e delle proprietà dei singoli enti), e che durante l'anno o poco più in cui tenne la carica si adoperò zelantemente per applicare le direttive naziste sulla "purificazione" della cultura tedesca da contaminazioni ebraiche, facendo bruciare libri scritti da autori ebrei e privando della cattedra numerosi docenti di ascendenza ebraica; ma sino a oggi la questione se egli fosse anche personalmente antisemita è rimasta sospesa nell'incertezza, con i seguaci della filosofia heideggeriana sempre pronti a respingere ogni accusa e a sostenere che il loro venerato maestro abbia peccato, al più, di opportunismo, di ambizione carrieristica, ma che mai, mai egli abbia condiviso nel suo intimo le dottrine razziali nazionalsocialiste, e che soprattutto il suo pensiero filosofico sia immune da ogni macchia di connivenza con simili abomini... Ma oggi, appunto, sembra che i "Quaderni neri" possano dissipare le ombre, far luce su questo mistero annoso. È proprio così, o si tratta di gossip, di voci senza fondamento? In verità noi mondialisti, grazie ai nostri numerosi "occhi privati", abbiamo potuto leggere in anteprima questi diari, e possiamo qui dirvi non soltanto che Martin Heidegger era un antisemita convinto, ma anche perché lo era. Nei "Quaderni neri" Heidegger si scaglia molte volte contro quel che egli chiama Weltjudentum, l'«ebraismo mondiale». Le accuse da lui rivolte agli Ebrei ruotano essenzialmente intorno a due poli concatenati fra loro: 1) per Heidegger il pensiero ebraico è esclusivamente calcolante, è un pensiero "ossessionato dal calcolo", e per tal motivo esso è per lui la causa della decadenza 210 della filosofia e dell'umanismo e dell'avvento di quella che egli chiamò «civiltà della Tecnica», in cui l'uomo, ubriacato dalla "volontà di potenza", si illude di poter manipolare tutte le cose a suo arbitrio, fino a trasformare il mondo intero in una realtà completamente artificiale o anche a distruggerlo. Era già noto che per Heidegger la civiltà della Tecnica era rappresentata in modo preminente dal capitalismo degli Stati Uniti d'America e dal bolscevismo sovietico, e che nel dopoguerra egli mise nello stesso mazzo anche il nazismo, parlando della capacità dell'uomo moderno di fabbricare in massa, indifferentemente, beni di consumo o cadaveri; ma adesso risulta chiaro che la fonte di questa diabolica "volontà di potenza" era da lui individuata appunto nell'attitudine degli Ebrei, le vittime dello sterminio nazista, verso il solo "pensiero calcolante". Qui si rivela come la filosofia heideggeriana si inscriva in quel filone dell'antisemitismo europeo basato sull'accusa di «avidità» che inizia dal Medioevo e dai sermoni di Martin Lutero, prosegue con il Marx de La questione ebraica secondo il quale «il dio che gli ebrei adorano è il denaro», e sfocia ai primi del '900 nella contrapposizione delineata da Werner Sombart fra «mercanti» ed «eroi» e da Oswald Spengler fra civiltà basate sul potere del denaro e civiltà basate sul potere della spada; in sostanza, l'accusa che Heidegger rivolge agli Ebrei è di essere stati all'origine della moderna società capitalistica basata sul libero mercato, che ha sostituito alle gerarchie immutabili basate sulla nobiltà di nascita e sulla religione l'uguaglianza di tutti i cittadini in una società fluida ("liquida", secondo la definizione oggi di gran moda coniata da Zygmunt Bauman), nella quale ognuno può, pagando, ottenere beni e servizi, ovvero farsi servire dai propri simili, e chiunque, grazie ai propri talenti e alla propria inventiva, può salire fino ai gradini più alti della scala sociale; 2) ma l'accusa più forte, più radicale, l'accusa "metafisica" che Martin Heidegger rivolge agli Ebrei è di aver provocato l'Entwurzelung des Seins, lo «sradicamento dell'Essere». Si sapeva già, fin dalla pubblicazione nel 1927 della sua opera capitale Essere e tempo, che per Heidegger l'Essere, questa entità sovraumana e sovradivina che è al centro di tutta la sua speculazione, si manifesta nel mondo secondo le categorie dello spazio e del tempo, ossia attraverso la pluralità dei popoli, distinti per i territori diversi da essi abitati, che volta a volta, nella storia, impongono la loro peculiare civiltà; ed era noto pure che nel famoso/famigerato discorso di inaugurazione del rettorato egli aveva richiamato il popolo tedesco a essere fedele al destino storico nascente dal proprio essere "qui e ora". Adesso diventa definitivamente chiaro che per lui la "fedeltà" di un popolo al proprio "destino" nasceva dal "radicamento" nella terra, nel territorio tradizionalmente abitato, e che dunque gli Ebrei, in quanto popolo "sradicato" (che tale "sradicamento" non sia stato affatto volontario, bensì subìto per la violenza dei popoli da cui furono assoggettati e dispersi, dagli Assiri ai Greci ai Romani, non sembra importare molto al cinico Heidegger) e "messianico", erano da lui visti come gli artefici di un complotto volto a "sradicare" tutti i popoli e a creare una società planetaria cosmopolitica; e anche la "fissazione" ebraica per il calcolo e la misurabilità di tutte le cose, già analizzata sopra al punto 1), deriva per Heidegger appunto dalla natura "sradicata" del popolo 211 ebraico, che porterebbe i suoi membri a trascurare qualsiasi distinzione qualitativa fra gli uomini e a omologarli tutti in una società globale e anonima di produttoriconsumatori. In conclusione, la duplice domanda che ci siamo posti all'inizio ha trovato risposta: Martin Heidegger era antisemita, ed era antisemita in quanto antimondialista, in quanto nemico della società aperta globale, fondata sul libero commercio e sull'uguale dignità di tutti gli individui umani, che costituisce il traguardo verso cui la Storia, ministra dei decreti dell'Altissimo, sta conducendo il genere umano, e di cui gli Ebrei, come mercanti e come esuli, sono stati gli involontari ma provvidenziali annunciatori. Ce ne offre conferma un passo di un libro recentemente pubblicato, intitolato Terra e mare: riflessioni di geopolitica e geodiritto a partire da Carl Schmitt - da noi già segnalato qui - con il quale siamo in piena sintonia: «Gli ebrei dispersi in tutta l’Europa tardo-romana, interdetti per legge imperiale dal coltivare i campi, dall’arruolarsi nell’esercito e da tutte le attività considerate “pure” dai cristiani, dovettero sostentarsi esercitando la custodia e il prestito di denaro a interesse; condannati per secoli quali avidi profittatori, costoro ebbero tuttavia il merito storico di fornire capitali al commercio marittimo e alla Rivoluzione industriale, facendo dell’Inghilterra (dove, a causa della Riforma e dell’anglicanesimo, si era verificato un recupero della tradizione veterotestamentaria in ordine alla valorizzazione del lavoro quale forma di “ascesi intramondana” e alla prosperità economica come segno della benedizione divina) il nuovo centro del potere e della ricchezza mondiali... ...Quando, conquistata l’indipendenza da parte delle colonie inglesi del Nordamerica e proclamata in Francia la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen che sancì la fine dell’Antico Regime, gli ebrei ottennero parità di diritti civili e di accesso agli studi universitari, la loro condizione esistenziale di “sradicati” li collocò nella posizione spirituale idonea per sviluppare un pensiero letterario, economico, scientifico, sociale e giuridico non legato alle categorie politiche del sangue e del suolo, ma orientato secondo categorie generali, universalistico... È questa la dote che il popolo ebraico in particolare, e in generale tutti i déracinés della terra portano al mondo – per la forza degli eventi, certamente; ma chi crede, con Eraclito, che il mondo non è «un mucchio di cose gettate a caso», riconosce pure che esso è «com’è necessario che sia» –: la capacità di astrarre dalla propria situazione particolare, dal proprio essere qui ed ora, in questo o quest’altro modo (Da-Sein) e di sollevarsi ad una piena consapevolezza della condizione umana in generale, in ogni luogo e in ogni epoca della storia». È per questo che il Partito Mondialista difende e difenderà sempre il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità di tutti gli individui umani, e insieme, senza contraddizione, il diritto all'esistenza dello Stato di Israele come Stato degli Ebrei e per gli Ebrei: perché lo Stato di Israele, lungi dal fondare la propria esistenza e legittimità su una comunanza escludente di razza, lingua, costumi o religione, è uno 212 Stato aperto a uomini e donne di ogni etnia, di ogni religione; l'unico Stato del Medio Oriente da cui i cristiani non fuggano con terrore, ma in cui anzi si rifugino volentieri e aumentino di numero; l'unico Stato del pianeta, insieme all'America (almeno prima ch'essa fosse incantata dal pifferaio Obama e cadesse nella Grande Apostasia di rifiutare la propria missione storica) che si erga come sentinella della libertà e della democrazia di fronte alla minaccia costituita dall'Asse del Male Mosca-PechinoTeheran, e che per questo rappresenta l'anticipazione profetica dell'Impero mondiale venturo, in cui tutti gli individui umani avranno gli stessi diritti e i medesimi doveri, a prescindere dal sesso, dalla razza e dalla religione che professano: un solo Stato per una sola famiglia, il genere umano. 213 SOLO L'IMPERO MONDIALE PUÒ FERMARE LE STRAGI DEL MEDITERRANEO (22/04/2015) Il recentissimo naufragio avvenuto nel Canale di Sicilia di un barcone carico di immigrati, con la morte per annegamento di più di 700 di loro, non è che l'ennesima stazione di una via Crucis che si consuma da anni nelle acque del Mediterraneo, di quel mare che per settecento anni ha unito le due sponde dell'impero di Roma, e che da quattordici secoli divide un'Europa ormai sempre meno cristiana da un Islam sempre più aggressivo, intollerante e ansioso di "riscattare" la propria inferiorità politica, scientifica, economica e morale nei confronti dell'Occidente sterminando tutti i non-islamici, cristiani ed ebrei in primis. Come spesso accade, tuttavia, l'attenzione sollevata dai grandi mezzi di comunicazione ha spinto il mondo politico e intellettuale europeo, e in particolare in Italia, a iniziare la solita immonda gazzarra da salotto che durerà lo spazio d'una settimana, in cui ogni deputato, ministro, poetucolo dal grande ego e dai pochi lettori (ogni riferimento al signor Erri De Luca è puramente volontario) e presidente di Ong strabico-umanitarie propone la soluzione ritenuta migliore per porre fine al "dramma", alla "strage". Sempre molto gettonata presso la Sinistra radical-chic è la proposta del "corridoio umanitario": aprire sedi dell'Unione Europea nei Paesi dell'Africa subsahariana e del Medio Oriente nei quali transitano i profughi per espletare in loco le procedure burocratiche volte ad accertare, per ciascuno di essi, la titolarità o meno del diritto di chiedere asilo. È un'idea che piace, appunto, soprattutto alla gauche au caviar, a quegli intellettuali ciecopacifisti che si indignano per la morte di un palestinese solo quando c'è di mezzo Israele e non quando è colpa del Califfato, e che di nero nella loro vita hanno visto soltanto i costosissimi tubini di Armani delle loro mogli e la faccia dei loro camerieri; non piace invece alla grandissima maggioranza della popolazione europea, ben consapevole non soltanto dell'effetto eversivo che avrebbe l'afflusso di milioni di musulmani in un continente la cui civiltà è ancora, suo malgrado, fondata sul Cristianesimo, ma anche dell'impossibilità per lo spazio geoeconomico europeo - già densamente abitato e fortemente urbanizzato - di accogliere simili enormi masse umane, senza la possibilità di assicurare loro quello standard di prestazioni socio-sanitarie e di opportunità lavorative che gli Stati dell'UE riescono a malapena a garantire ai propri cittadini. In questi giorni, presso gli analisti più saggi, sta acquistando maggior favore l'opzione "blocco navale", alla quale politicanti di destra affiancano lo slogan "bombardiamo le navi degli scafisti!". Certamente uno schieramento di navi militari presso le coste nordafricane, con l'ordine tassativo di respingere con la forza ogni imbarcazione non autorizzata, accompagnato da una accorta campagna mediatica di dissuasione, potrebbe scoraggiare molti dal versare somme di denaro spesso ingenti nelle mani dei trafficanti di carne umana: l'Australia, con questo sistema chiamato "Stop the Boats", ha ridotto in un solo anno del 90% il numero degli sbarchi clandestini sulle proprie coste. Né ci si può lasciar incantare dalla retorica dei soliti pseudogiuristi sempre pronti a brandire l'articolo 11 della costituzione italiana 214 (l'abusato "ripudio della guerra") e a evocare scenari apocalittici qualora flotte europee invadessero le acque libiche, perché l'alternativa è chiara: o si decide di lasciar entrare tutti, oppure si agisce coerentemente per impedire l'ingresso a chi non ha il diritto di entrare. Fin quando il genere umano sarà diviso in cento e più nazioni sovrane, ognuna di esse conserverà il diritto "profano" di preservare l'integrità etnica del proprio popolo, e di discriminare pertanto, secondo il numero, il censo, l'etnia o la religione, gli stranieri che chiedono il permesso di stabilirsi all'interno delle loro frontiere. L'unica soluzione al dramma umanitario delle "carrette del mare", a nostro parere, non è comunque un blocco navale, per quanto ben congegnato. La soluzione definitiva si avrà solo quando l'Occidente, tutto intero, prenderà coscienza della sua missione storica: esportare nel mondo la sua superiore civiltà, la civiltà di Aristotele e di Gesù Cristo, la civiltà di Atene, Roma e Gerusalemme, la civiltà della libertà, della democrazia e dei diritti dell'uomo, al fine di creare uno Stato o Impero mondiale che assicuri a tutti gli individui umani pace e prosperità. Per realizzare questa altissima e nobile missione sarà necessario muovere guerra a tutti i regimi tirannici, dittatoriali e teocratici che, opprimendo i loro popoli e aggredendo i propri vicini, sono all'origine delle fiumane di disperati che si dirigono verso il Nord del pianeta; una guerra senza quartiere, che comporterà inevitabilmente molte perdite da entrambe le parti, ma che tuttavia è l'unica strada per far sì che il Mediterraneo, come tutti gli altri mari e oceani solcati dai viaggi della speranza, torni a essere ciò che era al tempo degli antichi Romani: non un vallo di separazione, ma un ponte di passaggio, un mezzo di comunicazione fra parti diverse di un solo mondo unito e in pace. 215 L'ITALIA MAFIOLEGHISTA IN UN RACCONTO DI PISTOLERE (16/10/2015) Dall'alba della storia fiabe e leggende sono state il mezzo attraverso cui gli uomini hanno dato espressione ai loro sogni, hanno esorcizzato i loro fantasmi, hanno immaginato un mondo libero dalle contraddizioni e dalle violenze della quotidianità. I molti Italiani che leggono da anni con assiduità e sincero interesse quanto pubblichiamo su questo sito Internet sanno già che noi mondialisti non abbiamo disdegnato di prendere in considerazione opere letterarie, cinematografiche, televisive e perfino fumettistiche, nella consapevolezza che fantasy e science-fiction, lungi dal costituire meri passatempi infantili, rappresentano - come le antiche saghe e leggende - la proiezione dei più profondi e insopprimibili desideri umani: desideri di unità, di benessere, di pace, di una comunione umana senza barriere (vedete ad es. gli editoriali Harry Potter è dei nostri. E anche le Winx e La lotta tra Oriente e Occidente in un fumetto "per ragazze"). Del resto, anche il grande filosofo Hegel riteneva che al di là delle contingenze e delle meschinità del presente ci dovesse essere per l'uomo una «domenica della vita», un luogo-tempo in cui alzare lo sguardo e contemplare il mondo sub specie aeternitatis, con l'occhio di Dio. Per tale motivo abbiamo deciso di dedicare questa pagina ad esporvi genesi e sviluppo di uno dei più grandi successi editoriali dell'ultimo decennio, un'opera di cui noi mondialisti andiamo giustamente fieri: "Gunslinger Girl". Ma andiamo con ordine. Era il 1996 quando i nostri "occhi segreti" nel Sol Levante ci segnalarono un giovane studente universitario di nome Yutaka Aida, che faceva parte del "Circolo di Studi sui Manga" e disegnava storie a fumetti su alcune fanzine (riviste per appassionati); il ragazzo era timido e impacciato, ma aveva talento, e dopo esserci sincerati della sua dirittura morale e del suo scarso attaccamento al denaro - tre secoli di esperienza ci avevano ammonito a non rischiare di produrre un nuovo Francis Bacon - decidemmo di "agganciarlo". Il patto che gli proponemmo era chiaro e vantaggioso per entrambi: noi mondialisti gli avremmo 216 dato fama e successo, e in cambio lui avrebbe realizzato una storia con i contenuti da noi scelti. Fu così che Yu Aida trascorse diciotto mesi alternandosi fra le aule universitarie ed il nostro Vivarium, acquisendo quelle conoscenze e quei valori che, uniti alla sua fertile fantasia, trasfuse prima in un racconto breve di 48 pagine pubblicato dal 1998 al 2000, e poi, una volta assunto da una prestigiosa rivista mensile, in una serie durata ben dieci anni, dal 2002 al 2012, che gli ha assicurato fama perenne e numerosi premi: una storia ambientata nell'Italia contemporanea, scossa da scontri di piazza e attentati terroristici e governata da un Presidente del Consiglio che possiede il 70% dei mezzi di comunicazione, in cui un Ente per il Benessere Sociale, ufficialmente dedito al reinserimento di persone disabili, segretamente ottiene in affidamento ragazzine menomate nel corpo e nello spirito (una è stata stuprata da un serial killer in mezzo ai cadaveri ancora caldi dei propri familiari; un'altra investita con l'automobile dal padre in bancarotta al fine di riscuotere un'assicurazione sulla sua vita; un'altra ancora salvata in extremis da uno "snuff movie" della camorra; e così via), le potenzia con arti e organi biomeccanici, le sottopone al lavaggio del cervello e le affida a istruttori-supervisori per addestrarle a divenire spietate e insospettabili killer di Stato. Ciò che caratterizza "Gunslinger Girl" è proprio il riferimento costante e preciso all'ambiente sociale, culturale e antropologico del Bel Paese, realizzato dall'autore grazie al supporto fornito dai nostri analisti - i quali in quel periodo si stavano distinguendo onorevolmente anche nell'Operazione Rainbow, "persuadendo" Iginio Sraffi ad assegnare il ruolo principale all'apolide Bloom -. Oltre al ritratto iperrealistico, a fine di "avvertimento", di un Silvio Berlusconi che già iniziava a inclinare pericolosamente in senso putinista, il nostro contributo si esplicò principalmente nella scelta dell'Antagonista, il nemico n.1 delle ragazze con la pistola, ancora più pericoloso di mafiosi e trafficanti d'armi: il Movimento delle Cinque Repubbliche, un'organizzazione paramilitare che persegue con la violenza la divisione dell'Italia in cinque Stati indipendenti, la cui manovalanza è composta da funzionari corrotti, anarchici, reduci delle Brigate Rosse, idealisti convinti che Roma ladrona succhi i soldi dei laboriosi nordisti per elargirli ai parassiti del Sud... ma i cui capi, le "teste pensanti" che muovono le fila nell'ombra, sono un gruppo di grossi industriali del Nord Italia timorosi della globalizzazione, i quali vogliono creare una Padania autarchica per continuare a vendere i loro prodotti in condizioni di monopolio. Attraverso questa veste grafico-narrativa intendevamo mettere in guardia il popolo italiano contro le macchinazioni secessioniste della Lega Nord di Umberto Bossi e dei suoi sodali in camicia verde, smascherando i meschini interessi economici celati dietro le rivendicazioni etno-folkloristiche, e facendo comprendere ai lettori attenti che l'unificazione del genere umano in un solo Stato mondiale è l'unica via per superare i conflitti fra le classi e le diffidenze fra i popoli. Non a caso, alla fine della storia, la giovane procuratrice della Repubblica che, adempiendo a un lascito testamentario, accetta di farsi impiantare un ovulo congelato di una delle "pistolere" fecondato dal seme del "fratello" di questa, e di dare alla luce una bambina cui dà nome Speranza, la porta a vivere con sé negli Stati Uniti d'America, il Paese del melting pot, la terra della libertà, dell'uguaglianza e delle 217 opportunità: e proprio la giovane Speranza, divenuta attrice e insignita del premio Oscar, pronuncia la frase conclusiva del racconto: "Nonostante tutto, la speranza continuerà ancora ad abitare questo mondo". È la stessa speranza, che è certezza delle cose future, che anima e guida noi mondialisti: la certezza della dissoluzione, sempre più vicina, dei vetusti Stati etno-nazionali; la certezza del tramonto ormai imminente degli odi razziali; la certezza della fine, presto o tardi, di persecuzioni, guerre e genocidi, e dell'avvento dell'Impero mondiale che apporterà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. 218 PERCHÉ L'OCCIDENTE DOMINA IL MONDO (25/05/2016) Soltanto un folle o un bugiardo potrebbe sostenere che oggi, nel terzo millennio dell'era cristiana, l'Occidente non domini il mondo. La rete informatica della quale vi state servendo, non è forse una creazione occidentale? E il nome con cui essa è conosciuta, Internet o World Wide Web o The Net che sia, non è forse pronunciato da tutti in una lingua occidentale? Non sono forse stati Paesi, governi e popoli occidentali a colonizzare l'Africa e l'Asia? I vaccini che vi proteggono da malattie mortali, non sono forse stati creati e voluti da menti occidentali? E le canzoni che ascoltate, i film che vedete, i divi e le dive che ammirate, non sono forse occidentali per nascita o per adozione? Il diritto di eleggere i vostri governanti, per il quale molti di voi sono pronti a morire, non è forse un frutto del pensiero politico occidentale? E infine lo stile di vita che desiderate, fatto di libertà, uguaglianza di opportunità, apertura di frontiere, fratellanza senza confini, non è forse lo stile di vita creato dall'Occidente? Sorge a questo punto una domanda legittima: perché l'Occidente domina il mondo? Perché sono stati i popoli occidentali a colonizzare il resto del mondo, e non viceversa? Perché gli Apache o i Navaho, perché gli Incas o gli Aztechi non hanno costruito delle caravelle, non hanno attraversato l'oceano e non sono sbarcati sulle coste del Portogallo o dell'Inghilterra? E perché Indiani, Cinesi e Giapponesi non hanno imposto al resto del genere umano la loro lingua, la loro religione e il loro stile di vita, come invece ha fatto l'Occidente? Sarebbe facile, per noi Templari che crediamo nel vero Dio, rispondere a queste domande con un lapidario «Perché il Signore Dio ha voluto così, punto e basta!», così come i genitori rispondono ai tanti «perché questo? perché quello?» dei propri figli con un perentorio «perché sì!»; facile, ma non certo degno della natura umana, di esseri creati da Dio a immagine del Suo Logos affinché conoscessero se stessi e il mondo con le sue leggi, e dalla bellezza della Creazione giungessero a contemplare la saggezza del Creatore. Del resto, come insegna il Dottore Angelico, ciò che è primo nell'ordine della realtà (Dio) è l'ultimo nell'ordine del pensiero e viceversa, in quanto, essendo l'uomo unità di anima e corpo, cioè di Spirito e Materia, è necessario per l'intelletto umano cominciare dalle cose avvertibili con i sensi e da lì procedere alla scoperta delle realtà soprasensibili, dalla fisica alla metafisica, fino a giungere alla Causa Prima di tutte le cose. Pertanto anche noi mondialisti, in questo editoriale, tenteremo di rispondere alla domanda "perché l'Occidente domina il mondo?" analizzando in primo luogo le cause materiali del primato dell'Occidente, poi le sue cause spirituali o ideologiche, per concludere poi con le cause teologiche. 0) Prima di esaminare le cause del primato dell'Occidente, è necessaria innanzitutto una explicatio terminis: cosa intendiamo noi mondialisti con la parola "Occidente"? Con la parola "Occidente" noi mondialisti indichiamo l'insieme costituito dai Paesi e dai popoli dell'Europa propriamente detta - quindi con esclusione della Russia, e in seguito ne vedremo il motivo -, degli Stati Uniti 219 d'America-Canada, dell'Australia-Nuova Zelanda, del Giappone-Sudcorea e dell'India. Già da questa prima precisazione possiamo vedere che USA, Canada, Australia e Nuova Zelanda sono popolati in larghissima maggioranza da individui di origine europea; che l'India è stata colonizzata e governata per più d'un secolo da un Paese europeo (l'Inghilterra); e che il Giappone e la Corea del Sud, pur non essendo mai stati colonie, dopo la seconda guerra mondiale si sono sottoposti a un processo di volontaria e accelerata assimilazione della cultura e dello stile di vita dei vincitori gli Stati Uniti d'America, un Paese di origine europea - fino a trasformarsi da popoli agricoli e feudali in grandi potenze tecnologiche e in società liberaldemocratiche e consumistiche quanto quella a stelle e strisce. Quando parliamo di Occidente parliamo dunque di una realtà socio-economico-politica nata in Europa e plasmata dall'Europa. Quindi la nostra domanda iniziale «perché l'Occidente domina il mondo?» diventa più precisamente «perché l'Europa domina il mondo?». 1) Una sintetica conoscenza storica è sufficiente a mostrare che la civiltà europea è arrivata buona ultima sulla scena del mondo: le prime civiltà basate sull'agricoltura, la pastorizia e la metallurgia sono nate in Mesopotamia all'incirca nel 9.000 avanti Cristo, e da lì si sono espanse dapprima in Egitto, poi verso est nell'India settentrionale, in Cina e Giappone, e da ultimo verso ovest in Grecia, fra gli Etruschi e infine a Roma. D'altra parte, uno sguardo alla carta geografica evidenzia che tutte queste civiltà si sono sviluppate lungo una fascia pressoché orizzontale che corre dalla SpagnaMarocco lungo il bacino del Mediterraneo-Mar Nero, il Medio Oriente, il nord dell'India, la Cina fino al Giappone: tutte regioni poste quasi alla stessa latitudine, quindi con un decorso delle stagioni praticamente identico, con lo stesso clima, la stessa flora e fauna; e come se non bastasse, con molte specie vegetali altamente nutrienti e facilmente coltivabili, e con molte specie animali facilmente domesticabili e allevabili per ottenere carne e lana, per trainare aratri e carri. Le civiltà amerinde degli Aztechi, Maya e Incas, viceversa, si sono sviluppate in una regione estesa più in direzione nord-sud che in direzione est-ovest, quindi con profonde differenze di clima, di insolazione e piovosità, di flora e fauna; l'Amazzonia, l'Africa subsahariana e l'India meridionale, dal canto loro, sono sempre state flagellate da un clima tropicale, da malattie endemiche, dalla mancanza di vegetali coltivabili e di animali allevabili, mentre l'Australia è quasi completamente deserta e arida fin dal termine dell'ultima glaciazione 13.000 anni fa, e il Nordeuropa, la Siberia e il Canada settentrionale sono troppo freddi per ospitare vegetali e animali adatti a sostenere una popolazione umana numerosa. Ecco dunque la causa materiale del primato europeo: l'Europa si trovava nella fascia climatica adatta a permettere il sorgere di civiltà basate prima sulla pastorizia e poi sull'agricoltura, agricoltura che ha consentito per la prima volta l'accumulazione di scorte di viveri con cui migliaia di uomini e donne, nelle stagioni inadatte al lavoro dei campi, poterono essere sfamate mentre si dedicavano a grandi opere ingegneristiche, come la costruzione di imponenti reti di canali di irrigazione, di grandi muraglie per la difesa dei confini, di templi e palazzi regali; e poiché l'Eurasia, 220 a differenza degli altri continenti, si estende principalmente in direzione est-ovest, agli esseri umani è stato possibile percorrere decine di migliaia di chilometri nei due sensi, anno dopo anno, secolo dopo secolo, diffondendo le conoscenze via via acquisite lungo tutta questa "fascia delle civiltà" senza incontrare ostacoli climatici come invece è accaduto agli uomini in altre regioni del pianeta. 2) Qui sorge spontanea un'ulteriore domanda: perché mai proprio l'Europa, che come abbiamo sopra visto ha sviluppato una fiorente civiltà agricolo-pastorale e metallurgica millenni dopo Mesopotamia, Egitto, India e Cina, non è stata invasa, conquistata e sottomessa da una di queste civiltà, ma anzi le ha sopravanzate e dominate tutte? Per rispondere a tale quesito le cause materiali sopra esposte non sono più sufficienti, dal momento che esse premiano in ugual misura tutti i popoli posti lungo la fascia climatica cosiddetta "temperata". È dunque necessario investigare delle cause di ordine superiore, delle cause risiedenti nella cultura e nella visione del mondo dei popoli europei, e assenti invece nella cultura e nella visione del mondo dei popoli extraeuropei; delle cause spirituali o ideologiche. Anche in questo caso lo studio della Storia, maestra di vita, ci soccorre: vediamo infatti che il take-off, il "decollo" dei popoli europei, è avvenuto a partire dal XVI secolo prima nell'Olanda calvinista appena liberatasi dal dominio del Sacro Romano Impero Germanico, e poi nell'Inghilterra anglicana; due Paesi le cui condizioni sociali e politiche hanno favorito la nascita di un pensiero, di una ricerca sulla Natura e sulla Società non basate sulla cieca ripetizione di una tradizione immemorabile, ma sulla capacità della ragione umana di cogliere il Vero e il Bene e di attuarli nel mondo. Si potrebbe allora dedurre che siano la Riforma protestante, nelle sue varie declinazioni, e l'indipendenza politica dei Paesi nordeuropei rispetto all'Impero germanico da essa indotta, le cause spirituali del primato dell'Europa-Occidente, tanto più che proprio in Olanda e Inghilterra, da un lato, sono state concepite e sviluppate le prime grandi teorie e invenzioni scientifiche (il telescopio, la legge di gravitazione universale, la chimica e la macchina a vapore), e dall'altro e contemporaneamente, sono state poste le fondamenta dello Stato di diritto liberale e democratico (il primato della legge, l'indipendenza della magistratura, la democrazia rappresentativa, la responsabilità dei governanti di fronte al popolo). In realtà, uno sguardo storico più attento ci mostra che tanto il luteranesimo quanto l'indipendenza siano state non delle cause, ma delle occasioni: che esse cioè abbiano solo costituito un ambiente favorevole all'azione di una causa più antica, la quale fino ad allora non aveva potuto sviluppare pienamente i suoi effetti, pur essendo già all'opera. Quale sarebbe questa causa più antica? L'Europa è stata la terra in cui la religione cristiana, olivo selvatico innestato sul tronco d'olivo buono di Israele, si è maggiormente diffusa e ha permeato più profondamente la vita materiale e spirituale dei popoli; e il proprium del Cristianesimo, rispetto alle altre religioni "storiche", consiste nella fede in un Dio-Ragione eterna, obiettiva e assoluta che ha creato il mondo con sapienza, "secondo numero, peso e misura", e ha fatto l'uomo a Sua 221 immagine, dotandolo di un intelletto razionale capace di indagare il mondo, di conoscerne le leggi e di applicarle per migliorare la sua vita, per essere il "giardiniere" del mondo, l'operaio industrioso nella "vigna del Signore". Le altre religioni, invece, non attribuiscono alcun valore all'indagine razionale: non certo l'Islam, per il quale Allah è un dio capriccioso e arbitrario, che esige sottomissione cieca e incondizionata, che potrebbe persino, se così gli piacesse, costringere gli uomini a credere il falso per vero e a scambiare il male per il bene; non l'Indo-Buddhismo, che concepisce la divinità come un grande Tutto impersonale - il Brahma o "respiro" universale - e i singoli esseri come frammenti, separatisi da questo Tutto cosmico per orgoglio peccaminoso e per questo condannati a reincarnarsi più e più volte, e che considera saggio l'uomo il quale impari a distaccarsi dal desiderio delle cose materiali, della felicità e della stessa autoconservazione in vita, fino ad annegare nuovamente la propria individualità fittizia nel grande mare del Brahma-Tutto-e-Nulla; e neppure il Confucianesimo con il suo culto degli antenati, la sua ossessione per il rispetto delle gerarchie e delle tradizioni, il suo conformismo spinto fino a ridurre gli uomini a formiche, eccellenti in tutti i lavori collettivi ma assolutamente privi di genialità individuale. L'unico campo nel quale il genio individuale si è manifestato fra i popoli extraeuropei, prima di essere beneficamente "fecondati" dal pensiero occidentale, è quello delle arti figurative e fittili, dal disegno alla scultura alla produzione di vasellame pregiato, che peraltro accomunano tutti i popoli e tutte le culture della storia; ma ognun vede come non siano stati i Prassitele e i Fidia, o i Giotto e i Raffaello, a determinare il primato dell'Occidente sugli altri popoli e culture, bensì i Leonardo e i Galilei, i Keplero e i Newton, gli Jenner e i Pasteur, i Lavoisier e gli Edison, gli Einstein e i Lemaître; tutti pensatori ebraico-cristiani, tutti impregnati dal messaggio liberatore del Vangelo «La Verità vi farà liberi», e per questo determinati a superare le tradizioni sclerotizzate, a vincere gli ipse dixit di cui un potere oligarchico sempre si ammanta per autoperpetuarsi, a lanciare al genere umano il grido di Emanuele Kant: "Sapere aude, osa conoscere!". È dunque il Cristianesimo, con la sua fiducia nella ragione umana, la vera causa spirituale che ha innalzato i popoli d'Europa, e tutti gli altri da essi conquistati o comunque influenzati, a un livello di civiltà mai prima raggiunto nella Storia, al di sopra della miseria belluina, delle guerre tribal-religiose e della sudditanza ai capricci del clima e dei tiranni che affliggono i popoli senza Legge né Ragione: dalle corrotte repubblichette e dittature africane, ricche di petrolio e povere di tutto, alle teocrazie islamiche in cui l'unico libro che circola è il Corano e i vaccini antipolio sono considerati un complotto mondialista per sterilizzare i sedicenti "stalloni" musulmani, dalla Russia che affoga le proprie frustrazioni nella vodka e nell'adorazione del tiranno Putin fino al Sudamerica sempre in bilico fra generali e masanielli. 3) Giunti a questo punto chi crede nell'esistenza di un Essere Supremo, creatore del mondo e motore della storia, può giustamente chiedersi: a quale scopo l'Europa, e per essa l'intero Occidente, sono stati scelti per dominare su tutti gli altri popoli? A qual fine l'Ente Supremo, qualunque sia il nome datogli dagli uomini, ha permesso 222 alla cultura occidentale di sopravanzare, influenzare, fecondare tutte le altre culture della Terra? Ancora una volta la Storia, magistra vitae, risponde ai nostri interrogativi: ad ogni passaggio del testimone fra i popoli e le civiltà, dai Sumeri agli Egizi e agli Ittiti, dagli Assiri ai Babilonesi e ai Persiani, dai Greci agli Etruschi e ai Romani, da Bisanzio ad Aquisgrana, da Parigi a Londra e da Londra a Washington, ogni nuovo popolo egemone ha fatto salire al genere umano un gradino in più sulla scala della libertà, della democrazia, del pacifico commercio e della tranquilla convivenza. È questa dunque la causa teologica del primato dell'Occidente: il suo esser stato scelto da Dio che è Libertà e Amore senza confini, sin da prima della creazione del mondo, per portare al genere umano la luce della Ragione e della Verità che rende liberi, il suo esser stato preparato con infinita bontà, beneficato da un clima favorevole, da una flora e una fauna adatte, e infine, nella pienezza del tempo, illuminato dalla Rivelazione del Dio Uno e Trino, nel quale «non c'è né Giudeo né Greco, né maschio né femmina, né schiavo né libero», affinché si faccia a sua volta illuminatore e liberatore degli altri popoli, loro maestro e guida sulla strada che conduce alla fine di Babele, alla riunificazione del genere umano in un solo Impero mondiale che assicurerà a ciascun individuo, di qualunque sesso, etnia o religione, le benedizioni della libertà e della democrazia, del progresso e della pace. 223 BREXIT VINCE, ALLELUJAH ! (24/06/2016) In ebraico la parola Hallelujah vuol dire "lodate Dio"; e davvero oggi e per sempre ogni uomo integro e onesto dovrebbe, insieme a noi mondialisti, lodare a gran voce l'Altissimo per il risultato del referendum sulla Brexit, ovvero sulla permanenza o l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea. Perché come il popolo di Israele lodò Dio per averlo fatto uscire «con mano potente e braccio teso e grandi terrori» dal paese d'Egitto, dalla terra della schiavitù, così oggi ogni uomo integro e onesto dovrebbe lodare il Signore per aver dato al popolo inglese il coraggio e la forza morale di resistere alle sirene, alle minacce e agli inganni del nuovo Egitto, l'Unione Europea, e di iniziare un nuovo Esodo verso la libertà. Negli ultimi mesi di campagna elettorale gli euroburocrati che da Bruxelles dominano sul Vecchio Continente le hanno tentate tutte per coartare la libera volontà del popolo britannico. Hanno offerto al'ormai ex-premier David Cameron, che aveva promosso la consultazione, una "generosa" rinegoziazione delle condizioni di adesione dell'UK ai trattati europei, facendole doni o superflui - come l'esenzione dal partecipare a "un'Unione sempre più stretta", totalmente priva di significato pratico, dal momento che la Gran Bretagna è fin dall'inizio fuori dalla Zona Euro, dal trattato di Schengen e dal Fiscal Compact - o avvelenati - come il diritto di ridurre (ridurre, badate bene, non vietare) l'immigrazione nel proprio territorio, ma solo a condizione di avere dalla propria parte la maggioranza qualificata del 55% dei parlamenti nazionali dell'UE -. Poi Hollande, la Merkel, Juncker e perfino il tiranno filoislamico Barack Hussein Obama hanno agitato davanti agli inglesi gli spettri di una "gravissima crisi economica" in caso di vittoria del Leave, di una esclusione delle società finanziarie della City dall'operare sui mercati europei e della Gran Bretagna dalle trattative per la creazione di un mercato comune transatlantico (il TTIP), addirittura di una fine della special relationship con gli Stati Uniti d'America. La Francia ha minacciato di eliminare qualsiasi sorveglianza sui clandestini che bivaccano a Calais, dando loro licenza di sfruttare l'Eurotunnel per invadere il Regno Unito; la Fifa ha adombrato ripercussioni negative sulla Premier League a causa delle restrizioni che i calciatori europei avrebbero subìto, e che li avrebbero spinti a preferire i club italiani, francesi, tedeschi e spagnoli. Perfino i bookmakers inglesi sono stati coinvolti loro malgrado in questa meschina contesa: "manine" non troppo misteriose hanno puntato miliardi di dollari sulla vittoria del Remain allo scopo di far credere agli elettori che l'esito del referendum fosse ormai scontato. L'ex-presidente della Repubblica italiano Giorgio Napolitano, in una intervista alla televisione pubblica, si è spinto a chiamare Cameron "incauto" per aver rispettato il diritto del popolo inglese di decidere del proprio futuro; e l'ex-presidente della Commissione Europea ed ex-primo ministro italiota Mario Monti ha arrogantemente affermato che il popolo britannico stava "abusando della democrazia", lui, l'ex-capo 224 di quell'Unione Europea che ha paura di censurare i veri abusi, anzi stupri della democrazia compiuti ogni giorno dai despoti islamici in Turchia, in Iran e in tutti i Paesi ove la sharia è legge dello Stato! E infine, quando ormai era chiaro a tutti che la vittoria sarebbe arrisa ai fautori dell'Exit, la Cia asservita ai voleri del tiranno filoislamico Obama ha sobillato e armato una testa calda, un povero patriota inglese instabile di mente, affinché uccidesse la deputata laburista Jo Cox, una filoeuropeista evidentemente considerata sacrificabile e infatti sacrificata sull'altare della "ragion di EU" per tentare di fare leva sulle emozioni dei votanti anziché sul loro vero bene. Ma tutti questi inganni, tutte queste menzogne, tutti questi intrighi, tutte queste minacce alla fine sono state inutili. Il grande e nobile popolo britannico ha deciso di uscire dall'Unione Europea; ha deciso di affrancarsi dalla schiavitù di una burocrazia ottusa che pretendeva di regolare tutto, dalla curvatura dei cetrioli alla lunghezza delle aringhe; ha deciso di erigere un muro invalicabile contro l'ondata dei profughiterroristi spalleggiati da una Sinistra che crede di aver trovato nell'Islam il nuovo "sol dell'avvenire"; ha deciso di opporsi alla gendercrazia brussellesca che pretende di cancellare la distinzione biologica tra il maschio e la femmina in nome del "diritto" di ognuno di essere come si sente, oggi uomo, domani donna e magari dopodomani cane o gatto o criceto (proprio nel Regno Unito e nei paesi scandinavi decine di migliaia di omosessuali e lesbiche con tendenze sadomaso hanno deciso da anni di abbandonare una vita da esseri umani, evidentemente considerata troppo faticosa, per vivere travestiti da cani o da felini e farsi nutrire e accudire dai loro "padroni"); e soprattutto ha detto NO alla massoneria eurocontinentale, alla massoneria franco-tedesco-italiana dei Napolitano e dei Monti, alla massoneria atea e scismatica che ha rifiutato la fede templare nel Dio Creatore e Grande Architetto dell'Universo, nell'immortalità dell'anima e nella risurrezione dei morti, nella Bibbia quale unica Rivelazione di Dio all'uomo culminata nell'Incarnazione, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo Parola definitiva del Padre. Il grande e nobile popolo britannico ha detto SI' al Cristianesimo quale radice religiosa e culturale dell'Occidente, quale fonte della superiorità dell'Occidente su tutti gli altri popoli che non conoscono la dignità inalienabile di ogni individuo umano creato a immagine di un Dio razionale, senza distinzioni di sesso, lingua o religione. Ha detto SI' alla distinzione naturale fra uomo e donna, distinzione biologica che non cancella la loro uguaglianza giuridica, ma la rende compatibile con la realtà concreta di esseri che non sono puri spiriti, ma esseri fatti di anima e corpo, che hanno la necessità biologica di riprodursi e la necessità antropologica di generare, allevare ed educare i figli in una famiglia composta da un padre e una madre. Ha detto SI' a una idea di Stato "leggero", liberale, che assicura il rispetto di legge e ordine e lascia liberi i cittadini di organizzare la loro vita economica e sociale secondo le proprie convinzioni, ma è inflessibile contro quelle convinzioni - come l'Islam - che sono intolleranti, aggressive e violente nei confronti dei dissenzienti. E soprattutto ha detto un SI' alto e forte al progetto mondialista di creare una unione politico-economico-militare fra Gran Bretagna, Stati Uniti d'America, Canada, 225 Australia e Nuova Zelanda: una Anglosfera cristiana, liberale e democratica capace di opporsi all'Asse del Male islamo-russo-cinese e di fungere da pietra angolare per l'edificazione del venturo Impero mondiale dei diritti dell'uomo. Un progetto che sarà notevolmente accelerato dal prossimo anno, quando il tiranno filoislamico Barack Hussein Obama avrà lascito la Casa Bianca, e specialmente se - come noi speriamo e prepariamo - Donald Trump diventerà il nuovo Commander in Chief del popolo americano e riporterà gli USA alla consapevolezza della missione per cui li abbiamo creati. Per questo noi mondialisti, nel genetliaco del nostro grande patrono Giovanni il Battista, il Precursore, rendiamo lode al vero Dio, il quale dà ogni forza e potere a chi sceglie liberamente, e rinnoviamo il nostro impegno nella realizzazione del Grande Progetto, il cui compimento è più vicino oggi di quando fondammo il Partito Mondialista: uno Stato universale per individui universali. 226 L'INGHILTERRA È SEMPRE STATA "ALTRA" DALL'EUROPA (27/06/2016) Nelle ultime settimane, sia prima che dopo la vittoria del Leave nel referendum sulla Brexit, fior di intellettualoidi "impegnati" (impegnati soprattutto a sinistra) hanno profuso il loro acume nel tentare di dimostrare ai colti e incliti lettori che l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea sarebbe stata un danno, anzi una autentica catastrofe, assai più per il popolo britannico che per l'eurocrazia di Bruxelles. Ad esempio sull'ultimo numero di "Micromega", rivista dell'estremismo rosso diretta dall'ateo giustizialista Paolo Flores d'Arcais, ai primi del mese di giugno Marco D'Eramo scriveva che "un europeismo pragmatico [avrebbe dovuto] esultare per una vittoria della Brexit", in quanto "da quando è dentro l'Unione... il Regno Unito non [avrebbe] fatto altro che remare contro ogni possibilità di ridare slancio al 'sogno europeo'", sogno che per l'ex corrispondente dagli Stati Uniti del Manifesto (una garanzia d'imparzialità!) avrebbe bisogno di quella "sovranità popolare europea", predominante sulle sovranità nazionali, da Londra sempre osteggiata a causa del suo esser parte sia della Nato - e quindi, secondo il comunista D'Eramo, "suddito" dell'Impero USA - sia dell'alleanza non solo militare, ma culturale con Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda chiamata Anglosfera. Dal canto suo, sul Corriere della Sera di ieri l'ex ambasciatore italiano a Mosca Sergio Romano (un'altra mente perversa) parte dalla descrizione dell'Inghilterra fatta da William Shakespeare nel "Riccardo II" - «isola incoronata, terra di maestà, sede di Marte, un altro Eden, un semi-paradiso, una fortezza costruita dalla Natura contro le infezioni della guerra, una felice culla di uomini, un piccolo mondo, una pietra preziosa incastonata in un argenteo mare che le serve da muraglia contro l’invidia di terre meno felici, una zolla benedetta» - per affermare beffardamente che essa sarebbe sempre stata molto meno "insulare" di quanto desideri apparire, essendo stata conquistata nel 1066 dai Normanni che avrebbero imposto il francese come lingua di corte e avendo poi combattuto per cent'anni al fine di conquistare la Francia, per non parlare dei suoi regnanti di origine europea, da Maria la Sanguinaria figlia della spagnola Caterina d'Aragona a Enrichetta Maria di Borbone, sorella di Luigi XIII e sposa di Carlo I Stuart (non del padre Giacomo, come invece scrive l'ignorante Romano; storico fai da te? Ahi ahi ahi ahi ahi!), dall'olandese Guglielmo d'Orange fino alle dinastie tedesche degli Hannover e dei Sassonia-Coburgo poi anglicizzatisi Windsor; e conclude anch'egli atteggiandosi a profeta e figlio di profeta, vaticinando beffardo che "il giorno dell’indipendenza britannica... potrebbe essere il giorno in cui l’Unione europea è libera di proporsi obiettivi più ambiziosi di quelli graditi a Londra. Mentre il Paese che non è mai stato veramente insulare rischia di essere tale in un mondo in cui soltanto gli Stati continentali o le grandi confederazioni possono affrontare le sfide della globalizzazione". Ovvero: poveri inglesi sciocchi, finirete schiacciati tra Stati Uniti d'America, Russia, Cina e Stati Uniti d'Europa... Chi scrive queste plateali sciocchezze evidentemente non ha mai studiato 227 volentieri la Storia. È vero che gli Inglesi per tutto il Medioevo sono stati un popolo di allevatori di pecore, di cui vendevano la lana sui mercati delle Fiandre (per i profani, l'odierno Belgio); ma la scoperta del Nuovo Mondo li spinse a compiere una scelta epocale, come comprese bene quel nazista non privo d'ingegno di nome Carl Schmitt (per approfondire il cui pensiero può forse esser utile la lettura del suo piccolo ma denso saggio del 1942 Terra e mare. Una riflessione sulla storia del mondo; per le implicazioni attuali e future della teoresi schmittiana vedi pure il libro Terra e mare. Riflessioni di geopolitica e geo-diritto a partire da Carl Schmitt): posto di fronte all'alternativa fra un'esistenza terrestre e un'esistenza marittima, il popolo inglese "si decise" per il Mare contro la Terra. "Decidersi per il Mare" significò non soltanto abbandonare la vita da pecorai per divenire corsari che arrembavano i galeoni spagnoli di ritorno dalle Americhe carichi d'oro, no di certo; significò anche abbandonare i sogni di conquiste territoriali sul continente europeo, quelle smanie espansionistiche le quali condussero per secoli francesi e tedeschi a disputarsi Alsazia e Lorena e prussiani, polacchi e svedesi a combattere guerre sanguinose per il possesso della Pomerania - la Pomerania, una landa desolata affacciata sul Baltico in cui non crescono neppure le patate! -. Soprattutto, "decidersi per il Mare" significò per gli Inglesi diminuire il prestigio e il potere dell'aristocrazia fondiaria a favore della borghesia mercantile che finanziava la costruzione delle navi e pagava gli equipaggi per scambiare i prodotti agricoli e minerari amerindi con stoffe, vasellame e altri oggetti pregiati prodotti in patria; significò dunque evitare la trappola dell'assolutismo in cui caddero le monarchie del Continente, togliendo al re il controllo sugli affari dello Stato per affidarlo a ministri dipendenti dalla fiducia di un Parlamento nel quale i borghesi divennero progressivamente maggioritari; significò di conseguenza, per la borghesia, conquistare prima e poi garantire la libertà di criticare e influenzare le decisioni del governo, la libertà di professare qualsiasi idea su Dio, sull'uomo e sul mondo, anche se sgradita alla maggioranza della popolazione; significò pertanto coltivare e promuovere lo sviluppo della ricerca scientifica sulla Natura e delle sue applicazioni tecnologiche, quella scienza e quella tecnica che i tradizionalisti e i reazionari - a cominciare dai Tedeschi - hanno sempre bollato come "materialiste", "empiriste", "prive di anima", "atee", ma che purtuttavia hanno portato gli Anglosassoni a inventare i vaccini che hanno salvato la vita a milioni di persone, a creare la prima rete ferroviaria, a dare il via alla Rivoluzione Industriale che ha fatto uscire l'Occidente dalla "trappola malthusiana" di una agricoltura di pura sussistenza, ad accrescere la popolazione umana di sette volte in meno di cento anni, a rendere il mondo un posto migliore. Noi mondialisti sappiamo bene che le cose sono andate così, perché siamo stati noi a determinare, in gran parte, il corso della Storia degli ultimi cinque secoli. Noi abbiamo incoraggiato il popolo inglese a scegliere la via degli oceani, grazie alle conoscenze nell'arte della navigazione acquisite dai nostri padri Templari al tempo in cui sfruttavano le miniere d'argento dello Yucatan per divenire i primi banchieri d'Europa; noi abbiamo indotto Enrico VIII a revocare il divieto di stanziamento per gli Ebrei che durava dal 1219, permettendo ai mercanti e 228 cambiavalute israeliti di investire il loro denaro nella costruzione di un'imponente flotta di pace e di guerra; noi abbiamo persuaso i Bacone e i Milton a cantare le lodi di una società tollerante e pluralista contro l'asfittico conformismo secentesco, e quando constatammo che l'Inghilterra aveva dato tutto quel che poteva dare alla nostra causa, promuovemmo la colonizzazione del Nordamerica e la nascita degli Stati Uniti, affinché fossero la città sulla collina, l'ostetrico del parto di un'umanità riunita e in pace. E sempre noi, mediante la Massoneria che avevamo creato per affiliare i non cattolici e poi rigenerato mediante il Rito Scozzese Antico e Accettato contro le degenerazioni franco-tedesche, abbiamo guidato la politica estera britannica secondo il principio del balance of power, facendo alleare il Regno Unito ora con i francesi contro gli austriaci, ora con i prussiani contro Napoleone; prima con i russi per sedare la tabe giacobina, poi con Cavour e Garibaldi per creare una media potenza a contraltare dell'impero austro-ungarico, sempre tenendo la barra dritta allo scopo di impedire a qualsiasi Stato europeo di assumere l'egemonia sull'intero continente e da lì, dopo aver conquistato o cooptato Russia e Cina, di imporre su tutta la massa eurasiatica un potere illiberale e totalitario. Per lo stesso motivo il nostro figlio devoto Winston Churchill si oppose tanto all'espansionismo nazista quanto all'aggressione sovietica; e sempre su nostra ispirazione, dopo di lui, la Gran Bretagna decise dapprima di contrastare l'incipiente Comunità europea - che noi mondialisti sapevamo bene infettata dal virus comunista portato da Altiero Spinelli - contrapponendole nel 1960 un'area di libero scambio con Danimarca, Svezia, Norvegia, Portogallo, Svizzera e Austria (l'Efta, European Free Tade Association, alla quale nel 1970 si unì anche l'Islanda), e in seguito, nel 1972, di associarsi alla CEE per impedire la sua sovietizzazione e poi, dopo il crollo dell'Urss, la sua trasformazione in un superstato antimondialista. Così dunque, l'odierna decisione assunta dalla maggioranza del popolo britannico di uscire dall'Unione Europea non deve sorprendere chi conosca le lezioni della magistra vitae: essa è la logica e naturale conseguenza dell'opposizione, sanamente da noi creata e costantemente alimentata, ma consustanziale all'indole degli Inglesi e alla loro cultura ancora profondamente cristiana, nei confronti di una Vecchia Europa burocratica, statalista, collettivista, pianificatrice, che pretende di controllare tutto, dal colore delle fragole alle valvole dei termosifoni, ma che insieme non controlla affatto, anzi favorisce in tutti i modi e con tutti i mezzi più abietti dalla strumentalizzazione del Vangelo alla minaccia di tagliare i finanziamenti comunitari - la penetrazione di milioni di profughi-terroristi, l'islamizzazione di ogni Paese membro, quasi fosse ansiosa di suicidarsi trasformandosi in Eurabia, in un'appendice della Ummah. E non a caso abbiamo scritto che sono in primo luogo gli Inglesi, e non i "britannici" in astratto, a opporsi all'invasione islamica; poiché fin dal Cinquecento fu l'Inghilterra a mostrarsi ricettiva alle nostre spinte liberalizzanti e modernizzatrici, mentre Scozia e Irlanda, per i loro legami con la monarchia francese e la loro struttura sociale terrigna e antiquata, furono sempre ostili al Mondialismo e destinate a esser trascinate dal vento della Storia più che a cavalcarne l'onda; e non per caso la 229 percentuale più alta di filoeuropeisti si è registrata proprio in Scozia e nelle contee nordirlandesi rurali a maggioranza cattolica (oltre che in una Londra ormai asservita agli islamici che ha scelto come sindaco un musulmano ex-avvocato difensore dei terroristi rinchiusi a Guantanamo), mentre l'Inghilterra "profonda", il Galles e Belfast, in maggioranza abitata da discendenti di immigrati inglesi, hanno scelto coraggiosamente il Leave. Per questo noi mondialisti ringraziamo a gran voce l'Altissimo per aver dato al popolo inglese il coraggio di uscire dal nuovo Egitto, dalla terra della schiavitù, e di intraprendere un cammino di libertà; un nuovo Esodo che sarà aspro e difficile, che farà rimpiangere a molti le "cipolle di Bruxelles", ma che in futuro - un futuro forse non troppo lontano, se il Signore consentirà la felice riuscita del nostro piano per portare Donald Trump alla Casa Bianca e sventare così la triste profezia giuntaci dal futuro - rappresenterà la base per creare quella federazione fra Gran Bretagna, Stati Uniti d'America, Canada, Australia e Nuova Zelanda, quella Anglosfera dalla cui progressiva espansione nascerà il futuro Impero mondiale della Libertà, della Democrazia e dei Diritti dell'Uomo. 230 LE TATTICHE MUTANO, LA STRATEGIA RIMANE (09/07/2016) Cari fratelli, amici e sostenitori, da alcuni mesi riceviamo da molti di voi lettere accorate, nelle quali ci accusate, scandalizzati, di aver abbandonato i princìpi, i valori e gli obiettivi del "vero" Mondialismo, quei princìpi, valori e obiettivi che undici anni fa esponemmo nel nostro Manifesto. Ad esempio molti di voi ci rimproverano shockati di aver adottato un frasario e un programma indistinguibili da quelli dei vari movimenti anti-sistema sorti negli ultimi anni in vari paesi d'Europa, sobillati e finanziati da nemici della libertà e della democrazia come il tiranno cekista Putin. Ci fate notare (giustamente) che Farage, il fautore della Brexit da noi approvata in uno dei nostri ultimi editoriali, è ben visto da Putin; che Salvini e la Le Pen, contrari alla NATO e alla stipula del TTIP (TransAtlantic Trade and Investment Partnership) e favorevoli alla revoca delle sanzioni alla Russia, sono anch'essi finanziati da Putin; che personaggi nefandi come l'ultracomunista Giulietto Chiesa condividerebbero con entusiasmo un nostro commento su Facebook in cui abbiamo invitato "Stati Uniti Russia e Cina" a cooperare contro il terrorismo islamico, lasciando perdere inutili dispute su Crimea et similia. Ci ricordate, cari amici e sostenitori, che la Russia è il nemico numero 1 del Mondialismo, sul piano ideologico, politico, economico e culturale, e che il tiranno Putin ha sfruttato cinicamente i disordini e i massacri provocati dall'Isis per consolidare il regime del macellaio Assad suo valletto, per stabilire una testa di ponte nel Mediterraneo e proporsi come paladino dell'Occidente e dei "valori" mettendo in secondo piano la gravità, l'enormità del pericolo rappresentato dalla sua espansione territoriale e propagandistica in Europa. Molti di voi sostengono, sulla base di nostri documenti ormai storici, che il progetto mondialista di "americanizzare l'Europa" sarà molto più difficile da realizzare se il Regno Unito uscirà d'ora in poi dall'Europa e l'inglese non sarà più, almeno teoricamente, una lingua europea; che il nostro progetto di costruire un "Anello di stati democratici intorno alla Russia" andrà a fondo, se appoggiamo in Europa tutti i partiti "anti-Nato" che sono contro la Merkel e contro l'establishment che, per quanto debole e incoerente, sarebbe sempre stato comunque permeabile ai dettami degli Stati Uniti, e che comunque è quello che ha deciso le sanzioni contro la Russia. Ci rimproverate, infine, di voler preparare l'avvento alla Casa Bianca di Donald Trump, un Presidente che compirebbe, secondo voi, azioni antimondialiste come erigere una barriera al confine con il Messico, invitare Putin a Washington e addirittura trattare con la Corea del Nord! Al punto che uno di voi conclude il suo messaggio con il seguente trilemma: "1. O voi mondialisti avete obiettivi che non sono veramente conformi con il programma espresso nel vostro manifesto e Vladimir Putin è il vostro reale punto di riferimento; 231 2. O il sito www.mondialisti.net non è espressione del vero mondialismo, ma di un finto mondialismo che segretamente porta avanti le istanze del dittatore Putin; 3. Oppure c’è una chiave di lettura differente per tutto questo, una chiave di lettura che evidentemente mi sfugge". Ebbene, cari fratelli, amici e sostenitori, poiché noi mondialisti non vogliamo che i vostri cuori siano sospesi nell'angoscia e che le vostre menti si indeboliscano nell'incertezza e nella disperazione, vi diciamo chiaramente che la risposta corretta ai vostri legittimi dubbi è la n. 3. La nostra tabella di marcia rimane quella esposta nel capitolo III del nostro Manifesto programmatico: 1) risvegliare nel governo e nel popolo degli Stati Uniti d’America, oggi ridotto dal tiranno filoislamico Barack Hussein Obama come un pugile suonato, la coscienza della loro missione, di quella missione per cui li abbiamo creati: essere la città sulla collina, l’ostetrico del parto di una umanità riunita e in pace, e agire di conseguenza; 2) federare intorno agli Stati Uniti d’America una Unione Oceanica delle Democrazie, composta da Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Giappone e India, fondata sulla comune roccia della liberaldemocrazia e del rispetto degli immortali e inalienabili diritti umani; 3) usare l’Unione Oceanica come portaerei avanzata del Mondialismo per lanciare un assalto congiunto, multistrumentale – mediatico, culturale, economico, politico e militare – e di lunga durata contro l’Asse del Male russo-islamo-cinese, al fine di logorarlo progressivamente e di provocarne la disgregazione nell’arco di massima dei prossimi cento anni; 4) conquistare pezzo per pezzo tutta la massa continentale euroasiatico-africana man mano che il processo di disgregazione dell’Asse del Male avanzerà, eliminandovi le componenti socio-religiose ostili al Mondialismo e impiantandovi una società civile liberaldemocratica, tollerante e pluralista, cominciando dalle terre dell’Islam – sia perché esso è il pericolo più prossimo, sia perché i suoi territori sono più facilmente raggiungibili da una forza di liberazione aeronavale – per passare poi alla Cina e infine alla Russia; 5) integrare gradualmente i territori conquistati nell’Unione Oceanica delle Democrazie fino a comprendervi tutto il pianeta, e infine convertirla nello Stato o Impero mondiale, qualunque nome si vorrà dare ad esso. Come vedete, fin dall’inizio abbiamo messo in chiaro che l’Islam è il primo tassello dell’Asse del Male da sconfiggere, tanto nella sua versione sunnita (guidata dall’Arabia Saudita testa del wahabismo) che in quella sciita (egemonizzata dall’Iran armato da Putin, dalla Cina e dalla Corea del Nord). La nostra strategia non è cambiata; è la tattica che, come è naturale che avvenga, muta e si adatta alle circostanze. Neppure gli Stati Uniti d’America, da soli o con l’unico appoggio di Israele, potrebbero affrontare l’intero Asse del Male senza precipitare il mondo in una guerra nucleare globale; pertanto la nostra tabella di marcia consiste nell’applicazione della vecchia ma sempre valida “strategia dell’ultimo Orazio”, ovvero: allentare 232 progressivamente i legami fra le tre membra dell’Asse del Male, spingerle l'una contro l’altra o almeno renderle indifferenti alle sorti reciproche, al fine di affrontarle separatamente e sconfiggerle una alla volta. Per questo motivo vediamo con favore l’elezione di Donald Trump a nuovo Commander in Chief del popolo americano e i suoi sforzi per separare il regime di Putin sia dal suo alleato iraniano, sia dalla coppia Cina-Nordcorea. La Russia dovrà essere liberata dalla tirannide come il resto del pianeta, ma sarà necessariamente l’ultimo nemico da abbattere a causa della sua relativa maggior forza militare e nucleare; fino ad allora, ogni sforzo teso a separarla dalle altre due teste del Mostro non potrà che favorire la nostra causa, ance se questo dovesse implicare la sopportazione di un regime putiniano o post-Putin per altri decenni. Quanto all’Europa, alla Crimea e all’Ucraina, purtroppo la loro sorte è legata a filo doppio a quella delle tre teste dell’Asse del Male. Dopo la fine della seconda guerra mondiale noi spingemmo gli Stati Uniti d’America a non rinchiudersi in un nuovo isolazionismo, anzi a sostenere economicamente i Paesi dell’Europa occidentale usciti in macerie dal conflitto, e favorimmo la nascita della Comunità Europea (pur consci del suo vizio collettivista di origine, legato all’influenza degli Spinelli e dei Rossi) allo scopo di impedire all’Armata Rossa di giungere fino a Lisbona. Purtroppo le élites culturali e politiche eurocontinentali sono sempre state affascinate dalle sirene comuniste, perché la Vecchia Europa è sempre la stessa che settecento anni fa ci mandò al rogo, malata di comunitarismo, di conformismo, incapace di separare sacro e profano, pronta a piegarsi davanti a ogni tiranno, da Napoleone a Hitler, ai califfi e agli ayatollah; un nano militare, ma un mezzo gigante economico capace di finanziare ogni progetto totalitario purché sia antiamericano, anti-società aperta, in definitiva antimondialista. Per questo il destino finale dell’Europa dipenderà dalla grande guerra tra Mondialismo e Antimondialismo: se e quando, con il favore dell’Altissimo, Islam, Cina e Russia saranno state sconfitte e integrate nel venturo Impero mondiale, l’Europa si lascerà cadere in esso come un frutto maturo, perché sarà ormai priva dei suoi padrini ideologico-politici. E anche la sorte dell’Ucraina e di tutti i Paesi dell’Europa orientale che adesso sono minacciati dall’arroganza di Putin è legata in definitiva alla vittoria finale del Mondialismo. Per questo la nostra attuale tattica nei confronti dell’Unione Europea è finalizzata, più che a farne un membro dell’Anello di Fuoco intorno alla Russia, a impedire che essa divenga un’appendice dell’Asse del Male; e per questo scopo l’uscita della Gran Bretagna, lungi dal rappresentare una vittoria dell’antimondialismo, costituiva l’unico mezzo per impedire che il Regno Unito fosse “eurabizzato” come ormai il resto dell’UE e per integrarlo in quell’alleanza con USA, Canada, Australia e Nuova Zelanda che noi chiamiamo Anglosfera e che dovrà ampliarsi a Giappone e India per divenire l’Unione Oceanica delle Democrazie, prima pietra dell’Impero mondiale. La scala che conduce alla sommità della Piramide dell’Autoconoscenza può essere salita solo un gradino alla volta, sia dal singolo individuo, sia dal genere umano nel suo insieme, e tentare di saltare in un sol colpo due o tre scalini 233 conduce necessariamente a ricadere al punto di partenza con il collo spezzato. Noi mondialisti lo abbiamo imparato sulla nostra pelle: quando riuscimmo a far eleggere al soglio di Pietro il cardinale Giovanni Battista Cybo col nome di Innocenzo VIII, e ad affidare a Cristoforo Colombo, suo figlio naturale e Templare acquisito per matrimonio, il comando di una spedizione che avrebbe dovuto fondare nel continente americano una colonia abitata da cristiani, ebrei e musulmani, basata sui princìpi di tolleranza e laicità, credemmo veramente che fosse giunto il tempo per unire il mondo nella pace; ma non avevamo compreso che i tempi non erano ancora maturi, che le forze ostili al nostro progetto all’interno della Chiesa avrebbero tolto di mezzo con la violenza il Cybo e messo al suo posto il filospagnolo Rodrigo Borgia, pagammo questo errore perdendo i nostri insediamenti centroamericani, e fummo costretti a recuperare con la guerra da corsa l’oro e l’argento che prima ottenevamo senza sforzo dagli indios nostri alleati. Così pure sei anni fa, quando avviammo l’operazione “Snow on the Sahara” per sollevare le masse dei Paesi islamici contro i loro dittatori laici e teocratici, sottovalutammo l’incapacità strutturale della religione islamica ad accogliere le istanze della Modernità, al contrario di quanto aveva fatto il Cristianesimo; la nostra sottovalutazione della intrinseca irrazionalità volontaristica dell’Islam ha avuto come conseguenza l’ascesa del fondamentalismo islamico e la diffusione del terrorismo in tutto il Medio Oriente, il Nordafrica e l’Europa. La verità è che l’uomo, pur non essendo una bestia, non è neppure un angelo (e, ad esser precisi, il primo ribelle a Dio fu proprio l’angelo più perfetto da Lui creato), e perciò fare eccessivo affidamento sulla sua naturale “bontà” e “razionalità” conduce necessariamente a sicuri disastri; perché lo scorrere del tempo non è un mero susseguirsi di istanti, è un processo di evoluzione, di maturazione che non può essere affrettato artificialmente. Ai discepoli che gli chiedevano «Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?» il Figlio di Dio, Gesù Cristo, rispose «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta»: la ricostituzione di Israele è poi avvenuta nel 1948, dopo un secolo di persecuzioni, dopo lo sterminio di sei milioni di Ebrei, quando giunse il kairós, il tempo opportuno. Come dice la Scrittura, «c’è un tempo per ogni cosa: un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per costruire case e un tempo per abbatterle, un tempo per seminare e un tempo per mietere». Ogni cosa è adatta al suo tempo, e inadatta al prima e al dopo; l’Unione Europea era cosa utile alla nostra causa cinquant’anni fa, oggi può servirci meglio distruggerla e aggregarne i vari pezzi agli USA mediante un TTIP a 30 membri, così come arginare l’invasione degli Stati Uniti da parte di immigrati che non condividono i nostri valori può essere oggi il solo mezzo per risollevare la potenza dell’Aquila e in prospettiva democratizzare il Messico e tutta l’America indiolatina (per un esempio non tanto immaginifico di quel che può comportare per la sicurezza nazionale americana un confine meridionale troppo poroso leggete il nuovo bestseller “Target America”, e non chiedetevi chi lo ha ispirato…). Solo lo scopo finale, l’unificazione del genere umano in un solo Impero mondiale liberale e democratico, rimane e rimarrà immutato fino alla sua realizzazione, che è la causa di Dio e di tutto il genere umano: costruire una coesistenza senza barriere, uno Stato universale per individui universali. 234 MONDIALISMO E CRISTIANESIMO 235 LA CHIESA HA TRADITO GESÙ CRISTO? NO, MA ALCUNI CATTOLICI… (25/8/2006) I venditori di ciambelle di salvataggio stanno facendo affari d’oro. La pubblicazione sul “Giornale” del 23 agosto di un editoriale intitolato "La nostra civiltà destinata alla morte", nel quale la sociologa Ida Magli accusa la Chiesa di aver «tradito Gesù Cristo» per allearsi con l’Islam, ha sollevato uno tsunami di risposte polemiche da parte del mondo cattolico italiano, a riprova di come questo paese sia divenuto, dalla caduta del Muro della vergogna di Berlino, la frontiera avanzata in Europa della lotta tra mondialismo e antimondialismo. La nostra casella postale è stata sommersa da messaggi di religiosi e laici il cui comun denominatore si può così riassumere: la Chiesa non è un’autorità politica ma spirituale, non ha né può arrogarsi il compito di disarmare i contendenti, la sua missione è (secondo un’opinione diffusa) «annunciare la civiltà dell’amore che è al di sopra della legge, al di sopra di ogni ragione o torto». Noi dell’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire” siamo stati inoltre, e abbondantemente, accusati di ateismo, anticlericalismo, odio verso la Chiesa e laicismo (oltre che, come al solito, di razzismo, imperialismo, servilismo all’America, a Bush, alla Nike o alla Coca-cola; ma a questo siamo abituati...). Riteniamo pertanto opportuno utilizzare questo spazio per una messa a punto concettuale. In primo luogo, ogni associazione umana ha una sua “bussola”, un insieme di princìpi e valori che ne determinano la posizione rispetto al resto dell’umanità, ne orientano l’agire e fungono da termine di verifica circa la “fedeltà” o “infedeltà” del gruppo al proprio spirito costitutivo. In questo senso la Chiesa ha come bussola Gesù Cristo, le sue parole e azioni così come tramandate dagli apostoli e dai loro successori. La nostra bussola è il Manifesto del Partito Mondialista, redatto a conclusione del Convegno di Roma del 3 aprile 2005, ed esso afferma con la massima chiarezza che nessuna società aperta, complessa e differenziata al suo interno può esistere senza un consenso di fondo su principi e valori strutturanti la convivenza; che tali principi e valori sono propri di tutti gli uomini come individui, ma solo il Cristianesimo come religione organizzata li ha fatti emergere alla luce della consapevolezza e innalzati a pilastri angolari di una civiltà universale; che perciò il mondialista non sarà mai un ateo ignorante, un libertino senza cervello, un maiale sazio e annoiato. Ribadiamo inoltre quanto già affermato nel Manifesto e nelle precedenti news, che cioè noi consideriamo il Cristianesimo (e l’Ebraismo da cui discende) padre e mallevadore del mondialismo per aver contribuito alla desacralizzazione della natura, liberando gli uomini dal timor pànico verso di essa e aprendola alla loro inventività sotto la garanzia delle leggi eterne di un Dio fedele, e per aver rovesciato il rapporto pagano fra individuo e comunità di appartenenza, proclamando il valore infinito della persona umana ritta davanti a Dio e l’uguaglianza di tutti gli uomini al di là di ogni distinzione di razza, religione o di qualsivoglia confine o “recinto” dentro o fuori dei quali le diverse culture hanno preteso di chiuderli. Questo primo punto sia dunque pacifico: noi non siamo né atei, né 236 irreligiosi, né anticlericali o laicisti o materialisti. Fatta questa doverosa premessa, riteniamo che la fonte delle divergenze fra la nostra interpretazione (o quella della Magli, a parte le differenze stilistiche) e quella dei nostri detrattori in merito alla posizione della Santa Sede nei rapporti con Israele e con il mondo islamico consista soprattutto nel fatto che dalle due sponde della polemica si utilizzi la stessa parola per indicare “cose” diverse e al limite opposte. Detto in altri termini, se il problema è la fedeltà o meno della Chiesa a Gesù Cristo bisogna chiedersi preliminarmente: cos’è Gesù Cristo per i cattolici italiani, cos’è per la Magli, cos’è per noi? Come hanno fatto notare Gaspare Barbiellini Amidei ("Brescia, la carità illegale", Corriere della Sera 22/8/2006) e Gianni Baget Bozzo ("La carità sbagliata", Il Giornale 24/8/2006) a commento del barbaro assassinio di Hina Saleem (ragazza pakistana sgozzata dai maschi della sua famiglia per aver scelto di vivere all’occidentale), molti cattolici italiani hanno una concezione della carità cristiana del tutto avulsa da qualsiasi riferimento alle leggi, civili e penali, del paese in cui essa dovrebbe esplicarsi. In realtà si tratta di un atteggiamento diffuso in gran parte del Vecchio Continente, se si ricorda la durissima opposizione condotta anni or sono da alcuni prelati della Chiesa di Francia contro la decisione governativa di espulsione nei confronti di migliaia di immigrati irregolari (i cosiddetti sans-papiers), fino alla decisione di ospitare i clandestini nelle chiese. È una concezione che discende dalla riduzione romanticistica del Cristianesimo a “religione dell’amore” ad opera di autori come Dostoevskij (il principe Myskin de “L’idiota” e il mite Alioscia dei “Fratelli Karamazov” come modelli del buon cristiano) che hanno tentato di eliminare ogni riferimento dottrinale, ogni accenno al modello di uomo e di società che per 1.800 anni è stato distillato dai Libri sacri. Tutto il lavoro di generazioni di teologi e filosofi sulla distinzione tra sfera religiosa e sfera secolare, sui giusti doveri del cristiano nei confronti dell’autorità statale e sui connessi obblighi di questa verso il popolo, sulla distinzione fra guerra giusta e ingiusta, sulla liceità del tirannicidio, che pure aveva animato la meritoria opposizione alla barbarie nazifascista e al totalitarismo comunista, è stato buttato a mare in nome di un malinteso pacifismo che bolla ogni atto di forza come “violenza” e che ritiene possibile opporsi al Male con una testimonianza disarmata, dimenticando che se la difesa di se stessi può essere una facoltà rinunciabile, la difesa dei propri simili è un obbligo morale e giuridico cui non ci si può sottrarre. Non c’è da meravigliarsi, dunque, se chi ritiene che la carità/solidarietà verso gli “ultimi della terra” possa esercitarsi in spregio alla legalità, fino alla copertura e all’agevolazione di quanti commettono reati atroci, di fronte all’aggressione del terrorismo fondamentalista finanziato dagli Stati-canaglia nei confronti del popolo di Israele e di tutto l’Occidente si sente “obbligato” ad accoppiare ad una generica condanna degli attentati suicidi, una ben più emotiva reprimenda nei confronti delle rappresaglie israeliane, e a cercare di giustificare il fanatismo islamico quale espressione di una “rabbia dei poveri” verso i ricchi del pianeta (dimenticando che la maggioranza dei kamikaze sono ricchi o almeno benestanti, come del resto i rivoluzionari comunisti erano figli viziati della borghesia). È come se molti settori 237 della Chiesa cattolica stessero mettendo in atto uno “sganciamento” del Cristianesimo dalla civiltà occidentale, nell’attesa – o forse, per alcuni, nell’auspicio – di una più o meno lontana distruzione di questa da parte dei “nuovi barbari” e di una nuova “inculturazione” di quello in popoli considerati immuni dalla corruzione del Primo Mondo. Chi pensa così non si avvede che quanto passa sotto l’espressione “civiltà occidentale” è il prodotto di quei principi di laicità, primato dell’individuo-persona, uguaglianza e libertà che discendono direttamente dall’insegnamento del Cristo e che non sono stati “inculturati” nel paganesimo, ma hanno completamente sostituito gli anti-valori pagani (primato della comunità sull’individuo, indiscutibilità del potere politico, tradizionalismo, etnicismo discriminante) costruendo letteralmente dal nulla una cultura a propria immagine e somiglianza. Al confronto l’Islam con la sua poligamia, con l’inferiorità della donna rispetto all’uomo e degli “infedeli” rispetto ai muslims, i sottomessi ad Allah e Maometto, è rimasto fermo ad un modello di vita vecchio di tremila anni che vede, giustamente, nel Cristianesimo la radice di tutto ciò che odia, libertà, uguaglianza, autorità come servizio e non come potere, democrazia; pensare che un simile compatto schema di credenze preistoriche possa accogliere l’annuncio del Vangelo, o anche solo tollerarne la presenza accanto a sé, è peccare di criminale ingenuità. La risposta che va data alla domanda del titolo, «la Chiesa ha tradito Gesù Cristo?» è dunque: No, se con il termine "Chiesa" si intende il vertice della gerarchia cattolica mondiale, il successore di Pietro – e in particolare l’attuale Pontefice, quel Joseph Ratzinger che nel saggio “Senza radici”, ricordando con Marcello Pera il contributo congiunto della filosofia greca, della giurisprudenza romana e della fede ebraico-cristiana all’edificazione dell’Occidente, ha tessuto il più bell’elogio della società statunitense, insieme profondamente religiosa e autenticamente laica; Sì, se si guarda alle parole e ai comportamenti di leaders di movimenti e associazioni, e anche di taluni vescovi “progressisti”, i quali tendono a dissociare la figura storica di Gesù Cristo dalla sua dottrina e dalla civiltà cui essa ha dato vita per farne il profeta di un pacifismo disincarnato e astorico. Non è un caso che a questo atteggiamento irenista corrisponda un crescente senso di sconcerto, di delusione e rifiuto da parte dei “semplici” fedeli, quel popolo di Dio che rispetta le leggi dello Stato e non può accettare che i suoi pastori giustifichino chi le viola, che rispetta le altrui fedi e vite e non può accettare che i suoi pastori giustifichino i seminatori dell’odio e della morte; e non è un caso che al di là dell’Atlantico, terra di legge e ordine, i vescovi siano molto più sensibili alle istanze della “base” e più attenti a rendere a Cesare quel che è di Cesare. In conclusione, quel che noi, i fedeli cristiani, e probabilmente anche la Magli chiediamo alla Chiesa non è di inviare le guardie svizzere a presidiare la frontiera tra Israele e Libano, non è di fare da stampella all’Onu che ancora straparla e non si accorge di esser morta; è semplicemente di continuare a tutti i livelli e in tutte le sedi, come ha sempre fatto e come fa il suo Capo visibile, a dire la verità opportunamente e inopportunamente, a distinguere fra ragioni e torti senza fare delle marmellate insipide che giovano soltanto ai prevaricatori, a essere fedele sino in fondo al suo Fondatore: «Il tuo parlare sia: sì sì, no no; il di più vien dal demonio». Noi, per parte 238 nostra, continueremo su questa strada, convinti che il bene dell’uomo non si può ricercare per l’eternità, se non sono preventivamente assicurate pace, libertà e sicurezza in questo mondo. 239 LA CHIESA NON SI SCHIERA, I CRISTIANI SÌ: CONTRO ISRAELE E USA (2/9/2006) Gli avvenimenti di queste ultime settimane ci costringono a tornare sul delicato tema del “silenzio” della Chiesa nei confronti delle atrocità commesse dal terrorismo fondamentalista islamico finanziato dagli Stati-canaglia (Iran in testa) e sulla sua “equidistanza” tra Israele e gli Stati Uniti d’America, unici baluardi della libertà nel mondo, da un lato, e i nemici dell’Occidente e di quei valori che pur hanno una origine storica cristiana, dall'altro. 1) Alla “marcia per la pace” Perugia-Assisi dello scorso 26 agosto sono stati esposti striscioni inneggianti a Hezbollah ed esplicitamente anti-israeliani e antiamericani. Dal momento che tale iniziativa è stata organizzata, come al solito, dai francescani di Assisi (ai quali Benedetto XVI ha dovuto opportunamente ricordare che «san Francesco non era un pacifista») oltre che da molte associazioni del mondo cattolico italiano, il fatto che tali striscioni non siano stati rimossi e che nessuno dei coordinatori abbia sentito il dovere di scusarsi per la loro presenza, o almeno di prenderne le distanze, è indicativo dell’inclinazione terzomondista, antisionista, antiamericana e antioccidentale assunta ormai da decenni dal cattolicesimo in Italia. Nonostante il Concilio Vaticano II abbia cancellato l’accusa di “deicidio” nei confronti del popolo ebraico preso nel suo complesso, e persino cancellato dalle invocazioni liturgiche la preghiera del Venerdì Santo “per i perfidi Giudei”, la base cattolica italiana continua a mantenere nei confronti dello Stato di Israele un atteggiamento di diffidenza se non di autentico disprezzo. Molti sacerdoti rimproverano ai loro fedeli la simpatia verso Israele sostenendo che «la Chiesa guarda al Medio Oriente con uno sguardo d’insieme», e come esempio di «sguardo d’insieme» rivangano gli eccidi dei Cananei commessi da Giosuè tremila anni fa (sic!). Per non parlare, poi, di quegli ambienti sindacal-cattocomunisti che, confondendo i “poveri in spirito” del Vangelo con i poveri di beni materiali (e dimenticando che la maggioranza dei kamikaze palestinesi e di Al Qaeda erano borghesi benestanti che hanno vissuto nell’agiatezza finché non sono stati irretiti da un imam fondamentalista) e la “liberazione dal male” cristiana con una liberazione da veri o presunti gioghi coloniali, credono di realizzare sulla terra il Regno dei cieli combattendo contro l’America “atea e materialista” e contro i suoi alleati, a cominciare da Israele. 2) L’Ucoii, divenuta tristemente famosa in questi giorni per aver paragonato Israele al nazismo, si appresta ad aprire a Milano una scuola per bambini musulmani, in cui verranno impartiti programmi d’insegnamento, mutuati dalle scuole egiziane, contrassegnati da un virulento antisemitismo. Indovinate chi ha finanziato l’acquisto di locali in cui verrà aperta questa scuola islamica? Le Acli, naturalmente, così come molte moschee sono già state aperte in Italia in locali messi a disposizione da parroci “ecumenisti”, senza tener conto del fatto che per l’Islam un luogo adibito a moschea diventa terra sacra a Maometto per l’eternità e non può essere più distolto da quella destinazione, a costo di scatenare una jihad per la sua difesa. Insomma, questi zelanti 240 parroci e lavoratori cattolici stanno allevando nel proprio seno la serpe che morderà loro e l’intera comunità in cui vivono ed operano, come hanno dimostrato gli ultimi episodi di sgozzamenti e stupri compiuti da immigrati, regolari o clandestini, di religione musulmana. Come ha ammonito Gaspare Barbiellini Amidei nel suo articolo del 22 agosto sul Corriere della Sera ("Brescia, la carita' illegale") i cristiani dovrebbero coniugare meglio la carità evangelica con il senso della legalità, e ricordare che i Concordati stipulati con gli Stati non comportano per la Chiesa solo diritti, ma anche doveri, primo fra tutti il rispetto delle leggi dello Stato; molti prelati e laici, invece, sembrano addurre la necessità evangelica di «obbedire a Dio prima che agli uomini» per violare leggi che sembrano “ingiuste” solo alla loro particolare visione soggettiva. 3) Dopo che al Meeting riminese di Comunione e Liberazione il vescovo coadiutore di Gerusalemme ha proclamato - vedi l'articolo "Il vescovo Twal difende Hezbollah" (www.caserta24ore.it del 29/08/2006) - che «Hamas ed Hezbollah sono il prodotto dell'occupazione israeliana protratta nel tempo. La loro è resistenza. Legittima al cento per cento» e che «nessuna forza straniera ha il diritto di mettere il naso negli affari interni libanesi», proprio ieri il suo superiore, il patriarca Sabbah, si è fatto promotore di una dichiarazione congiunta dei leaders cristiani di Terrasanta vedi l'articolo "Chiese di Gerusalemme contro sionismo cristiano" (Zenit 01-9-2006) - in cui si condanna il «programma sionista» in quanto avente «una visione del mondo per cui il Vangelo è identificato con l’ideologia dell’impero, il colonialismo e il militarismo», si rifiuta «l’alleanza contemporanea tra leader sionisti cristiani e organizzazioni con elementi nei governi di Israele e Stati Uniti, che attualmente stanno imponendo le loro frontiere preventive e la loro dominazione sulla Palestina», si afferma che «i palestinesi sono un popolo allo stesso tempo musulmano e cristiano» respingendo «tutti gli intenti di sovvertire e frammentare la sua unità» e si avvertono i cristiani di tutto il mondo che «il sionismo cristiano e i suoi alleati stanno giustificando la colonizzazione e l'apartheid e l’imperialismo». Sotto lo schermo di una citazione evangelica (“Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”) si legittimano attentati e lanci di missili contro innocenti israeliani; si ingiunge all’Occidente di astenersi da ogni tentativo di migliorare le condizioni di vita dei palestinesi alla mercé di fanatici senza scrupoli, che usano le loro case come depositi di armi, i loro corpi come scudi umani, i loro cadaveri come arma propagandistica; si chiamano i cristiani ad allearsi con l’Islam per una guerra santa contro il “Grande Satana” a stelle e strisce e contro il “Piccolo Satana” con la stella di David. Proprio come ha fatto il dittatore Chavez stringendo un patto di ferro con il folle Ahmadinejad per la creazione di un “partito di Dio” rosso-verde, già ramificatosi in tutto il Sudamerica, allo scopo di «combattere il sionismo e l'imperialismo yankee» (vedi l’articolo "Hezbollah avanza, anche in Venezuela" su www.ragionpolitica.it del 2-9-2006). In conclusione. Forse la Chiesa, in quanto istituzione fondata da Gesù Cristo per rivelare, attraverso la sua persona e la sua parola, l’amore di Dio agli uomini di tutti i tempi, non può schierarsi con nessun regime o ideologia politica, neppure con quella liberaldemocrazia che pure è sorta sul primato della dignità e dell’uguale libertà di 241 ogni individuo umano annunciato dal Vangelo; ma sicuramente i cristiani d’Italia, dell’Europa continentale e del Medio Oriente la loro scelta di schieramento l’hanno già compiuta: meglio con i sans-papiers che con le vittime degli stupri islamici, meglio con Hezbollah e Hamas che con gli odiati Ebrei e Americani, meglio con tutti i dittatori del Terzo Mondo e con i predicatori dell’odio che con l’Occidente “ateo e materialista”. Noi dell’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire” e del Partito Mondialista, per parte nostra, continueremo a stare dalla parte dell’Occidente contro i suoi nemici (Islam, Cina, Russia, Europa), dalla parte della società aperta contro il comunitarismo settario, dalla parte della libertà contro la tirannide, dalla parte della vita contro gli adoratori della morte; e siamo certi, per la nostra analisi e comprensione dello sviluppo storico dell’umanità, che alla fine il tempo, galantuomo, ci darà ragione. 242 SENZA IMPERO NON C’È CHIESA (14/01/2007) «È necessario che avvengano scandali», dice il Vangelo; e certamente il clamore suscitato dalla nomina ad arcivescovo di Varsavia e primate di Polonia – la Polonia di Karol Wojtyla, strenuo oppositore del comunismo! – di quello Stanislaw Wielgus che i documenti strappati agli archivi dei servizi segreti e consegnati all’opera di divulgazione dell’Istituto Nazionale per la Memoria indicavano come informatore del regime, dalle sue menzognere negazioni iniziali, dalla sua successiva confessione e dalle finali dimissioni su pressione del Vaticano, una funzione positiva e altamente meritoria per la vita della Chiesa l’avrà. Non solo come “conferma, di certo paradossale, di quanto la sua storia sia fino in fondo, nel bene e nel male, la storia di questo Continente”, l’Europa, oppresso per sessanta anni dalla più sanguinaria e pervasiva forma di totalitarismo mai conosciuta dall’umanità, secondo le parole dell’articolo di Ernesto Galli Della Loggia pubblicato oggi dal Corriere della Sera. E neppure perché ci mette in guardia nel caso, fra dieci o vent’anni, scoprissimo che c’erano sacerdoti-missionari francesi e vescovi palestinesi a libro paga di Saddam Hussein o di Yasser Arafat (ogni riferimento ai nomi di JeanMarie Benjamin e Michel Sabbah è puramente intenzionale). Ma soprattutto per aver ricordato ai cristiani, e soprattutto a certi uomini di Curia, che essa non può pretendere di adagiarsi in una beata autarchia, di essere l’unica istituzione universale necessaria e sufficiente in un mondo lacerato tra più di 150 Stati e staterelli; che al di là della Chiesa, e perfino prima di essa, c’è l’Impero. Quando la Chiesa teneva in pregio ragione e filosofia, quando si faceva la fila per assistere a una lezione di Tommaso d’Aquino, nei sacri palazzi tutti conoscevano a memoria la massima formulata nel V secolo da papa Gelasio sulle «due autorità create da Dio per il governo degli uomini in questo mondo: quella sacra dei Pontefici per la salvezza delle anime, e quella regale degli Imperatori per una vita pacifica e sicura in questo mondo», e tutti ne comprendevano il significato profondo: come cioè non fosse neppur concepibile un’opera di evangelizzazione e di elevazione spirituale della società a prescindere dall’esistenza di quell’entità politica multietnica e soprannazionale – l’Impero – che sola era in grado di amministrare le cose di Cesare (la moneta e la spada) per assicurare le condizioni indispensabili alla pace. Senza legioni per sedare tumulti nelle città, senza pattuglie a sorvegliare le strade e a proteggere le carovane dai briganti, senza eserciti per respingere gli invasori, senza uno standard di sicurezza comune che sollevasse gli uomini dalla difesa personale della vita e dei beni, in una parola del corpo, come avrebbe potuto la Chiesa svolgere il suo ministero per la salvezza delle anime? Per questo già durante le persecuzioni i cristiani pregavano per la buona salute degli imperatori, affinché avessero dalla loro parte un Senato fedele, un popolo ubbidiente e un esercito vittorioso; per questo anche nel 1500, in piena Riforma protestante, quando gli eretici anabattisti conquistarono la città tedesca di Münster costringendo gli abitanti, sotto pena di morte, a compiere cose riprorevoli come l’accoppiarsi con le proprie figlie al modo degli antichi patriarchi ebrei, soltanto l’intervento dell’esercito imperiale fece 243 sì che quei fanatici venissero sconfitti e il vescovo-conte di Münster potesse riprendere possesso del suo feudo. Solo quando l’aquila del potere abbandonò la reggia di Aquisgrana e, sorvolate senza sostarvi le pianure galliche, si posò dapprima sul Big Ben e, un secolo dopo, sulla Casa Bianca, l’eurocentrismo della Chiesa di Roma condusse i pontefici ad arroccarsi in una ambigua neutralità che, mentre riconosceva formalmente uguale dignità ad ogni Stato grande o piccolissimo e ad ogni sovrano l’immunità da ogni interferenza esterna, nella sostanza li ricompensava con gli interessi innalzandoli quali reggitori dell’unica realtà multinazionale rimasta sulla terra. Tanto profonda era la cecità della Chiesa nel disconoscere la nuova incarnazione dell’Impero da indurre Pio IX nel 1863, con la guerra civile americana all’apice dell’incertezza, ad assecondare le correnti più retrive dell’episcopato cattolico statunitense – per le quali gli schiavi erano impreparati alla libertà e l’Atto di emancipazione del presidente Lincoln un “atroce proclama”– e a prendere partito per gli schiavisti del Sud, indirizzando una missiva “all’illustre e onorabile Jefferson Davis” e riconoscendolo quale “presidente degli Stati confederati d’America”, col risultato di coprirsi d’infamia presso l’opinione pubblica mondiale e di consegnare per due secoli ai protestanti la bandiera del progresso e della difesa dei diritti umani. Doveva la Storia, maestra di vita, mettere un altro Pio, il dodicesimo, di fronte ai genocidi nazifascisti per costringerlo ad abbandonare il gelido indifferentismo dei suoi predecessori e a proclamare, nel radiomessaggio di Natale del 1942, la sintonia fra la Chiesa e le democrazie liberali guidate dagli Stati Uniti d’America; così come quarant’anni dopo fu il terrore rosso che opprimeva la sua amata Polonia a spingere Giovanni Paolo II ad allearsi con un altro presidente americano, Ronald Reagan, per stringere il regime sovietico nella doppia tenaglia di una opposizione spirituale e di una controffensiva economico-politico-militare che doveva condurre quel colosso dai piedi d’argilla alla sua fine miserevole nel glorioso 1989. Nell’attuale frangente storico, con l’Occidente minacciato dall’esterno dall’«asse del male» islamo-russo-cinese e dall’interno dal fascio dei movimenti neocomunisti, comunitaristi, tradizionalisti e antiglobalisti, se la Chiesa non vuole rinchiudersi in un vuoto fideismo dimentico del mondo e della sorte degli uomini; se essa non vuole ridursi ad ossequiare i dittatori in cambio del piatto di lenticchie di una libertas confinata nelle sacrestie; se essa vuole preservare quel patrimonio di valori nato dalle tre fonti della filosofia greca, del diritto romano e della fede ebraicocristiana che ha fatto dell’Occidente la prima e più grande civiltà della terra, la Chiesa ha di fronte a sé una sola scelta: stringere una nuova alleanza con gli Stati Uniti d’America, terra di libertà, e con i suoi alleati nel mondo – a cominciare dal popolo d’Israele, avamposto della democrazia in un Medio Oriente soggiogato e sedotto da tiranni e demagoghi – per combattere, divisi nei ruoli ma uniti nello scopo, la buona battaglia per la creazione di un nuovo Impero mondiale che abbatta finalmente ogni divisione di etnia, sesso, classe o religione fra gli uomini e assicuri pace, libertà e giustizia per tutti. Nella fedeltà al mandato del suo Signore, per il quale (come ricorda l’apostolo Paolo) «non c’è più né Giudeo né Greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina; perché tutti sono uno»; un messaggio, proprio in quanto cristiano, 244 pienamente mondialista, e viceversa. 245 SENZA CHIESA NIENTE IMPERO (11/12/2011) Dall'alba dei tempi Stati e popoli nascono, si sviluppano, decadono e muoiono. Da sempre grandi Stati e popoli numerosi nascono dalla fusione di Stati più piccoli e popoli meno numerosi. Gli Stati-nazione, etnicamente "omogenei", sorti in Europa nell' 800 sono adesso in via di superamento verso un grande Stato europeo multietnico. Solo un ingenuo, o un sostenitore di quello che noi mondialisti abbiamo chiamato "conservazionismo culturale" (vedi il nostro editoriale "Contro il Wwf delle culture"), poteva pensare davvero che la frammentazione dell'Europa in più di trenta Stati e staterelli potenzialmente in lotta perpetua l'un contro l'altro fosse destinata a durare in eterno. Pertanto ci sorprende alquanto che proprio un cattolico come Roberto De Mattei, cioè un membro colto e autorevole di quella Chiesa universale che per secoli ha sofferto le lacerazioni del popolo di Dio causate dalle diverse appartenenze etniconazionali, si erga ora a difensore dello status quo, intonando sul sito dell'agenzia di informazione "Corrispondenza Romana" il lamento funebre per la "fine dello Stato nazionale" e invocando sull'altro sito "FattiSentire.org" una "insorgenza controrivoluzionaria", una "Vandea" contro la "dittatura giacobina dei poteri forti" che avrebbe il suo quartier generale nella Banca Centrale Europea. Forse, pensando alla medievale "lotta per le investiture", ai contrasti tra guelfi e ghibellini, fra Chiesa e Impero ecc., non c'è proprio nulla di cui sorprendersi... Ma noi riteniamo che i motivi della diffidenza cattolica verso il mondialismo che spinge De Mattei a scagliare contro il nuovo governo italiano presieduto da Mario Monti, quale massimo insulto, l'accusa di "socialismo mondialista", siano ben più profondi. Dalla fine dell'Impero Romano ad oggi la Chiesa cattolica è rimasta l'unica istituzione universale, cioè accogliente nel suo seno uomini e donne "di ogni razza, popolo e lingua". Ma oggi l'Unione Europea vuole diventare uno Stato sovranazionale, il Medio Oriente si è incamminato faticosamente verso la liberaldemocrazia, persino la Russia comincia a scrollarsi di dosso il regime autocratico di Putin. Oggi si affaccia all'orizzonte la possibilità che sorga un nuovo Impero cosmopolitico, un nuovo Stato accogliente nel suo seno, come la Chiesa, uomini e donne "di ogni razza, popolo e lingua"; un Impero de facto mondiale accanto a una Chiesa che aspira ad essere mondiale, uno Stato universale perché esteso a tutto il pianeta accanto a una Chiesa che si estenderebbe "soltanto" a 2 miliardi di esseri umani su 7; un simile Impero non sarebbe una realtà contingente come gli Stati-nazione finora esistiti, comprendenti sempre solo una parte dell'umanità e perciò destinati a nascere e morire col mutare dei criteri identificativi delle nazioni, ma avrebbe dalla sua parte il crisma della necessità, della inevitabilità, della sacertà. Perciò bisogna comprendere lo stato d'animo di molti cattolici che si sentono come i cristiani dei primi secoli, quando la lealtà allo Stato aveva un risvolto religioso, e si era costretti a scegliere tra il bruciare un pizzico di incenso davanti alla statua dell'imperatore e il martirio; e bisogna comprendere anche, seppur con maggior fatica, l'inquietudine non del Papa - ben consapevole della necessità e della bontà di una Autorità politica mondiale - ma di quei monsignori di Curia timorosi di diventare i cappellani cattolici dell'Impero accanto a pastori luterani, battisti e mormoni, rabbini ebrei, imam musulmani, monaci buddisti e così via... 246 Però i cristiani dei primi secoli non hanno dedotto da quel dilemma che per la sopravvivenza della loro fede era necessario spezzare l'Impero; anzi, hanno sempre ringraziato il Signore perché l'Impero consentiva loro di vivere in pace (cosa dice la liturgia della notte di Natale? Toto orbe composito in pace, quando tutto il mondo era in pace, Gesù nacque a Betlemme); e quando l'Impero crollò, furono proprio i cristiani a darsi da fare per la sua renovatio da parte di Carlo Magno. Perché i cristiani avevano compreso che l'Impero è il catéchon, colui che impedisce all'Anticristo di manifestarsi, colui che "trattiene" l'eone cristiano dal suo compimento, colui che "ritarda" la fine del mondo e il Giudizio Universale per dare a tutto il genere umano il tempo di ricevere l'annuncio del Vangelo e di convertirsi a Cristo. Da quando l'Impero di Roma è crollato, l'Europa è stata funestata per 1500 anni da guerre, rivoluzioni e genocidi immani. Solo un Impero mondiale può impedire ad America, Europa, Russia, Cina e Islam di gettarsi in una guerra planetaria che sterminerebbe l'umanità. E solo con l'appoggio della Chiesa può nascere un Impero mondiale che riunisca tutto il mondo nella pace. L'alternativa è la fine del mondo. Speriamo che la Chiesa lo capisca in tempo. È l'augurio che il Partito Mondialista rivolge a tutto il genere umano a due settimane dal Natale, il dono che invochiamo dall'Altissimo: un mondo unito e in pace. 247 LEFEBVRIANI, ANTIMONDIALISMO E LATINORUM (31/7/2008) Nei nostri editoriali abbiamo informato da anni i lettori circa l’empia alleanza creatasi dopo l’abbattimento del Muro di Berlino e il crollo dell’Unione Sovietica fra neo-nazifascisti, nostalgici del comunismo e settori retrivi del cattolicesimo: un sodalizio volto a porre i bastoni fra le ruote a quel cammino di espansione dei diritti umani, della libertà e della democrazia, iniziato dagli Stati Uniti d’America con gli interventi risolutori dei conflitti del 1914 e del 1939 e proseguito con la difesa dell’Europa occidentale dalle mire egemoniche di Mosca, che secondo le attese di noi mondialisti – oltre che di ogni sincero cultore della dignità della persona umana – sta conducendo l’umanità verso l’abolizione dei “sacri egoismi” nazionali e la creazione di un Impero mondiale a guida americana. Oggi vogliamo puntare i nostri riflettori su un settore poco noto dell’antimondialismo cristiano: i lefebvriani. Per chi non li conoscesse, si tratta dei seguaci dell’ex-vescovo scismatico Marcel Lefebvre, ribellatosi a Roma in polemica con alcune decisioni del Concilio Vaticano II (la sostituzione del latino nella liturgia con le lingue nazionali e l’apertura al principio di libertà religiosa) e fondatore della “Fraternità San Pio X”. Il loro sito Internet italiano, molto raffinato e costantemente aggiornato, alterna devote riflessioni sulla Messa tridentina a più prosaiche considerazioni politiche, affidate soprattutto alla rivista on-line “Tradizione Cattolica” e alla sua rubrica “Orizzonti mondialisti”. Qui il latinorum lascia il posto a invettive contro le guerre di “occupazione” statunitensi in Afghanistan e Iraq, alle solite tesi negazioniste che attribuiscono le stragi dell’11 settembre a un complotto di Cia e Mossad per fornire a Bush il pretesto per una guerra senza fine, a plateali menzogne – come quella secondo cui il “vero” numero delle vittime americane in Iraq sarebbe di 70.000 morti, o l’altra per la quale metà del contingente britannico a Bassora sarebbe stato ucciso o ferito – e a dotti richiami alle teorie geopolitiche del geografo inglese Halford Mackinder e del consigliere americano Zbigniew Brzezinski, dipinti come propugnatori di un assalto concentrico delle “potenze marittime” (Inghilterra e Stati Uniti) contro l’Eurasia per dividere la Russia in tre parti e impadronirsi delle sue materie prime. Non mancano le fanfaluche propagandistiche: Putin, l’assassino di Anna Politkovskaya e di centinaia di giornalisti coraggiosi che documentavano la verità, sarebbe il campione della rinascita della Russia che abbassa a 50 anni l’età del pensionamento per le donne con 5 figli (non vi ricorda Mussolini?) e innalza il reddito pro-capite con la sua lungimirante politica energetica; sempre Putin avrebbe fatto imprigionare Mikhail Kodorkhovsky, proprietario della Yukos Oil, non per impadronirsi del secondo colosso energetico del Paese e togliere di mezzo un concorrente della Gazprom da lui controllata, bensì al nobile scopo di impedirgli di cedere all’americana Exxon il patrimonio di conoscenze accumulato dai geofisici russi, alla base del (presunto) successo di Mosca nel trovare nuovi giacimenti in Siberia. Ancora Putin sarebbe il difensore della libertà di tutti i popoli d’Europa 248 contro l’asservimento all’impero di Washington, ma stranamente questo “liberatore” sarebbe costretto, dal malvagio progetto americano di installare un sistema antimissile in Polonia e nella Repubblica Ceca (come dire, nel suo ex cortile di casa), oggi a rompere il Trattato sulla riduzione delle armi convenzionali in Europa, a puntare sulle città del Vecchio Continente i suoi missili nucleari e a strangolare economicamente Ucraina e Georgia, colpevoli di aver chiesto l’ingresso nella NATO, domani forse a invadere le repubbliche baltiche, che nell’Alleanza Atlantica sono già entrate... Come ognuno può comprendere, siamo di fronte al solito ciarpame ammannito ogni giorno sul web da siti di estrema destra come da blog altermondialisti e dai soliti eurasisti. La paternità delle stragi dell’11 settembre è stata rivendicata più volte da Osama bin Laden in persona, come pure dal suo vice Ayman al-Zawahiri, per cui continuare a difendere teorie complottiste è ormai segno non più di ignoranza, ma di autentica malafede. Quanto allo scudo antimissile, la Casa Bianca ha ampiamente rassicurato il Cremlino circa la sua destinazione a proteggere le città europee da un eventuale attacco nucleare proveniente dall’Iran; ma anche se esso fosse rivolto a difendere l’Europa dai missili intercontinentali russi, questo dovrebbe essere imputato a colpa del governo e del popolo americani? Non dovrebbero invece essere lodati, l’uno e l’altro, per la costanza e l’abnegazione con cui sacrificano risorse umane ed economiche al fine di togliere dalle mani dell’orso russo la pistola nucleare che da sessant’anni tiene puntata alla testa dei popoli europei, costringendoli a un disonorevole compromesso tra alleanza formale agli Stati Uniti d’America e sudditanza de facto ai diktat di Mosca? Putin ha affermato di essere contrario allo scudo perché esso «distruggerebbe l’equilibrio strategico che regna in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale»: vuol forse dire che l’Europa dovrebbe essere condannata in eterno a essere succube della Russia, a non poter scegliere liberamente di aderire con gli Stati Uniti d’America ad una grande Lega delle Democrazie capace di portare libertà e pace al mondo? Se lo scopo dello scudo antimissile americano è davvero quello di liberare l’Europa dalle grinfie di Mosca, ben venga! Infine, è sotto gli occhi di tutti che la ripresa economica della Russia - il cui reddito pro-capite, come riconoscono gli stessi lefebvriani, in realtà è tornato appena al livello precedente la fine dell'Urss nel 1991; siamo ben lontani dalla ricchezza degli USA, o anche solo dell'UE - è avvenuta solo grazie all’aumento astronomico del prezzo del petrolio causata dell’instabilità mediorientale; instabilità che la Russia in questi ultimi dieci anni ha fomentato armando l’Iran del folle Ahmadinejad e aiutandolo a dotarsi di armi nucleari per cancellare dalle carte geografiche l’odiato Israele. La democratizzazione dell'Iran in seguito a un bombardamento israeloamericano che neutralizzi la capacità nucleare degli ayatollah e aiuti il popolo persiano a liberarsi di un regime corrotto e assassino come esso desidera da tempo sono gli stessi lefebvriani a riconoscere che in quel Paese, al contrario del resto del Medio Oriente, l'élite governante è antiamericana e le masse filoamericane - e l'instaurazione in Russia di una classe dirigente rispettosa dei diritti umani e immune da corruttele partitico-mafiose servirebbero, oltre che a dare sollievo a centinaia di 249 milioni di innocenti in miseria, anche a ridurre il prezzo del petrolio, e per conseguenza dei generi alimentari, a livelli più accettabili degli attuali, e quindi a combattere fame e povertà nel Terzo Mondo, a sventare il ricatto della Cina comunista sull'Africa (risorse in cambio del sostegno alle dittature) e in definitiva a rendere la Terra un luogo più libero, sicuro e felice. È dunque così cinica l'affermazione dell'ex segretario di Stato Madeleine Albright secondo cui «è ingiusto che la Siberia appartenga solo alla Russia»? Se lo smembramento della Siberia in tre repubbliche (l'occidentale, fino agli Urali, da annettere all'Unione Europea; la centrale da porre sotto il controllo angloamericano; l'orientale da assegnare ad una Cina democratizzata) può realizzare un miglioramento generale delle condizioni di vita del popolo russo e dell'intero genere umano, opporre a un simile progetto la difesa della sovranità russa appare una esile foglia di fico. Il contenuto del sito Internet della “Fraternità San Pio X”, come di quello firmato da un gruppo di sedicenti “Cattolici Genovesi” che auspica una “santa alleanza” fra Europa cattolica e Russia ortodossa per sconfiggere il “grande Satana” americano e il “piccolo Satana” sionista, e di tutti gli altri appartenenti alla galassia tradizionalista cattolica, è dunque il frutto avvelenato della commistione fra l’ostilità di alcuni settori della Chiesa verso i principi di libertà e autonomia della sfera secolare da quella sacrale (come se il Signore Gesù Cristo non avesse mai detto «Rendete a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio», liberando la religione dal ruolo di ancella del potere) e i relitti delle ideologie, comunismo e nazifascismo, che hanno funestato il ventesimo secolo, entrambe generate dal rifiuto della società aperta che di quella libertà e di quella distinzione fra trono e altare è l’altissimo prodotto. Di fronte a questa impura alleanza di fondamentalisti neri, rossi e bianchi diventa ancor più urgente e necessario, per noi dell’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire” e del Partito Mondialista, proseguire con sempre maggiore impegno nella nostra opera di apertura e illuminazione delle menti e dei cuori degli uomini e delle donne di tutto il pianeta, affinché comprendano, come l’abbiamo compreso noi da tempo, che la maggior parte delle sciagure che funestano l’umanità dall’inizio della sua storia deriva dalla sua divisione in gruppi e gruppuscoli in perpetua lotta fra loro, dalla discriminazione fra chi è “dentro” e chi è “fuori” del gruppo dominante (i maschi, i proletari, gli ariani, i sottomessi ad Allah o al dio di turno), e che pertanto esse avranno fine solo quando gli Stati costruiti su base etno-religiosa saranno spogliati della loro sovranità a favore di un Impero mondiale che assicuri pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. 250 A GERUSALEMME CAMBIANO I PATRIARCHI MA LE MENZOGNE RESTANO (25/12/2008) È Natale e da Gerusalemme ci giunge, puntuale come ogni anno, il messaggio di auguri del Patriarca dei Latini Michel Sabbah. Nulla di nuovo sotto il sole, intendiamoci: il solito rammentare ai cristiani di tutto il mondo le "agressioni [sic!] contro i cittadini" e le "violazioni contro proprietà e beni" compiute dall'esercito israeliano; la solita rampogna al governo di Israele per "l'ingiusta chiusura imposta a Gaza e a centinaia di migliaia di innocenti" e per "l'imposizione ai civili di barriere di chiusura, posti di controllo esasperante e costruzione di muri di isolamento" negli altri villaggi e città della Terra Santa; il solito pianto sulla "tragedia dell'Iraq come popolo, civiltà, patrimonio e storia, in seguito all'occupazione e alla distruzione delle sue strutture di stato, diventando purtroppo teatro del terrorismo e della violenza"; la solita preghiera al Bambino di Betlemme "nato in una grotta come un esule, rifugiato in Egitto come profugo e rigettato"; la solita preghiera a Dio fatta strumentalizzando la Scrittura, affinché Egli spezzi "il giogo e la sbarra che pesano sulle spalle del popolo, e il bastone del suo aguzzino"... Aspettate, abbiamo commesso un errore: da quest'anno il Patriarca di Gerusalemme dei Latini non è più Michel Sabbah, è Fouad Twal. I lettori fedeli e assidui di questo sito lo conoscono già, perché il 29 agosto 2006 pubblicammo nella sezione "Scritti scelti" un articolo riportante le sue dichiarazioni da vescovo coadiutore di Gerusalemme al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini: "Hamas ed Hezbollah sono il prodotto dell'occupazione israeliana protratta nel tempo. La loro è resistenza. Legittima al cento per cento"; la missione Unifil inviata in Libano dopo il vile attacco dei fanatici islamisti a Israele, dopo il rapimento proditorio di innocenti soldati israeliani (che poi sono stati tutti uccisi, Dio li accolga nel Suo regno) e dopo il bombardamento a tappeto delle città e dei villaggi israeliani, non doveva assolutamente disarmare Hezbollah, perché "nessuna forza straniera ha il diritto di mettere il naso negli affari interni libanesi. Hezbollah è un partito eletto democraticamente, ha alcuni ministri al governo e in Parlamento diversi parlamentari. La soluzione ideale può solo arrivare dall'interno e procedere, attraverso un cammino politico, ad integrare le milizie di Hezbollah nell'esercito formale libanese" (cioè a mettere l'intero paese dei cedri nelle mani degli assassini, come poi è avvenuto); l'auspicio che una forza Onu potesse essere mandata anche a Gaza, perché "Israele è vero che è uscito da otto colonie ma è anche vero che poi vi entra 4 o 5 volte la settimana per uccidere e devastare"; la negazione che Hezbollah sia teleguidato da Teheran con la puerile motivazione che "gli armamenti si possono comprare da tutti quanti, non solo dall'Iran". Neppure una parola sul fatto, ovvio e scontato per chiunque ragioni senza pregiudizi, che le truppe di Tsahal sono costrette a compiere incursioni a Gaza per porre almeno un piccolo freno alla catena di montaggio palestinese che lavora a ritmo continuo, notte e giorno, per assemblare i famigerati razzi Qassam con cui da molti, troppi anni vengono quotidianamente colpiti Sderot e gli altri villaggi nel Sud 251 d'Israele e uccise, ferite, brutalizzate centinaia di persone colpevoli solo di essere ebree, della stessa stirpe di quel Gesù del quale oggi festeggiamo la venuta nel tempo e nello spazio. Silenzio assoluto sul fatto che il governo israeliano ha dovuto risolversi a costruire un muro di separazione dalla Cisgiordania per disperazione, per fermare lo stillicidio di attentati suicidi che veniva compiuto ogni giorno da giovani palestinesi irretiti da imam senza scrupoli contro i loro coetanei ebrei in discoteche e ristoranti, per impedire che i papà e le mamme ebrei con due figli dovessero mandarli a scuola su due autobus diversi affinché, in caso di attentato, se ne salvasse almeno uno, e sul fatto che dopo la costruzione del muro il numero degli attentati si è drasticamente ridotto. Silenzio anche sul fatto, altrettanto ovvio e scontato per tutti tranne che per i ciecopacifisti di professione, che la liberazione dell'Iraq (sì, liberazione, non occupazione; L-I-B-E-R-A-Z-I-O-N-E) fu decisa dal Presidente degli Stati Uniti d'America George Walker Bush dopo l'infame attacco sferrato a tradimento contro New York e Washington dall'organizzazione terroristica al-Qaeda di Osama bin Laden, il cui luogotenente al-Zarkawi (in seguito provvidenzialmente ucciso dalle truppe della Coalizione dei Volenterosi) risiedeva da anni a Bagdad con il favore del tiranno Saddam Hussein, complottando per fornire al network del terrore globale le armi chimiche e batteriologiche di cui il regime baathista disponeva, tanto vero che le aveva usate in modo molto efficiente per eliminare centinaia di migliaia di curdi e sciiti. Insomma, a Gerusalemme possono anche cambiare i patriarchi, ma le menzogne rimangono sempre le stesse. E meno male che Sabbah e Twal si sono limitati a sparare parole (almeno per ora): nel 1974 il vescovo greco-melchita di Cesarea Hilarion Capucci fu condannato a 12 anni di carcere da un tribunale israeliano dopo esser stato fermato ad un posto di blocco mentre, confidando nell'immunità diplomatica trasportava sulla sua automobile targata S.C.V. un carico di armi destinate all'Olp; liberato tre anni dopo per le improvvide pressioni di Paolo VI, questo modello di santità vive tuttora in esilio a Roma, dove continua a far propaganda pro-Intifada in manifestazioni pubbliche e con interviste. A voler essere cinici si potrebbe dire che nei Sacri Palazzi vaticani, dove è maturata la nuova nomina, non tengano molto all'immagine della Chiesa, alla pessima figura procurata da questi pastori infedeli che distorcono le parole del loro Signore per servire gli interessi dei vari dittatori laici e religiosi, unica causa delle sofferenze del loro gregge; ma purtroppo il problema non è di immagine. Il problema nasce dall'oltraggio commesso in Anagni nel 1303 dagli sgherri del re di Francia Filippo IV detto il Bello - bello forse nel corpo, ma immondo e ributtante nell'anima - che ridussero in fin di vita il Papa Bonifacio VIII, suscitando lo sdegno unanime della Cristianità. Da allora la Chiesa divenne acutamente, forse fin troppo consapevole di non disporre di forze materiali sufficienti ad assicurare l'incolumità fisica del vicario di Cristo, e tantomeno degli altri suoi pastori; e per questo da allora la sua condotta nei confronti dei poteri temporali è sempre stata improntata alla massima cautela. Per questo la Chiesa ha rifiutato di prendere una posizione esplicitamente contraria tanto ai regimi nazista e fascista, quanto al totalitarismo comunista che pure mandava a morte migliaia di sacerdoti, religiosi e laici cristiani in mezzo mondo. Vi è stata certo la ferma, fermissima opposizione di singoli pastori coraggiosi - come il 252 vescovo di Milano Alfredo Ildefonso Schuster e il suo omologo tedesco Clemens August von Galen detto "il leone di Münster", o come il cardinale di Budapest Jozsef Mindszenty che pagò con lunghi anni di prigionia la sua resistenza a Hitler e Stalin -; vi è stato certamente un appoggio sotterraneo della Santa Sede a tutti i cristiani che prestavano soccorso con rischio della vita agli Ebrei perseguitati, e anche a quanti organizzavano movimenti di resistenza armata (l'attentato fallito a Hitler del 1944 fu preparato da un gruppo di alti ufficiali tedeschi cattolici con il silenzioso avallo di Pio XII); ma appunto si trattò sempre di appoggi "sotterranei", di avalli "silenziosi", perché una condanna pubblica del nazifascismo prima e del comunismo poi avrebbe comportato lo sterminio del clero e l'eliminazione violenta della Chiesa dai territori soggetti a quei regimi (l'unico Pontefice che osò alzare chiara e forte la voce contro il mostro comunista, Giovanni Paolo II il Grande, scampò miracolosamente all'attentato mortale ordito dal Kgb e dai servizi segreti bulgari). E oggi che il pericolo per la libertà, la democrazia e la vita di intere popolazioni viene dal fondamentalismo terrorista islamico la politica della Chiesa è sempre la stessa: latenter pugnare, publice tolerare, accogliere i seguaci di Allah Yasser Arafat e Abu Mazen sulla porta della Basilica della Natività come "protettori" dei cristiani del Medio Oriente e domandarsi con ansia se sia peggio essere sudditi precari di un califfo musulmano o cittadini a pieno titolo di un Occidente "ateo e materialista". Solo un Impero mondiale che imponga a tutti i popoli e gli Stati il rispetto dell'uguale diritto di ogni essere umano alla vita, alla libertà - dalla libertà di pensiero e di religione a quella di parola, di stampa e d'impresa - e alla ricerca della felicità potrà salvare la Chiesa dalla scomoda sudditanza ai poteri temporali e permetterle di svolgere con franchezza la sua missione di annuncio del Vangelo e di promozione umana. Ad ogni modo, è Natale. Oggi il Signore Gesù Cristo nasce di nuovo in tutto il mondo, come da 2008 anni. Nasce di nuovo anche nei villaggi israeliani del Negev sottoposti da trenta ore a un bombardamento missilistico da Gaza. Nasce di nuovo anche a Gaza, dove la scorsa notte l'illegale governo di Hamas ha imposto ai cristiani di annullare la Messa di mezzanotte "per protestare contro l'occupazione sionista", e dove questa mattina colpi di mortaio lanciati sempre da Hamas hanno falciato un gruppo di pellegrini cristiani che stavano attraversando il valico di Erez per recarsi a Betlemme. E noi dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e del Partito Mondialista sappiamo che Egli davvero un giorno spezzerà di nuovo il giogo e la sbarra che pesano sulle spalle dei popoli, e il bastone dei loro aguzzini. Abbatterà il potere degli aguzzini veri, non di quelli creduti tali dagli uomini, perché "le Sue vie non sono le nostre vie, e i Suoi pensieri non sono i nostri pensieri". Lo farà con mani umane, perché Egli ha voluto unire la sua infinita e perfetta natura divina con la nostra limitata e fragile natura umana, ha voluto camminare sulle gambe degli uomini e operare prodigi con mani umane. E di quelle mani, la falange più piccola e insignificante saremo noi. Per questo, nonostante tutto, Buon Natale. 253 LA META FINALE DELLA STORIA: L'IMPERO MONDIALE DEI FIGLI DELL'UOMO (22/11/2009) In questo giorno nel quale i cristiani di tutto il mondo, anche in mezzo alle persecuzioni, chiudono l'anno liturgico - figura del tempo destinato a concludersi col Giudizio - celebrando la solennità di Gesù Cristo Re dell'universo, Inizio e Fine di tutte le cose, anche noi mondialisti avvertiamo l'esigenza di sollevarci dalle questioni contingenti per gettare con voi uno sguardo sulla meta finale della Storia, sul traguardo per cui lavoriamo da quel venerdì 13 ottobre del 1307, allorché fummo provati con il fuoco per essere trovati degni della nostra missione. La prima lettura proclamata oggi nelle chiese e nelle catacombe, da Roma a Pechino e da Islamabad a Caracas, è una visione tratta dal Libro del profeta Daniele, scritta probabilmente nel II secolo a.C., e qui vogliamo riportarla per esteso per iniziare da essa la nostra riflessione: Dn 7:1 Nel primo anno di Baldassàr re di Babilonia, Daniele, mentre era a letto, ebbe un sogno e visioni nella sua mente. Egli scrisse il sogno e ne fece la relazione che dice: 2 Io, Daniele, guardavo nella mia visione notturna ed ecco, i quattro venti del cielo si abbattevano impetuosamente sul Mar Mediterraneo 3 e quattro grandi bestie, differenti l'una dall'altra, salivano dal mare. 4 La prima era simile ad un leone e aveva ali di aquila. Mentre io stavo guardando, le furono tolte le ali e fu sollevata da terra e fatta stare su due piedi come un uomo e le fu dato un cuore d'uomo. 5 Poi ecco una seconda bestia, simile ad un orso, la quale stava alzata da un lato e aveva tre costole in bocca, fra i denti, e le fu detto: «Su, divora molta carne». 6 Mentre stavo guardando, eccone un'altra simile a un leopardo, la quale aveva quattro ali d'uccello sul dorso; quella bestia aveva quattro teste e le fu dato il dominio. 7 Stavo ancora guardando nelle visioni notturne ed ecco una quarta bestia, spaventosa, terribile, d'una forza eccezionale, con denti di ferro; divorava, stritolava e il rimanente se lo metteva sotto i piedi e lo calpestava: era diversa da tutte le altre bestie precedenti e aveva dieci corna. 254 8 Stavo osservando queste corna, quand'ecco spuntare in mezzo a quelle un altro corno più piccolo, davanti al quale tre delle prime corna furono divelte: vidi che quel corno aveva occhi simili a quelli di un uomo e una bocca che parlava con alterigia. 9 Io continuavo a guardare, quand'ecco furono collocati troni e un vegliardo si assise. La sua veste era candida come la neve e i capelli del suo capo erano candidi come la lana; il suo trono era come vampe di fuoco con le ruote come fuoco ardente. 10 Un fiume di fuoco scendeva dinanzi a lui, mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano. La corte sedette e i libri furono aperti. 11 Continuai a guardare a causa delle parole superbe che quel corno proferiva, e vidi che la bestia fu uccisa e il suo corpo distrutto e gettato a bruciare sul fuoco. 12 Alle altre bestie fu tolto il potere e fu loro concesso di prolungare la vita fino a un termine stabilito di tempo. 13 Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, 14 che gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; 255 il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto. 15 Io, Daniele, mi sentii venir meno le forze, tanto le visioni della mia mente mi avevano turbato; 16 mi accostai ad uno dei vicini e gli domandai il vero significato di tutte queste cose ed egli me ne diede questa spiegazione: 17 «Le quattro grandi bestie rappresentano quattro re, che sorgeranno dalla terra; 18 ma i santi dell'Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per secoli e secoli». 19 Volli poi sapere la verità intorno alla quarta bestia, che era diversa da tutte le altre e molto terribile, che aveva denti di ferro e artigli di bronzo e che mangiava e stritolava e il rimanente se lo metteva sotto i piedi e lo calpestava; 20 intorno alle dieci corna che aveva sulla testa e intorno a quell'ultimo corno che era spuntato e davanti al quale erano cadute tre corna e del perché quel corno aveva occhi e una bocca che parlava con alterigia e appariva maggiore delle altre corna. 21 Io intanto stavo guardando e quel corno muoveva guerra ai santi e li vinceva, 22 finché venne il vegliardo e fu resa giustizia ai santi dell'Altissimo e giunse il tempo in cui i santi dovevano possedere il regno. 23 Egli dunque mi disse: «La quarta bestia significa che ci sarà sulla terra un quarto regno diverso da tutti gli altri e divorerà tutta la terra, la stritolerà e la calpesterà. 24 Le dieci corna significano che dieci re sorgeranno da quel regno e dopo di loro ne seguirà un altro, diverso dai precedenti: abbatterà tre re 25 e proferirà insulti contro l'Altissimo e distruggerà i santi dell'Altissimo; penserà di mutare i tempi e la legge; i santi gli saranno dati in mano per un tempo, più tempi e la metà di un 256 tempo. 26 Si terrà poi il giudizio e gli sarà tolto il potere, quindi verrà sterminato e distrutto completamente. 27 Allora il regno, il potere e la grandezza di tutti i regni che sono sotto il cielo saranno dati al popolo dei santi dell'Altissimo, il cui regno sarà eterno e tutti gli imperi lo serviranno e obbediranno». 28 Qui finisce la relazione. Io, Daniele, rimasi molto turbato nei pensieri, il colore del mio volto si cambiò e conservai tutto questo nel cuore. Come si può ben comprendere dalla lettura, sia le quattro bestie dalle forme strane, sia l'essere «simile a un figlio d'uomo» simboleggiano entità collettive, popoli e nazioni: il leone è l'impero babilonese, l'orso è l'impero persiano (che effettivamente «divorò molta carne», cioè si estese su un territorio vastissimo), il leopardo e la quarta bestia rappresentano l'impero di Alessandro Magno e dei suoi dieci successori (teste e corna). Tutti questi regni, viene detto al profeta, vengono «dalla terra», ovvero sono caratterizzati dal predominio di questa o quella etnia, religione e cultura; a ciascuno di essi il «vegliardo», Dio, assegna un inizio e un termine. E il «figlio dell'uomo»? Egli è simbolo di un popolo completamente diverso: viene «sulle nubi del cielo» e il suo regno non sarà mai distrutto. È un popolo unito non dalla comunanza della carne e del sangue, della razza o della religione o della cultura, ma dal riconoscimento della comune natura umana che è anteriore e superiore a ogni distinzione di razza, lingua o religione. Il suo nucleo fondatore è Israele, cioè l'insieme di quanti «avevano gridato a Dio e furono salvati» (come è scritto nel Libro di Ester), i «santi dell'Altissimo», coloro che hanno prestato fede alla Promessa e hanno accettato di obbedire alla Legge delle Dieci Parole; questo nucleo originario si è poi esteso a quanti hanno ascoltato il messaggio di salvezza universale di Gesù Cristo, fondato sull'amore e il rispetto di ogni essere umano, sull'abolizione di ogni discriminazione di sesso, razza e religione e sulla distinzione tra la sfera sacra e quella profana, tra le «cose di Dio» e le «cose di Cesare». Su questo messaggio divino è stata edificata la civiltà dell'Occidente, la sola che abbia superato il timore superstizioso nei confronti della Natura, che abbia applicato l'ingegno umano, creato a immagine del Logos Creatore, per scoprire le leggi dell'Universo, debellare le malattie, abolire la schiavitù e sollevare dalla miseria intere nazioni. La missione di noi mondialisti consiste proprio nel portare il liberante messaggio di salvezza cristiano a tutti gli uomini e le donne della terra, anche là ove le Chiese di Cristo non sono ancora arrivate; nel convincere le menti e i cuori circa la naturale eguaglianza di tutti gli esseri umani e la conseguente necessità di abbattere tutti i regimi dittatoriali, teocratici e totalitari che conculcano la libertà e la dignità della persona umana, di eliminare il cadavere putrefatto della sovranità nazionale, 257 alibi dei tiranni laici e religiosi, per edificare una società civile planetaria e un Impero mondiale, uno Stato universale per individui universali. Ai no-global "di destra", i quali aborrono il nostro progetto di un Impero mondiale perché ritengono, come il loro nefasto maestro Carl Schmitt, che la politica si fondi sulla lotta all'ultimo sangue fra gruppi nemici, rispondiamo che una umanità riunificata avrebbe non pochi "nemici" da affrontare: epidemie, carestie, mutamenti climatici, inondazioni, terremoti, eruzioni vulcaniche, cadute di meteoriti... Tutte queste minacce sono state sinora affrontate dalle singole nazioni ciascuna con le sole forze, capacità e saperi della propria singola popolazione; un Impero mondiale potrà coordinare contro di esse la tecnologia (la tanto vituperata tecnologia!), le risorse economiche e i saperi di tutta la specie umana. Ai no-global "di sinistra", nostalgici dell'anarchismo e nemici preconcetti di ogni autorità, i quali temono l'avvento di un tiranno mondiale, rispondiamo che in ogni società umana e in ogni epoca della storia, secondo il principio di divisione dei lavori, esistono per natura - accanto a coloro che coltivano la terra, che cacciano, pescano, combattono, costruiscono case, aratri, lance, spade o reti da pesca, che curano i malati, pregano Dio o studiano il mondo - anche dei capi che prendono le decisioni di ultima istanza, un vertice della piramide che coordina gli sforzi e le competenze di ciascuno per il bene della società nella sua interezza; e che l'innegabile realtà che i governanti sono esposti alla tentazione di perseguire il proprio interesse individuale o quello del proprio sottogruppo particolare anziché preoccuparsi del bene comune del gruppo nella sua totalità, e che molti di essi a quella tentazione abbiano ceduto e cedano ogni giorno, non implica che l'autorità sia negativa in sé e che si debba abolire il governo in generale per abolire il malgoverno, così come il fatto che gli uomini possano essere, e in molti casi siano, ciechi, sordi, muti o zoppi non implica che questo sia lo stato naturale dell'uomo e che non sia compito degli uomini curare le infermità dei propri simili per portarli, nei limiti del possibile in questo mondo destinato a perire, a uno stato di buona salute. In ogni epoca della storia gli oppressi all'interno delle singole nazioni hanno combattuto per abbattere i tiranni che li opprimevano; nel futuro Impero mondiale, certamente, a periodi di buon governo potranno alternarsi periodi di tirannide, nel qual caso gli oppressi della società mondiale lotteranno per abbattere i loro oppressori. Ciò non toglie che la creazione di uno Stato o Impero mondiale, con un solo Presidente o Imperatore (il titolo è irrilevante), eliminerà dalla faccia della terra le divisioni e le rivalità fra etnie e religioni finora arroccate come fortezze l'una contro l'altra armate, causa principale delle guerre, delle carestie e della povertà materiale e spirituale in cui versa gran parte del genere umano, permettendo inoltre a un governo planetario illuminato di destinare le ingenti risorse economiche e scientifiche oggi consumate nella distruzione reciproca alla lotta contro le "emergenze globali", per un vero progresso dell'umanità, e di assicurare finalmente pace, prosperità e giustizia per tutti. 258 IL "DIALOGO CHIESA-ISLAM" COME L'ASSE ROMA-BERLINO? (15/11/2010) Il 12 settembre 2006 nell'aula magna dell'Università di Ratisbona l'ex professore di teologia Joseph Ratzinger, divenuto Papa Benedetto XVI, teneva una lectio magistralis sull'unità feconda tra fede e ragione che sta a fondamento dell'Occidente greco-ebraico-cristiano, nella quale citava una frase che un colto imperatore bizantino, Manuele II Paleologo, aveva immaginato in una sua opera filosofica di rivolgere a un persiano: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava", spiegando poi tale affermazione in questo modo: «Dio non si compiace del sangue - egli dice -, non agire secondo ragione, “σὺν λόγω”, è contrario alla natura di Dio». Come certo saprete, questo passo della lezione scatenò sul Pontefice un diluvio di accuse di "islamofobia" da parte dei soliti pseudointellettuali politicamente corretti e gli attirò l'odio dell'intero mondo islamico: dalla Cisgiordania all'Indonesia, dal Cairo ad Ankara i musulmani reagirono all'insinuazione di essere irrazionali in modo, ovviamente, irrazionale, maledicendo il Papa, minacciando di ucciderlo, di conquistare Roma e di trasformare la Basilica di San Pietro in una moschea - uno sport che a loro piace molto, visto che in 1.400 anni lo hanno praticato con chiese cristiane, templi induisti e perfino con la tomba di Abramo a Hebron -, definendo Gesù Cristo "una scimmia appesa a una croce" e massacrando la missionaria italiana suor Leonella (che aveva dedicato la vita ad aiutare i somali), il sacerdote siroortodosso padre Amer Iskander (il cui corpo fu ritrovato con la testa staccata dal corpo e le braccia mutilate), il diplomatico UE in Marocco Alessandro Missir di Lusignano e sua moglie... Il Papa, allora, fece una mezza marcia indietro: si dichiarò "rammaricato" per le reazioni suscitate dal suo discorso e proclamò la necessità per la Chiesa del "dialogo" fra cristiani e musulmani, in quanto entrambi «adoratori del Dio unico, creatore del cielo e della terra», e di una loro comune azione contro il «secolarismo ateo e materialista». Da allora Benedetto XVI e i suoi collaboratori, a cominciare dal segretario di Stato vaticano cardinale Tarcisio Bertone, hanno continuamente ripetuto questo mantra: cristiani e musulmani adorano un unico Dio, quindi sono fratelli, quindi devono andare d'amore e d'accordo e lottare insieme contro l'Occidente ateo e materialista che elimina il Sacro dal mondo; anche la lettera recentemente inviata dal Papa al folle Ahmadinejad, in risposta alla sua richiesta che la Santa Sede e la Repubblica islamica dell'Iran unissero i loro sforzi per fermare il secolarismo e «cambiare le strutture tiranniche che governano il pianeta», esprime la convinzione pontificia che «il rispetto della dimensione trascendente della persona umana sia una condizione indispensabile per la costruzione di un giusto ordine sociale e di una pace stabile». Peccato che i musulmani non abbiano dato loro ascolto: don Andrea Santoro, monsignor Luigi Padovese, gli stampatori di Bibbie assassinati in Turchia in questi ultimi anni sono solo la punta mediaticamente visibile di una montagna di cristiani che hanno pagato con la vita il rifiuto di convertirsi al falso dio Allah e al 259 suo profeta sanguinario Maometto; una scia di sangue iniziata con i massacri di Otranto e Cipro nel 1500, continuato nel XX secolo con il genocidio degli Armeni da parte dell'ormai agonizzante impero ottomano, e che ultimamente sta raggiungendo un tragico acme con il massacro nella cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso a Bagdad dello scorso 31 ottobre e con la dichiarazione di alQaeda secondo cui "tutti i cristiani, ovunque si trovino nel mondo, e tutte le loro organizzazioni, a cominciare dal Vaticano, sono bersagli legittimi". Eppure, nonostante le immani sofferenze che i credenti nel Cristo patiscono da anni in tutto il Medio Oriente, il recente Sinodo dei vescovi di quella vasta regione ha censurato i pochi interventi volti a denunciare la sistematica persecuzione condotta dall'Islam e ha preferito puntare il ditino accusatore contro Israele, "colpevole" di aver costruito una barriera di sicurezza che ha praticamente azzerato le infiltrazioni di terroristi palestinesi dalla Cisgiordania e lo stillicidio di attentati che colpivano israeliani indifesi sugli autobus, nei ristoranti e nelle discoteche, nonché di difendersi dagli attacchi missilistici che partono da Gaza contro le sue città e i suoi villaggi. Per il Papa e i vescovi non conta neppure il fatto statisticamente provato che Israele sia l'unico Stato del MO da cui i cristiani non fuggono, ma in cui anzi prosperano e si moltiplicano (sono passati dai 34.000 del 1949 ai 163.000 odierni, praticamente +379% in sessant'anni!), mentre in Turchia sono calati dai due milioni del 2007 a 85mila, in Libano si è passati dal 55 al 35% della popolazione, in Egitto la loro cifra si è dimezzata, in Siria dalla metà della popolazione si sono ridotti al 4%, in Giordania sono passati dal 18 al 2%, a Gaza sono rimasti in 3.000 sottoposti a continue persecuzioni e in Iran quasi non esistono più. Addirittura l'arcivescovo latino di Bagdad lo scorso 11 novembre, mentre il sangue dei suoi fratelli scorreva per le strade, ha peccato contro l'ottavo comandamento («Non pronunciare falsa testimonianza») affermando falsamente in una intervista al "Corriere della Sera" che «ai tempi di Saddam c'era più sicurezza», laddove la "Repubblica" del 15 novembre mostra chiaramente che i cristiani iracheni, da 1.300.000 nel 1991 (come correttamente riportato dal Corsera in una tabella), erano ridotti a 900.000 nel 2003, quindi un terzo di essi era fuggito all'estero già durante gli anni della dittatura del "buon" Saddam, ben prima che gli americani imperialisti abbattessero il suo regime! Cosa spinge le gerarchie della Santa Sede a sacrificare anche la nuda verità delle cifre sull'altare del "dialogo islamo-cristiano"? Non certo la paterna preoccupazione di evitare ulteriori crudeltà verso i cristiani che vivono in terre a maggioranza musulmana (maggioranza peraltro, come ben sapete, storicamente costruita con la spada): ormai anche il cardinale più ingenuo dovrebbe aver compreso che tutti gli islamici, dai "fondamentalisti" che uccidono ai "moderati" che tacciono e finanziano, proseguono nella loro "pulizia religiosa" a prescindere dal fatto che la Chiesa si profonda in sorrisi e salamelecchi. Noi mondialisti, grazie ai contatti tenuti con personalità ecclesiastiche, possiamo darvi la risposta ufficiosa ma vera: per quanto possa apparirvi eccentrico, stupefacente, scandaloso, la risposta è che «sulla bilancia della Chiesa pesano molto di più i milioni di anime narcotizzate dal secolarismo in Occidente rispetto alle poche migliaia di morti ammazzati in Medio Oriente; quella che subiscono i cristiani in Occidente è una persecuzione molto più violenta di quella 260 che subiscono da parte dei musulmani, anche se è una violenza "morbida" fatta di irrisione e disprezzo». Allucinante ma vero: ascoltando molti sacerdoti e vescovi non certo di primo pelo sembra di sentire le farneticazioni dei no-global che spaccano le vetrine di negozi e banche e le teste dei poliziotti che tentano di fermarli in nome della «legittima difesa nonviolenta contro la violenza del sistema capitalisticomondialista che omologa tutto, che cancella le differenze, che vuole imporre il Pensiero Unico, bla-bla-bla», o i cinegiornali fascisti in cui Mussolini incitava alla guerra contro le «demoplutocrazie giudaico-massoniche», o le filippiche hitleriane contro la cultura «degenerata» degli Stati Uniti d'America e contro i giovani americani amanti del jazz e dello swing bollati come «selvaggi che si dimenano al suono di una musica negroide». Sia chiaro: non diciamo questo per mancanza di rispetto verso la Chiesa e i suoi pastori. Noi mondialisti, come membri dell'Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone, ci consideriamo - nonostante la scomunica ricevuta settecento anni fa e mai revocata, per il momento - membra del Corpo di Cristo e componenti della Chiesa, e abbiamo il massimo rispetto per il ministero affidato dal Signore Gesù a Pietro e ai suoi successori di «legare e sciogliere in terra e in cielo» e di «confermare i fratelli nella fede», come pure per la funzione «regale, profetica e sacerdotale» svolta da vescovi, preti e monaci con l'ausilio dello Spirito Santo. Sappiamo bene altresì come i cristiani, sia cattolici che ortodossi o "protestanti", si siano sempre prodigati per alleviare miseria e sofferenze, per combattere ingiustizie e discriminazioni: benedettini e cistercensi non hanno forse bonificato paludi e dissodato terre incolte? domenicani e francescani non hanno forse fondato ospedali, ospizi e orfanotrofi per prendersi cura dei malati e salvare mendicanti e bambini da morte sicura? abbazie e monasteri non hanno forse conservato la cultura greco-latina dopo le invasioni barbariche, e papi e vescovi non sono stati forse i primi fondatori di università? e non sono stati forse sacerdoti e pastori a battersi, in Inghilterra e in America, contro il traffico dei figli d'Africa allegramente praticato dai musulmani e per l'abolizione della schiavitù? Martin Luther King non era forse cristiano? I sopravvissuti alla strage di Bagdad non vengono, proprio in queste ore, curati nel Policlinico Gemelli di Roma, in un ospedale cioè fondato da un religioso cristiano e gestito direttamente da una università cattolica? In sintesi, l'Occidente che da tre secoli sta faticosamente portando a tutti i popoli della terra la superiore civiltà dei diritti umani non è forse il frutto più bello del Cristianesimo? Noi mondialisti tutto questo lo sappiamo; ma a volte sembra che nei Sacri Palazzi si ragioni come se la civiltà dei diritti dell'uomo sia un tradimento del principio di autorità, come se la libertà religiosa fosse un rifiuto della vera fede, come se la modernità fosse uno schiaffo in faccia alla Tradizione, come se gli islamici fossero "religiosi" perché vogliono il dominio di Allah su ogni dettaglio della vita umana mentre gli occidentali sarebbero "atei e materialisti" perché distinguono tra religione, politica e scienza, tra peccato e reato... Ma non è stato forse il Signore Gesù Cristo a comandare «Rendete a Cesare quel che è di Cesare»? Rendere a Dio quel che è di Dio è regola anche per gli islamici, anzi è la regola suprema; ma rendere a Cesare quel che è di Cesare è ciò che differenzia il Cristianesimo da ogni altra 261 religione. «Rendere», cioè non dare graziosamente, come fosse un'elemosina, ma restituire a Cesare, all'autorità dello Stato, quello che gli spetta come diritto originario, conferito direttamente da Dio: la moneta e la spada, il potere di pretendere dai cittadini il pagamento delle imposte per il bene comune e di punire i criminali per assicurare quella tranquillità della vita, senza la quale non sarebbe possibile ai cristiani vivere in conformità al Vangelo e rendere ragione della loro fede nell'amore di Dio verso tutti gli uomini e nella vita eterna. Per questo l'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e il Partito Mondialista, suo ramo esecutivo, continueranno a condurre la buona battaglia per illuminare le menti e i cuori degli uomini e delle donne di tutto il pianeta sulla necessità e inevitabilità di superare le discriminazioni di sesso, razza, religione e nazionalità che producono tanti lutti e rovine, e di fondare un Impero mondiale che garantisca pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Anche per i cristiani. 262 KAROL WOJTYLA, UN BEATO MONDIALISTA (1/5/2011) In questo giorno, domenica in albis e festa della Divina Misericordia, il Partito Mondialista e l'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" festeggiano insieme alla Chiesa universale la beatificazione di Karol Wojtyla, Papa Giovanni Paolo II. Noi mondialisti plaudiamo alla decisione di Benedetto XVI di accogliere il desiderio della folla che sei anni fa, durante il funerale di Karol Wojtyla, gridò a gran voce «Santo subito», e di avviare l'iter della causa di beatificazione con notevole anticipo rispetto ai tempi ordinari della Chiesa, e all'operato degli organi preposti, che hanno concluso il processo canonico in tempi rapidissimi. Accogliamo con gioia e soddisfazione l'elevazione al primo gradino degli onori liturgici di un grande uomo e Pontefice che non ha soltanto conservato integro, annunciato senza sosta e trasmesso fedelmente il sacro deposito della Parola di Dio rivelata dal Signore Gesù Cristo, ma anche e soprattutto, in attuazione di quella santissima Parola, ha prima combattuto con coraggio e abnegazione contro il comunismo ateo ignorante e assassino, contribuendo in alleanza con gli Stati Uniti d'America all'abbattimento del Muro di Berlino e alla disfatta dell'Unione Sovietica, e poi ha levato la sua voce contro l'indifferenza dell'Occidente nei confronti delle stragi compiute da masse inferocite e razziste, dittatori folli e fanatici terroristi nel Ruanda, in Bosnia-Erzegovina e nel Kossovo, denunciando l'ipocrisia delle sovranità nazionali e invocando l'adempimento del dovere di proteggere le popolazioni civili mediante una «ingerenza umanitaria», anche contro i propri governanti e anche mediante il ricorso alla guerra. Per questo oggi gioiamo e facciamo festa insieme ai cattolici di tutto il mondo, ai musulmani non fanatici e a tutti i non-cristiani che sono convenuti a Roma da ogni parte del pianeta per rendere onore al nuovo beato, e auspichiamo presto nuovo santo; un grande Pontefice, un grande teologo e filosofo, un uomo di grande sensibilità, e 263 anche un grande mondialista. 264 DA UN PICCOLO SEME NASCERÀ L'IMPERO MONDIALE (17/6/2012) Oggi, in tutte le chiese del mondo, il popolo cristiano ha udito le due parabole (analogie, somiglianze) pronunciate da Gesù Cristo sul Regno di Dio che Egli veniva a portare sulla terra: 1) «Il Regno di Dio è simile a un chicco di senape: esso è il seme più piccolo di tutti, ma quando viene seminato cresce e diventa l'albero più grande del giardino, e tutti gli uccelli del cielo vengono a rifugiarsi tra i suoi rami»; 2) «Il Regno di Dio è simile a un uomo che getta il seme nella terra e se ne va. Notte e giorno, dorma o vegli, il seme cresce e fa frutto; come, egli stesso non lo sa. Prima nasce lo stelo, poi la spiga, infine il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto è maturo, subito mette mano alla falce, perché viene il tempo della mietitura». Ebbene, noi mondialisti vogliamo oggi richiamare la vostra attenzione su questo brano del Vangelo perché esso parla, sì, del Regno di Dio che «non è da questo mondo», ma parla anche dell'Impero mondiale che noi stiamo costruendo ogni giorno, con il sacrificio dei nostri beni e delle nostre vite. In primo luogo, come il Regno di Dio, anche l'Impero mondiale non è una realtà calata dall'alto all'improvviso, già fatta e finita. Come il regno di Dio, anche l'Impero mondiale nasce da un piccolo seme, da un qualcosa che agli occhi superficiali degli stolti appare debole, insignificante, facile da schiacciare. Non era forse così la Chiesa di Cristo duemila anni fa di fronte alla strabordante potenza dell'impero di Roma con le sue legioni, di fronte ai farisei e dottori della Legge di Mosè che deridevano i Dodici (dodici, non dodicimila o dodici milioni!) considerandoli eretici ignoranti? Eppure quel "piccolo resto" di pescatori ignoranti, esattori pentiti e pie donne prive persino del diritto di rendere una testimonianza legale ha dato vita a un popolo di più di un miliardo di credenti, ha rivoluzionato il modo in cui l'Occidente pensa a Dio, all'uomo, alla donna, ai bambini - «Lasciate che i piccoli vengano a me, perché di essi è il regno dei Cieli», mentre fino ad allora, in Grecia e a Roma, essi venivano abortiti, abbandonati, sfruttati economicamente e sessualmente; e ancora oggi ciò avviene nell'Africa tribale, nell'India delle caste e nell'Islam dei mullah pedofili -, alla natura (chi ha costruito i primi ospedali e le prime università, chi ha dato vita a quel progresso scientifico e tecnologico che ha fatto dell'Occidente la più grande civiltà della Storia? Sempre loro, i cristiani), alla politica («Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio»), alla religione, al futuro... Ebbene, anche il Mondialismo oggi può apparire una realtà debole e insignificante, un'utopia da esaltati: che cosa saranno mai, dicono alcuni, un sito Internet semisconosciuto e una pagina Facebook con solo un migliaio di "mi piace"? Eppure, come il Cristianesimo, anche il Mondialismo, che del Cristianesimo e dei suoi princìpi fondamentali - la razionalità del mondo, creato da un Dio che è Logos; la distinzione tra le "cose di Dio" e le "cose di Cesare", tra la sfera sacrale e la sfera secolare; l'uguaglianza di tutti gli individui umani, uomini e donne, feti, bambini, adulti e anziani, di ogni etnia, classe, ceto e religione, in quanto tutti creati da un unico Dio e tutti dotati dal loro Creatore degli stessi diritti immortali e inalienabili alla vita, alla libertà e alla ricerca 265 della felicità - costituisce la logica traduzione sul piano della politica sia "interna" che "globale", è destinato a produrre un grande frutto: l'unificazione di tutto il genere umano in un solo Impero mondiale che abbatterà tiranni e dittatori laici e teocratici e assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Come il Cristianesimo duemila anni fa appariva "scandalo" ai pagani e "stoltezza" agli Ebrei, anche il Mondialismo oggi appare "scandalo" ai nazionalisti, agli adoratori delle piccole patrie che fanno la danza della morte attorno ai totem degli Stati-nazione, e appare "stoltezza" ai no-global anarchici, a quanti vorrebbero un'umanità trasformata in una melassa indistinta senza governo e senza leggi. Come il Cristianesimo duemila anni fa era accusato dai pagani di voler abbattere la fede nei vecchi déi, di voler scalzare le fondamenta dello Stato e fomentare la disobbedienza civile, così oggi il Mondialismo è accusato di voler abbattere la fede negli idoli falsi e bugiardi delle appartenenze etniche, nel sangue e nel suolo, e con essi di voler erodere le fondamenta degli Stati democratici e instaurare un regime dittatoriale mondiale, come se la democrazia implicasse necessariamente una distinzione fra cittadini e stranieri, fra chi è "dentro" e chi "fuori" dei confini di una qualsiasi etnia... Credere che il Mondialismo sia una moda elitaria e passeggera destinata a spegnersi presto sarebbe sciocco, come si è rivelato sciocco da parte di pagani ed Ebrei pensare che il Cristianesimo fosse una piccola setta destinata a spegnersi in qualche villaggio della Galilea o nei suburbi di qualche città greco-romana. Infine, il Vangelo di oggi ci mostra che l'esito finale di una idea, di un progetto, non dipende dall'impegno più o meno fervido di chi li porta avanti, e neppure dalla loro "coerenza" o "incoerenza" fra teoria e pratica, fra gli ideali e la loro applicazione: l'esito finale di una idea, di un progetto dipende esclusivamente dalla sua bontà intrinseca, dalla sua fedeltà alla natura umana così come è stata creata e voluta da Dio. Il Cristianesimo, in questi duemila anni, si è sviluppato e ha prodotto grandi frutti a prescindere dall'impegno personale dei singoli cristiani, a prescindere dalla loro fedeltà o infedeltà alla Parola del Signore Gesù Cristo, a prescindere anche dal buono o cattivo esempio di preti, vescovi e degli stessi Pontefici, perché esso era ed è la sola religione conforme alla natura dell'uomo, alla sua vocazione di dominare il mondo senza farsi atterrire dalle superstizioni, di costruire una società in cui non ci sia «né Giudeo né Greco, né maschio né femmina, né schiavo né libero, perché tutti sono uno in Cristo». Allo stesso modo il Mondialismo è destinato a crescere e a produrre il suo frutto supremo, l'Impero mondiale, a prescindere dall'impegno che i suoi singoli adepti e simpatizzanti metteranno nel diffondere la conoscenza e l'accettazione della causa, perché esso costituisce la risposta alla più profonda aspirazione di ogni individuo umano: vivere in una società aperta, senza barriere, in uno Stato universale per individui universali. Oggi il Mondialismo appare piccolo, ma la sua è la piccolezza del seme, perché oggi è il tempo della semina; quando verrà il tempo della mietitura, il tempo in cui l'Impero mondiale sarà realizzato in tutta la sua grandezza, i posteri si volgeranno indietro e si meraviglieranno constatando da quale piccolo seme quel grande albero sarà germogliato, proprio come oggi i cristiani, volgendosi indietro a contemplare la storia degli ultimi duemila anni, si meravigliano di quante volte la loro religione sia 266 stata sul punto di scomparire, ed è invece sopravvissuta e si è fortificata. Come, neppure essi sanno dirlo; così sarà anche per l'Impero mondiale. 267 LA CHIESA È DIVENTATA ISLAMICA (15/9/2012) Fin dall'apertura di questo sito Internet noi mondialisti abbiamo richiamato l'attenzione sulla empia connivenza che si andava delineando tra la Chiesa cattolica e il fondamentalismo islamico. Questa connivenza era già visibile ad esempio nelle condanne emesse dal Vaticano contro gli Stati Uniti d'America per le guerre di liberazione dell'Afghanistan e dell'Iraq dalla furia omicida dei talebani e dalla feroce dittatura di Saddam Hussein, e contro lo Stato di Israele "colpevole" di difendere il diritto alla vita dei suoi cittadini contro gli attentati e i lanci di missili organizzati dai terroristi assassini dell'Olp, di Hamas e di Hezbollah; condanne lanciate dal Vaticano per "uso sproporzionato della forza", a cui mai, mai si sono accompagnate analoghe condanne nei confronti di dittatori genocidi o di terroristi che uccidevano innocenti nei ristoranti, nelle discoteche, sugli autobus e perfino durante i Giochi Olimpici. Finora chi ci legge poteva ancora nutrire il legittimo dubbio che le nostre accuse nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche fossero dettate da pregiudizi anticristiani; del resto, non siamo forse, noi mondialisti, dipinti dagli ignoranti come atei o addirittura satanisti? Oggi, tuttavia, due eventi - uno finito bene, almeno per il momento, l'altro dall'esito tragico - mostrano senza possibilità di smentita che la Chiesa cattolica, almeno a livello dei suoi vescovi e cardinali, ha rinnegato il messaggio di Gesù Cristo e si è convertita a quello che per secoli era stato il suo nemico giurato: l'Islam. Prova n. 1 - In Pakistan un mese fa una bambina cristiana di nome Rimsha Masih è stata arrestata e processata con l'accusa di aver bruciato un manuale in arabo che insegna a leggere il Corano; per la mentalità islamica era colpevole di "blasfemia", cioè di aver "profanato" il Corano, che i musulmani considerano libro sacro. In seguito l'imam che l'aveva accusata di blasfemia è stato accusato a sua volta di aver bruciato e aggiunto a bella posta le pagine suddette alla spazzatura maneggiata dalla bambina per ottenere la cacciata dei cristiani dal villaggio e impadronirsi dei loro terreni al fine di costruirvi sopra una scuola coranica, e Rimsha è stata per ora rimessa in libertà su cauzione (ma l'accusa non è stata ritirata). Durante il Meeting per l'Amicizia fra i popoli organizzato come ogni anno da Comunione e Liberazione il cardinale Jean-Louis Tauran, dopo aver ripercorso in una dotta relazione il punto di vista della Chiesa cattolica sulla libertà religiosa alla luce della "apertura" rappresentata dal Decreto del Concilio Vaticano II Dignitatis Humanae, intervistato sul caso della piccola Rimsha e più in generale sulle persecuzioni subite dai cristiani nei paesi islamici, ha detto, testualmente: «In questi casi bisogna considerare la proporzione tra l'accusa e il fatto così come si è svolto. In questo caso concreto la bambina accusata di blasfemia è affetta dalla sindrome di Down, quindi non è pienamente capace di intendere e di volere, inoltre è analfabeta e non sa leggere l'arabo, quindi non si può affermare che abbia consapevolmente e volontariamente profanato il Corano». Capite? L'egregio cardinal Tauran - che vent'anni fa, in qualità di Segretario di Stato della Santa Sede, aveva meritoriamente pubblicizzato e difeso la dottrina della 268 "ingerenza umanitaria" elaborata dal grande Giovanni Paolo II, ma che adesso, come presidente della Pontificia Commissione per il Dialogo con i Musulmani, deve aver cambiato molte sue idee - non chiede l'assoluzione di una bambina cristiana accusata di blasfemia in nome della libertà di manifestazione del pensiero, diritto che in Occidente si è affermato dopo molti secoli di lotte dolorose contro l'oscurantismo di chi mandava al rogo veri o presunti eretici, spesso per biechi motivi di contesa politica o di rivalità economica (ne abbiamo fatto le spese anche noi Templari, perciò lo sappiamo bene); non può farlo, perché evidentemente la Chiesa cattolica, pur avendo perduto da tempo l'appoggio del potere politico e quindi essendo impossibilitata a invocare l'intervento del "braccio secolare" in difesa della sua ortodossia, non ha mai smesso di considerare la libertà di pensiero e di parola come un diritto sub condicione, cioè un diritto di cui servirsi per la diffusione del Vangelo e del proprio magistero negli Stati che lo garantiscono, ma che non deve essere riconosciuto a chi invece esprima opinioni contrarie al Cristianesimo. No, l'egregio cardinal Tauran, da provetto casuista, entra "nel caso concreto", scende allo stesso livello dei mullah e degli ayatollah, e pretende di dimostrar loro che "in questo caso concreto" l'imputata andrebbe assolta per aver commesso un fatto "obiettivamente grave" sì, ma senza "consapevolezza e volontà", ovvero, come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica riguardo ai requisiti del peccato, senza "piena avvertenza e deliberato consenso". Bella forza! E se invece di una bambina disabile e analfabeta fosse stato accusato un uomo adulto, sano di mente e capace anche di leggere l'arabo, cosa avrebbe detto il cardinal Tauran, che "in quest'altro caso concreto" ci sarebbero stati fatto grave, consapevolezza e volontà, e quindi l'imputato di "blasfemia" avrebbe dovuto essere messo a morte secondo la legge coranica? O ancora, il cardinal Tauran sarebbe favorevole se il reverendo protestante americano Terry Jones, che alcuni mesi fa ha consapevolmente e volontariamente bruciato in pubblico copie del Corano per dimostrare efficacemente il suo disprezzo nei confronti dell'Islam, venisse arrestato e messo a morte qualora si recasse in Pakistan o in Iran o un altro paese islamico? Prova n. 2 - Quattro giorni fa, cioè lo scorso 11 settembre, un commando di terroristi islamici armato di lanciarazzi, spalleggiato da una folla di fanatici, ha fatto irruzione nel consolato americano di Bengasi, lo ha dato alle fiamme, e ha barbaramente assassinato l'ambasciatore degli Stati Uniti in Libia Christopher Stevens, due marines addetti alla sua sicurezza e l'addetto diplomatico Sean Smith. I mass media di tutto il pianeta, sempre molto abili nel solleticare i sensi di colpa dell'Occidente, hanno affermato che l'assalto e l'assassinio erano stati la risposta islamica a un film americano satirico nei confronti di Maometto. Ebbene, la reazione delle gerarchie cattoliche è stata un corale "se la sono cercata": dal francescano Pierbattista Pizzaballa "custode di Terra Santa" (sempre pronto a usare due pesi e due misure tra Israele e i sedicenti "palestinesi") secondo il quale si sarebbe trattato di una «provocazione del tutto gratuita» alla pari delle vignette satiriche contro Maometto pubblicate qualche anno fa da un giornale danese, al vescovo di Tripoli Giovanni Innocenzo Martinelli (che deplorò l'Operazione "Odissey Dawn" finalizzata a rimuovere dal potere il dittatore Gheddafi) il quale si è chiesto «È il caso di fare tutta 269 questa propaganda contro il profeta [sic! E da quando Maometto è divenuto profeta del Cristianesimo?], offendendo un popolo attraverso la religione?»; perfino il responsabile della sala stampa della Santa Sede Federico Lombardi, che alla vigilia del viaggio di Benedetto XVI in Libano ha risposto ipocritamente ai giornalisti «non ho da dirvi una posizione della Santa Sede su Hezbollah», si è sentito in dovere di spiegare sussiegosamente che «il rispetto profondo per le credenze, i testi, i grandi personaggi e i simboli delle diverse religioni è una premessa essenziale della convivenza pacifica dei popoli». Ora, che la "religione" al singolare, o come ha detto ieri il Papa in Libano «la fede in un unico Dio vissuta con cuore puro», sia divenuta il nuovo Vangelo di una Chiesa cattolica contraria al relativismo a parole ma non nei fatti, era già chiaro da molti anni a chi ci segue (se non ci credete, leggete il nostro editoriale del 16/9/2006 "Il Dio di Gesù Cristo non è il dio di Maometto"); del tutto inedito è invece questo schierarsi apertamente dalla parte di feroci assassini, questo sputare sui corpi ancora caldi delle vittime, questo considerare il peccato e reato di omicidio "scusabile", "giustificabile", meno grave dell'offesa "alla" o "a una" religione (una "offesa" di cui oltretutto l'ambasciatore Stevens, il diplomatico Smith e i due marines sarebbero stati colpevoli per il solo fatto di essere cittadini americani, dal momento che nessuno di essi aveva partecipato personalmente alla realizzazione del film presunto "blasfemo"). Noi mondialisti deploriamo con fermezza che si bestemmi il nome di Dio, di Gesù Cristo, della Madonna e dei Santi, e che si bruci o si insozzi la Bibbia; ma consideriamo un grande progresso della civiltà il fatto che oggi in Occidente chi bestemmia o brucia una Bibbia non venga arrestato e messo in prigione o a morte, perché il primato della persona umana su ogni libro od oggetto considerato "sacro" è per noi la realizzazione nella vita sociale, politica e giuridica della Parola del Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, il quale ai farisei che rimproveravano i suoi discepoli per aver raccolto delle spighe di grano allo scopo di cibarsene in giorno di sabato disse «Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato», mostrando così che nessuna Legge è veramente sacra e divina se schiaccia l'uomo, e a uno scriba che gli chiedeva quale fosse il primo e più grande dei comandamenti rispose «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore e il tuo prossimo come te stesso», mostrando così che l'uomo creato da Dio a Sua immagine è l'unica realtà veramente sacra. I monsignori del Vaticano, i cardinali e i vescovi pensano forse che l'avanzata dell'Islam porterà a una rinascita della "religione" in generale, e che in Occidente si tornerà a punire pubblicamente chi offende il Cristianesimo così come oggi nei paesi islamici si punisce pubblicamente chi è accusato, vero o falso che sia, di "offendere" l'Islam. Noi mondialisti, invece, sappiamo che l'unico modo per preservare la religione dal duplice pericolo del fondamentalismo assassino e dell'ateismo materialistico consiste nel riconoscere con il grande filosofo Emanuele Kant che «nessuna religione può sopravvivere se è contraria alla ragione», quella ragione che fonda l'uguaglianza in dignità e diritti di tutti gli individui umani sulla loro comune natura creata da Dio, e la legittimità degli Stati sul dovere di rispettare in ogni individuo umano questi immortali e inalienabili diritti, in primo luogo il diritto 270 alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Così come avviene negli Stati Uniti d'America, dolce terra di libertà, in cui chiunque può professare liberamente qualsiasi religione o dichiararsi ateo senza essere perseguito penalmente, e dove nessuno si sogna di mettere a morte i seguaci del Pastafarianesimo, una pseudo-setta di atei che si prendono gioco del creazionismo dichiarando di credere che il mondo sia stato creato da un Prodigioso Spaghetto Volante. Per questo il Partito Mondialista, ramo esecutivo dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire", continuerà a operare per illuminare le menti e i cuori degli uomini, anche dentro i Sacri Palazzi, circa la bontà e la inevitabilità della creazione di uno Stato o Impero mondiale in cui l'opinione personale in materia di religione, finché non si traduca in violenze contro le persone e i loro beni, non costituisca motivo di persecuzione giudiziaria o mediatica; uno Stato universale che assicuri pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Anche ai "blasfemi" di ogni risma. 271 IL PAPA FRANCESCO E IL NORDAMERICA "MORTO" PER LA CHIESA (16/3/2013) La recentissima elezione al soglio di Pietro del cardinale Jorge Mario Bergoglio, che ha preso il nome impegnativo di Francesco, non poteva ovviamente non suscitare l'interesse di noi mondialisti, tanto più dopo le previsioni della vigilia del Conclave che davano come "papabili" due cardinali statunitensi, l'arcivescovo di Boston Sean Patrick O'Malley e quello di New York Timothy Dolan. Il nostro Direttore Generale Andrea Zuckerman ne ha pertanto discusso con il nostro referente oltre il Portone di Bronzo (che qui chiameremo per discrezione Padre X). Ecco il testo della conversazione: Andrea Zuckerman: Come mai non è stato eletto un cardinale statunitense? Eppure ce n'erano almeno due molto favoriti... Padre X: Il fatto è che ci sono state delle considerazioni di ordine politico, sa... gli Stati Uniti d'America sono coinvolti politicamente in tutto il mondo, quindi... AZ: Ho capito, padre: i cardinali hanno avuto paura che il nuovo Papa divenisse il cappellano del Presidente degli Stati Uniti d'America, come dire il cappellano dell'Impero mondiale... P. X: Ma no! Questa è un'interpretazione che lascio ai giornalacci come "Repubblica"! La verità è che il cristianesimo nell'America Latina è vivo, è in crescita, c'è un grande fermento, un grande rigurgito di fede, è un continente in crescita dal punto di vista della fede, come può vedere anche dal fatto che oltre al Cattolicesimo lì proliferano anche molte sette... ma in Nordamerica invece i cristiani sono ridotti in una condizione catacombale, basta vedere lo scandalismo che si è fatto contro la Chiesa da dieci anni in qua... AZ: Proprio per questo, padre, un Papa statunitense avrebbe potuto favorire un riorientamento della politica dell'Amministrazione Obama in senso più favorevole ai cristiani... P. X: Lei pensa che la Chiesa sia una potenza economica o politica che debba fare pressione sui governi, ma non è così... La Chiesa propone, ma non impone; se uno non l'accetta, sbatte i piedi, si toglie la polvere dai sandali, e lascia ciascuno al suo destino che si è scelto liberamente... Se non fosse toccato all'America Latina, sarebbe toccato all'Asia, che è un altro continente dove il Cattolicesimo è in forte crescita... ma l'Europa ormai è morta dal punto di vista della fede... AZ: Cosa c'entra l'Europa? Vuole forse dire che per la Chiesa anche il Nordamerica, anche gli Stati Uniti d'America sono "morti"? P. X: Ma certo! Il Nordamerica ormai è morto per la Chiesa! L'Europa è quella che ha cominciato la guerra contro Cristo e contro la Chiesa, e gli Stati Uniti sono andati dietro a ruota; basta vedere quello che ha fatto Obama con la sua sciagurata riforma sanitaria... AZ: Ma padre, cosa c'entra Obama e la sua opposizione alla Chiesa? Prima dice che un Papa statunitense non sarebbe stato il cappellano di Obama, adesso dice che la Chiesa abbandona gli Stati Uniti d'America perché Obama è contrario al 272 Cristianesimo... ma la Chiesa non dovrebbe pensare ai cristiani, ai cattolici statunitensi? Un Papa statunitense non sarebbe stato espressione del cattolicesimo statunitense, che ormai è diventato la seconda religione negli USA dopo i protestanti? P. X: Insomma, basta! Le ho detto e ripetuto che la politica in queste cose non c'entra per niente! Lei è libera di pensarla come vuole, la nostra conversazione finisce qui! Che dire, amici lettori? La conclusione che ne abbiamo tratto noi è una, semplice e inequivocabile: la Chiesa cattolica ha deciso che l'Europa e il Nordamerica sono ormai continenti scristianizzati, perduti per la fede in Cristo, e si prepara a puntare tutta la sua potenza evangelizzatrice - e quindi anche politicodiplomatica - verso il Sudamerica e l'Asia, che per essa rappresentano un bacino di potenziali conversioni molto più vasto e ricettivo; per quanto concerne l'Africa, probabilmente la Chiesa cattolica ha deciso di convivere più o meno facilmente con l'Islam... Noi mondialisti, invece, riteniamo che gli Stati Uniti d'America non siano affatto un Paese "morto" alla fede, ma che al contrario il Cristianesimo statunitense costituisca una realtà viva e in forte crescita, anche e soprattutto grazie al flusso ininterrotto di immigrati latinos e asiatici, cioè nativi proprio di quei continenti che per la Chiesa sono il "vivaio" più promettente di cattolici del futuro. Non è un caso che tanti cattolici asiatici e latinoamericani decidano di abbandonare per sempre le loro terre d'origine e iniziare una nuova vita negli USA, per sé e per i propri figli: ciò avviene perché gli Stati Uniti d'America, come noi mondialisti abbiamo sempre detto e ripetuto, sono il Paese più aperto, libero e tollerante verso tutte le religioni e le opinioni su Dio, sull'uomo e sul mondo, che sia mai esistito in tutta la storia del genere umano; ed essi sono tali, perché noi Templari-mondialisti li abbiamo voluti, progettati e fondati così, per essere la città sulla collina, per essere sale della terra e luce per le nazioni, per essere il primo seme del futuro Impero mondiale, il cui avvento è molto più vicino oggi di quanto voi possiate immaginare, nel quale tutte le religioni - almeno quelle che vorranno e sapranno accettare i princìpi e i valori della libertà, della democrazia e del rispetto degli immortali e inalienabili diritti dell'uomo potranno convivere in pace e armonia, senza combattersi a morte come avviene in Africa e Asia dove l'Islam pretende di spazzare via tutti i non-islamici, senza esser perseguitate da regimi totalitari come avviene nella Cina comunista e nei Paesi del Sudamerica schiavi di quell'impura alleanza tra cristianesimo e marxismo che va sotto il nome di "teologia della liberazione", e senza essere un docile instrumentum regni come in Russia, dove il patriarca ortodosso, lui sì, è il cappellano del nuovo Zar, del cekista Putin, prono ai suoi voleri e pronto a mettere in croce tre ragazze innocenti solo perché hanno "osato" pregare la Santissima Vergine Maria affinché liberi il popolo di Russia dal regime corrotto, menzognero e assassino dell'infame Putin e della sua cricca di ex-agenti del Kgb. In conclusione, sia che il nuovo Papa Francesco voglia sostenere gli sforzi degli Stati Uniti d'America in favore della diffusione della democrazia, sia che egli si disinteressi del Nordamerica e preferisca puntare su Asia e Sudamerica per la "nuova 273 evangelizzazione", noi mondialisti continueremo a lavorare per l'unificazione di tutto il genere umano in un solo Stato o Impero mondiale, federale e liberaldemocratico, che assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Proprio come sta facendo da 237 anni il grande laboratorio americano, che proprio per questo attira e continuerà ad attirare sempre nuovi cittadini da tutto il pianeta, Obama o non Obama. 274 MESSAGGIO DEL PARTITO MONDIALISTA A SUA SANTITÀ PAPA FRANCESCO I IN OCCASIONE DELLA VEGLIA DI PREGHIERA E DIGIUNO PER LA PACE IN SIRIA (7/9/2013) Mrs Andrea Zuckerman, Direttore Generale della Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire”, a Sua Santità Papa Francesco I, Servo dei servi di Dio, salute. Santo Padre, come insegna la Sacra Scrittura, il Signore Dio, l’Onnipotente, ha scelto di camminare nel mondo sulle gambe deboli e incerte degli uomini, ha scelto di compiere la Sua Volontà nel mondo non a colpi di miracoli, ma servendosi della mente, del cuore e delle mani degli uomini. Anche la pace, che milioni di cattolici, insieme a esponenti di altre confessioni cristiane, ai fedeli di altre religioni e a molti uomini e donne di buona volontà, in questo giorno stanno invocando come dono dell’Altissimo, non può dunque essere donata da Dio agli uomini se non per mezzo dell’opera di alcuni di essi che agiscano da “costruttori di pace”. Dall’alba della storia, questo compito di “costruire” la pace è stato affidato dal genere umano ai reggitori delle varie comunità politiche che si sono succedute nel tempo. A tali reggitori, governanti o “sovrani” è sempre stato riconosciuto il dovere di prendersi cura degli uomini e delle donne loro affidati, di porre in essere le condizioni per una vita tranquilla e ordinata, per una relazionalità fondata sulla giustizia e sul rispetto della uguale dignità di tutti i membri della comunità; e di conseguenza ai sovrani è sempre stato riconosciuto il correlativo diritto di usare la forza contro i violatori dell’ordine e della giustizia, di arrestare le violenze e punirne gli autori. Tale riconoscimento non deriva soltanto dalla sapienza umana di ogni epoca e luogo, ma anche dalla stessa Parola di Dio: nell’Antico Testamento si paragona il Messia-re a un “pastore” chiamato a curare la pecora ferita e a prendersi cura di quella malata come ad accudire la pecora grassa e la forte; il Signore Gesù Cristo, rispondendo a Pilato, gli ricorda che il suo potere di vita e di morte gli è stato dato “dall’alto”; e san Paolo ammonisce i suoi discepoli a pregare per i propri governanti e a obbedire loro con queste icastiche parole: “Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna. I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l'autorità? Fa' il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male”. Santo Padre, nell’epoca attuale un numero sempre maggiore di uomini e donne è divenuto consapevole che la divisione del genere umano in varie comunità politiche 275 estranee l’una all’altra, lungi dal costituire un argine alla violenza e alla guerra, costituisce al contrario la principale fonte da cui scaturiscono odii, rivalità, persecuzioni e stragi: sono lì a testimoniarlo i genocidi che nel Novecento hanno colpito prima il popolo degli Armeni e poi gli Ebrei, i massacri indiscriminati nel Ruanda, in Somalia e nel Darfur, le persecuzioni, nei confronti non soltanto dei cristiani, ma anche degli appartenenti a molte altre fedi i quali si trovino a essere minoranza nel territorio in cui vivono, messe in atto da parte di chi professa una religione o ideologia “maggioritaria”. Tutti queste guerre, tutte queste persecuzioni, tutti questi massacri hanno la loro perversa scaturigine dall’egoismo, figlio del peccato originale, che spinge gli uomini a tracciare confini tra essi e i propri fratelli, e a discriminare tra chi è “dentro” e chi “fuori” dei recinti, non naturali ma artificiali, che essi chiamano “nazioni” e “Stati”. Ma come insegna la Scrittura, la natura umana, pur ferita dal primo peccato, non ha perduto la sua bontà originaria: c’è nel cuore e nella mente di ogni uomo e donna l’anelito a superare i confini artificiali posti dalla famiglia e dalla comunità di nascita, a volare “su ali di aquila”, a intessere con i propri simili una comunione di vita senza barriere. Di questo anelito universale e insopprimibile del genere umano, il popolo e il governo degli Stati Uniti d’America si sono fatti portatori e vindici più volte negli ultimi settant’anni, prima intervenendo per difendere la libertà dei popoli d’Europa e la dignità umana contro la barbarie dell’ideologia nazionalsocialista, poi sostenendo la causa della democrazia e dei diritti umani nei decenni in cui essi erano minacciati dall’avanzata apparentemente inarrestabile del comunismo sovietico ateo e materialista. Di fatto, piaccia o no, oggi il popolo e il governo degli Stati Uniti d’America costituiscono l’unica potestà terrena in grado di assicurare la difesa della dignità umana di fronte alle minacce rappresentate dai fondamentalismi religiosi – in primis quello islamico – e da quei regimi i quali, negando l’infinito valore della persona umana creata a immagine di Dio, pretendono di sottomettere le vite e le coscienze degli individui all’adorazione di idoli falsi e bugiardi, siano essi la Ummah, lo Stato o la Tradizione; soltanto il popolo e il governo degli Stati Uniti d'America sono in grado di attuare quella “ingerenza umanitaria” invocata dal Suo predecessore di augusta memoria, il Beato Giovanni Paolo II, al fine di difendere i diritti umani delle popolazioni oppresse da regimi dittatoriali o totalitari. Per tale motivo noi membri dell’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire”, fedeli all’eredità spirituale dei cavalieri Templari, nostri padri nella fede, abbiamo deciso fin dal 2005 di creare il Partito Mondialista, nostro ramo esecutivo, con lo scopo di illuminare le menti e i cuori degli uomini e delle donne del nostro tempo circa la bontà e l’inevitabilità della unificazione di tutti gli uomini e i popoli in un solo Stato o Impero mondiale, che abbatta il vieto principio di sovranità nazionale e il connesso divieto di ingerenza negli affari interni dei singoli Stati, e assicuri il rispetto degli immortali e inalienabili diritti di ogni essere umano ad una vita pacifica, a ricercare Dio e a credere in Lui secondo i dettami della propria libera e retta coscienza, alla libertà di esprimere liberamente le proprie opinioni su Dio, sul mondo e sull’umana società, di godere dei frutti del proprio lavoro, di contrarre matrimonio ed educare i propri figli senza subire molestie e persecuzioni motivate dal sesso, dall’etnia o dalla 276 religione. Santo Padre, noi mondialisti nutriamo la serena e ferma speranza che Ella, superando antichi pregiudizi e malintesi, comprenda la sincerità e la rettitudine del nostro impegno per una vera pace, pace che non è semplice assenza di conflitti armati, bensì è frutto del rispetto della giustizia e della dignità di ogni singolo individuo umano, e voglia pertanto sostenerci e incoraggiarci con la Sua paterna benedizione. Noi, da parte nostra, preghiamo il Signore Gesù Cristo affinché illumini la mente e il cuore del Suo vicario, e gli doni sempre forza e franchezza per testimoniare il Suo Vangelo in ogni circostanza, opportuna e inopportuna. Maria, Ausiliatrice dei cristiani, Regina della Pace, prega per noi. Amen. 277 LA CHIESA DIVENTA RAZZISTA CONTRO ISRAELE (28/9/2013) Dal 7 settembre, giorno della veglia di preghiera e digiuno indetto dal Papa Francesco per impedire all'America di punire il regime assassino del macellaio Assad che ha usato le armi chimiche contro il suo stesso popolo, il sito di informazione cattolica Zenit ha lanciato una autentica offensiva mediatica pacifista a colpi di "aforismi". Quello di lunedì 23 settembre recitava così: "Io non credo che la guerra sia la soluzione dei problemi. Prego che palestinesi e israeliani possano vivere un giorno in pace ciascuno sulla sua terra." Moran Atias (°1981) Ora, a parte ogni pur sensato discorso circa la competenza della signorina Atias a parlare di pace e guerra, ciò che noi mondialisti vogliamo farvi notare è l’inciso secondo il quale israeliani e palestinesi potrebbero, anzi per quelli di Zenit dovrebbero, vivere in pace sì, ma “ciascuno sulla sua terra”. In altre parole, Zenit, il principale sito di informazione cattolico del mondo, e quindi, si presume, la Chiesa cattolica a livello ufficiale, accetta in toto il principio di segregazione etno-religiosa che Mahmoud Abbas/Abu Mazen, il satrapo dell’Anp che da anni regna non eletto sulla Cisgiordania col placet di Obama, vuole porre a base dello Stato palestinese da lui progettato, il quale dovrebbe essere Judenrein, privo di Ebrei così come Hitler voleva che fosse l’Europa assoggettata dal Terzo Reich. Questo vuol dire che la Chiesa cattolica, senza dirlo ad alta voce, accetta il progetto palestinese di espellere gli Ebrei da Gerusalemme Est e da tutta la Cisgiordania (rectius: Giudea e Samaria) per fare di Israele e Palestina due Stati etnicamente omogenei, l’uno puramente ebraico, l’altro puramente arabo. Accettando questo progetto criminale, la Chiesa cattolica non si accorge di stare ponendo le premesse per la propria eliminazione da tutto il Medio Oriente. Non si accorge, infatti, che gli islamici, così come non sopportano l’esistenza dello Stato di Israele su una terra che essi considerano possesso inalienabile di Allah fino alla fine dei secoli soltanto perché l’hanno conquistata con la violenza mille e trecento anni fa, allo stesso modo non sopportano la sopravvivenza in tutto il Medio Oriente di comunità cristiane che essi considerano “straniere” per vile menzogna, in quanto il Cristianesimo, come ciascuno dovrebbe sapere, è fiorito in quelle terre fin dai tempi di Gesù Cristo, ben prima della nascita di Maometto, e dalla Siria, dalla Cappadocia, dall’Anatolia e dall’Africa settentrionale sono venuti moltissimi grandi Padri della Chiesa e teologi dei primi quattro secoli dell’era cristiana. Espellere gli Ebrei dalla Cisgiordania, per poi distruggere lo Stato di Israele, sarebbe per gli islamici una preparazione del grande assalto di sterminio al Cristianesimo, allo scopo di “ripulire” l’intero Medio Oriente da ogni presenza non-islamica. Per questi motivi noi mondialisti difendiamo il diritto dello Stato e del popolo di Israele ad esistere, e ad esistere in quanto Stato ebraico, e proprio in quanto ebraico, tollerante verso tutte le religioni, unico Paese del Medio Oriente da cui i cristiani non 278 fuggono, ma in cui anzi aumentano di numero (anche se ipocritamente continuano a negarne l’esistenza e l’ebraicità, chiamandolo “Terrasanta”), e unico avamposto dell’Occidente libero, democratico e rispettoso dei diritti umani in un Medio Oriente da sempre oppresso da tiranni e dittatori laici e teocratici; e per gli stessi motivi sosteniamo e sosterremo sempre il diritto di Israele a difendersi contro il tentativo delle cancellerie filoislamiche della Vecchia Europa e del vile e filotirannico Barack Hussein Obama di usarlo come moneta di scambio con l’Asse del Male MoscaPechino-Teheran. In questo frangente storico, in cui l’America paralizzata dal vile e filotirannico Obama ha perduto la fiducia nella sua missione storica, Israele è l’unico Paese della Terra che può ancora promuovere la causa del Mondialismo, la causa della Libertà, della Democrazia e dei Diritti dell’Uomo, fin quando il popolo degli Stati Uniti d’America non si darà nuovamente un Comandante in Capo degno di questo nome, e non riprenderà la lotta per sconfiggere tutti i tiranni e dittatori e per fondare l’Impero mondiale, che abolirà finalmente il vieto principio di segregazione etno-nazionale e assicurerà gli stessi immortali e inalienabili diritti alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità a tutti gli individui umani, in ogni angolo del pianeta. Anche ai cristiani, sempre ingrati verso chi difende la loro libertà, da Costantino a George Walker Bush, e sempre pronti a baciare la mano di chi li vuole schiavi, da Maometto a Obama e da Putin a Xi Jinping. 279 DA BETLEMME LE SOLITE MENZOGNE DI NATALE (27/12/2013) Anche quest'anno, grazie a Dio, il mondo ha celebrato la nascita di Gesù Cristo, e anche quest'anno il genere umano ha dovuto sorbirsi il solito carico di menzogne servite, con consumata abilità da chef, dal patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal all'interno della consueta omelia durante la Messa della notte di Natale. Noi mondialisti abbiamo già informato con dovizia di particolari sulle bugie che i patriarchi di Gerusalemme sono abituati a rovesciare sui fedeli del Medio Oriente e di tutto il pianeta infilandole tra un salmo e una preghiera (vedi ad es. i nostri editoriali "Cristiani schierati contro Israele e USA" e "A Gerusalemme cambiano i patriarchi, non le menzogne"), ma come si dice: repetita iuvant, quindi anche stavolta esaminiamole bene, perché i patriarchi di Gerusalemme sono come l'AIDS: se li conosci li eviti. Tanto per cominciare, monsignor Twal saluta con deferenza «Mahmoud Abbas, Presidente della Palestina», insultando così il buon senso, dal momento che la cosiddetta "Palestina" è un non-Stato, uno Stato che non esiste, un falso Stato che non è riconosciuto come tale da alcun altro Stato o organizzazione internazionale; un sedicente Stato i cui sedicenti abitanti "palestinesi" etnicamente non sono mai esistiti, ma sono sempre stati e sono tuttora arabi come la maggioranza degli abitanti dei paesi musulmani, e giuridicamente prima erano sudditi del sultano di Costantinopoli, poi sono divenuti cittadini giordani, per quanto concerne i residenti in Giudea e Samaria, o cittadini egiziani, per quanto concerne i residenti a Gaza. Ma anche soprassedendo su questa colossale menzogna, il patriarca Twal, chiamando Abu Mazen "Presidente di Palestina", offende anche la dignità e i diritti politici dei sedicenti "palestinesi", dal momento che, se la Palestina fosse un vero Stato, i suoi cittadini avrebbero il diritto di scegliersi il presidente che più loro aggrada, e di rimuovere quello che non fosse più loro gradito, o che peggio ancora volesse mantenere il potere senza averne titolo: sarebbe un tiranno! Invece, si dà il caso che il mandato presidenziale di Mahmoud Abbas o Abu Mazen che dir si voglia sia scaduto nel 2009, e che da allora nel sedicente "Stato di Palestina" non si siano più tenute elezioni per nominare un nuovo sedicente "Presidente": cosicché l'Abu Mazen o Mahmoud Abbas che dir si voglia, che il patriarca Twal omaggia deferente ad ogni notte di Natale, è il presidente illegittimo di uno Stato che non esiste, il falso presidente di un falso Stato. Una bella coppia di menzogne: si comincia bene, Sua Beatitudine! E si continua ancora meglio. L'omelia della Messa della notte di Natale prevede, immancabilmente, un commento al passo della Scrittura che dice «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce»; poteva forse, il patriarca Twal, farselo mancare? Ecco dunque l'elenco dei drammi che l'umanità attraversa oggi nei cinque continenti: le guerre civili in Africa, il tifone nelle Filippine, la difficile situazione in cui versano Egitto e Iraq, la tragedia siriana... ma poi arrivano «i nostri problemi locali: i detenuti, le loro famiglie che continuano a serbare la speranza di un loro rilascio, i poveri che hanno perso le loro terre e hanno visto le loro case 280 demolite, le famiglie che attendono il ricongiungimento». Ora, anche a voler omettere di fare nomi e cognomi dei responsabili delle "guerre civili in Africa" (i musulmani), della "difficile situazione in cui versano Egitto e Iraq" e della "tragedia siriana" (ancora i musulmani, che si uccidono fra sciiti e sunniti e nel frattempo fanno a gara a chi uccide più cristiani, perché è così che fra di essi si dimostra chi è il più fedele seguace di Allah) - e sì che, per un cristiano, tanto più se patriarca, omettere di chiamare il male "male" dovrebbe essere un peccato grave quanto omettere di chiamare il bene "bene" - resta comunque il fatto che i cosiddetti "detenuti" per i quali il buon Twal si addolora sono detenuti nelle carceri israeliane in quanto giudicati colpevoli da una giuria imparziale, e dopo un regolare processo (due cose, le giurie imparziali e i processi regolari, che nel sedicente "Stato di Palestina" o a Gaza non si trovano neppure a pagarle oro), di aver assassinato a sangue freddo uomini, donne, vecchi e bambini israeliani colpiti nelle loro case, seduti sulle panchine dei parchi pubblici, sugli autobus, nei ristoranti e nelle discoteche, soltanto perché erano israeliani, cioè ebrei. Non si tratta dunque di innocui ladri di polli, né di piccoli truffatori, e neppure di "semplici" rapinatori di banche alla Jesse James o di abietti ma "volgari" stupratori: si tratta degli autori di efferati omicidi motivati da odio religioso e razziale. Che fareste voi, Italiani che leggete queste pagine, se un extracomunitario residente nel vostro Paese un giorno assalisse e uccidesse qualche persona incontrata per caso lungo la strada, solo perché Italiana? Che stupidi siamo, noi mondialisti! A voi Italiani è accaduto proprio qualche mese fa, e lo avete subito rimesso in libertà... Si dà il caso che invece in Israele simili individui vengano arrestati, processati e condannati a lunghi anni di carcere; e quindi, addolorarsi per la loro prigionia, pregare il Signore affinché abbia pietà di essi, e auspicare il loro rilascio, come fa il patriarca Twal, significa offendere il buon senso e la dignità dei cittadini israeliani, molti dei quali sono di religione cristiana cattolica e quindi ricadono sotto la sua cura d'anime. Che direbbe Sua Beatitudine se dei terroristi "palestinesi" uccidessero dei cittadini israeliani di religione cristiana, allo stesso modo in cui pochi mesi orsono dei terroristi islamici hanno massacrato decine di cristiani in un centro commerciale di Nairobi, dopo averli accuratamente separati dai loro confratelli musulmani? Ma non basta: fra i "nostri problemi locali" che angustiano il patriarca Twal - il quale, a quanto sembra, pur risiedendo a Gerusalemme, capitale dello Stato di Israele, si considera in modo esclusivo palestinese, dal momento che fra i "suoi" problemi non menziona neppure uno di quelli che angustiano gli Israeliani, come ad esempio gli attentati terroristici da parte dei terroristi "palestinesi", o il lancio quotidiano di missili da Gaza contro le città e i villaggi israeliani; eppure, fra i cittadini israeliani, come abbiamo detto, ci sono anche molti cristiani cattolici! - ci sono anche e soprattutto i «rifugiati», per i quali egli prega il Signore affinché doni loro «un segno di speranza per un futuro migliore, in modo che possano fare ritorno al loro paese, ritrovando una casa». L'esimio patriarca Twal non sa che i sedicenti "rifugiati" sono discendenti di terza o quarta generazione di sedicenti "palestinesi", ovvero arabi, i quali nel 1948, alla fondazione dello Stato di Israele che essi aborrivano, non furono affatto cacciati dagli Ebrei, ma se ne andarono di loro spontanea volontà perché non 281 volevano convivere con degli "sporchi" Ebrei - che essi, da bravi musulmani, considerano scimmie e porci (come del resto considerano i cristiani), dunque non esseri umani loro pari - e perché pensavano che gli eserciti di tutti i Paesi arabi circostanti, che avevano attaccato tutti insieme il neonato Stato di Israele, lo avrebbero presto distrutto e sterminato tutti gli Ebrei (come avevano fatto i loro padri negli anni Venti e Trenta del '900 con gli immigrati ebrei nel mandato britannico di Palestina, e come avevano fatto i nazisti, con i quali i musulmani di tutto il Medio Oriente avevano collaborato con ardore)? Tanto è vero ciò, che essi si portarono dietro le chiavi di casa, non certo per nostalgia come racconta la propaganda palestinista, bensì perché pensavano che sarebbero tornati di lì a poco da trionfatori. Perché l'esimio patriarca Twal, invece di pregare il Signore e di auspicare dai governanti musulmani di Egitto, Siria, Libano e Giordania che questi "rifugiati" siano integrati nei Paesi in cui risiedono da più di sessanta anni (60 ANNI!!!), prega e auspica che essi invadano lo Stato di Israele, uccidendo o espellendo gli Israeliani di religione ebraica o cristiana e trasformandolo in uno Stato islamicamente "puro"? L'insigne uomo di Chiesa non conosce quel passo della Scrittura, il capitolo 4, versetto 3 della Lettera di Giacomo, in cui il Signore per bocca dell'apostolo rimprovera duramente: «chiedete e non ottenete perché chiedete male»? L'esimio patriarca latino di Gerusalemme non ha studiato in seminario le opere di Sant'Agostino, il quale dice giustamente che la preghiera non è gradita a Dio quando chiediamo «mala», cioè cose cattive? Il culmine dell'abiezione, naturalmente, il patriarca Twal lo raggiunge al termine della sua omelia, là dove chiede a Gesù Bambino la pace «per intercessione della Vergine Maria, Tua Madre, figlia della nostra terra». Ora, come abbiamo visto prima, quando l'esimio patriarca Twal parla della "nostra" terra, si riferisce alla terra dei sedicenti "palestinesi"; quindi per lui la Santa Vergine Maria, in quanto figlia della terra palestinese, sarebbe una donna palestinese! Non sorridete, amici lettori, non si tratta di una boutade: la propaganda pagata da Abu Mazen/Mahmoud Abbas con i milioni di dollari e di euro generosamente elargiti dalle cancellerie occidentali malate di palestinismo tenta ormai da anni di convincere tutto l'orbe terracqueo che Gesù Cristo sarebbe un palestinese, che la Vergine Maria e San Giuseppe sarebbero palestinesi, che tutti e tre sarebbero nati in una terra chiamata "Palestina", che la fuga della Sacra Famiglia in Egitto sarebbe assimilabile alla fuga dei sedicenti "rifugiati" da Israele... Persino preti, vescovi e associazioni cattoliche ripetono fino alla nausea questa abietta menzogna tesa a negare la verità storica, che cioè il Figlio di Dio, il Signore nostro Gesù Cristo, è nato in una città chiamata Betlemme di Giudea, da una vergine ebrea sposata a un uomo della stirpe di Davide re di Israele, che Egli è il Messia annunciato dai profeti del popolo di Israele, è figlio di Davide re di Israele secondo la legge di Israele, è stato crocifisso con una scritta sul suo capo che diceva "Gesù Nazareno, il Re dei Giudei», e dunque, in quanto vero uomo, Egli è Ebreo, pienamente, totalmente e definitivamente Ebreo, non "palestinese". Negare l'ebraicità di Gesù Cristo, propagandare la menzogna che Egli sia un "palestinese" messo a morte dai "perfidi ebrei", serve soltanto a legittimare teologicamente lo sterminio del popolo ebraico da parte dei musulmani, così come la menzogna che Egli sia ariano 282 servì a Hitler per legittimare Auschwitz. In conclusione, l'ineffabile patriarca Twal ha dato prova ancora una volta di non tenere in alcun conto la Scrittura: infatti, se conoscesse quel passo di Giacomo 2,8-11 in cui è detto: «Certo, se adempite il più importante dei comandamenti secondo la Scrittura: amerai il prossimo tuo come te stesso, fate bene; ma se fate distinzione di persone, commettete un peccato e siete accusati dalla legge come trasgressori. Poiché chiunque osservi tutta la legge, ma la trasgredisca anche in un punto solo, diventa colpevole di tutto; infatti colui che ha detto: Non commettere adulterio, ha detto anche: Non uccidere», allora non userebbe tanta deferenza verso il mandante di terroristi assassini musulmani, sedicenti "palestinesi", che fanno distinzione fra musulmani e nonmusulmani, che oggi vogliono uccidere tutti gli Ebrei e domani sterminare tutti i Cristiani, secondo il motto islamico "dopo il sabato, la domenica"; se tenesse nella giusta considerazione quell'altro passo di Giacomo 2, 14-17 in cui è detto: «Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa», esorterebbe i suoi fedeli a non cadere nell'ipocrisia di tenere insieme la fede in Gesù Cristo Figlio di Dio con il favoreggiamento di opere maligne come il terrorismo, l'assassinio, il lancio di missili sopra città e villaggi inermi, il rapimento di innocenti al fine di ottenere la liberazione dalle carceri di altri assassini e terroristi, il pagare stipendi a questi assassini mentre sono in prigione, il regalare loro case e pensioni favolose se vengono liberati, l'elevare loro monumenti, l'intitolare ad essi scuole e ospedali, l'insegnare ai bambini - ai bambini! - che è bello fare il kamikaze, il farsi amici degli innocenti in chat o sul luogo di lavoro allo scopo di attirarli in trappola e sgozzarli come pecore da macello. Chi dice di credere nel Cristo, e si accompagna con chi commette queste opere del demonio e le considera cosa buona e giusta, ha in realtà una fede morta; e se costui è un patriarca, allora la sua colpa è ancora più grande, perché pecca di ipocrisia e induce molti a peccare con lui. Nonostante tutto, però, anche quest'anno il mondo ha festeggiato il Natale del Signore, l'ingresso di Dio nella nostra fragile natura umana. Anche quest'anno abbiamo rinnovato la nostra fede che il mondo non è abbandonato al caso o all'arbitrio del più forte, ma è guidato da Dio lungo un cammino tortuoso e sofferto, ma che conduce a un futuro di luce, di gioia e di pace: un cammino la cui prossima tappa sarà la creazione dell'Impero mondiale, nel quale non ci sarà più «né Giudeo né Greco», in cui non ci sarà più discriminazione fra Cristiani, Ebrei, musulmani, induisti o atei, perché «tutti saranno una cosa sola». Uno Stato mondiale in cui le "cose di Cesare" saranno nettamente separate dalle "cose di Dio", in cui ogni credente in Dio potrà professare liberamente la propria fede e rendergli culto nel modo suggerito dalla sua coscienza, purché tale modo non contempli azioni contrarie alla 283 uguale dignità di tutti gli individui umani (come ad es. le mutilazioni genitali femminili, la lapidazione delle donne adultere o i sacrifici umani) e ogni patriarca cristiano potrà liberamente pregare Dio affinché abbia pietà dei detenuti, purché egli chieda a Dio pietà anche per le loro vittime, e potrà anche visitare liberamente i detenuti nelle carceri e magari portar loro una torta, purché non vi metta dentro una lima per segare le sbarre... A questa nobile missione lavoriamo, nel segreto e nel disprezzo degli stolti, noi mondialisti. Perciò siamo ricolmi di speranza per il futuro, e sopportiamo persecuzioni e minacce, ascoltando e mettendo in pratica quanto detto dal Signore per bocca dell'apostolo Giacomo, un Ebreo come Gesù, come Maria e Giuseppe: «Siate dunque pazienti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate l'agricoltore: egli aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le piogge d'autunno e le piogge di primavera. Siate pazienti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina». Sì, viene il Signore, viene il nuovo ordine del mondo che Egli porta, viene l'Impero mondiale. E buon Natale a tutti! (anche a monsignor Twal). 284 L'INGENUITÀ DEL PAPA SULLA GUERRA E I MAL DI PANCIA DEI CATTOLICI (15/9/2014) Il post pubblicato sulla nostra pagina Facebook lo scorso 13 settembre, nel quale mostravamo l'ingenuità abissale dell'attuale Papa che a Redipuglia ha attribuito la causa delle guerre ai fabbricanti di armi, ma ha taciuto sui massacri compiuti dagli assassini islamici, ha suscitato un vespaio di polemiche presso le gerarchie ecclesiastiche cattoliche, sempre molto sensibili quando si mette in dubbio l'infallibilità pontificia su ogni aspetto dello scibile umano, dalla teologia alla coltivazione delle margherite (eppure voi affezionati lettori ben sapete che un suo predecessore scomunicò i nostri padri Templari ingiustamente, solo perché costretto da un re "bello" di nome, ma orrendo e ributtante nell'anima). Ad esempio padre X, il nostro contatto in Vaticano, ha inviato una lettera di fuoco al nostro Direttore Generale Andrea Zuckerman, la quale gli aveva cortesemente inviato in anteprima il testo del post: «Cara Andrea, ho ricevuto solo oggi la tua mail perché da noi era interrotto da sabato il servizio internet. Forse però era meglio se non l'avessi ricevuta affatto... Ti rendi conto di quello che hai scritto? Sabato scorso il Papa ha visitato il cimitero militare di Redipuglia che accoglie tante vittime della prima guerra mondiale: una "inutile strage" operata non con rozzi coltellacci, come dici tu. Lo stesso vale per i milioni di vittime della seconda guerra mondiale, che si è conclusa con le bombe atomiche. Attualmente, la "terza" guerra mondiale vede in campo le orde feroci e agguerrite del califfato, con armi potenti e sofisticate che la loro scarsa tecnologia non è certo in grado di fabbricare. Ti invito a (ri)leggere quello che veramente ha detto il Papa. Non mi pare che siano le stesse parole di qualsiasi comunistello no-global...» Abbiamo accolto l'invito di padre X, e siamo andati a rileggere con grande attenzione i discorsi ufficiali dell'attuale Papa fatti negli ultimi dodici mesi. Eccone un esempio: Omelia a Redipuglia, 13/09/2014: «Anche oggi le vittime sono tante… Come è possibile questo? E’ possibile perché anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante! E questi pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi, hanno scritto nel cuore: “A me che importa?”. E’ proprio dei saggi riconoscere gli errori, provarne dolore, pentirsi, chiedere perdono e piangere. Con quel “A me che importa?” che hanno nel cuore gli affaristi della guerra, forse guadagnano tanto, ma il loro cuore corrotto ha perso la capacità di piangere.» 285 Udienza generale, 11/06/2014: «Penso a coloro che fabbricano armi per fomentare le guerre; ma pensate che mestiere è questo. Io sono sicuro che se faccio adesso la domanda: quanti di voi siete fabbricatori di armi? Nessuno, nessuno. Questi fabbricatori di armi non vengono a sentire la Parola di Dio! Questi fabbricano la morte, sono mercanti di morte e fanno mercanzia di morte. Che il timore di Dio faccia loro comprendere che un giorno tutto finisce e che dovranno rendere conto a Dio.» Angelus, 08/09/2013: «A che serve fare guerre, tante guerre, se tu non sei capace di fare questa guerra profonda contro il male? Non serve a niente! Non va… Questo comporta, tra l’altro, questa guerra contro il male comporta dire no all’odio fratricida e alle menzogne di cui si serve; dire no alla violenza in tutte le sue forme; dire no alla proliferazione delle armi e al loro commercio illegale. Ce n’è tanto! Ce n’è tanto! E sempre rimane il dubbio: questa guerra di là, quest’altra di là - perché dappertutto ci sono guerre è davvero una guerra per problemi o è una guerra commerciale per vendere queste armi nel commercio illegale?» Come vedete, l’industria delle armi è un chiodo fisso dell’attuale Papa fin dallo scorso anno, quando bloccò l’intervento armato degli USA contro il regime di Assad anche insinuando nel cuore e nella mente dei fedeli semplici che lo ascoltavano il dubbio che si volesse fare la guerra a un regime dittatoriale per vendere più armi, cioè precisamente quel che sostengono da settant’anni i comunisti. “Gli americani fanno le guerre perché hanno gli arsenali pieni, così fanno le guerre, consumano un bel po’ di armi, e ne comprano di nuove; è tutto un giro di soldi”; quante volte abbiamo sentito questi discorsi da gente di sinistra, anche da chi non è mai stato un comunista, tanto è diffuso questo luogo comune! E a quanto pare anche l’attuale Papa si accoda a questo slogan, sostenendo che le guerre si facciano per vendere le armi! Eppure ha ben nominato Caino! Caino ha forse ucciso suo fratello per alimentare l’industria delle armi? O lo ha ucciso per invidia? E la guerra che gli islamici fanno da settant’anni contro Israele e contro gli ebrei, arrivando a scrivere nello statuto di Hamas che tutti gli ebrei del mondo devono essere uccisi, è forse fatta per alimentare il commercio delle armi, oppure perché gli islamici sono rosi dall’invidia nei confronti di Israele, nei confronti degli ebrei che hanno coltivato e fatto fiorire il deserto, mentre loro, gli islamici, sanno solo uccidere e distruggere in nome di Allah e Maometto? E la guerra che Putin, i comunisti cinesi e i fondamentalisti islamici combattono contro l’America e l’Occidente, è forse fatta per incrementare la produzione e il commercio delle armi, oppure perché Russi, Cinesi e Islamici odiano l’America e l’Occidente perché hanno uno stile di vita diverso dal loro, uno stile di vita fondato sul primato della persona creata da Dio a Sua immagine invece che sul falso primato della comunità di origine, della razza, della Umma, dello Stato? La prima e la seconda guerra mondiale non sono state combattute perché erano 286 stati inventati gli aerei da guerra o i gas asfissianti o le bombe atomiche e si voleva trovare un modo di utilizzarli; ma al contrario gli aerei da guerra, i gas asfissianti e le bombe atomiche sono stati inventati per combattere due guerre che nascevano da ideologie mortifere basate sul culto della razza e dello Stato, sull’odio, il disprezzo e la discriminazione verso gli estranei al proprio gruppo, fossero essi stranieri, borghesi o “infedeli”. E quanto alle “armi potenti e sofisticate” che il Califfato islamico starebbe usando adesso, non ci sembra proprio di riuscire a vederle: nei servizi su giornali e televisioni si vedono solo rozzi coltellacci, mannaie fatte a mano, cinture esplosive costruite artigianalmente… Desta tanto turbamento che gente armata in modo tanto rozzo abbia compiuto tanti e così atroci massacri? Oppure ci fa scandalo l’idea che si possano compiere autentici genocidi anche senza usare le “armi potenti e sofisticate” che sono appannaggio dell’Occidente “ateo e materialista”, che ci consentono di riversare il nostro j’accuse sempre verso le democrazie occidentali che si difendono da chi vuol distruggerle anziché contro i regimi totalitari? Forse riusciamo a deplorare, a condannare un massacro solo se pensiamo che sia stato commesso con “armi potenti e sofisticate”, così da dare in un modo o nell’altro la colpa all’America, all’Occidente (“è l’America, è l’Occidente che ha venduto loro le armi con cui si massacrano!”, dicono sempre i comunistelli no-global)? La verità è che le guerre, i massacri, le persecuzioni, i genocidi nascono dal lato malvagio del cuore umano, dal lato oscuro corrotto dalle ideologie e dalle religioni false e bugiarde come l’Islam che spingono gli uomini a odiare chi è diverso da quelli del loro gruppo, della loro razza, della loro religione, del loro Stato. Perciò le guerre, i massacri, le persecuzioni, i genocidi finiranno soltanto quando tutti gli uomini e le donne del mondo si riconosceranno membri dell’unica specie umana, con gli stessi diritti e gli stessi doveri, e si uniranno in un solo Stato o Impero mondiale. Questa è la nostra speranza, questa è la speranza che spinge noi mondialisti a lavorare ogni giorno nella vigna del Signore, per dare il nostro piccolo contributo al Suo piano di salvezza universale: “Che tutti siano una cosa sola”. Amen. 287 LA LEZIONE DELLA SCOZIA AL MONDO: UNITÀ ! (20/9/2014) Con il 55,3% dei voti gli abitanti della Scozia hanno risposto alto e forte NO alla proposta di secessione dalla Gran Bretagna lanciata dall'ormai ex-primo ministro di Edimburgo Alex Salmond - si è dimesso subito dopo la proclamazione del risultato del referendum -. A nulla sono serviti i suadenti inviti del Partito Nazionalista scozzese ai 4 milioni di residenti, a godersi in solitudine i proventi dell'estrazione del petrolio; così come sono caduti nel vuoto gli sciagurati auspici delle gerarchie ecclesiastiche cattoliche, le quali, evidentemente ricordandosi soltanto quando fa loro comodo della Parola del Signore nostro Gesù Cristo: «Rendete a Cesare quel che è di Cesare», avevano esortato i fedeli dai pulpiti delle chiese, durante le sante Messe!, a tentare un'improponibile restaurazione dell'«anima» cattolica del popolo scozzese "vessato per tre secoli dagli antipapisti inglesi", come se in Gran Bretagna non ci fosse la libertà di religione dall'Ottocento... Nazionalisti e cattolici, marciando divisi per colpire uniti, volevano spezzare la bella unità della Gran Bretagna, distruggere un Paese che per trecento anni è stato la più grande potenza marittima del pianeta, un grande Paese che ha edificato un Impero civilizzatore esteso su metà del globo, un grande Paese che per due lunghi anni, dal 1939 al 1941, si è opposto praticamente da solo all'assalto nazista, un grande Paese che insieme ai fraterni Stati Uniti d'America ha fatto da baluardo per quarant'anni all'espansionismo comunista in Europa, un grande Paese che ancora oggi, insieme agli USA e a Israele, combatte in tutto il mondo contro l'imperialismo fasciocomunista del tiranno Putin e contro gli assassini islamici del Califfato; tutta questa bella realtà, questo tesoro di civiltà passata e presente e di promessa per il futuro, i nazionalisti scozzesi e le gerarchie cattoliche volevano distruggerlo, buttarlo nella spazzatura, fare come se non fosse mai esistito, peggio, come se non contasse nulla rispetto alla rivendicazione del proprio "particulare" etno-religioso... Ebbene, a questo folle tentativo gli abitanti della Scozia hanno detto NO!, hanno risposto alto e forte che essi si sentono parte nobile e attiva del popolo britannico, che la Scozia, insieme all'Inghilterra, al Galles e all'Irlanda del Nord, è membro di un'unica realtà politica e giuridica, che le buone ragioni dell'unità sono più forti delle sirene della divisione. Il Comitato Direttivo del Partito Mondialista, in fraterna unione con tutti i suoi membri sparsi nel mondo, plaude dunque alla grande prova di democrazia degli abitanti della Scozia, che oggi hanno dato a tutto il genere umano la più grande lezione: nella rinnovata unità della Gran Bretagna, essi mostrano a tutti gli uomini e le donne del pianeta che il futuro del genere umano è l'unione in un solo Stato o Impero mondiale federale e liberaldemocratico, in cui, fermo restando il rispetto universale degli immortali e inalienabili diritti umani - primi fra tutti il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità -, ogni città, ogni contea, ogni regione possano amministrarsi autonomamente, gestendo senza ingerenze superiori le proprie finanze per il bene delle varie comunità locali, esattamente come fanno ora gli 288 scozzesi e da domani faranno anche inglesi, gallesi e irlandesi; affinché si realizzi la Parola del Signore Dio Onnipotente, Padre di tutti gli uomini, quella Parola che il Papa e i vescovi cattolici dovrebbero ricordare e mettere in pratica, invece di attardarsi in nostalgie revansciste: «Ut unum sint», che tutti siano una cosa sola: un solo popolo, sotto una sola legge. 289 INCARNAZIONE E STATO MONDIALE: RIFLESSIONI SU UNA RECENTE AFFERMAZIONE DI UN TEOLOGO CRISTIANO (23/11/2014) Sul sito dell'agenzia di notizie cattolica zenit.org, il teologo cristiano Robert Cheaib ha scritto oggi: "Con l’incarnazione, Dio ha assunto la storia, il corpo e il tempo mostrandoci chiaramente che non si può essere realmente di Dio senza passare per il tempo, il corpo e la storia. Non esagero nel dire che una spiritualità disincarnata è una spiritualità dell’anti-Cristo perché non riconosce e non confessa Gesù Cristo venuto nella carne (cf. 2Gv 7)". Molti nostri seguaci ci hanno scritto chiedendoci: "Quanto affermato da Robert Cheaib non è in sintonia con quanto affermato dagli antimondialisti, come ad esempio dal filosofo nazista Heidegger, dai no-global di sinistra e di destra e dagli eurasisti, cioè che la divisione del genere umano in molti popoli, in molte culture, sarebbe cosa buona e giusta, e che perciò sarebbe cosa malvagia e ingiusta unire tutto il genere umano in un solo Stato mondiale? Se è così, allora Robert Cheaib dice il vero o il falso? Cosa rispondete voi mondialisti?". Noi mondialisti rispondiamo: Robert Cheaib dice il vero. Ma Robert Cheaib non dice "tutto" il vero. Come diceva il grande filosofo tedesco Hegel, solo il Tutto è il Vero. Quindi dire solo una parte della verità, significa dire una non-verità, significa dire una falsità. Cosa manca a quanto detto da Robert Cheaib per essere "tutta" la verità? È vero che Dio, incarnandosi, ha assunto il corpo, il tempo e la storia. Quindi è vero che non si può essere realmente di Dio senza passare per il corpo, il tempo e la storia. Ma il corpo non è qualcosa di statico, il corpo è una realtà che cambia nel tempo e nella storia. E il tempo e la storia sono un cammino, un progredire (dal latino pro-gredior, cammino in avanti, cammino verso); un cammino che ha un punto di partenza, delle tappe e un punto di arrivo; un cammino che ha un inizio, uno svolgimento e una fine. Perciò, incarnandosi e assumendo un corpo che cambia nel tempo e nella storia, Dio ha assunto il cammino del genere umano nel tempo e nella storia; un cammino che inizia dalla moltitudine "atomizzata" degli individui isolati, e passa per l'unione degli individui in famiglie, per l'unione delle famiglie in città, per l'unione delle città in Stati, e finirà con l'unione degli Stati nell'unico Stato mondiale del genere umano. Perciò, chiunque volesse usare le parole di Robert Cheaib per "sacralizzare" l'immobilità e l'immodificabilità dell'attuale divisione del genere umano in molti popoli e culture, direbbe una non-verità, direbbe una falsità. Perché la verità del genere umano, che è il grande corpo che Dio ha assunto, è la totalità del suo cammino; 290 un cammino nel quale i singoli popoli, le singole culture, nascono, crescono, decadono e scompaiono, mentre il genere umano nella sua totalità cammina dall'estrema divisione verso l'estrema unione, dalla moltitudine degli individui isolati verso l'unico Stato mondiale. 291 LA CHIESA "MONDANA" E ANTIMODERNA SI ALLEA CON IL TIRANNO PUTIN E CON L'ISLAM ASSASSINO (14/06/2015) Il Signore Gesù Cristo, durante la sua vita terrena, ammonì molte volte i suoi discepoli riguardo all'incoerenza dei sacerdoti israeliti, i quali dicevano e non facevano. Evidentemente la Parola del Signore va applicata oggi alla Chiesa guidata da Jorge Mario Bergoglio, il quale in ogni omelia, in ogni discorso mette in guardia il popolo cristiano dalla tentazione della "mondanità", ma poi è lui, proprio lui, il primo "mondano". Non è stato infatti segno di "mondanità" l'accogliere in Vaticano per la seconda volta in due anni il cekista Vladimir Putin quale «ospite gradito», enfatizzare su tutti i mezzi di comunicazione la sintonia fra Santa Sede e Russia in molti settori - dalla necessità di trovare una «soluzione negoziata» alla crisi ucraina alla protezione dei cristiani del Medio Oriente minacciati dal Califfato islamico, alla difesa comune dei «valori tradizionali cristiani» contro il materialismo gay sponsorizzato dai soliti "perfidi" americani - e perfino donare al tiranno moscovita un medaglione raffigurante l'«Angelo della Pace che vince tutte le guerre», così come aveva fatto poche settimane fa con Abu Mazen? Di certo non vi è coerenza fra le continue, insistenti invocazioni pacifiste di Bergoglio e il suo definire «angeli di pace» prima un feroce terrorista assassino islamico che ha pianificato la strage degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco nel 1972 e migliaia di attentati terroristici contro aerei, autobus, ristoranti e discoteche in Israele, e poi un tiranno crudele e ipocrita che ha mosso guerra, senza dichiararlo, contro il pacifico popolo dell'Ucraina, ha invaso la penisola di Crimea, ha inviato decine di migliaia di soldati russi senza uniforme a far strage di inermi civili ucraini; così come non è coerente elevare alti lai a proposito della persecuzione dei cristiani nel mondo, come Bergoglio fa da molti mesi, e contemporaneamente accogliere con tutti gli onori nei sacri palazzi il capo di un movimento islamico che sta "ripulendo" i territori cosiddetti palestinesi dai cristiani e l'erede del cesaropapismo zarista che usa spregiudicatamente il cristianesimo ortodosso come instrumentum regni. A tal punto si spinge l'incoerenza di Bergoglio, da ignorare perfino il grido di dolore che sale verso Roma dai cattolici ucraini, tra i più fermi oppositori dell'aggressione russa, i quali da più d'un anno gli chiedono, invano, di condannare l'invasione del loro Paese, le stragi di civili innocenti, la "pulizia etnica" dell'Ucraina orientale dalla presenza cattolica. La verità è che la Chiesa bergogliana ahi, quanto diversa da quella di Wojtyla e Ratzinger! - è terribilmente, cinicamente coerente, non con quanto dice a parole, ma con ciò che Papa, vescovi, cardinali e molti preti hanno nel cuore: la dura, sorda, ostinata opposizione nei confronti dei princìpi di libertà, uguaglianza, democrazia e rispetto dei diritti umani che sono il portato più nobile della Modernità, e quindi l'odio verso quei Paesi - gli Stati Uniti d'America, dolce terra di libertà nonostante il rincitrullimento causato dal filoislamico Obama, e Israele, unico Stato democratico in un Medio Oriente schiavo di tiranni e dittatori laici e teocratici - che di quei sacri princìpi si sono sempre fatti portatori e difensori. 292 La prova? Bergoglio dice che la Chiesa e la Russia di Putin vogliono difendere il matrimonio e la famiglia dagli attacchi della lobby gay appoggiata dagli USA; ma in realtà la Chiesa difende un modello di famiglia patriarcale e misogino, in cui - come accade, non a caso, sia nei Paesi islamici che in Russia - la moglie è sottomessa, è schiava del marito, il quale può picchiarla, sfregiarla con l'acido, persino ucciderla restando impunito. Non a caso, con il prossimo Sinodo dei vescovi il Vaticano si prepara a concedere il diritto di accostarsi all'Eucaristia anche ai divorziati risposati, come avviene già nei Paesi di religione cristiana ortodossa; quindi la Chiesa bergogliana, per la prima volta nella sua storia bimillenaria, si appresta a riconoscere ai mariti cattolici anche il diritto di ripudiare le proprie mogli e di prendersi altre donne, come già fanno gli uomini ortodossi e quelli musulmani, con tanti saluti al principio di uguaglianza fra uomo e donna sancito dalla Bibbia, là ove dice che la donna fu tratta, non dalla testa dell'uomo per essergli superiore, né dai piedi per essergli schiava, bensì «dalla costola dell'uomo» per essergli sua pari! Un'altra prova? Pochi giorni fa Bergoglio si è augurato che riprenda e giunga a «felice conclusione» il processo canonico di beatificazione di un religioso francese, tale padre Léon Gustave Dehon, morto nel 1925, il quale, molti anni prima che Hitler prendesse il potere in Germania e avviasse lo sterminio di 6 milioni di Ebrei, in molti scritti sostenne che gli ebrei erano «assetati di denaro», che «la bramosia del denaro [era] un istinto della loro razza», definì il Talmud «un manuale banditesco, corruttore e distruttore della società», e suggerì di rendere gli ebrei riconoscibili con particolari contrassegni, di mantenerli chiusi nei ghetti, di escluderli dalla proprietà terriera, dalla magistratura e dall’insegnamento; questo campione di antisemitismo, portato a modello da siti fondamentalisti islamici come Radio Islam, Bergoglio vuol far diventare beato e proporre ai fedeli come esempio di persona che avrebbe esercitato le virtù cristiane in grado "eroico", mentre Benedetto XVI nel 2005 aveva bloccato il processo canonico proprio a causa delle polemiche sull'antisemitismo di Dehon! Non a caso, dunque, la Chiesa di Bergoglio si è alleata da una parte con la Russia dominata dal tiranno Putin, ove gli episodi di antisemitismo si moltiplicano ogni giorno, e dall'altra con il sedicente "Stato di Palestina" che vuole distruggere lo Stato di Israele, occupare tutta la terra dal mare Mediterraneo al fiume Giordano, e sterminare tutti gli ebrei del mondo: a determinare le alleanze della Chiesa è sempre l'odio verso la Modernità e il Progresso, di cui il popolo ebraico è considerato (non a torto) come il principale agente storico. Ma la prova definitiva, inoppugnabile, dell'antimodernismo oscurantista della Chiesa "mondana" guidata da Bergoglio, è la sua opposizione al progetto mondialista di unificare il genere umano in un solo Stato mondiale, e il suo favore invece verso una divisione del pianeta in una pluralità di «grandi spazi» culturalmente e "spiritualmente" omogenei: un'Europa cattolico-protestante, una Grande Madre Russia ortodossa estesa da Kiev a Vladivostok, l'Ummah islamica, una Grande Cina confuciana che eserciti la sua egemonia sul Giappone e su tutto il Sud-est asiatico, l'Africa subsahariana animista e tribale, un'America "indiolatina" che strappi agli Stati Uniti le regioni abitate da immigrati cattolici e lasci agli anglosassoni bianchi e protestanti solo il Middlewest e la costa orientale, al massimo... È la solita, antica 293 avversione nei confronti di un Impero universale che qui riprende vita, dopo che Giovanni Paolo II il Grande aveva guidato la Chiesa ad allearsi con l'America di Ronald Reagan, il Precursore dell'Impero mondiale, nella lotta di liberazione dal comunismo - un'alleanza di cui noi mondialisti, senza falsa modestia, portiamo il merito, come spiegammo già nel nostro scritto "Origini del Mondialismo" -; la stessa avversione che nel Medioevo spinse i pontefici a condurre una sorda guerra di logoramento contro il Sacro Romano Impero, al solo scopo di conservare l'egemonia sulla penisola italiana, e che sempre ha spinto la Chiesa a opporsi a qualsiasi tentativo di unire il genere umano sotto una sola autorità politica, allo scopo di rimanere la sola istituzione sovranazionale e di continuare a detenere una funzione di arbitro fra gli Stati. Tutti questi argomenti, e molti altri che potremmo addurre, dimostrano a sufficienza che la Chiesa guidata da Jorge Mario Bergoglio, a dispetto dei suoi anatemi contro la "mondanità", è assolutamente, ostinatamente e pervicacemente "mondana" e lontana da Dio nel suo voler allearsi con il tiranno Putin e con l'Islam fondamentalista, terrorista e assassino contro gli Stati Uniti d'America e lo Stato di Israele, unici difensori rimasti dei sacri princìpi di libertà, democrazia e rispetto dei diritti dell'uomo che discendono dalla natura degli esseri umani, maschi e femmine insieme, quali esseri razionali creati a immagine di Dio, e dalla distinzione posta dal Signore Gesù Cristo fra le «cose di Dio» e le «cose di Cesare», fra la sfera religiosa e quella secolare e politica. Per questo noi del Partito Mondialista continueremo sempre a lottare, con la parola e con la spada, al fianco di Israele e degli Stati Uniti d'America, per la difesa dell'Occidente dall'aggressione dell'Orso russo e del fondamentalismo islamico, e per la creazione di un solo Stato o Impero mondiale che superi le vetuste sovranità etno-nazionali, abbatta tutti i tiranni e i dittatori laici e teocratici, e assicuri finalmente per tutti gli individui umani, maschi e femmine, il rispetto dei sacri diritti alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Quando questa nobile missione sarà stata portata a compimento, ogni uomo e donna sarà libero di adorare Dio secondo il dettame di una retta coscienza, nel rispetto dell'ordine pubblico e degli altrui diritti a credere diversamente, e anche la Chiesa di Cristo, liberata dall'ansia "mondana" del potere, godrà del diritto di annunciare il Vangelo senza subire persecuzioni e senza dover stringere compromessi con i tiranni. 294 LA CHIESA DIVENTA POLITEISTA PER ODIO VERSO L'IMPERO MONDIALE (14/06/2015) Pochi giorni fa, l'11 giugno, il sito di informazione cattolica zenit.org, che da tempo si pone quale portavoce ufficioso della Santa Sede, ha pubblicato un editoriale di un certo Padre Alfonso Maria Bruno - nominato da Bergoglio segretario generale della Congregazione dei Frati Francescani dell'Immacolata dopo averla "commissariata" per motivi mai ben chiariti - intitolato "Putin e il Papa: le ragioni di un’alleanza", che costituisce un capolavoro di disinformazione e una manifestazione plateale di quell'Antilingua descritta da Orwell in "1984" quale caratteristica dei regimi totalitari. Dopo aver affermato che «la Santa Sede, [pur] non partecipa[ndo] ai conflitti, sia militari che politici [...] partecipa ai conflitti ideologici», nel senso che «la concezione cristiana del mondo e della storia può coincidere, almeno in parte, con le istanze rappresentate dalle diverse forze in campo», e aver sottolineato che Putin, il tiranno ricevuto in Vaticano con tutti gli onori, «ha preso la guida - già appartenuta all’Impero Russo - dell’Ortodossia, cioè di una forza spirituale con cui il Papa - nella sua visione geostrategica - è ben deciso non soltanto a dialogare, bensì anche ad allearsi», l'ineffabile padre Bruno, per difendere Bergoglio dal sospetto - da lui stesso ventilato - di aver "venduto" a Putin «i Cattolici dell’Ucraina, anzi l’Ucraina tutta intera» (excusatio non petita, accusatio manifesta), si produce in una acrobazia dialettica degna di un hegelo-marxista della peggior specie: da un lato l'accusa sarebbe falsa in quanto il Papa latinoamericano sarebbe «un naturale fautore dell’indipendenza dei popoli», ma dall'altro «questo grande obiettivo, questa meta cui l’umanità tende[rebbe] - pur tra molte contraddizioni - da un secolo a questa parte», cioè l'indipendenza di tutti i popoli, «al punto che qualcuno giunge ad intravedere in essa una teofania nella storia», non potrebbe prescindere dalla realtà, anzi proprio dalla più cinica e cruda realtà geopolitica: infatti, tramontati gli Imperi, che per il padre Bruno sarebbero tutti - in primis quello sovietico - altrettante “prigioni dei popoli”, «esiste il problema di ristabilire quei legami storici, culturali e soprattutto spirituali che li uniscono [i popoli], sia pure dovendosi rispettare la reciproca indipendenza»; e pertanto istanze quali «il panslavismo e la solidarietà tra Ortodossi [...] analoghe a quelle che accomunano i popoli islamici, devono essere riconosciute: e soprattutto riconosciute dalla Chiesa Cattolica». In altre parole: i popoli della Terra, per la Chiesa bergogliana, dovrebbero essere tutti indipendenti e sovrani, formalmente, ma di fatto uniti da legami «storici, culturali e soprattutto spirituali» in una pluralità di macroaggregati o «grandi spazi», fra i quali spiccano, non a caso, l'Ortodossia e l'Ummah (la comunità mondiale di tutti gli islamici), che dovrebbero godere di un «riconoscimento» giuridico ufficiale; e in nome di tale riconoscimento Bergoglio avrebbe, secondo il padre Bruno, "giustamente" ignorato le «pressioni» ricevute (da chi?) affinché si facesse difensore degli «interessi specifici dei Cattolici, sia di rito orientale, sia di rito latino, che sono schierati tra i difensori più intransigenti della contrapposizione di Kiev a Mosca». 295 Ora, non soltanto il giudizio del padre Bruno sugli imperi "prigioni dei popoli", se preso nella sua assolutezza tranchant, è storicamente falso (ci sono stati imperi accentratori e schiavistici, come quello assiro, quello di Napoleone e il Terzo Reich hitleriano, ma anche imperi che accordavano pari libertà e dignità a tutti i propri cittadini, come l'impero persiano di Ciro il Grande, l'impero romano e quello britannico); non soltanto egli ammette candidamente che la Chiesa è apertamente schierata, nel «conflitto ideologico» tra Mondialismo e antimondialismo, a favore della divisione del genere umano in un pluriverso di «grandi spazi» storicamente, culturalmente e soprattutto "spiritualmente" omogenei, egemonizzati da una potenza centrale - come nel progetto stilato dal giurista nazista Carl Schmitt -; ma addirittura, allo scopo di giustificare teologicamente questa opzione della Chiesa per la frantumazione del genere umano in molti imperi continentali impermeabili l'uno all'altro, egli si spinge a definire una tale frantumazione una «teofania nella storia», cioè una manifestazione di Dio (questo significa il termine greco "teofania"). O meglio, poiché i vari macroaggregati statuali si differenzierebbero soprattutto dal punto di vista "spirituale", si tratterebbe di una manifestazione nella storia dell'esistenza di molti dèi, uno per ciascuno dei «grandi spazi». Insomma, pur di contrastare l'avvento inevitabile dell'Impero mondiale, la Chiesa di Bergoglio, per bocca dell'ineffabile padre Bruno - il quale, ricordiamolo, è stato posto a capo dei Francescani del'Immacolata "commissariati" al fine di riportarli alla "retta dottrina" (sic!) - ripudia la fede nell'unico Dio e si converte al politeismo! La verità è che il Cristianesimo, non quello falso propagandato dai vari padri Bruno, ma quello autentico annunciato dalla Chiesa per duemila anni, è teologicamente incompatibile con la divisione del genere umano in una pluralità di «grandi spazi», perché esso si fonda sulla fede in un Dio che è insieme Trino e Uno: Trino in quanto composto da tre Persone uguali e distinte (il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo), ma Uno in quanto queste tre Persone condividono la medesima natura o essenza. In modo analogo, il genere umano è plurimo in quanto composto da una pluralità di individui, maschi e femmine; ma è unico in quanto questa pluralità di individui, questi miliardi di uomini e donne che lo compongono nel corso della storia, condividono tutti la medesima natura di esseri razionali creati da Dio a Sua immagine e somiglianza. Per questo motivo noi mondialisti combattiamo e combatteremo sempre, con la parola e con la spada, per liberare la Chiesa dalla schiavitù agli idolinazioni e per schierarla insieme agli Stati Uniti d'America e a Israele, scudo e lancia della democrazia, nella grande guerra contro tutti i tiranni e i dittatori laici e teocratici. Guerra che attraversa come un filo rosso tutta la storia dell'umanità, e che si concluderà inevitabilmente con l'unificazione del genere umano in un solo Impero mondiale, federale e liberaldemocratico, che abbatterà tutte le vetuste sovranità etnonazionali e assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Un unico Stato per tutti gli uomini, a immagine e somiglianza dell'unico Dio in tre Persone. 296 OBAMA E BERGOGLIO, I TRADITORI DEL MONDIALISMO (22/10/2015, San Giovanni Paolo II Papa) Nell'ultimo canto dell'Inferno, il sommo poeta Dante Alighieri racconta di aver visto, maciullati nelle tre bocche di Lucifero, ai due lati Bruto e Cassio, traditori di Cesare e quindi dell'Impero, e al centro Giuda Iscariota, traditore di Cristo e quindi della Chiesa. Ebbene, se fra cent'anni - quando l'Impero mondiale sarà divenuto realtà - nascesse un nuovo Dante, e scrivesse una nuova Commedia, egli certo descriverebbe un Lucifero con due sole bocche, anziché tre, e in esse metterebbe, a maciullarsi, Barack Hussein Obama e Jorge Mario Bergoglio, i traditori del Mondialismo. Che Barack Hussein Obama sia un traditore del Mondialismo, è cosa ormai nota a quanti leggono i nostri editoriali: fin dal suo primo insediamento alla Casa Bianca egli ha annunciato il ritiro delle truppe statunitensi dall'Iraq a partire dal 2010, ha proibito ai funzionari che lavorano per le agenzie di sicurezza nazionale di usare l'espressione "guerra al terrorismo" e di qualificare i nemici degli Stati Uniti d'America come terroristi; nel 2009 ha promesso dal Cairo ai tiranni di Teheran e Damasco che gli Stati Uniti d'America non avrebbero mai tentato di scalzarli dai loro troni di sangue come avevano meritatamente fatto con Saddam e con Milosevic, ha fatto orecchie da mercante al grido di dolore del nobile popolo di Persia che combatteva e moriva per opporsi al regime degli ayatollah pedofili e misogini; ha abbandonato il popolo dell'Iraq alle faide tra sunniti e sciiti e ai massacri del Califfo sanguinario, ha favorito l'ascesa al potere in Egitto del fondamentalista Morsi, ha condotto trattative segrete per "normalizzare" i rapporti degli Usa con il regime familistico-comunista dei Castro e con gli ayatollah iraniani che vogliono dotarsi della bomba atomica per distruggere Israele. È fin troppo evidente che Obama è il nuovo Bruto, il traditore di tutti i suoi predecessori, da Roosevelt che combatté il nazifascismo a Truman che schierò la potenza degli Stati Uniti per difendere l'Occidente dall'espansionismo sovietico, da Ronald Reagan il Precursore a George Walker Bush: egli infatti ha sviato il popolo americano dalla missione di essere la "città sulla collina", la nuova Gerusalemme che avrebbe dovuto abbattere tutti i tiranni e i dittatori e fondare l'Impero mondiale apportatore di pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Quanto al cardinale Jorge Mario Bergoglio (non possiamo, in coscienza, chiamarlo Papa), la sua colpa è più sottile e meno evidente: egli non può essere accusato di eresia, dal momento che tutti i suoi pronunciamenti pubblici - al netto delle distorsioni giornalistiche - sono finora stati formalmente in linea con la dottrina della Chiesa; ma anche Giuda, a ben vedere, era un Ebreo pio e osservante della Legge. La colpa per cui Giuda è condannato all'inferno non è l'esser stato eretico, ma regicida: egli non ha infranto i comandamenti della legge mosaica - così come Bruto non ha violato le leggi romane - ma ha infranto il vincolo di fedeltà e di amore che lo legava a Gesù Cristo, "Re dei Giudei" e suo Maestro, colui che lo aveva scelto come apostolo, così come Bruto ha infranto il vincolo di fedeltà a Cesare, suo re e padre adottivo. 297 Allo stesso modo Bergoglio ha sinora formalmente rispettato il Vangelo, la Tradizione e il Magistero della Chiesa; ma ha condannato la globalizzazione, bollandola come processo di omologazione irrispettosa delle differenze e delle particolarità etniche, anche di quelle più retrograde e abiette come l'infibulazione e la poligamia; ha suscitato una mobilitazione internazionale per impedire agli Stati Uniti d'America di abbattere il regime del macellaio Assad e di salvare dal massacro il popolo siriano (fornendo una buona scusa al filoislamico Obama che di bombardare Assad, vassallo dell'Iran con cui stava negoziando segretamente da anni, non aveva affatto voglia); ha rifiutato di ricevere in udienza il Dalai Lama e di pronunciarsi pubblicamente contro il genocidio del popolo tibetano, mentre ha ricevuto più volte con grandi onori il tiranno Putin invasore di Georgia e Ucraina; ha sempre omesso di denunciare le persecuzioni dei cristiani nei paesi a maggioranza islamica e lo stillicidio di attentati compiuti contro gli ebrei, anzi ha proclamato il diritto dei musulmani di usare la violenza nei confronti dei vignettisti "blasfemi", ha condannato la costruzione da parte della autorità israeliane della Barriera di Sicurezza che nell'ultimo decennio ha fermato almeno in parte i terroristi palestinisti, e ha perfino chiamato Abu Mazen, l'arcidittatore e capo di assassini, "Angelo della pace"; ha fatto da mediatore tra Obama e il regime castrista, e nella sua visita a Cuba non ha speso una sola parola per invocare la fine dell'oppressione che quel popolo soffre da mezzo secolo, mentre San Giovanni Paolo II il Grande, all'Avana aveva ripetuto per ben 13 volte il grido "Libertà!"; ha rigettato l'idea wojtyliana di una "ingerenza umanitaria" per salvare popoli minacciati da tiranni e dittatori. Insomma, Bergoglio ha infranto il vincolo di fedeltà al Magistero del suo insigne predecessore (o quam diversus ab isto!) che lo aveva creato cardinale, e sta tentando in tutti i modi di ostacolare, anch'egli, la missione affidata agli Stati Uniti d'America, in collaborazione con Israele e con tutto l'Occidente, di fondare l'Impero mondiale, missione sacra perché rispondente alla volontà di Dio annunciata da Gesù Cristo, Re dell'Universo, che cioè «tutti siano una cosa sola», un solo Popolo, sotto una sola Legge, con uguali diritti e doveri per tutti. Pertanto egli va considerato il nuovo Giuda, e come tale, insieme a Obama, sarà dannato in memoriam dalle generazioni future. 298 BERGOGLIO VUOLE IL SUICIDIO DELL'UMANITÀ. NOI NO (21/11/2015) Come tutti certamente sapete, otto giorni fa, venerdì 13 novembre, la città di Parigi è stata messa a ferro e fuoco da commandos di terroristi islamici che hanno fatto esplodere bombe davanti allo Stade de France, hanno sparato a raffica su persone innocenti sedute ai tavoli di ristoranti e bistrot, e infine hanno preso in ostaggio centinaia di giovani che assistevano a un concerto nella sala concerti Bataclan; la Francia ha subito reagito dichiarando lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale e iniziando a bombardare Raqqa, la capitale dell'autoproclamato Califfato islamico, ricevendo l'appoggio della Russia che ha scaricato su Raqqa una pioggia non solo di bombe, ma anche di missili lanciati dalle sue navi nel Mediterraneo e dai suoi bombardieri strategici; ieri, poi, un altro commando di terroristi islamici ha assaltato un albergo a Bamako, la capitale del Mali, dove ha seguito lo stesso macabro copione di altri assalti islamici: ha lasciato andare sani e salvi i musulmani - cioè coloro che dimostravano di conoscere a memoria il Corano e ha trucidato senza pietà decine di francesi, americani, cinesi e clienti di altre nazionalità, indegni di vivere ai loro occhi per il solo fatto di essere dei non-islamici (infatti il regime comunista cinese non ha mai compiuto atti di guerra contro Paesi islamici, anzi collabora con molti regimi islamici fornendo ad essi armi sofisticate e denaro e costruendo infrastrutture in cambio di materie prime necessarie ad alimentare il suo turbocapitalismo dirigista). Nel frattempo il cardinale Jorge Mario Bergoglio, che la maggioranza dei cattolici nel mondo (non noi) considera l'attuale Vicario di Cristo, ha affermato con veemenza che la Chiesa deve mantenere "le porte aperte" a tutti, che pertanto il Giubileo della Misericordia da lui proclamato "a sorpresa" non sarà annullato, che lui si recherà in visita in Africa senza alcuna scorta, e ha proibito a tutti i cristiani del mondo di partecipare alla rappresaglia difensiva franco-russa contro la guerra scatenata dall'Islam assassino contro il resto del genere umano. Il nostro Direttore Generale Andrea Zuckerman ha parlato di tutto questo con padre X, il nostro "contatto" nella Segreteria di Stato del Vaticano. Padre X: Indubbiamente noi abbiamo un problema con l'Islam, ma non possiamo pensare di risolverlo con la guerra, perché sarebbe un suicidio... i musulmani sono più di un miliardo... Andrea Zuckerman: Se è per questo, padre, i non-musulmani sulla Terra sono più di cinque miliardi; chi crede che vincerebbe se si formasse una coalizione planetaria di tutti i non-musulmani? Padre X: Ma che dice? L'Islam non ha dichiarato guerra a tutti i non musulmani, l'Islam ha dichiarato guerra solo a noi cristiani, e noi non possiamo combattere questa guerra, perché siamo disuniti... Una volta i popoli cristiani si unirono tutti contro l'Islam, tra l'altro guidati proprio dalla Francia, e allora vinsero loro contro l'Islam... Andrea Zuckerman: E come vinsero, padre? Forse facendo una chiacchierata con gli islamici, o una partita di tennis? 299 Padre X: Non mi interrompa! Allora i cristiani che vinsero erano dei mascalzoni, ma sapevano di essere dei mascalzoni, e sapevano distinguere il bene dal male... Oggi invece il cristianesimo in Europa è disgregato, in Francia c'è questo Hollande, questo ducetto, questa specie di piccolo Napoleone, questa mezza cartuccia che s'è messo a sparacchiare per raccattare qualche voto, ma finirà male... E anche Putin finirà male... Andrea Zuckerman: Ma come, padre?!? Voi del Vaticano avete sempre ammirato Putin perché secondo voi aveva riportato il Cristianesimo in Russia dopo il comunismo ateo sovietico, perché difendeva la famiglia contro le teorie del gender... lo avete difeso anche quando faceva assassinare i suoi oppositori... e adesso lo scaricate perché si è messo contro l'Islam? Padre X: Non mi interrompa! Voi mondialisti fate sempre le solite polemicuzze da quattro soldi, siete sempre attaccati ai regni terreni, alle potenze di questo mondo, Obma, Putin, Hollande... noi invece guardiamo più avanti, noi guardiamo oltre la siepe del Leopardi, abbiamo un orizzonte più largo, guardiamo all'eternità... In Francia Hollande, questo ducetto, questo piccolo Napoleone ha fatto cose terribili, il matrimonio gay, l'eutanasia, come in Belgio, come in Olanda... ha fatto come faceva Hitler... fa il male e lo chiama bene... Il cristianesimo è completamente svanito... In queste condizioni l'Europa non può combattere una guerra... Andrea Zuckerman: E allora cosa volete fare voi cattolici, padre? Se non volete combattere contro l'Islam, vuol dire che vi arrenderete? Che vi sottometterete? Padre X: Ma mai più! Noi non ci sottometteremo mai all'Islam... faremo come dice san Paolo: vince in bono malum, vinci il male col bene... Adesso il Papa andrà in Centrafrica, poi ci sarà il Giubileo, lasciamo passare il tempo, e il tempo aggiusta le cose... no, non le aggiusta ma le acquieta... e se sarà necessario, noi siamo pronti a rendere la nostra testimonianza a Cristo, testimonianza che in greco si dice martirio... Andrea Zuckerman: Quindi voi cristiani siete pronti a farvi uccidere tutti per rendere testimonianza a Cristo... E i non cristiani, i buddisti, gli induisti, gli atei, tutti quelli che non credono in Cristo, cosa dovrebbero fare secondo Lei? Padre X: Ma che ne so io... I non cristiani, i pagani, gli atei, quelli che non conoscono Cristo e non credono in Cristo, come dice la Scrittura, non hanno speranza, non sperano nella vita eterna, sono fissati, sono fossilizzati in questa vita terrena che prima o poi deve finire, in un modo o nell'altro... Come dice il Signore, "lasciate che i morti seppelliscano i loro morti": quelli che non credono in Cristo sono già morti, sono morti dentro... Perciò ognuno di loro si regolerà secondo quello che gli dice la sua coscienza: quelli che sono attaccati a questa vita si convertiranno all'Islam, gli altri, boh... Ma gli altri, se non credono in Cristo e nella vita eterna, che motivi forti hanno per non convertirsi ad Allah e Maometto? Nessuno... Perciò alla fine si convertiranno tutti o quasi tutti all'Islam, tranne quei cristiani veri che avranno la forza di testimoniare Cristo fino all'effusione del sangue... Avete letto bene, amici della Rete? Bergoglio e tutto il Vaticano non hanno alcuna intenzione di combattere contro l'Islam assassino, e ordinano a tutti coloro che vogliono continuare a stare dentro la Chiesa cattolica di non difendersi contro 300 l'aggressione dell'Islam assassino, ma di scegliere se vogliono convertirsi al falso dio Allah e al falso profeta Maometto per aver salva la vita, o se preferiscono testimoniare la loro fede in Cristo a costo di farsi ammazzare, di lasciarsi scannare come pecore da macello... Quanto ai non cristiani, Bergoglio e il Vaticano non se ne curano: pensano che chi non crede in Gesù Cristo Figlio di Dio e nella vita eterna non abbia delle motivazioni "forti" per non convertirsi all'Islam, e quindi abbandonano il resto del genere umano a un destino di schiavitù. Ebbene, a tutto questo noi mondialisti diciamo alto e forte: NO! NO all'arrendevolezza dei pacifinti di sinistra, destra e centro che rifiutano di combattere perché "l'Europa si fonda sulla pace"! NO alla falsa mitezza di quanti si professano cristiani, ma dimenticano che il Signore Gesù Cristo non ha mai ordinato ai suoi discepoli di non difendere gli innocenti in pericolo! NO a quanti dicono "dialoghiamo, non facciamo la guerra all'Islam", e intanto si preparano a spartire il potere con gli invasori! Noi mondialisti combatteremo contro l'Islam assassino, nemico del vero Dio e di tutto il genere umano, finché non lo avremo sconfitto, finché gli islamici non accetteranno la modernità, la libertà di religione e di pensiero, l'uguaglianza fra uomo e donna e tra islamici e non-islamici, finché essi non accetteranno di vivere in pace insieme ai non-islamici in un solo Stato mondiale, oppure, se non lo accetteranno, finché non li avremo distrutti. Perché l'Islam è nemico di Dio, della Morale e della Storia: è nemico di Dio, perché il vero Dio, il Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo, vuole l'amore e la misericordia, vuole che tutti gli individui umani vivano in pace e amicizia reciproca, in un solo Stato mondiale in cui non ci sia più «né Giudeo né Greco, né uomo né donna, né schiavo né libero, ma tutti siano una cosa sola», mentre il falso dio degli islamici vuole la discriminazione dei non-islamici, la loro sottomissione con tutti i mezzi, con l'inganno e con la violenza, o la loro uccisione, il loro sterminio se non si sottomettono; è nemico della Morale, perché è nella natura relazionale dell'uomo di convivere con i suoi simili secondo giustizia, cioè secondo l'aurea massima di Gesù Cristo «fate agli altri quel che volete gli altri facciano a voi», mentre l'Islam, violentando la natura umana, predica l'ingiustizia, la differenza nei diritti e nei doveri fra uomo e donna e fra islamici e non-islamici; ed è nemico della Storia, perché la storia del genere umano è storia del movimento dalla chiusura all'apertura, dalle tribù isolate e in guerra fra loro verso l'unico Stato o Impero mondiale che assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti, mentre l'Islam vuole mantenere il genere umano diviso in varie comunità impermeabili l'una all'altra, senza relazioni, senza mescolamento né sessuale, né economico, né di alcun tipo. Per questo l'Islam è destinato ad essere sconfitto, a finire nella pattumiera della Storia insieme al nazifascismo e al comunismo; perché il futuro appartiene ai giovani del Bataclan, ai giovani che vogliono vivere in pace, amicizia e amore in un mondo senza barriere. E per questo vinceranno. 301 LA CHIESA È OCCIDENTE O NON È (3/05/2016) Cari amici e fratelli della Rete, noi mondialisti seguiamo sempre con grande attenzione i dibattiti che si svolgono all'interno del mondo intellettuale cristiano, non soltanto perché siamo i discendenti spirituali dei Templari, figli fedeli della Chiesa (anche se da essa traditi e venduti per un pugno di denari), ma soprattutto perché il soglio di Pietro, dopo settant'anni di sbornia marxista, sembra oggi l'unica cattedra morale capace di influire, nel bene e nel male, sull'opinione pubblica di tutto il pianeta. Per questo oggi vogliamo analizzare e discutere con voi intorno a due articoli. Nel primo, intitolato "Ecco perché anche oggi non possiamo non dirci cristiani" (http://www.lanuovabq.it/it/articoli-ecco-perche-anche-oggi-non-possiamo-non-dircicristiani-16026.htm), il famoso missionario, giornalista e scrittore Piero Gheddo - il quale pure, in tempi non sospetti, aveva criticato i no-global e proposto di boicottare le Olimpiadi di Pechino del 2008 per liberare la Birmania dall'oppressione - parte dalla celeberrima massima del filosofo ateo Benedetto Croce «Non possiamo non dirci cristiani» per affermare che l'Occidente avrebbe tradito il Vangelo producendo una civiltà "disumana", nella quale si trascurerebbero i "valori dello spirito", e che per questo motivo la Chiesa avrebbe il dovere di "dialogare" e "accogliere" le masse di immigrati islamici, che «ci vedono come ricchi, tecnicizzati, istruiti, militarmente forti. ma anche atei, aridi, senza ideali, senza regola morale, senza figli» e perciò «pensano di avere una missione storica: venire in Occidente per dare un’anima alla nostra civiltà, convertendoci all’islam»; solo in questo modo, secondo padre Gheddo, si potrebbe evitare uno "scontro di civiltà", dal momento che secondo lui «possiamo anche fermare l’Isis con le armi, ma sorgeranno altre migliaia di “martiri per l’islam”». Il secondo, invece, "Il tesoro che l’Africa sta buttando a mare" di Anna Bono (http://www.tempi.it/tesoro-africa-sta-buttando-a-mare#.VyjdtuR8NyB), si focalizza sulle negative conseguenze economiche e sociali che il massiccio esodo di un'intera generazione sta infliggendo ai Paesi africani. Orbene, quanto al secondo articolo, noi mondialisti siamo d’accordo sul fatto che l’emigrazione degli africani in Europa impoverisca l’Africa di capitale umano; anche noi mondialisti preferiremmo che essi rimanessero nei loro paesi e contribuissero a svilupparli. Ma siamo convinti che ciò non sarà possibile finché gli africani non si libereranno dell’Islam e della loro mentalità panteistica e tribale, due elementi in grado di soffocare qualunque germoglio di sviluppo; e riteniamo che per liberarsi da Islam e negritude gli africani abbiano necessità di essere ricolonizzati dall’Occidente (diciamo le cose fuori dai denti), di essere spogliati della loro sovranità in favore di un nuovo tipo di aggregazione statuale, non più nazionale ma imperiale: un Impero mondiale, in cui tutti gli esseri umani abbiano gli stessi diritti e doveri, in cui non ci siano maschi che schiavizzano le donne né musulmani che sterminano i non-musulmani. Cosa che richiederà necessariamente l’uso della forza da parte dell’Occidente, poiché non c’è nulla a cui gli uomini siano più affezionati del 302 loro “sacro egoismo” nazional-etno-tribal-religioso; e del resto, non sono state forse necessarie due bombe atomiche affinché il Giappone feudale e militaristico divenisse il gigante economico e democratico che è adesso? Per quanto concerne il primo articolo, anche noi mondialisti crediamo, come il buon padre Gheddo, che la civiltà europea, anzi occidentale, si fondi sul Cristianesimo; come potremmo non pensarlo? La nostra opposizione a Bergoglio si fonda proprio sul fatto ch’egli, da argentino (quindi culturalmente occidentale, ma politicamente antioccidentale), sta alimentando quella retorica antioccidentale che purtroppo già affligge miliardi di musulmani, africani, russi e latinoamericani, tutti intenti a pregustare il “tramonto dell’Occidente ateo e materialistico”, tutti pronti a dargli il calcio dell’asino come al vecchio leone della favola… Non si rende conto, Bergoglio, che il genere umano non diventerà più cristiano o più “evangelico” se non diventerà anche e prima più “occidentale”, perché la civiltà “atea e materialistica” che lui, Putin, Kirill, Fidel Castro e al-Baghdadi tanto disprezzano è il prodotto della Bibbia, secondo la quale il mondo non è “pieno di déi” come pensavano gli antichi greci, ma è creazione di un Dio-Logos che ha posto tutto sotto i piedi dell’uomo creato a Sua immagine. È dalla desacralizzazione del mondo prodotta dalla Bibbia che sono nate le bonifiche delle paludi compiute dai monaci medievali, le invenzioni che hanno reso potenti l’Europa e poi l’America, le vaccinazioni che hanno salvato miliardi di vite, le infrastrutture che hanno fatto uscire l’Occidente dalla “trappola malthusiana”, dall’alternarsi ciclico di aumenti e crolli demografici legato alla dipendenza da un’economia di pura sussistenza e alla vulnerabilità alle epidemie. Se Bergoglio volesse davvero salvare il Terzo Mondo dalla miseria, dovrebbe invocare la sua ricolonizzazione da parte dell’Occidente, per imporre l’alfabetizzazione di massa, l’istruzione delle donne, la loro parità giuridica con gli uomini, la fine delle discriminazioni religiose, e quindi dovrebbe chiedere all’Occidente di usare la forza per mettere al bando l’Islam; l’Islam che sottomette le donne; l’Islam che perseguita tutti i non-islamici, a cominciare dai cristiani che Bergoglio dovrebbe proteggere; l’Islam che uccide i medici inviati a vaccinare le popolazioni; l’Islam che uccide i professori di geografia perché insegnano che la Terra non è piatta come sta scritto nel Corano, vedi quanto recentemente avvenuto in Nigeria e in Bangladesh. Se Bergoglio avesse davvero a cuore la dignità di tutti gli esseri umani in quanto figli di Dio, invocherebbe una radicale occidentalizzazione del mondo, invece di allearsi con tutti i peggiori tiranni e dittatori laici e teocratici, da Putin a Castro a Evo Morales – che è salito al potere con i voti dei coltivatori di coca boliviani, produttori di quella cocaina che distrugge le vite di milioni di persone -; perché solo un mondo occidentale sarà un mondo cristiano, e quindi un mondo umano. La verità è che al fondo di entrambi gli articoli che qui abbiamo esaminato ci sembra esservi l’idea falsa, ingenua e pericolosa che Cristianesimo e Islam possano “dialogare” e accordarsi per formare un Fronte Comune dei Monoteismi contro la 303 civiltà occidentale da entrambi percepita come atea, materialistica, lontana dal Sacro e per questo condannata ad estinguersi in uno stillicidio di aborti, eutanasie, divorzi e gay prides. 1) Un’idea falsa, perché le basi teologiche, filosofiche e antropologiche dell’Islam sono diametralmente opposte alle basi teologiche, filosofiche e antropologiche del Cristianesimo: l’Islam crede in un dio irrazionale e arbitrario che si impone con la violenza, il Cristianesimo crede in un Dio-Logos che governa il mondo con ragione e sapienza; l’Islam rifiuta la filosofia aristotelica e l’uso della ragione per conoscere le leggi del mondo e migliorarlo, mentre il Cristianesimo ha accettato sin dall’inizio l’alleanza di Fides e Ratio e ha sempre incoraggiato lo sviluppo scientifico e tecnologico; l’Islam crede che i musulmani siano “intrinsecamente” superiori ai non-musulmani, e gli uomini alle donne, e che tale superiorità “intrinseca” debba esser sancita con ogni mezzo, compreso l’uso della violenza terrorista e stragista, mentre il Cristianesimo proclama che in Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, non c’è «né Giudeo né Greco, né maschio né femmina, né schiavo né libero, perché tutti sono Uno». 2) Un’idea anche ingenua, perché fondata sul disconoscimento di tutte le differenze abissali tra Islam e Cristianesimo che abbiamo appena elencato e sulla pretesa di amalgamarle in una mitica “religione in astratto” che sa molto, troppo di new age. Vi sembrerà strano che noi mondialisti si accusi Bergoglio di essere new age; ma come si potrebbe definire altrimenti il suo parlare sempre della “religione” in generale e in astratto senza mai esplicitare di quale religione stia parlando, il suo condannare in generale e in astratto “chi uccide e compie stragi in nome di Dio” senza mai esplicitare in nome di quale dio si uccida e si compiano stragi? In questa jam-faith, in questa fede-marmellata in cui Gesù e Allah pari sono, anche i martiri cristiani, che accettavano e accettano di morire per testimoniare la loro fede nel Cristo Salvatore del mondo, finiscono per esser messi sullo stesso piano dei “martiri” della jihad, che testimoniano la loro fede in un dio discriminatore fra gli uomini e nel suo profeta sanguinario facendosi esplodere in mezzo a folle di non-musulmani; ma è questo l’esito inevitabile della deriva relativistica nella quale sta affondando la Chiesa bergogliana (ahi, quanto diversa da quella di Benedetto XVI e del discorso di Ratisbona!) in nome del “siamo tutti figli di Dio” o magari di un “siamo tutti figli di Abramo” da cui, non a caso, i “perfidi” Ebrei - gli "agenti della modernità", come li chiamava sprezzantemente il nazista Heidegger - sono per principio esclusi. 3) Un’idea dunque pericolosa, perché vuole indurre l’Occidente ad abbassare la guardia di fronte alla minaccia islamica, ad aprire braccia e frontiere a tutti i musulmani che vogliono venire in Europa e nel Nordamerica con la riserva mentale di sentirsi superiori agli occidentali, e di avere pertanto il diritto, sancito da Allah e Maometto, di godere del welfare occidentale senza fare grandi sforzi per cercarsi un lavoro, di violentare le donne occidentali nelle pubbliche strade come hanno fatto i cosiddetti “profughi” a Colonia e in altre città tedesche dopo essere stati accolti con tutti gli onori, di pregare in mezzo alle piazze occidentali bloccando il traffico, di farsi costruire le moschee a spese dei contribuenti occidentali, e infine di ripagare la generosità degli occidentali organizzando attentati allo scopo di seminare il terrore 304 nei loro cuori e di costringerli ad accettare l’islamizzazione dell’Occidente e la dhimmitudine, la sottomissione all’Islam dei non-islamici, dei loro corpi e dei loro beni in cambio della “protezione” del Califfo di turno, in modo analogo alla “protezione” che la Mafia promette a chi si sottomette ad essa pagando il “pizzo”. La verità, cari amici e fratelli della Rete, è che l’Occidente è il figlio legittimo e vero della Torah e del Vangelo, dell’Ebraismo e del Cristianesimo; e non è un caso che jihadisti, ayatollah e califfi vari, al di là dei salamelecchi con cui tentano di ingannare Bergoglio e i bergoglisti che vogliono lasciarsi ingannare, proclamino continuamente di voler sterminare uno dopo l’altro ebrei e cristiani: “prima il sabato, poi la domenica” sogliono dire i musulmani, a indicare la loro pervicace volontà di eliminare dal mondo prima gli Ebrei (il popolo del sabato) e poi i Cristiani (il popolo della domenica). Perciò, se la Chiesa vuole conservare la libertà di annunciare il Vangelo di cui ha goduto in Occidente da Costantino fino a oggi, essa non può ricercare innaturali alleanze con l’Islam o con i tiranni russo-cinesi o con i tribalismi terzomondisti in nome della difesa di un “Sacro” bon à tout faire, ma deve farsi annunciatrice e propugnatrice di una espansione planetaria delle conquiste di civiltà che hanno fatto grande l’Occidente, della creazione di uno Stato imperiale mondiale che assicuri a ogni individuo umano il rispetto dei suoi immortali e inalienabili diritti alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Uno Stato mondiale che sia tollerante verso tutti, tranne che verso gli intolleranti. Continua a seguirci sul nostro sito Internet www.mondialisti.net sulla nostra pagina Facebook “Partito.Mondialista” e sul nostro canale Youtube “mondialistparty” ADVENIT NOVUS ORDO SECLORUM ANNUIT COEPTIS