Contributi dall’arte moderna e contemporanea
Attorno alla croce e al crocefisso
Marcello Pedretti
“Guardare un quadro non significa capirlo, ma esserne interrogati, venire trascinati
dentro fino ad orizzonti che all’inizio non si potevano neanche immaginare”
Ho scelto queste parole di un artista, William Congdom, di cui potremo veder più avanti alcune
opere, per iniziare questa relazione che affronta il tema dell’identità e delle differenze a partire
dalle rappresentazioni della Croce e del Crocefisso nell’arte moderna e contemporanea.
In questa epoca di incontro e scontro tra culture diverse, tra diverse religioni, tra visioni religiose e
atee della vita, ove la Croce non rappresenta più una appartenenza storico-culturale in cui tutti
possano riconoscersi, nessuno può però sottrarsi all’incontro con l’immagine del Crocefisso.
In particolare l’arte e la psicologia, ognuna in un proprio registro, ne sono interrogate.
Il tema della croce e della crocefissione negli ultimi due secoli esce dalle chiese e diviene luogo ove
gli artisti si confrontano, con la sola mediazione dell’immagine, con il mistero della vita e della
morte, della violenza dell’uomo sull’uomo.
Uno dei temi centrali che si collega da sempre al tema della crocefissione è quello della luce.
Presenterò tre opere che colgono aspetti diversi di questo tema: Cristo giallo di Gauguin (1848 –
1903), Golgotha di Munch (1863 – 1944), Venerdì Santo di Filippo Rossi,artista contemporaneo
tuttora vivente.
Il quadro Cristo giallo(1889) di Gauguin è dominato dal colore, la luce promana dai colori stessi,
colori primari con una prevalenza del giallo, è una luce interiore. La scena è una scena meditativa.
Le donne rappresentate attorno alla croce sono gente del popolo. Nell’insieme il quadro
rappresenta l’irrompere della luce nel mondo, una luce interiore che illumina ogni cosa: il
crocefisso, la natura, le persone in preghiera. Riecheggiano le parole del Prologo di San Giovanni:
“Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo
di lui. Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce”. (Gv 1, 7-8)
Il quadro di Munch (1900) è intensamente tragico e segnato dalle tinte scure. È rappresentato il
momento della morte di Gesù al termine della sua passione. e Munch ha posto la sua figura al
posto di quella di Gesù.
Smarrimento, incredulità, indifferenza, irrisione, dolore, sono il monte su cui si innalza la croce, un
monte che si confonde con l’umanità stessa, come possiamo vedere osservando i visi e le figure in
primo piano che si fanno progressivamente sempre più indistinte. È come se in questo quadro il
pittore condensasse tutta la sua esperienza della vita e della morte. Possiamo notare la madre di
Gesù, completamente assorbita dalla intensità del dolore, in cui echeggia l’assenza al mondo della
madre del pittore travolta dal dolore di innumerevoli lutti familiari, che si appoggia alla figura di
Giovanni, in atteggiamento meditativo, luogo di memorie difficili da elaborare. Gli occhi spalancati
del volto in primo piano, al centro, ci guardano: saremo capaci di commozione o volgeremo
altrove lo sguardo?
Siamo qui in presenza di una luce che non viene da un altrove, sia esso trascendente o immanente
alla scena, ma che emerge all’interno della sofferenza e della morte stessa: la vita è sofferenza.
Ho scelto come terzo autore per illustrare il tema della luce un artista contemporaneo, un artista
che fa parte del movimento per un arte cristiana. Non ho scelto tuttavia un’opera fatta per essere
esposta in una chiesa, ma questa semplice tavola titolata Venerdì Santo (2008).
Dice Filippo Rossi parlando del suo lavoro: “*Voglio la croce+ al contempo ben visibile ma non
invasiva, riconoscibile ma non subito; quello che cerco nei miei lavori è una richiesta di sosta
davanti all’immagine, così che l’opera, all’inizio affascinante per colori e composizione, acquisti
anche ‘senso’ ad una più profonda lettura”.
In essa il tema della luce è rappresentato da una sottile lamina d’oro che integra e contrasta la
matericità dell’opera. La passione con i suoi rossi e i suoi neri, intessuta di sofferenza e oscurità,
sprofondata nel mistero, è attraversata e illuminata dalla lamina d’oro che rimanda alla
Misericordia di Dio. Il Cristo glorioso e il Cristo sofferente sono qui rappresentati assieme.
A mio giudizio, al di là delle intenzioni dell’autore, quest’opera dà concretezza plastica alle parole
di Gesù: “Non sono venuto a unire, ma a dividere”. L’evento della passione divide
irrimediabilmente, non i “cristiani” dai “non cristiani”, ma coloro che riconoscono nella passione
dell’uomo e della natura stessa un valore universale e salvifico e coloro che rifiutando ciò vedono
nella sofferenza e nella morte semplicemente il Male. Siamo qui a mio giudizio di fronte a una luce
che non si contrappone al peccato, ma sostiene la vita illuminando l’oscurità.
L’altro tema che appare frequentemente nelle opere degli artisti del Novecento, anche in
relazione ai tragici avvenimenti della prima metà del secolo, è quello di una umanità sofferente e
straziata.
Chagall, pur essendo ebreo, ci dona alcune rappresentazioni della crocefissione di ineguagliata
bellezza e profondità. Egli ritiene la Bibbia “la principale fonte di poesia di tutti i tempi” e dice “Per
me, come per tutti i pittori dell'Occidente, essa è stata l'alfabeto colorato in cui ho intinto i miei
pennelli”.
Porto qui l’attenzione in particolare a “La crocefissione bianca” (1938).
In “Crocefissione bianca” centrale è l’identificazione del popolo ebreo con la figura di Gesù, il quale
è avvolto nello scialle della preghiera ebraico. Le case dei villaggi bruciano, gli eserciti incombono,
anche la sinagoga è incendiata, il violino giace abbandonato per terra, ogni canto è cessato. Un
fumo di distruzione si innalza verso il cielo. Come al di fuori dal tempo continua ad ardere la luce
del candelabro sacro, la menorah, mentre una luce bianca avvolge il crocefisso creando uno spazio
di silenzio e di quiete, in cui ogni dolore si infrange. È la fede di un popolo che pur nella disgrazia,
posto di fronte alla possibile distruzione, spera nel Signore.
Il tema di una sofferenza umana, che si fa sofferenza che investe tutto il creato, è presente anche
in questa Crocefissione di Renato Guttuso del 1940.
Siamo in una dimensione di assoluto in cui il dolore e la sofferenza sono messi a nudo, non solo nel
nudo dei corpi, ma nel duro contrasto delle forme e dei colori. È la sofferenza che dà luce alla
scena, al centro il corpo nudo della Maddalena che tenta di coprire con il sudario il corpo di Gesù.
Dice Guttuso in una intervista: “La nudità dei personaggi .. Era così perché non riuscivo a vederli, a
fissarli in un tempo… Li dipinsi nudi per sottrarli a una collocazione temporale: questa, mi veniva da
dire, è una tragedia di oggi”.
Passando a un altro artista, in Francis Bacon il tema della morte e della vita si intreccia con quello
dell’identità, al centro è l’umanità come carne straziata.
Presento qui l’opera Three studies for a Crucifixion (1962). Dice Bacon della Crocefissione: “Questa
scena è diventata una magnifica armatura [...] su cui appendere sentimenti e sensazioni le più
diverse [...] non ho trovato un soggetto altrettanto capace di ricoprire certe aree del sentimento e
del comportamento umano. *…+ Le immagini di mattatoi e di carne macellata mi hanno sempre
molto colpito. Mi sembrano direttamente legate alla Crocefissione. *…+ Per chi è religioso, cristiano,
la Crocefissione avrà, credo, un significato completamente diverso; ma per un non-credente è solo
un comportamento umano, un modo di essere nei riguardi di un'altra creatura”.
La scena del pannello centrale di Three studies for a Crucifixion rappresenta un uomo su un letto,
crivellato di colpi di pistola. La scena di sinistra gioca sul tema del doppio: alle figure umane son
collegate carcasse di animali squartati, la scena di destra rappresenta una carcassa di animale
appesa, come in un macello, all’interno della quale si differenzia a fatica una testa. La critica ha
fatto notare a questo proposito come il lavoro sul tema della crocefissione abbia permesso a
Bacon una migliore definizione di sé stesso come persona e abbia portato alla successiva
elaborazione di autoritratti sempre più realistici, sganciati dalla precedente simbiosi con elementi
animali. Dirà ancora Bacon: “*Dipingendo una crocefissione] si lavora sui propri sentimenti e le
proprie sensazioni. Si toccano sentimenti molto intimi”.
Il tema della carne raggiunge uno dei suoi punti estremi in Hermann Nitsch (1938), uno dei
massimi esponenti dell’Azionismo viennese, dissacratorio dei simboli religiosi e nemico a tutto ciò
che ha che fare con il limite e la regola. Le persone che assistono alle sue performance sono poste
direttamente a contatto, quasi senza intermediazione con il tema della carne, del sangue, della
violenza. È un arte che si esprime per eccessi avvicinando sempre di più, fino a confonderle, la
rappresentazione con la realtà.
Alla concretezza del sangue si contrappongono idealmente i crocefissi di Salvator Dalì (1904 –
1989).Ho scelto di presentare qui il Crocefisso del 1954.
Esso condivide con il Cristo di San Giovanni della Croce (1951) e con la crocefissione Corpus
hypercubus, l’assenza in Cristo dei segni della passione, i chiodi nelle mani e nei piedi, la ferita nel
costato, il sangue che cola. Il corpo di Cristo non è un corpo inchiodato, ma un corpo esposto.
Siamo in presenza di un corpo che si offre per essere raccolto da un caldo abbraccio, da uno
sguardo, un corpo senza una sua terra. La sofferenza apparentemente negata, trova tutta la sua
pienezza in questa ricerca. Egli dirà: «Il Cielo, ecco quello che la mia anima ebbra d’Assoluto ha
cercato durante tutta la mia vita e che a certuno è potuta sembrare confusa e, per dirla tutta,
profumata dallo zolfo del demonio (…) Il Cielo non si trova né in alto né in basso, né a destra né a
sinistra, il Cielo si trova esattamente al centro dell'uomo che ha Fede...Ora io non ho ancora la
Fede e temo di morire senza Cielo".
Il tema della carne ritorna, con caratteristiche originali, in William Congdom (1912-1998), artista
americano trasferitosi successivamente in Italia. A chi dice che le sue opere sono astratte
risponde: “È l' opposto dell' astratto, è l'oggetto totale».
Tutta la sua opera e la sua vicenda umana, compresa la sua conversione al cattolicesimo, ruota
attorno alla crocefissione. Egli ci dice: “ Qualunque sia la situazione nella quale l’artista si trova, il
vero artista non può che cercare di scoprire il suo destino, la sua propria origine (...). E l’opera che
nasce da tale ricerca è opera d’arte religiosa. (...) Non per il soggetto o per il fine, ma religiosa nel
suo essere. (...) L’arte è espressione sensibile di un autentico atto di vita, atto tanto autentico da
generare vita ”.
Ho scelto di presentare tre crocefissi, opere intensamente materiche: Crocefisso 2, 1960;
Crocefisso 34, 1966; Crocefisso 90, post 1974.
Nella prima opera centrale è il tema dell’abbandono, non c’è nulla interno al quadro che possa
salvarsi, il corpo è come se si stesse disfacendo, sciogliendo, stesse fondendosi nella matericità
dello sfondo, esprimendo un senso di caduta inarrestabile. Rimane solo la luce che illumina la
scena come speranza, possibilità. Nella seconda opera non esiste più un corpo, è la croce stessa
che si sta consumando, tutta la natura è partecipe del mistero della morte e dell’attesa di
resurrezione. Nel terzo lavoro, olio e cenere su pannello, prevale l’informe: ogni elemento
figurativo è scomparso, tranne i tratti di un viso graffiati sullo macchia nera, bituminosa,. Eppure
quanta potenza! La morte si presenta come buco nero in cui la realtà, così come noi riusciamo a
percepirla, sprofonda.
Termino la parte artistica con un lavoro di Matisse e nuovamente un lavoro di Congdom.
Matisse (1869 – 1954), un artista che nella sua ricerca dell’essenziale ha posto al centro il tema
dell’armonia, è un libero pensatore, ma ciò nonostante mette a disposizione la sua arte e i suoi
averi per la progettazione, costruzione e decorazione, di una cappella a Vence.
Parlando della Cappella, terminata nel 1951, Matisse ci dà una testimonianza del suo cammino
artistico.
[Le mie] rivolte mi hanno portato a studiare separatamente ogni elemento di una costruzione: il
disegno, il colore, i valori, la composizione, il modo in cui questi elementi possono combinarsi in
una sintesi senza che l'eloquenza di uno di loro sia diminuita dalla presenza degli altri e come
costruire con questi elementi, non sminuiti nella loro qualità intrinseca dalla loro unione, cioè
rispettando la purezza dei mezzi. *…+ Nella cappella il mio scopo principale era creare un equilibrio
tra una superficie di luce e di colore ed un muro pieno, decorato con disegni neri su fondo bianco.
*… +Questa cappella è per me il compimento di tutta una vita di lavoro e la fioritura di uno sforzo
enorme, sincero e difficile. Non è un lavoro che io ho scelto, ma un lavoro per il quale sono stato
scelto dal destino sul finire della mia strada, *…+ io continuo secondo le mie ricerche la cappella mi
dà l'opportunità di fissarle riunendole”. Il lavoro artistico è per lui preghiera: “Io non faccio che
(ma, in fondo, io non faccio niente, perché è Dio che conduce la mia mano) rendere evidente per gli
altri l'intenerimento del mio cuore”.
La parte dedicata alla Crocefissione è un’opera dinamica che coglie ed esprime la dimensione
drammatica della vita come viaggio, un viaggio con al centro la crocefissione come dono di sé al
mondo.
E ora come ultima opera “Virgo potens” di Congdom (fine anni ’80), un’opera del suo ultimo
periodo in cui predomina l’armonia del disegno e dei colori, un’opera in cui morte e vita trovano la
loro conciliazione e l’agonia non è altro che la fatica del travaglio. In quest’opera il tema della
crocefissione si pacifica nella visione di ciò che sta oltre.
Egli ci dice a proposito di questa opera: “Virgo potens è una di quelle opere che escono dalla
spatola così pure che destano solo silenzio e devozione *…+ In questo tipo di opere l’armonia delle
masse e dei colori è miracolosa. Al centro campeggia il giallo del grano. I colori sono quelli dei
campi lombardi che si riflettono nel cielo. Questo tipo di quadri (sono) finestre spalancate sull’oltre.
La finestra è la soglia di passaggio tra l’aldiquà dove il pittore agisce e l’aldilà dove il suo sguardo si
proietta. L’aldilà del mistero, velato e svelato dalla realtà. L’arte è così profezia e anche
trasfigurazione. *…+ La più alta arte nasce dalla verginità. L’occhio iconico va diritto al soggetto
nascosto sotto l’apparenza dell’oggetto. Perché il Dono sia libero, tutta l’oggettività che
accompagna l’oggetto deve morire. Agonia (che), mentre cancella le cose, le restituisce risorte”
Giunti a questo punto, propongo una breve rilettura personale, in chiave psicologica, del
materiale presentato.
La psicologia in quanto scienza dell’uomo si rivolge all’uomo indipendentemente dalla presenza o
dell’assenza di una fede, dalla appartenenza a una determinata religione o di una posizione
apertamente atea, indipendentemente dai valori, dalle credenze, o dall’assenza degli stessi alla
base di ogni azione. La psicoterapia poi è una forma di risposta a una domanda di aiuto, e in
particolare quella a indirizzo psicoanalitico si occupa di aiutare la persona a trovare il senso della
propria vita, a partire dal riconoscimento, all’interno della relazione terapeutica, delle sensazioni
e delle emozioni personali, sensazioni ed emozioni inserite in una storia, creatrici di storia.
È proprio di ogni uomo, in quanto artista, portatore di una spinta creativa personale, l’esigenza di
rifondare il senso del proprio esistere, di fare proprio in modo originale e creativo ciò che è stato,
che è e che sarà. È una rifondazione che richiede di fare buio e silenzio in sé stessi, capacità di
attesa, lo staccarsi dalle proprie memorie e dai propri desideri, per potere cogliere quelle deboli
luminescenze e quei flebili suoni che rimandano al nostro essere vivi, al nostro rinascere ogni
giorno, alla possibilità di nuove significazioni, di nuove sintesi creative1. È una rifondazione a cui
partecipa tutta la storia dell’Arte.
1
Il riferimento è qui in particolare al pensiero di Wilfred Bion e alle oscillazioni della mente tra Ps e D, tra contenuto e
contenitore, tra O e K
La croce, in questo contesto, si pone come crocevia intrapsichico, interpersonale, sociale, luogo
dell’uomo ancor prima che religioso. Un luogo non definito nel tempo e nello spazio, il luogo della
vita. È nella croce intesa come luogo della condivisione e della compassione, della responsabilità
rispetto al creato che ci circonda e di cui siamo parte, che l’identità personale continuamente si
rifonda in un dono di sé che lungi dall’annullare le dimensioni tragiche della vita le assume
consapevolmente. Fuori da questa assunzione consapevole la croce diviene concretamente lo
spazio del trauma e della morte.
È una dimensione traumatica che attraversa la storia degli individui, della famiglia, della società.
L’Italia stessa, intesa ancor prima come penisola tesa nel Mediterraneo che come comunità
sociale, artistica e politica, ha un passato lontano caratterizzato da ondate migratorie e
colonizzazioni, un passato imperiale, in cui l’unità con tutti i suoi pregi, è frutto della violenza
dell’uomo sull’uomo, un passato segnato dalle invasioni barbariche, un passato comunale, fatto di
continui scontri, un passato in cui l’Italia è terra di conquista per le case regnanti di Spagna,
Francia e Austria, e neppure il costituirsi dell’Italia come comunità sociale e politica unitaria 150
anni fa ha annullato queste dimensioni tragiche e traumatiche che hanno trovato espressione
nelle guerre, negli scontri civili, nei fenomeni di emigrazione e di migrazioni interna, e che oggi si
esprimono principalmente come paura della contaminazione della propria identità.
La croce cristiana, nel rimando alla morte di Gesù Cristo e alla sua Resurrezione, ci segnala che il
trauma e la morte non sono la dimensione ultima, ove si aprano spazi di condivisione e di
compassione. Si tratta di un “oltre la morte” che non è mai per virtù propria, ma frutto di una
relazione, per Gesù Cristo la relazione con il Padre.
Da un punto di vista psicologico si tratta di ricordare come una madre “sufficientemente buona”2,
ancor prima di educare un figlio in una cultura, deve essere per lui ambiente vitale, offrendo al
proprio figlio non solo cure, ma attenzione, compassione, riconoscimento personale, in una
dimensione di dono, lontana da ogni logica di appropriazione3.
Una madre “sufficientemente buona” è anche una madre abitata dal padre 4. Al di là della presenza
reale del padre è la sua presenza interna alla madre stessa, che le permette di non perdersi nel
rapporto con i propri figli, carne della propria carne. È la presenza del padre nella madre come
Altro, il desiderio della madre per il padre, che dà dignità ai desideri personali dei figli.
Un padre a sua volta sufficientemente buono, capace di condivisione e compassione, di
assunzione di responsabilità, è colui che rende accettabili sia alla madre che al figlio i desideri e le
frustrazioni collegati al processo di differenziazione e individuazione.
Ove la differenziazione non è possibile si instaura un legame con la centro il binomio “Vita mea,
mors tua” o specularmente “Vita tua, mors mea” 5, onnipotenza/impotenza.
È il riferimento al Padre che ci permette di riconoscerci figli e fratelli, della stessa natura delle
nostre madri e dei nostri padri, persone dotate di dignità e responsabilità, portatrici di una
creatività e di una generatività personale.
È il riferimento al Padre che permette il superamento delle idealizzazioni e del senso di colpa
persecutorio, collegati a meccanismi primitivi di scissione e di proiezione, e apre la strada al senso
di colpa depressivo e ai tentativi riparativi come presa di responsabilità personale.
Accanto alla preoccupazione per l’oggetto di amore compare la gratitudine6.
2
Il riferimento è qui in particolare al pensiero di Donald W. Winnicott
Il riferimento è qui in particolare al pensiero di Racamier
4
Il riferimento è qui in particolare al pensiero di Fainberg
5
Il riferimento è qui in particolare ai lavori di Franco Fornari
6
Il riferimento è qui in particolare al pensiero di Melanie Klein
3
È nel dono, nel per-dono, che la morte cessa di essere la realtà ultima e la vita cessa di essere solo
in un aldilà che non ci appartiene.
In una dimensione spirituale, rispettosa della nostra umanità, attraverso la Croce Gesù Cristo,
Salvatore e Signore come dicono i suoi nomi, scandalo per i giudei, nessuno può proclamarsi figlio
di Dio, stoltezza per i pagani, nessuno è tornato dal regno dei morti, ci raggiunge attraverso la
condivisione e la compassione nella nostra supposta autosufficienza e reale dipendenza e ci apre
a una relazione salvifica, dando alla nostra umanità una dignità prima sconosciuta: non solo
creature, ma figli ed eredi di Dio stesso, in una condivisione di nature diverse.
Dal punto di vista psicologico questo movimento di commistione di due nature è quello che
caratterizza, in condizioni sufficientemente buone, il gioco tra la madre, abitata dal padre, e il
figlio7. Nella croce cristiana luce e tenebre si uniscono senza cancellarsi l’un l’altra: il buio viene
fecondato uscendo dalla sua sterilità e la luce perde la sua freddezza e il suo distacco, facendosi
calore, assunzione responsabile di ciò che è.
Bibliografia artistica e riferimenti web
Castelfranchi Vegas Liana, Crippa M. Antonietta, Iconografia e arte cristiana, San Paolo Edizioni,
2004
Plazaola J., Arte cristiana nel tempo. Storia e significato. Vol. 2: Dal Rinascimento all'età
contemporanea, San Paolo Edizioni (collana Storia della Chiesa. Fliche-Martin)
Van Laarhoven Jan, Storia dell'arte cristiana, Mondadori Bruno, 1999
Tito Amodei, Quanti crocifissi nell’arte del ’900
http://www.passionisti.org/sito/lasapienzadellacroce/2006/2/193-200.pdf
Iconografia della Crocifissione
http://it.wikipedia.org/wiki/Iconografia_della_Crocifissione
Paul Gauguin
http://it.wikipedia.org/wiki/Paul_Gauguin
Munch
Gianfranco Bruno, Stefano Ferrari, Luca Trabucco, Tra vita e arte: follia e morte in Edvard Munch - Between
life and art: madness and death in Edvard Munch, Nicomp Laboratorio Editoriale. 2008
Luca Trabucco, Edvard Munch. Arte e trasformazione della sofferenza mentale. Riflessioni psicoanalitiche su
un percorso artistico
http://www.psychomedia.it/pm/culture/visarts/munch.htm
Rossi
http://www.artfree.it/opera_edit.php?id=101
Chagall
Chiesa di Bologna, Ufficio Catechistico Diocesano, Arte e catechesi: La crocefissione
http://www.bologna.chiesacattolica.it/ucdnew/pagine/artecat.php
http://www.bologna.chiesacattolica.it/ucdnew/pagine/doc/artecat/CROCIFISSIONE.pdf
Renato Guttuso
Crocifissione
http://it.wikipedia.org/wiki/Crocifissione_(Guttuso)
Vilma Torselli, Renato Guttuso,"Crocifissione"
7
Il riferimento è qui in particolare al pensiero di Donald W. Winnicott
http://www.artonweb.it/artemoderna/quadri/articolo76ter.htm
Francis Bacon
Nadia Mazzon, Identità e autoritratto: il caso Francis Bacon,
http://www.engramma.it/engramma_v4/rivista/galleria/38/saggio_bacon.htm
Hermann Nitsch
Al di là della carne, un dialogo tra Nitsch e Caravaggio
http://mariangelamaritato.blog.espresso.repubblica.it/senza_veli/2010/04/al-di-la-della-carne-undialogo-tra-nitsch-e-caravaggio-.html
Salvador Dalí
http://it.wikipedia.org/wiki/Salvador_Dal%C3%AD
«Il Cielo, ecco quello che la mia anima ebbra d’Assoluto ha cercava….
http://www.alfredotradigo.it/articoli04-05/44-05-1.htm
William Congdom
Amadò M., Il velo squarciato. Presenza del simbolo in alcune esperienze della pittura
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http://archiviostorico.corriere.it/2005/marzo/04/William_Congdon_profeta_visionario_co_9_0503
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Cacciari
http://artibelle.blogspot.com/2010/09/condon-i-crocifissi-secondo-cacciari.html
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http://www.gliscritti.it/arte_fede/matisse/matisse.htm
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http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=11&id_n=222
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