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ISLAM
La difficile arte
di riderecon Allah
Per l’Occidente di oggi “umorismo islamico”
pare quasi un ossimoro, ma hai mai versato
lacrime per un kebab?
di Diletta Guidi
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L
e polemiche – e le violenze – provocate
tempo fa dalle pubblicazioni delle caricature del Profeta Maometto sul danese
Jyllands Posten prima e sul francese Charlie
Hebdo poi, hanno rafforzato l’immagine della
comunità musulmana come una popolazione
che non ride. Emerge un luogo comune secondo
cui l’umorismo sarebbe vietato nell’Islam. Eppure, l’Islam ride, seppure a modo suo.
Non esiste una sola comunità musulmana.
Esiste un solo Dio, Allah, e un unico testo di
riferimento, il Corano, ma le differenze sono
numerose tra paesi, lingue, generazioni. Bisognerebbe tenere conto di una sorta di Islam al
plurale, condizione che si trova tra i musulmani della diaspora occidentale.
Soprattutto nei Paesi francofoni e di lingua
inglese è in atto una fusione delle culture che
fa emergere gli elementi comuni alla base dell’umorismo islamico. La blasfemia, per esempio, viene rigorosamente evitata. Lo stesso avviene anche in molte altre religioni, con la rara
eccezione dell’umorismo ebraico, capace di ridere di Dio, della Torah e finanche dell’Olocausto. Di cosa ridono allora i musulmani?
Azhar Usman è un comico musulmano.
Americano, figlio di immigrati pakistani, è
stato tra i primi a chiamare la sua arte “islamic
humor” e spiegare che serve per parlare della
“quotidianità musulmana”. Avvocato, si converte alla comicità nel 2001, subito dopo gli
attentati dell’11 settembre, e fonda il gruppo
Allah made me funny (Allah mi ha reso divertente) che riscuote un grande successo. Grazie
alla rete, gli spettacoli di Usman influenzano
gli artisti di vari Paesi anglofoni: Canada e Inghilterra fra tutti.
È oggi l’inglese a essere il principale mezzo
di espressione del nuovo islamic humour e abbondano gli spettacoli di matrice anglo-musulmana, da Little Mosque on the Prairie (La piccola moschea nella prateria), sitcom canadese
parodia della famosissima Piccola casa nella
prateria in versione islamica, al documentario
comico The Muslims are Coming (Arrivano i
Musulmani) negli Usa o ancora il Couscous
Comedy Show di Montréal (in francese), per
citare solo qualcuno dei più importanti.
La versione femminile di Azhar Usman è
la britannica Shazia Mirza, di origine pakistana anche lei. Mentre Usman si presenta al
pubblico con una folta barba, lei durante gli
spettacoli porta il hijab – il velo che le pie musulmane usano per coprirsi i capelli. Ma in entrambi i casi la religione non è una semplice
finzione di scena. Gli umoristi non si stanno
mascherando, l’Islam è rivendicato come parte
integrante dell’identità. Che ne è allora del
contenuto degli spettacoli? Di cosa fa ridere
l’umorismo musulmano?
Mirza ha raccontato al San Francisco Chronicle di un suo spettacolo del 2010 a Lahore,
città del Pakistan: “Mi hanno detto che potevo
parlare di qualsiasi cosa – religione, politica,
droga, che potevo anche usare male parole: solo,
non dovevo assolutamente menzionare il sesso”.
Prevale una sorta di autocensura che esclude
alcune tematiche tabù : Dio, i profeti, le sacre
scritture (il Corano e gli Hadith) come anche
la “volgarità”, intesa soprattutto come il sesso.
Tutto il resto è halal (lecito). “Mia madre deve
poter assistere allo spettacolo”, spiega un umorista francese di origine marocchina.
Benché il messaggio rimanga ampiamente
conservatore, viene sfruttata una larga gamma
di temi. Terrorismo, fondamentalismo, fanatismo, sottomissione femminile, sono i temi degli
umoristi musulmani “d’Occidente” insieme
east global geopolitics
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alle polemiche sul velo, i dibattiti sulla costruzione delle moschee, la presenza dei minareti
nelle città europee. Messi in scena e derisi, gli
stereotipi e i luoghi comuni sull’Islam vengono
rovesciati e i comici si rapportano non solo
alla loro comunità di appartenenza, ma anche
al mondo occidentale circostante.
È vero che alcune autorità di diritto islamico
vietano la comicità, anche se nessun versetto
coranico la proibisce in modo esplicito. Come
spiega l’islamologo Pierre Lory, la capacità di
sovversione dello humor spaventa, generando
divieti e censure. Rimane comunque difficile
spiegare perché un religioso saudita abbia recentemente condannato Topolino, il divertente
personaggio della Disney, creatura a suo dire
malefica. Ma ogni fede possiede i suoi bigotti.
Il videoclip No woman, no drive, del comico/attivista saudita/americano Hisham Fageeh – una parodia del celebre motivo di Bob
Marley usata per denunciare la legge saudita
che vieta alle donne di guidare – ha fatto il
giro del mondo senza provocare fatwa.
Altri sono meno fortunati, come il comico
televisivo egiziano (e cardiochirurgo) Bassem
Youssef, finito nel mirino dei Fratelli musulmani. Tra mobbing e prigione, la satira politica
si paga a volte con la vita. Come per il caricaturista Kais al-Hilali ucciso nel 2011 dopo aver
criticato il leader libico Gheddafi o l’umorista
somalo Abdi Jeylani Marshale, famoso per i
suoi sketch radiofonici sulle milizie armate di
al-Shabaab, morto vittima di un attentato a
Mogadiscio.
Malgrado le censure e le autocensure, gli
umoristi islamici continuano a lavorare. Risparmiando la fede e i suoi rappresentanti, si
concentrano piuttosto sui fedeli stessi. È il musulmano comune a essere preso in giro. Dalle
abluzioni alle preghiere, dalla castità prematrimoniale al pellegrinaggio alla Mecca, fino
al cellulare che squilla durante una predica
alla moschea, di questo si ride.
numero 51 gennaio/febbraio 2014
TRISTRAM KENTON/LEBRECHT MUSIC/LEBRECHT MUSIC & ARTS/CONTRASTO
ISLAM
Remy Munasifi, conosciuto con il nome GoRemy, comico arabo nato a Washington da padre iracheno e madre libanese, propone ai suoi
fan una canzone sul digiuno nel mese di Ramadan, pubblicata sul suo canale YouTube proprio alla vigilia dell’osservanza che per i musulmani è il quarto dei cinque pilastri della
fede. Si chiama Teardrops on my kabob (Lacrime sul mio kabob) e diverte non solo quelli
che si riconoscono nella difficoltà del digiuno,
ma anche i non musulmani che cominciano a
conoscere gli usi dell’Islam.
Sono due le scuole di pensiero sul senso
dell’umorismo: la prima è quella universalista,
per la quale ridiamo tutti alle stesse battute. La
seconda sostiene che ciascun gruppo (paese,
regione, appartenenza linguistica, religiosa, etnica) ride a modo suo. Rideremmo tutti dunque, ma non necessariamente delle stesse
cose, né allo stesso mood.
\ Un momento dello
spettacolo Allah Made
Me Funny.
Diletta Guidi laureata all’École Pratique des Hautes
Études di Parigi, è dottoranda a Friburgo, con L’Islam
nei musei. Socio-storia delle politiche culturali francesi.
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