In ricordo di Georges Balandier (1920-2016): l’antropologo dell’impegno e del movimento Di Michela Fusaschi e Francesco Pompeo, Univ. Roma Tre Balandier nel suo studio a Parigi, anni ‘80 Conoscemmo Georges Balandier sul finire degli anni Novanta nella piccola, ma ricca e indimenticabile, biblioteca di quel Centre d’études Africaines che lui stesso aveva fondato nel 1954, al quinto piano del 54, Boulevard Raspail, nella celebre sede parigina dell'Ecole des hautes études en sciences sociales (EHESS). In pensione da anni (1985) non era però infrequente trovarlo là mentre ritirava la sua posta nella cassettiera proprio di fronte alla porta di quella direzione che ancora conservava la sua targhetta, né fermarsi a parlare con lui. Per Georges Balandier, che ci ha lasciato il 5 ottobre scorso a Parigi, all’età di novantacinque anni, quale testimone e protagonista di primo piano della disciplina antropologica del XX secolo, vi erano sostanzialmente solo due modi di essere antropologi: o in un altrove in cui la conoscenza si realizzava nella relazione con gli Altri anche attraverso un engagement personale; o in un altrove con un’analisi dissociata dalle circostanze, “dinanzi” all’Altro e alla sua differenza, per cui la conoscenza passava per definizioni scientifiche e metodi “da laboratorio”, che ne attestassero la “purezza”. Fra queste due possibilità lui aveva scelto di essere l’antropologo dell’impegno, vedendo la disciplina negli avvenimenti e in relazione con le persone nella loro condizione reale, delle società e delle culture nella loro condizione storica1; mentre il suo grande antagonista sulla scena d’oltralpe, Claude Lévi-Strauss, era per lui l’altro tipo di antropologo, quello dello sguardo da lontano che si poneva come un logico delle relazioni e dei sistemi sociali. Un rapporto difficile il loro ma dal grande legame, come lo stesso Balandier non aveva mancato di sottolineare più volte. Nato a Aillevillers-et-Lyaumont, in Alta Saona il 21 dicembre 1920 vi trascorse l’adolescenza e lì incontrò la Resistenza. Si iscrisse a l'École pratique des hautes études e poi alla Sorbona per diplomarsi, nel 1942, all'Institut d’Ethnologie. Lavorò per un breve periodo al Musée de l’Homme con Michel Leiris, il suo “grande iniziatore”2, di cui sarebbe diventato amico e del quale non mancava di ricordare rigore e silenzi prolungati, e anche con Denise Paulme che lo introdurrà in quelle riserve del museo3 impregnate di “odore dell’Africa”4. Fu proprio grazie a Leiris che Balandier entrerà in contatto con il gruppo degli esistenzialisti quali Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Albert Camus, Maurice Merleau-Ponty raccolti intorno alla rivista Temps modernes e con Georges Bataille e le Critiques. Qualche anno dopo, il primo terreno proprio in quell’Africa che nell’etnologia museale e griauliana era ancora il continente delle società “primitive” ed “esotiche”, degli arcani mondi simbolici, senza storia e senza dinamica interna o esterna. Eppure, già nel 1946 quando, dopo viaggio in areo, inconsueto per l’epoca, durato tre giorni fra scali europei e africani, mise piede per la prima volta in Senegal la realtà che il giovane antropologo veniva ad incontrare era ben diversa: Dakar era una città in movimento e in trasformazione, la società dei pescatori Lebou, che studiò con Paul Mercier, ne viveva le dinamiche. Sin da subito impostò la sua presenza anche trasgredendo le regole del gioco come funzionario dell’Institute français d’Afrique Noire (IFAN) i cui locali reputava 1 Cfr. Georges Balandier et al., 2010, « Tout parcours scientifique comporte des moments autobiographiques», Actes de la recherche en sciences sociales, 5, n. 185, p. 44-61. Si veda G. Balandier, 1997, Conjugaisons, Paris, Fayard, p. 229 e anche la recensione alla raccolta di testi di Michel Leiris di Jean Jamin, Miroir de l’Afrique, 1996, Paris, Gallimard nonché “Leiris , ethnographe malgré lui” in 2003 Civilisés, dit-on, Paris, PUF, p. 37. 2 Cfr. Michela Fusaschi, 2009, Denise Paulme e Germaine Tillion: etnografe militanti nell’Africa anni ’30 in Genesis, VIII, 2, Femminismi senza frontiere, pp.159-177. 3 4 G. Balandier, 1997, Conjugaisons, p. 230. deprimenti, trasferendosi così a vivere con Mercier, a casa di Alioune Diop, con il quale fonderà, nel 1947, la rivista Présence Africaine e stringerà con lui una profonda amicizia. Sarà il periodo anche degli incontri con Aimé Césaire e Léopold Senghor. Più volte aveva ricordato di essere arrivato nelle “Afriche" (basti ricordare che dal 1946 e nei cinque anni successivi sarà in Guinea, Congo, Gabon, Mauritania e Benin), con quel bagaglio piuttosto retrò dell’epoca e nel quadro di una missione governativa, ancora molto legato ad una visione di dipendenza degli “Altri” dall’occidente, quando poi queste società si erano già orientate verso le Indipendenze. Nella jeep d’enquête, centro IFAN di Conakry, 1947-1948. Da qui un’esigenza si pose immediatamente come imprescindibile: un completo ribaltamento del punto di vista, dei metodi di indagine e degli oggetti di ricerca. Non c’era altro da fare se non studiare il movimento e i mutamenti, rifiutando il perpetuo presente etnografico di un’Africa incastrata in una visione atemporale e considerata quale oggetto antropologico esotico e nulla più: non a caso identificava il suo lavoro come “una battaglia contro l’esotico”. La sua esperienza nell’Africa orientale francese e il suo dialogo con i locali protagonisti del cambiamento lo spinsero, così, a prendere di petto la questione coloniale, tanto strutturalmente rilevante quanto poco indagata da un’antropologia tradizionale. Arriverà ad elaborare il concetto di “situazione coloniale” nel celebre articolo del 1951 intitolato per l’appunto « La situation coloniale: approche théorique », pubblicato nei Cahiers internationaux de sociologie (n. 11, p. 44-79). Questo lavoro, coraggioso e profetico, metteva a fuoco la complessità del fenomeno coloniale chiamando alle loro responsabilità le scienze sociali; e se da una parte esso rappresentava la sintesi del suo percorso, dall’altra poneva le basi dei successivi assi di ricerca sulla dipendenza, lo sviluppo e sottosviluppo. Così per Balandier fare dell’etnologia senza tenere in considerazione la situazione coloniale non significava altro che prendersi gioco del mondo. Questa prospettiva prenderà il nome di “scuola dinamista” francese per come Paul Mercier l’ebbe a definire, ovvero quell’approccio inaugurato proprio con Balandier che ha riarticolato e reinterpretato, in forma originale, l’analisi delle trasformazioni sociali legate alla colonizzazione, sviluppate parallelamente in ambito anglofono dagli studi sul Social change. Del resto come ebbero a dire persino Marcus e Fisher5 con la situazione coloniale di Balandier le relazioni imperiali, formali e informali, divennero immediatamente evidenti, cessando di essere considerate le inevitabili regole del gioco, da sottoporre al più da riformare o da cui distanziarsi con varie strategie ironiche. Il contributo critico della situazion fu accolto nel dibattito anticoloniale primariamente in Francia nel quadro dei movimenti contro le guerre in Vietnam e in Algeria. Con questa consapevolezza critica Balandier continuerà il suo percorso di esplorazione della transizione e della fine del sistema coloniale, andando a dirigere il centro locale dell'Institut français d’Afrique noire in Guinea, e poi a Brazzaville, dove fonderà anche la sezione di sociologia dell'Institut d'études centrafricaines. Nel 1954, darà vita appunto al Centre d’Etudes africaines e pubblicherà i lavori della consacrazione quali Sociologie actuelle de l'Afrique Noire. Dynamique des changements sociaux au Gabon et au Congo (1955) e Sociologie des Brazzavilles noires (1955), con un’attenzione innovativa in ambito urbano. Lavori seguiti dal più conosciuto Afrique ambiguë (1957), opera critica della situazione coloniale e di un certo modo di fare etnologia legato ad una logica egemonica e di una decolonizzazione, anche antropologica, ancora “condizionata”. L’impegno anticoloniale lo condurrà anche a tematizzare le questioni che ruotano intorno alla coppia sviluppo/sottosviluppo, e sul finire degli anni Cinquanta, insieme al demografo Alfred Sauvy inventerà e contribuirà a popolarizzare il concetto di “Terzo mondo” : il riferimento al Terzo Stato della rivoluzione francese, qualificava l’aspirazione di un insieme di società e nazioni, già Cfr. 1986 Writing Culture: the Poetics and Politics of Ethnography, ed. con George Marcus, University of California Press. 5 colonizzate, ad entrare nella Storia. Solo successivamente questo concetto assumerà un’interpretazione stereotipata e svalutante dei paesi cosiddetti in via di sviluppo. e Dal 1961 al 1966 insegnerà all'École normale supérieure, sino alla VI sezione dell'École pratique des hautes études divenuta la più nota l’École des hautes études en sciences sociales, EHESS, nella quale sarà Directeur d’études per poi essere nominato, a partire dal 1962, professore alla Sorbona. Balandier con un gruppo di ricercatori a Kossou in Costa d’Avorio, anni ‘60 Qui in occasione dell’inaugurazione della cattedra di Sociologie africaine dirà “presenterò le società e le culture nel loro divenire, i loro movimenti e i loro problemi più rivelatori e li libererò da quei fili intrecciati nei quali le mitologie li avevano chiusi e mummificati”6. Balandier non cesserà di insistere, peraltro, sul rischio della “etnologizzazione” della storia in Africa che spesso ha davvero congelato le società prestando il fianco a non poche riletture interessate di dati legittimati dallo sguardo scientifico europeo, coprendo manipolazioni ideologico-politiche della storia. Sono gli anni in cui sarà grande animatore di iniziative accademiche, e non, in dialogo con economisti, politologi, filosofi e così via. Cfr. http://www.rfi.fr/hebdo/20161007-georges-balandier-disparition-etudes-africaines-ehess-presenceafricaine. 6 Con gli anni Settanta il suo lavoro riguadagna una nuova dimensione teorica, con quell’Anthropologie politique (trad. it 1969), il suo testo più tradotto come ci ha ricordato nelle coulisses del convegno a lui dedicato al Musée de Quai Branly7. La sua nuova direzione di lavoro viene efficacemente definita nel Anthropo-logiques del 1974, libro che nasceva da una doppia esperienza: “quella dell’antropologo che interpreta società e culture che si dicono nella differenza, e quella del sociologo che conosce la sua propria società attraverso ciò che essa rivela di sé stessa nei suoi problemi più attuali”. Amplierà quindi i suoi orizzonti verso le società cosiddette contemporanee in quel Detour (1985) e in quel Desordre (1988) quale elogi del movimento perché lo studio delle altre società preparava e aiutava a comprendere ciò che avviene nel proprio universo culturale. Continuando a perseguire le dinamiche si occuperà dei movimenti di contestazione, della surmodernità e mondializzazione definendo, nei suoi ultimi anni, questi nuovi orizzonti tecnologici e sociali in termini di “Nuovi nuovi mondi” o di grand système sempre prima su carta e penna. Pagine manoscritte che portava con sé quando veniva al Centre con una scatola di cioccolatini che donava al personale e che, spesso, degustavamo tutti insieme in un rituale quotidiano intorno ad un bollitore, per te e caffè, e un set cosmopolita di cucchiaini e tazzine spaiate frutto di doni differenti. Del resto per Georges Balandier la scrittura era un rimedio per un ritorno sulla scena non fatto solo di ricordi personali, ma dell’esercizio costante di analisi e critica di un mondo politico distante dal suo percorso. E così dopo Le pouvoir sur scène (1980) si impegnerà nelle analisi delle campagne presidenziali francesi dall’elezione di François Mitterrand passando per Nicolas Sarkozy con la Fenêtre sur un Nouvel Age, del 2008 e infine la Recherche du politique perdu nel 2015, l’arrivo all’Eliseo di François Hollande. Non si era perso neanche le ultime turbolenze: così sino a tempi recentissimi, vedendo e vivendo la crisi, interpretava le parole degage e indignés come il grido di una generazione che non sentendosi accolta dalle società insorge, ma non si rivolta, non avendo programmi e teorie. Una crisi di fondo della conoscenza a cui fino all’ultimo ha insistito a richiamarci con vigore intellettuale e passione inesauribili. 7 Georges Balandier et la reconfiguration de sciences sociales, 2-3 febbraio del 2012. Bibliografia parziale • 1947 Tous comptes faits, Paris, éditions du Pavois. (romanzo) • 1951 « La situation coloniale: approche théorique », Cahiers internationaux de sociologie, 11, p. 44-79. • 1952 « Contribution à une Sociologie de la Dépendance », Cahiers Internationaux de Sociologie, XII, p. 47-69. • 1952 (con Paul Mercier) Particularisme et Evolution: les pêcheurs Lébou (Sénégal), St Louis du Sénégal, IFAN. • 1952 Les villages gabonais, Brazzaville, Institut d'études centrafricaines • 1955 L'anthropologie appliquée aux problèmes des pays sous-développés, Paris, Cours de droit, 376 p. • 1955 Sociologie des Brazzavilles noires, Paris, A.Colin. • 1955 Sociologie actuelle de l'Afrique noire. Dynamique des changements sociaux en Afrique centrale, Paris, PUF. • 1957 (ed.) Le Tiers-Monde, sous-développement et développement, Paris, PUF-INED. • 1957 Afrique ambigüe, Paris, Plon. • 1959 Les pays sous-développés: aspects et perspectives, Paris. • 1961 Les pays en voie de développement : analyse sociologique et politique, Paris. • 1965 La vie quotidienne au royaume de Kongo du XVIe au XVIIIe siècles, Paris, Hachette. • 1967 Anthropologie politique, Paris, PUF (trad.it Antropologia politica, Milano : Etas Kompass, 1969 • 1968 (dir.) Dictionnaire des civilisations africaines, Paris, Fernand Hazan • 1970 (dir.) Sociologie des mutations, Paris, Anthropos • 1971 Sens et puissance : les dynamiques sociales, Paris, PUF (tra.it Le società comunicanti : introduzione all'antropologia dinamista, Roma ; Bari : Laterza, 1973) . • 1972 Georges Gurvitch, sa vie, son œuvre, Paris, PUF. • 1974 Anthropo-logiques, PUF, Paris (trad.it Società e dissenso, Bari : Dedalo libri, 1977 ) • 1977 Histoire d'Autres, Paris, Stock • 1980 Le pouvoir sur scène, Paris, Fayard (ed. aumentata nel 1992 e nel 2006) • 1981 Autour de Georges Balandier, Paris, Fondation d'Hautvillers • 1985 Le détour : pouvoir et modernité, Paris, Fayard • 1988 Le désordre : éloge du mouvement, Paris, Fayard (trad.it. Il disordine: elogio del movimento, Dedalo, Bari 1991). • 1994 Le dédale : pour en finir avec le XXe siècle, Paris, Fayard • 1996 Une anthropologie des moments critiques, Paris, EHESS • 1997 Conjugaisons, Paris, Fayard • 2000 Avec Leonardo Cremonini en connivence, Milan, Electa • 2001 Le Grand Système, Paris, Fayard • 2002 « La situation coloniale : ancien concept, nouvelle réalité », French Politics, Culture & Society, 20, 2, p. 4-10. • 2003 Civilisés, dit-on, Paris, PUF • 2005 Civilisation et Puissance, Paris, L'Aube • 2008 Fenêtres sur un nouvel âge (2006-2007), Paris, Fayard • 2009 Le dépaysement contemporain : l'immédiat et l'essentiel, Paris, PUF • 2012 Carnaval des apparences, Paris, Fayard • 2013 Du social par temps incertain, Paris, PUF • 2015, Recherche du politique perdu, Paris, Fayard