fondazione antonio uckmar

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FONDAZIONE ANTONIO UCKMAR
I “Venerdì di Diritto e Pratica Tributaria”
Sanremo 3-4 giugno 2011
La concentrazione della riscossione nell’accertamento
Atti preparatori:
Introduzione: Cesare Glendi
Interventi: M. Basilavecchia, C. Berliri, G. Boletto, M.G. Bruzzone, A.
Carinci, G.M. Cipolla, A. Comelli, G. Corasaniti, C. Corrado Oliva, P.
de’ Capitani, A. Di Pietro, G. Fransoni, F. Gallo, G. Ingrao, S. La
Rosa, A. Lovisolo, C. Magnani, G. Marini, G. Marongiu, G. Melis, A.
Mereo, S.M. Messina, L. Perrone, R. Perrone Capano, F. Pistolesi, L.
Salvini, S. Sammartino, M. Scuffi, G. Vanz
PROGRAMMA
3 GIUGNO 2011
ore 14,00
Registrazione dei partecipanti
ore 15,00
Indirizzi di saluto
Prof. Victor Uckmar - Presidente Fondazione‖Antonio Uckmar‖
Dott. Maurizio Zoccarato - Sindaco di Sanremo
Avv. Elvira Lombardi - Presidente Ordine degli Avvocati di Sanremo
Dott. Giancarlo Colucci - Presidente Ordine dei Dottori Commercialisti
di Sanremo
Dott. Attilio Befera - Direttore Agenzia delle Entrate
*****
ore 15,30
Prof. Andrea Parlato - moderatore
Prof. Cesare Glendi – coordinatore – relazione introduttiva
Prof. Andrea Carinci – ―La concentrazione della riscossione
nell‘accertamento‖
Prof. Salvatore La Rosa - ―Il riparto delle competenze nella disciplina
della riscossione‖
Prof. Corrado Magnani - ―La sospensione amministrativa della
riscossione ‗concentrata‘‖
Prof. Sebastiano Maurizio Messina – ―I riflessi degli accertamenti
esecutivi sull‘adozione delle misure cautelari pro-fisco‖
Prof. Giuseppe Marini – ―Blocco dei crediti, ordine di pagamento al
fisco ed effettività della tutela giurisdizionale‖
Prof. Antonio Lovisolo - ―L‘attività accertativa mirata all‘ ―apri e
chiudi‖ societario (art.23 l. n. 122/2010) e al ‗mordi e fuggi‘
reddituale‖
*****
ore 20,00 - Buffet
4 GIUGNO 2011
ore 09,00
Prof. Andrea Amatucci - moderatore
Avv. Claudio Berliri – ―Nuovo redditometro e altri accertamenti
presuntivi: alternatività o concorrenza?‖
Prof. Franco Gallo - ―Contraddittorio procedimentale e attività
istruttoria‖
Prof. Gianni Marongiu - ―Le nuove tipologie di accertamento oltre il
sintetico‖
Prof. Leonardo Perrone – ―Accertamento sintetico ed obbligo del
contraddittorio‖
Prof. Francesco Pistolesi - ―Evoluzione ed abusi nell‘impiego
dell‘accertamento parziale‖
Prof. Alberto Comelli - ―L‟individuazione dei dati e degli elementi
rilevanti ai fini dei nuovi accertamenti sintetici‖
Prof. Giuseppe Maria Cipolla - ―Prove ed inversioni degli oneri
probatori nell‘accertamento delle imposte sui redditi e
nell‘accertamento IVA‖
Prof. Livia Salvini – ―Ipotesi di reato tributario e raddoppio dei termini
per l'accertamento"
ore 13,00 - Buffet
ore 15,00
Prof. Pietro Adonnino - moderatore
Prof. Massimo Basilavecchia - ―La difficile interstizialità della
compensazione tra accertamenti e attività esattive‖
Prof. Guglielmo Fransoni - ―L‘esecuzione coattiva a carico dei debitori
diversi dall‘obbligato principale‖
Prof. Adriano Di Pietro - ―La collaborazione comunitaria
nell‘accertamento e nella riscossione: la tutela del contribuente‖
Dott. Massimo Scuffi - Magistrato – ―Atti di accertamento ed
imposizione comunitaria(recupero degli aiuti di stato e prelievi
doganali):osservazioni a margine dell‘art.29 della L.122/2010‖
ore 17,00 - Coffee break
Prof. Giuseppe Melis - ―La disciplina delle notificazioni degli atti ai
soggetti residenti all‘estero‖
Prof. Raffaele Perrone Capano – ―Una lettura costituzionalmente
orientata dell‘attività di accertamento tributario nelle ipotesi di
elusione e di abuso del diritto‖
Prof. Salvatore Sammartino - ―Federalismo fiscale e partecipazione
degli enti locali all‘attività di accertamento‖
*****
ore 18,30 interventi programmati
Dott.ssa Boletto Giulia - ―La tutela del contribuente nel caso di omessa
o irrituale notifica del titolo esecutivo‖
Prof. Corasaniti Giuseppe – ―La tutela cautelare nei gradi successivi al
primo‖
Avv. Corrado Oliva Caterina – ―L‘anomala coesistenza di riscossione
frazionata e sospensione cautelare‖
Avv de‘Capitani di Vimercate Paolo - ―La cooperazione internazionale
in materia di accertamento e riscossione‖
Avv. Mereu Alessandra - "La tutela penale della riscossione tributaria"
Prof. Ingrao Giuseppe “Concentrazione della riscossione
nell‘accertamento e riflessi sull‘insinuazione al passivo fallimentare‖
Prof. Vanz Giuseppe - ―La tutela giurisdizionale diretta e immediata
contro le attività di indagine dell‘Agenzia delle entrate e degli agenti
della riscossione‖
Prof. Victor Uckmar - Chiusura dei lavori
ore 20,00 – Aperitivo al Roof Garden del Casinò
INDICE:
Prof. Cesare Glendi – ―Notifica degli atti ―impoesattivi e tutela cautelare ad
essi correlata‖
pag. 11
Prof. Basilavecchia Massimo - ―La difficile interstizialità della
compensazione tra accertamenti e attività esattive‖
pag. 53
Avv. Berliri Claudio – ―Nuovo redditometro e altri accertamenti presuntivi:
alternatività o concorrenza?‖
pag. 59
Dott.ssa Boletto Giulia - ―La tutela del contribuente nel caso di omessa o
irrituale notifica del titolo esecutivo‖
pag. 67
Prof. Carinci Andrea – ―La concentrazione della riscossione
nell‘accertamento‖
pag. 73
Prof. Cipolla Giuseppe Maria - ―Prove e inversioni degli oneri probatori
nelle nuove tipologie di accertamento‖
pag. 89
Prof. Comelli Alberto - ―Individuazione e acquisizione di dati rilevanti ai fini
dei nuovi accertamenti sintetici‖
pag. 111
Prof. Corasaniti Giuseppe – ―La tutela cautelare nei gradi successivi al
primo‖
pag. 129
Avv. Corrado Oliva Caterina – ―L‘anomala coesistenza di riscossione
frazionata e sospensione cautelare‖
pag. 143
Avv de‘ Capitani di Vimercate Paolo - ―La cooperazione internazionale in
materia di accertamento e riscossione‖
pag. 155
Prof. Di Pietro Adriano - ―La collaborazione comunitaria nell‘accertamento
e nella riscossione: la tutela del contribuente‖
pag. 187
Prof. Fransoni Guglielmo - ―L‘esecuzione coattiva a carico dei debitori
diversi dall‘obbligato principale‖
pag.189
Prof. Gallo Franco - ―Contraddittorio procedimentale e attività istruttoria‖
pag. 207
Prof. Ingrao Giuseppe “Concentrazione della riscossione nell‘accertamento e
riflessi sull‘insinuazione al passivo fallimentare‖
pag. 223
Prof. La Rosa Salvatore - ―Il riparto delle competenze nella disciplina della
riscossione‖
pag. 235
Prof. Lovisolo Antonio - ―L‘attività accertativa mirata all‘ ―apri e chiudi‖
societario (art.23 l. n. 122/2010) e al ‗mordi e fuggi‘ reddituale‖
pag. 255
Prof. Magnani Corrado - ―La sospensione amministrativa della riscossione
‗concentrata‘‖
pag. 289
Prof. Marini Giuseppe – ―Blocco dei crediti, ordine di pagamento al fisco ed
effettività della tutela giurisdizionale‖
pag. 297
Prof. Marongiu Gianni - ―Le nuove tipologie di accertamento oltre il
sintetico‖
pag. 307
Prof. Melis Giuseppe - ―La disciplina delle notificazioni degli atti ai
soggetti residenti all‘estero‖ …………………………………….. pag. 343
Avv. Mereu Alessandra - "La tutela penale della riscossione tributaria"
pag. 349
Prof. Messina Sebastiano Maurizio – ―I riflessi degli accertamenti esecutivi
sull‘adozione delle misure cautelari pro-fisco‖
pag. 457
Prof. Perrone Leonardo – ―Accertamento sintetico ed obbligo del
contraddittorio‖
pag. 377
Prof. Perrone Capano Raffaele – ―Una lettura costituzionalmente orientata
dell‘attività di accertamento tributario nelle ipotesi di elusione e di abuso del
diritto‖
pag. 477
Prof. Pistolesi Francesco - ―Evoluzione ed abusi nell‘impiego
dell‘accertamento parziale‖
pag. 389
Prof. Salvini Livia – ―Ipotesi di reato tributario e raddoppio dei termini per
l'accertamento"
pag. 399
Prof. Sammartino Salvatore - ―Federalismo fiscale e partecipazione degli
enti locali all‘attività di accertamento‖
pag. 405
Dott. Scuffi Massimo - Magistrato – Atti di accertamento e imposizione
comunitaria (dazi, accise, recupero aiuti di Stato ed agevolazioni in frode)‖
pag. 409
Prof. Vanz Giuseppe - ―La tutela giurisdizionale diretta e immediata contro
le attività di indagine dell‘Agenzia delle entrate e degli agenti della
riscossione‖
pag. 421
Prof. Cesare Glendi
Notifica degli atti “impoesattivi”
e tutela cautelare ad essi correlata (*)
Sommario: 1. Notifica dell‘atto <<impoesattivo>> e immediata tutela
cautelare quali contrafforti di una rinnovata, stringente, dialettica tra
contribuente e Fisco. – 2. Recettizietà dei nuovi atti in cui si concentrano
imposizione ed esazione. – 3. L‘indispensabile intermediazione dell‘agente
della notificazione ed essenzialità della <<relata>> anche per il caso di
notifica a mezzo posta del primo atto <<impoesattivo>>. – 4. Vizi di notifica
degli atti <<impoesattivi>> e ridotte possibilità di sanatoria. – 5. I
quantitativamente diminuiti e qualitativamente diversificati orizzonti di
tutela. - 6. Il diverso atteggiarsi della protezione cautelare. Evoluzioni
legislative e criticità degli assetti sopravvenuti. – 7. La peculiare figura
dell‘istanza cautelare con immediata efficacia sospensiva dell‘esecuzione
prevista dal d.l. n. 70/2011. – 8. Il rinnovato quadro generale dell‘art. 47 del
D. lgs. n. 546/1992 e la sua rinforzata vis expansiva.
1. Notifica dell‘atto <<impoesattivo>> e immediata tutela cautelare quali
contrafforti di una rinnovata, stringente, dialettica tra contribuente e Fisco.
La c.d. concentrazione della riscossione nell‘imposizione, introdotta dal d. l.
n. 78/2010 conv. in l. n. 122/2010, come già si è avuto modo di rilevare (1),
incide profondamente su tutte le problematiche che regolano il doppio
versante dell‘imposizione e della riscossione.
Dato il cumulo di funzioni e di effetti in tal modo realizzato non potrebbe
essere altrimenti.
I riflessi di questo fenomeno di concentrazione, peraltro, si manifestano in
modo eclatante nel momento conclusivo della manifestazione del potere
impositivo ed esattivo, cioè nella notificazione dell‘atto <<impoesattivo>>
(2), quando tale potere impositivo ed esattivo si esteriorizza verso il suo
destinatario, e nel momento iniziale dell‘azione, ove, cioè, a fronte della
notifica di tale atto, coevamente sorge per lo stesso destinatario il potere di
reazione in sede giurisdizionale, che, data appunto la nuova portata dell‘atto
di cui trattasi, è per ciò stesso quasi necessitato ad estrinsecarsi subito nelle
vie cautelari.
E‘ importante cogliere le differenze del nuovo <<habitat>> rispetto a quello
precedente, che, ancora, comunque, sopravvive in attesa di ulteriori
generalizzazioni (3).
La notifica del nuovo atto non si limita a formalizzare la pretesa impositiva;
coevamente la connota anche come pretesa esattiva, suscettibile di dar luogo
a pignoramenti e agli altri atti dell‘esecuzione forzata tributaria.
La notificazione funge, dunque, da spartiacque tra il potere impositivo ed
esattivo, per un verso, e la libertà o la soggezione patrimoniale, per l‘altro.
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
Di conseguenza, la tutela giurisdizionale non riguarda soltanto la debenza,
ma concerne altresì l‘immediata riscuotibilità e il recupero in forma coattiva
della pretesa fiscalmente avanzata.
Al cospetto del potere impositivo ed esattivo in tal modo uno actu esercitato
si profila sempre come imminente la possibile compromissione del diritto
soggettivo all‘integrità del patrimonio del contribuente e affiorano anche i
diritti soggettivi di altri, creditori e terzi, in uno scenario necessariamente
allargato, in cui la stessa tutela cautelare in sede giurisdizionale (4) tende a
diversificarsi, assumendo un ruolo sempre più articolato ed essenziale ai fini
dell‘efficienza dell‘azione costituzionalmente guarentigiata ex art. 24 Cost.
Tutto questo impone un‘abbinata, puntuale, ricognizione degli istituti della
notificazione degli atti, e in specie del nuovo atto ―impoesattivo‖, da un lato,
e della tutela giurisdizionale in via cautelare ad essa correlata, dall‘altro.
2. Recettizietà dei nuovi atti in cui si concentrano imposizione ed esazione.
Occorre soffermarsi, anzitutto, sull‘esegesi del nuovo dato normativo, in
punto notificazione degli atti.
L‘art. 29, 1° comma, del d.l. n. 78/2010, conv. in l. n. 122/2010, non è un
capolavoro di tecnica – legislativa. Basti dire che in esso figurava in origine
(5), per ben otto volte l‘avverbio ―anche‖, inequivoco sintomo di una
voluntas legislativa non ancora ben definita e vagamente indirizzata in conati
disciplinari piuttosto approssimativi.
In questo contesto emergono comunque due dati sufficientemente chiari.
Il primo è che la compenetrazione in parte qua tra accertamento e riscossione
viene formalmente realizzata con l‘introduzione nella struttura dell‘atto
<<impoesattivo>> dell‘<<intimazione ad adempiere all‘obbligo di
pagamento>>, entro il termine di presentazione del ricorso delle somme
intimate e dell‘<<avvertimento che, decorsi trenta giorni dal termine ultimo
per il pagamento, la riscossione delle somme intimate, in deroga alle
disposizioni in materia di iscrizione a ruolo è affidata in carico agli agenti
della riscossione anche ai fini dell‘esecuzione forzata>> (6), mentre la
<<esecutività dell‘atto>> è correlata al decorso di sessanta giorni dalla sua
notificazione (7)
Il secondo dato è che la <<notificazione>> dell‘atto di cui trattasi riveste nel
contesto disciplinare delineato dalla norma in esame un ruolo di componente
costitutiva dell‘intera fattispecie dell‘atto, di cui viene a far parte.
Secondo il testo originario la <<notificazione>> dell‘atto, prima o dopo la
fatidica data del 1° luglio, segnava addirittura il discrimen per l‘applicazione
del vecchio o del nuovo regime.
Ora, non è più così (8). Ma è comunque importante aver ben presente il
quadro complessivo dei termini e degli effetti che ancora si ricollegano alla
<<notifica>> degli atti <<impoesattivi>> (tra i quali, poi, si distingue
l‘avviso di accertamento con valenza esattiva inizialmente emesso e dei
successivi atti rideterminativi degli importi dovuti in base al primo, pur essi
peraltro dotati di forza esecutiva) (9).
12
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
Seguendo il dato legislativo da questa <<notifica>> derivano:
a) il termine (di sessanta giorni o di centocinquanta giorni, in caso di
attivazione del procedimento per adesione, risultato infruttuoso) per
impugnare gli atti <<impoesattivi>> (10);
b) il termine (ancora di sessanta giorni, salvo le modifiche di cui sopra) per il
pagamento degli importi indicati in tali atti, <<ovvero, in caso di tempestiva
proposizione del ricorso, e a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dall‘art.
15 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602>>
(11);
c) il termine (sempre di sessanta giorni salvo le varianti prorogatorie di cui
sopra) per la maggiorazione degli <<interessi di mora nella misura indicata
dall‘articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 602, calcolati a partire dal girono successivo dalla notifica degli
atti>> di cui trattasi (12);
d) il termine (di sessanta giorni tout court) perché detti atti divengano
<<esecutivi>>;
e) il termine (anch‘esso di sessanta giorni ut supra) dopo il quale potrà
comunque essere immediatamente sperimentata la riscossione straordinaria
dell‘intero ammontare delle somme indicate negli atti (compresi interessi e
sanzioni) <<in presenza di fondato pericolo per il positivo esito della
riscossione>>;
f) il termine (di trenta giorni dopo il termine ultimo per il pagamento) per
l‘affidamento della riscossione delle somme richieste <<in carico agli agenti
della riscossione anche ai fini dell‘esecuzione forzata>>, oltre il quale
termine può anche essere concessa la dilazione del pagamento prevista
dall‘art. 19 del d.p.r. n. 602/1973 (13);
g) il termine (di un anno) successivamente al quale l‘espropriazione forzata
non potrà essere iniziata senza essere <<preceduta dalla notifica dell‘avviso
di cui all‘articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 602>> (14).
Emerge prima facie l‘eterogeneità di siffatti termini (basti pensare al termine
per ricorrere rispetto al termine per pagare o per la formazione del titolo
esecutivo e per l‘attivazione della riscossione) di cui peraltro è possibile la
reductio ad unitatem solo e proprio in ragione della loro unitaria riferibilità
alla sola notifica dell‘atto <<impoesattivo>> e ad ogni effettualità ad esso
correlata.
Mette conto soffermare l‘attenzione soprattutto sulla <<novità>> del fatto
che la legge espressamente dice che <<gli atti di cui alla lettera a)>>, vale a
dire tutti gli atti <<impoesattivi>> di cui si sta parlando, <<diventano
esecutivi decorsi sessanta giorni dalla notifica>>.
L‘art. 12, ultimo comma, del DPR n. 602/1973, per contro, non diceva e non
dice così. Prevede, invece, che <<con la sottoscrizione il ruolo diviene
esecutivo>> (15).
Con la nuova disciplina, peraltro, la formazione del titolo non preesiste alla
notifica, ma dipende dalla stessa.
13
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
Questo aspetto è stato giustamente messo in risalto (16), evidenziando come
la littera legis porti ad <<accordare alla vicenda della notifica portata
addirittura costitutiva della natura di titolo esecutivo dell‘avviso di
accertamento>> (17), in ciò, tuttavia, ravvisando una distonia, in quanto,
mentre ai fini della esecutività dell‘atto la notifica avrebbe efficacia
costitutiva e non sarebbe per ciò surrogabile con la sola conoscenza dell‘atto
(18), per quanto attiene all‘atto impositivo e alla sua impugnabilità, stando
alla giurisprudenza della Suprema Corte al riguardo (19), il vizio di notifica
dovrebbe ritenersi sanato per il solo fatto della proposizione tempestiva del
ricorso e la notifica non avrebbe perciò la stessa valenza costitutiva ad essa
assegnata dalla legge ai fini dell‘esecutività dell‘atto.
In realtà, questa divaricazione di effetti non esiste, nessuna distinzione ha
ragione d‘essere e non è dato riscontrare alcuna disarmonia sistematica (20).
Siccome, giusta quanto si è visto, l‘esecutività degli atti di cui trattasi è
essenzialmente compenetrata nell‘impositività degli atti stessi e poiché
dunque tutta la nuova effettualità di tali atti è de lege lata imperniata sulla
notificazione di questi atti, sia pure attraverso vari lassi di tempo, che dalla
notifica comunque dipendono e che senza di essa neppure si producono, tutto
ciò sta inequivocamente a dimostrare che la notificazione degli atti in
questione è pur sempre componente costitutiva degli atti medesimi, i quali si
configurano, pertanto, quali atti recettizi, che si perfezionano e vengono ad
esistenza solo se ed in quanto notificati (21).
La normativa in esame, pur facendo continuo riferimento alla
<<notificazione>> degli atti in esame, non fa esplicito richiamo ad una
specifica disciplina. In particolare, espressamente non dice se occorra far
capo all‘art. 60 del DPR n. 600/1973, piuttosto che ad altre disposizioni di
portata più generale (art. 137 ss. c.p.c.) o particolare (art. 26 d.p.r. n.
602/1973). Poiché, tuttavia, nello stesso art. 29, al 1° comma, sub a), si parla
di <<avviso di accertamento emesso dall‘Agenzia delle Entrate ai fini delle
imposte sui redditi e dell‘imposta sul valore aggiunto>> e di <<connesso
provvedimento di irrogazione delle sanzioni>>, non pare dubbio che la
disciplina di riferimento debba essere quella espressa dall‘art. 60 del DPR n.
600/1973 (22).
3. L‘indispensabile intermediazione dell‘agente della notificazione ed
essenzialità della <<relata>> anche per il caso di notifica a mezzo posta del
primo atto <<impoesattivo>>.
Leggendo attentamente il 1° comma dell‘art. 29 della normativa in esame
emerge anche un altro dato di rilievo in tema di notificazione degli atti di cui
trattasi.
Per meglio evidenziarlo occorre, in sintesi, ricordare come, tra le misure di
conoscenza, la notificazione si distingua dalla comunicazione, in quanto,
nella prima il contatto tra l‘autore dell‘atto e il suo destinatario avviene per il
tramite di un soggetto terzo all‘uopo specificamente abilitato a svolgere
l‘attività di intermediazione fungendo così da vero e proprio agente della
14
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
notificazione, mentre nella comunicazione è lo stesso autore dell‘atto che
contatta il suo destinatario (23).
Com‘è noto, l‘utilizzo del servizio postale non interferisce nella distinzione
succitata, in quanto l‘agente postale opera quale nuncius (24) e ben possono
quindi aversi <<comunicazioni a mezzo del servizio postale>>, quando
l‘utilizzo del servizio postale è fatto direttamente dall‘autore dell‘atto, mentre
si hanno <<notificazioni a mezzo del servizio postale>>, quando a servirsi
del servizio postale sia, non già direttamente l‘autore dell‘atto, bensì l‘agente
della notificazione.
E‘ noto, altresì, che, nonostante la diversità strutturale sopra evidenziata,
poiché il termine <<notificazione>> assume potenzialmente significati
anfibiologici, con la parola <<notificazione>>, genericamente impiegata, è
possibile intendere, tanto la notificazione in senso stretto, quanto la
notificazione in senso lato, comprendente quella che, propriamente, è soltanto
una comunicazione e per la quale, con specifico riferimento ai casi di utilizzo
del servizio postale, comunemente si parla di <<notificazione diretta a mezzo
posta>> per connotare in tal modo come notifica a mezzo posta la
trasmissione per posta fatta direttamente dall‘autore dell‘atto al suo
destinatario (25).
Su questi slittamenti terminologici, è così invalsa la tendenza a ridurre
l‘ambito di applicazione della vera e propria notificazione, ritenendo che in
molti casi in cui la legge parla di notificazione questa espressione non valga a
rendere necessariamente applicabili le disposizioni delle notificazioni vere e
proprie, bastando invece il diretto invio dell‘atto tramite il servizio postale.
Ovviamente, in tal modo, viene favorito l‘autore dell‘atto, mentre
diminuiscono le garanzie di conoscibilità per il destinatario dell‘atto stesso.
In concreto il problema si è posto, a livello interpretativo ed applicativo, con
riferimento all‘art. 14 della l. n. 890/1982.
Detta norma, nella prima parte del 1°comma, espressamente stabilisce che
<<la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere
notificati al contribuente deve avvenire con l‘impiego di plico sigillato e può
eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari>>.
Nella seconda parte dello stesso primo comma, peraltro, si precisa che
<<sono fatti salvi i disposti di cui agli articoli 26, 45 e seguenti del decreto
del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 e 60 del decreto
del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600>>.
Seguendo il consueto criterio di interpretazione sistematica, quindi, se è vero
che, in generale, per le ―notificazioni‖ degli avvisi e degli altri atti finanziari
che per legge devono essere notificati al contribuente è dunque possibile
l‘invio diretto dell‘atto dall‘ufficio al contribuente stesso tramite posta, per la
notifica, in particolare, degli avvisi di accertamento previsti dall‘art. 60 d.p.r.
n. 600/1973, è viceversa, ―fatta salva‖, cioè resa obbligatoria, la speciale
disciplina ivi prevista, che richiede l‘intermediazione dell‘agente della
notificazione, con la precisazione che <<la notificazione è eseguita dai messi
comunali ovvero dai messi speciali autorizzati dall‘ufficio>>, anche tramite
posta, a norma dell‘art. 149 c.p.c., con la redazione comunque di apposita
15
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
relata di notifica, da uno di questi soggetti sottoscritta, essendo questo
disposto normativo sicuramente ricompreso tra le disposizioni di cui alla
parte iniziale del 1° comma dell‘art. 60 e nient‘affatto escluso dalla lettera f)
facente parte di questo stesso primo comma.
Non ostante ciò, senza particolari approfondimenti, la giurisprudenza, salvo
lodevoli eccezioni, tende ad avallare la generalizzata ammissibilità della c.d.
notifica diretta a mezzo posta degli avvisi d‘accertamento (26).
Orbene, se questo è in nuce lo stato della questione con riferimento alla
normativa pregressa, nuovi profili di analisi e d‘inquadramento s‘impongono
alla luce dei dati normativi sopravvenuti.
Come già si è detto, l‘art. 29, 1° comma, della normativa in esame, pur senza
espressa menzione del dato di riferimento, riconduce la disciplina della
notifica degli avvisi di accertamento con valenza esecutiva nell‘ambito
dell‘art. 60 del DPR n. 600/1973. Per quanto, invece, concerne <<gli atti
successivi da notificare al contribuente>>, che non sono propriamente gli
avvisi di accertamento, di cui anzi presuppongono la previa esistenza e
notificazione, vien detto espressamente che essi possono essere notificati al
contribuente anche <<mediante raccomandata con avviso di ricevimento>>
(27).
La disposizione non avrebbe letteralmente senso se fosse vero che per ogni
atto finanziario sarebbe sempre consentita la notifica diretta per posta.
Assume viceversa un doppio rilevante significato alla luce della corretta
interpretazione dell‘art. 14 della l. n. 890/1982, che si è appena ricordata. In
quanto, da un lato, viene in tal modo espressamente riconosciuto che
l‘utilizzo della notifica diretta per posta è possibile per gli atti rideterminativi
degli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento (eliminando il dubbio
che ad essi potesse essere applicata la prima parte del 1° comma dell‘art. 14 l.
cit., atteso che, in effetti, pur non essendo detti avvisi veri e propri avvisi di
accertamento, con la nuova disciplina ad essi comunque viene attribuita una
valenza esecutiva come all‘atto <<impoesattivo>> originale), dall‘altro lato,
inequivocamente, si riafferma e si ribadisce che la notifica diretta per posta
non vale invece per i veri e propri atti impoesattivi originari, per i quali la
notifica dev‘essere necessariamente fatta tramite i messi notificatori di cui
all‘art. 60 del d.p.r. n. 600/1973.
In verità, sarebbe stato preferibile che la legge, pure per gli atti
rideterminativi degli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento
precedentemente notificati, avesse sempre imposto la vera e propria notifica
tramite agenti della notificazione, vietando l‘utilizzo della notifica diretta a
mezzo posta (28).
Quel che, in ogni caso, deve risultare ben chiaro è che la norma, in tal modo,
ha comunque certamente voluto escludere l‘ammissibilità dell‘invio diretto
per posta del primo avviso di accertamento con valenza esecutiva proprio in
ragione della sua prioritaria portata effettuale con diretta incidenza sul
versante dell‘esecuzione coattiva, che postula in ogni caso l‘esistenza di una
notifica ritualmente effettuata di tale atto, consacrata da una relata di notifica
16
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
redatta a norma di legge, con valenza probatoria sino a querela di falso (29),
in grado di assicurare quanto più possibile l‘effettiva conoscenza dell‘atto
stesso da parte del destinatario, in tal modo preservando lo stesso ufficio da
contestazioni future che, sul versante dell‘esecuzione, stante l‘invasione
patrimoniale conseguente, l‘espongono a conseguenze, non soltanto
restitutorie, ma risarcitorie, per danni illecitamente causati ove le notifiche
vengano poi riconosciute giuridicamente inesistenti o nulle (30).
4. Vizi di notifica degli atti <<impoesattivi>> e ridotte possibilità di
sanatoria.
Quanto sopra rilevato impone altresì di rivedere la problematica delle
patologie della notificazione degli atti con specifico riferimento alla nuova
figura dell‘atto <<impoesattivo>>.
Com‘è noto, in oggi, non ostante fermi dissensi in dottrina (31), risalenti
contrasti in apicibus (32) e mantenute dissonanze tra i giudici di merito (33),
l‘orientamento della Suprema Corte risulta appiattito nel ritenere che il vizio
della notifica dell‘atto finanziario impugnato, non ostante l‘ormai
riconosciuta sua natura sostanziale e non processuale, si risolva in una nullità
sanabile attraverso l‘a proposizione del ricorso contro l‘atto stesso davanti al
giudice tributario, in quanto sintomatica del raggiungimento del suo scopo,
ravvisato nell‘essere stato messo il destinatario a conoscenza del suo
contenuto e quindi in grado di reagire conto di esso (34), salvo che il
denunziato vizio non assurga a giuridica inesistenza della notifica (35) e
sempre che non siano intervenute decadenze (36), fermo in ogni caso
restando che le nullità di notifica sanabili sono soltanto quelle relative alla
notifica dell‘atto impugnato e non quelle relative alla notifica dell‘atto
prodromico (37), essendo in quest‘ultimo caso configurabile, ex art. 19,
ultimo comma, D. lgs. n. 546/1992, una sorta di sanatoria del genere solo a
seguito della facoltativa estensione della proposta azione d‘impugnazione
allo stesso atto prodromico presupposto (38).
Questo assetto disciplinare, come appena sintetizzato, stride ora e appare
assolutamente incompatibile con la natura e la funzione del nuovo atto
<<impoesattivo>> e con il suo inserimento nel sistema del prelievo.
La già rilevata recettizietà di questo nuovo atto comporta necessariamente
che il vizio della notifica non esaurisca i propri effetti nella sola notifica, ma
si estenda inevitabilmente all‘atto di cui la notifica è parte, non assolvendo
questa soltanto ad una funzione, astrattamente autonoma, di trasmissione di
un atto già perfezionato, ma contribuendo essenzialmente al perfezionamento
dell‘atto stesso. Il nuovo atto <<impoesattivo>> ha, come già si è detto, una
pluridirezionalità effettuale e una diversità di funzioni, che rende impossibile
una sanatoria per raggiungimento dello scopo. Non serve soltanto a dare
accesso all‘impugnativa del contribuente. Apre le porte, in quanto titolo
esecutivo e atto di precetto, all‘azione esecutiva e al pignoramento da parte
dell‘agente della riscossione. Se dunque già era impervio ritenere che lo
scopo della notificazione potesse essere quello di consentire al destinatario di
proporre ricorso, ancora più assurdo, ed anzi impossibile, è ora pensare che lo
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
scopo della notificazione possa considerarsi quello di provocare
l‘opposizione all‘esecuzione. Se, non ostante la sua immeritata longevità, la
formula della provocatio ad opponendum, rispetto ai ricorsi relazionati ai
vecchi avvisi di accertamento, non ha più senso (39), tanto meno può aver
senso l‘idea della notificazione dell‘atto <<impoesattivo>> quale
provocazione ostativa all‘esecuzione forzata.
D‘altro lato, venendo meno la graduazione diacronica tra imposizione ed
esazione, come precedentemente scandita e rappresentata nello stesso art. 19
D. lgs. n. 546/1992 viene a risultare notevolmente ridimensionato quanto si è
detto circa la distinzione tra sanatoria del vizio di notifica, in caso di
impugnazione diretta dell‘atto (impositivo), e deducibilità di tale vizio, nel
caso, invece, d‘impugnazione dell‘atto successivo, perché basata sul
presupposto di una valida notifica viceversa inesistente o invalidamente
effettuata (40).
In questo mutato assetto disciplinare il vizio della notificazione non può
dunque che ridondare in vizio dell‘atto e come tale resta deducibile come
motivo di invalidità dell‘atto stesso, in ordine al quale il giudice tributario
non potrà che pronunciarsi in termini di esistenza o meno del vizio della
notificazione e dell‘atto, senza più potersi servire del commodum discessus
della sanatoria per raggiungimento dello scopo del solo vizio di notifica per
evitare la decisione sul punto.
Da parte dell‘ufficio l‘unico modo di evitare il rischio del giudizio
sull‘invalidità della notifica e dell‘atto, sarà quello, un tempo normativamente
sancito (41) , ma oggi sicuramente ancora fruibile, in quanto rientrante nel
generale potere di autotutela, di rinotificare l‘atto, ancorché impugnato, salvo
eventuali decadenze e con tutti i corollari applicativi del caso, tra i quali in
primis l‘improcedibilità dell‘iter esattivo con l‘affidamento in carico, o il
venir meno dell‘esecuzione forzata tributaria, se già iniziata.
Infine, la stessa figura della giuridica inesistenza della notificazione, pur
sempre residualmente configurabile, come sopra si è visto (con riferimento
alla mancanza di intermediazione dell‘agente della notificazione e/o di relata
di notifica inesistente e/o non sottoscritta, ma pure in ipotesi di relata di
notifica falsa, materialmente o ideologicamente, o di consegna dell‘atto a
soggetto privo di ogni riferimento con il destinatario dell‘atto), potrà
atteggiarsi in diverse maniere.
Non più soltanto quale ipotesi di esclusione
della sanatoria per
raggiungimento dello scopo olim individuata nel solo fatto dell‘essere stato
proposto ricorso alla Commissione tributaria, ma pure quale via di accesso ad
altre forme di tutela destinate inevitabilmente ad estendersi oltre il cerchio
della giurisdizione tributaria e delle situazioni di interesse legittimo che ne
formano oggetto, aprendosi così alla giurisdizione ordinaria e alla sfera dei
diritti soggettivi, che risentono dell‘esecuzione forzata tributaria, ancorché
avente natura essenzialmente amministrativa (42), trovando una qualche, pur
circoscritta, protezione, entro gli angusti varchi delle opposizioni di cui
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
all‘art. 57 del DPR n. 602/1973 o attraverso l‘azione di risarcimento danni
esercitabile ex art. 59 d.p.r. cit. o, più in generale, ex art. 2043 cod. civ.
5. I quantitativamente diminuiti e qualitativamente diversificati orizzonti di
tutela.
Con quanto appena si è detto si è già oltrepassata la problematica del
trattamento dei vizi di notifica entrando in quella dei mezzi di tutela, che, non
è difficile intuire, a seguito della nuova disciplina, risultano
quantitativamente minori e si presentano comunque qualitativamente
diversificati rispetto a prima.
Il deficit quantitativo di tutela è di tutta evidenza.
Non v‘è più una iscrizione a ruolo e una cartella contro cui esperire
l‘impugnativa davanti al giudice tributario. Il venir meno di un atto
autonomamente impugnabile non può che indebolire gli strumenti di reazione
del contribuente. Quando venne abolito l‘avviso di mora, quale atto finale
necessitato prima dell‘ingresso nell‘esecuzione forzata tributaria, si era
provocatoriamente posto l‘interrogativo di un ritorno al solve et repete (43).
Il dubbio, questa volta, sembra sia venuto addirittura allo stesso legislatore,
dato quanto enunciato, a livello programmatico, nell‘art. 7, comma 1, lett. m),
del d. l. 31 maggio 2011, n. 70, dove, infatti, si parla di <<attenuazione del
principio del ―solve et repete‖>> (44).
In realtà il solve et repete, tecnicamente parlando, non ha nulla a che vedere
con questa disciplina (45).
Sta di fatto che ormai, dopo la mancata o invalida notifica dell‘atto
<<impoesattivo>>, salva l‘eventuale inerzia dell‘agente della riscossione
protratta oltre l‘anno, che richiede la notifica di un atto d‘intimazione di
pagamento prima del pignoramento, vi è di regola proprio e solo il
pignoramento stesso.
Quid iuris allora, volendo reagire a fronte della mancanza e/o giuridica
inesistenza e/o invalidità della notifica dell‘atto <<impoesattivo>>?
Le soluzioni prospettabili sembrerebbero le seguenti: pagare e ripetere (46),
ovvero impugnare il pignoramento davanti al giudice tributario (47), o
impugnare davanti a questo l‘atto <<impoesattivo>>, in quanto affetto da vizi
di notifica idonei a legittimare la rimessione in termini di una impugnativa
altrimenti tardiva, onde ottenerne l‘annullamento (48), o, ancora, proporre
opposizione esecutiva (49), e/o, infine, intentare causa per danni nei confronti
dell‘ente impositore, ovviamente, essendo l‘agente della riscossione messo al
riparo dall‘avvenuta scomparsa della notifica della cartella di pagamento
(50).
Com‘è ovvio, tutte le vie indicate presentano difficoltà di accesso e
impervietà di esiti.
Senza che sia qui il caso di farne analitiche rivisitazioni, sembra importante
segnalare un dato di elementare evidenza e delineare quindi la possibilità di
percorsi di tutela differenziati.
Il dato emergente è che la scomparsa della cartella di pagamento e del
sottostante ruolo non si può equiparare alla scomparsa dell‘avviso di mora,
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
dato il diverso spessore sostanziale degli atti soppressi e il loro variato tasso
d‘incidenza sul contribuente.
Tenendo conto di questo occorre dunque distinguere.
Se il vizio della notifica dell‘atto <<impoesattivo>> rientra nel novero dei
vizi normativamente deducibili attraverso l‘impugnativa davanti al giudice
tributario, sarà giocoforza ammettere la via del ricorso alle commissioni,
contro tale atto e per tale motivo, gravando l‘esistenza o meno del vizio di
notifica anche sul versante dell‘ammissibilità o meno del ricorso stesso, oltre
che sul piano della legittimità dell‘atto medesimo in quanto non ritualmente
notificato (51).
Qualora, invece, la notifica dell‘atto <<impoesattivo>> non vi sia stata
proprio, cioè sia materialmente inesistente, ovvero sia giuridicamente
inesistente (come nei casi sopra ricordati di notifica falsa o di consegna
dell‘atto a soggetto privo di ogni collegamento con il destinatario), non
sembra possa escludersi anche l‘accesso al giudice ordinario attraverso
l‘opposizione agli atti esecutivi di cui all‘art. 57, 12° comma, lett. b), del
DPR n. 602/1973.
Vero è che l‘art. 57, 1° comma, alla lett. a), non ammette nell‘esecuzione
forzata tributaria l‘opposizione all‘esecuzione (a parte quella particolarissima
forma di opposizione all‘esecuzione con la quale si contesta la pignorabilità
dei beni) e neppure consente, sub b), <<le opposizioni regolate dall‘articolo
617 del codice di procedura civile relativamente alla regolarità formale ed
alla notificazione del titolo esecutivo>>. E‘ altrettanto vero, peraltro, che, nel
momento stesso in cui la norma esclude le opposizioni relative alle
notificazioni del titolo esecutivo, complementarmente postula che la
notificazione del titolo esecutivo vi sia stata, perché, in mancanza, v‘è
soltanto un atto esecutivo, a cominciare dal pignoramento, privo di titolo e
perciò invalido.
Nei casi, quindi, di materiale carenza di notifica dell‘atto <<impoesattivo>>
o di giuridica inesistenza di siffatta notificazione, è da ritenere ammissibile
anche l‘opposizione agli atti esecutivi, con la conseguente applicabilità della
relativa normativa di riferimento (52).
In ogni caso, sussiste la possibilità della tutela risarcitoria, in quanto
l‘esecuzione sine titulo costituisce illecito e il danno da illecito è risarcibile.
Non, tuttavia, solo a norma dell‘art. 59 del d.p.r. n. 602/1973, che riguarda
specificamente l‘azione risarcitoria per i danni causati dall‘agente della
riscossione con il compimento dell‘esecuzione, bensì, anche prima, attraverso
la normale azione risarcitoria ex art. 2043 cod. civ., che, tra l‘altro, non
postula il previo compimento dell‘esecuzione forzata (53).
Ecco perché la rigorosa osservanza delle norme sulla notificazione degli atti
<<impoesattivi>> non interessa soltanto il contribuente, ma deve, ancor più
oggi, fortemente, preoccupare lo stesso ente impositore, che, prima di avviare
l‘affidamento in carico agli agenti della riscossione, resta onerato della
verificazione della ritualità della notificazione dell‘atto <<impoesattivo>>,
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
proprio ed anche in relazione alle responsabilità che ad esso possano derivare
a livello risarcitorio (54).
6. Il diverso atteggiarsi della protezione cautelare. Evoluzioni legislative e
criticità degli assetti sopravvenuti.
In questo nuovo assetto della tutela giurisdizionale, parametrato alla figura
dell‘atto <<impoesattivo>>, emerge chiarissimo il diverso ruolo dell‘azione
cautelare (55).
Risultando il momento della riscossione anticipato e, per così dire,
incorporato in un solo atto, dotato di vis esattiva, assieme a quella impositiva,
anche la tutela giurisdizionale, per corrispondere appieno ai connotati
funzionali, e costituzionalmente protetti, dell‘effettività e dell‘immediatezza,
non può che essere indirizzata in limine ad evitare che il ritardo
dell‘emananda pronuncia sull‘azione impugnatoria di tale atto ne vanifichi
l‘esito, consentendo quindi al ricorrente di fruire di una sospensione
dell‘esecuzione dell‘atto a fronte del fumus boni iuris e del periculum in
mora, risultando ormai in re ipsa l‘attualità del pregiudizio (56).
Tutto questo attribuisce una nuova veste all‘art. 47 del D. lgs. n. 546/1992.
Prima, peraltro, di scendere in dettagli, è necessario rivisitare il percorso
legislativo, per certi versi addirittura stravagante, che ha caratterizzato il
susseguirsi delle modificazioni disciplinari via via introdotte, con alterne
fortune, riguardo alla tutela cautelare al sorgere e al progressivo sedimentarsi
della nuova figura dell‘atto impoesattivo.
Nell‘originaria formulazione del D.L. n. 78/2010, accanto all‘art. 29, recante
<<concentrazione della riscossione nell‘accertamento>>, l‘art. 38,
riguardante <<altre disposizioni in materia tributaria>>, nel comma 9, sub a),
aveva modificato l‘art. 47 del D. lgs. n. 546/1992, riducendo drasticamente a
centocinquanta giorni il termine massimo di efficacia della sospensione
cautelare concessa dal giudice (57).
Come non si era mancato di far immediatamente notare (58), l‘innovazione,
ancorché dallo stesso legislatore apportata <<al fine di accelerare la
riscossione>>, in realtà snaturava l‘essenza stessa della tutela cautelare, che è
strumentale al giudizio sulla domanda e non può quindi essere avulsa da
questa, attraverso una contrazione automatica della sua efficacia, in funzione
protettiva di questo giudizio al quale è necessariamente correlata (59).
L‘intrinseca irrazionalità della limitazione temporale in tal modo introdotta
era dunque tale da urtare contro il principio di razionalità sancito dall‘art. 3
Cost., ancor prima che con l‘art. 24 Cost., il quale garantisce in termini di
effettività il diritto d‘azione, e con l‘art. 111 Cost., che, nell‘imporre la
salvaguardia di una <<ragionevole durata del processo>>, non solo, come
solitamente vien detto, vieta l‘eccessiva durata del processo, ma rende
costituzionalmente illegittima anche ogni previsione normativa tendente a
ridurre i tempi necessari perché la tutela giurisdizionale possa adeguatamente
svolgersi.
Non ostante qualche timido tentativo di salvataggio prospettato in dottrina
(60), ed anche grazie ad una pregevolissima pronuncia della Corte
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
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costituzionale nelle more provvidenzialmente intervenuta (61), in sede di
conversione con l. 122/2010 l‘assurda disposizione è stata soppressa (62),
lasciando quindi spazio aperto al normale operare della tutela cautelare così
come generalmente disciplinata per il processo tributario dall‘art. 47 del D.
lgs. n. 546/1992.
Con il recente d. l. 13 maggio 2011, n. 70, ormai giornalisticamente
qualificato come ―decreto sviluppo‖, è stata, peraltro, apportata una modifica
vólta ad ulteriormente potenziare la ―copertura cautelare‖ attorno ai nuovi atti
impoesattivi.
Come già si è accennato, nell‘art. 7, comma 1, della lett. m), in vista di una
enunciata <<attenuazione del principio del ―solve et repete‖>>, si è
generalmente previsto che, <<in caso di richiesta di sospensione giudiziale
degli atti esecutivi non si procede all‘esecuzione fino alla decisione del
giudice e comunque fino al centoventesimo giorno>>, mentre, nel secondo
comma, <<in funzione di quanto previsto al comma 1>>, si è, <<in
particolare>>, disposto che al comma 1, dell‘art. 29 del d.l. n. 78/2010, così
come conv. con l. n. 122/2010, venga aggiunta, dopo la lett. b, una ―lettera b
– bis‖, nella quale testualmente vien detto che, <<in caso di richiesta, da parte
del contribuente, della sospensione dell‘esecuzione dell‘atto impugnato ai
sensi dell‘articolo 47 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546,
l‘esecuzione forzata di cui alla lettera b) è sospesa fino alla data di
emanazione del provvedimento che decide sull‘istanza di sospensione e, in
ogni caso, per un periodo non superiore a centoventi giorni dalla data di
notifica dell‘istanza stessa>>, con l‘ulteriore precisazione, contenuta in
apposito secondo periodo, che <<la sospensione di cui al periodo precedente
non si applica con riguardo alle azioni cautelari e conservative, nonché ad
ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del contribuente>>.
Da ultimo, stando almeno alle informazioni giornalisticamente diffuse (63)
sembrerebbe che addirittura il termine di centoventi giorni venga protratto a
180 giorni (o a 210 giorni).
Questi dati normativi alimentano specifiche criticità, in quanto incidono in
modo peculiare sull‘innesto della tutela cautelare nel quadro operativo dei
nuovi atti impoesattivi e, d‘altro lato, comportano ulteriori significative
ricadute sulla disciplina della tutela cautelare generalmente prevista dall‘art.
47 del D. lgs. n. 546/1992.
7. La peculiare figura dell‘istanza cautelare con immediata efficacia
sospensiva dell‘esecuzione prevista dal d.l. n. 70/2011.
Bisogna dunque preliminarmente riflettere sulla peculiare portata di queste
recentissime innovazioni legislative.
Come già accennato, parlare di <<attenuazione del principio del solve et
repete>> non è tecnicamente corretto, sembrando addirittura improprio
parlare di <<principio>>, anziché di <<congegno>>, o, a tutto concedere,
d‘istituto, a tale riguardo. Nella sua improprietà il richiamo fatto comunque
esprime efficacemente l‘intentio legis di una procrastinazione delle
22
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
conseguenze immediatamente solutorie o esattive e di una meglio garantita
possibilità di un accesso giurisdizionale contro gli atti impoesattivi con effetti
immediatamente sospensivi.
A livello tecnico, il dato di maggior spicco consiste nell‘attribuzione ex lege
di una efficacia sospensiva dell‘<<esecuzione forzata di cui alla lettera b)>>
del comma 1 dell‘art. 29 del d.l. n. 78/2010 conv. in l. n. 122/2010,
direttamente collegata alla notifica dell‘istanza della <<richiesta>> o
<<istanza>> <<della sospensione dell‘esecuzione dell‘atto impugnato ai
sensi dell‘articolo 47 del decreto legislativo 30 settembre 1992, n. 546>>
(64).
Trattandosi di un effetto legale, lo stesso si produce per il solo fatto della
notificazione della <<richiesta>> o <<istanza>> di sospensione ex art. 47 d.
lgs. n. 546/1992, e questo, com‘è chiaro, comporta di per sé un
indiscriminato risultato ―sospensivo‖ per il richiedente o instante, tale da
incoraggiare di per sé la notifica di siffatta istanza o richiesta,
indipendentemente dall‘esito, con gravi ricadute sull‘assetto della fase
iniziale dei giudizi destinata ad una pressoché inevitabile scansione in una
prima adunanza camerale sull‘istanza cautelare ed una successiva trattazione
del merito (65).
Fermo quanto appena detto, è comunque importante circoscrivere l‘esatto
ambito di operatività della disposizione, sia con riferimento all‘oggetto
dell‘effetto sospensivo, sia in relazione alla data di inizio e al momento finale
di questa particolare sospensione.
Quanto all‘oggetto, occorre segnalare che non si tratta propriamente di
un‘anticipazione al momento iniziale del procedimento cautelare degli effetti
a cui dà luogo il provvedimento che lo conclude. La legge, a ben vedere,
mantiene la distinzione tra l‘oggetto della sospensione giudiziale ex art. 47 d.
lgs. n. 546/1992, che concerne gli <<atti esecutivi>> ovvero <<l‘esecuzione
dell‘atto impugnato>> rispetto all‘oggetto della sospensione legale correlata
alla notificazione dell‘istanza o richiesta di sospensione giudiziale che
riguarda il <<procedere all‘esecuzione>> o più propriamente <<l‘esecuzione
forzata di cui alla lett. b) dell‘art. 29, 1° comma, del d.l. n. 78/2010 conv. in l.
n. 122/2010>>. In altre parole, ciò che resta sospeso ex lege è soltanto
l‘ordinario affidamento <<in carico della riscossione agli agenti della
riscossione anche ai fini dell‘esecuzione forzata>>, di cui per l‘appunto parla
la lett. b) dell‘art. 29, 1° comma, D.L. n. 78/2010 conv. in l. n. 122/2010,
restando invece esclusa dall‘effetto legale di cui trattasi la riscossione
―straordinaria‖ prevista dalla lett. c) dell‘art. 19, 1° comma, cit., <<in
presenza di fondato pericolo per il positivo esito della riscossione>> (66) ed
essendo stata fatta, inoltre, specificamente salva la possibilità di accedere,
senza vincoli di sospensione ex lege, alle azioni cautelari e conservative e ad
ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore (67).
Riguardo al termine iniziale, esso è precisamente indicato nella <<notifica>>
della <<richiesta>> o <<istanza>> della domanda di sospensione cautelare ex
art. 47 d. lgs. n. 546/1992 e il dato legislativo alimenta non poche difficoltà di
univoca determinazione sul piano applicativo. Si pone, anzitutto, il dubbio se
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
sia sufficiente il solo invio della <<richiesta>> o <<istanza>> all‘ufficio o sia
necessario anche il <<deposito>> presso la segreteria del giudice adito (68).
Si prospetta, inoltre, qualche elemento d‘incertezza per l‘ipotesi che la
<<notifica>> sia fatta tramite ufficiale giudiziario o per posta, specificamente
riguardo alla precisa individuazione del momento iniziale, nel solo fatto della
consegna della richiesta o istanza all‘ufficiale giudiziario o nella spedizione
tramite posta, e non anche all‘atto del ricevimento della richiesta o istanza da
parte dell‘ufficio (69). Infine, parlando la nuova legge di <<richiesta>> o
<<istanza>>, poiché l‘art. 47, 1° comma, d. lgs. n. 546/1992 espressamente
prevede che l‘una o l‘altra possano essere contenute nel <<ricorso>> ovvero
in <<atto separato notificato alle altre parti e depositato in segreteria secondo
le disposizioni di cui all‘articolo 22>> (70), nulla vieta che detta richiesta o
istanza possa essere postergata rispetto alla proposizione del ricorso iniziale,
con il consequenziale spostamento nel tempo dell‘effetto sospensivo che ne
deriva ex lege (71).
Per quanto concerne il momento terminale dell‘effetto legale sospensivo di
cui trattasi, la nuova legge lo colloca <<fino alla decisione del giudice e
comunque fino al centoventesimo giorno>> (72) ovvero <<fino alla data di
emanazione del provvedimento che decide sull‘istanza di sospensione e, in
ogni caso, per un periodo non superiore a centoventi giorni dalla notifica
dell‘istanza stessa>> (73). A parte la non perfetta coincidenza tra i due testi
(74), non è del tutto chiara la determinazione del momento finale
dell‘efficacia sospensiva legale. Non ostante l‘impiego della particella <<e>>
tra i due momenti finali del provvedimento che decide sull‘istanza e del
decorso di centoventi giorni dalla notifica dello stesso (75), non sembra che
questa particella possa avere un significato cumulativo, che non avrebbe
d‘altronde assolutamente senso, riuscendo difficile comprendere il protrarsi
dell‘efficacia sospensiva legale ancorata alla sospensione giudiziale qualora
la stessa abbia già sortito esito negativo, dovendosi viceversa attribuire a
questo contesto letterale il significato espressivo di un‘alternativa
condizionata, nel senso che la sospensione legale opera per centoventi giorni
dalla data di notifica dell‘istanza quale termine massimo, ma sol se, ed in
quanto, non sia nel frattempo intervenuta l‘emanazione del provvedimento
giurisdizionale sull‘istanza stessa, sia esso di accoglimento (nel qual caso
subentra l‘effetto sospensivo giudiziale) o di rigetto (nel qual caso viene a
cadere anche l‘effetto sospensivo legale) (76). Ovviamente, quanto al termine
massimo di centoventi giorni, essendo parametrato alla <<notifica>>
dell‘istanza di sospensione giudiziale, sconta anch‘esso tutte le incertezze
individuative che già si sono evidenziate in proposito (77). Riguardo, invece,
al termine di chiusura correlato all‘<<emanazione del provvedimento che
decide sull‘istanza di sospensione>>, è da ritenere che per <<emanazione>>
(78) debba più propriamente intendersi l‘inserimento nel processo verbale, se
pronunciato in udienza, o, altrimenti, nella scrittura in calce al processo
verbale o in foglio separato munito della data e della sottoscrizione del
presidente, secondo quanto disposto dall‘art. 134 c.p.c. (79), laddove il
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
richiamo fatto al <<provvedimento che decide sull‘istanza di sospensione>>
può far sorgere il dubbio sulla sua identificabilità o meno anche nel solo
provvedimento presidenziale previsto dall‘art. 47, 3° comma, d. lgs. n.
546/1992, stante la natura provvisoria di tale provvedimento, che necessita in
ogni caso di un suo completamento attraverso la pronuncia collegiale di cui al
4° comma della norma citata (80).
Con tutte le complicazioni interpretative che si sono viste, emerge in
definitiva, un quadro complessivo di forte, fors‘anche ultroneo,
potenziamento dell‘apparato cautelare a fronte degli atti <<impoesattivi>>,
che a prescindere da ogni perplessità sull‘opportunità del suo mantenimento
in vita (81), rende necessario, in ogni caso, un rinnovato approfondimento sul
generale impianto della tutela cautelare approntato dall‘art. 47 del d. lgs. n.
54671992.
8. Il rinnovato quadro generale dell‘art. 47 del D. lgs. n. 546/1992 e la sua
rinforzata vis expansiva.
Dopo l‘immersione nella ―nuovissima‖ normativa che, come si è visto,
specificamente richiama l‘art. 47 del d. lgs. n. 546/1992, è importante
conclusivamente tornare a questa disposizione, che contiene la generale
disciplina della tutela cautelare nel processo tributario (82), rivalutandone la
portata alla luce di tutte le novità sopra esaminate.
Il dato di fondo è che, senza dubbio, l‘importanza e la funzione di questa
generale disciplina ne riescono rinforzate, anche e proprio in relazione al suo
ruolo di cruciale presidio della tutela giurisdizionale rispetto alla particolare
figura degli atti impoesattivi con la quale interagisce in termini d‘intensa
reciprocità.
I tratti più significativi sono d‘immediato riscontro.
Già si è visto come a fronte degli atti impoesattivi l‘attualità del pregiudizio
è, per così dire, in re ipsa.
Non occorrerà più attendere alcun atto esecutivo futuro, che infatti c‘è già. Il
legame tra fumus boni iuris e periculum in mora diventa ancora più stretto e
indissolubile (83). Viene meno ogni frazionamento tra <<imposizione>> ed
<<esazione>> e cade ogni più o meno artefatta frazionabilità di ruoli e di
ogni diversificata scansione diacronica rispetto ad un danno grave ed
irreparabile ormai unitariamente atteggiato a fronte di motivi pur essi
complessivamente dedotti (84).
L‘atto di impulso, come già pure si è visto, risulta particolarmente rafforzato,
proprio in funzione della particolare natura degli atti impoesattivi. La
possibilità di regolarne la proposizione, anche al di fuori del ricorso
introduttivo del giudizio, in tempi diversi, se strumentalmente utilizzata
potrebbe determinare livelli protettivi persino eccessivi (85).
Lo stesso strumento della tutela cautela inaudita altera parte a fronte degli
atti impoesattivi e della particolare disciplina della tutela cautelare ad essi
commisurata viene ad offrire nuove prospettive d‘impiego. Se, da un lato,
contrariamente a quanto si è comunque opportunamente suggerito (86), non
potrà certo risolvere il problema del pronosticabile affollamento d‘istanze
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
cautelari determinato dalla prevista fruibilità dell‘effetto legale di
sospensione dell‘esecuzione forzata, anche a prescindere dall‘esito del
provvedimento cautelare, dall‘altro lato potrebbe forse costituire un utile
strumento per rimediare alla scadenza del termine massimo di centoventi
giorni dalla notifica dell‘istanza, ove non sia possibile la normale attivazione
della seduta camerale, in quanto il rischio del superamento di questa soglia
potrebbe integrare, pur con qualche forzatura, gli estremi dell‘eccezionale
urgenza e, d‘altro lato, la concessione, sia pure interinale della sospensione,
potrebbe consentire la conversione dell‘effetto sospensivo ex lege in un
effetto sospensivo giudiziale, ancorché provvisorio, dell‘esecuzione (87).
Infine, la scomparsa di un titolo esecutivo tout court e l‘individuazione
unitaria del titolo del potere impositivo ed esattivo nell‘atto impoesattivo di
cui trattasi comporta il tendenziale mantenimento di questa essenziale unità
lungo tutto lo svolgimento del processo, Il che, da un lato, dovrebbe
accelerare il venir meno della riscossione frazionata, anche oltre il primo
grado (88), dall‘altro non può non può più nemmeno far dubitare che la
sentenza dei giudici tributari possa considerarsi titolo esecutivo, essendo
invece titolo impositivo e titolo esecutivo concentrati in un solo atto di natura
sostanziale, qual è l‘atto impoesattivo di cui trattasi, in cui, oltretutto,
rifluisce anche il provvedimento irrogativo di sanzioni (89), con la logica
conseguenza che non ha più letteralmente senso una disciplina differenziata
tra primo e secondo grado, dell‘atto impoesattivo e del provvedimento
sanzionatorio, quanto alla tutela cautelare, la cui vis expansiva ormai
dev‘essere anzi estesa a tutto il sistema delle impugnazioni, quale strumento
essenziale di garanzia dell‘effettività della tutela giurisdizionale anche oltre il
primo grado, a prescindere dai tortuosi itinerari sinora faticosamente praticati
dalla Corte costituzionale al riguardo (90).
Cesare Glendi
NOTE
(*) Lo scritto trae origine dalla relazione introduttiva <<Nuove valenze della
notifica degli atti e della tutela cautelare>> predisposta per il (ed oralmente
illustrata per excerpta nel) Convegno su <<La concentrazione della
riscossione nell‘accertamento>>, tenutosi nel Teatro Ariston di Sanremo
nelle giornate del 3 – 4 giugno 2011 a cura della Fondazione Antonio
Uckmar per la serie de <<I ―venerdì‖ di diritto e pratica tributaria>>.
(1) C. Glendi, <<Luci>> e <<ombre>> sulla Manovra 2010, in Corr. trib., n.
33/2010, pag. 2645 ss.
(2) Il neologismo non può dirsi elegante. Ma esprime icasticamente la
speciale categoria di atti nei quali appaia coniugata la diversa funzione
dell‘imposizione e dell‘esazione (con la doppia specificazione della
formazione del titolo esecutivo e del precetto), con una lieve prevalenza della
prima, di proposito lessicalmente anticipata, fermo restando la coessenzialità
di tutte in un simplegma inscindibile. L‘espressione, d‘altro lato, è più
completa rispetto a formule, ricorrenti, come quelle di <<accertamento
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
esecutivo>> o di <<avvisi di accertamento esecutivi>>, che mal designano
atti che non possono propriamente dirsi di accertamento e che riducono alla
sola esecutività la più articolata e complessa figura dell‘esazione, così da non
mostrare adeguatamente tutti i connotati della categoria degli atti che vi
s‘intendono rappresentare.
(3) La nuova disciplina, infatti, presenta in oggi limiti temporali ed oggettivi,
non tutti ancora precisamente delineati, in ordine ai quali v., al momento, A.
Carinci, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex D.
L. n. 78/2010, in Riv. dir. trib., n. 2/2011, I, pag. 159 ss. e, in specie, a pag.
162 ss., nonché A. Giovannini, Riscossione in base al ruolo e agli atti
d‘accertamento, in Rass. trib., n. 1/2011, pag. 22 ss. La progressiva
estensione della nuova disciplina ad altre tipologie di atti (in particolare,
liquidativi) e ad altri tributi (doganali, sui trasferimenti, ecc.) o ad altre
entrate, oggi riscuotibili a mezzo ruolo, in genere, è stata peraltro
espressamente prefigurata nell‘art. 29, comma 1, lett. h, del d. l. n. 78/2010
conv. in l. n. 122/2010, attraverso <<uno o più regolamenti da adottare ai
sensi dell‘art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 anche in
deroga alle norme vigenti>>,
(4) La specificazione è importante perché la nuova disciplina attribuisce
un‘effettualità tutt‘affatto diversa alla c.d. sospensione amministrativa della
riscossione ex art. 39 del d.p.r. n. 602/1973, a cui fa espresso riferimento
l‘art. 29, comma 1, lett. g), ultima parte, del d. l. n. 78/2010 conv. in l. n.
112/2010, che ne prevede expressis verbis l‘applicazione in caso di ricorso
avverso gli atti di cui alla lett. a) del dato normativo appena indicato. Sulla
natura amministrativa e sulla funzione non cautelare del rimedio cfr., da
ultimo, C. Magnani, La sospensione amministrativa della riscossione
―concentrata―, in La concentrazione della riscossione nell‘accertamento,
Atti preparatori al Convegno tenutosi a Sanremo nei giorni 3 – 4 giugno
2011, pag. 235 ss.
(5) Con l‘art. 7, comma 2, sub n), al n. 2.2.) del d. l. 13 maggio 2011, n. 70 la
parola ―anche‖, dopo la parola ―sanzioni‖, nel 2° periodo del comma 1, lett.
a), dell‘art. 29 d.l. n. 78 conv. in l. n. 122/2010, è stata eliminata. Questo
cambiamento ha fatto sorgere il problema se il nuovo regime di immediata
esecutorietà valga, in generale, per i <<successivi atti da notificare ai
contribuenti … in tutti i casi in cui siano rideterminati gli importi derivanti in
base agli avvisi d‘accertamento>> o se, invece, si applichi <<ai soli casi
enumerati espressamente (rideterminazione degli importi dovuti a seguito
delle vicende del processo ex art. 68 D. Lgs. n. 546/92 ed art. 19 D. lgs. n.
472/97, in materia di sanzioni, e mancato pagamento di rate successive alla
prima nell‘accertamento per adesione ex art. 8, co. 3 – bis, d. lgs. n.
218/97)>>. Orientato in questa seconda prospettiva A. Carinci, La
concentrazione della riscossione nell‘accertamento (ovvero un nuovo
ircocervo tributario), in La concentrazione della riscossione
nell‘accertamento, cit., 48, secondo cui <<dovrebbero invece restare escluse
ipotesi affatto similari a quelle indicate, quali l‘omesso pagamento di rate
successive alla prima nell‘adesione all‘invito al contraddittorio (art. 5,
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
comma 1 – quater, del D. lgs. n. 218/97), nell‘adesione al processo verbale
(art. 5 – bis, comma 4, del D. lgs. n. 218/97), nella conciliazione giudiziale
(art. 48, co. 3 – bis, del D. lgs. n. 546/92), nell‘acquiescenza alla
comunicazione di irregolarità, di cui agli artt. 2 e 3 del D. lgs. n. 462/97, a
seguito delle liquidazioni ex artt. 36 – bis, DPR n. 600/73, e 54 – bis DPR n.
633/72, e dei controlli formali, ex art. 36 – ter del DPR n. 600/73 (art. 3 – bis
del D. lgs. n. 462/97)>>. Sempre secondo l‘A. cit., inoltre, <<il nuovo regime
non dovrebbe applicarsi nei casi in cui l‘avviso di accertamento, non
contenendo la liquidazione del tributo, non appare idoneo ad assumere la
veste di titolo esecutivo>>, come nel caso di <<avvisi di accertamento
emanati nei confronti delle società di persone soggette al regime di
trasparenza, di cui all‘art. 5 del Tuir>>, ma non <<nel caso di società
trasparenti ai sensi degli artt. 115 e 116 del Tuir (c.d. trasparenza per
opzione)>>, in quanto, in tal caso, <<l‘accertamento nei confronti della
partecipata dovrebbe poter assumere la nuova forma esecutiva anche per
l‘imposta sul reddito, stante la responsabilità solidale della società trasparente
con i soci, per l‘imposta, le sanzioni e gli interessi conseguenti all‘obbligo
d‘imputazione del reddito>>, a norma dell‘art. 115, comma 8, del T.U.I.R.
Sulle specifiche problematiche circa l‘applicabilità o meno del nuovo regime
alla rettifica delle dichiarazioni dei soggetti aderenti al consolidato nazionale
ex art. 40 bis del d.p.r. n. 600/1973 v., ancora, A. Carinci, op. loc. cit., pag.
49. Altri dubbi possono sorgere, infine, riguardo all‘art. 37 bis, 4° comma,
del D.P.R. n. 600/1973.
(6) Secondo A. Carinci, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento
―esecutivo‖ ex D.L. n. 7872010, cit., loc. cit., pag. 165, l‘<<intimazione ad
adempiere>> atterrebbe alla funzione tipica del precetto, che verrebbe a far
parte dell‘atto ancor prima dell‘assunzione della qualità di titolo esecutivo. In
realtà questa <<‖curiosa‖ inversione logica>> è più apparente che reale. In
quanto l‘atto <<impoesattivo>> presenta una struttura essenzialmente
unitaria, al punto che non consente più, neppure astrattamente, di configurare
un ―accertamento‖ che non sia al contempo ―precettivo‖ del conseguente
adempimento ivi previsto e come tale dotato dell‘attitudine a divenire ―titolo
esecutivo‖ alla scadenza del termine normativamente stabilito dalla notifica
dell‘atto, essenzialmente costitutiva di ogni sua intrinseca effettualità. E‘
importante insistere sul carattere strutturalmente unitario ed inscindibile del
nuovo atto impoesattivi anche in ragione dei vari effetti. Non si ha una mera
<<inabitazione trinitaria>>, entro un unico contenitore, dell‘impugnazione,
del titolo esecutivo e del precetto. Le tre funzioni restano inevitabilmente
compenetrate. Con la conseguenza, tra l‘altro, che un atto impoesattivo che
difetti dell‘intimazione al pagamento o dell‘avvertenza che in difetto si
procederà all‘affidamento in carico agli agenti della riscossione non solo non
vale come titolo esecutivo o come precetto, ma non vale neppure come atto
d‘imposizione in quanto tutti e tre le funzioni e tutti e tre gli effetti che
derivano dall‘atto impoesattivi sono inscindibilmente collegate. In altre
parole, un atto impoesattivo che non sia anche titolo e precetto non può dar
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
luogo all‘utilizzo alternativo di una iscrizione a ruolo. Dev‘essere sostituito
con la rinotifica di un nuovo atto impoesattivo conforme al modello
legislativamente previsto.
(7) Nel testo originario dell‘art. 29 del d. l. 31 maggio 2010, n. 78
l‘esecutività degli atti impoesattivi era contestuale alla notificazione degli atti
stessi, mentre, in sede di conversione del d. l. con legge 30 luglio 2010, n.
122, l‘effetto esecutivo, pur essendo sempre strettamente collegato alla
notificazione, è stato differito a sessanta giorni dopo la notifica stessa. La
diversità sembra possa relazionarsi alla previsione dell‘art. 29, 1° comma,
lett. a), del D.L. cit., non modificata in sede di conversione con L. n.
122/2010, a tenore del quale l‘affidamento in carico per la riscossione per la
totalità del dovuto <<in presenza del fondato pericolo per il positivo esito
della riscossione>> comunque previsto <<decorsi sessanta giorni dalla
notifica degli atti di cui alla lett.a>>.
(8) Con l‘art. 7, comma 2, del d. l. 13 maggio 2011, n. 70, alla lettera n), sub
1), <<la parola ―notificati‖>> è stata sostituita dalla parola <<emessi>>, per
cui, ferma l‘operatività del limite temporale relazionato <<ai periodi
d‘imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi>>, il nuovo
regime disciplinare per gli atti <<impoesattivi>> di cui alla lettera a) dell‘art.
29 del D. L. n. 78/2010 conv. in l. n. 122/2010 varrà solo con riferimento a
siffatti atti che vengano <<emessi>> a partire dal 1° luglio 2011.
(9) Già si è accennato (retro a nota 5) a questa particolare sottocategoria di
atti impoesattivi, che in effetti non sono veri e propri accertamenti, attenendo
più propriamente alla rideterminazione liquidativa del dovuto secondo gli atti
impoesattivi per così dire ―primari‖. Di tale sottocategoria di atti impoesattivi
―secondari‖ o ―subprimari‖, che dir si voglia, restano ancora da definire i
precisi contorni. Non solo ai fini dell‘applicabilità del nuovo regime di cui
trattasi, ma anche in riferimento alla loro collocazione all‘interno dell‘art. 19
del D. lgs. n. 546/1992. V. anche infra nel testo sub 3. Qui ancora si segnala
come per essi l‘art. 29, 1° comma, lett. a), del D.L. n. 78/2010, conv. in L. n.
122/2010 preveda una scadenza temporale a sé, che fuoriesce, almeno in
parte, dalla più articolata sequenza di cui si parla nel testo, con specifico
riferimento agli atti impoesattivi primari, catalogabili nella prima parte del
disposto normativo in esame, stabilendosi, infatti, che <<in tali ultimi casi>>,
nei casi, cioè, specificamente indicati nell‘ultima parte del 1° comma, lett. a),
della normativa di cui trattasi, <<il versamento delle somme dovute deve
avvenire entro sessanta giorni dal ricevimento della raccomandata>>.
(10) Il termine, ovviamente, è suscettibile di proroga ove scada nel periodo
feriale (dal 1° agosto al 15 settembre, per complessivi 46 giorni) ed anche in
caso di morte del contribuente (a norma dell‘art. 65 del d.p.r. n. 600/1973).
(11) Sull‘anacronistico mantenimento, già da tempo stigmatizzato (v. C.
Glendi, L‘oggetto del processo tributario, Padova, 1984, pag. 842 ss; Id.,
<<Postfazione di sintesi>>, in A. Comelli – C. Glendi, La riscossione dei
tributi, Padova, 2010, pag. 244), del vecchio armamentario della riscossione
frazionata, v., in ultimo, consonantemente, C. Corrado Oliva, L‘anomala
coesistenza di riscossione frazionata e sospensione cautelare, in La
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
concentrazione della riscossione nell‘accertamento, cit., pag. 105 ss. Sul
punto v. anche S. La Rosa, Il riparto delle competenze nella disciplina della
riscossione (testo provvisorio), ivi, pag. 197 ss.
(12) Sulle difficoltà a cui può dar luogo la stabilita decorrenza degli interessi
di mora dalla notificazione dell‘atto impoesattivo, essenzialmente
<<mobile>>, rispetto all‘esigenza di una loro precisa determinazione nello
stesso atto, cfr. A. Carinci, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento
―esecutivo‖ ex D. L. n. 78/2010, cit., loc. cit., pag. 167 – 168. Sul piano
pratico dette difficoltà potrebbero comunque superarsi con l‘indicazione
nell‘atto del tasso d‘interesse giornaliero a decorrere da una data comunque
normativamente parametrata in riferimento alla scadenza del termine per
impugnare l‘atto medesimo.
(13) Osserva in proposito A. Carinci, op. loc.ult. cit., pag. 172, con
riferimento al termine di trenta giorni, per l‘<<affidamento>> della
riscossione dell‘agente della riscossione e per l‘eventuale richiesta di
concessione della rateizzazione, come, <<subordinando alla scadenza di tale
termine la possibilità di promuovere l‘istanza di rateizzazione, si determina la
conseguenza per cui non è più previsto uno spazio temporale intermedio
rappresentato oggi dai sessanta giorni della notifica della cartella - in cui è
possibile avanzare la predetta istanza senza il timore di subire
l‘esecuzione>>.
(14) In questa sequenza temporale non si è fatto cenno al momento di
decorrenza della spettanza all‘agente della riscossione dell‘<<aggio,
interamente a carico del debitore>>, e del <<rimborso delle spese relative
alle procedure esecutive>>, che sono <<previsti dall‘art. 17 del decreto
legislativo 13 aprile 1999, n. 112>>. L‘art. 29 del D.L. n. 78/2010, conv. in
L. n. 122/2010, ne parla nel 1° comma, alla lettera f), dove, in unico periodo,
diviso da un punto e virgola, dopo aver fatto riferimento, nella prima parte al
regime dei maggiori interessi moratori, scadenzati <<a partire del primo
giorno successivo al termine ultimo per la presentazione del ricorso>>, si
parla, per l‘appunto, nella seconda parte, dell‘aggio e del rimborso delle
spese all‘agente della riscossione, senza specificare alcunché in ordine alla
decorrenza, così da potersi legittimamente dubitare che essa coincida con il
momento indicato per la decorrenza dei maggiori interessi di mora. Si
condivide quanto scritto da A. Carinci, Prime considerazioni sull‘avviso di
accertamento ―esecutivo‖ ex D. L. n. 78/2010, cit., loc. cit., pagg. 173 – 174,
secondo cui l‘aggio potrebbe <<essere richiesto solo a seguito
dell‘affidamento della riscossione>>, per cui <<non sarà dovuto nell‘ipotesi
di pagamento intervenuto nei trenta giorni che debbono decorrere tra la
scadenza del termine per l‘impugnazione e l‘affidamento della riscossione
all‘agente>>.
(15) Su questo dato normativo v., da ultimo, M. Bruzzone, L‘essenzialità
della sottoscrizione del ―titolo esecutivo tributario‖, in A. Comelli – CGlendi, La riscossione dei tributi, cit., pag. 95 ss. Secondo A. Carinci, op.
loc. cit., pag. 170, non si comprende <<il bisogno di subordinare l‘acquisto di
30
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
efficacia esecutiva alla notifica, rectius ad un termine successivo a tale
adempimento>>. Il rilievo è stato fatto dopo il richiamo all‘art. 12 del d.p.r.
n. 602/1973, e all‘art. 1, comma 5 ter, lett. e), del d. l. 106/2005, n. 106,
conv. con legge n. 156/2005. Tutto ciò peraltro concerne il ruolo e il
―vecchio‖ titolo esecutivo, a fronte del quale quello ―nuovo‖, costituito
appunto dall‘atto impoesattivo, si connota in forme completamente diverse,
quanto alla sottoscrizione (che è ormai quella un tempo limitata all‘atto
impositivo), e quanto, per l‘appunto, alla notificazione (che un tempo era
scissa dal ruolo, concretizzandosi propriamente nella cartella di pagamento,
mentre oggi il tutto risulta compenetrato in un solo atto.
(16) Da A. Carinci, op. loc. cit., pag. 168 ss.
(17) Le parole riportate sono di A. Carinci, La concentrazione della
riscossione nell‘accertamento (ovvero un nuovo ircocervo tributario), cit.,
loc. cit., pag. 35 ss.
(18) Ricorda giustamente A. Carinci, Prime considerazioni sull‘avviso di
accertamento ―esecutivo‖ ex D. L. n. 78/2010, cit., loc. cit., pag. 168, come
la recettizietà, oltre che per l‘avviso di accertamento, valga, <<analogamente,
per il titolo esecutivo ed il precetto, dove la notificazione è stabilita quale
regola generale dall‘art. 479 c.p.c.>> e come, d‘altronde, <<per effetto
dell‘art. 21 – bis della legge n. 241/1990, introdotto con la legge 11 febbraio
2005, n. 15>>, la notifica sia <<oggi prescritta per tutti i provvedimenti
limitativi della sfera giuridica dei privati, tra i quali vanno sicuramente
annoverati quelli esecutivi>>.
(19) Vengono in particolare ricordate, da A. Carinci, op. loc. ult. cit., la ben
nota sentenza delle Sezioni Unite 5 ottobre 2004, n. 19854, nonché Cass.,
sez. trib., 12 aprile 2005, n. 7498; Id., 12 luglio 2006, n. 15849; Id., 2 luglio
2009, n. 15554. Per altri riferimenti, e per ogni ulteriore approfondimento, v.
infra, al n. 4, nel testo e nelle note.
(20) L‘asserita distorsione sistematica con quella che è in oggi
l‘interpretazione seguita dalla Suprema Corte di Cassazione in tema di
sanatoria della notifica degli atti impositivi non esiste, proprio perché
quest‘ultima resta pur sempre solo una pur autorevole, ma assai discutibile,
opinione giurisprudenziale. In ogni caso, da ricomporsi con il superamento
(o, meglio, con la palinodia) di siffatta opinione, nel senso che da parte della
Suprema Corte, dovrà riconoscersi, come già ritenuto in passato,
conformemente ad un insegnamento dottrinale, mai validamente
contraddetto, che il vizio di notifica, per gli atti impositivi, ed a maggior
ragione ormai, dunque, per gli atti impoesattivi, lungi dal potersi considerare
sanato, per effetto dell‘impugnazione dell‘atto con il quale detto vizio sia
stato dedotto come vizio, comporta il mancato perfezionamento dell‘atto
stesso, come tale suscettibile di essere fatto valere in via pregiudiziale proprio
attraverso la sua impugnazione e la deduzione in apposito motivo. Sul punto
v. comunque amplius in prosieguo. Sull‘importanza del nuovo dato
normativo, ai fini dell‘inquadramento degli atti impositivi, degli atti esecutivi
e degli atti impoesattivi nell‘ambito di una rigorosa nozione unitaria di atti
recettizi, in cui la notificazione riveste un ruolo essenzialmente costitutivo dei
31
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
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relativi effetti, già comunque si segnala, M. Bruzzone, L‘avviso di
accertamento diventa <<titolo esecutivo>> per imposte sui redditi ed IVA,
in Corr. trib., n. 28/2010, pag. 2230, e C. Glendi, <<Luci>> e <<ombre>>
sulla Manovra 2010, cit., loc. cit., pag. 2649.
(21) S‘intende quindi far riferimento a quella rigorosa concezione dell‘atto
recettizio che ravvisa nella notificazione, non una condizione di efficacia di
un atto già perfetto, ma una componente intrinseca per il perfezionamento
dell‘atto stesso, il quale, in mancanza di esso, per l‘appunto, non può dirsi
perfezionato e venuto ad esistenza. In questo senso v. E. Allorio, Diritto
processuale tributario, Torino, 1979, pag. 110 ss.; G. Falsitta, Il ruolo di
riscossione, Padova, 1972, pag. 260; C. Glendi, La sanatoria delle nullità di
notifica degli atti impugnati nel processo tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin.,
1978, I, pag. 45 ss.; Id., Sulla sanabilità o meno dei vizi di notificazione degli
atti del prelievo per il solo fatto della loro impugnazione davanti alle
commissioni tributarie, in G.T. – Riv. giur. trib., n. 11/2003, pag. 1073 ss.;
Id., Le Sezioni Unite si pronunciano sulla sanatoria dei vizi di notifica degli
atti impugnati nel processo, in Corr. trib., n. 47/2004, pag. 3707 e in specie
3715 ss.; F. Niccolini, Dall‘effetto all‘effettività: un‘ipotesi evolutiva del
sistema delle notifiche tributarie, in Statuto dei diritti del contribuente a cura
di A. Fantozzi – A. Fedele, Milano, 2005, pag. 168, nt. 17. Diversamente
orientato A. Carinci, La riscossione a mezzo ruolo nell‘attuazione del tributo,
Bologna, 2008, pag. 140 ss. Contrariamente a quanto indicato da
quest‘ultimo A., peraltro, non è affatto vero che <<la soluzione, prima
giurisprudenziale e poi positivizzata, che ammette un‘efficacia
temporalmente disgiunta della notifica degli atti per il notificante e per il
destinatario risulti meglio argomentabile alla stregua di una concezione della
ricezione quale elemento necessario all‘efficacia dell‘atto piuttosto che alla
sua esistenza>> e non è neppure vero che la riferibilità degli effetti della
notificazione, che deve in ogni caso ritenersi effettuata sol se l‘atto entra nella
sfera giuridica del destinatario, per il notificante postuli una <<efficacia
temporalmente disgiunta della notifica degli atti per il notificante e per il
destinatario>>. Basti rimandare in proposito a quanto rilevato negli scritti di
C. Glendi, Le nuove frontiere della ―notificazione‖ dopo la sentenza n.
477/2002 della Corte costituzionale, in G.T. – Riv. giur. trib., n. 4/2003, pag.
319 ss.; Id., La notificazione degli atti dopo la Corte costituzionale, in Corr.
giur., n. 10/2004, pag. 1311 ss. specie a pag. 1313 ss., dei quali l‘A. prima
citato non mostra di aver tenuto conto. Quanto, infine, al richiamo fatto dallo
stesso A., op. loc. cit., pag. 142 ss. alla natura recettizia del ruolo, non pare
che l‘assunto possa essere condiviso, in quanto, se è pur vero che (ed, anzi,
proprio perché , non a caso) l‘art. 19, 1° comma, lett. d), del d. lgs. n.
546/1992 considera proponibile il ricorso avverso <<il ruolo e la cartella di
pagamento>>, mentre l‘art. 21, 1° comma, secondo periodo, del D. lgs. cit.
stabilisce che <<la notificazione della cartella di pagamento vale anche come
notificazione del ruolo>>, non par dubbio che il ruolo, non solo <<come atto
unitario e plurimo>>, ma anche come <<atto singolare>>, è, di per sé, atto
32
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
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non recettizio, laddove ha sicuramente natura recettizia la cartella di
pagamento, che <<vale anche>> come (e quindi, di per sé, non è, né può
essere tout court, e a tutti gli effetti) notificazione del ruolo ai fini della sua
impugnabilità. L‘asserita, non dimostrata, natura recettizia del ruolo perde
così, sul piano argomentativo, ogni valenza di parallelismo antitetico in
ordine all‘assunto, già contrastato, di una generale recettizietà degli atti
tributari caratterizzata dal ridursi della notificazione a mera condizione di
efficacia anziché collocarsi quale componente essenziale ed elemento
costitutivo della fattispecie dell‘atto e dei relativi effetti.
(22) Il risultato in tal modo interpretativamente ottenuto non è di poco conto.
Significa, ad es., che, non ostante il nuovo atto impoesattivo costituisca titolo
esecutivo e contenga il ―precetto‖, non potranno essere utilizzate le meno
garantistiche forme di notificazione previste nell‘art. 26 del d.p.r. n.
602/1973, e così, in specie, riguardo ai casi di notifica ai destinatari
temporaneamente assenti, l‘agente della notificazione non potrà limitarsi alla
sola affissione dell‘atto nell‘albo comunale, né, mai, in ogni caso, la notifica
potrà aversi <<per eseguita nel giorno successivo a quello in cui l‘avviso del
deposito è affisso nell‘albo del comune>>, dovendosi, per contro, essere
compiutamente applicate le disposizioni contenute nell‘art. 60 del d.p.r. n.
600/1973, secondo le quali, in caso di temporanea irreperibilità, l‘agente della
notificazione deve provvedere ad affiggere sulla porta dell‘abitazione o
dell‘ufficio o dell‘azienda del destinatario l‘avviso del deposito della copia
dell‘atto nella casa del comune e gliene deve dare notizia per raccomandata
con avviso di ricevimento, mentre, in caso di irreperibilità assoluta del
destinatario nel suo domicilio fiscale, la notifica si avrà per eseguita
<<nell‘ottavo giorno successivo a quello di affissione>> dell‘avviso di
deposito dell‘atto stesso nell‘albo presso la casa comunale.
(23) Per queste notazioni d‘inquadramento, che si dovrebbero ritenere
addirittura superflue, se non fosse che troppo spesso vengono dimenticate
proprio dai supremi vertici della giurisdizione, si rimanda a C. Glendi,
Notificazioni e comunicazioni nel diritto tributario, in Boll. trib., n. 20/2003,
pag. 1563 ss.; Id., Comunicazioni e notificazioni nel diritto tributario, in
Appendice Novissimo Digesto italiano, Torino, 1984. Cfr., inoltre, M.
Bruzzone, Notificazioni e comunicazioni degli atti tributari, Padova, 2006,
pag. 2 ss.
(24) Così era stato puntualmente rilevato (C. Punzi, Comunicazione, in Enc.
del dir., VIII, Milano, 1961, pag. 208), a sua volta, che anche l‘utilizzazione
di un soggetto normativamente abilitato alla notificazione degli atti quale
nuncius, cioè mero organo trasmettitore dell‘atto, ai fini della partecipazione
al destinatario da parte dell‘autore dell‘atto stesso, non trasforma la
comunicazione in notificazione. Questo spiega perché l‘art. 136, 2° comma,
cod. proc. civ., comunque più volte variato nel tempo, ricomprende
nell‘ambito della <<comunicazione>> degli atti processuali da parte della
cancelleria anche la <<rimessione>> del biglietto di cancelleria all‘ufficiale
giudiziario <<per la notifica>>.
33
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
L‘art. 16, comma 1, del D. lgs. n. 546/1992, comunque, con maggior rigore
disciplinare, dispone che <<le comunicazioni sono fatte mediante avviso
della segreteria della commissione tributaria consegnato alle parti, che ne
rilasciano immediatamente ricevuta, o spedito a mezzo del servizio postale in
plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento>>, peraltro
prevedendo, nell‘ultima parte, che <<la segreteria può anche richiedere la
notificazione dell‘avviso da parte dell‘ufficiale giudiziario o del messo
comunale nelle forme di cui al comma seguente>>, che riguarda per
l‘appunto le notificazioni.
(25) Sulla particolare figura della c.d. notifica diretta, e in specie sulla c.d.
notifica diretta a mezzo posta, v. già C. Glendi, Notificazioni e comunicazioni
nel diritto tributario, cit., loc. cit., nt. 9 e poi, amplius, M. Bruzzone,
Notificazioni e comunicazioni degli atti tributari, cit., pag. 75 ss. e 172 ss.;
Id., L‘essenzialità dell‘intermediazione dell‘agente notificatore e
l‘inoperatività della sanatoria dei vizi di notifica delle cartella di pagamento,
in G.T. – Riv. giur. trib., n. 1/2009, pag. 86 ss., in nota a Comm. trib. prov.
Genova, 12 giugno 2008, n. 121, ivi, pag. 83 ss.; Id., Incertezze della
Suprema Corte sulle notifiche a mezzo posta prive di relate, in Corr. trib., n.
41/2009, pag. 3356 ss.
(26) Oltre che, naturalmente, della cartella di pagamento, relativamente alla
quale, tra l‘altro, la S.C. non tiene conto, delle modifiche legislative
intervenute nella formulazione dell‘art. 26 del d.p.r. n. 602/1973, dove, un
tempo era in effetti prevista la notifica <<mediante invio da parte
dell‘esattore di lettera raccomandata con avviso di ricevimento>>, cioè la
notificazione diretta, mentre si è poi parlato di notifica <<mediante invio di
raccomandata con avviso di ricevimento>> tout court, da parte dell‘autore
dell‘atto, e non da uno degli agenti della notificazione in detta norma
specificamente indicati, nel che propriamente dev‘essere ravvisata una vera e
propria notifica a mezzo posta, in sintonia con quanto previsto dall‘art. 14
della l. n. 890/1982, che pone l‘art. 26 del d.p.r. n. 602/1973, sullo stesso
piano dell‘art. 60 del d.p.r. n. 600/1973 escludendo per gli atti tutti
disciplinati da dette norme la possibilità di notifica diretta generalmente
prevista per gli atti finanziari di cui alla parte iniziale dello stesso art. 14 l.
cit.
Per la giurisprudenza della Suprema Corte, criticabilissima, vedasi, in
particolare, Cass., sez. trib., 19 giugno 2009, n. 14327, massimata in Corr.
trib., n. 7/2010, pag. 567 ss., con nostra nota. A seguire, Cass. sez. trib., ord.
6 luglio 2010, n. 15948. Di segno contrario, v., invece, correttamente, Comm.
trib. prov. Pescara, 3 novembre 2010, in Corr. trib., n. 46/2010, pag. 3885,
con nostra breve nota di apprezzamento.
Quanto ai giudici di merito persiste comunque uno stato di incertezza
decisoria. V., da ultimo, in contrapposizione tra loro, Comm. trib. reg. Lazio,
II, 3 maggio 2010, n. 68 e Comm. trib. prov. Latina, I, 15 maggio 2008, n.
88, entrambe in Boll. trib., n. 9/2011, pag. 697 ss., con il commento di V.
Azzoni, La notificazione della cartella di pagamento. Cfr., altresì, Comm.
34
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
trib. prov. Lecce, sez. V, 23 ottobre 2009, n. 909, di cui è data notizia su Il
Sole – 24 Ore del 23 novembre 2009; Id., sez. V, 29 dicembre 2010, n. 533,
pres. ed est. Donato Plenteda, di cui si segnala l‘alta qualità del dettato.
(27) Ricollegando quanto rilevato nel testo a quanto si è osservato alle note 5
e 9 viene in tal modo ad emergere un ulteriore tratto differenziale della
disciplina degli atti impoesattivi per così dire ―secondari‖ (o ―subprimari‖)
rispetto agli atti impoesattivi ―primari‖, sotto il profilo della diversa
disciplina delle rispettive ―notificazioni‖. Per i primi è inibita la c.d. notifica
diretta a mezzo posta, che resta, invece, per gli altri, possibile de lege lata.
(28) Questo, naturalmente, a maggior garanzia del destinatario, ma anche,
come ancora si preciserà a nota 30, per i rischi e le incertezze, che possono
risultare gravemente pregiudizievoli per lo stesso ente impositore, di
notifiche, come quella diretta a mezzo posta, che oggettivamente difettano
del grado di sicurezza formale che contraddistingue le notifiche effettuate con
l‘intermediazione dell‘agente della notificazione.
(29) Anche sull‘esatta portata della <<relata di notifica>>, per ogni caso di
notifica in genere e per quella a mezzo posta in specie la giurisprudenza della
Suprema Corte è tutt‘altro che univoca e chiara. Si è detto, ad es., che <<la
mancanza della ―relata‖ comporta una mera irregolarità, che non può essere
fatta valere dal destinatario, trattandosi di adempimento che non è previsto
nel suo interesse>> (Cass., n. 12010 del 2006), ma si è anche ritenuto che
<<tale mancanza comporti la nullità della notifica, sanabile a seguito del
raggiungimento dello scopo cui l‘atto è preordinato>> (Cass. n. 2079 del
2008). Nel primo senso adde, poi, Cass., sez. trib., 22 ottobre 2009, n. 9493,
in Corr. trib., n. 41/2009, pag. 3360), mentre, secondo Cass., sez. trib., 21
aprile 2009, n. 9377 (ivi, n. 41/2009, pag. 3363) <<la relata è prevista come
momento fondamentale nell‘ambito del procedimento di notificazione sia dal
codice di rito che dalla normativa speciale e non è integralmente surrogabile
dall‘attività dell‘ufficiale postale>>. Peraltro, da ultimo, in Cass., sez. trib.,
27 maggio 2011, n. 11708, oltre ad ammettere ex art. 26 del d.p.r. n.
602/1973 la notifica della cartella, <<anche senza ricorrere alla
collaborazione di terzi (messi comunali, agente della polizia municipale), ma
direttamente ad opera del concessionario ―mediante invio di raccomandata
con avviso di ricevimento‖>>, ancora si sostiene che l‘avviso di ricevimento
redatto dall‘ufficio postale equivalga ex se, quanto meno negli effetti, a relata
di notifica e abbia la stessa valenza di atto pubblico facente prova sino a
querela di falso della relazione di notifica direttamente eseguita dall‘ufficiale
giudiziario. Il mantenimento di questa incerta e non univoca interpretazione
dei dati normativi, oltre ad urtare con la nuova normativa sulla notifica di atti
<<impoesattivi>>, sarebbe senza dubbio esiziale per il buon esito della
riforma.
(30) E‘ questo un punto sul quale si ritiene la stessa Amministrazione
finanziaria, latamente intesa, dovrà seriamente riflettere, rifuggendo, per
quanto possibile, dalle apparenti facilitazioni offerte a suo favore dalla stessa
legislazione vigente. L‘art. 29, comma 1, lett. a), della normativa di
riferimento, parlando di <<atti della notificazione al contribuente, anche
35
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
mediante raccomandata con avviso di ricevimento>>, in effetti attribuisce ad
essa una facoltà, della quale, peraltro, la stessa Amministrazione farebbe bene
a non avvalersi, quanto meno, sempre e indiscriminatamente, organizzandosi,
piuttosto, per un miglior impiego delle ordinarie notifiche a mezzo di agenti
della notificazione, adeguatamente preparati, anche relativamente agli atti per
i quali eccezionalmente essa è comunque dal legislatore stesso legittimata ad
avvalersi della notifica c.d. diretta.
Proprio perché, come ricordato nel testo, trattandosi di atti che, in quanto
dotati di forza esecutiva, impingono direttamente nella sfera patrimoniale dei
contribuenti, gli stessi, per farvi fronte, tenderanno sempre più spesso ad
avvalersi di professionisti abilitati anche alla tutela dei diritti in sede civile, i
quali, naturalmente, saranno sempre più portati a concentrare la massima
attenzione sui vizi di notifica, come via necessitata per tentare la strada delle
opposizioni esecutive o di azioni risarcitorie davanti al giudice ordinario. In
questo contesto, inoltre, emergerà con maggior frequenza, la scoperta di falsi,
materiali ed ideologici, che tanto più si verificano, per l‘appunto, nelle c.d.
notifiche dirette a mezzo posta, dove mancano gli agenti della notificazione,
sostituiti, per così dire, da agenti postali, sull‘operato dei quali, tuttavia, la
quotidiana esperienza mostra come le patologie di cui si è detto presentano
ingravescenti tassi di verificabilità.
(31) V., in specie, diacronicamente, C. Glendi, Le Sezioni Unite si
pronunciano sulla sanatoria dei vizi di notifica degli atti impugnati nel
processo tributario, cit., loc. cit.; A. Rossi, Vizi di notifica dell‘atto
impositivo, ne Il Fisco, 2004, pag. 7131; A. Voglino, Luci ed ombre del
responso nomofilattico sulla sanatoria dei vizi di notifica dell‘atto impositivo
a seguito del ricorso del contribuente, in Boll. trib., n. 23/2004, pag. 1707; L.
Ferlazzo Natoli – G. Ingrao, Il ricorso non sana i vizi dell‘atto impugnato, in
Boll. trib., n. 24/2004, pag. 1783;C. Scalinci, La notifica dell‘atto tributario
recettizio: un ―Giano bifronte‖ tra sanatoria e decadenza, in Riv. dir. trib.,
n. 1/2005, II, pag. 13 ss.; M. Bruzzone, Notificazioni e comunicazioni degli
atti tributari, cit., pag. 181 ss.
(32) Anteriormente alla nota pronuncia delle Sezioni Unite 5 ottobre 2004, n.
19854, in Corr. trib., n. 47/2004, pag. 3707, la questione sulla sanabilità o
meno del vizio di notifica dell‘atto impugnato per il solo fatto della
proposizione del ricorso con il quale se ne denunziava la sussistenza era
fortemente dibattuta, tant‘è che, per l‘appunto, era stata rimessa all‘esame
delle Sezioni Unite, con ordinanza 12 marzo 2003, n. 3672 della Sezione
tributaria, in Corr. trib., n. 30/2003, pag. 2471, con il commento di C.
Glendi, Ritorna alle SS.UU. la questione sulla sanabilità dei vizi degli atti
impugnati e in G.T. – Riv. giur. trib., n. 11/2003, pag. 1070, con altra nota
dello stesso A., Sulla sanabilità o meno dei vizi di notifica degli atti del
prelievo per il solo fatto della loro impugnazione davanti alle Commissioni
tributarie. Nel senso dell‘insanabilità del vizio di notifica per il solo fatto
della proposizione del ricorso v., in specie, Cass., sez. trib., 16 maggio 2003,
n. 7691, in Corr. trib., n. 3272003, pag. 2645, con il commento di M.
36
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
Bruzzone, e in G.T. – Riv. giur. trib., n. 11/2003, pag. 1671, con il commento
di C. Glendi; Id., 15 novembre 2002, n. 16113; Id., 11 marzo 2002, n. 3513;
Id., 21 aprile 2001, n. 5924, in Corr. trib., n. 23/2001, pag. 1736, con il
commento di M. Bruzzone. Nel senso, invece, della sanabilità del vizio,
segnatamente, Cass., sez. trib., 26 giugno 2003, n. 10186, in G.T. – Riv. giur.
trib., n. 11/2003, pag. 1073, con il già sopra cit. commento di C. Glendi,; Id.,
12 dicembre 2002, n. 17762; Id., 22 maggio 2001, n. 7284. Seguono la via
indicata dalla Sezioni Unite con la sentenza n. 19854/2004, tra le altre, Cass.,
20 giugno 2005, n. 13231; Id., 16 settembre 2005, n. 18420; Id., 12 luglio
2006, n. 15894; Id., 27 settembre 2007, n. 20357; Id., 11 ottobre 2007, n.
21411. In ultimo cfr. Cass., sez. trib., 27 febbraio 2009, n. 4760, pres. Miani
Canevari – est. Meloncelli, che ha formato oggetto dello studio di L.
Nicótina, Irregolarità e inesistenza della notifica di atti tributari sostanziali:
note a margine della sentenza n. 4760/2009 e recenti orientamenti della
Suprema Corte di cassazione, in Riv. dir. trib., nn. 7 – 8/2010, I, pag. 847 ss.
(33) Con specifico riferimento alla notifica delle cartelle di pagamento già si
sono indicate alcune diverse pronunce dei giudici di merito, retro a nota 26.
A queste si possono ancora aggiungere Comm. trib. reg. Abruzzo, sez. X, 8
gennaio 2010, n. 3; Comm. trib. reg. Lombardia, sez. XXII, 28 maggio 2010,
n. 61; Id., sez. V. 17 dicembre 2009, n. 141. Non mancano comunque
contrasti fra i giudici di merito anche a proposito della notificazione degli
avvisi di accertamento. Il pur minoritario orientamento, vólto a privilegiare
l‘insanabilità del vizio della notificazione per il solo fatto dell‘impugnazione
di avvisi di accertamento o di liquidazione davanti al giudice tributario.,
trovasi, ad es., motivatamente seguito da Comm. trib. prov. Milano, sez. XIX,
29 maggio 2009, n. 88; Id., sez. XXII, 3 settembre 2009, n. 211.
(34) Ovviamente, è appena il caso di sottolineare lo slittamento concettuale a
cui da luogo il richiamo all‘istituto del raggiungimento dello scopo con
riferimento all‘atto d‘impugnazione. Lo scopo non può essere ravvisato
esclusivamente in quello di mettere a conoscenza del destinatario il contenuto
dell‘atto, tant‘è che la legge tributaria prevede la notificazione e non prevede
altre forme di conoscenza dell‘atto come invece accade nell‘ambito
amministrativo (cfr. il 1° comma degli artt. 2 e 9 del d.p.r. 24 novembre
1971, n. 1199; art. 21, comma 1, n. 1, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, nel
testo originario e in quello sostituito dalla l. 21 luglio 2000, n. 205; art. 12,
comma 2, n. 1 del d.p.r. 12 aprile 2006, n. 184; art. 41, comma 2, del d. lgs. 2
luglio 2010, n. 104). Tanto meno, lo scopo della notificazione può
individuarsi nella proposizione del ricorso contro l‘atto notificato da parte del
suo destinatario. Sul punto v., in varia guisa, gli autori ricordati alle note 21 e
31. Adde, in ultimo, L. Nicótina, op. loc. cit., pag. 854 ss.
(35) Il riferimento alla figura della giuridica inesistenza della notifica
dell‘atto è previsto, sia pure in termini tutt‘altro che chiari, anche nella
sentenza delle SS.UU. n. 19854/2004, su cui vedasi specificamente, quanto
rilevato in C. Glendi, Le Sezioni Unite si pronunciano sulla sanatoria dei vizi
di notifica degli atti impugnati nel processo, cit., loc. cit., pag. 3717. Appare
chiarissimo, invece, nella sentenza della Corte di Cassazione, sez. trib., 2
37
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
ottobre 2008, n. 24442, in Boll. trib., n. 1/2009, pag. 53, nella quale, avuto
riguardo ad una notifica tramite messo con relata non sottoscritta, è detto, in
termini ben precisi, che <<la mancanza di sottoscrizione, che è certamente
elemento costitutivo essenziale di un atto giuridico come l‘atto di notifica, ne
determina la giuridica inesistenza>> e che <<questa situazione è del tutto
insuscettibile di sanatoria in applicazione del principio del raggiungimento
dello scopo, la quale è prevista solo per la sanatoria della nullità>>.
Di <<inesistenza della notificazione, della quale, pertanto, non può essere
disposta la rinnovazione>>, si parla, da ultimo, in Cass., sez. trib., 31 maggio
2011, n. 11993, sia pure a proposito della notifica del ricorso per cassazione
effettuata ex art. 140 c.p.c. qualora non sia stato prodotto l‘avviso di
ricevimento della c.d. raccomandata informativa.
(36) Anche su questo apparente casus exceptus di sanatoria permangono le
perplessità già diffusamente illustrate in C. Glendi, Le Sezioni Unite si
pronunciano sulla sanatoria dei vizi di notifica degli atti impugnati nel
processo, cit., loc. cit., pag. 3717 ss.
L‘idea che il raggiungimento dello scopo intervenuto successivamente al
maturare di una decadenza sia inidoneo ad evitarne gli effetti si ritrova pure
nella sentenza 27 febbraio 2009, n. 4760, cit, ove si precisa che <<anche
l‘equipollenza tra la piena conoscenza dell‘atto e la sua notificazione può
attuarsi solo entro lo stesso limite temporale>> e che incomberebbe in ogni
caso sull‘ente impositore l‘onere di provare la piena conoscenza effettiva
dell‘atto, che determina, <<a carico del contribuente, l‘onere di rispettare il
termine decadenziale per l‘eventuale impugnazione dell‘atto d‘imposizione
che non gli sia stato notificato, ma che egli abbia, comunque, pienamente
conosciuto>>. Ancora da ultimo, secondo Cass., sez. trib., 31 maggio 2011,
n. 11993, <<la proposizione del ricorso del contribuente produce l‘effetto di
sanare la nullità della notificazione dell‘avviso di accertamento>>, ma <<tale
sanatoria può operare soltanto se il conseguimento dello scopo avvenga
prima della scadenza del termine di decadenza – previsto dalle singole leggi
d‘imposta – per l‘esercizio del potere di accertamento>>.
(37) Sul punto la giurisprudenza della Suprema Corte sembra si sia ormai
definitivamente assestata. Cfr., ab ovo, Cass., sez. un., 25 luglio 2007, n.
16142, in tema di rapporti tra avviso di mora e cartella di pagamento non
notificati, nonché, poi, con riferimento ai rapporti tra avviso di accertamento
non notificato e cartella di pagamento consequenziale, Cass. sez. trib., 18
gennaio 2008, n. 1024 e Cass., sez. un., 4 marzo 2008, n. 5791, in G.T. – Riv.
giur. trib., n. 6/2008, pag. 477 ss., con il commento di M. Basilavecchia,
Impugnazione facoltativa dell‘atto presupposto non notificato: un principio
ormai generale. V., comunque, in ultimo, Cass., sez. trib., 19 febbraio 2009,
n. 3983, massimata in Corr. trib., n. 14/2009, pag. 1169, con breve nota di C.
Glendi, in cui si sottolinea l‘importanza del rilievo, fatto in motivazione, che,
ai fini dell‘illegittimità dell‘atto esattivo, non è necessario che il vizio di
notifica dell‘atto presupposto (avviso di accertamento) abbia i connotati della
giuridica inesistenza, bastando, invece, trattarsi di notifica nulla (in quanto,
38
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
nel caso, effettuata mediante consegna dell‘atto a parente non convivente del
destinatario in luogo diverso dalla sua residenza), anche in tal caso, infatti,
non operando la sanatoria per raggiungimento dello scopo, per essere il
ricorso diretto contro l‘atto esattivo e non contro l‘atto impositivo, a cui fa
riferimento il denunziato vizio della notificazione.
(38) Cfr. in generale C. Glendi, Rapporti tra nuova disciplina del processo
tributario e codice di procedura civile, in Dir. prat. trib., n. 6/2000, I, pag.
1768 ss.; Id., Impugnazione dell‘atto presupposto non notificato
correlativamente all‘atto conseguente ritualmente notificato, in G.T. – Riv.
giur. trib., n. 4/2001, pag. 353 ss. Alla stregua di quanto ivi rilevato, risulta
evidente l‘erroneità dell‘assunto espresso dalla Corte di Cassazione, nella già
cit. sentenza n. 4760/2009, che tende a ravvisare nell‘art. 19, ultimo comma,
D. lgs. n. 546/1992 l‘implicito riconoscimento che <<la notificazione non sia
elemento costitutivo dell‘atto amministrativo d‘imposizione tributaria e non
contribuisca, per ciò, alla sua perfezione>>. A parte la natura assolutamente
eccezionale della disposizione, poiché la stessa, ai fini dell‘impugnabilità
dell‘atto presupposto non notificato o mal notificato, lo subordina
espressamente ad una scelta facoltativa del contribuente, che, anziché
limitarsi ad invocare l‘illegittimità dell‘atto conseguente, in quanto non
preceduto da valida notifica dell‘atto presupposto, impugni quest‘ultimo, di
cui esclude si sia comunque avuta aliunde la piena conoscenza, conferma
pienamente come la notifica sia elemento costitutivo dell‘atto, tant‘è che, in
via del tutto eccezionale, si equipara alla notifica dell‘atto, non la sua piena
conoscenza, ma l‘esercitata facoltà d‘impugnazione dell‘atto presupposto
correlativo a quello consequenziale, elevando così a fattispecie costitutiva
dell‘atto presupposto siffatto esercizio d‘impugnazione cumulativa, senza il
quale la notifica dell‘atto presupposto non notificato resta per l‘appunto
giuridicamente inesistente, e inidonea a legittimare ex se l‘impugnazione
dell‘atto stesso pur esso ulteriormente relegato nel novero degli atti
giuridicamente inesistenti, ancorché non legato all‘atto successivo da un
qualsivoglia nesso procedimentale, con la conseguenza che l‘atto
consequenziale, se non impugnato, preserva e consolida tutta la sua
effettualità.
Sull‘inidoneità in ogni caso del richiamo all‘art. 19, ultimo comma, del D.
lgs. n. 546/1992 a fungere da sanatoria del vizio di notifica dell‘atto
presupposto, v. da ultimo, L. Nicótina, op. loc. cit., pag. 858 ss.
(39) Sembrava, in effetti, che, con la sentenza delle SS.UU. n. 19854 del
2004 si fosse ormai recitato il de profundis della vecchia formula della
provocatio ad opponendum. A giudicare dai rinnovati richiami che ne
vengono ancora fatti dalla Suprema Corte, anche in tempi recenti, non è stato
evidentemente così. Cfr. al riguardo le puntuali considerazioni di L. Nicótina,
op. loc. cit., pag. 854 ss. A dimostrazione di una deplorevole ―vischiosità‖ di
erronei luoghi comuni nell‘esercizio di un sempre meno credibile esercizio
dell‘alta funzione di nomofilachia in questa materia.
(40) I margini di applicabilità dell‘art. 19, ultimo comma, del D. lgs. n.
546/1992 restano relegati ai casi d‘impugnazione degli atti rideterminativi
39
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
degli importi indicati nel primo atto <<impoesattivo>> rispetto alla sua
mancata o irrituale notificazione ovvero nei casi d‘impugnazione degli atti di
intimazione di pagamento dell‘agente della riscossione che non abbia
proceduto al pignoramento entro l‘anno dalla notifica dell‘atto
<<impoesattivo>>, qualora venga dedotta la sua mancata o irregolare
notifica, mentre, ovviamente, scompare la dualità, prima esistente, tra atto
impositivo ed esattivo, individuata per l‘appunto nel <<ruolo e cartella di
pagamento>>, secondo la formula dell‘art. 19, lett. d), del D. lgs. n.
546/1992, destinata a rimanere operante solo al di fuori della nuova
disciplina.
(41) S‘intende naturalmente far richiamo all‘art. 21 del d.p.r. 26 ottobre 1972,
n. 636, nel testo originario (sul quale v. C. Glendi, La sanatoria delle nullità
di notifica degli atti impugnati nel processo tributario, cit., loc. cit., 45 ss.) e
in quello poi modificato dal d.p.r. 3 novembre 1981, n. 739 (su cui v. ancora
C. Glendi, Accertamento e processo, in Boll. trib., n. 10/1986, pag. 771 ss.,
nonché, amplius, S. Muscarà, in C. Glendi, Commentario delle leggi sul
contenzioso tributario, Milano, 1990, pag. 394 ss.).
(42) Si rinvia in proposito a C. Glendi, Natura giuridica dell‘esecuzione
forzata tributaria, in Dir. prat. trib., n. 6/1992, I, pag. 2240 ss., nonché, di
recente, ad A. Guidara, Indisponibilità del tributo e accordi in fase di
riscossione, Milano, 2010, pag. 234 ss.
(43) C. Glendi, Abolizione dell‘avviso di mora: si torna al ―solve et
repete‖?, in Corr. trib., n. 38/1999, pag. 2833 ss.
(44) L‘espressione riportata nel testo è immediatamente seguita, nel dato
normativo, dalla proposizione secondo la quale, <<in caso di richiesta di
sospensione degli atti esecutivi, non si precede all‘esecuzione fino alla
decisione del giudice e comunque fino al centoventesimo giorno>>, in tal
modo chiaramente evidenziando che nessuna solutio si suppone sia avvenuta
e nulla quindi si abbia da ripetere.
(45) In continuità con quanto appena rilevato nella nota precedente è appena
il caso di ricordare che la regola del solve et repete in materia tributaria era
contenuta nel 2° comma dell‘art. 6 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E,
sull‘abolizione del contenzioso amministrativo, che subordinava
l‘ammissibilità degli atti di opposizione in controversie d‘imposte alla prova
del previo pagamento dell‘imposta stessa. La norma è stata dichiarata
incostituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 113 Cost., con sentenza
della Consulta, 31 marzo 1961, n. 21, pubblicata in Riv. dir. proc., 1961, pag.
641 ss., con nota di F. Maffezzoni, Motivi e limiti di efficacia della
abolizione del <<solve et repete>>.
(46) Il che appare possibile solo in ragione della mancata o invalida notifica
dell‘atto autonomamente impugnabile pregresso, che esclude ogni effetto
preclusivo altrimenti ostativo alla ripetizione d‘indebito attivabile,
naturalmente, attraverso il generale congegno previsto dall‘art. 19, comma 1,
lett. g, nonché dall‘art. 21, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 546/1992. V. già in
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
proposito C. Glendi, Abolizione dell‘avviso di mora: si torna al ―solve et
repete‖?, cit., loc. cit., pag. 2834.
(47) Questa via, con riferimento alla precedente normativa e avuto specifico
riferimento all‘ipotesi di pignoramento non preceduto da valida notifica
dell‘avviso di mora, è stata praticata in giurisprudenza da Comm. trib. prov.
di Treviso, 4 marzo 2009, n. 23 e da Comm. trib. prov. Piacenza, 29 giugno
2009, n. 71, su cui v. lo scritto di A. Cissello, Impugnabilità dell‘atto di
pignoramento presso le commissioni tributarie, in Il fisco, n. 32/2009, 2, pag.
5371 ss., nonché da Comm. trib. prov. di Milano, sez. IX, 27 ottobre 2009, in
Corr. trib., n. 48/2009, pag. 3925 ed ivi, pag. 3921 ss. il commento di A.
Vozza, La giurisdizione sulle controversie relative all‘illegittimità del
pignoramento. Nello stesso senso v. anche Comm. trib. prov. di Parma, sez.
VII, 16 dicembre 2009, n. 124, massimata in Corr. trib., n. 13/2010, pag.
1073, con breve nota di C. Glendi. Da ultimo, Comm. trib. prov. Milano, sez.
XLVI, 10 settembre 2010, n. 186, massimata in Corr. trib., n. 39/2010, pag.
3265 con annotazione di C. Glendi. In questo senso v., già prima, in dottrina,
A. Mercatali, La riscossione delle imposte, nuove norme e nuovi problemi, in
Boll. trib., n. 1/2000, pag. 14, che considera il pignoramento quale <<atto
consequenziale ad un atto che doveva necessariamente essere notificato>> e
come tale sarebbe impugnabile per censurare, oltre che la mancata notifica
della cartella, anche i vizi propri della cartella stessa. Il dato positivo non
sembra peraltro avallare questa prospettiva, chiaramente finalizzata a
privilegiare comunque spazi di tutela davanti al giudice tributario anche dopo
l‘inizio dell‘esecuzione forzata, tenuto specificamente conto di quanto
disposto dall‘art. 19 e dall‘art. 2 del D. lgs. n. 546/1992, ove si esclude la
tutela giurisdizionale davanti alle commissioni tributarie oltre la soglia del
pignoramento e non risulta indicato da nessuna parte il pignoramento quale
atto autonomamente impugnabile davanti al giudice tributario. In dottrina si
segnala, ancora, S. La Rosa, La tutela del contribuente nella fase di
riscossione dei tributi, in Rass. trib., n. 4/2001, pag. 1178 ss. e in specie a
pag. 1188, dove si accredita la tesi del termine per ricorrere alla
Commissione tributaria (senza peraltro specificare contro quale atto) <<dal
giorno de primo atto esecutivo>>, in quanto <<l‘avviso di mora è stato
incluso tra gli atti impugnabili (e tale è rimasto), più che per la sua intrinseca
natura provvedimentale, per il suo porsi ad immediato ridosso della fase
esecutiva; e deve quindi ritenersi assorbito nel primo atto esecutivo (nel
nuovo ordinamento) agli specifici fini del decorso del termine per far valere,
innanzi alla Commissione tributaria, i vizi di notificazione della cartella>>.
Infine, secondo A. Randazzo, Le problematiche di giurisdizione nei casi di
riscossione tributaria non preceduta da avviso di mora, in Riv. dir. trib., n.
12/2003, II, pag. 916 ss., dove conclusivamente si precisa che <<il
pignoramento è occasione per l‘impugnazione dell‘atto processualmente
rilevante che esso presuppone (il ruolo o l‘avviso di mora) ed a quest‘ultimo
deve ritenersi rivolta l‘azione promossa dal ricorrente quando siano sollevate
censure collocabili nella fase anteriore all‘inizio dell‘esecuzione>>.
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
(48) Potrebbe in effetti essere questa la via di aggancio alla giurisdizione
tributaria senza scardinare l‘impianto segnato dagli artt. 2 e 19 del D. lgs. n.
546/1992. L‘atto da impugnare risulta pur sempre l‘atto impoesattivo. Si
potrebbe anche utilizzare lo strumento del c.d. ricorso al buio, con il quale ci
si limita a impugnare l‘atto impoesattivo per quanto risultante dall‘atto di
pignoramento comunque denunziando la giuridica inesistenza e/o nullità
della notifica del primo, salvo, se del caso, qualora da parte dell‘ente
impositore ne venisse prodotta copia, la possibilità di avvalersi della facoltà
di cui all‘art. 19, ultimo comma, D. lgs. n. 546/1992. Circa la portata del
nuovo art. 153, 2° comma, c.p.c., con specifico riferimento al processo
tributario, v., da ultimo, C. Glendi, Nuove disposizioni generali del codice di
procedura civile e processo tributario, in Corr. trib., n. 32/2010, pag. 2561
ss. e in specie pag. 2572 ss; e F. Randazzo, Rimessione in termini per
l‘impugnazione del provvedimento impositivo, in Corr. trib., n. 33/2009, pag.
2690.
(49) In questa prospettiva, ratione temporis, V. Perrucci, Riscossione più
severa per il contribuente, in Boll. trib., 1999, pag. 453; G. Montedoro, La
nuova tutela giurisdizionale dei diritti nella riforma della riscossione, ne Il
fisco, n. 24/2001, pag. 8493. V., inoltre, F. Zalea, La nuova cartella di
pagamento nel D. lgs. n. 46/1999, in Corr. trib., n. 25/1999, pag. 1866.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 6 novembre
2002, n. 15563, in Riv. dir. trib., n. 12/2003, II, pag. 913 ss., hanno
qualificato l‘azione con la quale il contribuente lamenta la mancata
notificazione di atti anteriori al pignoramento come opposizione
all‘esecuzione ex art. 615 c.p.c. per avere il contribuente stesso posto in
dubbio, non la fondatezza della pretese, ma il diritto del fisco ad agire nei
suoi confronti, con il conseguente riconoscimento della giurisdizione
ordinaria. Nella sentenza è stato specificamente osservato che <<non
interferisce sulla ritenuta giurisdizione del giudice ordinario, nella causa di
opposizione ex art. 615 c.p.c., la problematica posta dalle citate disposizioni
del d.p.r. n. 602/1973 delimitative dell‘ammissibilità della domanda, essendo
le relative questioni di pertinenza del giudice munito di giurisdizione sulla
domanda stessa>>.
(50) Sui ristretti limiti e sugli specifici presupposti dell‘azione di risarcimento
danni, proponibile da <<chiunque si ritenga leso dall‘esecuzione>> nei
confronti dell‘agente della riscossione <<dopo il compimento dell‘esecuzione
stessa>>, a sensi dell‘art. 59 del d.p.r. n. 602/1973, v. il commento di D.
Longo, in C. Consolo – C. Glendi, Commentario breve alle leggi del
processo tributario, Padova, 2008, pag. 977 ss.
(51) In tal modo il denunziato vizio di notifica dell‘atto presupposto, oltre
che fungere da motivo in grado di portare all‘annullamento dell‘atto, come
sopra si è detto, diventa oggetto della questione relativa alla tempestività o
meno e quindi all‘ammissibilità del ricorso stesso, come tale comunque
rilevabile e conoscibile in ogni stato e grado, anche d‘ufficio.
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
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(52) Vale a dire gli artt. 617 e 618 c.p.c. E‘ da ritenersi comunque applicabile
anche l‘art. 60 del DPR n. 602/1973, che consente al giudice dell‘esecuzione
di sospendere il processo esecutivo ove <<ricorrano gravi motivi e vi sia
fondato pericolo di grave e irreparabile danno>>. Cfr. gli ampi commenti di
D. Longo, agli artt. 57 e 60, in C. Consolo – C. Glendi, Commentario, cit.,
pagg. 912 ss. e 984 ss.
(53) Legittimato passivo sarà, naturalmente, l‘ente impositore, su cui grava
l‘onere e la responsabilità della notifica dell‘atto impoesattivo. L‘illecito si
concreta nel momento stesso del pignoramento, quindi a prescindere dal
compimento dell‘esecuzione, e l‘azione risarcitoria sarà esperibile nelle
forme dell‘ordinario giudizio di cognizione, nonché, in alternativa, anche
nelle forme del procedimento sommario ex art. 702 bis c.p.c.
(54) Quanto esposto nel testo s‘impernia specificamente nel fatto che, mentre
nella normativa precedente, secondo quanto emerge dagli artt. 57 e 59 del
d.p.r. n. 602/1973, la notifica della cartella, riproduttiva del ruolo, cioè del
titolo esecutivo, rientra nella sfera di competenza e di responsabilità
dell‘agente della riscossione, con la nuova disciplina la notifica dell‘atto
impoesattivo grava sull‘ente impositore e dev‘essere dallo stesso verificata
prima dell‘affidamento in carico all‘agente della riscossione, sul quale
graverà il solo obbligo del rituale compimento dell‘ulteriore attività
esecutiva, rispetto alla quale, normalmente, varrà quanto disposto dall‘art. 59
d.p.r. n. 602/1973. Sul nuovo rapporto tra ente impositore e agente della
riscossione, proprio in ordine alla notifica degli atti, v. anche da C. Attardi,
Accertamento esecutivo e ruolo dell‘agente della riscossione, in Corr. trib.,
n. 45/2010, pag. 3766 ss.
(55) Si riprende così, e si sviluppa l‘altro punto focale della contrapposizione
evidenziata al paragrafo 1.
(56) Viene in tal modo a ribaltarsi, nella sua concreta soluzione, la vexata
quaestio relativa alla proponibilità o meno dell‘istanza cautelare in sede
d‘impugnativa degli avvisi di accertamento. In effetti, dopo un lungo dibattito
dottrinale e dopo molti contrasti giurisprudenziali, poteva ormai dirsi
affermata, e comunque largamente condivisa, l‘opinione che esclude il
contenimento dell‘istanza cautelare nel ricorso avverso l‘avviso di
accertamento, in quanto, per definizione, difetta, al momento, il presupposto
dell‘attualità del pregiudizio, che sorge solo all‘atto dell‘iscrizione
provvisoria a ruolo e alla notifica della cartella di pagamento, a fronte della
quale, il contribuente, ove non sussistano vizi propri, che ne giustificano
l‘autonoma impugnabilità, ben può limitarsi a proporre l‘istanza di
sospensione nell‘ambito del precedentemente instaurato giudizio
d‘impugnazione dell‘avviso di accertamento, avvalendosi di quanto previsto,
sotto il profilo formale, dall‘art. 47, 1° comma, ultima parte, del D. lgs. n.
546/1992. Cfr., sul punto, in generale, C. Glendi, Procedimenti cautelari (dir.
trib.), in Enc. giur. Treccani, Appendice VIII, Roma, 2000, paragrafo 3.4.
Naturalmente, questa opinione non ha più ragione d‘essere a fronte dell‘atto
impoesattivo, proprio perché, data la sua valenza anche di titolo esecutivo e
di precetto, e dato il già predestinato sbocco sul versante esattivo, in caso di
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
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mancato pagamento, l‘attualità del pregiudizio si manifesta appieno sin dal
momento della notifica dell‘atto stesso.
(57) Come già evidenziato in C. Glendi, Nuove frontiere per la tutela
cautelare, in Corr. trib., n. 27/2010, pag. 2163, dal punto di vista della
tecnica legislativa l‘intervento limitativo, generalmente operato sull‘art. 47
del d. lgs. n. 546/1992 dall‘art. 38, comma 9, lett. a) del D.L. n. 78/2010 si
era focalizzato sul primo e sul penultimo comma di detta norma. Nel primo
comma alla parola <<sospensione>> si era aggiunta l‘espressione <<per un
periodo massimo di centocinquanta giorni>>, per cui il dato legislativo, ut
supra modificato, testualmente prevedeva che <<il ricorrente, se dall‘atto
impugnato può derivargli un danno grave e irreparabile, può chiedere alla
Commissione provinciale competente la sospensione per un periodo massimo
di centocinquanta giorni dell‘esecuzione dell‘atto stesso>>. Nel comma 7, in
cui già era previsto che <<gli effetti della sospensione cessano alla data di
pubblicazione della sentenza di primo grado>>, erano state quindi aggiunte le
parole <<e, in ogni caso, decorsi centocinquanta giorni dalla data del
provvedimento di sospensione>>.
(58) C. Glendi, op. loc. cit., pag. 2165.
(59) Se è vero, come scrive P. Calamandrei, Introduzione allo studio
sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936, pag. 63, che <<il
giorno in cui la esistenza del debito non sarà più una ipotesi, ma una giuridica
certezza, il provvedimento cautelare avrà esaurito il suo compito>>,
altrettanto vero è che il provvedimento cautelare non può dirsi abbia assolto il
suo compito sino a quando l‘ipotesi di esistenza del debito non si sia
tramutata in giuridica certezza con l‘avvenuta pubblicazione della decisione
di merito, venendo altrimenti meno la funzione stessa e la ragione d‘essere
della tutela cautelare.
(60) M. Basilavecchia e L. Lovecchio, Sospensiva di 150 giorni solo per
nuove ordinanze, ne Il Sole – 24 Ore del 9 giugno 2010, pag. 34. Secondo la
tesi ivi prospettata l‘effetto dirompente della norma limitativa della durata di
efficacia della sospensione avrebbe potuto essere attenuata dalla possibilità di
riproporre l‘istanza al termine del centocinquantesimo giorno. Peraltro, come
si era osservato in Nuove frontiere per la tutela cautelare, cit., loc. cit., pag.
2165, nt. 6, se così fosse la norma sarebbe obiettivamente inutile e priva di
senso. Il necessario adeguamento al variare della tutela cautelare in ragione
delle concrete circostanze e durante la durata del processo è già regolato
dall‘art. 47, ultimo comma, del D. lgs. n. 546/1992, ma non ha nulla a che
vedere con l‘automatica caducazione ex lege dell‘efficacia del provvedimento
cautelare solo in ragione del mero decorso del tempo.
(61) Il riferimento è a Corte Cost., 23 luglio 2010, n. 281, in G.T. – Riv. giur.
trib., n. 11/2010, pag. 944 ss., con il commento di C. Glendi, La Corte
costituzionale sancisce l‘illegittimità della tutela cautelare <<ad tempus>>,
che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, perché contrastante con l‘art.
24, 2° comma, e con l‘art. 111, 2° comma, Cost., l‘art. 1, comma 3, terzo
periodo, del D. L. n. 59/2008, conv. con modificazioni in l. n. 101/2008, nella
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
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parte in cui prevedeva un termine di novanta giorni, eventualmente
prorogabile per altri sessanta, alla cui scadenza il provvedimento di
sospensione, rinnovato dal giudice in base alle nuove disposizioni, avrebbe
comunque perso efficacia. Oltre al contrasto con l‘art. 24, 2° comma, Cost., è
stato puntualmente rilevato il contrasto con l‘art. 111, 2° comma, Cost., sul
doppio versante, di una evidente alterazione del principio della parità delle
armi (in quanto la norma denunziata d‘incostituzionalità, prevedendo
la<<perdita di efficacia della sospensione del titolo collegato al mero decorso
di un breve arco di tempo, consente all‘ente, che ha proceduto ad iscrivere a
ruolo il presunto credito, di azionarlo in via esecutiva pur in presenza delle
condizioni che avevano condotto il giudice a disporre della sospensione
stessa, così attribuendogli una ingiustificata posizione di vantaggio>>) e di
una consistente lesione al principio di durata ragionevole del processo (che,
<<se è diretto a disporre che il processo stesso non si protragga oltre certi
limiti temporali>> importa altresì <<che esso duri per il tempo necessario a
consentire un adeguato spiegamento del contraddittorio e l‘esercizio del
diritto di difesa, di cui il diritto di avvalersi di una sufficiente tutela cautelare
è componente essenziale>>, onde <<l‘automatica cessazione del
provvedimento di sospensione dell‘efficacia esecutiva del titolo, in assenza di
qualsiasi verifica circa la permanenza delle ragioni che ne avevano
determinato l‘adozione, si risolve in un deficit di garanzie che rende la norma
censurata non conforme al modello costituzionale>>).
(62) Il ―famigerato‖ comma 9 dell‘art. 38 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78,
che, per l‘appunto, prevedeva la limitazione quoad tempus della sospensione
cautelare, è stato <<soppresso>> in sede di conversione con l. n. 30 luglio
2010, n. 122. Al ripensamento legislativo ha contribuito anche l‘apporto
criticamente sviluppatosi nel corso del Convegno su <<Funzione e tutela
nella riscossione delle imposte dopo il D.L. 78/2010>> tenutosi il 9 luglio
2010 presso la Facoltà di giurisprudenza dell‘Università di Bologna.
(63) Cfr. Italia – Oggi, del 4 luglio 2010, pag. 1 e pag. 30.
(64) In effetti l‘attribuzione alla sola istanza di sospensione cautelare di un
effetto sospensivo immediato, ancor prima e a prescindere dalla pronuncia
sull‘istanza stessa, è abbastanza singolare, e, nel caso, va a totale vantaggio,
financo eccessivo, del contribuente. Non constano, quanto meno in materia,
altre disposizioni del genere.
(65) Se il regime normativo introdotto con il D.L. n. 70/2011 dovesse restare
fermo, l‘impatto sull‘organizzazione dei processi avanti ai giudici tributari
sarebbe devastante. Tale da mettere in gioco la serietà della tutela cautelare,
che, se pur costituisce, sicuramente, una componente esenziale della tutela
giurisdizionale tout court, in ogni caso, richiede, per la sua stessa natura, un
effettivo ancoraggio agli estremi del periculum in mora e del fumus boni
iuris, mentre, secondo il congegno legislativo di cui trattasi qualsiasi istanza,
anche in difetto di uno o di entrambi di questi presupposti, consentirebbe al
ricorrente di fruire per il solo fatto della proposizione dell‘istanza di un
immediato effetto sospensivo, senz‘alcuna ragione giustificativa.
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
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(66) La formula usata dall‘art. 29, 1° comma, lett. c), del D.L. n. 78/2010
conv. nella l. n. 122/2010 è analoga, ma non identica, a quella impiegata
dall‘art. 11, comma 3, nonché dall‘art. 15 bis del d.p.r. n. 602/1973. In questa
―vecchia‖ normativa si parla di <<fondato pericolo per la riscossione>>,
mentre il nuovo dato legislativo fa riferimento alla <<presenza di fondato
pericolo per il positivo esito della riscossione>>. Ovviamente incombe
sull‘ente impositore l‘onere di provare la sussistenza del <<fondato
pericolo>> e di darne conto nella motivazione dell‘atto impoesattivo.
L‘obbligo della motivazione, sul quale già era richiesto con riferimento alla
normativa riguardante la riscossione a mezzo ruolo. Cfr., ex plurimis, Comm.
trib. prov. Milano, 20 ottobre 1998, in Giur. it., 1999, pag. 2927; e, più di
recente, Comm. trib. prov. di Bari, 16 marzo 2009, n. 28. La sanzione della
nullità, per il caso di omessa motivazione sul punto, è derivabile dal fatto che
all‘atto impoesattivo si applica senza dubbio, sotto il profilo formale, la
disciplina contenuta nel d.p.r. n. 600/1973 e nel d.p.r. 633/1972, e, poiché la
disposta riscossione immediata dell‘intero costituisce parte essenziale
dell‘atto impoesattivo stesso, vale al riguardo quanto disposto dall‘art. 56 del
d.p.r. n. 633/1972 e dall‘art. 42 del d.p.r. n. 600/1973, nonché, più in
generale, dall‘art. 7 della l. n. 212/2000 e altre disposizioni ivi richiamate.
Sull‘argomento v. infine le riflessioni di A. Giovannini, Riscossione in base
al ruolo e agli atti d‘accertamento, cit., loc. cit., pag. 33 e seg. e di A.
Carinci, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex
D.L. n. 78/2010, cit., loc. cit., pag. 172.
(67) l‘espressione legislativa è molto ampia e tale da ricomprendere tutte le
misure cautelari pro fisco, sia quelle di cui all‘art. 22 del d. lgs. n. 472/1997,
e sia, pure, quelle previste dagli artt. 77 e 88 del DPR n. 602/1973, sempre
che, per queste ultime, sia già avvenuto l‘affidamento in carico della
riscossione agli agenti della riscossione. Secondo A. Carinci, La
concentrazione della riscossione nell‘accertamento, cit., loc. cit., pag. 42, ciò
varrebbe sicuramente per l‘ipoteca <<mentre è lecito dubitare del fermo dei
beni mobili registrati, che non sembra qualificabile come misura cautelare o
conservativa>>, ricordando, in nota 23, l‘opinione di S. Cannizzaro, Il fermo
dei beni mobili registrato e l‘ipoteca nella fase di riscossione dei tributi: una
difficile ricostruzione sistematica>>, in A. Comelli – C. Glendi, La
riscossione dei tributi, cit., pag. 178, ove per il fermo si parla, infatti, di
strumento autonomo di coazione finalizzato all‘esecuzione indiretta del
credito>>.
(68) Benché la norma faccia decorrere il termine di sospensione ex lege
<<dalla data di notifica dell‘istanza>> sarebbe assolutamente irragionevole,
quanto meno, esonerare chi propone l‘istanza o formula la richiesta di
sospensione dall‘obbligo di provvedere al deposito del ricorso che la contiene
o della richiesta o istanza medesima se autonomamente proposta, tenuto
conto di quanto disposto dall‘art. 22 del D. lgs. n. 546/1992 espressamente
richiamato dall‘art. 47, 1° comma, D. lgs. cit. In ogni caso la formulazione
della norma, anche sotto questo profilo, mostra i suoi limiti essenzialmente
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
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riportabili al non meditato aggancio di un immediato effetto di sospensione
ex lege alla mera proposizione della domanda cautelare.
(69) La questione è correlata alla nota problematica circa il c.d. doppio
momento, iniziale e finale, del procedimento notificatorio, a cui si è fatto
cenno alla nota 21. Come chiarito in La notificazione degli atti dopo la Corte
costituzionale, cit., loc. cit., pag. 1313 ss., poiché in ogni caso, ai fini del
perfezionamento della notificazione, occorre che l‘atto da notificare entri
nella sfera giuridica del destinatario, è comunque da ritenere che tutto ciò
debba avere luogo anche riguardo all‘istanza o richiesta di sospensione
cautelare di cui trattasi. Il problema è però se, ove ciò accada, l‘effetto
sospensivo ex lege decorra da quest‘ultimo momento o sia riportabile al
momento iniziale di consegna dell‘istanza all‘ufficiale giudiziario o di
spedizione della stessa a mezzo del servizio postale. La seconda alternativa
sembra maggiormente accreditabile alla stregua di quanto diffusamente
illustrato nello scritto ultimamente citato, a livello generale, nonché avuto
riguardo al caso di specie in cui non v‘è traccia di una decorrenza effettuale
espressamente ancorata al momento iniziale del procedimento notificatorio
né si prefigurano specifiche decadenze e/o preclusioni da preservare in capo
all‘istante, e non potendosi, infine, far ricadere sul destinatario dell‘istanza le
conseguenze negative di atti posti in essere nell‘incolpevole ignoranza
dell‘iniziato procedimento di notifica della domanda cautelare nei suoi
confronti. Anche alla luce delle problematiche sopra evidenziate sembra
palese, pure sotto questo profilo, l‘incongruità della scelta legislativa di far
dipendere un effetto sospensivo ex lege da un dato così labile e non ben
definito come quello della sola notifica dell‘istanza di sospensione cautelare.
(70) Questa diversa possibilità, espressamente prevista dall‘art. 47, 1°
comma, del D. lgs. n. 546/1992 trova la sua ben precisa ragione d‘essere nel
fatto che la tutela cautelare è per sua natura contingente e la necessità della
stessa può quindi variamente atteggiarsi nel corso del processo, in ragione dei
mutamenti che ben possono verificarsi, sia quanto all‘attualità del
pregiudizio, e sia pure riguardo ai presupposti, tanto del fumus boni iuris,
quanto del periculum in mora, che, in ipotesi, possono difettare all‘atto della
proposizione del ricorso e manifestarsi invece successivamente (si pensi,
quanto al fumus, alle ipotesi di ius superveniens o d‘interventi della Corte
costituzionale sulle norme poste a base del ricorso, e, quanto al danno grave e
irreparabile, al caso di una sua inesistenza all‘atto alla proposizione del
ricorso e al suo sopravvenire in epoca successiva).
(71) Se è vero quanto appena ricordato nella nota precedente, non è chi non
veda come l‘indiscriminata possibilità di presentazione della domanda
cautelare nel tempo, fermo restando l‘effetto legale di una sospensione
automatica ad essa correlata, ben si presti ad una troppo facile e
ingiustificabile strumentalizzazione in danno dell‘ente impositore e
dell‘agente della riscossione. Basti pensare ad istanze di sospensione,
ancorché prive di fondamento, presentate quasi al termine del processo e
poco prima della vendita dei beni pignorati o addirittura in appello o in
pendenza di ricorso per cassazione, ove ne venga riconosciuta, come se ne
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
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deve riconoscere, l‘ammissibilità, ma non certo in mancanza dei presupposti
del fumus boni iuris e del periculum in mora e per il solo fatto di una
presentazione dell‘istanza (che la normativa in esame, tra l‘altro, neppure
espressamente circoscrive al solo primo grado di giudizio).
(72) Così si esprime, precisamente, l‘art. 7, comma 1, lett. m), del D. l. 31
maggio 2011, n. 70.
(73) Questa è, invece, la letterale riproduzione di quanto disposto in parte
qua, dall‘art. 7, comma 2, lett. n), del D. l. n. 70/2011.
(74) Nel testo, infatti, di cui al comma 1, lett. m), si fa generico riferimento
alla <<decisione del giudice>> e ad un termine a calendario
(<<centoventesimo giorno>>) ,senza nessun‘altra specificazione, laddove
nella formulazione di cui al comma 1, lett. n), dello stesso D.L. n. 70/2011, si
parla, più precisamente, di <<emanazione del provvedimento>> che decide
sull‘istanza e di un <<periodo non superiore a centoventi giorni>>, che non
coincide assolutamente con il <<centoventesimo giorno>> di cui parla l‘altro
testo e di cui, in ogni caso si puntualizza la decorrenza identificandola nella
<<data di notifica dell‘istanza stessa>>.
(75) Secondo A. Carinci, La concentrazione della riscossione
nell‘accertamento, cit., loc. cit., pag. 42, <<non è chiaro se il predetto
periodo>>, pari a centoventi giorni, <<sospenda l‘esecuzione anche nel caso
di rigetto dell‘istanza, naturalmente prima del suo decorso, oppure, di contro,
consenta l‘esecuzione anteriormente la pronuncia sull‘istanza>>, ma <<la
prima opzione sembra da preferire, stante l‘impiego della congiuntiva ―e‖>>.
In realtà, questa particella equivale a ―ma‖, specie se viene correlata alle
espressioni <<comunque>> e <<in ogni caso>> che si riscontrano nell‘art. 7,
del D.L. n. 70/2011, rispettivamente al 1° comma. lett. m) e al comma 2, lett.
n), con le consequenzialità interpretative illustrate nel testo.
(76) Così anche F. Tundo, Accertamento esecutivo sospeso fino
all‘emanazione del provvedimento del giudice, in Corr. trib., n. 23/2011, pag.
1853 ss.
(77) V. retro, a nota 69. Tutto ciò, naturalmente, rende ancora più evidente
l‘inopportunità della scelta legislativa di un effetto sospensivo automatico
agganciato ad una decorrenza relativamente ―mobile‖, o comunque ad alto
rischio di incertezza problematica, come la ―notifica‖ dell‘istanza di
sospensione.
(78) Così si esprime, con linguaggio non propriamente vigilato, l‘art. 7,
comma 2, lett. n, del d. l. n. 70/2011.
(79) La norma, infatti, integra ex art. 1, 2° comma, d. lgs. n. 546/1992 la
mancanza di una puntuale disciplina delle forme dell‘ordinanza nel processo
tributario.
(80) Alla quale, del resto, e non a caso, l‘art. 47, 3° comma, D. lgs. n.
546/1992 fa esplicito richiamo. In verità la terminologia impiegata dal
legislatore è tutt‘altro che appropriata, in quanto il giudice, in sede di
sospensione, non pronuncia una <<decisione>>, ma <<provvede
sull‘istanza>>, dopo aver <<delibato il merito>>, come, molto più
48
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
correttamente, si esprime l‘art. 47, 4° comma, d. lgs. cit. Proprio per questa,
difficilmente contestabile, approssimatività di linguaggio dell‘odierno
legislatore sembrerebbe difficile identificare il solo provvedimento collegiale
ex art. 47, comma 4, d. lgs. 546/1992 con il <<provvedimento che decide
sull‘istanza di sospensione>> e nella <<decisione del giudice>>, di cui
parlano rispettivamente l‘art. 7, comma 2, lett. n), e l‘art. 7, comma 1, lett.
m), del D. l. n. 70/2011, escludendo dal più vasto ambito dei provvedimenti
che ―decidono‖ sull‘istanza quello reso, sia pure provvisoriamente dal
presidente a norma dell‘art. 47, 3° comma, d. lgs. n. 546/1992.
Si potrebbe, peraltro, anche prospettare una linea interpretativa
completamente diversa. Ravvisando, quindi, nella pur discutibile espressione
usata dal d. l. n. 70/2011, laddove parla di <<decisione del giudice>> e di
<<provvedimento che decide>> sull‘istanza di sospensione un significato
peculiarmente identificativo di un solo provvedimento comunque esaustivo e,
per l‘appunto, in tal senso, definitivamente ―decisorio‖ sulla domanda di
sospensione, così da differenziarlo rispetto al provvedimento meramente
interinale, e, per l‘appunto, in questo senso, non definitivamente ―decisivo‖,
ma meramente ―provvisorio‖, del presidente ex art. 47 d. lgs. cit.
I corollari derivabili dall‘una o dall‘altra interpretazione non sono di poco
conto, come si dirà, più dettagliatamente, a nota 87.
(81) E‘ forte l‘impressione che l‘idea di una sospensione ex lege collegata
alla presentazione dell‘istanza cautelare sia sorta nell‘intento di attenuare
l‘impatto, ritenuto eccessivo, della nuova disciplina in danno del
contribuente. Se ne può in effetti trovare conferma nell‘enunciato contenuto
nell‘art. 7, comma 1, lett. m), del D.L. n. 70/2011. La via seguita, peraltro,
rischia di far precipitare nell‘opposto eccesso, concedendo al contribuente
strumenti dilatori che poco hanno a che vedere con la giusta valorizzazione
della tutela cautelare.
(82) Se ne veda la più recente, accurata, sintesi nel commento di M.
Montanari, in Commentario breve alle leggi del processo tributario, a cura di
C. Consolo – C. Glendi, Padova, 2008, pag. 475 ss.
(83) Si potrebbe fors‘anche dire che il periculum in mora viene ad
―accendere‖ la consistenza del fumus boni iuris, fornendo al giudice una più
viva e completa piattaforma della situazione concreta sottoposta alla
valutazione delibativi che gli compete.
(84) Riducendosi gli atti della riscossione autonomamente impugnabili, si
avrà, oltretutto, una significativa contrazione di liti e non potrà non
ridimensionarsi la ―tecnica‖ di impugnative distinte di atti esattivi separati da
quelli propriamente impositivi quand‘anche l‘atto esattivo era meramente
consequenziale a quello impositivo, onde l‘esasperante ricerca da parte del
contribuente di vizi propri, spesso inconsistenti. Anche sul piano della
legittimazione passiva, la nuova disciplina dovrebbe fortemente ridurre le
fastidiose contrapposizioni tra ente impositore e agente della riscossione,
dando pure luogo ad una rinnovata stagione interpretativa e applicativa della
spesso irragionevolmente negletta disposizione di cui all‘art. 39 d. lgs. n.
112/1999.
49
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
(85) Dei quali già si è dato conto nel paragrafo precedente, nel testo e a nota
71. Sul piano operativo è da ritenere che anche la tecnica di formazione del
ricorso iniziale, proprio in ragione della natura dell‘atto che ne costituisce
oggetto, dovrà essere modificata, con una più ampia esposizione del fatto,
una più elaborata illustrazione dei motivi ed una maggior attenzione alla
deduzione dei c.d. fatti secondari, sui quali possono innestarsi importanti
conseguenze a livello istruttorio, stante il novellato disposto dell‘art. 115
c.p.c., sicuramente applicabile anche al processo tributario e utilizzabile in
specie, pure per quanto attiene alla prova del danno grave e irreparabile ai
fini del giudizio cautelare immediato.
(86) Da M. Scuffi, nel corso dell‘illustrazione della sua apprezzata relazione
su Atti di accertamento e imposizione comunitaria (dazi, accise, recupero
aiuti di Stato ed agevolazioni in frode) oralmente integrata al Convegno
sanremese del 3 – 4 giugno 2011.
A parte, infatti, che un troppo generalizzato utilizzo di provvedimenti
presidenziali di sospensione cautelare ex art. 47, 3° comma, D. lgs. n.
546/1992, ai soli fini di fronteggiare un eccesso di domande di tutela
cautelare da parte dei contribuenti, urterebbe vistosamente contro l‘indubbia
eccezionalità del rimedio, la sua ratio e la sua ristretta base di operatività,
neanche sul piano organizzativo verrebbero conseguiti concreti benefici di
alleggerimento, nello smaltimento delle domande di tutela cautelare, in
quanto, in ogni caso, la sospensione presidenziale concessa postula pur
sempre un successivo, ineliminabile giudizio di conferma o di revoca in sede
collegiale.
(87) La possibilità indicata nel testo postula, tuttavia, l‘accoglimento di una
sola delle ipotesi interpretative sopra delineate a nota 80. Inoltre, resta il
problema dell‘effettiva idoneità della sola riscontrata difficoltà per deficienze
organizzative, di addivenire ad una pronuncia collegiale sulla istanza di
sospensione entro il termine di centoventi giorni dalla presentazione
dell‘istanza stessa, ad integrare gli estremi della ―eccezionale urgenza‖ di cui
all‘art. 47, 3° comma, d. lgs. n. 54671992. Sul punto, v., in nuce, M.
Montanari, op. loc. cit., pag. 496 – 497, ove altre indicazioni di dottrina e
giurisprudenza. In caso di colpevole inerzia il contribuente potrebbe, in ogni
caso, avvalersi del combinato disposto dell‘art. 14 del D. lgs. n. 545/1992 e
dell‘art. 3 della l. n. 117/1988, anche se, allo stato, manca una specifica
indicazione di un termine, legislativamente imposto, entro il quale la
commissione tributaria adita sia tenuta a pronunciare sulla richiesta di tutela
cautelare.
(88) Si fa quindi ancora richiamo agli scritti sopra ricordati a nota 11, nonché,
ancora, a C. Glendi, Postfazione di sintesi, cit., in A. Comelli – C. Glendi, La
riscossione di tributi, cit., pag. 244, ove per l‘appunto retoricamente ci si
domanda quale senso possa avere, dal punto di vista storico – sistematico, e a
prescindere, ovviamente, da una evidente situazione di vantaggio per il
contribuente, che al momento può essere soltanto politicamente opportuna, il
mantenimento della riscossione frazionata, anacronisticamente sopravvissuta
50
NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
dall‘epoca in cui l‘accertamento avveniva gradatamente attraverso il
progredire di un contenzioso, che aveva natura amministrativa e non
giurisdizionale.
(89) E‘ veramente incredibile come, a fronte del chiaro dettato dell‘art. 29 del
d. l. n. 78/2010 conv. in l. n. 122/2010, possa sostenersi che <<il titolo
esecutivo, in base al quale si procede nei confronti del contribuente, risulta
costituito dalla sentenza>> e che, in tal modo, verrebbe superato <<il dogma,
rappresentato dall‘art. 49 del D. lgs. n. 546/1992, che le sentenze non sono
titolo per l‘esecuzione>>, addirittura ipotizzando che ora <<vi sarebbero
sentenze esecutive, quando relative ad atti impositivi che risultano anch‘essi
esecutivi (e favorevoli all‘amministrazione), e altre sentenze che, invece, non
lo sono>>, tra le quali vengono segnalate le <<sentenze, ad esempio,
riguardanti atti di accertamento relativi a tributi doganali oppure a cartelle di
pagamento impugnate e relative all‘attività di liquidazione della
dichiarazione, ai sensi dell‘art. 36 - bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n.
600>>, in cui <<il titolo esecutivo non sarebbe certamente rappresentato
dalla sentenza>>, aprendosi così <<una sorta di doppio binario nel processo
tributario, con alcune sentenze che divengono esecutive ed altre no>>. Le
parole riportate sono di D. Deotto, Gli effetti dell‘esecutività degli atti di
accertamento sulle vicende del processo tributario, in Corr. trib., n. 26/2011,
pag. 2097 ss. Se, de lege lata, il titolo esecutivo si forma dopo sessanta giorni
dalla notifica degli atti impoesattivi, come può ritenersi che titolo esecutivo
sia una sentenza ancora di là da venire? Se tra gli atti impoesattivi sono
ricompresi, oltre all‘atto impoesattivo primario, anche gli atti impoesattivi
secondari, emessi a seguito della rideterminazione degli importi conseguenti
alle vicende del processo ex art. 68 D. lgs. n. 546/1992 ed artt. 19 D. lgs. n.
472/1992, e pure per essi viene detto che il titolo esecutivo è dato da ognuno
di siffatti atti, tra l‘altro autonomamente impugnabili, decorsi sessanta giorni
dalla loro notifica, su quali basi ermeneutiche è oggettivamente accreditabile
l‘assunto che titoli esecutivi sarebbero invece le sentenze delle Commissioni
tributarie, che non sono certo impugnabili davanti alla stessa Commissione
tributaria di primo grado alla stregua degli atti impoesattivi? La verità è che,
come si è da tempo dimostrato (v. C. Glendi, L‘oggetto del processo
tributario, cit., pag. 226 ss. e in specie a pag. 230 ss.), in materia tributaria le
sentenze delle Commissioni non costituiscono mai titoli esecutivi per
l‘Amministrazione finanziaria, che, infatti, unilateralmente procede, come di
legge, oltre che all‘imposizione anche alla formazione dei titoli esecutivi in
base ai quali procede poi (anche qui, direttamente, non certo per via di
ufficiale giudiziario e secondo le norme del codice di procedura civile)
all‘espropriazione forzata.
(90) V. amplius C. Glendi, Verso la costituzionalizzazione della tutela
cautelare oltre il primo grado, in Corr. trib., n. 30/2010, pag. 2401 ss., a
commento della sentenza della Corte costituzionale 17 giugno 2010, n. 217,
pubblicata anche in G.T. – Riv. giur. trib., 2010, pag. 841 ss. con il
commento di F. Randazzo, Poteri di sospensione del giudice di secondo
grado in pendenza del ricorso in cassazione: un importante passo avanti
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NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI
CORRELATA
verso la pienezza della tutela cautelare; in Boll. trib., 2010, pag. 1150 ss. con
nota di V. Azzoni, Un passo avanti verso la completa tutela del contribuente
anche in fase cautelare, e in Riv. dir. trib., 2011, II, pag. 38 ss., con il
commento di P. Accordino, La Corte costituzionale apre uno spiraglio per
un révirement sulla sospensione cautelare, in secondo grado, nel processo
tributario. Pur non potendosi non apprezzare l‘apertura ultimamente
manifestata dalla Corte al riconoscimento della necessità di una tutela
cautelare anche oltre il primo grado del processo tributario, resta il neo di una
mera pronuncia di rigetto, sotto il profilo della insufficiente dimostrazione
della rilevanza della questione di incostituzionalità da parte del giudice a quo
e sotto il profilo, inoltre, di una prospettiva d‘incostituzionalità orientata sul
presupposto di una ritenuta individuazione dei titoli esecutivi nelle decisioni
delle commissioni anziché negli atti, dotati di questo effetto, che
appartengono all‘Amministrazione, in contrasto, fra l‘altro, con quanto già
limpidamente acclarato dalla stessa Corte costituzionale, nell‘ordinanza 5
aprile 2007, n. 119, dove, per l‘appunto, si era puntualmente rilevato come
<<oggetto del provvedimento di sospensione non potrebbe mai essere la
sentenza che ha respinto l‘impugnazione, bensì semmai il provvedimento
impositivo la cui impugnazione è stata rigettata in primo grado>>. Sul punto,
v., altresì, A Colli Vignarelli, La tutela cautelare tributaria nei giudizi di
impugnazione, in Riv. dir. trib., 2011, I, 431 ss. Generosa, ma nient‘affatto
condivisibile, e fors‘anche controproducente, sul punto, la difesa della
pronuncia n. 217/2010 della Corte fatta, in ultimo, da F. d‘Ayala Valva, Sulla
necessità dei rimedi di sospensione cautelare processual-civilistici per un
―giusto‖ processo tributario, in Boll. trib., n. 10/2011, pag. 725 ss.
52
Prof. Massimo Basilavecchia
La difficile interstizialità della compensazione tra
accertamenti e attività esattive
Sommario: 1. Premessa. 2. Diverse tipologie di compensazione. 3. La
compensazione a iniziativa del contribuente. 4. La compensazione a iniziativa
dell‘Amministrazione finanziaria. 5. L‘avviso di recupero come atto
emblematico della interstizialità.
1 Premessa
La parola interstizio descrive una piccola cavità che divide due masse, ed in
questo senso il titolo assegnato, che qualifica interstiziale la compensazione,
mi pare straordinariamente efficace per descrivere la funzione dell‘istituto,
tra le due grandi sequenze di atti compresi, rispettivamente nell‘attività di
riscossione e in quella di accertamento. Il nodo che dovrà essere sciolto
riguarda la funzione dell‘interstizio, rispetto al quale appare subito evidente
che le soluzioni possono essere diverse, così come diversi possono essere i
punti di vista dai quali si affronta il problema.
L‘interstizio divide due masse, ma può anche essere considerato uno spazio
che le collega. La compensazione tributaria può essere intesa come un
territorio in cui non si applicano le regole né dell‘accertamento, né della
riscossione, o viceversa come un punto di convergenza tra due attività
normalmente – ma non sempre – parallele, rispetto al quale occorre
ricostruire in quale modo le regole dell‘una e dell‘altra attività possano
convivere.
Poiché la compensazione, nella sua struttura essenziale, vede la reciproca
estinzione di posizioni debitorie e creditorie simmetriche, nell‘analisi della
stessa è del tutto fisiologico che assuma un valore decisivo il punto di vista
dal quale le cose si guardano: dunque in primo luogo rileva quale sia il
soggetto che oppone la compensazione, perché in quel momento il credito da
soddisfare non viene messo in discussione (la compensazione è comunque
modalità estintiva dell‘obbligo o dell‘obbligazione, ed è quindi in tal senso
del tutto interna alla riscossione del tributo) mentre l‘efficacia estintiva del
controcredito opposto in compensazione dipende dalla sua esistenza e dalla
sua effettiva consistenza. Occorrono delle regole per stabilire come si possa
considerare esistente il controcredito, quale sia il soggetto abilitato ad
accertarlo (il creditore, il giudice), con quale tempistica.
Lo schema base da adottare è dunque il seguente: c‘è un debito a carico di
uno dei soggetti, rispetto al quale in un dato momento X non vi è discussione
o, al più, la contestazione si svolge su binari paralleli, che non interferiscono
sull‘obbligo di adempimento; rispetto a quel debito, talune norme – tributarie,
ma senza escludere la rilevanza di talune regole civilistiche - (di carattere
LA DIFFICILE INTERSTIZIALITÀ DELLA COMPENSAZIONE
TRA ACCERTAMENTI E ATTIVITÀ ESATTIVE
generale, ovvero destinate a regolare singole forme di compensazione)
prevedono la possibile estinzione per compensazione. Così, in una fattispecie
tipica della riscossione – intendendo tale termine come comprensivo anche
del rimborso a favore del contribuente – irrompe un segmento di attività che
coinvolge l‘accertamento: la fattispecie di riscossione viene alterata dal
controcredito vantato, sicchè occorre chiedersi quali garanzie le norme
prevedano perché l‘alterazione sia possibile, anche in difetto di definitività
del controcredito, come interferiscano i meccanismi di accertamento su quelli
di riscossione, come si possano coordinare le due attività.
2 Diverse tipologie di compensazione
La compensazione nel diritto tributario si caratterizza per un costante
rapporto di integrazione tra disposizioni extratributarie di carattere generale e
regole specifiche poste dalle norme in materia. Per quanto riguarda la
compensazione a favore del contribuente, la chiave di lettura che dà ingresso
alle regole generali civilistiche sull‘istituto è come noto costituita dall‘art. 8
comma primo dello Statuto dei diritti del contribuente, che prevede con
formula generale la possibilità di estinzione dell‘obbligo tributario per
compensazione, senza apparenti ulteriori condizioni. Questa disposizione
aprirebbe il campo a un‘applicazione amplissima, sia in sede di versamenti
spontanei, sia nelle fasi amministrative di accertamento e soprattutto di
riscossione del tributo, sia anche in sede processuale.
E‘ noto invece che prevale in giurisprudenza l‘idea di una non immediata
applicabilità del primo comma, quanto meno con caratteri di generalità, ed è
altrettanto noto che, nella prassi, la presenza dell‘altra compensazione
speciale, quella riferibile al meccanismo dei versamenti unitari (il modello
F24, divenuto orami una mini-dichiarazione), sconsiglia il ricorso alla
compensazione al di là dei limiti tassativi previsti dall‘art. 17 della legge n.
241/90.
Vi sono peraltro due fatti nuovi che si ricollegano all‘art. 8 primo comma
della legge n. 212/90.
Il primo riguarda la possibilità, introdotta dall‘art. 31 comma 1 del d.l.
78/2010 (e attuata dal d.m. 10 febbraio 2011), di provvedere mediante
compensazione con modello F24 al pagamento delle somme iscritte a ruolo.
E‘ una possibilità prevista in via generale, non necessita di una preventiva
manifestazione di assenso degli uffici o dell‘agente della riscossione, ed è a
mio avviso importantissima sia perché per la prima volta si avvia un percorso
di effettva attuazione dell‘art. 8 dello statuto, sia perché il meccanismo è in
grado di eliminare la necessità di dover far valere in sede processuale la
compensazione impugnando atti impositivi, rispetto ai quali in ipotesi
possono anche mancare altri profili di contestazione.
Il secondo elemento innovativo è dato dallo scenario che si sta aprendo sul
problema, assai ricorrente, della compensazione tra imponibili: quando cioè
da un‘attività di accertamento, che rettifica talune poste della dichiarazione
54
LA DIFFICILE INTERSTIZIALITÀ DELLA COMPENSAZIONE
TRA ACCERTAMENTI E ATTIVITÀ ESATTIVE
del contribuente, dovrebbe discendere consequenzialmente la diminuzione di
altre poste, o delle stesse poste in periodi d‘imposta contigui. E‘ il problema
che ha condotto per la prima volta alla affermazione giurisprudenziale della
immediata applicabilità dell‘art. 8 (cass. 22872/2006). Qui la compensazione
si fa ―accertamento‖, nel senso che il problema, pur nascendo dall‘esigenza di
evitare forme di doppia imposizione, si allontana dall‘area della riscossione e
invade un tema centrale, un punto centrale dell‘accertamento che è quello di
riuscire a riequilibrare gli imponibili di uno o più periodi, quando la rettifica
di talune parti della dichiarazionea favore del fisco implicherebbe la necessità
di operare anche talune correzioni a favore del contribuente.
Accanto all‘art. 8, vi è poi il sistema delle compensazioni speciali, che ruota
soprattutto sull‘art. 17 d.lgs. 241/97.
Quando invece è l‘amministrazione a operare la compensazione, per prassi la
normativa generale che costituisce l‘archetipo di tutte le altre possibilità
riconosciute da norme particolari è rappresentata non tanto dalla discplina
civilistica, quanto dall‘art. 69 della legge sulla contabilità di stato, r.d.
2440/1923, che contempla anche la possibilità di intervento cautelare sulla
base della sussistenza di sole ragioni di credito delle amministrazioni statali.
Si individuano dunque due fasi, un blocco temporaneo nel pagamento del
debito da parte dell‘amministrazione, e successivamente una compensazione
forzosa, di autorità, che attua definitivamente la compensazione imputando le
somme dovute dall‘amministrazione a pagamento del credito vantato dalla
stessa o da altra amministrazione statale.
Anche in questo caso, alla normativa generale, applicabile a tutte le
amministrazioni statali, si affiancano norme particolari, in parte con finalità
cautelare: un ruolo centrale, per compiutezza e ampiezza di disciplina, viene
svolto dall‘art. 23 d.lgs. 472/97, che prevede la sospensione e poi
eventualmente la compensazione di autorità delle somme da rimborsare ai
contribuenti. Nonostante il palese limite al credito fiscale per sanzioni, da
ultimo implicitamente riconfermato dall‘art. 27 d.l. 185/2008, che ha esteso
al credito per tributi la sola disciplina delle misure cautelari di cui all‘art. 22
dello stesso decreto, e non quella dell‘art. 23, la giurisprudenza di cassazione
sembra ormai orientata a ritenere che quest‘ultima disposizione assuma un
carattere generale di applicazione così diffusa, da rendere in concreto
inoperante in materia tributaria l‘art. 69 della legge di contabilità e
implicitamente abrogata, ad es., la disposizione dell‘art. 38-bis d.p.r. 633/72
che prevedeva la sospensione del rimborso IVA in caso di emersione di
ipotesi di reati tributari.
3 La compensazione a iniziativa del contribuente
In parallelo all‘art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente, sta la
compensazione intrinseca al sistema dei versamenti unitari (art. 17 d.lgs.
241/97), nella quale confluiscono – ed in tal modo si accentua la complessità
dell‘istituto – non solo crediti strettamente tributari – in genere nascenti da
dichiarazioni; peraltro sono coinvolti crediti e debiti relativi a tributi diversi,
e anche enti impositori diversi – ma anche crediti d‘imposta che a tutti gli
55
LA DIFFICILE INTERSTIZIALITÀ DELLA COMPENSAZIONE
TRA ACCERTAMENTI E ATTIVITÀ ESATTIVE
effetti sono veri e propri finanziamenti concessi a tipologie di contribuenti e
fruibili in sede di versamento dei tributi o delle altre entrate contributive
incluse nel sistema dei versamenti unitari.
A questo proposito, come è noto, il tema emergente è dato dal
contemperamento tra un meccanismo che è fondamentale per l‘equilibrio
finanziario dei contribuenti, ma non lo è meno per l‘operatività
dell‘amministrazione finanziaria, che vede drasticamente ridotte le procedure
di rimborso da seguire, e l‘esigenza di contenere, reprimere e infine ridurre
drasticamente i comportamenti fraudolenti dilagati negli ultimi anni: perché
chi non è in condizione di versare, o non ha intenzione di farlo, ha
ovviamente una fortissima tentazione di mascherare l‘omesso versamento
inserendo crediti insussistenti nel modello F24. La legislazione degli ultimi
anni, oltre a rafforzare notevolmente l‘apparato sanzionatorio amministrativo
e penale, ha introdotto appositamente un atto, l‘avviso di recupero, che ha la
funzione di contestare l‘utilizzo di crediti insussistenti.
Tale atto, di cui si parlerà nella parte conclusiva della relazione, ha
indubbiamente una doppia natura, nel senso che assume ad oggetto non una
dichiarazione, ossia un atto dell‘accertamento, ma un atto tipico della
riscossione quale appunto il modello di versamento unificato che dà conto
delle compensazioni effettuate; il suo contenuto, tuttavia, può spingersi a
lambire le soglie dell‘accertamento, se si ammette che l‘avviso di recupero
possa ad es. disconoscere un credito IVA compensato, che sia stato
regolarmente incluso nella dichiarazione.
Emerge un quadro esemplare di interferenze: un credito vantato dal
contribuente, ancora suscettibile di essere controllato dall‘Agenzia delle
entrate, va ad incidere, pur senza essere stabile, sulle procedure di riscossione
ed in particolare di versamento spontaneo. Si profila dunque una duplice
possibilità di controllo, l‘idea che su binari paralleli il credito possa essere
disconosciuto da un lato con le procedure di accertamento che riguardano
l‘atto che ―dichiara‖ l‘esistenza del credito, dall‘altro con le procedure di
riscossione, che verificano la congruità del versato e hanno ad oggetto gli atti
nei quali quel credito viene utilizzato (il modello F24 che esprime il
versamento unitario).
Come è noto, a proposito del ravvedimento operoso l‘Agenzia, dopo qualche
oscillazione, e senza trovare un consenso generalizzato, ha indicato la via
della prevalenza dell‘accertamento, nel senso che la minore entità del credito
usato in compensazione dovrebbe essere sanata con un ravvedimento
rapportato non al minore versamento, ma alla violazione commessa
nell‘ambito del tributo dal quale il credito scaturiva.
Come si dirà, forse la metodologia corretta potrebbe essere quella di
distinguere da caso a caso, lasciando che il controllo di carattere formale
sull‘esistenza del credito dichiarato continui ad avvenire con le forme
procedurali già previste (artt. 36-bis, 36-ter d.p.r. 600/73; art. 54-bis d.p.r.
633/72) – sono infatti forme di controllo rapide – e riservando invece agli atti
destinati a controllare il versamento il recupero di crediti inesistenti (concetto
56
LA DIFFICILE INTERSTIZIALITÀ DELLA COMPENSAZIONE
TRA ACCERTAMENTI E ATTIVITÀ ESATTIVE
che dovrebbe essere diverso, meno ampio perché più restrittivo, di quello di
crediti semplicemente inferiori a quelli dichiarati) e l‘applicazione delle
relative sanzioni: come crediti inesistenti dovrebbero intendersi quelli non
sorretti dal dichiarato, del tutto avulsi da precedenti atti del contribuente,
ovvero, ancorchè dichiarati, frutto di manovre fraudolente che renderebbero
giustificata, ad esempio, la maggior durata del termine decadenziale prevista
per l‘avviso di recupero.
Come si è rilevato al paragrafo precedente, il contribuente oggi può anche
compensare con F24 il proprio credito per provvedere al pagamento delle
somme iscritte a ruolo (la prossima concentrazione della riscossione
nell‘accertamento dovrebbe rendere possibile la compensazione anche in quel
caso); diventa a questo punto abbastanza incomprensibile, se non del tutto
irrazionale, che la compensazione non possa avvenire, sempre con il ricorso
al modello F24, quando le somme sono dovute, ma non iscritte a ruolo (il che
accade, ad es., quando si tratta di somme dovute sulla base di avviso bonario,
o quando si tratti di rate non pagate nell‘ambito del versamento di quanto
dovuto per effetto di accertamento con adesione).
Si apre dunque uno scenario nuovo, dal 2011, che rende (o tende a rendere,
quale approdo finale interpretativo) sostanzialmente generalizzata la
possibilità di estinzione dei debiti tributari mediante compensazione
perlomeno quando gli stessi siano indicati in atti dell‘amministrazione
finanziaria, la quale puo‘ così immediatamente apprendere che la pretesa è
stata soddisfatta e nel contempo verificare che la modalità di adempimento
sia compatibile e coerente con l‘ammontare della pretesa.
Se così è, dovrebbe venir meno la necessità – già problematica, in relazione
alla regola dei vizi propri di cui all‘art. 19 d.lgs. 546/92 - di impugnativa
degli atti della riscossione per far valere la compensazione: il contribuente
che chieda la compensazione in via amministrativa potrebbe in ipotesi
impugnare il diniego opposto dall‘ufficio, e non l‘atto di accertamento rispetto al quale l‘invocazione della compensazione sarebbe prematura -,
mentre in fase di riscossione la compensazione potrebbe essere direttamente
attuata dal contribuente. Con la via, residuale, di poter impugnare l‘atto di
riscossione conil quale l‘ufficio dimostri di non considerare avvenuto
validamente il ―pagamento‖ mediante compensazione.
4 La compensazione a iniziativa dell‟Amministrazione finanziaria
5 L‟avviso di recupero come atto emblematico della interstizialità
57
Prof. Claudio Berliri
Nuovo redditometro e altri accertamenti presuntivi:
alternatività o concorrenza?
1 Accertamento sintetico e nuove modalità di riscossione delle imposte
accertate
Come è ben noto il D.L. 31.5.2010 n. 78 convertito in L. 30.7.2010 n. 122 ha,
fra l‘altro, notevolmente modificato l‘accertamento sintetico complessivo del
reddito imponibile e ancor più la riscossione delle imposte accertate,
ancorché in contestazione.
In particolare l‘art. 22 ha modificato l‘art. 38 del D.P.R. n. 600/73 con effetto
per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione
non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del decreto stesso, vale a
dire alla data del 31.7.2010, il che significa che la nuova normativa si applica
agli effetti degli accertamenti per l‘anno 2009, e successivi.
Le modifiche alla riscossione sono state apportate dal successivo art. 29, e si
applicano agli atti di accertamento, relativi ai periodi di imposta 2007 e
successivi ed ai connessi provvedimenti di irrogazione delle sanzioni
notificati a far data dall‘1.7.2011.
2 La determinazione del reddito imponibile
Per quanto concerne l‘accertamento, il citato art. 22 ha modificato l‘art. 38
del D.P.R. 600/73 rubricato ―Rettifica delle dichiarazioni delle persone
fisiche‖ relativamente alla determinazione sintetica del reddito complessivo
del contribuente agli effetti dell‘IRPEF. Il nuovo testo del quarto comma
dell‘art. 38 consente agli Uffici di determinare il reddito complessivo del
contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del
periodo di imposta, ed il successivo quinto comma prevede altresì che la
determinazione sintetica possa essere fondata ―sul contenuto induttivo di
elementi indicativi di capacità contributiva individuato mediante l‘analisi di
campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del
nucleo familiare e dell‘area territoriale di appartenenza, con decreto del
Ministero dell‘Economia e delle Finanze, da pubblicare nella Gazzetta
Ufficiale con periodicità biennale‖.
Tale decreto – che ovviamente sostituirà quelli emessi in virtù dei precedenti
testi dell‘art. 38 – non è stato ancora pubblicato, e si sa soltanto che la
casistica sarà ben più ampia di quella sin qui prevista, e dovrebbe prevedere,
oltre al possesso di case, auto, aerei, imbarcazioni e quant‘altro, anche la
NUOVO REDDITOMETRO E ALTRI ACCERTAMENTI PRESUNTIVI:
ALTERNATIVITÀ O CONCORRENZA?
frequenza di circoli qualificati e di scuole private, viaggi all‘estero ed altre
manifestazioni di agiatezza.
Fermo ovviamente restando che una definitiva valutazione del nuovo
redditometro potrà essere espressa solo dopo la pubblicazione del previsto
decreto ministeriale, sin d‘ora si rileva che le differenze, rispetto al
precedente testo dell‘art. 38, non sono di poco conto.
Il precedente testo dell‘art. 38 prevedeva la facoltà dell‘Ufficio di accertare
sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in base agli
elementi indicativi di capacità contributiva individuati nel Decreto
Ministeriale. Ed aggiungeva: ―Qualora l‘Ufficio determini sinteticamente il
reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali,
la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti,
in quote costanti, nell‘anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti‖.
Il D.M. 10.9.1992, dopo aver indicato le modalità di quantificazione dei
valori desumibili dalla disponibilità dei beni e servizi analiticamente indicati
nello stesso Decreto, al comma 7 dell‘art. 3 disponeva: ―A tale valore devono
essere aggiunti l‘eventuale quota relativa ad incrementi patrimoniali,
determinata ai sensi del quinto comma dell‘art. 38 del D.P.R. 29.9.1973 n.
600, anche con riguardo all‘acquisto dei beni di cui al comma 1‖.
Era, quindi, assolutamente pacifico che l‘imponibile sinteticamente
determinato era costituito dalla somma dei valori risultanti dal redditometro e
dell‘importo di 1/5 degli investimenti patrimoniali effettuati nel quinquennio.
Il nuovo testo dell‘art. 38, invece, sembra tener distinti il reddito complessivo
del contribuente determinato ―sulla base delle spese di qualsiasi genere
sostenute nel corso del periodo di imposta‖, di cui al quarto comma e ―la
determinazione sintetica fondata sul contenuto induttivo di elementi
indicativi di capacità contributiva‖ individuati dall‘emanando Decreto
Ministeriale, previsto dal comma 5.
Da un canto, quindi, gli investimenti patrimoniali sono sostituiti dalle spese
di qualsiasi genere sostenute dal contribuente, e d‘altro canto la loro somma
determina, per cassa, l‘imponibile nell‘anno in cui sono state sostituite.
Tale imponibile sembrerebbe non sommabile alle risultanze del vero e
proprio redditometro, bensì alternativo a questo, nel senso che l‘Ufficio può
sia determinare il reddito in base al contenuto delle spese sia determinarlo in
base al vero e proprio redditometro, ovviamente utilizzando il maggiore dei
due risultati.
Tale alternatività è già stata riconosciuta da qualificati esponenti dell‘Agenzia
delle Entrate, anche perché l‘eventuale cumulo potrebbe comportare
autentiche duplicazioni. E comunque auspicabile che di tale alternatività
venga dato espresso atto nell‘atteso Decreto Ministeriale.
Altra novità è costituita dalla circostanza che, mentre l‘accertamento sintetico
previsto dal precedente testo dell‘art. 38 determinava il reddito complessivo
netto del contribuente - tanto che il settimo comma dell‘art. 38 espressamente prevedeva che ―dal reddito complessivo determinato
60
NUOVO REDDITOMETRO E ALTRI ACCERTAMENTI PRESUNTIVI:
ALTERNATIVITÀ O CONCORRENZA?
sinteticamente non sono deducibili gli oneri di cui all‘art. 10 del decreto
indicato nel secondo comma‖ (D.P.R. 29.9.1973 n. 597, si veda oggi l‘art. 6
D.P.R. n. 317/1986) - il nuovo redditometro previsto dall‘art. 22 del D.L. n.
78/2010 determina il reddito lordo, come espressamente risulta dal nuovo
comma 7 dell‘art. 38 secondo cui: ―Dal reddito complessivo determinato
sinteticamente sono deducibili i soli oneri previsti dall‘art. 10 del D.P.R.
22.12.1986 n. 917; competono, inoltre, per gli oneri sostenuti dal
contribuente, le detrazioni dall‘imposta lorda previste dalla legge‖.
Sono invece peggiorate le condizioni di applicabilità dell‘accertamento
sintetico. Il vecchio testo dell‘art. 38 prevedeva infatti l‘applicabilità del
redditometro ―quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per
1/4 da quello dichiarato‖ e aggiungeva che la determinazione induttiva
poteva essere effettuata ―quando il reddito dichiarato non risulta congruo
rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta‖.
Il nuovo testo del sesto comma dell‘art. 38 del D.P.R. 600 consente, invece,
la determinazione sintetica del reddito complessivo ―a condizione che il
reddito complessivo accertabile ecceda di almeno 1/5 (e non più 1/4 – n.d.r.)
quello dichiarato‖.
E‘ inoltre venuta meno la condizione della non congruità per almeno due
periodi di imposta. E‘ quindi sufficiente la incongruità per un solo esercizio
perché scatti l‘accertamento induttivo.
3 La natura della presunzione e l‟onere della prova
Da parte di alcuni autori è sorto il dubbio se le spese di qualsiasi genere
sostenute dal contribuente, ovvero gli elementi indicativi di capacità
contributiva che verranno evidenziati dal Decreto Ministeriale, costituiscano
presunzioni semplici ovvero presunzioni legali. Ed a conforto di quest‘ultima
soluzione adducono l‘orientamento assunto dalla Suprema Corte nei
confronti degli studi di settore qualificati appunto come presunzioni semplici
ancorché qualificate.
Personalmente ritengo che il legislatore abbia inteso le presunzioni che
giustificano il redditometro quali presunzioni legali e mi indicano a tali
conclusioni due considerazioni.
Il terzo comma del più volte citato art. 38, che non ha subito modifiche,
consente all‘Ufficio di procedere ad accertamenti ―anche sulla base di
presunzioni semplici, purché queste siano gravi precise e concordanti‖.
Il nuovo quarto comma dell‘art. 38, come già abbiamo visto, dispone che
―L‘Ufficio indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti
e dall‘art. 39, può sempre determinare sinteticamente il reddito complessivo
del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel
corso del periodo di imposta, salva la prova che il relativo finanziamento è
avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo di
imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenute alla fonte a titolo di
imposta o, comunque, legalmente escluse dalla formazione della base
61
NUOVO REDDITOMETRO E ALTRI ACCERTAMENTI PRESUNTIVI:
ALTERNATIVITÀ O CONCORRENZA?
imponibile‖. E il successivo quinto comma prevede a carico del contribuente
la stessa prova contraria di cui al quarto comma, nell‘ipotesi di
determinazione sintetica del reddito in base al redditometro.
Se, quindi, è il contribuente a dover fornire la prova contraria avverso le
presunzioni desunte dalle spese sostenute o dagli elementi indicativi di
capacità contributiva, significa che le presunzioni stesse costituiscono
presunzioni legali che possono essere vinte solo con la dimostrazione che i
relativi costi sono stati sostenuti con finanziamenti diversi dai redditi
imponibili posseduti nello stesso periodo di imposta.
A tali effetti la formulazione adottata dal legislatore appare quanto meno
imprecisa poichè, come rilevato, fa ―salva la prova che il relativo
finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso
periodo di imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte o
comunque legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile‖.
Ora, appare addirittura evidente che il termine ―redditi‖ deve essere inteso
come ―proventi‖ ovvero ―disponibilità‖ che possono non avere alcuna natura
reddituale.
Si pensi, per non fare che degli esempi, alla possibilità che la spesa sia stata
effettuata utilizzando risparmi bancari che il contribuente ha accumulato in
precedenti esercizi, che sia stata sostenuta con donazioni, lasciti, o vincite che
il contribuente abbia conseguito nell‘esercizio stesso o in precedenza, e che
non costituiscono certo ―redditi‖.
E‘ poi appena il caso di precisare che il riferimento ai redditi ―diversi‖ da
quelli posseduti nello stesso periodo di imposta non significa certo che le
spese sostenute con detti redditi ordinari legittimino comunque
l‘accertamento induttivo. Il già citato sesto comma dell‘art. 38 precisa, infatti,
che ―la determinazione del reddito complessivo di cui ai precedenti commi è
ammessa a condizione che il reddito complessivo accertabile ecceda di
almeno 1/5 quello dichiarato‖. Conseguentemente, sino a concorrenza del
120% del reddito dichiarato dal contribuente, le spese sostenute e gli altri
elementi indicativi di capacità contributiva non necessitano di alcuna prova
contraria.
Fermo quanto precede, in ordine alle prove che il contribuente deve fornire
per giustificare spese o altri elementi indicativi di capacità contributiva
eccedenti il reddito dichiarato, va rilevato che il più volte citato settimo
comma dell‘art. 38 espressamente dispone che: ―l‘Ufficio che procede alla
determinazione sintetica del reddito complessivo ha l‘obbligo di invitare il
contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per
fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell‘accertamento e, successivamente, di
avviare il procedimento di accertamento con adesione ai sensi dell‘art. 5 del
Decreto legislativo 19 giugno 1997 n. 218‖.
Ciò significa che, in mancanza di preventivo contraddittorio con il
contribuente – e salva, ovviamente, l‘ipotesi di inottemperanza di questi agli
62
NUOVO REDDITOMETRO E ALTRI ACCERTAMENTI PRESUNTIVI:
ALTERNATIVITÀ O CONCORRENZA?
inviti disposti dall‘Ufficio – l‘accertamento sintetico non può essere
compiuto e, se compiuto, risulta illegittimo e quindi nullo.
Naturalmente, sia in sede di contraddittorio, sia di invito all‘accertamento con
adesione, il contribuente può rifiutare la definizione impugnando
l‘accertamento dinanzi la competente Commissione Tributaria Provinciale.
4 Rapporto tra accertamento sintetico ed altri accertamenti
Come è ben noto, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e successive
modificazioni, ed in particolare il titolo IV ―Accertamento e controlli‖
prevedono e disciplinano varie ipotesi di attività e di interventi da parte delle
Agenzie delle Entrate al fine di verificare la congruità delle dichiarazioni
presentate dal contribuente e l‘accertamento dei redditi omessi.
Le Agenzie delle Entrate provvedono, quindi, dapprima al controllo formale
delle dichiarazioni ed al recupero delle imposte dichiarate ma non versate,
alla correzione di errori materiali, alla riduzione delle detrazioni di imposta o
delle deduzioni dal reddito dichiarati e alla liquidazione delle maggiori
imposte dovute.
Successivamente l‘Agenzia delle Entrate procede – o può procedere –
all‘accertamento dei redditi non dichiarati e tale accertamento può essere
parziale, se riguarda solo taluni cespiti o talune categorie di reddito, o
complessivo quando riguarda la totalità dei redditi posseduti dal contribuente.
Gli accertamenti, inoltre, possono essere analitici, se riguardano singoli dati
risultanti dalle dichiarazioni o dalla contabilità del contribuente, ovvero
sintetici-presuntivi, se concernono l‘intero reddito e, tra questi, ricordiamo,
oltre al redditometro di cui ci siamo sin qui occupati, gli accertamenti in base
agli studi di settore, gli accertamenti su parametri, gli accertamenti desunti
dalle risultanze bancarie.
Da alcuni si ritiene che il nuovo redditometro sia destinato ad assorbire gli
altri tipi di accertamento, ed in particolare gli accertamenti presuntivi quali
quelli basati sugli studi di settore.
Tale previsione, peraltro, non ci trova consenzienti.
Innanzitutto il redditometro concerne solo ed esclusivamente le persone
fisiche e non anche le persone giuridiche. Lo stesso art. 38 del D.P.R. 600,
dopo le modifiche apportate dal D.L. n. 78/2010, fa espressamente salve le
rettifiche delle dichiarazioni presentate dalle persone fisiche e dei redditi
determinati in base alle scritture contabili. E l‘accertamento sintetico, che
costituisce il nuovo redditometro o ―spesometro‖ è soltanto una ulteriore
possibilità prevista per gli Uffici.
Il nuovo redditometro, inoltre, non concerne l‘Iva, per il cui accertamento
sono previste, oltre al controllo analitico delle operazioni, le risultanze degli
studi di settore.
Si aggiunga che, mentre la congruità della dichiarazione rispetto agli studi di
settore può essere fatta direttamente a tavolino, l‘accertamento induttivo di
63
NUOVO REDDITOMETRO E ALTRI ACCERTAMENTI PRESUNTIVI:
ALTERNATIVITÀ O CONCORRENZA?
cui al redditometro necessita di specifiche indagini onde accertare la tipologia
e l‘entità delle spese sostenute, ovvero la sussistenza di elementi indicativi di
capacità contributiva.
Ferma, quindi, la coesistenza dei vari tipi di accertamento, resta da vedere se
nei confronti del singolo contribuente sia possibile procedere, per la
medesima annualità, a vari tipi di accertamento.
Certamente l‘eventuale notifica di un accertamento parziale non impedisce
all‘Ufficio di procedere successivamente ad accertamento complessivo. Se
quindi un contribuente dichiara un imponibile 100, di cui 50 costituiti da
redditi di lavoro autonomo e l‘Ufficio, in base agli studi di settore, eleva tale
reddito di lavoro autonomo a 80 e, quindi, il reddito complessivo a 130,
l‘Ufficio potrà poi procedere ad un accertamento sintetico del reddito
complessivo, sempre che in base al redditometro il risultato complessivo
ecceda i 130 già accertati e, comunque, solo per l‘eccedenza rispetto a detti
130.
E‘ invece assai dubbio se, una volta effettuato l‘accertamento sintetico
complessivo, e ,quindi, quantificato il reddito totale in una determinata cifra,
possa successivamente l‘Ufficio accertare tramite gli studi di settore il solo
reddito di lavoro autonomo già ricompreso nel reddito sintetico.
È peraltro senz‘altro possibile – ed è stato già effettuato da alcune Agenzie
delle Entrate – procedere contemporaneamente ad accertamento sintetico e ad
accertamento in base agli studi di settore, dopo che la Cassazione ha ritenuto
questi ultimi frutto di presunzioni semplici, e quindi da rafforzare con altre
presunzioni o prove.
Con il doppio accertamento l‘Ufficio non soltanto rafforza le proprie
conclusioni ma è in grado di accertare un maggior imponibile agli effetti sia
del reddito complessivo soggetto ad IRPEF sia del volume d‘affari relativo
all‘IVA.
5 La riscossione degli imponibili accertati
Come già anticipato agli inizi del presente lavoro, il chilometrico articolo 29
del D.L. n. 78/2010 sostanzialmente modifica le modalità di riscossione delle
imposte e delle sanzioni, attribuendo agli avvisi di accertamento la natura di
titoli esecutivi, e quindi abolendo la iscrizione a ruolo delle imposte e le
relative cartelle esattoriali.
Dispone infatti il citato art. 29 del D.L. n. 78 modificato dalla Legge 125 del
2010 che, a partire dal 1° luglio 2011, ―l‘avviso di accertamento emesso
dall‘Agenzia delle Entrate ai fini delle imposte sui redditi e dell‘imposta sul
valore aggiunto e del connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni,
devono contenere anche l‘intimazione ad adempiere, entro il termine di
presentazione del ricorso, all‘obbligo di pagamento degli importi negli stessi
indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso ed a titolo
provvisorio, degli importi stabiliti dall‘art. 15 del D.P.R. 29.9.73 n. 602.
L‘intimazione ad adempiere al pagamento è altresì contenuta nei successivi
64
NUOVO REDDITOMETRO E ALTRI ACCERTAMENTI PRESUNTIVI:
ALTERNATIVITÀ O CONCORRENZA?
atti da notificare al contribuente, anche mediante raccomandata con avviso
di ricevimento, in tutti i casi in cui siano ridimensionati gli importi dovuti in
base agli avvisi di accertamento e ai fini delle imposte sui redditi e
dell‘imposta sul valore aggiunto ed ai connessi provvedimenti di irrogazione
delle sanzioni, anche ai sensi dell‘art. 8, comma 3bis, del D.L. 19.6.97 n.
218, dell‘art. 68 del D.L. 31.12.92 n. 546 e dell‘art. 19 del D.L. 18.12.97 n.
472. In tali ultimi casi il versamento delle somme dovute deve avvenire entro
sessanta giorni dal ricevimento della raccomandata‖.
Aggiunge l‘articolo in esame che gli atti sopraindicati ―divengono esecutivi
decorsi i sessanta giorni dalla notifica e devono indicare espressamente
l‘avvertimento che, decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il
pagamento, la riscossione delle somme richieste, in deroga alle disposizioni
in materia di iscrizione a ruolo, è affidata in carico agli Agenti della
Riscossione anche ai fini della esecuzione forzata, con le modalità
determinate con provvedimento del Direttore dell‘Agenzia delle Entrate, di
concerto con il Ragioniere Generale dello Stato‖.
In base al titolo esecutivo costituito dall‘avviso di accertamento o dai
successivi atti di liquidazione gli Agenti della Riscossione, senza la
preventiva notifica della cartella di pagamento, inviano l‘intimazione ad
adempiere e, trascorsi sessanta giorni, provvedono alla espropriazione forzata
con i poteri, le facoltà e le modalità previste dalle disposizioni che
disciplinano le riscossioni a mezzo ruolo.
Tralasciando altre disposizioni, di cui si occuperanno specificatamente gli
altri relatori, mi limito a ricordare l‘inasprimento delle sanzioni penali
nell‘ipotesi di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, già previste
dall‘art. 11 del D.L.vo 10.3.2000 n. 74.
Rilevo inoltre che le modifiche apportate dall‘art. 29 non modificano gli
obblighi di pagamento delle imposte accertate, finora vigenti, ma ne
accelerano la riscossione anche coattiva.
Come è noto, infatti, fino ad ora l‘Ufficio, una volta notificato
l‘accertamento, attendeva che questo fosse divenuto definitivo e quindi
procedeva alla iscrizione a ruolo delle imposte dovute.
In caso di impugnazione dell‘accertamento, l‘Ufficio poteva procedere alla
iscrizione a ruolo del 50% dell‘imposta accertata e alla trasmissione del ruolo
all‘Agente della Riscossione, il quale provvedeva alla redazione e alla
notifica della cartella esattoriale, impugnabile da parte del contribuente.
Con la nuova normativa è lo stesso avviso di accertamento che, trascorsi i
sessanta giorni dalla notificazione, viene trasmesso agli Agenti della
Riscossione che possono provvedere alla riscossione, anche tramite
esecuzione forzata, dell‘intero importo o del 50% se il contribuente ha
proposto ricorso. La riduzione dei tempi appare evidente.
A tutela del contribuente non sono previste norme particolari. Viene
confermata la possibilità di richiedere all‘Agente della Riscossione la
dilazione del pagamento prevista dall‘art. 19 del D.P.R. 29.9.1973, n. 602
65
NUOVO REDDITOMETRO E ALTRI ACCERTAMENTI PRESUNTIVI:
ALTERNATIVITÀ O CONCORRENZA?
ovvero chiedere all‘Agenzia delle Entrate la sospensione della riscossione
sino alla sentenza della Commissione Provinciale tempestivamente adita, ai
sensi dell‘art. 39 del già citato D.P.R. n. 602/73.
Resta altresì ferma la facoltà del contribuente di richiedere la sospensione
dell‘esecuzione dell‘atto impugnato ai sensi dell‘art. 47 del D.L.vo n.
546/1992.
Ed a questi effetti, tenuto conto del tempo normalmente richiesto dalle
Commissioni per i provvedimenti di sospensione, e del fatto che trascorsi
sessanta giorni dalla notifica dell‘accertamento e altrettanti dall‘avviso di
intimazione, l‘Agente della Riscossione provvede in esecutivis, appare
opportuno anticipare al massimo la proposizione del ricorso e contestuale
istanza di sospensione, senza attendere l‘ultimo giorno.
Naturalmente quanto precede vale per tutti i tipi di accertamento, ivi
compresi, quindi, gli accertamenti presuntivi.
Claudio Berliri
66
Dott.ssa Giulia Boletto
Tutela del contribuente nella fase di esecuzione
forzata in caso di omessa o irregolare notifica del
titolo esecutivo
L‘art. 57, comma 1, del DPR 602 del 1973 dispone che non sono ammesse le
opposizioni regolate dall‘art. 615 del codice di procedura civile, fatta
eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni, e le opposizioni
regolate dall‘art. 617 del codice di procedura civile relative alla regolarità
formale e alla notificazione del titolo esecutivo.
La limitata esperibilità delle opposizioni esecutive si giustifica alla luce
dell‘impugnazione del titolo esecutivo e del precetto (adesso concentrati nell‘
avviso di accertamento) innanzi alle Commissioni tributarie, ai sensi dell‘art.
19 del D.Lgs. 546 del 1992. Il legislatore, in buona sostanza, ha ritenuto che
il diritto di difesa del contribuente/esecutato sia perfettamente tutelato in
forza di questo sistema binario che prevede il ricorso sia alle commissioni
tributarie sia, in alcune limitate ipotesi, innanzi al giudice ordinario: nella
1
relazione al D.Lgs. 46/99 - decreto cui si deve, tra l‘altro, la riforma della
materia delle opposizioni all‘esecuzione esattoriale - si legge, infatti, che
l‘impugnazione innanzi alle Commissioni tributarie rende inutile la
previsione di un‘opposizione ex art. 615 c.p.c. o ex art. 617 c.p.c.
Gli strumenti processuali a tutela del contribuente/esecutato, tuttavia, non
sembrano in grado di realizzare una piena ed effettiva tutela giurisdizionale;
la dottrina si è interrogata, infatti, in ordine alla tutela esperibile a fronte di un
atto dell‘espropriazione forzata, qual è l‘atto di pignoramento, che non sia
stato preceduto dalla notifica del titolo esecutivo, oppure che non abbia
ragione di esistere in quanto il diritto di credito dell‘amministrazione è stato
annullato oppure completamente soddisfatto; in tali ipotesi il
contribuente/esecutato non solo non potrebbe agire dinanzi alle Commissioni
tributarie, mancando il presupposto necessario dell‘azione, e cioè la notifica
di uno degli atti di cui all‘art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, ma, stando a quanto
dispone l‘art. 57 del DPR n. 602 del 1973, non potrebbe neppure proporre
opposizione all‘esecuzione dinanzi al giudice ordinario per far valere la
mancanza del diritto di procedere ad esecuzione da parte
dell‘amministrazione, in quanto tale azione sarebbe proponibile solo nei casi
in cui si contestasse la pignorabilità dei beni.
1
In Boll. Trib., 1999, 485.
TUTELA DEL CONTRIBUENTE NELLA FASE DI ESECUZIONE FORZATA IN CASO DI
OMESSA O IRREGOLARE NOTIFICA DEL TITOLO ESECUTIVO
2
A fronte di questo vuoto di tutela alcuni autori hanno prospettato un‘unica
possibile soluzione, consistente nell‘adempimento, al quale il contribuente
potrebbe far seguire un‘istanza di restituzione ed un eventuale successivo
ricorso avverso il diniego espresso o tacito, con un meccanismo che somiglia
molto al solve et repete.
3
Altri , viceversa, hanno ritenuto che la disciplina dei mezzi processuali a
disposizione del contribuente durante la riscossione coattiva presenti profili
di illegittimità costituzionale con riguardo al diritto (costituzionalmente
garantito) ad una tutela piena ed effettiva: è pur vero, dicono, che il
contribuente può esperire, ad esecuzione esaurita, un‘autonoma azione diretta
ad ottenere il risarcimento del danno da esecuzione ingiusta (art. 59 DPR n.
602 cit.), ma la tutela risarcitoria non offre la piena realizzazione del diritto
del contribuente a non subire un‘esecuzione ingiusta al pari di una tutela in
forma specifica (qual è l‘opposizione all‘esecuzione), basti pensare al fatto
che il debitore dovrebbe prima subire l‘esecuzione e poi agire per ottenere il
risarcimento del danno, con un meccanismo che, di nuovo, richiama il solve
et repete.
Da questo punto di vista, allora, l‘art. 57 presenterebbe profili di
incostituzionalità in quanto, escludendo il rimedio dell‘opposizione
all‘esecuzione ex art. 615 c.pc. per far valere eventi dai quali deriva
l‘inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata diversi e
sopravvenuti da quelli deducibili in sede ordinaria, importa una
conformazione del diritto sostanziale dell‘esecutato diversa e deteriore
rispetto a quella che risulterebbe dall‘esperimento del rimedio escluso,
importa, in altri termini, una compressione delle forme di tutela riconosciute
al contribuente/esecutato del tutto ingiustificata.
4
Un‘altra parte della dottrina , infine, ha fornito una lettura costituzionalmente
orientata del combinato disposto degli artt. 2 e 19 del D.Lgs. n. 546/92 e art.
57 del DPR n. 602/73, riconoscendo al contribuente la possibilità di
contestare l‘esistenza del diritto processuale di agire in esecuzione forzata
dinanzi al giudice tributario attraverso l‘impugnazione del primo atto
dell‘esecuzione forzata (quand‘anche esso sia il pignoramento); in caso
contrario, infatti, si avrebbe un‘ingiustificata disparità tra quei contribuenti
nei confronti dei quali la fase di recupero coattivo del credito tributario inizia
con un atto autonomamente impugnabile dinanzi alle Commissioni tributarie
2
C. GLENDI, Abolizione dell‘avviso di mora: si torna al solve et repete, in Corr. Trib.,
1999, 2833
3
A. SCALA, La tutela del contribuente nella riscossione coattiva, Rass. Trib., 2008,
1299.
4
Cfr. A. MERCATALI, La riscossione delle imposte. Nuove norme e nuovi problemi, in
Boll. Trib., 2000, 14; S. LA ROSA, La tutela del contribuente nella fase di riscossione,
in Rass. Trib., 2001, 1178; F. RANDAZZO, Le problematiche di giurisdizione nei casi
di riscossione tributaria non preceduta da avviso di mora, in Riv. Dir. trib., 2003, II,
914.
68
TUTELA DEL CONTRIBUENTE NELLA FASE DI ESECUZIONE FORZATA IN CASO DI
OMESSA O IRREGOLARE NOTIFICA DEL TITOLO ESECUTIVO
(atto che può avere natura cautelare come l‘ipoteca o il fermo dei beni mobili
registrati, oppure rappresentare una nuova intimazione al pagamento come
l‘avviso di cui all‘art. 50 del D.lgs. n. 602 del 1973) e coloro nei confronti dei
quali l‘agente della riscossione procede subito, appunto, con un
pignoramento.
Sono anch‘io dell‘avviso che dal combinato disposto delle norme sopra citate
(artt. 2 e 19 D.Lgs. 546/92 e 57 DPR n. 602/73), emerga,
inequivocabilmente, la volontà del legislatore di attribuire alle Commissioni
tributarie la giurisdizione in merito alle controversie aventi ad oggetto la
fondatezza della pretesa, e l‘esistenza del diritto processuale di agire in via
di esecuzione forzata, e al giudice ordinario la giurisdizione in merito alle
controversie aventi ad oggetto la legittimità degli atti del procedimento di
riscossione coattiva successivi alla cartella di pagamento (o all‘avviso di
mora). Ciò trova conferma, a mio avviso, anche nel fatto che il legislatore ha
ammesso (ai sensi dell‘art. 57 cit.) la proponibilità dinanzi al giudice
ordinario dell‘unica forma di opposizione all‘esecuzione (ex art. 615 del
c.p.c.) che riguarda non l‘an ma il quomodo dell‘esecuzione: cioè
l‘opposizione attraverso la quale è dato contestare la pignorabilità dei beni.
Anche per l‘ipotesi di pignoramento non preceduto dalla notifica del titolo
esecutivo, mi pare che il legislatore, avendo previsto, come dicevamo, un
sistema di tutela binario, nell‘escludere espressamente l‘azione dinanzi al
giudice ordinario per far valere vizi di notificazione del titolo esecutivo,
abbia inteso ricomprendere tali questioni tra quelle eccepibili dinanzi al
5
giudice tributario .
Quanto all‘effettiva proponibilità dell‘azione dinanzi al giudice tributario, mi
pare che, ormai, immaginare l‘impugnazione del pignoramento, cioè di un
atto diverso da quelli contemplati all‘art. 19 del D.Lgs. n. 546/92 non sia più
così ―avveniristico‖: non si può negare, infatti, che si stia andando nella
direzione di un totale superamento del binomio giurisdizione/atto
5
Come rileva anche F. RANDAZZO, Le problematiche di giurisdizione nei casi di
riscossione tributaria non preceduta da avviso di mora, cit., il fatto che il legislatore
tributario abbia escluso la proponibilità dell‘ordinaria opposizione agli atti esecutivi,
regolata dell‘art. 617 del c.p.c., per tutti i casi riguardanti la notifica del titolo
esecutivo, ―indica chiaramente‖ che il legislatore ha dato per scontato l‘esperibilità
del ricorso avanti il giudice tributario anche in assenza di notificazione dell‘atto
impugnabile (cartella di pagamento), altrimenti ―la norma avrebbe l‘effetto di
impedire qualunque tutela giurisdizionale proprio nel caso in cui massimo è il
disvalore (mancata notificazione del titolo esecutivo) avverso cui pongono rimedio le
opposizioni agli atti esecutivi‖.
Contra, U. PERRUCCI, Riscossione più severa per il contribuente, in Boll. Trib., 1999,
453, secondo il quale, in questo caso, sarebbe proponibile l‘opposizione al giudice
ordinario ai sensi dell‘art. 617 del c.p.c., attraverso la quale è possibile contestare la
conformità dell‘atto dell‘esecuzione alle norme che lo disciplinano. Così anche G.
MONTEDORO, La nuova tutela giurisdizionale dei diritti nella riforma della
riscossione, in Il Fisco, 2001, 8493.
69
TUTELA DEL CONTRIBUENTE NELLA FASE DI ESECUZIONE FORZATA IN CASO DI
OMESSA O IRREGOLARE NOTIFICA DEL TITOLO ESECUTIVO
impugnabile. La giurisprudenza di legittimità tende, da qualche anno, a
sostituire tale binomio con l‘interesse ad agire ex art. 100 c.p.c.: in sostanza,
data la natura tributaria della controversia, si ammette la proposizione
dell‘azione dinanzi al giudice tributario ogniqualvolta sussista un interesse ad
6
agire del ricorrente .
Volendo essere più rigorosi e rispettosi del dato testuale delle disposizioni,
occorre dire, invece, che l‘attuale assetto normativo pare essere chiuso
rispetto all‘ipotesi di proposizione dell‘azione di opposizione all‘esecuzione
dinanzi al giudice tributario attraverso l‘impugnazione di un atto che non
rientra tra quelli impugnabili, neppure alla luce di un‘interpretazione
7
estensiva dell‘art. 19 del D. Lgs. 546/92 .
6
Emblematica in tal senso è la sentenza della Cass. n. 16776 del 2005 nella quale si
dice che il giudice tributario può conoscere del diniego di autotutela in quanto
la devoluzione al giudice tributario di tutte le controversie in materia di
tributi ha comportato che la giurisdizione tributaria è divenuta nell’ambito
della materia tributaria una giurisdizione a carattere generale, e di
conseguenza essa si estende anche alle controversie relative agli atti di
esercizio dell’autotutela tributaria, in quanto comunque incidenti sul
rapporto.
7
E‘ noto che a seguito dell‘unificazione della giurisdizione tributaria 7, la
giurisprudenza di legittimità ha affermato, con orientamento ormai
consolidato, che l‘elenco di atti impugnabili di cui all‘art. 19, D.Lgs.
546/1992 non debba ritenersi tassativo e di stretta interpretazione
nominalistica, ma, al contrario, che spetti al giudice tributario, cui è devoluta
l‘impugnazione circa la legittimità dell‘atto notificato al contribuente,
―valutarne il contenuto ―sostanzialmente impositivo‖, inteso quale attitudine
a rappresentare e rendere conoscibile - negli elementi essenziali e sufficienti
per adire la tutela amministrativa o giudiziale - la pretesa tributaria‖ (Corte di
Cassazione, sez. trib., Sent. n. 21045 dell‘8 ottobre 2007). Si è data, cioè,
un‘interpretazione estensiva della norma, volta a privilegiare i profili
funzionali e contenutistici dell‘atto, rispetto al nomen, così da riconoscere
l‘interesse ad agire del contribuente in presenza di atti che siano
sostanzialmente espressivi della pretesa tributaria. Tale interpretazione,
tuttavia, ha sempre preso a riferimento atti che precedono il provvedimento
con il quale, di regola, viene compiutamente manifestata la pretesa impositiva
e non atti che seguono ad esso (come il pignoramento): è stata ritenuta
impugnabile, infatti, la visura catastale tramite la quale una società aveva
appreso l‘entità della rendita catastale attribuita a un immobile acquistato da
un fallimento (Corte Cass., sez. trib., sent. n. 27385 del 18 novembre 2008
(ud. del 14 ottobre 2008), il preavviso di fermo (Corte Cass., Ss. Uu., Sent. n.
11087 del 7 maggio 2010 (ud. del 7 maggio 2010) e, infine, la visura dei
ruoli pendenti presso l‘agente della riscossione (Corte Cass., sez. trib., ord
15946 del 6 luglio 2010).
70
TUTELA DEL CONTRIBUENTE NELLA FASE DI ESECUZIONE FORZATA IN CASO DI
OMESSA O IRREGOLARE NOTIFICA DEL TITOLO ESECUTIVO
Si potrebbe immaginare, tutt‘al più, che l‘opposizione all‘esecuzione per
mancata notifica del titolo esecutivo possa essere instaurata dinanzi alle
Commissioni tributarie proprio attraverso l‘impugnazione del titolo
esecutivo. Il titolo esecutivo (avviso di accertamento o ruolo) è, infatti,
l‘unico atto impugnabile dinanzi alle Commissioni tributarie, ai sensi dell‘art.
19 del D.lgs. n. 546 del 1992, per vizi propri, vizi tra i quali non può non
rientrare la mancata notifica. Il verbale di pignoramento diventerebbe, allora,
il mezzo attraverso il quale è possibile prendere conoscenza del fatto che il
titolo esecutivo è stato adottato, ma non notificato: dalla notifica del verbale
8
di pignoramento, quindi, dovrebbero decorrere i termini per l‘impugnazione.
Quanto detto si porrebbe in linea, peraltro, con il principio generale secondo
il quale l‘atto recettizio irritualmente notificato è inefficace e non può essere
impugnato dato che non reca una lesione attuale e concreta all‘interesse del
soggetto, ma che gli atti esecutivi di un atto inefficace sono illegittimi e,
come tali, possono ex se, essere impugnati; tali atti, peraltro, facendo sorgere
un interesse attuale nel ricorrente, segnano anche il momento dal quale
decorre il termine per l‘impugnativa dell‘atto inefficace eseguito, per motivi
9
che direttamente lo concernono .
8
Ricordo che le SS.UU. nella sentenza n. 15563 del 6 novembre 2002, in Riv. Dir.
trib., 2003, II, 914, con nota di F. RANDAZZO, Le problematiche di giurisdizione nei
casi di riscossione tributaria non preceduta da avviso di mora; in Rass. Trib., 2002,
1378, con nota di F. CATARZI, Una sentenza in linea coi principi generali ed i
precedenti, e con nota di G. PORCARO, La fase esecutiva tra giurisdizione ordinaria e
tributaria; in Dialoghi di diritto tributario, 2003, 5, con nota di R. LUPI, Le diverse
reazioni al pignoramento sine titulo tra giurisdizione ordinaria e tributaria, e con
nota di F. TESAURO, La giurisdizione del giudice ordinario nelle liti esecutive fiscali)
hanno stabilito, viceversa, che l‘opposizione all‘atto di pignoramento ―inatteso‖ (in
quanto non preceduto da altro atto autonomamente impugnabile) deve essere attribuita
al giudice ordinario: questo perché, secondo la Cassazione, la domanda del ricorrente
pone in dubbio non la fondatezza della pretesa, ma il diritto del Fisco di agire nei suoi
confronti e si qualifica, quindi, come opposizione all‘esecuzione ai sensi dell‘art. 615
del c.p.c., di competenza del giudice ordinario. L‘art. 2 del D.lgs. n. 546 del 1992,
dice la Cassazione, si limita a stabilire il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e
giudice tributario con riguardo alle controversie aventi ad oggetto il rapporto
tributario e le sue componenti accessorie e a quelle relative agli atti dell‘esecuzione
forzata tributaria, ma niente prevede per le cause che investono il diritto di procedere
all‘esecuzione: ―il silenzio di detto art. 2 sull‘opposizione ex art. 615 c.p.c.‖, conclude
il supremo collegio, ―è di per sé sufficiente a determinare la giurisdizione del giudice
ordinario, traducendosi nella mancanza di deroga ai comuni criteri di collegamento‖.
Tale decisione non mi pare condivisibile. Se (come suggeriscono le Sezioni unite
della Cassazione), l‘esecutato avesse impugnato l‘atto di pignoramento dinanzi al
giudice ordinario per contestare l‘esistenza del diritto di procedere ad esecuzione
forzata, il giudice ordinario avrebbe poi dovuto dichiarare inammissibile la domanda,
che non si riferiva a questioni di pignorabilità dei beni.
9
Cfr. N. DANIELE, L‘atto amministrativo recettizio, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1953,
826.
71
TUTELA DEL CONTRIBUENTE NELLA FASE DI ESECUZIONE FORZATA IN CASO DI
OMESSA O IRREGOLARE NOTIFICA DEL TITOLO ESECUTIVO
La possibilità di impugnare un atto che non sia stato notificato pare essere
espressamente contemplata, tra l‘altro, dalla legge processual - tributaria:
l‘art. 22 del D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in tema di costituzione in
giudizio del ricorrente, al comma 4, infatti, subordina il deposito dell‘atto
impugnato all‘avvenuta notifica, disponendo che ―unitamente al ricorso ed ai
documenti previsti al comma 1, il ricorrente deposita il proprio fascicolo, con
l‘originale o la fotocopia dell‘atto impugnato, se notificato [corsivo nostro],
ed i documenti che produce, in originale o fotocopia‖.
E‘ evidente, tuttavia, che la tutela che si verrebbe a realizzare in questo modo
non è esattamente uguale a quella che sarebbe riconosciuta al contribuente se
la riscossione coattiva fosse iniziata con uno degli atti autonomamente
impugnabili (ad es. avviso di mora), in quanto, in quest‘ultimo caso egli
avrebbe avuto la possibilità di scegliere se impugnare solo l‘atto successivo,
contestando il vizio di illegittimità del procedimento di formazione, oppure
proporre un ricorso cumulativo estendendo le proprie contestazioni anche
all‘atto precedente (ai sensi dell‘art. 19, c.3, D. Lgs. 546/92).
La tutela prospettata, inoltre, risulterebbe insoddisfacente anche sotto un altro
profilo: l‘impugnazione del titolo esecutivo per mancata notifica non avrebbe
l‘effetto di sospendere l‘azione esecutiva (già iniziata con il pignoramento), a
meno di non ritenere che l‘azione debba essere proposta anche nei confronti
dell‘agente della riscossione (che ha proceduto al pignoramento) per evitare
che questi, all‘oscuro di tutto, prosegua nell‘esecuzione forzata incorrendo in
responsabilità per esecuzione ingiusta (ex art. 59 DPR n. 602/73).
La soluzione proposta, infine, non sarebbe attuabile nel caso in cui l‘agente
della riscossione abbia proceduto al pignoramento per recuperare un credito
che, in realtà, è già stato completamente soddisfatto: per tale ipotesi vi
sarebbe davvero un vuoto di tutela, che solo il legislatore può colmare
prevedendo espressamente la proponibilità dell‘azione di opposizione
all‘esecuzione ex art. 615 c.p.c. per sopravvenuta insussistenza del credito,
oppure, meglio ancora, l‘impugnazione del pignoramento dinanzi alle
Commissioni tributarie.
Giulia Boletto
Università di Pisa
72
Prof. Andrea Carinci
La concentrazione della riscossione
nell‟accertamento
(ovvero un nuovo Ircocervo tributario)
1 Tenore e ragioni della novella
L‘art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con L. 30 luglio 2010, n.
122, ha introdotto il cd. accertamento esecutivo nelle imposte sui redditi,
Irap1 e nell‘imposta sul valore aggiunto. A partire dal 1° luglio 2011, l‘agente
della riscossione potrà così procedere alla riscossione coattiva delle somme
vantate in forza di un avviso di accertamento, non più in base a ruolo ed in
virtù della notifica della cartella di pagamento, ma già e solo in ragione
dell‘avvenuta notifica del nuovo avviso di accertamento e del connesso
provvedimento di irrogazione delle sanzioni 2.
Il sostanziale superamento del ruolo, che la novella mira a realizzare
(ancorché solo parziale, almeno in questa prima fase), concentrando in un
unico atto ed in un unico procedimento i due momenti della determinazione
della pretesa e della sua esazione, porta a compimento l‘auspicata
unificazione tra le fasi di accertamento e della riscossione 3. Unificazione,
1
L‘Irap è stata espressamente inclusa nell‘art. 29 solo con il cd. Decreto sviluppo
(schema di decreto-legge approvato il 5 maggio 2011), sebbene l‘applicazione del
nuovo regime a tale imposta si potesse desumere in via interpretativa alla stregua
dell‘art. 25 del D.Lgs. n. 446/97, che rende applicabili le disposizioni in materia di
imposte sui redditi all‘accertamento ed alla riscossione dell‘imposta regionale; cfr.
Circ. n. 4/E del 15 febbraio 2011; A. CARINCI, Prime considerazioni sull‘avviso di
accertamento ―esecutivo‖ ex D.L. n. 78/2010, in Riv. dir. trib., 2011, I, pag. 162.
2
Per un primo commento della novella, A. GIOVANNINI, Riscossione in base al ruolo
e agli atti d‘accertamento, in Rass. trib., 2011, pag. 22; A. CARINCI, Prime
considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex D.L. n. 78/2010, cit., pag.
159; F. TUNDO, L‘avviso di accertamento quale atto della riscossione, in Corr. trib.,
2010, pag. 2653; M. BRUZZONE, L‘avviso di accertamento diventa ―titolo esecutivo‖
per imposte sui redditi ed IVA, in Corr. trib., 2010, pag. 2230; C. ATTARDI, D.L. 31
maggio 2010, n. 78, convertito - Accertamento esecutivo e superamento del ruolo:
profili sistematici, in il fisco, 2010, pag. 6323.
3
Così M. BASILAVECCHIA, Il ruolo e la cartella di pagamento: profili evolutivi della
riscossione dei tributi, in Dir. prat. trib., 2007, I, p. 148.
LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO
(OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO)
questa, che la recente riforma del sistema della riscossione a mezzo ruolo 4
aveva effettivamente lasciato intravedere quale epilogo naturale 5.
Si tratta di una novità di grande rilevanza, sul piano sistematico come su
quello strettamente operativo. Sul piano strettamente operativo, in particolare,
la previsione secondo cui l‘azione esecutiva – da svolgere con le forme e le
modalità dettate dal D.P.R. n. 602/73, come prevede la lett. e) del comma 1
dell‘art. 29 - potrà essere iniziata senza la notifica al contribuente di un atto
ulteriore e successivo all‘avviso di accertamento, costringerà ad assegnare a
questo momento una centralità per certi versi inedita. Soprattutto nella
prospettiva di tutela del contribuente. Non si può trascurare, difatti, che la
scelta di sopprimere - per i casi in cui opererà il nuovo avviso - il ruolo e la
cartella, si tradurrà nell‘eliminazione di un momento di accesso alla tutela del
giudice tributario. Ciò sembra rispondere, indubbiamente, ad un‘esigenza
condivisibile, nella misura in cui intende scongiurare pratiche dilatorie, quali
l‘impugnazione di cartelle di pagamento relative a debiti tributari dovuti per
avvisi di accertamento definitivi. Resta il fatto però che, in questo modo,
l‘avviso di accertamento diventerà l‘ultima occasione utile 6 per accedere al
processo tributario e alla pienezza di tutela che questo solo può concedere al
contribuente.
2 La concentrazione mediante “innesto” ed i profili di criticità della
nuova disciplina sull‟accertamento esecutivo
Per effetto dell‘art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, l‘avviso di
accertamento verrà ad integrare altresì il titolo esecutivo legittimante, di per
sé solo, la riscossione coattiva.
Si realizza, per questa via, la concentrazione in capo all‘avviso di
accertamento delle funzioni di titolo esecutivo e di precetto, affidate ora
rispettivamente al ruolo ed alla cartella, in aggiunta a quella già propria di
atto impositivo. Con la conseguenza che l‘avviso di accertamento verrà a
4
Riforma introdotta dall‘art. 3, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito con L. 2
dicembre 2005, n. 248, che ha soppresso il sistema di affidamento in concessione del
servizio nazionale della riscossione ed ha previsto la costituzione di un‘apposita
società, partecipata dall‘Agenzia delle Entrate e dall‘Inps (―Riscossione S.p.a.‖
divenuta in seguito ―Equitalia S.p.a.‖), incaricata della riscossione a mezzo ruolo. Cfr.
A. PARLATO, Gestione pubblica e privata nella riscossione dei crediti a mezzo ruolo,
in Rass. trib., 2007, pag. 1355; M. C. PARLATO, Brevi note sulla Riscossione S.p.a., in
Rass. trib., 2006, pag. 1174; U. PERRUCCI, Fine annunciata per il concessionario
della riscossione, in Boll. trib., 2006, pag. 107.
5
G. FALSITTA, Funzione vincolata di riscossione dell‘imposta e intransigibilità del
tributo, in A. Comelli – C. Glendi (a cura di), La riscossione dei tributi, Padova,
2010, pag. 7.
6
Ferma la possibilità di impugnare comunque, dinanzi ai giudici tributari, l‘iscrizione
di ipoteca, il fermo dei beni mobili registrati, nonché l‘avviso di mora di cui all‘art. 50
del D.P.R. n. 602/73.
74
LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO
(OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO)
cumulare ben tre distinte funzioni: di atto impositivo, di titolo esecutivo e di
precetto.
La situazione che si viene a creare non è però una novità assoluta, dal
momento che già oggi vanno riconosciute in capo al ruolo, almeno in talune
ipotesi, le funzioni, i caratteri e gli effetti, oltre che di titolo esecutivo, di atto
impositivo7. Sennonché, proprio l‘esperienza maturata a tale riguardo
avrebbe suggerito un approccio differente al problema. L‘obiettivo della
novella, di concentrare la riscossione nell‘accertamento, allo scopo di
velocizzare e rendere più efficace l‘esazione delle somme vantate 8, è stato
conseguito, in effetti, semplicemente innestando, sul ―ceppo‖ dell‘avviso di
accertamento, elementi e caratteri ad esso estranei, tipici degli atti – ruolo e
cartella – le cui funzioni si volevano spostare sull‘accertamento. Questo per
dire che non si è atteso all‘elaborazione di un strumento apposito, con una
disciplina dedicata; sennonché - come si vedrà – una simile tecnica ha portato
ad un risultato per molti aspetti insoddisfacente, in conseguenza
essenzialmente della difficoltà di conciliare elementi normativi tanto
disomogenei.
Alla stregua di quanto testé osservato, si può così rilevare che, sul piano
strettamente formale, la prima novità attiene al contenuto dell‘avviso di
accertamento: questo, difatti, dovrà contemplare, altresì, l‘intimazione ad
adempiere entro un dato termine, nonché l‘avvertimento che, in mancanza, si
procederà ad esecuzione forzata (lett. a) dell‘art. 29 del D.L. n. 78/2010). Si
tratta – come noto - di elementi tipici del precetto9, che fino ad ora andavano
esposti nella cartella di pagamento (cfr. art. 25 del D.P.R. n. 602/73). Alle
successive lett. b) ed e), inoltre, è chiarita la ―nuova‖ natura di titolo
esecutivo dell‘avviso di accertamento, tradizionalmente propria del ruolo
(cfr. art. 12 del D.P.R. n. 602/73), nonché le condizioni ed i termini per la sua
realizzazione.
Ebbene - primo aspetto critico - non è chiaro cosa accada nell‘eventualità in
cui l‘avviso di accertamento – ovvero gli altri atti di rideterminazione degli
importi, cui il regime torna applicabile – risulti carente delle prescritte
indicazioni. In particolare, se l‘atto conservi, comunque, l‘idoneità a fungere
da titolo di iscrizione a ruolo oppure debba considerarsi semplicemente
illegittimo, come lasca intendere l‘impiego della formula ―devono
contenere‖. Ed è un problema, questo, che potrebbe assumere particolare
rilevanza, nel momento in cui si bisognerà definire esattamente i confini di
applicazione del nuovo regime.
7
Sul tema, si consenta di rinviare a A. CARINCI, La riscossione a mezzo ruolo
nell‘attuazione del tributo, Pisa, 2008, passim. Più di recente, si veda G. BOLETTO, Il
ruolo di riscossione nella dinamica del prelievo delle entrate pubbliche, Milano,
2010, pag. 45 e ss.
8
Cfr. la Relazione di accompagnamento al D.L. n. 78/2010.
9
Cfr. C. A. NICOLETTI, voce Precetto (dir. proc. civ.), in Enc. del dir., 1985, XXXIV,
pag. 850.
75
LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO
(OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO)
I maggiori interrogativi sollevati dalla novella coinvolgono, però, le
previsioni normative in concreto elaborate per tradurre, in disciplina
operativa, i predetti elementi formali. Questo perché, in ultima analisi, si è
finito per riprodurre, con il nuovo avviso di accertamento, soluzioni
normative proprie del ruolo e della cartella, trascurando il fatto che queste
sono state congegnate, ed appaiono giustificate e coerenti, per atti connotati
in modo univoco sul piano funzionale e posti al termine di una sequenza
articolata di atti e momenti diversi; non quindi per un atto che, oltre ad
assolvere plurime funzioni, resta l‘unico in cui si esaurisce l‘attuazione del
tributo.
2.1
La previsione di un termine mobile per la messa in mora del
debitore.
Come appena evidenziato, il nuovo avviso di accertamento dovrà contenere
l‘intimazione ad adempiere entro un dato termine, nonché l‘avvertimento che,
in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata. Ciò, coerentemente al fatto
che il nuovo avviso di accertamento funzionerà altresì da precetto.
Il tratto che tuttavia peculiarizza la nuova disciplina, rispetto all‘art. 25 del
D.P.R. n. 602/73 sulla cartella di pagamento, è che il termine per
l‘adempimento è qui individuato in misura non fissa, ossia nei tradizionali 60
giorni dalla notifica dell‘atto, bensì mediante un rinvio al termine per
impugnare l‘avviso medesimo. E quindi, in definitiva, in misura variabile,
posto che il termine per impugnare può restare sospeso (per sospensione
feriale dei termini ex L. 7 ottobre 1969, n. 742, per istanza di accertamento
per adesione ai sensi dell‘art. 6, comma 3, del D.lgs. n. 218/97 o per istanza
di utilizzo delle perdite di consolidato, ai sensi dell‘art. 40-bis del D.P.R. n.
600/73)10.
La previsione di un termine mobile non costituisce di per sé una novità,
potendola ritrovare, ad esempio, nell‘art. 16 del D.lgs. n. 472/97, per l‘atto di
contestazione delle violazioni. Nella disciplina qui in commento, tuttavia,
ingenera problemi e dubbi interpretativi.
Innanzitutto, perché porta ad escludere dall‘applicazione del nuovo regime
gli atti non impugnabili, come, ad esempio, l‘atto di definizione
dell‘accertamento parziale, di cui all‘art. 5-bis, D.lgs. n. 218/97. Si tratta,
difatti, di un atto non impugnabile11, rispetto a cui è peraltro dettato un
10
Conferma, a contrario, che il termine per adempiere è mobile il fatto che, nel caso
degli atti successivi all‘accertamento con cui si rideterminano gli importi dovuti (ex
art. 68, D.lgs. n. 546/92, art. 19 D.lgs. n. 472/97 ed art. 8, co. 3-bis, D.lgs. n. 218/97),
è prescritto espressamente che il versamento delle somme deve avvenire entro
sessanta giorni dal ricevimento della raccomandata.
11
Tale soluzione dovrebbe conseguire alla qualificazione di tale atto in termini di
species del genus accertamento con adesione (così Circ. n. 55/E del 17 settembre
2008, § 7); cfr. anche M. PIERRO, I nuovi modelli di definizione anticipata del
rapporto fiscale (adesione al verbale e adesione all‘invito), in Rass. trib., 2009, pag.
76
LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO
(OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO)
peculiare ed autonomo termine di adempimento (20 giorni ex art. 8, del
medesimo decreto, richiamato dal co. 3 dell‘art. 5-bis). Di conseguenza, non
sembrando applicabile il termine mobile dell‘impugnazione, stabilito dal
nuovo regime per il pagamento, diviene inevitabile concludere che, in questo
caso, si dovrà continuare a riscuotere in base a ruolo (ex art. 5-bis, co. 4).
Il carattere mobile del termine per adempiere pone, poi, problemi nel
momento in cui il termine medesimo condiziona l‘operatività di altri istituti:
la tendenziale indeterminatezza del primo si traduce, difatti, in incertezza sul
funzionamento dei secondi. Così, nella disciplina in esame, rimane incerto il
momento di affidamento dell‘avviso all‘agente di riscossione, dal momento
che questo deve avvenire trenta giorni dopo lo scadere del termine per
adempiere (lett. b). Ma poi, e soprattutto, rimane indeterminato il termine per
richiedere la rateazione dei tributi, giacché la dilazione del pagamento ex art.
19 del D.P.R. n. 602/73 può essere richiesta solo una volta intervenuto il
predetto affidamento (lett. g).
La mobilità del termine per adempiere, infine, solleva questioni nei casi in
cui lo si deve coordinare con altri termini, congeniati però come fissi. Ciò
accade, segnatamente, per il caso di grave pericolo per la riscossione. In tale
eventualità, difatti, si prevede un‘accelerazione nella procedura di riscossione
attuata, non solo prevedendo, in conformità alla disciplina dell‘art. 15-bis del
D.P.R. n. 602/73 in tema di ruolo straordinario, la riscossione integrale (non
rateale) dell‘imposta, degli interessi e delle sanzioni, quanto e soprattutto
stabilendo che l‘affidamento all‘agente della riscossione delle somme venga
fatto decorsi 60 giorni dalla notifica dell‘atto. Indipendentemente, però, dalla
circostanza che sia già scaduto il termine mobile per adempiere. Con la
conseguenza che il contribuente potrebbe trovarsi assoggettato alla
riscossione coattiva senza essere ancora in mora
Il rispetto dell‘intimazione, e quindi il pagamento nei termini dettati al
preciso fine di evitare l‘aggressione esecutiva, dovrebbe, in ogni caso,
consentire la fruizione del beneficio dell‘abbattimento delle sanzioni
accordato per l‘acquiescenza all‘avviso di accertamento (art. 15 del D.lgs. n.
218/97).
2.2 L‟esecutività in ragione della notifica dell‟atto
Un altro aspetto che desta perplessità attiene alla scelta di subordinare
l‘esecutorietà dell‘avviso di accertamento al decorso di 60 giorni dalla
notifica (lett. b), comma 1, art. 29).
Va osservato, innanzitutto, che l‘attribuzione di efficacia esecutiva agli atti
della riscossione esattoriale (il ruolo) ha perso ogni formalità, esaurendosi in
una vicenda meramente interna all‘ente procedente12. Inoltre, con la nuova
965 e ss.. Contra per l‘impugnabilità, cfr. Comm. trib. prov. di Torino n. 57 del 26
marzo 2010.
12
Ai sensi dell‘art. 1, comma 5-ter, lett. e), D.L. n. 106/2005, n. 106, conv. con L. n.
156/2005, la sottoscrizione del ruolo necessaria a renderlo esecutivo si compie
77
LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO
(OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO)
disciplina, l‘atto di accertamento diventa esecutivo indipendentemente dalla
circostanza che il contribuente sia o meno nei termini per adempiere
all‘intimazione: l‘esecutorietà dell‘accertamento e il momento a partire dal
quale l‘agente della riscossione è legittimato a procedere con l‘esecuzione,
difatti, non coincidono.
Ma a parte queste considerazioni, che però mettono in dubbio l‘opportunità
se non la necessità della previsione in commento, deve essere evidenziato
come la lettera della norma conduca poi ad accordare alla vicenda della
notifica portata addirittura costitutiva della natura di titolo esecutivo
all‘avviso di accertamento.
Il titolo esecutivo, per regola generale (art. 479 c.p.c.) deve essere notificato;
regola, questa, ribadita per gli atti amministrativi dall‘art. 21-bis della L. n.
241/9013, che ha prescritto la notifica per i provvedimenti limitativi della
sfera giuridica dei privati14, tra i quali vanno annoverati quelli esecutivi 15.
Sicché, volendo ricercare un significato alla previsione, che subordina
espressamente alla notifica (decorsi sessanta giorni dalla stessa) l‘esecutorietà
dell‘avviso di accertamento, bisogna concludere che la notifica realizza qui
un elemento costitutivo, un requisito di esistenza, del titolo esecutivo,
piuttosto che una semplice condizione di efficacia 16. In assenza della notifica,
insomma, si deve concludere che il titolo esecutivo non è venuto neppure a
giuridica esistenza.
Ma allora, se la notifica è condizione di esistenza del titolo, un eventuale
vizio che ne pregiudichi l‘esatto compimento non può essere concepito in
termini di ―attentato‖ alla conoscenza del titolo medesimo: in difetto della
notifica, il titolo non è, semplicemente, non conosciuto, bensì non venuto ad
esistenza giuridica. Con la conseguenza ulteriore che resta preclusa la
possibilità di invocare modalità di conoscenza del titolo equipollenti alla
notifica, e quindi la surrogabilità della conoscenza legale con quella effettiva,
proprio perché il vizio di notifica non incide sulla conoscenza di un atto
―…mediante la validazione dei dati in essi contenuti‖. Sul punto, le puntuali
osservazioni di A. GUIDARA, Telematica e ruoli orfani, in Riv. dir. trib., 2006, I, pag.
147.
13
Introdotto con la L. 11 febbraio 2005, n. 15.
14
Cfr. F. FIGORILLI, Art. 21-bis, in La pubblica Amministrazione e la sua azione, a
cura di N. Paoloantonio - A. Police - A. Zito, Torino, 2005, pag. 425; A. AUCIELLO,
Efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati, in La nuova
disciplina dell‘azione amministrativa, a cura di R. Tomei, Padova, 2005, pag. 481.
15
F. FIGORILLI, op. cit., pag. 429; A. AUCIELLO, op. cit., pag. 482.
16
Ritiene che ―negli atti recettizi la notificazione costituisca un elemento essenziale
dell‘atto stesso, che non si perfeziona e non esiste se non ed in quanto l‘atto non
venga notificato‖, C. GLENDI, Le Sezioni Unite si pronunciano sulla sanatoria dei vizi
di notifica degli atti impugnati nel processo, in Corr. trib., 2004, pag. 3715.
78
LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO
(OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO)
perfetto, quanto sull‘esistenza giuridica dell‘atto/titolo 17. Sicché, nell‘ipotesi
di tempestiva impugnazione di un avviso affetto da vizio di notifica, si dovrà
reputare sanato il vizio di notifica riguardo all‘accertamento18, ma anche non
integrato il titolo con cui portare in esecuzione la relativa pretesa 19. La
sanatoria del vizio di notifica per raggiungimento dello scopo ex artt. 156 e
160 del c.p.c., difatti, può essere invocata per un atto esistente, ancorché non
efficace, non certo per uno non venuto neppure ad esistenza (giuridica) 20.
2.3 L‟improcedibilità dell‟azione esecutiva
L‘affidamento dell‘avviso di accertamento all‘agente della riscossione,
affinché possa procedere all‘esecuzione forzata, può avvenire solamente
decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento. Solo a partire da
tale momento – dispone la lett. b) dell‘art. 29 - la riscossione è affidata
all‘agente della riscossione.
La previsione di tale termine - oggetto di espressa segnalazione nell‘avviso di
accertamento – sembrerebbe individuare uno spazio temporale di
improcedibilità assoluta per l‘Agente, che quindi non potrà, prima del suo
completo decorso, procedere in alcun modo, né al pignoramento né
all‘ipoteca o al fermo (artt. 77 ed 86 del D.P.R. n. 602/73), ma neppure alle
azioni cautelari e conservative previste dalle norme ordinarie a tutela del
creditore21 (ex art. 49 del D.P.R. n. 602/73).
Una conferma, indiretta, in questo senso, si può ritrovare nel recente Decreto
sviluppo, che ha previsto l‘inserimento, nell‘art. 29, di una nuova lett. b-bis),
con cui è concessa la sospensione automatica dell‘esecuzione forzata, nel
caso (e solo) in cui sia richiesta la sospensione giudiziale degli effetti
dell‘atto impugnato (ex art. 47 del D.lgs. n. 546/92). Tale sospensione ope
legis è accordata fino all‘emanazione del provvedimento che decide
17
Per l‘applicazione agli atti di accertamento del metro della conoscibilità, ritenuto
equipollente alla notifica, si veda Cass. n. 13852 del 9 giugno 2010; Cass. n. 4760 del
27 febbraio 2009.
18
È pacifico, nella giurisprudenza della Cassazione, che la proposizione tempestiva
del ricorso, da parte del contribuente, sia idonea a sanare i vizi di notifica degli atti
impositivi (da ultimo Cass. n. 15554 del 02 luglio 2009; Cass. n. 15849 del 12 luglio
2006; Cass. n. 7498 del 12 aprile 2005; Cass. SS.UU. n. 19854 del 5 ottobre 2004; per
una critica a tale soluzione, si veda però C. GLENDI, Le Sezioni Unite si pronunciano
sulla sanatoria dei vizi di notifica degli atti impugnati nel processo, cit., pag. 3711; C.
SCALINCI, La notifica dell‘atto tributario recettizio: un ―Giano bifronte‖ tra
sanatoria e decadenza, in Riv. dir. trib., 2005, II, pag. 13).
19
Senza che siano peraltro previste forme alternative all‘esecuzione in base all‘avviso
di accertamento.
20
In tema, M. BRUZZONE, Notificazioni e comunicazioni degli atti tributari, Padova,
2006, pag. 218.
21
Su cui, M. GIORGETTI, Profili dell‘espropriazione forzata tributaria, in A. Comelli
– C. Glendi (a cura di), La riscossione dei tributi, Padova, 2010, pag. 215.
79
LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO
(OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO)
sull‘istanza e, in ogni caso, per un periodo non superiore a centoventi giorni.
A parte la considerazione che restano esclusi gli atti non impugnabili22 e che,
comunque, non è chiaro se il predetto periodo sospenda l‘esecuzione anche
nel caso di rigetto dell‘istanza, intervenuto prima del suo decorso, oppure, di
contro, consenta l‘esecuzione anteriormente la pronuncia sull‘istanza (la
prima opzione sembra da preferire, stante l‘impiego della congiuntiva ―e‖),
sono sottratte dalla sospensione proprio ed espressamente le azioni cautelari e
conservative (quindi sicuramente l‘ipoteca, mentre è lecito dubitare del fermo
dei beni mobili registrati, che non sembra qualificabile come misura cautelare
o conservativa23) nonché ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a
tutela del creditore. Azioni, tutte, queste, che sarebbero altrimenti rimaste
comprese nell‘inibitoria all‘esercizio dell‘azione esecutiva introdotta dalla
nuova norma e che, quindi, debbono ritenersi incluse nei poteri dell‘Agente
della riscossione legittimati proprio e solo con l‘affidamento della
riscossione, ai sensi della citata lett. b) dell‘art. 29.
Il termine dei trenta giorni è invece derogato nel caso di pericolo per la
riscossione24.
Qui (lett. c), il termine per l‘affidamento della riscossione è in effetti
calcolato in misura fissa, ossia 60 giorni dalla notifica dell‘atto. Come già
evidenziato, si tratta però del solo termine per l‘affidamento della riscossione
e non anche di quello per il pagamento. Peraltro, non sembra applicabile la
sospensione ope legis dell‘esecuzione, introdotta con il Decreto sviluppo, dal
momento che nel testo (nuova lett. b-bis) si rinvia solo all‘esecuzione di cui
alla lett. b), ossia quella ordinaria, e non pure alla lett. c), che detta la
disciplina per la riscossione nei casi di grave pericolo per il positivo esito
della riscossione.
22
Ciò tradisce il preciso obiettivo di accelerare la riscossione essenzialmente con
riferimento agli atti non impugnabili. Sennonché - va evidenziato - la sospensione in
oggetto poteva risultare opportuna anche in tali casi, se non altro per consentire al
debitore di inoltrare l‘istanza di rateazione senza il timore di subire, nel mentre,
l‘esecuzione forzata: si ricorda, infatti, che ai sensi della lett. g) dell‘art. 29, D.L. n.
78/2010, la dilazione del pagamento può essere richiesta ―solo dopo l‘affidamento del
carico all‘agente della riscossione‖, ossia solo a partire dal momento in cui l‘agente
può procedere con l‘esecuzione.
23
Parla al riguardo di ―strumento autonomo di coazione finalizzato all‘esecuzione
indiretta del credito‖, S. CANIZZARO, Il fermo dei beni mobili registrati e l‘ipoteca
nella fase della riscossione dei tributi: una difficile ricostruzione sistematica, in A.
Comelli – C. Glendi (a cura di), La riscossione dei tributi, Padova, 2010, pag. 178.
24
In questo caso, peraltro, i segni dell‘innesto sono particolarmente evidenti, essendo
sostanzialmente riprodotta la disciplina del ruolo straordinario, di cui all‘art. 11, lett.
b), ed art. 15-bis del D.P.R. n. 602/73: riscossione integrale (non quindi rateale)
dell‘imposta, degli interessi e delle sanzioni Con ogni evidenza, la sussistenza delle
ragioni che legittimano questa modalità di esazione, dovrà essere oggetto di specifica
e puntuale motivazione in seno all‘avviso di accertamento.
80
LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO
(OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO)
2.4
Il termine decadenziale per iniziare il pignoramento: lo strano
innesto di un termine decadenziale per l‟esercizio di un credito
Un altro ―innesto‖, che desta perplessità, è quello che introduce un termine
decadenziale entro cui deve essere iniziata l‘espropriazione forzata: il 31
dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l‘accertamento è
divenuto definitivo.
È palese qui la volontà di recuperare il termine dettato dall‘art. 25, del D.P.R.
n. 602/73, per la notifica della cartella nel caso di esazione di somme dovute
in base ad accertamenti definitivi. La disposizione, non di meno, appare mal
congeniata.
La previsione di un termine di decadenza riferito ad atti tributari si giustifica,
essenzialmente, con l‘esigenza di evitare un assoggettamento del
contribuente, per un tempo eccessivamente lungo o indefinito, al potere
dell‘amministrazione finanziaria25. Sicché, se lo scopo della previsione era di
tutelare il contribuente verso una soggezione illimitata ai poteri della
riscossione coattiva - oramai connotati in termini spiccatamente autoritativi sarebbe stato più corretto fissare un termine, non per l‘inizio del
pignoramento, quanto per la conclusione della procedura esecutiva. Ma una
volta che tale termine è rimasto invariato, non sembra né ―ragionevole, né
equo, stabilire per l‘assoggettamento all‘esecuzione del credito tributario un
termine più breve di quanto accada in diritto comune‖ 26.
Ad ogni modo, per impedire la decadenza dovrà essere effettuato il
pignoramento, unico atto con cui si può dire iniziata l‘espropriazione forzata
(art. 491 c.p.c.), mentre non potrà ritenersi idonea allo scopo l‘adozione di
fermi o ipoteche, che, invece, non comportano l‘avvio dell‘espropriazione.
Peraltro, la previsione del termine decadenziale riferito ad ―ogni caso‖ induce
ad escludere che l‘agente della riscossione, intervenuta la decadenza, possa
intraprendere procedure esecutive alternative a quella esattoriale 27.
Infine, la decadenza non opera nel caso in cui l‘esecuzione abbia ad oggetto
somme vantate con un avviso impugnato, non definitivo: manca, insomma,
un termine decadenziale riferito alla riscossione provvisoria.
25
M. BASILAVECCHIA, Il ruolo e la cartella di pagamento: profili evolutivi della
riscossione dei tributi, in Dir. prat. trib., 2007, I, pagg. 143-144.
26
M. BASILAVECCHIA, Termini decadenziali per la liquidazione delle imposte, in Corr.
trib. 2005, pag. 46. Di diverso avviso, invece, M. ALLENA, I termini per la formazione
dei ruoli, la loro consegna al concessionario e la notifica della cartella di pagamento,
Riv. dir. trib., 2005, II, pag. 402, che reputa comunque inadeguato il termine della
prescrizione decennale ―rispetto alla funzione di un‘attività che deve essere sottoposta
a decadenza‖.
27
Soluzione suggerita per la riscossione in base a ruolo, nel caso di decadenza dalla
notifica della cartella ex art. 25 del D.P.R. n. 602/73; cfr. sul punto, G. BOLETTO, Il
ruolo di riscossione nella dinamica del prelievo delle entrate pubbliche, cit., pag. 41.
81
LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO
(OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO)
2.5 La riscossione nei confronti dei coobbligati
La tecnica dell‘innesto solleva poi interrogativi nel momento in cui si
debbono affrontare ipotesi non contemplate espressamente dalla nuova
disciplina, nell‘alternativa tra invocare il regime originario dell‘avviso di
accertamento o quello ―innestato‖ del ruolo e della cartella.
La questione si pone, segnatamente, per la riscossione nei confronti del
coobbligato, rispetto alla quale la novella non contempla nulla.
La soluzione apparentemente più lineare suggerirebbe l‘applicazione dell‘art.
25 del D.P.R. n. 602/73, che consente all‘agente della riscossione di
notificare al coobbligato la cartella formata in base al ruolo intestato al
debitore principale. Ciò, anche per effetto della lett. g) dell‘art. 29, ai sensi
del quale ―ai fini della procedura di riscossione,… i riferimenti contenuti in
norme vigenti al ruolo e alla cartella di pagamento si intendono effettuati‖ al
nuovo accertamento esecutivo.
L‘applicabilità dell‘art. 25 del D.P.R. n. 602/73 all‘accertamento esecutivo,
tuttavia, non sembra scontata; ed anzi, pare da escludere.
Innanzitutto,
perché,
avendo
subordinato
l‘efficacia
esecutiva
dell‘accertamento alla notifica dell‘atto (rectius al decorso di sessanta giorni
dalla stessa (lett. b)), sembra logico concludere che l‘efficacia esecutiva
debba essere circoscritta al soggetto destinatario della notifica medesima.
In secondo luogo, perché l‘estensione della regola dell‘art. 25
all‘accertamento esecutivo consentirebbe all‘agente della riscossione di
coinvolgere il coobbligato con la notifica dell‘avviso di accertamento, o
addirittura di un estratto dello stesso (come lascia prevedere la modifica
portata dal Decreto sviluppo alla lett. e) dell‘art. 29), intestato al debitore
principale. Questo, però, presupporrebbe la consegna dell‘avviso di
accertamento in carico all‘agente. Ebbene, dal momento che ai sensi della
lett. f) dell‘art. 29, l‘aggio di riscossione è dovuto per intero, una volta che
l‘avviso è stato consegnato all‘agente della riscossione, il coobbligato
sarebbe così tenuto a corrispondere l‘aggio sempre in misura intera, laddove
il debitore principale lo sarebbe solo decorsi i trenta giorni dalla scadenza del
termine per impugnare e, comunque, dopo almeno sessanta giorni dalla
notifica dell‘avviso. Una disparità di trattamento, questa, non giustificata né
accettabile.
Per le suddette ragioni, la regola di cui all‘art. 25, comma 1, del D.P.R. n.
602/73 non appare invocabile. Ma se è così, ecco allora che competerà agli
uffici dell‘Agenzia individuare e selezionare i coobbligati verso cui
procedere, notificando loro l‘avviso di accertamento, fermo restando per
l‘Agente della riscossione, ricevuti in carico i diversi avvisi di accertamento,
la facoltà di scegliere verso quale, tra i diversi debitori, condurre la procedura
esecutiva.
82
LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO
(OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO)
L‟accertamento quale atto unico di imposizione e di riscossione e i
rischi di un deficit di tutela per il contribuente
Come evidenziato, l‘esecuzione forzata – come anche ogni atto conservativo,
cautelare o di ―induzione‖ all‘esecuzione - non sarà più preceduta da un
sollecito per il contribuente, una volta notificato l‘avviso di accertamento e
decorsi i trenta giorni dalla scadenza del termine per pagare 28.
Un rinnovo dell‘intimazione a pagare è previsto solo nelle ipotesi di
rideterminazione degli importi dovuti (ex art. 8, co. 3-bis, D.lgs. n. 218/97;
art. 68, D.lgs. n. 546/92 ed art. 19 D.lgs. n. 472/97) o di intervenuto decorso
di un anno dalla notifica dell‘avviso, senza che si sia proceduto con il
pignoramento (cfr. lett. e)).
Fuori da queste ipotesi, l‘avviso di accertamento rappresenterà invece l‘unico
atto che il contribuente riceverà prima dell‘aggressione esecutiva.
Vero è che, a rigore, la norma contempla come possibilità e non come
obbligo quella di procedere all‘esecuzione forzata senza notificare al
contribuente alcun ulteriore atto. Nulla esclude, in effetti, che
l‘espropriazione e gli altri atti esecutivi vengano preceduti da comunicazioni
ulteriori, anche informali29. Va però anche segnalato che una tale prassi, ove
introdotta, rischierebbe di ridimensionare, se non frustrare, le finalità della
novella. Alla stregua della giurisprudenza oramai consolidata 30, secondo cui
devono ritenersi impugnabili ―tutti quegli atti con cui l‘Amministrazione
comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita‖ 31, potrebbe
invero accadere che le predette comunicazioni siano ritenute impugnabili. Ma
ciò significherebbe riprodurre quella moltiplicazione di momenti contenziosi,
che la novella ha inteso, chiaramente, superare 32.
Se invece - come del resto sembra essere lo scopo della disciplina in
commento - l‘avviso di accertamento diventerà l‘unico atto ricevuto dal
contribuente, la notifica di tale atto verrà ad assumere una rilevanza ed una
2.6
28
Così, testualmente, la lett. e) dell‘art. 29, ai sensi della quale ―l‘agente della
riscossione, sulla base del titolo esecutivo di cui alla lettera a) e senza la preventiva
notifica della cartella di pagamento, procede ad espropriazione forzata…‖.
29
Come con il preavviso di fermo, introdotto con atto di prassi (cfr. Nota
dell‘Agenzia delle Entrate del 9 aprile 2003, n. 57413).
30
Ex multis cfr. Cass. Ord. n. 15946 del 6 luglio 2010; Cass. n. 27385 del 18
novembre 2008; Cass. SS.UU. n. 16293 del 24 luglio 2007; Cass. SS.UU. n. 16776
del 10 agosto 2005. Sul tema, più di recente, M. CANTILLO, Aspetti critici del processo
tributario nella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Rass. trib., 2010,
pag. 14.
31
Così Cass. n. 14373 del 15 giugno 2010; in argomento, anche per ulteriori
riferimenti bibliografici, A. CARINCI, Dall‘interpretazione estensiva dell‘elenco degli
atti impugnabili al suo abbandono: le glissement progressif della Cassazione verso
l‘accertamento negativo nel processo tributari, in Riv. dir. trib., 2010, II, pag. 617.
32
Per l‘impugnazione del preavviso di fermo, cfr. Cass. SS.UU. n. 10672 dell‘11
maggio 2009.
83
LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO
(OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO)
centralità inedite: non solo in merito alla costituzione del titolo esecutivo, ma
anche, e soprattutto, perché tale vicenda rimarrà l‘unica occasione per il
contribuente di conoscere la pretesa nei suoi confronti, prima dell‘avvio della
procedura esecutiva, oltre che per accedere alla tutela giudiziale innanzi al
giudice tributario.
Ecco che, in caso di vizio di notifica dell‘avviso, il contribuente potrebbe
avere conoscenza della pretesa solo in occasione dell‘aggressione
espropriativa, una volta che questa è iniziata. Inoltre, in una simile
eventualità, al contribuente resterebbe preclusa ogni forma di tutela giudiziale
piena, in via immediata33. Da un lato, per effetto dell‘art. 2, del D.lgs. 546/92,
che sottrae alla giurisdizione tributaria le controversie riguardanti gli atti
dell‘esecuzione forzata tributaria; dall‘altro, in ragione dell‘art. 57 del D.P.R.
n. 602/73, che nega l‘opposizione all‘esecuzione ex art. 615 c.p.c. e quella
agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. relativa alla regolarità formale ed alla
notificazione del titolo esecutivo. Il rischio, allora, è di un ritorno al solve et
repete, dal momento che il contribuente non avrebbe alternativa al pagamento
e alla successiva richiesta di rimborso, salva solo l‘azione per il risarcimento
danni34.
Anche sotto questo aspetto, in definitiva, la novella tradisce una certa
approssimazione. La previsione di un‘immediata efficacia esecutiva, per
l‘unico atto da notificare al contribuente, avrebbe suggerito una riflessione
più meditata ed attenta sulle misure di tutela del contribuente. Questo,
principalmente, per non limitarsi a riprendere le misure che, proprio perché
concepite per modelli impositivi, e sequenze di atti, non più attuali, rischiano
di apparire inefficaci ed intempestive rispetto alle nuove esigenze poste
dall‘avviso di accertamento esecutivo.
33
Fuori dalle ipotesi in cui l‘espropriazione sia accompagnata dall‘iscrizione di
ipoteca o dal fermo, che ancora consentono l‘accesso alla giurisdizione tributaria.
34
Ciò a meno di aderire a taluna delle soluzioni già ipotizzate per il caso di omessa
notifica della cartella: ammettere la proponibilità, avverso il pignoramento,
dell‘opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. (G. PORCARO, La fase esecutiva
tra giurisdizione ordinaria e tributaria, in Rass. trib., 2002, pag. 1381; U. PERRUCCI,
Riscossione più severa per il contribuente, in Boll. trib., 1999, pag. 453), oppure
ritenere impugnabile, innanzi alla Commissione tributaria, il pignoramento, quale
surrogato dell‘avviso di mora (S. LA ROSA, La tutela del contribuente nella fase di
riscossione dei tributi, in La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nel sistema
della giustizia tributaria: bilancio e prospettive ad un anno dalla sua istituzione, in
Rass. trib., 2001, pag. 1192, nonché, F. RANDAZZO, Le problematiche di giurisdizione
nei casi di riscossione tributaria non preceduta da avviso di mora, in Riv. dir. trib.,
2003, II, pag. 923).
84
LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO
(OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO)
3 La conservazione del ruolo ed i problemi di “convivenza” con
l‟accertamento esecutivo: gli ambiti non coperti dalla novella
Ai problemi dinanzi segnalati, conseguenti alla disciplina in concreto
elaborata, si sommano poi quelli correlati alla scelta di non abbandonare
subito ed interamente la riscossione in base a ruolo. La quale sopravvive, in
ambiti peraltro che non si possono certo ritenere residuali. Restano così
esclusi dal nuovo regime i tributi diversi da quelli individuati all‘art. 29,
come i tributi doganali, quelli indiretti diversi dall‘Iva (registro e
successioni), i tributi locali, oltre a tutte le altre entrate 35, non tributarie,
riscuotibili in base a ruolo36. Inoltre, la riscossione in base a ruolo residua
anche in materia di imposte sui redditi e Iva, in tutti i casi in cui non si
procede con avviso di accertamento (liquidazioni e controlli formali, di cui
all‘art. 36-bis e 36-ter del D.P.R. n. 600/73, nonché 54-bis del D.P.R. n.
633/72)37.
In tutte queste ipotesi, l‘adozione di un modello analogo a quello prefigurato
dalla novella, incentrato sull‘immediata esecutività dell‘atto d‘imposizione o
comunque di vanto della pretesa, è rinviato a successivi regolamenti di
delegificazione (cfr. lett. h) dell‘art. 29).
Sennonché, e nonostante il tenore apparentemente inequivoco della novella,
residuano incertezze sugli ambiti di applicazione del nuovo regime e,
parallelamente, di ulteriore impiego del ruolo.
Così, ad esempio, resta dubbio se il riferimento compiuto dall‘art. 29 al
―connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni‖ comprenda solo
l‘atto di irrogazione delle sanzioni, di cui art. 17 del D.lgs. n. 472/97 38,
oppure anche l‘atto di constatazione delle violazioni, di cui all‘art. 16,
qualora sia impiegato per comminare sanzioni correlate all‘accertamento del
tributo39. Questo perché, ai sensi del comma 4 dell‘art. 16, il predetto avviso
35
Eccezion fatta per le somme dovute all‘Inps, per le quali l‘art. 30 del medesimo
D.L. n. 78/2010 ha previsto che, a partire dal 1° gennaio 2011, l‘attività di riscossione
sia effettuata mediante la notifica di un avviso di addebito con valore di titolo
esecutivo.
36
Ai sensi dell‘art. 17 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, ―si effettua mediante ruolo
la riscossione coattiva delle entrate dello Stato, anche diverse dalle imposte sui
redditi, e di quelle degli altri enti pubblici, anche previdenziali, esclusi quelli
economici‖; cfr. A. BEFERA, La nuova riscossione mediante ruolo delle entrate
pubbliche, in L‘evoluzione dell‘ordinamento tributario italiano, coordinati da V.
Uckmar, Padova, 2000, pag. 651; C. BUCCICO, La riforma della riscossione. Alcune
novità introdotte dal D.Lgs. n. 46/99, in Il fisco, 2000, pag. 3286.
37
In argomento, R. RINALDI, voce Liquidazione dei tributi, in Dizionario di diritto
pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, 2006, IV, pag. 3556.
38
Cfr. CNDCEC Cir. n. 22/IR del 7 marzo 2011, par. 2.
39
Cfr. Circ. n. 180/E-110100 del 10 luglio 1998.
85
LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO
(OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO)
di contestazione si può tramutare in atto di irrogazione delle sanzioni
impugnabile40.
Vi è poi il problema di interpretare la formula, usata dall‘art. 29 del D.L. n.
78/2010, per estendere il nuovo regime dell‘immediata esecutorietà ai
―successivi atti da notificare al contribuente… in tutti i casi in cui siano
rideterminati gli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento‖. Nella
versione originaria, l‘impiego della congiunzione ―anche‖, prima dell‘elenco
di ipotesi di rideterminazione, consentiva in effetti di intendere l‘elenco
medesimo come meramente esemplificativo 41. Il Decreto sviluppo, tuttavia,
prevede la soppressione di quel termine, con la conseguenza di indurre a
concepire l‘elenco come esaustivo. Se così è, però, il nuovo regime potrà
tornare applicabile ai soli casi enumerati espressamente (rideterminazioni
degli importi dovuti a seguito delle vicende del processo, ex art. 68, D.lgs. n.
546/92 ed art. 19 D.lgs. n. 472/97, in materia di sanzioni, e mancato
pagamento di rate successive alla prima nell‘accertamento con adesione ex
art. 8, co. 3-bis, D.lgs. n. 218/97). Dovrebbero invece restare escluse ipotesi
affatto similari a quelle indicate, quali l‘omesso pagamento di rate successive
alla prima nell‘adesione all‘invito al contraddittorio (art. 5, comma 1-quater,
del D.lgs. n. 218/97), nell‘adesione al processo verbale (art. 5-bis, comma 4,
del D.lgs. n. 218/97), nella conciliazione giudiziale (art. 48, co. 3-bis, del
D.lgs. n. 546/92), nell‘acquiescenza alla comunicazione di irregolarità, di cui
agli artt. 2 e 3 del D.Lgs. n. 462/97, a seguito delle liquidazioni ex artt. 36bis, D.P.R. n. 600/73, e 54-bis, D.P.R. n. 633/72, e dei controlli formali ex
art. 36-ter del D.P.R. n. 600/73 (art. 3-bis del D.Lgs. n. 462/97).
Dal momento, poi, che la finalità della novella è quella di concentrare in capo
all‘atto di accertamento, contenuti e funzioni propri del ruolo e della cartella,
il nuovo regime non dovrebbe applicarsi nei casi in cui l‘avviso di
accertamento, non contenendo la liquidazione del tributo, non appare idoneo
ad assumere la veste di titolo esecutivo. Come accade, segnatamente, con gli
avvisi di accertamento emanati nei confronti delle società di persone soggette
al regime di trasparenza, di cui all‘art. 5 del Tuir. In questo caso, l‘avviso
dovrebbe allora essere emesso nella nuova forma limitatamente all‘Iva,
all‘Irap ed alle relative sanzioni42, ma non anche per l‘imposta sui redditi
dovuta dai soci. Diversamente, nel caso di società trasparenti ai sensi degli
artt. 115 e 116 del Tuir (cd. trasparenza per opzione 43), l‘accertamento nei
40
Cfr. A. CARINCI, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex
D.L. n. 78/2010, cit., pag. 164; esclude invece tale possibilità, A. GIOVANNINI,
Riscossione in base al ruolo e agli atti d‘accertamento, cit., pag. 30.
41
Cfr. CNDCEC Cir. n. 22/IR del 7 marzo 2011, par. 2.
42
Stante la piena soggettività per tali imposte delle società di persone ai fini Iva ed
Irap; cfr. Circ. n. 56/E del 23 dicembre 2009.
43
In argomento, A. CARINCI, L‘accertamento nel regime di trasparenza delle società:
responsabilità, garanzie e tutele per la società e per i soci, in Rass. trib., 2006, pag.
171.
86
LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO
(OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO)
confronti della partecipata dovrebbe poter assumere la nuova forma esecutiva
anche per l‘imposta sul reddito, stante la responsabilità solidale della società
trasparente con i soci, per l‘imposta, le sanzioni e gli interessi conseguenti
all‘obbligo d‘imputazione del reddito44.
Un dubbio, infine, si pone con riguardo alla rettifica delle dichiarazioni dei
soggetti aderenti al consolidato nazionale, di cui all‘art. 40-bis del D.P.R. n.
600/7345. In particolare, in ragione della previsione per cui la determinazione
del debito è suscettibile di rettifica se, entro 60 giorni dalla notifica
dell‘avviso, la consolidante fa istanza per il computo, in diminuzione dei
maggiori imponibili, delle perdite di consolidato non utilizzate 46. In tale
eventualità, difatti, l‘ufficio deve provvedere al ricalcolo della maggiore
imposta dovuta, degli interessi e delle sanzioni nonché a comunicarne l‘esito
alla consolidante ed alla consolidata, entro sessanta giorni dall‘istanza.
Ebbene, il dubbio che si pone è se tale rideterminazione vada intesa come
mero elemento integrativo del primo accertamento oppure come atto
autonomo: nel primo caso, tornerebbe applicabile il nuovo regime, ed il
termine mobile, fissato per il nuovo avviso di accertamento, dovrebbe
decorrere dalla comunicazione; nel secondo, preso atto della portata tassativa
dell‘elenco degli atti di rideterminazione, cui è applicabile il nuovo regime, la
riscossione dovrebbe avvenire in base a ruolo.
4 (segue) e dalla riscossione alle riscossioni.
Il ruolo, in definitiva, non scompare; e ciò - a tacer d‘altro - porterà alla
moltiplicazione delle procedure esattive nei confronti del medesimo debitore,
in ragione e per l‘effetto di titoli esecutivi differenti. Si passerà, così, dalla
riscossione alle riscossioni.
Ma tralasciando una simile eventualità, si deve riconoscere che la
concentrazione in un unico atto di funzioni diverse – di
accertamento/sanzionatoria e di riscossione - non è di per sé né censurabile
né asistematica; così come la finalità di perseguire una maggiore speditezza
nell‘azione impositiva, segnatamente nella fase della riscossione. Occorre,
tuttavia, che simili obiettivi non si traducano in scelte incoerenti ed
asistematiche. Ebbene, come si è cercato di evidenziare, la nuova disciplina
sull‘accertamento esecutivo non offre garanzie in tal senso. La scelta di
innovare il modello di attuazione delle imposte sui redditi e dell‘Iva,
44
Così art. 115, co. 8 del Tuir; art. 13, D.M. 23 aprile 2004; Circ. n. 49/E del 22
novembre 2004, par. 2.16.
45
In tema, cfr. G. GAFFURI, Il procedimento e gli atti di accertamento nel consolidato
fiscale, in Corr. trib., 2010, pag. 3065; F. DAMI, Razionalizzata la disciplina
dell‘accertamento consolidato, in Corr. trib., 2010, pag. 2681; F. PADOVANI,
Consolidato fiscale nazionale: riflessioni in tema di attuazione del rapporto
obbligatorio d‘imposta, in Riv. dir. trib., 2010, I, pag. 1189.
46
Art. 40-bis, co. 3, del D.P.R. n. 600/73.
87
LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO
(OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO)
rendendo immediatamente esecutivo l‘avviso di accertamento, avrebbe
suggerito una riflessione più meditata sulle cautele procedimentali e
processuali da assicurare al contribuente. Limitarsi a predisporre la disciplina
del nuovo istituto, semplicemente combinando, con innesto, quella di atti
esistenti (avviso di accertamento, ruolo e cartella), non può essere considerata
una soluzione appagante. Intersecare spezzoni di disciplina pensati per atti
propri di modelli di attuazione del tributo, differenti per tempi e modalità di
funzionamento, minaccia di fornire soluzioni normative superate e comunque
non adeguate alle esigenze poste dal nuovo accertamento esecutivo, con il
rischio di un arretramento nelle tutele e nelle garanzie per il contribuente 47.
47
Perplessità del medesimo tenore sono avanzate da E. DE MITA, L‘accertamento
esecutivo deroga ai principi, in Il Sole-24ore, del 13 giugno 2010, pag. 19.
88
Prof. Giuseppe Maria Cipolla
Prove ed inversioni degli oneri probatori
nell‟accertamento delle imposte sui redditi
e nell‟accertamento IVA
1
La presenza nell‘ordinamento tributario e, segnatamente nei provvedimenti
volti a regolamentare l‘accertamento tributario delle imposte sui redditi ed
IVA, di presunzioni legali ha sempre rappresentato uno degli strumenti di
tecnica normativa cui il legislatore ha nel corso del tempo fatto ricorso in
nome del ben noto interesse fiscale. Le presunzioni, se da un lato,
confermano che in via di principio l‘onere della prova è a carico del Fisco ( 1),
dall‘altro, confermano pure che il Fisco è prima ancora obbligato ad
enunciare le ragioni in punto di fatto ed in punto di diritto del tributo da esso
stesso liquidato.
Ampliando la prospettiva di riferimento, l‘inferenza induttiva posta dalla
legge tra un fatto noto ed un fatto ignoto costituisce una delle molteplici
forme di intervento nell‘area del giudizio di fatto. L‘attribuzione agli uffici
tributari di poteri istruttori, l‘ampliamento rispetto al passato delle fonti di
prova a disposizione di tali uffici nella ricostruzione della pretesa, la
previsione a carico del contribuente di obblighi collaborativi – la cui
violazione a sua volta è sanzionata, direttamente, attraverso l‘irrogazione di
sanzioni amministrative e, indirettamente, attraverso la previsione di
preclusioni di ordine probatorio applicabili in sede procedimentale (prima) e
processuale (dopo), nonché attraverso il deterrente del ricorso
all‘accertamento induttivo puro del reddito d‘impresa o di lavoro autonomo –
sono altrettante modalità finalizzate tutte a consentire (per non dire, ad
agevolare) a seconda dei casi l‘assolvimento da parte dell‘A.f. del proprio
obbligo di motivazione e del proprio onere di prova.
2
Se ripercorriamo la materia dell‘accertamento tributario attraverso il prisma
delle scelte normative compiute nell‘ultimo quarantennio notiamo come dalla
riforma tributaria degli anni settanta del XX secolo in avanti una delle
maggiori preoccupazioni del nostro legislatore fosse quella di ampliare il più
possibile il materiale informativo utilizzabile dagli uffici tributari. La
previsione di poteri istruttori, sul piano quantitativo, ancora più numerosi e,
1
( )La felicissima intuizione si deve – come è noto – ad Allorio, Diritto processuale
tributario, Torino, 1969, 389.
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
su quello qualitativo, ancora più incisivi rispetto a quelli pure contemplati dal
T.U.II.DD. del 1958, la progressiva attenuazione fino alla totale abrogazione
di norme volte a sottrarre (o a renderne più difficile l‘acquisizione)
determinate informazioni al Fisco (come, per tutte, quelle volte a tutelare il
segreto bancario), il sempre più stringente collegamento – pur nel rispetto del
c.d. principio di autonomia – tra il procedimento di accertamento tributario ed
il procedimento penale, sono tutti mezzi diretti al fine di riequilibrare (in
modo più o meno adeguato) la fisiologica situazione di inferiorità conoscitiva
in cui gli uffici tributari vengono a trovarsi rispetto al tema di prova.
A questa stessa logica è ascrivibile il sempre meno timido affrancamento da
una sorta di limbo (più o meno consapevole) in cui erano state relegate delle
prove presuntive, intendendo come tali (ed almeno a mio avviso) solo quelle
inferenze induttive fatto noto/ignoto costruite sul campo dagli uffici tributari
e, nel processo, dal giudice.
Nella regolamentazione originariamente riservata dai decreti del 1972-1973
ai metodi di accertamento sono numerosi i riferimenti a prove ―certe e
dirette‖, come se le prove documentali – in cui le prove certe e dirette
tradizionalmente si risolvono – possano sempre dimostrare, senza margine di
errori e comunque con un grado di attendibilità maggiore di quello offerto
dalle presunzioni, la violazione degli obblighi formali e, soprattutto, di quello
sostanziale par excellence (quello di pagare il tributo) da parte del
contribuente. Ad un sistema di determinazione del reddito di impresa e
dell‘IVA imperniato sulle scritture contabili – su prove, dunque, documentali
– si contrappone un sistema di accertamento anch‘esso incentrato
prevalentemente su prove documentali.
3
La prova documentale che il Fisco deve fornire per smontare (quello che con
particolare enfasi viene indicato come) il vinculum juris della contabilità
rappresenta così, all‘indomani della riforma tributaria degli anni settanta del
XX secolo e nella logica dei c.d. metodi di accertamento, una sorta di ―regola
necessitata‖ conseguente alla generalizzazione dell‘obbligo di tenere le
scritture contabili. In questa cornice sistematica, l‘accertamento induttivo
finisce con l‘assumere non solo carattere eccezionale (2) ma anche natura
2
( )La natura eccezionale del metodo induttivo è riconosciuta fin dalla relazione BimaSilvestri, VI Commissione permanente Finanze e Tesoro (in Delega al Governo per la
riforma tributaria-Testo e relazioni parlamentari, Bologna-Roma 1971, 161 ss.). Nello
stesso senso v., in giurisprudenza, Cass., sez. V, 22 maggio 2001, n. 6939; Cass., sez.
I, 27 agosto 1998, n. 8535; Cass., sez. I, 28 agosto 1996, n. 7931; Cass., sez. I, 17
dicembre 1992, n. 13331; Cass., sez. I, 15 gennaio 1992, n. 420. L‘esistenza di una
gerarchia all‘interno dei metodi di accertamento dei redditi d‘impresa tale per cui
quello analitico (ed analitico-induttivo) rappresenta la regola e quello induttivo puro
rappresenta l‘eccezione è stata ribadita da ultimo da Cass., sez. V, 30 dicembre 2009,
n. 27927.
90
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
para-sanzionatoria delle gravi irregolarità commesse dal contribuente quali
l‘omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi (art. 41 DPR n.
600/1973) o IVA (art. 55, comma 1 DPR n. 633/1972) e la tenuta della
contabilità in modo inaffidabile [art. 39, comma 2, lett. d) DPR n. 600/1973
ed art. 55, comma 2. n. 3) DPR n. 633/1972].
Parimenti, il ricorso a metodi induttivi volti alla rideterminazione del reddito
complessivo netto è fin dall‘origine subordinato all‘acquisizione da parte
dell‘A.f. di ―elementi‖ e ―circostanze di fatto certi‖ (art. 38, comma 4 DPR n.
600/73).
Si deve quindi registrare sul punto un limite connaturato ai noti metodi di
accertamento, quello rappresentato dall‘erroneo quanto vano convincimento
di poter sempre contrapporre alle prove documentali formate dai contribuenti
prove documentali della sottrazione della materia imponibile a tassazione.
L‘atteggiamento di sfiducia verso la prova presuntiva sembra accompagnarsi
alla fiducia (oltremodo eccessiva) riposta nei controlli compiuti dagli uffici
nella possibilità di reperire tracce materiali dell‘evasione.
Le prime applicazioni degli artt. 38-39 DPR n. 600/1973 e degli artt. 54-55 n.
633/1972 avrebbero, al contrario, dimostrato l‘estrema difficoltà del Fisco di
reperire simili tracce e, nel contempo, l‘idoneità di ragionamenti di tipo
inferenziale a ricostruire globalmente parte o tutta della base imponibile delle
imposte sui redditi e dell‘IVA.
4
Indubbiamente, la formulazione di tali norme ha fortemente condizionato
anche gli interpreti i quali non sempre hanno saputo cogliere, al di là delle
parole usate dalla legge, la loro ratio. In modo emblematico, a distanza di
circa vent‘anni dall‘entrata in vigore di tali decreti, si continuava a sostenere
anche ex professo che l‘utilizzo delle presunzioni semplici (note anche come
prove presuntive, logiche o critiche che dir si voglia) nell‘accertamento
analitico fosse subordinato alla previa ispezione delle scritture contabili per
avere la legge collocato sistematicamente l‘impiego di tali prove nel corpo di
un norma [l‘art. 39, comma 1, lett. d) DPR n. 600/1973] il cui incipit riguarda
il controllo della contabilità.
Ad un‘analisi giuridico-formale dell‘art. 39 DPR n. 600/1973 (e degli artt. 54
e 55 DPR n. 633/1972) non può sfuggire, ancora, come il criterio discretivo
assunto dalla legge, a livello di lessico probatorio, sia rappresentato dalla
tipologia di prove che l‘A.f. può utilizzare: nell‘un caso, quello del metodo
analitico tout court, prove certe e dirette (artt. 39, comma 1 DPR n. 600/1973
e 54 DPR n. 633/1972); nell‘altro, quello del metodo induttivo, prove
indirette (art. 39, comma 2 DPR n. 600/1973 e 55, comma 2 DPR n.
633/1972).
È vero per contro, che al pari delle prove documentali, l‘utilizzo delle prove
presuntive non richiede lo svolgimento di una specifica attività istruttoria,
ben potendo gli uffici ricostruire la base imponibile delle imposte sui redditi
91
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
o IVA attraverso collegamenti di tipo inferenziale senza per questo dover
previamente ispezionare la contabilità o senza per questo dover esercitare
altri poteri istruttori diversi da quelli di accesso, ispezione e verifica. Ciò che
richiede la legge per l‘impiego di prove critiche è che la presunzione
semplice sia prova giuridica e non indizio. Il che si potrà stabilire avendo
riguardo al grado di probabilismo logico sotteso al collegamento induttivo
fatto noto/fatto ignoto, non all‘osservanza di requisiti di ammissibilità.
Inoltre, se finalizzata a porre rigide contrapposizioni tra il metodo analitico e
quello induttivo, simile impostazione non è condivisibile.
L‘inferenza induttiva rappresenta un metodo euristico generale, come tale
non confinato all‘impiego di prove presuntive: anche una prova documentale
dev‘essere interpretata dall‘operatore giuridico, ed anche una prova
documentale può, a sua volta, essere posta alla base di un ragionamento di
tipo induttivo.
Non è affatto vero poi che le prove presuntive siano dotate di una vis
dimostrativa ontologicamente inferiore rispetto ad altre tipologie di prove e,
in particolare, rispetto a quelle documentali (3). Nell‘accertamento delle
imposte sui redditi come nell‘accertamento IVA non è prevista una gerarchia
delle fonti di prova; con la conseguenza che, salvi i casi eccezionali in cui
l‘efficacia dimostrativa del singolo mezzo di prova è predeterminata dalla
legge, l‘ufficio è libero di valutare tutti gli elementi raccolti o comunque
acquisiti al procedimento secondo il buon senso e l‘esperienza comune.
Una simile gerarchia non esiste nel processo tributario. Non solo in ragione
del principio di simmetria probatoria tra l‘istruttoria procedimentale e quella
processuale (4); ma anche, sul piano del diritto positivo, in forza di quella
norma del c.p.c. (l‘art. 116, comma 1) applicabile nel processo innanzi alle
Commissioni tributarie in forza della clausola generale di rinvio (l‘art. 1,
comma 2 d.lgs. . 546/1992) la quale, rimettendo al prudente apprezzamento
del giudice la valutazione delle prove (eccezion fatta per le prove legali
stricto sensu), affida alla valutazione del giudice il compito di ricostruire
liberamente i fatti controversi.
Né potrebbe essere diversamente. Costituendo la prova giuridica un mezzo
per risolvere questioni empiriche, il giudice è chiamato volta per volta a
stabilire se quel singolo elemento (di natura documentale, di natura orale o di
(3)La prevalenza accordata alle prove documentali rispetto alle prove presuntive è il
precipitato di una ben precisa opzione ideologica, quella di voler razionalizzare la
valutazione giudiziale della prova e di comprimere, per tale via, il libero
convincimento del giudice (GIULIANI, Il concetto classico di prova: la prova come
argumentum, in Jus, 1960, 185 ss.) e trova riscontro, negli ordinamenti di civil law,
nell‘ampio spazio riservato dal legislatore al formalismo giuridico nella circolazione
dei beni (così VERDE, Prova legale e formalismo, in Foro it., 1990, V, 465 ss.).
4
( )Sul principio di cui al testo sia consentito rinviare al mio Prova (diritto tributario),
in Digesto delle discipline privatistiche - Sez. commerciale, Aggiornamento, vol. IV,
Torino, 2008, 730 ss.
92
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
natura logico-critica) fa prova e se, nella comparazione degli elementi
conoscitivi addotti dalle parti, i mezzi di prova prodotti da una parte siano
assistiti da un grado di probabilismo maggiore rispetto a quelli prodotti dalla
controparte: la dialettica della controversia giudiziale, nella ricostruzione dei
fatti controversi, si risolve in un simile gioco di prove e controprove.
Non è, in altri termini, la struttura della prova che determina il suo grado di
probabilità, ma il contesto conoscitivo in cui essa si colloca a consentire di
determinarne la sua rilevanza e la sua forza: un documento potrebbe
riguardare non il fatto principale, ma un fatto secondario dal quale trarre, in
via di inferenza induttiva, illazioni intorno al thema probandum e potrebbe,
di conseguenza, rappresentare nel contesto storico di riferimento una prova
indiretta, così come una presunzione potrebbe avere ad oggetto il fatto
principale e, quindi, costituire essa stessa prova diretta di tale thema; un
documento, ancora, potrebbe essere contraffatto e non fornire alcuna garanzia
sulla sua attendibilità.
Quella che viene spacciata dal legislatore (ed in molte sentenze specialmente
di merito) come certezza altro non è che un grado (sia pure elevato, ma pur
sempre un grado) di probabilità fornito dal mezzo di prova.
Nell‘accertamento e nel processo tributario lo spazio riservato alle prove
scientifiche (quali la prova del DNA o c.d. la prova balistica) è pressoché
nullo in ragione dell‘oggetto della prova: il presupposto del tributo (an) e la
misurazione della capacità economica del contribuente (quantum) rifuggono
fa asettiche ricostruzioni compiute a tavolino.
Anche a voler poi ammettere, in via di pura ipotesi, che le prove scientifiche
o le prove documentali assicurino la certezza, la certezza quale risultato del
mezzo di prova è, a mio avviso, un falso problema. La prova – lo ribadisco –
attiene a questioni empiriche. Tali questioni a loro volta, considerati i limiti
umani, possono essere risolte soltanto in termini di probabilismo logico, non
in termini assoluti.
La valorizzazione nell‘accertamento e nel processo tributario delle prove
presuntive, inoltre, passa attraverso due ulteriori insegnamenti della
giurisprudenza di legittimità (civile, in un primo momento, a cui si è subito
uniformata quella tributaria): quello secondo cui il risultato della prova
presuntiva non dev‘essere univoco ma dev‘essere quello più attendibile
rispetto ad altri possibili collegamenti tratti dallo stesso fatto noto (5), e quello
secondo cui per l‘impiego di prove presuntive non è necessario ricorrere ad
una pluralità di collegamenti inferenziali. Sotto quest‘ultimo profilo,
―concordanti‖ vuol dire che in presenza di più collegamenti induttivi le
singole inferenze fatto noto/fatto ignoto utilizzate dall‘A.f. non devono
elidersi tra di loro o essere contraddittorie, ben potendo l‘Amministrazione
utilizzare anche solo un collegamento di tipo induttivo: se grave e preciso, la
5
( )Cass., sez. V, 31 marzo 2008, n. 8255.
93
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
singola presunzione può costituire prova giuridica e può, come tale, costituire
il fondamento dimostrativo della pretesa erariale (6).
Non è quindi dubbio, quale riconoscimento della piena dignità di prova, che
prove documentali quali le scritture contabili possano essere smentite anche
da prove logiche (7).
Così come non è altrettanto dubbio che, costituendo prove giuridiche, le
presunzioni semplici non invertono gli oneri di prova, quanto semmai – al
pari delle altre prove e sempreché attraverso esse il giudice abbia ritenuto
assolto l‘onere di prova da parte del soggetto che ne era gravato – pongono a
carico della controparte l‘onere di difendersi ( 8).
Ed è pure pacifico, sempre in ragione della loro natura di prova giuridica ed
in conformità al precetto costituzionale della parità delle armi, che anche il
contribuente può addurre in chiave difensiva prove logiche ( 9).
5
Nei metodi di accertamento costruiti dai decreti n. 600 del 1973 e n. 633 del
1972 il ruolo delle presunzioni legali e degli spostamenti degli oneri
probatori che ad esse conseguono è, forse, ancora marginale. Pur essendo il
ricorso ad argomentazioni induttive nell‘accertamento del reddito ben più
risalente nel tempo rispetto alla stessa riforma Cosciani (10), a parte il già
richiamato art. 38, comma 3 testo originario DPR n. 600/1973 per la
ricostruzione del reddito complessivo netto delle persone fisiche, nei metodi
di accertamento dei redditi di impresa e dell‘IVA le presunzioni legali restano
in un primo momento storico estranee alla logica propria di tali metodi.
Con questo, beninteso, non intendo sostenere che nel ricostruire una frazione
o l‘intera base imponibile dei contribuenti imprenditori o esercenti un‘arte o
6
( )Cass., sez. V, 29 settembre 2005, n. 19077 e, più recentemente, Cass., sez. V, 12
maggio 2011, n. 10417.
7
( )Così, tra le altre, Cass., sez. V, 2 settembre 2007, n. 21953.
8
( )Da ultimo, Cass., sez. V, 19 giugno 2009, n. 14328.
9
( )A ben altre conclusioni, per contro, è pervenuta di recente (sia pure in via di obiter
dictum) Cass., sez. V, ord. 21 marzo 2011, n. 6424.
10
( )Già l‘art. 1 del r.d.l. n. 1261/1932 , in materia d‘imposta complementare sul
reddito, disponeva – come è noto – che ai fini della determinazione dell‘imponibile, si
tenesse conto anche dei redditi la cui esistenza si palesasse ―per circostanze od
elementi di fatto, con speciale riguardo al tenore di vita del contribuente‖. Con
l‘emanazione del DPR n. 645/1958, pur restando il metodo di accertamento analitico
quello normale, all‘art. 137 fu previsto – come è altrettanto noto – che, ai fini
dell‘imposta complementare, il reddito determinato analiticamente dovesse essere
sottoposto a verifica, tenendo conto del tenore di vita del contribuente e di altri
elementi o circostanze di fatto che facessero presumere un reddito netto superiore a
quello risultante dalla determinazione analitica, rettificando le risultanze di questa su
basi presuntive.
94
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
una professione l‘A.f. non potesse già nei primi anni successivi all‘entrata in
vigore di tali decreti fare ricorso a ricostruzioni induttive operate direttamente
dalla legge. A parte il rilievo (che pure è frutto di una successiva maturazione
da parte della dottrina) che l‘accertamento sintetico propriamente detto
(quello, cioè, regolato dall‘art. 38, comma 3 testo originario DPR n.
600/1973) ben poteva essere utilizzato anche per ricostruire il reddito
complessivo del contribuente/ persona fisica pur se il contribuente svolgesse
un‘attività economica, in ogni caso già nei decreti attuativi della legge delega
n. 825 del 1971 (nella loro versione originaria o nella versione di lì a poco
innovata) si intravedevano i primi esempi di presunzioni legali: quanto
all‘IVA, nell‘art. 53 DPR n. 633/1972 (le ben note presunzioni di cessione e
di acquisto); quanto alle imposte sui redditi ed alla stessa IVA, nell‘art. 32,
comma 1, n. 2) DPR n. 600/1973 e nell‘art. 51, comma 2, n. 2) DPR n.
633/1972 come novellati dal DPR n. 463/1982 (le altrettanto ben note
presunzioni bancarie).
A conferma del ruolo ancora marginale svolto dalle presunzioni legali
nell‘accertamento tributario è significativo rilevare come, anche sul piano
giuridico-formale, i collegamenti inferenziali fatto noto/ fatto ignoto sono
collocati in articoli distinti rispetto a quelli contenenti i metodi di
accertamento dei redditi di impresa, dei redditi di lavoro autonomo, e dei
corrispettivi.
Le questioni empiriche sottese all‘accertamento sono affrontate dal
legislatore, in questo primo momento storico, attraverso lo strumento suo
proprio: quello della prova giuridica. Di qui, dicevamo, l‘espresso
riconoscimento del ruolo svolto dalle presunzioni semplici financo nella
ricostruzione del componente reddituale per eccellenza (va sens dire) quali i
ricavi; di qui la massimizzazione delle fonti di prova nell‘accertamento
induttivo mercé l‘impiego di inferenze induttive assistite da un grado di
probabilismo meno forte rispetto alle presunzioni gravi, precise e
concordanti, di qui in ultima analisi il rafforzamento dei poteri istruttori e la
sottoposizione del contribuente ad obblighi collaborativi al fine, appunto, di
consentire agli uffici di risolvere la quaestio facti (l‘an ed il quantum del
tributo) attraverso la prova.
6
Sottesa ai metodi di accertamento è, quindi, la consapevolezza che le
questioni di fatto nel diritto tributario condividono con altri settori
dell‘ordinamento un substrato comune (giuridico e metagiuridico nel
contempo) i cui postulati possono essere così di seguito sintetizzati:
oggetto di prova non sono propriamente i fatti, quanto gli enunciati
fattuali. La prova (nel senso di risultato della dimostrazione) si traduce
anch‘essa in una proposizione risultante dal processo di falsificazione al
quale è sottoposto il thema probandum (c.d. carattere proposizionale della
prova);
95
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
più che a formulare un giudizio di fatto, la prova è funzionale alla
formulazione di un giudizio sull‘enunciato fattuale essendo la locuzione
giudizio di fatto una formula ellittica – e, come tale, di comodo – per
indicare il giudizio di conferma o di falsificazione della proposizione
sottoposta al controllo (c.d. carattere empirico della prova);
la prova giuridica non è una novazione nel presente di ciò che è
accaduto nel passato, essendo invece uno strumento per stabilire se
l‘enunciato fattuale controverso risponda al vero;
la prova giuridica, in ragione del suo carattere proposizionale e
dell‘oggettiva impossibilità (connaturata financo a quelle che,
specialmente un tempo, venivano indicate come le scienze esatte) di
pervenire alla verità assoluta, assicura (o tende, più esattamente, ad
assicurare) la verità relativa o probabile (c.d. carattere probabilistico della
prova);
il probabilismo della prova, a sua volta, è il probabilismo logico il
cui scopo è <<razionalizzare l‘incertezza>> Il probabilismo logico non
dice di quanto l‘ipotesi A sia più probabile dell‘ipotesi B, ma se un
enunciato fattuale sia più probabile di un altro;
il giudizio di fatto formulato dal Fisco si colloca sullo stesso piano
dello (e non è, di conseguenza, qualitativamente diverso dallo)
accertamento fattuale compiuto dal giudice costituendo l‘uno e l‘altro
delle variazioni di grado su una scala sostanzialmente omogenea, quella
del probabilismo logico. La natura pubblica del soggetto che ricostruisce
gli accadimenti del passato non implica alcuna deviazione rispetto
all‘oggettiva natura della questio facti.
7
Il ruolo ancora marginale svolto dalle presunzioni legali nell‘accertamento
delle imposte sui redditi e nell‘IVA costituisce, ancora, il portato della non
chiara percezione delle distinzioni esistenti tra l‘evasione della piccola e
media impresa e l‘evasione della grande impresa, da un lato, e della
altrettanto non chiara percezione della natura della regola di giudizio fondata
sull‘onere della prova.
7.1
Sotto il primo profilo, è ben noto come l‘art. 39 DPR n. 600/1973, non
diversamente dagli artt. 54 e 55 DPR n. 633/1972, non distingue tra
accertamento delle piccole imprese ed accertamento delle imprese mediograndi. Alle scritture contabili (recte, a tutte le scritture contabili
indipendentemente dalla natura individuale o collettiva dell‘imprenditore) è
attribuito, sul piano dimostrativo, un ruolo privilegiato benché solo per le
imprese medio-grandi la tenuta di apposite scritture (―fiscali‖ e ―civili‖)
costituisca un‘esigenza fisiologica imposta dalla loro struttura, dalle loro
dimensioni, nonché dalla tipologia della loro clientela prima ancora che dalla
legge; per le piccole imprese (recte, per le imprese individuali e familiari, per
96
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
le società di persone e per le società di capitali a ristretta base azionaria o
familiare operanti con consumatori finali), per contro, la tenuta della
contabilità costituisce, tutto sommato, un adempimento del quale nel silenzio
della legge si potrebbe fare benissimo a meno.
Nei decreti della riforma tributaria degli anni settanta del secolo scorso,
manca la consapevolezza – solo successivamente acquisita – che l‘evasione
delle piccole imprese si realizza, di regola, al di fuori della contabilità tramite
l‘occultamento dei corrispettivi (ricavi o compensi) effettivamente
conseguiti. L‘evasione delle imprese medio-grandi, invece, si realizza (anche
in tal caso, di regola) all‘interno della contabilità tramite la registrazione di
costi fittizi o di costi non inerenti, o tramite la realizzazione di operazioni
economiche il cui scopo esclusivo è quello di ottenere un indebito risparmio
di imposta.
Così come manca pure la consapevolezza che ―contabilità formalmente
regolare‖ non equivale necessariamente a ―contabilità attendibile‖: come
avrebbe dimostrato l‘esperienza acquisita nel corso del tempo, il
―contribuente ordinato‖ (11) non è necessariamente il contribuente onesto.
Per molti anni, complice – lo ribadisco –una non felice formulazione del testo
normativo, ci si è fermati al dato letterale della legge per escludere la
legittimità di accertamenti induttivi operati dall‘ente impositore in assenza di
irregolarità formali nella tenuta delle scritture contabili: l‘uso della
disgiuntiva ―ovvero‖ in luogo della congiuntiva ―e‖ nel corpo dell‘art. 39,
comma 2, lett. d) DPR n. 600/1973 offriva ai contribuenti più smaliziati il
destro per attaccare pretestuosamente la legittimità degli avvisi di
accertamento (12).
7.2
Sotto il secondo invece, la natura pubblica dell‘obbligazione tributaria, in
alcuni casi, l‘ampiezza dei poteri istruttori attribuiti alle Commissioni
tributarie, in altri, la formulazione testuale di alcune norme processuali (come
il previgente art. 35, comma 1 DPR n. 636/1972, testo originario), in altri
(11)L‘espressione è di HENSEL, Diritto tributario (trad. it.), Milano, 1956 (ma Berlino,
1933), 247.
12
( )La tesi avversata nel testo risulta ancor di più infondata non appena si tenga conto
che fin dal testo originario della speculare disposizione dettata ai fini IVA [l‘art. 55,
comma 2, n. 3) DPR n. 633/1972] è stata utilizzata la disgiuntiva ―ovvero‖. La natura
dell‘imposta accertata – va da sé – non giustificava alcuna distinzione tra accertamenti
induttivi del reddito d‘impresa (subordinati alla previa dimostrazione delle irregolarità
formali delle scritture contabili) ed accertamenti induttivi delle operazioni IVA
(sganciati, per contro, dalle modalità di tenuta dell‘impianto contabile). Anche se in
via ermeneutica si sarebbe agevolmente potuta superare la littera legis per adottare
un‘interpretazione sistematica della norma, la questione è stata risolta – come è pure è
ben noto – dall‘art. 62 sexies, comma 4, lett. b), d.l. n. 331/1993, convertito dalla
legge n. 427/1993 attraverso, appunto, la sostituzione della congiuntiva ―e‖ con la
disgiuntiva ―ovvero‖.
97
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
ancora, rappresentavano le giustificazioni addotte per limitare (se non
addirittura per escludere più o meno consapevolmente) l‘applicazione della
regola di giudizio fondata sull‘onere della prova nel processo tributario
(recte, in quello che ancora stentava ad assumere la dignità di processo per
essere relegato al rango di contenzioso).
In questa prospettiva, veniva attribuita alle Commissioni tributarie una
funzione di supplenza (per non dire, a volte, di preminenza) nella ricerca dei
mezzi di prova da porre a base della sentenza. Il brocardo judex judicare
debet iuxta alligata et probata partium, ora veniva tenuto fuori dal processo
tributario (affermandone, per contro, la natura inquisitoria sostanziale, prima
ancora che formale) ora, invece, veniva scisso in due tronconi per riconoscere
l‘operatività innanzi alle Commissioni soltanto del primo corno (id est, il
principio dispositivo in senso sostanziale) e non anche del secondo (id est, il
principio dispositivo in senso formale).
Così argomentando, ben poco (o nessuno) spazio poteva residuare alla regola
di giudizio fondata sull‘onere della prova. L‘horror vacui di una decisione
adottata in base ad essa induceva a porre a carico del giudice l‘obbligo di
ricercare – anche in luogo delle parti – la verità dei fatti di causa.
Nel contempo, almeno fino all‘inversione di rotta iniziato dalla S.C. con la
storica sentenza della sez. 1 23 maggio 1979, n. 2990, la presunzione di
legittimità degli atti amministrativi, in generale, e degli avvisi di
accertamento, in particolare, faceva sentire i suoi effetti nefasti. Tanto più
gravi, poi, tali effetti in quanto si andavano a combinare con l‘ulteriore tesi di
matrice giurisprudenziale (ed altrettanto censurabile) consistente nel
distinguere, pur nel silenzio della legge (ed anzi, in presenza di un dettato
normativo che senza mezzi termini poneva a carico degli uffici tributari
l‘obbligo di motivare la pretesa), tra motivazione omessa e motivazione
insufficiente (13).
8
L‘evoluzione successiva è a tutti nota. Sul piano giurisprudenziale, si assiste
ad un sempre più deciso superamento della presunzione di legittimità degli
atti amministrativi, ad una sempre più decisa affermazione della natura
dispositiva (sostanziale e formale) del processo tributario (grazie anche al
nuovo testo dell‘art. 7, comma 1 d.lgs. n. 546/1992), nonché ad un sempre
più deciso riconoscimento della legittimità di accertamenti analitici-induttivi
volti a ricostruire la voce più importante del bilancio di un‘impresa (i ricavi)
e basati su presunzioni semplici il cui fatto noto è il consumo di materie
prime (14), l‘impiego di altro fattore produttivo ( 15), il costo di acquisto del
prodotto (16).
13
( )Ex multis, Cass., sez. I, 30 luglio 1984, n. 4541 e Cass., sez. I, 29 gennaio 1986, n.
402.
14
( )Cass., sez. V, 10 gennaio 2008, n. 11093.
98
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
Sul piano normativo, l‘annullamento giudiziale degli atti di accertamento per
carenza di motivazione o per infondatezza della pretesa in uno con la
raggiunta consapevolezza che sulla falsariga dell‘accertamento sintetico si
possono stabilire in via astratta correlazioni di ordine parametrico tra fatti
noti e fatti ignoti volti a ricostruire i ricavi, i compensi ed i corrispettivi o,
ancora, l‘intera base imponibile, spingono sempre più il legislatore ad
introdurre metodi di accertamento ed argomentazioni induttive ora alternativi
a quelli tradizionali ora, invece, innervati sui metodi classici. Sia pure ancora
con qualche riserva sull‘attendibilità dei collegamenti inferenziali posti dalla
legge, i coefficienti della c.d. Visentini-ter (17), i coefficienti presuntivi di
compensi e ricavi ed i coefficienti presuntivi di congruità ( 18), la c.d.
minimum tax (19), i parametri (20) e, da ultimo, gli studi di settore ( 21) sono
altrettante risposte sul piano dell‘accertamento e, come per la minimum tax,
su quello della riscossione alla stessa, identica domanda di fondo: se il tributo
è dovuto ed in che misura è dovuto.
Le modifiche di recente apportate dal d.l. n. 78/2010 (conv. dalla legge n.
122/2010) all‘art. 38 DPR n. 600/1973 e, in particolare, il nuovo metodo di
accertamento (ma forse si dovrebbe più correttamente parlare della nuova
presunzione legale) che assume a fatto noto ―le spese di qualsiasi genere
sostenute nel corso del periodo d‘imposta‖ ( 22) si collocano nel solco
15
( )Cass., sez. V, 13 aprile 2007, n. 8869.
16
( )Cass., sez. V, 2 ottobre 2009, n. 21147.
17
( )Art. 2, comma 29 d.l. n. 853/1984 conv. dalla legge n. 17/1984.
18
( )Artt. 11 e 12 d.l. n. 69/1989 conv. dalla legge n. 154/1989.
19
( )Art. 11 bis d.l. n. 384/1992, conv. dalla legge n. 438/1992.
20
( )Art. 3, commi 181-189 della legge n. 549/1995.
21
( )Art. 62 sexies, comma 3 d.l. n. 331/1993, conv. dalla legge n. 427/1993, artt. 10 e
10-bis della legge n. 146/1998 (come da ultimo modificati dall‘art. 37 d.l. n.
223/2006, conv. dalla legge n. 296/2006), nonché art. 70 della legge n. 342/2000.
22
( )È agevole prevedere che le spese il cui sostenimento farà scattare in forza del
nuovo art. 38, comma 4 DPR n. 600/1973 l‘accertamento saranno, in prima battuta,
quelle già individuate dalla G. di F. nella circolare n. 1 del 29 dicembre 2008 ed i cui
beneficiari sono o lo stesso contribuente che le sostiene oppure i terzi legati al primo
da un rapporto di parentela (come la moglie ed i figli): tra le altre, il pagamento di
consistenti rate di mutuo o di consistenti rette per la frequentazione di scuole private;
il pagamento di canoni di locazione finanziaria in relazione ad unità immobiliari di
pregio, auto di lusso, natanti da diporto; il pagamento di canoni per l‘affitto di posti
barca; il sostenimento di spese di ristrutturazione di immobili o per l‘acquisto di arredi
di lusso; il pagamento di quote di iscrizione in circoli esclusivi; la partecipazione ad
aste; le spese sostenute per viaggi; l‘acquisto di beni di particolare valore (quadri,
gioielli, etc.); la disponibilità di quote di riserve di caccia e di pesca; il sostenimento
di spese per hobby particolarmente costosi; l‘assidua frequentazione di case da gioco
(anche se, diversamente dalle altre, tale fatto noto di per sé non consente di passare
alla determinazione del reddito).
99
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
tracciato e perseguono le stesse finalità: agevolare gli uffici tributari
nell‘individuare la ricchezza da assoggettare a tassazione, nel determinare nel
quantum tale ricchezza, nel ricorrere in via di ultima analisi ad uno strumento
(quello della presunzione legale) che possa poi resistere al vaglio dei giudici.
Sotto quest‘ultimo profilo, come anche di recente la S.C. ha ribadito nel
pronunciarsi sull‘accertamento sintetico ante novella del 2010, ―il giudice
tributario, una volta accertata l‘effettività fattuale degli specifici elementi
rilevatori di capacità contributiva, non può privare tali elementi della
capacità presuntiva che la legge ha inteso annettere alla loro disponibilità,
ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla
provenienza non reddituale delle somme necessarie per mantenere il
possesso dei beni indicati dalla norma‖ (23).
9
Il sempre più massiccio ricorso alle presunzioni legali nell‘area
dell‘accertamento tributario pone non pochi problemi derivanti, tutti, dalla
natura del tipo di collegamento inferenziale posto dalla legge. Benché anche
in sede civile ci si continui ad interrogare sulla loro natura, le presunzioni
legali propriamente dette a mio avviso non sono propriamente prove.
Le presunzioni legali non tengono conto del singolo contesto storico e non
sono finalizzate affatto a convincere (il funzionario della p.a. o il giudice) che
il fatto ignoto in tal modo ricostruito sia vero, quanto semmai ad imporre
(all‘uno ed all‘altro) di adeguarsi agli effetti stabiliti dalla norma. Prima
ancora che invertire gli oneri della prova (come si suole tralaticiamente
sostenere), le presunzioni legali relative ed i metodi parametrici volti alla
rideterminazione della base imponibile operano sul piano sostanziale
assumendo la legge come vero il fatto ricostruito in via induttiva.
Tra la formulazione astratta della norma e la sua applicazione al caso
concreto la prova rappresenta una sorta di liaison (o di ponte che dir si
voglia) il cui impiego – in tutti quei casi in cui l‘attuazione del diritto passa
attraverso l‘accertamento del fatto storico ed in cui lo stesso fatto è
controverso – è in un certo senso imposto in uno Stato di diritto al soggetto
titolare della funzione di accertamento o al soggetto titolare della funzione
giudiziaria: l‘A.f. al pari del giudice tributario deve motivare i propri atti; il
giudice tributario, non diversamente dal giudice civile, amministrativo o
penale che sia non può non decidere.
La prova – lo ribadisco – è la risposta ad una questione empirica. Ed una
questione empirica si risolve volta per volta, individuando, selezionando e
valutando il materiale informativo a disposizione: una conoscenza
23
( )Cass., sez. V, 29 aprile 2011, n. 9549.
100
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
predeterminata dalla legge e dalla legge imperativamente imposta non è una
vera conoscenza (24).
Come pure dimostra l‘esperienza ben poco edificante della modifica
apportata all‘art. 39, comma 1, lett. d) DPR n. 600/1973 dall‘art. 35, comma
3 d.l. n. 223/2003 conv. dalla legge n. 248/2006 gli innesti in un sistema di
prove giuridiche di strumenti quali le presunzioni legali (sia pure relative) che
non hanno natura di prova non sono così scontati (al punto da operarli in via
di decreto legge), in specie quando si pretenda di integrare una prova logica
con un‘inferenza induttiva di tipo legale (25).
Tutt‘al più, alle presunzioni legali può essere riconosciuta una funzione paracognitiva nel senso che (per restare alla funzione da esse svolte
nell‘accertamento tributario) gli uffici tributari, anche quando le utilizzano,
sono pur sempre obbligati ad accertare la capacità economica effettiva del
contribuente sottoposto al controllo ed a svolgere, di conseguenza,
un‘istruttoria adeguata al caso di specie.
10
Di ciò è sempre più consapevole la nostra giurisprudenza ed il nostro
legislatore.
Non è un caso, infatti, che a livello costituzionale la Consulta abbia ormai
definitivamente superato la propria risalente giurisprudenza ispirata ad un
odioso fiscalismo. Non è più la presunzione pro fisco una prova legale volta a
creare stabilità e certezza e ad evitare nel contempo <<la libera scelta dei
mezzi di prova>> a disposizione del contribuente ( 26), né tanto meno risulta
indifferente interrogarsi sulla natura assoluta o relativa del modulo presuntivo
costruito dalla legge (27). Le presunzioni fiscali sono ragionevoli (art. 3
Cost.), non ledono il diritto di difesa del contribuente (art. 24, co. 2, Cost.) e
sono conformi al principio di capacità contributiva (art. 53, co. 1, Cost.) se ed
in quanto rispecchino i dati dell‘esperienza comune (vanno, quindi, costruite
dalla legge secondo criteri di normalità) e se ed in quanto abbiano natura
24
( )Così, tra gli altri, TARUFFO, «Presunzioni (diritto processuale civile)», in Enc.
giur., XXIV, Roma, 1991, 3 e MENGONI, Gli acquisti «a non domino», Milano, 1975,
353.
25
( )Quanto fosse irragionevole ed asistematica la novella richiamata nel testo è
dimostrato, a tacer d‘altro, dalla successiva abrogazione dell‘ultimo periodo dell‘art.
39, comma 1, lett. d) DPR n. 600/1973 ad opera dell‘art. 24, comma 5 della legge
88/2009.
26
( )Così Corte Cost., 26 giugno 1965, n. 50
27
( )Così Corte Cost., 12 luglio 1967, n. 109.
101
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
relativa (devono, quindi, sempre assicurare al contribuente il diritto di
difendersi provando) (28).
Così come non è un caso che nell‘ottica di ancorare l‘accertamento al singolo
contesto di riferimento nei coefficienti presuntivi di reddito e di congruità,
negli studi di settore e, da ultimo, nel nuovo accertamento sintetico (sia esso
svolto per il tramite del c.d. spesometro, sia invece compiuto per mezzo del
più tradizionale strumento rappresentato dal redditometro) il contraddittorio
tra contribuenti ed A.f. costituisca una condizione di legittimità degli
accertamenti emessi sulla base delle presunzioni (29).
L‘esigenza di contestualizzare le presunzioni fiscali attraverso il
coinvolgimento (obbligatorio e non meramente facoltativo) del contribuente
nella fase dell‘accertamento è sottesa ancora all‘avvenuto riconoscimento, da
parte della Consulta, della legittimità costituzionale dei coefficienti presuntivi
di compensi e ricavi e dei coefficienti di congruità ( 30), ed al ruolo assegnato
dalla Corte di legittimità (anche attraverso la riaffermazione da parte della
S.C. della natura precettiva e non meramente programmatica dell‘art. 53,
comma 1 Cost.) agli studi di settore sia pure depotenziandone la forza da
presunzioni legali (secondo la stessa voluntas legis) a presunzioni semplici
(31).
L‘ulteriore step dell‘evoluzione del pensiero della Corte di legittimità
dovrebbe essere quello di riconoscere l‘obbligatorietà del contraddittorio in
tutti gli altri casi in cui la determinazione della materia imponibile è
realizzata attraverso il ricorso a presunzioni legali quali, per tutte, quelle
previste in tema di accertamenti bancari (32).
28
( )V., ex multis, Corte Cost., 12 luglio 1967, n. 103; C. Cost., 16 luglio 1968, n. 99;
Corte Cost., 28 luglio 1976, n. 200; Corte Cost., 26 marzo 1980, n. 42; Corte Cost., 23
luglio 1987, n. 283; C.orte Cost., ord. 28 luglio 2004, n. 297.
29
( )Che il contraddittorio endoprocedimentale diventi sempre più la regola nei
rapporti tra fisco e contribuenti è confermato dai primi chiarimenti forniti dall‘A.f. a
commento delle modifiche apportate all‘art. 38 DPR n. 600/1973. L‘obbligo di
attivare il contraddittorio in forza del nuovo comma 7 dell‘art. 38 DPR n. 600/1973 è
ritenuto dall‘Agenzia delle entrate in linea con le disposizioni contenute nella legge
27 luglio 2000, n. 212 (circolare n. 4/E del 15 febbraio 2011), in tal modo
riconoscendo che già dallo Statuto dei diritti del contribuente sia evincibile il diritto
del privato a partecipare al procedimento di accertamento.
30
( )Corte Cost., ord. 24 gennaio 1992, n. 22.
31
( )Cass., SS.UU., 18 dicembre 2009, n. 26638 e 26639. A tale giurisprudenza si è
uniformata la sez. V come dimostrano, tra le tante, le sentenze 28 febbraio 2011, n.
4792 e 6 luglio 2010, n. 15905.
32
( )È noto al riguardo come l‘orientamento univoco della S.C. sia nel senso di
escludere in capo agli uffici tributari l‘obbligo di sentire in contraddittorio il
contribuente allorché i primi facciano ricorso alle presunzioni il cui fatto noto è il
versamento sui (o il prelevamento dai) conti correnti bancari e postali: ex multis, le
sentenze della sez. V, 13 marzo 2009, n. 6094; 15 febbraio 2008, n. 3900; 7 febbraio
2008, n. 2821.
102
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
Sia pure nel silenzio della legge, l‘intervento del contribuente nella fase
dell‘accertamento non più in chiave passiva e collaborativa ma nella nuova
chiave attiva e partecipativa porta necessariamente con sé, a meno di
svalutare il ruolo stesso del contraddittorio endoprocedimentale, l‘obbligo a
carico dell‘A.f. di prendere posizione nella stesura della motivazione
dell‘accertamento sugli elementi allegati al (e sui documenti prodotti nel)
procedimento dal privato (33).
Parimenti, comporta l‘ulteriore conseguenza (pure già delineata dalla S.C.
nella richiamata giurisprudenza sugli studi di settore) che il contribuente sarà
sempre libero nella successiva fase processuale di addurre elementi e prove
ultronee rispetto a quelli versati nel corso del procedimento amministrativo:
le preclusioni probatorie previste dall‘art. 52, comma 5 DPR n. 633/1972 e
dall‘art. 32, penultimo comma DPR n. 600/1973 costituiscono una
riaffermazione dell‘obbligo di collaborazione, non del diritto di
partecipazione.
11
La decontestualizzazione (ontologica, si direbbe) delle presunzioni legali
rispetto al singolo tema di prova è sottesa, ancora, alla previsione di requisiti
alla cui sussistenza è spesso subordinato ex positivo jure l‘impiego della
stessa inferenza induttiva. In termini analoghi a quanto, ad es., dispone l‘art.
10 della legge n. 146/1998 nell‘individuare (in specie nel comma 4) tutta una
serie di fatti impeditivi all‘applicazione degli studi di settore e sulla falsariga
del testo previgente dell‘art. 38 DPR n. 600/1973, molto opportunamente il
nuovo art. 38 oltre ad ammettere la prova contraria ( 34) ed oltre a rendere
obbligatorio il contraddittorio stabilisce una soglia legale di scostamento tra
reddito dichiarato e reddito accertabile in base alla spesa o in base al
redditometro (nuovo comma 6 dell‘art. 38).
Lo scostamento di ―almeno un quinto‖ tra l‘uno e l‘altro corno della forbice è
un‘ulteriore riaffermazione dell‘esigenza di agganciare uno strumento (quale
la presunzione legale) di per sé avulso per sua stessa natura dalla realtà
economica del singolo contribuente alla capacità effettivamente manifestata
dal soggetto sottoposto all‘accertamento.
Un‘analoga ratio ispira il nuovo comma 5 dell‘art. 38 DPR n. 600/1973
laddove si prevede il ricorso alla ―analisi di campioni significativi di
contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell‘area
33
( )V. in terminis già Cass., sez V, 22 febbraio 2008, n. 4264.
34
( ) A rigor di termini, in presenza di una presunzione legale relativa, sarebbe più
esatto parlare della tutela riservata al contribuente del diritto di difendersi provando la
non riferibilità alla sua situazione personale del fatto ignoto ricostruito ex positivo
jure. Ciò in quanto, come pure abbiamo illustrato nel testo, le presunzioni legali più
che invertire gli oneri di prova spostano i temi di prova rendendo non più bisognevole
di prova ciò che, per contro, in assenza della presunzione, andrebbe dimostrato.
103
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
territoriale di appartenenza‖. Come già avvenuto nel passaggio dai vecchi
coefficienti di compensi, di ricavi e di congruità agli studi di settore, le
presunzioni legali e le argomentazioni induttive in generale vanno sempre più
calate già a livello di elaborazione nel contesto storico di riferimento.
Indicativa in tal senso è pure l‘ulteriore novità della revisione ―con cadenza
biennale‖ del nuovo redditometro (ancora art. 38, comma 5 DPR n.
600/1973).
Parimenti, è da salutare con favore l‘abrogazione del vecchio comma 6
dell‘art. 38 DPR n. 600/1973 e, per l‘effetto, la scomparsa della presunzione
legale il cui fatto noto era rappresentato dalla spesa per incrementi
patrimoniali di cui pure la legge presumeva, salvo prova contraria, il
sostenimento con redditi conseguiti nell‘anno in cui è stata effettuata e nei
cinque. Sul punto si deve registrare la raggiunta consapevolezza di come tale
strumento, nonostante il tentativo di estenderne il più possibile la portata
attraverso la riduzione da cinque a quattro anni dell‘arco temporale di
riferimento (35), abbia probabilmente posto più problemi applicativi di quanti
ne abbia risolti (in specie a livello di gettito).
12
Le presunzioni legali, in generale, e quelle previste in campo fiscale, in
particolare, hanno a nostro avviso natura bivalente: sul piano sostanziale,
semplificano le fattispecie regolate dalla legge ponendo un automatismo tra il
fatto noto indiziante ed il fatto ignoto la cui rispondenza al vero andrebbe
altrimenti accertata, mentre su quello processuale dispensano il soggetto a cui
vantaggio sono poste dall‘onere di dimostrare il fatto presunto regolando nel
contempo gli effetti che nel processo conseguono alla mancata dimostrazione
del suo contrario.
Se si condivide la premessa, si deve pure ammettere che la tutela offerta
dall‘ammissibilità della prova contraria non è ancora sufficiente per stabilire
la conformità delle presunzioni legali al dettato costituzionale. La natura
empirica del giudizio di fatto comporta che occorre verificare di volta in volta
se il contribuente, a fronte dell‘astratta previsione normativa di fornire la
prova contraria, sia in grado di assolvere sul piano concreto l‘onere di prova
posto a suo carico dalla legge, e se possa in tal modo dimostrare che la sua
capacità economica è inferiore a quella presunta dalla legge. In caso negativo,
alla previsione astratta della norma corrisponderebbe un‘inferenza induttiva
operante nel singolo caso come presunzione assoluta; con l‘ulteriore
conseguenza che la norma che quella presunzione ponesse, se fosse pure
avulsa dall‘id quod plerumque accidit, sarebbe incostituzionale anche per
violazione del principio di ragionevolezza e del principio di capacità
contributiva.
35
( )Art. 2, comma 14-quater d.l. n. 203/2005, conv. dalla legge n. 248/2005.
104
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
In questa chiave di lettura, ci sembra difficilmente sostenibile la
costituzionalità delle presunzioni legali c.d. miste (o semi-assolute),
ovverosia delle presunzioni di cui la legge individui non solo il collegamento
fatto noto/ fatto ignoto, ma anche il mezzo di prova utilizzabile dal
contribuente in chiave difensiva (36).
Così come, ci sembra pure difficilmente sostenibile la costituzionalità di
presunzioni legali in cui la legge stabilisca, in via astratta e generalizzata, i
possibili temi di prova contraria.
Il canone dell‘interpretazione adeguatrice deve a nostro avviso condurre ad
interpretare le norme che individuino i temi o i mezzi di prova contraria come
mere esemplificazioni, non già come tassative prescrizioni.
La libertà dei temi di prova contraria, già riconosciuta dalla S.C. con
riferimento al previgente comma 6 dell‘art. 38 DPR n. 600/1973 ( 37), deve
pertanto essere riaffermata anche con riguardo al nuovo comma 5 dello stesso
art. 38 post riforma del 2010.
13
La novella del 2010 conferma che, a regime, il ricorso alle presunzioni legali
non è subordinato alla previa acquisizione al procedimento o al previo
accertamento di determinati fatti. Il nuovo comma 4 dell‘art. 38 DPR n.
600/1973, non diversamente dal previgente comma 4 di questo stesso
articolo, conferma un‘ulteriore linea di tendenza delle scelte operate dal
legislatore in quest‘ultimi anni: rispetto ad un passato ormai molto remoto, il
ricorso a presunzioni legali non è collegato né (a maggior ragione)
subordinato all‘esistenza di gravi inadempienze da parte del contribuente:
l‘espressione ―indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi
precedenti e dall‘art. 39‖, più volte impiegata nei provvedimenti normativi
volti a regolamentare i nuovi metodi di accertamento, è contenuta tel quel nel
vecchio come nel nuovo testo dell‘art. 38, comma 4 DPR n. 600/1973 e sta a
36
( )Benché esuli dalla materia dell‘accertamento delle imposte sui redditi e dell‘IVA
giova richiamare in questa sede la sentenza 21 aprile 2000, n. 114 con la quale – come
è noto – la Consulta dichiarò l‘incostituzionalità dell‘art. 19, comma 1 d.l. n.
688/1982, conv. dalla legge n. 873/1982 nella parte in cui limitava alla prova
documentale il mezzo di prova contraria idoneo superare la presunzione (legale) di
trasferimento del tributo doganale, dell‘imposta di fabbricazione, e dell‘imposta di
consumo sull‘acquirente.
37
( )Sulla libertà di prova del contribuente nell‘impugnare avvisi di accertamento
IRPEF emessi con il metodo sintetico o avviso di accertamento IVA basati sulla
presunzione di cessione e di acquisto v., tra le altre, Cass. sez. V, 7 maggio 2005, n.
10345; Cass. sez. V, 6 agosto 2003, n. 11863; Cass. sez. V, 31 marzo 2006, n. 7654;
Cass. sez. V, 4 aprile 2000, n. 4098. A ben altre conclusioni è, invece, pervenuta la
S.C. quando ha negato al contribuente il diritto di difendersi a fronte di iscrizioni a
ruolo operate con la c.d. miminum tax allegando in giudizio fatti impeditivi ultronei
rispetto a quelli indicati dall‘art. 11-bis, commi 2 e 3 d.l. n. 384/1992.
105
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
significare, appunto, la raggiunta consapevolezza che le presunzioni legali
non hanno (e non dovrebbero mai avere) carattere sanzionatorio (o
parasanzionatorio). Presunzioni legali ed argomentazioni induttive sono uno
strumento per accertare la capacità contributiva, non per catastizzare il
reddito.
Ben si spiega, del resto, come l‘accertamento sintetico previsto dal vecchio
art. 38, comma 4 DPR n. 600/73 sia passato più volte indenne da censure di
incostituzionalità (38).
È prevedibile, sulla base delle stesse argomentazioni addotte dalla Consulta
per riconoscere la legittimità costituzionale dell‘accertamento sintetico ante
novella del 2010, che anche la nuova presunzione legale il cui fatto noto è la
spesa possa superare il vaglio di costituzionalità.
Resta comunque fermo che, nonostante l‘ampia formulazione della norma,
non qualsiasi spesa potrà essere posta alla base dell‘accertamento ma solo
quella che secondo l‘id quod plerumque accidit ed in relazione al contesto
storico di riferimento sia adeguatamente rappresentativa della capacità
economica del soggetto sottoposto al controllo.
14
Discorso a parte, e con questo mi avvio alla conclusione, meritano tutta
quella congerie di disposizioni collocate sistematicamente in provvedimenti
normativi diversi dai più volte richiamati decreti n. 600/1973 e n. 633/1972 e
frutto, spesso, di scelte poco o nulla meditate (come pure sta a dimostrare
l‘eccesivo ricorso allo strumento della decretazione d‘urgenza).
Se presunzione legale è il collegamento fatto noto/ fatto ignoto stabilito dalla
legge e se la presunzione in tanto è costituzionalmente legittima in quanto,
prima ancora di essere relativa, risponda al principio di ragionevolezza, v‘è
da chiedersi se effettivamente siano presunzioni (e non piuttosto
assimilazioni, equiparazioni e, più in generale, norme che prevedono
principalmente conseguenze di tipo sostanziale prima ancora che
conseguenze di tipo probatorio) e siano poi conformi a Costituzione quelle,
ad es., poste dall‘art. 2, comma 2 bis TUIR per contrastare il trasferimento
fittizio in paesi black-list della residenza delle persone fisiche, dall‘art. 73,
commi 5 bis e 5 quater TUIR per contrastare il fenomeno
dell‘esterovestizione delle società, dall‘art. 110, commi 10 e 12 bis per
contrastare la deducibilità di spese o di altri componenti negativi sostenuti
con controparti estere localizzate in paesi black-list, quella dettata dall‘art.
30, comma 3 della legge n. 724/1994 per contrastare il fenomeno delle c.d.
società di comodo o, ancora, dall‘art. 10 d.l. n. 78/2009 conv. dalla legge n.
38
( ) Corte Cost., 23 luglio 1987, n. 283 e Corte cost., ord. 28 luglio 2004, n. 297.
106
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
25/2010 per contrastare l‘effettuazione di investimenti o la detenzione di
attività in paesi black-list (39).
In effetti, in questi ed altri consimili casi, non siamo in presenza di vere e
proprie tipologie di accertamento se per tipologia intendiamo la definizione
di metodi accertativi diversi ed ultronei rispetto a quelli di cui finora abbiamo
parlato. Prova ne sia, come pure l‘esperienza insegna, che tali norme sono
sempre applicate dal Fisco in combinato disposto con quelle dettate sui
metodi di accertamento.
Eppure, in modo forse ancora più pressante di quanto abbiamo constatato con
riguardo alla materia dell‘accertamento propriamente detta, le inversioni e
(soprattutto) gli spostamenti degli oneri probatori dall‘A.f. al contribuenti
previsti da tali disposizioni rendono in non pochi casi ancora più difficile per
i contribuenti l‘assolvimento di tali oneri di quanto non lo sia l‘assolvimento
degli oneri probatori per superare le risultanze delle presunzioni legali
propriamente dette.
In specie laddove la norma che la presunzione (o la pseudo-presunzione)
pone prescinde dal collegamento fatto noto/ fatto ignoto per procedere
direttamente alla quantificazione del reddito la massima di esperienza ed il
criterio di normalità alla prima sotteso non costituisce più uno dei parametri
cui si possa e si debba avere riguardo nel sindacato costituzionale (sul piano
della ragionevolezza).
Nondimeno, le implicazioni che queste stesse norme hanno (oltreché sul
piano sostanziale, anche) sul piano processuale rende imprescindibile il
sindacato costituzionale, oltreché ai sensi dell‘art. 53, comma 1 Cost., in
forza pure dell‘art. 24, comma 2 Cost. e dell‘art. 111 comma 2 Cost.
Con particolare riguardo al principio della parità delle armi dettato dall‘art.
111, comma 2 Cost. va condiviso quanto la Consulta ha di recente sostenuto,
più o meno consapevolmente, uniformandosi alla già richiamata sentenza
della S.C. n. 2990 del 1979 ed a quanto pure era stato sostenuto in dottrina
(40): ―La rilevanza pubblicistica dell‘obbligazione tributaria giustifica
ampiamente i penetranti poteri che la legge conferisce all'Amministrazione
nel corso del procedimento destinato a concludersi con il provvedimento
39
( )In effetti, l‘equivocità del termine ―presunzione‖ nasce già dalla legge: se da un
lato, la definizione dell‘art. 2727 c.c. non lascia dubbi nel senso di ritenere che anche
la presunzione legale è un collegamento tra due fatti, per contro l‘art. 2728, comma 2
c.c. – benché impieghi il termine ―presunzione‖ – finisce con il prescindere
dall‘esistenza di un simile collegamento. Pur non potendo in questa sede approfondire
ex professo il tema, l‘eccezionalità del ricorso alla prova contraria, previsto dallo
stesso art. 2728, comma 2 c.c. nei casi stabiliti dalla legge dovrebbe portare a ritenere
che siamo in presenza non di presunzioni relative, ma di presunzioni assolute.
40
( )Sia consentito rinviare sul punto ai miei scritti La prova tra procedimento e
processo tributario, Padova, 2005, 4 ss. e 522 ss., e Sulla ripartizione degli oneri
probatori nel processo tributario tra nuovi (quanto, forse, ormai tardivi) sviluppi
giurisprudenziali e recenti modifiche normative, in Rassegna tributaria, 2006, 594 ss.
107
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
impositivo, ma certamente non implica affatto - né consente - che tale
posizione si perpetui nella successiva fase giurisdizionale e che, in tal modo,
sia contaminata l'essenza stessa del ruolo del giudice facendone una sorta di
longa manus dell‘Amministrazione: in particolare, attribuendo al giudice
poteri officiosi che, per la indeterminatezza dei presupposti del loro esercizio
(o non esercizio), sono potenzialmente idonei a risolversi in una vera e
propria supplenza dell'Amministrazione‖(41).
Indubbiamente, le norme precedentemente richiamate trovano tutte la loro
ratio nello scopo di combattere l‘evasione e l‘elusione fiscale. Tale ratio è
consustanziale al principio di capacità contributiva per la decisiva ragione
che comportamenti evasivi od elusivi alterano la giusta ripartizione dei
carichi pubblici tra i consociati. Nelle ben note letture del principio di
capacitè contributiva da parte della S.C., anzi, l‘art. 53, comma 1 Cost.
diventa norma imperativa per la p.a. (42) come per i contribuenti ( 43).
Queste stesse norme, ancora, non diversamente da quelle che costruiscono
inferenze induttive tra due fatti determinano – lo dicevamo – uno
spostamento degli oneri di prova tale per cui il soggetto nei cui confronti
queste stesse norme sono applicate si trova gravato di un onere che, nel
silenzio della legge, incomberebbe sulla controparte.
Con questo non voglio certo dire che la compressione del principio at arm‘s
lenght si traduca di per sé nella incostituzionalità della norma ben potendo il
legislatore ordinario comprimere tale principio in nome di altri principi (pure
essi aventi dignità costituzionale) come quello di assicurare la pronta e sicura
esazione del tributo.
A ben vedere, in via di principio nulla osta a che la legge, ricorrendo ad
inferenze di tipo induttivo, alle assimilazioni, alle equiparazioni o più in
generale a ―norme di diritto materiale che prevedono conseguenze di tipo
sostanziale‖ (44) e (aggiungerei io) di tipo processuale , sostituisca sul piano
procedimentale una fattispecie ad un‘altra e sposti di conseguenza, su quello
processuale, gli oneri della prova dall‘A.f. al contribuente riducendo
fortemente gli oneri probatori della prima ed accentuando, simmetricamente,
gli oneri probatori del secondo. Perché però possa deviare dall‘assetto
ordinario, la norma deve essere ragionevole, deve rispondere ad una difficoltà
oggettiva del Fisco di accertare la capacità economica effettivamente
manifestata dal contribuente, e non deve porre a carico del privato un onere
di prova diabolico. Se così non fosse, la norma stessa finirebbe essa stessa
41
( ) Corte Cost., 29 marzo 2007, n. 107.
42
( ) Mi riferisco alla già richiamata giurisprudenza in tema di studi di settore.
43
( ) Mi riferisco alle sentenze sull‘abuso del diritto SS.UU., 23 dicembre 2008, n.
30055, 30056 e 30057.
44
( ) L‘espressione è di Patti, Prova testimoniale-Presunzioni, in Commentario del
codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2001, 124.
108
PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA
con il creare – questa volta in danno del contribuente – un nuovo squilibrio
difficilmente conforme al principio dell‘égalité des armes.
Giuseppe Maria Cipolla
Ordinario diritto tributario
Università degli studi di Cassino
109
Prof. Alberto Comelli
L‟individuazione dei dati e degli elementi rilevanti ai
fini dei nuovi accertamenti sintetici
Sommario: 1. Premessa: il testo dell‘art. 38 del d.p.r. n. 600/1973, novellato
dall‘art. 22 del d.l. n. 78/2010 non postula un mero ―aggiornamento‖ della
disciplina dell‘accertamento sintetico. – 2. Le ―spese di qualsiasi genere
sostenute nel corso del periodo d‘imposta‖, ai fini dei nuovi accertamenti
sintetici ―puri‖. – 3. L‘individuazione degli elementi indicativi di capacità
contributiva e l‘analisi di campioni significativi di contribuenti. – 4. Il
potenziamento della rete informativa ai fini di un più proficuo
approvvigionamento dei dati, con riferimento a tre direttrici autonome ma
strettamente connesse. – 5. Profili comparatistici, con riferimento
all‘ordinamento tedesco: non sembra che sia prevista una disciplina specifica
relativamente all‘accertamento sintetico e si applica la disciplina generale,
largamente dominata dalla collaborazione del contribuente. – 6. Osservazioni
conclusive: l‘insussistenza di una pregiudizialità metodologica dei metodi
accertativi diversi da quello sintetico e la realizzazione di un‘attività
conoscitiva calibrata sull‘acquisizione essenzialmente in via telematica dei
dati e degli elementi rilevanti, salvo l‘espletamento del contraddittorio
endoprocedimentale.
1 Premessa: il testo dell‟art. 38 del d.p.r. n. 600/1973, novellato dall‟art.
22 del d.l. n. 78/2010 non postula un mero “aggiornamento” della
disciplina dell‟accertamento sintetico
La sostituzione dei commi quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo dell‘art. 38
del d.p.r. n. 600/1973, ad opera dell‘art. 22 del d.l. n. 78/2010, convertito con
modificazioni dalla l. n. 122/2010, ―con effetto per gli accertamenti relativi ai
redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di
entrata in vigore del presente decreto‖, ha prodotto non poco significative
modifiche alla disciplina degli accertamenti sintetici ( 1). Nella prospettiva ―di
1
( ) Cfr. A. MARCHESELLI, Accertamenti tributari e difesa del contribuente. Poteri e
diritti nelle procedure fiscali, Milano, 2010, 203 ss.; Id., Garanzie e doveri nel nuovo
redditometro, in Corr. trib., 2010, 3781 ss.; L. TOSI, Commento sub art. 38, in
AA.VV., Commentario breve alle leggi tributarie, tomo II, Accertamento e sanzioni,
a cura di F. MOSCHETTI, Padova, 2011, 228 e 229. Si vedano anche E.-M.
BAGAROTTO, L‘accertamento sintetico dopo le modifiche apportate dal DL n.
78/2010, in Riv. dir. trib., 2010, I, 967 ss.; G. BERARDO, La rilevanza degli
investimenti per la corretta determinazione del reddito sintetico, in Corr. trib., 2010,
3918 ss.; D. DEOTTO, Luci e ombre del nuovo accertamento sintetico, ivi, 2010,
3366 ss.; A. IORIO, Ampliato l‘ambito di applicazione dell‘accertamento sintetico,
L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI
ACCERTAMENTI SINTETICI
adeguare‖ quest‘ultima ―al contesto socio-economico, mutato nel corso
dell‘ultimo decennio‖, rendendola ―più efficiente e‖ dotandola ―di garanzie
per il contribuente, anche mediante il contraddittorio‖ ( 2), il nuovo dato
normativo in esame è molto più di un mero ―aggiornamento
dell‘accertamento sintetico‖, come recita la rubrica dell‘art. 22 del d.l. n.
78/2010 e, secondo quanto è già stato esattamente rilevato in dottrina (3),
avvia ―una vera e propria rivoluzione di metodo‖.
Tale osservazione vale sia sul versante dell‘accertamento sintetico puro, sia
su quello dell‘accertamento cosiddetto ―sintetico redditometrico‖, per usare
una efficace locuzione indicata da un‘attenta dottrina ( 4). Queste due species
del medesimo genus evidenziano profili disciplinari differenziati, come sarà
meglio chiarito nel corso del presente contributo, ma presentano senza dubbio
alcuni tratti comuni (5). Tra questi ultimi, si segnalano, a titolo
esemplificativo quello della prova, che il contribuente può fornire, ―che il
relativo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello
stesso periodo d‘imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a
titolo d‘imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base
ivi, 2010, 2666 ss.; C. PINO, L‘accertamento sintetico e il nuovo redditometro, ivi,
2010, 2057 ss.
2
( ) Così recita il disposto dell‘art. 22, comma 1 del d.l. n. 78/2010.
3
( ) Cfr. C. GLENDI, «Luci» e «ombre» sulla Manovra 2010, in Corr. trib., 2010,
2645.
4
( ) Il riferimento è a M. BEGHIN, Profili sistematici e questioni aperte in tema di
accertamento «sintetico» e «sintetico redditometrico», in Riv. dir. trib., 2010, I, 717
ss. Sulla confusione terminologica relativa all‘accertamento sintetico, dopo la riforma
tributaria del 1973, cfr. R. LUPI, Manuale giuridico professionale di diritto
tributario, Milano, 2001, 591, nel senso che l‘accertamento in questione ―può essere
caratterizzato, a dispetto del nome, da una notevole dose di analisi‖. Cfr. anche M.
BEGHIN, Determinazione sintetica del reddito complessivo irpef, conoscenza delle
fonti e alternatività dei metodi di accertamento in un recente arresto
giurisprudenziale, in Riv. dir. trib., 2009, II, 784 ss.; F. BIANCHI, R. LUPI,
Accertamento sintetico e dei c.d. «privati», in Il Diritto, Enc. giur. Sole 24 Ore,
Milano, 2007, I, 41 ss.
5
( ) Ai sensi dell‘art. 83, commi 8 e 9, del d.l. n. 112/2008, come modificati dalla l. di
conversione n. 133/2008, è pianificata l‘esecuzione di un piano straordinario di
controlli finalizzati alla determinazione sintetica del redito delle persone fisiche, in
relazione agli anni 2009, 2010 e 2011. Tale piano è incentrato sugli elementi e
circostanze di fatto certi alla luce delle informazioni desumibili dall‘anagrafe
tributaria, ovvero acquisiti nell‘espletamento degli ordinari poteri istruttori, con
particolare riferimento alle indagini creditizie e finanziarie. Nella selezione delle
posizioni da sottoporre ai controlli in questione, saranno prioritariamente considerati i
contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi senza evidenziare alcun
debito d‘imposta ma per i quali sussistono elementi indicativi di capacità contributiva.
112
L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI
ACCERTAMENTI SINTETICI
imponibile‖ (6). Inoltre, per entrambe le species in questione, è obbligatorio
(7), da un lato, l‘invito di comparizione al contribuente nella prospettiva di
―fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell‘accertamento‖ e, dall‘altro lato,
l‘avvio del procedimento di accertamento con adesione ( 8).
Alla luce di questo nuovo assetto normativo, mentre della disciplina del
contraddittorio endoprocedimentale (9), della prova contraria (10) e
dell‘apparato presuntivo ( 11) si occupano specificamente altre relazioni, alle
6
( ) Così dispone il disposto del novellato art. 38, comma 4 dell‘art. 38, richiamato
espressamente dall‘ultimo periodo del comma 5, con riferimento all‘accertamento
sintetico redditometrico.
7
( ) Ai sensi dell‘art. 38, comma 7, come riformulato dall‘art. 22 del d.l. n. 78/2010.
8
( ) In virtù dell‘art. 5 del d.lgs. n. 218/1997.
9
( ) La determinazione in via sintetica e inferenziale del reddito complessivo netto è
necessariamente preordinata a stimolare la partecipazione, nella fase precontenziosa,
del soggetto accertato e già in tale sede, a prescindere dall‘eventuale proiezione
processuale, alla luce della documentazione prodotta e delle osservazioni formulate
dal contribuente, dovrebbe emergere l‘ammontare del reddito globale
ragionevolmente attribuibile ad esso. Cfr. G. RAGUCCI, Il «nuovo» accertamento
sintetico tra principio del contraddittorio e garanzie del giusto processo, in Corr.
trib., 2010, 3809 ss.
10
( )Con riferimento alla disciplina precedente le modifiche apportate dal d.l. n.
78/2010, nel senso che sono ampie le possibilità di prova contraria offerte al
contribuente, v. S. LA ROSA, Principi di diritto tributario, Torino, 2009, 351. Esse
spaziano, a titolo esemplificativo ed estensivamente, dalla dimostrazione della
provenienza delle risorse finanziarie da disinvestimenti patrimoniali, o da liberalità, o
da redditi effettivi superiori rispetto a quelli catastali, ovvero da indebitamento o da
disponibilità di altri familiari. Con riferimento alle limitazioni probatorie, in capo al
contribuente, in ordine alla necessaria corrispondenza tra le spese per incrementi
patrimoniali ed i redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d‘imposta, cfr.
Cass. 20 marzo 2009, n. 6813, in Corr. trib., 2009, 1592 ss., con commento critico di
S. MULEO, Limitazioni probatorie nella difesa del contribuente dall‘accertamento
sintetico. Cfr. anche F. DE SIMONE, C. LEUCI, L‘accertamento sintetico e la prova
contraria: profili problematici, in Dir. prat. trib., 2001, I, 830 ss., i quali sottolineano
che la prova contraria è una prova impossibile e che il reddito derivante dalle tabelle è
quasi incontestabile e l‘imposizione avviene su un reddito determinato da un atto
amministrativo, con grave menomazione del diritto di difesa.
11
( )Secondo G. TINELLI, Istituzioni di diritto tributario, Padova, 2010, 285, nota 96,
l‘accertamento sintetico si fonderebbe ―su una presunzione legale di coerenza del
reddito complessivo con quello desumibile dalla valorizzazione della spesa,
giungendo così a ricostruire il fatto ignoto, cioè il reddito, sulla base della
constatazione della certezza della spesa‖. Anche la giurisprudenza di legittimità è
favorevole alla tesi secondo cui l‘art. 38, comma 4 del d.p.r. n. 600/1973 paleserebbe
una presunzione legale: secondo Cass. 23 luglio 2007, n. 16284, in Fisco, 2007, 5226
e 5227, la presunzione di capacità contributiva ivi prevista è da qualificare ―legale‖ in
quanto ―è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale
disponibilità l‘esistenza di una «capacità contributiva»‖ (nello stesso senso, v. già Id.,
20 giugno 2007, n. 14367, in Corr. trib., 2007, 2849 ss., con commento di C. PINO);
113
L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI
ACCERTAMENTI SINTETICI
quali occorre rinviare, il presente contributo ha per oggetto la tematica della
individuazione dei dati e degli elementi rilevanti ai fini di entrambi i tipi di
accertamenti sintetici, vale a dire sia quelli puri, sia quelli redditometrici, per
esaminare, successivamente, alcune problematiche connesse alla rete
informativa ai fini dell‘approvvigionamento dei dati e degli elementi per
espletare gli accertamenti in questione.
2 Le “spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo
d‟imposta”, ai fini dei nuovi accertamenti sintetici “puri”
Il reddito complessivo netto del contribuente persona fisica poteva essere
determinato, prima dell‘entrata in vigore della novella in questione, ―in base
ad elementi e circostanze di fatto certi‖, a condizione che lo scostamento tra
il reddito complessivo netto accertabile e quello dichiarato fosse pari almeno
ad un quarto (12). La determinazione del reddito in via sintetica era
Id., 30 ottobre 2007, n. 22936, in Fisco, 2007, 6307 ss., con commento di P. TURIS.
Afferma che l‘amministrazione finanziaria è dispensata da qualunque ulteriore prova
rispetto ai fatti indicativi di capacità contributiva, individuati dal redditometro e posti
a base della pretesa tributaria (nella specie, il possesso di automobili) e grava sul
contribuente l‘onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro
non esiste o esiste in misura inferiore, Id., 5 dicembre 2007, n. 25386, ivi, 2007, 6863
e 6864. In senso pienamente sintonico, v. già Id., 1 luglio 2003, n. 10350, ivi, 2003,
6017 ss.; Id., 22 settembre 2006, n. 20519, ivi, 2006, 7179 ss. Tuttavia, è preferibile
aderire all‘impostazione seguita da altra parte della dottrina, secondo cui la rettifica in
via sintetica del reddito delle persone fisiche postula(va) delle presunzioni semplici:
gli ―elementi indicativi di capacità contributiva individuati‖ (così disponeva il testo
dell‘art. 38, comma 4, del d.p.r. n. 600/1973 prima delle modifiche introdotte dal d.l.
n. 78/2010) col redditometro si estrinsecano in fatti noti indizianti rispetto alla
quantificazione dell‘elemento ignoto, costituito dall‘ammontare del reddito globale
attribuibile alla persona fisica sottoposta ad accertamento, alla quale i medesimi
elementi sono riferibili. Si tratterebbe di presunzioni che il giudice può apprezzare, di
volta in volta e secondo la sua prudente valutazione, in sede di giudizio di
impugnazione avverso l‘avviso di rettifica basato sul metodo sintetico, a condizione
che esse siano gravi, precise e concordanti. Cfr. G. FALSITTA, Manuale di diritto
tributario. Parte generale, Padova, 2010, 424, secondo il quale il metodo sintetico è
fondato su presunzioni semplici, che devono essere gravi, precise e concordanti; P.
RUSSO, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2007, 310, per il quale
sussiste una presunzione semplice tra gli indici di capacità contributiva individuati dal
redditometro, ―concepiti come fatti noti indizianti, e l‘esistenza di una corrispondente
capacità reddituale del soggetto che sostiene la spesa o dispone del denaro‖. Nel senso
che l‘applicazione del redditometro al caso concreto determina una presunzione
semplice, con un‘inversione dell‘onere della prova, cfr. Comm. trib. reg. di Roma
(recte: del Lazio) 11 ottobre 2005, n. 76, in Fisco, 2005, 6673 e 6674. Cfr., da ultimo,
D. DEOTTO, L‘accertamento sintetico alla prova di una presunzione ragionevole, in
Corr. trib., 2010, 493 ss.
12
( )Questa regola istituisce una franchigia tanto maggiore quanto è più elevato il
reddito dichiarato: cfr. G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale,
cit., 423. Nello stesso senso, cfr. S. PANSIERI, Nuovi orientamenti normativi e
114
L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI
ACCERTAMENTI SINTETICI
consentita, in estrema sintesi, anche qualora, ai sensi, rispettivamente, dei
numeri 2), 3) e 4) del comma 1 dell‘art. 32 del d.p.r. n. 600/1973, il
contribuente non avesse ottemperato ai seguenti inviti ( 13):
a) a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti, al fine di fornire dati
e notizie rilevanti per l‘accertamento nei loro confronti, anche ai fini dei
rapporti e delle operazioni bancarie e finanziarie;
b) a esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell‘accertamento
nei loro confronti;
c) a restituire compilati e firmati questionari relativi a dati e notizie di
carattere specifico, rilevanti ai fini dell‘accertamento nei loro confronti
(ovvero nei confronti di terzi con cui abbiano intrattenuto rapporti) ( 14).
Il testo dell‘art. 38 del d.p.r. n. 600/1973, novellato dall‘art. 22 del d.l. n.
78/2010, stabilisce che l‘ufficio ―può sempre determinare sinteticamente il
reddito complessivo del contribuente‖ (così il comma 4), qualora ―il reddito
complessivo accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato‖ (ai
sensi del comma 6) (15) e non riproduce l‘applicazione delle regole
dell‘accertamento sintetico nel caso in cui il contribuente non abbia
ottemperato agli inviti sopra indicati sub lettere a), b) e c).
Conseguentemente, da un lato, la determinazione sintetica non si riferisce più
al concetto di ―reddito complessivo netto‖, ma al ―reddito complessivo‖, vale
giurisprudenziali in materia di determinazione con metodo sintetico dei redditi delle
persone fisiche, in Riv. dir. trib., 1992, II, 712.
13
( )Nel senso che questa disposizione ha una ―chiara intonazione sanzionatoria‖ e
risulta non agevolmente comprensibile: P. RUSSO, Manuale di diritto tributario.
Parte generale, cit., 308. Cfr. anche A. NASTASIA, Accertamento sintetico del
reddito e questionari esplorativi: utile combinazione fra metodologia accertativa e
strumento istruttorio, in Fisco, 2007, 401 ss.
14
( )Nell‘esercizio del peculiare potere determinativo, in via sintetica, del reddito
complessivo netto delle persone fisiche, l‘ufficio dell‘agenzia delle entrate poteva
utilizzare ―anche elementi e circostanze di fatto indicativi di capacità contributiva
diversi da quelli‖ descritti nella tabella allegata al d.m. 10 settembre 1992 (così
dispone l‘art. 1, comma 2 del decreto ministeriale 10 settembre 1992), come
successivamente sostituita e aggiornata, sempre che si trattasse di ―elementi e
circostanze di fatto certi‖. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle spese per effettuare
viaggi molto costosi, ovvero per iscriversi a club di golf: G. FALSITTA, Manuale di
diritto tributario. Parte generale, cit., 425; oppure al mantenimento dei figli presso
istituti d‘istruzione privati, agli acquisti di gioielli e beni d‘antiquariato: R. LUPI,
Manuale giuridico professionale di diritto tributario, cit., 593.
15
( )Secondo una regola che non è stata riprodotta alla luce della novella di cui all‘art.
22 del d.l. n. 78/2010, in caso di determinazione sintetica del reddito globale della
persona fisica sottoposta al controllo, la spesa per incrementi patrimoniali si
presume(va) sostenuta, ―con redditi conseguiti, in quote costanti, nell‘anno in cui è
stata effettuata e nei quattro precedenti‖, salvo prova contraria da parte del
contribuente medesimo, ex art. 38, comma 5 del d.p.r. n. 600/1973. Sul parametro
dell‘accumulazione del risparmio quinquennale o della cosiddetta quota di risparmio,
cfr. Cass. 11 gennaio 2008, n. 436, in Fisco, 2008, 810 e 811.
115
L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI
ACCERTAMENTI SINTETICI
a dire al reddito al lordo degli oneri deducibili ( 16) e, dall‘altro lato, la
franchigia è stata modificata, vale a dire diminuita, dal venticinque al venti
per cento.
Nonostante le suddette non poco rilevanti modifiche, sussiste una linea di
continuità rispetto alla previgente disciplina dell‘art. 38 del d.p.r. n. 600/1973
(17) quanto alla base logica del metodo di accertamento sintetico. Difatti, è
stabilita una correlazione logica e inferenziale tra un fatto noto, derivante dal
sostenimento di ―spese di qualsiasi genere nel corso del periodo d‘imposta‖
ed un fatto ignoto, vale a dire il reddito complessivo attribuibile alla persona
fisica sottoposta all‘indagine (18), salva la prova contraria del contribuente,
suscettibile ―di dimostrare la natura già tassata di tale maggior reddito oppure
l‘irrilevanza fiscale della spesa, connessa alla natura di mera modificazione
patrimoniale dell‘erogazione‖ (19). In altre parole, la suddetta correlazione tra
il fatto noto e quello ignoto valorizza la corrispondenza che, in condizioni di
normalità, sussiste tra quanto una persona fisica spende e quanto essa
guadagna nel medesimo periodo d‘imposta e prescinde dalla propensione alla
16
( ) Come si evincerebbe dal disposto dell‘ultimo comma del novellato art. 38 del
d.p.r. n. 600/1973, ai sensi del quale dal reddito complessivo determinato
sinteticamente sono scomputabili gli oneri deducibili di cui all‘art. 10 del t.u.i.r.: in
senso sintonico, cfr. L. TOSI, Commento sub art. 38, cit., 228.
17
( )Nel senso che la disciplina dell‘accertamento sintetico, come modificata dal d.l. n.
78/2010, conforta l‘ipotesi secondo cui sussistono oneri impliciti di documentazione,
che gravano su ogni contribuente, a prescindere dall‘attività esercitata, cfr. S.
MULEO, Accertamento sintetico per spesa per investimenti patrimoniali e oneri
impliciti di documentazione, in Corr. trib., 2011, 513. Afferma in modo condivisibile
questo Autore che ―qualsiasi contribuente avrebbe l‘onere di tenere i propri conti in
modo da ricostruire i propri movimenti finanziari, anche qualora non rientri tra i
soggetti obbligati ad adempimenti contabili‖.
18
( )Sul nesso inferenziale tra le spese sostenute (o la disponibilità da parte del
contribuente di beni o servizi astrattamente idonei a far ritenere probabile il
sostenimento di un certo importo di spese) e il reddito, cfr. G. TINELLI, Istituzioni di
diritto tributario, cit., 286, testo e note 99 e 100. Secondo questo Autore, il nesso
inferenziale in questione si riferisce al comportamento dell‘uomo medio, il quale
destina al consumo personale o familiare somme non superiori a quelle di cui dispone
a titolo reddituale o a titolo patrimoniale. Il riferimento, quindi, è al bonus pater
familias, vale a dire ad un corretto amministratore del proprio patrimonio, mentre lo
schema logico della determinazione sintetica ―si risolve nella predeterminazione
legale di uno schema tipico di comportamento, rispetto al quale le deviazioni
costituiscono una eccezione e, come tali, devono formare oggetto di prova positiva‖.
Nello stesso senso, v. Id., L‘accertamento sintetico del reddito complessivo nel
sistema dell‘irpef, Padova, 1993, 116 e 117. Per S. LA ROSA, Principi di diritto
tributario, cit., 349, sussiste ―una normale corrispondenza tra quel che si guadagna e
quel che si spende‖.
19
( ) La locuzione citata è di G. TINELLI, Istituzioni di diritto tributario, cit., 287.
116
L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI
ACCERTAMENTI SINTETICI
spesa, la quale è essenzialmente soggettiva e non riportabile a massime di
comune esperienza (20).
Solo apparentemente la modifica di maggiore spessore consisterebbe nella
determinazione del reddito complessivo del contribuente non più ―in base ad
elementi e circostanze di fatto certi‖, bensì ―sulla base delle spese di qualsiasi
genere sostenute nel corso del periodo d‘imposta‖. Difatti, anche nel vigore
della precedente disciplina era chiaro che con la prima locuzione si
intendessero le spese di qualunque genere sostenute, a titolo di consumi o di
investimenti, tra i quali rientravano, ad esempio, ―gli acquisti di immobili, di
partecipazioni, di autovetture, di gioielli, di opere d‘arte e finanche‖ le spese
―per gli abiti firmati, per l‘iscrizione a centri benessere, per viaggi esotici
eccetera‖ (21). Il concetto di ―spese di qualsiasi genere‖ appare più preciso e
polarizza l‘attenzione dell‘interprete sulla capacità di spesa, intesa in senso
volutamente ampio, ma non per questo ambiguo, da cui può desumersi, in via
inferenziale, la sussistenza di un reddito globale, senza che vi sia la necessità
di conoscere a priori e con certezza i singoli cespiti dai quali tale reddito
possa derivare (22).
Sotto il profilo letterale, viene espunto dal novellato disposto dell‘art. 38,
comma 4 il riferimento alla ―certezza‖ (degli elementi e circostanze di fatto),
ma anche questo profilo non dev‘essere sopravvalutato, in una prospettiva ad
ampio respiro, laddove il nesso di collegamento tra le ―spese si qualsiasi
genere‖ ed il contribuente che le ha ―sostenute‖ dev‘essere fondato su
elementi di riscontro suscettibili di dimostrare (anche nell‘eventuale
proiezione processuale) la sussistenza di tale nesso, vale a dire che
quest‘ultimo dev‘essere ragionevolmente certo.
D‘altro canto, tra le spese rilevanti ai fini dell‘espletamento
dell‘accertamento in esame, non viene fatta alcuna distinzione tra quelle
ordinarie e quelle straordinarie, dovendosi ritenere il concetto di ―spese di
qualsiasi genere‖ onnicomprensivo, vale a dire che esso comprende anche le
spese che, secondo la previgente disciplina, dovevano considerarsi ―per
incrementi patrimoniali‖ (23). Sono rilevanti ai fini del concetto in questione
20
( ) Cfr. A. MARCHESELLI, Accertamenti tributari e difesa del contribuente, cit.,
205.
21
( ) Così M. BEGHIN, Nella normalità economica un punto di partenza, in Dir. prat.
trib., 2010, I, 941.
22
( )Sottolinea esattamente M. BEGHIN, La determinazione sintetica dell‘imponibile
irpef e il problema degli «scostamenti» tra reddito accertabile e reddito dichiarato, in
Rass. trib., 2009, 222 ss., che, con riferimento alle spese attribuibili ad una certa
persona, ―non si guarda a come viene prodotta la ricchezza, ma a come essa viene
iniettata nel mercato, consumata, spesa, dispersa o, più semplicemente, trasformata in
altri beni‖.
23
( ) Si veda D. DEOTTO, Luci e ombre del nuovo accertamento sintetico, cit., loc.
cit., 3368, il quale definisce l‘incremento patrimoniale come ―ogni bene o valore
117
L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI
ACCERTAMENTI SINTETICI
non solamente le spese ―tipiche, ma anche quelle che potrebbero essere
denominate ―atipiche‖, le quali denotano una capacità reddituale della
persona fisica, come, a titolo meramente semplificativo, le spese per
l‘iscrizione a determinati ―circoli‖ sportivi o non sportivi e le spese per
l‘organizzazione di eventi ―mondani‖ (feste, ricevimenti, eccetera).
In altre parole, rilevano quelle spese che evidenziano un determinato tenore
di vita, vale a dire effettive disponibilità economiche in capo alla persona
fisica non in linea, per il periodo d‘imposta considerato, col reddito
complessivo dalla stessa dichiarato (24), salva la prova contraria che essa può
fornire, come in precedenza già sottolineato. Quale corollario, il metodo
accertativo in esame individua il concetto di ―spesa‖ in termini molto ampi,
quale esborso monetario suscettibile di ridurre (cioè depauperare) il
patrimonio del contribuente, in via definitiva, quale che sia il titolo
(giuridico) di sostenimento di tale spesa (25).
Un altro profilo che merita di essere sottolineato consiste nella
individuazione delle spese sostenute dalla persona fisica secondo il ―criterio
di cassa‖, valorizzando pertanto tutte quelle spese effettivamente sostenute
nel periodo d‘imposta sottoposto ad accertamento, a prescindere dalla natura
di acconto, ovvero di saldo, delle stesse (26). Il criterio del ―sostenimento‖
della spesa attribuisce rilevanza esclusiva al momento dell‘effettivo esborso
da parte del soggetto, che individua il periodo d‘imposta al quale tale costo
dev‘essere imputato, previo invito al contraddittorio nei confronti del
contribuente medesimo (27).
3 Gli “elementi indicativi di capacità contributiva” e l‟“analisi di
campioni significativi di contribuenti” ai fini dei nuovi accertamenti
redditometrici
Sotto il profilo del dato normativo, il testo dell‘art. 38, comma 4 vigente
ratione temporis prima delle modifiche apportate dall‘art. 22 del d.l. n.
78/2010 (28), fondava la determinazione induttiva del reddito o del maggior
destinato ad incrementare, con un certo grado di stabilità, il patrimonio del
contribuente‖.
24
( ) Sembrano rilevanti ai fini in questione, sia i finanziamenti effettuati dai soci a
favore di società di comodo, sia i trasferimenti di denaro all‘estero.
25
( ) In senso sintonico, cfr. C. PINO, L‘accertamento sintetico e il nuovo
redditometro, cit., loc. cit., 2059.
26
( ) Sul ―principio di cassa‖, cfr. D. DEOTTO, La spesa come dato standard di
partenza del «sintetico», in Corr. trib., 2011, 593 ss. e specialmente 594.
27
( ) Il contribuente, per esempio, potrà fornire la prova in sede di espletamento del
contraddittorio con l‘ufficio tributario, che una determinata spesa è stata finanziata, in
tutto o in parte, con un reddito realizzato in precedenti periodi d‘imposta.
28
( ) Secondo L. TOSI, Le predeterminazioni normative nell‘imposizione reddituale.
Contributo alla trattazione sistematica dell‘imposizione su basi forfettarie, Milano,
118
L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI
ACCERTAMENTI SINTETICI
reddito sulla base di ―elementi indicativi di capacità contributiva individuati‖
con decreto del Ministro delle finanze ( 29), da pubblicare nella Gazzetta
ufficiale (30), a condizione che il reddito dichiarato non fosse congruo rispetto
ai suddetti ―elementi‖ per almeno due periodi d‘imposta, anche non
consecutivi (31), al fine di evitare l‘attribuzione di rilevanza alla
determinazione del reddito o del maggior reddito in presenza di uno
scostamento occasionale imputabile, per ipotesi, ad eventi imprevedibili ed
eccezionali (32).
In virtù di questa disciplina, il redditometro costituiva uno strumento
determinativo del reddito globale netto della persona fisica caratterizzato da
un elevato grado di empirismo ed approssimazione, non suscettibile di
1999, 373 e 374, l‘accertamento redditometrico ―si risolve in una predeterminazione
dell‘imponibile ottenuta con uno strumento di natura procedimentale‖, riferito al
―reddito complessivo delle sole persone fisiche, il quale viene quantificato, come si
suol dire sinteticamente, desumendolo dalla disponibilità di taluni beni o servizi non
utilizzati produttivamente, ritenuta indicativa del sostenimento delle spese necessarie
per il loro mantenimento e la loro utilizzazione‖. Sottolinea esattamente Id.,
Condizioni e limiti dell‘efficacia probatoria del redditometro, in Rass. trib., 1989, I,
419, che il redditometro non è l‘accertamento sintetico ma, più precisamente, ―uno
strumento dell‘accertamento sintetico‖, quale metodo di repressione dell‘evasione
fiscale, assoggettato alla disciplina posta in termini generali dalla prima parte del
comma 4 dell‘art. 38 del d.p.r. n. 600/1973. Cfr. anche M.V. SERRRANÒ, S. DE
MARCO, Il redditometro: limiti applicativi e questioni irrisolte alla luce della più
recente giurisprudenza, in Boll. trib., 2007, 755 ss.
29
( ) Nel senso che i decreti ministeriali 21 luglio 1983 e 13 dicembre 1984, emanati
sulla base dell‘originaria formulazione dell‘art. 38, comma 4 del d.p.r. n. 600/1973,
prevedono presunzioni che tengono conto di ciò che avviene nei casi normali ed
esprimono le risultanze di un uso normale dei fatti – indice di capacità contributiva, v.
Cass. 29 gennaio 1996, n. 656, in Riv. dir. trib., 1996, II, 781 ss., con nota di S.
PANSIERI, Utilizzo normale e utilizzo «eccezionale» dei fatti – indice di capacità
contributiva considerati dal redditometro.
30
( )Cfr. F. TESAURO, Considerazioni sui parametri ministeriali di determinazione
sintetica del reddito delle persone fisiche, in Dir. prat. trib., 1983, I, 1941 ss. e,
successivamente, Id., L‘accertamento sintetico del reddito ed il redditometro, in Boll.
trib., 1986, 952 ss.
31
( ) Il giudice tributario, nella lite che scaturisce dall‘impugnazione avverso l‘avviso
di rettifica da parte del contribuente, ha il potere di ridurre il maggior reddito
complessivo netto accertato sinteticamente, mediante l‘applicazione del redditometro,
ovvero di annullare l‘avviso medesimo, in quanto infondato, secondo il suo prudente
apprezzamento, in relazione alle peculiarità del caso concreto sottoposto al suo vaglio
ed alle argomentazioni sostenute ed alla documentazione prodotta dal contribuente,
prima in sede endoprocedimentale e poi nella fase contenziosa: in tal senso, cfr. LA
ROSA, Principi di diritto tributario, cit., 289. Sulle strategie difensive in relazione al
nuovo redditometro, anche nella proiezione processuale, cfr. F. PISTOLESI, Possibile
presentare nuove prove durante il processo, in Il Sole 24 Ore, 21 agosto 2010.
32
( ) Si pensi, in via esemplificativa, ad una malattia, ovvero al mutamento dell‘attività
lavorativa: G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, cit., 423.
119
L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI
ACCERTAMENTI SINTETICI
determinare presunzioni legali in fase applicativa ( 33) e che si giustificava,
come è stato esattamente sostenuto, alla luce dell‘―esigenza di assicurare
uniformità ed imparzialità nella difficile e delicata attività di concreta
determinazione, da parte degli uffici periferici, del quantum di ricchezza
riferibile ai singoli elementi indicativi di capacità contributiva‖ (34).
La vigente disciplina dell‘accertamento redditometrico è costruita in modo
non poco diverso, al punto che sembrerebbe riduttivo affermare la sussistenza
di un mero ―aggiornamento‖, quanto piuttosto di una discontinuità rispetto al
previgente dato normativo (35), almeno in relazione ai criteri di
individuazione degli ―elementi indicativi di capacità contributiva‖. Questi
elementi sono individuati con apposito decreto del Ministero dell‘economia e
delle finanze (36), con un duplice vincolo. Difatti, esso deve differenziare i
campioni significativi di contribuenti, ai fini della determinazione degli
―elementi indicativi di capacità contributiva‖, in funzione, per un verso, del
nucleo familiare e, per altro verso, dell‘area territoriale di appartenenza. Ad
oggi tale decreto non è stato ancora adottato e, conseguentemente, le
considerazioni che saranno svolte non potranno che essere formulate in linea
generale, in attesa di un ulteriore riscontro normativo.
Non vi è dubbio che il contenuto della disciplina delegata, che troverà
riscontro nell‘emanando decreto ministeriale, risulta meglio precisato rispetto
al previgente dato normativo. Difatti, traspare l‘intento di ancorare, a livello
dell‘apposita fonte di normazione secondaria, la determinazione sintetica
degli ―elementi indicativi di capacità contributiva‖, alla concreta ―analisi di
campioni significativi di contribuenti‖; come è stato acutamente sottolineato
(37), ―realizzandosi in tal modo sia l‘effetto di coordinamento dell‘azione di
accertamento, sia quello di preventiva conoscibilità della visione
amministrativa della congruità del reddito dichiarato‖.
33
( ) Se così non fosse, non si capirebbe perché l‘art. 38, comma 4 del d.p.r. n.
600/1973 (con riferimento al testo previgente rispetto alle modifiche apportate
dall‘art. 22 del d.l. n. 78/2010) afferma che gli elementi e le circostanze di fatto
devono essere ―certi‖: questo aggettivo indica, secondo una parte della dottrina, ―la
necessità che la prova del fatto venga offerta dall‘ufficio non in via logicopresuntiva‖: così P. RUSSO, Manuale di diritto tributario. Parte generale, cit., 309.
34
( ) La locuzione citata è di S. LA ROSA, Principi di diritto tributario, cit., 289.
35
( )Contra, nel senso che la disciplina dell‘accertamento redditometrico sarebbe
rimasta sostanzialmente immutata, v. L. TOSI, Commento sub art. 38, cit., 229.
36
( ) Il quale dev‘essere pubblicato nella Gazzetta ufficiale con periodicità biennale.
37
( ) Da G. TINELLI, Istituzioni di diritto tributario, cit., 288, nota 103, il quale
sottolinea la necessità di evitare il pregiudizio derivante dalla possibile diversa
valutazione in termini di reddito di beni aventi un‘ampia diffusione di mercato,
nonché l‘opportunità di far conoscere al contribuente, ancor prima della presentazione
della dichiarazione dei redditi, ―la valorizzazione della spesa sostenuta ai fini
accertativi‖.
120
L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI
ACCERTAMENTI SINTETICI
Sotto il profilo del ―nucleo familiare‖, si tratta di individuare precisamente il
perimetro concettuale della ―famiglia fiscale‖, vale a dire quali membri della
famiglia debbano intendersi rilevanti al fine di far emergere i campioni di
contribuenti da analizzare ai fini degli ―elementi indicativi di capacità
contributiva‖. In attesa di conoscere le scelte compiute in sede di
approvazione del decreto ministeriale, non possono che formularsi, allo stato,
delle ipotesi in una duplice direzione, ossia con riferimento alle circolari
dell‘Agenzia delle entrate (le quali sembrano aver anticipato e favorito, sul
punto, la novella legislativa) e la giurisprudenza della Suprema Corte.
In particolare, nella circolare n. 49/E (38) si precisa che, ai fini
dell‘applicazione dell‘accertamento sintetico, è opportuno valutare e
ricostruire la complessiva posizione reddituale sia del soggetto sottoposto ad
indagine, sia dei componenti del suo ―nucleo familiare‖, laddove
frequentemente gli elementi indicativi di capacità contributiva possono essere
giustificati dalla ―potenzialità di spesa degli altri componenti il nucleo
familiare‖. Nella successiva circolare n. 13/E (39), l‘Agenzia precisa, con
riferimento al piano straordinario di accertamenti sintetici per il triennio
2009-2011, che i risultati induttivi cui consente di pervenire il redditometro
devono essere confermati ―anche mediante ulteriori elementi idonei a
rappresentare compiutamente la complessiva posizione reddituale del nucleo
familiare dei soggetti indagati‖.
Peraltro, entrambe le circolari non precisano affatto cosa debba intendersi per
―nucleo familiare‖ e per ―famiglia fiscale‖ ( 40) e se debbano considerarsi
solamente i familiari conviventi col soggetto sottoposto ad indagine, ovvero
anche altri familiari, ovvero ancora tutti (conviventi o meno). Tuttavia, nella
precedente e risalente circolare ministeriale n. 7 del 1977 (41), si afferma che
il nucleo familiare sarebbe composto dal coniuge non legalmente ed
effettivamente separato e dal figlio minore possessore di redditi, secondo il
disposto dell‘art. 324, comma 2 c.c. In questa prospettiva, emergerebbe il
concetto di nucleo familiare naturale, vale a dire composto dai coniugi
conviventi e dai figli, con esclusione degli altri soggetti temporaneamente
conviventi (42). Ma tale unico riferimento ad una più precisa connotazione del
38
( ) La circolare dell‘Agenzia delle entrate è del 9 agosto 2007, in banca dati
fisconline.
39
( ) La circolare è datata 9 aprile 2009 ed è reperibile nella banca dati fisconline.
40
( ) Non sembra potersi giungere ad una diversa conclusione con riferimento alla
circolare ministeriale 30 aprile 1999, n, 101/E, in banca dati fisconline, laddove viene
precisato, ma non ulteriormente chiarito, che, ai fini dell‘applicazione del
redditometro, occorre esaminare la posizione reddituale dell‘intero nucleo familiare,
posto che risulta evidente come gli elementi indicativi di capacità contributiva trovino
frequentemente spiegazione nei redditi posseduti da altri componenti il nucleo
familiare.
41
( ) Circolare 30 aprile 1977, in banca dati fisconline.
42
( ) In senso sintonico, cfr. L. TOSI, Commento sub art. 38, cit., 239.
121
L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI
ACCERTAMENTI SINTETICI
concetto di nucleo familiare appare non poco debole, se isolatamente
considerato.
Non sembra potersi giungere ad una più esaustiva e soddisfacente
conclusione sul punto alla luce di un sintetico esame della giurisprudenza di
legittimità (43). Difatti, nell‘arresto n. 17203/2006 (44) si osserva che il
concetto di nucleo familiare desumibile alla luce della circolare ministeriale
n. 7 del 1997, sopra citata, costituisce una semplificazione, essendo
coincidente col nucleo familiare naturale, formato dai coniugi conviventi e
dai figli ―soprattutto minori‖ (45). Il perimetro così circoscritto troverebbe
giustificazione, secondo la Suprema Corte, ―nel legame che lega le persone
indicate che lo compongono e non già soltanto nella loro convivenza‖, con
esclusione dei parenti estranei a detto nucleo e, a maggior ragione, degli
affini.
Conseguentemente, il concetto di nucleo familiare che emerge alla luce sia
della circolare ministeriale n. 7 del 1997, sia dell‘arresto della Suprema Corte
n. 17203/2006, dovrebbe intendersi in senso non poco restrittivo. Tuttavia, in
attesa di conoscere il testo del decreto ministeriale che individuerà gli
―elementi indicativi di capacità contributiva‖ e nel pieno rispetto dei
parametri individuati dagli artt. 29-31 Cost., non sembra potersi escludere, in
una prospettiva evolutiva, che tenga conto del mutato contesto economicosociale, una possibile apertura, ai limitati fini dell‘applicazione degli
accertamenti redditometrici, anche al convivente del contribuente ed ai figli
conviventi nati al di fuori del matrimonio, ricavandosi un concetto di nucleo
familiare in un senso più ampio rispetto a quello prefigurato dall‘arresto n.
17203/2006 della Suprema Corte.
Tale approccio sarebbe coerente, peraltro, con l‘impostazione seguita dalla
Corte di cassazione nella recente sentenza n. 4775/2011 ( 46), la quale ha
ammesso la rilevanza dell‘acquisizione di dati di natura bancaria relativa ad
un conto corrente intestato alla convivente del contribuente sottoposto ad
indagine, per il quale quest‘ultimo aveva la delega ad operare sin dal
43
( ) Nella sentenza della Comm. trib. reg. Lazio 23 aprile 2008, n. 160, in Giust. trib.,
2009, 169 e 170, con nota di M. AUGUGLIARO, si afferma, con riferimento ad un
avviso di accertamento confezionato mediante determinazione sintetica del reddito
complessivo, la sussistenza del principio di solidarietà economica, il quale prescinde
dalle regole giuridiche, ―nei rapporti tra coniugi e nell‘ambito della famiglia in
generale‖.
44
( ) La sentenza è stata depositata il 28 luglio 2006 ed è reperibile nella banca dati
fisconline.
45
( ) Di ―gruppo‖ e non di ―nucleo‖ familiare, in relazione all‘estensione delle indagini
bancarie a soggetti terzi rispetto alla società sottoposta ad indagine, laddove tutti i
soggetti considerati sono ricollegabili alla società medesima quali amministratori o
quali congiunti di questi, parla Cass. 21 marzo 2007, n. 6743, in banca dati fisconline.
46
( ) La sentenza è stata depositata il 28 febbraio 2011 ed è consultabile nella banca
dati fisconline.
122
L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI
ACCERTAMENTI SINTETICI
momento della sua apertura. In tale arresto, la Suprema Corte valorizza la
―presenza di uno stretto legame di natura personale fra il contribuente e
l‘intestataria del conto corrente, evidenziato dalla formalizzazione del
rapporto di convivenza sia pure in un momento successivo al periodo
d‘imposta considerato‖, alla luce del quale la sentenza impugnata ha ritenuto
di desumere la riferibilità del conto corrente al contribuente sulla base
dell‘esistenza di una delega in suo favore e della concreta utilizzazione dello
stesso in autonomia, come avevano confermato le movimentazioni di somme
da e verso i suoi conti correnti (47).
D‘altro canto, con riferimento all‘individuazione del parametro dell‘―area
territoriale di appartenenza‖, che concorre insieme ad altri (tra i quali il
nucleo familiare) all‘―analisi di campioni significativi di contribuenti‖,
sembrano esservi meno consistenti problematiche a livello interpretativo.
Difatti, è evidente che il fattore geografico non può non riflettersi sulla
situazione di normalità in cui si colloca il ―campione‖ di contribuenti
esaminato ai fini dell‘individuazione degli ―elementi indicativi di capacità
contributiva‖. Deve ritenersi diversa la collocazione del contribuente, in
concreto, nel contesto di un grande centro urbano, rispetto alla localizzazione
in un comune situato in alta montagna e con pochi abitanti, per non parlare,
poi, delle significative differenze, a tutti note, tra il nord, il sud e la parte
insulare del nostro Paese. Basterebbe considerare i costi per l‘acquisto della
proprietà di unità immobiliari nelle diverse aree geografiche per comprendere
appieno la rilevanza di questo parametro, apprezzabile in senso oggettivo.
4 Il potenziamento della rete informativa ai fini di un più proficuo
approvvigionamento dei dati, con rifermento a tre direttrici
autonome ma strettamente connesse
Le modifiche apportate alla disciplina degli accertamenti sintetici dal più
volte citato art. 22 del d.l. n. 78/2010 devono essere collegate ad altre
disposizioni contenute nello stesso d.l. che permettono, con diverse modalità,
l‘acquisizione di una serie di dati rilevanti sulla situazione fiscale dei singoli
contribuenti. In altre parole, è prevista una indispensabile rete informativa
suscettibile di migliorare l‘esame della specifica situazione reddituale del
contribuente, al fine di facilitare la selezione di quei contribuenti per i quali le
―spese sostenute nel corso del periodo d‘imposta‖, ovvero gli ―elementi
indicativi di capacità contributiva‖ evidenziano degli importi superiori
47
( ) Con riferimento all‘impugnazione di una sentenza di una commissione tributaria
regionale che ha ritenuto infondato l‘avviso di accertamento per irpef ed ilor basato
sulla ingente capacità di spesa per gli acquisti effettuati dal contribuente, laddove
questi erano giustificati da liberalità del convivente e padre della figlia comune, ma
senza alcun riferimento alla documentazione versata in atti, dovendo, al contrario, la
sentenza di merito fare preciso riferimento ai documenti che la sorreggono ed al loro
contenuto, cfr. Cass. 3 dicembre 2010, n. 24597, in Corr. trib., 2011, 514 e 515, con
nota di S. MULEO, Accertamento sintetico per spesa per investimenti patrimoniali e
oneri impliciti di documentazione, cit., loc. cit., 509 ss.
123
L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI
ACCERTAMENTI SINTETICI
rispetto al reddito complessivo dichiarato dal contribuente, fatta salva la
franchigia del venti per cento tra il reddito complessivo accertabile e quello
dichiarato.
In questa prospettiva, gli approvvigionamenti di dati sono stati ampliati e
meglio coordinati, nel contesto del d.l. n. 78/2010, con riferimento a tre
direttrici, autonome ma strettamente interconnesse, vale a dire:
la rinnovata partecipazione dei comuni all‘attività di accertamento tributario;
l‘attivazione, a decorrere dal 1° gennaio 2011, dell‘―anagrafe immobiliare
integrata‖, gestita dall‘Agenzia del territorio;
l‘obbligo di comunicazione telematica annuale, da parte di tutti i soggetti
passivi ai fini dell‘iva, delle operazioni rilevanti (per tale imposta) per un
importo almeno pari a tremila euro (al netto dell‘iva).
La prima tessera di questo articolato mosaico è formata dalla partecipazione
dei comuni all‘accertamento, modificata in misura significativa dal disposto
dell‘art. 18 del d.l. n. 78/2010. Prima di confezionare avvisi di accertamento
sintetici, gli uffici dell‘Agenzia delle entrate ―inviano una segnalazione ai
comuni di domicilio fiscale dei soggetti passivi‖ (così l‘art. 44, comma 2 del
d.p.r. n. 600/1973, come novellato) ed i comuni comunicano, nel termine di
sessanta giorni dal ―ricevimento della segnalazione ogni elemento‖ utile ai
fini della determinazione del reddito complessivo. Tale partecipazione è
incentivata (48) attraverso il riconoscimento, a favore del comune, di una
quota delle maggiori somme riscosse a titolo definitivo relative a tributi
statali.
Ma l‘efficacia di tale forma di partecipazione dei comuni all‘azione di
contrasto all‘evasione fiscale, nonostante l‘incentivo collegato alle modalità
compartecipative, resta al momento piuttosto incerta, essendo strettamente
collegata alla capacità organizzativa dei comuni di rispondere selettivamente
e tempestivamente alle segnalazioni inviate dagli uffici dell‘Agenzia delle
entrate. Ne consegue che, ad oggi, è tutt‘altro che scontato l‘esito positivo di
questa partecipazione all‘attività accertativa e, in capo ai suddetti uffici,
l‘arricchimento, in termini conoscitivi, dei dati e degli elementi rilevanti ai
fini dell‘espletamento di accertamenti sintetici.
Un altro elemento significativo, peraltro strettamente correlato a quello in
precedenza esaminato, consiste nell‘attivazione, a decorrere dal 1° gennaio
2011, dell‘―anagrafe immobiliare integrata‖ ( 49), una banca dati costituita e
gestita dall‘Agenzia del territorio in collaborazione con i comuni, i quali
possono accedervi gratuitamente, nell‘ottica di contrastare l‘occultamento
dell‘effettiva consistenza catastale degli immobili sottoposti ad imposizione
48
( ) Cfr. l‘art. 1, comma 1 del d.l. n. 203/2005, convertito con modificazioni dalla l. n.
248/2005, come sostituito dall‘art. 18, comma 5, lett. a) del d.l. n. 78/2010.
49
( ) Di cui all‘art. 19, commi 1 e seguenti del d.l. n. 78/2010.
124
L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI
ACCERTAMENTI SINTETICI
(50). Più precisamente, l‘attivazione dell‘anagrafe in questione persegue
l‘obiettivo, per un verso, della piena integrazione, sotto il profilo tributario,
delle banche dati dell‘Agenzia del territorio e, per altro verso, di individuare
correttamente gli immobili, la relativa base imponibile e il soggetto titolare di
diritti reali (51). Lo strumento in questione potrebbe consentire ai comuni di
effettuare alcune segnalazioni agli uffici dell‘Agenzia delle entrate in sede di
determinazione del reddito complessivo del contribuente sottoposto ad
accertamento sintetico. Tuttavia, al momento, tale strumento si segnala più
per la sua potenzialità che per la sua concreta utilizzazione, anche se ogni
giudizio sul punto appare ancora prematuro.
Il terzo importante tassello, introdotto dal più volte citato d.l. n. 78/2010 ( 52),
che arricchisce ulteriormente la rete informativa a disposizione degli uffici
dell‘Agenzia delle entrate, è costituito dall‘obbligo di comunicazione
telematica annuale, da parte di tutti i soggetti passivi ai fini dell‘iva, delle
operazioni rilevanti (per tale imposta) per un importo almeno pari a tremila
euro (al netto dell‘iva) (53), siano esse cessioni di beni o prestazioni di servizi
rese o ricevute. I dati e le notizie acquisiti per effetto dell‘adempimento
dell‘obbligo in questione sono inseriti nei sistemi informativi dell‘anagrafe
tributaria e sono raccolti e ordinati su scala nazionale. Senza dubbio le
comunicazioni in questione consentiranno di far emergere, in modo piuttosto
efficace, un gran numero di ―spese di qualsiasi genere‖ rilevanti ai fini degli
accertamenti sintetici e costituiranno uno strumento particolarmente utile sul
versante informativo, a disposizione degli uffici dell‘Agenzia delle entrate.
Conclusivamente, su questo punto, può osservarsi che l‘efficacia delle
direttrici sopra indicate sub lettere a) e b) è tutta da verificare, a consuntivo,
sotto il profilo dell‘approvigionamento di dati e degli elementi ai fini
dell‘espletamento degli accertamenti sintetici. Al contrario, la comunicazione
annuale delle operazioni rilevanti sotto il profilo dell‘iva, di cui alla lettera c),
si configura come un obbligo in capo ai soggetti passivi suscettibile di
arricchire in modo non poco significativo i dati e gli elementi a disposizione
degli uffici dell‘Agenzia delle entrate, nell‘ottica di ricostruire in modo
attendibile e ragionevole la posizione reddituale complessiva del contribuente
sottoposto ad indagine e del suo nucleo familiare. In altre parole, è proprio la
suddetta comunicazione annuale delle operazioni rilevanti ai fini dell‘iva il
fulcro dell‘arricchita rete informativa, a disposizione degli uffici dell‘Agenzia
delle entrate, nel quadro della cosiddetta ―manovra 2010‖ di cui al d.l. n.
78/2010.
50
( ) Cfr. la circolare dell‘Agenzia delle entrate 15 febbraio 2011, n. 4/E, in banca dati
fisconline.
51
( ) Si veda, al riguardo, la circolare dell‘Agenzia del territorio 10 agosto 2010, n. 3/T,
in banca dati fisconline.
52
( ) Cfr. l‘art. 21 del d.l. n. 78/2010 ed il relativo provvedimento del direttore
dell‘Agenzia delle entrate 22 dicembre 2010, prot. n. 184182.
53
( ) Per il solo periodo d‘imposta 2010, l‘importo è elevato ad euro venticinquemila.
125
L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI
ACCERTAMENTI SINTETICI
5 Profili comparatistici, con riferimento all‟ordinamento tedesco: non
sembra che sia prevista una disciplina specifica relativamente
all‟accertamento sintetico e si applica la disciplina generale,
largamente dominata dalla collaborazione del contribuente
Nell‘ordinamento tributario tedesco non sembra esservi una disciplina
specifica relativamente all‘accertamento sintetico nei confronti dei
contribuenti persone fisiche, simile o assimilabile al disposto dell‘art. 38,
commi 4 e seguenti del d.p.r. n. 600/1973. La relativa problematica rifluisce,
pertanto, nella disciplina generale dell‘accertamento tributario, la quale, in
quell‘ordinamento, sembra valorizzare il metodo analitico di determinazione
della maggiore base imponibile e della maggiore imposta, rispetto a quello
sintetico o induttivo (54). Conseguentemente, non sono previsti specifici
mezzi di acquisizione (di dati ed elementi) calibrati nei confronti di questi
soggetti da sottoporre alla disciplina degli accertamenti sintetici, siano essi
―puri‖, ovvero ―redditometrici‖.
Inoltre, il modello accertativo che può riscontrarsi nell‘ordinamento in
questione è largamente dominato dalla necessaria collaborazione del
contribuente, intesa come vero e proprio dovere: se il contribuente non
rispetta tale dovere, l‘autorità finanziaria può adottare specifiche misure,
anche di tipo coercitivo. Sotto questo profilo, la disciplina in materia di
accertamenti sintetici, come novellata dal d.l. n. 78/2010, avendo previsto
l‘obbligo di invitare il contribuente ad un contraddittorio endoprocedimentale
con l‘ufficio tributario, al fine di ―fornire dati e notizie rilevanti‖, appare
meno distante dal modello di accertamento tedesco, complessivamente
considerato.
54
( )Cfr., senza pretesa di esaustività, R. AX, T. GROSSE, J. MELCHIOR,
Abgabenordnung und Finanzgerichtsordnung, Stuttgard, 2003, 204-207 e 794-797; D.
BIRK, Steuerrecht, Heidelberg, 2008, 137-140; G. ROSE, Abgabenordnung mit
Finanzgerichtsordnung,
Bielefeld,
2003,
72-74;
R.
SIKORSKI,
U.
WUESTENHOEFER, Abgabenordnung, Muenchen, 2003, 94-112; K. TIPKE, J.
LANG, Steuerrecht, Koeln, 18 ed., 2005, 877-880; 19 ed., 2008, 952-956; 20 ed.,
2010, 1002-1004; K. TIPKE, H. W. KRUSE, Abgabenordnung und
Finanzgerichtsordnung, Kommentar, Koeln, 2007, passim. Cfr. anche D. BIRK,
Poteri di controllo, accertamento dell‘imposta e discrezionalità dell‘amministrazione,
in L‘accertamento tributario nella Comunità europea. L‘esperienza della Repubblica
federale tedesca, a cura di A. DI PIETRO, Milano, 1997, 79 ss.; T. PUHL, Le
procedure e i metodi di accertamento tributario alla luce dei principi costituzionali,
ivi, 1 ss.
126
L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI
ACCERTAMENTI SINTETICI
6 Osservazioni conclusive: l‟insussistenza di una pregiudizialità
metodologica dei metodi accertativi diversi da quello sintetico e la
realizzazione di un‟attività conoscitiva calibrata sull‟acquisizione
essenzialmente in via telematica dei dati e degli elementi rilevanti,
salvo l‟espletamento del contraddittorio endoprocedimentale
Come si evince chiaramente dall‘inciso secondo cui ―l‘ufficio,
indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e
dall‘articolo 39, può sempre determinare sinteticamente il reddito
complessivo del contribuente‖ (55), non sembra sussistere alcuna antecedenza
logica della determinazione analitica o anche analitico-induttiva, rispetto a
quella sintetica. Difatti, la novella in esame sembra avere realizzato una vera
e propria ―inversione del rapporto, in termini di funzionalità e di concreta
utilizzabilità, del metodo di accertamento sintetico rispetto ad ogni altro
metodo accertativo‖ (56). In altre parole, l‘ufficio tributario può applicare
direttamente il criterio di determinazione sintetica del reddito complessivo
del contribuente sottoposto ad accertamento, senza prima individuare il
reddito medesimo utilizzando altri metodi (e, in primo luogo, quello
analitico), non sussistendo alcuna antecedenza logica di questi ultimi rispetto
al primo.
Alla luce di questo rinnovato dato normativo, si è accentuata la necessità di
inquadrare correttamente le regole che governano il criterio sintetico di
determinazione del reddito complessivo del contribuente, con particolare
riferimento ai dati ed agli elementi utili, sotto il profilo accertativo, ai fini
dell‘applicazione di tale metodo, come novellato dall‘art. 22 del d.l. n.
78/2010. Sotto questo profilo, l‘accertamento sintetico non può più essere
considerato ―un‘ipotesi di accertamento di secondo grado, diretto a prevenire
un vuoto d‘imposta, conseguente ai limiti dell‘accertamento analitico, in
presenza di una situazione di contrasto tra il reddito derivante dalla
ricostruzione analitica e il reddito complessivo netto che risulta accertabile
sulla base del contenuto induttivo attribuibile alle spese sostenute dal
contribuente‖ (57). Tale affermazione, forse condivisibile se riferita alla
disciplina vigente prima della novella in esame, risulta oggi non più attuale in
virtù dell‘insussistenza di qualunque pregiudizialità metodologica dei criteri
55
( ) Nel senso che all‘accertamento sintetico dovrebbe essere attribuita una funzione
meramente integrativa (e non totalmente alternativa) rispetto alla disciplina
dell‘accertamento dei singoli redditi, v. S. LA ROSA, Principi di diritto tributario,
cit., 350 e 351. L‘Autore osserva che l‘accertamento in questione ―risponde soltanto
all‘intento di consentire l‘assoggettamento a tassazione dei redditi che, pur
obiettivamente emergendo sul piano della realtà sociale, rimangono però di fonte
produttiva ignota‖.
56
( ) La locuzione citata è di C. GLENDI, «Luci» e «ombre» sulla Manovra 2010, cit.,
loc. cit., 2646.
57
( ) Le parole sono tratte da G. TINELLI, Istituzioni di diritto tributario, cit., 285.
127
L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI
ACCERTAMENTI SINTETICI
accertativi diversi da quello sintetico, rispetto alla posizione reddituale
complessiva del contribuente persona fisica sottoposta a controllo.
Se si considera la rete informativa a disposizione degli uffici dell‘Agenzia
delle entrate, al fine di individuare e selezionare i contribuenti da
assoggettare ad accertamento sintetico, essa è stata irrobustita in modo senza
dubbio significativo in virtù della ―manovra 2010‖. In particolare, è stato
esaminato nel quarto paragrafo il potenziamento degli strumenti che
consentono l‘approvigionamento dei dati e degli elementi utili ai fini
dell‘espletamento degli accertamenti sintetici, dando particolare risalto (in
relazione alla sua presumibile efficacia operativa) alla recente istituzione
della comunicazione telematica annuale delle operazioni rilevanti ai fini
dell‘iva, di importo non inferiore a tremila euro (al netto dell‘iva).
L‘acquisizione di questi dati sembra porre le premesse per l‘espletamento di
un‘attività conoscitiva, fortemente calibrata sull‘acquisizione in via
telematica dei dati e degli elementi rilevanti, suscettibile di individuare e di
selezionare (ancora su base telematica) la posizione dei contribuenti persone
fisiche più ―a rischio‖, vale a dire maggiormente disallineati rispetto alla
forbice di valori costituiti, rispettivamente, dal reddito complessivo
accertabile e da quello dichiarato. Questa attività conoscitiva, poi, è
finalizzata, da un lato, alla realizzazione di un proficuo contraddittorio con
l‘ufficio tributario, durante il quale il contribuente può fornire dati e notizie
utili allo scopo di acclarare la sua posizione reddituale complessiva per il
periodo d‘imposta sottoposto ad accertamento ( 58) e, dall‘altro lato, all‘avvio
del procedimento di accertamento con adesione.
Tale rinnovato assetto ordinamentale dovrebbe condurre alla confezione ed
alla notificazione dell‘avviso di accertamento sintetico in via del tutto
residuale, vale a dire qualora fallisca il tentativo di realizzare un
accertamento con adesione del contribuente, alla luce dei dati e degli
elementi emersi prima in sede conoscitiva (utilizzando l‘ampia rete
informativa a disposizione degli uffici dell‘Agenzia delle entrate) e, poi,
durante il contraddittorio endoprocedimentale.
58
( ) Sotto il profilo della difesa del contribuente, cfr. A. MARCHESELLI,
Accertamenti tributari e difesa del contribuente, cit., 214 ss.
128
Prof. Giuseppe Corasaniti
La tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio
Sommario: 1. La “questione” del riconoscimento della tutela cautelare
oltre il primo grado di giudizio; - 2. Il quadro normativo di riferimento; 3. La sentenza della corte costituzionale n. 217 del 2010; - 4. La corretta
impostazione della “questione”: la tutela cautelare contro l‟esecuzione
dell‟atto impugnato nei gradi di giudizio successivi al primo; - 5.
Osservazioni conclusive
1 La “questione” del riconoscimento della tutela cautelare oltre il
primo grado di giudizio
Il riconoscimento della tutela cautelare1 oltre il primo grado di giudizio
rappresenta una ―questione‖ di grande attualità per due ordini di ragioni.
In primo luogo perché è stata recentemente oggetto di una ―nuova‖ pronuncia
da parte della Corte costituzionale, la n. 217 del 17 giugno 2010 2, che (forse
più delle precedenti3) merita di essere attentamente esaminata perché se, da
Per una esaustiva ricostruzione dell‘istituto della tutela cautelare nel processo
tributario si rinvia a C. Glendi, La tutela cautelare del contribuente nel processo
tributario riformato (art. 47 del D.Lgs. n. 546 del 1992 e norme complementari, in
Dir. prat. trib., 1999, I, 21 ss; Id., voce Procedimento cautelare (dir. trib.), in Enc.
giur. Treccani, VIII vol. di aggiornamento, Roma, 2000.
2 In Corr. trib., n. 30 del 2010, con commento di C. Glendi, Verso la
costituzionalizzazione della tutela cautelare oltre il primo grado, 2401 ss.; nonché in
GT, Rivista di Giur. trib., n. 10 del 2010, 841 ss., con commento di F. Randazzo,
Poteri di sospensione del giudice di secondo grado in pendenza del ricorso in
cassazione: un importante passo in avanti verso la pienezza della tutela cautelare,
848 ss.
3 Il riferimento è a Corte cost., ord. 5 aprile 2007, n. 119; Id., ord. 27 luglio 2001, n.
325; Id., ord. 19 giugno 2000, n. 217; sent. 31 maggio 2000, n. 165; tutte in banca dati
Fisconline. Si ricorda – brevemente - che la Corte costituzionale con le prime tre
pronunce aveva affermato che la tutela cautelare costituisce senza dubbio una
componente essenziale della tutela giurisdizionale garantita dall‘art. 24 Cost.,
riferibile anche al processo tributario, che si spiega ―con l‘esigenza di evitare che la
durata del processo vada a danno dell‘attore che ha ragione e che, durante il tempo
occorrente per l‘accertamento in via ordinaria del suo diritto, è esposto al rischio di
subire un danno irreparabile‖. In ragione di ciò, concludeva la Corte, ―risulta allora
evidente come la garanzia debba ritenersi imposta solo fino al momento in cui non
intervenga, nel processo, una pronuncia di merito che accolga – con efficacia
esecutiva – la domanda, rendendo superflua l‘adozione di ulteriori misure cautelari,
1
LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO
un lato, tale pronuncia rappresenta senza dubbio ―un importante passo in
avanti verso la pienezza della tutela cautelare nel processo tributario‖ 4,
dall‘altro lato, la stessa è censurabile – come si vedrà a breve – sotto il profilo
del percorso giuridico indicato dalla Corte costituzionale al Giudice
rimettente al fine di giungere ad un‘interpretazione (del dato normativo
attualmente
vigente)
―costituzionalmente
orientata‖
nel
senso
dell‘essenzialità della tutelare cautelare in ogni grado di giudizio.
A ciò si aggiunga che la soluzione interpretativa ivi indicata, per quanto
criticabile, ha iniziato ad essere favorevolmente recepita anche dai Giudici
d‘appello5, come nel caso, ad esempio, della Commissione tributaria
regionale di Torino, sez. XXVIII, che con l‘ordinanza del 27 settembre 2010,
n. 46, seguendo le indicazioni interpretative della Corte costituzionale, ha
ovvero la respinga, negando in tal modo, con cognizione piena, la sussistenza del
diritto e dunque il presupposto dell‘invocata tutela. Con la conseguenza che la
previsione di mezzi di tutela cautelare nelle fasi successive a siffatta pronuncia, in
favore della parte soccombente nel merito, deve ritenersi rimessa alla discrezionalità
del legislatore‖. Si affermava inoltre che non sarebbe ravvisabile alcuna ―disparità di
trattamento‖ tra la disciplina del processo tributario e processo civile, stante
l‘insussistenza di un principio costituzionalmente garantito di necessaria uniformità
tra i vari tipi di processo. Con la quarta pronuncia (ord. 5 aprile 2007, n. 119) la Corte
costituzionale ha inoltre (correttamente) precisato che l‘‖oggetto del provvedimento di
sospensione non potrebbe mai essere la sentenza che ha respinto l‘impugnazione,
bensì semmai il provvedimento impositivo la cui impugnazione è stata rigettata in
primo grado‖.
4 In questi termini cfr. F. Randazzo, Poteri di sospensione del giudice di secondo
grado in pendenza del ricorso in cassazione: un importante passo in avanti verso la
pienezza della tutela cautelare, op. cit., 848. In senso conforme si veda anche C.
Glendi, Verso la costituzionalizzazione della tutela cautelare oltre il primo grado, op.
cit., 2401, il quale Autore, nel commentare la citata sentenza, parla di ―ascesa verso il
pieno riconoscimento della tutela cautelare nel processo tributario‖.
5
Peraltro, sul punto si segnala anche la contrastante posizione interpretativa nel
frattempo manifestata dalla Corte di cassazione, che con la sentenza n. 21121 del 13
ottobre 2010 (in banca dati Fisconline), nonostante le ultime aperture interpretative
della Corte costituzionale, ha escluso ―ogni possibilità di tutela cautelare nei confronti
dell‘efficacia esecutiva della pronuncia di secondo grado, secondo quanto stabilito nel
D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 49 e 68, senza che ciò determini
un‘ingiustificata lesione del diritto di difesa, in quanto la garanzia costituzionale della
tutela cautelare deve ritenersi doverosa, anche alla luce della sentenza n. 165 del 2000
della Corte costituzionale, solo fino al momento in cui non intervenga una pronuncia
di merito che accolga, con efficacia esecutiva, la domanda, rendendo superflua
l‘adozione di ulteriori misure cautelari, o al contrario la respinga, negando in tal modo
a cognizione piena la sussistenza del diritto ed il presupposto stesso dell‘inibitoria (v.
Cass. 7815/2010)‖. In verità, questa sentenza è stata pronunciata dalla Corte di
cassazione in data 28 maggio 2010, dunque prima della pubblicazione dell‘ultima
pronuncia della Corte costituzionale.
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130
LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO
concesso la sospensione dell‘esecuzione della sentenza di secondo grado in
pendenza del giudizio di cassazione.
In secondo luogo, l‘interesse per la ―questione‖ in esame diviene sempre più
attuale anche e soprattutto a seguito della nuova disciplina dell‘attività di
accertamento e di riscossione, introdotta dall‘art. 29, d.l. 31 maggio 2010, n.
78 (conv. nella l. 30 luglio 2010 n. 122), che, con riferimento alle imposte sui
redditi ed all‘iva, porta ad un ―accorpamento‖ degli atti esattivi in quelli
impositivi, i quali ultimi, in quanto dotati di per sé di efficacia esecutiva,
legittimano quindi l‘immediata attuazione dell‘esecuzione esattoriale senza
dover attendere, come accadeva in passato, la notifica della cartella di
pagamento7.
In ragione di ciò, è stato condivisibilmente osservato da autorevole dottrina
come appaia oramai ―ineludibile la necessità del riconoscimento della tutela
cautelare, senza limiti di grado, essendo la stessa ormai accentrata sull‘atto
impositivo, che è anche esattivo, così da dover essere sempre disposta dal
giudice di merito, nel suo diacronico svolgimento, anche dopo il primo grado,
e da non poter essere strumentalmente realizzata, quanto meno nella stessa
latitudine in cui era precedentemente possibile, attraverso altri procedimenti
aventi ad oggetto atti esecutivi ormai pretermessi‖ 8.
Difatti, è un dato di fatto incontestabile che esigenze di tutela cautelare
possano manifestarsi, con riferimento alla riscossione del tributo, anche oltre
il primo grado di giudizio, perché nel frattempo potrebbe mutare per il
contribuente la situazione di pregiudizio economico derivante dalla
prosecuzione dell‘attività di riscossione della pretesa impositiva recata dal
provvedimento tributario impugnato, così come potrebbero mutare anche i
presupposti del fumus boni iuris. Ebbene, sino ad ora, in presenza di esigenze
cautelari di tal genere si è spesse volte cercato di ―aggirare‖ il problema del
mancato riconoscimento normativo della tutela cautelare oltre il primo grado
di giudizio mediante l‘attivazione di procedimenti cautelari all‘interno di
giudizi instaurati innanzi a Commissioni tributarie provinciali
(strumentalmente) investite della decisione sulla legittimità degli atti
(esattivi) con cui è attuata la riscossione (a titolo provvisorio) della pretesa
impositiva impugnata (ad esempio mediante l‘impugnazione delle cartelle di
pagamento, dei fermi amministrativi, dei provvedimenti di iscrizioni di
ipoteca, ecc…); ma è evidente come il più delle volte si tratti di giudizi
―paralleli‖ strumentalmente instaurati solo per tentare di soddisfare le
predette esigenze cautelari.
7
In commento alla nuova disciplina si veda, tra gli altri, C. Glendi, Nuove frontiere
per la tutela cautelare, in Corr. trib., n. 27 del 2010, 2163 ss.; M. Bruzzone, L‘avviso
di accertamento diventa <<titolo esecutivo>> per imposte sui redditi ed IVA, in
Corr. trib., n. 28 del 2010, 2230 ss.
8
In tal senso cfr. C. Glendi, Verso la costituzionalizzazione della tutela cautelare
oltre il primo grado, op. cit., 2407 – 2408. L‘Autore conclude auspicando un ―nuovo
risolutivo intervento‖ della Corte costituzionale, questa volta correttamente investita
della relativa questione di legittimità costituzionale (sul punto si rinvia infra).
131
LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO
Ebbene, d‘ora in avanti, a seguito dell‘―accorpamento‖ degli atti esattivi in
quelli impositivi, il ricorso a questo escamotage sarà più difficile, divenendo
quindi più che mai necessario il superamento dell‘attuale dato normativo in
tema di tutela cautelare, superamento che – come si vedrà a breve –
difficilmente può essere risolto in via interpretativa, richiedendo invece un
nuovo intervento della Corte costituzionale, questa volta – si auspica – non
solo risolutivo ma anche ―corretto‖ nel relativo percorso giuridico da seguire
per poter giungere al riconoscimento della tutela cautelare oltre il primo
grado di giudizio.
Non resta quindi che passare ad esaminare il contenuto dell‘ultima pronuncia
della Corte costituzionale dopo aver brevemente ricordato il contesto
normativo di riferimento.
2 Il quadro normativo di riferimento
A tal riguardo, si ricorda che l‘art. 47, commi 1 e 7, d.lgs. n. 546 del 1992,
attribuisce alle Commissioni tributarie provinciali il potere di sospendere
l‘efficacia esecutiva dell‘atto impugnato, ma fino alla data di pubblicazione
della sentenza di primo grado.
Manca, invece, una norma che attribuisca espressamente un analogo potere al
Giudice tributario anche nei successivi gradi di giudizio; soltanto l‘art. 19, 2°
co., d.lgs. n. 472 del 1997, estende l‘applicabilità nel giudizio di appello del
procedimento incidentale per la sospensione cautelare di cui al citato art. 47,
d.lgs. n. 546 del 1992, ma limitatamente alla riscossione delle sanzioni 9.
Si ricorda, inoltre, che la disposizione di cui all‘art. 47, d.lgs. n. 546 del 1992
(id est la previsione normativa che attribuisce il potere di sospensione
cautelare della riscossione dell‘atto impugnato alle sole Commissioni
tributarie provinciali e non anche alle Commissioni tributarie regionali)
rappresenta la diretta attuazione, da parte del Legislatore delegato, del
―principio di delega‖ stabilito dal Legislatore delegante nell‘art. 30, co. 1,
lett. h), l. n. 413 del 1991 e consistente nella ―previsione di un procedimento
incidentale ai fini della sospensione dell‘esecuzione dell‘atto impugnato
disposta mediante provvedimento motivato, con efficacia temporale limitata
a non oltre la decisione di primo grado e con l‘obbligo di fissazione della
udienza entro novanta giorni‖.
Ritengono che l‘inapplicabilità della tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio
vada desunta dal dato letterale dell‘art. 47, d.lgs. n. 546 del 1992 o dall‘art. 19 del
d.lgs. n. 472 del 1997, tra gli altri, F. Pistolesi, L‘appello nel processo tributario,
Torino, 2002, 370 ss.; S. Muleo, La tutela cautelare, in Il processo tributario.
Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, F. Tesauro (diretta da), 1998, 882 –
883; C. Glendi, La tutela cautelare del contribuente nel processo tributario riformato
(art. 47 del D.Lgs. n. 546 del 1992 e norme complementari, op. cit., 27; L. Del
Federico, Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni
di norme tributarie, in Commento agli interventi di riforma tributaria. I decreti
legislativi di attuazione delle deleghe contenute nell‘art. 3 della legge 26 dicembre
1996, n. 662, Padova, 1999, 1065 ss.
9
132
LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO
Anche per tale ragione la disposizione di cui all‘art. 61, d.lgs. n. 546 del
1992, che, nel disciplinare il procedimento di appello, rinvia, in quanto
compatibili, alle norme dettate per il procedimento di primo grado, viene di
regola interpretata – salvo alcune posizioni dottrinarie e giurisprudenziali di
segno opposto10 - nel senso che tra le ―norme richiamate‖ non sarebbero
ricomprese anche quelle di cui al Capo II del Titolo II del medesimo decreto,
tra cui, appunto, l‘art. 47, ciò nonostante il rinvio operato dal citato art. 61 sia
un rinvio ―generale‖ a tutte le norme dettate per il procedimento di primo
grado, in quanto compatibili11.
A ciò va aggiunto che l‘art. 49, d.lgs. n. 546 del 1992, nel disciplinare le
impugnazioni delle sentenze tributarie, esclude espressamente l‘applicabilità
al processo tributario dell‘art. 337 c.p.c.12, così escludendo l‘applicabilità
anche delle disposizioni menzionate da tale norma, tra cui l‘art. 283 c.p.c.
(attribuzione al giudice d‘appello del potere di sospendere, in tutto o in parte,
l‘efficacia esecutiva o l‘esecuzione della sentenza impugnata quando
sussistono gravi e fondati motivi) e l‘art. 373 c.p.c. (attribuzione al Giudice
che ha pronunciato la sentenza impugnata innanzi alla Corte di cassazione, di
Vi è chi in dottrina ha sostenuto che, nonostante la formulazione letterale dell‘art.
47, d.lgs. n. 546 del 1992, andrebbe comunque ragionevolmente riconosciuto un
eguale potere di sospensione anche al Giudice d‘appello proprio in forza del citato art.
61, d.lgs. n. 546 del 1992, il quale, nel disciplinare il giudizio d‘appello, opera un
rinvio ―generale‖ alle norme dettate per il procedimento di primo grado, ivi incluse,
quindi, quelle contenute nel Capo II del Titolo II; in ragione di ciò, applicando la
disciplina del procedimento cautelare di cui all‘art. 47 al giudizio d‘appello, i
riferimenti ivi contenuti alla Commissione tributaria provinciale ed alla sentenza da
quest‘ultima emessa, dovrebbero essere intesi come riferimenti alla Commissione
tributaria regionale ed alla sentenza di secondo grado. In questi termini cfr. F.
Tesauro, La tutela cautelare nel procedimento di appello dinanzi alla Commissione
tributaria regionale, in Boll. trib., 1999, 1733. In tal senso, in giurisprudenza si veda
anche Comm. trib. reg. Puglia, ord. 22 agosto 2001, in Dir. prat. trib., 2001, con
commento di A. Uricchio, Ancora sull‘applicabilità nel giudizio di appello della
tutela cautelare, 1096.
11 Sul punto si rinvia al commento relativo all‘art. 47 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992 in
C. Consolo – C. Glendi, Commentario breve alle leggi del processo tributario,
Padova, 2010. Sul punto si veda anche il commento ai citati articoli in T. Baglione –
S. Menchini – M. Miccinesi (a cura di), Il nuovo processo tributario, Milano, 2004.
12 In tal senso cfr. A. Colli Vignarelli, La sospensione delle sentenze delle
commissioni tributarie provinciali, in Boll. trib., 1999, 1503; Id., Considerazioni in
tema di tutela cautelare nel processo tributario, in Rass. trib., 1996, 565; E. Della
Valle, Sospensione, interruzione ed estinzione del processo, in Il Processo tributario,
Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, op. cit. 77. Sottolinea la difficoltà di
ricorrere ad eterointegrazioni della disciplina del processo tributario mediante il
ricorso a completamenti ad opera della disciplina del processo civile C. Glendi,
Rapporti tra nuova disciplina del processo tributario e codice di procedura civile, in
Dir. prat. trib., 2000, 1749.
10
133
LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO
sospenderne l‘esecuzione se da tale esecuzione possa derivare un danno
grave ed irreparabile)13.
Peraltro, sarebbero proprio le peculiarità del processo tributario a rendere di
difficile applicazione i rimedi cautelari di cui agli artt. 283 e 373 c.p.c.,
perché - così come chiarito anche dalla stessa Corte costituzionale con
l‘ordinanza n. 119 del 2007 - nel processo tributario, a differenza del
processo civile, ―oggetto del provvedimento di sospensione non potrebbe mai
essere la sentenza che ha respinto l‘impugnazione, bensì semmai il
provvedimento impositivo la cui impugnazione è stata rigettata in primo
grado‖.
In altri termini, alla sentenza del Giudice tributario non può riconoscersi
efficacia di titolo esecutivo, né quando accoglie il ricorso del contribuente né
quando lo rigetta, in quanto il titolo che legittima l‘attività di riscossione,
attuata mediante l‘iscrizione a ruolo (a titolo provvisorio) della pretesa
impositiva, è sempre e solo il provvedimento impositivo impugnato;
conseguentemente l‘oggetto della sospensione cautelare è solo l‘esecuzione
dell‘atto impugnato14.
Contra, a favore dell‘utilizzabilità dei rimedi cautelari previsti dagli artt. 283 e 373
c.p.c., in quanto non esisterebbe alcuna espressa esclusione della loro applicazione nel
processo tributario, cfr. G. Falcone, La sospensione tributaria e l‘opera
dell‘interprete, in Il Fisco, 1996, 6106; M. Cantillo, Nuovo processo tributario. I
procedimenti cautelari e preventivi, in Il Fisco, 1993, 8902; S. Muleo, La tutela
cautelare, op. cit., 878.
13
14
In tal senso cfr. C. Glendi, Verso la costituzionalizzazione della tutela cautelare
oltre il primo grado, op. cit., 2404 ss; Id., La tutela cautelare del contribuente nel
processo tributario riformato, op. cit., 112 – 114; Id., Rapporti tra nuova disciplina
del processo tributario e codice di procedura civile, in Dir. prat. trib., 2000, 1748,
nota 132 F. Tesauro, La tutela cautelare nel procedimento di appello dinanzi alla
Commissione tributaria regionale, in Boll. trib., 1999, 1733. In merito alla natura non
sostitutiva della sentenza del Giudice tributario si veda, funditus, F. Randazzo,
L‘esecuzione delle sentenze tributarie, Milano, 2003, passim. In senso contrario cfr.
M. Cantillo, Un nodo da sciogliere: il potere di sospensione cautelare dell‘efficacia
delle sentenze dei giudici tributari, in Rass. trib., 1998, 824 ss., secondo il quale la
sentenza del Giudice tributario costituirebbe titolo per la riscossione del tributo,
―legittimando successivi atti di iscrizione a ruolo di tutte o di parte delle imposte
accertate‖. In altri termini, secondo questo orientamento dottrinario l‘iscrizione a
ruolo sarebbe legittimata sia dall‘atto impositivo ad esso presupposto, sia dalla
sentenza che ha confermato (totalmente o parzialmente) l‘atto impositivo. Sul punto si
veda inoltre F. Pistolesi, L‘appello nel processo tributario, op. cit., 370 ss., 378; A.
Giovannini, Riflessioni a margine dell‘oggetto della domanda nel processo tributario,
in Riv. dir. trib., 1998, 35 ss. Da ultimo, in questa sede appare opportuno sottolineare
come sia senza dubbio non condivisibile quanto recentemente sostenuto in un articolo
di stampa specializzata in punto di interpretazione del citato art. 29, d.l. 31 maggio
2010, n. 78. In specie il riferimento è all‘articolo dal titolo ―Sentenze sospese in
appello‖ pubblicato sul Sole24Ore del 22 marzo 2011, in cui è stato sostenuto che la
―nuova‖ previsione normativa secondo cui ―l‘intimazione ad adempiere al pagamento
è altresì contenuta nei successivi atti da notificare al contribuente, anche mediante
raccomandata con avviso di ricevimento, in tutti i casi in cui siano rideterminati gli
134
LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO
Per tale ragione è stato correttamente osservato in dottrina che le disposizioni
di cui ai citati artt. 283 e 373 c.p.c., ―che riguardano propriamente la
sospensione dell‘efficacia esecutiva delle sentenze, risultano palesemente
ultronee ed inidonee ad un loro inserimento nel processo di cui trattasi e nel
sistema della riscossione che vi è correlato, proprio ed essenzialmente perché
non attengono alla sospensione dell‘esecuzione, bensì all‘efficacia di
sentenze che costituiscono anche titoli esecutivi.‖ 15
importi dovuti in base agli avvisi di accertamento ai fini delle imposte sui redditi e
dell‘imposta sul valore aggiunto ed ai connessi provvedimenti di irrogazione delle
sanzioni, (…), anche ai sensi dell‘art. 68 del decreto legislativo 19 giugno del 1997,
n. 218 (…)‖, debba essere intesa nel senso che con la stessa, in forza del richiamo
(anche) all‘art. 68, d.lgs. n. 546 del 1992 ivi contenuto, il Legislatore avrebbe inteso
riconoscere alla sentenza del Giudice tributario natura di ―titolo giuridico per la
riscossione‖, con conseguente possibilità, quindi, di poter d‘ora in avanti presentare
istanza di sospensione cautelare anche dopo la sentenza della Commissione tributaria
provinciale, giust‘appunto in ragione dell‘efficacia esecutiva che tale previsione
normativa avrebbe ora riconosciuto alle sentenze tributarie. Si tratta con evidenza di
un‘affermazione non corretta poiché il semplice richiamo al citato art. 68, d.lgs. n.
546 del 1992, ossia alla disciplina della riscossione frazionata in pendenza di giudizio,
non può certamente essere inteso come volontà legislativa di stravolgere il sistema del
processo tributario e la natura delle sentenze tributarie. Come già ricordato, infatti, le
sentenze del Giudice tributario non hanno efficacia esecutiva poiché ciò che è portato
in esecuzione (con le modalità di riscossione frazionata indicate nel citato art. 68) è
sempre e solo l‘atto impositivo impugnato così come confermato nella sua legittimità
formale e (in tutto ovvero solo in parte) nella sua legittimità sostanziale dalla sentenza
di primo e di secondo grado. Peraltro è anche evidente come le sentenze dei Giudici
tributari non possano essere ricomprese tra i ―successivi atti da notificare al
contribuente‖ cui fa riferimento il citato art. 29, d.l. n. 78 del 2010: i) anzitutto perché
la sentenza tecnicamente non è un ―atto‖, un ―atto‖, peraltro, che l‘Amministrazione
finanziaria – stando a tale (errata) lettura interpretativa - sarebbe sempre tenuta a
notificare al contribuente (così implicitamente abrogando il termine ―lungo‖ di
impugnazione delle sentenze); ii) ed inoltre perché le sentenze tributarie non
rideterminano la pretesa impositiva recata dall‘atto impositivo impugnato
sostituendosi a quest‘ultimo, bensì rigettano oppure accolgono (in tutto ovvero solo in
parte) la richiesta di annullamento di tale atto fatta valere dal ricorrente (sul punto si
rinvia, funditus, ai riferimenti bibliografici poco sopra citati). In verità, la previsione
normativa di cui al citato art. 29, d.l. n. 78 del 2010, è infelicemente formulata perché
è fuor di dubbio che l‘espressione ―successivi atti da notificare al contribuente‖ debba
intendersi riferita non già alle sentenze del Giudice tributario, ma, quanto al rinvio
all‘art. 68, d.lgs. n. 546 del 1992, agli atti esattivi con cui viene attuata la riscossione
frazionata (appunto regolata da tale ultima disposizione) nei diversi gradi del processo
tributario. Ecco quindi la superfluità della nuova previsione normativa nella parte in
cui fa espressamente riferimento ad alcuni atti [ossia le cartelle di pagamento recanti:
l‘iscrizione a ruolo effettuata in forza dell‘art. 8, co. 3-bis, d.lgs. n. 218 del 1997,
l‘iscrizione a ruolo (a titolo provvisorio) effettuata in forza dell‘art. 68, d.lgs. n. 546
del 1992 e l‘iscrizione a ruolo (a titolo provvisorio) effettuata in forza dell‘art. 19,
d.lgs. n. 472 del 1997] che già contenevano l‘‖intimazione ad adempiere al
pagamento‖.
15 In questi termini cfr. Glendi, La tutela cautelare del contribuente nel processo
tributario riformato, op. cit., 113 – 114.
135
LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO
3 La sentenza della corte costituzionale n. 217 del 2010
Così delineato il quadro normativo di riferimento, non resta che esaminare le
indicazioni interpretative contenute nella citata sentenza n. 217 del 2010 della
Corte costituzionale.
A tal proposito deve anzitutto ribadirsi l‘importanza di questa pronuncia
perché - come condivisibilmente affermato da autorevole dottrina – la Corte
costituzionale ―nel <<rimproverare>> al Giudice rimettente l‘inadeguato
approfondimento dei dati legislativi vigenti, che a suo avviso inibivano la
tutela cautelare oltre il primo grado del giudizio tributario, ai fini di
un‘interpretazione degli stessi in senso conforme ai principi costituzionali,
mostra, sia pure indirettamente, una diversamente avvertita rivitalizzazione,
quanto meno tendenziale di questi stessi principi costituzionali, nel rinnovato
senso, evidentemente, di un loro apprezzamento quanto all‘essenzialità della
tutela cautelare anche dopo il primo grado di giudizio‖16.
Difatti, scorrendo l‘iter motivazionale della sentenza, traspare chiaramente la
―disponibilità‖ della Corte costituzionale – in un prossima occasione in cui la
questione di (il)legittimità costituzionale venga (questa volta) correttamente
sollevata - a rivedere la propria giurisprudenza in punto di riconoscimento
della tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio17 e dunque a superare
l‘orientamento manifestato nelle precedenti quattro pronunce, in base al quale
la tutela cautelare nel processo tributario rappresenterebbe una garanzia
costituzionale imposta soltanto fino al momento in cui non sia intervenuta
una sentenza di merito.
Ciò detto, nella specie la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la
questione di (il)legittimità costituzionale dell‘art. 49, d.lgs. n. 546 del 1992,
sollevata dal Giudice rimettente con riferimento agli artt. 3, 23, 24, 111 e 113
Cost., nonché, quale norma interposta, all‘art. 10 Cost., in riferimento all‘art.
6, 1° co., della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell‘uomo e delle
libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata in Italia
con l. 4 agosto 1955, n. 848 (d‘ora in avanti per semplicità C.E.D.U.).
Ebbene, uno dei motivi per i quali è stata dichiarata l‘inammissibilità della
predetta questione è rappresentato dal fatto che, ad avviso della Corte
costituzionale, il Giudice rimettente non avrebbe esperito alcun tentativo di
interpretare in modo ―costituzionalmente orientato‖ la disposizione censurata
(art. 49, d.lgs. n. 546 del 1992) ―nel senso che essa consenta l‘applicazione al
processo tributario della sospensione cautelare prevista dall‘art. 373 c.p.c.,
con conseguente insussistenza del prospettato contrasto con gli evocati
parametri costituzionali‖.
16
In questi termini cfr. C. Glendi, Verso la costituzionalizzazione della tutela
cautelare oltre il primo grado, op. cit., 2404.
17 In tal senso si veda anche F. Randazzo, Poteri di sospensione del giudice di secondo
grado in pendenza del ricorso in cassazione: un importante passo in avanti verso la
pienezza della tutela cautelare, op. cit., 849.
136
LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO
Più precisamente, il Giudice rimettente ha sollevato dubbi sulla legittimità
costituzionale dell‘art. 49, d.lgs. n. 546 del 1992, perché a suo avviso tale
norma, escludendo espressamente l‘art. 337 c.p.c. dal rinvio ivi operato alla
disciplina generale delle impugnazioni del processo civile, impedirebbe
l‘applicazione nel processo tributario del rimedio cautelare previsto dall‘art.
373 c.p.c. (richiamato dal citato art. 337 c.p.c.) relativo alla sospensione
dell‘esecuzione della sentenza d‘appello in pendenza del giudizio di
cassazione.
Ebbene, la Corte costituzionale mostra di non condividere il percorso
interpretativo seguito dal Giudice rimettente, ritenendo invece che sia
possibile un‘interpretazione ―alternativa‖ che consentirebbe di poter
sostenere che il ―comma 1 dell‘art. 49 del D.lgs. n. 546/1992 non costituisce
ostacolo normativo ad applicare al processo tributario l‘inibitoria cautelare di
cui all‘art. 373 c.p.c. astrattamente compatibile con il processo tributario‖,
rendendo così irrilevante la questione di illegittimità sollevata con sua
conseguente inammissibilità.
In specie, secondo quest‘interpretazione ―alternativa‖ indicata dalla Corte
costituzionale, l‘art. 337 c.p.c. (inapplicabile al processo tributario in forza
del disposto di cui all‘art. 49, d.lgs. n. 546 del 1992) contiene una regola
(―l‘esecuzione della sentenza non è sospesa per l‘effetto dell‘impugnazione di
essa‖) ed una un‘eccezione a tale regola poiché fa salve, tra le altre, le
disposizioni degli artt. 283 e 373 c.p.c.; allo stesso modo quest‘ultima norma
(l‘art. 373 c.p.c.) contiene anch‘essa al primo comma una regola (―il ricorso
per cassazione non sospende l‘esecuzione della sentenza‖) ed una eccezione
a tale regola (―tuttavia il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata
può, su istanza di parte e qualora dall‘esecuzione possa derivare grave ed
irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che
l‘esecuzione sia sospesa …‖). Ebbene, secondo la Corte costituzionale
―l‘inapplicabilità al processo tributario – in forza della disposizione censurata
– della regola, sostanzialmente identica, contenuta nell‘art. 337 c.p.c. e nel
primo periodo del primo comma dell‘art. 373 dello stesso codice, non
comporta necessariamente l‘inapplicabilità al processo tributario anche delle
sopraindicate <<eccezioni>> alla regola e, quindi, non esclude di per sé la
sospendibilità ope iudicis dell‘esecuzione della sentenza d‘appello impugnata
per cassazione‖.
In questo modo, in base a tale interpretazione ―alternativa‖ si giungerebbe al
riconoscimento della tutela cautelare anche in pendenza del giudizio di
cassazione, mediante la sospensione dell‘esecuzione della sentenza
impugnata.
Ecco quindi emergere l‘evidente profilo di criticità della soluzione
interpretativa indicata dalla Corte costituzionale 18, che sembrerebbe aver
18
In tal senso cfr. C. Glendi, Verso la costituzionalizzazione della tutela cautelare
oltre il primo grado, op. cit., 2404 ss.; F. Randazzo, Poteri di sospensione del giudice
di secondo grado in pendenza del ricorso in cassazione: un‘importante passo in
avanti verso la pienezza della tutela cautelare, op. cit., 850 ss.
137
LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO
dimenticato quanto dalla stessa correttamente affermato nella precedente
pronuncia del 2007, n. 119, secondo cui – come più volte ricordato - ―oggetto
del provvedimento di sospensione non potrebbe mai essere la sentenza che ha
respinto l‘impugnazione, bensì semmai il provvedimento impositivo la cui
impugnazione è stata rigettata in primo grado‖.
4 La corretta impostazione della “questione”: la tutela cautelare contro
l‟esecuzione dell‟atto impugnato nei gradi di giudizio successivi al
primo
Può quindi affermarsi che la pronuncia in commento, pur essendo senza
dubbio apprezzabile per lo sforzo ermeneutico compiuto dalla Corte
costituzionale nella ricerca di una soluzione interpretativa che possa condurre
al riconoscimento della tutela cautelare anche oltre il primo grado di giudizio,
tuttavia non può essere condivisa nella soluzione interpretativa ivi indicata,
poiché affetta da un errore di fondo, probabilmente ―indotto‖ anche dai
termini normativi in cui è stata sollevata dal Giudice rimettente la questione
di (il)legittimità costituzionale.
In ragione di ciò, andrebbero quindi accolte le ―aperture‖ che la Corte
costituzionale ha manifestato in punto di pieno riconoscimento della tutela
cautelare nel processo tributario; in particolare, andrebbe ―sfruttata‖ la
―disponibilità‖ manifestata dalla Corte costituzionale a rivedere il proprio
precedente orientamento, ma con una ―correzione‖ dei dati legislativi da
censurare, sui quali, cioè, dovrebbe essere correttamente incentrato il
riscontro di (il)legittimità costituzionale ex artt. 3 e 24 Cost.
Difatti, la questione, così come prospettata dal Giudice rimettente alla Corte
costituzionale nella sentenza in esame, è stata inadeguatamente focalizzata
sugli artt. 49, d.lgs. n. 546 del 1992 e 373 c.p.c., in quanto la questione
dell‘ammissibilità della tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio è stata
ivi riferita all‘esecutività delle sentenze ed alla sospensione di tale
esecutività, laddove, invece - come già più volte ricordato - nel processo
tributario il titolo esecutivo dell‘attività di riscossione non è mai la sentenza,
bensì sempre e solo il provvedimento impositivo impugnato, in base al quale
vengono effettuate le iscrizioni a ruolo (a titolo provvisorio), così come
peraltro correttamente affermato dalla stessa Corte costituzionale nella
precedente ordinanza n. 119 del 2007.
In considerazione di ciò, ai fini del riconoscimento della tutela cautelare oltre
il primo grado di giudizio, non ha quindi senso discutere dell‘applicabilità o
meno nel processo tributario delle norme del codice di rito che disciplinano la
sospensione dell‘esecuzione delle sentenze impugnate, poiché queste norme
presuppongono che le stesse siano esecutorie; ma le sentenze dei Giudici
tributari non lo sono né quando accolgono il ricorso del contribuente, né
quando lo rigettano. Come detto e come riconosciuto dalla stessa Corte
costituzionale, poiché la riscossione tributaria non ha mai come titolo la
sentenza impugnata ma l‘atto impositivo impugnato, deve dunque discutersi
138
LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO
di sospensione dell‘esecuzione dell‘atto impugnato e non di sospensione
dell‘esecuzione della sentenza impugnata 19.
Pertanto, le norme che sono di ostacolo al riconoscimento della tutela
cautelare (anche) nei gradi di giudizio successivi al primo non sono costituite
dall‘art. 49, d.lgs. n. 546 del 1992, bensì dall‘art. 47, commi 1 e 7 (quali
norme delegate), che nella loro formulazione letterale circoscrivono
l‘attribuzione del potere di sospensione cautelare alle sole Commissioni
tributarie provinciali e, a monte, dall‘art. 30, 1° co., lett. h), l. n. 413 del 1991
(quale norma delegante)20 che, come ricordato, è chiara nell‘aver delegato il
Governo ad introdurre un procedimento di sospensione dell‘atto impugnato
con efficacia temporale limitata a non oltre la decisione di primo grado.
Quanto poi alla corretta individuazione dei parametri costituzionali con
riferimento ai quali andrebbe sindacata la legittimità costituzionale delle
predette norme di legge, sebbene nella sentenza della Corte costituzionale n.
271 del 2010, la questione di (il)illegittimità costituzionale (al di là delle
norme censurate) sia stata sollevata anche con riferimento agli artt. 23 e 113
Cost., nonché all‘art. 6, 1° co., della C.E.D.U., tuttavia deve ritenersi che le
principali norme costituzionali di riferimento per il riconoscimento della
tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio, vadano essenzialmente
individuate negli artt. 3, 24 e 111, 2° co., Cost. 21.
In particolare, con riferimento alla (in)compatibilità dell‘art. 47, commi 1 e 7,
(norma delegata) e, a monte, dell‘art. 30, 1° co., lett. h), l. n. 413 del 1991
(norma delegante), con l‘art. 24 Cost., deve essere rivisto e superato (poiché
affetto da un evidente vizio logico) quanto sul punto già affermato dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 165 del 2000, cui si erano poi
uniformate le successive pronunce.
Difatti, a tal riguardo la Corte costituzionale correttamente ha affermato che
la tutela cautelare anche nel processo tributario costituisce ―una componente
essenziale della tutela giurisdizionale garantita dall‘art. 24 Cost.‖ e la ragione
di ciò è stata giustamente individuata nell‘‖esigenza di evitare che la durata
del processo vada a danno dell‘attore che ha ragione e che, durante il tempo
occorrente per l‘accertamento in via ordinaria del suo diritto, è esposto al
rischio di subire un danno irreparabile‖.
Tuttavia, da questo correttissimo assunto la Corte costituzionale ha poi fatto
derivare l‘affermazione secondo cui ―la garanzia costituzionale della tutela
cautelare‖ dovrebbe ritenersi ―imposta solo fino al momento in cui non
19
In questi termini si veda, per tutti, C. Glendi, Verso la costituzionalizzazione della
tutela cautelare oltre il primo grado, op. cit., 2404 ss.; F. Randazzo, Si va profilando
l‘estensione della tutela cautelare oltre il primo grado, op. cit., 850 ss.
20
In senso conforme cfr. C. Glendi, op. ult. cit., 2405.
Secondo C. Glendi (op. ult. cit., 2405 – 2406), ―i principi costituzionali di fondo
restano comunque agli artt. 3 e 24 Cost., sui quali già si era pronunciata la Corte
costituzionale nelle tre iniziali pronunce (…)‖. Per una valorizzazione anche dell‘art.
111 Cost. si veda M. S. Messina, La tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio,
in Corr. trib., 2007, 3077 ss.
21
139
LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO
intervenga, nel processo, una pronuncia di merito che accolga – con efficacia
esecutiva – la domanda, rendendo superflua l‘adozione di ulteriori misure
cautelari, ovvero la respinga, negando in tal modo, con cognizione piena, la
sussistenza del diritto e dunque il presupposto dell‘invocata tutela‖.
Ma è evidente il vizio logico di tale ragionamento. Difatti, se è vera la
premessa secondo cui il fondamento costituzionale della tutela cautelare deve
essere individuato, ex art. 24 Cost., nella necessità che nel tempo occorrente
per ottenere giustizia, la parte che ha ragione debba essere preservata, nelle
more del processo tributario, dalle conseguenze irreparabili che
vanificherebbero tale risultato, è evidente come tale esigenza non possa non
permanere ―per tutto il tempo del processo necessario perché questa ragione
venga accertata‖ in modo definitivo, ―senza che nel frattempo l‘interessato
subisca un pregiudizio che irreparabilmente lo danneggi, vanificandone il
diritto all‘azione che gli è costituzionalmente garantito, così da non potersi
ritenere pienamente attuato‖ tale diritto, ―limitandone l‘operatività alla sola
emanazione <<di una pronuncia di merito a cognizione piena>> entro il
primo grado‖22.
Pertanto, il riconoscimento o meno della tutela cautelare oltre il primo grado
di giudizio non deve ritenersi una scelta affidata alla discrezionalità del
Legislatore23, rientrando, invece, nell‘ambito della garanzia costituzionale di
cui al citato art. 24 Cost. Ma se così è, è allora evidente come la protezione
costituzionale (ex art. 24 Cost.) della tutela cautelare nell‘ambito del processo
tributario non possa essere limitata al solo primo grado di giudizio, ma
(anche qui, come nel processo civile e amministrativo) debba essere garantita
per tutta la durata del processo fino alla definizione dello stesso.
Ed è sempre in questi termini che deve essere inteso anche il riferimento
all‘art. 3 Cost., poiché quest‘ultimo, così come riconosciuto (seppur in
astratto) dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 165 del 2000,
―lungi dal poter essere dribblato con la stereotipa formula dell‘inesistenza di
un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità tra i vari
tipi di processo, deve essere pregiudizialmente apprezzato sotto il profilo
della piena attuazione del principio di razionalità e del generale criterio di
ragionevolezza delle scelte legislative‖24.
Pertanto, non è ravvisabile alcun ragionevole motivo che sia in grado di
giustificare una diversità di disciplina tra, da un lato, il processo civile e
quello amministrativo, in cui la tutela cautelare è assicurata in ogni grado di
giudizio e, dall‘altro lato, il processo tributario, in cui la tutela cautelare è
invece assicurata solo limitatamente al primo grado di giudizio.
22
In questi termini cfr. C. Glendi, op. ult. cit., 2406.
23
Secondo C. Glendi (op. ult. cit. loc.) alla discrezionalità del Legislatore andrebbe
riconosciuta la sola possibilità di limitare l‘operatività della tutela cautelare
esclusivamente in presenza di circostanze ―eccezionali‖ che, a loro volta, rispondano
ad esigenze protette da principi costituzionali superiori ovvero equivalenti a quello di
cui al citato art. 24 Cost.
24 In questi termini cfr. sempre C. Glendi, op. ult. cit., 2407
140
LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO
Né, sul punto, in senso contrario potrebbe sostenersi l‘esistenza di un
―interesse prevalente‖ in capo all‘Amministrazione finanziaria, poiché non
esiste alcuna norma costituzionale che tuteli, in misura preminente rispetto a
quello del contribuente, un ―interesse fiscale alla riscossione dei tributi‖.
Difatti, come condivisibilmente affermato da autorevole dottrina, ―il dovere
alla contribuzione del contribuente e l‘interesse alla percezione dei tributi da
parte dell‘Erario non costituiscono due valori contrapposti, diversamente
tutelati dal legislatore, ma rappresentano due diverse espressioni del
medesimo principio, ossia quello del <<giusto tributo>> di cui all‘art. 53
Cost. (…). Non sembra esistere, dunque, un principio che giustifichi una
differenza di posizioni tra contribuente e amministrazione finanziaria‖ 25.
Ed inoltre, poiché la riscossione frazionata è prevista a tutela solo della
posizione dell‘Amministrazione finanziaria e non anche di quella del
contribuente, negare a quest‘ultimo qualsiasi forma di tutela cautelare (oltre il
primo grado di giudizio) contro detta riscossione, tutte le volte in cui questa
possa recargli un pregiudizio grave ed irreparabile, ―equivarrebbe ad
attribuire una posizione prevalente all‘amministrazione finanziaria non
giustificata e, dunque, in palese violazione dell‘art. 111 Cost., che assicura la
parità delle parti‖26.
Ecco quindi che, ai fini del riconoscimento della pienezza della tutela
cautelare nel processo tributario, la questione di (il)legittimità costituzionale
dovrebbe essere correttamente sollevata con riferimento all‘art. 47, commi 1
e 7 (quale norma delegata) e, a monte, all‘art. art. 30, co. 1, lett. h), l. n. 413
del 1991 (quale norma delegante), nella parte in cui viene esclusa la tutela
cautelare contro la riscossione frazionata (a titolo provvisorio) dell‘atto
impositivo impugnato nei gradi di giudizio successivi al primo, perché in
contrasto con i parametri costituzionali di cui agli artt. 3, 24 e 111, 2° co.,
Cost.
5 Osservazioni conclusive
Sono dunque questi i termini in cui, a mio avviso, andrebbe correttamente
sollevata la questione di (il)legittimità costituzionale affinché (anche) la
disciplina del processo tributario possa finalmente conoscere, similmente al
processo civile ed amministrativo, la pienezza della tutela cautelare contro la
riscossione frazionata (a titolo provvisorio) dell‘atto impositivo impugnato
anche oltre il primo grado di giudizio. Ed i tempi per una pronuncia della
Corte costituzionale in tal senso sembrerebbero essere oramai maturi proprio
in ragione, da un lato, delle ―aperture‖ da quest‘ultima manifestate
nell‘ultima pronuncia poco sopra esaminata e, dall‘altro lato, delle spinte
provenienti dal basso verso un riconoscimento pieno della tutela cautelare,
25
In questi termini cfr. M. S. Messina, La tutela cautelare oltre il primo grado di
giudizio, in Corr. trib., n. 38 del 2007, 3077 ss.
26 Così sempre M. S. Messina, La tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio, in
Corr. trib., n. 38 del 2007, 3077 ss.
141
LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO
(spinte) che con l‘entrata in vigore della nuova disciplina dell‘accertamento
―dotato di immediata esecutività‖ saranno senza dubbio ancora maggiori.
A mio avviso appare invece difficilmente percorribile una soluzione della
―questione‖ in esame di tipo interpretativo, ossia una soluzione che consenta
di giungere al riconoscimento della tutela cautelare oltre il primo grado di
giudizio attraverso un‘interpretazione ―costituzionalmente orientata‖ del dato
normativo vigente, così da evitare un giudizio di legittimità costituzionale.
Difatti, sebbene sia stata la stessa Corte costituzionale a sollecitare questo
tipo di soluzione, e pur apprezzando lo sforzo ermeneutico in tal senso
compiuto da autorevole dottrina27, tuttavia questo tipo di soluzione si scontra
inevitabilmente con una formulazione (più che delle norme delegate,
soprattutto) della norma delegante [30, 1° co., lett. h), l. n. 413 del 1991]
chiaramente diretta a circoscrivere la previsione della tutela cautelare nel
processo tributario al solo primo grado di giudizio.
Giuseppe Corasaniti
Professore associato di diritto tributario
Università degli Studi di Brescia
27
Il riferimento è a F. Randazzo, Poteri di sospensione del giudice di secondo grado
in pendenza del ricorso in cassazione: un importante passo in avanti verso la
pienezza della tutela cautelare, op. cit., 851 e 852.
142
Avv. Caterina Corrado Oliva
L‟anomala coesistenza di riscossione frazionata e
sospensione cautelare
SOMMARIO: 1. Pregevoli gli obiettivi della riforma ma urgenti le necessità
di intervento e coordinamento. - 2. La riscossione frazionata, istituto legato
alle sue origini storiche e poco compatibile con l‘evoluzione normativa. 3. La
concentrazione della riscossione nell‘accertamento e la sospensione
cautelare oltre il primo grado: la riscossione frazionata è sempre più
incoerente con il sistema.
1 Pregevoli gli obiettivi della riforma ma urgenti le necessità di
intervento e coordinamento.
La riforma, che è oggetto dell‘odierno convegno, per quanto apparentemente
limitata dal punto di vista normativo, sia perché ―abbozzata‖ in un'unica
norma di legge inserita nell‘ambito di una decretazione di urgenza 1, sia
perché al momento riferita soltanto a determinate fattispecie di imposizione
sui redditi e Iva2, ha tuttavia una portata dirompente e vastissima nel nostro
sistema tributario.
1
Art. 29, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv. in l. 22 luglio 2010, n. 122.
Come è noto, l‘art. 29, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv. in l. 22 luglio 2010, n.122,
modifica l‘attuale sistema di riscossione dei tributi, prevedendo che, a partire dal 1°
luglio 2011, l‘avviso di accertamento e il connesso provvedimento di irrogazione
delle sanzioni emessi dall‘Agenzia delle Entrate ai fini delle imposte sul reddito e
dell‘imposta sul valore aggiunto diventino esecutivi decorsi sessanta giorni dalla loro
notifica. La norma sarà applicabile, quindi, ai periodi di imposta in corso alla data del
31 dicembre 2007 e successivi.
La norma, dunque, è limitata a imposte sui redditi e imposta sul valore aggiunto. Non
solo, essa è circoscritta, nell‘ambito di tali imposte, a quelle fattispecie che sono
verificate tramite l‘emissione di avvisi di accertamento. Non rientrano, quindi, nella
riforma le fattispecie, pur in tema di imposte sui redditi e Iva, che sono oggetto di
liquidazione e controlli formali ex art. 36-bis e 36 ter, d.p.r. n. 600 del 1973, nonché
ex art. 54 bis d.p.r. n. 633 del 1972. In tal senso, si è espressa quasi unanimemente la
dottrina. Cfr. A. CARINCI, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento
―esecutivo‖ ex d.l. n. 78/2010, in Riv. dir. trib., 2011, 159 ss.; A. GIOVANNINI,
Riscossione in base al ruolo e agli atti di accertamento, in Rass. trib., 2011, 22 ss.
Un problema che si è posto, ed è stato ad oggi risolto positivamente dalla dottrina (la
medesima sopra richiamata), riguarda la ricomprensione o meno dell‘Irap nella
disciplina in questione. La novella, invero, non la contempla esplicitamente; tuttavia,
2
L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA
E SOSPENSIONE CAUTELARE
Appare criticabile la mancanza di una adeguata ponderazione della riforma e
dei suoi diretti riflessi sulle numerose tematiche connesse, e quindi la
sussistenza di diversi problemi di coordinamento, che sfociano talora in
possibili censure di incostituzionalità3, ma è comunque da apprezzare
l‘indicazione, coraggiosa, di una nuova via da seguire per velocizzare e
semplificare la fase della riscossione 4: eliminare inutili passaggi formali 5 e
rendere l‘avviso di accertamento già titolo esecutivo della pretesa impositiva.
E‘ compito della dottrina, a questo punto, segnalare al legislatore i profili
critici, le necessità di coordinamento, le distonie, le lacune da colmare, con
riguardo a specifici problemi normativi, direttamente o indirettamente toccati
dalla riforma6.
Uno dei problemi senz‘altro più delicati, su cui mi sembra opportuno
brevemente soffermarsi, riguarda la carenza di tutela del contribuente nei
la sua natura di imposta sui redditi ed il suo accertamento in connessione con queste e
con l‘Iva, rende possibile e giustificabile considerarla ricompresa.
3
A. CARINCI, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex d.l. n.
78/2010, in Riv. dir. trib., 2011, 159 ss., in particolare 162, così scrive
significativamente (e poi puntualmente dimostra la tesi nelle pagine successive del
proprio intervento): ―La scelta attuata con il DL n. 78/2010 di rendere esecutivo
l‘avviso di accertamento, proprio perché nei fatti innovativa, se non nel fine certo
nelle modalità, avrebbe suggerito una riflessione più meditata; una riflessione, di
contro, esclusa a priori dallo strumento impiegato della decretazione d‘urgenza. Una
riflessione che – come meglio si vedrà – avrebbe dovuto coinvolgere non solo la
disciplina procedimentale della riscossione, ma altresì quella sul processo tributario,
nella misura in cui la concentrazione delle funzioni di accertamento e riscossione, per
come la si è voluta realizzare, potrebbe implicare ipotesi di grave pregiudizio per
talune insopprimibili garanzie del contribuente‖.
4
Sulla portata innovatrice della riforma particolarmente da individuarsi nella scelta di
fondo e nella direzione scelta, cfr. il commento ―a caldo‖ di C. G LENDI, ―Luci‖ ed
―ombre‖ sulla manovra 2010, Editoriale, in Corr. trib., 2010, 2645 ss., in particolare
25648, laddove si legge: ―nonostante questi lati «oscuri», emerge la bontà della scelta
di fondo, che è stata coraggiosa e meritevole di particolare apprezzamento. Cogliendo
segnali già chiaramente manifestati in dottrina, si è finalmente avvertito quanto fosse
ormai anacronistica la traslazione dell‘efficacia esecutiva dell‘atto impugnato, posto
in essere dall‘ente impositore, ad un successivo atto, pur esso dello stesso ente, ma
destinato ad essere riprodotto nelle cartelle di pagamento, che sono invece atti propri
dell‘organo della riscossione, e si è dunque riportata al primo la qualità di titolo
esecutivo, abolendo l‘iscrizione a ruolo e la cartella di pagamento, il cui contenuto è
anch‘esso rifluito nell‘atto impositivo‖.
5
Ci si riferisce, in particolare, al ruolo, che, già a seguito di Corte cost. 15 luglio
2005, n. 280, è mero passaggio di consegne, ―interno‖, tra organi amministrativi quali
sono l‘Amministrazione finanziaria e il concessionario (oggi, Equitalia s.p.a., ad
intera partecipazione statale).
6
Significativo, al riguardo, già nel titolo, oltre che ovviamente nel testo, il lavoro di
G. INGRAO, Il difficile inserimento sistematico di una evoluzione strutturale, in Dial.
trib., 2010. L‘evoluzione è quindi strutturale, ma l‘inserimento sistematico è
delicatissimo.
144
L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA
E SOSPENSIONE CAUTELARE
confronti dell‘eventualità di una mancata o viziata notifica dell‘atto di
accertamento.
Sotto tale profilo, il sacrificio imposto al contribuente, con riguardo alle sue
possibilità di conoscere tempestivamente e di reagire alle pretese del Fisco,
appare piuttosto marcato, inutile e, tra l‘altro, rischia di trasformarsi in un
boomerang per la riscossione, sotto diversi profili.
Con l‘eliminazione del ruolo e della cartella di pagamento, infatti, l‘avviso di
accertamento diventa l‘unico atto col quale il contribuente viene a
conoscenza della pretesa vantata dal Fisco. E quell‘atto, autoritativo ed
unilaterale, è l‘unico che egli riceve prima di ritrovarsi assoggettato ad una
espropriazione forzata.
Senza contare appunto che, se il contribuente non riceve neppure quello, a
causa di un vizio di notifica (purtroppo molto frequente), si ritroverebbe
d‘emblée pignorato!
Se la notifica dell‘avviso non fosse andata a buon fine, infatti, potrebbe
divenire esecutivo un atto impositivo senza che il contribuente ne abbia mai
avuto conoscenza e senza che abbia avuto la possibilità di contestarlo.
E non può dirsi che le problematiche di notifica degli atti tributari siano di
poco conto, ―casi di scuola‖. Il dibattito al riguardo è da sempre molto
acceso, non soltanto sulla sanabilità dei vizi in caso di proposizione del
ricorso7, ma anche su diversi profili di invalidità contestati dai contribuenti8.
Ebbene, con la riforma, che renderà l‘avviso di accertamento unico atto
necessario e sufficiente a procedere all‘esecuzione forzata, è facile prevedere
che una corretta notifica di esso sarà sempre più un elemento chiave 9.
Ciononostante, sulla base degli attuali parametri normativi della esecuzione
forzata tributaria, nei quali si inserirà la riforma, il contribuente non avrebbe
alcuna tutela immediata di fronte all‘azione esecutiva in caso di notifica
viziata dell‘atto di accertamento.
7
Ormai ammessa dalla Cass., Sez. Un., 5 ottobre 2004, n. 19854 salvo che non si
tratti di vizi di inesistenza, ovvero che non sia nel frattempo – cioè prima della
proposizione del ricorso - maturata la decadenza dal potere impositivo (decadenza che
il contribuente è onerato ad eccepire insieme con il vizio di notifica). Cfr. sul punto C.
GLENDI, Le Sezioni Unite si pronunciano sulla sanatoria dei vizi di notifica degli atti
impugnati nel processo, in Corr. trib., 2004, 3711 ss.
8
Con riguardo, ad esempio, alla corretta compilazione della relata di notifica ovvero
alla possibilità di una spedizione per posta direttamente dagli uffici finanziari senza la
intermediazione di un soggetto terzo notificatore. Per i vari problemi della notifica
degli atti tributari, sia consentito il rinvio a M.G. B RUZZONE, Notificazioni e
comunicazioni degli atti tributari, Cedam, 2006, nonché alla rassegna di
giurisprudenza ID., Orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in tema di
comunicazioni e notificazioni degli atti del processo tributario, in Dir. prat. trib.,
1994, 309 ss. (prima parte) e 903 ss. (seconda parte).
9
E‘ anzi prevedibile, ed auspicabile, maggior rigore nella verifica delle notifiche da
parte dei giudici.
145
L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA
E SOSPENSIONE CAUTELARE
Invero, l‘art. 57, primo comma, lettera b), d.p.r. 602/1973, esclude la
proponibilità, in materia tributaria, delle opposizioni all‘esecuzione e agli atti
esecutivi per questioni di notificazione del titolo esecutivo 10.
Si tratta di una macroscopica lesione del diritto di difesa. Il contribuente, in
altri termini, potrà subire una esecuzione senza avere mai ricevuto alcunché
da parte dell‘Amministrazione finanziaria, e non avrà la possibilità di reagire
per contestare il vizio di notifica!
Tutta la dottrina chiede a gran voce un intervento legislativo di
coordinamento, e in particolare la modifica di tale norma con il
riconoscimento della possibilità per il contribuente di proporre opposizione
per vizio di notifica dell‘avviso di accertamento.
Certamente, il legislatore dovrà occuparsi di questo vuoto di tutela del
contribuente, prima che la Corte Costituzionale intervenga a censurarlo. Del
resto, si tratta, di fatto, di un ritorno al solve et repete11, già diversi anni
orsono eliminato dal nostro sistema proprio a cura del Giudice delle Leggi 12.
Nel condividere pienamente le richieste in tal senso di tutti i primi
commentatori della riforma13, non si può peraltro mancar di notare come un
intervento di questo tipo rischierebbe di travolgere la ratio dell‘odierna
riforma: se il contribuente potesse rivolgersi al giudice dell‘esecuzione per
far valere i vizi di notifica degli atti impositivi (come è imprescindibile che
sia, se tali atti sono gli unici che precedono l‘esecuzione), considerati i tempi
medi di definizione delle controversie dinanzi ai giudici ordinari, ben più
lunghi di quelli dei giudizi tributari, e rilevato che in questi casi è probabile
10
Per completezza, si precisa che la norma vieta il ricorso all‘art. 617 c.p.c. in materia
tributaria anche per questioni relative alla regolarità formale del titolo esecutivo.
Cfr., sul punto, C. GLENDI, ―Luci‖ ed ―ombre‖ sulla manovra 2010, in Corr. trib.,
2010, 2645 ss.; G. INGRAO, Il difficile inserimento sistematico di una evoluzione
strutturale, in Dial. trib., 2010.
11
Stando all‘odierna formulazione, invero, per evitare l‘espropriazione dei propri
beni, il contribuente dovrebbe pagare l‘imposta e poi - eventualmente - tentare di
ripetere l‘indebito, con tutte le obiezioni di legittimità costituzionale già anticipate e
soprattutto con le difficoltà nella configurazione di una siffatta azione. Problematiche
analoghe erano state sollevate a seguito della riforma che ha abolito l‘avviso di mora:
cfr. al riguardo C. GLENDI, Abolizione dell‘avviso di mora: si torna al ―solve et
repete‖?, in Corr. trib., 1999, 2833 ss.
12
C. Cost., 31marzo 1961, n. 21. Sul punto si veda C. MAGNANI, Incostituzionalità del
solve et repete, in Dir. e prat. trib., 1961, II, 153 e ss.
13
Cfr., per tutti, C. Glendi, Luci e ombre sulla Manovra 2010, in Corr. trib., 2010,
2645 ss., in particolare 2649. Lo stesso A. propone, anche, una interpretazione
―costituzionalmente orientata‖ della norma, conforme all‘art. 24 cost, per affermare
già sin d‘ora l‘ammissibilità dell‘opposizione del contribuente volta ad eccepire
l‘omessa notifica dell‘avviso di accertamento. Nello stesso senso, G. I NGRAO, Il
difficile inserimento sistematico di una evoluzione strutturale, in Dial. trib., 2010.
146
L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA
E SOSPENSIONE CAUTELARE
sia concessa la sospensione dell‘esecuzione, la riforma finirebbe per
aumentare – anziché diminuire – i tempi della riscossione14.
In conclusione, il pesante sacrificio alle garanzie del contribuente (per
l‘eliminazione, in particolare, della notifica della cartella di pagamento),
addirittura a rischio di illegittimità costituzionale, neppure pare giustificato
dai suoi fini, in relazione ai quali anzi rischia di porsi come serio ostacolo.
Non comunque è possibile fare bilanci prima ancora che diventi operativa
una riforma. Si possono solo fare previsioni, o commenti sulla apparente
idoneità della stessa a raggiungere gli scopi prefissati. E, particolarmente
sotto il profilo richiamato, pare che la riforma possa essere controproducente.
Ma nell‘analisi di tutti i profili più delicati già si muovono, pregevolmente e
in modo completo, tutti gli interventi dell‘odierno convegno.
Credo, quindi, possa essere utile ed interessante analizzare anche, oltre ai
pregi e difetti della riforma e alle connessioni per così dire ―dirette‖ con altri
istituti normativi che ne sono incisi, quelle fattispecie che, pur non
direttamente incise dalla riforma, potrebbero, de iure condendo, necessitare
di un ripensamento, vista la direzione15 assunta dalla riforma.
Anzi, questa valutazione, cui mi accingo con specifico riguardo al tema della
riscossione frazionata nei suoi rapporti con la sospensione cautelare, per
quanto solo indirettamente connessa con la riforma, mi pare importante
proprio perché la riforma in esame, per la sua ―essenzialità‖, è apprezzabile
più nelle linee generali e negli obiettivi fissati che nella loro, ancora
superficiale e poco coordinata, attuazione normativa.
2 La riscossione frazionata, istituto legato alle sue origini storiche e
poco compatibile con l‟evoluzione normativa.
Come è noto, l‘istituto della riscossione frazionata o ―gradata‖ comporta che
il tributo (e relativi interessi), in pendenza di un giudizio sulla sua legittimità,
sia riscosso soltanto in parte, sulla base di quote normativamente individuate.
In passato, la riscossione frazionata del tributo in pendenza del processo era
delineata diversamente nelle singole leggi di imposta.
Successivamente, è stata fissata, nell‘art. 68, d.lgs. n. 546 del 1992, una
disciplina unitaria per tutti i tributi, ma solo con riferimento alle fasi
processuali che seguono la sentenza di primo grado.
14
Senza contare che i giudici ordinari saranno per natura ben più severi dei giudici
tributari nel valutare le notifiche degli atti impositivi, spesso non proprio ―esemplari‖.
15
La dottrina, per la riforma in commento, ha parlato proprio di ―prospettiva
ribaltata‖, di ―inversione dell‘ordine di marcia‖ rispetto alla direzione fino ad oggi
seguita: si è detto, in particolare, che il legislatore non ha più inteso caricare di
funzione impositiva l‘atto di riscossione, quanto di funzione esattiva quello di
accertamento. ―Se la montagna non va da Maometto, Maometto va alla montagna‖.
Così, sempre, A. CARINCI, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento
―esecutivo‖ ex d.l. n. 78/2010, in Riv. dir. trib., 2011, 159 ss., in particolare 161.
147
L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA
E SOSPENSIONE CAUTELARE
In sostanza, per la riscossione del tributo in pendenza del primo grado di
giudizio (e quindi prima della sentenza della Commissione provinciale),
occorre ancora far riferimento alle singole leggi di imposta, e alle varie
differenze da esse previste16; dopodiché, per la riscossione successiva alla
sentenza di primo grado o a quella di secondo grado, la disciplina è prevista
dall‘art. 68 menzionato in forma unitaria per tutti i tributi, sicché le
corrispondenti regole per le singole imposte debbono ritenersi abrogate 17.
Ad esempio, con riguardo alle imposte sui redditi, il tributo, in pendenza del
giudizio di primo grado, può essere iscritto a ruolo per il 50%. Dopo la
sentenza di primo grado, che rigetti il ricorso, il tributo deve essere pagato
per i due terzi; dopo la sentenza di secondo grado, ancora negativa per il
contribuente, dovrà essere versato il residuo 18.
16
Per le imposte sui redditi, l‘art. 15, primo comma, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602,
prevede l‘iscrivibilità a ruolo della sola metà delle imposte dovute (in passato, la
quota iscrivibile era un terzo). La stessa norma è applicabile all‘Iva in forza dell‘art.
23 d.lgs. n. 46 del 1999. Una iscrizione provvisoria, pur in pendenza di giudizio di
primo grado, è prevista anche per l‘imposta di registro, ex art. 56 d.p.r. n. 131 del
1986, nonché per l‘imposta sulle successioni e donazioni, ex art. 40 d.lgs. n. 346 del
1990. Altri tributi, invece, non conoscono tale istituto (es. tributi locali).
17
Art. 15, secondo comma, e 40 d.p.r. n. 602 del 1973, per le imposte sui redditi; art.
60, commi dal secondo al quinto, d.p.r. n. 633 del 1972, per l‘Iva; art. 56 d.p.r. n. 131
del 1986, per l‘imposta di registro. Sul punto, l‘opinione di dottrina e giurisprudenza
non è unanime. Invero, una corrente minoritaria ritiene che, in forza della precisazione
testuale dell‘art. 68 citato laddove scrive ―anche in deroga a quanto previsto nelle
singole leggi di imposta‖, siano state implicitamente abrogate anche tutte le norme
delle singole leggi di imposta che prevedano una riscossione qualsivoglia prima della
sentenza di primo grado e che, per tutti i tributi, valga solo e soltanto la disciplina
dell‘art. 68. In tal senso, alcuna giurisprudenza di merito: Comm. trib. reg. Piemonte,
29 marzo 1999, n. 16, in Boll. trib., 2000, 939 nonché, più recentemente, Comm. trib.
prov. Roma, 4 settembre 2009, n. 329, in Corr. trib., 2010, 1277 ss. con nota di F.
Napolitano, L‘iscrizione a ruolo provvisoria tra tutela del contribuente ed esigenze di
―restyling‖. In senso contrario, tuttavia, si è espressa la Suprema Corte (Cass., sez.
trib., 13 maggio 2003, n. 7339, in Riv. giur. trib., con nota di F. RANDAZZO)
ricordando che l‘art. 15 d.p.r. 602 del 1973 era originariamente composto da te commi
e che il primo rimaneva esistente, mentre i successivi dovevano ritenersi abrogati
dall‘art. 68 d.lgs. n. 546 de 1992. Nello stesso senso, già l‘Amministrazione
finanziaria, con circ. 23 aprile 1997, n. 98/E.
18
Per la precisione, l‘art. 68, primo comma, d. lgs. n. 546 del 1992 così statuisce:
―anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi di imposta, nei casi in cui è
prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle
commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere
pagato:
a) per i due terzi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale che
respinge il ricorso;
b) per l‘ammontare risultante dalla sentenza della commissione tributaria
provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie
parzialmente il ricorso;
148
L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA
E SOSPENSIONE CAUTELARE
Ebbene, una siffatta normativa è finalizzata a temperare la normale
esecutorietà dei provvedimenti amministrativi, con funzione evidentemente
cautelare per il contribuente19. Si vuol, cioè, evitare che, nelle more della
decisione su un avviso di accertamento che si protesta come illegittimo,
l‘intera pretesa sia esecutiva nei confronti del contribuente.
Al tempo stesso, non si può né si vuole eliminare in radice la possibilità per
l‘Amministrazione finanziaria di riscuotere il tributo in pendenza del
giudizio, per esigenze di tutela della riscossione 20 oltreché per evitare ricorsi
meramente dilatori.
Così, per bilanciare i due contrapposti interessi, si è introdotto un sistema,
tutto sommato rozzo, che ―fraziona‖ le due esigenze e, a seconda dello stato
di avanzamento del contenzioso, progressivamente aumenta la tutela della
riscossione rispetto a quella cautelare del contribuente.
Questo nella, un po‘ superficiale, considerazione che più si va avanti nel
processo, più è probabile che la pretesa sia fondata 21.
L‘istituto della riscossione gradata ha origini storiche, nel senso che risale a
quando le Commissioni tributarie erano organi per lo più amministrativi, che
formavano l‘avviso di accertamento e contribuivano, progressivamente, alla
determinazione dell‘imponibile e dell‘imposta dovuta. Allora, i ―tre‖ livelli
crescenti di riscossione, correlati all‘atto impositivo, la decisione di prime
cure, la decisione di secondo grado, restavano giustificati dalla contestuale
formazione progressiva dell‘imponibile.
Ma oggi l‘istituto ha perso giustificazione e logica, per la diversa natura delle
Commissioni tributarie, ma soprattutto per l‘introduzione, sempre nel d.lgs.
n. 546 del 1992, all‘art. 47, della sospensione cautelare dinanzi alla
Commissione tributaria provinciale.
Le Commissioni tributarie, infatti, sono certamente organi giurisdizionali,
che controllano la legittimità dell‘avviso di accertamento, e non partecipano
alla formazione della fattispecie impositiva.
Ma l‘istituto della riscossione frazionata, nonostante l‘innegabile modifica in
senso giurisdizionale delle Commissioni, è rimasto, logicamente giustificato
per tutti coloro che ricostruiscono natura del processo tributario
c)
per il residuo ammontare determinato nella sentenza della commissione
tributaria regionale‖.
19
Ha sottolineato la funzione cautelare dell‘art. 68 in commento, G. BELLAGAMBA, Il
contenzioso tributario dopo il d.l. n. 259/1996, Utet, 1996, 208.
20
Insiste più su tale profilo di tutela delle ragioni dell‘Amministrazione finanziaria, S.
LA ROSA, Principi di diritto tributario, 2006, 377, il quale sottolinea come, nell‘art.
68 in commento, sia l‘efficacia esecutiva, che normalmente accompagna l‘avviso di
accertamento, ad essere sospesa e a progressivamente venir reintegrata.
21
Scrive però C. GLENDI, L‘esecuzione delle sentenze e la disciplina transitoria, in Il
nuovo processo tributario di F. Moschetti – L. Tosi, Cedam, 1999, 153: ―ricordo
pagine bellissime di libri che dicevano che, più avanti si va, maggiore è il rischio di
disastri‖.
149
L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA
E SOSPENSIONE CAUTELARE
nell‘accertamento della fattispecie impositiva, e quindi vedono la sentenza
come sostitutiva dell‘atto impugnato 22, ancora da coloro che lo ricostruiscono
nell‘annullamento- sostituzione dell‘atto impositivo. Buona parte della
dottrina, tuttavia, indipendentemente dalla propria posizione in tema di
natura del processo tributario, nega alla sentenza efficacia sostitutiva della
pretesa tributaria, e riconosce che le iscrizioni provvisorie ex art. 68, pur
prendendo a parametro l‘imponibile deciso dall‘organo giurisdizionale,
hanno a proprio fondamento non la sentenza ma l‘atto di imposizione
impugnato che rimane titolo per la riscossione 23.
Lasciati per ora da parte le delicate problematiche circa la natura del processo
tributario, e anche riguardo a quale sia il titolo legittimante la pretesa, se
l‘atto di accertamento (il ruolo, ante riforma) ovvero la sentenza 24, resta
comunque a minare le basi dell‘istituto della riscossione frazionata, più che
ogni altra considerazione, la previsione nel nostro ordinamento tributario
della sospensione cautelare giudiziale (art. 47 d. lgs. n. 546 del 1992).
Essa rappresenta una diversa e più specifica risposta all‘esigenza di tutela
cautelare del contribuente nelle more del processo: il giudice, invero, valuta
se sospendere o meno la riscossione, in base al fumus e al periculum di quella
specifica vertenza.
Ma, per effetto della vigenza dell‘istituto della riscossione frazionata, tale
specifica valutazione del giudice deve restare, incongruamente, limitata alla
quota che, in quel grado di giudizio, può essere pretesa. E cioè il giudice
decide se sospendere o meno il 50 per cento dell‘imposta, giacchè l‘altro 50
22
Da ultimo, ancora dopo la recente riforma, A. Giovannini, Riscossione in base al
ruolo ed in base ad atti di accertamento, in Rass. trib., 2011, 23 ss. in particolare 31,
laddove scrive: ―in termini generali, a me non sembra azzardato ricondurre la sentenza
tra i titoli giuridici per la riscossione: attenendo al merito del rapporto controverso,
essa può essere qualificata come sostitutiva dell‘atto impugnato. In poche parole, se si
muove, com‘è mia opinione, dalla qualificazione del processo come accertamento del
rapporto e dunque del diritto di credito in contestazione, è coerente al sistema vedere
nella sentenza il ―nuovo‖ titolo legittimante l‘esazione delle somme in essa stabilite‖.
L‘A., con riguardo alla recente riforma e al richiamo dell‘art. 68 in commento nell‘art.
29 l. n. 122 del 2010, conclude rilevando che ―l‘Agenzia deve notificare al
contribuente avviso di determinazione delle somme dovute ai sensi dell‘art. 68 d.lgs.
n. 546 del 1992‖.
Ora, a me pare, piuttosto, che tale necessità di rinotificare un atto, di determinazione
del nuovo importo da pagare, non sia imposto soltanto da necessità esecutive, di
assolvere correttamente alla funzione di intimazione ad adempiere indicando
precisamente la somma dovuta, ma sia testimonianza ulteriore che, nel processo che
ne occupa, titolo legittimante l‘esazione delle somme non possa mai essere la
sentenza.
23
Così, per tutti, F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, 2006, 397 ss.; G.
FALSITTA, Manuale tributario, 2003, 504.
24
Problema, quest‘ultimo, ancora molto controverso specie in tema di sospensione
cautelare oltre il primo grado. Cfr. C. GLENDI, Verso la costituzionalizzazione della
tutela cautelare oltre il primo grado, in Corr. trib., 2010, 2041 ss.
150
L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA
E SOSPENSIONE CAUTELARE
% non può essere preteso, è sospeso ex lege dell‘art. 15 d.p.r. n. 602 del
1973.
Trattasi di incongruenza già denunciata dalla dottrina25, che appare sempre
più incoerente con il sistema, soprattutto per effetto della odierna riforma
della riscossione, volta a renderla più veloce ed efficiente, e anche a seguito
del recente ampliamento giurisprudenziale della sospensione cautelare oltre il
primo grado di giudizio.
3 La concentrazione della riscossione nell‟accertamento e la
sospensione cautelare oltre il primo grado: la riscossione frazionata è
sempre più incoerente con il sistema.
L‘art. 29, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv. in l. 22 luglio 2010, n. 122,
modifica l‘attuale sistema di riscossione dei tributi, prevedendo che, a partire
dal 1° luglio 2011, l‘avviso di accertamento e il connesso provvedimento di
irrogazione delle sanzioni emessi dall‘Agenzia delle Entrate ai fini delle
imposte sul reddito e dell‘imposta sul valore aggiunto diventino esecutivi
decorsi sessanta giorni dalla loro notifica.
Ciò determina un mutamento della natura dell‘avviso di accertamento che, da
atto essenzialmente ―impositivo‖, diviene anche ―esattivo-esecutivo‖26.
Nel sistema attuale, ante riforma, infatti, l‘avviso di accertamento è emesso
dall‘Amministrazione finanziaria per modificare la rappresentazione della
fattispecie tributaria fornita dal contribuente 27 e per avanzare la pretesa di una
maggiore imposta; solo a seguito dell‘iscrizione a ruolo, da effettuarsi decorsi
sessanta giorni dalla notifica dell‘avviso di accertamento, si forma il titolo
esecutivo che appunto coincide con il ruolo. Successivamente, dopo la
25
C. GLENDI, L‘esecuzione delle sentenze e la disciplina transitoria, in Il nuovo
processo tributario di F. Moschetti – L. Tosi, Cedam, 1999, 153, laddove si legge
―ritengo che se l‘avviso di accertamento, che ha valenza di provvedimento, quindi
immediatamente produttivo di effetti, è un provvedimento fondato, inattaccabile, ora
che c‘è la sospensione cautelare, o viene sospeso oppure, se non viene sospeso, deve
avere piena attuazione. Non si capisce perché ci debba essere una forma di
graduazione successiva e tanto meno comprendo perché poi ci debba essere una
situazione di riscossione progressiva frazionata tra la sentenza di primo grado e la
sentenza di secondo grado‖.
26
Cfr. al riguardo A. CARINCI, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento
―esecutivo‖ ex d.l. n. 78/2010, in Riv. dir. trib., 2011, 159 ss.; M. BRUZZONE,
L‘avviso di accertamento diventa ―titolo esecutivo‖ per imposte sui redditi ed IVA, in
Corr. trib., 2010, 2230 ss.
27
G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Cedam, 2010, definisce gli atti
impositivi quali ―atti autoritativi diretti al contribuente, con i quali si modifica (in
misura più o meno estesa) la rappresentazione della fattispecie tributaria da questi
fornita, ovvero si sopperisce alla mancanza di tale doverosa rappresentazione
determinando gli elementi rilevanti per la quantificazione del tributo dovuto‖. ― A
questi atti è riconducibile l‘effetto di legittimare l‘Amministrazione finanziaria a
riscuotere le somme dovute in base alla suddetta determinazione‖.
151
L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA
E SOSPENSIONE CAUTELARE
notifica della cartella di pagamento28, che ha funzione di atto di ―precetto‖, e
dopo l‘infruttuoso decorrere di sessanta giorni da essa, l‘Agente della
riscossione può procedere all‘esecuzione forzata.
Con la riforma, invece, tutti questi passaggi sono stati soppressi, con
l‘evidente intento di velocizzare la riscossione: l‘avviso di accertamento sarà
chiamato a svolgere anche la funzione di titolo esecutivo e precetto. Non
sarà, dunque, più necessaria né l‘iscrizione a ruolo né la notifica della cartella
di pagamento29.
Il contribuente avrà sempre la possibilità di impugnare l‘avviso di
accertamento entro sessanta giorni dalla notifica, ma dovrà sapere che,
decorso tale termine, l‘atto diventerà esecutivo (sia esso impugnato o meno 30)
e, dopo altri trenta giorni, l‘esecuzione sarà presa in carico dall‘Agente della
riscossione.
Sarà quindi necessario che il contribuente, se ne sussistono i presupposti 31,
proponga già insieme con il ricorso anche l‘istanza di sospensione cautelare.
E‘ bene precisare, tuttavia, che la eventuale impugnazione da parte del
contribuente non è del tutto irrilevante sotto il profilo dell‘esecuzione.
E questo, non solo perché si potrà richiedere la sospensione cautelare alla
Commissione tributaria, ma soprattutto perché l‘atto sarà provvisoriamente
esecutivo, nella pendenza del giudizio di primo grado, solo per la metà
dell‘imposta, ai sensi dell‘art. 15 d.p.r. n. 602 del 1973, e, poi, nei successivi
28
Ovvero dopo l‘eventuale avviso di intimazione nei casi di cui all‘art. 50, comma 2,
d.p.r. n. 602 del 1973 e cioè nei casi in cui l‘esecuzione non sia iniziata entro un anno
dalla notifica della cartella.
29
L‘art. 29 d.l. 78/2010 precisa invero che ―l‘avviso di accertamento … ed il
connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni, devono contenere anche
l‘intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all‘obbligo
di pagamento degli importi negli stessi indicati …‖, che essi ―divengono esecutivi
decorsi sessanta giorni dalla notifica‖ e che ―devono espressamente recare
l‘avvertimento che, decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la
riscossione delle somme richieste, in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione a
ruolo, è affidata in carico agli agenti della riscossione, anche ai fini dell‘esecuzione
forzata‖.
30
Fermo restando l‘obbligo di rispettare i limiti di cui all‘art. 15 d.p.r. 602 del 1973
(iscrizione della metà dell‘imposta), nella pendenza del primo grado di giudizio, e poi,
dopo la sentenza di prime cure, quelli di cui all‘art. 68 d.lgs. n. 546 del 1992.
31
Naturalmente, nel valutare il periculum in mora, saranno superate le perplessità
delle molte Commissioni tributarie di merito che, giustamente, concedevano
sospensione cautelare soltanto in presenza della cartella di pagamento, ritenendo che
la semplice notifica dell‘avviso di accertamento, il quale non aveva efficacia
esecutiva, non rappresentasse un pericolo attuale e quindi non fosse meritevole di
tutela cautelare. A partire dal 1° luglio 2011 questo problema non si porrà più dal
momento che, come visto, la natura impositiva ed esecutiva dell‘atto si fonderanno
insieme nell‘avviso di accertamento. A. CARINCI, Prime considerazioni sull‘avviso di
accertamento ―esecutivo‖ ex d.l. n. 78/2010, in Riv. dir. trib., 2011, 175 ss.; C.
GLENDI, Nuove frontiere per la tutela cautelare, in Corr. trib., 2010, 2163 ss.
152
L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA
E SOSPENSIONE CAUTELARE
gradi di giudizio, secondo le regole e i limiti di cui all‘art. 68, d.lgs. n. 546
del 1992. Entrambe le norme sono espressamente fatte salve dalla riforma.
Non c‘è più l‘iscrizione a ruolo a titolo provvisorio di metà dell‘imposta,
quindi, ma rimane la provvisoria esecutività per metà. Cambiano i passaggi
formali, non cambia la sostanza32.
Senza contare che quella stessa metà imposta, già esecutiva, può essere
sospesa in via cautelare dalla Commissione di primo grado; e poi, ancora, i
due terzi dell‘imposta stabilita dalla sentenza di prime cure, eseguibili a
norma dell‘art. 68 citato, possono a loro volta essere sospesi in secondo
grado, seguendo le recenti aperture in tal senso della Corte costituzionale33.
E allora, davvero la riforma velocizza la riscossione? Certo, toglie passaggi
formali. Non sarebbe stato meglio togliere queste assurde ―frazioni di
imposta‖ automaticamente ineseguibili? Eventualmente, rimettendo alla
valutazione della Commissione tributaria la sospensione cautelare dell‘intera
imposta recata dall‘avviso di accertamento, in quanto interamente esecutivo?
Già che l‘ordinamento prevede la possibilità di accedere ad una specifica
valutazione del caso concreto da parte della Commissione, e quindi alla
sussistenza del fumus boni iuris del ricorso, nonché delle ragioni di periculum
in quella particolare vicenda, perché non rimettere a tale più vicina
32
Lo stesso, per il ruolo straordinario, istituto che era stato introdotto per consentire
all‘ente creditore di iscrivere l‘intero importo, risultante dall‘avviso di accertamento
non definitivo, qualora vi fosse fondato pericolo per il positivo esito della riscossione.
Con la riforma del 2010, il legislatore, all‘art. 29, lett. c), d.l. 78/2010, mantiene la
possibilità di anticipare il momento della riscossione prevedendo che ―in presenza di
fondato pericolo per il positivo esito della riscossione, decorsi sessanta giorni dalla
notifica degli atti di cui alla lettera a), la riscossione delle somme in essi indicate, nel
loro ammontare integrale comprensivo di interessi e sanzioni, può essere affidata in
carico agli agenti della riscossione‖ anche prima del decorrere dei termini sopra
indicati. Anche in tale ipotesi, dopo la notifica dell‘avviso di accertamento, non è però
necessario l‘adempimento di ulteriori formalità (e quindi, l‘iscrizione a ruolo
straordinario) per procedere direttamente all‘esecuzione. Ancora, quindi, si saltano
alcuni passaggi formali, ma la sostanza non cambia.
Vi sono, però, lesioni del diritto all‘informazione e alla difesa del contribuente, posto
che questo sistema di esazione straordinaria fa sì che il contribuente sia privato della
possibilità di conoscere i motivi che hanno indotto l‘Agenzia a procedere in tal senso,
limitando così il diritto di difesa del debitore. A. GIOVANNINI, Riscossione in base al
ruolo e agli atti di accertamento, in Rass. trib., 2011, 22 ss.
33
C. Cost., 17 giugno 2010, n. 217, in Corr. trib., 2010, 2401 ss. con nota di C.
GLENDI, Verso la costituzionalizzazione della tutela cautelare oltre il primo grado,
nonché in Riv. giur. trib., 2010, 848 con nota di F. RANDAZZO, I poteri di sospensione
del giudice di secondo grado in pendenza del ricorso in cassazione: un importante
passo in avanti verso la pienezza della tutela cautelare.
Ancora, sempre in tema, cfr. recentemente C. GLENDI, Sulla sospensione della
riscossione dei tributi in pendenza di ricorso per cassazione, in Riv. giur. trib., 2011,
73 ss.
153
L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA
E SOSPENSIONE CAUTELARE
valutazione del caso l‘intera pretesa impositiva ed invece sprecare il lavoro
limitandolo a metà imposta (o due terzi dell‘imposta)?
Perché, ad esempio, concedere automaticamente ad un contribuente che
proponga un ricorso (o un appello) del tutto infondato, solo al fine di prender
tempo, che l‘imposta sia eseguita solo per metà (o per i due terzi)?
E‘ evidente che la finalità della riforma, di render più efficiente e veloce il
sistema di esazione dei tributi, è certamente tradita dalla c.d. riscossione
frazionata.
L‘istituto sempre più appare anacronistico, del tutto incompatibile con il
sistema, che tende invece a tutelare sia le ragioni della riscossione che le
esigenze cautelari del contribuente ben diversamente che tramite un rozzo
frazionamento di imposta eseguibile: dal lato dell‘Amministrazione, si tende
ad una riscossione più veloce, anticipata, correlata già all‘atto impositivo, che
non ammette, dunque, quanto meno sul piano degli obiettivi dichiarati 34, una
esecuzione ―a rate‖, automaticamente ritardata; dal lato del contribuente, il
sistema muove correttamente verso una più specifica, e più garantistica,
valutazione dei presupposti cautelari del singolo caso concreto per ogni grado
di giudizio.
34
Anche se, come si è visto, sul piano normativo, l‘art. 29 l. n. 122 del 2010 fa
espressamente salvo, e richiama, sia l‘art. 15 d.p.r. n. 602 del 1973 che l‘art. 68 d.lgs.
n. 546 del 1992.
154
Avv. Paolo de‟Capitani di Vimercate
La cooperazione internazionale in materia di
accertamento e riscossione
SOMMARIO: 1. Il contesto internazionale di riferimento. - 2. Lo scambio di
informazioni nelle convenzioni internazionali. - 3. La normativa comunitaria
in materia di scambio di informazioni. - 4. L‘assistenza alla riscossione nelle
convenzioni internazionali. - 5. La normativa comunitaria sulla riscossione
all‘estero dei crediti tributari.
1 Il contesto internazionale di riferimento
La globalizzazione ha comportato la necessità per i Governi e le
amministrazioni finanziarie dei vari Paesi di intensificare il contrasto
all‘evasione e all‘elusione fiscale internazionale.
La mobilità dei fattori produttivi e in generale la possibilità di
delocalizzare rapidamente le attività economiche e finanziarie sono infatti
fenomeni - spesso aiutati da regimi fiscali o legali di favore - che nonostante
contribuiscano allo sviluppo della concorrenza di mercato incidono
negativamente sulla stabilità economica dei singoli Paesi. La globalizzazione
ha infatti accentuato di riflesso anche la ―concorrenza economica‖ tra i Paesi
e per questo anche la concorrenza fiscale.
Al fine dunque di combattere tale fenomeno si è ravvisata la necessità di
un intervento congiunto e collaborativo dei singoli Stati, i quali si sono
attivati tramite l‘azione di diversi organismi internazionali.
Nazioni Unite, G-7, G-20, World Trade Organizazion (WTO), Fondo
Monetario Internazionale (FMI), Banca Mondiale, Banca Internazionale per
la Ricostruzione e lo Sviluppo (IBRD) e Banco Interamericano de Desarollo
(BID), nonché OCSE e Unione Europea con interventi anche coincidenti, in
più occasioni hanno auspicato - e stimolato – l‘ introduzione di regole fiscali
comuni al fine di limitare la patologica riduzione del gettito fiscale derivante
dalla globalizzazione del mercato. Tale fenomeno è causato essenzialmente
dalla difficoltà di accertare - e quindi tassare – taluni tipi di reddito in quanto
derivanti da fattori volatili, a fronte invece di altri redditi che – facilmente
individuabili - sono meno esposti al rischio di erosione della base imponibile
nazionale. Il problema è inoltre accentuato dalla concorrenza fiscale
intrapresa dagli Stati al fine di attrarre gli investimenti esteri, oltre che
dall‘avvento dalle nuove tecniche di comunicazione che hanno permesso la
realizzazione dell‘off-shore electronic commerce (spesso sfruttato quale
attrattiva economica proprio dai Paradisi fiscali) e la delocalizzazione o la
esterovestizione di redditi e sedi societarie.
Un altro fattore che può avere incoraggiato fenomeni evasivi a livello
internazionale è stata l‘emanazione della direttiva n. 88/361/CEE del 24
giugno 1988, la quale istituendo il regime di liberalizzazione valutaria
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
all‘interno dell‘Unione europea a partire dal 1° luglio 1990 ha sancito la
caduta delle barriere valutarie
È chiaro dunque come nelle ipotesi in cui atti economicamente rilevanti
siano produttivi di effetti oltre i confini di un unico Paese l‘effettivo esercizio
della sovranità fiscale non possa prescindere da accentuate forme di
cooperazione internazionale, e ciò tanto più per i Paesi che adottano un
sistema di imposizione reddituale su base mondiale 1.
Comunemente ciò prende il nome di ―cooperazione fiscale
internazionale‖, e com‘è stato autorevolmente rilevato essa si sostanzia nella
―attività coordinata, ma distinta, di organi interni di due o più Stati, mirante
di volta in volta ad adattare i fini di uno di essi indifferentemente, fini
trovanti rispondenza negli analoghi degli altri, aventi egualmente diritto alla
loro attuazione‖2.
Tale collaborazione può tuttavia realizzarsi solo attraverso una
disciplina comune che permetta ai singoli Stati di esigere dagli altri
assistenza ai fini dell‘accertamento e della riscossione delle imposte oltre i
propri confini nazionali, garantendo cioè tra i vari Stati in modo effettivo la
condizione di reciprocità nell‘assistenza in materia fiscale. In tal senso lo
stesso Consiglio dell‘Unione europea nelle premesse alla recente direttiva n.
2011/16/UE del 15 febbraio 2011, emanata in materia di cooperazione
amministrativa nel settore fiscale (non ancora recepita in Italia), ha rilevato
che ―Nell‘era della globalizzazione la necessità per gli Stati membri di
prestarsi assistenza reciproca nel settore della fiscalità si fa sempre più
pressante. (...) Per questo motivo uno Stato membro non può gestire il
proprio sistema fiscale interno, soprattutto per quanto riguarda la fiscalità
diretta, senza ricevere informazioni da altri Stati membri. Per ovviare agli
effetti negativi di questo fenomeno è indispensabile mettere a punto una
nuova cooperazione amministrativa fra le amministrazioni fiscali dei diversi
Stati membri. È necessario disporre di strumenti atti a instaurare la fiducia
fra gli Stati membri mediante l‘istituzione delle stesse norme e degli stessi
obblighi e diritti per tutti gli Stati membri‖3.
Nell‘ordinamento sovranazionale possono distinguersi differenti
tipologie di fonti normative volte alla cooperazione fiscale internazionale, le
quali si differenziano tra loro non tanto a motivo delle finalità perseguite poiché, appunto, sostanzialmente comuni - bensì per gli Stati e i Paesi
rispetto ai quali svolgono i propri effetti e per i vincoli, più o meno stringenti,
imposti agli Stati.
1
Lo scambio può tuttavia servire anche al Paese della fonte: v. per esempio il caso
deciso dal Bundesfinanzhof in data 29 aprile 2008, I R 79/07, relativo al trattato
Germania-Cina, pubblicato in Tax Treaty Case Law, www.ibfd.com e in BFH/NV,
2008, 1807.
2
In tal senso, v. Udina, Il diritto internazionale tributario, Padova, 1949, 428 ss.
3
V. anche Comunicazione della Commissione europea del 29 aprile 2009,
COM/2009/201, sulla ―Promozione della buona governance in materia fiscale‖,
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2009:0201:FIN:IT:PDF
156
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
A livello internazionale, la principale fonte di regolamentazione in
materia di scambio di informazioni fiscali è l‘art. 26 del Modello OCSE di
Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni internazionali, adottato
poi nei singoli trattati bilaterali conclusi dai vari Paesi. La norma è stata
peraltro recepita nel 2008 anche all‘interno dell‘art. 26 del Modello ONU di
Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni.
V‘è poi la Convenzione di Strasburgo del 1988, intitolata ―Convenzione
multilaterale sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale‖ che è
stata promossa congiuntamente dall‘OCSE e dal Consiglio d‘Europa.
I Paesi nord europei hanno invece concluso nel 1989 la Nordic
Convention on Mutual Administrative Assistance in Tax Matters.
L‘Italia e i Paesi del Centro Interamericano de Administraciones
Tributarias4 (CIAT) nel 1999 hanno promosso il Working Group on
Exchange of Information nell‘ambito del quale è stato concluso il CIAT
Model Agreement on Exchange of Tax Information (CIAT Model).
Sempre a livello OCSE, in seguito, il Global Forum Working Group on
Effective Exchange of Information ha redatto nel 2001 il Tax Information
Exchange Agreement (TIEA), quale standard da seguire a livello
internazionale da parte dei singoli Stati per l‘implementazione di accordi
bilaterali finalizzati alla cooperazione fiscale e alla lotta contro le pratiche
fiscali dannose5. Nel 2010, invece, per quanto riguarda la cooperazione
internazionale nelle verifiche fiscali il Forum on Tax Administration
dell‘OCSE ha emanato il Joint Audit Report.
Altre informazioni utili ai fini fiscali possono essere scambiate in
esecuzione di altri accordi, come quelli di cooperazione internazionale in
ambito penale, salva però l‘applicazione del principio di specialità che
talvolta è richiamato da parte del Paese richiesto per impedire l‘utilizzo delle
informazioni al di fuori del contesto (per es. penale) per cui sono richieste 6.
4
Ex amplius, v. http://www.ciat.org/index.php/es/productos-y-servicios/ciatdata.html
V. Turina, I recenti sviluppi internazionali in materia di scambio di informazioni, in
Fiscalità Internazionale, 2, 2010.
6
In giurisprudenza, v. Comm. trib. prov. di Milano, sent. n. 175 del 30 maggio 2000,
dove i giudici, in relazione a un caso concernente un avviso d‘accertamento
riguardante il rinvenimento di somme all‘estero detenute da un contribuente italiano
in violazione della disciplina sul monitoraggio fiscale, hanno stabilito che ―Gli atti
dell‘ufficio delle imposte dirette posti a base del proprio accertamento, conseguenti a
rogatoria con la Svizzera, non possono essere utilizzati nell‘accertamento fiscale in
ossequio alla Convenzione Europea di Assistenza Giudiziaria in materia penale,
atteso che lo Stato elvetico rifiuta l‘assistenza in materia fiscale o valutaria‖. In
dottrina v. Naef, Divagazioni del potere cognitivo del giudice delle rogatorie
internazionali, in Aktuelle Juristische Praxis, 1997, 290 ss.; Bernasconi, La
cooperazione giudiziaria italo-svizzera per le indagini bancarie di carattere penale,
in Metodologie e strumenti per le indagini bancarie e patrimoniali, 1987, 179;
Vogler, Spezialitätsbindung bei der sog.kleinen Rechtshilfe?, GA, 1986, 199; Vogler Wilkitzki, IRG Kommentar, Heidelberg, 1994; Aubert, Relations bancaires et
entraide internationale en matière pénale, in Les nouveaux défis au secret bancaire
suisse, Lausanne e Bellinzona, 1996, 113; Broggini, Irricevibilità della domanda e
5
157
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
In materia di assistenza alla riscossione dei crediti fiscali da parte di uno
Stato estero la fonte più importante è senza dubbio l‘art. 27 del Modello
OCSE.
A livello comunitario, invece, sono state emanate specifiche direttive
quali la n. 77/799/CEE del 19 dicembre 1977 (modificata poi dalla n.
79/1070/CEE del 6 dicembre 1979) in materia scambio di informazioni nel
campo delle imposte dirette e IVA - peraltro recentemente abrogata dalla
direttiva n. 2011/16/UE del 2001 citata - nonché la direttiva n. 76/308/CEE
del 15 marzo 1976 in materia di assistenza nella riscossione all‘estero dei
crediti tributari, la quale di recente è stata abrogata e sostituita dalla direttiva
n. 2008/55/CE del 26 maggio 2008, che a sua volta, dal 1° gennaio 2012, sarà
sostituita dalla direttiva 2010/24/UE.
L‘importanza della cooperazione internazionale è tale che quando essa, come
all‘interno dell‘Unione europea, raggiunge buoni livelli può addirittura avere
effetti collaterali sulla struttura dei sistemi fiscali dei singoli Stati: un
esempio di questo è dato dalle decisioni della Corte di Giustizia 7 che
condannano singoli aspetti dei sistemi fiscali degli Stati membri che
impongono limiti all‘esercizio delle libertà fondamentali non più
giustificabili dalla lotta alla evasione e alla elusione fiscale internazionale, nel
momento in cui queste legittime finalità possono essere contrastate, in linea
con il principio di proporzionalità, attraverso il ricorso alla cooperazione
internazionale.
2. Lo scambio di informazioni convenzioni internazionali.
Oltre all‘obiettivo di eliminare le doppie imposizioni, le convenzioni
bilaterali contro le doppie imposizioni svolgono anche la funzione di
contrasto all‘evasione e all‘elusione fiscale internazionale 8. Il perseguimento
principio di specialità con particolare riguardo alle infrazioni valutarie, in
L‘Assistenza internazionale in materia penale in Svizzera, Milano, 1983, 74-76;
Schultz, Struttura generale della nuova legge svizzera sull'assistenza internazionale
in materia penale, in L‘assistenza internazionale in materia penale in Svizzera,
Milano, 1983.
7
Si pensi alle sentenze in materia di exit tax, solo per fare un esempio, o, ancor di
recente alla sentenza 5 maggio 2011, C-267/09, Commissione / Portogallo, che ha
dichiarato incompatibile con il diritto UE l‘imposizione ai non residenti dell‘obbligo
di nominare un rappresentante fiscale nel caso percepiscano redditi che devono essere
dichiarati in Portogallo.
8
In tal senso, v. Commentario al Modello di Convenzione OCSE, Parigi, 2010,
laddove al par. 16 dell‘Introduzione si indica espressamente che ―In both the 1963
Draft Convention and the 1977 Model Convention, the title of the Model Convention
included a reference to the elimination of double taxation. In recognition of the fact
that the Model Convention does not deal exclusively with the elimination of double
taxation but also addresses other issues, such as the prevention of tax evasion and
non-discrimination, it was subsequently decided to use a shorter title which did not
158
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
di questi obiettivi emerge chiaramente dall‘analisi dei già richiamati artt. 26 e
27 del Modello OCSE di convenzione bilaterale.
Secondo le disposizioni contenute nel paragrafo 1 dell‘art. 26 del
Modello OCSE lo scambio di informazioni 9 può avvenire su richiesta di uno
dei due Stati contraenti, automaticamente tra loro, oppure in modo spontaneo
nei caso in cui ad esempio uno Stato abbia ottenuto informazioni che
potrebbero interessare l‘altro (v. Commentario all‘art. 26 del Modello OCSE,
versione del 22 luglio 2010, par. 9)10.
Queste tre forme di scambio di informazioni possono anche essere combinate
tra loro, dato che in base alla disposizione de qua per gli Stati contraenti non
vi sono limitazioni nella possibilità di scambiare informazioni 11; al riguardo il
Commentario OCSE chiarisce addirittura che ―the Contracting States may
use other techniques to obtain information which may be relevant to both
Contracting States such as simultaneous examinations, tax examinations
abroad and industry-wide exchange of information‖ (v. Commentario all‘art.
26 del Modello OCSE, cit., par. 9.1)12.
include this reference. This change has been made both on the cover page of this
publication and in the Model Convention itself. However, it is understood that the
practice of many member countries is still to include in the title a reference to either
the elimination of double taxation or to both the elimination of double taxation and
the prevention of fiscal evasion‖.
9
Ex multis, v. Adonnino, Lo scambio di informazioni fra amministrazioni finanziarie,
in AA. VV., Diritto tributario internazionale, coordinato da V. Uckmar, Padova,
2005, 1125 ss.
10
Sull‘argomento di veda anche Ardito, La cooperazione internazionale in materia
tributaria, Padova, 2005, 1125 ss.; Guglielmi, Scambio di informazioni: modifiche al
Modello di Convenzione OCSE, in Fiscalità internazionale, 1, 2005, 42 ss.; Persano,
La cooperazione internazionale nello scambio di informazioni: il caso dello scambio
di informazioni in materia tributaria, Torino, 2006; Ruchelman-Shapiro, Exchange of
Information, in Intertax, 2002, 408 ss.
11
V. Antonini, Le novità apportate al Modello ed al Commentario Ocse in tema di sul
reddito e sul capitale, in Riv. dir. trib., 2006, IV, 25.
12
Il Commentario all‘art. 26 del Modello OCSE, al par. 9.1 chiarisce poi che tali
tecniche possono sostanzialmente riassumersi come segue: ―- a simultaneous
examination is an arrangement between two or more parties to examine
simultaneously each in its own territory, the tax affairs of (a) taxpayer(s) in which
they have a common or related interest, with a view of exchanging any relevant
information which they so obtain (see the OECD Council Recommendation C(92)81,
dated 23 July 1992, on an OECD Model agreement for the undertaking of
simultaneous examinations);
- a tax examination abroad allows for the possibility to obtain information through
the presence of representatives of the competent authority of the requesting
Contracting State. To the extent allowed by its domestic law, a Contracting State may
permit authorised representatives of the other Contracting State to enter the first
Contracting State to interview individuals or examine a person‘s books and records,
— or to be present at such interviews or examinations carried out by the tax
authorities of the first Contracting State — in accordance with procedures mutually
159
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
Diversamente dal passato, il modello Ocse prevede ormai che lo scambio di
informazioni possa attivarsi anche per l‘applicazione delle disposizioni
domestiche dello Stato richiedente (cd. broad assistance) e quindi a
prescindere dalla sussistenza di problematiche relative all‘applicazione della
convenzione, come peraltro richiesto ancora da alcune delle convenzioni in
vigore a livello internazionale (impostate sulla cd. narrow assistance).
Nel rispetto del principio di legalità, la richiesta di informazioni incontra
peraltro il limite delle fishing expeditions, e al riguardo il modello Ocse (art.
26, par. 1) stabilisce il compromesso tra l‘interesse dello Stato richiedente e il
divieto di ricerca indiscriminata di prove ammettendo le richieste di
informazioni che siano prevedibilmente rilevanti ai fini di una specifica
verifica fiscale. Posto tale principio, ispirato alla più ampia collaborazione tra
le amministrazioni finanziarie nell‘attività accertativa, tuttavia, v‘è un limite
pratico all‘effettivo e completo scambio di informazioni, dato dalle differenze
degli ordinamenti interessati.
Non è infatti produttiva di effetti la richiesta di particolari informazioni
o di adozione di specifici provvedimenti che non sia conforme alle leggi o
alla prassi amministrativa di uno dei due Stati contraenti. Una specifica
richiesta di provvedimenti finalizzati all‘accertamento o allo svolgimento di
indagini non è vincolante cioè per lo Stato destinatario di tale richiesta, sia
quando ciò integri la violazione delle norme di legge o della prassi
amministrativa di tale Paese, sia quando gli atti oggetto dell‘istanza siano
contrari alle leggi o alla prassi amministrativa dello Stato richiedente (v. art.
26 del Modello OCSE, par. 3)13.
agreed upon by the competent authorities. Such a request might arise, for example,
where the taxpayer in a Contracting State is permitted to keep records in the other
Contracting State. This type of assistance is granted on a reciprocal basis. Countries‘
laws and practices differ as to the scope of rights granted to foreign tax officials. For
instance, there are States where a foreign tax official will be prevented from any
active participation in an investigation or examination on the territory of a country;
there are also States where such participation is only possible with the taxpayer‘s
consent. The Joint Council of Europe/OECD Convention on Mutual Administrative
Assistance in Tax Matters specifically addresses tax examinations abroad in its
Article 9;
- an industry-wide exchange of information is the exchange of tax information
especially concerning a whole economic sector (e.g. the oil or pharmaceutical
industry, the banking sector, etc.) and not taxpayers in particular‖.
Ex amplius, v. Tax Information Exchange between OECD Member Countries: A
Survey of Current Practices, OCSE, Parigi, 1994.
13
Ex multis, v. Brodersen, Limits on the International Exchange of tax information, in
European Taxation, 1987, 139 ss.; Gangemi, International mutual assistance through
exchange of information, in Cahiers de droit fiscal international, IFA, Vol. LXXVb,
1990, 23; Calderon, Taxpayer Protection within the Exchange of Information
Procedure Between State Tax Administrations, in Intertax, vol. 28, Issue 12, in
Kluwer Law International, 2000, 462; Gyongyi Vegh, Towards a Better Exchange of
Information, in European Taxation, IBFD, 2002, 394; Bavila, Some Issues On The
Exchange Of Information Between Revenue Authorities, in Dir. Prat. Trib., 2001, 270;
160
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
Siffatta restrizione è chiaramente motivata dall‘inopportunità che le
Autorità fiscali di un Paese ottengano da Amministrazioni estere o forniscano
loro l‘accesso a notizie o la produzione di atti che esse stesse non potrebbero
ottenere in base ai poteri esercitabili nel loro territorio a causa dei limiti posti
dal loro ordinamento.
Allo stesso modo, in base al paragrafo 3 dell‘art. 26 del Modello OCSE, non
v‘è l‘obbligo in capo a uno dei due Stati contraenti di fornire informazioni
che potrebbero rivelare segreti commerciali, di affari, industriali,
professionali o processi commerciali, oppure informazioni la cui
comunicazione sarebbe contraria all‘ordine pubblico. La richiesta di
informazioni, inoltre, non è ammessa se tesa ad una applicazione delle
imposte contraria alla convenzione bilaterale.
Sulla concreta possibilità di utilizzo delle informazioni ottenute tramite
procedure di scambio di informazioni il Modello OCSE stabilisce peraltro
che esse possano essere usate in procedimenti giurisdizionali e non, benché la
valutazione del loro valore probatorio sia rimessa alla legislazione del Paese
richiedente. A questo riguardo peraltro occorre ricordare che la Cassazione
italiana ha chiarito che ―È legittimo l'avviso di accertamento per redditi esteri
non dichiarati, fondato su un documento proveniente dal Dipartimento del
Tesoro USA ed emesso in base all‘art. 26 della Convenzione USA-Italia,
ratificata con L. 11 dicembre 1985, n. 763, anche in assenza della
sottoscrizione dell‘atto, in quanto non è possibile ritenere che i documenti di
provenienza estera abbiano gli stessi requisiti formali di quelli formati in
Italia‖14.
Il quarto paragrafo dell‘art. 26 prevede poi un obbligo di cooperazione
tra Stati contraenti, obbligando uno Stato a fornire le informazioni richieste
dall‘altro Stato - fatti salvi i casi di cui al terzo paragrafo precedente - anche
qualora il primo non tragga alcun vantaggio da tali informazioni ai fini
dell‘accertamento delle proprie imposte. Secondo il Commentario, al fine di
attuare lo scambio di informazioni previsto dal primo paragrafo dell‘art. 26 in
esame ciascuno Stato contraente deve peraltro adottare le misure legislative e
i provvedimenti amministrativi necessari affinché i suoi organi
amministrativi dispongano dei poteri necessari per l‘ottenimento delle
informazioni richieste, a prescindere dall‘interesse di tali informazioni per lo
Stato destinatario della richiesta15.
Malherbe, Protection of confidential information in tax matters, in Cahiers de droit
fiscal international, IFA, vol. LXXVIb, 1991, 15; Fedele, Prospettive e sviluppi della
disciplina dello scambio di informazioni fra Amministrazioni finanziarie, in Rass.
Trib., 1999, 1, 49; Schenk-Geers, International Exchange of Information and the
Protection of Taxpayers, Alphen aan den Rijn, 2009, 101 e 160; AnarmoulisNethercott, An Overview of Tax Information Exchange Agreements and Bank Secrecy,
in IBFD Bullettin, 2009, 616 ss.
14
Cass., 3 marzo 2000, n. 2390, in Giur. imp., 2000, 844.
15
Al riguardo si veda il par. 19.9 del Commentario all‘art. 26, par. 4, del Modello di
Convenzione OCSE, laddove infatti si indica che ―For many countries the
161
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
L‘art. 26 del Modello OCSE presenta tuttavia lacune in ordine alle
garanzie sulla riservatezza delle informazioni ottenute da parte di uno Stato e
al segreto d‘ufficio, dato che il trattamento delle informazioni ottenute è
rimesso alla tutela offerta dalla legge dello Stato che le ha ottenute. A motivo
quindi di una disomogeneità tra le leggi in materia di riservatezza e segreto
d‘ufficio esistenti tra i due Stati si potrebbero verificare effetti imprevisti
nello Stato di provenienza qualora le leggi dello Stato richiedente fossero
meno rigide. Al riguardo, il Manual on the Implementation of Exchange of
Information Provisions for Tax Purposes redatto dall‘OCSE il 23 gennaio
2006, al paragrafo 56 commentando l‘art. 26, comma 2, del Modello di
convenzione OCSE, indica che ―Any information received should be treated
as confidential. The Model Agreement provides that the information received
may be disclosed only to persons or authorities (including courts and
administrative bodies) concerned with the assessment, collection and
enforcement of the taxes covered by the Agreement (including the
prosecution or the determination of appeals) and the information may be
used only for such purposes. Information may not be disclosed to any other
person or third jurisdiction without the express written consent of the
competent authority of the requested party‖.
Si rilevi peraltro che all‘interno del Modello OCSE nulla è disposto
relativamente all‘eventuale diritto di intervento del contribuente durante la
procedura di scambio di informazioni e reciproca assistenza tra le
Amministrazioni interessate. Ciononostante si ritiene che il contribuente
sottoposto ad indagine possa far valere i propri diritti e interessi in seno alla
procedura di richiesta e acquisizione dei dati da parte di uno dei due Stati,
nonché in quella del successivo utilizzo dei medesimi da parte dell‘Autorità
richiedente16.
Alcuni Stati, peraltro, al fine di promuovere la cooperazione
combination of paragraph 4 and their domestic law provide a sufficient basis for
using their information gathering measures to obtain the requested information even
in the absence of a domestic tax interest in the information. Other countries, however,
may wish to clarify expressly in the convention that Contracting States must ensure
that their competent authorities have the necessary powers to do so. Contracting
States wishing to clarify this point may replace paragraph 4 with the following text: 4.
In order to effectuate the exchange of information as provided in paragraph 1, each
Contracting State shall take the necessary measures, including legislation, rulemaking, or administrative arrangements, to ensure that its competent authority has
sufficient powers under its domestic law to obtain information for the exchange of
information regardless of whether that Contracting State may need such information
for its own tax purposes‖.
16
Per quanto riguarda tale problematica rispetto alle discipline estere si veda Schenk,
International Exchange of Information and the Protection of Taxpayers, Alphen aan
del Rijn, 2009. Sulla dipendenza di una tutela effettiva dagli obblighi di notifica v.
peraltro anche Seer-Gabert, European and International Tax Cooperation: Legal
Basis, Practice, Burden of Proof, Legal Protection and Requirements, in Bulletin for
Int‘l Fiscal Documentation, 2011/2, par. 5. V. inoltre i contributi di Crazzolara-Lurà
sui casi UBS, citati infra alla nota 36.
162
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
amministrativa per lo scambio di informazioni, oltre a recepire all‘interno
delle singole convenzioni bilaterali il testo dell‘art. 26 del Modello di
Convenzione, hanno concluso anche altri accordi internazionali.
In primo luogo, in materia di mutua assistenza in materia fiscale si
segnala che il 7 dicembre 1989 è stata siglata tra Finlandia, Islanda,
Norvegia, Svezia, Danimarca, Isole Faroer e Groenlandia la Nordic
Convention on Mutual Administrative Assistance in Tax Matters 17 (The
Nordic Assistance Convention), con lo scopo di rendere più efficienti le
verifiche fiscali di interesse di più Stati contraenti permettendo - con
riferimento ad una determinata verifica - la partecipazione congiunta, benché
in maniera indipendente, delle rispettive Autorità fiscali (non solo, quindi, di
quelle appartenenti allo Stato in cui materialmente si svolge la verifica).
Nella stessa materia il 25 gennaio 1988 a Strasburgo è stata siglata la
―Convenzione multilaterale sulla mutua assistenza amministrativa in materia
fiscale‖18 (entrata in vigore il 1° aprile 1995), la quale è stata conclusa sotto
l‘egida dell‘OCSE nell‘ambito del Consiglio d‘Europa affinché la sua
sottoscrizione fosse aperta alla firma degli Stati membri di entrambe le
Organizzazioni.
Ratificata in Italia con legge 10 febbraio 2005, n. 19, obiettivo della
Convenzione è la promozione della cooperazione amministrativa in materia
fiscale in tutte le sue forme, dallo scambio di informazioni all‘assistenza per
il recupero dei crediti di natura tributaria al fine di intensificare la lotta
all‘evasione e all‘elusione fiscale internazionale.
E‘ previsto che lo scambio di informazioni debba avvenire su specifica
richiesta di uno Stato (art. 5) relativamente ad una determinata persona o
transazione e, qualora le informazioni già disponibili negli archivi fiscali
dello Stato interpellato non consentano di dar seguito alla richiesta, detto
Stato dovrà adottare tutti i provvedimenti necessari al fine di fornire allo
Stato richiedente le informazioni richieste.
Anche la procedura di scambio di informazioni automatico è
contemplata, nonostante essa debba essere pattuita espressamente tra due o
più Stati (art. 6). Qualora, poi, uno Stato ritenga opportuno informare un altro
Stato contraente relativamente all‘insorgere di situazioni che possono
determinare un‘anomala riduzione di gettito per l‘altro Stato, il primo Stato
può attivare la procedura di scambio spontaneo di informazioni di cui all‘art.
7 della Convenzione in esame.
Gli Stati contraenti in casi di interesse comune possono inoltre
procedere all‘esecuzione di verifiche fiscali simultanee, ciascuno all‘interno
del suo territorio, in base all‘art. 8 della Convenzione. Le Autorità competenti
di uno Stato contraente possono inoltre ottenere l‘autorizzazione da parte di
17
http://www.itdweb.org/documents/NORDIC%20MUTUAL%20ASSISTANCE%20C
ONVENTION.pdf
18
Reperibile
sul
sito
http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/QueVoulezVous.asp?NT=127&CM=1&C
L=ENG
163
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
un altro Stato contraente al fine di inviare nel territorio di quest‘ultimo
rappresentanti della propria Amministrazione per assistere ad una
determinata verifica fiscale (art. 9).
Deve rilevarsi peraltro che il 14 aprile scorso si è concluso alla Camera
dei Deputati l‘iter per l‘esame del disegno di legge per la ratifica del
Protocollo emendativo della Convenzione in esame, che è stato siglato a
Parigi il 27 maggio 2010. Tale Protocollo si è reso infatti necessario al fine di
allineare il testo della convenzione allo standard dell‘OCSE attualmente
vigente in materia di trasparenza e di scambio di informazioni, adottato
nell‘ambito del Global Forum on Transparency and Exchange of Information
for Tax Purposes istituito in seno a tale Organizzazione nel 200019.
Come riportato dalla relazione di accompagnamento al disegno di legge
di ratifica in questione, il Protocollo di modifica del 2010 ha previsto
modifiche al Preambolo della Convenzione (art. I del Protocollo) e
precisazioni sull‘ambito applicativo dello scambio di informazioni (art. II),
nonché sul livello di dettaglio necessario per le richieste di informazioni da
parte di uno Stato contraente (art. III).
Per quanto riguarda invece l‘adeguamento della Convenzione allo
standard internazionale in materia di scambio di informazioni, l‘art. IV del
Protocollo ha disposto la soppressione del previgente art. 19 della
Convenzione (dove si prevedeva la Possibilità di rifiuto di una richiesta) e
che il segreto bancario e l‘interesse fiscale nazionale non possono essere
invocati a fondamento del rifiuto di scambiare informazioni ai fini fiscali (art.
V)20. In tal senso sono state anche eliminate alcune limitazioni relative
all‘utilizzo delle informazioni scambiate (art. VI).
Il Protocollo definisce, altresì, il rapporto tra lo strumento convenzionale
e il diritto comunitario, prevedendo espressamente che gli Stati membri
dell‘Unione e parte della convenzione possano applicare nelle reciproche
relazioni le disposizioni convenzionali ogni qualvolta esse consentano una
cooperazione più ampia rispetto alle possibilità offerte dalle norme
comunitarie all‘uopo applicabili (art. VII).
Il documento consente peraltro di aprire la Convenzione all‘adesione di
Stati che non sono membri dell‘OCSE né del Consiglio d‘Europa,
richiedendo però ai fini di tale partecipazione il parere favorevole degli altri
Stati che già ne sono membri (art. X).
La Convezione di Strasburgo è quindi il principale strumento
multilaterale a carattere non regionale di cooperazione amministrativa
internazionale in materia di scambio di informazioni. Come visto essa
contempla anche la possibilità di scambiare tra le Autorità fiscali dei vari
Stati contraenti le informazioni in modo automatico, nonostante gli standard
19
In tal senso, v. atto della Camera dei Deputati n. 4143/XVI-163 del 13 aprile 2011,
reperibile dal sito http://documenti.camera.it/Leg16/dossier/Testi/SA4143.htm
20
Peraltro conformemente a quanto disposto dall‘art. 18 della direttiva n. 2011/16/UE.
Al riguardo, v. il successivo par. 4.
164
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
OCSE rispetto ai quali è stata di recente modificata contemplino solo lo
scambio di informazioni su richiesta.
Il Working Group del Global Forum on Transparency and Exchange of
Information for Tax Purposes (breviter, il Forum) nel 2002 ha redatto il
Model Agreement on Exchange of Information on Tax Matters (TIEAs) e tale
modello di Convenzione bilaterale21, diversamente dalla Convezione di
Strasburgo, contempla infatti solo la possibilità di attuare lo scambio di
informazioni su richiesta. Ciò perché si è ritenuto che obbligare tutti gli Stati
ad attuare un sistema di scambio di informazioni su base automatica avrebbe
potuto costituire in numerosi casi un adempimento eccessivamente gravoso 22,
un deterrente cioè nei confronti del loro adeguamento agli standard
internazionali in materia di scambio di informazioni e lotta contro le pratiche
fiscali dannose23.
L‘OCSE per mezzo del Forum si è fatta promotrice del monitoraggio e
della verifica dell‘implementazione degli standard internazionali de quibus
sia da parte degli Stati che ne fanno parte, sia da parte di altre giurisdizioni
(trattasi in totale di 90 giurisdizioni e cioè dei Paesi del G-20, di tutti i
membri dell‘OCSE, nonché di altre giurisdizioni cd. off-shore).
Quest‘attività di verifica e monitoraggio prende il nome di ―peer
review‖ e si svolge essenzialmente in due fasi. Essa in primis mira alla
verifica della legislazione interna di ciascun Paese in ordine alla sussistenza
dei dieci elementi individuati dall‘OCSE la cui esistenza permette di
qualificare il Paese in esame come collaborativo o meno. Trattasi di
caratteristiche della legislazione interna attinenti gli aspetti connessi,
rispettivamente, (i) alla disponibilità di informazioni, (ii) all‘accesso alle
informazioni, nonché (iii) allo scambio di informazioni24. Aver concluso con
21
Principalmente pensata affinché l‘eventuale mancanza di convenzioni bilaterali
contro le doppie imposizioni stipulate tra Paesi, giusta l‘eventuale scarsità tra loro di
rapporti commerciali, e, dunque, l‘assenza di una norma convenzionale simile all‘art.
26 del Modello OCSE, potesse essere colmata per l‘ambito dello scambio
internazionale di informazioni fiscali con un accordo bilaterale che ripetesse
sostanzialmente il contenuto di tale norma.
22
Ciò, nonostante lo scambio di informazioni sia reputato la modalità di scambio più
proficua. Ex amplius, v. Mc Intyre, Viewpoints: How to End the Charade of
Information Exchange, in Tax Notes International, 2009, 257.
23
V. OCSE, Countering Off Shore Tax Evasion. Some Question and Answers on the
Project, pubblicato il 16 dicembre 2009, pag. 14, reperibile dal sito
www.oecd.org/document/21/0,3344,en_2649_37427_42344853_1_1_1_1,00.html
24
V. OECD, The Global Forum on Transparency and Exchange of Information for
Tax Purposes, 20 aprile 2011, par. 19, dove ―The 10 Essential Elements of
Transparency and Exchange of Information for Tax Purposes‖ sono stati stati così
descritti:
A. AVAILABILITY OF INFORMATION
A.1. Jurisdictions should ensure that ownership and identity information for all
relevant entities and arrangements is available to their competent authorities.
165
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
altri Paesi accordi rispettosi degli standard di cui all‘art. 26 del Modello
OCSE e del Modello ONU, oppure convenzioni in linea con il modello
TIEAs, concorre per un esito positivo della verifica 25.
In secondo luogo, qualora un Paese abbia superato positivamente la
prima fase di osservazione, in base al peer review verrà poi verificata la
concreta operatività delle misure ivi adottate in materia di trasparenza (siano
esse di fonte interna o convenzionale). Superando positivamente sia la prima
che la seconda fase di verifica il Paese in esame viene quindi incluso
dall‘OCSE nella white list; se l‘esame ha invece un esito negativo il Paese
viene incluso nella black list.
Se il Paese osservato non supera positivamente la prima fase di verifica,
ne viene valutata in prima battuta l‘assunzione dell‘impegno di introdurre
all‘interno della sua giurisdizione misure volte a migliorare gli ―indici di
trasparenza‖ nonché, poi, la loro effettiva successiva implementazione.
Assumendo solo detto impegno - ma non implementando effettivamente le
A.2. Jurisdictions should ensure that reliable accounting records are kept for all
relevant entities and arrangements.
A.3. Banking information should be available for all account-holders.
B ACCESS TO INFORMATION
B.1. Competent authorities should have the power to obtain and provide information
that is the subject of a request under an EOI agreement from any person within their
territorial jurisdiction who is in possession or control of such information.
B.2. The rights and safeguards that apply to persons in the requested jurisdiction
should be compatible with effective exchange of information.
C EXCHANGING INFORMATION
C.1. EOI mechanisms should provide for effective exchange of information.
C.2. The jurisdictions‘ network of information exchange mechanisms should cover all
relevant partners.
C.3. The jurisdictions‘ mechanisms for exchange of information should have adequate
provisions to ensure the confidentiality of information received.
C.4. The exchange of information mechanisms should respect the rights and
safeguards of taxpayers and third parties.
C.5. The jurisdiction should provide information under its network of agreements in a
timely
manner‖.
Il
documento
è
reperibile
dal
sito
http://www.oecd.org/dataoecd/32/45/43757434.pdf
25
V. OECD, The Global Forum on Transparency and Exchange of Information for
Tax Purposes, cit., Frequently Asked Questions, par. 6.
Sul numero di accordi necessari per essere inclusi nella white list, v. lo stesso
documento, FAQ, par. ―12. Can a jurisdiction be ―whitened‖ by signing with any 12
partners?‖, dove al riguardo si indica che ―The peer review exercise is not limited to
a number‘s game, but goes much more in-depth. Countries will be assessed on their
ability to effectively exchange information. This includes their ability to maintain and
enlarge a network of agreements to the standards with all relevant partners. This
means that 12 agreements to the standards with partners of no relevance would not be
sufficient. It is to be noted that, among the 600 agreements signed or brought up to
the standards, fewer than 10 percent were concluded among jurisdictions which were
considered as not having substantially implemented the standard in April 2009‖.
166
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
misure promesse - il Paese in questione viene incluso dall‘OCSE nella grey
list.
Nonostante l‘iniziale inclusione nella black list o nella grey list
dell‘OCSE un Paese può comunque aspirare alla promozione nella white list
adottando le misure richieste dal Forum. Alla data del 2 maggio 2011 la
black list OCSE non comprende alcuno Stato, mentre nella grey list ne
risultano solo 426.
In base all‘art. 5 del Tax Information Exchange Agreement - similmente
a quanto accade con riferimento all‘art. 26 del Modello OCSE - lo scambio di
informazioni su richiesta si attua nel caso in cui uno Stato contraente richiede
all‘altro precise informazioni fiscali su un dato contribuente che si
qualificano come rilevanti per l‘applicazione della legge dello Stato
richiedente27. Prima dell‘inoltro della domanda, quest‘ultimo Stato deve
26
Per la lista completa, aggiornata al 20 aprile 2011, v. il sito
http://www.oecd.org/dataoecd/50/0/43606256.pdf
27
L‘art. 5 dispone che ―1. The competent authority of the requested Party shall
provide upon request information for the purposes referred to in Article 1. Such
information shall be exchanged without regard to whether the conduct being
investigated would constitute a crime under the laws of the requested Party if such
conduct occurred in the requested Party.
2. If the information in the possession of the competent authority of the requested
Party is not sufficient to enable it to comply with the request for information, that
Party shall use all relevant information gathering measures to provide the applicant
Party with the information requested, notwithstanding that the requested Party may
not need such information for its own tax purposes.
3. If specifically requested by the competent authority of an applicant Party, the
competent authority of the requested Party shall provide information under this
Article, to the extent allowable under its domestic laws, in the form of depositions of
witnesses and authenticated copies of original records.
4. Each Contracting Party shall ensure that its competent authorities for the purposes
specified in Article 1 of the Agreement, have the authority to obtain and provide upon
request:
a) information held by banks, other financial institutions, and any person acting in an
agency or fiduciary capacity including nominees and trustees;
b) information regarding the ownership of companies, partnerships, trusts,
foundations, ―Anstalten‖ and other persons, including, within the constraints of
Article 2, ownership information on all such persons in an ownership chain; in the
case of trusts, information on settlors, trustees and beneficiaries; and in the case of
foundations, information on founders, members of the foundation council and
beneficiaries. Further, this Agreement does not create an obligation on the
Contracting Parties to obtain or provide ownership information with respect to
publicly traded companies or public collective investment funds or schemes unless
such information can be obtained without giving rise to disproportionate difficulties.
5. The competent authority of the applicant Party shall provide the following
information to the competent authority of the requested Party when making a request
for information under the Agreement to demonstrate the foreseeable relevance of the
information to the request:
(a) the identity of the person under examination or investigation;
167
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
tuttavia avere infruttuosamente utilizzato ogni mezzo a sua disposizione per
ottenere l‘informazione richiesta.
Se la richiesta, scritta e circostanziata, è giudicata dallo Stato ricevente
legittima e completa, le Autorità preposte procedono prima confermando allo
Stato richiedente l‘ammissibilità della domanda e, poi, con il recupero delle
informazioni richieste ai fini della successiva trasmissione.
Deve peraltro rilevarsi che già nel 1999 gli standard OCSE in materia di
scambio internazionale di informazioni contenuti nell‘art. 26 del Modello
OCSE e poi all‘interno del TIEA del 2002 erano stati recepiti anche dal
Centro Interamericano de Administraciones Tributarias nel relativo modello
di Convenzione sullo scambio di informazioni fiscali.
Il CIAT Model Agreement on Exchange of Tax Information (CIAT
Model)28, redatto appunto nel 1999 dal Working Group on Exchange of
Information - sponsorizzato dall‘Italia e coordinato dal CIAT (che all‘uopo
ha coinvolto esperti in materia fiscale provenienti da Argentina, Brasile,
Canada, Stati Uniti, Italia e Messico) - disciplina infatti lo scambio di
informazioni tra amministrazioni fiscali in modo simile agli standard OCSE.
Tuttavia, rispetto al TIEA - che come visto contempla solo la modalità di
(b) a statement of the information sought including its nature and the form in which
the applicant Party wishes to receive the information from the requested Party;
(c) the tax purpose for which the information is sought;
(d) grounds for believing that the information requested is held in the requested Party
or is in the possession or control of a person within the jurisdiction of the requested
Party;
(e) to the extent known, the name and address of any person believed to be in
possession of the requested information;
(f) a statement that the request is in conformity with the law and administrative
practices of the applicant Party, that if the requested information was within the
jurisdiction of the applicant Party then the competent authority of the applicant Party
would be able to obtain the information under the laws of the applicant Party or in the
normal course of administrative practice and that it is in conformity with this
Agreement;
(g) a statement that the applicant Party has pursued all means available in its own
territory to obtain the information, except those that would give rise to
disproportionate difficulties.
6. The competent authority of the requested Party shall forward the requested
information as promptly as possible to the applicant Party. To ensure a prompt
response, the competent authority of the requested Party shall:
a) Confirm receipt of a request in writing to the competent authority of the applicant
Party and shall notify the competent authority of the applicant Party of deficiencies in
the request, if any, within 60 days of the receipt of the request.
b) If the competent authority of the requested Party has been unable to obtain and
provide the information within 90 days of receipt of the request, including if it
encounters obstacles in furnishing the information or it refuses to furnish the
information, it shall immediately inform the applicant Party, explaining the reason for
its inability, the nature of the obstacles or the reasons for its refusal‖.
28
http://www.ciat.org/biblioteca/opac_css/doc_num.php?explnum_id=711
168
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
scambio su richiesta - il CIAT Model è sostanzialmente allineato al contenuto
dell‘art. 26 del Modello OCSE, dato che al suo interno oltre a tale modalità di
scambio (art. 4, par. 5) sono espressamente previste anche quella automatica
(art. 4, par. 3) e quella spontanea (art. 4, par. 4).
Nel 2008 anche il Committee of Experts on International Cooperation in
Tax Matters dell‘ONU ha recepito29 i principi contenuti nell‘art. 26 del
Modello OCSE all‘interno dell‘art. 26 dello Schema ONU di Convenzione
contro le doppie imposizioni30.
Da ultimo sempre in materia di mutua assistenza in materia fiscale si
rileva che in ambito OCSE Austria, Canada, Danimarca, Francia, Giappone,
Corea, Messico, Paesi Bassi, Sudafrica, Spagna, Turchia, Regno Unito e Stati
Uniti hanno avviato il Forum on Tax Administration, in seno al quale in
occasione dell‘ultimo incontro tenutosi a Istanbul il 15 e 16 settembre 2010 è
stato emanato il Joint Audit Report31.
Il Report dopo aver analizzato gli aspetti peculiari della legislazione
internazionale esistente in materia di scambio di informazioni fiscali (che
abbiamo qui ripercorso) ha previsto linee guida e raccomandazioni in merito
alla cooperazione in materia fiscale da attuarsi tramite procedure di verifica
tributaria (propriamente definite all‘interno del Report come audits) da
svolgere congiuntamente tra gli Stati, riportando anche l‘esperienza degli
Stati partecipanti al Forum dal quale il documento promana. Esso presuppone
l‘esistenza di una base di disposizioni internazionali (e rinvenibili appunto
dall‘insieme delle fonti normative internazionali esistenti in materia, detto
Framework for Mutual Assistance) secondo le quali operare congiuntamente
per lo svolgimento di siffatte verifiche (v. par. 35 e ss. del Joint Audit
Report).
In sostanza ―A joint audit can be described as two or more countries
joining together to form a single audit team to examine an
issue(s)/transaction(s) of one or more related taxable persons (both legal
entities and individuals) with cross-border business activities, perhaps
including cross-border transactions involving related affiliated companies
organized in the participating countries, and in which the countries have a
common or complementary interest; where the taxpayer jointly makes
presentations and shares information with the countries, and the team
includes Competent Authority representatives from each country. A joint
audit can be activated for all compliance activities that can be
accommodated through (1) the competent authority process outlined in the
tax treaties between the participating revenue bodies and (2) the legal
29
http://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=E/C.18/2008/3/Corr.1&Lang=E
Reperibile
sul
sito
http://unpan1.un.org/intradoc/groups/public/documents/un/unpan002084.pdf.
Si veda anche http://www.un.org/esa/ffd/tax/unmodel.htm
31
http://www.oecd.org/dataoecd/10/13/45988932.pdf
30
169
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
framework that guides the limits of collaboration between the participating
parties‖ (v. par 7 del Joint Audit Report)32.
L‘accordo mira ―(...) to reduce taxpayer burden of multiple countries
conducting audits of similar interests and/or transactions; to improve the
case-selection of tax audits by mutual risk identification and analyses; to
provide as much evidence as possible that the correct and complete income,
expense and tax are reported in accordance with national legislation,
through efficient and effective administrative cooperation; to enhance the
awareness of tax officers of the opportunities available in dealing with
international tax risks; to gain understanding of the differences in legislation
and procedures and if necessary to accelerate the Mutual Agreement
procedure by early involvement of the Competent Authority, where double
taxation is involved; to recognise and learn from the different audit
methodologies in participating countries; to harness the particular strengths
and expertise of team members (for example, valuation experts, economists
or industry experts) from different administrations for the benefit of the joint
audit; to identify and improve further areas of collaboration; and for all
participating countries to reach a joint/mutual agreement on the audit results
to avoid double taxation, as applicable‖ (v. par. 10).
Peraltro secondo il Report ―A joint audit can also contribute to: the
development of enhanced relationships between revenue bodies and
taxpayers33; enhancing the compliance of multinational companies;
providing certainty for taxpayers; a reduction in compliance costs for
taxpayers through the resolution of tax issues in a timely and cost effective
manner; more effective management of tax issues in ―real time‖; increasing
the efficiency and effectiveness of revenue bodies; and more effective
challenges to those taxpayers who push legal boundaries and who rely on
lack of transparency in cross-border transactions‖.
Altri importanti accordi in materia di scambio di informazioni,
specificamente riferiti ai rapporti Svizzera-UE, sono l‘accordo di Schengen e
il cd. Accordo Antifrode, ratificati dalla Svizzera insieme all‘accordo
sull‘euroritenuta in data 17 dicembre 200434. Il primo accordo è in vigore dal
12 dicembre 2009 e prevede all‘art. 50 e ss. l‘estensione della cooperazione
32
Il Report nel seguente paragrafo 8 rileva peraltro che ―The term ―joint audit‖ as
such is not a legal term. In tax matters the term ―joint audit‖ has been used in practice
to express the idea that two or more tax administrations work together. If countries
want to carry out a joint audit, it is first necessary to determine the legal framework
on which they can co-operate. The basis for cooperation can be found in a network of
bilateral and multilateral tax treaties which provide for varying degrees of mutual
assistance (...)‖.
33
See OECD (2008) Study into the Role of Tax Intermediaries, OECD, Paris for an
explanation of the enhanced relationship between a revenue body and large taxpayers
and their advisers.
34
V. al riguardo Bernasconi, Cooperazione svizzera in material fiscale: novità
storiche negli accordi bilaterali bis con l‘Unione europea, in Dir. Prat. Trib. Int.,
2005/2, 379.
170
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
in materia penale anche ai reati fiscali, cosicché anche per questi ultimi è
possibile ottenere l‘estradizione dal territorio svizzero di una persona che per
essi è perseguita (e per i quali all‘interno di tale territorio potrebbe applicarsi
una pena privativa della libertà personale di almeno sei mesi), nonché
ottenere il trasferimento del provento di un reato fiscale (ossia, degli importi
corrispondenti all‘imposta sottratta). L‘Accordo Antifrode permette invece la
scelta fra la cooperazione fra autorità fiscali o fra quelle penali, che può
essere estesa anche relativamente ai procedimenti instaurati all‘estero per
sottrazione fiscale, contrabbando, riciclaggio di proventi derivanti dalla frode
fiscale e per riciclaggio del contrabbando organizzato 35.
I rapporti tra la Svizzera e alcuni Paesi dell‘UE e gli Stati Uniti in
materia di scambio di informazioni si sono peraltro arricchiti di un nuovi
capitoli a seguito di alcuni scandali che hanno colpito alcuni intermediari
elvetici negli ultimi anni, similmente a quanto peraltro avvenuto anche in altri
Paesi, come il Liechtenstein. Si allude evidentemente alla sottrazione di dati
bancari da parte di dipendenti infedeli di questi intermediari, dati che – anche
dietro corrispettivo – sono poi stati forniti alle Amministrazioni finanziarie di
altri Paesi, mettendole a conoscenza di depositi e investimenti non dichiarati
da parte di migliaia di loro contribuenti. La questione è stata anche oggetto,
nei vari casi, di interventi giurisprudenziali e approfondimenti dottrinali ai
quali in questa sede non può che rinviarsi 36.
35
V. al riguardo Bernasconi, Scambio svizzero di informazioni fiscali, rogatorie e
convenzioni contro la doppia imposizione, in Dir. Prat. Trib. Int., 1, 2011, 18.
36
V. in primis Bernasconi, Berlin vs. Vaduz - Effetti fiscali del trafugamento di
informazioni dal Liechtenstein a favore delle autorità fiscali di paesi dell‘Unione
Europea,in Dir. Comm. Int., 2008, 259; Crazzolara-Lurà, Lo scambio internazionale
di informazioni in materia tributaria e la giurisprudenza svizzera, parti I, II e III,
rispettivamente in Dir. Prat. Trib. Int., 2010/1, 547, 2010/2, 1019 e 2010/3, 1507. In
giurisprudenza italiana, in relazione al caso della cd. lista del Liechtenstein, v.
Commissione Tributaria Provinciale di Mantova, sent. n. 137 del 27 maggio 2010,
con nota di Tomassini, Sullo scambio di informazioni tra Stati UE i giudici tributari
contemperano l‘interesse pubblico al contrasto dell'evasione con la tutela del
contribuente, in Giur. Trib., n. 9, 2010, 798, che ha annullato gli avvisi di
accertamento per violazione della disciplina sullo scambio di informazioni e dell‘art.
7 dello Statuto del contribuente; e Commissione Tributaria Provinciale di Milano,
sent. n. 367 del 15 dicembre 2009, la quale ha considerato inattendibili i dati trafugati
e ha quindi parimenti annullato l‘avviso di accertamento impugnato che si fondava
soltanto su di essi. V. anche Succio, Illegittimo l'accertamento fondato su scambi di
informazioni ove non si rispetti la previsione dell‘art. 7 dello Statuto del
Contribuente, in Dir. Prat. Trib. Int., 2010/3, 1555 e Id., Cooperazione internazionale
e scambi di informazioni tra amministrazioni finanziarie: alcune considerazioni, ivi,
2011/1, 163. Si noti peraltro che la Svizzera ha annunciato che non fornirà alcuna
informazione tesa a confermare la veridicità di dati illegittimamente trafugati: v.
avamprogetto LAAF descritto da Bernasconi, Scambio italo-svizzero di informazioni,
cit., 25. All‘estero la Corte di Appello di Parigi e la Corte di Appello di Chambery
hanno deciso in materia diametralmente opposta la questione dell‘utilizzabilità dei
dati della lista Falciani (comperata dalle autorità fiscali francesi e venduta dal sig.
171
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
Occorre infine citare anche l‘accordo di Bruxelles, formalizzato a fine
2009 tra gli Stati Uniti e l‘UE e che, a fini di contrasto al terrorismo, su
richiesta prevede la fornitura alla CIA di tutti i dati bancari, senza incontrare
il limite delle fishing expeditions e del segreto bancario: non è chiaro al
Falciani in violazione della legge svizzera sul segreto bancario). Per la Corte di Parigi
quei dati, illegittimamente acquisiti non sono utilizzabili in Francia, mentre a
Chambery si è detto il contrario. Per quanto peraltro i dati della lista siano stati
inoltrati all‘Italia proprio dalla Francia non sembra che l‘esito della questione
francese, in attesa di una decisione dei supremi giudici di quel Paese, possa
riverberare effetti sull‘utilizzabilità dei dati in Italia, utilizzabilità che dovrebbe essere
valutata a prescindere dalle decisioni dei tribunali di un altro Paese, considerando
anche l‘eventuale violazione o l‘aggiramento della disposizione sullo scambio di
informazioni tra la Svizzera e l‘Italia e le possibili conseguenze, in capo ai
contribuenti, di una tale violazione, oltre ovviamente alla affidabilità dei dati, che non
trovano la loro origine in una verifica fiscale avviata dallo Stato a ciò legittimato, ma
in un trafugamento che potrebbe non garantirne la veridicità. In Germania, il
Bundesverfassungsgericht, con sentenza del 9 novembre 2010 emessa in relazione a
un Verfassungsbeschwerde per violazione del diritto costituzionale di inviolabilità del
domicilio, ha stabilito che i dati sottratti a una banca del Liechtenstein e venduti da un
dipendente infedele della stessa alle autorità tedesche possono costituire valida fonte
di innesco di ulteriori indagini, consistenti nella perquisizione del domicilio del
contribuente i cui dati risultavano sulla lista, che conteneva un elenco di soggetti che
avevano disponibilità estere che non erano state dichiarate al fisco tedesco. Le prove
raccolte durante tale perquisizione domiciliare, consistenti in contabili bancarie
riferite proprio a quei conti esteri, non potevano quindi considerarsi inutilizzabili,
essendo legittimamente acquisite. In Italia, analogamente, v. Vignoli-Lupi, Sono
utilizzabili le informazioni bancarie illecitamente sottratte da impiegati di istituto di
credito esteri?, in Dial. trib., 2009, 1. Si noti peraltro che le autorità svizzere negano
la possibilità di effettuare alcuno scambio di informazioni in relazione a dati
illegittimamente acquisiti, per esempio per violazione del segreto bancario svizzero da
parte di un dipendente della banca elvetica: . Questo frustra evidentemente molte delle
possibilità di costruzione di un quadro probatorio completo in relazione a quelle
indagini che sono appunto scaturite dalle liste di cui sopra (V. Bernasconi, Scambio
italo svizzero di informazioni, cit., par. 3). La questione potrebbe peraltro incidere
anche sul rispetto dell‘art. 6 CEDU, che prevede il diritto a un giusto processo: al
riguardo potrebbe ritenersi che non sia tale il processo che porti a una condanna
fondata soltanto su prove illegittimamente acquisite rispetto al cui utilizzo la parte si
sia tempestivamente opposta: v. Bernasconi, Berlin v. Vaduz, cit. infra alla nota 42 e
la giurisprudenza ivi richiamata.
In materia di utilizzabilità di dati e informazioni illegittimamente acquisiti in Italia
non si può che rimandare, tra gli altri, a Marcheselli, Le garanzie del professionista
nell‘istruttoria tributaria: dalla tutela differita alla tutela inibitoria, in Dir. Prat.
Trib., 2011, I, 1, parr. 4 e ss., oltre alla dottrina ivi richiamata alla nota 10; Id.,
Accertamenti tributari e difesa del contribuente, Milano, 2010; Vanz, La tutela
giurisdizionale diretta e immediata contro le attività di indagine dell‘Agenzia delle
Entrate, della Guardia di Finanza e degli Agenti della Riscossione, in questi stessi atti
del convegno. In giurisprudenza v. tra le altre Cass., 21 novembre 2002, n. 16424, in
Riv. dir. trib., 2002, II, 786, con nota di Fortuna; Cass., 1° ottobre 2004, n. 19689, in
banca dati DeJure; Cass., 16 ottobre 2009, n. 21974 in banca dati DeJure.
172
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
momento se questi dati potranno essere trasmessi anche all‘IRS e,
conseguentemente, anche ad altre Amministrazioni37.
3.
La normativa comunitaria in materia di scambio di informazioni.
La disciplina comunitaria della cooperazione trova le sue basi all‘interno
di taluni provvedimenti di tipo secondario distintamente riferibili alle
differenti tipologie d‘imposte; nessuna specifica norma è stata infatti dettata
in tal senso all‘interno del Trattato istitutivo dell‘Unione europea.
Per quanto riguarda le imposte sul reddito e sul patrimonio, nonché
quelle sui premi assicurativi, è stata emanata la direttiva n. 77/799/CEE del
19 dicembre 1977 (modificata poi dalla direttiva n. 79/1070/CEE del 6
dicembre 1979, nonché integrata dal regolamento del Consiglio 27 gennaio
1992, n. 92/218/CEE per quanto riguarda l‘Iva) recepita in Italia con il d.p.r.
n. 506 del 5 giugno 1982.
Com‘è stato accennato la direttiva n. 77/799/CEE è stata peraltro
abrogata di recente dalla direttiva n. 2011/16/UE del 15 febbraio 2011 (ed
entrata in vigore il successivo 1° marzo), non ancora recepita nel nostro
ordinamento.
La disciplina sullo scambio di informazioni in materia di imposta sul
valore aggiunto, inizialmente rappresentata dalla direttiva n. 79/799/CEE e
dal regolamento n. 92/218/CEE, è confluita poi - in modo unitario e con
integrazioni - all‘interno del regolamento n. 1798/2003/CE del 7 ottobre 2003
e oggi nel regolamento UE n. 904 del 7 ottobre 2010, che ha abrogato il
precedente.
Lo scambio di informazioni in materia di accise è disciplinato invece dal
regolamento n. 2073/2004/CE del 17 novembre 2004 38.
La direttiva n. 77/799/CEE prevede che lo scambio di informazioni
avvenga secondo le modalità in precedenza viste con riferimento all‘art. 26
del Modello OCSE. Gli artt. 2, 3 e 4 della direttiva de qua, rispettivamente
riferibili allo scambio di informazioni su richiesta, automatico e spontaneo,
trovano infatti applicazione senza particolari differenze rispetto a quanto
disciplinato dalle varie disposizioni di tipo sovranazionale esistenti in
materia.
Lo scambio di informazioni di matrice comunitaria non crea infatti
obblighi di attivazione nel caso in cui lo Stato interpellato rilevi che il
richiedente ―non ha esaurito le abituali fonti di informazione che avrebbe
37
V. Anamourlis-Nethercott, The EU-US (―Brussels‖) Agreement on European
Banking Secrecy and the Effect on Tax Information Exchange Agreements, in Bull.
Int‘l Fiscal Doc., 2010/1, par. 5.
38
V. Saponaro, Lo scambio di informazioni tra Amministrazioni finanziarie e
l‘armonizzazione fiscale, in Rass. Trib., 2005, 453 ss.
173
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
potuto utilizzare, secondo le circostanze, per ottenere le informazioni
richieste (...)‖ (art. 2, par. 1).
L‘Amministrazione finanziaria di uno Stato membro può inoltre rifiutare
di fornire informazioni nel caso in cui per motivi di fatto o di diritto il Paese
richiedente non sia in grado di fornire informazioni equipollenti, quando le
informazioni richieste non possano essere ottenute ai sensi della disciplina e
della prassi vigente nello Stato richiesto, oppure quando la loro divulgazione
potrebbe svelare un segreto commerciale, industriale, professionale, un
processo commerciale, o contrastare con l‘ordine pubblico (art. 8).
La Corte di Giustizia ha peraltro confermato che lo scambio di
informazioni spontaneo previsto dall‘art. 4 della direttiva del 1977 deve
intendersi come un obbligo degli Stati membri 39.
Le Amministrazioni coinvolte possono accordarsi al fine di svolgere
accertamenti simultanei, ciascuno nel proprio territorio, quando ―la
situazione di uno o più soggetti di imposta presenta un interesse comune o
complementare (…) al fine di scambiarsi le informazioni così ottenute
quando tali controlli appaiano più efficaci di un controllo eseguito da un
solo Stato‖ (art. 8ter).
In base all‘art. 31bis del d.p.r. n. 600 del 1973 per le imposte dirette, e
all‘art. 65 del d.p.r. n. 633 del 1972 per l‘Iva (come risultanti dalle modifiche
rispettivamente introdotte dagli artt. 1 e 2 del d.p.r. n. 506 del 1982)
l‘Amministrazione finanziaria italiana può infine accordarsi con funzionari
fiscali di altri Stati comunitari affinché essi possano partecipare all‘interno
del nostro territorio allo svolgimento congiunto di verifiche fiscali.
La recente adozione della direttiva n. 2011/16/UE, con cui appunto è
stata abrogata la direttiva n. 77/799/CEE, è stata motivata dalla necessità di
adottare a livello comunitario gli standard Ocse e ampliare l‘ambito
applicativo dello scambio di informazioni.
Sono interessate dalla nuova direttiva le imposte di qualsiasi tipo
riscosse da o per conto di uno Stato membro o delle sue ripartizioni
territoriali o amministrative, comprese le autorità locali, con l‘esclusione però
dell‘Iva, dei dazi doganali e delle accise, per cui come accennato sono
previste disposizioni specifiche (v. art. 2, par. 1 e 2).
Inoltre si considerano ―persone‖ stabilite in uno Stato membro e
interessate dalla direttiva tutte le persone fisiche e giuridiche, nonché enti
privi di personalità giuridica e ―qualsiasi altro istituto giuridico di qualunque
natura e forma, dotato o meno di personalità giuridica, che possiede o
gestisce beni che, compreso il reddito da essi derivato, sono soggetti a una
delle imposte di cui alla presente direttiva‖ (art. 3, par. 11) [dovendosi
considerare compresi nell‘ambito applicativo della direttiva anche tutti gli
istituti giuridici di nuova creazione al pari di quelli già esistenti quali i trust,
39
Corte di Giustizia, 13 aprile 2000, C-420/98, W.N.
174
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
le fondazioni e i fondi d‘investimento (in tal senso, v. Premesse alla dir. n.
2011/16/UE, par. 7)].
È stato inoltre rafforzato lo scambio automatico di informazioni, giacché
ai sensi dell‘art. 8 della direttiva de qua per una serie di tipologie di redditi (e
di capitali40) ivi contemplati tale modalità è diventata obbligatoria41, pur
prevedendo anche modalità di scambio su richiesta o spontaneo (v. artt. 5 e
9).
Il secondo paragrafo dell‘art. 18 della direttiva n. 2011/16/UE ha
previsto che i limiti alla sua applicazione contenuti all‘interno del precedente
art. 17, parr. 2 e 4 - i.e. il caso in cui le indagini o le comunicazioni di
informazioni richieste siano contrarie alla legislazione interna del Paese
richiesto e quello dove lo scambio di informazioni comporti la divulgazione
di un segreto commerciale, industriale o professionale, di un processo
commerciale o di un‘informazione la cui divulgazione sia contraria all‘ordine
pubblico - non possono in nessun caso essere interpretati ―nel senso di
autorizzare l‘autorità interpellata di uno Stato membro a rifiutare di fornire
informazioni solamente perché tali informazioni sono detenute da una banca,
da un altro istituto finanziario, da una persona designata o che agisce in
qualità di agente o fiduciario o perché si riferiscono agli interessi proprietari
di una persona‖42. In base al paragrafo 20 delle Premesse uno Stato membro
40
In base all‘art. 8, comma 1, lett. e), l‘Autorità di ciascuno Stato membro comunica
infatti all‘Autorità di ciascun‘altro Stato membro, mediante scambio automatico, le
informazioni riguardanti anche proprietà immobiliari.
41
Trattasi, per i periodi d‘imposta dal 2014 in poi, di ―a) redditi di lavoro; b)
compensi per dirigenti; prodotti di assicurazione sulla vita non contemplati in altri
strumenti giuridici dell‘Unione sullo scambio di informazioni e misure analoghe; d)
pensioni; e) proprietà e redditi immobiliari‖.
42
Di recente a seguito dei noti fatti di cronaca riguardanti la pubblicazione di dati di
natura fiscale irritualmente acquisiti – nonché della loro successiva acquisizione da
parte delle singole autorità fiscali appartenenti ai vari Stati interessati - in dottrina e in
giurisprudenza si dibatte sulla loro utilizzabilità ai fini dell‘accertamento. Al riguardo
v. Bernasconi, Berlin Vs. Vaduz, effetti fiscali del trafugamento di informazioni dal
Liechtenstein a favore delle autorità fiscali di Paesi dell‘Unione europea, in Dir.
Comm. Int., 2, 2008, 259 ss., che insiste tra l‘altro sulla possibile violazione delle
regole del giusto processo tutelate dall‘art. 6 della CEDU nel caso di utilizzo per
l‘accertamento di prove illegittimamente acquisite; Castiglione, Cooperazione fra
autorità fiscali, accertamento tributario e garanzie del contribuente, in Giustizia
Tributaria, 3, 2009, 258 ss.; Succio, Cooperazione internazionale e scambi di
informazioni tra amministrazioni finanziarie: alcune considerazioni, in Dir. Prat.
Trib. Int., 1, 2011, 189 ss.; Id., nota a Commissione Tributaria di Mantova n. 137 del
22 maggio 2010, in Dir. Prat. Trib. Int., 3, 2010, 1566 ss.; Tomassini, Sullo scambio
di informazioni tra Stati UE i giudici tributari contemperano l‘interesse pubblico al
contrasto dell‘evasione con la tutela del contribuente, cit., 798 ss.; Cardone - Di
Siena, I vizi della fase ispettiva e le conseguenze degli stessi sul provvedimento di
accertamento: considerazioni problematiche alla luce di una recente pronunzia della
Cassazione, in Il Fisco, 44, 2005, 6865 ss. V. inoltre Bernasconi, Scambio svizzero di
informazioni fiscali, rogatorie e convenzioni contro la doppia imposizione, cit., 15 ss.
175
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
non dovrebbe altresì rifiutarsi di trasmettere le informazioni richieste soltanto
perché non vi ha interesse.
Si rileva infine che ai sensi dell‘art. 19 ha trovato applicazione
all‘interno della direttiva de qua il principio della ―nazione più favorita‖. È
previsto infatti che ―quando uno Stato membro presti ad un Paese terzo una
cooperazione più estesa di quella prevista a norma della presente direttiva,
tale Stato membro non può rifiutare tale cooperazione più estesa ad un altro
Stato membro che desideri partecipare a tale cooperazione più estesa con
detto Stato membro‖43.
Per quanto riguarda invece l‘Imposta sul valore aggiunto il regolamento
dell‘UE n. 904/2010 prevede disposizioni sostanzialmente analoghe a quelle
della direttiva n. 77/799/CEE e del regolamento n. 1798/2003/CE. Esso
stabilisce infatti le condizioni secondo le quali le autorità amministrative
degli Stati membri preposte all‘applicazione della disciplina IVA devono
collaborare tra loro e con la Commissione allo scopo di assicurare
l‘osservanza di tale legislazione. Il regolamento definisce quindi norme e
procedure che consentono alle autorità competenti degli Stati membri di
collaborare e di scambiare ogni informazione che possa consentire loro di
accertare correttamente tale imposta (v. art. 1).
Le novità principali che il regolamento de quo ha inserito rispetto alla
previgente disciplina riguardano invece talune nuove modalità di scambio
automatizzato di informazioni per il contrasto delle frodi IVA, istituendo a tal
fine una specifica rete informativa denominata ―Eurofisc‖ (v. art. 33 e ss.) 44.
È stato inoltre istituito un sistema di archiviazione e di scambio di
informazioni mirante a fornire, in modo reciproco e multilaterale tra gli Stati
comunitari, l‘accesso ai dati relativi ai propri rispettivi contribuenti in merito
al settore di attività d‘appartenenza, volume d‘affari, etc. (art. 17 e ss.). Altre
nuove disposizioni riguardano poi la collaborazione tra Amministrazioni
finanziarie per la verifica della sussistenza dei requisiti necessari alla
concessione dei rimborsi IVA in uno Stato membro da parte di un soggetto
passivo stabilito all‘interno di un‘altro Stato membro, relative in particolare
alle modalità di scambio e di conservazione delle informazioni a tal fine
necessarie (art. 48).
In linea con la previgente disciplina sono previste modalità di scambio
di informazioni su richiesta, automatico e spontaneo (v. risp. artt. 7 e 9, 13 e
15).
Per quanto riguarda invece la giurisprudenza internazionale emanata di recente in
materia, sull‘inutilizzabilità dei dati irritualmente acquisiti v. Corte di Appello di
Parigi 8 marzo 2011, mentre in senso opposto v. Corte di Appello di Chambery 22
marzo 2011. In Germania, v. BVerfG, 9 novembre 2011, cit. V. supra nota 36.
43
V. Dürrschmidt, Tax Treaties and the Most-Favoured-Nation Treatment,
particularly within the European Union, in Bullettin for international taxation, 2006,
202 ss.
44
V. Centore, La cooperazione internazionale contro le frodi Iva, in IVA, n. 1, 2011,
su Fisconline.
176
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
Previo accordo tra le Autorità fiscali di due Stati membri vi è inoltre la
possibilità, per i funzionari di uno di questi due Stati, di presenziare nel corso
delle attività di verifica condotte all‘interno dell‘altro Stato (v. art. 28), come
pure è prevista la possibilità di svolgere verifiche fiscali simultanee (art. 29).
Disposizioni analoghe sono state previste dal regolamento n.
2073/2004/CE per quanto riguarda le accise.
Grande impulso alla lotta contro l‘evasione fiscale internazionale è stato dato
dalla introduzione della direttiva sulla tassazione degli interessi da risparmio
2003/48/CE, la quale impone agli Stati membri lo scambio automatico delle
informazioni relative alla percezione di interessi derivanti da alcuni
investimenti finanziari da parte di persone fisiche residenti in un altro Stato
membro. La resistenza di Austria, Belgio e Lussemburgo, che ancora
garantiscono in linea di principio il segreto bancario e temevano una fuga di
capitali verso altri paradisi fiscali e bancari come la Svizzera, il
Liechtenstein, Andora, Montecarlo e altri Paesi, anche asiatici, come
Singapore, ha indotto alla introduzione di un doppio binario, secondo il quale
il regime ordinario di scambio di informazioni automatico su base annuale
non opera nei confronti di questi tre Paesi, i quali per contro si sono
impegnati ad applicare una ritenuta alla fonte sugli interessi in questione – la
cd. euroritenuta -, il cui 75 per cento è poi rimesso alle casse dello Stato di
residenza dei contribuenti percettori, senza però indicazione nominativa di
tali ―contribuenti‖ (che hanno comunque il diritto di rinunciare a questo
sistema, evitando così di subire la ritenuta alla fonte, ormai giunta al 35 per
cento, consentendo al Paese ove detengono gli investimenti di fornire allo
Stato di residenza i loro dati). Il regime dell‘euroritenuta è stato poi esteso
anche ad altri Paesi, non appartenenti alla UE, attraverso accordi di diritto
internazionale con la UE stessa. Sebbene l‘effetto dell‘introduzione della
euroritenuta sia quello di rendere meno convenienti gli investimenti in
questione, il vero problema sta nel fatto che essa non scoraggia a sufficienza
l‘esportazione di capitali frutto di evasione fiscale: l‘evasore domestico,
infatti, sarà sempre disposto a subire una ritenuta, anche gravosa come
l‘euroritenuta, in cambio del segreto sull‘esistenza dei capitali sottratti al
Fisco. E‘ questa una delle ragioni dello stallo nei rapporti italo-svizzeri, a
fronte invece di altri Paesi come il Regno Unito e la Germania, che
parrebbero più condiscendenti rispetto a un incremento della ritenuta
applicata dalla Svizzera.
Va detto, inoltre, che il meccanismo dell‘euroritenuta, così come quello dello
scambio di informazioni presenta molti difetti, quali il fatto di applicarsi solo
nel caso di percezione di interessi (non sono scambiati i dati degli
investimenti che non producono interessi), solo nei confronti delle persone
fisiche e di prestare il fianco a manovre elusive. Manovre che in parte sono
emerse in occasione dello scudo fiscale del 2009, il cui effetto collaterale è
stato proprio quello di confermare i dubbi che già da tempo aleggiavano sul
comportamento di contribuenti residenti e intermediari e Amministrazioni
finanziarie dei Paesi soggetti alla euroritenuta, che consentivano la non
177
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
applicazione di tale imposta attraverso il ricorso ad interposizioni fittizie di
società nella detenzione dei conti correnti o la veicolazione degli investimenti
verso strumenti non inclusi nel campo di applicazione della direttiva, come le
polizze assicurative sulla vita.
Sebbene in base a specifici accordi45 si colpissero alcuni di questi
comportamenti, infatti, il risultato perseguito da queste manovre era quello di
sfuggire alla euroritenuta e allo scambio di informazioni automatico, ben
coscienti del fatto che la possibilità per lo Stato di residenza di ottenere le
informazioni su base individuale era – a livello statistico – assai ridotta.
Per questo motivo, anche su sollecitazione italiana, la Commissione europea
è stata indotta ad avviare una revisione della direttiva 2003/48/CE46, con
l‘obiettivo di contrastare questi fenomeni, estendendo il campo di
applicazione della direttiva anche ad investimenti ulteriori, come le polizze
assicurative sulla vita che abbiano un contenuto finanziario largamente
preponderante (e che pertanto coprano il rischio vita in maniera troppo esigua
per non essere parificate, dal punto di vista fiscale, ad uno strumento
finanziario, essendo inoltre la loro remunerazione connessa a quella di
investimenti che se direttamente effettuati ricadrebbero nel campo di
applicazione della direttiva) e tappandone le falle più vistose, come quella
che consente agli intermediari esteri di considerare come beneficiari effettivi
degli investimenti i veicoli societari panamensi e simili quando invece, ai fini
della più rigorosa disciplina antiriciclaggio già si possiedono i dati degli
investitori effettivi47. Il Parlamento europeo, condividendo lo spirito della
riforma, ha peraltro suggerito alcune modifiche 48 e la strada della modifica
45
V. per esempio il Comunicato del 25 ottobre 2005 del Dipartimento delle politiche
fiscali italiano, che annuncia l‘accordo raggiunto con le autorità svizzere sullo
scambio di informazioni ai fini fiscali in relazione all‘art. 10 dell‘Accordo SvizzeraUE del 2004; accordo secondo il quale, tra l‘altro, costituisce frode fiscale
l‘interposizione nella detenzione degli investimenti di veicoli societari, ciò che
appunto consente lo scambio delle informazioni su richiesta, con i limiti pertanto che
abbiamo già visto sopra, in particolare in relazione al divieto di fishing expedition. V.
inoltre quanto riportato alla nota 36 supra in relazione al rifiuto da parte svizzera di
scambiare informazioni volte a corroborare e confermare i dati contenute in liste
trafugate da dipendenti infedeli.
46
V. la comunicazione (2008) 727 della stessa Commissione europea.
47
L‘assimilazione del beneficiario effettivo ai fini fiscali con quello disciplinato dalle
regole di contrasto al riciclaggio, peraltro, meriterebbe un approfondimento ben
maggiore di quello che è possibile effettuare in questa sede. Si rinvia, tra gli altri, a
Bernasconi, Scambio di informazioni fiscali, rogatorie e convenzioni contro la doppia
imposizione, cit., 16.
48
V. P6_TA-PROV(2009)0325] 22 aprile 2009, ove in particolare si legge: ―[the
directive applies also to] benefits from a life insurance contract where the contract
provides for a biometric risk coverage which, expressed as an average over the
duration of the contract, is lower than 10 % of the initial capital insured and its actual
performance is linked to interest or its actual performance is expressed in or directly
linked to units and more than 40 % of the underlying assets is invested in income of
the kinds referred to in points (a), (aa), (b), (c) and (d).
178
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
non è in discesa, anche per i rapporti con gli Stati terzi interessati
dall‘euroritenuta.
4. L‘assistenza alla riscossione nelle convenzioni internazionali.
La riscossione forzata all‘estero dei crediti tributari vantati da uno Stato
è un aspetto di peculiare importanza per quanto riguarda il soddisfacimento
della pretesa erariale, una volta che questa sia stata accertata.
È pacifico infatti che un Stato non possa esercitare la sua sovranità fiscale
all‘estero e che quindi non possa pretendere di far valere direttamente i
crediti fiscali vantati al di fuori della sua giurisdizione al pari di quanto
avviene per le norme di natura penale 49. Il soddisfacimento di tali crediti può
Where for a unit linked insurance contract a paying agent has no information
concerning the percentage of the underlying assets invested in debt claims or the
relevant securities, that percentage shall be deemed to be above 40 %.
For this purpose any difference between the amounts paid out pursuant to a life
insurance contract and the sum of all the payments made to the life insurer under the
same life insurance contract shall be considered benefits from life insurance contracts.
Where the underwriter of the contract, the insured person and the beneficiary are not
identical, the biometric risk coverage is deemed to be lower than 10 %‖.
49
Il principio è noto nei Paesi di common law come revenue rule. V. tra gli altri il
caso australiano Jamieson v. Commissioner (2007) 9 ITLR 954 (Sup Crt NSW),
richiamato da Baker-Czaert-van Eijsden-Grau Ritz-Kana, International Assistanza in
the Collection of Taxes, in Bull. Int‘l Fiscal Doc., 2011/4-5, in cui la corte australiana
ha ignorato il diritto di credito vantato dal Fisco americano nei confronti di un
contribuente statunitense che aveva beni situati in Australia. V. anche il caso inglese
Government of India v. Taylor (1955) A.C. 1991, e quello americano HM the Queen
in right of British Columbia v. Gilbertson, 433 F. Supp. 410, 597 F.2d 1161 (US
Court of Appeals, 9th Cir., 1979): gli stessi autori citano anche, come eccezione alla
revenue rule, il caso Pasquantino, in cui la Corte Suprema degli Stati Uniti ammise il
concorso del Canada quale creditore nei confronti del reo di un reato fiscale
(contrabbando di alcol con evasione dei dazi all‘importazione in Canada): US v.
Pasquantino 336 F3d 321 (4° Cir. 2003), (2005) 7 ITLR 774 (Sup. Crt.). Si consenta
il rinvio a Uckmar-Corasaniti-de‘Capitani, Manuale di diritto tributario
internazionale, Padova, 2009, 111, dove al riguardo è stato rilevato che ―La questione
è stata varie volte esaminata dalle magistrature straniere ed in particolare da quelle
anglosassoni. Una delle più note sentenze risale al 1928: l‘Olanda aveva intrapreso
un‘azione giudiziaria in Inghilterra al fine di ottenere il riconoscimento del credito per
l‘imposta di successione gravante sul patrimonio di un cittadino olandese, defunto in
patria, e che possedeva immobili in Inghilterra. Il giudice Tomlin dichiarò di non
potere scendere all‘esame del merito della controversia in quanto «vi è una prassi
pienamente riconosciuta che trova applicazione da circa 200 anni, in forza della
quale le Corti inglesi non raccolgono le imposte degli Stati stranieri a beneficio dei
sovrani di tali Stati stranieri». Tale principio è confermato nella Rule 22 del Dicey‘s
Conflict of Laws (ed. 1949) così formulata: «The Court has no jurisdiction at common
179
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
dunque ottenersi solo contando sulla cooperazione dello Stato nel cui
territorio deve avvenire l‘esecuzione.
È proprio al fine di superare tali problemi che gli Stati si sono dotati di
apposite disposizioni convenzionali.
In tal senso, per le attività di riscossione all‘estero dei tributi gli artt. 11
e 12 della ―Convenzione multilaterale sulla mutua assistenza amministrativa
in materia fiscale‖ di Strasburgo del 1988 (retro, par. 2) dispongono
espressamente che qualora uno Stato contraente abbia ricevuto una specifica
law to entertain an action: 1) for the enforcement, either directly or indirectly, of a
penal, revenue or political law of a foreign State, or 2) where the grounds of the
action involve an act of State».
La giurisprudenza delle Corti degli Stati Uniti d‘America è conforme a quella
inglese; a giustificazione del rifiuto di riconoscere le leggi di imposta straniere è stato
affermato che «nessuna obbligazione contrattuale o quasi contrattuale di pagare
sorge dall‘imposizione dei tributi … L‘applicazione delle leggi fiscali trova il suo
fondamento non sul consenso, ma sulla forza e sull‘autorità».
Anche i giudici del continente europeo hanno ripetutamente respinto le azioni
giudiziarie intese ad ottenere l‘applicazione di leggi fiscali straniere.
La Corte Suprema austriaca si è pronunciata in tal senso, pur rilevando che la
regola generale può essere derogata quando siano stati stipulati appositi accordi
internazionali; la Corte Suprema belga con sentenza 18 febbraio 1929 annullò la
decisione d‘un giudice inferiore che aveva accordato l‘exequatur a una pronuncia
straniera in materia di imposta. Uniformandosi alla Corte Suprema il Tribunale di
Charleroi, con sentenza 8 gennaio 1930, nel riaffermare l‘impossibilità per uno Stato
di far valere all‘estero un suo credito tributario, addusse a giustificazione che «la
action n‘à pas pour base un contrat privé, mais bien une loi politique étrangère et la
souverainité réciproque de l‘État s‘oppose à ce qui une loi de ce genre soit appliquée
en dehors des limites territoriales de l‘État qui l‘a promulguée». La Corte di
Cassazione francese, con sentenza 14 aprile 1934, ha affermato che neppure un
privato può agire giudizialmente in Francia per ottenere il rimborso di un‘imposta
pagata all‘estero per conto del convenuto e ciò sempre per le stesse ragioni: «les lois
fiscales sont strictement territoriales»; «le Fisc français ne peut poursuivre devant les
tribunaux étrangers le recouvrement de ces taxes … et que le Fisc étrangers ne
peuvent poursuivre devant les tribunaux français le recouvrement de leurs impôts».
Si è a conoscenza di una sola sentenza italiana che abbia espressamente esaminato
l‘ammissibilità di un‘azione giudiziaria di uno Stato straniero tendente a far valere nel
nostro Paese un credito di imposta: la sentenza della Corte d‘Appello di Genova 14
gennaio 1932 la cui massima recita: «l‘Autorità giudiziaria italiana non ha
giurisdizione a conoscere della domanda proposta dal Console di uno Stato estero in
tale sua qualità (nella specie dal Console della Repubblica Ellenica), diretta ad
ottenere la riscossione della tassa dovuta secondo le leggi fiscali del suo Stato sulla
successione di un suo connazionale apertasi in Italia e riguardante beni esistenti in
Italia»‖. Ex amplius, v. Sacchetto, Territorialità nel diritto tributario, in Enc. dir.,
XLIV, Milano, 1992, 303; Sacchetto, L‘evoluzione del principio di territorialità e la
crisi della tassazione del reddito mondiale nel Paese di residenza, Riv. dir. trib. int.,
2001, 49.
180
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
richiesta da parte di un altro Stato contraente deve attivarsi per la riscossione
dei crediti tributari vantati dallo Stato richiedente come se si trattasse di
crediti tributari propri, adottando i provvedimenti cautelari necessari (solo,
anche in questo caso, su richiesta) anche nei casi in cui la pretesa erariale sia
stata oggetto di contestazione da parte del contribuente o non sia stato ancora
emesso un titolo esecutivo.
A livello OCSE la materia è disciplinata nell‘art. 27 del Modello di
convenzione.
Introdotta nel Modello di Convenzione solo nel 2003, in base a tale
norma gli Stati contraenti si obbligano a fornirsi reciprocamente assistenza
nella riscossione dei tributi di ogni genere e specie. Il suo ambito di
applicazione non è pertanto limitato alle imposte disciplinate dalla
convenzione, né ai soggetti cui si applica la convenzione stessa 50.
La norma dispone che lo Stato destinatario di una richiesta di assistenza
debba procedere con la riscossione di imposte e sanzioni - nonché interessi e
altri costi di riscossione connessi - sui beni del contribuente e secondo le
regole del proprio ordinamento. In particolare affinché il credito possa essere
escusso da parte dell‘Autorità estera il Commentario chiarisce che ―the
revenue claim has to be enforceable under the law of the requesting State
(...)‖; non è quindi sufficiente che la pretesa erariale sia diventata definitiva,
bensì dev‘essere accompagnata da un idoneo titolo che ne legittimi la
riscossione (v. rispettivamente i par. 2 e 3 dell‘art. 27 del Modello OCSE e i
paragrafi 10 e 15 del Commentario allo stesso articolo). Anche i termini
decadenziali relativi al recupero d‘imposta sono regolati dalle disposizioni
presenti nell‘ordinamento dello stato richiedente 51.
Il contribuente non potrà invece proporre eccezioni od opposizioni allo
Stato destinatario della richiesta riguardo al merito della pretesa erariale, in
quanto esse logicamente potranno essere fatte valere solo nei confronti dello
50
Si rileva peraltro che secondo il par. 8 del Commentario all‘art. 27 del Modello
OCSE ―The agreement should also deal with the issue of the costs that will be
incurred by the requested State in satisfying a request made under paragraph 3 or 4.
In general, the costs of collecting a revenue claim are charged to the debtor but it is
necessary to determine which State will bear costs that cannot be recovered from that
person. The usual practice, in this respect, is to provide that in the absence of an
agreement specific to a particular case, ordinary costs incurred by a State in
providing assistance to the other State will not be reimbursed by that other State.
Ordinary costs are those directly and normally related to the collection, i.e. those
expected in normal domestic collection proceedings. In the case of extraordinary
costs, however, the practice is to provide that these will be borne by the requesting
State, unless otherwise agreed bilaterally (...)‖.
51
Il paragrafo 22 del Commentario all‘art. 27 del Modello OCSE, su tale questione al
secondo periodo indica infatti che ―Since paragraph 3 refers to revenue claims that
are enforceable in the requesting State and paragraph 4 to revenue claims in respect
of which the requesting State can take measures of conservancy, it follows that it is
the time limits of the requesting State that are solely applicable‖.
181
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
Stato richiedente52 (v. art. 27, par. 6, del Modello OCSE e il relativo par. 28
del Commentario).
V‘è anche la possibilità di richiedere l‘applicazione di misure cautelari
la quale verrà però evasa seguendo le regole dello Stato in cui devono essere
applicate (e quindi quello che riceve la richiesta: v. par. 19-21 del
Commentario all‘art. 27). Lo Stato può tuttavia respingere detta richiesta se la
sua soddisfazione comportasse una violazione delle sue disposizioni interne o
della sua prassi amministrativa o, più in generale, dell‘ordine pubblico [art.
27, par. 8, lett. b), del Modello OCSE e par. 37 del Commentario]; ovvero
ancora il rifiuto può essere giustificato nel caso in cui il beneficio per lo Stato
richiedente fosse inferiore rispetto al sacrificio sofferto dallo Stato
destinatario della richiesta di assistenza nella riscossione [art. 27, par. 8, lett.
d), del Modello OCSE].
Lo Stato che riceve la richiesta, infine, non è tenuto ad evaderla se
l‘altro Stato non ha ancora infruttuosamente esperito ogni mezzo per la
riscossione del credito fiscale previsto dal suo stesso ordinamento [art. 27,
par. 8, lett. c), del Modello OCSE].
5. La normativa comunitaria sulla riscossione all‘estero dei crediti
tributari.
Con la direttiva n. 76/308/CEE del 15 marzo 1976 in materia di
assistenza nella riscossione all‘estero dei crediti tributari la Comunità
Europea ha disciplinato la collaborazione tra i Paesi membri in materia di
dazi doganali e di Imposta sul valore aggiunto. La direttiva è stata poi
modificata dalla direttiva n. 2001/44/CE del 15 giugno 2001, recepita in Italia
con il d.lgs. n. 69 del 9 aprile 2003, la quale ha esteso l‘assistenza anche ad
altri tributi, ivi comprese le imposte sul reddito e le altre imposte ad esse
equivalenti (comprese quindi le imposte sostitutive). Modifiche successive
sono inoltre intervenute ad opera della direttiva n. 94/2002/CE del 9
dicembre 2002, e della direttiva n. 79/2004/CE del 4 marzo 2004, entrambe
recepite in Italia dal d.lgs. n. 69 del 2003 e dal successivo d.m. 22 luglio
2005, n. 17953.
A motivo dunque delle numerose modifiche che il testo della direttiva n.
76/308/CEE ha subito negli anni, al fine di razionalizzarne e renderne più
chiaro il contenuto - peraltro riproducendolo sostanzialmente - il Consiglio
52
Per un caso giurisprudenziale relativo alla convenzione tra Italia e Germania, v.
Cass., SS.UU., 17 gennaio 2006, n. 760, in Fisconline, con commento di Placido.
53
Per quanto riguarda la riscossione all‘estero dei crediti tributari nella normativa
precedente alle direttive in esame, v. Poggioli, Applicabilità della disciplina
comunitaria di assistenza alla riscossione dei crediti tributari sorti antecedentemente
all‘entrata in vigore della direttiva 76/308/CEE, nota a Corte di Giustizia CE, cause
riunite C-361/2002 2 C-362/2002, in Rass. Trib., 30, 2005.
182
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
dell‘Unione europea ha deciso di abrogarla e sostituirla con la direttiva del 26
maggio 2008 n. 2008/55/CE (v. par. 2 delle Premesse e art. 25), la quale
prevede che gli Stati membri si impegnano ad assistersi reciprocamente per
l‘esecuzione coattiva della riscossione di crediti tributari non soddisfatti 54.
Guardando alla normativa interna attuativa delle disposizioni
comunitarie attualmente vigenti (ossia, la dir. n. 2008/55/CE, con riferimento
alla quale ex secondo comma del suo art. 25 ci si deve rapportare in luogo
della previgente dir. n. 76/308/CEE), l‘art. 5 del d.lgs. n. 69 del 2003 prevede
che, in base ai titoli esecutivi stranieri che lo Stato estero ha trasmesso
all‘Agenzia delle Entrate (v. art. 7, par. 2, dir. n. 2008/55/CE), si proceda alla
loro riscossione come se si trattasse di crediti fiscali italiani, in quanto i titoli
stranieri vengono parificati ai ruoli di cui al d.p.r. n. 602 del 29 settembre
1973.
Il contribuente che intenda contestare il credito o il titolo esecutivo
emesso nello Stato membro richiedente deve adire l‘organo competente di
tale Stato ai sensi delle leggi ivi vigenti (art. 12, dir. n. 2008/55/CE); in tal
caso l‘Agenzia delle Entrate sospende la riscossione del credito de quo fino
all‘emissione di una decisione in merito da parte di tale organo, salvo che lo
Stato estero in cui è stata promossa la contestazione da parte del contribuente
non produca un‘apposita istanza finalizzata a non interrompere la procedura
di esazione già avviata (v. art. 6, d.lgs. n. 69 del 2003, e art. 10, d.m. n. 179
del 2005). Se l‘Autorità estera ne fa richiesta ovvero l‘Amministrazione
finanziaria italiana lo ritiene necessario ex art. 7, d.lgs. n. 69 del 2003, e art.
12, d.m. n. 179 del 2005, quest‘ultima può procedere con l‘adozione di
misure cautelari (art. 13, dir. n. 2008/55/CE).
Si rileva peraltro che, applicando principi in linea con quelli della
direttiva in esame, per quanto riguarda la riscossione dei crediti fiscali di altri
Stati – segnatamente di titolarità tedesca, in applicazione della convenzione
tra l‘Italia e questo Stato – la Corte di Cassazione ha riconosciuto che la
giurisdizione in merito alla pretesa sostanziale dev‘essere riconosciuta al
giudice del Paese le cui Autorità vantano tale pretesa. Relativamente al
contenzioso attinente la procedura di riscossione la competenza è invece
dello Stato in cui detta procedura si svolge e in tal caso la giurisdizione è del
Giudice tributario e non di quello ordinario (v. Corte di Cass., SS.UU., 1°
dicembre 2005, dep. Il 17 gennaio 2006, n. 76055; Cass., SS.UU., 19 febbraio
2008, dep. il 23 maggio 2008, n. 13357).
Analoghi principi sono peraltro stati affermati anche dalla Corte di
Giustizia in relazione all‘interpretazione dell‘art. 12 della direttiva
76/308/CEE56.
54
V. Cusintino, Riscossione in Italia dei crediti fiscali degli Stati esteri e sistema di
tutela giurisdizionale, in Fisconline, 2, 2009.
55
v. Placido, Riscossione in Italia di debiti tributari formati all‘estero L‘impugnazione dell‘avviso di mora va proposta dinanzi al giudice tributario
nazionale, in Fisconline, 26, 2006.
56
Corte di Giustizia, 14 gennaio 2010, C-233/08, Kyrian.
183
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
Ciò significa che la concentrazione della riscossione nell‘accertamento
comporterà la necessità di distinguere i motivi di opposizione all‘avviso di
accertamento fatti valere dal contribuente, così da individuare la giurisdizione
competente tra quella dello Stato richiedente e quella dello Stato richiesto.
La direttiva n. 2008/55/CE a partire dal 1° gennaio 2012 sarà peraltro
sostituita dalla direttiva 16 marzo 2010, n. 2010/24/UE57, la quale è entrata in
vigore il 20 aprile 2010 e che ai sensi del suo art. 28 dovrà essere recepita
dagli Stati membri dell‘Unione europea entro il 31 dicembre 2011.
57
Motivazioni sottostanti all‘emanazione di quest‘ultima direttiva sono rinvenibili nei
paragrafi 1-5 delle sue Premesse, laddove al riguardo si indica che ―1. L‘assistenza
reciproca tra gli Stati membri ai fini del recupero dei rispettivi crediti e di quelli
dell‘Unione derivanti da determinate imposte e altre misure contribuisce al buon
funzionamento del mercato interno. Oltre a garantire la neutralità fiscale, ha
permesso agli Stati membri di eliminare misure di protezione discriminatorie adottate
in relazione alle operazioni transfrontaliere per prevenire frodi e perdite di bilancio.
2. Disposizioni relative all‘assistenza reciproca in materia di recupero sono
state inizialmente stabilite dalla direttiva 76/308/CEE del Consiglio, del 15 marzo
1976, relativa all‘assistenza reciproca in materia di ricupero dei crediti risultanti da
operazioni che fanno parte del sistema di finanziamento del Fondo europeo agricolo
di orientamento e di garanzia, nonché dei prelievi agricoli e dei dazi doganali. Tale
direttiva e i suoi atti modificativi sono stati codificati dalla direttiva 2008/55/CE del
Consiglio, del 26 maggio 2008, sull‘assistenza reciproca in materia di recupero dei
crediti risultanti da taluni contributi, dazi, imposte ed altre misure.
3. Tali disposizioni, se hanno costituito un primo passo verso un miglioramento
delle procedure di recupero all‘interno dell‘Unione grazie all‘avvicinamento delle
norme nazionali applicabili, si sono però rivelate insufficienti per rispondere alle
esigenze del mercato interno quale si è andato evolvendo negli ultimi trenta anni.
4. Per garantire meglio gli interessi finanziari degli Stati membri e la neutralità
del mercato interno, è necessario estendere l‘ambito di applicazione dell‘assistenza
reciproca in materia di recupero ai crediti derivanti da imposte e dazi che ancora non
vi rientrano, mentre per far fronte alle crescenti domande di assistenza e produrre
risultati migliori è necessario rendere l‘assistenza più efficace ed efficiente e
facilitarla nella pratica. Al fine di conseguire tali obiettivi sono necessari importanti
adattamenti, per cui una mera modifica della vigente direttiva 2008/55/CE non
sarebbe sufficiente. La direttiva 2008/55/CE dovrebbe pertanto essere abrogata e
sostituita da un nuovo strumento giuridico che muova dai risultati di detta direttiva
ma preveda, laddove necessario, norme più chiare e precise.
5. Norme più chiare favorirebbero un più ampio scambio di informazioni tra gli
Stati membri. Assicurerebbero inoltre la copertura di tutte le persone fisiche e
giuridiche nell‘Unione, tenendo conto della gamma sempre crescente di istituti
giuridici, inclusi non solo gli istituti tradizionali quali trust e fondazioni, ma anche
qualsiasi nuovo strumento che possa essere creato dai contribuenti negli Stati
membri. Esse permetterebbero altresì di tener conto di tutte le forme che possono
assumere i crediti delle autorità pubbliche derivanti da imposte, dazi, contributi,
restituzioni e interventi, inclusi tutti i crediti pecuniari nei confronti del contribuente
interessato o di terzi che sostituiscono il credito originario. Norme più chiare sono
necessarie soprattutto per definire meglio i diritti e gli obblighi di tutti i soggetti
interessati‖.
184
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
La nuova direttiva - nonostante ai fini della collaborazione
internazionale in materia di riscossione copra sostanzialmente le medesime
imposte considerate dalla direttiva n. 2008/55/CE - introduce importanti
disposizioni in linea con gli standard OCSE (alcune delle quali peraltro
adottate anche all‘interno della direttiva n. 2011/16/UE in materia di scambio
di informazioni).
Per ―persona‖ stabilita o residente in uno Stato membro l‘art. 3 stabilisce
infatti che oltre alle persone fisiche e giuridiche debba intendersi anche, ―(...)
iii) ove la normativa vigente lo preveda, un‘associazione di persone alla
quale è riconosciuta la capacità di compiere atti giuridici, ma che è priva di
personalità giuridica; o iv) qualsiasi altro istituto giuridico di qualunque
natura e forma, dotato o meno di personalità giuridica, che possiede o
gestisce beni che, compreso il reddito da essi derivato, sono soggetti a una
delle imposte di cui alla presente direttiva‖ [dovendosi considerare compresi
nell‘ambito applicativo della direttiva anche tutti gli istituti giuridici di nuova
creazione al pari di quelli già esistenti quali i trust, le fondazioni e i fondi
d‘investimento (in tal senso, v. il par. 5 delle Premesse alla direttiva in
esame)].
La nuova direttiva ha previsto inoltre che qualora uno Stato membro
effettui una richiesta di informazioni ad un altro Stato ai sensi del suo art. 5 al
fine di potere meglio escutere all‘estero i propri crediti tributari, i limiti allo
scambio contenuti al secondo comma di tale norma - i.e. il caso in cui
vengano richieste informazioni a) che l‘autorità adita non sarebbe in grado di
ottenere per il recupero di crediti analoghi sorti all‘interno del suo
ordinamento, b) che rivelerebbero un segreto commerciale, industriale o
professionale, ovvero c) la cui comunicazione sarebbe tale da pregiudicare la
sicurezza e l‘ordine pubblico dello Stato membro adito - non possono in
nessun caso essere interpretati ―nel senso di autorizzare l‘autorità
interpellata di uno Stato membro a rifiutare di fornire informazioni
solamente perché tali informazioni sono detenute da una banca, da un altro
istituto finanziario, da una persona designata o che agisce in qualità di
agente o fiduciario o perché si riferiscono agli interessi proprietari di una
persona‖.
È stata peraltro prevista la possibilità per uno Stato membro che debba
effettuare un rimborso di dazi o imposte (diverse dall‘Iva) nei confronti di un
residente di un altro Stato membro di informare al riguardo in modo
spontaneo detto secondo Paese (art. 6).
In base all‘art. 7, poi, previo accordo fra le autorità fiscali interessate è
possibile permettere allo Stato estero che richiede assistenza in materia di
riscossione di fare presenziare e assistere suoi funzionari alle attività svolte
dai funzionari dello Stato richiesto (similmente a quanto concesso dall‘art. 9
della Convenzione di Strasburgo e dall‘art. 11 del regolamento n.
1798/2003/CE in materia di scambio di informazioni in ambito Iva).
185
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA
DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE
Per quanto riguarda invece i problemi concernenti i termini di
prescrizione l‘art. 19 stabilisce che questi sono disciplinati esclusivamente
dalle norme in vigore nello Stato membro richiedente.
La direttiva de qua non pregiudica comunque la ricorrenza di obblighi
più ampi in materia di assistenza risultanti da accordi o convenzioni bilaterali
o multilaterali, anche nel settore della notifica degli atti giudiziari o
extragiudiziari (art. 24).
Ulteriore importante innovazione è legata alla semplificazione
amministrativa, posto che la richiesta di assistenza ai sensi della nuova
direttiva si fonderà su strumenti standardizzati, il che consentirà di
velocizzare i tempi di evasione della richiesta e di superare le barriere
linguistiche che sino ad oggi hanno ostacolato una efficace attuazione della
58
cooperazione .
58
A livello comunitario le somme riscosse grazie alla assistenza internazionale nel
2007 erano pari al 5 per cento di quelle richieste, pur dovendosi considerare tale dato
in relazione anche ai dati sulla riscossione domestica, non sempre di molto maggiore.
V. Baker et al., cit., par. 7.2.
186
Prof. Adriano Di Pietro
La collaborazione comunitaria nell‟accertamento e nella
riscossione: la tutela del contribuente
Prof. Guglielmo Fransoni
L‟esecuzione coattiva a carico dei debitori
diversi dall‟obbligato principale
1 I termini del problema
1.1
Il tema sul quale mi propongo di svolgere talune riflessioni è ben noto:
esistono più ipotesi in cui il soggetto attivo del tributo può agire
coattivamente per la soddisfazione del proprio diritto di credito nei confronti
di un debitore diverso dall‘obbligato principale ed occorre individuare le
relative regole procedimentali e processuali.
Dal punto di vista soggettivo, il tema è delimitato da due coordinate: deve
trattarsi di debitori e tali soggetti non devono essere obbligati a titolo
principale.
Implicita in questa definizione dell‘oggetto del presente contributo è che
restano quindi dallo stesso escluse, sotto il profilo soggettivo:
a) le ipotesi in cui vi siano più soggetti passibili di esecuzione coattiva, tutti
però tenuti per un debito proprio, ossia le ipotesi di solidarietà c.d. paritetica.
b) le ipotesi in cui la riscossione non avviene nei confronti di un soggetto
obbligato (ancorchè non in via principale), ma con riguardo ai beni di un
terzo in quanto questi ultimi costituiscono garanzia del credito tributario
(ossia le ipotesi che sono state definite di obbligazione dipendente limitata
(1)).
Dal punto di vista oggettivo, invece, si avrà specifico riguardo alla fase
dell‘esecuzione coattiva. Restano quindi escluse dall‘ambito della trattazione
le ipotesi in cui i soggetti terzi adempiono spontaneamente alla propria coobbligazione: pur essendo anche questo un aspetto della riscossione ( 2) del
1
( ) Al riguardo si rinvia a ALLORIO E., Diritto processuale tributario, ___. Si noti che,
peraltro, nel nostro ordinamento esiste un‘ipotesi di co-obbligazione dipendente
limitata in senso proprio individuata dall‘art. 14 del D. Lgs., n. 472/1997. Infatti, il
cessionario dell‘azienda è obbligato insieme al cedente per i debiti tributari di
quest‘ultimo in via sussidiaria e limitatamente al valore dell‘azienda ceduta.
2
( ) E‘ noto, infatti, che l‘espressione ―riscossione delle entrate‖ indica ―la fase della
procedura finanziaria della gestione dell‘entrata nella quale l‘agente della
riscossione incassa, in senso fisico e, quindi, in termini reali il flusso monetario
costituente l‘adempimento della prestazione pecuniaria del debitore‖ (così
BARETTONI ARLERI A., Riscossione delle entrate dello Stato e degli enti pubblici, in
Enc. dir., ___, Milano, ___). La definizione – ancora attuale salvo che per il
L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI
DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE
tributo e pur non potendosi negare, in astratto, la possibilità di un diverso
modo di atteggiarsi della sua disciplina rispetto alla riscossione a carico
dell‘obbligato principale, mi pare pacifico che, invece, tale disciplina è
attualmente conformata in modo uguale per ciò che attiene sia
all‘adempimento dell‘obbligato principale che a quello dei co-obbligati
dipendenti.
1.2
Nonostante queste prime precisazioni, l‘ampiezza della casistica oggetto di
esame resta significativa.
Non solo permangono sufficientemente numerose le ipotesi di obbligazione
dei soggetti terzi (rispetto al presupposto del tributo), ma queste si presentano
anche piuttosto eterogenee (3).
Prova ne è la pluralità di criteri che possono essere impiegati per la loro
classificazione.
A) Nel nostro sistema, infatti, si possono innanzi tutto distinguere le ipotesi
del coinvolgimento del terzo nella soddisfazione dell‘interesse del creditore
in ragione della fonte della co-obbligazione. E‘ noto infatti che l‘obbligazione
dei terzi può dipendere dalla legge o da una fonte negoziale (in particolare
dalla fideiussione, ma anche l‘accollo, ad esempio, può dar luogo a ipotesi di
co-obbligazione (4)).
B) Vi è peraltro una seconda classificazione che mi sembra di un certo
rilievo. Le situazioni di co-obbligazione, si possono infatti distinguere a
riferimento alla ―fisicità‖ dell‘incasso venuta meno a causa della ―digitalizzazione‖
delle transazioni finanziarie – implica che, nell‘ambito delle contabilità pubblica, tutto
il fenomeno del flusso finanziario è riguardato dal punto di vista del creditore, con una
evidente inversione di prospettiva rispetto al diritto civile che osserva il fenomeno del
punto di vista della co-operazione richiesta al debitore. Dal punto di vista della
contabilità pubblica, allora, la riscossione abbraccia sia il caso in cui il flusso è
―generato‖ dalla collaborazione del debitore (l‘adempimento), sia quello in cui esso si
realizza attraverso l‘esclusiva iniziativa del creditore (l‘esecuzione coattiva).
3
( ) A fronte dell‘esistenza di una forte e autorevole tradizione di studi dedicati alla
figura del ―responsabile d‘imposta‖ – si vedano, senza pretesa di completezza,
FANTOZZI A., La solidarietà nel diritto tributario, ___, PARLATO A., Il responsabile
d‘imposta, __; POTITO E., Soggetto passivo d‘imposta, in Enc. dir., Torino 1990,
XLII, 1253; COPPA D., Gli obblighi fiscali dei terzi, Padova, 1990; FANTOZZI A., La
solidarietà tributaria, in Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci, Padova,
1994, II, pag. 453; COPPA D., Responsabile d‘imposta, in Dig. disc. priv., sez. comm.,
Torino 1996, XII, 395; CASTALDI L., Solidarietà tributaria, in Enc. giur. Treccani,
Roma __, XXIX; MICCINESI M., Solidarietà nel diritto tributario, in Dig. disc. priv.,
sez. comm., 1997, XIV, 445 e ss.– non mi sembra esistere uno studio aggiornato ed
esaustivo della totalità delle ipotesi di co-obbligazione dipendente che abbracci tutte
le diverse ipotesi di coinvolgimento del terzo nell‘attuazione del interesse del
creditore.
4
( ) Sul tema, per tutti PAPARELLA F., L‘accollo del debito d‘imposta, Milano
190
L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI
DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE
seconda che esse siano previste in funzione dell‘esclusivo interesse del
soggetto creditore del tributo, ovvero della generalità dei creditori.
Questa è una classificazione parzialmente trasversale rispetto a quella
precedente. Se, per un verso, le ipotesi di co-obbligazione previste in
funzione dell‘esclusivo interesse dell‘erario possono nascere tanto dalla legge
(in primis, le vere e proprie ipotesi di ―responsabilità di imposta‖), quanto da
manifestazioni di autonomia privata (basta pensare alle varie ipotesi di
fideiussione previste a garanzia di rimborsi d‘imposta o di rateazioni); per
altro verso, i rapporti di co-obbligazione previsti nell‘interesse della
generalità dei creditori hanno esclusivamente origine legale (l‘ipotesi più nota
è quella solidarietà dei soci delle società di persone con la società medesima),
il negozio potendosi al più atteggiare come presupposto della responsabilità
(si pensi, alla posizione del cessionario dell‘azienda).
C) Un altro possibile criterio di qualificazione che, a mio avviso, deve essere
tenuto presente ai fini del corretto inquadramento della disciplina è collegato
alla preventiva determinazione dell‘oggetto della responsabilità del terzo.
Talune ipotesi di co-obbligazione riguardano debiti già sorti e specificamente
individuati anche nel loro ammontare: è questo, ad esempio, il caso della
fideiussione prestata per la rateazione di un tributo. L‘unico elemento di
incertezza, per il terzo, è se l‘obbligato principale adempirà puntualmente alla
propria obbligazione ed eventualmente in che misura; ove vi sia
inadempimento, tuttavia, l‘esistenza del debito non è comunque
controvertibile e la misura della responsabilità è perfettamente stabilita.
Altre fattispecie riguardano debiti che sorgono contestualmente al sorgere
della responsabilità, ma immediatamente determinabili nel loro ammontare.
Tali sono le ipotesi di responsabilità ai fini dell‘imposta di registro a carico
dei pubblici ufficiali che hanno partecipato alla formazione dell‘atto.
Infine, in altre ipotesi ancora, il debito è del tutto indeterminato nel momento
in cui sorge la responsabilità. In alcuni casi si tratta addirittura di debiti futuri
(si pensi alla co-obbligazione dei soci illimitatamente responsabili), ma
potrebbe trattarsi di debiti di cui si è realizzata la fattispecie costitutiva, ma
non ancora accertati (si pensi alla solidarietà delle società risultanti dalla
scissione per i debiti fiscali della società scissa o alla co-obbligazione del
cessionario d‘azienda per le violazioni del biennio anteriore alla cessione).
D)
La distinzione che precede corrisponde solo in parte, infine, a una
quarta possibile classificazione connessa alla fase di attuazione del tributo in
cui si inserisce la responsabilità del terzo.
La casistica sembra presentare fattispecie in cui la responsabilità riguarda
l‘adempimento spontaneo, altre in cui essa si inserisce nella fase di
liquidazione d‘ufficio o accertamento del tributo, altre ancora in cui essa
attiene proprio alla fase della riscossione (in quanto ha ad oggetto i tributi
iscritti a ruolo).
191
L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI
DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE
1.3
Rispetto a queste diverse ipotesi, non sembra esistere uno studio generale e
complessivo delle forme di esecuzione.
In dottrina è dato riscontrare, è vero, l‘esistenza di molti pregevoli e
autorevolissimi interventi, i quali, però, riguardano di norma solo talune
forme specifiche di co-obbligazione (5). Vi è di più, gli interventi sul tema,
nella loro quasi totalità, attengono sempre a profili specifici della disciplina:
l‘estensione dell‘efficacia soggettiva del ruolo, l‘ambito delle eccezioni
opponibili dal co-obbligato, la delimitazione delle giurisdizione delle
controversie ecc.
Questa specificità è perfettamente rispecchiata dallo stato della legislazione e
della giurisprudenza. Come non esistono disposizioni espressamente dirette a
stabilire una disciplina generale delle ipotesi prima individuate (o di un
gruppo di talune fra esse), così non esistono arresti giurisprudenziali di
portata generale.
Anche queste note non possono, allora, che costituire un tentativo per l‘avvio
una più generale riflessione della quale, per il momento, è dato solo provare a
tracciare le linee di sviluppo e qualche possibile soluzione.
2 Il titolo esecutivo
2.1
Il problema da cui prendere le mosse riguarda l‘individuazione della
disciplina da osservare per la formazione del titolo esecutivo.
Si pone cioè l‘esigenza di verificare se il titolo in questione possa essere in
ogni caso formato dal creditore avvalendosi delle prerogative concessegli
5
( ) Anche in questo caso senza alcuna pretesa di completezza, si rinvia a MICHELI
G.A., Primi appunti sull‘efficacia soggettiva (limiti soggettivi) dell‘iscrizione a ruolo,
in Opere minori di Diritto tributario, Milano, 1982, I, 348 ss.; FALSITTA G.,
Riscossione delle imposte dirette, in Noviss. Dig. it., Torino, 1969, XVI, 73; GLENDI
C., Solidarietà dipendente e pretesa estensibilità ai coobbligati dell‘efficacia
esecutiva del titolo riguardante il debito principale d‘imposta, in Dir. prat. trib.,
1974, II, 777; LUPI R., Coobbligazione solidale dipendente ed esecuzione esattoriale,
in Riv. dir. fin. sc. fin., 1987, II, 200; BASILAVECCHIA M., Ruolo d‘imposta, in Enc.
dir., Milano 1989, XLI, 180 ss.; DEL FEDERICO L., Riscossione e solidarietà
sanzionatoria: questioni vecchie e nuove sull‘art. 98 del D.P.R. n. 602/1973, in GTRiv. giur. trib., 1996, 445 ss.; GIOVANNINI A., Riscossione delle sanzioni e
obbligazioni solidali, in Dir. prat. trib., 1997, II, 83 ss.; LA ROSA S., Riscossione delle
imposte, in Enc. giur. Treccani, Roma 2000, XXVII; GUIDARA A., La riscossione dei
tributi nei confronti del garante, in Riv. dir. trib., 2005, I, 679 ss.; BASILAVECCHIA M.,
Il ruolo e la cartella di pagamento: profili evolutivi della riscossione dei tributi, in
Dir. prat. trib., 2007, I, 141; CARINCI A., La riscossione a mezzo ruolo nell‘attuazione
del tributo, Pisa, 2008, pag. 240; BOLETTO G., Il ruolo di riscossione nella dinamica
del prelievo delle entrate pubbliche, Milano 2010; CANNIZZARO S., Il fermo dei beni
mobili registrati e l‘ipoteca nella fase di riscossione dei tributi, Roma 2011.
192
L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI
DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE
dalla disciplina speciale della riscossione, ovvero se, in alcune ipotesi,
occorra seguire la strada ordinaria.
2.2
Sul tema, come si diceva, si è obbligati a procedere con molta cautela,
giacchè non è dato riscontrare non solo un‘opinione consolidata, ma neanche
una soluzione prevalente sia nelle conclusioni, sia nelle sue giustificazioni.
Il punto di partenza sembrerebbe dover essere la constatazione per cui l‘art.
17 del D.Lgs. n. 46 del 1999 prevede che il ruolo costituisce il sistema di
riscossione per tutte le entrate dello Stato.
Tuttavia, dal coordinamento di questa disposizione con il successivo art. 21
del medesimo D. Lgs. n. 46 del 1999 è dato pervenire alla conclusione che il
ruolo non è anche il titolo esecutivo di tutte le entrate riscosse a mezzo dello
stesso. Invero, l‘art. 21 stabilisce che le entrate ―aventi causa in rapporti di
diritto privato‖ possono essere iscritte a ruolo solo se esse ―risultano da titolo
avente efficacia esecutiva‖. Per tali entrate, quindi, l‘iscrizione a ruolo non
costituisce il momento di formazione del titolo esecutivo, ma ne è la
conseguenza (6).
2.3
Questa affermazione, ha due immediate implicazioni.
Occupandoci per il momento della prima conseguenza ( 7), si deve rilevare
che essa si risolve nella ovvia necessità di distinguere fra obbligazioni ―aventi
causa in rapporti di diritto privato‖ e altre obbligazioni.
Il problema è dato dal fatto che il criterio della natura privatistica del rapporto
costituente causa dell‘entrata non è sufficientemente determinato ed è, anzi,
per sua natura idoneo a condurre a più soluzioni. Se questo è vero in
generale, lo è particolarmente quando occorra verificare l‘applicazione di tale
criterio alle obbligazioni di cui ci interessiamo in questa sede, le quali hanno
tutte una generale causa ―fideiussoria‖, ossia di rafforzamento del diritto di
credito del soggetto attivo.
A) Un primo criterio distintivo potrebbe essere infatti proprio quello di
negare ogni sostanziale autonomia a qualunque obbligazione avente una
generale causa fideiussoria e considerarla, almeno ai fini della soluzione del
problema della riscossione, come sempre dipendente, anche quanto alla sua
causa ultima, dal rapporto principale. Se così fosse, sarebbe risolto in radice il
problema che ci occupa immediatamente in questa sede. In altri termini
dovrebbe concludersi che il ruolo costituisce il titolo esecutivo per procedere
6
( ) Deve peraltro rilevarsi che secondo la prassi che si è andata formando, il titolo
esecutivo, nelle ipotesi in cui si applica l‘art. 21 del D.Lgs. n. 46/1999 è sempre a
formazione ―unilaterale‖. In questo senso si veda Circolare del 14/12/2000 n. 231.
7
( ) E rinviando al successivo par. 3 per l‘esame della seconda.
193
L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI
DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE
contro qualunque co-obbligato, là dove l‘oggetto dell‘obbligazione principale
è un tributo.
B) Astrattamente, si potrebbe poi ritenere che l‘obbligazione (latamente
fideiussoria) del terzo condebitore ha causa in rapporti di diritto privato se
trova la sua fonte in un atto di autonomia negoziale.
In base a questo diverso criterio identificativo vi sarebbe la necessità della
previa formazione di un titolo esecutivo – ai sensi del citato articolo 21 – in
tutti i casi in cui la co-obbligazione nasce da una fideiussione o da un altro
negozio. Viceversa, sempre in questa prospettiva, le co-obbligazioni di fonte
legale dovrebbero essere, indistintamente, ricondotte fra quelle non ―aventi
causa in rapporti di diritto privato‖ e, come tali, escluse dall‘applicazione
dell‘art. 21 cit.
C) Infine, si può sostenere che ha causa in rapporti di diritto privato l‘entrata
che trova la sua fonte in un atto (negoziale o normativo) diretto a tutelare
interessi di diritto privato (restando poi da specificare, come diremo, anche il
senso di questa espressione).
In questo caso, per un verso, sarebbe escluse dall‘applicazione dell‘articolo
21 l‘esecuzione coattiva relativa alle obbligazioni che trovano la loro fonte
nella legge tributaria ovvero in atti di autonomia privata specificamente
previsti dalla legge stessa (come è per le varie ipotesi di fideiussione richieste
nell‘ambito della gestione delle vicende attuative di un tributo). Per contro, si
potrebbe assumere che hanno ―causa in rapporti di diritto privato‖ (e sono
conseguentemente soggette alla regola di cui al citato articolo 21) anche le
obbligazioni di fonte legale quando la responsabilità di un determinato
soggetto è prevista in funzione della soddisfazione dell‘interesse generico dei
creditori. Si tratterebbe in altri termini, di tutte (e solo) le ipotesi in cui la
particolare relazione fra il terzo e il debitore (rapporto sociale, successione a
titolo universale, cessione d‘azienda, scissione ecc.) implica l‘estensione al
primo della responsabilità patrimoniale per la generalità delle obbligazioni
del secondo soggetto.
2.4
Pur nella consapevolezza della difficoltà di dare a questo problema una
soluzione giustificabile in modo (sufficientemente) univoco sulla base del
dato normativo, sembra che la soluzione di dare esclusivo rilievo alla fonte
dell‘obbligazione (cfr. supra n. 2.3.B) è senz‘altro quella meno plausibile.
E questo perché il criterio identificativo fondato sulla fonte dell‘obbligazione
risulta, in fin dei conti, quanto mai astratto.
Esso, infatti, conduce, innanzi tutto, a considerare come aventi causa in
rapporti non di diritto privato le obbligazioni puramente risarcitorie (avendo
esse sicuramente fonte legale).
Ma più radicale è poi l‘obiezione che deriva dalla valutazione delle
conseguenze opposte, giacchè, in applicazione del medesimo criterio si
dovrebbero reputare come aventi causa in rapporti di diritto privato le
194
L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI
DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE
obbligazioni che nascono da atti anche solo formalmente negoziali (giacchè
se, nell‘applicazione di questo criterio, si avesse riguardo all‘interesse
concretamente tutelato esso [criterio] coinciderebbe, di fatto, con il terzo
criterio proposto). In questo modo, tuttavia, si porrebbe, in primo luogo, il
problema dell‘esatta qualificazione dei contratti di diritto pubblico e, in
secondo luogo, si dovrebbero parificare le ipotesi in cui l‘amministrazione
agisce iure privatorum a quelle in cui il modulo consensuale è impiegato
(come è pacificamente possibile) quale di soddisfazione di interessi pubblici
alternativo a quello autoritativo-provvedimentale.
2.5
La scelta si pone, quindi, fra la prima e la terza possibile interpretazione
dell‘espressione ―aventi causa in rapporti di diritto privato‖.
Di queste due, la terza soluzione ha il pregio di apparire fondata sul carattere
sostanziale dell‘obbligazione e, come tale, potrebbe essere giudicata più
idonea a riflettere gli interessi in gioco e la tradizione complessiva.
Invero, la nozione stessa di ―responsabile d‘imposta‖ risulta dotata di una
propria autonomia concettuale solo se risulta distinguibile, anche sotto il
profilo della disciplina attuativa, da altre ipotesi di co-obbligazione
dipendente.
Al tempo stesso, la necessità di un autonomo titolo esecutivo al fine di
procedere nei confronti del co-obbligato dipendente – come prescritto rispetto
alle entrate ―aventi causa in rapporto di diritto tributario‖ – sembra
coordinarsi meglio con l‘esigenza di limitare l‘eccezionalità del sistema di
esecuzione forzata, là dove il titolo immediato del diritto di credito azionato è
una responsabilità generale del terzo che trova fondamento nel generale
interessi di più creditori possibilmente in concorso fra loro.
D‘altra parte, non si può negare che l‘evoluzione del sistema ha condotto a
una generalizzazione del sistema della riscossione a mezzo ruolo e che la
distinzione fra obbligazioni aventi causa in rapporti di diritto privato e altre
obbligazioni, non corrisponde affatto alla distinzione fra applicazione della
disciplina generale dell‘esecuzione e ipotesi di applicabilità della disciplina
esecuzione forzata prevista dal Titolo II del D.P.R. n. 602 del 1973.
Come vedremo, la rilevanza della distinzione è molto limitata (e forse può
essere ulteriormente circoscritta nel nostro settore) e non si può quindi
escludere, anche in una prospettiva evolutiva dell‘intero sistema della
riscossione, una possibile chiave di lettura fondata sul riferimento testuale
della ―causa del rapporto‖ all‘―entrata‖ dello Stato. Da questo punto di vista,
si potrebbe sostenere che la ―causa‖ vada intesa come legittimo titolo di
acquisizione della somma di denaro e che questa, rispetto ai rapporti
fideiussori (anche se espressi in garanzie autonome), è sempre data dal
rapporto cui essi accedono. In altri termini, anche quando l‘esecuzione
riguarda somme che il debitore è obbligato a pagare in virtù di una disciplina
di fonte negoziale o di una disciplina di fonte legale volta a tutelare interessi
195
L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI
DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE
generali ―privatistici‖, la causa dell‘entrata (e della legittima retentio della
stessa) è sempre data dal rapporto principale.
Argomento, quest‘ultimo che condurrebbe a ritenere sempre esclusa
l‘applicazione dell‘art. 21 rispetto alle ipotesi di co-obbligazione di terzi
rispetto a debiti d‘imposta.
3 La formazione del ruolo
3.1
Come si vede, il problema si presenta abbastanza complesso e la sua
soluzione non può risultare indifferente tanto agli interessi pratici perseguiti,
quanto alle idee di fondo da cui prendono le mosse i diversi approcci teorici.
Tuttavia, è forse possibile dire che la rilevanza della questione può essere di
fatto attenuata se si tiene conto della seconda conseguenza implicata dal
combinato disposto degli articolo 17 e 21 del D.Lgs. n. 46/1999.
Secondo quanto si è già accennato, si deve infatti riconoscere che se, in base
all‘art. 21, esistono ipotesi in cui il ruolo non è titolo esecutivo, tuttavia,
l‘applicazione anche a tali rapporti della disciplina della riscossione a mezzo
ruolo (stabilita dagli articoli 17 e 18) impone di attribuire comunque valenza
generale alla procedura di esecuzione forzata in base a ruolo.
Il ruolo può essere esso stesso titolo esecutivo ovvero può essere emesso
sulla base di un titolo esecutivo preventivamente formato e, al tempo stesso, i
crediti dello Stato possono avere, secondo le diverse possibili prospettive,
natura ―privatistica‖ o ―pubblicistica‖, ma in ogni caso con il ruolo (e solo
con esso (8)) prende avvio l‘esecuzione forzata dei crediti medesimi secondo
le regole titolo II del D.P.R. n. 602 del 1973 (9).
Se le cose stanno in questo modo, è allora evidente che viene a mancare
almeno uno dei motivi che potrebbe indurre a prediligere la soluzione diretta
all‘applicazione della disciplina civilistica, ossia quello di limitare un
privilegio dell‘amministrazione quale indubbiamente è il procedimento
esecutivo esattoriale.
Con ciò non si avrebbe però una perfetta equiparazione dei due sistemi
residuando (rectius, sembrando residuare) la differenza consistente nel
8
( ) A questa affermazione fa eccezione la nuova disciplina della concentrazione
dell‘accertamento e della riscossione, sulla quale avremo modo di ritornare.
9
( ) In questa prospettiva, l‘art. 21 si coordina con l‘art. 18 (e i successivi articoli 18bis, 19, 20 e 20-bis) del D.Lgs. n. 46 del 1999. Come è noto, l‘art. 18 stabilisce
l‘estensione a tutti i tributi riscossi a mezzo ruolo delle disposizioni di cui al capo II
del Titolo I e del Titolo II del D.P.R. n. 602 del 1973, mentre i successivi articoli
limitano la portata del rinvio. Tuttavia tale ulteriore limitazione riguarda sempre le
disposizioni del capo II del Titolo I e mai quelle del Titolo II. Cosicchè l‘art. 21
completa, per le obbligazioni aventi causa in rapporti di diritto privato, la limitazione
del rinvio, ma sempre con riguardo alla formazione del ruolo, senza incidere sulla
generalità del procedimento esecutivo di riscossione forzata.
196
L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI
DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE
privilegio riconosciuto all‘erario di procedere da sé medesimo alla
formazione del titolo esecutivo.
Detto in altri termini, occorre verificare se la necessità della previa
formazione del titolo esecutivo nel caso di entrate ―aventi causa in rapporti di
diritto privato‖ ai fini dell‘emissione del ruolo (e del conseguente avvio della
procedura esecutiva), comporta una differenza sostanziale rispetto ai
presupposti per l‘iscrizione a ruolo là dove il ruolo sia anche il titolo
esecutivo in base al quale si procede.
Questa verifica deve essere condotta, rispetto ai casi che ci interessano, da un
duplice punto di vista.
Occorre cioè stabilire:
a) per quanto riguarda i casi disciplinati dall‘art. 21 del D.Lgs. n. 46 del
1999, in cosa consiste la previa emanazione del titolo esecutivo;
successivamente
b) per quanto riguarda gli altri casi, se è comunque necessario notificare uno
o più atti al debitore solidale dipendente prima dell‘iscrizione a ruolo (e,
ovviamente, quali sono tali atti).
3.2
Dal primo punto di vista, si deve ricordare che, secondo la prevalente tesi
erariale, il titolo esecutivo – la cui emissione, nelle ipotesi previste dall‘art.
21, deve precedere l‘iscrizione a ruolo – può essere costituito unilateralmente
dall‘ente creditore ai sensi del R.D. 14.4.1910, n. 639.
E‘ allora evidente che le entrate ricomprese nell‘ambito di applicazione
dell‘art. 21 cit. non si differenziano dalle altre entrate né per il procedimento
di esecuzione coattiva (il quale è sempre costituito dalla speciale procedura
esattoriale), né per la formazione del titolo esecutivo, che è sempre formato
unilateralmente dal creditore (10).
L‘unica differenza fra le ipotesi di riscossione soggette alla disciplina dell‘art.
21 cit. e le altre si potrebbe risolvere, pertanto, nella necessità di previa
notifica di un atto che deve essere motivato e contenere l‘accertamento di
tutti i presupposti per la responsabilità del co-obbligato.
Occorre quindi verificare se tale necessità può dirsi esclusa o meno per le
ipotesi non ricomprese nell‘ambito di applicazione dell‘art. 21 cit. le quali
costituiscono certamente la parte più ampia delle fattispecie di coobbligazione dipendente, atteso che, qualunque criterio si impieghi per
distinguere le entrate aventi causa in rapporti di diritto privato dalle altre,
queste ultime sono senz‘altro più numerose.
10
( ) Si ricorda, peraltro, che l‘art. 229 del D.Lgs. 10 febbraio 1998 n. 51 ha soppresso
la necessità del visto pretorile dell‘ingiunzione la quale è, pertanto, ―esecutiva di
diritto‖.
197
L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI
DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE
3.3
Il tema è certamente vasto e richiederebbe una verifica molto più analitica
rispetto a quella che è possibile condurre in questa sede.
Sembra, peraltro, legittimo affermare che esistono taluni casi in cui la previa
notifica di un ―atto‖ – costituente il necessario presupposto, se non proprio il
titolo per l‘iscrizione a ruolo – è espressamente stabilita.
A) Una prima ipotesi è quella prevista dall‘articolo 8, comma 3-bis, del
D.Lgs. n. 218 del 1997 (in tema di accertamento con adesione) e dall‘art. 48,
comma 3-bis, del D.Lgs. n. 546 del 1992 (in tema di conciliazione giudiziale)
(11). Tali disposizioni prevedono che, in caso di mancato pagamento di una
delle rate previste ai fini del perfezionamento dell‘accertamento con adesione
o della conciliazione giudiziale, si può procedere nei confronti del garante
mediante iscrizione a ruolo che deve essere, tuttavia, preceduta da un invito
―contenente l'indicazione delle somme dovute e dei presupposti di fatto e di
diritto della pretesa‖. Questa disposizione appare estremamente significativa
perché, nel caso di specie, si è in presenza di un‘ipotesi in cui, con
riferimento alle classificazioni elaborate inizialmente (cfr., supra, nn. 1.2.C e
1.2.D), la responsabilità del terzo attiene a un‘obbligazione principale che,
quanto alla determinatezza della esistenza ed dell‘ammontare del debito, è già
sorta e preventivamente determinata nel momento in cui nasce l‘obbligazione
dipendente e, quanto al momento della fase attuativa del tributo in cui si
inserisce, si colloca nella fase della riscossione.
Se, allora, si avverte in questo caso l‘esigenza di un previo invito, appare
davvero arduo sostenere che analoga esigenza non sussista anche quando i
presupposti della responsabilità del garante sono solo potenziali e del tutto
indeterminati.
B) Ed infatti esistono delle ipotesi che molto chiaramente sono orientate in
questo senso. Viene innanzi tutto in rilievo quanto disposto dall‘art. 36,
comma 5, del D.P.R. n. 602 del 1973 ai sensi del quale, per azionare la
responsabilità di soci e liquidatori, è necessario procedere alla previa notifica
di un atto di accertamento della relativa responsabilità per l‘imposta dovuta
dalla società si procede.
C) L‘art. 43-bis, comma 2 del medesimo D.P.R. n. 602 del 1973 prevede, poi,
che la responsabilità solidale del cessionario di crediti d‘imposta è
condizionata alla notifica degli ―atti con i quali l‘ufficio delle entrate o il
centro di servizio procedono al recupero delle somme stesse‖ (nei confronti
del cedente-obbligato principale). Orbene, non dovrebbe essere dubbio che la
norma non si limita a disporre l‘allegazione degli atti suddetti alla cartella di
pagamento (o la loro riproduzione), ma impone un‘autonoma notifica quale
condizione per l‘iscrizione a ruolo. Non sembra poi neppure discutibile che
fra tali atti sia ricompreso anche l‘avviso di accertamento previsto dall‘art.
43, comma 2 del decreto suddetto.
11
( ) Sul tema cfr. Guidara A., La riscossione dei tributi nei confronti del garante, cit.
198
L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI
DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE
D) Fra le ipotesi particolarmente discusse in tempi recenti vi è il rapporto fra
società controllante e società controllata nell‘ambito dei rapporti di gruppo
(12). Orbene, prescindendo dalla qualificazione di tali rapporti, appare
evidente che la previsione di un avviso di primo livello e di secondo livello e
l‘esigenza di notificare tanto gli uni che gli altri sia alla controllata che alla
controllante esclude, almeno in questo specifico settore, la possibilità di
procedere all‘iscrizione a ruolo nei confronti di alcuno dei soggetti coinvolti
ove non sia stato notificato un previo atto di accertamento. E ciò è
ulteriormente confermato dalla disciplina recata dall‘art. 40-bis del D.P.R. n.
600 del 1973 (introdotto dal D.L. n. 70 del 2010) ai sensi della quale il
medesimo avviso di accertamento deve essere notificato sia alla consolidata
che alla consolidatente.
E) Un‘indicazione a contrario può desumersi, poi, dall‘articolo 173 del
t.u.i.r.. Come è noto, questa disposizione, per un verso, afferma l‘esistenza di
una coobligazione fra le società risultanti dalla scissione e, per altro verso,
attribuisce a tutti i condebitori la facoltà di partecipare all‘accertamento
―senza oneri di avviso o di altri adempimenti per l‘Amministrazione‖. Ferma
l‘esistenza di non lievi riserve sulla legittimità di questa disposizione
(temperata, forse, dalla sua operatività apparentemente limitata alla sola
scissione totale), dovrebbe ritenersi che la sua espressa previsione non
avrebbe senso se non fosse stata considerata come derogatoria rispetto alla
disciplina ordinaria.
3.4
Oltre che in alcuni sparsi dati normativi, l‘esigenza di un previo atto (di
accertamento o di invito a seconda, come diremo, dei casi) trova conferma
poi in talune considerazioni ulteriori che potremmo dire di ordine sistematico
sempre che, ovviamente, si aderisca, all‘idea tenuta ferma dalla
giurisprudenza, che esclude ogni forma di efficacia riflessa sull‘esistenza del
rapporto dipendente delle vicende relative al rapporto principale.
A) In primo luogo, con riguardo alle ipotesi di responsabilità che attengono a
debiti d‘imposta (anche) risultanti da atti di accertamento a carico del
debitore principale, una volta ammesso (come sembra necessario alla luce
della giurisprudenza costituzionale e di legittimità) che il responsabile è
legittimato a contestare non solo il titolo della sua responsabilità, ma anche
l‘esistenza dell‘obbligazione principale, appare difficile escludere poi tale
soggetto dal regime di riscossione frazionata previsto dall‘art. 15 del D.P.R.
n. 602 del 1973 e dall‘art. 68 del D. Lgs. n. 546 del 1992.
12
( ) Per un‘esaustiva ricognizione della disciplina e delle diverse teorie, nonché per la
completa bibliografia si rinvia a PADOVANI F., ___ del quale deve essere pure
segnalata la puntuale ipotesi ricostruttiva.
199
L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI
DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE
La riscossione frazionata non può, tuttavia, operare con riferimento al ruolo o
alla cartella di pagamento (13), cosicchè è giocoforza ammettere la previa
esistenza di un atto impugnabile.
B) Nelle ipotesi in cui il condebitore gode del beneficium excussionis o del
beneficium ordinis, si deve ritenere che il rispetto di queste condizioni
costituisce presupposto per l‘iscrizione a ruolo non per il concreto avvio della
procedura esecutiva.
Infatti, se l‘iscrizione a ruolo potesse avvenire indipendentemente dalla
previa escussione o richiesta del obbligato principale, il rispetto dei due
beneficia non potrebbe mai essere contestato dal condebitore, perché nel
procedimento di riscossione non trovano spazio le opposizioni di cui all‘art.
615 c.p.c..
Se, allora, si ammette che l‘escussione o la richiesta devono precedere
l‘iscrizione a ruolo – pur non potendosi escludere che di tali presupposti si
dia atto nella motivazione del ruolo – sembra più coerente dal punto di vista
sistematico dare autonomo rilievo a questi elementi e agli altri che
concorrono a legittimare l‘esistenza del ruolo e farne oggetto della
motivazione di uno specifico atto.
3.5
Questi dati lasciano intravedere, a mio avviso, uno spazio per l‘elaborazione
del principio secondo cui, prima dell‘iscrizione a ruolo, occorre sempre
notificare al condebitore dipendente anche un atto volto ad accertare il titolo
della sua responsabilità.
E‘ forse possibile affermare che l‘operare di questo principio dipende anche
da due variabili costituite dalla fase attuativa del tributo in cui si inserisce la
co-obbligazione e, al tempo stesso, dall‘esistenza di una preventiva
determinazione quantitativa del debito al momento della nascita della
obbligazione.
A) Da questo punto di vista, quando il vincolo solidale sorge in relazione a
debito la cui esistenza è affermata nella fase di accertamento e che,
correlativamente, non può dirsi conosciuto dal condebitore al momento della
nascita della sua responsabilità, i dati e le ragioni prima sommariamente
esposti dovrebbero essere valorizzati al fine di escludere che possa procedersi
alla iscrizione a ruolo nei confronti del co-obbligato medesimo senza che essa
sia preceduta dalla notifica di un ―atto di accertamento‖.
Ovviamente, l‘espressione ―atto di accertamento‖ che si è appena utilizzata
deve essere intesa in senso lato, ricomprendendo essa, di volta in volta e
conformemente alla disciplina dei diversi moduli attuativi del tributo, sia gli
atti di accertamento veri e propri, sia l‘atto di accertamento così denominato
dall‘art. 36, comma 5 del D.P.R. n. 602, sia il ruolo medesimo nelle ipotesi in
cui è quest‘ultimo l‘atto deputato a costituire la funzione di momento
13
( ) Per alcuni ulteriori riflessioni sul punto si veda il successivo par. 3.6.
200
L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI
DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE
conclusivo della funzione di controllo della dichiarazione e di liquidazione o
accertamento del debito d‘imposta.
Ciò che importa evidenziare, a nostro avviso, è che a questi atti si devono
poter applicare le medesime regole, sul piano della esecutorietà, riferibili agli
atti di cui è destinatario l‘obbligato principale. Diversamente, infatti, si
negherebbe – come diremo al successivo par. 3.6 – il principio che esclude
l‘efficacia riflessa delle vicende relative al rapporto principale rispetto a
quello dipendente.
B) Là dove la responsabilità del terzo si inserisce nella fase di adempimento
c.d. ―spontaneo‖ e/o la nascita del vincolo solidale dipende (anche) da una
scelta volontaria del terzo e riguarda un debito già determinato nel momento
stesso in cui sorge l‘obbligazione solidale, è invece possibile ammettere che
un‘attenuazione o il venir meno della necessità della formazione e la notifica
al condebitore di un atto quale presupposto dell‘iscrizione a ruolo. Anche
quando un atto è effettivamente previsto – come nel caso degli ―inviti‖ da
notificare al soggetto che ha prestato fideiussione nelle ipotesi disciplinate
dall‘art. 8, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 218 del 1997 e dall‘art. 48, comma 3bis, del D.Lgs. n. 546 del 1992 – si potrebbe poi escluderne l‘autonoma
impugnabilità (ferma restando, ovviamente, quella del ruolo o della cartella
di pagamento).
3.6
Da questo punto di vista, si può forse dire che la previsione di cui all‘art. 25
del D.P.R. n. 602 del 1973 – la quale sembra ammettere che al condebitore
possa essere notificata la sola cartella esattoriale ancorchè il ruolo sia formato
nei confronti del solo debitore principale – può trovare applicazione, nella
sua interpretazione letterale, solo in alcune ipotesi molto limitate di coobbligazione dipendente.
E questo non per ragioni legate all‘efficacia in sé del titolo, quanto per motivi
connessi alla tutela giurisdizionale che deve essere riconosciuta, sul piano del
merito e sul piano esecutivo, al terzo la quale, in ossequio all‘insegnamento
della Corte costituzionale, non può essere diversa da quella riconosciuta al
debitore principale.
Altrimenti detto, in tutte le ipotesi in cui si ammette l‘estensione a terzi
dell‘efficacia del titolo esecutivo formato a nome di alcuni soggetti, il
problema non è costituito, in sé, dalla deroga al principio nulla executio sine
titulo. Invero, si potrebbe affermare che, almeno formalmente, un titolo pur
sempre esiste ancorchè dotato di una estensione soggettiva che la legge
conforma in termini più ampi dell‘ordinario, così come, d‘altra parte, avviene
anche in talune altre circostanze (si pensi all‘efficacia esecutiva contro gli
eredi riconosciuta al titolo formato nei confronti del de cuius ai sensi dell‘art.
477 c.p.c.).
Il punto è, invece, che queste forme di estensione presuppongono, in misura
più o meno intensa, una ―riflessione‖ a danno o a favore dell‘obbligato
dipendente delle vicende dell‘obbligazione realizzate nei confronti
201
L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI
DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE
dell‘obbligato principale. Né è un esempio proprio l‘art. 477 c.p.c. in cui si
vede, appunto, un‘applicazione della regola per cui la sentenza fa stato nei
confronti delle parti e dei loro aventi causa.
Se e nella misura in cui si aderisce però all‘idea – fermissima ormai in
giurisprudenza – secondo cui il terzo è del tutto indifferente alle vicende che
attengono alla definizione del debito di cui non sia parte (ancorchè
coinvolgano il debitore a titolo principale), si deve anche escludere che le
ipotesi di riflessione negate sul piano processuale riemergano, poi, su quello
procedimentale.
Un esempio – che si coordina con affermazioni fatte in precedenza – può
aiutare a chiarire il punto.
Si pensi al caso in cui il debito del terzo riguardi un‘obbligazione non
preesistente né determinabile al momento della nascita della sua coobbligazione, ma emergente nell‘ambito della fase di accertamento (potrebbe
trattarsi del cessionario d‘azienda o di un socio di una società di persone).
In questo caso, a seguito dell‘emanazione dell‘avviso di accertamento nei
confronti del debitore principale e della successiva iscrizione a ruolo a titolo
provvisorio, potrebbero darsi tre ipotesi:
A) la prima, che è quella già illustrata, vede l‘Agenzia delle entrate procedere
nei confronti del condebitore attraverso la notifica di un autonomo atto di
accertamento costituente, poi, titolo per l‘iscrizione a ruolo nei sui confronti;
B) una seconda ipotesi è quella in cui nessuna iscrizione a ruolo può essere
fatta nei confronti del coobbligato dipendente fino a che l‘accertamento non è
diventato defintivo;
C) la terza è che il ruolo a titolo provvisorio emesso nei confronti del debitore
principale, sia efficace, ai sensi dell‘art. 25 del D.P.R. n. 602 del 1973, anche
nei confronti del condebitore dipendente.
A me sembra evidente che la seconda e la terza ipotesi implicano comunque
l‘accettazione di una efficacia riflessa degli atti e delle vicende relative
all‘obbligazione principale.
In primo luogo, la soluzione per cui il creditore deve attendere la definizione
della controversia con il debitore principale prima di procedere nei confronti
del condebitore dipendente, ha senso solo se si accede all‘idea per cui
l‘accertamento cui si perviene all‘esito di tale controversia possa considerarsi
definitivo anche per il terzo condebitore. Se così non fosse, avremmo una
soluzione del tutto insoddisfacente (i) sotto un profilo pratico, perché il
creditore si troverebbe obbligato ad aspettare la conclusione di un intero
giudizio, articolato nei suoi diversi gradi, solo per dover ricominciare tutto
dall‘inizio nei confronti del condebitore; (ii) sotto il profilo logico, perché
non si può richiedere che l‘avvio dell‘azione esecutiva nei confronti del
condebitore abbia determinati presupposti (ivi inclusa, in ipotesi, la
definitività dell‘accertamento nei confronti dell‘obbligato principale) e poi, al
tempo stesso negare, ogni rilevanza alla verificazione di tali circostanze; (iii)
sotto il profilo sistematico, in quanto tutte le ipotesi di co-obbligazione
202
L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI
DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE
solidale dipendente risulterebbero praticamente equiparate a quelle in cui il
debitore gode di un beneficium excussionis. L‘unico modo per giustificare
praticamente, logicamente e sistematicamente la soluzione in esame è,
quindi, quella di rendere dipendente la posizione del terzo condebitore
dall‘accertamento giudiziale dell‘obbligazione resa nei confronti
dell‘obbligato principale. Ma questo, ovviamente, contraddice la premessa.
A non diverse conclusioni si perviene, poi, nel caso in cui si esplorino le
conseguenze connesse alla terza soluzione.
Se, infatti, si assume che il creditore può procedere esecutivamente nei
confronti del condebitore dipendente notificando a questi la cartella di
pagamento relativa a un ruolo emesso a titolo provvisorio nei confronti
dell‘obbligato principale, si deve poi ammettere che il venir meno del ruolo
(per esempio perché il debitore principale è vittorioso nel giudizio di primo
grado) si risolve in una caducazione dell‘efficacia anche nei confronti del
responsabile. E‘ ben vero che si tratta di una efficacia riflessa in bonam
partem, come quella prevista dall‘art. 1306, comma 2, c.c., ma già questo
raffronto pone in evidenza la singolarità del caso, perché gli effetti favorevoli
non conseguono a un giudicato (come richiesto dall‘art. 1306, secondo
comma, c.c.), cosicchè sono anch‘essi provvisori. Ne discende che, venuta
meno l‘efficacia del ruolo nei confronti del coobbligato dipendente a seguito
della decisione di primo favorevole al debitore principale (14), il coobbligato
resta esposto a una nuova iscrizione a ruolo, per l‘intero, se la decisione di
secondo grado (sempre emessa nel giudizio sull‘avviso di accertamento
promosso dall‘obbligato principale) dovesse riformare la sentenza impugnata.
Né questa è l‘unica ―complicazione‖ derivante dall‘aver adottato la terza fra
le soluzioni prospettabili: basta pensare alle conseguenze che derivano
dall‘eventuale pagamento da parte del responsabile, in base all‘iscrizione a
ruolo a titolo provvisorio.
La intima connessione che si viene così ad instaurare fra i due procedimenti
evidenzia quindi una nuova deroga al presupposto di partenza – quella della
totale autonomia dei due rapporti – che, proprio ove si tenga conto di tutte le
sue possibili manifestazioni, difficilmente si presta a essere trascurata sol
perché limitata (almeno in prima battuta) ai soli effetti favorevoli. Invero,
quando la connessione si palesa così intensa, diventa necessario porsi il
problema se sia corretto operare una limitazione del genere ponendo su un
piano decisamente privilegiato il debitore, rispetto al creditore.
In ogni caso, mi sembra evidente che l‘unica soluzione davvero coerente con
il postulato di partenza sia quella che impone la previa notifica al
responsabile di un atto di accertamento in senso lato.
14
( ) Il che, conseguentemente, potrebbe condurre all‘estinzione del giudizio sulla
cartella di pagamento promosso dal debitore dipendente per cessazione della materia
del contendere.
203
L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI
DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE
Va da sé che, peraltro, quel postulato può essere abbandonato. Nel qual caso,
la soluzione prospettata dovrebbe essere anch‘essa scartata per evidente
contraddittorietà rispetto al sistema.
4 La giurisdizione
4.1
Ove si condividano le linee generali rapidamente tratteggiate – e che, come si
è detto in premessa, richiedono certamente di essere ulteriormente elaborate e
messe a punto – possono trovare soluzione molti problemi connessi al tema
generale in esame e che qui non possono essere nemmeno elencati: dal
termine per la notifica, all‘efficacia interruttiva della notifica del ruolo a uno
solo degli obbligati, ai limiti dell‘intervento in giudizio ecc.
Mi limito ad accennare solo a una questione estremamente rilevante, ossia al
tema della tutela giurisdizionale.
Invero, una volta ammesso che, nei confronti del terzo condebitore,
l‘esecuzione coattiva in base a ruolo deve essere preceduta, in molte
occasioni, dalla previa formazione di un atto di accertamento (nel senso lato
prima indicato), il problema del giudice munito di giurisdizione non può che
essere visto in una prospettiva diversa.
In altri termini, posto che, secondo la tesi qui esposta, la lite non riguarda
(sempre e necessariamente) la mera fase della riscossione coattiva, ma
coinvolge anche una preventiva fase di accertamento, appare difficile negare
la giurisdizione del giudice tributario.
Se, infatti, l‘affermazione della giurisdizione del giudice ordinario può avere
un senso quando la lite attiene al processo esecutivo, una simile tesi perde
ogni giustificazione nel caso di controversie che, almeno in via immediata,
attengono all‘accertamento (della validità di un atto contenente
l‘affermazione) dell‘esistenza di un debito d‘imposta nei confronti di un
determinato soggetto.
L‘unica differenza, in punto di contenuto della lite rispetto alle altre liti
tributarie, sarebbe costituito da ciò che il soggetto destinatario della pretesa
non è quello nei cui confronti si è verificato il presupposto del tributo, ma un
simile elemento non ha mai costituito una ragione idonea ad escludere la
giurisdizione del giudice tributario.
5 La concentrazione della riscossione nell‟accertamento.
5.1
Rispetto al quadro così delineato occorre adesso chiedersi quali siano le
conseguenze
derivanti
dalla
―concentrazione
della
riscossione
nell‘accertamento‖ disposta dall‘art. 29 del D.L. n. 78/2009, convertito con
L. 30 luglio 2010, n. 122.
204
L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI
DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE
Quanto si è detto in precedenza mi sembra attestare che la novità di tale
disciplina:
a)
non consiste certo nell‘abbandono del modello della riscossione
esattoriale, il quale è invece espressamente riaffermato;
b)
né consiste nel fatto che alla riscossione esattoriale si procede sulla
base di un titolo esecutivo diverso dal ruolo, visto che, come si è detto, tale
possibilità è da tempo contemplata dall‘art. 21 del D.Lgs. n. 46/1999.
Ne consegue che la vera novità deve ravvisarsi nella possibilità di avviare la
riscossione esattoriale senza la previa iscrizione a ruolo, evitando, quindi, la
notifica al contribuente (debitore principale) di un atto ulteriore.
Questa eliminazione di una fase del procedimento non può, ovviamente, non
riguardare anche il terzo condebitore. Se, infatti, si ammette che, alla stregua
di quanto affermato in precedenza, al condebitore avrebbe dovuto essere
notificato, prima delle modifiche di cui al D.L. 78/2010, un atto di
accertamento quale presupposto della successiva iscrizione a ruolo (e ciò in
modo perfettamente analogo a quanto previsto per l‘obbligato principale), in
base alla nuova disciplina dovrebbe risultare riaffermata la necessità
dell‘autonoma notifica dell‘atto di accertamento e, sempre preservando
l‘uguaglianza di trattamento rispetto al debitore principale, esclusa l‘esigenza
della previa iscrizione a ruolo.
5.2
Resta inteso che tale notifica dovrà avvenire a cura dell‘Agenzia e che la
disciplina dell‘accertamento notificato al co-obbligato dipendente dovrà
essere, sotto tutti i profili rilevanti, esattamente corrispondente a quella
prevista per l‘obbligato principale cosicchè, in particolare:
I.
dalla notifica dell‘accertamento al responsabile decorreranno i
termini per l‘esecutività dell‘atto nei sui confronti (art. 29, primo
comma, lett. b));
II.
l‘affidamento della riscossione all‘agente nel caso di fondato
pericolo per la stessa non potrà avvenire se non sono decorsi
sessanta giorni dalla notifica dell‘atto al terzo (art. 29, primo
comma, lett. c));
III.
l‘avviso di cui all‘art. 50 del D.P.R. n. 602/1973 dovrà essere
notificato dopo il decorso di un anno dalla notifica dell‘avviso di
accertamento al coobbligato dipendente (art. 29, primo comma, lett.
e));
IV.
gli interessi di mora e l‘aggio della riscossione saranno dovuti dal
responsabile solo dal primo giorno successivo al termine ultimo per
proporre il ricorso da parte del responsabile (art. 29, primo comma,
lett. f)).
205
Prof. Franco Gallo
Contraddittorio procedimentale e attivita‟ istruttoria
SOMMARIO: 1. - L‘autonoma rilevanza dell‘attività di controllo e
conoscitiva; 2. - Quando l‘attività di controllo produce atti discrezionali; 3. Rapporto fra attività di controllo e attività di accertamento; 4. – Conclusioni.
1 L‟autonoma rilevanza dell‟attività di controllo e conoscitiva
In questa relazione mi limiterò a dare conto, in termini molto generali, di
quello che a mio avviso è lo stato del dibattito circa la funzione e le
caratteristiche della c.d. istruttoria amministrativa tributaria e circa il rapporto
tra essa e l‘istruttoria processuale sotto il particolare profilo dell‘acquisizione
delle prove.
1.1
Va innanzitutto preso atto del fatto che, sia pure con qualche distinguo, buona
parte della dottrina è ormai abbastanza concorde nel ritenere, sulla scia delle
originarie intuizioni di S. La Rosa (dallo stesso successivamente sviluppate in
vari scritti), che le multiformi attività conoscitive e di controllo,
comunemente denominate attività istruttorie, debbono considerarsi dotate di
una propria autonomia funzionale rispetto all‘attività di accertamento e di
indirizzo, e non più come si è ritenuto in passato e, in un certo qual modo,
ritiene ancora la Corte di cassazione italiana
attività ―interne‖ di un
generale procedimento amministrativo di imposizione. In quanto tali, esse si
articolano in distinti e autonomi procedimenti che, a loro volta, possono
essere prodromici al procedimento di accertamento in senso proprio.
Questa opinione
credo, ormai predominante – non solo trova la sua
giustificazione nel convincente assunto logico che non avrebbe molto senso
connettere necessariamente la complessa attività di controllo ad un‘attività,
quella di accertamento, che si presenta invece come eventuale, e cioè ad un
procedimento amministrativo che non sempre si conclude con un vero e
proprio atto autoritativo. È imposta anche dalla necessità di adeguare la
complessa disciplina della raccolta delle prove alla progressiva evoluzione
del sistema tributario verso moduli partecipativi, in cui:
da una parte, le situazioni soggettive passive dei contribuenti si
frazionano in tanti distinti autonomi obblighi legali, quali sono quelli –
CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE
E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA
ormai collaudati – di autotassazione, autoliquidazione e versamento
―spontaneo‖ all‘esattoria tramite delega all‘istituto di credito,
dall‘altra, le situazioni soggettive attive dell‘erario si risolvono
normalmente nell‘esercizio di un potere a imperatività-normatività
depotenziata, che non va oltre all‘acquisizione delle informazioni
utilizzabili e al mero controllo dell‘osservanza dei suddetti obblighi
strumentali dei contribuenti.
L‘estensione della fase di controllo a danno di quella (una volta considerata
solo) di accertamento è, in particolare, la naturale conseguenza di una
evoluzione legislativa, tesa a superare la ricostruzione del fenomeno
tributario esclusivamente in termini coercitivi e di patologia evasiva e a
potenziare, in alternativa, forme di responsabilizzazione e collaborazione del
contribuente, non necessariamente collegate all‘attività di accertamento. Basti
pensare al riguardo, a puro titolo di esempio, che:
la dichiarazione dei redditi è stata resa ormai liberamente rettificabile e
integrabile direttamente dallo stesso contribuente, in aumento e in
diminuzione, con l‘applicazione di sanzioni ridotte in caso di
ravvedimento operoso;
la stessa dichiarazione si considera ormai validamente presentata, anche
se non sottoscritta, purché il contribuente, invitato a sanarla, si rechi
presso l‘ufficio per apporre la sua firma in calce al modello presentato;
l‘uso dello strumento telematico comporta un controllo in tempi reali, da
parte dello stesso contribuente, degli errori materiali rilevati e segnalati
dal programma, con la conseguente forte riduzione dell‘attività di
liquidazione da parte degli uffici;
è previsto l‘obbligo a carico dell‘ufficio di valutare, prima dell‘emissione
dell‘avviso di accertamento, le deduzioni, presentate dal contribuente
dopo il processo verbale di constatazione, in ordine a quanto in esso
contenuto. Una recente sentenza della Cassazione (n. 21253/08) sembra
rendere, in via interpretativa, ancora più pregnante questo obbligo,
subordinando la legittimità dello stesso atto di accertamento alla
circostanza che esso scaturisca da un processo verbale sottoscritto dal
contribuente o, comunque, da attività ―istruttorie‖ alle quali quest‘ultimo
ha preso parte;
è contemplato l‘obbligo a carico dell‘ufficio di indicare, a pena di nullità,
le ragioni per cui si disattendono le deduzioni del contribuente in ordine
all‘atto di contestazione delle sanzioni;
il contraddittorio, sia pure sotto la forma dimidiata della collaborazione
―servente‖, si espande sempre più nella fase istruttoria attraverso la
moltiplicazione delle occasioni di incontro tra il contribuente e l‘ufficio.
Si pensi a riguardo alla giurisprudenza che ammette l‘applicazione degli
studi di settore, ai fini dell‘accertamento, solo qualora questi siano
integrati da validi riscontri o, comunque, da una qualche forma di
contraddittorio. In alcuni casi, addirittura, la Cassazione è arrivata al
punto di ―saltare‖ in via interpretativa la successiva fase amministrativa
208
CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE
E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA
di accertamento, ammettendo la possibilità per il contribuente di
investire preventivamente il giudice tributario, senza la necessità
dell‘emissione di un atto autoritativo impugnabile, con effetti di
accertamento negativo giurisdizionale dell‘obbligazione tributaria. Mi
riferisco alla sentenza che ha ricompreso tra gli atti impugnabili le
―comunicazioni‖ o, meglio, gli ―inviti bonari‖ (n. 16293 e 16428/2007) o
a quella che, sulla base dell‘affermata unitarietà dell‘accertamento delle
società di persone e dei soci, ha ritenuto che il ricorso proposto da uno
dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che i soci,
i quali così devono far parte dello stesso processo anche se non hanno
impugnato l‘atto di accertamento (n. 148115/08)1;
lo strumento dell‘interpello tende ad essere adottato sempre più spesso
per conoscere il parere dell‘amministrazione finanziaria in funzione
preventiva e non repressiva;
1
Mi si consenta al riguardo una piccola digressione rispetto allo specifico
tema qui trattato. Con la sopraindicata giurisprudenza la Cassazione sembra
essersi messa sulla strada di accreditare un‘idea di sistema unitario esclusivo
di giustizia tributaria che comprende ogni tipologia di lite tributaria,
―indipendentemente dal tipo di atto impugnato‖ (S.U. 7388/07). Questa
impostazione può essere in astratto anche apprezzabile e semplificante, ma
nell‘attuale contesto normativo appare forse un po‘ forzata. La Suprema
Corte, infatti, in nome di una malintesa unitarietà della giurisdizione speciale
tributaria, trasforma in via interpretativa l‘estensione orizzontale della
giurisdizione tributaria – realizzata attraverso le recenti integrazioni dell‘art.
2 della D.Lgs n. 546 del 1992 – in una estensione verticale. Rende, così,
meramente esemplificativa l‘elencazione degli atti autonomamente
impugnabili di cui all‘art. 19, dischiudendo la porta verso azioni di
accertamento negativo anche in materia tributaria. Il tutto, senza tener conto
della natura del processo tributario di giudizio di impugnativa di atti
impositivi e trascurando, comunque, il fatto – incontestabile – che prima
dell‘imposizione non vi sono rapporti tributari da accertare da parte del
giudice speciale. In termini procedimentali e di fatto, tale riconoscimento dà
ingresso, in ambito endoprocedimentale, ad una fase irrituale di
contraddittorio anticipato sul ―merito tributario‖ rispetto all‘iscrizione a ruolo
e alla notifica della cartella; una fase, cioè, in cui la pretesa espressa da tali
atti non ha ancora forma autoritativa e, quindi, non sarebbe suscettibile di
essere contestata davanti al giudice tributario, ma semmai – come vedremo
più avanti nel testo – presso un giudice diverso (in presenza, beninteso, solo
della lesione di una libertà o di un diritto individuale non patrimoniale). Da
qui a negare la centralità degli atti impositivi nella giurisdizione tributaria il
passo è, dunque, molto breve. E rischia di mettere in discussione la stessa
identificazione delle situazioni giuridiche tutelate nel processo e, in
definitiva, il tipo di azione esperibile e di tutela fornita.
209
CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE
E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA
il contribuente può concludere forme di accordo con l‘amministrazione,
aderendo agli atti di accertamento o, prima che questi siano emessi, agli
stessi processi verbali di constatazione.
In questa situazione risalta, dunque, l‘autonoma rilevanza che, rispetto e
accanto all‘attività di accertamento, assume l‘attività amministrativa di
controllo. Sostenere il contrario – e cioè che quest‘ultima attività costituisca
solo la fase istruttoria di un procedimento, unico e unitario, preordinato
all‘emissione di atti autoritativi di accertamento – significa dare una valenza
accertativa a tutti quegli atti conoscitivi, paritetici e discrezionali, che invece
nella loro sequenza non si concludono con un atto autoritativo, ma
rappresentano solo una fase amministrativa di verificazione e, spesso, anche
di confronto delle posizioni del contribuente e del fisco. Significa,
soprattutto, sostenere che i controlli debbono avere il solo fine di preparare
gli accertamenti e debbono, di conseguenza, fondarsi sulla presunzione,
inaccettabile, che il controllato sia un evasore, ancorché manchi a suo carico
un qualunque specifico indizio di violazione. Al contrario, svincolare
l‘attività di controllo da quella di accertamento in senso stretto,
riconoscendole una propria autonomia funzionale e procedimentale, serve a
potenziare la partecipazione del contribuente e a valorizzare l‘imparzialità
dell‘attività amministrativa di controllo. Serve, in definitiva, ad evidenziare
una circostanza difficilmente contestabile nell‘attuale stato dell‘evoluzione
legislativa, e cioè che l‘ufficio si relaziona al contribuente non al fine
esclusivo di recuperare un‘imposta evasa, ma per sottoporlo più
semplicemente ad un controllo il cui esito può indifferentemente essere il
riscontro sia di violazioni che dell‘esatto adempimento dei vari obblighi
strumentali posti a suo carico.
La logica del ―risultato di servizio‖ ad ogni costo
che spesso anima
l‘attività degli uffici in funzione del seppur apprezzabile e condivisibile
obiettivo di recupero di gettito e che sul piano concreto è alla base di una
visione totalizzante dell‘accertamento
non sempre è compatibile con il
principio di imparzialità. Che l‘azione amministrativa di accertamento debba
essere efficiente non è in alcun modo contestabile ed è, anzi, auspicabile.
Bisogna, però, intendersi sul significato di efficienza, tenendo presente che in
ambito pubblicistico essa non è un valore assoluto, da perseguire a ogni costo
per raggiungere obiettivi predeterminati. Nel disegno dell‘ordinamento
generale l‘efficienza deve rapportarsi, innanzitutto, con più pregnanti valori
anche costituzionali, per primi quelli di capacità contributiva e, appunto, di
imparzialità. Non a caso la Costituzione parla, quanto all‘attività
amministrativa, non di efficienza, ma di ―organizzazione degli uffici‖ e dello
svolgimento della loro attività ―in modo che siano assicurati il buon
andamento e l‘imparzialità dell‘amministrazione‖ (articolo 97, comma 1).
Dove assume rilevanza non solo l‘utilizzo dell‘espressione ―buon
andamento‖, ma anche il concorrente parametro dell‘imparzialità, a
sottolineare che non può esservi buon andamento e, perciò, efficienza senza
imparzialità.
210
CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE
E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA
1.2
Non credo che la conclusione, cui siamo finora giunti, circa l‘autonomia
funzionale dell‘attività di controllo e conoscitiva possa essere in qualche
modo ribaltata ampliando la nozione di attività di accertamento a scapito del
primo tipo di attività, fino a ricomprendere nell‘accertamento non solo e non
tanto la costituzione o la mera liquidazione dell‘obbligazione tributaria, ma
anche tutta l‘attività di controllo e di vigilanza del contribuente e dei terzi.
Così ragionando, si tende probabilmente a tener ferma una impostazione
fondata sulla perdurante esistenza di un unitario procedimento di
accertamento, sia pure inteso nel senso atecnico e improprio in cui lo
intendevano i nostri maestri; procedimento che partirebbe dalla dichiarazione
e, attraverso i diversi atti istruttori intermedi, finirebbe con l‘atto di
accertamento e di rettifica. Questa ricostruzione è apprezzabile per il
tentativo di riportare all‘unità dell‘accertamento una serie di controlli
parcellizzati quali la liquidazione automatizzata, il c.d. controllo formale,
l‘accertamento parziale, l‘accertamento generale e l‘accertamento integrativo
o modificativo. Mi pare, però, ostacolata dalla considerazione che
l‘ordinamento vigente nega che l‘impugnabilità dell‘atto di accertamento per
vizi degli atti precedenti si fondi necessariamente su un nesso d‘ordine
procedimentale tra questi atti e lo stesso atto di accertamento. L‘invalidità
dell‘atto di accertamento per vizi dell‘attività conoscitiva e di controllo va,
infatti, intesa non già in termini di ―invalidità derivata‖ – come sarebbe nei
rapporti
tra
atti
(―presupposti‖)
endoprocedimentali
e
l‘atto
(―presupponente‖) conclusivo del procedimento – bensì in termini di mera
inutilizzabilità ai fini dell‘accertamento del materiale probatorio
autonomamente (e illegittimamente) acquisito nella distinta fase di controllo.
1.3
Se si accetta l‘indicata impostazione di fondo in termini di autonomia
funzionale della fase di controllo, si capisce quindi come la nozione di
istruttoria procedimentale si vada sempre più scolorando ed ampliando fino a
comprendere attività conoscitive che si articolano esse stesse in più
procedimenti, tanti quanti sono i poteri attribuiti dalla legge agli organi
ispettivi e di vigilanza. In tali procedimenti ci saranno sempre una situazione
base di partenza e un provvedimento autoritativo che determina a carico del
destinatario l‘obbligo di dare, facere o pati; con il conseguente svolgimento
di una determinata attività di tipo materiale da parte sia del soggetto
contribuente o terzo, sia dello stesso organo di controllo.
Può, quindi, parlarsi d‘accordo con la maggioranza della dottrina di una
distinta funzione di controllo e conoscitiva attribuita all‘amministrazione
finanziaria, caratteristica dei sistemi fiscali di massa; di una funzione, cioè,
diretta all‘acquisizione di conoscenze fiscalmente rilevanti e rispondente ad
un interesse pubblico alla vigilanza e al controllo delle attività economiche
svolte dai contribuenti e dai terzi obbligati. E possono, quindi, condividersi
quelle opinioni secondo cui l‘obiettivo di fondo, che con l‘esercizio di tale
211
CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE
E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA
funzione si persegue, sarebbe quello di assicurare ―credibilità‖ al sistema e di
spingere il contribuente ad un fedele adempimento tributario, piuttosto che
quello del solo recupero e della repressione dell‘evasione.
2 Quando l‟attività di controllo produce atti discrezionali
Dalla suddetta impostazione conseguono un allargamento del campo di
indagine dell‘attività amministrativa tributaria nel suo complesso e
l‘emersione
di
problematiche
che
nella
tradizionale
visione
endoprocedimentale rimanevano, invece, in ombra. Mi limiterò qui ad
evocarne molto sinteticamente le più importanti e ad indicare le soluzioni
compatibili con la sottolineata autonomia funzionale dell‘attività conoscitiva.
Il primo ordine di problemi attiene alla individuazione della natura, vincolata
o discrezionale, delle attività in questione. Debbo riconoscere al riguardo che
questa problematica è stata finora studiata da buona parte della dottrina, me
compreso, ragionando per lo più sul presupposto della non disgiungibilità
della fase di controllo da quella di accertamento o, meglio, dell‘assorbimento
in quest‘ultima di (quasi) tutte le altre attività di controllo e di vigilanza.
Quindi, sul presupposto della natura prevalentemente vincolata del potere
esercitato dall‘ente impositore in sede accertativa e, corrispondentemente,
della titolarità piena di un diritto soggettivo del contribuente accertato, inteso
come situazione di immunità da detto potere. Si è, così, quasi sempre giunti
alla conclusione di negare, in linea di massima, carattere discrezionale a tale
potere, prendendo anche atto che in materia di prestazioni imposte il
principio di riserva di legge, cui tali prestazioni devono essere assoggettate,
esclude normalmente l‘esercizio di poteri discrezionali di scelta idonei a
degradare i diritti del contribuente e ad interferire con gli stessi. E, quindi,
non ammette nemmeno la possibilità di operare quelle valutazioni e
comparazioni dell‘interesse primario al controllo con altri interessi secondari
confliggenti e/o concorrenti del contribuente medesimo, nelle quali appunto
secondo la classica definizione di M.S. Giannini consiste la discrezionalità.
Ciononostante, già allora non si escludeva, né io escludevo, radicalmente
l‘esistenza di una discrezionalità amministrativa in tutti quei particolari casi
in verità, ridotti ad assai pochi in una visione ―pan-accertativa‖ in cui gli
interessi da ponderare non erano attinenti alla sfera impositiva sostanziale
disciplinata in modo vincolato dalla legge, ma riguardavano situazioni
soggettive autonome del contribuente e del terzo che, scrivevo allora, solo
incidentalmente venivano compresse dall‘attività di controllo e di verifica
funzionalizzata all‘accertamento. In tali casi poteva in effetti sostenersi che il
contribuente e il terzo non avevano la disponibilità giuridica del bene
protetto. Pertanto, a fronte dell‘interesse primario all‘acquisizione di
conoscenze fiscalmente rilevanti (cui il potere dell‘organo di controllo era
funzionalmente preordinato) si poteva ben porre, quale altro termine di
comparazione, un interesse secondario del contribuente o del terzo a non
subire restrizioni alle proprie libertà individuali; un interesse, perciò, che
trovava una sua tutela esclusivamente nella legge attributiva del suddetto
212
CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE
E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA
potere e nei principi – di rilievo anche comunitario – di imparzialità,
ragionevolezza, normalità, adeguatezza e proporzionalità tra fine perseguito e
mezzi impiegati.
Queste considerazioni vanno ora ribadite e, nel contempo, integrate con
l‘osservazione empirica che la rilevata autonomizzazione dell‘attività di
controllo e la sua articolazione in diversi procedimenti consentono di porre
con maggiore attenzione il problema della discrezionalità con riferimento a
quegli atti di ispezione, verifica e controllo, che sono sganciati dall‘attività di
accertamento e sono, comunque, frutto dell‘esercizio ―libero‖ e, perciò, non
predeterminato e non predefinito dalla legge di un potere di scelta delle
soluzioni più opportune e più consone al caso concreto. E‘ in questo senso
che, a mio avviso, può dirsi come comunemente si dice nella pratica che
l‘amministrazione finanziaria è ―libera‖ di scegliere quando, come e in capo a
chi effettuare un controllo, senza che sia data ad alcun giudice la possibilità
di sindacare tale scelta nel merito e in termini di opportunità.
Ciò che in questa sede preme sottolineare sotto il profilo, che qui più
interessa, della tutela è comunque che, quando tali atti ledono la libertà
individuale del contribuente o del terzo coinvolto come, ad es., il diritto
all‘inviolabilità del domicilio, al segreto professionale e alla riservatezza e
quando, per l‘intensità e modalità con cui sono posti in essere, risultano
affetti dal vizio di eccesso o sviamento di potere (o da altri vizi di legittimità)
e quando, ancora, non rispondono ai richiamati principi di ragionevolezza,
normalità, adeguatezza e proporzionalità, in tali casi dovrebbe essere data,
avverso essi, una immediata tutela giurisdizionale che faccia cessare le
attività fortemente lesive di dette libertà e diritti. Il tutto, indipendentemente
dalla successiva possibile confluenza degli atti viziati nel procedimento di
accertamento e, beninteso, in quelle ipotesi in cui la tutela differita presso il
giudice dell‘atto di accertamento non sia in alcun modo sufficiente ad
assicurare una protezione piena ed effettiva.
La giurisdizione al riguardo dovrebbe essere ripartita tra giudice ordinario e
giudice amministrativo, a seconda che si faccia valere, rispettivamente, un
diritto soggettivo (come sarebbe il caso dell‘accesso o dell‘ispezione eseguiti
senza il necessario provvedimento autorizzatorio) o un interesse legittimo
(come sarebbe il caso, ben più frequente, dell‘esercizio di un potere
pubblico). Trattandosi di questioni attinenti a libertà e diritti individuali o a
vizi del potere di controllo che emergono prima della formazione dell‘atto di
accertamento impugnabile, andrebbe infatti esclusa, allo stato attuale della
legislazione, la possibilità di ottenere tale tutela dinnanzi al giudice tributario.
Confermano questa conclusione, sul piano legislativo, l‘articolo 7, comma 4,
della legge n. 212 del 2000, laddove esso dispone che ―la natura tributaria
dell‘atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa
quando ne ricorrano i presupposti‖ e, sul piano giurisprudenziale, soprattutto
le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell‘Uomo 21 febbraio 2008,
causa n. 18497/03, Ravon, e 24 luglio 2008, causa n. 18603/04, Andrè; la
prima delle quali, con riferimento ad un‘indagine amministrativa tributaria
213
CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE
E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA
svoltasi in Francia presso il luogo di lavoro e l‘abitazione dei contribuenti, ha
fortemente valorizzato il diritto di questi ―al rispetto del domicilio‖ (punto 24
della sentenza). Essa ha, in proposito, espressamente affermato che ―le
persone interessate possono ottenere un controllo giurisdizionale effettivo, in
fatto come in diritto, sulla regolarità della decisione che prescrive l‘ispezione
e, se del caso, delle azioni intraprese circa il suo fondamento; i ricorsi a
disposizione devono consentire, in caso di constatazione di irregolarità, sia di
prevenire la continuazione delle operazioni sia, nei casi in cui l‘operazione
considerata irregolare abbia già avuto luogo, di fornire all‘interessato un
opportuno rimedio‖ (punto 28).
3 Rapporto fra attività di controllo e attività di accertamento.
Esclusa la possibilità di considerare l‘ attività conoscitiva e di controllo come
attività interna di un articolato, generale procedimento di accertamento
tributario, c‘è allora da domandarsi quale tipo di rapporto intercorra tra tale
attività e quella di accertamento.
3.1
Condivido in proposito quelle tesi che qualificano tale rapporto facendo
ricorso alla nozione, di gianniniana memoria, di ―procedimento collegato‖.
Nella fase di attuazione della norma tributaria il collegamento è, del resto, un
istituto di applicazione generale che opera in modo da associare, ricorrendone
i presupposti, la funzione di controllo e conoscitiva allo sviluppo delle
ulteriori attività amministrative funzionalmente distinte. Queste attività
partono dalle conoscenze acquisite nella fase di controllo e possono
concludersi non solo con un accertamento in senso stretto, ma anche con
accertamenti con adesione del contribuente, con l‘irrogazione di sanzioni e
con atti di riscossione e di rimborso, e così via. In questa ottica l‘attività
collegata di accertamento è, perciò, solo una sicuramente tra le più rilevanti
delle predette attività svolte dall‘ufficio, avente la caratteristica di essere
valutativa dei fatti e delle prove e interpretativa delle norme sulla cui base si
forma l‘atto impositivo.
Il tramite tra l‘attività di accertamento e gli atti di controllo prodromici ad
essa è, in particolare, costituito dalla motivazione dell‘atto autoritativo che
conclude il procedimento. E‘, infatti, attraverso la motivazione che le
risultanze dell‘attività di indagine sono qualificabili come ―risultanze
istruttorie‖ ed entrano in tale procedimento. Le prove raccolte e indicate
nell‘atto autoritativo possono così acquistare rilevanza, a seguito di
impugnativa dello stesso, anche ai fini del processo tributario e, quindi, della
loro valutazione da parte del giudice. Questo passaggio è espressamente
descritto dall‘art. 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990, il quale, nel
disporre che la motivazione deve ―indicare i presupposti di fatto e le
motivazioni
giuridiche
che
hanno
determinato
la
decisione
dell‘amministrazione‖, afferma che queste indicazioni devono effettuarsi ―in
relazione alle risultanze istruttorie‖.
214
CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE
E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA
Da questo riferimento alle risultanze istruttorie per definire il contenuto della
motivazione dovrebbe, dunque, conseguire una prevalenza, sostanziale e di
fatto, della fase preparatoria su quella formale di formazione dell‘atto
autoritativo di accertamento; prevalenza che, però, non arriva al punto di
tramutarsi necessariamente nell‘obbligo formale di motivare tale atto in
perfetto accordo e sintonia con le risultanze istruttorie acquisite nella fase di
controllo. La distinzione tra quest‘ultima fase e quella di accertamento porta,
infatti, a ritenere che, anche nei casi in cui la prima ―sbocca‖ nella seconda, il
responsabile del procedimento di accertamento può pur sempre discostarsi
dalle originarie indagini svolte dal soggetto controllante ove ―ragioni di
valore‖ e di opportunità lo impongano, anche in via di autotutela. Se ci si
pone in questa ottica, la lettura dell‘art. 3 della legge n. 241 del 1990 non
può, quindi, che essere nel senso che le risultanze istruttorie da indicare sono
quelle su cui sono fondati effettivamente ―i presupposti di fatto e le ragioni
giuridiche‖ della pretesa e non necessariamente quegli elementi conoscitivi
originari, acquisiti nella fase preparatoria e poi abbandonati.
In armonia con questa interpretazione è, del resto, la modifica alla legge n.
241 del 1990, apportata dall‘art. 6, comma 1, lettera e), della legge n. 15 del
2005, laddove si dispone che ―l‘organo competente per l‘adozione del
provvedimento formale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non
può discostarsi dalle risultanze dell‘istruttoria condotta dal responsabile del
procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale‖.
In conclusione, il fatto che l‘indicazione degli elementi probatori nella
motivazione presupponga normalmente lo svolgimento di una distinta, ma
collegata attività di controllo diretta all‘acquisizione della prova (come è il
caso, il più frequente, in cui la pretesa sia fondata su prove documentali
acquisite o su argomentazioni induttive, quali sono le percentuali di ricarico,
costruite nell‘esercizio di poteri istruttori), non esclude che l‘ufficio deputato
all‘accertamento possa prescindere dal riferimento all‘attività svolta nella
fase preparatoria (come avviene nel caso di avvisi di accertamento di maggior
valore fondati sulla prova costituita dalla c.d. stima UTE o nel caso di avvisi
di accertamento delle imposte sui redditi e dell‘IVA emessi sulla base anche
di ―non prove ―, e cioè di giudizi e valutazioni logiche o di congegni
presuntivi più o meno automatici, quali gli studi di settore, i coefficienti e, in
genere, ogni valido parametro). È la motivazione e ciò che è scritto in essa
che rappresenta la ―griglia‖ attraverso la quale necessariamente passano sia
gli elementi probatori raccolti nella fase prodromica, sia quelli che possono
anche non costituire vere e proprie prove determinati nella stessa fase di
formazione dell‘atto.
3.2
Indipendentemente dagli indicati riferimenti legislativi alle risultanze
istruttorie, va comunque tenuto presente che il collegamento delle attività di
accertamento e dello stesso atto di accertamento con le pertinenti, distinte
attività di controllo e preparatorie è la conseguenza naturale dell‘osservanza
215
CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE
E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA
dell‘obbligo – posto a carico dell‘amministrazione in attuazione del principio
di imparzialità – di ―dare a se stessa‖ la prova della pretesa nel caso concreto.
È, infatti, la circostanza che l‘atto di accertamento diviene definitivo se non
impugnato nei termini di legge che, secondo l‘originaria intuizione di E.
Allorio, ―costringe‖ il legislatore a porre al centro della fase di formazione
dell‘atto medesimo il dovere dell‘amministrazione di motivare, anche per se
stessa, i fatti costitutivi della pretesa. Si è visto che tale dovere si sdoppia
temporalmente, prima, nell‘obbligo di acquisire in sede di controllo gli
elementi idonei a dimostrare la rispondenza al vero degli enunciati fattuali
della pretesa e, poi, in quello di sintetizzare nella motivazione tali elementi
quali prove giuridiche della pretesa medesima (definibili, perciò, solo a
posteriori come elementi istruttori).
In questa ottica mi parrebbe, perciò, più coerente all‘autonomia del
procedimento di controllo considerare le acquisizioni, avvenute prima
dell‘enunciazione nella motivazione, meri ―fatti‖, che diventano prove o, se
si preferisce, ―risultanze istruttorie‖ solo al momento della loro indicazione
nell‘atto di accertamento.
3.3
È anche ragionando su questi presupposti che la prevalente dottrina dissente
dall‘orientamento della Suprema Corte, secondo cui, invece, la prova può
anche essere enunciata e fornita per la prima volta nel processo tributario. Il
dissenso non è di poco conto perché nasconde un contrasto interpretativo
teorico sulla natura dell‘accertamento tributario, che si prolunga ormai da
tempo e sul quale vale la pena di spendere qualche ulteriore considerazione.
Innanzitutto, va rilevato che la linea di evoluzione della legislazione tributaria
nel senso dell‘obbligatoria indicazione in motivazione degli elementi
probatori è testimoniata dal fatto che la disciplina IVA, a differenza della più
risalente disciplina delle imposte sui redditi e di registro (che nulla o poco
dicono in materia), anticipa la ricordata norma dell‘art. 3 della legge n. 241
del 1990, richiedendo espressamente, nell‘art. 56, comma 2, del d.P.R. n. 633
del 1974, l‘indicazione nella motivazione, insieme agli ―errori, omissioni e
false o inesatte indicazioni su cui è fondata la rettifica‖, anche dei ―relativi
elementi probatori‖, e cioè di quegli elementi che l‘art. 3 medesimo
chiamerà, poi, ―risultanze istruttorie‖. Nello stesso senso si è mosso, sempre
in anticipo rispetto all‘ art. 3, il legislatore con la disciplina delle sanzioni
tributarie, prevedendo espressamente, nell‘art. 16 del D.Lgs. n. 472 del 1997,
l‘obbligo per l‘ufficio di enunciare gli ―elementi probatori‖ nell‘atto di
contestazione delle sanzioni e comminando la sanzione della nullità in caso di
inosservanza di tale precetto.
In questo quadro normativo, non dovrebbe quindi avere valenza interpretativa
contraria il fatto che l‘art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente (legge n.
212 del 2000), nel delimitare il contenuto della motivazione, non fa specifico
riferimento alle risultanze istruttorie. L‘esegesi condotta sulla base dell‘art. 3
della legge n. 241 trova, comunque, un sostegno concettuale decisivo non
216
CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE
E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA
solo nelle suddette esplicite disposizioni relative all‘IVA e alle sanzioni, ma
anche nella stessa nozione di prova, nella esigenza di tutela del diritto di
difesa del contribuente e nello stretto rapporto di correlazione che deve
necessariamente esistere tra la prova medesima
e la motivazione.
Verifichiamo queste ulteriori argomentazioni più nel dettaglio.
3.3.1
Quanto alla nozione di prova, rilevo che la distinzione tra fase accertativa e
fase processuale di controllo impone di scomporla in prova quale
giustificazione della pretesa, attinente quindi alla motivazione, e prova quale
dimostrazione della stessa, attinente quindi al processo.
Questa distinzione è resa necessaria dalla circostanza che il nostro linguaggio
giuridico, diversamente da quello di altri paesi, usa il termine polisemico
―prova‖ per indicare fenomeni tra loro differenti. Ho già fatto presente in
altra sede che la migliore dottrina processualistica italiana, con riferimento al
rapporto tra la prova ed il fatto, distingue, in termini funzionali, la prova
quale elemento conoscitivo e giustificativo dalla prova come elemento
dimostrativo, riecheggiando così la ben nota distinzione, tratta dai sistemi di
common law, tra proof ed evidence. Dove l‘evidence è il mezzo di prova,
ovverosia ogni elemento di natura documentale o logica che può essere
impiegato, appunto, per la conoscenza del fatto o per la giustificazione della
ricostruzione fattuale operata dall‘autore dell‘atto. E simmetricamente la
proof è il risultato che deriva dall‘acquisizione dei mezzi di prova nel
processo e dalla loro valutazione da parte del giudice. Come proof la prova è,
perciò, sinonimo di dimostrazione e, più esattamente, di ―dimostrazione
raggiunta‖, che porta il giudice a ritenere attendibile l‘enunciato fattuale
sostenuto da uno dei contraddittori. La proof è, in altri termini, la
dimostrazione del fatto che il giudice raggiunge sulla base dell‘evidence e
rappresenta, quindi, l‘elemento di conferma e di controllo della versione
fattuale offerta da una delle parti.
Queste puntualizzazioni sul significato del termine prova costituiscono,
dunque, un ulteriore argomento per risolvere affermativamente la questione
se le prove debbano essere indicate nell‘accertamento tributario o no. È
indubbio, infatti, che l‘evidence
in quanto elemento necessario di
conoscenza e di giustificazione delle determinazioni assunte dall‘ufficio
appartiene pienamente all‘area della motivazione. Ne costituisce, anzi, un
tassello e un passaggio necessario di cui l‘ufficio dovrebbe dare in ogni caso
atto nella ricostruzione degli enunciati di fatto da lui fornita in
contrapposizione a quella offerta dal contribuente. E ciò anche nelle ipotesi in
cui l‘obbligo di indicazione degli elementi probatori nella motivazione non è
espressamente previsto né dallo statuto dei diritti del contribuente, nè dalle
norme relative ai singoli tributi (come avviene per le imposte sul reddito e per
le imposte di registro).
Se poi in sede processuale, a seguito dell‘impugnativa dell‘atto di
accertamento da parte del contribuente, la dimostrazione della pretesa non
217
CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE
E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA
sarà raggiunta, è evidente che quegli stessi elementi probatori che si
presentano nell‘atto di accertamento come evidence non costituiscono proof
nel processo e, quindi, perdono la loro funzione di giustificare la pretesa.
3.3.2
L‘obbligo di enunciare la prova quale evidence nella fase motivazionale
trova, inoltre, la sua ratio anche nell‘esigenza di informazione del
contribuente ai fini dell‘esercizio del diritto di difesa garantito dall‘art. 24
Cost.
Basta rilevare al riguardo che l‘ammissibilità del ricorso del contribuente
contro l‘accertamento è subordinata alla indicazione in esso dei motivi di
impugnazione, indicazione che deve avvenire entro il termine previsto per la
sua presentazione (artt. 18, 21 e 24 del D.Lgs. n. 546 del 1992), non potendo
il contribuente addurre successivamente in giudizio motivi che non siano stati
formulati nel ricorso (e nelle eventuali integrazioni ammesse dalla legge).
Stante questa stringente disciplina, si capisce come la mancata enunciazione
nella motivazione degli elementi probatori su cui si fonda la pretesa si riflette
in una mancata conoscenza, da parte del ricorrente, degli elementi stessi e gli
preclude, pertanto, una completa ed adeguata evidenziazione dei motivi di
ricorso, determinando anche la sua decadenza dall‘esercizio del diritto di
impugnativa.
3.3.3
L‘esame dello specifico rapporto che deve intercorrere tra motivazione e
prova mi induce, infine, ad ulteriori più generali considerazioni in ordine al
contrario indirizzo seguito al riguardo dalla Corte di cassazione. La mia
impressione è che dietro la svalutazione della fase accertativa e la
rivalutazione di quella processuale c‘è una certa tentazione della Suprema
Corte a riportare integralmente il processo tributario, attraverso lo schema
dell‘impugnazione-merito, al modello processuale civilistico e a superare, se
non annullare, per tale via lo iato tra la fase amministrativa e quella
giurisdizionale-contenziosa. Se così non fosse, non si capirebbe infatti
l‘insistenza di essa nel qualificare in numerose sentenze l‘atto di
accertamento quale provocatio ad opponendum riecheggiando e, forse,
abusando di alcune risalenti posizioni teoriche. Secondo tali posizioni,
essendo l‘oggetto del giudizio dinanzi alle Commissioni costituito non
dall‘atto impugnato bensì dal rapporto obbligatorio d‘imposta, sarebbe
consentito, all‘amministrazione finanziaria, di integrare in sede contenziosa
la motivazione dell‘atto e, al giudice, di formare il proprio convincimento
quanto alla sussistenza o meno del rapporto, prescindendo anche dal
contenuto ―probatorio‖ della motivazione.
Mi sembra peraltro che, allo stato attuale dell‘evoluzione dottrinaria e
legislativa, nemmeno i più acerrimi fautori della teoria dichiarativista e la
stessa Suprema Corte arrivino a tali estreme conclusioni. La qualificazione
del giudizio tributario quale giudizio di impugnazione-merito e l‘attribuzione
all‘atto di accertamento di una mera funzione liquidatoria dell‘obbligazione
218
CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE
E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA
tributaria non escludono, infatti, che tale atto abbia natura autoritativa (anche
se non costitutiva del rapporto tributario) e, comunque, abbia il ruolo di
―veicolo di accesso‖ all‘esame del rapporto d‘imposta. Tanto ciò è vero che
la stessa giurisprudenza della Cassazione è ben ferma nel ritenere, da una
parte, che, in mancanza di un‘adeguata motivazione, l‘atto di accertamento è
nullo, con la conseguente preclusione per il giudice tributario di valutare nel
merito la pretesa tributaria e, dall‘altra, che la motivazione deve comunque
delimitare l‘oggetto del giudizio di impugnazione dinanzi alla Commissione
e, quindi, in relazione a ciò l‘ufficio finanziario o il giudice non possono, in
corso di causa, né modificare, né sostituire i presupposti di fatto e le ragioni
giuridiche poste a base dell‘accertamento.
Questi punti fermi della giurisprudenza e della dottrina contraddicono, perciò,
chiaramente la qualificazione dell‘atto di accertamento quale provocatio ad
opponendum che recenti sentenze – in verità, recentemente con qualche
eccezione - continuano a dare( si vedano, tra le altre, le sentt. 28 febbraio
2000, n. 2500; 4 febbraio 2000, n. 1209; 3 maggio 2000, n. 5557; 22
dicembre 1999, n. 14427; 2 settembre 1996, n. 7991). Non ha senso, infatti, e
sarebbe comunque contraddittorio attribuire correttamente a tale atto la natura
di ―veicolo di accesso‖ al giudizio sul rapporto e negare, di conseguenza, la
possibilità di modificarlo nel corso del processo e, nello stesso tempo,
invocarne la natura di provocatio ad opponendum per giustificare la
possibilità dell‘ufficio di indicare nella fase contenziosa le prove della pretesa
e, quindi, negare l‘obbligo di enunciare tali prove nella motivazione. In altri
termini, non si può disconoscere la natura di provocatio ad opponendum
dell‘atto di accertamento ai fini di definire l‘oggetto del giudizio tributario e,
contemporaneamente, riesumarla ai fini di consentire all‘ufficio di enunciare,
solo in fase contenziosa, gli elementi probatori posti a base della pretesa. Se
l‘atto di accertamento è da qualificare quale provocatio ad opponendum,
allora se ne dovrebbero trarre le conseguenze in termini generali e, quindi,
anche con riferimento alla possibilità di modificare la motivazione e, in
ultima analisi, con riferimento alla stessa qualificazione del giudizio
tributario.
Ne resta confermato che la soluzione del problema del rapporto tra
motivazione e prova dovrebbe più coerentemente essere data nel senso
indicato dalla dottrina maggioritaria è recepito dall‘articolo 3, comma 1 della
legge n. 241 del 1990, riconducendo, cioè, gli elementi probatori-―risultanze
istruttorie‖ alla sfera della motivazione, in applicazione del principio di
imparzialità amministrativa e nel pieno rispetto del diritto di difesa.
4 Conclusioni
Non v‘è dubbio che, nonostante la rilevata espansione del sistema tributario
verso forme di partecipazione e di collaborazione del contribuente,
l‘istruttoria procedimentale è retta ancora dal principio inquisitorio e vede
l‘amministrazione come protagonista e il contribuente, al più, come
deuteragonista. Le deduzioni, le osservazioni e i rilievi – che, con riguardo
219
CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE
E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA
alle verifiche fiscali, questi può fare e presentare ai sensi dell‘art. 12 dello
Statuto dei diritti del contribuente e di altre norme sparse nell‘ordinamento –
rappresentano, infatti, solo un ―minimo‖ concesso ad un soggetto obbligato a
collaborare, piuttosto che l‘espressione piena di un suo diritto a partecipare.
Tanto meno costituiscono strumenti utili a far cessare nell‘immediato gli
effetti pregiudizievoli di atti conoscitivi illegittimi.
Da qui la proposta, che parte della dottrina porta avanti da tempo, di
costruire, attraverso un‘appropriata regolamentazione, un vero contraddittorio
amministrativo con riferimento all‘autonoma fase preventiva di controllo.
Non un contraddittorio nel quale, come taluno ritiene, si debbano applicare,
anticipandoli, i principi probatori processuali, sul presupposto che gli
elementi raccolti nella fase amministrativa devono essere poi utilizzati nel
processo tributario. Più semplicemente, un contraddittorio in cui, senza
arrivare al punto di ―processualizzare l‘accertamento‖, sia possibile la
formale partecipazione del contribuente o del terzo interessato agli atti
istruttori che li riguardano, anche se solo per verificare, in aperta e
trasparente dialettica con l‘amministrazione, se tali atti siano compiuti in
modo corretto e legittimo. All‘ufficio deputato al controllo dovrebbe essere
imposto in particolare, oltre all‘obbligo (già esistente) di dare atto dei rilievi
del contribuente in un processo verbale e di tenerne conto in sede di
accertamento, anche quello di rispondere in tempi brevi alle contestazioni
avanzate dal contribuente medesimo in ordine alla legittimità e immediata
lesività degli atti posti in essere nei suoi confronti. Si eviterebbe, così, fin
dall‘inizio di fare entrare nel procedimento di accertamento elementi acquisiti
illegittimamente nella fase preparatoria e di ―scaricare‖ sul giudice tributario
la soluzione di questioni che, pur relative ad atti tributari, non attengono al
―merito‖ tributario e, perciò, non toccano quell‘interesse patrimoniale del
contribuente che è la base sostanziale del suo diritto giustiziale.
L‘applicazione generalizzata del principio audietur et altera pars, seppur
limitata alla fase di acquisizione dei dati ed elementi probatori (e, quindi, alla
indicata verifica della legittimità degli atti posti in essere nel procedimento)
avrebbe, in conclusione, l‘effetto positivo:
per il contribuente, di farlo partecipare al procedimento non come
―oggetto‖ o collaboratore ―servente‖, ma quale parte attiva che vuole
conoscere il punto di vista dell‘amministrazione, prima di ricorrere
nell‘immediato al giudice competente per chiedere la cessazione degli
effetti degli atti (asseritamente) illegittimi e lesivi;
per l‘amministrazione finanziaria, di migliorare la qualità della sua
attività conoscitiva consentendole di utilizzare, nella successiva sede di
accertamento, elementi probatori che hanno passato il vaglio di un vero
contraddittorio.
Subprocedimenti come questi si pongono nel solco del sempre maggiore
utilizzo dell‘istituto dell‘interpello, sono presupposti dallo stesso richiamato
statuto dei diritti del contribuente (il cui art. 7 ,comma 4 espressamente
dispone che ― la natura tributaria dell‘atto non preclude il ricorso agli organi
220
CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE
E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA
di giustizia amministrativa, quando ne ricorrono i presupposti‖), sono previsti
dagli ordinamenti di molti paesi europei ed hanno dato il più delle volte un
esito soddisfacente quali ―filtri amministrativi‖ o, meglio, quali ―stanze di
decompressione‖ della giustizia tributaria.
Franco Gallo
221
Prof. Giuseppe Ingrao
“Concentrazione della riscossione nell‟accertamento”
e riflessi sull‟ammissione al passivo fallimentare
1.
Il tradizionale riferimento alla iscrizione al ruolo per la
dimostrazione della esistenza del credito tributario in sede di
insinuazione al passivo fallimentare.
Analogamente a quanto avviene con riguardo ai crediti scaturenti da
rapporti di natura privatistica vantati nei confronti dell‘imprenditore fallito,
anche per i crediti tributari la partecipazione alla procedura concorsuale è
condizionata alla presentazione di una apposita istanza di insinuazione al
passivo e all‘espletamento del procedimento di accertamento e verifica del
credito.
Qualora la pretesa tributaria debba essere riscossa nei confronti di
un soggetto fallito, quindi, le tradizionali prerogative del Fisco, finalizzate a
tutelare l‘interesse pubblico alla pronta e sicura riscossione dei tributi,
vengono stemperate nel rispetto del principio a cui è informata la procedura
concorsuale in questione e cioè la par condicio creditorum (1).
Ciò detto, occorre premettere che l‘art. 87 del DPR n. 602/1973, in
tema di ricorso per la dichiarazione di fallimento e domanda di ammissione
al passivo, stabilisce che la pretesa deve risultare da una iscrizione a ruolo
dell‘Ufficio impositore (2).
1
Cfr. VIGNOLI, ―Prior in tempore potior in iure‖: la procedura
concorsuale trasforma il Fisco in un creditore come gli altri, in Dialoghi tributari,
2010, p. 572.
Sino alla riforma della riscossione del 1999, era previsto che il
Concessionario potesse agire in via esecutiva, al di fuori del concorso con gli altri
creditori. L‘art. 51, Dpr n. 602/73, stabiliva, infatti, che ―l‘esattore può procedere alla
espropriazione anche quando il debitore sia dichiarato fallito‖. Si trattava, tuttavia, di
un privilegio esclusivamente processuale, in quanto dal punto di vista sostanziale il
credito fiscale era comunque soggetto alla procedura di accertamento del passivo, con
la conseguenza che il parziale o totale disconoscimento del credito comportava
l‘obbligo di restituire alla massa attiva fallimentare le somme acquisite in via
individuale. Analogo obbligo era previsto nel caso di acquisizione di somme
eccedenti rispetto al piano di ripartizione definitivo: il Fisco finiva, quindi, col subire
la medesima decurtazione degli altri creditori (salvo le cause di prelazione),
nonostante che dal punto di vista procedurale avesse agito in modo individuale.
2
Questa disposizione, seppur riferita alla riscossione delle imposte sui
redditi, è stata ritenuta applicabile in via analogica alle imposte indirette da Cass. 18
agosto 1996, n. 7579, in Giur. it., 1997, I, 1, p. 602, con nota di TURCHI, Crediti
tributari e tutela concorsuale dell‘Amministrazione finanziaria. Ma in senso contrario
―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖
E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE
Non basta, quindi, lo svolgimento di un controllo formale o
sostanziale da cui emerge l‘imposta dovuta, per ritenere ammissibile una
istanza di insinuazione al passivo della procedura fallimentare il credito, ma
è necessario che l‘Ufficio impositore concluda l‘attività amministrativa
finalizzata a formalizzare l‘esistenza del proprio credito con l‘emanazione di
un provvedimento avente efficacia esecutiva, qual è l‘iscrizione a ruolo.
L‘iscrizione a ruolo è seguita dalla notifica della cartella di
pagamento, che è l‘atto con cui l‘Agente della riscossione intima il
pagamento del debito risultante dalla dichiarazione tributaria, da un controllo
formale ai sensi degli art. 36 bis e ter, DPR 600/73, da un avviso di
accertamento, da una sentenza del giudice tributario ed infine da un
provvedimento di irrogazione delle sanzioni.
La competenza a presentare istanza per l‘insinuazione del credito
nella procedura concorsuale, spetta non all‘ente impositore, ma all‘Agente
della riscossione, il quale agisce in relazione ai ruoli ad esso affidati per la
riscossione (3).
2.
L‟impatto delle nuove norme sulla concentrazione della
riscossione: il duplice regime di insinuazione al passivo.
La normativa in tema di individuazione del titolo dimostrativo della
pretesa fiscale, in relazione al quale l‘Agente della riscossione è legittimato a
proporre istanza di insinuazione al passivo del fallimento, deve essere
interpretata alla luce delle recenti innovazioni contenute nell‘art. 29, D.L. n.
78/2010, finalizzate – come è noto - a ―concentrare la riscossione
nell‘accertamento‖ (4).
La citata innovazione legislativa ha segnatamente previsto la
soppressione dell‘iscrizione a ruolo e della cartella di pagamento con
riguardo alla riscossione delle somme dovute sulla base di avvisi di
cfr. Cass. 4 marzo 2009, n. 5165, in Corr. trib., 1555 con nota di MAURO, La
problematica ammissione al passivo fallimentare del credito Iva, ove si è affermata la
possibilità di insinuarsi al passivo per il credito Iva sulla base dell‘invito al pagamento
delle somme risultanti dalla dichiarazione.
3
Cfr. art. 33, D. Lgs. n. 112/99.
4
Per un commento a tali disposizioni si veda INGRAO, Il difficile
inserimento sistematico di una evoluzione strutturale, in Dialoghi tributari, 2010, p.
565, ove si è evidenziato che si è fatto un passo in avanti, con grande valenza
sistematica, verso il superamento dell‘anacronistico dualismo tra determinazione del
tributo e sua riscossione, che è privo di riscontri negli altri Paesi sviluppati;
CARINCI, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex DL
78/2010, in Riv. dir. trib., 2011, I, p. 159; GIOVANNINI, Riscossione in base al
ruolo e agli atti di accertamento, in Rass. trib., 2011, p. 22.
224
―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖
E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE
accertamento relativi alle imposte sui redditi ed all‘IVA ( 5), nonché dei
provvedimenti di irrogazione delle sanzioni ( 6). Questi ultimi atti, pertanto,
hanno efficacia esecutiva e contengono l‘intimazione ad adempiere entro i
termini previsti per la presentazione del ricorso (7).
La portata generale del provvedimento normativo di cui si discute e
la riduzione dello spazio applicativo dell‘iscrizione a ruolo sono confermate
dalla scelta legislativa di prevedere apposite «intimazioni ad adempiere», da
notificare al contribuente anche mediante raccomandata con avviso di
ricevimento, per le rideterminazioni degli importi da pagare sia a seguito di
utilizzo degli istituti deflattivi del contenzioso, sia a seguito di sentenze delle
Commissioni tributarie, sempre in tema di Imposte sui redditi e Iva.
5
E‘ tuttavia stabilito che, con regolamento da emanare ai sensi della legge
n. 400/1988, saranno introdotte, anche in deroga alle norme vigenti, delle disposizioni
con cui si uniformeranno le procedure di riscossione di tutti i tributi a quelle già
fissate per le imposte sui redditi e l‘IVA.
6
L‘ammissione al passivo delle sanzioni tributarie per violazioni commesse
dal fallito fa sì che il peso economico venga sopportato da tutti i creditori
concorsuali, i quali subiscono una minore soddisfazione delle loro pretese. La
sanzione viene quindi a ricadere su soggetti che non hanno alcuna relazione con la
violazione compiuta, disattendendo la funzione afflittiva che rivestono.
Sull‘argomento cfr. DAMI, Alcune riflessioni sull‘applicazione delle sanzioni
amministrative tributarie nelle procedure concorsuali, in Rass. trib., 2002, p. 1284;
MAURO, L‘inadeguato coordinamento normativo tra prerogative erariali e le
finalità del fallimento: le criticità in tema di riscossione dei crediti e delle relative
sanzioni, in Dialoghi tributari, 2010, p. 574, i quali ipotizzano il differimento
dell‘esigibilità del credito sanzionatorio nel momento in cui il fallito tornerà in bonis.
Contra PIERRO, L‘insinuazione dei crediti da sanzioni tributarie e la rilevanza del
ruolo, in Corr. trib., 2010, p. 2371, per la quale il debito da sanzioni deve ricadere
sulla massa fallimentare, altrimenti l‘imprenditore tornato in bonis potrebbe essere di
fatto impossibilitato a riprendere l‘attività.
7
Non vi è, quindi, un termine fisso per l‘effettuazione dell‘adempimento,
potendo detto termine variare in relazione alla sussistenza di cause di sospensione del
termine per ricorrere. Occorre, infatti, tener conto non solo del termine di sessanta
giorni previsto per l‘impugnazione, ma anche di eventuali sospensioni previste dalla
legge, come la sospensione feriale, ovvero la sospensione di novanta giorni connessa
alla presentazione di una istanza di accertamento con adesione. La cumulabilità di tali
sospensioni è stata di recente affermata da Cass. 4 febbraio 2011, n. 2682, in quanto
differenti sono le ragioni per le quali sono disposte. In senso analogo in dottrina cfr.
FRANSONI, Una preghiera: recuperiamo i canoni interpretativi ispirati alla ratio
delle norme, in Dialoghi tributari, 2009, p. 639 e ss.
225
―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖
E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE
La qualifica di ―titolo esecutivo‖ dei predetti atti non è, tuttavia,
immediata, ma è subordinata al decorso del termine di sessanta giorni dalla
notifica (8).
In deroga alla procedura di iscrizione a ruolo, l‘Ufficio provvede,
quindi, ad ―affidare‖ all‘Agente della riscossione, con modalità da definire
con un apposito provvedimento ministeriale, la riscossione delle somme
risultanti da atti di accertamento, da avvisi di irrogazione di sanzioni e da
―intimazioni ad adempiere‖; di tale affidamento il contribuente non viene a
conoscenza (9).
Vi è da dire, però, che il citato provvedimento normativo
non ha realizzato una generale soppressione del ruolo:
questo atto sopravvive, tra l‘altro, quale strumento di
riscossione: a) per le somme indicate in avvisi di
accertamento relativi agli altri tributi indiretti; b) per le
somme risultanti dalle sentenze delle Commissioni
tributarie qualora si controverte su tributi indiretti e locali
(10); c) per le somme dovute in relazione alle procedure di
rettifica della dichiarazione di tipo formale (36-bis e 36-ter
del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600); d) per le somme
dovute a titolo di sanzioni (se non vengono comminate
unitamente all‘atto di accertamento); e) per le somme
dovute a titolo di tassazione separata. Rilevano ancora le
ipotesi in cui il ruolo costituisce la forma di riscossione
ordinaria del tributo.
Si tratta, quindi, di un ulteriore ridimensionamento del ruolo
rispetto alla funzione che ricopriva in passato ( 11).
8
L‘esecuzione forzata può, peraltro, essere espletata qualora il contribuente
non adempia all‘obbligo di versamento entro ulteriori 30 giorni dalla scadenza del
predetto termine (di ciò occorre dare espressa menzione nell‘atto impositivo).
9
Nelle ipotesi in cui si applica la riscossione mediante ruolo, l‘avvenuta
iscrizione a ruolo veniva comunicata al contribuente indirettamente mediante la
notifica della cartella di pagamento, la quale deve avvenire entro i termini di
decadenza previsti dal‘art. 25, DPR n. 602/73.
10
Ribadiamo che le somme rideterminate dalle Commissioni tributarie in
relazione ad accertamenti relativi alle imposte sui redditi ed all‘IVA vengono riscosse
con una apposita «intimazione ad adempiere» da notificare al contribuente anche
mediante raccomandata con avviso di ricevimento.
11
Peraltro, la procedura di riscossione tramite ruolo si era già ridotta ―di
fatto‖ negli ultimi anni, in relazione all‘introduzione della normativa in tema di
adesioni all‘accertamento (D. Lgs. n. 218/97), la quale ha avuto una amplissima
applicazione.
226
―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖
E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE
Orbene, occorre a questo punto evidenziare che l‘art. 29, 1°
comma, lettera g), D.L. n. 78/2010, stabilisce che i riferimenti contenuti in
norme vigenti al ruolo e alla cartella di pagamento, si intendono traslati agli
avvisi di accertamento o alle ―intimazioni ad adempiere‖ ( 12); i riferimenti
alle somme iscritte a ruolo si intendono effettuati alle somme ―affidate‖ agli
Agenti della riscossione.
E‘, pertanto, pacifico che, con riferimento alle pretese risultanti da
avvisi di accertamento, da avvisi di irrogazione di sanzioni, nonché da
sentenze tributarie aventi ad oggetto Imposte sui redditi e Iva, il titolo
dimostrativo della sussistenza del credito tributario per cui l‘Agente della
riscossione si insinua nel fallimento deve essere individuato nell‘atto di
accertamento, di irrogazione delle sanzioni, o nell‘intimazione ad adempiere
(13).
Con riguardo a pretese differenti da quelle risultanti dai predetti
atti, nonché relative a tributi differenti dalle Imposte sui redditi e dall‘Iva,
l‘insinuazione al passivo del fallimento resta subordinata alla avvenuta
iscrizione a ruolo (14).
Esiste, pertanto, un duplice regime in relazione al quale l‘Agente
della riscossione può insinuarsi al passivo del fallimento.
Con riferimento alle ipotesi per cui l‘insinuazione al passivo è
subordinata alla iscrizione a ruolo, va rammentato che la giurisprudenza,
muovendo dal presupposto che il ruolo è un atto meramente interno (15), ha
12
La natura di tali intimazioni ad adempiere è quella di atti di liquidazione,
quindi è ipotizzabile una loro impugnazione di fronte alle Commissioni tributarie per
vizi propri.
13
In precedenza si escludeva la possibilità di legittimare un‘istanza di
ammissione al passivo sulla base di atti precedenti l‘iscrizione a ruolo, quali gli
avvisi di accertamento, le comunicazioni di irregolarità, gli avvisi di liquidazione e
simili, anche nel caso in cui tali atti non venivano impugnati dal curatore. Ciò in
quanto si voleva assicurare quanto più possibile stabilità e certezza alla pretesa
fiscale, per evitare di penalizzare gli altri creditori. Gli atti in questione, infatti,
potevano essere rimossi d‘Ufficio in autotutela.
14
Va precisato che i ruoli diventano esecutivi con l‘apposizione della firma
anche elettronica del capo dell‘Ufficio, o mediante validazione del sistema centrale.
Sul tema cfr. GUIDARA, Telematica e ruoli orfani, in Riv. dir. trib., 2006, I, p. 147 e
ss.
15
La Corte costituzionale (sent. 15 luglio 2005, n. 280) ha posto in risalto la
necessità che la pretesa impositiva dell‘Amministrazione resti ancorata a termini certi,
al fine di non pregiudicare l‘esercizio del diritto di difesa del contribuente, e tale
esigenza non poteva ritenersi soddisfatta dalla previsione di termini di decadenza per
l‘iscrizione a ruolo, tant‘è che sono stati introdotti termini perentori di decadenza per
la notifica delle cartella di pagamento (art. 25, DPR n. 602/73). Sul punto cfr.
CARINCI, Termini di notifica della cartella di pagamento e funzioni del ruolo:
227
―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖
E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE
opportunamente affermato che la proposizione della domanda è condizionata
alla notifica della cartella di pagamento ( 16). L‘Agente della riscossione non
solo deve produrre l‘estratto del ruolo, dal quale risultano le partite creditorie
suddivise per causali (17), ma anche deve dimostrare l‘avvenuta notifica
dell‘atto avente rilevanza esterna nell‘ambito del procedimento di
riscossione del tributo, cioè la cartella di pagamento (18).
Tale affermazione si giustifica per il fatto che, mancando la notifica
della cartella di pagamento al curatore verrebbe preclusa la possibilità di
contestare la legittimità della pretesa (19). Rileva, inoltre, l‘esigenza di una
maggiore trasparenza nel rapporto con i terzi creditori.
E‘ da escludere la possibilità di ottenere l‘ammissione allo stato
passivo del fallimento sulla base di atti differenti da quelli predetti, ed in
particolare con riguardo a somme risultanti da processi verbali di
constatazione, inviti al contraddittorio, comunicazioni di irregolarità.
L‘esigenza di ammettere i crediti tributari solo ove supportati da
titoli aventi maggiore stabilità, quali gli avvisi di accertamento, gli avvisi di
irrogazione delle sanzioni, le intimazioni ad adempiere e le iscrizioni a
ruolo/cartelle di pagamento, si riconduce, tra l‘altro, al fatto che il giudice
delegato (20) può constatare l‘eventuale infondatezza del credito comune ed
perplessità applicative e dubbi sistematici in merito al nuovo art. 25 del DPR n.
602/73, in Rass. trib., 2005, p. 1669 e ss.
16
Cfr. Cass. 17 giugno 1998, n. 6032. Preso atto di tale orientamento
giurisprudenziale, gli Agenti della riscossione presentano le istanze di ammissione al
passivo sulla scorta delle cartelle di pagamento notificate al fallito o al curatore. Tale
ricostruzione è stata tuttavia contestata da Cass. 31 maggio 2011, n. 12019, la quale
ha ritenuto inutile la notifica della cartella di pagamento,essendo impossibile
l‘esecuzione singolare, ed ha ritenuto sufficiente la mera iscrizione a ruolo,
evidenziando tra l‘altro che il curatore fallimentare possa opporsi dinnanzi alla
Commissione tributaria per contestare la legittimità del ruolo comunicato con la
domanda di aimmissione al passivo.
17
Per ogni causale, l‘Agente deve richiedere anche la sussistenza di cause di
prelazione.
18
In caso di fallimento del debitore l‘Agente della riscossione revoca
tempestivamente eventuali dilazioni di pagamento in precedenza concesse.
19
Il curatore deve valutare la legittimità dell‘atto ed eventualmente proporre
ricorso al giudice tributario; in caso di inerzia del curatore anche il fallito è legittimato
a proporre ricorso.
Sulla legittimità del fallito ad impugnare gli atti impositivi cfr. Cass. 14
maggio 2002, n. 6937; Cass. 24 febbraio 2006, n. 4235. L‘Amministrazione, dopo la
chiusura del fallimento, potrebbe far valere la pretesa nei confronti del fallito, il quale
infatti resta soggetto passivo d‘imposta; per questi motivi, si ritiene sussistente
l‘interesse ad agire. L‘avvenuta impugnazione dell‘atto da parte del curatore fa venir
meno l‘interesse ad agire in capo al fallito.
20
Cfr. art. 96, L.F.
228
―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖
E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE
escluderlo dallo stato passivo, dichiarando con decreto motivato
l‘inammissibilità della domanda o respingendola. Tale prerogativa non gli è,
invece, assegnata con riguardo al credito tributario, per la cui contestazione è
necessario proporre un‘apposita azione dinnanzi al giudice tributario. In caso
di mancata impugnazione dell‘atto impositivo, la sua natura
provvedimentale fa sì che lo stesso divenga definitivo ed incontestabile in
sede fallimentare; pertanto il giudice delegato lo deve ammettere al passivo.
Qualora sorgano contestazioni sul ruolo, l‘ammissione al passivo avviene
con riserva (21).
La questione circa l‘ammissibilità di istanze di ammissione al
passivo fallimentare supportate da atti precedenti la notifica della cartella di
pagamento si era posta con riferimento alla riscossione dell‘Iva risultante
dalla dichiarazione presentata dal contribuente, per cui la legge prevedeva
l‘invio di un invito di pagamento (22). Orientamento che, dopo la
soppressione di tale atto, potrebbe essere riproposto con riguardo alle
21
Cfr. l‘art. 88, DPR n. 602/73. La legge fallimentare (art. 96) prevede
espressamente quali siano le ipotesi in cui il giudice delegato può ammettere i crediti
con riserva. Il principio di tipicità si giustifica nell‘ottica di rendere celere la
procedura fallimentare (v. Cass. 20 febbraio 2004, n. 3397). L‘ammissione con riserva
dei crediti tributari contestati, pur essendo stabilita da una norma speciale e non dalla
legge fallimentare, può considerarsi comunque un caso di ipotesi tipica. Sul punto cfr.
RASI, L‘ammissione con riserva dei crediti tributari: un recente intervento
giurisprudenziale, in Dir. fall, 2006, II, p. 70, il quale osserva che la collocazione
della norma è ottimale perché deroga non alla legge fallimentare, ma alle regole del
procedimento di riscossione.
Prima della introduzione dell‘espressa previsione contenuta nell‘art. 88
(cioè prima del 1999), una parte della giurisprudenza ammetteva comunque con
riserva i crediti tributari considerandoli come ―crediti condizionali‖ (v. Cass. 26
novembre 1987, n. 8761) .
22
Art. 60, 6° comma, DPR n. 633/72. Sull‘argomento cfr. Cass. 14 luglio
2004, n. 13027; Cass. 10 febbraio 2006, n. 2994; Cass. 20 luglio 2007, n. 16120;
Cass. 22 febbraio 2008, n. 4633; Cass., SS.UU., 4 marzo 2009, n. 5165. La possibilità
di ammettere il credito tributario sulla base dell‘invito al pagamento, secondo questa
giurisprudenza, è condizionata dal fatto che il curatore non contesti la pretesa
tributaria (con riguardo a errori commessi dal contribuente nella compilazione della
dichiarazione). La dichiarazione esaurisce da sola la fattispecie dell‘accertamento e
costituisce titolo per l‘ammissione al passivo con riguardo alle somme dichiarate e
non versate. Nel caso di contestazione è, invece, necessaria l‘iscrizione a ruolo del
credito tributario, non potendosi quindi ammettere, nemmeno con riserva, l‘importo
del tributo risultante dalla dichiarazione.
Si tratta di una affermazione erronea perché la contestazione da parte del
curatore può avvenire solo impugnando il ruolo. Gli inviti in questione, infatti, non
sono impugnabili.
229
―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖
E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE
comunicazione d‘irregolarità di cui agli artt. 36 bis DPR n. 600/73 e 54 bis
DPR n. 633/72.
Pur tenendo a mente che la dichiarazione tributaria può esaurire il
procedimento di accertamento dell‘obbligazione tributaria, va notato che,
qualora venga accolta l‘insinuazione al passivo sulla base di una
comunicazione di irregolarità, al curatore fallimentare viene preclusa la
possibilità di contestare la pretesa, anche al fine di rettificare il contenuto
della dichiarazione (23). Allo stato, infatti, nonostante si registri in
giurisprudenza la tendenza a svalutare i c.d. limiti interni di giurisdizione di
cui all‘art. 19, D. Lgs. n. 564/92, l‘impugnazione delle comunicazioni di
irregolarità è preclusa (24).
23
La possibilità che il contribuente rimedi ad un errore in dichiarazione
direttamente per mezzo dell‘impugnazione del ruolo è affermata tra gli altri da
FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Padova, 2008, p. 348. Sul
punto, di recente, si veda CARINCI, La riscossione a mezzo ruolo nell‘attuazione del
tributo, Pisa, Pacini editore, 2008, p. 242 e ss., il quale afferma che, anche in caso di
omessa impugnazione del ruolo, il contribuente deve reputarsi legittimato a proporre
una autonoma istanza di rimborso, ciò in quanto la mancata impugnazione del ruolo
produce esclusivamente la definitività di un mero atto di riscossione e non di un atto
impositivo.
La possibilità di modificare la dichiarazione impugnando l‘atto impositivo
dell‘Ufficio è stata riconosciuta da Cass. n. 23177/2010 per le medesime ragioni che
hanno indotto la giurisprudenza prima e il legislatore poi ad affermare la ritrattabilità
della dichiarazione tributaria.
Vi è, tuttavia, chi rileva che (cfr. MUSCARA‘, La sequenza degli atti
impositivi tra vecchio e ―nuovo‖ processo tributario, in Rass. trib, 1994, p. 1513,
nota 21), sotto il profilo processuale, atteso che il ruolo può essere impugnato solo per
vizi propri, se l‘atto fa riferimento a somme dichiarate (ma non versate) dal
contribuente, non si dovrebbero ammettere contestazioni circa l‘erroneità della
dichiarazione. Pertanto, se l‘Ufficio in una rettifica ex art. 36 ter non ammettesse la
deduzione delle spese per interessi passivi, il contribuente non potrebbe impugnare il
ruolo per eccepire l‘esistenza di spese mediche non fatte valere per errore, ritrattando
il contenuto della dichiarazione, in quanto il ruolo non avrebbe vizi propri.
24
Sul dibattito circa l‘impugnazione di atti differenti da quelli elencati
nell‘art. 19, D. Lgs. n. 546/92 si veda INGRAO, Prime riflessioni sull‘impugnazione
facoltativa nel processo tributario (a proposito dell‘impugnabilità di avvisi di
pagamento, comunicazioni di irregolarità, preavvisi di fermo di beni mobili e fatture),
in Riv. dir. trib., 2007, I, p. 1075 e ss.; FERLAZZO NATOLI, Considerazioni critiche
sulla impugnazione facoltativa, ivi, p. 1112; TABET, Contro l‘impugnabilità degli
avvisi di pagamento della TARSU, in Riv. giur. trib., 2008, p. 326; SEPE, Ancora
sull‘impugnabilità degli atti atipici e sugli arresti più recenti della Corte di
Cassazione, in Il fisco, 2008 p. 641; CARINCI, Il ruolo tra pluralità di atti ed
unicità della funzione, in Riv. dir. trib., 2008, I, p. 274; RANDAZZO, ―Avvisi
bonari‖ ed esercizio informale di funzioni tributarie, in Rass. trib., 2008, p. 468;
230
―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖
E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE
In definitiva, ci si troverebbe in una situazione in cui il curatore non
può impugnare la pretesa, né di conseguenza il giudice può ammettere con
riserva il ―presunto‖ credito (25). Ed allora, fintanto che l‘Ufficio non
proceda ad iscrivere a ruolo le somme risultanti dalle dichiarazioni tributarie,
ovvero quelle connesse alla liquidazione del tributo, deve ritenersi
inammissibile l‘istanza di ammissione al passivo del fallimento ( 26).
3.
La ragionevolezza dell‟anticipazione dell‟insinuazione al
passivo al momento della notifica dell‟avviso di accertamento o del
provvedimento irrogazione delle sanzioni.
Le lungaggini burocratiche connesse alla notifica della cartella di
pagamento hanno, in questi anni, causato notevoli ritardi nella presentazione
delle istanze di ammissione al passivo del fallimento ( 27), facendo sì che il
Fisco sia stato per lo più ammesso tardivamente.
I creditori che si insinuano tardivamente hanno diritto di prelevare
le quote che sarebbero loro spettate nelle precedenti ripartizioni solo se
assistiti da cause di prelazione o se il ritardo è dipeso da causa ad essi non
imputabile (28); ma con riguardo ai crediti tributari non sempre sussistono
tali condizioni, pertanto, essi generalmente non vengono soddisfatti tenendo
conto delle precedenti ripartizioni.
In questa prospettiva, gli effetti della ―concentrazione della
riscossione nell‘accertamento‖ appaiono opportuni: si anticipa l‘ammissione
al passivo fallimentare al momento in cui l‘Ufficio affida la riscossione delle
somme risultanti dall‘atto di accertamento e di irrogazione delle sanzioni
all‘Agente, eliminando inutili ―duplicati procedurali‖.
COPPA, Impugnabilità degli avvisi bonari e tutela del contribuente, in Corr. trib.,
2007, pag. 3696.
25
Si aggiunge, ancora, che l‘eventuale ammissione, senza riserva, del
credito Iva sulla base dell‘invito al pagamento/comunicazione di irregolarità
comporta l‘impossibilità per il curatore di contestare in seguito la pretesa erariale,
con grave lesione degli interessi della procedura. E ciò per due ordini di ragioni:
innanzitutto perché, una volta ottenuta l‘ammissione al passivo, l‘Agente della
riscossione non ha alcun interesse a notificare la cartella di pagamento, impedendo
così al curatore l‘accesso al giudice tributario; anche ove venisse emessa e notificata
la cartella di pagamento, va rammentato che l‘art. 96 preclude la proponibilità di
azioni volte a contestare l‘esistenza della pretesa creditoria nel momento in cui lo
stato passivo viene reso esecutivo.
26
In senso conforme cfr. App. Milano, 8 aprile 2003, in Dir. fall., 2003, II,
p. 909.
27
La domanda viene considerata tardiva se presentata oltre trenta i giorni
che precedono l‘udienza fissata per l‘esame dello stato passivo.
28
Cfr. l‘art. 112 LF.
231
―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖
E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE
Ciò detto, verifichiamo cosa accede qualora l‘avviso di
accertamento o la cartella di pagamento siano stati impugnati. In linea
generale, bisogna affermare che vi è la possibilità di insinuarsi al passivo nei
limiti della quota di imposta riscuotibile ―automaticamente‖ in via
provvisoria e non per l‘intera pretesa (29); altrimenti l‘innovazione di cui al
D.L. n. 78/2010, finirebbe per travolgere un principio desumibile dalla
normativa precedente.
E‘ da evidenziare, però, che la giurisprudenza ( 30) ritiene che la
dichiarazione di fallimento integri il presupposto del periculum in mora che
legittima l‘Ufficio ad intimare nell‘avviso di accertamento il pagamento
integrale delle somme dovute, ovvero ad iscrivere nei ruoli straordinari le
somme ivi indicate. Pertanto gli Uffici, in sede di ammissione allo stato
passivo, richiedono l‘insinuazione dell‘intero credito tributario risultante
dall‘atto impugnato, sia a titolo di tributo che di sanzioni.
Tale ricostruzione è stata contestata in dottrina per la evidente
incompatibilità tra dichiarazione di fallimento e sussistenza del pericolo per
la riscossione (31). Tuttavia, detta critica può essere condivisa solo se ci si
limita ad una rigida interpretazione letterale dell‘art. 11, DPR n. 602/73, in
tema di iscrizione nei ruoli straordinari. In effetti, posto che la dichiarazione
di fallimento ha come effetto lo spossessamento dei beni del fallito, non
dovrebbero sussistere esigenze cautelari, cioè il pericolo della concreta
riscossione del credito. Quest‘ultima situazione non può desumersi, infatti,
dalla dichiarazione di fallimento, ma presuppone che prima di tale data
sussista il pericolo che il contribuente si spogli dei propri beni rendendo di
fatto inesigibile il credito dell‘Erario; pericolo riscontrato sia sulla base di
elementi oggettivi, quali il rapporto tra le condizioni economiche del
trasgressore (desunte non solo dall‘entità del suo patrimonio, ma anche
29
Dopo la formazione del giudicato favorevole all‘Ufficio e previo invio
dell‘intimazione ad adempiere, l‘Agente della riscossione si dovrebbe insinuare al
passivo per il restante credito.
30
Sulla legittimità delle iscrizioni a ruolo straordinarie qualora la pretesa
fiscale debbe essere riscossa nei confronti di una procedura fallimentare cfr. di recente
Cass. 27 maggio 2011, n. 11736. In precedenza in senso conforme cfr. Cass. 19 luglio
1999, n. 7654, in Fall., 2000, p. 1325, con nota di POLLIO, Validità dell‘iscrizione a
ruolo delle imposte nei ruoli straordinari; Cass. 7 settembre 2001, n. 11508, Cass. 9
gennaio 2009, n. 242.
31
Cfr. MAURO, L‘inadeguato coordinamento normativo, cit., p. 575, il
quale afferma che il pericolo nel ritardo deve ravvisarsi in epoca precedente alla
dichiarazione di fallimento, in quanto esso non può confondersi con l‘impossibilità di
riscuotere il credito tributario. Una volta intervenuto il fallimento non vi è ragione per
ritenere integrato il periculum in mora, posto che la procedura segue le regole del
concorso sotto la vigilanza del giudice delegato. L‘orientamento della Cassazione
determina un indebito vantaggio al Fisco, in quanto può riscuotere l‘intero credito
tributario sulla base di atti non definitivi, qualora il contribuente ritorni in bonis.
232
―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖
E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE
dall‘esistenza di eventuali protesti, pignoramenti o azioni esecutive a suo
carico) e il credito da tutelare, sia sulla base di elementi soggettivi, in
relazione cioè a comportamenti del debitore, che potrebbero far temere la
sottrazione di garanzia (32).
L‘interpretazione offerta dalla giurisprudenza, però, può ritenersi
ragionevole nella prospettiva che l‘insinuazione al passivo per la solo quota
di imposta riscuotibile in via provvisoria potrebbe compromettere quasi del
tutto la possibilità di riscuotere la restante quota dovuta qualora il processo
tributario si chiuda con una sentenza favorevole al Fisco.
Escludere l‘ammissione con riserva dei tributi per i quali si è
intimato l‘integrale pagamento nell‘avviso di accertamento o si è proceduto
con l‘iscrizione nei ruoli straordinari significa penalizzare ingiustamente la
posizione del Fisco rispetto a quella degli altri creditori; penalizzazioni che
la ratio dell‘art. 88, DPR n. 602/73, intende invece prevenire, stabilendo
appunto
l‘automatica ammissione con riserva dei ruoli oggetto di
contestazione (cioè quelli provvisori) senza alcuna specificazione circa la
natura ordinaria o straordinaria dell‘iscrizione.
L‘Agente della riscossione dovrebbe attendere la conclusione del
processo tributario per potersi insinuare tardivamente al passivo. Tuttavia,
nelle more del giudizio tributario, possono essersi esaurite le ripartizioni
dell‘attivo fallimentare (33), divenendo non più ammissibile una domanda
tardiva (anche se il ritardo è dipeso da causa non imputabile all‘Agente della
riscossione). Il credito tributario rimarrebbe, pertanto, presumibilmente
insoddisfatto, salvo la possibilità di agire sul fallito tornato in bonis.
Va precisato che deve escludersi l‘ammissione al passivo qualora,
prima della presentazione dell‘istanza, sia intervenuta una sentenza di primo
grado favorevole al contribuente; mentre, nel caso di accoglimento parziale,
il credito ammesso deve essere ridotto nei limiti di quanto stabilito dall‘art.
68 D. Lgs n. 546/92. Ciò in applicazione del principio secondo cui la tutela
del credito erariale (ammissione con riserva) può permanere fintanto che la
pretesa sottostante venga dichiarata esistente da un provvedimento
dell‘autorità giudiziaria, ancorché non definitivo; diversamente,
l‘annullamento dell‘atto impositivo da parte della Commissione tributaria,
anche con sentenza non passata in giudicato, deve costituire presupposto per
l‘inammissibilità della domanda di insinuazione al passivo, venendo, infatti,
32
Sul tema del periculum in mora, sia pure con riferimento al c.d. misure
cautelari dell‘Agenzia delle entrate di cui all‘art. 22, D. Lgs. 472/97, cfr. in
giurisprudenza Cass. 23 aprile 1958, in Giust. civ., 1958, p. 801e ss.; Cass. 13
novembre 1982, n. 6076, in Giust. civ. Mass, 1982, fasc. 10-11; Cass. 9 febbraio
1990, n. 902 in Giust. civ. Mass., 1990, fasc. 2; Trib.Venezia 19 luglio 1991, in Giur.
it., 1992, I, p. 625.
33
L‘attivo potrebbe essere stato ripartito in via definitiva, in quanto il
giudice delegato è obbligato ad accantonare le somme connesse ai crediti ammessi
con riserva.
233
―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖
E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE
a mancare il motivo per cui se ne giustifica l‘ammissione con riserva ex art.
88, e cioè la tutela dell‘interesse collettivo connesso alla tutela delle esigenze
finanziarie dello Stato (34).
L‟ammissione con riserva di cui all‟art. 88 citato trova, quindi,
un limite nel giudicato favorevole al contribuente, sia pur risultante da
una sentenza non definitiva.
Se il giudizio di secondo grado risulta favorevole all‘Ufficio, allora
l‘Agente della riscossione può insinuarsi al passivo in via definitiva per il
credito risultante dalla sentenza.
Nel caso in cui la sentenza di primo grado intervenga dopo il
deposito dell‘istanza di insinuazione al passivo, non vi è l‘obbligo di variare
l‘entità del credito ammesso con riserva in relazione alle pronunce non
definitive, ma il giudice delegato deve sciogliere la riserva (ammettendolo
integralmente, in parte o escludendolo del tutto) nel momento in cui si forma
il giudicato tributario.
34
Il principio secondo cui il giudizio favorevole al contribuente comporta
l‘obbligo di rimuovere la misura cautelare adottata è stato di recente enunciato, da
Cass. 10 luglio 2008, n. 19078 e da Cass. 22 settembre 2006, n. 20526. In
precedenza, i giudici di legittimità (Cass. 2 marzo 2004, n. 4219), avevano sostenuto
che solo la sentenza che accoglie in via definitiva il ricorso del contribuente e annulla
l‘atto impositivo determina il venir meno della pretesa tributaria e quindi del fermo
disposto a garanzia del credito. Tale affermazione è stata superata dallo stesso organo,
in quanto ritenuta apodittica, cioè priva di specifica motivazione. Si è detto, infatti,
―che la sentenza che accoglie il ricorso del contribuente e annulla l‘atto impositivo
priva, sia pure non in via definitiva (non essendosi ancora formato il giudicato), del
supporto di un atto amministrativo legittimante la pretesa tributaria, che non può più
formare oggetto di alcuna riscossione provvisoria. In sostanza viene meno il titolo su
cui si fonda la ragione di credito‖. Nel caso in cui fossero mantenute in vita le misure
cautelari, il principio di parità delle armi, sancito dall‘art. 111 Cost., sarebbe leso; se
nella fase amministrativa l‘Ufficio può godere di poteri sopraordinati, quali quello di
agire con strumenti di autotutela, nella fase processuale le parti debbono essere
collocate in posizione di parità. Tale parità impone, quindi, che l‘Amministrazione
non possa continuare a godere di una garanzia qualora il credito cui si riferisce sia
stato disatteso dal giudice.
234
Prof. Salvatore La Rosa
Il riparto delle competenze
nella disciplina della riscossione
1 Considerazioni introduttive.
Penso che, come sempre accade, le nuove norme sulla
―concentrazione‖ della riscossione nell‘accertamento tributario1 siano
state dettate da ragioni essenzialmente pratiche – più che teoricosistematiche2 – in prima battuta ravvisabili nell‘intento di rendere più
celeri ed efficienti le riscossioni provvisorie in pendenza di giudizio,
eliminando le lungaggini e i tempi morti inevitabilmente connessi al
procedimento di formazione dei ruoli, trasmissione agli agenti della
riscossione e notificazione delle cartelle3; e, personalmente, non
riterrei di per sé rivoluzionari né l‘inserimento negli avvisi di
accertamento dell‘intimazione al pagamento mediante versamento
diretto delle maggiori imposte accertate, nè l‘attribuzione ad uno
stesso atto degli effetti sinora propri dell‘atto di accertamento delle
maggiori imposte (avviso di accertamento) e del provvedimento della
1
…contenute nell‘art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, conv. in
L. 30 luglio 2010, n. 122. Per i primi commenti sul tema, e per una più
analitica esposizione del contenuto della nuova disciplina, cfr. CARINCI,
Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex D.L. n.
78/2000, in Riv. Dir. Trib., 2011, I, p. 162 ss.; GIOVANNINI, Riscossione in
base al ruolo e agli atti di accertamento, in Rass. trib., 2011, p. 22 ss.
2
Per generali riflessioni sulle interrelazioni teorico-sistematiche tra
gli atti della riscossione e dell‘ accertamento, con particolare riferimento al
ruolo di riscossione e alla valenza ad esso attribuibile nel vigente
ordinamento, cfr., per tutti, BASILAVECCHIA, Il ruolo e la cartella di
pagamento: profili evolutivi della riscossione dei tributi, in Dir. Prat. Trib.,
2007, I, 127; LA ROSA, Accordi e transazioni nella fase della riscossione dei
tributi, in Riv. Dir. Trib., 2008, I, p. 313 ss; FALSITTA, Funzione vincolata
di riscossione e intransigibilità del tributo, in Riv. Dir. Trib., 2007, I, p. 1059
ss.
3
Di questi pragmatici propositi, costituiscono del resto chiari
sintomi sia il carattere in certo senso sperimentale della nuova disciplina (non
certo a caso per il momento riferita alle sole imposte scaturenti dagli
accertamenti in materia di imposte dirette ed IVA, e che solo in prospettiva
dovrebbe progressivamente estendersi alle imposte derivanti dalle
dichiarazioni ed agli altri settori in genere dell‘ordinamento tributario), sia le
limitazioni temporali che con l‘originario testo dell‘art. 38 del medesimo D.L.
n. 70/2010 erano state poste agli effetti delle ordinanze di sospensione della
riscossione eventualmente emesse dalle Commissioni tributarie ai sensi
dell‘art. 47, D.Lvo n. 546/1992.
IL RIPARTO DELLE COMPETENZE
NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE
riscossione (ruolo).
Non sarebbe invero difficile riscontrare esempi di analoghe
soluzioni nelle discipline del presente e del passato; e penso, in tal
senso, a quel che tuttora dispongono gli artt. 36 bis e 36 ter del DPR
600/1973, nonché 57 bis DPR 633/1972, in punto di diretta iscrizione
a ruolo degli importi scaturenti dalle ―liquidazioni‖ e dai c.d.
―controlli formali‖ delle dichiarazioni dei redditi e dell‘IVA
presentate dai contribuenti, ovvero a quanto in passato stabilito
dall‘art. 60 del DPR 633/1972 in punto di obbligatorietà del
pagamento
mediante
versamento
diretto
degli
importi
provvisoriamente riscuotibili sulla base degli accertamenti IVA 4,
ovvero ancora (e andando ancor più indietro nel tempo) alla valenza
ad un tempo di atto di riscossione e di accertamento che la
giurisprudenza attribuiva all‘ingiunzione fiscale nel regime
antecedente la Riforma tributaria degli anni settanta del secolo
scorso5.
4
Questa disciplina era strettamente legata al sistema di c.d.
riscossione diretta (a mezzo ingiunzione) inizialmente adottato in materia di
IVA; ed è poi stata superata dalla riforma del sistema sanzionatorio e
dall‘estensione all‘IVA del sistema della riscossione a mezzo ruolo.
5
Queste analogie non debbono tuttavia far velo alle non lievi
diversità delle problematiche distintamente suscitate da ciascuna delle tre
―concentrazioni‖ sopra ricordate, nonché da quella adesso delineata dalle
nuove norme in esame.
In particolare, la disciplina dei recuperi derivanti dalle c.d.
―liquidazioni‖ delle dichiarazioni, e dai ―controlli formali‖ del loro contenuto,
concerne un numerus clausus di tipizzate irregolarità, che sono state ritenute,
per la loro evidenza, suscettibili di diretta contestazione in fase di riscossione;
ed essa ha poi fatto sorgere problemi sia di fungibilità con le ordinarie forme
di accertamento, sia di riferibilità al ruolo di riscossione, in questi casi, di
taluni profili disciplinari (motivazione, termini di decadenza, ecc.) tipicamente
propri degli atti di accertamento.
Le norme di cui all‘originario art. 60 del DPR 633/1972 avevano
invece sollevato dubbi (poi definitivamente fugati da Corte Cost. 25/5/1985,
n. 176 e 4/11/1987, n. 371, con pronunzie che meritano di essere ricordate a
fronte del riemergere della tendenza a stabilire improprie assimilazioni anche
della nuova disciplina con l‘istituto del solve et repete) sulla procedibilità dei
ricorsi ove non fossero stati preventivamente pagati gli importi
provvisoriamente riscuotibili (nel senso dell‘improcedibilità, cfr., ad esempio,
Comm. Trib. Centr. 25/2/1986, n. 1577, in Boll. Trib., 1986, p. 849), nonché
sui riflessi sanzionatori del mancato pagamento.
Quanto alla discussa tesi della natura anche impositiva (invece che
soltanto esattiva) dell‘ingiunzione fiscale, nel regime antecedente la Riforma
tributaria degli anni settanta (per tutte, cfr. Cass. 23/1/1964, n. 164, in Riv.
Leg. Fisc., 1964, p. 851), va ricordato che essa si affermò in presenza di una
disciplina che in quel settore riferiva l‘accertamento soltanto alla rettifica dei
valori dichiarati, e non anche alle questioni di an debeatur; e può dirsi che il
relativo dibattito sia stato alla base di un processo di separazione e distinzione
236
IL RIPARTO DELLE COMPETENZE
NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE
Neanche appare dotata di concreta efficacia innovativa
l‘affermazione dell‘esecutività dell‘avviso di accertamento una volta
decorsi sessanta giorni dalla sua notificazione, perché (a parte quanto
più avanti si dirà sull‘improprietà di questa affermazione) la stessa
nozione dell‘esecutività (o, più propriamente, ―esecutorietà‖) del ruolo
era già stata svuotata di un proprio autonomo significato nel momento
in cui assunta a conseguenza della mera sottoscrizione (con modalità
oltretutto elettroniche e sostanzialmente impersonali) dell‘atto; ossia,
della sua esistenza giuridica6. E per il contribuente cambia poco il dire
che l‘agente della riscossione opera sulla base del ―ruolo esecutivo‖, o
di un ―avviso di accertamento esecutivo‖, trattandosi in entrambi i casi
di atti emanati da uno stesso soggetto ed egualmente legittimanti
l‘esecuzione forzata da parte degli agenti della riscossione.
Profondamente innovative debbono invece ritenersi - per gli
automatismi che mirano ad avvalorare ed accentuare - le disposizioni
contenute nelle lett. b) ed e) dell‘art. 29 del D.L. n. 78/2010, laddove
si prevede, per un verso, che decorsi trenta giorni dalla scadenza del
termine stabilito per l‘effettuazione del versamento diretto degli
importi intimati con l‘accertamento ―esecutivo‖, la riscossione ―…è
affidata in carico agli agenti della riscossione anche ai fini
dell‘esecuzione forzata…‖7; e, per altro verso, che questi ultimi
concettuale tra le funzioni dell‘accertamento e della riscossione che poi sfociò
(nei decreti delegati del 1972) nell‘affermazione della necessità che
l‘ingiunzione fosse in ogni caso preceduta dalla notificazione dell‘avviso di
liquidazione. Vale a dire che, in quel campo, la tesi della ―concentrazione‖
degli effetti impositivi ed esattivi in un unico atto alimentò, di fatto, un
processo di distinzione e ―deconcentrazione‖ degli atti amministrativi
tributari.
A fronte dell‘eterogeneità e non univocità di questi precedenti,
penso che debba guardarsi con cautela alla tesi secondo la quale, con
l‘emanazione delle nuove norme, il legislatore avrebbe ―….idealmente
―invertito‖ l‘ordine di marcia sinora seguito: non si è più caricato di funzione
impositiva l‘atto di riscossione, quanto di funzione esattiva quello di
accertamento…‖ (così, CARINCI, Prime considerazioni cit., p. 123).
Malgrado le apparenze, accertamento e riscossione sono sempre stati e restano
pur sempre momenti funzionalmente distinti delle attività amministrative
tributarie; e le stesse nuove norme, malgrado l‘unificazione degli atti,
rappresentano, di fatto (e come si dirà), una tappa di non indifferente rilievo
nella direzione proprio della distinzione e divaricazione tra la funzione
impositiva e quella esattiva.
6
Per analoghi rilievi, cfr. CARINCI, Prime considerazioni cit. p.
131; GUIDARA, Telematica e ruoli orfani, in Riv. Dir. Trib., 2006, I, p. 147
ss.
7
Questa disposizione, benché di per sé riferita al contenuto
dell‘‖avvertimento‖ che dovrà essere inserito negli avvisi di accertamento
―esecutivi‖, si presta infatti ad essere letta anche come regola acceleratoria dei
doverosi comportamenti operativi degli Uffici dell‘Agenzia delle Entrate, a
237
IL RIPARTO DELLE COMPETENZE
NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE
―…senza la preventiva notifica della cartella di pagamento,
proced[ono] ad espropriazione forzata con i poteri, le facoltà e le
modalità previste dalle disposizioni che disciplinano la riscossione a
mezzo ruolo…‖8.
Invero, discendono proprio da queste disposizioni le
preoccupazioni, i timori e i disorientamenti che le nuove norme hanno
determinato in ogni campo; e penso che, volendo adeguatamente
mettere a fuoco le relative problematiche, sia anzitutto opportuno
focalizzarne le ragioni di fondo.
Personalmente, ravviserei tali ragioni in un duplice ordine di
circostanze: per un verso, nella crisi nella quale in atto versa l‘istituto
stesso delle riscossioni provvisorie in pendenza di giudizio; per altro
verso, nella persistente ambiguità dei modi in cui sono regolati i
rapporti tra gli Uffici dell‘accertamento (oggi, Agenzia delle Entrate)
e quelli preposti alla riscossione amministrativa (oggi, Equitalia
S.p.a.) delle maggiori imposte accertate; e, su questi profili, vorrei qui
svolgere alcune veloci considerazioni introduttive.
a) L‘istituto delle riscossioni provvisorie a mio avviso
necessita ormai da tempo di profonde rimeditazioni, perché è di per sé
fonte, per i modi in cui esso è in atto regolato e gestito, di spesso
ingiustificate complicazioni e disfunzioni, nei rapporti tra i
contribuenti, gli Uffici dell‘accertamento, quelli della riscossione e le
stesse Commissioni tributarie.
Queste complicazioni dipendono dal fatto che proprio in
quella tipologia di riscossioni confluiscono e interferiscono (in modi
che allo stato sono difficilmente razionalizzabili) le competenze e i
comportamenti del suddetto triplice ordine di organi ed uffici. Il loro
essere spesso fonte di complicazioni ingiustificate è attestato dalla
frequenza dei casi in cui gli accertamenti impugnati vengono annullati
o drasticamente ridimensionati dai giudici tributari, determinando così
l‘esigenza di sgravi e rimborsi di quel che era stato provvisoriamente
iscritto a ruolo o addirittura riscosso. E la problematicità intrinseca
dell‘assetto disciplinare dell‘istituto trova adesso un anche testuale
riscontro nel riemergere di impropri accostamenti (da parte dello
seguito della notificazione degli accertamenti tributari; e quindi come regola
fortemente innovativa rispetto ad una disciplina che, per i casi di
impugnazione dell‘accertamento, sinora non prevedeva alcuna necessità che le
iscrizioni a ruolo a titolo provvisorio fossero immediatamente effettuate.
8
Il tenore testuale di questa disposizione legittima invero
certamente la tesi secondo la quale l‘agente della riscossione, a seguito della
notificazione dell‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ da parte dell‘Agenzia
delle Entrate, potrebbe direttamente procedere al pignoramento dei beni del
contribuente inadempiente (in questo senso, cfr., per tutti, CARINCI, Prime
considerazioni cit. p. 163). Ma, sul punto, si tornerà in prosieguo.
238
IL RIPARTO DELLE COMPETENZE
NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE
stesso legislatore9) delle riscossioni provvisorie al solve et repete.
In realtà (e come puntualizzato dalla stessa Corte
Costituzionale con sentenze di circa cinquanta anni or sono 10) le
riscossioni provvisorie non hanno nulla a che vedere con il solve et
repete, il quale consisteva nella subordinazione della tutela
giurisdizionale al preventivo pagamento delle somme richieste dagli
Uffici finanziari, ed è stato a suo tempo dichiarato costituzionalmente
illegittimo per l‘inammissibilità di una siffatta compressione del
fondamentale diritto alla tutela giurisdizionale. Ad esse occorre invece
guardare come a misure amministrative cautelari, volte a preservare
l‘interesse pubblico alla sollecita acquisizione delle entrate tributarie
dai pregiudizi che possono su di esso riversare le impugnazioni più o
meno pretestuose o dettate da intenti meramente dilatori11; ed a misure
che dovrebbero quindi essere regolate e gestite in modo da assicurare
quella flessibilità e quell‘attenzione per le peculiarità dei singoli casi
concreti che alle misure cautelari dovrebbero sempre essere
tipicamente correlate12.
9
Cfr. l‘art. 7, comma 1, lett. m, del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, ove
si prospetta in termini di ―attenuazione del principio del ―solve et repete‖…‖,
il differimento automatico dell‘esecuzione per centoottanta giorni ove dal
contribuente sia stata nel ricorso richiesta la sospensione giudiziale degli atti
esecutivi.
10
Cfr. Corte Cost. 4/7/1963, n. 114, in Riv. Leg. Fisc., 1963, p. 2063.
11
Sul fondamento e sulla giustificazione sistematica delle
riscossioni provvisorie, si è in passato molto discusso; e non poco seguito
(anche nella giurisprudenza costituzionale) ha avuto anche la tesi secondo la
quale esse costituirebbero, al contrario, una limitazione (a favore del
contribuente) della generale esecutorietà dei provvedimenti amministrativi, ivi
compresi gli accertamenti tributari.
In realtà, il profilo dell‘esecutorietà non è un corollario necessario di
tutti i provvedimenti amministrativi, in quanto ―…da un lato, riguarda solo i
provvedimenti amministrativi per i quali esiste un problema di concreta
realizzazione, dall‘altro si colloca sul piano dell‘esecuzione e non della
produzione dell‘effetto….‖ (così, VILLATA - RAMAJOLI, Il provvedimento
amministrativo, Torino, 2006, p. 309); in materia tributaria, esso dovrebbe
essere quindi riconosciuto solo ai provvedimenti esattivi, e non anche a quelli
di accertamento; ed alle riscossioni provvisorie dovrebbe essere attribuita
natura ―cautelare‖ per la subordinazione della stabilità dei loro effetti agli esiti
del ricorso giurisdizionale proposto avverso gli atti che ne costituiscono il
presupposto (in questo senso, cfr. LA ROSA, Principi di diritto tributario, III
ed., Torino, 2009, p. 358 ss.).
12
Aperture a questa esigenza di articolazione disciplinare possono
ad esempio ravvisarsi nelle peculiari regole stabilite per le riscossioni
provvisorie nel campo degli accertamenti ex art. 37 bis, DPR n. 600/1973,
ovvero per quelle eccezionalmente effettuabili per l‘intero ammontare delle
imposte, interessi e sanzioni, in presenza di ―fondato pericolo per la
riscossione‖. Ma non minori attenzioni richiederebbero, ad esempio (e quanto
meno, sul piano dei ―tempi‖), le riscossioni provvisorie effettuabili in
239
IL RIPARTO DELLE COMPETENZE
NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE
Così, però, non accade, perché le riscossioni provvisorie sono
ancora regolate e gestite sulla base di quei connotati di generalizzati
automatismo e standardizzazione che avevano nei decenni antecedenti
la Riforma tributaria degli anni settanta, quando gli accertamenti
dell‘Ufficio rappresentavano una fase normale ed essenziale delle
sequenze applicative delle imposte, le controversie tributarie avevano
normalmente ad oggetto questioni di natura estimativa ed induttiva, le
Commissioni tributarie non avevano ancora pienamente acquisito i
connotati della giurisdizionalità e non erano investite di poteri
cautelari, e le riscossioni provvisorie costituivano un tassello di non
indifferente rilievo di un sistema in cui gli esattori dovevano
assicurare la continuità dei flussi finanziari pubblici13; mentre oggi
l‘esistenza di discipline fondate sui versamenti diretti dei contribuenti,
sul principio della selettività dei controlli e naturale eccezionalità
degli accertamenti, sulla loro natura essenzialmente sanzionatoria,
sulla ormai acquisita giurisdizionalità delle Commissioni tributarie e
sull‘attribuzione ad esse di poteri di tutela cautelare solo in favore del
contribuente, fa delle riscossioni provvisorie standardizzate e
generalizzate un istituto che per un verso consente al più incallito
degli evasori di differire automaticamente gran parte dei pagamenti
dovuti mediante la semplice presentazione di un pretestuoso ricorso
(anche soltanto in attesa di un… sempre possibile ―condono‖!), e per
altro verso espone il contribuente che ha ragione al rischio di sacrifici
che possono talora essere gravissimi, e può soltanto confidare nella
celerità e nel buon esito del rimedio costituito dall‘istituto della
sospensione giudiziale della riscossione.
Da questo punto di vista, l‘emanazione delle nuove norme
sugli accertamenti di per sè immediatamente esecutivi rischia
chiaramente di acuire non poco questi inconvenienti, aprendo le porte
alla possibilità che le riscossioni provvisorie talora si tramutino in una
dipendenza di addebiti di inosservanza del principio di competenza, se si
considera che (alla stregua degli attuali orientamenti giurisprudenziali)
all‘acclarata fondatezza dell‘addebito dovrebbe far seguito il rimborso (da
parte dell‘Amministrazione) degli importi dal contribuente già pagati
nell‘anno di errata imputazione temporale. In questi casi, infatti, non vi sono
(per l‘Amministrazione) esigenze cautelari da soddisfare, poiché il ―dovuto‖
deve ritenersi comunque già versato dal contribuente, e le riscossioni
provvisorie si traducono in una ―provvisoria‖ doppia imposizione.
13
In generale, e sui mutamenti che il passaggio da una ―fiscalità di
elite‖ ad una ―fiscalità di massa‖ determina sul ruolo degli uffici della
riscossione - nella direzione del rafforzamento dei relativi poteri al fine del
contrasto della c.d. ―evasione da riscossione‖, e della necessità in genere di
garantire la ―sicura riscossione‖ in luogo della ―pronta riscossione‖ rimangono ancora attuali le puntuali notazioni di LUPI, Problemi generali
della nuova disciplina, in La nuova disciplina della riscossione dei tributi,
Atti del Convegno tenutosi a Venezia il 24/1/1992, Milano 1996, p. 35 ss.
240
IL RIPARTO DELLE COMPETENZE
NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE
sorta di inammissibile prestito forzoso in favore dell‘Erario 14; ed
appare quindi auspicabile che il dibattito in corso sulla problematica
suscitata dalle nuove regole si estenda anche alla necessità di rivedere
a monte proprio la disciplina delle riscossioni provvisorie, le modalità
della loro gestione, nonché le forme e i contenuti della tutela cautelare
in corso di giudizio.
b) Quanto ai rapporti tra gli Uffici dell‘accertamento e quelli
della riscossione, è superfluo ricordare come l‘art. 3 della L. n.
248/2005 abbia sancito l‘abbandono del precedente sistema di
affidamento negoziale in concessione dell‘attività di riscossione a
Società di capitali di diritto privato, contestualmente avviando un
processo di acquisizione e progressiva pubblicizzazione delle strutture
dei precedenti concessionari; e tutto ciò in una prospettiva che
dovrebbe avere il suo finale e naturale sbocco nella loro
trasformazione in organi ed uffici pubblici investiti dei poteri
autoritativi specificamente volti all‘acquisizione eventualmente
coattiva delle entrate pubbliche; ossia, nella trasformazione di
Equitalia S.p.a. in una vera e propria Agenzia della riscossione delle
entrate pubbliche.
Da questo risultato si è però ancora lontani, poiché alla
riscossione dei tributi continuano transitoriamente a provvedere delle
società di capitali, solo controllate dalla mano pubblica, ma
partecipate anche da Istituti di credito. E la delicatezza e complessità
delle problematiche scaturenti da questa combinazione di strutture
privatistiche con proprie finalità lucrative e poteri pubblicistici
particolarmente incidenti sulla libertà patrimoniale dei cittadini, sono
di per se stesse attestate dall‘art. 3 del D.L. n. 205/2005, con il quale si
è disposto che ―…a decorrere dal 1° ottobre 2006 è soppresso il
sistema di affidamento in concessione del servizio di riscossione e le
funzioni relative alla riscossione nazionale sono attribuite all‘Agenzia
delle Entrate, che le esercita mediante la società di cui al comma 2
[oggi, ―Equitalia S.p.a.‖], sulla quale svolge attività di
coordinamento, attraverso la preventiva approvazione dell‘ordine del
giorno delle sedute del consiglio di amministrazione e delle
deliberazioni da assumere dallo stesso consiglio…‖15; nonché (ad
14
Proprio l‘intento di ridimensionare questi pericoli sembra avere
indotto il legislatore ad operare (con disposizioni in corso di approvazione al
momento della stesura di queste note) un sensibile ridimensionamento degli
importi provvisoriamente riscuotibili in pendenza del giudizio di primo grado,
riducendo la relativa percentuale dal 50% al 30%.
15
In questa disposizione non può non ravvisarsi una contraddizione
tra la formale attribuzione all‘Agenzia delle Entrate delle funzioni relative alla
riscossione nazionale, e l‘affermazione dell‘essere tali funzioni esercitate
attraverso lo svolgimento di una generica attività di ―coordinamento‖
dell‘operato dell‘Ente (Equitalia S.p.a.), al quale i relativi poteri sono invece
attribuiti direttamente dalla legge, e oltretutto riguardano anche entrate
241
IL RIPARTO DELLE COMPETENZE
NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE
esempio) dal comma 3 dello stesso art. 29 del D.L. n. 78/2010,
laddove si prevede che l‘agente della riscossione al quale venga
comunicata una proposta di concordato in fase di procedura
concorsuale, può prestare adesione ad essa soltanto dopo aver ottenuto
una ―formale autorizzazione‖ da parte dell‘Agenzia delle Entrate16;
ovvero dall‘affermazione (rinvenibile nella Direttiva di Equitalia N.
10/2010 del 6/5/2010 e a mio avviso non condivisibile) secondo la
quale gli agenti della riscossione opererebbero ―…quali mandatari
nella gestione del credito affidato in riscossione…‖.
Non posso e non voglio, ovviamente, affrontare qui la
complessa problematica dell‘esatta qualificazione dei rapporti
intercorrenti tra Agenzia delle Entrate ed Equitalia S.p.a., e sulla
natura dei poteri di quest‘ultima17. Mi limito soltanto a rilevare che la
funzione della riscossione amministrativa dei tributi è in atto
sostanzialmente cogestita da entrambi questi rami della Pubblica
Amministrazione, i quali hanno distinta soggettività giuridica, ed ai
quali le norme attribuiscono aree di poteri e competenze propri
dell‘uno e dell‘altro, in un contesto complessivo non privo di
incongruenze e aree grigie; le quali ultime appaiono meritevoli,
appunto, di adeguata verifica e approfondimento, anche per le
implicazioni processuali che proprio alla corretta definizione del
riparto delle competenze si ricollegano.
In generale, può tuttavia dirsi che la notevole espansione
(avutasi nell‘ultimo decennio) dei poteri pubblicistici attribuiti agli
agenti della riscossione (basti pensare alle misure da essi adottabili in
materia, oltre che di espropriazione forzata, anche di adozione di
pubbliche (contributi previdenziali, entrate tributarie degli Enti locali, ecc.)
diverse da quelle rientranti nelle competenze gestionali proprie dell‘Agenzia
delle Entrate medesima; né può ritenersi consona allo svolgimento di una
attività di effettivo ―coordinamento‖ la mera necessità della preventiva
approvazione degli ordini del giorno delle sedute del consiglio di
amministrazione dell‘Ente investito dei compiti e dei poteri relativi alla
riscossione delle entrate pubbliche.
In realtà l‘ambigua formula del ―coordinamento‖ appare
essenzialmente dettata dall‘intento di coniugare transitoriamente la persistente
titolarità in capo all‘Agenzia delle Entrate di
alcune fondamentali
competenze in materia di riscossione con le esigenze di autonomia gestionale
da riconoscere a chi delle funzioni medesime viene in realtà investito.
16
Questa disposizione sarebbe invero superflua ove le funzioni
relative alla riscossione fossero in toto riservate all‘Agenzia delle Entrate, e
sembra invece postulare, al contrario, che la titolarità di quelle funzioni
competa (di regola) ad Equitalia S.p.a.
17
Sul punto, e nel senso dell‘attribuzione ad Equitalia S.p.a. della
natura di Ente pubblico strumentale, cfr. M.C. PARLATO, Brevi note sulla
Riscossione S.p.a., in Rass. Trib., 2006 p. 1174 ss.; nonché A. PARLATO,
Gestione pubblica e privata nella riscossione dei tributi a mezzo ruolo, in
Rass. Trib., 2007, p.1355 ss.
242
IL RIPARTO DELLE COMPETENZE
NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE
misure conservative, blocco dei pagamenti da parte delle pubbliche
amministrazioni ai contribuenti morosi, acquisizione in forme
autoritative di dati e notizie sulla loro situazione patrimoniale, ecc.)
imporrebbe in realtà di imputare proprio ad Equitalia S.p.a. la titolarità
sostanziale delle funzioni relative alla riscossione amministrativa dei
tributi e delle entrate pubbliche in genere 18; pur se con molteplici
condizionamenti derivanti da competenze proprie dell‘Agenzia delle
Entrate (e degli altri Enti impositori in genere). E penso comunque
che la problematica suscitata dalle nuove norme sugli accertamenti
esecutivi possa trarre proficui elementi di orientamento proprio dalla
ricognizione (necessariamente sommaria) dei modi in cui sono in atto
ripartite le competenze amministrative, in materia di riscossione delle
imposte, tra l‘uno e l‘altro soggetto.
2. Le competenze dell‘Agenzia delle Entrate in materia di
riscossione…. - Limitando in questa sede il discorso alla sola area
della riscossione amministrativa degli importi scaturenti dagli
accertamenti delle imposte sui redditi, dell‘IVA e dell‘IRAP (ai quali
soltanto risultano riferite le nuove norme), può dirsi che le
competenze ancora riservate agli Uffici impositori, in questo specifico
settore, si risolvano:
a) nella possibilità di chiedere ed ottenere (ai sensi dell‘art.
22 del D.Lvo n. 472/1997, e prima ancora della notificazione
dell‘accertamento) l‘iscrizione di ipoteca sui beni immobili (o il
sequestro conservativo dei beni mobili) dell‘autore di violazioni
tributarie punite con sanzioni pecuniarie, ove l‘ufficio abbia un
―fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito‖;
b) nella possibilità di promuovere l‘operato degli agenti della
riscossione (mediante trasmissione sinora dei ―ruoli esecutivi‖, e in
futuro anche degli ―avvisi di accertamento esecutivi‖) per
l‘acquisizione (in via eventualmente coattiva, e, a seconda dei casi, a
titolo provvisorio o definitivo), degli importi scaturenti dagli
accertamenti (e dalle eventuali successive sentenze dei giudici
tributari), ove il contribuente non abbia corrisposto gli importi
richiesti con l‘avviso di accertamento;
c) nella ―facoltà‖ di disporre (ai sensi dell‘art. 39, DPR
602/1973) la sospensione amministrativa della riscossione - in
18
Invero, le funzioni pubbliche sono costituite da aree più o meno
vaste di poteri autoritativi finalisticamente orientati al perseguimento di un
medesimo interesse pubblico; ed al quesito relativo alla titolarità di esse
dovrebbe quindi rispondersi guardando, prima e più che alle generali
affermazioni di principio, alla concreta disciplina dei singoli poteri che le
funzioni compongono.
243
IL RIPARTO DELLE COMPETENZE
NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE
pendenza del ricorso giurisdizionale - sino alla data di pubblicazione
della sentenza di primo grado, e dietro corresponsione di interessi da
parte del contribuente;
d) e nella possibilità (adesso riformulata dall‘art. 29, comma
1, lett. c, del D.L. n. 78/2010) di attivare eccezionalmente l‘immediata
riscossione integrale delle imposte, interessi e sanzioni risultanti dagli
accertamenti notificati al contribuente, ove sussista un ―fondato
pericolo per il positivo esito della riscossione‖.
Da questo complessivo quadro già emerge che l‘Agenzia
delle Entrate (alla quale in maniera a mio avviso non del tutto
appropriata viene ancora spesso attribuita la veste del ―creditore‖,
nonostante non competa ad essa la titolarità dei proventi da riscuotere)
non può in realtà esperire alcuna diretta azione esecutiva sui beni del
contribuente; la giurisprudenza ha già in passato avuto occasione di
affermare che le forme pubblicistiche di riscossione dei tributi sono
inderogabili e non surrogabili dal ricorso ai mezzi di tutela offerti ai
privati creditori19; e delle competenze sopra elencate hanno
certamente un rilievo centrale - sul piano della concreta prassi
operativa degli Uffici e della stessa esperienza giurisprudenziale quelle di cui alla superiore lett. b), essendo le altre in vario modo
assorbite da altre concorrenti misure, o comunque scarsamente
esercitate dagli Uffici.
In particolare, la disciplina delle misure conservative
adottabili prima della notificazione dell‘avviso di accertamento (e di
cui alla precedente lett. a) ha trovato sempre minori applicazioni
pratiche dopo l‘entrata in vigore del complesso procedimento di cui
all‘art. 22, D.Lvo n. 472/1997, e (soprattutto) dopo l‘attribuzione (ad
opera del D.lvo n. 46/1999) anche agli agenti della riscossione del
potere di procedere, in base al ruolo, ad iscrizioni ipotecarie e al fermo
dei beni mobili registrati. L‘esistenza di una sostanziale
corrispondenza nel duplice ordine di misure conservative adottabili sia
dall‘ente impositore che dagli agenti della riscossione è stata
ulteriormente accentuata nel momento in cui l‘area di operatività di
quelle del primo tipo è stata estesa (ad opera dell‘art. 27 del D.L. n.
185/2008) anche alle imposte ed ai relativi interessi, al contempo
precisandosi che esse ―…conservano, senza bisogno di alcuna
formalità o annotazione la loro validità e il loro grado a favore
dell‘agente della riscossione che ha in carico il ruolo…‖. Ed è in
prospettiva da chiedersi se, volendosi mantenere e valorizzare la
possibilità di attivare misure conservative anche prima della
notificazione dell‘accertamento, non sarebbe preferibile attribuire la
19
Cfr., ad esempio, Cass. 6 novembre 2006, n. 23631. In senso
contrario (ma in termini a mio avviso non condivisibili), cfr. BOLETTO, Il
ruolo di riscossione nella dinamica del prelievo delle entrate pubbliche,
Milano, 2010, p. 40 ss..
244
IL RIPARTO DELLE COMPETENZE
NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE
relativa competenza direttamente agli agenti della riscossione, al
contempo rivedendo l‘intera disciplina di queste particolari misure.
Quanto alla disciplina (di cui alla superiore lett. c) della c.d.
―sospensione amministrativa‖ della riscossione, essa rappresenta un
ormai superfluo relitto di quello che in passato era un rimedio
giustiziale amministrativo riservato all‘Intendente di Finanza; ed è
stata nel corso degli anni devitalizzata, e/o sostanzialmente assorbita,
a seguito dell‘attribuzione al giudice tributario di poteri di tutela
cautelare in favore del contribuente, agli Uffici tributari di un più
generale potere di sospendere in autotutela gli effetti degli atti da essa
ritenuti illegittimi o infondati20, e agli agenti della riscossione del
potere di concedere rateazione degli importi iscritti a ruolo.
Parimenti marginale sembra essere, sul piano delle concrete
prassi operative degli Uffici, la competenza (di cui alla superiore
lettera d) relativa alla possibilità di avviare riscossioni provvisorie
straordinarie per l‘intero importo delle imposte, interessi e sanzioni
risultanti dagli avvisi di accertamento. L‘esperienza giurisprudenziale
evidenzia infatti che ad esse si è sinora fatto ricorso con pressoché
esclusivo riferimento ai ruoli emessi nei confronti di contribuenti
assoggettati a procedure concorsuali, e per consentire agli agenti della
riscossione di procedere all‘insinuazione al passivo dei relativi carichi,
più che per fronteggiare veri ―pericoli‖ per la riscossione. Ed è da
chiedersi se l‘efficiente esercizio di questa facoltà non dovrebbe e
potrebbe trovare impulsi ed orientamenti dagli uffici che
concretamente operano la riscossione, e sono quindi maggiormente in
grado di valutare la sussistenza o meno di un ―fondato pericolo‖ per il
positivo esito della medesima.
Prestando quindi preminente attenzione alle (effettivamente
rilevanti) competenze di cui alla superiore lett. b), è superfluo
ricordare come sia stato in passato convincimento diffuso che ai
concessionari della riscossione fossero devoluti compiti meramente
attuativi ed esecutivi del provvedimento (ruolo) con il quale la
riscossione coattiva veniva disposta, sino a contrarie determinazioni
da parte degli Uffici emittenti del ruolo, da formalizzarsi in appositi
provvedimenti di sospensione (amministrativa) della riscossione o di
sgravio dal ruolo21; e non vi è dubbio che le nuove norme sugli
20
…ad opera dell‘art. 1, quater, comma 1 bis, della L. n. 656/1994,
introdotto dall‘art. 27 della L. 18/2/1999, n. 28.
21
Il rigore di questa posizione è stato tuttavia recentemente non
poco attenuato dalla Direttiva di Equitalia S.p.a. del 6/5/2010, n. 10, con la
quale, rilevata ―…la necessità di migliorare sensibilmente la relazione con i
debitori iscritti a ruolo…‖, e l‘esistenza di ―…disfunzioni a monte della
nostra operatività…‖, si è disposto che, ―…pur in assenza di provvedimento
dell‘ente creditore…‖, gli agenti della riscossione dovranno
―…immediatamente sospendere ogni ulteriore iniziativa finalizzata alla
245
IL RIPARTO DELLE COMPETENZE
NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE
accertamenti esecutivi (non certo a caso rubricate in termini di
―Concentrazione dell‘accertamento nella riscossione‖) a prima vista
mirino a confermare e ad avvalorare proprio l‘idea della centralità dei
poteri decisionali dell‘Agenzia delle Entrate (anche) in materia di
riscossione coattiva dei tributi.
Se, tuttavia, si procede ad un più attento esame dei contenuti
effettivi sia delle norme preesistenti che di quelle adesso introdotte, le
certezze possono non poco incrinarsi; ed in particolare induce ad una
ben più riduttiva visione di questa specifica competenza
amministrativa un triplice ordine di considerazioni.
a) Appare anzitutto impropriamente evocata la nozione
dell‘‖esecutività‖ dell‘accertamento, come mera conseguenza del
decorso di sessanta giorni dalla sua notificazione, se si considera che
quella ―esecutività‖, non solo viene automaticamente e drasticamente
ridimensionata nel caso in cui il contribuente abbia proposto
tempestivo ricorso, ma non può comunque essere in alcun modo
azionata sinchè la riscossione non è affidata in carico all‘agente della
riscossione.
Non si vede, cioè, come possa validamente qualificarsi
―esecutivo‖ un atto prima che il suo contenuto dispositivo sia
eseguibile; e penso che molto più felicemente sarebbe stata espressa
l‘effettiva portata precettiva della norma se si fosse detto che
l‘accertamento diviene ―esecutivo‖ quando, e nella misura in cui, il
―carico‖ viene affidato all‘agente della riscossione; che in realtà è il
solo soggetto legittimato all‘espropriazione forzata amministrativa dei
beni del contribuente, ed all‘adozione delle misure a ciò
specificamente correlate.
Probabilmente, nell‘impropria attribuzione del connotato
dell‘―esecutività‖ all‘avviso di accertamento del tributo occorre quindi
ravvisare un residuo retaggio, ormai meramente verbale, degli assetti
riscossione della somma iscritta a ruolo…‖, in alcune eccezionali ipotesi
tassativamente specificate, ed a fronte di documentata richiesta da parte del
contribuente.
Al contempo, i comportamenti operativi degli agenti della
riscossione sono stati definiti disponendo che ―…entro i successivi dieci
giorni, dovrete, inoltre, trasmettere all‘ente creditore la documentazione
consegnataVi dal debitore, al fine di ottenere conferma, o meno,
dell‘esistenza delle ragioni di quest‘ultimo e richiedere, in caso affermativo,
la sollecita trasmissione della sospensione o dello sgravio ai Vostri sistemi
informativi. Dovrete , infine, avvertire l‘ente creditore che in caso di silenzio
dei suoi Uffici, le azioni volte al recupero del credito rimarranno comunque
sospese…‖.
Tende così ad emergere, nella concreta prassi operativa degli Uffici,
una forma di ―sospensione amministrativa della riscossione‖ direttamente
esercitabile dall‘agente della riscossione.
246
IL RIPARTO DELLE COMPETENZE
NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE
normativi di un passato nel quale la riscossione coattiva dei tributi era
ancora affidata a privati esattori, fondamentalmente modellata sulla
falsariga dell‘esecuzione forzata processualcivilistica, e priva della
vasta serie di poteri pubblicistici di coazione diretta ed indiretta dei
quali oggi dispongono gli agenti della riscossione. E, comunque, la
legittimazione degli agenti della riscossione all‘esercizio delle loro
competenze per la riscossione dei tributi non dipende certo dalla
magica formuletta dell‘esecutività ex lege dell‘accertamento, ma
piuttosto dal distinto atto di ―affidamento in carico‖ agli agenti della
riscossione del compito di procedere alla riscossione di quel che gli
Uffici dell‘accertamento ritengono riscuotibile.
b) Il fatto poi che la legge disponga che gli accertamenti
debbano contenere l‘espressa avvertenza che ―…decorsi trenta giorni
dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme
richieste… è affidata in carico all‘agente della riscossione…‖, non
implica a mio avviso alcun effettivo automatismo, e non dovrebbe
escludere che quell‘‖affidamento‖ possa avvenire anche
successivamente, né che il contribuente possa validamente effettuare
dei versamenti diretti (pur se maggiorati degli interessi moratori) a
decorso avvenuto di quell‘arco temporale.
A tal proposito, anzi, l‘introduzione 22 della sospensione ope
legis per centottanta giorni della possibilità che l‘agente della
riscossione proceda all‘esecuzione forzata - ove l‘accertamento sia
stato impugnato da parte del contribuente (e sia stata in ricorso
richiesta la sospensione della riscossione) - rende ragionevolmente
auspicabile l‘affermarsi di una prassi amministrativa contraria, almeno
in tali casi, ad ogni immediatezza nell‘affidamento dei carichi
all‘agente della riscossione.
c) La legge infine precisa espressamente che i carichi
vengono affidati all‘agente della riscossione ―…anche ai fini
dell‘esecuzione forzata…‖, e non perché ad esecuzione forzata debba
subito e necessariamente procedersi. Questa puntualizzazione
normativa dipende chiaramente dalla pluralità degli strumenti di
coazione diretta ed indiretta dei quali gli agenti della riscossione
possono in atto avvalersi per indurre il contribuente al pagamento
delle somme dovute, e denota anche la volontà di lasciare all‘agente
della riscossione medesima la scelta delle soluzioni più idonee alla
fini del buon esito della riscossione medesima.
In sintesi, le competenze proprie dell‘Agenzia delle Entrate,
in punto di riscossione delle imposte scaturenti dai suoi accertamenti,
sostanzialmente si fermano al piano della quantificazione degli
importi riscuotibili (a titolo provvisorio o definitivo), e a quello della
trasmissione degli atti (a mezzo, sembra, di un apposito ―estratto‖
22
…ad opera dell‘art. 7, comma 2, n. 3, del D.L 13 maggio 2011, n. 70.
247
IL RIPARTO DELLE COMPETENZE
NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE
dell‘avviso di accertamento 23) all‘agente della riscossione, per
l‘esercizio delle competenze propriamente operative che ad esso sono
attribuite dalla legge; e l‘‖affidamento del carico‖ all‘agente della
riscossione non appare in alcun modo riconducibile ad un negozio di
diritto privato (e tanto meno ad un ―mandato‖) in quanto esercizio di
un potere pubblicistico di impulso non dissimile da quello di avanzare
―proposte‖ negli ordinari procedimenti amministrativi; ed evento che
poi, ope legis (e sino a contrarie determinazioni da parte del giudice o
dell‘ente impositore), di per sé legittima l‘esercizio (nel rispetto dei
fondamentali principi di proporzionalità, efficienza, trasparenza,
imparzialità, ecc.) dei poteri propri che all‘agente della riscossione
sono conferiti direttamente dalla legge.
3. ….e quelle degli agenti della riscossione. Quanto alle
competenze proprie degli agenti della riscossione, esse appaiono
fondamentalmente costituite, oltre che dalla possibilità di procedere
all‘esecuzione forzata (mobiliare, immobiliare, presso terzi, ecc.),
anche da quelle di concedere rateazioni dei pagamenti e di disporre
misure lato sensu conservative (iscrizione di ipoteca, fermo dei veicoli
registrati), e di esercitare taluni poteri di indagine finalizzati allo
svolgimento dei loro compiti istituzionali. Ed a questi profili
disciplinari occorre adesso aggiungere anche le incombenze (sulle
quali in realtà le nuove norme nulla dicono) relative alle strade che
dovranno in futuro seguirsi in materia di sgravi e rimborsi delle
somme versate sulla base degli accertamenti ―esecutivi‖.
In generale, e sempre sul versante dell‘attività degli agenti
della riscossione, l‘innovazione di maggior rilievo derivante dalle
nuove norme sugli ―accertamenti esecutivi‖ è certamente costituito
dall‘essere stato espressamente previsto che essi potranno in futuro
procedere all‘espropriazione forzata, ―...senza la preventiva notifica
della cartella di pagamento…‖. Ed è convincimento diffuso che gli
agenti della riscossione potranno quindi operare il pignoramento dei
beni del contribuente come mera conseguenza dell‘ ―affidamento del
carico‖ e senza necessità di alcun preliminare adempimento.
Non nego, ovviamente, che proprio questo sia stato il
presumibile intendimento degli estensori della norma. Ma mi sembra
auspicabile che di questa disposizione (a pena di incostituzionalità del
suo contenuto) si affermi una interpretazione restrittiva; nel senso di
escludere (appunto) la necessità della generalizzata notificazione di
23
Ciò indirettamente risulta dall‘art. 7, comma 2, n. 4 del D.L. n.
70/2011, ove si prevede che ―ai fini dell‘espropriazione forzata l‘esibizione
dell‘estratto dell‘atto di cui alla lettera a), come trasmesso all‘agente della
riscossione con le modalità determinate con il provvedimento di cui alla
lettera b), tiene luogo, a tutti gli effetti, dell‘esibizione dell‘atto stesso in tutti i
casi in cui l‘agente della riscossione ne attesti la provenienza‖.
248
IL RIPARTO DELLE COMPETENZE
NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE
una ―cartella di pagamento‖; ma non anche l‘esigenza di una
preliminare comunicazione del ―carico‖ che è stato affidato all‘agente
della riscossione, ovvero della notificazione dell‘‖intimazione di
pagamento‖ ex art. 50, DPR n. 600/1973, quando si intendano avviare
procedimenti esecutivi sui beni del contribuente. Ed indicherei in tal
senso un molteplice ordine di ragioni.
a) Può anzitutto farsi discendere dall‘art. 97 Cost., dalle
complessive esigenze di buon andamento e trasparenza dell‘azione
amministrativa, e dalla stessa diversità delle competenze proprie degli
Uffici dell‘accertamento e di quelli della riscossione, la necessità che
il contribuente venga reso preliminarmente edotto dell‘an e del
quantum dei carichi per i quali l‘agente della riscossione intende
procedere al pignoramento dei suoi beni, nonché del responsabile del
procedimento che è stato a tal fine avviato, e presso il quale possono
ottenersi gli opportuni chiarimenti.
b) Questa esigenza conoscitiva non può dirsi soddisfatta
dall‘intimazione al pagamento già contenuta nell‘avviso di
accertamento ―esecutivo‖; e ciò in considerazione sia dei possibili vizi
di notifica dell‘accertamento, sia dell‘eventuale pluralità degli
accertamenti notificati ad uno stesso contribuente e dei titoli in genere
che possono essere posti a base di una unitaria espropriazione forzata,
dei mutamenti quantitativi che sull‘ammontare delle somme
riscuotibili possono essere intervenuti dopo la notificazione
dell‘accertamento ―esecutivo‖ come conseguenza di acquiescenze
parziali ad esso, degli altrettanto parziali versamenti diretti che
possono essere stati effettuati dal contribuente, della maturazione di
interessi moratori, ecc..
c) La decisione di procedere all‘esecuzione forzata
amministrativa (particolarmente in materia di riscossioni provvisorie),
in quanto normalmente espressione di una scelta tra modalità
satisfattive dell‘interesse pubblico diversamente incidenti sulla sfera
patrimoniale del contribuente (e tra le quali dovrebbero sempre
annoverarsi le garanzie negoziali da esso eventualmente offerte),
dovrebbe per ciò stesso essere sempre formalizzata in apposito
provvedimento debitamente motivato, esorbitando essa dagli effetti
propri dell‘accertamento ―esecutivo‖.
d) L‘essere stata espressamente prevista (nello stesso art. 29,
lett. e del D.L. n. 78/2010) l‘obbligatorietà della notificazione
dell‘intimazione di pagamento ex art. 50, DPR 602/1973 quando
l‘agente della riscossione procede ad espropriazione forzata dopo il
decorso di un anno dalla notifica dell‘accertamento, lungi
dall‘attenuare, acuisce i dubbi di costituzionalità della disciplina, in
quanto determina irrazionali disparità di trattamento a, parità di
situazioni di fatto, in dipendenza delle accidentali circostanze che
possono avere fatto seguito alla notificazione dell‘accertamento, e
249
IL RIPARTO DELLE COMPETENZE
NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE
remorato i tempi dell‘ esecuzione forzata (presentazione di istanza di
accertamento con adesione, presentazione del ricorso alla
Commissione Tributaria, ecc.).
e) E l‘essere stato stabilito (dalla successiva lett. g dello
stesso articolo) che la dilazione di pagamento ex art. 19, DPR
602/1973, ―…può essere concessa solo dopo l‘affidamento del carico
all‘agente della riscossione…‖ (e non anche immediatamente dopo la
notificazione dell‘accertamento esecutivo) di per se stesso richiede
che quanti possono e vogliono beneficiare di questa misura abbiano
notizia di tale ―affidamento‖ prima (e non dopo) l‘avvio
dell‘esecuzione forzata, essendo la dilazione dei pagamenti di per se
stessa volta proprio a prevenire ed evitare l‘esecuzione forzata.
A quest‘ultimo proposito, va anzi segnalato che, se è stato
comprensibilmente disposto che la dilazione dei pagamenti può essere
―concessa‖ solo dopo l‘affidamento del carico all‘agente della
riscossione (essendo ad esso rimessa la valutazione dell‘esistenza o
meno dei relativi presupposti), nulla però dovrebbe ostare alla
possibilità che la relativa istanza venga dal contribuente avanzata
immediatamente dopo la notificazione dell‘avviso di accertamento,
per il tramite della stessa Agenzia delle Entrate. Ed in tal caso
l‘esame, e l‘eventuale rigetto, dell‘istanza medesima, da parte
dell‘agente della riscossione, dovrebbero comunque precedere l‘avvio
dell‘esecuzione forzata.
In definitiva, venuti meno il ruolo e la cartella di pagamento,
dovrebbe restare comunque ferma l‘esigenza che l‘eventuale ricorso
all‘esecuzione forzata amministrativa venga preceduta dalla formale
comunicazione, al contribuente, dell‘avvio del procedimento di
riscossione coattiva dei ―carichi‖ derivanti da accertamenti esecutivi.
Sarebbe anzi auspicabile che ciò fosse chiarito con espresse
disposizioni normative. Ritengo che l‘onere di tale adempimento
dovrebbe essere posto a carico dell‘agente della riscossione, in quanto
naturale corollario della sua decisione di procedere, appunto, ad
espropriazione forzata; e penso che il regime sostanziale e processuale
di tale atto, in quanto vero e proprio provvedimento ablativo,
dovrebbe corrispondere a quello sinora riservato (appunto) al ruolo ed
alla cartella di pagamento.
4. Il riparto delle competenze in materia di rimborsi
conseguenti agli esiti del contenzioso sugli ―accertamenti esecutivi‖. Le nuove norme nulla espressamente dicono sui provvedimenti che
debbono essere adottati nei casi in cui l‘accertamento esecutivo, e
affidato in carico all‘agente della riscossione, venga in tutto o in parte
annullato dal giudice tributario; questo silenzio può forse imputarsi al
250
IL RIPARTO DELLE COMPETENZE
NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE
convincimento che, venuto meno il ruolo, debba anche ritenersi
automaticamente superata l‘esigenza dell‘emissione di provvedimenti
di sgravio nei casi di esito positivo per il contribuente delle
controversie sull‘accertamento; e ordini di idee di questo tipo
(sostanzialmente fondati sull‘equiparazione degli effetti della sentenza
di annullamento dell‘accertamento, a quelli del vero e proprio sgravio
dal ruolo) non dovrebbero suscitare particolari problemi nei casi in cui
nulla è stato versato dal contribuente (a parte il quesito, squisitamente
processualistico, relativo alla necessità di stabilire se, ai fini
dell‘opponibilità all‘agente della riscossione della sentenza di
annullamento dell‘accertamento esecutivo, questi debba o meno
essere stato parte in causa nella relativa controversia).
Il discorso diviene invece più delicato nei casi in cui, per
effetto della sentenza del giudice tributario, competa al contribuente
(ai sensi dell‘art. 68, D.Lvo 546/1992) il rimborso degli importi
versati a titolo provvisorio24.
Sinora, le prassi amministrative in questo campo sono state
nel senso della doverosità della determinazione da parte degli enti
impositori sia dell‘an che del quantum degli importi da rimborsare,
del conseguente sgravio dai ruoli degli importi medesimi, e della
successiva erogazione delle somme al contribuente da parte
dell‘agente della riscossione al quale esse erano state corrisposte.
De iure condito, sembra che tali soluzioni operative
dovrebbero essere tenute ferme (malgrado la soppressione del ruolo),
indipendentemente dall‘essere stati effettuati i pagamenti prima o
dopo l‘affidamento del carico all‘agente della riscossione, dovendosi
rimettere all‘Ente impositore la valutazione dei riflessi della pronuncia
giudiziale (concernente l‘avviso di accertamento) sui rimborsi da
effettuare; e sarebbe anzi a tal proposito auspicabile che le modalità
tecniche del pagamento mediante ―versamento diretto‖ fossero
espressamente estese anche ai pagamenti del secondo tipo, in modo da
uniformare (in fase di rimborso) il regime di tutti i pagamenti
―provvisori‖ comunque effettuati dal contribuente, escludendo ogni
rilevanza alle imputazioni effettuate dagli agenti della riscossione ai
sensi dell‘art. 31, DPR 602/197325.
24
In senso critico sul silenzio delle nuove norme riguardo al
―…tema delicatissimo del rimborso dell‘imposta indebita la cui disciplina ora
vigente è assai insoddisfacente…‖, cfr. FALSITTA, Manuale di diritto
tributario, vol. I, 7^ ediz., Padova, 2010, p. 463.
25
Invero, in tale articolo sono sancite regole legali di imputazione
dei pagamenti la cui applicazione è di fatto rimessa agli agenti della
riscossione e che, proprio per la loro divergenza dalle regole vigenti nel
campo dei versamenti diretti, possono essere fonte di disfunzioni ed
inconvenienti, particolarmente nel campo delle riscossioni provvisorie e dei
relativi rimborsi.
251
IL RIPARTO DELLE COMPETENZE
NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE
Resta tuttavia il fatto che l‘an ed il quantum dei rimborsi da
effettuare al contribuente saranno in futuro sempre maggiormente
condizionati anche da una molteplice serie di eventi diversi dal
contenuto della sentenza, specificamente attinenti proprio alla fase
della riscossione26, e potenzialmente suscettibili di incidenza sui
compensi spettanti ai relativi agenti; è per tali aspetti ragionevolmente
prevedibile una rivendicazione di competenza degli uffici della
riscossione medesima a far valere la regolarità del proprio operato,
anche nei confronti dei contribuenti; e non è quindi da escludere
l‘affermarsi di orientamenti volti ad attribuire proprio agli agenti della
riscossione aree più o meno vaste di poteri decisionali nella
quantificazione degli importi da rimborsare ai contribuenti.
De iure condendo, sarebbe quindi auspicabile che queste
incertezze fossero fugate sancendo con chiarezza la competenza
esclusiva dell‘uno o dell‘altro ufficio all‘effettuazione dei rimborsi
degli importi pagati a titolo provvisorio, indipendentemente dal
momento e dai modi in cui essi sono stati effettuati, e anche
dall‘essere stati o meno adottati provvedimenti di discarico da parte
dell‘Ente impositore.
5. Osservazioni conclusive – Al termine di queste veloci
riflessioni, penso di poter osservare che, se si guarda alla sostanza
degli assetti normativi (andando oltre i non del tutto appropriati modi
e termini nei quali essi sono stati prospettati dal legislatore), le nuove
norme sugli accertamenti esecutivi, lungi dal dar vita ad una vera
―concentrazione‖ della riscossione nell‘accertamento, costituiscono
una tappa di non poco rilievo nella direzione, al contrario, proprio
della distinzione tra le funzioni dell‘accertamento e della riscossione
amministrativa delle imposte, nonchè delle competenze degli Uffici
preposti allo svolgimento delle relative attività27.
Si sono cioè unificati gli atti (avviso di accertamento e ruolo)
sinora propedeutici alla riscossione, in una prospettiva di
semplificazione e alleggerimento delle residuali competenze esattive
ancora riservate agli Uffici dell‘accertamento; ma si sono anche in tal
modo ulteriormente avvalorate la relativa autonomia funzionale della
riscossione rispetto all‘accertamento, e la specificità dei poteri propri
degli Uffici della riscossione in punto di prevenzione e contenimento
dell‘‖evasione dalla riscossione‖, oltre che di tutela dell‘interesse
26
Basti pensare alle implicazioni delle dilazioni di pagamento (con
relativi interessi) ottenute dal contribuente,
delle compensazioni
eventualmente operate dagli agenti della riscossione, dell‘addebito più o meno
corretto di interessi moratori, ecc.
27
Per maggiori notazioni sulla distinzione, e relativa autonomia
funzionale, delle attività relative all‘accertamento e alla riscossione dei tributi,
rinvio a LA ROSA, Accordi e transazioni cit., p. 313 ss.
252
IL RIPARTO DELLE COMPETENZE
NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE
pubblico alla ―sicura riscossione‖ degli importi dovuti dai
contribuenti.
Sullo sfondo, rimane comunque auspicabile, non solo che
venga portato a sollecito compimento il processo di pubblicizzazione
degli Uffici della riscossione, ma anche che nella disciplina dei
rapporti tra essi e quelli dell‘accertamento possano trovare maggiore
spazio i criteri solitamente seguiti nel diritto amministrativo generale
per raccordare l‘operato di uffici preposti alla tutela di interessi
pubblici diversi, ma reciprocamente interconnessi; ossia, che almeno
nei casi più delicati l‘esercizio dei rispettivi poteri venga subordinato
all‘acquisizione di preliminari pareri, formali proposte o incanalato in
altri simili itinerari procedimentali. Ne guadagnerebbero la
trasparenza e la complessiva efficienza dell‘azione amministrativa
tributaria.
253
Prof. Antonio Lovisolo
L‟attività accertativa mirata all‟“apri e chiudi
societario” e al “mordi e fuggi reddituale”
(artt. 23 e 24 l. n. 122/2010)
INDICE: 1. Premessa. Le ragioni di una scelta legislativa. - 2. Art. 23
(imprese ―apri e chiudi‖): suo contenuto e inquadramento sistematico. - 2.1
La disposizione sulle imprese ―apri e chiudi‖ quale misura che si colloca nel
più generale contrasto alle frodi IVA ed all‘esterovestizione in attuazione
anche della previsione dell‘art. 37, comma 3, d.p.r. 1973, n. 600 e del
concetto di ―interposizione fittizia‖ da esso accolto. - 2.2 L‘art. 23 D.L. n.
78/2010 (imprese ―apri e chiudi‖): principali aspetti applicativi. - 3. Art. 24
(imprese ―in perdita sistemica‖): suo contenuto e inquadramento sistematico.
- 3.1 La disposizione sulle imprese in ―perdita sistemica‖ (art. 24) quale
misura che si colloca nel più generale contrasto all‘indebito utilizzo delle
perdite, sintomatico di un comportamento antieconomico del contribuente
dietro al quale può celarsi l‘occultamento di base imponibile. - 3.2 L‘art. 24
D.L. n. 78/2010 (―imprese in perdita sistemica‖): principali aspetti
applicativi. Le ―imprese individuali‖ e le ―grandi imprese‖. - 4. In
conclusione. La valenza sistematiche degli articoli 23 e 24 D.L. n. 78/2010.
La progressiva ―softwarizzazione‖ dei controlli amministrativi ha i propri
limiti anche costituzionali e non può pregiudicare la ―individualizzazione‖
della ricostruzione reddituale del contribuente con particolare riferimento alla
necessità della tutela del contraddittorio.
1.
Premessa. Le ragioni di una scelta legislativa.
Il D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (c.d. ―Manovra 2010‖), conv. con
modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, ed in vigore dal 31 luglio 2010,
ha previsto, al titolo II, diverse disposizioni (artt. da 18 a 39) volte a
contrastare espressamente ―l‘evasione fiscale e contributiva‖, tra le quali si
possono ricordare esemplificativamente: la riduzione a 5.000 euro del limite
per il pagamento in contanti e per i libretti al portatore (art. 20); la
comunicazione telematica per operazioni soggette ad IVA pari o superiore a
3.000 euro (art. 21); la ritenuta d‘acconto del 10% trattenuta sui bonifici
effettuati in favore delle imprese che hanno realizzato lavori per i quali il
soggetto beneficiario intende fruire della detrazione del 36% (ristrutturazioni
edilizie) o del 55% (bonus risparmio energetico) (art. 25), oltre al
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
potenziamento dell‘azione accertatrice attraverso l‘aggiornamento
dell‘accertamento sintetico (art. 22) e la previsione della concentrazione della
riscossione nell‘accertamento (art. 29).
Oltre alle norme sopra ricordate, il D.l. n. 78/2010 ha introdotto due
disposizioni rivolte al ―contrasto al fenomeno delle imprese «apri e chiudi»‖
(art. 23) ed al ―contrasto al fenomeno delle imprese in perdita «sistemica»‖
(art. 24).
In entrambe le norme si rinviene la volontà del legislatore di elevare a
specifico oggetto della Programmazione dell‘azione di controllo
amministrativo comportamenti del contribuente considerati ―antieconomici‖
ritenuti sintomo di ―pericolosità fiscale‖.
In particolare, (anche in proposito) il suo comportamento (ritenuto)
―antieconomico‖ fa assumere al contribuente una posizione di ―disfavore‖ nei
confronti della Amministrazione Finanziaria che si traduce (in questo caso)
nel suo inserimento in programmi di controllo sia da parte delle Agenzie
fiscali che dell‘INPS: inserimento dal quale, tuttavia, non necessariamente
consegue una effettiva attività di monitoraggio, di ispezione e di
accertamento.
E‘ certo, comunque, che, se a tali comportamenti ―antieconomici‖ dovesse
effettivamente far seguito una attività accertativa, il contribuente sarebbe
chiamato non tanto (e comunque non solo) a giustificare le ragioni
economiche-gestionali riconnesse all‘―apri e chiudi‖ dell‘impresa ed alla sua
gestione costantemente in perdita, quanto a dimostrare che a tale gestione non
si accompagna alcun occultamento di base imponibile.
Ed infatti, pur muovendo l‘attività accertativa dagli indici di programmazione
indicati, in realtà essa può avere ad oggetto anche componenti reddituali o,
più in generale, ―comportamenti‖ del contribuente del tutto estranei ai fatti
storici indicati, quali elementi di segnalazione di una supposta ―pericolosità
fiscale‖.
In altre parole, la circostanza che venga a trovarsi nelle situazioni
antieconomiche sopra delineate può far ricadere il contribuente nella diretta
programmazione della attività di controllo, non certamente limitata alla
verifica delle sole due indicate specifiche situazioni di ―pericolosità fiscale‖.
Ciò premesso, v‘è da domandarsi cosa possa accadere, ove nel corso della
verifica programmata ai sensi degli art. 23-24 cit. si riscontri che il verificato
256
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
in realtà non si trovava nelle situazioni di operatività degli indicati
programmi di controllo (ad esempio per configurabilità degli esimenti di cui
all‘art. 24).
A mio giudizio a quel punto cadrebbe l‘obbligo dell‘effettuazione del
controllo ―speciale‖. Pertanto la verifica potrebbe anche fermarsi.
E‘ fatta salva ovviamente la possibilità che essa si ―converta‖ in verifica
―ordinaria‖.
2.
Art. 23 (imprese “apri e chiudi”): suo contenuto e inquadramento
sistematico.
2.1 La disposizione sulle imprese “apri e chiudi” quale misura che si
colloca nel più generale contrasto alle frodi IVA ed
all‟esterovestizione, in attuazione anche della previsione dell‟art. 37,
comma 3, d.p.r. 1973, n. 600 e del concetto di “interposizione fittizia”
da esso accolto.
2.1.1 L‘art. 23 D.L. n. 78/2010, prevedendo l‘effettuazione di controlli sulle
imprese ―apri e chiudi‖, non ha introdotto una disposizione ―nuova‖, bensì ha
elevato a rango normativo una prassi che da tempo la stessa Amministrazione
aveva assunto con riferimento alla repressione delle ―frodi IVA‖: mi limito a
ricordare, a titolo di esempio, che già nel 2000, con la Circ. n. 158/E-165648
del 7 agosto 2000, l‘Amministrazione finanziaria al fine di potenziare le
attività di controllo da eseguire nei confronti dei contribuenti che
effettuavano operazioni di import-export con la Repubblica di San Marino 1,
indicava in base a quali criteri procedere alla selezione dei soggetti da
monitorare, tra i cui indici di rischio era annoverata anche la ―ridotta vita
operativa‖ delle società contribuenti.
In tale circolare si poteva leggere come «l‘attività di controllo finora svolta
dell‘Amministrazione finanziaria ha consentito l‘individuazione di alcuni
meccanismi di evasione più ricorrenti2 nell‘interscambio commerciale italosammarinese (...). Le analisi effettuate sulla base delle attività di controllo
finora svolte hanno posto in luce che i soggetti direttamente operanti
1
Disciplinate, in primis, dall‘art. 71 del D.P.R. n. 633/1972 secondo cui, da un lato, le
cessioni di beni ad operatori Sammarinesi sono considerate assimilate alle
esportazioni beneficiando del regime di non imponibilità, dall‘altro, nel caso di
importazione in Italia di beni provenienti da San Marino il cessionario nazionale –
soggetto passivo IVA – è tenuto agli adempimenti previsti dal comma 2 dell‘art. 17
D.P.R. n. 633/1972, per cui l‘imposta è dovuta dall‘acquirente nazionale, ed in terzo
luogo, per i beni di provenienza estera che transitano per l‘Italia con destinazione San
Marino, l‘IVA sarà assunta in deposito dalla dogana e rimborsata a San Marino
successivamente all‘introduzione dei beni stessi nel suo territorio.
2
Attuate attraverso la ―falsa dichiarazione di intenti‖, l‘utilizzo di ―cartiere‖, la
sovrafatturazione e sottofatturazione e l‘impiego di ―società filtro‖.
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L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
all’interno dei meccanismi di frode hanno in genere vita brevissima (da
uno a tre anni al massimo); le società ―cartiere‖ e ―filtro‖ nascono infatti
per la ―gestione‖ di un limitato numero di operazioni illecite e scompaiono,
quindi, velocemente, rendendo difficoltosa l‘individuazione degli effettivi
responsabili di fatti illeciti compiuti». Pertanto, è «necessario concentrare
l‘attività di controllo sulle imprese per le quali il comportamento evasivo è
fondatamente ipotizzabile ed appare maggiormente significativo (...) secondo
parametri di rischio appositamente individuati dalle strutture locali di
―analisi e ricerca‖», selezionando quelle posizioni che «risultano interessate
da più indici di rischio quali: (...) – acquisti da società ―filtro‖ cessate e/o
fallite; – chiusura dell’attività dopo breve periodo dalla costituzione; (...) –
variazione del numero di partita IVA (per cambio di domicilio fiscale –
denominazione – attività – etc.) (...)»3.
In particolare, la norma di contrasto di che trattasi (e la prassi interpretativa
che l‘ha preceduta) è il frutto della ―esperienza‖ che la stessa Agenzia delle
Entrate ha potuto acquisire in materia di ―frodi carosello‖ e, più in generale,
in materia di evasione IVA negli scambi comunitari, nella quale è
normalmente riscontrabile un ―missing trader‖ (soggetto interposto)
rappresentato da un‘impresa che ―sparisce nel nulla‖ dopo aver effettuato
acquisti (intracomunitari) e le successive vendite (nazionali), intascando
l‘IVA senza versarla4.
Anzi, è interessante rilevare che, per contrastare tale fenomeno evasivo,
l‘Agenzia delle Entrate ha potenziato l‘attività di prevenzione alle frodi
attraverso l‘impiego (inizialmente, in via sperimentale) di applicazioni
informatiche volte alla c.d. ―analisi del rischio della partita IVA‖ 5, attivando
3
Il successivo 11 agosto 2000, il Ministero delle Finanze ―varava‖ ufficialmente la
Circ. n. 158/2000 con un comunicato stampa nel quale dava atto dell‘intensificazione
delle verifiche sulle imprese che concludono affari con la Repubblica di San Marino,
affermando che «i controlli (...) saranno effettuati sulla base del tipo di irregolarità
riscontrata. Per esempio, sotto il microscopio delle Finanze passeranno le aziende
che non hanno versato l‘Iva da più anni, oppure le società che improvvisamente
hanno aumentato il numero delle operazioni di import-export con San Marino. E
ancora: le imprese che chiudono i battenti dopo un breve periodo di attività o quelle
che registrano consistenti crediti Iva (...)».
4
Così si legge infatti nella Relazione tecnica di accompagnamento al D.L. n. 78\2010:
―L‘esperienza dei controlli fiscali conferma che tale categoria di contribuenti è a
particolare rischio soprattutto di frodi (false fatturazioni o anche frodi ―carosello‖)‖.
5
Cfr. l‘―Indagine programmata dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione
delle Amministrazioni dello Stato con deliberazione n. 1/2003/G del 2 gennaio 2003‖
effettuata dalla Corte dei Conti – Ufficio di controllo sulla gestione dei Ministeri
economico finanziari – il 27 ottobre 2004 ed intitolata ―Effetti sul sistema di gestione
dell‘IVA derivanti dal prolungarsi del regime provvisorio‖. Cfr. altresì gli atti del
Convegno ―Le frodi IVA‖ tenutosi a Venezia il 12 maggio 2005 ed in particolare la
relazione del Dott. Di Capua (allora Direttore Centrale Accertamento Agenzia delle
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L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
fin dal 2004 un metodo di ―analisi del rischio‖ da compiersi in sede di
attribuzione del numero di partita IVA a persone fisiche, similmente alle
prassi già sperimentate in Gran Bretagna e Belgio. Ed infatti, in
considerazione di scenari evasivi in rapida evoluzione (il fenomeno europeo
delle frodi carosello e in genere le frodi fiscali attuate attraverso false
fatturazioni), le azioni di controllo preventivo svolte già in sede di rilascio
della partita IVA a persone fisiche, avrebbero assunto una rilevanza
fondamentale, costituendo il più efficace sistema di intervento tempestivo.
Attraverso il metodo di ―analisi del rischio‖ l‘Amministrazione finanziaria ha
introdotto l‘esame delle principali caratteristiche dell‘attività dei soggetti che
avrebbero presentato la dichiarazione di inizio attività per ottenere un numero
di partita IVA, identificando i potenziali soggetti ―irregolari‖, ed in
particolare quelli potenzialmente ―fittizi‖ (missing trader), sulla base di
elementi di criticità contenuti in una specifica check list6 quali ad esempio:
«età superiore ai 60 o inferiore ai 20 anni; frequenti attivazione e chiusura
in un breve lasso di tempo di partite IVA; frequenti cambi di residenza in un
breve lasso di tempo; mancanza di dichiarazioni dei redditi ed IVA
(compresa la comunicazione annuale) negli ultimi tre anni; richieste di
rimborsi IVA; presenza di accertamenti notificati al soggetto e alle società
rappresentate»7.
Successivamente, il contrasto all‘impiego di società fittizie nelle frodi IVA
attraverso l‘―analisi del rischio‖ in sede di apertura della partita IVA, è stato
potenziato con la previsione dell‘art. 37, commi 18 e ss., del D.L. n.
Entrate) intitolata ―L‘attività della Agenzia delle Entrate per la prevenzione ed il
contrasto dell‘elusione e delle frodi‖.
6
Inoltre, gli Uffici avrebbero anche valutato se, a prima vista, il nome/ragione sociale
della ditta è incoerente con l‘attività svolta, se il nome della nuova ditta è di fantasia,
in lingua straniera o se riporta il nome dei titolari, se l‘indirizzo è residenziale o
abitativo, se la sede corrisponde all‘abitazione del titolare o se presso quella sede
hanno sede altre ditte; il tipo di attività svolta con particolare attenzione a quelle più
sensibili quale il commercio di computer, di telefoni, di auto, di carni, ecc.; se la
richiesta della partita iva è stata effettuata prima dell‘inizio dell‘attività; se il
contribuente ha legami con altri soggetti IVA o se è già rappresentante di altre ditte;
se il titolare dell‘attività è residente all‘estero; se il contribuente ha posto la sede
dell‘attività presso il depositario delle scritture o presso un commercialista od un altro
soggetto terzo; se il titolare ha una posizione reddituale apparentemente anormale (cfr.
l‘―Indagine‖ della Corte dei Conti del 24 ottobre 2004 cit.).
7
Cfr. Di Capua, ―L‘attività della Agenzia delle Entrate per la prevenzione ed il
contrasto dell‘elusione e delle frodi‖, cit. secondo il quale «l‘analisi del rischio
sull‘attribuzione della partita IVA costituisce lo strumento più tempestivo in assoluto
per la prevenzione dei fenomeni di frode, in quanto - come si evince dalla prassi
operativa - incide sui primi passi dell‘attività economica che un soggetto intende
svolgere ed appare, pertanto, particolarmente adatto a contrastare soggetti che si
dimostrano decisamente rapidi nell‘attuare strategie di frode».
259
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
223/2006 (―Decreto Visco-Bersani‖) che all‘art. 35 del D.P.R. n. 633/1972,
ha inserito il comma 15-bis (secondo cui «l‘attribuzione del numero di
partita IVA determina la esecuzione di riscontri automatizzati per la
individuazione di elementi di rischio connessi al rilascio dello stesso nonché
l‘eventuale effettuazione di accessi nel luogo di esercizio dell‘attività...») ed
il comma 15-ter, che rimandava all‘adozione di uno specifico provvedimento
del Direttore dell‘Agenzia delle Entrate l‘individuazione delle specifiche
informazioni da richiedere all‘atto della dichiarazione di inizio attività e delle
tipologie di contribuenti per il quali l‘attribuzione del numero di partita IVA
avrebbe determinato la possibilità di effettuare gli acquisti intracomunitari
(art. 38 D.P.R. n. 633/1972), subordinatamente al rilascio di polizza
fideiussoria o fideiussione bancaria per la durata di tre anni dalla data del
rilascio e per un importo rapportato al volume d‘affari presunto e comunque
non inferiore a 50.000 euro.
Mi sembra significativo ricordare che, per dare attuazione alla previsione del
comma 15-ter dell‘art. 35 cit., è stato emanato il Provvedimento del 21
dicembre 2006 del Direttore dell‘Agenzia delle Entrate, nel quale è stato
affermato che «le disposizioni del presente provvedimento rispondono
all'esigenza di rendere più incisiva l'azione di prevenzione nei confronti dei
fenomeni di evasione e di frode, creando appositi filtri nella fase di
attribuzione della partita IVA, idonei a far emergere con tempestività i
soggetti con un profilo da meri «prestanome». Si prevede che la richiesta di
informazioni specifiche8 sulla posizione del soggetto richiedente la partita
IVA e sull'attività da svolgere, fissando criteri reali di individuazione di
elementi essenziali per l'attività, risulterà di per sé un valido strumento di
deterrenza e di possibile riduzione di parte delle richieste non ponderate
correttamente dal richiedente».
Pertanto, se con la Circ. n. 158/2000 la riscontrata esistenza di imprese ―apri
e chiudi‖ rappresentava indubbiamente un indice di una possibile evasione,
successivamente, e con il decreto Visco Bersani (D.L. n. 223/2006),
l‘Amministrazione finanziaria ha tentato di prevedere già in sede del rilascio
della partita IVA il possibile proliferare di società costituite solamente per
compiere attività evasive e poi sparire immediatamente, tenendo conto che,
secondo la circ. n. 6/E del 25 gennaio 2008, infatti, «al fine di garantire la
natura preventiva dell‘azione che mira ad intercettare i soggetti
8
Tra le quali (secondo il Provvedimento 21 dicembre 2006 cit.), l‘indicazione
dell‘ammontare annuo degli acquisti e delle cessioni che si prevede di effettuare nei
confronti di operatori dell‘Unione europea e, per alcune tipologie di attività a maggior
rischio frode (tra cui quella, come si vedrà infra, nel settore dell‘edilizia),
l‘indicazione degli investimenti previsti nel primo anno di attività ed il valore
complessivo degli investimenti in beni strumentali già effettuati: evidentemente, il
rapporto tra l‘ammontare degli investimenti compiuti ed il tipo di attività intrapresa
avrebbe rappresentato un indice della potenziale durata della stessa attività.
260
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
potenzialmente pericolosi nelle primissime fasi di svolgimento dell‘attività, i
controlli andranno eseguiti nei confronti di coloro che hanno aperto la
partiva IVA da breve tempo», considerando altresì che «tra le attività di
prevenzione e contrasto alle frodi IVA, viene confermata (...) l‘attività di
intelligence diretta ad individuare quei soggetti richiedenti nuove partite iva
che presentano elevati indici di pericolosità fiscale. La chiusura delle partite
IVA ha notevoli effetti anche in ambito comunitario, dove vengono rese note
la cessazione del soggetto e la sua inidoneità ad effettuare operazioni
intracomunitarie».
2.1.2 Ciò premesso, la disposizione sulle ―imprese apri e chiudi‖ (art. 23) può
essere sistematicamente collegata anche con altre disposizioni che il
medesimo D.L. n. 78/2010 ha dettato in relazione alla repressione delle frodi
IVA, quale, ad esempio, l‘art. 27 che ha previsto nuovi adempimenti a cui
sono tenuti coloro che intendano effettuare operazioni intracomunitarie (tra
cui, la comunicazione dell‘intenzione di effettuare tale tipo di operazioni
all‘atto dell‘apertura della partita IVA, la soggezione al possibile diniego di
autorizzazione da parte dell‘Amministrazione finanziaria e l‘inserimento,
mediante censimento, nella banca dati dei soggetti passivi che effettuano
operazioni intracomunitarie, ai fini del contrasto alle frodi sull‘IVA
comunitaria)9.
Inoltre, sempre in un‘ottica ―antifrode‖, accanto alla disposizione sull‘art. 23
sulle imprese ―apri e chiudi‖ il D.L. n. 78/2010 ha anche introdotto all‘art. 21
(―Comunicazioni telematiche all‘Agenzia delle Entrate‖) «l‘obbligo di
comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini IVA, di importo
pario o superiore a 3.000 euro. Tale disposizione mira a rafforzare gli
strumenti a disposizione dell‘amministrazione finanziaria per il contrasto e
la prevenzione dei comportamenti fraudolenti soprattutto in materia IVA
(frodi Carosello e false fatturazioni) ma anche in ambito di imposizione sul
reddito» (così la Relazione di accompagnamento al D.L. n. 78/2010).
Ancora, la misura prevista dall‘art. 23 presenta altresì punti di contatto con la
previsione contenuta nell‘art. 25 del D.L. n. 78/2010 il quale ha introdotto
una ritenuta d‘acconto del 10% che Banche e Poste Italiane S.p.A. devono
operare all‘atto dell‘accredito di pagamenti relativi a bonifici disposti dai
9
Art. 27 da leggere unitamente a quanto era già stato previsto dal D.L. 25 marzo
2010, n. 40, convertito con modificazioni nella L. n. 73/2010. (c.d. ―decreto
incentivi‖), con il quale sono state varate misure che si pongono come obiettivo
espresso (art. 1) il ―contrasto alle frode fiscali e finanziarie internazionali e nazionali
operate, tra l‘altro, nella forma dei cosiddetti «caroselli» e «cartiere»‖, le quali
prevedono, in linea di massima, adempimenti di comunicazione in relazione alle
operazioni, attive e passive, che i soggetti residenti pongono in essere con residenti o
domiciliati in Stati o territori black list.
261
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
contribuenti per beneficiare di oneri deducibili o per i quali spetta la
detrazione d‘imposta.
E‘ notoria d‘altronde l‘esistenza di frodi perpetrate da imprese che, eseguiti
lavori di ristrutturazione edilizia commissionati da contribuenti che hanno
beneficiato della relativa agevolazione del 36%10, una volta fatturati
regolarmente i lavori ed incassati i compensi, non li dichiarano, scomparendo
attraverso la cessazione dell‘attività. Il monitoraggio (preventivo) sulle
imprese ―apri e chiudi‖ e la ritenuta d‘acconto da applicare nel caso di
bonifici emessi per beneficiare dell‘agevolazione del 36% collegata alle
ristrutturazioni edilizie potrebbe contribuire al ridimensionamento di tale tipo
di evasione che si intreccia con il proliferare delle partite IVA che poi
vengono rapidamente cancellate.
Del resto, le ―imprese apri e chiudi‖ sono un fenomeno oggetto di controllo
anche in relazione al contrasto al riciclaggio di denaro (che lo stesso D.L. n.
78/2010 ha provveduto ad intensificare per mezzo degli articoli 20 11, 3612 e
3713): a tal fine ricordo ad esempio come l‘U.I.F. (Unità di informazione
finanziaria) – istituita presso la Banca d‘Italia dal D.Lgs. n. 231/2007 come
struttura nazionale incaricata della vigilanza e del contrasto al riciclaggio ed
al finanziamento al terrorismo – con comunicazione del 15 febbraio 2010
raccomandava a causa della «operatività connessa con il rischio di frode
all‘IVA intracomunitaria», la segnalazione non solo delle «imprese in
precedenza non operative, ovvero di recente costituzione operanti in settori
economici interessati dalla movimentazione di elevati flussi finanziaria»,
10
Cfr. art. 1, c. 6, L. n. 449/1997 ed art. 1, commi 17 e 18, L. n. 244/2007.
Il quale, secondo la Relazione di accompagnamento al D.L. n. 78/2010, prevedendo
«l‘obbligo di ricorrere a uno strumento di pagamento tracciabile per importi
superiori a 5.000 euro (...) evita il pericolo di divenire parte di un‘operazione illecita
(frode, evasione fiscale, riciclaggio)».
12
Con riguardo all‘art. 36 D.L. n. 78/2010, la Relazione di accompagnamento ha
affermato che «al fine di contrastare Paesi dove da un lato è maggiore il rischio di
riciclaggio, di finanziamento del terrorismo, e dall'altro vi è l'assenza di un adeguato
scambio di informazioni anche in materia fiscale, si prevede che il Ministro
dell'Economia e delle Finanze provveda alla loro individuazione in una black list.
Conseguentemente, i soggetti destinatari del decreto legislativo 231/2007 devono
astenersi dall'instaurare un rapporto continuativo, eseguire operazioni o prestazioni
professionali ovvero devono porre fine al rapporto continuativo o alla prestazione
professionale già in essere di cui siano direttamente o indirettamente parte società
fiduciarie, trust, società anonime o controllate attraverso azioni al portatore aventi
sede nei Paesi individuati nella stessa black list».
13
Il quale, dettando espressamente ―disposizioni antiriciclaggio‖, ha previsto la
necessità del rilascio di un‘autorizzazione ministeriale che i soggetti residenti in paesi
blacklist, al fine di poter partecipare alle procedure di aggiudicazione dei contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui al D.lgs. n. 163/2006, debbano
necessariamente essere autorizzati dal Ministero dell‘economia e delle Finanze.
11
262
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
bensì anche delle «imprese che risultano cedute ovvero cessate poco tempo
dopo la loro costituzione» e cioè le imprese ―apri e chiudi‖ di cui all‘art. 23
del D.L. n. 78/2010.
2.1.3 Prevedendo come monitorabili le imprese che hanno cessato l‘attività
entro un anno dalla loro apertura, l‘art. 23 cit. attua un ―ampliamento
orizzontale‖ dei soggetti passibili di controllo estendendolo a tutte le imprese
che non potrebbero essere soggette agli studi di settore, avendo iniziato o
cessato l‘attività nel corso del periodo di imposta 14, ed alla disciplina sulle
―società di comodo‖, non applicabile ai soggetti che si trovano nel primo
periodo di imposta (art. 30, comma 1, L. n. 724/1994)15.
Tuttavia, a prescindere da tale ampliamento soggettivo, occorre osservare che
tale disposizione ha carattere meramente ―programmatico‖ 16, conferendo
rango ―legislativo‖ a quelli che fino ad oggi erano indirizzi meramente
―interni‖ dell‘Amministrazione i cui Uffici, pertanto, vengono oggi
assoggettati ad un vincolo di indirizzo ―più forte‖. In ogni caso, i controlli di
che trattasi permangono meramente ―eventuali‖, posto che le imprese ―apri e
chiudi‖ «sono specificamente considerate ai fini della selezione delle
posizioni da sottoporre a controllo», e cioè senza che esista un
―automatismo‖ tra la cessazione dell‘attività entro l‘anno ed il controllo da
parte degli Uffici che, pertanto, potrebbero anche non verificarsi, ad
esempio, in dipendenza di una diversa destinazione di risorse da parte
dell‘Amministrazione finanziaria e delle priorità variabili di anno in anno.
14
Cfr. sul punto la Circ. n. 110/E del 21 maggio 1999, Dir. Aff. Amm.vi; secondo la
successiva Circ. n. 148/E del 5 luglio 1999, anche «la modifica in corso d‘anno
dell‘attività esercitata» integra una causa di esclusione dall‘applicazione degli studi di
settore (non invece qualora l‘attività cessata e quella iniziata siano contraddistinte da
codici di attività compresi nel medesimo studio di settore).
15
Dovendosi intendere quale ―primo periodo di imposta‖ «quello di inizio dell‘attività
coincidente con l‘apertura della partita Iva, a prescindere dall‘inizio dell‘attività
produttiva» (così la Circ. n. 25/2007 cit.).
16
Al riguardo, in occasione dell‘audizione alla Camera dei Deputati – VI
Commissione Finanze del 26 gennaio 2011, il Comandante Generale della G.d.F. Di
Paolo, in relazione alla Manovra Fiscale 2010, ebbe a rilevare che «tra i fenomeni
evasivi più gravi rientrano certamente le ―frodi Iva carosello‖, basate
sull‘interposizione di imprese cartiere che acquistano merci da altri Paesi comunitari
in sospensione d‘IVA, le rivendono con fatture per operazioni inesistenti ai reali
destinatari applicando l‘imposta, ma poi omettendo di versarla all‘erario perché
spariscono dopo poco tempo. (...) Si tratta di uno schema di frode in continua
evoluzione e che si presente in molte varianti, come dimostrato da recenti attività
investigative nel settore telefonico. Per tali ragioni il piano di verifiche e d‘indagini
che il Corpo ha avviato in quanto campo sarà ulteriormente rafforzato, facendo leva
sui nuovi ed importanti strumenti di contrasto messi a punto dal decreto legge n. 78
del 2010 convertito dalla legge n. 122 del luglio scorso».
263
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
2.1.4 Si è già detto che il contenuto normativo dell‘art. 23 cit. (―imprese apri
e chiudi‖) riflette l‘esperienza delle ―frodi carosello‖, nelle quali la
caratteristica precipua della imprese ―missing trader‖ è quella della sua
durata per l‘―espace d‘un matin‖ (cioè per il tempo necessario ad effettuare
acquisti comunitari in regime di ―neutralità‖ ai fini IVA) ed alla successiva
vendita ―nazionale‖ intascando l‘IVA dall‘acquirente (ignaro o no che sia)
senza poi versarla.
La disposizione sulle imprese ―apri e chiudi‖ (art. 23 D.L. n. 78/2010) è
quindi utilizzabile dalla A.F. in un ampio quadro di lotta alle frodi (specie
quelle IVA) attuate mediante l‟interposizione di soggetti fittizi, nonché
attraverso la ―esterovestizione‖17.
L‘art. 23 cit. è norma di programmazione dell‘attività di controllo: ma quali
sono gli strumenti normativi che consentono di intervenire al fine della
ricostruzione e del recupero della materia imponibile?
Certamente sono in proposito invocabili sia l‘art. 39, d.p.r. 1973, n. 600, sia
l‘art. 54 d.p.r. 1972, n. 633; tuttavia ruolo centrale si rinviene nell‘art. 37,
terzo comma d.p.r. 1973 n. 600, ai sensi del quale «in sede di rettifica o di
accertamento d‘ufficio, sono imputati al contribuente i redditi di cui
appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di
presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l‘effettivo possessore
per interposta persona».
In tal modo, è ribadita la funzione dell‘art. 37 cit. - quale norma generale di
contrasto alla interposizione (seppur specificamente prevista al solo fine della
imposizione sul reddito) – che si fonda su principi generali applicabili anche
ai fini IVA, in attuazione del principio di capacità contributiva che impone di
applicare i tributi in relazione alla ―situazione di fatto‖ ―vera‖ e non a quella
―apparente‖.
Si consideri che la previsione dell‘art. 23 di che trattasi, indirizza certamente
l‘attività amministrativa di contrasto alle ipotesi di ―interposizione fittizia‖
(―stricto sensu‖ caratterizzata, cioè, dalla simulazione soggettiva del titolare
―dell‘affare‖ o dell‘attività). Tuttavia, è indubitabile (stante anche l‘espresso
riferimento alle ―frodi carosello‖ e alla ―esterovestizione‖) che tale controllo
amministrativo è indirizzato specificamente anche nei confronti di chi, lungi
dal porre in essere ―atti simulati‖, svolge tuttavia una attività effettiva, ma
―priva di sostanza economica, essendo diretta alla sola frode fiscale‖:
comportamento
tradizionalmente
inquadrabile
nell‘ambito
dell‘―interposizione reale‖ e delle ―società di comodo‖.
17
Vedi in tal senso la circ. 1/E del 18 marzo 2011 dell‘Agenzia dell‘Entrate,
illustrativa della disposizione in esame.
264
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
Rinvengo, quindi, nell‘attività ―di controllo‖, sancita dall‘art. 23 cit., un
elemento di conforto alla mia opinione18 secondo la quale l‘effettivo
contenuto normativo dell‘art. 37 comma 3 cit. è diretto a contrastare non solo
(e non tanto) il fenomeno della simulazione soggettiva (―interposizione
fittizia‖ in senso stretto), ma anche quello della interposizione ―reale‖,
beninteso nelle ipotesi in cui siano riscontrabili un effettivo acquisto ed
operatività dell‘interposto, ma privo di una propria ragione economica,
essendo diretti al solo risparmio (o peggio ancora: ―raggiro‖) d‘imposta,
come è proprio (ad esempio) dei missing traders delle frodi carosello o è
rinvenibile nelle ipotesi di ―esterovestizione‖.
In tal senso, si veda d‘altronde il contenuto della circ. n. 21/E/2011, ove
[punto 3.2] con espresso riferimento alla esterovestizione si riconduce
nell‘ambito dell‘interposizione fittizia il collocamento di attività in paradisi
fiscali finalizzato alla sottrazione alla tassazione in Italia di redditi prodotti in
Italia all‘estero.
Da ultimo, si segnala in proposito l‘intervento di Cass. 10 giugno 2011 n.
12788 ove espressamente, con riferimento all‘art. 37, terzo comma cit., si
legge che ―il fenomeno della simulazione relativa (nell‘ambito del quale può
ricomprendersi la interposizione personale fittizia) non esaurisce il campo di
applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo mediante
operazioni effettive e reali, nelle quali difetta del tutto l‘elemento
caratteristico dei negozi simulati costituito dalla divergenza tra la
dichiarazione esterna e la effettiva volontà dei contraenti o meglio dalla
relazione funzionale, integrante la causa unitaria, che intercorre tra il
negozio apparentemente stipulato (simulato) e quello effettivamente concluso
dalle parti (dissimulato)‖.
Ed infatti la Suprema Corte, in tale sentenza, ha ritenuto che tale previsione
normativa ―non presuppone un comportamento fraudolento (diretto ad
aggirare il divieto imposto da una norma imperativa: art. 1344 c.c.), essendo
sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante (perché non sorretto
da valutazioni economiche diverse dal profilo fiscale) di un legittimo
strumento giuridico, che consenta di eludere l‘applicazione del regime
fiscale proprio dell‘operazione che costituisce il presupposto d‘imposta‖.
L‘art. 23 D.L. n. 78/2010 indirizza l‘attività programmatica di controllo sia ai
fini Iva che delle imposte dirette verso ―soggetti fittizi‖, utilizzando quale
proprio strumento accertativo la previsione dell‘art. 37, c. 3, cit., che
concretamente finalizza e rende operativa la mera funzione ―programmatica‖
dell‘art. 23 cit.(e all‘ivi previsto concetto ―allargato‖ di ―interposizione
fittizia‖).. Pertanto tale disposizione, individuando elementi sintomatici di
una frode perpetrata da un ―soggetto fittizio‖, può essere utilizzato
dall‘Amministrazione finanziaria quale ―veicolo‖ per poter effettuare
18
Già espressa in Possesso di reddito ed interposizione di persona, in Dir. Prat. Trib.,
I, 1993, pag. 1165.
265
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
recuperi di imposte che trovano il proprio strumento accertativo nella
previsione dell‘art. 37, c. 3, cit., che si configura attuativa della mera
funzione ―programmatica‖ della norma in esame.
2.2 L‟art. 23 D.L. n. 78/2010 (imprese “apri e chiudi”): principali aspetti
applicativi.
L‘art. 23 D.L. n. 78/2010, rubricato «Contrasto al fenomeno delle imprese
"apri e chiudi"», dispone quanto segue: «Le imprese che cessano l'attività
entro un anno dalla data di inizio sono specificamente considerate ai fini
della selezione delle posizioni da sottoporre a controllo da parte dell'Agenzia
delle Entrate, della Guardia di finanza e dell'INPS, in modo da assicurare
una vigilanza sistematica sulle situazioni a specifico rischio di evasione e
frode fiscale e contributiva».
La Relazione tecnica di accompagnamento al D.L. n. 78/2010, sul punto
afferma che «la norma in esame ha l'evidente intento di concentrare una
specifica azione di vigilanza fiscale su una categoria di contribuenti a
particolare rischio di frode o evasione fiscale, costituita dalle imprese
cosiddette "apri e chiudi". L'esperienza dei controlli fiscali conferma che tale
categoria di contribuenti è a particolare rischio, soprattutto di frodi (false
fatturazioni o anche frodi "carosello"). La disposizione, quindi, prevede che
dette imprese sono specificamente considerate ai fini della selezione delle
posizioni da sottoporre a controllo da parte dell' Agenzia delle entrate, della
Guardia di Finanza e dell'INPS con la finalità di assicurare una vigilanza
sistematica sulle situazioni a rischio di evasione e frode fiscale e
contributiva».
La disposizione è anzitutto formalmente diretta alle sole imprese e non anche
ai lavoratori autonomi, ed oggetto di monitoraggio è l‘operatività delle stesse
in un lasso di tempo che non coincide con il ―periodo di imposta‖ ma con
l‘―anno solare‖. In tal senso si è anche espressa la recente Circ. 15 febbraio
2011, n. 4/E (che ha recato primi chiarimenti con riguardo alle novità fiscali
introdotte con il D.L. n. 78/2010), affermando che «si evidenzia, tra l‘altro,
che la disposizione di cui all‘art. 23 in esame da riferimento alle sole
imprese (a prescindere dalla natura giuridica delle stesse) e non ai
professionisti, nonché ad un periodo di tempo che non è l‘anno di imposta
ma l‘anno solare».
In relazione all‘ambito temporale nel quale identificare l‘―anno di vita‖,
oggetto di monitoraggio, i primi interventi dottrinali di commento della
disposizione citata19 si sono interrogati sull‘esatta identificazione dei due
19
Cfr. MASTROBERTI, Imprese ―apri e chiudi‖ e in perdita ricorrente, in Pratica
Fiscale e Professionale, 2010, 49, ANELLO-SALVATI, Indagini «ad hoc» per
imprese «apri e chiudi» ed in perdita sistemica, in Corr. Trib., 2010, 2671.
266
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
momenti nei quali considerare l‘attività dell‘impresa ―iniziata‖ e ―terminata‖,
posto l‘assoluto silenzio della norma sul punto. Ed infatti, con riguardo al
momento di inizio dell‘attività esso potrebbe essere individuato o nella data
di costituzione delle imprese (quindi con la sua iscrizione nel registro delle
imprese) oppure nella data in cui l‘attività risulta avviata per
l‘Amministrazione finanziaria (e cioè a seguito della presentazione della
dichiarazione di inizio attività e dell‘attribuzione della partita IVA, da
effettuarsi, secondo l‘art. 35, c. 1, D.P.R. n. 633/1972, entro trenta giorni
dall‘inizio dell‘esercizio dell‘impresa). Analogamente, ci si interroga
sull‘esatto momento di cessazione dell‘attività (chiusura della partita IVA o
cancellazione dal registro delle imprese?).
Al riguardo, considerato che la finalità dell‘art. 23 è quella di monitorare e
prevenire soprattutto «comportamenti fraudolenti (...) di natura fiscale (false
fatturazioni e frodi carosello)20», ritengo si possa far decorrere i relativi
termini dalla apertura e chiusura delle partite IVA, ossia dal momento in cui
l‘attività assume rilevanza per l‘Amministrazione finanziaria, e ciò anche in
considerazione che tale apertura o chiusura sono momenti nei quali già si
innesta una prima forma di controllo nell‘ambito del contrasto alla frode
fiscale (si ricorda ad esempio l‘esecuzione di riscontri automatizzati per la
individuazione di elementi di rischio connessi al rilascio della partita IVA,
come previsto dall‘art. 35, c. 15-bis, D.p.r. n. 633/1972 e l‘obbligo di
comunicare, all‘atto dell‘apertura della partita IVA, l‘intenzione di effettuare
operazioni intracomunitarie, come introdotto dall‘art. 23 D.L. n. 78/2010) 21.
L‘art. 23 cit. dispone che le imprese ―apri e chiudi‖ sono monitorate non solo
per finalità di carattere meramente fiscale, ma anche per finalità di carattere
contributivo, prevedendo a tal fine lo svolgimento di controlli ―incrociati‖ tra
l‘Agenzia delle Entrate (e la Guardia di Finanza) e l‘INPS.
Sotto quest‘ultimo profilo, la disposizione in esame può essere collegata con
il successivo art. 28 del D.L. n. 78/2010 il quale, prevedendo un ―Incrocio tra
le basi dati dell‘INPS e dell‘Agenzia delle Entrate per contrastare la
microevasione diffusa‖, ha disposto che «Al fine di contrastare
l'inadempimento dell'obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi
l'Agenzia delle Entrate esegue specifici controlli sulle posizioni dei soggetti
che risultano aver percepito e non dichiarato redditi di lavoro dipendente ed
20
Così la Circ. n. 4/E/2011 cit..
Un‘ulteriore conferma alla rilevanza ―fiscale‖ e non ―civile‖ della data di inizio
dell‘attività potrebbe provenire dalla disciplina prevista in tema di ―società non
operative‖ (art. 30, L. n. 724/1994), in relazione alla quale la circ. n. 25/E del 4
maggio 2007 ha escluso l‘applicazione della disciplina per quei soggetti che si
trovano nel primo periodo di imposta, intendendo quale ―primo periodo di imposta‖
«quello di inizio dell‘attività coincidente con l‘apertura della partita Iva, a
prescindere dall‘inizio dell‘attività produttiva».
21
267
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
assimilati sui quali, in base ai flussi informativi dell'INPS, risultano versati i
contributi previdenziali e non risultano effettuate le previste ritenute».
Al riguardo, per tornare a quanto in precedenza osservato, si potrebbe
ricordare l‘esempio di un‘impresa di ristrutturazione edilizia che, dopo aver
eseguito i lavori ed incassato i relativi compensi, ―scompaia‖, senza
dichiarare e versare alcunché. I controlli incrociati tra l‘Agenzia e l‘INPS ai
sensi degli articoli 23 e 28 del D.L. n. 78/2010 potrebbero permettere di far
emergere comportamenti evasivi realizzati sia per quanto riguarda la mancata
effettuazione e versamento delle ritenute e la mancata dichiarazione dei
compensi ricevuti a fronte delle commesse eseguite, sia sul versante della
mancata dichiarazione da parte dei lavori dipendenti delle retribuzioni
corrisposte dall‘impresa.
3.
Art. 24 (imprese in “perdita sistemica”): suo contenuto e
inquadramento sistematico.
3.1 La disposizione sulle imprese in “perdita sistemica” (art. 24) quale
misura che si colloca nel più generale contrasto all‟indebito utilizzo
delle perdite, sintomatico di un comportamento antieconomico del
contribuente dietro al quale può celarsi l‟occultamento di base
imponibile.
3.1.1 Anche in relazione alle imprese ―in perdita sistemica‖, si può notare
come la disposizione introdotta con l‘art. 24 D.L. n. 78/2010 affronti un tema
già ampiamente noto agli operatori, sia per gli interventi normativi
succedutisi negli ultimi anni, sia per la stessa prassi dell‘Amministrazione
(avallata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione), volta a monitorare
quelle imprese che evidenziassero perdite fiscali costanti nel tempo, quale
indice di comportamento ―antieconomico‖ sintomatico di evasione.
La disposizione in esame si inserisce anzitutto in un quadro normativo nel
quale il regime fiscale delle perdite (e della loro ―riportabilità‖) è stato
ridisegnato al fine di arginare fenomeni evasivi, con la sostanziale differenza
che la norma in esame si limita alla programmazione di controllo delle
imprese in perdita.
Al riguardo, e richiamando alcune tra le disposizioni più note, ricordo come
per effetto dell‘art. 36, c. 27, del D.L. n. 223/2006 – L. n. 248/2006 (―Decreto
Visco – Bersani‖), il regime delle perdite dei soggetti a contabilità ordinaria è
stato esteso per la prima volta alle perdite conseguite dai professionisti e dalle
imprese in regime di contabilità semplificata, prevedendo, anche per questi
soggetti, il regime di compensazione ―verticale‖ delle perdite (ossia
268
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
esclusivamente con redditi della stessa natura), con il riporto a nuovo
dell‘eventuale eccedenza nei cinque esercizi successivi. Tale innovazione era
evidentemente finalizzata ad aumentare la base imponibile per effetto del
concorso dei redditi derivanti dalle altre categorie reddituali (non essendo più
consentito utilizzare tali perdite per abbattere redditi di diversa natura – ad es.
di capitale – i quali rimanevano tassabili anche se coevi a risultati di impresa
e/o di lavoro autonomo negativi).
Analogamente, in relazione alla disciplina della tassazione per trasparenza
delle società, di cui agli articoli 115 e 116 del Tuir, l'articolo 36 del D.L. n.
223 del 2006, al comma 9, aveva introdotto il divieto alla compensabilità
delle perdite pregresse dei soci con redditi rivenienti dalla società partecipata.
Infatti, volendo evitare che il regime per l‘opzione della trasparenza fosse
funzionale all‘utilizzo delle perdite maturate in capo ai soci in periodi di
imposta precedenti all‘opzione, il legislatore ha aggiunto all'articolo 115,
comma 3, cit. (richiamato dall‘art. 116, c. 2, cit., per la trasparenza delle
società di capitali ―a ristretta base‖), il seguente periodo: "Le perdite fiscali
dei soci relative agli esercizi anteriori all'inizio della tassazione per
trasparenza non possono essere utilizzate per compensare i redditi imputati
dalle società partecipate".
Sempre in relazione al contrasto all‘evasione perpetrata attraverso la
strumentalizzazione delle perdite, il Decreto Visco – Bersani, nell'ambito
delle disposizioni relative al recupero della base imponibile, aveva altresì
previsto ai commi 12 e 13 dell'articolo 36 alcune modifiche con riferimento
alle perdite illimitatamente riportabili.
Ed infatti, il comma 2 dell'articolo 84 del Tuir, che originariamente
prevedeva che "Le perdite realizzate nei primi tre periodi d'imposta possono,
con le modalità previste al comma 1, essere computate in diminuzione del
reddito complessivo dei periodi d'imposta successivi senza alcun limite di
tempo", è stato integrato dal comma 12 dell'articolo 36 cit. il quale ha inserito
dopo le parole "primi tre periodi d'imposta" le seguenti: "dalla data di
costituzione", completando il periodo con la frase "a condizione che si
riferiscano ad una nuova attività produttiva".
Inoltre, con la lett. b) comma 12, dell‘art. 36, D.L. n. 223/2006, è stata
soppressa la lettera a) dell‘art. 84 tuir relativa alla limitazione al riporto delle
perdite pregresse in caso di trasferimento della maggioranza delle
partecipazioni e cambiamento dell‘attività principale. E‘ stata eliminata
l‘esimente precedentemente prevista nel caso in cui le partecipazioni
risultassero acquisite da società controllate dallo stesso soggetto che controlla
il soggetto che riporta le perdite ovvero dal soggetto che controlla il
controllante di questi. La conseguenza è che nei casi previsti dall‘art. 84, c. 3,
269
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
il riporto delle perdite viene impedito anche nel caso di trasferimento delle
partecipazioni nell‘ambito del gruppo.
Sotto un ulteriore profilo, l‘art. 35, c. 7, D.L. n. 223/2006, ha integrato la
disciplina contenuta nell‘art. 172, comma 7, tuir, in tema di fusioni
estendendo l‘applicazione delle limitazioni ivi contenute (test di vitalità,
limite del patrimonio netto e rilevanza delle svalutazioni delle
partecipazioni), riguardanti l‘utilizzo delle perdite maturate dai soggetti che
partecipano ad operazioni di fusione, anche all‘ipotesi di retrodatazione degli
effetti fiscali dell‘operazione.
Successivamente, con la L. 244/2007 (Finanziaria 2008) è stato modificato
l'art. 101 co. 6 del TUIR, prevedendo che le perdite realizzate dalle società di
persone non fossero computabili in deduzione dalla base imponibile dei soci
soggetti IRES, ma sono utilizzabili solo a scomputo dei redditi realizzati dalle
stesse società di persone nei successivi periodi d'imposta. La disposizione
intende evitare che i limiti alla deducibilità degli interessi stabiliti dal
"nuovo" art. 96 del TUIR, applicabili alle sole società di capitali, vengano da
queste elusi, "convogliando" l'indebitamento in società di persone
partecipate, le quali poi trasferirebbero per trasparenza le perdite derivanti dai
finanziamenti ottenuti alle società di capitale socie.
3.1.2 Più strettamente inerente alla norma in esame è il riferimento alla
circostanza che l‘ipotesi di soggetti in perdita ―costante‖ era stata presa in
considerazione anche dalla stessa Amministrazione finanziaria nell‘ambito
degli indirizzi operativi diramati ai propri Uffici, per prevenire e contrastare
l‘evasione. Ad esempio, con la Circolare 9 aprile 2009, n. 13/E,
l‘Amministrazione aveva espressamente stabilito che con riguardo ai
controlli da eseguire sulle ―imprese di minori dimensioni‖22 per l‘anno
2009 la «selezione dovrà essere condotta considerando sempre più annualità
(es. 2004-2005-2006-2007) e tenendo prioritariamente conto della
coesistenza di alcuni, più selettivi indicatori di rischio, quali in specie: (...)
presenza di perdite per più annualità che denotano situazioni
apparentemente antieconomiche».
Nella medesima Circ. n. 13/2009 si nota altresì come la situazione di reiterata
esposizione di perdite sia stata ritenuta un indicatore del rischio di evasione
anche in relazione a quella platea di soggetti non rientranti nel regime degli
studi di settore: nella Circ. n. 13/2009 si legge infatti che per i «soggetti non
compresi nel regime degli Studi di settore (...) il grado del rischio va valutato
tenendo conto degli indicatori più generali di cui si è detto innanzi (costante
posizione IVA a credito, crescita anomala di crediti utilizzati in
compensazione o chiesti a rimborso, trend pluriennale dei redditi
22
Oltre che per i ―lavoratori autonomi‖.
270
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
obiettivamente non plausibile, reiterata dichiarazione di perdite), nonché di
altri elementi specifici acquisiti».
Analogamente, con la Circolare del 16 aprile 2010, n. 20/E,
l‘Amministrazione Finanziaria, formulando gli indirizzi operativi per l‘anno
2010 per la ―prevenzione e contrasto dell‘evasione‖, ha affermato con
riguardo ai ―grandi contribuenti‖ come «particolare attenzione va inoltre
rivolta alla presenza di significative variazioni o anomalie nei risultati
d’esercizio, ovvero alla genesi di perdite fiscali, in quanto le stesse
potrebbero rappresentare indicatori sintetici dell’avvenuta attuazione di
schemi di pianificazione fiscale aggressiva, peraltro di particolare rilevanza
negli anni di imposta in cui il contesto economico internazionale è stato
interessato da una grave crisi economico-finanziaria».
Sempre in relazione ai ―grandi contribuenti‖, la riportabilità e l‘esposizione
delle perdite è stata assunta dall‘Amministrazione finanziaria quale fatto da
monitorare anche in relazione al 2007 (cfr. circ. n. 2/E del 23 gennaio 2007),
per il quale l‘Amministrazione indicava, quali contribuenti soggetti a
controllo, le società di capitali ed in generale «i contribuenti titolari di
impresa commerciale» al fine del «potenziale recupero di eventuali perdite
dichiarate», potendo indirizzare la verifica «all‘esame di alcuni specifici fatti
o elementi (quali, ad esempio,operazioni straordinarie, componenti positivi o
negativi di particolare rilevanza, utilizzo di perdite)».
Come riconosciuto anche dalla Circ. n. 4/E del 15 febbraio 2011 (che ha
fornito i primi chiarimenti sul D.L. n. 78/2010) in relazione all‘art. 24 cit.,
«la programmazione di controlli fiscali delle imprese in perdita prevista
dalla norma in esame è in linea con quanto ribadito negli ultimi anni, sia
dalla prassi amministrativa dell‘Agenzia delle entrate (cfr. circolari n. 20/E
del 16 aprile 2010 e n. 13/E del 9 aprile 2009), che dalla giurisprudenza di
legittimità (cfr., Corte di Cassazione, sentenze n. 24436 del 2 ottobre 2008 e
n. 21536 del 15 ottobre 2007)».
Ed infatti, la Corte di Cassazione, negli ultimi anni, ha assunto un
orientamento volto ad attribuire rilevanza indiziaria (anche in presenza di una
contabilità esistente e formalmente corretta), al comportamento
―antieconomico‖ del contribuente, da questo in alcun modo non spiegato e/o
non giustificato, al fine di accertare induttivamente l‘esistenza di un reddito
occultato, anche in presenza di altri elementi presuntivi a sostegno della
pretesa tributaria. Per quanto in questa sede interessa più specificamente, si
ricorda che la Suprema Corte ha ritenuto che l‘esposizione di perdite per più
annualità fosse un indice di una potenziale evasione di imposta. In questo
senso si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza 15 ottobre 2007, n.
21536, rigettando il ricorso di una contribuente esercente attività di impresa,
271
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
in quanto i compensi che la società aveva corrisposto ai soci dipendenti per
due annualità consecutive erano stati ritenuti ―sproporzionati‖ in rapporto ai
ricavi dichiarati, anche in relazione al rapporto ricavi/compensi di una terza
annualità23, tanto più che, per le due annualità in contestazione, la
contribuente aveva evidenziato anche delle perdite. In particolare, la
Cassazione ha affermato che «in mancanza di documentate spiegazioni,
l‘irragionevolezza economica del comportamento del contribuente che, per
esempio, affermi per più anni di essere finito in perdita o di avere sostenuto
costi sproporzionati ai ricavi, rappresenta un fatto sintomatico di possibili
violazioni all‘obbligo di dichiarazione, perché, non essendo conforme a
logica ed esperienza impostare o proseguire l’attività secondo criteri o
malgrado risultati poco vantaggiosi o addirittura dannosi, autorizza a
presumere che l‘interessato abbia, in realtà, incassato più di quanto indicato
nella denuncia dei redditi». In senso analogo si è pronunciata la Corte di
Cassazione con la successiva sentenza 2 ottobre 2008, n. 24436, esaminando
il caso di una società che aveva contestato la ricostruzione induttiva del
reddito operata dall‘Ufficio ritenendone inesistenti i presupposti (ex art. 39
d.p.r. n. 600/1973 e 62-sexies, comma 3, DL n. 331/1993), anche in
considerazione della correttezza delle scritture contabili. Rigettando il ricorso
della società, la Suprema Corte ha affermato come «la circostanza che una
impresa commerciale dichiari, ai fini dell‘imposta sul reddito, per più anni
di seguito rilevanti perdite, nonché una ampia divaricazione tra costi e
ricavi, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a
giustificare da parte dell‘erario una rettifica della dichiarazione (...) a meno
che il contribuente non dimostri concretamente la effettiva sussistenza delle
perdite dichiarate. Nella fattispecie in esame, tale anomalia è significativa ed
ulteriormente aggravata dal fatto che, malgrado i risultati negativi ottenuti
per cinque anni, per come risultano dalla contabilità esaminata e disattesa
prima dai verificatori e poi dall‘Ufficio, la società avrebbe insistito nella
stessa attività (...) in palese contrasto ―con i principi di ragionevolezza,
anche sotto il profilo dell‘antieconomicità del comportamento della
contribuente che inspiegabilmente si sarebbe decisa ad aprire un altro
esercizio contiguo”. Né le giustificazioni addotte dalla contribuente
appaiono ragionevolmente tali da superare quanto affermato e
dall‘Amministrazione finanziaria e dai giudici di merito». Secondo la
Cassazione, l‘evasione sarebbe stata confermata dal fatto che il contribuente
non era riuscito a giustificare economicamente perché, a fronte dell‘attività
(di ristorazione) svolta che per cinque anni consecutivi aveva generato delle
perdite, aveva insistito nella medesima attività addirittura aprendo ―un altro
esercizio contiguo‖.
23
Nella sentenza si legge infatti che: per la 1° annualità accertata, a fronte di ricavi
per 113 milioni di Lire, erano state corrisposte retribuzioni per circa 76 milioni di
Lire; per la 2° annualità accertata, a fronte di ricavi per 115 milioni di Lire, erano state
corrisposte retribuzioni per circa 92 milioni di Lire; per la 3° annualità (quella ritenuta
dal giudice di merito ―più realistica‖), invece, a fronte di ricavi per 188 milioni di Lire
erano state corrisposte retribuzioni per circa 88 milioni di Lire.
272
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
Quanto alla giurisprudenza di merito, in linea con l‘orientamento della Corte
di Cassazione si segnala la sentenza della Comm. trib. reg. di Roma 6 aprile
2006, n. 33, la quale si è pronunciata in relazione al caso di una società a cui
erano stati contestati i risultati di bilancio relativi ad una annualità, in quanto
non in linea con alcuna logica di mercato aziendale, sia in riferimento al
volume di affari conseguito, sia al consistente impegno finanziario. Tale
anomalia risultava ancora più evidente considerando la situazione reddituale
della società nelle tre annualità precedenti, per le quali erano stati esposti
risultati estremamente negativi.
A fronte della contestazione mossa dall‘Ufficio, nella sentenza si legge che
«la contribuente si è limitata a dire che si deve tener conto della zona in cui
la società opera e dei prezzi (inferiori a quelli correnti) che è costretta ad
usare. Ma tutto ciò non può giustificare la permanenza sul mercato di
un'azienda che conduce un'attività esercitata in perdita (perché tale
dovrebbe ritenersi anche quella che eserciti appena in pareggio, fatti che il
rilevante giro di affari non sarebbe in grado di giustificare sotto il profilo
economico), a meno che ricorrano fondati motivi extraeconomici per farlo;
ma di ciò la contribuente non ha offerto alcun elemento giustificativo. D'altra
parte, la società operava già da tre anni con risultati estremamente negativi
e l'ufficio (salvo elementi sconosciuti alla scrivente) è intervenuto a
censurare, sotto il profilo fiscale, tali risultanze soltanto al quarto anno
consecutivo di risultato incomprensibilmente negativo».
3.2 L‟art. 24 D.L. n. 78/2010 (“imprese in perdita sistemica”): principali
aspetti applicativi. Le “imprese individuali” e le “grandi imprese”.
3.2.1 Il D.L. n. 78/2010, convertito con modificazioni in legge n. 122/2010
ha previsto all‘art. 24 una disposizione volta al «Contrasto al fenomeno delle
imprese in perdita "sistemica"». In particolare, il comma 1 dispone che «la
programmazione dei controlli fiscali dell'Agenzia delle Entrate e della
Guardia di finanza deve assicurare una vigilanza sistematica, basata su
specifiche analisi di rischio, sulle imprese che presentano dichiarazioni in
perdita fiscale, non determinata da compensi erogati ad amministratori e
soci, per più di un periodo d'imposta e non abbiano deliberato e interamente
liberato nello stesso periodo uno o più aumenti di capitale a titolo oneroso di
importo almeno pari alle perdite fiscali stesse».
Il successivo comma 2 prevede altresì che «anche ai fini di cui al comma 1,
nei confronti dei contribuenti non soggetti agli studi di settore né a
tutoraggio, l'Agenzia delle Entrate e la Guardia di finanza realizzano
coordinati piani di intervento annuali elaborati sulla base di analisi di
273
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
rischio a livello locale che riguardino almeno un quinto della platea di
riferimento».
La Relazione Tecnica di accompagnamento al D.L. n. 78/2010 ha precisato
che la disposizione di cui al comma 1 è «finalizzata a realizzare una
specifica azione di vigilanza fiscale su una particolare categoria di
contribuenti a particolare rischio di frode o evasione fiscale. Si tratta, in
particolare, delle imprese che si dichiarano in perdita, ai fini delle imposte
sui redditi, per più di un periodo di imposta, per le quali il rischio di
evasione è del tutto evidente, atteso che perdite reiterate contraddicono ogni
logica imprenditoriale e depongono per un posizionamento fuori mercato
che, ove persistente, non giustifica la sopravvivenza dell’impresa».
Pertanto, così come già affermato dalla Amministrazione finanziaria (circ. n.
20/E/2010 e n. 13/E/2009) e dalla Corte di Cassazione (sent. n. 21536/2007 e
n. 21536/2008), con l‘art. 24 è stata normativamente posta l‘attenzione sul
fenomeno delle perdite sistematiche quale indicatore di ―attività
antieconomica‖, ossia ―spia‖ di comportamenti che non trovano una
giustificazione economica e che, pertanto, sono potenzialmente evasivi,
invertendo, così, l‘onere della prova, in relazione alla giustificazione della
operatività dell‘impresa e dei profili fiscali contestati (normalmente, maggiori
ricavi).
Con l‘art. 24 cit. il legislatore ha quindi voluto attribuire maggiore incisività
all‘azione di controllo dell‘Amministrazione finanziaria, avendo riconosciuto
dignità normativa al fenomeno del contrasto alle imprese in costante perdita,
convogliando e sacralizzando in una disposizione normativa gli indirizzi
operativi che l‘Amministrazione finanziaria ha ripetutamente dettato per il
contrasto all‘evasione (si ricordano le Circ. n. 13/2009 e n. 20/2010). In tal
modo si da seguito all‘orientamento manifestatosi all‘interno delle
giurisprudenza della Corte di Cassazione sul ―comportamento
antieconomico‖ del contribuente che esercita la propria attività in costante
perdita, ponendosi l‘art. 24 cit., più in generale, nell‘ambito delle norme di
legge (di cui retro se ne sono ricordate alcune) deputate al contrasto
all‘indebito utilizzo delle perdite fiscali.
Conseguentemente, attraverso questa ―consacrazione normativa‖, ossia
attraverso la sublimazione degli orientamenti di cui sopra in una disposizione
di legge, il legislatore attribuisce all‘art. 24 cit. una duplice rilevanza, sia
interna che esterna: l‘art. 24 cit. ha una ―rilevanza interna‖ in quanto è in
primis rivolta all‘Amministrazione finanziaria con la valenza propria di una
disposizione di legge e non più di una semplice prassi interna, con la
conseguenza che gli uffici sono maggiormente tenuti, rispetto a prima, al
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―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
rispetto delle modalità di programmazione e di svolgimento dei controlli da
eseguire.
Correlativamente, l‘art. 24 cit. assume una ―rilevanza esterna‖ nella misura
in cui è diretta a scoraggiare in maniera generalizza comportamenti finalizzati
all‘evasione. Ed infatti, come risulta dalla Relazione di accompagnamento al
D.L. n. 78/2010, «la nuova norma, determinando nei contribuenti la
consapevolezza del potenziamento dell‘attività di controllo (sempre
maggiore via via che lo stesso verrà in concreto attuato sfruttando al
massimo le sinergie tra l‘Agenzia e la Guardia di Finanza), comporterà
effetti fortemente dissuasivi delle più disparate pratiche evasive ed elusive
che emergono in modo sempre più significativo dalle attività di controllo
fiscale».
L‘effetto dissuasivo dell‘art. 24 cit., sulla base della formulazione del primo
comma, è pertanto ―generale‖, ossia rivolto a tutte le ―imprese‖
indipendentemente dalle loro ―dimensioni‖.
Viceversa, con il suo secondo comma, l‘art. 24 cit. ha ampliato ―verso il
basso‖ la platea dei soggetti passibili di rientrare nella programmazione dei
controlli, ricomprendendovi (attraverso la realizzazione di piani di intervento
annuale) anche quei contribuenti non soggetti agli studi di settore (e cioè quei
soggetti con ricavi superiori a 5.164.569 di euro) e non soggetti al c.d.
―tutoraggio‖ (cioè quei soggetti che al 1° gennaio 2011 hanno conseguito un
volume d‘affari o ricavi inferiore a 150 milioni di euro) 24.
24
Si ricorda infatti che l‘art. 27 del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, ha previsto: al
comma 9, che «per le dichiarazioni in materia di imposte sui redditi e le dichiarazioni
IVA delle imprese di più rilevante dimensione, l‘Agenzia delle entrate attiva un
controllo sostanziale, di norma, entro l‘anno successivo a quello della
presentazione»; al comma 10, che «si considerano imprese di più rilevante
dimensione quelle che conseguono un volume d‘affari o di ricavi non inferiori a
trecento milioni di euro. Tale importo è gradualmente diminuito fino a cento milioni
di euro entro il 31 dicembre 2011. Le modalità della riduzione sono stabilite con
provvedimento del Direttore dell‘Agenzia delle Entrate, tenuto conto delle esigente
organizzative connesse all‘attuazione del comma 9»; al comma 11, che «il controllo
sostanziale previsto dal comma 9 è realizzato in modo selettivo sulla base di
specifiche analisi di rischio concernenti il settore produttivo di appartenenza
dell‘impresa, dei soci, delle partecipate e delle operazioni effettuate, desunto anche
dai precedenti fiscali». Si ricorda altresì che il Direttore dell‘Agenzia delle Entrate,
con Provvedimento del 16 dicembre 2009, ha ridotto a 200 milioni di euro, con
decorrenza dal 1° gennaio 2010, l‘ammontare del volume d‘affari o dei ricavi rilevanti
ai fini di assoggettare le imprese a ―tutoraggio‖ e, con successivo Provvedimento del
20 dicembre 2010, tale importo è stato ridotto a 150 milioni di euro, con decorrenza
dal 1° gennaio 2011.
275
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―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
Al riguardo, per meglio comprendere i soggetti che rientrano nella
programmazione dei controlli ai sensi dell‘art. 24 cit., si ricorda che
l‘Amministrazione finanziaria ha suddiviso i contribuenti in diverse
―tipologie‖ (ad esempio, ―grandi contribuenti‖, ―imprese di medie
dimensioni‖, ―imprese di minore dimensioni e lavoratori autonomi‖, ―enti
non commerciali‖ e ―persone fisiche‖) in relazione alle quali calibrare
specificamente le azioni di controllo25. In particolare, con la Circ. n. 13/E del
2009, l‘Amministrazione ha individuato:
le «grandissime imprese» (definite dalla Circ. n. 13/E del 2009 anche
«imprese di più rilevante dimensione»), nei cui confronti sono espletate
le particolari attività di controllo denominate ―tutoraggio‖, introdotte
dall‘art. 27, commi da 9 a 14, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185.
Infatti, in base al comma 10 dell‘art. 27, D.L. n. 185/2008, sono
considerate «imprese di più rilevante dimensione» quelle che all‘entrata
in vigore del D.L. n. 185/2008 (29 novembre 2008) hanno conseguito un
volume d‘affari o di ricavi non inferiori a 300 milioni di euro. Tale
importo è gradualmente diminuito fino a 100 milioni di euro entro il 31
dicembre 2011. Pertanto, dal 1° gennaio 2012, ai fini dell‘applicazione
del ―tutoraggio‖, i ―grandi contribuenti‖ verranno a coincidere con le
―imprese di più rilevante dimensione‖ (detti altrimenti ―grandissimi
contribuenti‖).
i ―grandi contribuenti‖, nelle «imprese e professionisti con volumi
d‘affari IVA, ricavi o compensi non inferiori a 100 milioni di euro»;
le ―imprese di medie dimensioni‖, nelle «imprese con volumi d‘affari
IVA, ricavi o compensi da 5.164.569 a < 100 milioni di euro»;
le ―imprese di minori dimensioni‖, nelle «imprese con volumi d‘affari
IVA, ricavi o compensi fino a 5.164.569 di euro»; nell‘ambito della
stessa soglia reddituale (che corrisponde al limite entro il quale si
applicano gli studi di settore) la Circ. n. 13/E del 2009 ricomprende
anche i ―lavoratori autonomi‖.
25
Infatti, nella Circ. n. 13/E del 2009 l‘Amministrazione ha evidenziato che il
contrasto all‘evasione è attuato attraverso le seguenti strategie: «focalizzare
distintamente l‘azione di controllo sulle diverse macro-tipologie di contribuenti
(grandi e medie imprese, piccole imprese e lavoratori autonomi, enti non commerciali
e persone fisiche); adottare metodologie di intervento differenziate per ciascuna
macro-tipologia e coerenti con altrettanto distinti sistemi di analisi e valutazione del
rischio di evasione e/o elusione da sviluppare tenendo anche conto delle peculiarità
che connotano ciascuna realtà territoriale ed economica».
276
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Ciò premesso, l‘art. 24 cit. ha previsto al comma 1 ed al comma 2 due diversi
meccanismi di selezione dei contribuenti da sottoporre a monitoraggio in
funzione della diversa tipologia dei contribuenti sopra ricordata. In
particolare:
i soggetti aventi un volume d‘affari IVA, ricavi o compensi fino a
5.164.569 di euro (e cioè lavoratori autonomi ed imprese di minori
dimensioni), quindi soggetti che rientrano nell‘ambito di applicazione
degli studi di settore, sono monitorati ai sensi del comma 1 dell‘art. 24
cit.: nei loro confronti è cioè effettuata una «vigilanza sistematica,
basata su specifiche analisi di rischio»;
i soggetti aventi un volume d‘affari IVA, ricavi o compensi compreso tra
5.164.569 di euro e 100 milioni di euro, e cioè le imprese di ―medie
dimensioni‖ o comunque i contribuenti per i quali non si applicano né gli
studi di settore né la particolare forma di controllo detta ―tutoraggio‖ 26,
sono monitorati ai sensi del comma 2 dell‘art. 24 cit.: nei loro confronti,
cioè, «l‘Agenzia delle Entrate e la Guardia di finanza realizzano
coordinati piani di intervento annuali elaborati sulla base di analisi di
rischio a livello locale che riguardino almeno un quinto della platea di
riferimento»;.
infine, i soggetti aventi un volume d‘affari IVA, ricavi o compensi
superiore a 100 milioni di euro, cioè i soggetti che (a partire dal 31
dicembre 2011) sono soggetti a tutoraggio (c.d. ―imprese di rilevante
dimensione‖) ed i ―grandi contribuenti‖, sono monitorati ai sensi del
comma 1 dell‘art. 24 cit. (come per i contribuenti sotto il limite di
5.164.569 di euro) e nei loro confronti è effettuata una «vigilanza
sistematica, basata su specifiche analisi di rischio».
Al riguardo, è rilevante notare come, al fine della selezione dei soggetti da
sottoporre a controllo, per i soggetti rientranti nel ―gap‖ compreso tra
5.164.569 di euro (soglia degli studi di settore) e 100 milioni di euro (soglia
per la definizione dei ―grandi contribuenti‖ e, dal 31 dicembre 2011, soglia al
di sopra della quale si applica il ―tutoraggio‖), l‘art. 24 cit. prevede al comma
2 che siano elaborati dei criteri più articolati rispetto a quelli previsti dal
comma 1, che tengano cioè conto della realtà locale, ossia ad esempio di quei
settori e di quelle zone dove è riscontrabile una più alta evasione (ad
esempio, commercio di metalli ferrosi e non ferrosi e relativi rottami).
26
Limite che il comma 10 dell‘art. 27 del D.L. n. 185/2008 ha originariamente
previsto in 300 milioni di euro, ma che per effetto dello stesso comma 10 cit. è
destinato ad abbassarsi a 100 milioni di euro entro il 31 dicembre 2011.
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La previsione del comma 2 dell‘art. 24 cit. di criteri di selezione basati su
analisi del rischio di evasione, legato alla realtà ―del territorio‖, deriva dal
fatto che il comma 2 cit. si riferisce ad ―fascia‖ di contribuenti
particolarmente ampia (circa 70.000 soggetti) rispetto alla quale è quindi
necessario effettuare delle ―scremature‖ sulla base di un concreto rischio di
evasione. Al riguardo, secondo la Relazione di accompagnamento, «la norma
contenuta nel comma 2, anche ai fini di realizzare la vigilanza prevista dal
comma 1, ha la finalità di intensificare l‘attività di controllo su di un
segmento di contribuenti assai rilevante in termini di gettito fiscale atteso, e
che pertanto presenta un rischio di evasione complessiva particolarmente
elevato (determinato in misura consistente, proprio per questo segmento di
soggetti, dalla esposizione di perdite fiscali)». Pertanto, sempre secondo la
Relazione di accompagnamento, «stante la concentrazione su di una platea
di circa 70.000 soggetti, il miglior modo di coprire tale rischio è sicuramente
quello del controllo sistematico mediante specifici piani a livello locale
coordinati tra l‘Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza», con la
«creazione di apposite strutture specificamente dedicate ai controlli sulla
platea di contribuenti in parola». Per la «individuazione dei criteri selettivi
da utilizzare per scegliere i soggetti da sottoporre a vigilanza fiscale – che
dovranno rappresentare almeno un quinto della platea degli interessati» la
Circ. n. 4/E del 2011 rinvia alla successiva adozione di provvedimenti
ufficiali da parte dell‘Agenzia delle Entrate.
Inoltre, secondo il comma 2 dell‘art. 24 cit., il controllo nei confronti dei
contribuenti rientranti in questo ―gap‖ (soggetti compresi tra la soglia degli
studi di settore e la soglia del tutoraggio) viene comunque effettuato «anche
ai fini di cui al comma 1», e cioè considerando pur sempre, quale criterio
selettivo imprescindibile, la riscontrata esistenza di perdite reiterate. Ed
infatti, a tal proposito la Circ. n. 4/E del 2011 ha affermato che «il comma 2
dell‘art. 24 del decreto – anche al fine di armonizzare l‘attività sinergica tra
Agenzia delle entrate e Guardia di Finanza nell‘ambito dell‘attività di
monitoraggio in esame – prevede coordinati piani di intervento annuali
elaborati sulla base di analisi di rischio a livello locale nei confronti dei
contribuenti non soggetti agli studi di settore né a tutoraggio che, proprio a
causa della reiterata esposizione di perdite fiscali, presentano un rischio di
evasione complessiva particolarmente elevato».
3.2.2 Ciò considerato al paragrafo precedente, l‘art. 24 cit. può porre alcuni
problemi di carattere interpretativo legati alla sua formulazione estremamente
generica. Anzitutto, sempre in relazione ai soggetti interessati dalla
disposizione, ci si domanda se nel concetto di «imprese» rilevanti ai fini del
monitoraggio possano essere ricondotte le ―imprese individuali‖ 27.
27
Analoghi dubbi potrebbero altresì sorgere nei confronti dei ―contribuenti minimi‖
(L. n. 244/2007) ed ai ―giovani imprenditori‖ (ex art. 13 L. 388/2000).
278
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Ed infatti, in relazione a tale tipologia di contribuenti sarebbe oltremodo
difficoltosa l‘applicazione delle due ―esimenti‖ previste dal comma 1 dell‘art.
24 cit. (ossia l‘erogazione dei compensi agli amministratori e soci e la
deliberazione di aumenti di capitale), considerando, da un lato, la previsione
generale di indeducibilità dei compensi dell‘imprenditore individuale 28 e,
dall‘altro, che il finanziamento dell‘impresa spesso è effettuato mediante
versamenti diretti da parte dell‘imprenditore sul conto corrente relativo
all‘impresa (con modalità, quindi, diverse rispetto a quelle richieste dall‘art.
24 cit. ai fini dell‘esclusione dai controlli). Conseguentemente, se non si
vuole ritenere che l‘art. 24 cit. preveda come monitorabili soggetti per i quali
sarebbe strutturalmente difficoltosa (se non impossibile) l‘applicazione delle
due ―esimenti‖, con la conseguenza di non consentir loro di sottrarsi alla
programmazione dei controlli, l‘art. 24 cit. è applicabile nei confronti di
quelle imprese esercitate in forma ―societaria‖.
Inoltre, sempre in relazione al concetto di «imprese» rilevanti ai fini del
monitoraggio – ferma restando l‘esclusione degli esercenti arti professioni e
delle ―società semplici‖ che, in quanto tali, non esercitano attività
commerciale – la dottrina29 che per prima ha commentato la disposizione si è
domandata se nel concetto siano da ricondurre anche gli ―enti non
commerciali‖ che potrebbero comunque esercitare, in forma marginale,
un‘attività di carattere commerciale, rispetto alla quale, proprio in virtù del
carattere secondario di tale attività, potrebbero verificarsi ripetuti esercizi in
perdita.
Inoltre, la generica formulazione della norma ha posto un problema
interpretativo legato al fatto se per poter ricondurre l‘impresa al controllo di
cui all‘art. 24 cit., gli Uffici debbano riscontrare perdite per due annualità
consecutive oppure per annualità alterne: il dubbio è sorto infatti come
conseguenza della formulazione generica della norma che nella rubrica indica
le perdite come ―sistemiche‖ e nel comma 1 si riferisce alle «imprese che
presentano dichiarazioni in perdita fiscale (...) per più di un periodo di
imposta». Sul punto è intervenuta la Circ. n. 4/E/2011, la quale ha affermato
che l‘art. 24 cit. si riferisce «alle imprese che si dichiarano in perdita, ai fini
delle imposte sui redditi, per più annualità» e che, considerato che «la norma
non individua un periodo temporale minimo trascorso il quale la perdita può
28
Infatti, in relazione alle società di persone l‘art. 60 t.u.i.r. dispone che le ―spese per
prestazioni di lavoro‖ «non sono ammesse in deduzione a titolo di compenso del
lavoro prestato o dell‘opera svolta dall‘imprenditore, dal coniuge, dai figli, affidati o
affiliati minori di età o permanentemente inabili al lavoro e dagli ascendenti, nonché
dai familiari partecipanti all‘impresa di cui al comma 4 dell‘art. 5».
29
Cfr., ad esempio, FORTE, Imprese in perdita sistematica: perimetro applicativo in
cerca di definizione, in Corr. Trib., 2010, 3536.
279
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
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definirsi ―sistemica‖ (...) la perdita fiscale che si protrae per almeno due
esercizi consecutivi sarà sufficiente (...) a legittimare l‘attività di
accertamento da parte degli Organi di controllo». In tal modo, la circolare n.
4/2011 ha evidentemente ritenuto che le perdite che non sono consecutive
potrebbero considerarsi ―occasionali‖ e quindi non ―sistemiche‖ (come
espressamente contrastate dalla norma).
In terzo luogo, l‘art. 24 cit. si riferisce espressamente alle ―perdite fiscali‖
con la conseguenza che, ai fini della soggezione dell‘impresa al
monitoraggio, non dovrebbero assumere rilevanza le perdite ―civili‖, cioè
risultanti solo dal conto economico (ma non dalle dichiarazioni), scattando i
controlli solamente sulla base delle risultanze di queste ultime. Tuttavia, il
risultato fiscale che fa scattare i controlli è pur sempre il frutto delle
risultanze civilistiche alle quali sono apportate le variazioni in aumento od in
diminuzione secondo i criteri indicati dall‘art. 83 e ss. T.u.i.r., con la
conseguenza che una società civilisticamente in utile potrebbe essere
fiscalmente in perdita a seguito delle variazioni in diminuzione, essendo
quindi potenzialmente soggetta ai controlli programmati, mentre una società
civilisticamente in perdita, per effetto delle variazioni in aumento, potrebbe
essere fiscalmente non in perdita, sfuggendo alla programmazione dei
controlli ex art. 24 cit..
3.2.3 Il primo comma dell‘art. 24 cit. presenta due ipotesi (due ―esimenti‖) al
verificarsi delle quali le imprese in perdita non assumono rilevanza ai fini del
controllo previsto dalla disposizione: da un lato, quando la perdita è
determinata da compensi erogati ad amministratori e soci; dall‘altro, quando
nello stesso periodo in cui si è verificata la perdita vengano deliberati e
liberati uno o più aumenti di capitale.
La prima ―esimente‖, relativa all‘erogazione di compensi ad
amministratori e soci, esclude l‘impresa dal monitoraggio sistematico,
«trattandosi di componenti reddituali tassati in capo ai percettori» (così la
Circ. n. 4/2011), ed in considerazione del fatto che, secondo la Relazione di
accompagnamento al D.L. n. 78/2010, «tale situazione appare, infatti, a
minor rischio, e non richiede, pertanto, una vigilanza sistematica».
Tale esimente in un certo modo supera la successiva pronuncia della Corte di
Cassazione del 10 dicembre 2010, n. 24957, che ha affermato come in caso di
attribuzione agli amministratori di compensi ―insoliti e sproporzionati‖ non è
ravvisabile uno «scopo fraudolento» a danno dell‘Erario dato che le aliquote
applicabili nei confronti dei redditi degli amministratori sono superiori
rispetto a quelle mediamente applicabili per i redditi della società, posto che
l‘art. 24 cit., avendo subordinato il concorso del compenso alla realizzazione
280
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della perdita, non prevede che, a tal fine, i compensi non possano essere
anche ―insoliti e sproporzionati‖.
Al riguardo, tale ―esimente‖ non sembra però applicabile nei confronti
dell‘―imprenditore individuale‖ (per quanto retro osservato) e dell‘―impresa
familiare‖ (considerato che, se ci si attenesse ad una lettura restrittiva della
norma, l‘esimente sarebbe espressamente applicabile nei confronti dei soli
―soci‖ e non anche nei confronti dei ―familiari collaboratori‖
dell‘imprenditore).
La seconda ―esimente‖ (espressa nell‘inciso «e non abbiano deliberato ed
interamente liberato nello stesso periodo uno o più aumenti di capitale a
titolo oneroso di importo almeno pari alle perdite fiscali stesse»), non era
prevista nel testo originario della norma, essendo stata introdotta in sede di
conversione del D.L. n. 78/2010 da parte della L. n. 122/2010.
Il legislatore ha verosimilmente inserito tale inciso in considerazione del fatto
che l‘effettuazione di aumenti di capitale evidenzia una oggettiva esistenza di
(vere) perdite la cui indicazione in dichiarazione non è frutto di una attività
―fiscalmente indesiderata‖. Inoltre, la riscontrata effettuazione di aumenti di
capitale potrebbe essere un indice della volontà della società di volersi
garantire le risorse necessarie per la prosecuzione della propria attività e
quindi per ricollocarsi in una logica di ―economicità‖ dell‘agire
imprenditoriale alla cui tutela l‘art. 24 cit. sembra essere ispirato 30.
Come confermato anche dalla Circ. n. 4/2011, gli aumenti di capitale devono,
anzitutto, essere effettuati a ―titolo oneroso‖ (aventi cioè ad oggetto sia
denaro che beni in natura e crediti, ex art. 2440 c.c. e ss.), non assumendo
quindi rilevanza, ad esempio, gli aumenti di capitale ―gratuiti‖, effettuati
mediante conversione di riserve disponibili 31, e di importo almeno pari alle
perdite fiscali stesse.
Inoltre, considerato che l‘art. 24 cit. dispone che gli aumenti di capitale
debbano essere non solo ―deliberati‖, ma anche ―interamente liberati‖, ciò
significa che non assumeranno rilevanza quegli aumenti di capitale
30
Si ricorda infatti che, secondo la Relazione di accompagnamento al D.L. n.
78/2010, l‘art. 24 è riferito alle «imprese che si dichiarano in perdita, ai fini delle
imposte sui redditi, per più di un periodo di imposta, per le quali il rischio di evasione
è del tutto evidente, atteso che perdite reiterate contraddicono ogni logica
imprenditoriale e depongono per un posizionamento fuori mercato che, ove
persistente, non giustifica la sopravvivenza dell’impresa».
31
Cfr. FERRANTI, Monitoraggio delle imprese in perdita: primi chiarimenti e
questioni ancora aperte», in Corr. Trib. 2011, 861.
281
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sottoscritti ma non ancora versati nel corso dell‘esercizio nel quale si vuole
che esplichi efficacia.
Al riguardo, l‘―esimente‖ degli aumenti di capitale non sembra applicabile in
relazione alle ―imprese‖ svolte in forma ―individuale‖, spesso in regime di
contabilità semplificata ed i cui aumenti sono rappresentati da versamenti
diretti da parte dell‘imprenditore sul conto corrente relativo all‘impresa.
Secondo l‘art. 24 cit., l‘aumento o gli aumenti di capitale debbono essere di
importo sufficiente ad assicurare l‘integrale copertura della perdita di
esercizio («almeno pari alle perdite fiscali stesse») e devono essere effettuati
«nello stesso periodo» nel quale si è realizzata la perdita fiscale.
Tale ―esimente‖, però, potrebbe risultare di non agevole applicazione in
considerazione del fatto che le perdite considerate dalla disposizione sono
quelle che risultano dalla dichiarazione fiscale e che quindi possono essere il
frutto di variazioni rispetto alle risultanze del conto economico: potrebbe,
quindi, non essere agevole effettuare preventivamente (e cioè prima della
chiusura dell‘esercizio civile e prima della compilazione della dichiarazione
fiscale) una stima dell‘esatto risultato finale dell‘esercizio, calcolando
esattamente le variazioni che saranno effettuate successivamente in sede di
presentazione della dichiarazione così da effettuare un aumento di capitale
almeno pari alla perdita fiscale che sarà indicata in dichiarazione.
4.
In conclusione. La valenza sistematica degli articoli 23 e 24 D.L. n.
78/2010. La progressiva “softwarizzazione” dei controlli
amministrativi ha i propri limiti anche costituzionali e non può
pregiudicare la “individualizzazione” della ricostruzione reddituale
del contribuente con particolare riferimento alla necessità della
tutela del contraddittorio.
4.1 Tentando di attribuire una valenza sistematica alle due indicate norme di
programmazione di controllo da effettuarsi in base ad analisi di rischio di
evasione\elusione fiscale, osservo che le disposizioni di cui agli articoli 23 e
24 citati sono state predisposte nel chiaro intento di scoraggiare, attraverso
un‘opera di forte deterrenza, il compimento di operazioni evasive.
Al riguardo, la Corte dei Conti – Sezioni riunite in sede di controllo, nel
corso dell‘audizione tenuta il 10 giugno 2010 presso la Commissione
Bilancio del Senato ha precisato, con riguardo al D.L. n. 78/2010, che «per
quanto riguarda gli effetti finanziari, sul piano generale va rilevato come nel
provvedimento coesistano disposizioni tributarie con sicuri e rilevanti effetti
sul gettito, soprattutto in termini di anticipazione di entrate future, con altre
disposizioni, alle quali pure vengono riconnesse rilevanti previsioni di
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L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
maggior gettito, ma che, forse, sarebbe più prudente considerare soltanto a
posteriori, avendo le medesime disposizioni essenzialmente la natura di un
atto di indirizzo all‘azione dell‘amministrazione (...). Sono (...) riconducibili
alla seconda tipologia (atti di indirizzo all‘Amministrazione) disposizioni
come quelle contenute negli articoli 23 (...) e 24 (...), i cui effetti stimati
superano, complessivamente, il miliardo di euro a regime 32. Si tratta di
fenomeni sui quali è già da anni appuntata l‘attenzione dell‘Amministrazione
finanziaria (...)».
Tali disposizioni, tuttavia, proprio perché predispongono solo criteri per
selezionare i contribuenti da assoggettare a controllo, e tra tutti i contribuenti,
in particolare quelli che evidenziano alcune caratteristiche di ―pericolosità
fiscale‖ (ossia la chiusura dell‘attività dopo un anno dalla sua apertura, e la
conduzione antieconomica dell‘attività evidenziata dalla ripetuta indicazione
di perdite), non hanno una diretta incidenza sul potere di accertamento degli
Uffici, né hanno introdotto nuove forme di accertamento per i soggetti da
esse contemplati.
In particolare, dei rapporti fra la previsione dell‘art. 23 cit. e dell‘art. 37, 3°
comma, d.p.r. 1973, n. 600, si è già detto sub par. 1.2 che precede.
4.2 Inoltre, le disposizioni sulle imprese ―apri e chiudi‖ e su quelle in
―perdita sistemica‖ non comportano alcun automatismo tra il trovarsi nelle
situazioni da esse previste e l‘essere assoggettati ad accertamento: al
riguardo, valga considerare che un‘impresa ―apri e chiudi‖, secondo la
dicitura dell‘art. 23 cit., è ―considerata ai fini della selezione della posizione
da sottoporre a controllo‖, ma non è detto che necessariamente sia
controllata; analogamente dicasi per i contribuenti non soggetti agli studi di
settore e tutoraggio (art. 24, c. 2, d.l. n. 78/2010) rispetto ai quali devono
essere determinati dei ―piani di intervento sulla base di analisi di rischio a
livello locale‖ che comprendano almeno un quinto dei soggetti controllabili,
e non tutti i soggetti controllabili.
Né, per converso, si può ritenere che i soggetti che non rientrano nell‘ambito
di applicazione degli articoli 23 e 24 cit. (ad esempio imprese in perdita che
abbiano visto anche aumenti di capitale a titolo oneroso pari alle perdite) non
possano comunque essere assoggettati ad accertamento. Parimenti, si pensi
agli enti non commerciali o agli esercenti attività agricola che sembrerebbero
essere esclusi dagli art. 23 e 24 cit. per il fatto che in via principale non
producono reddito di impresa, ma che, per tale motivo, non significa che non
32
Sulla cui stima, però, la stessa Corte dei Conti nella propria relazione solleva
qualche perplessità affermando che «non pare affatto che l‘Amministrazione si sia
attrezzata per poter rilevare ex post, in modo affidabile, gli effetti finanziari delle
misure legislative di contrasto all‘evasione ed ancor meno quelli delle azioni
amministrative».
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―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
possano essere altrimenti verificati33. Esiste, in altri termini, la possibilità di
un controllo anche senza la formalizzazione di un obbligo di controllo o la
programmazione dello stesso.
In questa prospettiva, pertanto, anche la problematica sopra affrontata
attraverso la individuazione di ―casi problematici‖ di applicazione delle
indicate previsioni normative, potrebbe apparire ―ultronea‖, considerato che,
anche ove l‘Amministrazione si convincesse che una certa fattispecie non è
riconducibile di per se stessa a tale attività di programmazione, ciò non
escluderebbe minimamente la possibilità che il controllo fosse (sotto questo
profilo) del tutto legittimamente effettuato.
Affermazione quest‘ultima che, in linea teorica, appare assolutamente
ineccepibile. Tuttavia, in concreto, considerata la programmazione dei
controlli, l‘impresa che riuscisse a non trovarsi nella situazione prevista dalle
norme indicate (art. 23 cit. - imprese ―apri e chiudi‖ ed art. 24 cit. - imprese
in ―perdita sistemica‖) avrebbe certamente più possibilità di non subire un,
pur comunque doveroso e legittimo, controllo da parte dell‘Amministrazione
finanziaria. Da qui la rilevanza concreta delle due previsioni normative e
l‘interesse del contribuente a non ―ricadere‖ nell‘ambito del loro ―tessuto
applicativo‖.
Analogamente, le due disposizioni non comportano alcun aggravio
probatorio per il contribuente che, sulla base delle stesse, fosse stato
verificato. Costui, ad esempio, per quanto riguarda la disposizione sulle
imprese in ―perdita sistemica‖, sarà comunque chiamato (e ciò a prescindere
dall‘introduzione di tale disposizione), a provare il carattere ―economico‖
della propria attività, dimostrando (ad esempio) che la perdita è derivata
dall‘inizio dello svolgimento dell‘attività (essendo economicamente normale
che lo start up dell‘impresa determini almeno il primo anno una perdita)34,
oppure (sempre ad esempio) che la perdita fiscale deriva dall‘applicazione di
alcune disposizioni agevolative (quale la c.d. ―Tremonti-ter‖35).
33
Ed infatti, la Circ. n. 13/E del 2009, al par. 2.4 specificamente dedicato agli ―enti
non commerciali‖ ha espressamente affermato che l‘attività di controllo «volta nei
confronti degli enti del terzo settore (enti non commerciali ed ONLUS) riveste, per il
corrente anno, una rilevanza superiore rispetto al passato» di modo che «il comparto
in parola va dunque attentamente monitorato, a livello locale, allo scopo di
individuare rischi di abuso dei regimi agevolativi, pianificando un numero di
controlli idoneo a supportare l‘effetto di deterrenza indotto dalla nuova normativa
(i.e. art. 30 D.L. n. 185/2008)».
34
Fermo restando che in tal caso opera pur sempre la previsione dell‘art. 84, c. 2, tuir,
che consente il riporto illimitato delle perdite realizzate nei primi tre anni dalla data di
costituzione e riferibili all‘esercizio di una nuova attività produttiva.
35
Ed infatti, il comma 1 dell‘art. 5 del D.L. n. 78/2009 prevede che è escluso
dall‘imposizione sul reddito di impresa il 50% del valore degli investimenti in nuovi
284
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
4.3 Conclusioni. Mi sembra pertanto che la reale novità apportata dalla
introduzione degli articoli 23 e 24 cit. sia da ravvisare innanzi tutto nel fatto
che con essi il legislatore ha voluto ―potenziare‖ l‘attività di controllo,
elevando a rango di legge orientamenti che già esistevano all‘interno
dell‘Amministrazione (ed avallati dalla giurisprudenza della Cassazione) al
fine di responsabilizzare maggiormente sia gli Uffici, in relazione al
raggiungimento degli obiettivi del controllo, e sia, soprattutto, i contribuenti,
scoraggiandoli dal tenere comportamenti che, presentando aspetti
economicamente discutibili, nascondono condotte evasive.
Assolutamente non secondario è un ulteriore profilo che emerge dalle due
indicate disposizioni di legge, le quali ribadiscono la progressiva tendenza
alla softwarizzazione‖ dell‘attività di controllo dell‘amministrazione, cioè
all‘attività di controllo effettuata attraverso la selezione computerizzata dei
soggetti da verificare, in relazione al semplice scostamento da canoni
predeterminati o per il riscontrarsi di situazioni ritenute di particolare
―pericolosità fiscale‖. Attività verso la quale mi sembra si stia muovendo a
lunghi passi l‘Amministrazione.
Progressiva ―catastizzazione‖ dell‘attività di controllo che è apprezzabile, se
limitata alla individuazione dei soggetti da controllare, restando inteso che
comunque la determinazione della base imponibile non può prescindere dalle
regole di accertamento ispirate alla individualizzazione della ricostruzione
della situazione impositiva.
In quest‘ottica, particolare rilevanza assume l‘esigenza del ―contraddittorio‖
preventivo, la cui necessità emerge da numerose previsioni normative.
Si pensi all‘art. 6 dello Statuto dei diritti del contribuente (l. n. 212/2000),
ove è sancito l‘obbligo per l‘Amministrazione di portare a conoscenza del
contribuente ―atti ed iniziative‖ emessi ed intraprese nei suoi confronti.
Si pensi altresì alla previsione dell‘art. 37-bis d.p.r. 1973 n. 600, comma 4,
ove è sancita la necessità (a pena di nullità) che in materia di elusione fiscale
l‘avviso di accertamento possa essere emanato solo previa richiesta al
contribuente di ―chiarimenti‖.
Si pensi ancora alla circostanza che la stessa legge n. 122/10 all‘art. 22,
innovando la previsione dell‘art. 38 d.p.r. 1973 n. 600, abbia previsto che
macchinari e in nuove apparecchiature di cui a specifiche tabelle, con l‘effetto di
determinare, in sede di dichiarazione, una variazione in diminuzione del reddito di
impresa che potrebbe anche generare una perdita di periodo.
285
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
l‘accertamento sintetico debba essere
contraddittorio con il contribuente.
preceduto
da
un
invito
al
D‘altronde la stessa giurisprudenza della Cassazione, sotto diversi profili,
valorizza la necessità del contraddittorio: si considerino le pronunce, emesse
con riferimento agli studi di settore, ove è ribadita l‘illegittimità di una
applicazione
automatica
del
loro
contenuto
senza
alcuna
―individualizzazione‖ della pretesa impositiva che valorizzi le ―gravi
incongruenze‖ di tale scostamento (art. 62-sexies d.l. 1993 n. 331) e la
necessità di un contraddittorio preventivo36..
Si pensi infine alle recenti pronunce sia della Corte Costituzionale che della
Corte di Cassazione37 in ordine al c.d. ―accertamento anticipato‖ di cui
all‘art. 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente: la riconosciuta
doverosità che l‘Ufficio motivi le ragioni della mancata osservanza di tale
termine evidentemente ribadisce la necessità di garantire al contribuente la
possibilità di instaurare un preventivo contraddittorio 38.
Semmai in questa prospettiva è del tutto incomprensibile la giurisprudenza
della Corte di Cassazione (che a questo punto appare certamente di
―retroguardia‖)39 che in materia di accertamenti bancari non ritiene
necessario il previo contraddittorio fra Amministrazione e contribuente, tanto
più che tale necessità si desume chiaramente dalla previsione dell‘art. 32, n.
2, d.p.r. n. 1973, n. 600, a tenore del quale i dati e gli elementi desunti dai
conti correnti bancari ―sono posti a base delle rettifiche degli accertamenti
(…) se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto (…) per la
determinazione del reddito (…)‖.
36
Si vedano in tal senso le sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, 18
dicembre 2009, nn. 26635, 26636, 26637 e 26638, nonché, sempre della Corte di
Cassazione, l‘ord. 16 maggio 2011, n. 10778, l‘ord. 17 febbraio 2011, n. 3923 e la
sent. 25 febbraio 2011, n. 4634.
37
A titolo di esempio, si ricordano l‘ordinanza della Corte Costituzionale 24 luglio
2009, n. 244, a cui hanno fatto seguito, della Corte di Cassazione, la sentenza 3
novembre 2010, n. 22320, le ordinanze 19 novembre 2010, n. 23553, 23554 e, da
ultimo, l‘ordinanza 15 marzo 2011, n. 6088.
38
Si veda la sentenza della Corte di Giustizia, sent. 18 dicembre 2008, causa C349/07; cfr. anche BASILAVECCHIA, Contraddittorio e procedimento tributario, un
passo indietro e due avanti, in Corr. Trib. 2011, 376, a commento della sentenza della
Corte di Cassazione, 29 dicembre 2010, n. 26316.
39
Espressione di questo orientamento è la sent. della Cass., 14 gennaio 2011, n. 802,
che ha affermato come «la legittimità dell‘utilizzo dei dati, desunti dalla verifica
operata dall‘ufficio sui conti correnti bancari del contribuente, ai sensi del D.P.R. n.
600 del 1973, art. 32, non è condizionata, infatti, dalla previa instaurazione del
contraddittorio con il medesimo. Tale attività preventiva costituisce, per vero, una
mera facoltà per l‘amministrazione, e non certo un obbligo (...)»; in senso analogo si
vedano altresì le sent. della Cassazione n. 14675/2006 e n. 25142/2009.
286
L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL
―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010)
Pertanto, tenuto conto anche delle due previsioni normative di che trattasi, mi
sembra di potermi esprimere a favore della elevazione a rango legislativo
della ―softwarizzazione‖ della ricerca della materia imponibile, quale
strumento assolutamente necessario tenuto conto della platea dei contribuenti
e della loro diversificazione.
Tuttavia, la ricostruzione della materia imponibile, a mio giudizio, deve
avvenire tenendo conto della ―individualità‖ e della specificità della
situazione reddituale di ciascun contribuente, ed ispirandosi al principio del
contraddittorio.
4.4 Soprattutto, si consideri che, anche la progressiva softwarizzazione della
programmazione dell‘attività di controllo (di cui gli artt. 23 e 24 cit. sono
chiara espressione) non può prescindere dall‘osservanza di fondamentali
principi costituzionali quali il principio di eguaglianza, di ragionevolezza e di
proporzionalità, desumibili direttamente dagli artt. 3 e 97 Cost..
Senza tralasciare il contenuto dell‘art. 53 Cost. posto che, qualificandosi
l‘attività di controllo ―veicolo diretto‖, al fine della determinazione
reddituale, i criteri di programmazione di tale attività non possono che essere
ispirati al principio di capacità contributiva: in questa prospettiva, certamente
(oltre che del tutto irragionevole e non proporzionale) sarebbe in contrasto
col principio di capacità contributiva un‘attività di controllo, volta ad
esempio, (nell‘ambito dell‘accertamento sintetico) alla rilevazione di spese
strettamente necessarie a sostenere il ―minimo vitale‖ per vivere.
Anche l‘attività amministrativa di programmazione del controllo non può che
tener conto dei limiti costituzionali sopra individuati.
287
Prof. Corrado Magnani
“La sospensione amministrativa della
riscossione „concentrata‟”
Circa quindici anni fa, negli scritti in onore di Victor Uckmar che oggi,
tramite la Fondazione Antonio Uckmar, ha organizzato con inesauribile
dedizione questo convegno, mi occupai della sospensione amministrativa
della riscossione, tentando di fornire un inquadramento teorico ―fra autotutela
amministrativa e tributaria cautelare‖ pur nella consapevolezza sociologica
del diffuso scetticismo nei c.d. rimedi giustiziali della P.A.. Il tema non è
stato comunque approfondito in prosieguo. Basti pensare che in una recente
monografia, dedicata alla riscossione a mezzo ruolo, non mi pare si accenni
neppure al tema.
Per aggiornamenti è necessario ricorrere alla manualistica più avveduta. Così,
con sapienza ed equilibrio, S. La Rosa nei suoi Principi di diritto tributario
dedica un paragrafo al tema constatando che ―si è in presenza di una
disciplina che è ancora poco lineare e dal difficile inquadramento
sistematico‖ e ne suggerisce comunque l‘inquadramento ―nella ottica del
contemperamento discrezionale degli interessi patrimoniali pubblici e privati
sottesi ai modi e tempi del pagamento del tributo‖.
Orbene codesta disciplina che, in assenza di un adeguamento legislativo,
sarebbe stata praticamente confinata nel limbo della marginalità, ha tratto
invece nuova linfa dall‘essere stata estesa agli avvisi di accertamento
esecutori, cioè ad un amplissimo settore della fenomenologia impositiva.
Nonostante che la circolare 15-2-2011, n. 4 della Agenzia delle entrate si
limiti laconicamente a puntualizzare che ―nel caso in cui sia presentato
ricorso avverso l‘atto di accertamento si rende applicabile l‘art. 39 del d.P.R.
n. 602/1973 che prevede la facoltà per l‘Ufficio delle entrate di sospendere in
tutto o in parte il ruolo fino alla sentenza della C.T.P.‖, rinviando invece a
successivi documenti di prassi ―ulteriori problematiche interpretative ed
applicative relative a specifiche disposizioni‖ e quindi anche a quella in
esame, siamo in presenza di una notevole innovazione che esige un‘attenta
riflessione.
Innanzi tutto, manca tuttora una disciplina generale sia perché difetta un
codice tributario sia perché ancora una volta il legislatore interviene in modo
occasionale e disorganico.
Per la verità un tentativo - giudicato unanimemente contingente (legato cioè
alla patologia delle c.d. cartelle pazze) e maldestro (espressione del fenomeno
della normativa per stratificazione) - di legiferare ―per principii‖ è stato fatto
con l‘art. 27 della legge n. 28/1999 che ha inserito nel testo delle legge del
1994 sull‘autotutela la norma (art. 1 bis) che così suona: ―nel potere di
annullamento o di revoca di cui al comma 1 deve intendersi compreso anche
―LA SOSPENSIONE AMMINISTRATIVA
DELLA RISCOSSIONE ‗CONCENTRATA‘‖
il potere di disporre la sospensione degli effetti dell‘atto che appare
illegittimo o infondato‖.
Codesta norma, peraltro, si sostanzia e si esaurisce in un enunciato di valenza
essenzialmente teorica.
Anche a condividersi l‘opinione secondo cui è improprio sostenere che la
sospensione degli effetti del provvedimento impositivo costituisce attività di
per sé ―ricompresa‖ nell‘autotutela, stante la diversità di effetti dell‘una e
dell‘altra, non può negarsi che la sospensione sia riconducibile all‘autotutela
sia pure intesa in senso lato, ossia come espressione del potere di riesame dei
provvedimenti impositivi ed esattivi riconosciuto all‘amministrazione
finanziaria.
Ma al di là di codesto riconoscimento di principio (essere cioè sospendibile
l‘atto nelle more del procedimento di riesame) non mi sembra desumibile dal
richiamato articolo 27 la generalizzazione di un autonomo potere di
sospensione che, dal punto di vista procedimentale, resta invece confinato
nell‘ambito della delineata disciplina.
Di conseguenza la generalizzata, almeno nel settore delle imposte sul reddito
e IVA, sospensione amministrativa degli atti impositivi dotati di esecutorietà
appare una realtà del tutto nuova poiché secondo la disciplina oggi ancora
operante essa è possibile solo nei casi in cui il ruolo assume funzione anche
impositiva.
Sebbene l‘estensione del rimedio agli avvisi di accertamento si coerenzi in
termini di ratio con l‘attribuzione agli stessi del carattere esecutivo, la
sospensione può essere accordata non soltanto qualora il ricorso contro
l‘avviso attenga alla sua valenza di titolo esecutivo (carenza o difformità a
legge della intimazione ad adempiere ovvero dell‘‖avvertimento‖; nullità
della notifica) ma altresì per qualsiasi motivo che riguardi la legittimità
dell‘atto impositivo. Codesta estensione del potere avrebbe richiesto, a mio
avviso, una normazione, quanto meno secondaria sui presupposti e sul
procedimento per delimitare e quindi indirizzare, in attuazione dei principi
costituzionali d‘imparzialità e di buon andamento della P.A., l‘esercizio di un
potere eminentemente discrezionale quale è quello in esame.
In assenza di un regolamento (o, quanto meno, di norme interne) spetta allo
interprete delineare un quadro disciplinare attendibile del procedimento
utilizzando i pochi dati normativi emergenti dall‘art. 39 cit..
Al riguardo occorre innanzi tutto individuare l‘organo dell‘Agenzia delle
entrate titolare del potere di sospensione. Ciò esige addirittura un‘operazione
ermeneutica perché l‘art. 39 non è stato aggiornato sul punto e fa ancora
riferimento a ―l‘Ufficio delle entrate o il centro di servizio‖, ossia a organi da
tempo soppressi e sostituiti dalla struttura territoriale dell‘Agenzia delle
entrate.
Non sembra peraltro difficile l‘individuazione dell‘organo competente che
evidentemente è quello che ha emesso l‘atto oggetto dell‘impugnazione.
290
―LA SOSPENSIONE AMMINISTRATIVA
DELLA RISCOSSIONE ‗CONCENTRATA‘‖
Il procedimento, come quello relativo all‘autotutela, non deve essere
necessariamente ad iniziativa della parte privata, ma può essere attivato anche
d‘ufficio.
Nel primo caso, tuttavia, sebbene la legge non parli espressamente di
domanda (come invece accadeva per la sospensione disposta dal centro di
servizio) o di istanza del contribuente, il carattere recettizio del
provvedimento decisorio, reso palese dalla prevista sua notificazione
all‘agente della riscossione ed al contribuente, comprova, in capo all‘organo
titolare del potere, l‘esistenza di un obbligo di provvedere. Ciò consente
indubbiamente, in caso di inerzia, di applicare l‘istituto di silenzio-rifiuto ma
non autorizza l‘interprete a ravvisare nella sospensione in esame una misura
cautelare.
A tale configurazione osta la disciplina del procedimento. In primo luogo la
legge non subordina, come accade invece nel settore dei ricorsi
amministrativi, l‘esercizio del potere di sospensione al pericolo di danno di
guisa che legittimamente l‘Agenzia delle entrate sospende la riscossione
(recte: l‘esecuzione del ruolo) se ravvisa un fumus boni juris nel ricorso alla
commissione.
Per la verità si è addirittura sostenuto che, dall‘inquadramento della
sospensione
amministrativa
nell‘ambito
dell‘autotutela
tributaria
nell‘eventuale attuazione del potere di sospensione da parte del contribuente
non dovrà più essere evidenziato il profilo del fumus boni juris, ―dovendosi
viceversa segnalare profili di interesse generale, sia in ordine alla legittimità
degli atti e sia in ordine allo ordinato svolgimento dell‘attività di prelievo,
specie nella fase esattiva‖ (Glendi, in Dir. prat. trib., 1999, I, 135). Il
corollario, ineccepibile da un punto di vista logico, ci sembra, almeno
apparentemente, sottovalutare la circostanza che l‘istanza di sospensione ex
art. 39 d.p.r. n. 602/73 presuppone il ricorso giurisdizionale avverso il
provvedimento esecutivo e quindi postula, proprio in ordine ai segnalati
―profili di interesse generale‖ una sommaria valutazione prognostica circa la
fondatezza in via sintomatica dei motivi del ricorso come si desume dalla
regola secondo cui la cessazione dell‘effetto sospensivo è correlata – sia
dall‘art. 39 d.p.r. n. 602/73 sia dall‘art. 1 quater della legge n. 28/1999 – alla
pubblicazione della sentenza. Tali disposizioni sono state censurate in
dottrina ―siccome ripetitive di principi consolidati di diritto comune‖ (s.
muscarà) ma la critica coglierebbe nel segno se la sospensione
amministrativa fosse riconducibile alla tutela cautelare mentre la
ricostruzione da noi proposta esclude qualsiasi analogia funzionale tra le due
e quindi giustifica tale disposizione.
Sempre in tema di presupposto della sospensione amministrativa va ricordato
l‘art. 244.2 del codice doganale ai sensi del quale ―l‘autorità doganale può
sospendere, in tutto o in parte, l‘esecuzione della decisione quando abbia
fondati motivi di dubitare della conformità della decisione impugnata alla
normativa doganale, o si debba temere un danno irreparabile per
l‘interessato‖.
291
―LA SOSPENSIONE AMMINISTRATIVA
DELLA RISCOSSIONE ‗CONCENTRATA‘‖
La portata veramente illuminante della norma in esame risiede
nell‘esplicitazione – mediante una formula che, dal punto di vista letterale e
logico, non sembra ammettere dubbi interpretativi – dei requisiti della
sospensione che la congiunzione ―o‖, con valore sicuramente disgiuntivo
enfatizzato dalla virgola che la precede, individua alternativamente nel fumus
boni juris e nel periculum in mora. Il primo, correlando lo stato soggettivo di
incertezza a motivi ―fondati‖, tende ad oggettivizzare la valutazione circa la
legittimità del provvedimento e quindi, indirettamente, si risolve in un
giudizio prognostico sull‘esito del ricorso; il secondo fa riferimento alla
prospettazione di un danno irreparabile in termini non molto dissimili (manca
la qualificazione della gravità del danno ―temuto‖).
Siamo dunque in presenza di una sospensione certamente non cautelare
nell‘accezione che questo termine assume nell‘ambito giurisdizionale;
positivamente, di una sospensione subordinata alla sussistenza di circostanze
riconducibili alla tutela di ben differenziati interessi: il fumus in chiave di
autotutela amministrativa interinale, il periculum in mora a tutela
dell‘interesse dell‘operatore economico e della speditezza dei traffici. Ma,
diversamente da quanto disposto per il ricorso contro il ruolo, il codice, con
specifico riferimento all‘ipotesi in cui ―la decisione impugnata abbia per
effetto l‘applicazione di dazi all‘importazione o di dazi all‘esportazione‖,
ossia a fronte di un atto di imposizione tributaria, la tutela cautelare
dell‘amministrazione doganale si realizza ope legis nel senso che ―la
sospensione dell‘esecuzione è subordinata all‘esistenza o alla costituzione di
una garanzia‖. Mentre nel caso di ricorso contro il ruolo codesto intervento
cautelare è, per così dire, successivo ed eventuale (ossia si concretizza nella
regola del provvedimento di sospensione, assumendo autonomia
procedimentale), nel caso in esame è contestuale e anticipatorio (prestazione
di una garanzia). L‘automatismo è peraltro attenuato da un contrappeso
altrettanto automatico, nel senso che ―tuttavia non si può esigere detta
garanzia qualora, a motivo della situazione del debitore, ciò possa provocare
gravi difficoltà di carattere economico o sociale‖.
La genericità della formula è tale da rendere largamente discrezionale la
decisione dell‘autorità doganale che investe un doppio livello valutativo e
cioè sia l‘accertamento della sussistenza del requisito per la sospensione sia il
giudizio di prevalenza tra l‘interesse pubblico alla cautela amministrativa e
quello privato del ―debitore‖.
La legge non disciplina i rapporti tra sospensione amministrativa e
sospensione giudiziale dell‘atto di imposizione. Occorre quindi innanzi tutto
chiedersi se sia necessaria o comunque utile una normazione di raccordo
ovvero se, come ritengo, nessun serio problema si ponga al riguardo.
Il primo interrogativo è stato formulato in epoca anteriore alla vigente
disciplina e quindi in prospettiva de jure condendo, rispondendosi che
―bisognerà costruire un sistema in cui quando il contribuente ha scelto di
chiedere la sospensione al giudice, non potrà più andare a chiederla
all‘Intendente e poi all‘ufficio‖ (gallo).
292
―LA SOSPENSIONE AMMINISTRATIVA
DELLA RISCOSSIONE ‗CONCENTRATA‘‖
Non è chiaro, peraltro, se la citata dottrina fosse addirittura favorevole alla
tendenziale eliminazione (secondo l‘originaria scelta fatta poi dal legislatore
delegato) della sospensione amministrativa ovvero a precluderla in
conseguenza della proposizione dell‘istanza in via cautelare in omaggio al
brocardo electa una via non datur recursus ad alteram (sia pure a senso
unico, quasi in virtù di una sorta di ―prevalenza‖ della sospensione
giurisdizionale su quella amministrativa). Il primo corno del dilemma è stato
superato – e, come confidiamo aver dimostrato, giustificato – dalla
legislazione successiva. Il secondo non ci sembra condivisibile in quanto le
due sospensioni hanno presupposti, natura e funzione diversi. Ciò non
significa, ovviamente, che producendosi gli stessi effetti, possano emettersi,
in successione temporale, un‘inibitoria amministrativa o un‘inibitoria
giurisdizionale. E‘ evidente infatti che, disposta dall‘Agenzia delle entrate la
sospensione dell‘atto, la Commissione tributaria provinciale non possa (salvo
che nel frattempo quella sospensione sia stata revocata dallo stesso organo
amministrativo) emettere l‘ordinanza cautelare ostando all‘evidenza la
mancanza del presupposto (periculum in mora). D‘altra parte, disposta la
sospensione da parte del giudice non può essere chiesta e comunque
accordata la sospensione amministrativa perché è già operante, e quindi il
provvedimento sarebbe privo di presupposto, salvo che nel frattempo la
commissione la abbia revocata.
Ciò non esclude che, de jure condendo, il concorso dei due procedimenti
possa essere convenientemente disciplinato; ma sempre nella premessa che le
due forme hanno diversa natura e che sono quindi perfettamente compatibili.
Né in proposito può essere utilmente invocata la disciplina dei rapporti tra le
due sospensioni in vigore in Germania giacchè la disposta priorità
dell‘istanza in via amministrativa è conseguenziale all‘obbligo del previo
ricorso stragiudiziale e la (successiva) istanza in via giurisdizionale è
ammissibile, anche prima dell‘inizio della causa in merito, come si è già
accennato, soltanto se l‘Ufficio finanziario non ha accolto in tutto o in parte
l‘istanza di sospensione o è rimasto inerte per un ragionevole termine ovvero
è incombente l‘esecuzione. Nel nostro ordinamento non esiste né un filtro
(oltretutto incostituzionale) né un filtro attenuato (dalla proponibilità
immediata dell‘azione cautelare nei casi previsti) che sistematicamente
rendono necessarie in materia alternativa o priorità.
In secondo luogo – e quand‘anche la sussistenza di gravi motivi si volesse
considerare un presupposto implicito del provvedimento di sospensione –
dall‘accennata disciplina emerge piuttosto un‘esigenza cautelare di segno
opposto, e cioè il ―fondato pericolo per la riscossione‖ che legittima l‘A.F. a
revocare il provvedimento. Ne discende che l‘interesse del contribuente ad
assicurarsi l‘anticipazione degli effetti della sentenza della commissione è
destinato a soccombere di fronte al prevalere dell‘interesse pubblico
all‘esazione del tributo. Vi è anzi da aggiungere che l‘accennata esigenza
cautelare a favore dell‘Amministrazione finanziaria consentiva di autorizzare
l‘iscrizione a titolo provvisorio ―anche in deroga alle norme di cui all‘art. 15‖
293
―LA SOSPENSIONE AMMINISTRATIVA
DELLA RISCOSSIONE ‗CONCENTRATA‘‖
(art. 11, 5° comma, d.P.R. n. 602 del 1973) e quindi, in caso di ricorso contro
il ruolo straordinario (nel quale può dunque essere iscritta l‘intera imposta
accertata), la sospensione della riscossione era praticamente esclusa avendo
l‘organo ad essa deputato previamente accertato la sussistenza del ―fondato
pericolo per la riscossione‖ che è causa, se sopravvenuta, di revoca della
sospensione.
Identicamente la nuova disciplina, consentendo, se ricorre il periculum in
mora, di intimare il pagamento delle somme liquidate nell‘avviso di
accertamento, ―nel loro ammontare integrale comprensivo di interessi e
sanzioni‖, evidenzia la stessa preclusione. Naturalmente se il periculum in
mora sopravviene alla notificazione dell‘avviso, l‘intimazione a pagare
l‘intero deve essere notificata al contribuente o quanto meno essere contenuta
nell‘atto di revoca.
La disciplina della sospensione è dunque improntata a criteri di valutazione
comparativa di contrapposti interessi (pubblico e privato) e non può essere
ascritta alla funzione cautelare.
Per quanto riguarda il provvedimento finale la legge si limita a prescriverne
la motivazione il cui contenuto deve essere funzionale, in caso di istanza, ai
motivi in essa dedotti.
Sebbene, si è detto, il periculum in mora non costituisca presupposto per
accoglimento della domanda e quindi debba ritenersi illegittima la sua
reiezione giustificata soltanto dalla mancata prova del pregiudizio, non può
escludersi che tale prospettazione, nell‘ambito della valutazione
eminentemente discrezionale demandata all‘organo decidente, possa, anzi
debba essere presa in considerazione.
Per quanto concerne, infine, la tutela giurisdizionale avverso il
provvedimento di diniego deve affermarsi la sussistenza della giurisdizione
speciale tributaria stante l‘insegnamento giurisprudenziale che individua nel
carattere ―tributario‖ della controversia l‘ambito della competenza
giurisdizionale delle commissioni tributarie.
Resta da stabilire se il diniego di sospensione rientri tra gli atti impugnabili ai
sensi dell‘art. 19 d.lgs. n. 546/92. Sebbene tale atto non sia espressamente
menzionato nell‘elenco stabilito da tale disposizione ritengo che, secondo il
più recente insegnamento giurisprudenziale, si sia in presenza di un atto
(come si è visto, sicuramente ―tributario‖) avente natura provvedimentale
ossia espressivo di un potere dispositivo sul c.d. rapporto tributario
costituente, in particolare, esercizio della funzione di riscossione, e come tale
suscettibile di ledere immediatamente una situazione soggettiva meritevole di
tutela ex art. 113 Cost.
Naturalmente, in relazione sia alla natura discrezionale dell‘atto che a quella
della giurisdizione tributaria, il sindacato delle commissioni può riguardare
soltanto la legittimità dell‘atto (ad esempio il controllo della sua motivazione)
ed avere ad oggetto il suo eventuale annullamento. Purchè legittimamente
esercitato il potere di sospensione è riservato all‘Amministrazione finanziaria
294
―LA SOSPENSIONE AMMINISTRATIVA
DELLA RISCOSSIONE ‗CONCENTRATA‘‖
che, in caso di annullamento del provvedimento di diniego sarà tenuta a
provvedere nuovamente.
Acclarata l‘autonomia strutturale e funzionale dei due rimedi e quindi la loro
razionale convivenza nell‘ordinamento tributario, conclusivamente occorre
chiedersi se e a quali condizioni la sospensione amministrativa possa
assolvere, sul piano operativo, allo scopo in vista del quale è stata prevista.
All‘interrogativo abbiamo già dato una risposta articolata che è opportuno
meglio spiegare e argomentare.
Affinchè la sospensione possa costituire uno strumento di tutela efficiente e
quindi utilizzabile dal contribuente eventualmente in alternativa al rimedio
cautelare è a nostro avviso indispensabile che ne sia dettata una disciplina
stringente idonea, da un lato, a delimitare la discrezionalità della
amministrazione finanziaria e dall‘altro ad assicurare che il procedimento ad
istanza di parte sia informato al principio costituzionale di imparzialità della
pubblica amministrazione. In particolare – come, del resto, avviene per
l‘autotutela decisoria – è necessario che siano analiticamente individuati i
presupposti della domanda con particolare esplicitazione di quello del fumus
boni juris che induca l‘Agenzia delle entrate, a tutela innanzi tutto
dell‘interesse pubblico ad un ordinato prelievo, al sommario riesame del
proprio operato alla luce dei motivi del ricorso alla commissione tributaria e
assicuri, in caso di diniego della sospensione, un effettivo controllo
giurisprudenziale della relativa motivazione. E‘ assolutamente indispensabile,
poi, che per la decisione sull‘istanza sia stabilito un termine non superiore ai
trenta giorni per la decisione scaduto il quale sia configurabile un silenziodiniego.
In caso contrario la sospensione amministrativa resterà un mero flatus vocis
del legislatore tributario, privo di qualsiasi incidenza sull‘esperienza
giustiziale della amministrazione finanziaria proposto nel momento in cui
l‘attuata ―concentrazione‖ della riscossione avrebbe postulato maggiori
garanzie per i contribuenti.
295
Prof. Giuseppe Marini
Blocco dei crediti, ordine di pagamento al
fisco ed effettività della tutela giurisdizionale
1
Gli interessi del Fisco non possono mai comportare, come non di rado è
avvenuto nella nostra legislazione e come mi sembra avvenga nella
normativa di cui parlerò, la violazione di fondamentali principi costituzionali
tra i quali quello della effettività della tutela giurisdizionale.
Quando ciò avviene sarebbe auspicabile una minore timidezza del giudice
delle leggi che anche egli, non di rado, ed oggi fortunatamente sempre meno,
grazie anche alla presenza nella Corte di un autorevole tributarista, ha svolto
la sua altissima funzione con un occhio rivolto al fisco e mezzo occhio alla
tutela costituzionale del contribuente.
E la vicenda alla quale dedicherò un brevissimo cenno mi sembra
particolarmente significativa al riguardo.
Nel riassumere una fin troppo nota disciplina mi limiterò a ricordare che l‘art.
48-bis del d.P.R. n. 602/1973 dispone che le amministrazioni pubbliche,
prima di effettuare pagamenti di importo superiore a diecimila euro in favore
dei loro creditori, sono tenute a verificare se questi ultimi abbiano, a loro
volta, adempiuto nei confronti dell‘erario agli obblighi di pagamento
derivanti dalla notifica di cartelle esattoriali 1 per un ammontare almeno pari
all‘importo suddetto.
Ai sensi dell‘art. 2 del relativo decreto ministeriale attuativo, n. 40/2008, il
concessionario della riscossione deve dare riscontro alla richiesta di verifica
proveniente dalla p.a. entro il termine di cinque giorni, scaduto inutilmente il
1
Si tenga presente che, giusta la previsione dell‘art. 29, D.L. 31 maggio 2010, n. 78
(convertito con legge 30 luglio 2010, n. 122), a partire dal 1° luglio 2011 l‘agente
della riscossione potrà procedere alla riscossione del credito tributario mediante
notificazione al contribuente di un avviso di accertamento, recante l‘intimazione ad
adempiere entro un dato termine, nonché l‘avvertimento che, in mancanza, si
procederà ad esecuzione forzata. Tale atto, che funge a un tempo da atto impositivo,
da titolo esecutivo e da precetto, sostituirà pertanto – con riguardo ai tributi
espressamente previsti dalla legge (imposte sui redditi, Irap e imposta sul valore
aggiunto) – il ruolo e la cartella. La riscossione mediante ruolo permane invece per i
tributi diversi da quelli previsti dal citato art. 29, tra i quali i tributi doganali, quelli
locali, quelli indiretti diversi dall‘IVA. Sul punto v. amplius infra, § 5
BLOCCO DEI CREDITI, ORDINE DI PAGAMENTO AL FISCO ED
EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE
quale la p.a. può procedere al pagamento dovuto, al pari di quanto accade
qualora la verifica non accerti l‘esistenza di alcun ―inadempimento‖ 2.
Qualora, invece, risulti un ―inadempimento‖, il concessionario della
riscossione, nei termini di cui sopra, dovrà comunicare al soggetto pubblico
l‘intenzione di procedere alla notifica dell‘ordine di pagamento previsto
dall‘art. 72-bis del d.P.R. n. 602, di cui oltre si dirà.
Il soggetto pubblico, dal canto suo, dovrà congelare i pagamenti da effettuarsi
al (presunto) debitore erariale.
L‘agente della riscossione ha l‘onere di notificare l‘ordine di pagamento
entro i trenta giorni successivi alla suddetta comunicazione, pena il venir
meno del congelamento dei pagamenti dovuti dalla p.a.
Il combinato disposto degli artt. 48-bis e 72-bis, che in tal modo viene a
realizzarsi, non può certo dirsi esente da censure.
Scaduto il termine per il pagamento della cartella esattoriale, può, infatti,
accadere che nello spazio di pochi giorni il contribuente si veda dapprima
bloccati i pagamenti da parte dei committenti pubblici e, successivamente,
sottratte le relative somme da parte del Fisco, senza avere ancora,
verosimilmente, potuto ottenere (dal giudice tributario) la sospensione
dell‘esecuzione della cartella3.
2. Giova premettere – ai fini di una migliore comprensione dei termini del
problema – che l‘art. 72-bis (nel testo introdotto dall‘art. 3, comma 40, del
D.L. 30 settembre 2005, n. 203, e successivamente modificato dall‘art. 2,
comma 6, del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262) consente all‘agente della
riscossione di pignorare i crediti del debitore verso terzi con un atto recante,
in luogo della più ―garantista‖ citazione davanti al giudice, l‘ordine al terzo di
pagare il credito direttamente al concessionario, fino a concorrenza del
credito per cui si procede, ―nel termine di quindici giorni dalla notifica
dell‘atto di pignoramento, per le somme per le quali il diritto alla percezione
sia maturato anteriormente alla data di tale notifica, ovvero alle rispettive
scadenze, per le restanti somme‖4.
2
Su tale disciplina v. Basilavecchia, Il blocco dei pagamenti della Pubblica
Amministrazione, in Corr. trib., 2008, 2659.
3
Salvo quanto si dirà infra, § 5, a proposito della nuova disciplina in tema di
concentrazione della riscossione nell‘accertamento (art. 29, 1° co., lett. b-bis, D.L. n.
78/2010).
4
Tale speciale sistema di riscossione era in origine previsto unicamente per consentire
l‘espropriazione immediata sui fitti e le pigioni dovuti dal terzo al debitore iscritto a
ruolo (art. 72, d.P.R. n. 602/1973); successivamente, esso fu esteso al pignoramento
sul quinto dello stipendio del lavoratore (art. 72-bis, d.P.R., nella precedente
formulazione introdotta dall‘art. 3, comma 40, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203),
per essere infine generalizzato a qualunque esecuzione avente ad oggetto cose mobili
del debitore (v. il nuovo art. 73 del d.P.R., nel testo risultante dalle modifiche
introdotte dall‘art. 1, comma 142, della legge 24 dicembre 2007, n. 244). In
particolare, il comma 1-bis del citato art. 73 prevede che ―il pignoramento dei beni di
cui al comma 1 del presente articolo può essere effettuato dall‘agente della
298
BLOCCO DEI CREDITI, ORDINE DI PAGAMENTO AL FISCO ED
EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE
Diversamente da quanto accade nel rito ―ordinario‖, ove il pignoramento
inizia con la notifica della citazione ex art. 543 c.p.c. (momento a decorrere
dal quale gravano sul terzo gli obblighi che la legge impone al custode, primo
tra tutti il divieto di pagare le somme dovute senza ordine del giudice), si
perfeziona con la conforme dichiarazione del terzo e si conclude con un
provvedimento di assegnazione delle somme al procedente (e agli eventuali
creditori intervenuti) all‘esito dell‘udienza in cui è sentito il debitore 5, nel
caso in esame il pignoramento si attua con la notifica dell‘ordine e si
conclude rapidamente con il pagamento del terzo in favore del
concessionario, senza alcun controllo da parte del giudice in ordine alla
sussistenza dei presupposti dell‘azione esecutiva e alla legittimità del suo
esercizio.
Tale disciplina speciale, indubbiamente preordinata a rendere più incisiva ed
efficace la riscossione delle entrate tributarie, è da subito apparsa di dubbia
costituzionalità, in parte evidenziata dall‘ordinanza n. 87 dell‘11 dicembre
2007, con cui il Tribunale di Genova ha per la prima volta sollevato la
questione di legittimità costituzionale dell‘art. 72-bis per violazione degli
artt. 3 e 24 Cost.6
Ad avviso del giudice remittente, la disposizione citata, nel consentire
all‘agente della riscossione di ordinare discrezionalmente al terzo il
pagamento diretto, ha di fatto creato una irragionevole disparità di
trattamento tra il debitore esecutato nell‘àmbito di un procedimento esecutivo
―ordinario‖, al quale sono applicabili le norme del codice di procedura civile,
e il debitore esecutato in una procedura esattoriale. Mentre, infatti, il primo
potrà sempre proporre opposizione all‘esecuzione – e così confidare nella
sospensione della procedura esecutiva ai sensi dell‘art. 624 c.p.c. – allorché il
debito non sussista ovvero il creditore sia comunque sprovvisto del diritto ad
agire in executivis, il secondo ha facoltà difensive assai più ridotte, non
essendo legittimato a valersi del rimedio di cui all‘art. 615 c.p.c. se non per
far valere l‘impignorabilità dei beni (art. 57, comma 1, d.P.R. n. 602/1973), e
potendo ottenere la sospensione dell‘esecuzione alle sole limitate condizioni
riscossione anche con le modalità previste dall‘articolo 72-bis; in tal caso, lo stesso
agente della riscossione rivolge un ordine di consegna di tali beni al terzo, che
adempie entro il termine di trenta giorni, e successivamente procede alla vendita‖.
5
Giova ricordare che, in esito alla modifica degli artt. 543 e 547 c.p.c. per effetto
della legge n. 52/2006, il terzo può ora, anziché comparire in udienza, rendere la
propria dichiarazione a mezzo raccomandata inviata al creditore procedente (salvo che
l‘espropriazione abbia ad oggetto crediti da lavoro o previdenziali). Tale disciplina
deve evidentemente applicarsi anche nella procedura esecutiva esattoriale, quante
volte il terzo resti inadempiente rispetto all‘ordine di pagamento formulato dall‘agente
della riscossione; e sarà in ogni caso applicabile allorché il suddetto agente,
nell‘esercizio della facoltà riconosciutagli dalla legge, opti per l‘iter espropriativo
―ordinario‖ previsto dagli artt. 543 ss. c.p.c.
6
Il testo dell‘ordinanza di rimessione è pubblicato in GT Riv. Giur. Trib., 2008, 517,
con commento di Piciocchi, La nuova ―esecuzione forzata esattoriale‖.
299
BLOCCO DEI CREDITI, ORDINE DI PAGAMENTO AL FISCO ED
EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE
indicate nell‘art. 60 del medesimo d.P.R. (ossia quando ricorrano gravi
motivi e vi sia fondato pericolo di grave e irreparabile danno) 7.
La Corte costituzionale, con ordinanza n. 393 del 28 novembre 2008 8, ha
dichiarato la questione inammissibile per difetto di rilevanza, ―non essendo
ulteriormente il giudice a quo chiamato ad applicare la disposizione
censurata‖9. La Corte ha poi precisato che, indipendentemente dai profili di
inammissibilità, ―la facoltà di scelta del concessionario tra due modalità di
esecuzione forzata presso terzi non crea né una lesione del diritto di difesa
dell‘opponente, né una rilevante disparità di trattamento tra i debitori
esecutati, sia perché questi sono portatori di un interesse di mero fatto
rispetto all‘utilizzo dell‘una o dell‘altra modalità e possono in ogni caso
proporre le opposizioni all‘esecuzione e agli atti esecutivi di cui all‘art. 57
del d.P.R. n. 602/1973, sia perché non sussiste un principio
costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità di regole procedurali‖.
Argomentazioni che non sembrano tuttavia del tutto appaganti.
La questione sollevata dal Tribunale di Genova non atteneva, infatti, alla
intrinseca ragionevolezza (della quale non può certamente dubitarsi) del
sistema di riscossione speciale, in sé considerato, rispetto a quello ordinario;
né, d‘altro canto, il giudice a quo aveva censurato la norma impugnata sotto
il profilo della ―necessaria uniformità delle regole procedurali‖ (principio
che, anzi, nella propria ordinanza ha espressamente dichiarato non
sussistere).
7
Si legge infatti nell‘ordinanza del giudice a quo che ―il pignoramento eseguito in
base alla norma censurata, con ordine coattivo di consegna immediata, in luogo di
quello ex artt. 543 ss. c.p.c., ha reso più gravosa e meno efficace per l‘esecutato la
sua difesa‖, perché se costui ―avesse proposto opposizione dopo aver ricevuto la
rituale citazione ex art. 543 c.p.c., nel tempo intercorrente tra la sua notifica e
l‘udienza di dichiarazione del terzo ex art. 547 c.p.c., qualora il g.e. avesse sospeso
l‘esecuzione ex art. 60 del d.P.R. n. 602/1973, stante il disposto dell‘art. 49, n. 2 del
d.P.R. citato, sarebbe stato conseguentemente applicabile, per la parte per cui non
provvede l‘art. 60 del d.P.R. n. 602/1973, l‘art. 624 c.p.c.‖; con l‘ulteriore
conseguenza che, ―in caso di sospensione non reclamata ex art. 669-terdecies c.p.c., o
disposta o confermata in sede di reclamo, il g.e., in caso di istanza dell‘opponente,
avrebbe dichiarato l‘estinzione della procedura, liberando di fatto la somma
vincolata e non ancora assegnata‖. In definitiva, ad opinione del giudice a quo, ―è di
percezione immediata quanto la diversa scelta operata dal concessionario
procedente, la cui discrezionalità discende dalla norma, abbia creato una disparità di
trattamento ove si consideri che, in caso di sospensione ed estinzione della
procedura, il recupero della somma pignorata, già versata al procedente, sarebbe
non poco oneroso per l‘esecutato‖.
8
In GT Riv. Giur. Trib., 2009, 111, con nota di Piciocchi, nonché in Corr. trib., 2009,
330, con nota di Basilavecchia.
9
Occorre infatti considerare che, nella specie, il giudice dell‘esecuzione aveva già
sospeso la procedura esecutiva nel rimettere gli atti alla Corte: con ciò – ad opinione
del Giudice delle leggi – definitivamente esaurendo il potere cautelare attribuitogli
dall‘art. 60, d.P.R. n. 602/1973.
300
BLOCCO DEI CREDITI, ORDINE DI PAGAMENTO AL FISCO ED
EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE
Il vero problema – sul quale la Corte ha omesso di pronunciarsi – è invece
quello della oggettiva disparità di trattamento che la disposizione censurata
introduce tra due (presunti) debitori erariali, di cui uno assoggettato alla
―ordinaria‖ procedura espropriativa presso terzi ex artt. 543 ss. c.p.c., e l‘altro
soggetto alla procedura speciale.
Il secondo non gode, all‘evidenza, delle medesime garanzie attribuite al
primo. Né tale vuoto di tutela potrebbe ritenersi superato dalla facoltà –
comunque spettante al debitore erariale – di proporre l‘opposizione
all‘esecuzione di cui all‘art. 57 del d.P.R., giacché, come si è anticipato, il
rimedio di cui all‘art. 615 c.p.c. è ammesso nella procedura esecutiva
esattoriale solamente in caso di contestazioni concernenti la pignorabilità dei
beni assoggettati ad esecuzione, ogni altra questione dovendo essere invece
dedotta dinanzi alla commissione tributaria 10.
3. Ma la scarsa conformità della disciplina in esame ai principi di cui agli artt.
3, 24 (e, deve aggiungersi, 111) Cost. risulta viepiù evidente quando si passi
a considerare le forme di tutela cautelare concesse al contribuente nell‘àmbito
della procedura esecutiva esattoriale11.
Se già l‘art. 60, d.P.R. 602/1973 pone una evidente limitazione al potere del
giudice dell‘esecuzione di sospendere il processo esecutivo, subordinandolo
al ricorrere di gravi motivi e del fondato pericolo di grave e irreparabile
danno12, in presenza di una procedura espropriativa ex art. 72-bis d.P.R. tale
(limitato) potere cautelare resterà solo sulla carta. Tutte le volte in cui il terzo
abbia già corrisposto al concessionario la somma richiesta ―nel termine di
quindici giorni dalla notifica dell‘atto di pignoramento‖, il processo esecutivo
dovrà infatti considerarsi chiuso, con la conseguenza che il giudice
dell‘esecuzione non potrà più provvedere (né, d‘altronde, avrebbe motivo di
provvedere) in ordine all‘istanza di sospensione eventualmente proposta 13.
10
Si noti che la pur limitata possibilità di proporre opposizione all‘esecuzione ex art.
615 c.p.c. è una conseguenza delle modifiche apportate all‘art. 57 dall‘art. 16 del d.
lgs. 26 febbraio 1999, n. 46. Nella relazione governativa si legge, in proposito, che la
norma ―reca disposizioni fortemente innovative, che sopprimono l‘istituto del ricorso
amministrativo contro gli atti esecutivi del concessionario e, fatta eccezione per gli
aspetti connessi alla regolarità formale ed alla notifica del titolo esecutivo, rientranti
nella competenza delle Commissioni tributarie, conducono integralmente sotto la
giurisdizione dell‘autorità giudiziaria ordinaria la disciplina di tali ricorsi‖.
11
Anche la possibilità della sospensione del processo esecutivo da parte del g.e. è una
conseguenza delle modifiche di cui al d. lgs. n. 46/1999 cit. In precedenza, infatti, il
solo rimedio cautelare ammesso era il ricorso all‘intendente di finanza, la cui
determinazione avrebbe poi potuto essere impugnata dinanzi al giudice
amministrativo.
12
L‘art. 624 c.p.c. prevede, di contro, che il processo esecutivo possa essere sospeso,
su istanza di parte, ―concorrendo gravi motivi‖.
13
In tal senso si è infatti pronunciata la recente Trib. Catania, 12 gennaio 2011,
inedita, la quale ha dichiarato il non luogo a provvedere in ordine alla istanza di
sospensione dell‘esecuzione proposta dal debitore esecutato, sul riflesso che il
301
BLOCCO DEI CREDITI, ORDINE DI PAGAMENTO AL FISCO ED
EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE
Senza dire che, in molti casi, l‘atto di pignoramento non viene notificato al
debitore (erroneamente ritenendosi che la previsione dell‘art. 72-bis importi
deroga a quella dell‘art. 543 c.p.c., che impone la notificazione del
pignoramento tanto al debitore quanto al terzo), il quale non ha dunque
neppure conoscenza della pendenza di una procedura esecutiva a suo carico.
In tali ipotesi, ove il contribuente – creditore della p.a. – non riesca a ottenere
la sospensione in via giurisdizionale dell‘atto impugnato, il blocco dei
pagamenti, prima, e il pignoramento, poi, rendono del tutto vana l‘effettività
della tutela giurisdizionale (nella specie cautelare), frustrando al contempo il
diritto ad ottenere il pagamento delle prestazioni rese in favore delle
amministrazioni pubbliche.
Nel nostro ordinamento, l‘esecuzione forzata si incardina nella tutela
giurisdizionale e si fonda sulla centralità della figura e sulla potestà
ordinatoria del giudice dell‘esecuzione, il quale è tenuto ad accertare la
sussistenza dei presupposti dell‘azione esecutiva e la legittimità della
procedura.
Va sottolineato che anche il procedimento esecutivo speciale del
concessionario è riconducile a questo schema in considerazione del fatto che
il giudice dell‘esecuzione, pur non comparendo nella fase liquidatoria
dell‘espropriazione (vendita), dirige l‘intera fase successiva finalizzata alla
soddisfazione del concessionario e degli eventuali creditori intervenuti.
L‘art. 72-bis si pone, pertanto, in evidente contrasto con tale sistema, in
quanto rimette l‘intero svolgimento dell‘esecuzione nella sfera del preteso
creditore, senza alcun controllo da parte del giudice: il che solleva più di un
dubbio sulla conformità di un sistema siffatto ai principi costituzionali di cui
agli artt. 3, 24 e 111 Cost.
4. La mancata previsione, nel procedimento de quo, di misure idonee a
realizzare un‘efficace tutela provvisoria del contribuente è stata di recente
posta in luce dal Tribunale di Venezia 14, il quale ha sollevato la questione di
legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 60 e 57, comma 1
lett. A) del d.P.R. n. 602/1973, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.
Ad avviso del giudice remittente, se pure può affermarsi la legittimità di un
trattamento differenziato dell‘esecuzione esattoriale nei confronti
dell‘ordinario processo esecutivo, l‘art. 57 del d.P.R. n. 602/1973 sembra
nondimeno porsi in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. nella misura in cui,
sancendo l‘inammissibilità delle opposizioni esecutive di cui all‘art. 615
c.p.c.15, impedisce di fatto – anche in presenza di gravi motivi e di un grave e
Ministero della Pubblica Istruzione – debitor debitoris – aveva già corrisposto alla
Serit le somme dovute, appunto in applicazione dell‘art. 72-bis.
14
Ordinanza 30 settembre 2009, n. 1481, inedita.
15
Secondo la giurisprudenza di legittimità (ex multis, Cass. 13 gennaio 2005, n. 565),
i limiti di cui all‘art. 57 configurano un‘ipotesi di improponibilità assoluta della
domanda per carenza nell‘ordinamento di una norma che riconosca e tuteli la
posizione giuridica di chi intenda opporsi ex artt. 615 e 617 c.p.c. V. peraltro A.M.
302
BLOCCO DEI CREDITI, ORDINE DI PAGAMENTO AL FISCO ED
EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE
irreparabile danno – la sospensione dell‘esecuzione ex art. 60 del d.P.R., a
fronte di contestazioni circa l‘esistenza o l‘entità del credito atte a legittimare
un‘azione di accertamento negativo 16.
Il sistema che ne deriva finisce insomma per introdurre – secondo il giudice a
quo – un ingiustificabile e irragionevole privilegio a favore del
concessionario per le entrate tributarie: privilegio che non può certamente
ritenersi compensato, in presenza di un danno grave ed irreparabile, dalla
possibilità, riconosciuta all‘esecutato dall‘art. 59 d.P.R. 602/1973, di
promuovere una successiva azione risarcitoria contro il concessionario.
Da ciò la lamentata violazione del ―principio di effettività della tutela
giurisdizionale dei diritti, in quanto nel complessivo assetto della materia in
esame (…) sono carenti idonei strumenti di difesa giurisdizionale del
debitore‖17.
5. E‘ bene a questo punto avvertire che i problemi di tutela sinora evidenziati
paiono destinati ad attenuarsi con l‘avvento – a partire dal 1° luglio 2011 –
della nuova disciplina sulla c.d. concentrazione della riscossione
nell‘accertamento18, introdotta dall‘art. 29 del D.L. n. 78/2010.
La lettera b-bis) dell‘art. 2919 prevede infatti che, qualora il contribuente
chieda la sospensione giudiziale degli effetti dell‘atto impugnato (ex art. 47,
d. lgs. n. 546/1992), l‘esecuzione forzata è automaticamente sospesa (e, ove il
primo atto esecutivo non sia stato ancora compiuto, non potrà essere iniziata)
―fino alla data di emanazione del provvedimento che decide sull‘istanza di
sospensione e, in ogni caso, per un periodo non superiore a centoventi giorni
dalla data di notifica dell‘istanza stessa‖
Soldi, Manuale dell‘esecuzione forzata, II ed., Padova, 2009, 929, secondo cui non
dovrebbe potersi dubitare ―della proponibilità della opposizione prevista dall‘art. 615
c.p.c. in tutti i casi in cui la parte esecutata intenda contestare l‘inesistenza del diritto
dell‘ente impositore e per esso del concessionario a procedere esecutivamente in suo
danno per fatti sopravvenuti alla formazione del titolo esecutivo (ad esempio la
prescrizione del credito indicato nella cartella, la morte dell‘autore della violazione,
l‘avvenuto pagamento della sanzione)‖.
16
Si noti per inciso che, già con riferimento alle entrate previdenziali, la Corte
costituzionale ha censurato ―il discriminatorio regime al quale risulta assoggettata la
riscossione delle entrate di natura non tributaria quando l‘utente avanzi contestazioni
circa la esistenza o l‘entità del credito, atte a legittimare un‘azione di accertamento
negativo‖ (Corte cost., 13 luglio 1995, n. 318).
17
La q.l.c. dell‘art. 57, nella parte in cui esclude la possibilità di proporre opposizione
all‘esecuzione in materia di riscossione esattoriale, era già stata sollevata dal Giudice
di pace di Marcianise con ordinanza del 24 giugno 2008. In quella occasione la Corte
costituzionale ha peraltro dichiarato la questione manifestamente inammissibile (ord.
27 marzo 2009, n. 93), non avendo il giudice a quo motivato l‘ordinanza di
rimessione in modo da consentire alla Corte di valutare la rilevanza della questione in
rapporto al thema decidendum della controversia dedotta.
18
Sulla quale v. supra, nota 1.
19
Inserita dall‘art. 7, 2° co., lett. n), n. 3), D.L. 13 maggio 2011, n. 70.
303
BLOCCO DEI CREDITI, ORDINE DI PAGAMENTO AL FISCO ED
EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE
Ove, pertanto, si consideri che l‘affidamento dell‘avviso di accertamento
all‘agente della riscossione, ―anche ai fini dell‘esecuzione forzata‖, può
avvenire solamente decorsi trenta giorni dalla scadenza del termine ultimo
per il pagamento (art. 29, 1° co., lett. b, D.L. n. 78/2010) 20, è agevole
concludere che il contribuente, cui sia stato notificato un avviso di
accertamento, avrà oggi a disposizione un tempo maggiore per ottenere la
sospensione dell‘atto impugnato, e così per evitare la (eventualmente)
ingiusta aggressione esecutiva del proprio patrimonio da parte del Fisco.
Residuano peraltro taluni inconvenienti.
Anzitutto, essendo l‘avviso di accertamento l‘unico atto notificato al
contribuente, è evidente che, in caso di vizio di notifica dell‘avviso, il
contribuente non avrà notizia della pretesa vantata dall‘erario nei suoi
confronti se non in occasione dell‘aggressione esecutiva dei suoi beni: vale a
dire in un momento in cui – per quanto si è detto finora – gli è ormai preclusa
qualunque possibilità di difesa.
Onde ovviare a tale inconveniente, si potrebbe forse ritenere impugnabile
avanti la CTP l‘atto di pignoramento e ammettere che anche in tal caso operi
la sospensiva ope legis21 ovvero consentire l‘impugnabilità ―al buio‖
dell‘avviso di accertamento dinanzi alla CTP allorché di esso si venga a
conoscenza in occasione della notifica dell‘atto di pignoramento.
Probabilmente, però, la soluzione preferibile consiste nel ritenere esperibile il
rimedio dell‘opposizione agli atti esecutivi, ancorché nei soli casi di
inesistenza della notificazione (e ciò in quanto l‘art. 57 preclude le
opposizioni agli atti relative alla regolarità formale e alla notificazione del
titolo esecutivo).
A quanto precede deve aggiungersi che, esaurendosi normalmente la
procedura di cui all‘art. 72-bis del d.P.R. in brevissimo tempo (si rammenti
che il terzo deve adempiere all‘ordine di pagamento nel termine di quindici
giorni dalla notifica dell‘atto di pignoramento), non può escludersi
l‘eventualità che la sospensione intervenga ad esecuzione ormai conclusa
(perché l‘agente ha ormai definitivamente incassato le somme dovutegli);
sicché, ancora una volta, il contribuente non avrà altro rimedio che quello, del
tutto inappagante, del risarcimento del danno 22.
20
Trattasi – secondo l‘opinione preferibile – di un‘ipotesi di improcedibilità assoluta
dell‘azione esecutiva, posto che l‘agente della riscossione non potrà, prima
dell‘integrale decorso del termine di trenta giorni, procedere né al pignoramento, né al
fermo o all‘ipoteca.
21
Ma tale soluzione è per lo più negata dalla giurisprudenza: v. infatti Comm. Trib.
prov. Milano, sez. III, 7 giugno 2010, n. 256, secondo cui ―deve dichiararsi
l‘inammissibilità dell‘impugnazione del pignoramento presso terzi promossa avanti al
giudice tributario in quanto tale atto non è contemplato fra quelli devoluti alla
cognizione del giudice speciale‖.
22
E ad analoghe conclusioni deve ovviamente pervenirsi allorché il termine di
centoventi giorni sia decorso senza che la commissione tributaria si sia pronunciata
sull‘istanza di sospensione. In tal caso, infatti, l‘avviso di accertamento riacquisterà
304
BLOCCO DEI CREDITI, ORDINE DI PAGAMENTO AL FISCO ED
EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE
6. Non sembra superfluo accennare, a completamento del discorso, a
un‘ultima questione.
Nel consentire all‘agente della riscossione di soddisfarsi con estrema celerità
e per l‘intero sui beni e sui crediti del (presunto) debitore, l‘art. 72-bis
preclude, di fatto, agli altri eventuali creditori del contribuente, che pure –
diversamente dall‘erario – non dispongono di mezzi di espropriazione
ulteriori rispetto a quelli ordinari, di intervenire e di realizzare la propria
pretesa nella medesima procedura esecutiva 23. Allorché il patrimonio del
debitore non sia sufficiente a soddisfare tutti, la particolare efficacia dei
mezzi di cui l‘agente della riscossione può avvalersi finisce, infatti, per
pregiudicare le ragioni degli altri creditori, sottraendo all‘aggressione
esecutiva di questi ultimi le somme ormai definitivamente acquisite
dall‘Erario24.
La lesione del principio della par condicio creditorum – che in tal modo si
realizza – è dunque evidente, al pari della sostanziale elusione della disciplina
legislativa in tema di privilegi e di graduazione dei crediti.
Alla luce di tali considerazioni, sembra allora auspicabile un nuovo
intervento legislativo che, modificando la disciplina in esame, per un verso
attenui le segnalate sperequazioni, concedendo all‘esecutato adeguati
strumenti di tutela anche cautelare, e, per l‘altro, valorizzi e renda più
incisivo il ruolo del giudice dell‘esecuzione, quale indispensabile organo di
controllo della legalità dell‘azione esecutiva.
efficacia, consentendo all‘agente della riscossione di portare l‘esecuzione a
compimento in brevissimo tempo, senza che al contribuente residui alcuna possibilità
difensiva.
23
Sia consentito rinviare a Marini, Creditori orfani di un giudice, in Il Sole 24 Ore del
25 aprile 2008, 27. Sul punto v. anche Piciocchi, op. ult. cit.
24
Il problema, del resto, era stato avvertito anche dal legislatore, al punto che, nella
relazione di accompagnamento al d. lgs. n. 46/1999, la mancata estensione della
speciale procedura di riscossione (inizialmente prevista – come si è detto – in
relazione al solo pignoramento dei fitti e delle pigioni) al quinto dello stipendio del
lavoratore è espressamente motivata con la preoccupazione che una estensione siffatta
avrebbe ―potuto recare pregiudizio ai creditori concorrenti con il concessionario‖.
305
Prof. Gianni Marongiu
Le nuove tipologie di accertamento oltre il sintetico
1 Le modifiche normative del 2010 e la loro applicazione retroattiva.
Dal punto di vista del contrasto all‘evasione, che, va ricordato, dovrebbe
―finanziare‖ in modo consistente il rilevante intervento1 realizzato con la
manovra finanziaria2, uno dei punti maggiormente qualificanti è
rappresentato dal nuovo accertamento sintetico e dal nuovo ―redditometro‖.
L‘art. 22 del D.L. n. 78/2010 (conv. dalla legge 30 luglio 2010, n. 122)
riscrive, infatti, l‘art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 nei commi 4 e
seguenti, che disciplinano appunto l‘accertamento sintetico e anche quello
basato sul cosiddetto redditometro.
Va detto che l‘intervento normativo evidenzia le linee guida sulle quali si
baserà il rinnovato strumento accertativo; quindi, soltanto nel momento in cui
verrà emanato il decreto ministeriale con il quale saranno individuati gli
elementi indicativi di capacità contributiva, e soprattutto le modalità con le
quali questi concorreranno a formare il reddito complessivo attribuito ai
contribuenti, potrà essere dato un giudizio definitivo.
Per quanto riguarda l‘applicazione temporale del nuovo accertamento
sintetico, l‘art. 22 stabilisce che esso dispiegherà la propria efficacia a
partire dagli accertamenti relativi ai redditi del periodo d‘imposta 20093: di
conseguenza, per i periodi precedenti ancora accertabili, ossia quelli che
vanno dal 2005 al 2008, l‘accertamento sintetico e il redditometro
continueranno ad essere applicati sulla base del testo dell‘art. 38 antecedente
alle modifiche; ciò non soltanto in relazione agli avvisi di accertamento che
sono stati già emanati, ma anche a quelli che invece lo saranno negli anni
futuri4.
1
Che ammonta a circa 24,9 miliardi di euro.
2
D.L. 31 maggio 2010, n. 78.
―….con effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di
dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente
decreto…‖.
3
4
Il signor Rossi presenta sia per il 2008 che per il 2009, un reddito complessivo
dichiarato pari a 39.000 euro (nell‘esempio il reddito complessivo = reddito netto), ma
per effetto dell‘applicazione dei parametri presuntivi individuati con decreto attuativo
emerge, per entrambi i periodi di imposta considerati, un reddito accertabile che è pari
a 50.000 euro.
In questo caso, emergono i seguenti riflessi di ordine pratico:
per l‘anno 2008 valgono le regole previgenti alle modifiche introdotte dal D.L. n. 78
del 2010, e risulta che, ai fini dell‘accertamento sintetico connesso all‘applicazione
del c.d. redditometro, l‘annualità 2008 non assume rilevanza; il 25% di 50.000 euro è
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
Ben si comprende perché il legislatore abbia così disposto.
La giurisprudenza ritiene, infatti, con orientamento consolidato che il
redditometro sia applicabile anche ai periodi di imposta precedenti alla sua
introduzione. Si invoca la natura procedimentale delle relative norme (esse
quindi disciplinerebbero il procedimento e non sarebbero retroattive se
applicate a redditi posseduti antecedentemente ma ad accertamenti effettuati
dopo) e si giustifica la conclusione perché si tratta di strumenti privi di una
reale portata innovativa, che si raccordano allo strumentario già previsto dagli
accertamenti presuntivi, nella forma di presunzioni semplici.
Così la Corte di Cassazione (Cass. Sez.trib. 30 agosto 2002, n. 12731)
escludeva che la applicazione a redditi pregressi dei coefficienti violasse l‘art.
23 Cost. e il principio della retroattività della legge. La sentenza escludeva
anche che l‘applicazione ai soli periodi successivi sia desumibile dall‘art. 5,
comma 3, d.m. 10 settembre 1992 (Cass.Sez.trib. 11 settembre 2001, n.
11607 ha escluso anche la violazione dell‘art. 2 Cost.).
La soluzione della Corte è corretta in base alle premesse formali da cui parte
(la contrapposizione tra norme sostanziali da un lato e norme processuali e
procedimentali dall‘altro), ma da meditare sulla base di più recenti riflessioni
che forniscono spunti per un diverso orientamento.
Qualche difficoltà può infatti derivare se, in particolare nell‘istituto del c.d.
redditometro si riconosce una presunzione legale. Una inversione dell‘onere
della prova introdotta dopo che si sono verificati i fatti potrebbe
effettivamente sorprendere l‘affidamento del contribuente perché è
ragionevole che un soggetto conosca in anticipo quale è il regime probatorio
applicabile all‘accertamento della propria ricchezza. Ad esempio, chi riceve
un bene di particolare valore (un SUV o altro) in regalo è ragionevole sappia
prima che, se non documenta (rectius, prova) il carattere gratuito
dell‘acquisto, potrebbe essere oggetto di un accertamento fiscale. La
documentazione ex post della circostanza può essere più difficile. Detto in
altre parole, a tutela dell‘affidamento, della buona fede e del diritto di difesa
il contribuente dovrebbe essere edotto, sin dal momento della predisposizione
della dichiarazione dei redditi, degli indizi, delle modalità e degli strumenti
attraverso i quali la amministrazione può procedere alla rettifica della
dichiarazione stessa. Non a caso l‘art. 5 dello Statuto del contribuente
statuisce che ―l‘amministrazione finanziaria deve portare a conoscenza dei
contribuenti tempestivamente con mezzi idonei tutte le circolari e le
infatti 12.500 euro, e la franchigia di riferimento pari a 37.500 euro (= 50.000 –
12.500) risulta rispettata dal contribuente, che nel Mod. Unico 2009-PF ha dichiarato
un importo superiore (pari a 39.000 euro);
per il 2009 valgono le nuove regole secondo cui il reddito accertabile deve essere
superiore di almeno un quinto (20%) rispetto a quello complessivo, ragion per cui
nel caso in esame si presentano i presupposti normativi per far rientrare l‘annualità
2009 nel novero di quelle rilevanti ai fini dell‘applicazione dell‘accertamento
sintetico. Difatti, il parametro di riferimento è pari, in questo caso, a 40.000 euro (=
50.000 – 10.000), ma il contribuente dichiara un reddito fiscale inferiore a tale valore.
308
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
risoluzioni da essa emanate,nonché ogni altro atto o decreto che dispone sulla
organizzazione, sulle funzioni e sui procedimenti‖ (così il 2° comma).
Obbligo che, all‘evidenza, è funzionale al fatto che il contribuente, nel
momento in cui è chiamato ad assolvere i propri doveri, sia posto in grado di
conoscere le conseguenze delle proprie scelte economiche5.
In altre parole, l‘entrata in vigore dello Statuto del contribuente deve indurre
a rimeditare la possibile applicazione retroattiva delle norme, anche di quelle
procedimentali6 come insegna una recente sentenza della Corte di Cassazione
ove si legge: ―L‘utilizzo dei coefficienti presuntivi indicati nel redditometro
sui redditi dei periodi di imposta anteriori comporta l‘applicazione retroattiva
di disposizioni normative contraria allo Statuto del contribuente e quindi
vietata quando i nuovi decreti prendono in considerazione indici di capacità
contributiva prima ininfluenti e quindi lungi dal rappresentare un semplice
aggiornamento Istat delle tabelle precedenti stabiliscono una normativa
diversa di calcolo, con differenti parametri di base e con nuovi coefficienti di
valutazione, il tutto con incidenza sull‘ammontare del tributo richiesto‖7.
2 L‟impiego massiccio dell‟ accertamento sintetico.
Il primo chiarimento fornito dall‘Amministrazione finanziaria, su cui pare
opportuno soffermarsi, riguarda l‘incremento dell‘ utilizzo dell‘accertamento
sintetico nell‘anno appena trascorso, come registrato da diverse Direzioni
Regionali.8
In proposito è stato richiesto se tale aumento di accertamenti sia ascrivibile
all‘impiego di nuovi indici di ricchezza.
L‘Agenzia delle Entrate ha risposto che ―Il forte incremento rispetto all‘anno
2008, dell‘accertamento sintetico, di cui il redditometro costituisce uno
strumento di ricostruzione del reddito complessivo, è da attribuire anche alla
capillare raccolta di dati avvenuta sia con flussi informativi strutturati che
tramite l‘acquisizione di dati sul territorio. In tale ambito hanno assunto
particolare rilievo gli elementi che caratterizzano la capacità di spesa relativa
a beni non di prima necessità quali le imbarcazioni, le auto di lusso, il
5
Si veda al riguardo G. MARONGIU, Lo Statuto dei diritti del contribuente, Torino,
Giappichelli, 2010, II ed., spec. pp.
6 Si veda ancora G. MARONGIU, Lo Statuto, cit., pp.
7
Così Cass. sez.trib., 29 aprile 2009, n. 10028 in GT 2009; sulle novità del
redditometro e in genere dell‘accertamento sintetico disciplinati dal d.l. del 2010 non
si possono avere dubbi alla luce di quanto disposto dai commi quarto e quinto del
novellato art. 38.
8 Nel corso del 2009 l‘Agenzia delle Entrate ha infatti effettuato più di 28mila
controlli basati sul redditometro (a fronte dei 15mila previsti), mentre per il 2010
l‘obiettivo fissato dalla recente circ. n. 20/E del 16 aprile 2010, nel quale sono
delineati gli indirizzi operativi per l‘anno in corso per gli uffici è quello di realizzare
almeno 25mila accertamenti ricorrendo a questo strumento accertativo (ma è stato
già anticipato come i numeri a consuntivo saranno molto più significativi).
309
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
possesso di cavalli, le iscrizioni a scuole e circoli esclusivi, acquisto di opere
d‘arte ecc.‖.
L‘amministrazione finanziaria, infatti, già da qualche tempo attinge
regolarmente ai dati della Motorizzazione Civile al fine di identificare e
selezionare i proprietari di auto di lusso.9
A fianco di questi ―flussi informatici strutturati‖, vi sono poi tutti gli elementi
raccolti in sede di indagini locali.
Nei mesi appena trascorsi sono stati effettuati, per esempio, dei sopralluoghi
presso i circoli ippici di competenza di ogni ufficio al fine di acquisire i
nominativi dei proprietari di cavalli da corsa tenuti in pensione presso le
strutture controllate.
Analogamente sono sati richiesti alle varie agenzie di viaggio gli elenchi dei
clienti che avevano, per esempio, acquistato dei pacchetti turistici superiori
ad un determinato importo piuttosto consistente.
Le stesse indagini sono state effettuate, in sede locale, presso gli istituti
scolastici privati, i circoli esclusivi e le gallerie d‘arte.
Si tratta, come sottolineato nella circolare, di informazioni una tantum e non
di flussi informativi continui ed omogenei su tutto il territorio nazionale.
E‘ tuttavia probabile che, nei prossimi mesi, continueranno tali attività di
acquisizione di elementi e contestualmente verranno portati avanti, in
maniera massiva, gli accertamenti sintetici fondati su di essi.
3 L‟accertamento sintetico e la sua legittimità costituzionale.
L‘accertamento sintetico – sin dalla sua origine – ha destato non poche
perplessità sul piano della legittimità costituzionale, tanto che – ancor prima
della modifica apportata all‘art. 2 del d.P.R. n. 600/2973 (cioè quando si
affidava al provvedimento ministeriale solo il compito di precisare ―dati e
notizie indicativi di capacità contributiva, relativi alla disponibilità, in Italia o
all‘estero, da parte del contribuente‖ di determinati beni e/o servizi
individuati dalla legge) – il comma 4 dell‘art. 38 del d.P.R. n. 600/1973 era
stato ―sospettato‖ d‘incostituzionalità sotto il profilo della violazione degli
artt. 2, 3, 24 e 53 della Costituzione.
Segnatamente – ed in relazione all‘art. 2 della Costituzione – in quanto,
negando al cittadino di poter concorrere alla spesa pubblica in proporzione
all‘effettivo accertamento dei suoi redditi, si poneva in contrasto con il
―diritto naturale‖ del contribuente a una giusta imposizione fiscale.
In relazione all‘art. 3 della Costituzione, si assumeva che la prospettata
violazione si riconnetteva alla discriminazione – fra contribuenti – causata
dall‘impiego o meno di tale metodologia di accertamento, e al ricorso del
legislatore tributario a presunzioni sprovviste dei requisiti prescritti dall‘art.
L‘Agenzia delle Entrate ha formato degli elenchi di soggetti proprietari di auto di
lusso. Si tratta delle cosiddette liste selettive ―AU‖ di cui al punto 3.1 della circ. n.
49/E del 9 agosto 2007.
9
310
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
2729 del codice civile, avverso le quali non era esperibile alcuna prova
testimoniale.
Con riferimento all‘art. 24 della Costituzione, la difesa del contribuente, di
fronte ad una ricostruzione reddituale basata su meri indizi e presunzioni,
risultava aleatoria se non impossibile; mentre con riguardo all‘art. 53 della
Costituzione si contestava la previsione di un accertamento sintetico basato in
concreto unicamente su indici e coefficienti presuntivi, quindi, svincolato da
ogni preliminare verifica sulla effettiva capacità contributiva del soggetto
passivo del rapporto tributario.
Peraltro, con la sentenza del 7-23 luglio 1987, n. 283 la Corte rigettava tutte
le sollevate eccezioni di incostituzionalità sostenendo che:
- l‘art. 2 della Costituzione non costituisce fonte di diritti inviolabili
dell‘uomo, ma prevede una tutela generale di tali diritti sanciti in altre
disposizioni costituzionali e, per di più, non è configurabile un ―diritto
naturale‖ del contribuente alla giusta imposizione, quando a ciò sono
specificamente deputate altre norme costituzionali (in particolare l‘art.
53 della Costituzione);
- il comma 4 dell‘art. 38 del d.P.R. n. 600/1973 pone a carico dell‘ufficio
l‘obbligo di procedere ad un accertamento sintetico, per cui tale
disposizione garantisce una parità di trattamento fiscale per tutti i
soggetti che si trovino nella stessa situazione giuridica;
- la questione dell‘ utilizzo di strumenti presuntivi difformi da quelli
civilistici va esaminata congiuntamente alla prospettata violazione
dell‘art. 53 della Costituzione e, al riguardo, si deve ritenere che un
accertamento fondato su simili presunzioni, oltre a non violare il precetto
costituzionale della capacità contributiva, rappresenti un mezzo per
l‘attuazione dello stesso, in quanto è del tutto ragionevole il ricorso ad
indicatori idonei a dare concreto fondamento alla corrispondenza tra
l‘imposizione e la capacità contributiva;
- sotto il profilo dell‘art. 24 della Costituzione non poteva essere ravvisata
alcuna compressione del diritto di difesa, atteso che l‘impugnata
normativa non pone limiti alla dimostrazione dell‘insussistenza degli
elementi e delle circostanze fattuali su cui si fonda l‘induttività
dell‘accertamento.
Successivamente alle modifiche apportate all‘art. 2 del d.P.R. n. 600/1973
dall‘art. 1 della L. n. 30 dicembre 1991, n. 413, la Corte veniva nuovamente
investita della questione d‘incostituzionalità del comma 4 dell‘art. 38 del
d.P.R. n. 600/1973, in relazione all‘art. 23 della Costituzione, dato che la
nuova formulazione normativa demandava al Ministro delle finanze anche
l‘individuazione degli ―indicatori‖ di capacità contributiva (e non solo quella
dei relativi parametri di misurazione).
Anche questa volta – però – la Corte, con ordinanza 13-28 luglio 2004, n.
297, rigettava ogni eccezione affermando che, ―secondo la costante
giurisprudenza costituzionale, tale riserva va intesa in senso relativo‖ e la
stessa ―è stata rispettata…, in quanto l‘art. 38 stabilisce che il regolamento
311
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
deve prendere in considerazione elementi e circostanze di fatto certi e fissa
delle linee direttive a cui si deve attenere l‘accertamento compiuto tramite
regolamento perché lo stesso sia valido, con salvezza della prova contraria
del contribuente‖.
Dopo questa pronuncia sarebbe a dir poco presuntuoso, soprattutto per chi
scrive, prospettare una ulteriore ipotesi d‘incostituzionalità del comma 4
dell‘art. 38 del d.P.R. n. 600/1973.
3.1. L‘obbligo di completezza induce, però, a ricordare che la mutata
formulazione del 4° comma dell‘art. 38 (―sulla base delle spese di qualsiasi
genere‖) potrebbe indurre a riprendere un dubbio già formulato alcuni anni
fa.
Si addusse, allora, che l‘art. 38 avrebbe sostituito l‘imposizione sul reddito
prodotto con una imposizione sul reddito consumato o sui consumi
modificando, così, sostanzialmente il presupposto di imposta e per di più
obliquamente attraverso formule di significato ambiguo.
Di qui la violazione dell‘art. 23 della Costituzione perché il legislatore
avrebbe lasciato nell‘assoluta incertezza un elemento fondamentale di
ciascun tributo e cioè il presupposto.
In realtà non è così nel senso che il tributo rimane una imposta sul reddito
complessivo che può accertarsi induttivamente, anche attraverso le spese, i
consumi come si evince dal disposto dell‘art. 38, 1° comma, dallo stesso
quarto comma nonché dal 5° e dal 6°10.
3.2. Sotto un altro profilo si è sottolineato che, in forza dell‘accertamento
sintetico, contribuenti di uguale reddito subirebbero una diversa imposizione
a seconda delle loro scelte rispetto ai consumi.
Si invocherebbe un questo caso una violazione del principio di uguaglianza
perché, si dice, non si riuscirebbe a recuperare l‘imposta evasa da colui che si
astiene dalle spese.
Ma all‘evidenza si può replicare che sono diverse le situazioni fattuali, non
sono discriminative le norme.
L‘art. 38 consente all‘amministrazione di utilizzare questo modello
accertativo nei confronti di tutti e non si può certo pretendere di non essere
assoggettati a tributo perché altri soggetti che pure realizzano il presupposto
non sono starti di fatto scoperti.
Resta il fatto che,in applicazione del principio costituzionale di imparzialità
all‘Agenzia delle Entrate, dovrebbe essere imposto l‘obbligo di comunicare,
ogni anno, il numero degli accertamenti sintetici attuati, la ripartizione per
10
Come già sottolineato da parte della dottrina con riferimento al previgente art. 38,
infatti, l‘accertamento sintetico, al pari dell‘accertamento analitico, è uno strumento
finalizzato all‘individuazione del reddito complessivo, come definito nell‘ambito
della disciplina sostanziale del presupposto e della base imponibile (in questi termini
si veda L.PERRONE, L‘accertamento sintetico del reddito complessivo Irpef, in
Dir.prat.trib., 1990, I, 25; similmente si veda G. TINELLI, L‘accertamento sintetico del
reddito complessivo nel sistema Irpef, cit. 91, al quale si rinvia per ulteriori citazioni).
312
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
regioni e dovrebbe essere inibito di procedere al riaccertamento dello stesso
contribuente prima che sia trascorso un adeguato numero di anni.
4 La (negata) pregiudizialita‟ dell‟ accertamento analitico.
Nel 2010 è stata dettata una nuova disciplina, di cui occorre capire gli
elementi essenziali.
In primo luogo anche per le persone fisiche viene mutuato lo schema
accertativo già previsto per le imprese dall‘art. 39 del d.P.R. n. 600/1973.
Da questo punto di vista, niente di particolarmente innovativo, poiché, già da
tempo, la giurisprudenza ha stabilito che le tre tipologie di accertamento, in
presenza dei presupposti che le legittimano, sono del tutto fungibili ed
intercambiabili, sia per le imprese che per le persone fisiche. Non vi è, in
sostanza, alcuna necessità di esperire l‘accertamento analitico in via
principale, e – solo se il risultato cui si perviene sia insoddisfacente –
utilizzare l‘accertamento sintetico; il confronto andrà sempre operato fra
quanto dichiarato dal contribuente e quanto accertabile dall‘Ufficio,
utilizzando tutti gli strumenti che, nel singolo caso, la legge pone a
disposizione.
Pertanto, l‘art. 38 del d.P.R. n. 600/1973 nella nuova formulazione recita che
―indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e
dall‘articolo 39‖ (riguardanti rispettivamente l‘accertamento analitico del
reddito delle persone fisiche, e l‘accertamento dei redditi professionali e
d‘impresa), l‘Ufficio ―può sempre determinare sinteticamente il reddito
complessivo del contribuente‖, dove l‘aggiunta dell‘avverbio ―sempre‖
vuole evidenziare l‘assoluta autonomia di questa procedura accertativa
rispetto a ogni altra già presente nell‘ordinamento.
Va rilevato che la Corte di Cassazione si è, a più riprese pronunciata in
questo senso, affermando che l‘art. 38 ―non esige il preventivo riscontro
dell‘impossibilità (o difficoltà) di una revisione di tipo analitico delle poste
indicate dal dichiarante, essendo all‘uopo sufficiente che l‘imponibile, come
risultante dai dati enunciati dal contribuente, si appalesi complessivamente in
contrasto con la realtà evidenziata su base presuntiva da detti elementi e
circostanze‖ (sent. 14 giugno 1996, n. 5507; nello stesso senso si veda sent.
20 giugno 2007, n. 14367 e 6 marzo 2009, n. 5478).
5 La certezza degli indici del “tenore di vita”.
Quanto al primo passaggio (l‘individuazione dell‘indice del tenore di vita)
va detto, in primo luogo, che esso, per poter innescare la presunzione deve
essere certo. Il comma 4 dell‘art. 38 prescriveva nella versione previgente,
che si doveva trattare di elementi e circostanze di fatto certi.
313
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
Tale espresso riferimento è scomparso nella dizione della norma risultante
dal d.l. n. 78/201011.
La circostanza è irrilevante, nella sostanza perché una presunzione non può
fondarsi se non su fatti certi: si tratta del normale requisito del fatto12 su cui
deve fondarsi una presunzione ed esso deve essere noto. Esso è tale, come si
insegna a proposito delle presunzioni in genere, quando è provato o non
bisognoso di prova perché ammesso o non contestato13.
All‘ufficio accertatore spetta, quindi, il compito di assicurarsi, sul piano
documentale, che il bene o la spesa sia riconducibile alla sfera del
contribuente.
La individuazione dell‘indice del tenore di vita è agevole quando sia
collegato all‘acquisto di beni registrati. In generale, si deve trattare di titoli di
spesa concernenti la sfera privata del soggetto: i costi inerenti le attività
professionali rilevano, invece, come fattori di produzione della ricchezza e
non a questi fini. L‘individuazione di questi titoli di spesa non è limitata dalla
legge o da fonti subordinate, ancorchè, come si vedrà, particolari indici siano
espressamente contemplati.
Nella casistica, sono stati ritenuti rilevanti, l‘acquisto di immobili (rispetto al
costo di acquisto)14, il possesso di immobili (rispetto alle spese per
mantenerli)15, l‘effettuazione di viaggi, la disponibilità di rimesse su conti
correnti,la sottoscrizione di un atto pubblico (nel caso una compravendita)
contenente la dichiarazione di pagamento di un prezzo16, le disponibilità di
valuta all‘estero17, l‘acquisto di azioni18, la sottoscrizione di aumenti di
11
Anche questa parte della modifica non sembra avere effetto rivoluzionario: la
possibilità di disegnare presunzioni da fatti diversi dalla spesa continua ad essere
possibile sulla base della disposizione generale del comma 3, dell‘art. 38.
12 Che ben può essere uno solo, non essendo richiesta la pluralità: Cass., sez. trib., 9
agosto 2002, n. 12060.
13 Per una applicazione: Cass., sez. trib., 28 giugno 2002, n. 8738, che ha rilevato che
deve essere assunto come noto il fatto che il contribuente dichiara (ad esempio, in
sede di risposta a un questionario).
14
Cass., sez. trib., 11 settembre 2009, n. 19647 ha ritenuto che la presunzione operi
correttamente anche quando il prezzo non sia pagato, ma assolto mediante
compensazione con altri crediti dell‘acquirente verso il venditore. Cass., sez. trib., 21
dicembre 2005, n. 28320 rileva che valorizzare sia il costo di acquisizione come fonte
dell‘accertamento di redditi pregressi sia le rendite successive non comporterebbe
doppia imposizione.
15
Cass., sez. trib., 19 luglio 2002, n. 10603.
Così Cass., sez.trib. 16 dicembre 2010, n. 19637, salva ―la prova contraria da parte
del contribuente, della natura simulata dell‘atto‖.
16
17
Cass., sez. I, 2 giugno 1992, n. 6714.
18
Cass., sez. I, 11 maggio 1992, n. 5599.
314
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
capitale19 e l‘accensione di un mutuo20. Si è escluso che possa tout court
costituire un elemento valorizzabile la prestazione di fideiussioni21.
Nulla esclude che si possa dare rilievo ad altri fatti noti quali: il pagamento di
consistenti rate di mutuo, di canoni di leasing relativi a beni di lusso, di spese
per arredi di beni di lusso di abitazioni, per frequenti viaggi e crociere, per
l‘affitto di ―posti barca‖, per acquisti di beni di particolare valore, quali
quadri, sculture, gioielli, reperti di interesse storico, hobby particolarmente
costosi come la partecipazione a rally, gare di motonautica, etc. (circolare n.
1/2008, Guardia di Finanza).
La giurisprudenza ammette espressamente che il fatto su cui si innesta la
presunzione non deve necessariamente collocarsi nel periodo cui viene
attribuito il reddito, se tale fatto, verificatosi in un periodo diverso, fa
comunque presumere il possesso del reddito nell‘anno considerato22.
Tale ragionamento ha una sua plausibilità. Esso trova ora un ostacolo testuale
nella dizione del comma 4, dell‘art. 38, risultante dal d.l. n. 78/2010, che
prevede la possibilità di desumere reddito da ―spese sostenute nel periodo
d‘imposta‖. Tale innovazione potrebbe in effetti leggersi a contrario, come
indicativa di una preclusione alla valorizzazione di spese sostenute in diversi
periodi di imposta. La questione è interessante e controvertibile: si possono
dare casi in cui una spesa sostenuta nel periodo 3 è seriamente indiziaria di
redditi posseduti nel periodo 1 e 2 (si veda quanto si dirà tra poco in tema di
investimenti).
6 L‟accertamento sintetico basato sulle spese del contribuente.
La norma prevede una sorta di ―controllo di congruità ad personam‖, fra il
livello di reddito dichiarato (e la conseguente sottostante disponibilità
monetaria al netto delle imposte assolte) e l‘ammontare delle spese sostenute
nel periodo d‘imposta.
19
Cass., sez. I, 10 giugno 1987, n. 5052.
20
Con le precisazioni formulate da Cass., sez.trib., 3 dicembre 2010, n. 24597.
Sulla base dell‘assunto che esse nulla aggiungono rispetto alla consistenza del
patrimonio del garante e che a questo dovrebbe semmai farsi riferimento (Cass., sez.
trib. 19 marzo 2010, n. 6753). Non può peraltro negarsi il carattere potenzialmente
indiziario di fideiussioni rilasciate in modo sproporzionato al patrimonio visibile,
anche se potrebbe trattarsi di esposizione debitoria a rischio. Più fondata ovviamente
l‘illazione ove siano concessi mutui o ipoteche.
21
22
Per una ipotesi di prova a ritroso dei redditi: Cass., sez. trib., 21 giugno 2002, n.
9099, rispetto alla imputabilità a reddito risparmiato dagli anni precedenti di somme
spese per l‘acquisto di veicoli di pregio. Per una ipotesi di prova in avanti dei redditi:
Cass., sez. I, 2 giugno 1992, n. 6714, rispetto alla possibilità di desumere reddito dalle
verosimili spese di mantenimento di un immobile, negli anni successivi all‘acquisto
(in tale ultima ipotesi si potrebbe peraltro anche riconoscere che il fatto fonte della
presunzione è il possesso dell‘immobile negli anni successivi e non l‘acquisto in
quello precedente).
315
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
La nuova formulazione legislativa abbandona la classica bipartizione fra
spese correnti e spese per incrementi patrimoniali, prima presente nell‘art. 38
del d.P.R. n. 600/1973, in quanto fa espresso riferimento alle ―spese di
qualsiasi genere‖ che il contribuente abbia effettuato nel corso del periodo
d‘imposta.
Il termine ―spesa‖ – ad avviso di chi scrive – va considerato come esborso
monetario che ha effettivamente decrementato il patrimonio del contribuente,
qualunque sia il titolo di tale spesa (sia essa destinata al consumo che ad
investimento).
Quindi, potranno essere considerate, non solo spese voluttuarie (viaggi,
crociere, quote associative a circoli sportivi, come spesso si legge), ma anche
spese mediche di particolare importo, ristrutturazioni edilizie, acquisti di
beni durevoli di consumo (elettrodomestici, mobilia, mezzi di trasporto ecc.),
oltre che ovviamente spese per investimenti societari, immobiliari e così via.
Il fatto che la legge si riferisca alle spese, intese nel senso sopra prospettato,
esclude ciò che monetariamente spesa non è per il contribuente in quel
periodo d‘imposta, in quanto si tratti di esborso finanziato da terze economie
(cioè mediante indebitamento), ovvero finanziato mediante dismissione di
patrimonio già esistente.
Solo in questa ottica si spiega il mancato inserimento degli smobilizzi
patrimoniali (già previsti dall‘art. 4 del D.M. 10 settembre 1992) e dei
finanziamenti di terzi (già considerati dalla C.M. 30 aprile 1999, n. 101/E)
quale possibile prova della spesa sostenuta.
Il compito dell‘Ufficio, peraltro, è solo apparentemente semplice:
l‘accertamento potrebbe infatti limitarsi – secondo una lettura estremamente
superficiale della norma – ad una pura sommatoria di uscite monetarie, alla
loro comparazione con il reddito dichiarato, per procedere quindi
all‘accertamento sintetico qualora il ―reddito complessivo accertabile ecceda
di almeno un quinto quello dichiarato‖.
E‘ la spesa effettiva sostenuta da parte del contribuente a rappresentare
l‘elemento centrale su cui poggerà la quantificazione del reddito
complessivo.
Da quanto indica la norma, le spese in questione dovrebbero rilevare nella
quantificazione del reddito attribuito a chi le sostiene in un rapporto di 1 a 1,
in modo analogo, in realtà, a quanto già sta avvenendo per gli avvisi di
accertamento emanati tenendo conto di elementi di spesa diversi da quelli
individuati specificamente dal D.M. 10 settembre 1992.
Va ricordato, infatti, come, già con il d.l. 25 giugno 2008, n. 11223, il
legislatore, nel progettare un piano straordinario di controlli basati sul
redditometro per il triennio 2009-2011, abbia previsto espressamente che
l‘accertamento sintetico potesse essere effettuato ―sulla base di elementi e
circostanze di fatto certi desunti dalle informazioni presenti nel sistema
23
Art. 83, comma 8, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertivo, con modificazioni,
dalla L. 6 agosto 2008, n. 133.
316
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
informativo dell‘anagrafe tributaria nonché acquisiti in base agli ordinari
poteri istruttori e in particolare a quelli acquisiti ai sensi dell‘articolo 32,
primo comma, numero 7, del citato decreto del presidente della Repubblica n.
600 del 1973‖.
Da un punto di vista operativo, l‘indicazione legislativa si è tradotta nel
ricorso da parte degli uffici a nuove fattispecie di spese24 da utilizzare per la
determinazione sintetica del reddito: non essendo, però, queste voci comprese
fra quelle indicate nella tabella allegata al decreto ministeriale del 1992, e
non essendo di conseguenza ad esse associati dei coefficienti stabili ex lege,
gli uffici non hanno potuto prenderle in considerazione se non in un rapporto
―paritario‖ con il reddito presunto, correlando ad un euro di spesa, appunto,
un euro di reddito complessivo attribuito al contribuente.
7 La individuazione delle spese.
La prima questione riguarda il modo con cui gli uffici potranno individuare
tutte le spese sostenute dal contribuente nel periodo d‘imposta: ebbene, è
verosimile che vengano valorizzate le spese che emergono dall‘analisi di dati
bancari25 e delle banche dati dell‘amministrazione finanziaria (che
consentono di verificare, per esempio, l‘intervenuto acquisto di immobili,
quote societarie, automezzi, ecc.)26.
La seconda concerne il rapporto con l‘accertamento redditometrico. Qualora
l‘ufficio faccia uso dell‘accertamento sintetico e contesti – per esempio,
proprio grazie all‘ausilio dei dati bancari –un reddito pari alla totalità delle
spese sostenute dal contribuente, non sarà possibile sovrapporre
automaticamente
(sommandone
i
risultati)
detto
accertamento
all‘accertamento redditometrico27. Ciò per evitare la palese duplicazione che
24
Nella circ. della Guardia di finanza n. 1 del 29 dicembre 2008, in banca dati
―fisconline‖, viene proposta la seguente elencazione: pagamento di consistenti rate di
mutuo; pagamento di canoni di locazione finanziaria, soprattutto in relazione a unità
immobiliari di pregio, auto di lusso ed natanti da diporto; pagamento di canoni per
l‘affitto di posti barca; sostenimento di spese per ristrutturazione di immobili;
sostenimento di spese per arredi di lusso di abitazioni; pagamento di quote di
iscrizione in circoli esclusivi; pagamento di rette consistenti per la frequentazione di
scuole private particolarmente costose; assidua frequentazione di case da gioco;
partecipazione ad aste; frequenti viaggi e crociere; acquisto di beni di particolare
valore (quadri, sculture, gioielli, reperti di interesse storico archeologico, eccetera);
disponibilità di quote di riserva di caccia e di pesca: hobby particolarmente costosi (ad
esempio, partecipazioni a gare automobilistiche, rally, gare di motonautica, eccetera).
25
Per alcune considerazioni sul rapporto tra accertamento sintetico ed accertamento
fondato sui dati bancari si veda A. CONTRINO, Ricostruzione sintetica del reddito
imponibile fondata su dati bancari, in Corr.trib., 2008, p. 387 sg.
26
Sull‘impiego delle banche dati dell‘anagrafe tributaria nell‘ambito degli
accertamenti sintetici si veda M. BEGHIN, Profili sistematici e questioni aperte in
tema di accertamento ―sintetico‖, cit. 722 sg.
27 Fino ad oggi, invero, sulla base di quanto previsto dall‘art. 3, comma 7, del DM 10
settembre 1992, si è assistito alla combinazione dell‘accertamento redditometrico e
317
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
si verificherebbe qualora le spese di mantenimento dei beni posseduti
venissero accertate sia direttamente (mediante il sintetico ―puro‖) sia
indirettamente (mediante il redditometro).
8 Spese per investimento.
Quanto alle spese per incrementi patrimoniali, stante la formulazione letterale
della norma, si potrebbe sostenere che, venuta meno la presunzione di
formazione pluriennale (quinquennale), anche esse potrebbero essere
considerate sostenute per l‘intero con redditi conseguiti nell‘anno.
Situazione che potrebbe risultare, in talune circostanze, penalizzante per i
contribuenti, considerato che la presunzione di formazione quinquennale dei
redditi impiegati per effettuare spese per incrementi patrimoniali in primo
luogo, rendeva più agevole per il contribuente dimostrare la capienza di un
reddito di un determinato esercizio rispetto alla spesa pluriennale sostenuta
(fermo restando che il sostenimento di una spesa incrementativa poteva
comportare l‘esigenza di dimostrare la capienza del proprio reddito anche
negli esercizi precedenti il sostenimento); in secondo luogo, portava sovente
l‘amministrazione a non recuperare a tassazione la totalità del reddito
corrispondente alla spesa pluriennale, poiché decaduta dal potere di accertare
alcune annualità passate; in terzo luogo, portava il contribuente a fruire di una
forma di splitting temporale, con conseguente possibile diminuzione
dell‘aliquota applicatagli.
Orbene, se la norma dovesse essere intesa nel modo più fiscale rischierebbe
di produrre risultati scarsamente attendibili, considerato che, se è verosimile
che le spese non incrementative vengano sostenute con redditi conseguiti nel
corso dell‘esercizio, non corrisponde al normale comportamento dei
contribuenti sostenere spese per incrementi patrimoniali con il solo reddito
percepito nel corso di un anno.
Se applicata in modo eccessivamente rigoroso, allora, la previsione dell‘art.
38 rischierebbe di manifestarsi, costituzionalmente illegittima per violazione
del principio della ragionevolezza 28 e comunque inidonea, nei casi
caratterizzati dal sostenimento di ingenti spese per incrementi patrimoniali, a
ricostruire in modo verosimile la capacità contributiva del soggetto accertato.
Ebbene, come vedremo tra breve, il legislatore ha scelto di mitigare la rigidità
del meccanismo in argomento riconoscendo al contribuente il diritto di
dell‘accertamento basato sugli incrementi patrimoniali. Combinazione che era
coerente alla luce della complementarità dei dati ottenibili grazie a tali due
procedimenti: da un lato, si accertavano i redditi presumibilmente necessari per
sostenere le spese di mantenimento dei beni posseduti e, dall‘altro, venivano accertati
i redditi presumibilmente necessari per sostenere gli incrementi patrimoniali
riscontrati.
28
In tema va ricordato che parte della dottrina ritiene condivisibilmente che le norme
contenenti presunzioni relative debbano essere idonee a rappresentare il presupposto
economico in base all‘‘id quod plerumque accidit e rispondere a criteri di logicità e
ragionevolezza (si veda Corte cost. 12 luglio 1967, n. 109).
318
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
fornire ampia prova contraria alla ricostruzione sintetica anche nell‘ambito
del contraddittorio anticipato obbligatorio.
Gli uffici, pertanto potranno essere posti in condizione di valorizzare in modo
adeguato anche l‘avvenuto sostenimento di spese per incrementi patrimoniali
e la valutazione dovrà essere fatta caso per caso.
9 Il nuovo redditometro.
Il comma 5 del nuovo art. 38 disciplina l‘accertamento redditometrico
fondato sugli indicatori di capacità contributiva: ―La determinazione sintetica
può essere altresì fondata sul contenuto induttivo di elementi indicativi di
capacità contributiva individuato mediante l‘analisi di campioni significativi
di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e
dell‘area territoriale di appartenenza, con decreto del Ministero
dell‘Economia e delle Finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale con
periodicità biennale‖.
Dalle anticipazioni che sono state fornite da parte dell‘Agenzia, gli indicatori
che verranno fissati dal decreto saranno molto più numerosi rispetto a quelli
attuali, e c‘è quindi da attendersi l‘inclusione nel provvedimento di quegli
elementi che la prassi dell‘Amministrazione finanziaria ha già raccomandato
agli uffici di tenere in debita considerazione29.
Il nuovo accertamento redditometrico si differenzia dalla versione previgente
poiché contiene alcune precisazioni in ordine alle modalità da seguire per la
individuazione degli ―elementi indicativi di capacità contributiva‖,
richiedendo:
- che ciò avvenga ―mediante l‘analisi di campioni significativi di
contribuenti‖30
- che vi sia una differenziazione ―anche in funzione del nucleo familiare
31 e dell‘area territoriale di appartenenza32;
29
Le indiscrezioni fanno riferimento a più di una ventina di indicatori.
30
Si tratta di una previsione che ricorda quanto già stabilito anche in materia di studi
di settore :l‘art. 62-bis del DL n. 331/1993, infatti, richiama ―l‘analisi di campioni
significativi di contribuenti‖.
Giova precisare che l‘esigenza di effettuare differenziazioni sulla base del nucleo
familiare non è funzionale a trasformare la famiglia in un soggetto passivo
d‟imposta, posto che, come noto, la soggettività tributaria della famiglia è stata da
tempo negata. E‘ tuttavia necessario considerare che, nell‘ambito delle famiglie, è
piuttosto frequente che la titolarità di un fatto-indice di capacità contributiva sia di un
primo componente e che le relative spese vengano sostenute grazie alle disponibilità
finanziarie di un secondo componente. Tale dato, ha un doppio risvolto ai fini
accertativi: è possibile che, in capo a un determinato soggetto, siano accertabili redditi
inferiori rispetto a quelli determinati sinteticamente sulla base dei fatti-indice a lui
formalmente riferibili e ciò, segnatamente, può accadere qualora egli dimostri che
parte della spesa stimata è stata sostenuta grazie alle risorse economiche di un
familiare; ma può verificarsi anche la situazione opposta ed è il caso in cui l‘ufficio
dimostri che il soggetto accertato sostenga anche spese relative a fatti-indice
31
319
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
- che essi vengano rivisti con periodicità biennale33
Tali precisazioni sono evidentemente state inserite per esplicitare la ―traccia‖
che il Ministero dovrà seguire nell‘elaborazione del decreto, anche in
considerazione dei dubbi che la dottrina ha sollevato in ordine alla laconicità
del dato normativo previgente.
Come si è detto la disposizione indica come il contenuto induttivo di questi
indicatori sarà costruito attraverso ―l‘analisi di campioni significativi di
contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell‘area
territoriale di appartenenza‖34. E‘ evidente come queste appaiono, al
momento, come affermazioni di principio, volte a far attribuire (a priori) una
patente di ―scientificità‖ ad uno strumento che fino ad oggi è stato tutto meno
che accurato, ma inevitabilmente portano ad immaginare il futuro
redditometro come una sorta di ―studi di settore per le famiglie‖.
Da quello che al momento si può soltanto intuire, dovendo per forza di cose il
giudizio rimanere sospeso fino all‘emanazione del decreto, saranno previsti
dei ―coefficienti di trasformazione‖ delle spese in reddito e ciò avverrà sulla
base di valutazioni di natura statistica.
In sostanza, mediante opportune elaborazioni statistiche, si ritiene sia
possibile stabilire che una famiglia di tre persone che vive in provincia di
Milano necessiti di un reddito non inferiore (supponiamo) a 32.000 euro,
mentre una famiglia di quattro persone che risiede in un paesino dell‘Abruzzo
abbia mediamente (sempre per ipotesi) un reddito di 25.000 euro, e un single
che vive a Roma si attesti a circa 18.000 euro di reddito.
Ed è questo l‘aspetto che, se confermato, si presenterebbe maggiormente
critico: associare ad una spesa ―monetaria‖ un reddito non coincidente con
essa, ma, ―maggiorato‖ per l‘effetto di moltiplicatori, minerebbe la credibilità
dello strumento presuntivo.
Nessuno, infatti, potrebbe contestare il principio che, per spendere 100, si
deve avere guadagnato almeno quella somma (oppure averla ricevuta a
formalmente riferibili ai suoi familiari. Sull‘eventualità che la capacità di spesa
individuata mediante un accertamento sintetico sia stata sostenuta con redditi di un
familiare si veda Comm.trib.centr. 12 luglio 1994, n. 2590; 3 aprile 1992, n. 2420; 14
aprile 1998, n. 1954. Di converso, sulla rilevanza delle spese sostenute per il
mantenimento dei familiari si veda Cass. 22 dicembre 1995, n. 13089;
Comm.trib.centr. 7 settembre 1994, n. 3001.
32 Anche nell‘ambito degli studi di settore è stata inserita una previsione mirata a
valorizzare la territorialità: l‘art. 83, comma 19, del DL n. 112/2008, infatti, stabilisce
che gli studi di settore, a determinate condizioni, debbano essere elaborati ―anche su
base regionale o comunale‖.
33
La necessità di adeguare con cadenza biennale gli indici numerici contenuti nel
redditometro era già prevista dall‘art. 5 DM 10 settembre 1992.
L‘Agenzia delle Entrate ha indicato come sia partita dalla selezione di un campione
di oltre 800 mila famiglie, poi suddivise in gruppi omogenei, con l‘aggiunta di un
criterio territoriale, che non si baserebbe solo sulle differenze tra Nord e Sud, ma
anche sulla localizzazione rispetto a grandi aree territoriali, comuni, piccoli paesi.
34
320
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
prestito o in regalo da qualcuno). Se, invece, alla spesa di 100 lo strumento fa
corrispondere un reddito di 300, è necessario capire come si giunga a tale
risultato, spiegando al contribuente perché esiste questo incremento e come lo
si è costruito.
Più ―credibile‖, e di conseguenza accettabile per i contribuenti, sarebbe
invece un redditometro che si basasse su coefficienti soltanto per
―trasformare‖ in reddito le spese ―non monetarie‖, vale a dire quelle correlate
alla disponibilità di beni patrimoniali, mantenendo invece il rapporto 1 a 1
per quelle ―monetarie‖
10 La legittimita‟ (costituzionale) dei decrfeti redditometrici e il loro
carattere “forte”.
Ad ogni buon conto, va ricordato che la giurisprudenza della Corte
costituzionale ha già ritenuto legittima la delegazione all‘esecutivo della
determinazione degli indici costituenti il redditometro.
La Corte costituzionale, infatti, con la nota sentenza n. 238/1987:
- ha riconosciuto la legittimità del ricorso a un sistema presuntivo, a
condizione che esso sia razionale e riconosca la prova contraria a favore
del contribuente;
- ha dato atto della razionalità dello specifico meccanismo basato sulla
verifica del possesso di aeromobili, navi e imbarcazioni, cavalli,
residenze ecc., e sulla presunzione che al possesso di tali beni dovrebbe
corrispondere la disponibilità di un reddito proporzionato;
- ha negato che, in forza dell‘art. 134 Cost., competesse alla Corte
costituzionale giudicare sulle controversie relative alla legittimità (sotto
l‘aspetto di eventuali vizi nella formazione o applicazione) dei decreti
ministeriali, ricordando che essi sono atti disapplicabili o annullabili.
Dopodiché la giurisprudenza ha confermato la valenza tendenzialmente
―forte‖ degli indici redditometrici, sia sotto il profilo probatorio sia sotto il
profilo motivazionale.
Più precisamente, la Corte di cassazione, con giurisprudenza consolidata,
ritiene che la determinazione del reddito effettuata sulla base
dell‘applicazione del redditometro costituisca una presunzione legale
(relativa) e quindi dispensi l‘amministrazione finanziaria dal fornire prove
ulteriori rispetto alla dimostrazione della sussistenza dai fatti-indice di
maggiore capacità contributiva individuata dal redditometro; e che ricada sul
contribuente l‘onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del
redditometro sia costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi già
assoggettati ad imposta ovvero che esso non esista o esista in misura
inferiore35.
35
Così Cass., sez. trib,, 7 aprile 2008, n. 8845 in Boll.trib,, 2008, pp. 1610 sg.
321
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
11 La motivazione degli accertamenti reddito metrici.
Le considerazioni svolte consentono di proporre una riflessione sulla
motivazione degli avvisi di accertamento redditometrici.
Il DM 10 settembre 1992, contenente il redditometro oggi vigente (al pari dei
provvedimenti con cui i relativi importi sono stati aggiornati) non è motivato,
né è stato accompagnato dalla messa a disposizione delle modalità tecniche e
dei dati impiegati per la loro elaborazione.
Ma allora non può condividersi l‘orientamento giurisprudenziale di cui si
faceva cenno in precedenza e che ritiene sufficientemente motivati gli avvisi
di accertamento che si limitano al richiamo del regolamento attuativo del
redditometro.
Non si vuole certo negare che la motivazione di un provvedimento
impositivo possa essere fornita per relationem ad altro atto. Ma l‘atto
richiamato dovrà essere un atto motivato, poiché, se così non fosse, si
sarebbe in presenza di una motivazione per relationem ad un atto privo di
motivazione (sebbene quest‘ultimo, di per sé, non debba essere
obbligatoriamente motivato).
Ebbene, come detto, il DM contenente il redditometro non è motivato in
alcun modo: non vi è alcuna indicazione che espliciti i criteri logici e
matematici seguiti per elaborare gli indici ivi contenuti36. Né, come invece
accade per gli studi di settore, vi sono note tecniche e documentazione
ulteriore messe a disposizione dal Ministero e dall‘Agenzia delle Entrate37.
Le modalità di costruzione degli indici e la base informativa su cui essi
dovrebbero poggiare, dunque, sono del tutto sconosciute. E ciò,
inevitabilmente, incide in modo negativo sulle concrete modalità di esercizio
del diritto di difesa del contribuente,il quale si ritrova a difendersi ―alla cieca‖
36
F. TESAURO, Considerazioni sui parametri ministeriale di determinazione sintetica
del reddito delle persone fisiche, in Dir.prat.trib., 1984, I, 1946, ha considerato ―non
…plausibile la tesi che il decreto dovrebbe recare l‘indicazione delle regole tecniche e
dei criteri adottati‖. Sull‘esigenza di motivare il DM di cui si tratta si veda anche F.
BATISTONI FERRARA, I principi della riforma tributaria: accertamento sintetico e
redditometro, in Dir.prat.trib., 1994, I, 712. In senso contrario si è invece espressa la
Corte di cassazione, che ha richiamato la regola,contenuta nell‘art. 3, comma 2, legge
n, 241/1990, secondo cui gli atti generali si sottraggono all‘obbligo di motivazione (in
tal senso si vedano le sentenze 11 gennaio 2006, n. 327 e n.328; 5 dicembre 2007, n.
25386; 7 giugno 2002, n. 8272).
37 E, si badi, proprio in materia di studi di settore e di parametri, alcune pronunce di
merito hanno negato la legittimità degli avvisi di accertamento motivati con il mero
rinvio ai risultati matematici delle elaborazioni statistiche per difetto di motivazione e
lesione del diritto di difesa: Comm.trib.prov. di Treviso, 17 gennaio 207, n. 153;
Comm.trib. prov. di Verbania, 25 ottobre 2001, n. 82; Comm.trib.prov. di Catanzaro 3
marzo 2009, n. 85; Comm.trib. prov. di Ragusa 25 gennaio 2002, n. 426.
322
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
rispetto ad accuse formalizzate in base ad un iter logico ignoto nei suoi
passaggi analitici38.
Circostanza che è ancor più grave se si considera che sorgono diversi
interrogativi leggendo ―vecchi‖ indici. E‘ qui sufficiente rilevare, per
esempio, che le spese di mantenimento delle abitazioni vengono distinte
solamente in funzione della loro ubicazione in una delle quattro macro aree
geografiche (nord, centro, sud, estero), pur non essendo ragionevole
ipotizzare che i costi di mantenimento di un‘abitazione nel centro di una
grande città siano i medesimi sostenuti in un piccolo paese di periferia. Non
solo: i costi di mantenimento delle autovetture vengono stimati in
proporzione alla cilindrata,
indipendentemente, quindi, dall‘intensità
dell‘utilizzo e dalla potenza, cioè dal dato più rilevante ai fini della
quantificazione delle spese assicurative e della tassa automobilistica39.
Ma non è tutto, la citata giurisprudenza, a proposito della forza probatoria
del redditometro, si pone in qualche modo in antitesi con le diverse pronunce
che hanno negato la fondatezza delle costruzioni basate esclusivamente su
medie e indici statistici.
Nelle sentenze nn. 26635, 26636, 26637, 26638 del 2009, le SS.UU. della
Corte di cassazione, con riferimento a parametri e studi di settore,hanno
infatti negato la possibilità di effettuare accertamenti automatizzati e
valorizzato il contradditorio come strumento finalizzato all‘individuazione di
ulteriori elementi su cui fondare la pretesa40.
Ebbene, non sembra casuale che l‘ulteriore modifica apportata al sistema
dell‘accertamento sintetico sia proprio quella dell‘introduzione del
contraddittorio anticipato obbligatorio.
Ed è sul tema del contradditorio che ci si soffermerà qui di seguito.
12 La valorizzazione della tipologia di spese.
Ad avviso di chi scrive, non si deve cadere nella tentazione di utilizzare
questo strumento per finalità, per così dire, di carattere etico: una volta
stabilito il livello della spesa da valorizzare, è del tutto indifferente, ai fini
Tant‘è che in passato A. FANTOZZI, L‘accertamento sintetico ed i coefficienti
presuntivi di reddito, cit., 465, ha evidenziato che ―il tecnicismo della determinazione
dei coefficienti e la mancanza di criteri guida nell‘art. 38 renderanno di fatto la prova
contraria di assai difficile, se non impossibile operatività‖.
39 G. FALSITTA, Per un fisco civile, Milano, 1996, 323, ha definito il redditometro
come uno strumento ―assai debole, rozzo e impreciso di lotta all‘evasione‖ e che ― a
tutto concedere, può assolvere a una funzione di segnalazione di possibili situazioni
di evasione‖.
40 Va peraltro ricordato che, in passato, la Corte di cassazione ha negato che la
legittimità dell‘accertamento sintetico fosse subordinata alla previa instaurazione del
contraddittorio con il contribuente:in tal senso si veda sent. 27 marzo 2010, n. 7485 e
27 agosto 1991, n. 9198.
38
323
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
della giustificazione del suo finanziamento, la tipologia della spesa stessa.
Che si tratti di spese telefoniche per i cellulari, che si tratti dell‘iscrizione a
un circolo di tennis o a una palestra, piuttosto che di spese dentistiche, il
problema che si vuole affrontare con lo strumento del redditometro non è
quello di «indirizzare» il contribuente verso comportamenti socialmente
ritenuti più meritevoli di altri, o di colpire tipologie di consumo ritenute
voluttuarie, quanto semplicemente di capire la provenienza del denaro che ha
finanziato tali spese, se frutto o meno di attività regolarmente assoggettate a
tassazione.
Il redditometro non può cioè avere - pena una sua evidente illegittimità,
valutabile anche sotto il profilo costituzionale della libertà della persona –
finalità pseudo-punitive rispetto a scelte di consumo individuali. Può ben
essere, specie nell‘attuale sistema sociale basato sull‘immagine di sé agli
occhi della collettività, che alcuni soggetti privilegino spese assolutamente
voluttuarie, rispetto ad altre apparentemente più necessarie, pur di ben
figurare in pubblico. Le statistiche dicono del decremento delle spese
alimentari, ma - pur in tempi di crisi economica - della tenuta di spese per
viaggi o per la cura del corpo.
Allora, il problema che si pone è quello della valorizzazione della spesa in sé,
una volta individuata nella sua dimensione quantitativa, piuttosto che di un
«contenuto induttivo» di una tipologia di spesa rispetto ad un‘altra.
13 La spesa familiare.
Una volta stabilito questo principio, si potrà cominciare a discutere di altre
cose; per esempio, del ruolo della famiglia all‘interno dell‘accertamento
sintetico.
Si ricorda che la necessità di prendere in considerazione l‘intero nucleo
familiare era stata già fatta propria dalla circolare n. 101 del 1999.
L‘introduzione dell‘accertamento delle disponibilità di spesa su basi
familiari, del tutto logico e corretto dal punto di vista economico e sociale, si
scontra, però, inevitabilmente con il problema sostanziale: oggi l‘imposizione
è inderogabilmente personale.
Ora, è evidente che non può reggere, sotto il profilo logico e metodologico,
un sistema dove le imposte sono dichiarate dal singolo individuo, ma poi la
capacità di spesa va giudicata nell‘ambito della famiglia (a prescindere poi da
che cosa si debba intendere per «famiglia», cioè se solo quella
istituzionalizzata, o anche quella di fatto).
Inevitabilmente l‘accertamento sintetico, se aspira davvero a diventare uno
strumento di accertamento di «massa» verso la generalità dei contribuenti (il
che, però, come si diceva all‘inizio, pare scarsamente realistico) deve
confrontarsi con questo problema.
Ciò porta inevitabilmente a pensare che si debba cominciare, finalmente, a
varare una seria riforma del sistema dell‘imposizione personale, basandolo
sulla considerazione della famiglia come pieno soggetto d‘imposta, come già
324
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
avviene in molti altri Paesi europei, e come da tempo sta chiedendo al nostro
legislatore anche la Corte costituzionale.
Si spera che almeno questo porti in dote il nuovo redditometro varato dal
D.L. n. 78/2010.
14 La riduzione delle condizioni di utilizzo del c.d. redditometro e la
possibile influenza sulla sua qualificazione.
Le condizioni di utilizzo dell‘accertamento sintetico, sia quello del comma 4,
basato sulle spese di qualunque genere sostenute nel corso del periodo
d‘imposta, sia quello del comma 5, che poggia invece sugli elementi
indicativi di capacità contributiva, sono definite dal legislatore nel comma 6
del nuovo art. 38.
La norma stabilisce che ―La determinazione sintetica del reddito complessivo
di cui ai precedenti commi è ammessa a condizione che il reddito
complessivo accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato‖.
C‘è, quindi, un‘unica condizione che deve essere verificata, ossia il riscontro
di uno scostamento significativo nel reddito quantificato sinteticamente,
ritenendo il legislatore tale quello che registra un divario di almeno il 20% tra
reddito dichiarato dal contribuente e reddito presunto.
Rispetto al testo antecedente alle modifiche, vi è quindi una riduzione
significativa della ―soglia‖, considerando il fatto che lo scostamento richiesto
era invece di almeno il 25%.
L‘altro aspetto che deve essere evidenziato è l‘eliminazione dell‘ulteriore
condizione in precedenza richiesta, ossia che lo scostamento riguardasse due
o più periodi d‘imposta41.
Precisato che i nuovi requisiti valgono per i periodi di imposta antecedenti il
2009 (secondo l‘amministrazione e per chi scrive solo dal 2011) in futuro
sarà quindi sufficiente all‘Amministrazione finanziaria l‘evidenziazione del
divario in relazione ad un solo periodo d‘imposta ( e con uno sconto del 20%)
per poter attribuire al contribuente il reddito complessivo determinato in via
sintetica.
Anche questa scelta, considerando il fatto che si parla pur sempre di una
presunzione legale relativa, non appare esente da critiche e soprattutto pone
dubbi sulla possibilità di sostenere ancora tesi che si dicono ―consolidate‖.
41
Va detto che, a seguito della sentenza della Cassazione n. 237 del 9 gennaio 2009,
nella circ. n. 12/E del 12 marzo 2010 (rispettivamente in banca dati ―fisconline‖ e in
―il fisco‖ n. 13/2010, fascicolo n. 1, pag. 2017), l‘Agenzia ha indicato come i due
periodi di imposta in questione non debbano essere consecutivi (modificando
l‘orientamento espresso nella circ. n. 49/E del 9 agosto 2007, in banca dati
―fisconline‖ nella quale si era affermata invece la necessità della consecutività). Cfr.
A Iorio-S. Sereni, Redditometro: i due periodi d‘imposta di incongruità del reddito
non devono necessariamente essere consecutivi, in ―il fisco‖ n. 6/2009, fascicolo n. 2,
pag. 946.
325
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
Al riguardo è opportuno ricordare che, secondo la Corte di Cassazione,
―L‘indicata quota (per almeno un quarto) di scostamento del reddito
dichiarato rispetto a quello determinabile sinteticamente in base agli
opportuni coefficienti di redditività costituisce, per univoca disposizione
normativa, il limite posto dal legislatore allo stesso potere dell‘ufficio di
determinazione sintetica del reddito, al fine evidente di temperare la rigidità
propria di una applicazione meramente aritmetica dei cosiddetti parametri e
di dare valenza (sia pure in via forfettaria) a possibili variabili caratteristiche
di ciascuna produzione di rddito…‖42.
Orbene, se i vecchi requisiti (come i nuovi) hanno la funzione di temperare la
rigidità propria di una applicazione meramente aritmetica del redditometro
(insomma ne compensano le inevitabili imprecisioni e arbitrarietà), la
riduzione a un ―quinto‖ e a un solo anno di scarto mina la credibilità del c.d.
accertamento sintetico e quindi può fare dubitare della sua (comunemente
ritenuta) natura di presunzione legale relativa.
15 Utilizzo combinato di studi di settore e redditometro.
L‘ultimo argomento trattato in una recente circolare concerne una prassi
relativamente recente dell‘Amministrazione finanziaria, ovvero quella di
combinare gli studi di settore con l‘accertamento sintetico.
Altri43 si è già occupato di questa nuova modalità accertatrice, evidenziando,
in tale sede, come recenti inviti al contraddittorio per l‘accertamento con
adesione basato sugli studi di settore fossero stati integrati con l‘esposizione
dei beni indicatori di capacità contributiva, quali auto ed immobili, per
avvalorare le risultanze di non congruità degli stessi studi di settore.
Quel che preme sottolineare è la risposta fornita dall‘Amministrazione
finanziaria alla domanda se ritenesse di mutare orientamento circa
l‘applicazione congiunta dei predetti strumenti, attese le recenti pronunce
della Suprema Corte con cui è stato deciso che gli studi di settore devono
essere avvalorati con
elementi emergenti dal contradditorio con il
contribuente44, riguardanti l‘attività d‘impresa o di lavoro autonomo,mentre
42
Così Cass. sez.trib., 12 luglio 2006, n.15824.
43
Cfr., Applicazione congiunta di studi di settore e redditometro, in Il fisco, n.
47/2009, fascicolo n. 1, p. 7781.
44 La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con le note sentenze n. 26635/6/7/8 del 18
dicembre 2009, la prima in ―Il fisco‖, n. 2/2010, fascicolo 1, p. 236, con commento di
P. Turis, le altre in banca dati ―fisconline‖, ha stabilito che ―…va ribadito che quel
che dà sostanza all‘accertamento mediante l‘applicazione dei parametri (così come
degli studi di settore, n.d.A.) è il contraddittorio con il contribuente dal quale
possono emergere elementi idonei a commisurare alla concreta realtà economica
dell‘impresa la ―presunzione‖ indotta dal rilevato scostamento del reddito dichiarato
dai parametri. Pertanto, la motivazione dell‘atto di accertamento non può esaurirsi nel
mero rilievo del predetto scostamento dai parametri, ma deve essere integrata (anche
sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le
contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio: è da questo più
326
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
il possesso dei beni ―indice‖ non ha alcun legame con l‘attività del
contribuente.
L‘Agenzia delle Entrate ha risposto che ―Le sentenze della Cassazione non
fanno riferimento alle caratteristiche degli elementi che, nell‘ambito del
necessario contraddittorio, possono contribuire alla ―personalizzazione‖ del
risultato degli studi di settore (rectius alla conferma della alta probabilità che
il risultato sia coerente con l‘effettiva situazione del contribuente). L‘Agenzia
non ritiene di mutare il proprio orientamento, dato che lo stesso non riguarda
affatto, come spiegato in numerosissime occasioni, l‘utilizzo di elementi
―indice‖ estrapolati dal redditometro. In base alle direttive recentemente
impartite, infatti, gli Uffici utilizzano elementi di conferma delle risultanze
degli studi di settore sia direttamente connessi all‘attività d‘impresa o di
lavoro autonomo (indicatori di coerenza, redditività a livello pluriennale e
così via), sia concernenti il maggior reddito d‘impresa o lavoro autonomo
derivante dai ricavi o compensi risultanti dagli studi in tale caso rappresentati
da elementi denotanti una capacità contributiva significativamente superiore
a quella espressa dai detti redditi dichiarati (ovviamente considerando
l‘eventuale esistenza di redditi di diversa natura).
L‘Amministrazione finanziaria ha, quindi, confermato che, di fatto,
proseguirà nell‘applicazione congiunta dei due strumenti presuntivi, atteso
che le pronunce della Suprema corte non hanno intaccato la validità di tale
procedura accertatrice.
Restano, però, alcune perplessità già evidenziate in passato. Infatti, la
combinazione ―redditometro-studi di settore‖ ha un senso logico se l‘unico
reddito del contribuente è quello derivante dall‘attività imprenditoriale o di
lavoro autonomo, atteso che l‘accertamento sintetico consente di determinare
il reddito complessivo netto del contribuente (somma dei redditi delle varie
categorie: lavoro dipendente, impresa, fondiari, capitale, ecc.), mentre gli
studi di settore consentono di stimare soltanto i ricavi o compensi della sua
attività imprenditoriale o di lavoro autonomo.
Il problema che si potrebbe manifestare, dunque, è che tale impostazione
possa andare, di fatto, ad incidere soltanto su quei contribuenti più piccoli,
magari meno accorti, che non abbiano una pluralità di tipologie di redditi
posseduti da invocare a giustificazione dell‘uso combinato ―redditometrostudi di settore‖, o che non possano avvalersi,per esempio, di strutture
giuridiche societarie, magari a ristrettissima base sociale, alle quali intestare i
beni – tipicamente le auto di lusso e le imbarcazioni – che, in realtà, però,
siano nella piena disponibilità del contribuente persona fisica, che così, però,
non manifestando alcuna capacità contributiva derivante dal possesso di tali
beni eviti il redditometro.
complesso quadro che emerge la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla
presunzione basata sui parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria
(ma senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente.
327
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
16 Il coinvolgimento dei Comuni.
L‘art. 18 del DL n. 78/2010 prevede che gli Uffici dell‘Agenzia delle Entrate,
prima di emettere gli avvisi di accertamento, inviano una segnalazione ai
comuni, i quali dispongono di 60 giorni per comunicare alle Entrate ogni
elemento utile alla determinazione de reddito complessivo; va peraltro
ricordato che nel nuovo quadro di stimolo alla lotta all‘evasione, la
partecipazione di detti enti locali è incentivata, in linea generale, mediante il
riconoscimento di una quota pari al 33% delle maggiori some relative ai
tributi statali riscosse a titolo definitivo, oltre che su una parte delle correlate
sanzioni.
17 La prova contraria da parte del contribuente.
Nella parte finale del comma 4, in relazione alla presunzione rappresentata
dal reddito determinato sinteticamente sulla base delle spese sostenute, è stata
inserita la possibilità di prova contraria da parte del contribuente, poi
richiamata anche nell‘ambito del comma 5, con riferimento alla
ricostruzione del reddito fondata sul contenuto induttivo degli elementi
indicativi di capacità contributiva.
La norma stabilisce che viene fatta ―…salva la prova che il relativo
finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso
periodo d‘imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo
d‘imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base
imponibile‖45.
Il contribuente dovrà alternativamente dimostrare che la spesa a) è stata
finanziata da redditi non tassabili, b) ovvero con redditi già tassati in
precedenti periodi di imposta.
Esempio
Si ipotizzi che nel 2010 risulti acquistato un immobile al prezzo di 200.000
euro, e sia stato ottenuto un finanziamento bancario di 120.000 euro. In
quell‘anno il contribuente dovrà dimostrare come ha finanziato l‘eccedenza
di 80.000 euro (qualora evidentemente non trovi capienza nel reddito
dichiarato, tenuto conto anche delle normali esigenze di vita), mentre negli
anni successivi, dovrà dimostrare come ha finanziato le rate di mutuo pagate
sul finanziamento: insomma, si applica un criterio di pura cassa.
Nel testo antecedente alle modifiche, una possibilità di questo tipo era
prevista dal comma 6 dell‘art. 3846, che faceva però riferimento soltanto alla
Per l‘applicazione del redditometro ai redditi derivanti da attività agricole si veda
Cass. 6 maggio 2009, n. 10385.
46 ―Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione
dell‘accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente
è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte
a titolo d‘imposta. L‘entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare
da idonea documentazione‖.
45
328
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
dimostrazione dell‘esistenza di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a
titolo d‘imposta.
In realtà, anche in questo caso, da un punto di vista operativo non si può
parlare di cambiamento rilevante, in considerazione del fatto che tanto la
prassi dell‘Amministrazione finanziaria, quanto la giurisprudenza della
Cassazione, hanno varie volte affermato come il contribuente possa
contrastare la presunzione ricorrendo a qualsiasi elemento di prova.
Questo concetto è stato ribadito da ultimo nella circ. n. 12/E del 12 marzo
2010, ove si legge: ―La presunzione relativa può essere contrastata con vari
elementi di prova contraria. Tra questi va certamente compresa la
dimostrazione che le spese per il mantenimento dei beni e servizi indici di
capacità contributiva (dalle quali viene desunto il maggior reddito
determinato sinteticamente) sono state coperte con elementi patrimoniali
accumulati in periodi d‘imposta precedenti o sono state finanziate da
economie terze‖ 47.
La prima considerazione che si ritiene opportuno svolgere riguarda la
conferma, da parte del Fisco, della valenza presuntiva dello strumento, che si
sorreggerebbe su una presunzione legale relativa.
18 Le presunzioni e le prescizioni legali.
Ci si trova, dunque, dinanzi ad un accertamento basato su presunzioni la cui
definizione e disciplina si rinviene – come noto – nel codice civile. L‘art.
2727 afferma che ―Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il
giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato‖; il successivo
art. 2728 (―Prova contro le presunzioni legali‖) distingue tra presunzioni
legali relative (avverso le quali è ammessa la prova contraria) e presunzioni
legali assolute (contro le quali tale facoltà non è ammessa); infine, l‘art. 2729
disciplina le presunzioni semplici, cioè quelle lasciate alla prudente
valutazione del giudice, che le deve ammettere soltanto se gravi, precise e
concordanti.
Dalla lettura delle norme regolatrici, si ritraggono, ai fini che ci interessano,
alcuni principi generali applicabili anche al procedimento tributario:
- le presunzioni costituiscono metodi logici per raggiungere la prova di un
fatto non conosciuto;
- solo la legge può stabilire lo stravolgimento della dialettica processuale,
rovesciando l‘onere probatorio o limitandone l‘esplicazione, mediante la
introduzione di presunzioni (legali) relative o assolute;
- nel caso di presunzioni legali, al giudice è sottratto il vaglio critico del
valore probatorio delle stesse, essendo questo predeterminato dalla
legge;
47
Circ. Agenzia delle Entrate 12 marzo 2010, n. 12/E punto 8.3.
329
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
-
le presunzioni non stabilite dal legislatore possono essere valutate come
prova piena a favore di chi le ha addotte, soltanto se le stesse vengono
ritenute gravi, precise e concordanti dal giudice.
L‘Agenzia delle Entrate, già in più occasioni passate, aveva sostenuto
appunto che il redditometro costituisse una presunzione legale relativa,
comportando un ribaltamento dell‘onere probatorio a carico del contribuente,
che deve quindi fornire la prova contraria.
Del resto la Suprema Corte si è sempre pronunciata nello stesso senso,
ribadendo continuamente che la sola disponibilità dei beni ―indice‖
rappresenta una presunzione di ―capacità contributiva‖ da qualificare
―legale‖ ai sensi dell‘art. 2728 del codice civile, ―perché è la stessa legge
che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità la
esistenza di una capacità contributiva‖48.
19 Il vaglio critico del contribuente.
Ne consegue una situazione di obiettivo favore ―dialettico-processuale‖
dell‘Amministrazione, che trova la sua origine nella volontà del legislatore di
valutare in modo aprioristico determinati elementi, che non necessitano di
vaglio critico da parte del giudice49.
Sul punto la giurisprudenza è molto chiara ―…il giudice tributario, una volta
accertata l‘esistenza degli specifici elementi indicatori di capacità
contributiva esposti dall‘ufficio, non ha il potere di togliere a tali elementi la
capacità presuntiva contributiva che il legislatore ha connesso alla loro
disponibilità‖50; questo significa che il giudice non può valutare con
autonomo giudizio critico i risultati economici ai quali si perviene mediante
l‘applicazione del redditometro ai ―fattori-indice‖.
Da ciò deriva che la prova del contribuente non potrà incentrarsi sulla minore
redditività di un determinato ―elemento-indicatore‖, essendo tale risultato
economico frutto della presunzione predeterminata dalla legge (e quindi non
valutabile dal giudice), ma dovrà indirizzarsi verso altri elementi capaci di far
ritenere al giudice che il reddito presunto non esiste o esiste in misura
inferiore, ovvero che tale reddito presunto è costituito da redditi esenti o da
redditi soggetti a ritenute alla fonte (e ciò per espressa disposizione di legge).
Resta evidente come la prima circostanza di merito che il contribuente dovrà
vagliare criticamente è rappresentata proprio dal possesso degli elementi
48
Cass. sent. n.12187 del 26 maggio 2009; in senso conforme Cass. n. 22937 del 30
ottobre 2007.
49 Secondo Cassazione, sez. trib., 28 luglio 2006, n. 17202 ―La determinazione del
reddito effettuata in base al cosiddetto redditometro, dispensa l‘Amministrazione
finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti indice di maggior capacità
contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti alla base della pretesa
tributaria fatta valere‖: in senso conforme anche Cass. 1° luglio 2003, n. 10350; Cass.
19 aprile 2001, n. 5794.
50 Cass. 20 giugno 2007, n. 14367; Cass. 23 luglio 2007, n. 16284.
330
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
rivelatori di maggior capacità contributiva indicati: perché l‘esistenza di tali
elementi deve essere provata dall‘Amministrazione.
Laddove, quindi, quest‘ultima non fornisca prova sufficiente di un tanto, il
contribuente sarà tenuto a contestare in via preliminare tale carenza, sia per
motivi logici, sia per evitare preclusioni processuali51.
In concreto, quindi, la prima valutazione di merito (una volta eventualmente
contestata la legittimità della motivazione nel senso sopra tratteggiato), sarà
quella riguardante gli ―elementi-indice‖. In proposito si segnalano due
fattispecie che possono fornire un utile esempio di quale genere di
contestazione possa essere validamente sollevata.
Nel primo caso, il contribuente aveva eccepito la parziale inesistenza
dell‘‖elemento-indicatore‖, in quanto la superficie dell‘appartamento di
residenza era stata calcolata in eccesso dall‘Amministrazione. A causa di tale
errore, il maggior reddito accertabile in via presuntiva non si discostava per
almeno un quarto dal reddito effettivamente dichiarato dal contribuente e i
giudici di legittimità hanno, dunque, annullato l‘accertamento.
Nel secondo caso, il contribuente deduceva in giudizio che una delle
autovetture possedute, valutata come ―elemento-indicatore‖ di maggior
reddito era da considerarsi ―auto-storica‖ e andava quindi esclusa
dall‘accertamento sintetico in quanto non posseduta per soddisfare le
esigenze di circolazione52. Ma la Cassazione 53ha rigettato il ricorso di
parte, sostenendo che nel ―redditometro‖ non esiste alcuna disposizione che
legittimi tale interpretazione.
Queste due sentenze confermano i principi generali sopra tratteggiati, ossia:
- i valori aritmetici che scaturiscono dell‘applicazione del cosiddetto
redditometro non sono utilmente contestabili, perché predeterminati dalla
legge; di contro l‘esistenza e la consistenza degli elementi presupposti
possono essere oggetto di prova contraria;
- in entrambi i casi il contribuente ha sollevato contestazioni (documentali)
circa l‘esistenza degli ―elementi-indice‖ (la metratura dell‘abitazione,
l‘autovettura) e non già sulla valenza economica che tali elementi hanno sulla
determinazione del reddito.
51
Non si può, infatti, dimenticare che anche nel processo tributario vige il cosiddetto
principio di ―non contestazione‖ in virtù del quale – in analogia al processo civile –
ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto) un onore di
allegazione (e prova), l‘altra parte ha l‘obbligo di contestare il fatto allegato nella
prima difesa utile, dovendosi in mancanza ritenersi tale fatto pacifico e non più
gravata la parte che lo ha dedotto del relativo onere probatorio. Sulla applicabilità – e
sulla portata – di tale principio alla dialettica processuale tributaria Cassazione, 24
gennaio 2007, n. 1540.
52 A sostegno della propria tesi il contribuente citava un parere del Se.CI.T., reso su
istanza dell‘ASI (Automobil Club Storico Italiano), a giudizio del quale le auto e le
moto di interesse storico e collezionistico, ai sensi dell‘art. 60 del D.L. n. 285/1992,
dovevano ritenersi escluse dall‘applicazione del redditometro.
53 Cassazione, 22 gennaio 2007, n. 1294
331
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
20 Ancora sulla prova contraria del contribuente.
Anzitutto, il redditometro non è ammissibile quando non sussistono gli
elementi e circostanze di fatto sui quali l‘ufficio ha basato l‘accertamento
sintetico. In questi casi, la difesa del contribuente accertato consiste
nell‘eccepire e dimostrare ( subito) la carenza di presupposti della
presunzione legale: ad esempio, la non disponibilità dei beni ―indice‖ presi in
considerazione dall‘ufficio o l‘utilizzo degli stessi nell‘ambito dell‘attività
d‘impresa o di lavoro autonomo del contribuente (con conseguente rilevanza
fiscale degli stessi esclusivamente ai fini dell‘accertamento del reddito delle
rispettive categorie) o, ancora, la natura simulata dell‘atto di acquisto (a
copertura del prezzo di acquisto da parte di terzi.
Ma l‘illegittimità dell‘accertamento sintetico per difetto dei presupposti non è
l‘unica difesa possibile contro il redditometro, dato che – come riconosciuto
dalla giurisprudenza e dalla stessa prassi al contribuente è sempre concessa la
prova contraria54– ―non limitata a quella prevista dal comma 5 [ora comma
6, n.d.A.] dell‘art. 38 del d.p.r. n. 600/1973, e cioè che il maggior reddito
accertato è costituito da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte
a titolo di imposta‖. Essa consiste nel dimostrare, in maniera attendibile e
circostanziata, che il reddito presunto sulla base dei parametri legali (e
ministeriali) non esiste o esiste in misura inferiore55. Lo stesso Ministero
delle finanze ha affermato – già nel 1981 – che, oltre ai due casi
espressamente previsti dal comma 6 dell‘art. 38 del d.p.r. n. 600/1973,
―esistono altre ipotesi di valide eccezioni che il contribuente può opporre
all‘accertamento sintetico, quando è in possesso di proventi esclusi dalla
base imponibile‖ (citando, ad esempio, le somme riscosse a titolo di
risarcimento patrimoniale o percepite dai soci in seguito alla distribuzione dei
fondi di capitale costituiti con i sovraprezzo azionari) ed ha aggiunto che
―sono da considerare (inoltre) alcune eccezioni di fatto che…, seppure non
esplicitamente contemplate dalla legge si basano sulla logica delle cose e
consentono una valida contestazione delle induzioni formulate dall‘ufficio‖
(citando l‘esempio del coniuge accertato che giustifichi il suo presunto
maggiore reddito con le elargizioni dell‘altro coniuge, già regolarmente
tassate in capo a quest‘ultimo) 56.
Proprio alla prassi amministrativa si deve l‘elaborazione di un elenco (molto
utile ai contribuenti) delle situazioni di fatto idonee a contrastare il metodo
sintetico, che è andato nel tempo arricchendosi con l‘individuazione di nuove
fattispecie, come i disinvestimenti patrimoniali e gli atti di liberalità degli
ascendenti 57 o i redditi imponibili dichiarati dallo stesso contribuente
54
Si ricorda che la prova non data in sede amministrativa può essere sempre portata in
sede processuale (così Cass., sez.trib., 7 febbraio 2008, n. 2816)
55
Cass., sez. trib., sent. 18 giugno 2008, n. 16472 (in termini, cfr. Cass., sez. trib.,
sent. 29 agosto 2000, n. 11300).
56
Circolare Ministero delle finanze 14 agosto 1981, n. 27.
57
Circolare Ministero delle finanze 30 aprile 1999, n. 101/E.
332
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
accertato per gli anni precedenti i periodi di imposta presi in considerazione
dagli uffici58.
21 La necessità della prova documentale: puntualizzazioni e differenze
tra vecchia e nuova disciplina.
E‘ importante evidenziare che il comma 6 dell‘art. 38, nel momento in cui
riconosceva al contribuente la facoltà di dimostrare che il maggior reddito
determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da
redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta,
statuiva anche che ―l‘entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono
risultare da idonea documentazione‖.
E‘ pur vero che la giurisprudenza mitigava questa restrittiva statuizione
adottando il principio di ragionevolezza, ma non sono mancati casi in cui
della riferita statuizione è stata data una criticabilissima applicazione.
Ci si riferisce a un caso specifico e concreto in cui il contribuente aveva
contestato che l‘ufficio, nell‘applicazione del cosiddetto redditometro, non
aveva tenuto in considerazione la circostanza documentata che la suocera
conviveva con il proprio nucleo familiare e che, pertanto, anche il reddito di
costei doveva essere considerato ai fini di una valutazione del proprio reddito
complessivo.
La Suprema Corte, dopo aver ricordato che anche la circolare 30 aprile 1999,
n. 101 (sopra riportata) richiama l‘attenzione degli uffici sulla necessità di
procedere sempre ad un esame reddituale complessivo dell‘intero nucleo
familiare del contribuente, da un lato, ha affermato che il concetto di nucleo
familiare deve essere ristretto al coniuge convivente (e non legalmente
separato) ed ai figli (soprattutto minori)(!) e, dall‘altro, che non è possibile
desumere il possesso di redditi altrui dalla mera convivenza con un parente
diverso: tanto più, ha soggiunto la Corte, che nella fattispecie in esame, la tesi
del contribuente non era nemmeno confortata da prova documentale circa le
modalità di partecipazione al reddito familiare della suocera convivente59.
La sentenza richiamata appare ispirata a un formalismo per nulla
condivisibile. Infatti, anche prescindendo dalla immotivata nozione restrittiva
di nucleo familiare, il contribuente aveva provato documentalmente la
convivenza della suocera ed è pacifico che i soggetti conviventi possano
contribuire alla disponibilità di reddito del soggetto, concorrendo anche al
sostenimento delle spese o, in genere, venendo incontro ai bisogni della
famiglia.
La pretesa di ottenere prova documentale circa le modalità di partecipazione
del reddito del familiare convivente è infondata per due ragioni: in primo
luogo perché la lettera del ―vecchio‖ comma 6 prevedeva la prova
documentale solo per i redditi esenti e per quelli soggetti a ritenuta alla fonte
58
Circolare Agenzia delle Entrate 9 agosto 2007, n. 49/E e oggi anche il disposto
normativo.
59 Cassazione 28 luglio 2006, n. 17202.
333
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
a titolo di imposta e in secondo luogo perché essa imporrebbe al contribuente
di organizzare la propria vita familiare in modo complicatissimo per
rispettare la ricordata sentenza. Infatti soltanto prevedendo a priori (o, forse,
per iscritto con data certa?) la partecipazione del singolo alle spese familiari
si potrebbe soddisfare l‘onere probatorio richiesto!
Per altro, giova sottolinearlo, il legislatore, con la normativa dettata nel 2010,
non solo ha ampliato le possibilità di controprova a favore del contribuente prevedendo che il finanziamento della spesa può avvenire anche con redditi
diversi da quelli posseduti nello stesso periodo di imposta o comunque
legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile- ma ha eliminato il
riferimento alla ―idonea documentazione‖.
E‘ stato così sconfessato il rigore mostrato dal Supremo Collegio in una
sentenza peraltro criticata60.
22 Ancora sulla asserita presunzione legale e sulle controprove.
Tale modifica non può sminuire la portata dell‘accertamento sintetico, posto
che il vaglio critico degli elementi di prova spetta pur sempre al giudice con
ampie garanzie, quindi, anche per le ragioni dell‘Erario.
Al riguardo si possono svolgere alcune considerazioni.
In primo luogo si ricorda che la giurisprudenza è propensa a ritenere che la
prova contraria a una presunzione legale (ovviamente relativa) può essere
fornita con ogni mezzo: anche con presunzioni semplici purchè gravi e
precise, dato che ―la legge non pone alcun divieto alla ammissione della
prova per presunzioni al fine di contrastare una presunzione legale, valevole
sino a prova contraria. In tal caso spetta al giudice di apprezzare se prevalga
la presunzione legale, fondata su di una previsione di carattere generale,
ovvero altre presunzioni in senso opposto, le quali valgano a convincere, in
base alle particolari circostanze del caso concreto, che quella situazione di
carattere generale non ha influito nella determinazione dell‘evento‖61.
In materia tributaria, merita di essere segnalata la sentenza con la quale la
Suprema Corte – occupandosi della questione (per molti aspetti analoga a
quella in trattazione) della determinazione induttiva dell‘ammontare dei
ricavi e dei compensi sulla base dei coefficienti presuntivi di cui agli artt. 11
e 12 del D.L. 2 marzo 1989, n. 69 (cosiddetti parametri‖) – per di
salvaguardare il principio della capacità contributiva effettiva del soggetto
sottoposto a verifica – ha affermato che ―anche in ipotesi di legittima
utilizzazione dei coefficienti presuntivi da parte dell‘Amministrazione, è
sempre ammessa a carico del contribuente la prova della inapplicabilità dei
parametri al caso concreto; prova che può essere costituita, in assenza di
60
Si veda Cass. sez.trib., 20 marzo 2009, n. 6813, in Corr.trib., 2009, p.1588, con
nota critica di S. Muleo.
61 Cass., sez. I, 25 maggio 1972, n. 1659.
334
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
indicazioni normative specifiche contrarie, anche da presunzioni che il
giudice nel suo prudente apprezzamento può configurare e valutare‖62.
Orientamento che il Supremo Collegio ha, ancora di recente, confermato
statuendo, proprio in materia di accertamenti con i parametri e con gli studi di
settore, che ―il contribuente, nel giudizio di accertamento, ha la più ampia
facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici e il giudice può
liberamente valutare tanto l‘applicabilità degli standard al caso concreto, che
deve essere dimostrata dall‘ente impositore, quanto la controprova offerta dal
contribuente‖63.
Ma v‘è di più nel senso che la riduzione a un ―quinto‖ e a un anno solo ha
indebolito la presunzione legale relativa il che significa che i possibili scarti
dalla realtà possono essere più numerosi e più consistenti andando a colpire
capacità contributive superiori al reale.
E proprio per ciò non bisogna dimenticare che, allorquando la Corte
costituzionale nel 2004 (ord. n. 297), riconobbe la legittimità del
redditometro, statuì anche che ―era fatta salva la prova contraria del
contribuente‖ e quanto alla prova non pose limiti.
Conclusione corretta e condivisa dalla Corte di Cassazione per la quale ―il
contraddittorio è il mezzo più efficace per consentire un necessario
adeguamento della elaborazione parametrica alla concreta realtà reddituale
oggetto dell‘accertamento nei confronti di un singolo contribuente e cioè alla
sua capacità contributiva‖ (così Cass. sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635).
23 Alcune indicazioni concrete.
Accade, sovente, che il mancato pagamento del prezzo del simulato
acquirente (in genere figlio o coniuge dell‘apparente venditore) sia addotto in
giudizio come causa di non applicabilità del meccanismo presuntivo
disciplinato nel comma 5 del citato art. 38 del d.p.r. n. 600 del 1973, dato
che, in quel caso, non v‘è alcuna ―spesa‖ per incrementi patrimoniali da
potersi presumere sostenuta con redditi occulti all‘Erario. In merito alla prova
della eccepita simulazione e con specifico riferimento al pagamento del
prezzo (dichiarato nell‘atto di acquisto), la Corte di Cassazione ha ritenuto
che ―la prova negativa costituita dalla documentazione bancaria (quella
esibita non registrava né incassi da parte del ―venditore‖, né prelevamenti da
parte del ―compratore‖) è di per sé stessa inidonea a dimostrare la diversa
causa negoziale sottostante al contratto formalizzato, atteso che le risultanze
degli estratti conto non hanno alcuna attinenza certa e casualmente efficiente
rispetto all‘adempimento dell‘obbligazione del prezzo, nel negozio simulato
come oneroso che si assume celarne uno gratuito, atteso che la provvista
necessaria all‘adempimento del prezzo può provenire dalle tante altre fonti, e
può avere come sua destinazione tanti altri canali, non esauribili – né quelle,
62
Cass., sez. trib., 15 dicembre 2003, n. 19163.
63
Così Cass. sez. un., 18 dciembre 2009, n. 26635 in Dir.prat.trib, 2010, II, 229 e
ripubblicata nello stesso anno con nota di commento.
335
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
né questi – in quelli bancari‖64. In altra occasione, la Cassazione ha, però,
riconosciuto che, al fine della dimostrazione della non rispondenza al vero
della quietanza del prezzo contenuta nell‘atto simulato, la
controdichiarazione indicante l‘effettivo contenuto del rapporto può essere
opposta all‘Amministrazione finanziaria, a condizione (peraltro mancante nel
caso deciso dalla Suprema Corte) che tale atto rechi data certa anteriore al
giudizio65.
Se gli elementi e i fatti posti dall‘ufficio alla base della presunzione legale
non sono contestabili (e di conseguenza l‘accertamento sintetico è, sotto
questo profilo, legittimo) non resta al contribuente che l‘onere di dimostrare,
nel rispetto del principio dispositivo che governa il processo tributario66, che
il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore a quella accertata:
ciò mediante prove attendibili e circostanziate, documentali (preferibilmente)
o indirette (se si vuole dimostrare fatti materiali non suscettibili di prova
documentale) 67.
Ai fini della individuazione delle circostanze che il contribuente può
efficacemente allegare (e provare) per contrastare l‘accertamento sintetico, è
molto utile fare riferimento alle istruzioni dettate dall‘Amministrazione
finanziaria (da ultimo, con la circolare dell‘Agenzia delle entrate n. 49/E) per
consentire agli uffici locali della Agenzia delle Entrate di operare una ―attenta
selezione dei soggetti da sottoporre a controllo sulla base delle evidenti
manifestazioni di capacità contributiva. In tali direttive, si raccomanda agli
uffici di acquisire, nel corso della istruttoria, tutte le informazioni che, nelle
fasi successive alla emanazione dell‘accertamento sintetico, i contribuenti
potrebbero addurre come ―prova contraria‖ per vanificare il risultato delle
presunzioni legali utilizzate per la determinazione induttiva del maggiore
reddito.
Nell‘elenco delle situazioni che gli uffici devono preventivamente valutare
rientra, ad esempio, la posizione reddituale (attuale e pregressa) dei
familiari68 del contribuente, dato che – come ha di frequente riconosciuto la
Cass., sez. trib.,17 giugno 2002, n. 8665, la quale ha anche affermato che ―l‘onere
della prova contraria a quella fornita dall‘Amministrazione grava sul contribuente che
intende affermare – in via incidentale – la simulazione del contratto, non sull‘ufficio,
né può – in mancanza del suo retto esercizio – essere surrogato dal giudice‖.
65 Cass., sez. trib., sent. 13 giugno 2005, n. 12671.
64
66
Obbligatoriamente, nel caso in cui il contribuente deduca il possesso di redditi
esenti o soggetti a ritenuta d‘imposta.
67 Basti pensare alla convivenza di un soggetto non facente parte del nucleo familiare
naturale (ad esempio, un affine o un estraneo) che ben può costituire la base (il
cosiddetto ―fatto noto‖) di un ragionamento induttivo dal quale ricavare la prova del
contributo (raramente documentato) di tale soggetto alle ―piccole‖ spese per la
gestione ordinaria del bene o dei beni presi in considerazione dall‘ufficio come beni
rivelatori di maggiore capacità contributiva.
68 In questo senso, si veda ex multis la sent. n. 11300/2000 (già citata), sulla idoneità al
superamento della presunzione derivante dal possesso di una abitazione della
336
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
giurisprudenza tributaria – gli elementi rivelatori di maggior capacità
contributiva possono trovare spiegazione nella potenzialità di spesa degli altri
componenti del nucleo familiare. In proposito, anche se la prassi
amministrativa insiste nel dare rilevanza ai soli legami coniugali e parentali,
si ritiene che non abbia più senso negare la medesima valenza induttiva alla
mera convivenza (tra soggetti che non siano legati da vincoli familiari): in
effetti tale circostanza, nella normalità dei casi, genera (e spesso trae origine
da) una propensione alla condivisione delle spese per l‘utilizzo di beni
rivelatori di capacità contributiva, a prescindere dalla titolarità degli stessi; è,
pertanto, innegabile che, se idoneamente dimostrata, la convivenza – secondo
l‘id quod plerumque accidit – sia idonea a giustificare la congruità del reddito
dichiarato da uno dei conviventi.
Gli uffici devono, poi, tenere conto di eventuali fatti che abbiano messo il
contribuente (e i suoi familiari) nella condizione di disporre delle somme di
denaro utilizzabili per spese o investimenti: operazioni di disinvestimento
patrimoniale, donazioni o eredità ricevute sotto forma di denaro, concessione
di finanziamenti69. Quindi, anche se se il contribuente non è in grado di
provare direttamente che le somme ricavate da tali operazioni sono state
utilizzate per mantenere il possesso o provvedere all‘acquisto dei beni
―indice‖, è ragionevole ritenere che il giudice tributario, nel suo prudente
apprezzamento, reputi tale presunzione prevalente rispetto alle risultanze del
redditometro70.
In conclusione, a noi pare che le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza
tributaria (con qualche eccezione) e dalla prassi amministrativa (con una
comprensibile prudenza) vadano nella direzione di riconoscere al
contribuente sottoposto ad accertamento sintetico la più ampia facoltà di
fornire la prova contraria al ―redditometro‖, nella prospettiva di
raggiungere il vero obiettivo dell‘accertamento tributario, che è quello di
individuare la reale capacità contributiva del soggetto controllato. Come ha
osservato la Corte di Cassazione, ciò non significa ―disconoscere
l‘importantissimo ausilio che può derivare dagli strumenti presuntivi, che non
possono però avere effetti automatici, che sarebbero contrastanti con il
dettato costituzionale, ma che richiedono un confronto con la situazione
circostanza che ―negli anni contestati il nucleo familiare era composto anche dalla
nonna e dal figlio, entrambi percettori di redditi …tali da garantire al contribuente
accertato ed alla sua famiglia una dignitosa sussistenza‖.
69 Ma, ad esempio, nel caso della cessione di titoli (azioni, fondi comuni di
investimento, eccetera) o della erogazione di finanziamenti è chiaro che tali
operazioni possono essere riscontrate anche dai conti di deposito dei titoli negoziati o
dai conti correnti bancari.
70 Il generico richiamo ai proventi di una vendita immobiliare da parte della figlia del
contribuente accertato è stato invece ritenuto insufficiente da Cass., sez. trib., 9
agosto 2006, n. 17985, ma – in quel caso – la cessione era successiva ai periodi di
imposta accertati; era pertanto ragionevole pretendere che venisse quantificata e
provata la effettiva incidenza di tale disinvestimento sulla capacità di spesa del padre.
337
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
concreta‖.71: confronto, dal quale lo strumento presuntivo utilizzato dal fisco
potrà risultare anche vincente, ma solo dopo aver consentito alla giustizia
tributaria di valutare l‘inattendibilità degli elementi forniti dal contribuente.
24 Il contraddittorio anticipato.
Il nuovo art. 38 stabilisce che l‘ufficio che intenda determinare sinteticamente
il reddito complessivo ―ha l‘obbligo di invitare il contribuente a comparire di
persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai
fini dell‘accertamento e, successivamente, di avviare il procedimento di
accertamento con adesione ai sensi dell‘art. 5 del D.Lgs. 19 giugno 1997, n.
218‖.72.
Anteriormente alla novella normativa, il legislatore si limitava a riconoscere
al contribuente la facoltà di ―dimostrare, anche prima della notificazione
dell‘accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile
sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi
soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d‘imposta‖, specificando che l‘entità di
tali redditi e la durata del loro possesso dovevano risultare da ―idonea
documentazione‖.
Si tratta, quindi, di una lodevole novità che supera l‘orientamento negativo di
una giurisprudenza autorevole, e ancora recente, secondo la quale
l‘amministrazione poteva effettuare accertamenti sintetici in assenza di
qualsivoglia contradditorio preventivo73.
Il definitivo riconoscimento dell‘obbligatorietà del contraddittorio anticipato
è una soluzione condivisibile, in linea con le statuizioni dello Statuto del
contribuente e con l‘orientamento giurisprudenziale formatosi in materia di
parametri e studi di settore, oltre che con l‘esigenza di non applicare in modo
automatico l‘accertamento sintetico74.
D‘altro canto, posto che gli uffici hanno la possibilità di elevare avvisi di
accertamento sulla base di tutte le spese sostenute dal contribuente durante
l‘anno, al fine di operare una ricostruzione ragionevole si rende
inevitabilmente necessario acquisire preventivamente informazioni dal
contribuente stesso, in quanto unico soggetto in grado di fornire ragguagli
sulle concrete modalità grazie alle quali dette spese sono state finanziate.
71
Cass., sez. trib., n. 19163/2003 (già citata).
72
Si veda G. RAGUCCI, Il nuovo accertamento sintetico tra principio del
contraddittorio e garanzie del giusto processo, in Corr.trib., 2010, pp. 380 sg.
73 Si veda Cass. sez. trib,, 27 marzo 2010, n. 7485.
74
Le sentenze delle SS.UU. della Corte di cassazione nn. 26635, 26636, 26637, 26638
del 2009 hanno sottolineato che il contraddittorio rappresenta un ―elemento
essenziale‖ del giusto procedimento amministrativo e che esso costituisce il mezzo
più efficace per adeguare le elaborazioni parametriche (e lo stesso può dirsi con
riferimento alle elaborazioni statistiche alla base del redditometro) al dato reddituale
effettivo del contribuente (nello stesso senso si veda Cass. 7 febbraio 2008, n. 2816 e
28 luglio 2006, n. 17229).
338
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
Ben si intende che la legge richiede che si giustifichino le spese riscontrate
dall‘ufficio non il reddito dichiarato.
Secondo la formulazione legislativa, il contribuente può dimostrare che tale
finanziamento è avvenuto con le disponibilità monetarie provenienti da
redditi:
— diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d‘imposta;
— esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta;
— legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile.
Come si è detto, tale prova riguarda la parte delle spese che non sia stata
coperta da indebitamento, da smobilizzi patrimoniali o da entrate patrimoniali
straordinarie (eredità, donazioni, vincite, risarcimenti di danni di natura
personale o patrimoniale, ecc.); per comodità questa entità viene chiamata
«spesa netta» effettivamente sostenuta nel periodo d‘imposta.
Al contraddittorio anticipato è, perciò, assegnato il delicato ruolo di
controbilanciare la estrema rigidità del meccanismo alla base del novellato
art. 38 e la scarsa affidabilità dei risultati ottenibili limitandosi a presumere
che tutte le spese sostenute nell‘anno siano state finanziate grazie a redditi
conseguiti nel medesimo anno.
E‘ dunque opportuno delineare le potenziali dinamiche che potrebbe
assumere il procedimento accertativo.
A) Qualora l‘ufficio non attivi il contraddittorio anticipato ed elevi un
accertamento sintetico, si deve ritenere che il provvedimento debba essere
giudicato illegittimo. La norma, infatti, stabilisce in modo chiaro che
―l‘ufficio … ha l‘obbligo‖ di attivare il contraddittorio anticipato.
Del resto, se così non fosse, gli uffici potrebbero omettere l‘attivazione del
contraddittorio senza alcuna conseguenza, in aperto contrasto altresì con i
principi dettati dall‘art. 10 dello Statuto dei diritti del Contribuente, in forza
del quale, ―i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono
improntati al principio della collaborazione e della buona fede‖.
B) Per altro, qualora l‘ufficio attivi il contraddittorio anticipato e il
contribuente non dia seguito all‘invito (o vi dia seguito solo in modo
parziale), si deve ritenere che a quest‘ultimo non sia preclusa, nell‘eventuale
fase contenziosa, la possibilità di proporre e valorizzare argomenti, dati e
documenti non illustrati in precedenza75: nell‘art. 38 non si riviene, infatti,
alcuna ipotesi decadenziale mentre le ipotesi di decadenza debbano essere
previste per legge76.
Sul punto si veda L.TOSI, Condizioni e limiti dell‘efficacia probatoria del
redditometro, in Rass..Trib., 1989, I, 428; Id., Le predeterminazioni normative
nell‘imposizione reddituale, Milano, 1999, 386 sg. e anche la giurisprudenza citata.
76 Per alcuni casi di applicazione di tale principio in ambito tributario vd. le sentenze
della Corte di cassazione 30 giugno 2009, n. 15307; 7 febbraio 2008, n. 2849; 1°
aprile 2003, n. 4966.
75
339
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
Tant‘è che, nelle citate sentenze delle SS.UU. della Corte di Cassazione, è
stato riconosciuto che ―l‘esito del contraddittorio endoprocedimentale non
condiziona…la impugnabilità dell‘accertamento innanzi al giudice tributario,
al quale il contribuente potrà proporre ogni eccezione (e prova) che ritenga
utile alla sua difesa, senza essere vincolato alle eccezioni sollevate nella fase
del procedimento amministrativo, e anche nel caso in cui egli all‘invito al
contraddittorio non abbia risposto, restando inerte‖.77.
C) Infine, v‘è da chiedersi cosa accada se l‘ufficio attivi il contraddittorio
anticipato e il contribuente risponda all‘invito, proponendo elementi a
sostegno della infondatezza del maggior reddito determinato sinteticamente.
Qualora l‘ufficio condivida tali elementi ed archivi la posizione, va da sé che
non si pongono problemi. Diversamente, se l‘ufficio decida comunque di
elevare l‘avviso di accertamento, dovrà illustrare nella motivazione, a pena di
nullità, le ragioni che lo hanno condotto a non accogliere le difese del
contribuente.
Se così non fosse l‘istituto del contraddittorio anticipato verrebbe svilito e
trasformato in un passaggio formale, poiché gli uffici avrebbero la possibilità
di respingere qualunque argomentazione, anche in modo pretestuoso e senza
curarsi di affrontare ed approfondire gli elementi proposti dal contribuente.
Anche con riferimento a tale punto si possono ricordare le citate sentenze
della Corte di Cassazione a SS.UU., nn. 26635, 26636, 26637, 26638 del
2009, che hanno specificato che ―la motivazione dell‘atto di accertamento
non può esaurirsi nel mero rilievo del predetto scostamento dai parametri,
ma deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per
le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in
sede di contraddittorio‖.
Similmente, e proprio con specifico riferimento agli accertamenti reddito
metrici, la Corte di Cassazione, nella sentenza 22 febbraio 2008, n. 4624, ha
giudicato illegittimo per difetto di motivazione un avviso di accertamento che
non conteneva una ―adeguata replica alle deduzioni del contribuente, che
giustificano il reddito dichiarato in misura inferiore a quanto emerge dal
redditometro‖.
Un‘ultima modifica apportata con il D.L. n. 78/2010 riguarda l‘eliminazione
della possibilità per l‘ufficio di procedere ad accertamento sintetico ove il
contribuente non abbia ottemperato agli inviti di cui all‘art. 32, comma 1, n.
1, 3) e 4) del d.P.R. n. 600/1973. Anche questa statuizione conferma
l‘assenza di finalità sanzionatorie dell‘accertamento sintetico e la sua natura
77
La Suprema Corte, tuttavia, verosimilmente con la finalità di rafforzare la funzione
del contraddittorio, mette ―in guardia‖ i contribuenti che intendano non partecipare al
contraddittorio, evidenziando che ―naturalmente, il giudice potrà valutare nel quadro
probatorio questo di tipo di comportamento (la mancata risposta) mentre l‘Ufficio
potrà motivare l‘accertamento sulla sola base dell‘applicazione dei parametri dando
conto della impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante
il rituale invito‖.
340
LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO
di strumento finalizzato alla ricostruzione della capacità contributiva del
soggetto passivo accertato.
E invero, come già scriveva anni fa la più autorevole dottrina ―la
determinazione sintetica non è licenza di determinazioni arbitrarie, ma
sempre una ricerca del reddito effettivamente prodotto da quel contribuente,
in quel periodo di imposta, sorretta da precisi elementi di fatto, da
argomentazioni logiche e da criteri di comune esperienza‖. 78.
Gianni Marongiu
78
Così F. MOSCHETTI Avvisi di accertamento tributario e garanzie del cittatini in Dir.
prat. trib., 1983, I, 1924: e anche A. FANTOZZI, L‘accertamento sintetico ed i
coefficienti presuntivi di reddito, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1985, I, 459.
341
Prof. Giuseppe Melis
La disciplina delle notificazioni degli atti ai
soggetti residenti all‟estero
1 Introduzione.
Il tema della notificazione degli atti ai soggetti residenti all‘estero trova
possibili referenti a livello sia costituzionale, sia dello Statuto dei diritti del
contribuente.
Quanto al profilo costituzionale, viene evidentemente in rilievo l‘art. 24 Cost.
sul diritto di difesa, che la notificazione, assicurando la conoscibilità
dell‘atto, è finalizzata a garantire.
Quanto allo Statuto dei diritti del contribuenti, vengono in rilievo sia l‘art. 6,
co. 1, sia l‘art. 14, rispettivamente per il profilo della ―notificazione‖ e per
quello del destinatario ―contribuente non residente‖.
L‘art. 6, rubricato ―Conoscenza degli atti e semplificazione‖, prevede
infatti che ―L'amministrazione finanziaria deve assicurare l'effettiva
conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati‖.
L‘art. 14 intende invece agevolare quei contribuenti i quali, proprio in quanto
dimorino abitualmente (o comunque, nel caso di soggetti diversi dalle
persone fisiche, siano stabiliti) all‘estero, si trovino in una posizione di
svantaggio sia in relazione al profilo ―conoscitivo‖ della normativa tributaria
(compresi quei soggetti che contribuenti ancora non sono, ma che siano
eventualmente interessati a conoscere la normativa tributaria applicabile a
operazioni da effettuare in Italia), sia in relazione all‘adempimento di tutti
quegli obblighi di natura strumentale (quali: l‘attribuzione del codice fiscale,
la presentazione delle dichiarazioni, il versamento delle imposte, ecc.)
correlati al rapporto impositivo. Tale finalità di ―compensare‖ lo svantaggio
in cui si trova un contribuente per il fatto di risiedere all‘estero, alla base
della specifica previsione di cui all‘art. 14 Statuto, non può non venire in
rilievo anche nel momento ―patologico‖ del rapporto impositivo allorquando
si tratti di portare a conoscenza del contribuente il contenuto di particolari
atti.
Nonostante la portata ed importanza dei suddetti referenti, una disciplina
costituzionalmente conforme della notificazione degli atti ai soggetti non
residenti ha tuttavia tardato a farsi strada e comunque appare, allo stato,
tuttora incompiuta.
LA DISCIPLINA DELLE NOTIFICAZIONI DEGLI ATTI AI SOGGETTI RESIDENTI
ALL‘ESTERO
2 La disciplina
costituzionale.
positiva
prima
dell‟intervento
della
Corte
Come noto, l‘art. 60 d.p.r. n. 600/73 rinvia alle norme di cui agli artt. 137 ss.
c.p.c., stabilendo, tra l‘altro, che la notificazione deve avvenire nel domicilio
fiscale del contribuente salvo la consegna in mani proprie (lett. c); che il
contribuente ha facoltà di eleggere domicilio per la notificazione degli atti o
degli avvisi presso una persona o un ufficio nel comune del proprio domicilio
fiscale (lett. d); che, quando nel comune nel quale deve eseguirsi la
notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l‘avviso
del deposito prescritto dall‘art. 140 c.p.c. si affigge nell‘albo del comune e la
notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per
eseguita nell‘ottavo giorno successivo a quello di affissione (lett. e).
L‘art. 60, 1° co., lett. f), esclude poi l‘applicabilità dell‘art. 142 c.p.c., norma
che, nei casi di notificazione a persona ―non residente, né dimorante, né
domiciliata nella Repubblica‖, prevede che l‘atto sia notificato mediante
affissione di copia nell‘albo dell‘ufficio giudiziario davanti al quale si
procede e mediante spedizione di altra copia al destinatario per mezzo della
posta in piego raccomandato e che una terza copia sia consegnata al pubblico
ministero che ne cura la trasmissione al Ministero degli affari esteri per la
consegna alla persona alla quale è diretta.
Il sistema notificatorio attuale del c.p.c. nei confronti dei soggetti residenti
all‘estero presenta invece il seguente ordine obbligatorio: 1) procedimenti
notificatori previsti dal regolamento comunitario CE n. 1348/00, che
espressamente esclude dal proprio campo di applicazione la materia fiscale;
2) ricorso ad uno dei procedimenti previsti dalla convenzione dell‘Aja, se
applicabile, o da altra eventuale convenzione bilaterale sottoscritta dall‘Italia;
3) ricorso ai sensi degli artt. 30 e 75 della cd. ―legge consolare‖ (d.p.r. n.
200/1967); 4) affissione di copia dell‘atto nell‘albo dell‘ufficio giudiziario
davanti al quale si procede, spedizione di una copia dell‘atto per mezzo posta,
in piego raccomandato, spedizione di altra copia al p.m., per il tramite del
Ministero degli affari esteri ( 1).
Tanto premesso, la mancata applicabilità in ambito tributario della procedura
di cui all‘art. 142 c.p.c è suscettibile di creare rilevanti problemi di
conoscibilità degli atti impositivi ai soggetti non residenti poiché,
identificandosi il domicilio fiscale con il luogo nel quale si è prodotto il
maggior reddito o, per i soggetti diversi dalle persone fisiche non residenti,
con quello nel quale si è esercitata prevalentemente la propria attività, è
frequente che tale notificazione si concluda con esito negativo e che pertanto
operi il criterio residuale dell‘affissione dell‘avviso del deposito prescritto
dall‘art. 140 c.p.c. nell‘albo del comune.
1
Si veda la ―Guida alla notifica all‘estero degli atti giudiziari ed extragiudiziari in
materia civile e commerciale‖ a cura del Ministero degli Affari Esteri, D.G.I.E.P.M. –
Uff. IV.
344
LA DISCIPLINA DELLE NOTIFICAZIONI DEGLI ATTI AI SOGGETTI RESIDENTI
ALL‘ESTERO
Alla problematica della mancata conoscenza da parte del soggetto non
residente dell‘atto notificato, l‘Amministrazione finanziaria ha inteso porre
rimedio invitando gli uffici a comunicare i propri atti al destinatario al suo
indirizzo estero reperibile presso l‘AIRE o comunque conosciuto
dall‘amministrazione stessa (2), sia pure non riconoscendo alcun valore
vincolante a tale procedura; mentre la giurisprudenza ha operato
un‘applicazione assai rigida della normativa, sia a favore del Fisco (3), che
contro di esso (4).
La questione di legittimità costituzionale era stata più volte sollevata dinanzi
al giudice delle leggi, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., in ipotesi di
contribuenti cui erano stati notificati avvisi di accertamento e/o cartelle
esattoriali mediante l‘affissione del deposito nell‘albo comunale, senza che
fosse stato pertanto possibile impugnarli nei termini di legge.
In tal caso, si trattava peraltro di soggetti iscritti all‘AIRE, sicché l‘indirizzo
della relativa abitazione sarebbe stato di agevole ―conoscibilità‖, presupposto
per l‘applicabilità dell‘art. 142 c.p.c. (5): l‘art. 2, l. n. 470/1988 prevede,
infatti, che l‘ufficiale di anagrafe annota sulle schede individuali l‘indirizzo
all‘estero ―comunicato dall‘interessato o comunque accertato‖ e pone a carico
dell‘interessato l‘obbligo di comunicare eventuali variazioni (art. 6, 2° co., l.
n. 470/1988).
La Corte costituzionale (6) si era tuttavia inizialmente pronunziata nel senso
dell‘inammissibilità della questione sollevata, ritenendo che la censura
dovesse investire l‘intero sistema della notificazione al soggetto non
residente, comprendente sia le disposizioni sulla notificazione tributaria – in
specie, gli artt. 58, 1° e 2° co., e 60, 1° co., lett. c) ed e) d.p.r. n. 600/73 – sia
quella dell‘art. 60, 1° co., lett. f) d.p.r. 600/73 sull‘esclusione dell‘art. 142
c.p.c., mentre in entrambi i casi ciò era avvenuto soltanto con riferimento a
parte delle disposizioni sopra richiamate, risolvendosi pertanto il tutto
nell‘erronea indicazione della norma censurata.
La Corte aveva peraltro lasciato trasparire la non conformità del sistema della
notificazione ai principi costituzionali, richiamando anche il principio di non
discriminazione del diritto comunitario e il citato art. 6, 1° co. dello Statuto
dei diritti del contribuente.
2
Circolare Agenzia delle Entrate 27 Gennaio 2000, n. 16/E.
3
Cass., 28 giugno 1980, n. 4086; Cass., 25 gennaio 2002, n. 906; Cass., 23 Giugno
2003, n. 9922; Cass., 26 giugno 2003, n. 10189; Cass., 27 novembre 2006, n. 25095.
4
Nel senso di ritenere inesistente la più garantistica notifica avvenuta tramite il
Consolato d‘Italia, Cass., 25 settembre 1996, n. 8456.
5
Cass., 28 marzo 1991, n. 3358.
6
Corte Cost., Ord. 18 dicembre 2001, n. 417; Corte Cost., Ord. 26 maggio 2006, n.
210.
345
LA DISCIPLINA DELLE NOTIFICAZIONI DEGLI ATTI AI SOGGETTI RESIDENTI
ALL‘ESTERO
Con riferimento a tale ultima disposizione, la giurisprudenza ne aveva
tuttavia negato qualsiasi portata in ordine alla soluzione del problema delle
notificazioni ai soggetti non residenti (7).
Nel frattempo, mentre i giudici di merito rimettevano nuovamente la
questione di legittimità costituzionale alla Corte – questa volta prospettando
correttamente il sistema normativo rilevante – il legislatore interveniva in
materia, aggiungendo con d.l. n. 223/2006 conv. dalla l. n. 248/2006, la
lettera e-bis) all‘art. 60, 1° co. d.p.r. n. 600/73 e prevedendo che ―è facoltà
del contribuente che non ha la residenza nello Stato e non vi ha eletto
domicilio ai sensi della lettera d), o che non abbia costituito un rappresentante
fiscale, comunicare al competente ufficio locale, con le modalità di cui alla
stessa lettera d), l‘indirizzo estero per la notificazione degli avvisi e degli altri
atti che lo riguardano; salvo il caso di consegna dell‘atto o dell‘avviso in
mani proprie, la notificazione degli avvisi o degli atti è eseguita mediante
spedizione a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento‖. In tal
caso l‘elezione di domicilio ha effetto dal trentesimo giorno successivo dalla
comunicazione.
Tale disposizione – peraltro introdotta a seguito dell‘apertura di una
procedura di infrazione da parte della Commissione Europea secondo cui la
disciplina previgente si poneva in violazione del principio di non
discriminazione e comunque non priva di specifici problemi sul piano
applicativo (8) – non era tuttavia idonea a risolvere la questione
costituzionale, sia per la sua valenza soltanto pro futuro, sia per la circostanza
che essa si risolve pur sempre in una facoltà, sicché dal suo mancato
esercizio non possono farsi discendere conseguenze negative per il
contribuente (9).
Lo stesso deve in realtà affermarsi per quanto attiene all‘art. 60-bis d.p.r. n.
600/73, rubricato ―Assistenza per le richieste di notifica tra le autorità
competenti degli Stati membri dell‘Unione Europea‖ ed introdotto in
esecuzione della direttiva 2003/93/CE del 7 ottobre 1993 relativa alla
reciproca assistenza tra le autorità competenti degli Stati membri nel settore
delle imposte dirette ed indirette, che si risolve anch‘esso in una mera facoltà
(nella specie, di richiedere all‘amministrazione finanziaria dell‘altro Stato
membro di notificare determinati atti secondo le regole dello Stato richiesto).
7
V. Cass., 23 giugno 2003, n. 9922, che conferma la procedura di cui all‘art. 60, lett.
e), ritenendo che tale disciplina sia stata tenuta ferma anche dallo Statuto del
contribuente di cui alla l. 212/2000 (art. 6, 1° co.); in senso conforme, Cass., 27
novembre 2006, n. 25095.
8
D. PLACIDO, La notifica ai soggetti non residenti. Disarmonie tra giurisprudenza
della Suprema Corte e recenti interventi normativi, in Il Fisco, 2007, 114.
9
C. GLENDI, Torna alla Corte costituzionale la questione delle notifiche all‘estero, in
GT Rivista di giurisprudenza tributaria, 2006, 1017.
346
LA DISCIPLINA DELLE NOTIFICAZIONI DEGLI ATTI AI SOGGETTI RESIDENTI
ALL‘ESTERO
3 L‟intervento prima della Corte costituzionale e poi del legislatore con
d.l. n. 40/2010.
Con sentenza n. 366/2007, la Corte Costituzionale ha infine dichiarato
l‘illegittimità costituzionale degli artt. 58 e 60 d.p.r. n. 600/73 per violazione
degli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui prevedono che nel caso di notifica ad
un contribuente residente all‘estero iscritto all‘AIRE non debbano essere
applicate le disposizioni di cui al citato art. 142 c.p.c.
Il sistema normativo censurato non garantirebbe infatti al notificatario non
più residente l‘effettiva conoscenza degli atti a lui destinati, senza che a tale
diminuita
garanzia
corrisponda
un
apprezzabile
interesse
dell‘Amministrazione finanziaria notificante a non subire eccessivi aggravi
nell‘espletamento della procedura notificatoria, potendo l‘amministrazione
finanziaria espletare la non troppo gravosa procedura di notifica presso la
residenza estera risultante dall‘AIRE.
Inoltre, secondo la Corte, alle modifiche apportate al sistema delle
notificazioni dal d.l. n. 223/2006, conv. dalla l. n. 248/2006, può assegnarsi la
sola funzione di ―ampliare le possibilità di effettiva conoscenza, da parte del
destinatario dell‘atto‖, seguendo la diversa via della spedizione a mezzo di
lettera raccomandata con avviso di ricevimento all‘indirizzo estero indicato
dal contribuente, di talché, ―nel caso di iscrizione del contribuente nell‘AIRE,
l‘applicazione della disciplina censurata dal rimettente resta circoscritta
all‘ipotesi in cui il contribuente abbia omesso di indicare al competente
ufficio locale l‘indirizzo estero per la notificazione degli atti tributari‖ (10).
Il legislatore è nuovamente intervenuto sulla disciplina delle notificazioni con
il d.l. n. 40/2010 (conv. dalla L. n. 73/2010), aggiungendo i nuovi commi 4 e
5 all‘art. 60.
Essi prevedono che – fatto salvo quanto previsto dai precedenti commi e ―in
alternativa‖ a quanto previsto dall‘art. 142 c.p.c. – la notificazione ai
contribuenti non residenti è validamente effettuata mediante spedizione di
lettera raccomandata con avviso di ricevimento all‘indirizzo della residenza
estera rilevato dai registri dell‘AIRE o a quello della sede legale estera
risultante dal registro delle imprese di cui all‘articolo 2188 c.c.; che in
mancanza dei predetti indirizzi, la spedizione della raccomandata a.r. è
effettuata all‘indirizzo estero indicato dal contribuente nelle domande di
attribuzione del numero di codice fiscale o variazione dati; che in caso di
esito negativo della notificazione si applicano le disposizioni di cui al comma
1, lett. e) (affissione all‘albo comunale); infine, che la notificazione ai
contribuenti non residenti così effettuata è valida qualora i medesimi non
abbiano comunicato all‘Agenzia delle entrate l‘indirizzo della loro residenza
o sede estera o del domicilio eletto per la notificazione degli atti e le
10
Si veda, a seguito della sentenza della Consulta, Comm. Trib. Prov. Avellino, 19
gennaio 2010, n. 40.
347
LA DISCIPLINA DELLE NOTIFICAZIONI DEGLI ATTI AI SOGGETTI RESIDENTI
ALL‘ESTERO
successive variazioni. Viene inoltre previsto che le nuove disposizioni in
materia di notificazioni operino anche ai fini della riscossione.
Il d.l. n. 40/2010 individua dunque le fonti da cui evincere l‘indirizzo estero
del contribuente non residente; fa salvo quanto previsto dal comma 1 (tra cui
la facoltà di comunicare l‘indirizzo estero per le notifiche, di cui alla lett. ebis, il cui esercizio preclude l‘applicazione della nuova procedura); prevede
espressamente l‘applicabilità, in alternativa alla nuova procedura, dell‘art.
142 c.p.c..
4 Conclusioni.
La pronunzia di incostituzionalità della normativa sulla notificazione ai
soggetti non residenti e l‘adeguamento normativo di cui al d.l. n. 40/2010 non
risultano ancora pienamente soddisfacenti.
In primo luogo, se il presupposto è la ―conoscibilità‖, va ricordata quella
giurisprudenza di legittimità secondo cui nel caso in cui nelle risultanze
anagrafiche dell‘AIRE manchi l‘indirizzo, il notificante debba esperire, prima
di ricorrere all‘art. 143 c.p.c., ulteriori ricerche avvalendosi dell‘ufficio
consolare di cui all‘art. 6, l. n. 470/88 (11), ciò che si porrebbe in contrasto
con la tassatività delle fonti di cognizione indicate dal d.l. n. 40/2010.
In secondo luogo, la ―conoscibilità‖ prescinde dalla cittadinanza del soggetto
e dalla sua iscrizione all‘AIRE, di talché non pare potersi confinare i profili
di incostituzionalità relativi alla inapplicabilità dell‘art. 142 c.p.c. solo a tali
casi di iscrizione all‘AIRE, previa l‘irragionevole parificazione di soggetti
stranieri (il cui indirizzo potrebbe essere finanche noto all‘Amministrazione
finanziaria e risultare da fonti diverse dalle domande di attribuzione del
numero di codice fiscale o dalla variazione dati contemplate dal d.l. n.
40/2010) a quella dei destinatari ―irreperibili‖: è vero che il d.l. n. 40/2010
riconosce adesso la generale applicabilità dell‘art. 142 c.p.c., ma ciò avviene
solo ―in alternativa‖ alla procedura indicata nei nuovi commi 4 e 5.
In terzo luogo, la diversa disciplina prevista per i cittadini UE non residenti in
Italia potrebbe costituire una discriminazione vietata ai sensi del Trattato UE,
e quindi dovrebbe quanto meno imporre il ricorso allo scambio di
informazioni per conoscere l‘indirizzo estero del contribuente (anche
mediante diretta interrogazione del sistema cd. VIES per i soggetti dotati di
un numero di identificazione IVA) ovvero alla richiamata procedura di cui
all‘art. 60-bis, d.p.r. n. 600/73, che si ritiene essere stata erroneamente
configurata dal nostro legislatore come facoltativa anziché obbligatoria (12).
Giuseppe Melis - Università degli Studi del Molise
11
Cass., SS.UU., 10 maggio 2002, n. 6737.
12
S. DORIGO, La notifica degli atti tributari all‘estero nella prospettiva comunitaria
dopo la sentenza n. 36/07 della Corte costituzionale, in Rivista di diritto
internazionale, 2008, 465.
348
Avv. Alessandra Mereu
La tutela penale della riscossione tributaria
Sommario. 1. Premessa. 2. La tutela penale della riscossione coattiva: il
nuovo volto dell‘avviso di accertamento nella prospettiva del reato di
sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. 2.1. Le novità introdotte
dal d.l. n. 78/2010: le circostanze aggravanti. 2.2. (segue) Il falso nella
transazione fiscale. 3. La tutela penale della riscossione volontaria: l‘omesso
versamento di ritenute certificate, l‘omesso versamento Iva e l‘indebita
compensazione. 4. Conclusioni. I reati di cui al d. lgs. n. 1559/1947: il delitto
di promozione di intese o accordi finalizzati alla disobbedienza fiscale, il
delitto di pubblica istigazione alla disobbedienza fiscale e l‘interruzione o
turbativa dei servizi di accertamento o riscossione delle imposte.
1 Premessa.
L‘Erario si trova oggi a dover fare i conti con sistemi sempre più evoluti e
sofisticati di evasione dei tributi, la cui repressione impone uno sforzo
continuo e costante di fornirsi di sempre più adeguati strumenti di tutela. La
progressiva globalizzazione dell‘economia, con la conseguente traslazione su
scala europea delle coordinate spaziali del nuovo ―mercato unico‖, ha inoltre
inevitabilmente portato ad un cambiamento dei confini della ―scena del
crimine‖: un tempo gli stessi circoscrivevano gli spazi territoriali dei singoli
Paesi e i fenomeni evasivi avevano una rilevanza esclusivamente domestica;
oggi la criminalità organizzata si muove tra e oltre le frontiere nazionali e i
più gravi fenomeni di fraudolenta sottrazione alle imposte hanno acquisito un
intrinseco rilievo internazionale proprio in funzione dello sfruttamento delle
asimmetrie, delle lacune e delle differenze normative che connotano i regimi
fiscali dei vari ordinamenti1.
In questo contesto la scelta iniziale effettuata dal legislatore penal-tributario
del 2000 di concentrare la riforma dei reati fiscali principalmente sulla tutela
del corretto adempimento all‘obbligo dichiarativo da parte del contribuente,
si è dovuta sottoporre a revisione: il sorgere di un fenomeno illecito che
vedeva il momento patologico insinuarsi non solo nella presentazione della
dichiarazione tributaria, ma anche nel mancato versamento dei tributi ha reso,
infatti, necessario un rafforzamento di tutela della fase di riscossione
erariale.
Al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte ex art. 11 d.
lgs. n. 74/2000, unica fattispecie originariamente deputata alla tutela della
riscossione fiscale, il legislatore ha quindi dovuto affiancare i reati di omesso
versamento di ritenute certificate, omesso versamento Iva e indebita
1
FLICK, Globalizzazione dei mercati e globalizzazione della giustizia, in Diritto
penale dell‘economia, 2000, p. 591 e ss.
LA TUTELA PENALE DELLA RISCOSSIONE TRIBUTARIA
compensazione ex artt. 10 bis, ter e quater, i quali presentano il minimo
comune denominatore di colpire la lesione del dovere di corretto
adempimento alle obbligazioni di versamento da parte del contribuente.
In questa prospettiva la riscossione fiscale è, quindi, oggi tutelata dal sistema
penal-tributario in entrambe le sue manifestazioni: la tutela penale della
riscossione coattiva dimora nel ricordato reato di cui all‘art. 11 il quale, per
l‘ampiezza della fattispecie descrittiva, appresta tutela a tutta la fase di
esazione delle imposte da parte dell‘Amministrazione finanziaria2; la
riscossione spontanea trova invece protezione nelle fattispecie introdotte con
la tecnica della novellazione nell‘impianto dei reati di cui al d. lgs n. 74/2000,
le quali colpiscono i comportamenti del contribuente che non adempie
volontariamente al pagamento delle imposte.
La recente riforma attuata con il d.l. n. 78/2010 (conv. nella l. n. 122 del
2010), è infine intervenuta rendendo più severa la risposta penale predisposta
dall‘ordinamento ai c.d. fenomeni di evasione alla riscossione: l‘art. 28,
comma 4 della normativa ricordata ha infatti inciso sul reato di sottrazione
fraudolenta al pagamento delle imposte, da un lato, attraverso l‘inasprimento
della risposta sanzionatoria, dall‘altro, con l‘introduzione di un‘ulteriore
fattispecie incriminatrice al 3° comma del ricordato art. 11 (il c.d. falso nella
transazione fiscale).
Le modifiche apportate dalla riforma in commento all‘ordinamento
tributario, pur di significativa importanza, non incidono invece sotto il
profilo della tutela penale predisposta dalle menzionate fattispecie:
l‘eliminazione dell‘iscrizione a ruolo e l‘assorbimento della funzione propria
del ruolo esattoriale nell‘avviso di accertamento del tributo (nei quali
possono essere riassunte le cifre più importanti della riforma di cui si tratta),
sono infatti ininfluenti ai fini della sussistenza dei reati ricordati.
Per quanto riguarda le fattispecie in materia di mancato pagamento delle
imposte ex artt. 10 bis, ter e quater d.lgs. n. 74/2000, si deve infatti osservare
come la stessa struttura delle figure di incriminazione delimiti la fase di
rilevanza penale del fatto ad un momento che, in quanto coincidente con il
termine ultimo fissato dalla disciplina tributaria per l‘adempimento
dell‘obbligazione fiscale, precede necessariamente l‘emanazione dell‘avviso
di accertamento.
Diverso è invece il discorso con riguardo al reato di cui all‘art. 11 d.lgs. n.
74/2000, in quanto le manovre fraudolente volte a ledere la garanzia
patrimoniale del contribuente possono essere compiute anche
successivamente all‘emanazione dell‘avviso di accertamento: pur tuttavia la
2
FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Padova 2010, p. 445 e ss. L‘A. ricorda
come il sistema della riscossione assuma connotati differenti a seconda dei vari settori
impositivi. In materia di imposte sul reddito la legge prevede tre modalità di
riscossione spontanea (ritenuta diretta, iscrizione a ruolo e versamento diretto, mentre
in tema di imposte dirette la riscossione spontanea avviene mediante il solo
versamento diretto. Per entrambi i settori impositivi (prima della riforma del 2010) la
riscossione coattiva si fondava invece, di regola sul ruolo.
350
LA TUTELA PENALE DELLA RISCOSSIONE TRIBUTARIA
nuova funzione al medesimo attribuita dal d.l. n. 78/2010 non incide in alcun
modo sulla sussistenza della fattispecie di cui al ricordato art. 11, così come
ridisegnato dalla riforma dei reati tributari del 2000.
In una prospettiva ―a ritroso‖ rispetto a quella che un ordine logico e
cronologico imporrebbe di seguire, ma forse più rispettosa della pregnanza
della risposta penale, si tenterà di delineare i confini della tutela apprestata in
sede penale alla riscossione tributaria, dalla fase della riscossione coattiva
(affidata all‘iniziativa dell‘Amministrazione finanziaria) alla fase della
riscossione volontaria (il cui adempimento è invece rimesso alla
discrezionalità del contribuente), per concludere con un cenno ai delitti di
pubblica istigazione alla disobbedienza fiscale di cui al d. lgs del Capo
provvisorio dello Stato 7 novembre 1947 n. 1559 i quali, rimasti nel
dimenticatoio nel corso di tutti questi anni, sarebbe invece opportuno che
tornassero, oggi, di attualità.
2
La tutela penale della riscossione coattiva: il nuovo volto dell‟avviso
di accertamento nella prospettiva del reato di sottrazione fraudolenta
al pagamento delle imposte.
Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all‘art. 11
del d. lgs. n.74/20003, nel colpire le condotte distrattive del patrimonio del
contribuente finalizzate a dissolvere la garanzia creditoria delle pretese
erariali, tutela la regolare ed efficace percezione dei tributi da parte dello
Stato, riconducibile nell‘alveo dell‘art. 53 Cost., attraverso l‘intangibilità
della garanzia patrimoniale rappresentata dai beni dell‘obbligato 4.
Ridisegnata nei suoi tratti essenziali con la riforma del sistema penaltributario del 2000 e recentemente modificata dall‘art. 29, comma 4, del d.l.
n. 78 del 20105, la figura di incriminazione in esame rinviene il suo
3
Cfr. ALDOVRANDI, Commento all‘art. 11, in CARACCIOLI-GIARDA-LANZI, Diritto e
procedura penale tributaria, cit., p. 361; DI AMATO-PISANO, Trattato di diritto penale
dell‘impresa, I reati tributari, Vol. VII, Padova, 2002, p. 644; LO MONTE, Gli aspetti
problematici del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, in
Rassegna Tributaria 2000, n. 4, p. 1136; MUSCO, Diritto penale tributario, Milano,
2002, p.211; NANNUCCI, Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle
imposte, in La riforma del diritto penale tributario, Padova, 2000, p. 291; VAGNOLI, Il
delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, in Rassegna Tributaria,
2004, n. 4, p. 1317; PAPPA, Il sistema sanzionatorio penale nella fase della
riscossione delle imposte: il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle
imposte sui redditi e sul valore aggiunto, in Il fisco, 2004, n. 29, p. 4431; ZANNOTTI, Il
delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, in Rassegna tributaria,
2001, n. 3, p. 771.
4
Zannotti, Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in Diritto penale
tributario, (a cura di) Musco, Milano, 2002, p. 211 e ss.
5
Pubblicato nella Gazz. Uff. 31 maggio 2010, n. 125, S.O. e convertito in legge, con
modificazioni, dall‘art. 1, comma 1, L. 30 luglio 2010, n. 122. Per un primo
commento Cfr CORSO, Nuovo reato e nuova ―aggravante‖ contro l‘evasione fiscale,
in Corr. trib., 33/2010, p. 2738-2740; MANFREDA, Decreto anti-crisi (D.L. 31 maggio
351
LA TUTELA PENALE DELLA RISCOSSIONE TRIBUTARIA
dell‘art. 97 del d.P.R. n. 602/1973
il quale, nel punire la c.d. frode nell‘esecuzione esattoriale6, colpiva gli atti
fraudolenti che avessero reso inefficace la procedura di riscossione coattiva
promossa dall‘Erario, al fine specifico di sottrarsi al pagamento delle
imposte. La fattispecie era costruita come reato di danno e veniva attribuita
rilevanza penale a quei soli comportamenti illeciti successivi alla conoscenza
da parte del contribuente della volontà dell‘Erario di recuperare il proprio
credito di imposta.
La necessità del verificarsi di un evento e il ristretto ambito di rilevanza
penale della figura di incriminazione hanno portato ad una scarsa
applicazione della norma di cui al ricordato art. 11, pur a fronte di un
fenomeno di sicura rilevanza.
Con la riforma dei reati tributari, attuata con il d.lgs. n. 74/2000, il legislatore
ha ridisegnato la fisionomia della vecchia frode esattoriale, da un lato,
costruendo il nuovo reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte
come reato di pericolo, per la cui sussistenza é sufficiente ―la semplice
idoneità della condotta a rendere inefficace la procedura di riscossione
200, n. 78) – Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in il
fisco, 2010, n. 29, pag. 1-4644; IORIO, Evoluzione normativa e giurisprudenziale
della sottrazione fraudolenta, in Corr. trib., 41/2010, pag. 3385. Innanzitutto è
scomparsa la clausola di salvaguardia ―salvo che il fatto non costituisca più grave
reato‖, che relegava la figura di incriminazione in posizione residuale, con la
conseguenza che il reato di sottrazione fraudolenta può ora concorrere anche con
fattispecie sanzionate in modo più grave, come il delitto di bancarotta fraudolenta
patrimoniale di cui all‘art. 216, comma 1, n. 1) del r.d. n. 267 del 1942. E‘ stata poi
ridotta la soglia di rilevanza penale da 51.645,69 a 50.000 euro ed è stata introdotta
un‘aggravante per la quale ―se l‘ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è
superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni‖. Nuova
è l‘introduzione del secondo comma, nel quale viene introdotta una fattispecie di reato
che punisce con la reclusione da sei mesi a quattro anni le falsità ―nella
documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale‖, la cui
condotta è integrata dalla falsa indicazione nella documentazione di elementi attivi per
un ammontare inferiore a quello effettivo ovvero di elementi passivi fittizi per un
ammontare superiore a 50.000 euro, accompagnata dal dolo specifico di ―ottenere per
sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori‖. Anche in questo
caso viene prevista un‘ipotesi aggravata (sanzione della reclusione da uno a sei anni)
per il superamento della soglia di punibilità di duecentomila euro.
6
L‘art. 97 comma VI del dpr 29 settembre 1973 n.602 disponeva: ―Il contribuente
che, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte, interessi, sopratasse e pene
pecuniarie dovute, ha compiuto, dopo che sono iniziati accessi, ispezioni e verifiche o
sono stati notificati gli inviti e le richieste previste dalle singole leggi di imposta
ovvero sono stati notificati atti di accertamento o iscrizioni a ruolo, atti fraudolenti
sui proprio o su altrui beni che hanno reso in tutto o in parte ineffiace la relativa
procedura esattoriale, è punito con la reclusione fino a tre anni. La disposizione non
si applica se l‘ammontare delle somme non corrisposte non è superiore a dieci
milioni‖.
352
LA TUTELA PENALE DELLA RISCOSSIONE TRIBUTARIA
coattiva e non anche l‘effettiva verificazione di tale evento‖7, dall‘altro,
eliminando il presupposto rappresentato dal compimento da parte dell‘Erario
di accessi, ispezioni e verifiche.
In sostanza, a differenza della norma abrogata, per la quale la condotta
penalmente rilevante doveva determinare l‘effettiva inefficacia (totale o
parziale) dell‘attività di riscossione, il nuovo volto della figura di
incriminazione anticipa la tutela penale, accontentandosi della idoneità delle
alienazioni simulate8 o degli altri atti fraudolenti sui propri o sugli altrui
beni9, a porre in pericolo la riscossione del credito da parte dell‘Erario 10.
7
In questo senso la Relazione governativa al d.lgs. n.74/2000 in Guida al diritto,
2000, n.14, p.39.
8
Per alienazione simulata deve intendersi qualsiasi alienazione di beni caratterizzata
da una simulazione (assoluta o relativa): tipico è l‘esempio dell‘intestazione fittizia di
un immobile ad una testa di legno. Se l‘interposizione fittizia rientra senza ombra di
alcun dubbio nell‘ambito applicativo della fattispecie, si ritiene che l‘interposizione
reale ne rimanga invece fuori pena la violazione del principio di legalità: così
ragionando ―l‘effettivo trasferimento di un bene, anche se in concreto determina un
affievolimento o, addirittura, il venire meno delle garanzie per l‘Erario, non può in
ogni caso configurare la condotta di cui all‘art.11‖. Si ritorna tuttavia nell‘area di
rilevanza penale del fatto nel caso in cui il trasferimento di un bene, pur effettivo, sia
stato compiuto attraverso modalità tali da risultare fraudolento, quali ad esempio ―la
cessione di un immobile ad una società e la contestuale cessione della corrispondente
quota societaria a prezzo irrisorio a favore dell‘originario propietario del bene‖.
Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in Diritto penale tributario, (a
cura di) MUSCO, cit., p. 216. Nello stesso senso VAGNOLI, Il delitto di sottrazione
fraudolenta al pagamento delle imposte, cit., p. 16. Secondo l‘A. non vi è ragione di
attribuire alla alienazione simulata un significato diverso da quello dalla medesima
assunto in sede civilistica. Con essa si intende, pertanto fare riferimento al
―trasferimento della proprietà di un bene caratterizzato dalla divergenza tra la volontà
dichiarata e quella effettiva delle parti‖. In questa prospettiva ciò che rileva
―nell‘ottica dell‘incriminazione dell‘art. 11 non è tanto la produzione reale di un
effetto giuridico dannoso per la riscossione delle imposte, quanto la capacità di un atto
di creare una situazione di apparente carenza di consistenza nel patrimonio del
contribuente (come ad esempio nei casi dei cosiddetti prestanome o del trasferimento
di beni da una società cosiddetta di comodo, con contemporaneo acquisto di parte
delle quote di quest‘ultima). Con l‘espressione atti fraudolenti, invece, il legislatore ha
voluto attribuire rilevanza penale non a tutte le diminuzioni della capacità contributiva
del soggetto agente ma soltanto ―a quelle ingannatorie, simulate, creatrici di fittizie
inconsistenze patrimoniali che non consentono al Fisco di agire su uno o più beni che,
in concreto, sono ancora di proprietá del contribuente e che, quindi, potrebbero essere
oggetto della procedura esecutiva‖.
9
La locuzione altri atti fraudolenti, ritenuta contrastante con il principio di
determinatezza della fattispecie, ha invece natura residuale e comprende tutti quei
negozi giuridici diversi dalle alienazioni simulate attraverso i quali viene diminuita o
addirittura eliminata la garanzia patrimoniale per l‘Erario. In argomento
Cfr.ZANNOTTI, Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, cit., p.
773; MUSCO, Profili costituzionali del nuovo diritto penale tributario, in studi ―La
riforma dei reati fiscali: abuso di delega ed eccessi repressivi‖, in allegato a Il fisco ,
2001, n. 12.
353
LA TUTELA PENALE DELLA RISCOSSIONE TRIBUTARIA
Costruita come reato di pericolo, la nuova formulazione della norma, nel
richiedere una connessione tra l‘idoneità degli atti fraudolenti e l‘inefficacia
della procedura di riscossione, non chiarisce tuttavia se sussista anche un
rapporto di consequenzialità cronologica, tale per cui la condotta illecita
debba essere necessariamente realizzata in pendenza di una procedura
esecutiva già avviata dall‘Amministrazione Finanziaria o se invece il
compimento della medesima possa porsi in un momento a questa anteriore.
L‘aderire ad una piuttosto che ad un‘altra lettura della figura di
incriminazione rileva ai fini della delimitazione dell‘ambito di applicazione
della fattispecie, più ristretto se si ritiene necessaria una procedura di
riscossione coattiva in atto, più ampio ovviamente nel caso contrario.
In questo contesto, se le prime pronunce della Corte di Cassazione hanno
ritenuto la procedura di riscossione coattiva un elemento indefettibile della
figura di incriminazione11, esse sono state tuttavia superate dal più recente
10
Il bene giuridico tutelato è stato individuato ora nella garanzia patrimoniale dei
crediti del Fisco, rappresentata dai beni appartenenti al contribuente (Così Zannotti, Il
delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in Rassegna tributaria,
2001, n. 3, p. 771; Napoleoni, I fondamenti del diritto penale tributario, cit., p. 195)
ora nel corretto funzionamento della procedura di riscossione coattiva (così
Aldrovandi, Art. 11 in Caraccioli, Giarda, Lanzi, Diritto e procedura penale,
Commentario al Decreto Legislativo 10 marzo 2000 n. 74, cit., p. 361).
11 In questo senso si v. Cassazione, sez. IV, 9 marzo 2005 n. 9251, in Dir.pratc.trib.,
2006, n.6, II, p. 1371 con nota di Mereu, Procedura di riscossione coattiva e reato di
sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte: il revirement della Corte di
Cassazione.. Secondo la Suprema Corte il reato di sottrazione fraudolenta al
pagamento delle imposte trova applicazione laddove ricorrano ―l'esistenza di
specifiche procedure di riscossione di imposte dirette sui redditi o sul valore
aggiunto, l'individuazione di attività fraudolente miranti a frustrare tali procedure
esecutive, nonché l'identificazione dell'ammontare delle somme non corrisposte in
misura superiore alla soglia fissata dal legislatore in euro 51.645,69. Ne consegue
che non è punibile il soggetto che compia generiche manovre fraudolente finalizzate
all'evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto in assenza di atti
fraudolenti miranti a rendere inefficaci le procedure di riscossione coattiva di tali
imposte‖. Sebbe la Corte di Cassazione non abbia esplicato le ragioni sottese al suo
convincimento (per il quale sarebbe sempre necessaria la sussistenza di una procedura
di riscossione in atto ai fini della configurabilità della figura di incriminazione di cui
all‘art.11), si legge nella nota di commento come ―una lettura, del reato di sottrazione
fraudolenta al pagamento delle imposte in sintonia con la ratio sottesa alla riforma del
sistema dei reati tributari, volta a limitare la repressione penale ai soli fatti
direttamente correlati alla lesione degli interessi fiscali, potrebbe aver condotto la
Suprema Corte ad accogliere una tale interpretazione. La conferma di ciò si può
intravedere in quel passaggio del motivare nel quale la Cassazione addiviene a
ritenere necessaria la sussistenza della procedura di riscossione coattiva subito dopo
aver analizzato la vecchia fattispecie di frode nell‘esecuzione esattoriale. Il confronto
tra l‘attuale art. 11 del d.lgs. 74/2000 e il suo antecedente conduce a ritenere oggi
come allora la necessità di una procedura di riscossione coattiva, con la sola
differenza che mentre nelle disciplina previgente era altresì necessario il verificarsi di
un effettivo danno, nella disciplina attuale è sufficiente che la medesima venga posta
354
LA TUTELA PENALE DELLA RISCOSSIONE TRIBUTARIA
orientamento giurisprudenziale il quale, in sintonia con il pensiero della
dottrina maggioritaria12, sembra consolidarsi nel ritenere non necessaria ai
fini della sussistenza del reato la pendenza di una procedura di esazione
avviata da parte dell‘ente verificatore13.
Le motivazioni sottese alla configurabilità del reato di sottrazione
fraudolenta al pagamento delle imposte soltanto in presenza di specifiche
procedure di riscossione di imposte dirette sui redditi o sul valore aggiunto,
ravvisabili nella volontà di non estendere eccessivamente l‘ambito
applicativo della norma fino ad incriminare ogni condotta che possa risultare
anche solo lontanamente pregiudizievole per gli interessi dell‘Erario, sono
state reputate non fondate alla luce del dettato normativo della disposizione di
cui all‘art. 1114.
in pericolo‖. Nello stesso senso si v. Cassazione, 03 marzo 2006 n. 7600 nella banca
dati www.dejure.giuffre.it. Cassazione, sez. IV, 9 marzo 2005 n. 9251, cit.
12
Cfr. Infra multis Vagnoli, Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle
imposte, cit., p. 16.
13
Così Cfr. Cass., 27 febbraio-18 aprile 2001 n. 15864, in Il fisco 2002, n. 9, p. 1337
con commento di IZZO. La Suprema Corte di Cassazione non affronta
specificatamente il problema dei rapporti tra la procedura di riscossione coattiva e gli
atti fraudolenti posti in essere dal contribuente, ma nell‘analizzare il tema della
continuità normativa tra l‘art. 97 VI comma del dpr 603/1973 e l‘art. 11 del d.lgs.
74/2000 enuclea le differenze tre le disposizioni di cui si tratta. In tale analisi la
Suprema Corte sottolinea come a differenza della vecchia norma in base al nuovo art.
11 ―il compimento degli atti incriminati può avvenire in qualsiasi momento‖ per
essere stato eliminato il presupposto che la condotta criminosa venisse realizzata dopo
l‘inizio di accessi, ispezioni o verifiche od anche dopo la notifica di provvedimenti
accertativi o di iscrizioni a ruolo. Nello stesso senso si è pronunciata in diverse
occasioni la Corte di Cassazione, qualificando il reato di cui si tratta quale reato di
pericolo concreto, si è ritenuta non necessaria l‘attualità di una procedura di
riscossione coattiva. Cfr. Cass., Cass., Sez. III, 17 giugno 2009, n. 25147.
Cassazione, 04 giugno 2006 n. 17071in Riv.giur.trib., 2007 n. 2, p. 151 con nota di
Soana, Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte e azione esecutiva tributaria;
Cassazione, 18 dicembre 2007, n. 5824 con nota di Cardone, La procedura di
riscossione coattiva e il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte,
in Il Fisco, 2008, n. 38, 1, p. 6835; Cass., Sez. III, 3 agosto 2007 n.
32282;Cassazione, 06 marzo 2008 n. 14720; Cassazione, 10 giugno 2009 n. 38925;
Cassazione 27 giugno 2009 n. 25147, tutte nella banca dati fisconline.
14
Si pensi, a titolo esemplificativo, a tutti quei comportamenti, quali vendite a prezzo
inferiore al valore di mercato del bene, acquisto di beni all‘estero, intestazioni di beni
a familiari, suscettibili di integrare l‘elemento oggettivo del reato di sottrazione
fraudolenta al pagamento delle imposte in pieno contrasto con il fondamentale
principio costituzionalmente garantito della libertà di iniziativa economica e della
piena disponibilità dei propri beni. In questo senso NANNUCCI, Il delitto di sottrazione
fraudolenta al pagamento delle imposte, cit., p. 302, il quale sottolinea come
qualunque negozio giuridico riduttivo della capacità patrimoniale del contribuente
possa realizzare l‘estremo obiettivo del reato: ―identificato il fatto potenzialmente
lesivo, gli uffici e gli organi accertatori investigheranno al fine di stabilire se
l‘operazione fu commessa col dolo richiesto dal reato di sottrazione fraudolenta,
355
LA TUTELA PENALE DELLA RISCOSSIONE TRIBUTARIA
I rischi di una soggettivizzazione del diritto penale tributario, in contrasto
con la concezione del reato quale fatto offensivo tipico di un bene protetto 15,
sono stati ritenuti scongiurati dalla stessa lettera della figura di
incriminazione la quale, nel rinvenire il legame tra gli atti fraudolenti e la
procedura di riscossione coattiva in quel giudizio di idoneità dei primi a
rendere inefficace in tutto o in parte la seconda, ―affida a tale elemento della
fattispecie un‘adeguata efficacia selettiva dei comportamenti penalmente
rilevanti‖16.
Così ragionando, è stato sottolineato come non ogni comportamento del
contribuente potenzialmente lesivo degli interessi dell‘Erario sia suscettibile
di essere qualificato quale sottrazione fraudolenta al pagamento delle
imposte, ma soltanto quei comportamenti che in concreto sulla base delle
circostanze esistenti al momento del fatto si rivelano idonei a porre in
pericolo l‘efficacia della procedura di riscossione coattiva 17. In questo
ovvero per finalità diverse. Che il fatto sia poi avvenuto prima ancora che l‘ufficio
finanziario o l‘organo di polizia tributaria abbia soffermato la propria attenzione ed
iniziato a considerare la situazione fiscale del contribuente, è irrilevante. Il fatto
obiettivo rilevato autorizza l‘indagine penale. E‘ appena il caso di segnalare quale
ambito di incertezza e di aleatorietà di previsione la norma consente. Qualunque atto
che sia ritenuto dall‘ufficio o dalle autorità di polizia economicamente dannoso, e
tale da porre a rischio una ipotetica esecuzione, giustifica l‘inchiesta‖. Per queste
ragioni l‘A., nel fornire un‘interpretazione correttiva della norma capace di recuperare
quanto la tradizione legislativa precedente aveva costantemente affermato, propone
di ritenere presupposto tacito della condotta quell‘inizio di accessi, accertamenti,
verifiche che solo può autorizzare le autorità preposte al controllo a dubitare delle
operazioni compiute successivamente. L‘A. propone tale soluzione correttiva, ―ardita
e forse di dubbia legittimità visto il pensiero esternato nella relazione‖, perché
diversamente opinando ―si aprirebbe la strada ad una indiscriminata possibilità di
indagine penale in relazione a qualsiasi scelta imprenditoriale che, a discrezionale
giudizio dell‘autorità, fosse ritenuta non conveniente per l‘interesse dell‘impresa‖.
15
LO MONTE, , Gli aspetti problematici del delitto di sottrazione fraudolenta al
pagamento di imposte, cit., p. 1140 secondo il quale un‘interpretazione che ancori la
punibilità di tali comportamenti all‘inizio della procedura di riscossione coattiva
sicuramente scongiura i rischi di una soggettivazione del diritto penale tributario la
quale, incentrando il disvalore della fattispecie sul dolo specifico di evasione, si pone
in contrasto con la concezione del reato quale fatto offensivo tipico di un bene
protetto.
16
Così MEREU, Procedura di riscossione coattiva e reato di sottrazione fraudolenta
al pagamento delle imposte: il revirement della Corte di Cassazione, in
Dir.pratc.trib., cit., p. 1371 la quale sottolinea come nella Relazione Governativa al
d.lgs. 74/2000, si legga che l‘idoneità degli atti fraudolenti a rendere in tutto o in parte
inefficace la procedura esecutiva si presenta quale ―linea della tutela penale
opportunamente avanzata‖ .
17
In questo senso Cfr. MUSCO, Diritto penale tributario, cit., p. 217. Secondo l‘A. ―il
giudice deve verificare –caso per caso, cioè in concreto- se la condotta del soggetto
agente, sulla base delle circostanze dallo stesso conoscibili al momento (attraverso
un giudizio ex ante) abbia avuto o no efficacia potenzialmente depauperatoria‖; Izzo,
356
LA TUTELA PENALE DELLA RISCOSSIONE TRIBUTARIA
contesto il criterio del pericolo concreto, nel quale si risolve il giudizio di
idoneità degli atti, assurge a nesso che lega gli atti fraudolenti alla procedura
di riscossione coattiva: tra un‘interpretazione che richiede il necessario
compimento dei primi solo dopo la promozione della seconda e un‘altra che
ne recide completamente il legame, la stessa lettera della legge impone una
diversa lettura in base alla quale l‘alienazione simulata e gli atti fraudolenti
possono considerarsi idonei a porre in pericolo la procedura esecutiva
soltanto se compiuti in un momento in cui la stessa, anche se non ancora
promossa, appaia probabile e prevedibile.
Suffraga ulteriormente il convincimento dell‘applicabilità della fattispecie
anche a quegli atti fraudolenti compiuti in un‘epoca anteriore all‘inizio della
procedura di riscossione coattiva la mancata riproposizione, nella nuova
formulazione della figura di incriminazione, del presupposto rappresentato
dall‘avvenuta effettuazione di accessi, ispezioni o verifiche o dalla preventiva
notificazione all‘autore di inviti, richieste, atti di accertamento o iscrizioni a
ruolo che connotava, invece, la vecchia disciplina18. L‘aver eliminato ogni
connotazione di carattere ―temporale‖, nella delimitazione della condotta
penalmente rilevante, consente infatti alla fattispecie di esplicare la propria
efficacia repressiva a prescindere dal compimento di qualunque atto da parte
dell‘Amministrazione finanziaria.
In questa prospettiva, risultando l‘ambito applicativo della figura di
incriminazione sganciato dall‘esistenza di una procedura di riscossione in
atto, risulta evidente come la riforma attuata con il d.l. n. 78/2010,
nell‘attribuire all‘avviso di accertamento la funzione di ruolo esattoriale, così
anticipando il momento d‘inizio della riscossione coattiva, non incida in
La sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, cit., p. 7555; Vignoli, La
sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, cit., p….
18
Nella Relazione Governativa al D.lgs. 74/2000, cit., p.39 si legge, infatti, che
―presupposto rappresentato dall‘avvenuta effettuazione di accessi, ispezioni o
verifiche…..aveva contribuito a limitare fortemente la capacità di presa
dell‘incriminazione. La tutela penale è stata avanzata, richiedendo, ai fini della
perfezione del delitto, la semplice idoneità della condotta a rendere inefficace la
procedura di riscossione‖. Sull‘argomento v. Soana, Il delitto di sottrazione
fraudolenta al pagamento delle imposte. Un nuovo intervento della Suprema Corte di
Cassazione, cit., p. 523, secondo il quale il legislatore ―preso atto del concreto
fallimento della pregressa disciplina- ha voluto sanzionare anche quelle condotte
fraudolente che vengono compiute (congiuntamente o in modo alternativo) in una fase
antecedente all‘attivazione da parte dell‘Erario sia di atti di verifica fiscale che di atti
diretti alla riscossione delle imposte accertate, in assenza di un effettivo
danneggiamento della procedura di riscossione coattiva. Ciò in relazione
all‘esperienza comune, per la quale abitualmente, il contribuente che vuole sottrarsi
alla riscossione coattiva delle imposte agisce per occultare i propri beni molto prima
dell‘intervento dell‘amministrazione finanziaria, organizzan
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