ATTRAZIONE FATALE Ci sono più cose in cielo e in terra, di quante ne sogni la filosofia. William Shakespear, da “Amleto” Andromeda…. No. Non è stato un colpo di fulmine. Ho imparato ad amarla conoscendola. Frequentandola non ho potuto far altro che invaghirmi…. Una passione che dura ormai da più di trent’anni. Quasi una vita. E tutto per colpa di un …prete. Già, don “Tonino”, un sacerdote della Diocesi di Milano venuto a condividere con noialtri dolori e disagi, dopo il terremoto dell’ottanta, in un miniscolo prefabbricato alla periferia del paese. Urbanizzazione approssimativa… Un piazzale/parcheggio/campo-calcetto, completamente privo di illuminazione. Fortunatamente. Per scovare Andromeda ci vuole, infatti, un cielo buio.. e al prete quell’oscuro posticino isolato dal mondo era parso subito una benedizione impartita dall’Alto per mettere finalmente alla prova le ottiche del “favoloso” rifrattore che aveva nascosto tra i bagagli mentre si congedava col cardinale Martini. Troppo inquinati i cieli di Milano per valutarne il pregio osservando dai giardini della Curia Ambrosiana… Ed eccolo subito al lavoro…. Ottobre 1981…,saranno state le ore 22. Io, capitato lì per caso, molto curioso di sapere cosa stesse mai osservando… Lui che per un attimo smette di guardare al cercatore per passare, offrendomi un binocolo da teatro che non avrà avuto più di due ingrandimenti, ad una rapida descrizione dell’oggetto che vorrebbe mettere a fuoco: Andromeda e in tutto il suo splendore, anche se solo in bianco e nero. Suvvia, questa!, seppure vista per come può vederla solo l’Hubble telescope col suo occhio a colori. «Guarda le ultime due stelle di quella costellazione che sembra una W. E’ Cassiopea... Tira giù una linea verso il basso fino a intercettare quel puntino luminoso che vedi lì e guarda gli altri due che fanno una linea dritto verso destra…» mi dice, mentre armeggia col cercatore per portare al centro del reticolo l’oggetto tanto ambito. « Oh, e adesso concentrati sulla seconda stellina. La vedi?». «Si! No. Cioè.. Diciamo che la vedo. O meglio, mi è sembrato di averla vista. Ma ce ne sono tante, molto più di quante ne vedo ad occhio nudo, ed è difficile capire dove si è arrivati… ». « Bene, bene, bene… Dovremmo esserci , o quasi. (ma chi me l’ha mandato questo?) Ora spostati più in alto. C’è un’altra stella meno luminosa da trovare ». «Ah, Sì. Eccola ». «Adesso ancora più su… Dovresti vedere una stellina minuscola. Ci sei? Bene, bene, bene….. E allora non devi far altro che spostarti sulla destra. Alt!, fermati. Dove corri? Siamo arrivati.E’ là! » « Mah, sarà, io però non vedo un fico secco. A parte dei puntini luminosi seminati in ordine sparso. » «Ordine sparso? Tu dici? Dici davvero? Ma se i Greci la vedevano addirittura ad occhio nudo…?!. Su, coraggio, riavvolgiamo il nastro e partiamo dall’inizio! ». « Dunque… W … giù… la più luminosa..…». «Si chiama Almach. Vai avanti, non ti distrarre…». «Sì, ma è molto più grande di quella che vedevo prima..». «Ti sei spostato troppo, stai su Alpheraz Sei finito nel quadrato di Pegaso... Fermati a metà strada, quella di prima, è Mirach. Ora fai tre saltini, due in su, il terzo un po’ in alto a destra L’hai trovata? ». « Trovata? Ma se è una nebbiolina indistinta, quasi insignificante!? E’ davvero questa “cosina” qui che dovevo trovare?…». «Vieni a vederla al telescopio allora, che ti metto pure i…fendinebbia. Ma tu guarda che razza di risposte che mi hai dato! Andromeda una cosina? Ma se è estesa più del diametro della luna piena?! ». Riesco goffamente a mettere a fuoco… « Mi aspettavo, ecco, qualcosa di diverso….» gli dico. Ed ancora: « Sembra il velo di una sposa… ». *** Preso dal lavoro, dalla famiglia, dalla vita non facile del dopo terremoto, per diverso tempo non ci ho pensato più. Ma ormai sapevo bene come trovarla (seconda stella a destra, questo è il cammino…. ) e ogni occasione mi era buona per strizzarle l’occhiolino, tanto la … beccavo in un attimo. E diamine!, stava lì per me! Intanto mi informavo, la curiosità cresceva e sempre più spesso nelle notti serene mi ritrovavo a farle la… corte.. Andromeda, dunque. O meglio, “la donna che non conobbe marito”, secondo i miti greci che avevano trasportato in cielo gran parte del loro Olimpo. Nel buio sicuramente più buio dei nostri paesi, era stata già ammirata nell’antichità. Dal persiano Al-Sûfi, poco prima dell’anno mille, che la definì “Piccola Nube”, un nome che sembra riecheggiare quello di una squaw del popolo Sioux, Penna Bianca, Balla Coi Lupi, Orso Bruno… e chi più ne ha più ne metta. Poi, per più di sei secoli, l’intera umanità sembra ignorarla, finché – con l’avvento del telescopio – in tanti ne sono affascinati. La “riscopre”, così, nel 1612, l’astronomo tedesco Simon Marius presentandola molto “...simile alla fiamma di una candela vista attraverso un corno... biancastra, irregolare; più brillante verso il centro”. Anche il siciliano G.B. Hodierna (non sapendo di Al-Sûfi né di Simon Marius) nel 1654 ebbe modo di dire la sua: “Osservo questa Stellam Caecam sulla coscia destra di Andromeda, o sotto il giglio di Cassiopeia...per quanto vista attraverso il telescopio, in essa non appare una moltitudine di stelle concentrate, ma ancora lo splendore di stella occulta, simile ad una cometa...”. Nube, Nebulosa, Stella occulta, Cometa: questa è stata Andromeda per chi l’ha osservata ad occhio nudo o con i nuovi strumenti, sempre, comunque, affascinante e misteriosa. Per altri tre secoli minuziosamente scrutata, nessuno aveva la più pallida idea di cosa fosse né ovviamente di dove realmente si trovasse.. Poi arrivò Messier, in piena rivoluzione francese… Per facilitare il lavoro degli astronomi sempre a caccia di comete, stilò nel 1781 un Catalogo di oggetti non interessanti che avrebbero potuto fuorviare le loro ricerche. Elencò, così 110 oggetti di natura diversa: ammassi di stelle come le Pleiadi, nubi irregolari di gas incandescente come la Grande Nebulosa di Orione, e una trentina di nebulose ellittiche. Cos’erano? Democrito, più di duemila anni prima dell’invenzione del cannocchiale, aveva già capito che la Via Lattea era costituita da innumerevoli stelle. L’ inglese Thomas Wright aveva intuito che esse erano disposte su una “macina” di spessore limitato, ma estesa in tutte le direzioni. In pratica, aveva scoperto la Galassia. Ciò consentì a Immanuel Kant di ipotizzare che Andromeda fosse esterna alla Via Lattea e composta da stelle simili, evanescenti per l’immensa distanza. Il filosofo aveva visto giusto. Andromeda? Un altro universo simile al nostro, ma immensamente lontano da questo mondo! Già, lontana. Ma anche la più vicina tra le decine, le centinaia, i milioni… i miliardi di galassie che popolano l’universo conosciuto. Gli astronomi cominciano a metterla a nudo, e Lei a mostrarsi sempre più … intimamente. Si osservano esplosioni stellari, la dimostrazione evidente che la “nebulosa” andava considerata come un’autentica galassia e non già un ammasso gassoso. Ma, come spesso accade, le verità che ci vengono poste sotto il naso sono difficili da assimilare, confuse, come sono, nell’amplificazione dei dettagli. E infatti, quelle stelle che si accendevano erano più luminose dell’intera “Nube”. Come poteva la luminosità di una singola stella esplosa ad una distanza così remota offuscare quella di miliardi di altre? Quale inimmaginabile, incredibile potenza poteva mai sprigionarsi? Il dubbio era quindi legittimo. Il concetto è espresso (1893) con sconcertante chiarezza da una studiosa inglese di storia dell’astronomia, Agnes Mary Clerke: “E’ praticamente certo che, per quanto lontane siano le nebulose, le stelle esplose siano altrettanto remote. Ora, se tali nebulose fossero composte di astri simili al sole, le sfere di incomparabile ampiezza da cui la loro debole luce veniva quasi cancellata, devono essere state di una scala di grandezza tale che l’immaginazione si rifiuta di concepirla”. Solo nel 1923 Edwin Hubble con un telescopio da 254 mm ( poco più piccolo di quello che troverete sul sito) riuscì a risolvere le stelle di cui è composta. Oggi quelle esplosioni le chiamiamo Supernovae e al pari di Mary Clerke anche la mia immaginazione “si rifiuta di concepire” quali immani catastrofi scatenino le stelle morenti. Andromeda, dunque. Quella quieta spirale brillante, nel cerchio nero del buio intergalattico delimitato dall’oculare, come la luna piena nel fondo scuro di un pozzo profondo, ha tante volte messo a dura prova la mia capacità di immaginare e comprendere. Lei è lì. La guardo e penso che dista 2.500.000 di anni luce, come dire 23.652.000.000.000.000.000 chilometri. Cioè la vedo ora com’era due milioni e mezzo di anni fa e a quella distanza abissale. Due-milioni-cinque-cento-mila-anni luce pari a ventitremilaseicentocinquantaduemiliardi di miliardi di Km. E’ a due passi da noi, ma non certo dietro l’angolo. Il Rinascimento, i Barbari, i Romani, i Faraoni, Babilonia…. Storie di seimila anni fa. Un attimo, al paragone con Andromeda. Devo pensare a qualcosa di più antico… per mettermi in sintonia con quella luce. Le caverne?, l’epoca delle palafitte?. Ma che!… appena trentamila anni, nella migliore delle ipotesi. A quell’epoca la luce che vedo era quasi arrivata, come dopo uno sfiancante viaggio fino a Milano per seguire la squadra del cuore e all’uscita dal casello ti dici “eccomi arrivato” anche se ti restano ancora un po’ di chilometri per raggiungere San Siro. Eppure l’immagine reale che ho qui, ora, sotto gli occhi, ha viaggiato molto di più. Quanto? Quanto ha viaggiato? E…quando è partita quella luce? All’epoca dell’homo sapiens? No! Ci era già nei pressi . Comincio ad avvertire le vertigini. Forse quando l’homo erectus diventa habilis e scopre il fuoco? Sbagliato! Un milione di anni fa quella luce, questa che vedo ora coi miei occhi!, aveva già percorso molta strada. E allora? Una conclusione la dobbiamo pur tirare. O no? L’immagine che sto ammirando adesso non può essere che contemporanea all’uomo appena disceso dagli alberi, a Lucy, per i darviniani, o, se preferite, ad Adamo ed Eva. Le emozioni che provo riflettendo sulla enorme distanza (il tempo e lo spazio sono intimamente connessi) sembrano solo un antipasto al pensiero che l’attrazione verso di Lei non è soltanto un moto del mio animo ma anche terribilmente fisica. La terra sotto i miei piedi, io, voi, il sole e l’intera Via Lattea, le stiamo correndo incontro alla folle velocità di trecento Km al secondo, più di mille km allora, e, quasi come per l’uomo e la donna di biblica memoria “i due saranno una sola carne” (Genesi, 2:24). “La donna che non conobbe marito”, la mitica Andromeda, si perderà e noi con Lei, nelle spirali della Via Lattea……..…………………………………………………… …………….. Fra tre o quattro miliardi di anni le stelle delle due galassie daranno vita ad una spettacolare danza nuziale che fonderà le une nelle altre fino ad avere un unico immenso agglomerato di stelle. Un brivido corre lungo la mia schiena osservando la luce fossile di quel velo da sposa. E no, non è dovuto solo al freddo della notte. Un amore è vero quando ti cambia la vita. Lei, inconsapevole, da lassù, sempre maestosa e misteriosa al centro della costellazione che porta il suo nome, mi ha dato la dimensione di un infinito che non può avere dimensioni. Mi ha insegnato che parole come “adesso” e “contemporaneamente” guardando nello spazio profondo, semplicemente non hanno senso. Ha enormemente stimolato la mia sete di conoscere l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, le due facce di quell’unica medaglia che noi oggi chiamiamo Universo, scoprendo quanto siamo piccoli e inadeguati…. Questa è la strana storia con Andromeda. Un amore condiviso anche dal curatore di questo sito, con il quale, una sera di una ventina d’anni fa, ho vissuto esattamente la stessa scena e avuto pressappoco lo stesso dialogo che trovate all’inizio. Io nei ruolo di Don Tonino e lui in quello del sottoscritto. Per gli amici, Tonino pure io. Pardon, Antoniello.