Pavia e provincia: Pavese, Oltrepò Pavese, Lomellina

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Pagina inziale » Turismo » Articolo n. 247 del 21 ottobre 2002
Tra il 550 e il 225 a.C. - III parte
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Gli anni intanto passavano veloci. Roma, cacciato Tarquinio il Superbo, si era trasformata in repubblica
consolare ed aveva iniziato la sua espansione combattendo i Volsci, i Sanniti e gli Etruschi.
Gli Etruschi, serrati da una parte dai Romani e dall'altra dai Celti si videro costretti a limitare sempre più i loro
commerci e ad asserragliarsi entro città fortificate, determinando così la loro decadenza. Vejo - una delle più
forti basi etrusche - capitolò e le altre città, per evitare l'occupazione e la distruzione, chiesero di diventare
alleate di Roma.
Quando la notizia della resa degli Etruschi raggiunse i Celti, essi pensarono di poter conquistare facilmente
le fertili terre d'Etruria.
L'attacco partì nel 391, dai Senoni delle coste adriatiche e dai Levi dell'Insubria, e non appena ne giunse voce ai Romani, questi inviarono i loro
ambasciatori ai nuovi alleati, illudendosi di far rientrare i Celti nei loro territori... ma arrivavano sempre nuove tribù ad ingrossare la schiera di
combattenti...
Probabilmente anche Tech-im inviò il suo contingente di armati, ma sopratutto moltiplicò le sue fucine per produrre spade, arte che diverrà una
sua caratteristica, confermata in seguito dai Romani.
Anche la base in sé stessa si era consolidata perché gli Etruschi, durante la loro permanenza, avevano già iniziato un'opera di bonifica in
particolare verso la attuale zona di San Pietro in Verzolo, ove le naturali ondulazioni potevano dar luogo a buone campagne coltivabili, ed in
Lomellina dove Levi trovarono terre molto fertili.
Dunque per i Romani fu difficile trattare coi Celti (o Galli che dir si voglia) e non avendo essi un'unica guida ma tanti capi delle diverse tribù con...
Inutili le trattative e i Galli dichiararono nemici anche tutti i Romani, ovunque essi fossero.
Gli ambasciatori comunque, li avevano tanto impressionati che, fatto piuttosto raro nella loro storia, stimarono opportuno riunire tutti i Re ed i Capi
Tribù ed eleggere un temporaneo "Dittatore" (o Bren, dal celtico Bre che significa testa di cervo, testa coronata, quindi reale) che li guidasse
contro un nemico che conoscevano molto poco.
Il 18 luglio del 390 a.C. fu una data nefasta per i Romani di Furio Camillo, poiché i Galli, comandati da Brenno, privi di strategie belliche ma
animati da selvaggia esaltazione per il combattimento, inflissero loro una dura sconfitta aprendosi le vie per Roma.
Ivi giunti la città fu occupata e saccheggiata, solo il Campidoglio resistette e - secondo la leggenda - fu per merito delle celeberrime oche che,
starnazzando, avvisarono i difensori dell'arrivo dei nemici. Si legge inoltre che Bren, davanti al Senato che non voleva dargli l'oro che reclamava,
pronunciò la storica frase: "Vae victis!", cioè Guai ai vinti.
Sette mesi di saccheggio nella Città Eterna ed alla fine i Romani richiamarono dall'esilio Furio Camillo che, dimenticando l'onta subita e
riorganizzato l'esercito, affrontò i sconfisse i suoi nemici in modo decisivo.
In realtà si trovò a combattere contro tribù assetate di bottino, non contro un esercito compatto: divisi vennero inseguiti finché non
abbandonarono, ticinesi compresi, tutta l'Etruria.
A proposito di questi scontri si dice che Galli emettessero grida agghiaccianti, che si ubriacassero di birra e combattessero nudi, con scudi di
vimini e una lancia dalla punta di ferro. Avevano elmi con corna per infilzare il nemico nel corpo e al pettorale dei loro cavalli appendevano le
teste dei nemici uccisi che venivano poi disseccate ed inchiodate sulla porta di casa o comunque conservate con l'intento di impossessarsi della
forza del nemico.
Le mogli li seguivano in battaglia urlando insulti contro i nemici e conferendo ai loro uomini una forza invincibile...
Tra gli studiosi della storia di Pavia vi è poi anche chi - a proposito della partecipazione pavese al saccheggio di Roma - narra che per la
resistenza del Campidoglio il risentimento dei soldati verso le oche fu tale da farli smaniare di volerne distruggere la razza.
I cittadini diedero loro modo di sfogarsi organizzando il gioco di "tirare il collo alle oche" appese ad una fune, dopo aver superato ostacoli vari...
Gioco che, in tempi alterni e con varie modifiche, sopravvisse fino ai giorni nostri, tanto da diventare una festa popolare da svolgersi nelle acque
del Ticino, ponendo in gara i rappresentanti dei vari rioni cittadini.
(...continua...)
Informazioni
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La Redazione
(Tratto da "La storia di Pavia raccontata da Virginio Inzaghi" - Libro I, 1000 a.C.-567 d.C.: periodo celtico romano, gotico e bizantino) di
Virginio Inzaghi
Pavia, 21/10/2002 (247)
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