86-87 Islam Guidi_Layout 1 10/12/13 16:11 Pagina 86 ISLAM La difficile arte di riderecon Allah Per l’Occidente di oggi “umorismo islamico” pare quasi un ossimoro, ma hai mai versato lacrime per un kebab? di Diletta Guidi 86 L e polemiche – e le violenze – provocate tempo fa dalle pubblicazioni delle caricature del Profeta Maometto sul danese Jyllands Posten prima e sul francese Charlie Hebdo poi, hanno rafforzato l’immagine della comunità musulmana come una popolazione che non ride. Emerge un luogo comune secondo cui l’umorismo sarebbe vietato nell’Islam. Eppure, l’Islam ride, seppure a modo suo. Non esiste una sola comunità musulmana. Esiste un solo Dio, Allah, e un unico testo di riferimento, il Corano, ma le differenze sono numerose tra paesi, lingue, generazioni. Bisognerebbe tenere conto di una sorta di Islam al plurale, condizione che si trova tra i musulmani della diaspora occidentale. Soprattutto nei Paesi francofoni e di lingua inglese è in atto una fusione delle culture che fa emergere gli elementi comuni alla base dell’umorismo islamico. La blasfemia, per esempio, viene rigorosamente evitata. Lo stesso avviene anche in molte altre religioni, con la rara eccezione dell’umorismo ebraico, capace di ridere di Dio, della Torah e finanche dell’Olocausto. Di cosa ridono allora i musulmani? Azhar Usman è un comico musulmano. Americano, figlio di immigrati pakistani, è stato tra i primi a chiamare la sua arte “islamic humor” e spiegare che serve per parlare della “quotidianità musulmana”. Avvocato, si converte alla comicità nel 2001, subito dopo gli attentati dell’11 settembre, e fonda il gruppo Allah made me funny (Allah mi ha reso divertente) che riscuote un grande successo. Grazie alla rete, gli spettacoli di Usman influenzano gli artisti di vari Paesi anglofoni: Canada e Inghilterra fra tutti. È oggi l’inglese a essere il principale mezzo di espressione del nuovo islamic humour e abbondano gli spettacoli di matrice anglo-musulmana, da Little Mosque on the Prairie (La piccola moschea nella prateria), sitcom canadese parodia della famosissima Piccola casa nella prateria in versione islamica, al documentario comico The Muslims are Coming (Arrivano i Musulmani) negli Usa o ancora il Couscous Comedy Show di Montréal (in francese), per citare solo qualcuno dei più importanti. La versione femminile di Azhar Usman è la britannica Shazia Mirza, di origine pakistana anche lei. Mentre Usman si presenta al pubblico con una folta barba, lei durante gli spettacoli porta il hijab – il velo che le pie musulmane usano per coprirsi i capelli. Ma in entrambi i casi la religione non è una semplice finzione di scena. Gli umoristi non si stanno mascherando, l’Islam è rivendicato come parte integrante dell’identità. Che ne è allora del contenuto degli spettacoli? Di cosa fa ridere l’umorismo musulmano? Mirza ha raccontato al San Francisco Chronicle di un suo spettacolo del 2010 a Lahore, città del Pakistan: “Mi hanno detto che potevo parlare di qualsiasi cosa – religione, politica, droga, che potevo anche usare male parole: solo, non dovevo assolutamente menzionare il sesso”. Prevale una sorta di autocensura che esclude alcune tematiche tabù : Dio, i profeti, le sacre scritture (il Corano e gli Hadith) come anche la “volgarità”, intesa soprattutto come il sesso. Tutto il resto è halal (lecito). “Mia madre deve poter assistere allo spettacolo”, spiega un umorista francese di origine marocchina. Benché il messaggio rimanga ampiamente conservatore, viene sfruttata una larga gamma di temi. Terrorismo, fondamentalismo, fanatismo, sottomissione femminile, sono i temi degli umoristi musulmani “d’Occidente” insieme east global geopolitics 86-87 Islam Guidi_Layout 1 10/12/13 16:11 Pagina 87 alle polemiche sul velo, i dibattiti sulla costruzione delle moschee, la presenza dei minareti nelle città europee. Messi in scena e derisi, gli stereotipi e i luoghi comuni sull’Islam vengono rovesciati e i comici si rapportano non solo alla loro comunità di appartenenza, ma anche al mondo occidentale circostante. È vero che alcune autorità di diritto islamico vietano la comicità, anche se nessun versetto coranico la proibisce in modo esplicito. Come spiega l’islamologo Pierre Lory, la capacità di sovversione dello humor spaventa, generando divieti e censure. Rimane comunque difficile spiegare perché un religioso saudita abbia recentemente condannato Topolino, il divertente personaggio della Disney, creatura a suo dire malefica. Ma ogni fede possiede i suoi bigotti. Il videoclip No woman, no drive, del comico/attivista saudita/americano Hisham Fageeh – una parodia del celebre motivo di Bob Marley usata per denunciare la legge saudita che vieta alle donne di guidare – ha fatto il giro del mondo senza provocare fatwa. Altri sono meno fortunati, come il comico televisivo egiziano (e cardiochirurgo) Bassem Youssef, finito nel mirino dei Fratelli musulmani. Tra mobbing e prigione, la satira politica si paga a volte con la vita. Come per il caricaturista Kais al-Hilali ucciso nel 2011 dopo aver criticato il leader libico Gheddafi o l’umorista somalo Abdi Jeylani Marshale, famoso per i suoi sketch radiofonici sulle milizie armate di al-Shabaab, morto vittima di un attentato a Mogadiscio. Malgrado le censure e le autocensure, gli umoristi islamici continuano a lavorare. Risparmiando la fede e i suoi rappresentanti, si concentrano piuttosto sui fedeli stessi. È il musulmano comune a essere preso in giro. Dalle abluzioni alle preghiere, dalla castità prematrimoniale al pellegrinaggio alla Mecca, fino al cellulare che squilla durante una predica alla moschea, di questo si ride. numero 51 gennaio/febbraio 2014 TRISTRAM KENTON/LEBRECHT MUSIC/LEBRECHT MUSIC & ARTS/CONTRASTO ISLAM Remy Munasifi, conosciuto con il nome GoRemy, comico arabo nato a Washington da padre iracheno e madre libanese, propone ai suoi fan una canzone sul digiuno nel mese di Ramadan, pubblicata sul suo canale YouTube proprio alla vigilia dell’osservanza che per i musulmani è il quarto dei cinque pilastri della fede. Si chiama Teardrops on my kabob (Lacrime sul mio kabob) e diverte non solo quelli che si riconoscono nella difficoltà del digiuno, ma anche i non musulmani che cominciano a conoscere gli usi dell’Islam. Sono due le scuole di pensiero sul senso dell’umorismo: la prima è quella universalista, per la quale ridiamo tutti alle stesse battute. La seconda sostiene che ciascun gruppo (paese, regione, appartenenza linguistica, religiosa, etnica) ride a modo suo. Rideremmo tutti dunque, ma non necessariamente delle stesse cose, né allo stesso mood. \ Un momento dello spettacolo Allah Made Me Funny. Diletta Guidi laureata all’École Pratique des Hautes Études di Parigi, è dottoranda a Friburgo, con L’Islam nei musei. Socio-storia delle politiche culturali francesi. 87