FONDAZIONE ANTONIO UCKMAR I “Venerdì di Diritto e Pratica Tributaria” Sanremo 3-4 giugno 2011 La concentrazione della riscossione nell’accertamento Atti preparatori: Introduzione: Cesare Glendi Interventi: M. Basilavecchia, C. Berliri, G. Boletto, M.G. Bruzzone, A. Carinci, G.M. Cipolla, A. Comelli, G. Corasaniti, C. Corrado Oliva, P. de’ Capitani, A. Di Pietro, G. Fransoni, F. Gallo, G. Ingrao, S. La Rosa, A. Lovisolo, C. Magnani, G. Marini, G. Marongiu, G. Melis, A. Mereo, S.M. Messina, L. Perrone, R. Perrone Capano, F. Pistolesi, L. Salvini, S. Sammartino, M. Scuffi, G. Vanz PROGRAMMA 3 GIUGNO 2011 ore 14,00 Registrazione dei partecipanti ore 15,00 Indirizzi di saluto Prof. Victor Uckmar - Presidente Fondazione‖Antonio Uckmar‖ Dott. Maurizio Zoccarato - Sindaco di Sanremo Avv. Elvira Lombardi - Presidente Ordine degli Avvocati di Sanremo Dott. Giancarlo Colucci - Presidente Ordine dei Dottori Commercialisti di Sanremo Dott. Attilio Befera - Direttore Agenzia delle Entrate ***** ore 15,30 Prof. Andrea Parlato - moderatore Prof. Cesare Glendi – coordinatore – relazione introduttiva Prof. Andrea Carinci – ―La concentrazione della riscossione nell‘accertamento‖ Prof. Salvatore La Rosa - ―Il riparto delle competenze nella disciplina della riscossione‖ Prof. Corrado Magnani - ―La sospensione amministrativa della riscossione ‗concentrata‘‖ Prof. Sebastiano Maurizio Messina – ―I riflessi degli accertamenti esecutivi sull‘adozione delle misure cautelari pro-fisco‖ Prof. Giuseppe Marini – ―Blocco dei crediti, ordine di pagamento al fisco ed effettività della tutela giurisdizionale‖ Prof. Antonio Lovisolo - ―L‘attività accertativa mirata all‘ ―apri e chiudi‖ societario (art.23 l. n. 122/2010) e al ‗mordi e fuggi‘ reddituale‖ ***** ore 20,00 - Buffet 4 GIUGNO 2011 ore 09,00 Prof. Andrea Amatucci - moderatore Avv. Claudio Berliri – ―Nuovo redditometro e altri accertamenti presuntivi: alternatività o concorrenza?‖ Prof. Franco Gallo - ―Contraddittorio procedimentale e attività istruttoria‖ Prof. Gianni Marongiu - ―Le nuove tipologie di accertamento oltre il sintetico‖ Prof. Leonardo Perrone – ―Accertamento sintetico ed obbligo del contraddittorio‖ Prof. Francesco Pistolesi - ―Evoluzione ed abusi nell‘impiego dell‘accertamento parziale‖ Prof. Alberto Comelli - ―L‟individuazione dei dati e degli elementi rilevanti ai fini dei nuovi accertamenti sintetici‖ Prof. Giuseppe Maria Cipolla - ―Prove ed inversioni degli oneri probatori nell‘accertamento delle imposte sui redditi e nell‘accertamento IVA‖ Prof. Livia Salvini – ―Ipotesi di reato tributario e raddoppio dei termini per l'accertamento" ore 13,00 - Buffet ore 15,00 Prof. Pietro Adonnino - moderatore Prof. Massimo Basilavecchia - ―La difficile interstizialità della compensazione tra accertamenti e attività esattive‖ Prof. Guglielmo Fransoni - ―L‘esecuzione coattiva a carico dei debitori diversi dall‘obbligato principale‖ Prof. Adriano Di Pietro - ―La collaborazione comunitaria nell‘accertamento e nella riscossione: la tutela del contribuente‖ Dott. Massimo Scuffi - Magistrato – ―Atti di accertamento ed imposizione comunitaria(recupero degli aiuti di stato e prelievi doganali):osservazioni a margine dell‘art.29 della L.122/2010‖ ore 17,00 - Coffee break Prof. Giuseppe Melis - ―La disciplina delle notificazioni degli atti ai soggetti residenti all‘estero‖ Prof. Raffaele Perrone Capano – ―Una lettura costituzionalmente orientata dell‘attività di accertamento tributario nelle ipotesi di elusione e di abuso del diritto‖ Prof. Salvatore Sammartino - ―Federalismo fiscale e partecipazione degli enti locali all‘attività di accertamento‖ ***** ore 18,30 interventi programmati Dott.ssa Boletto Giulia - ―La tutela del contribuente nel caso di omessa o irrituale notifica del titolo esecutivo‖ Prof. Corasaniti Giuseppe – ―La tutela cautelare nei gradi successivi al primo‖ Avv. Corrado Oliva Caterina – ―L‘anomala coesistenza di riscossione frazionata e sospensione cautelare‖ Avv de‘Capitani di Vimercate Paolo - ―La cooperazione internazionale in materia di accertamento e riscossione‖ Avv. Mereu Alessandra - "La tutela penale della riscossione tributaria" Prof. Ingrao Giuseppe “Concentrazione della riscossione nell‘accertamento e riflessi sull‘insinuazione al passivo fallimentare‖ Prof. Vanz Giuseppe - ―La tutela giurisdizionale diretta e immediata contro le attività di indagine dell‘Agenzia delle entrate e degli agenti della riscossione‖ Prof. Victor Uckmar - Chiusura dei lavori ore 20,00 – Aperitivo al Roof Garden del Casinò INDICE: Prof. Cesare Glendi – ―Notifica degli atti ―impoesattivi e tutela cautelare ad essi correlata‖ pag. 11 Prof. Basilavecchia Massimo - ―La difficile interstizialità della compensazione tra accertamenti e attività esattive‖ pag. 53 Avv. Berliri Claudio – ―Nuovo redditometro e altri accertamenti presuntivi: alternatività o concorrenza?‖ pag. 59 Dott.ssa Boletto Giulia - ―La tutela del contribuente nel caso di omessa o irrituale notifica del titolo esecutivo‖ pag. 67 Prof. Carinci Andrea – ―La concentrazione della riscossione nell‘accertamento‖ pag. 73 Prof. Cipolla Giuseppe Maria - ―Prove e inversioni degli oneri probatori nelle nuove tipologie di accertamento‖ pag. 89 Prof. Comelli Alberto - ―Individuazione e acquisizione di dati rilevanti ai fini dei nuovi accertamenti sintetici‖ pag. 111 Prof. Corasaniti Giuseppe – ―La tutela cautelare nei gradi successivi al primo‖ pag. 129 Avv. Corrado Oliva Caterina – ―L‘anomala coesistenza di riscossione frazionata e sospensione cautelare‖ pag. 143 Avv de‘ Capitani di Vimercate Paolo - ―La cooperazione internazionale in materia di accertamento e riscossione‖ pag. 155 Prof. Di Pietro Adriano - ―La collaborazione comunitaria nell‘accertamento e nella riscossione: la tutela del contribuente‖ pag. 187 Prof. Fransoni Guglielmo - ―L‘esecuzione coattiva a carico dei debitori diversi dall‘obbligato principale‖ pag.189 Prof. Gallo Franco - ―Contraddittorio procedimentale e attività istruttoria‖ pag. 207 Prof. Ingrao Giuseppe “Concentrazione della riscossione nell‘accertamento e riflessi sull‘insinuazione al passivo fallimentare‖ pag. 223 Prof. La Rosa Salvatore - ―Il riparto delle competenze nella disciplina della riscossione‖ pag. 235 Prof. Lovisolo Antonio - ―L‘attività accertativa mirata all‘ ―apri e chiudi‖ societario (art.23 l. n. 122/2010) e al ‗mordi e fuggi‘ reddituale‖ pag. 255 Prof. Magnani Corrado - ―La sospensione amministrativa della riscossione ‗concentrata‘‖ pag. 289 Prof. Marini Giuseppe – ―Blocco dei crediti, ordine di pagamento al fisco ed effettività della tutela giurisdizionale‖ pag. 297 Prof. Marongiu Gianni - ―Le nuove tipologie di accertamento oltre il sintetico‖ pag. 307 Prof. Melis Giuseppe - ―La disciplina delle notificazioni degli atti ai soggetti residenti all‘estero‖ …………………………………….. pag. 343 Avv. Mereu Alessandra - "La tutela penale della riscossione tributaria" pag. 349 Prof. Messina Sebastiano Maurizio – ―I riflessi degli accertamenti esecutivi sull‘adozione delle misure cautelari pro-fisco‖ pag. 457 Prof. Perrone Leonardo – ―Accertamento sintetico ed obbligo del contraddittorio‖ pag. 377 Prof. Perrone Capano Raffaele – ―Una lettura costituzionalmente orientata dell‘attività di accertamento tributario nelle ipotesi di elusione e di abuso del diritto‖ pag. 477 Prof. Pistolesi Francesco - ―Evoluzione ed abusi nell‘impiego dell‘accertamento parziale‖ pag. 389 Prof. Salvini Livia – ―Ipotesi di reato tributario e raddoppio dei termini per l'accertamento" pag. 399 Prof. Sammartino Salvatore - ―Federalismo fiscale e partecipazione degli enti locali all‘attività di accertamento‖ pag. 405 Dott. Scuffi Massimo - Magistrato – Atti di accertamento e imposizione comunitaria (dazi, accise, recupero aiuti di Stato ed agevolazioni in frode)‖ pag. 409 Prof. Vanz Giuseppe - ―La tutela giurisdizionale diretta e immediata contro le attività di indagine dell‘Agenzia delle entrate e degli agenti della riscossione‖ pag. 421 Prof. Cesare Glendi Notifica degli atti “impoesattivi” e tutela cautelare ad essi correlata (*) Sommario: 1. Notifica dell‘atto <<impoesattivo>> e immediata tutela cautelare quali contrafforti di una rinnovata, stringente, dialettica tra contribuente e Fisco. – 2. Recettizietà dei nuovi atti in cui si concentrano imposizione ed esazione. – 3. L‘indispensabile intermediazione dell‘agente della notificazione ed essenzialità della <<relata>> anche per il caso di notifica a mezzo posta del primo atto <<impoesattivo>>. – 4. Vizi di notifica degli atti <<impoesattivi>> e ridotte possibilità di sanatoria. – 5. I quantitativamente diminuiti e qualitativamente diversificati orizzonti di tutela. - 6. Il diverso atteggiarsi della protezione cautelare. Evoluzioni legislative e criticità degli assetti sopravvenuti. – 7. La peculiare figura dell‘istanza cautelare con immediata efficacia sospensiva dell‘esecuzione prevista dal d.l. n. 70/2011. – 8. Il rinnovato quadro generale dell‘art. 47 del D. lgs. n. 546/1992 e la sua rinforzata vis expansiva. 1. Notifica dell‘atto <<impoesattivo>> e immediata tutela cautelare quali contrafforti di una rinnovata, stringente, dialettica tra contribuente e Fisco. La c.d. concentrazione della riscossione nell‘imposizione, introdotta dal d. l. n. 78/2010 conv. in l. n. 122/2010, come già si è avuto modo di rilevare (1), incide profondamente su tutte le problematiche che regolano il doppio versante dell‘imposizione e della riscossione. Dato il cumulo di funzioni e di effetti in tal modo realizzato non potrebbe essere altrimenti. I riflessi di questo fenomeno di concentrazione, peraltro, si manifestano in modo eclatante nel momento conclusivo della manifestazione del potere impositivo ed esattivo, cioè nella notificazione dell‘atto <<impoesattivo>> (2), quando tale potere impositivo ed esattivo si esteriorizza verso il suo destinatario, e nel momento iniziale dell‘azione, ove, cioè, a fronte della notifica di tale atto, coevamente sorge per lo stesso destinatario il potere di reazione in sede giurisdizionale, che, data appunto la nuova portata dell‘atto di cui trattasi, è per ciò stesso quasi necessitato ad estrinsecarsi subito nelle vie cautelari. E‘ importante cogliere le differenze del nuovo <<habitat>> rispetto a quello precedente, che, ancora, comunque, sopravvive in attesa di ulteriori generalizzazioni (3). La notifica del nuovo atto non si limita a formalizzare la pretesa impositiva; coevamente la connota anche come pretesa esattiva, suscettibile di dar luogo a pignoramenti e agli altri atti dell‘esecuzione forzata tributaria. La notificazione funge, dunque, da spartiacque tra il potere impositivo ed esattivo, per un verso, e la libertà o la soggezione patrimoniale, per l‘altro. NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA Di conseguenza, la tutela giurisdizionale non riguarda soltanto la debenza, ma concerne altresì l‘immediata riscuotibilità e il recupero in forma coattiva della pretesa fiscalmente avanzata. Al cospetto del potere impositivo ed esattivo in tal modo uno actu esercitato si profila sempre come imminente la possibile compromissione del diritto soggettivo all‘integrità del patrimonio del contribuente e affiorano anche i diritti soggettivi di altri, creditori e terzi, in uno scenario necessariamente allargato, in cui la stessa tutela cautelare in sede giurisdizionale (4) tende a diversificarsi, assumendo un ruolo sempre più articolato ed essenziale ai fini dell‘efficienza dell‘azione costituzionalmente guarentigiata ex art. 24 Cost. Tutto questo impone un‘abbinata, puntuale, ricognizione degli istituti della notificazione degli atti, e in specie del nuovo atto ―impoesattivo‖, da un lato, e della tutela giurisdizionale in via cautelare ad essa correlata, dall‘altro. 2. Recettizietà dei nuovi atti in cui si concentrano imposizione ed esazione. Occorre soffermarsi, anzitutto, sull‘esegesi del nuovo dato normativo, in punto notificazione degli atti. L‘art. 29, 1° comma, del d.l. n. 78/2010, conv. in l. n. 122/2010, non è un capolavoro di tecnica – legislativa. Basti dire che in esso figurava in origine (5), per ben otto volte l‘avverbio ―anche‖, inequivoco sintomo di una voluntas legislativa non ancora ben definita e vagamente indirizzata in conati disciplinari piuttosto approssimativi. In questo contesto emergono comunque due dati sufficientemente chiari. Il primo è che la compenetrazione in parte qua tra accertamento e riscossione viene formalmente realizzata con l‘introduzione nella struttura dell‘atto <<impoesattivo>> dell‘<<intimazione ad adempiere all‘obbligo di pagamento>>, entro il termine di presentazione del ricorso delle somme intimate e dell‘<<avvertimento che, decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme intimate, in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo è affidata in carico agli agenti della riscossione anche ai fini dell‘esecuzione forzata>> (6), mentre la <<esecutività dell‘atto>> è correlata al decorso di sessanta giorni dalla sua notificazione (7) Il secondo dato è che la <<notificazione>> dell‘atto di cui trattasi riveste nel contesto disciplinare delineato dalla norma in esame un ruolo di componente costitutiva dell‘intera fattispecie dell‘atto, di cui viene a far parte. Secondo il testo originario la <<notificazione>> dell‘atto, prima o dopo la fatidica data del 1° luglio, segnava addirittura il discrimen per l‘applicazione del vecchio o del nuovo regime. Ora, non è più così (8). Ma è comunque importante aver ben presente il quadro complessivo dei termini e degli effetti che ancora si ricollegano alla <<notifica>> degli atti <<impoesattivi>> (tra i quali, poi, si distingue l‘avviso di accertamento con valenza esattiva inizialmente emesso e dei successivi atti rideterminativi degli importi dovuti in base al primo, pur essi peraltro dotati di forza esecutiva) (9). 12 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA Seguendo il dato legislativo da questa <<notifica>> derivano: a) il termine (di sessanta giorni o di centocinquanta giorni, in caso di attivazione del procedimento per adesione, risultato infruttuoso) per impugnare gli atti <<impoesattivi>> (10); b) il termine (ancora di sessanta giorni, salvo le modifiche di cui sopra) per il pagamento degli importi indicati in tali atti, <<ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso, e a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dall‘art. 15 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602>> (11); c) il termine (sempre di sessanta giorni salvo le varianti prorogatorie di cui sopra) per la maggiorazione degli <<interessi di mora nella misura indicata dall‘articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, calcolati a partire dal girono successivo dalla notifica degli atti>> di cui trattasi (12); d) il termine (di sessanta giorni tout court) perché detti atti divengano <<esecutivi>>; e) il termine (anch‘esso di sessanta giorni ut supra) dopo il quale potrà comunque essere immediatamente sperimentata la riscossione straordinaria dell‘intero ammontare delle somme indicate negli atti (compresi interessi e sanzioni) <<in presenza di fondato pericolo per il positivo esito della riscossione>>; f) il termine (di trenta giorni dopo il termine ultimo per il pagamento) per l‘affidamento della riscossione delle somme richieste <<in carico agli agenti della riscossione anche ai fini dell‘esecuzione forzata>>, oltre il quale termine può anche essere concessa la dilazione del pagamento prevista dall‘art. 19 del d.p.r. n. 602/1973 (13); g) il termine (di un anno) successivamente al quale l‘espropriazione forzata non potrà essere iniziata senza essere <<preceduta dalla notifica dell‘avviso di cui all‘articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602>> (14). Emerge prima facie l‘eterogeneità di siffatti termini (basti pensare al termine per ricorrere rispetto al termine per pagare o per la formazione del titolo esecutivo e per l‘attivazione della riscossione) di cui peraltro è possibile la reductio ad unitatem solo e proprio in ragione della loro unitaria riferibilità alla sola notifica dell‘atto <<impoesattivo>> e ad ogni effettualità ad esso correlata. Mette conto soffermare l‘attenzione soprattutto sulla <<novità>> del fatto che la legge espressamente dice che <<gli atti di cui alla lettera a)>>, vale a dire tutti gli atti <<impoesattivi>> di cui si sta parlando, <<diventano esecutivi decorsi sessanta giorni dalla notifica>>. L‘art. 12, ultimo comma, del DPR n. 602/1973, per contro, non diceva e non dice così. Prevede, invece, che <<con la sottoscrizione il ruolo diviene esecutivo>> (15). Con la nuova disciplina, peraltro, la formazione del titolo non preesiste alla notifica, ma dipende dalla stessa. 13 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA Questo aspetto è stato giustamente messo in risalto (16), evidenziando come la littera legis porti ad <<accordare alla vicenda della notifica portata addirittura costitutiva della natura di titolo esecutivo dell‘avviso di accertamento>> (17), in ciò, tuttavia, ravvisando una distonia, in quanto, mentre ai fini della esecutività dell‘atto la notifica avrebbe efficacia costitutiva e non sarebbe per ciò surrogabile con la sola conoscenza dell‘atto (18), per quanto attiene all‘atto impositivo e alla sua impugnabilità, stando alla giurisprudenza della Suprema Corte al riguardo (19), il vizio di notifica dovrebbe ritenersi sanato per il solo fatto della proposizione tempestiva del ricorso e la notifica non avrebbe perciò la stessa valenza costitutiva ad essa assegnata dalla legge ai fini dell‘esecutività dell‘atto. In realtà, questa divaricazione di effetti non esiste, nessuna distinzione ha ragione d‘essere e non è dato riscontrare alcuna disarmonia sistematica (20). Siccome, giusta quanto si è visto, l‘esecutività degli atti di cui trattasi è essenzialmente compenetrata nell‘impositività degli atti stessi e poiché dunque tutta la nuova effettualità di tali atti è de lege lata imperniata sulla notificazione di questi atti, sia pure attraverso vari lassi di tempo, che dalla notifica comunque dipendono e che senza di essa neppure si producono, tutto ciò sta inequivocamente a dimostrare che la notificazione degli atti in questione è pur sempre componente costitutiva degli atti medesimi, i quali si configurano, pertanto, quali atti recettizi, che si perfezionano e vengono ad esistenza solo se ed in quanto notificati (21). La normativa in esame, pur facendo continuo riferimento alla <<notificazione>> degli atti in esame, non fa esplicito richiamo ad una specifica disciplina. In particolare, espressamente non dice se occorra far capo all‘art. 60 del DPR n. 600/1973, piuttosto che ad altre disposizioni di portata più generale (art. 137 ss. c.p.c.) o particolare (art. 26 d.p.r. n. 602/1973). Poiché, tuttavia, nello stesso art. 29, al 1° comma, sub a), si parla di <<avviso di accertamento emesso dall‘Agenzia delle Entrate ai fini delle imposte sui redditi e dell‘imposta sul valore aggiunto>> e di <<connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni>>, non pare dubbio che la disciplina di riferimento debba essere quella espressa dall‘art. 60 del DPR n. 600/1973 (22). 3. L‘indispensabile intermediazione dell‘agente della notificazione ed essenzialità della <<relata>> anche per il caso di notifica a mezzo posta del primo atto <<impoesattivo>>. Leggendo attentamente il 1° comma dell‘art. 29 della normativa in esame emerge anche un altro dato di rilievo in tema di notificazione degli atti di cui trattasi. Per meglio evidenziarlo occorre, in sintesi, ricordare come, tra le misure di conoscenza, la notificazione si distingua dalla comunicazione, in quanto, nella prima il contatto tra l‘autore dell‘atto e il suo destinatario avviene per il tramite di un soggetto terzo all‘uopo specificamente abilitato a svolgere l‘attività di intermediazione fungendo così da vero e proprio agente della 14 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA notificazione, mentre nella comunicazione è lo stesso autore dell‘atto che contatta il suo destinatario (23). Com‘è noto, l‘utilizzo del servizio postale non interferisce nella distinzione succitata, in quanto l‘agente postale opera quale nuncius (24) e ben possono quindi aversi <<comunicazioni a mezzo del servizio postale>>, quando l‘utilizzo del servizio postale è fatto direttamente dall‘autore dell‘atto, mentre si hanno <<notificazioni a mezzo del servizio postale>>, quando a servirsi del servizio postale sia, non già direttamente l‘autore dell‘atto, bensì l‘agente della notificazione. E‘ noto, altresì, che, nonostante la diversità strutturale sopra evidenziata, poiché il termine <<notificazione>> assume potenzialmente significati anfibiologici, con la parola <<notificazione>>, genericamente impiegata, è possibile intendere, tanto la notificazione in senso stretto, quanto la notificazione in senso lato, comprendente quella che, propriamente, è soltanto una comunicazione e per la quale, con specifico riferimento ai casi di utilizzo del servizio postale, comunemente si parla di <<notificazione diretta a mezzo posta>> per connotare in tal modo come notifica a mezzo posta la trasmissione per posta fatta direttamente dall‘autore dell‘atto al suo destinatario (25). Su questi slittamenti terminologici, è così invalsa la tendenza a ridurre l‘ambito di applicazione della vera e propria notificazione, ritenendo che in molti casi in cui la legge parla di notificazione questa espressione non valga a rendere necessariamente applicabili le disposizioni delle notificazioni vere e proprie, bastando invece il diretto invio dell‘atto tramite il servizio postale. Ovviamente, in tal modo, viene favorito l‘autore dell‘atto, mentre diminuiscono le garanzie di conoscibilità per il destinatario dell‘atto stesso. In concreto il problema si è posto, a livello interpretativo ed applicativo, con riferimento all‘art. 14 della l. n. 890/1982. Detta norma, nella prima parte del 1°comma, espressamente stabilisce che <<la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente deve avvenire con l‘impiego di plico sigillato e può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari>>. Nella seconda parte dello stesso primo comma, peraltro, si precisa che <<sono fatti salvi i disposti di cui agli articoli 26, 45 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 e 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600>>. Seguendo il consueto criterio di interpretazione sistematica, quindi, se è vero che, in generale, per le ―notificazioni‖ degli avvisi e degli altri atti finanziari che per legge devono essere notificati al contribuente è dunque possibile l‘invio diretto dell‘atto dall‘ufficio al contribuente stesso tramite posta, per la notifica, in particolare, degli avvisi di accertamento previsti dall‘art. 60 d.p.r. n. 600/1973, è viceversa, ―fatta salva‖, cioè resa obbligatoria, la speciale disciplina ivi prevista, che richiede l‘intermediazione dell‘agente della notificazione, con la precisazione che <<la notificazione è eseguita dai messi comunali ovvero dai messi speciali autorizzati dall‘ufficio>>, anche tramite posta, a norma dell‘art. 149 c.p.c., con la redazione comunque di apposita 15 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA relata di notifica, da uno di questi soggetti sottoscritta, essendo questo disposto normativo sicuramente ricompreso tra le disposizioni di cui alla parte iniziale del 1° comma dell‘art. 60 e nient‘affatto escluso dalla lettera f) facente parte di questo stesso primo comma. Non ostante ciò, senza particolari approfondimenti, la giurisprudenza, salvo lodevoli eccezioni, tende ad avallare la generalizzata ammissibilità della c.d. notifica diretta a mezzo posta degli avvisi d‘accertamento (26). Orbene, se questo è in nuce lo stato della questione con riferimento alla normativa pregressa, nuovi profili di analisi e d‘inquadramento s‘impongono alla luce dei dati normativi sopravvenuti. Come già si è detto, l‘art. 29, 1° comma, della normativa in esame, pur senza espressa menzione del dato di riferimento, riconduce la disciplina della notifica degli avvisi di accertamento con valenza esecutiva nell‘ambito dell‘art. 60 del DPR n. 600/1973. Per quanto, invece, concerne <<gli atti successivi da notificare al contribuente>>, che non sono propriamente gli avvisi di accertamento, di cui anzi presuppongono la previa esistenza e notificazione, vien detto espressamente che essi possono essere notificati al contribuente anche <<mediante raccomandata con avviso di ricevimento>> (27). La disposizione non avrebbe letteralmente senso se fosse vero che per ogni atto finanziario sarebbe sempre consentita la notifica diretta per posta. Assume viceversa un doppio rilevante significato alla luce della corretta interpretazione dell‘art. 14 della l. n. 890/1982, che si è appena ricordata. In quanto, da un lato, viene in tal modo espressamente riconosciuto che l‘utilizzo della notifica diretta per posta è possibile per gli atti rideterminativi degli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento (eliminando il dubbio che ad essi potesse essere applicata la prima parte del 1° comma dell‘art. 14 l. cit., atteso che, in effetti, pur non essendo detti avvisi veri e propri avvisi di accertamento, con la nuova disciplina ad essi comunque viene attribuita una valenza esecutiva come all‘atto <<impoesattivo>> originale), dall‘altro lato, inequivocamente, si riafferma e si ribadisce che la notifica diretta per posta non vale invece per i veri e propri atti impoesattivi originari, per i quali la notifica dev‘essere necessariamente fatta tramite i messi notificatori di cui all‘art. 60 del d.p.r. n. 600/1973. In verità, sarebbe stato preferibile che la legge, pure per gli atti rideterminativi degli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento precedentemente notificati, avesse sempre imposto la vera e propria notifica tramite agenti della notificazione, vietando l‘utilizzo della notifica diretta a mezzo posta (28). Quel che, in ogni caso, deve risultare ben chiaro è che la norma, in tal modo, ha comunque certamente voluto escludere l‘ammissibilità dell‘invio diretto per posta del primo avviso di accertamento con valenza esecutiva proprio in ragione della sua prioritaria portata effettuale con diretta incidenza sul versante dell‘esecuzione coattiva, che postula in ogni caso l‘esistenza di una notifica ritualmente effettuata di tale atto, consacrata da una relata di notifica 16 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA redatta a norma di legge, con valenza probatoria sino a querela di falso (29), in grado di assicurare quanto più possibile l‘effettiva conoscenza dell‘atto stesso da parte del destinatario, in tal modo preservando lo stesso ufficio da contestazioni future che, sul versante dell‘esecuzione, stante l‘invasione patrimoniale conseguente, l‘espongono a conseguenze, non soltanto restitutorie, ma risarcitorie, per danni illecitamente causati ove le notifiche vengano poi riconosciute giuridicamente inesistenti o nulle (30). 4. Vizi di notifica degli atti <<impoesattivi>> e ridotte possibilità di sanatoria. Quanto sopra rilevato impone altresì di rivedere la problematica delle patologie della notificazione degli atti con specifico riferimento alla nuova figura dell‘atto <<impoesattivo>>. Com‘è noto, in oggi, non ostante fermi dissensi in dottrina (31), risalenti contrasti in apicibus (32) e mantenute dissonanze tra i giudici di merito (33), l‘orientamento della Suprema Corte risulta appiattito nel ritenere che il vizio della notifica dell‘atto finanziario impugnato, non ostante l‘ormai riconosciuta sua natura sostanziale e non processuale, si risolva in una nullità sanabile attraverso l‘a proposizione del ricorso contro l‘atto stesso davanti al giudice tributario, in quanto sintomatica del raggiungimento del suo scopo, ravvisato nell‘essere stato messo il destinatario a conoscenza del suo contenuto e quindi in grado di reagire conto di esso (34), salvo che il denunziato vizio non assurga a giuridica inesistenza della notifica (35) e sempre che non siano intervenute decadenze (36), fermo in ogni caso restando che le nullità di notifica sanabili sono soltanto quelle relative alla notifica dell‘atto impugnato e non quelle relative alla notifica dell‘atto prodromico (37), essendo in quest‘ultimo caso configurabile, ex art. 19, ultimo comma, D. lgs. n. 546/1992, una sorta di sanatoria del genere solo a seguito della facoltativa estensione della proposta azione d‘impugnazione allo stesso atto prodromico presupposto (38). Questo assetto disciplinare, come appena sintetizzato, stride ora e appare assolutamente incompatibile con la natura e la funzione del nuovo atto <<impoesattivo>> e con il suo inserimento nel sistema del prelievo. La già rilevata recettizietà di questo nuovo atto comporta necessariamente che il vizio della notifica non esaurisca i propri effetti nella sola notifica, ma si estenda inevitabilmente all‘atto di cui la notifica è parte, non assolvendo questa soltanto ad una funzione, astrattamente autonoma, di trasmissione di un atto già perfezionato, ma contribuendo essenzialmente al perfezionamento dell‘atto stesso. Il nuovo atto <<impoesattivo>> ha, come già si è detto, una pluridirezionalità effettuale e una diversità di funzioni, che rende impossibile una sanatoria per raggiungimento dello scopo. Non serve soltanto a dare accesso all‘impugnativa del contribuente. Apre le porte, in quanto titolo esecutivo e atto di precetto, all‘azione esecutiva e al pignoramento da parte dell‘agente della riscossione. Se dunque già era impervio ritenere che lo scopo della notificazione potesse essere quello di consentire al destinatario di proporre ricorso, ancora più assurdo, ed anzi impossibile, è ora pensare che lo 17 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA scopo della notificazione possa considerarsi quello di provocare l‘opposizione all‘esecuzione. Se, non ostante la sua immeritata longevità, la formula della provocatio ad opponendum, rispetto ai ricorsi relazionati ai vecchi avvisi di accertamento, non ha più senso (39), tanto meno può aver senso l‘idea della notificazione dell‘atto <<impoesattivo>> quale provocazione ostativa all‘esecuzione forzata. D‘altro lato, venendo meno la graduazione diacronica tra imposizione ed esazione, come precedentemente scandita e rappresentata nello stesso art. 19 D. lgs. n. 546/1992 viene a risultare notevolmente ridimensionato quanto si è detto circa la distinzione tra sanatoria del vizio di notifica, in caso di impugnazione diretta dell‘atto (impositivo), e deducibilità di tale vizio, nel caso, invece, d‘impugnazione dell‘atto successivo, perché basata sul presupposto di una valida notifica viceversa inesistente o invalidamente effettuata (40). In questo mutato assetto disciplinare il vizio della notificazione non può dunque che ridondare in vizio dell‘atto e come tale resta deducibile come motivo di invalidità dell‘atto stesso, in ordine al quale il giudice tributario non potrà che pronunciarsi in termini di esistenza o meno del vizio della notificazione e dell‘atto, senza più potersi servire del commodum discessus della sanatoria per raggiungimento dello scopo del solo vizio di notifica per evitare la decisione sul punto. Da parte dell‘ufficio l‘unico modo di evitare il rischio del giudizio sull‘invalidità della notifica e dell‘atto, sarà quello, un tempo normativamente sancito (41) , ma oggi sicuramente ancora fruibile, in quanto rientrante nel generale potere di autotutela, di rinotificare l‘atto, ancorché impugnato, salvo eventuali decadenze e con tutti i corollari applicativi del caso, tra i quali in primis l‘improcedibilità dell‘iter esattivo con l‘affidamento in carico, o il venir meno dell‘esecuzione forzata tributaria, se già iniziata. Infine, la stessa figura della giuridica inesistenza della notificazione, pur sempre residualmente configurabile, come sopra si è visto (con riferimento alla mancanza di intermediazione dell‘agente della notificazione e/o di relata di notifica inesistente e/o non sottoscritta, ma pure in ipotesi di relata di notifica falsa, materialmente o ideologicamente, o di consegna dell‘atto a soggetto privo di ogni riferimento con il destinatario dell‘atto), potrà atteggiarsi in diverse maniere. Non più soltanto quale ipotesi di esclusione della sanatoria per raggiungimento dello scopo olim individuata nel solo fatto dell‘essere stato proposto ricorso alla Commissione tributaria, ma pure quale via di accesso ad altre forme di tutela destinate inevitabilmente ad estendersi oltre il cerchio della giurisdizione tributaria e delle situazioni di interesse legittimo che ne formano oggetto, aprendosi così alla giurisdizione ordinaria e alla sfera dei diritti soggettivi, che risentono dell‘esecuzione forzata tributaria, ancorché avente natura essenzialmente amministrativa (42), trovando una qualche, pur circoscritta, protezione, entro gli angusti varchi delle opposizioni di cui 18 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA all‘art. 57 del DPR n. 602/1973 o attraverso l‘azione di risarcimento danni esercitabile ex art. 59 d.p.r. cit. o, più in generale, ex art. 2043 cod. civ. 5. I quantitativamente diminuiti e qualitativamente diversificati orizzonti di tutela. Con quanto appena si è detto si è già oltrepassata la problematica del trattamento dei vizi di notifica entrando in quella dei mezzi di tutela, che, non è difficile intuire, a seguito della nuova disciplina, risultano quantitativamente minori e si presentano comunque qualitativamente diversificati rispetto a prima. Il deficit quantitativo di tutela è di tutta evidenza. Non v‘è più una iscrizione a ruolo e una cartella contro cui esperire l‘impugnativa davanti al giudice tributario. Il venir meno di un atto autonomamente impugnabile non può che indebolire gli strumenti di reazione del contribuente. Quando venne abolito l‘avviso di mora, quale atto finale necessitato prima dell‘ingresso nell‘esecuzione forzata tributaria, si era provocatoriamente posto l‘interrogativo di un ritorno al solve et repete (43). Il dubbio, questa volta, sembra sia venuto addirittura allo stesso legislatore, dato quanto enunciato, a livello programmatico, nell‘art. 7, comma 1, lett. m), del d. l. 31 maggio 2011, n. 70, dove, infatti, si parla di <<attenuazione del principio del ―solve et repete‖>> (44). In realtà il solve et repete, tecnicamente parlando, non ha nulla a che vedere con questa disciplina (45). Sta di fatto che ormai, dopo la mancata o invalida notifica dell‘atto <<impoesattivo>>, salva l‘eventuale inerzia dell‘agente della riscossione protratta oltre l‘anno, che richiede la notifica di un atto d‘intimazione di pagamento prima del pignoramento, vi è di regola proprio e solo il pignoramento stesso. Quid iuris allora, volendo reagire a fronte della mancanza e/o giuridica inesistenza e/o invalidità della notifica dell‘atto <<impoesattivo>>? Le soluzioni prospettabili sembrerebbero le seguenti: pagare e ripetere (46), ovvero impugnare il pignoramento davanti al giudice tributario (47), o impugnare davanti a questo l‘atto <<impoesattivo>>, in quanto affetto da vizi di notifica idonei a legittimare la rimessione in termini di una impugnativa altrimenti tardiva, onde ottenerne l‘annullamento (48), o, ancora, proporre opposizione esecutiva (49), e/o, infine, intentare causa per danni nei confronti dell‘ente impositore, ovviamente, essendo l‘agente della riscossione messo al riparo dall‘avvenuta scomparsa della notifica della cartella di pagamento (50). Com‘è ovvio, tutte le vie indicate presentano difficoltà di accesso e impervietà di esiti. Senza che sia qui il caso di farne analitiche rivisitazioni, sembra importante segnalare un dato di elementare evidenza e delineare quindi la possibilità di percorsi di tutela differenziati. Il dato emergente è che la scomparsa della cartella di pagamento e del sottostante ruolo non si può equiparare alla scomparsa dell‘avviso di mora, 19 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA dato il diverso spessore sostanziale degli atti soppressi e il loro variato tasso d‘incidenza sul contribuente. Tenendo conto di questo occorre dunque distinguere. Se il vizio della notifica dell‘atto <<impoesattivo>> rientra nel novero dei vizi normativamente deducibili attraverso l‘impugnativa davanti al giudice tributario, sarà giocoforza ammettere la via del ricorso alle commissioni, contro tale atto e per tale motivo, gravando l‘esistenza o meno del vizio di notifica anche sul versante dell‘ammissibilità o meno del ricorso stesso, oltre che sul piano della legittimità dell‘atto medesimo in quanto non ritualmente notificato (51). Qualora, invece, la notifica dell‘atto <<impoesattivo>> non vi sia stata proprio, cioè sia materialmente inesistente, ovvero sia giuridicamente inesistente (come nei casi sopra ricordati di notifica falsa o di consegna dell‘atto a soggetto privo di ogni collegamento con il destinatario), non sembra possa escludersi anche l‘accesso al giudice ordinario attraverso l‘opposizione agli atti esecutivi di cui all‘art. 57, 12° comma, lett. b), del DPR n. 602/1973. Vero è che l‘art. 57, 1° comma, alla lett. a), non ammette nell‘esecuzione forzata tributaria l‘opposizione all‘esecuzione (a parte quella particolarissima forma di opposizione all‘esecuzione con la quale si contesta la pignorabilità dei beni) e neppure consente, sub b), <<le opposizioni regolate dall‘articolo 617 del codice di procedura civile relativamente alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo>>. E‘ altrettanto vero, peraltro, che, nel momento stesso in cui la norma esclude le opposizioni relative alle notificazioni del titolo esecutivo, complementarmente postula che la notificazione del titolo esecutivo vi sia stata, perché, in mancanza, v‘è soltanto un atto esecutivo, a cominciare dal pignoramento, privo di titolo e perciò invalido. Nei casi, quindi, di materiale carenza di notifica dell‘atto <<impoesattivo>> o di giuridica inesistenza di siffatta notificazione, è da ritenere ammissibile anche l‘opposizione agli atti esecutivi, con la conseguente applicabilità della relativa normativa di riferimento (52). In ogni caso, sussiste la possibilità della tutela risarcitoria, in quanto l‘esecuzione sine titulo costituisce illecito e il danno da illecito è risarcibile. Non, tuttavia, solo a norma dell‘art. 59 del d.p.r. n. 602/1973, che riguarda specificamente l‘azione risarcitoria per i danni causati dall‘agente della riscossione con il compimento dell‘esecuzione, bensì, anche prima, attraverso la normale azione risarcitoria ex art. 2043 cod. civ., che, tra l‘altro, non postula il previo compimento dell‘esecuzione forzata (53). Ecco perché la rigorosa osservanza delle norme sulla notificazione degli atti <<impoesattivi>> non interessa soltanto il contribuente, ma deve, ancor più oggi, fortemente, preoccupare lo stesso ente impositore, che, prima di avviare l‘affidamento in carico agli agenti della riscossione, resta onerato della verificazione della ritualità della notificazione dell‘atto <<impoesattivo>>, 20 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA proprio ed anche in relazione alle responsabilità che ad esso possano derivare a livello risarcitorio (54). 6. Il diverso atteggiarsi della protezione cautelare. Evoluzioni legislative e criticità degli assetti sopravvenuti. In questo nuovo assetto della tutela giurisdizionale, parametrato alla figura dell‘atto <<impoesattivo>>, emerge chiarissimo il diverso ruolo dell‘azione cautelare (55). Risultando il momento della riscossione anticipato e, per così dire, incorporato in un solo atto, dotato di vis esattiva, assieme a quella impositiva, anche la tutela giurisdizionale, per corrispondere appieno ai connotati funzionali, e costituzionalmente protetti, dell‘effettività e dell‘immediatezza, non può che essere indirizzata in limine ad evitare che il ritardo dell‘emananda pronuncia sull‘azione impugnatoria di tale atto ne vanifichi l‘esito, consentendo quindi al ricorrente di fruire di una sospensione dell‘esecuzione dell‘atto a fronte del fumus boni iuris e del periculum in mora, risultando ormai in re ipsa l‘attualità del pregiudizio (56). Tutto questo attribuisce una nuova veste all‘art. 47 del D. lgs. n. 546/1992. Prima, peraltro, di scendere in dettagli, è necessario rivisitare il percorso legislativo, per certi versi addirittura stravagante, che ha caratterizzato il susseguirsi delle modificazioni disciplinari via via introdotte, con alterne fortune, riguardo alla tutela cautelare al sorgere e al progressivo sedimentarsi della nuova figura dell‘atto impoesattivo. Nell‘originaria formulazione del D.L. n. 78/2010, accanto all‘art. 29, recante <<concentrazione della riscossione nell‘accertamento>>, l‘art. 38, riguardante <<altre disposizioni in materia tributaria>>, nel comma 9, sub a), aveva modificato l‘art. 47 del D. lgs. n. 546/1992, riducendo drasticamente a centocinquanta giorni il termine massimo di efficacia della sospensione cautelare concessa dal giudice (57). Come non si era mancato di far immediatamente notare (58), l‘innovazione, ancorché dallo stesso legislatore apportata <<al fine di accelerare la riscossione>>, in realtà snaturava l‘essenza stessa della tutela cautelare, che è strumentale al giudizio sulla domanda e non può quindi essere avulsa da questa, attraverso una contrazione automatica della sua efficacia, in funzione protettiva di questo giudizio al quale è necessariamente correlata (59). L‘intrinseca irrazionalità della limitazione temporale in tal modo introdotta era dunque tale da urtare contro il principio di razionalità sancito dall‘art. 3 Cost., ancor prima che con l‘art. 24 Cost., il quale garantisce in termini di effettività il diritto d‘azione, e con l‘art. 111 Cost., che, nell‘imporre la salvaguardia di una <<ragionevole durata del processo>>, non solo, come solitamente vien detto, vieta l‘eccessiva durata del processo, ma rende costituzionalmente illegittima anche ogni previsione normativa tendente a ridurre i tempi necessari perché la tutela giurisdizionale possa adeguatamente svolgersi. Non ostante qualche timido tentativo di salvataggio prospettato in dottrina (60), ed anche grazie ad una pregevolissima pronuncia della Corte 21 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA costituzionale nelle more provvidenzialmente intervenuta (61), in sede di conversione con l. 122/2010 l‘assurda disposizione è stata soppressa (62), lasciando quindi spazio aperto al normale operare della tutela cautelare così come generalmente disciplinata per il processo tributario dall‘art. 47 del D. lgs. n. 546/1992. Con il recente d. l. 13 maggio 2011, n. 70, ormai giornalisticamente qualificato come ―decreto sviluppo‖, è stata, peraltro, apportata una modifica vólta ad ulteriormente potenziare la ―copertura cautelare‖ attorno ai nuovi atti impoesattivi. Come già si è accennato, nell‘art. 7, comma 1, della lett. m), in vista di una enunciata <<attenuazione del principio del ―solve et repete‖>>, si è generalmente previsto che, <<in caso di richiesta di sospensione giudiziale degli atti esecutivi non si procede all‘esecuzione fino alla decisione del giudice e comunque fino al centoventesimo giorno>>, mentre, nel secondo comma, <<in funzione di quanto previsto al comma 1>>, si è, <<in particolare>>, disposto che al comma 1, dell‘art. 29 del d.l. n. 78/2010, così come conv. con l. n. 122/2010, venga aggiunta, dopo la lett. b, una ―lettera b – bis‖, nella quale testualmente vien detto che, <<in caso di richiesta, da parte del contribuente, della sospensione dell‘esecuzione dell‘atto impugnato ai sensi dell‘articolo 47 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, l‘esecuzione forzata di cui alla lettera b) è sospesa fino alla data di emanazione del provvedimento che decide sull‘istanza di sospensione e, in ogni caso, per un periodo non superiore a centoventi giorni dalla data di notifica dell‘istanza stessa>>, con l‘ulteriore precisazione, contenuta in apposito secondo periodo, che <<la sospensione di cui al periodo precedente non si applica con riguardo alle azioni cautelari e conservative, nonché ad ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del contribuente>>. Da ultimo, stando almeno alle informazioni giornalisticamente diffuse (63) sembrerebbe che addirittura il termine di centoventi giorni venga protratto a 180 giorni (o a 210 giorni). Questi dati normativi alimentano specifiche criticità, in quanto incidono in modo peculiare sull‘innesto della tutela cautelare nel quadro operativo dei nuovi atti impoesattivi e, d‘altro lato, comportano ulteriori significative ricadute sulla disciplina della tutela cautelare generalmente prevista dall‘art. 47 del D. lgs. n. 546/1992. 7. La peculiare figura dell‘istanza cautelare con immediata efficacia sospensiva dell‘esecuzione prevista dal d.l. n. 70/2011. Bisogna dunque preliminarmente riflettere sulla peculiare portata di queste recentissime innovazioni legislative. Come già accennato, parlare di <<attenuazione del principio del solve et repete>> non è tecnicamente corretto, sembrando addirittura improprio parlare di <<principio>>, anziché di <<congegno>>, o, a tutto concedere, d‘istituto, a tale riguardo. Nella sua improprietà il richiamo fatto comunque esprime efficacemente l‘intentio legis di una procrastinazione delle 22 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA conseguenze immediatamente solutorie o esattive e di una meglio garantita possibilità di un accesso giurisdizionale contro gli atti impoesattivi con effetti immediatamente sospensivi. A livello tecnico, il dato di maggior spicco consiste nell‘attribuzione ex lege di una efficacia sospensiva dell‘<<esecuzione forzata di cui alla lettera b)>> del comma 1 dell‘art. 29 del d.l. n. 78/2010 conv. in l. n. 122/2010, direttamente collegata alla notifica dell‘istanza della <<richiesta>> o <<istanza>> <<della sospensione dell‘esecuzione dell‘atto impugnato ai sensi dell‘articolo 47 del decreto legislativo 30 settembre 1992, n. 546>> (64). Trattandosi di un effetto legale, lo stesso si produce per il solo fatto della notificazione della <<richiesta>> o <<istanza>> di sospensione ex art. 47 d. lgs. n. 546/1992, e questo, com‘è chiaro, comporta di per sé un indiscriminato risultato ―sospensivo‖ per il richiedente o instante, tale da incoraggiare di per sé la notifica di siffatta istanza o richiesta, indipendentemente dall‘esito, con gravi ricadute sull‘assetto della fase iniziale dei giudizi destinata ad una pressoché inevitabile scansione in una prima adunanza camerale sull‘istanza cautelare ed una successiva trattazione del merito (65). Fermo quanto appena detto, è comunque importante circoscrivere l‘esatto ambito di operatività della disposizione, sia con riferimento all‘oggetto dell‘effetto sospensivo, sia in relazione alla data di inizio e al momento finale di questa particolare sospensione. Quanto all‘oggetto, occorre segnalare che non si tratta propriamente di un‘anticipazione al momento iniziale del procedimento cautelare degli effetti a cui dà luogo il provvedimento che lo conclude. La legge, a ben vedere, mantiene la distinzione tra l‘oggetto della sospensione giudiziale ex art. 47 d. lgs. n. 546/1992, che concerne gli <<atti esecutivi>> ovvero <<l‘esecuzione dell‘atto impugnato>> rispetto all‘oggetto della sospensione legale correlata alla notificazione dell‘istanza o richiesta di sospensione giudiziale che riguarda il <<procedere all‘esecuzione>> o più propriamente <<l‘esecuzione forzata di cui alla lett. b) dell‘art. 29, 1° comma, del d.l. n. 78/2010 conv. in l. n. 122/2010>>. In altre parole, ciò che resta sospeso ex lege è soltanto l‘ordinario affidamento <<in carico della riscossione agli agenti della riscossione anche ai fini dell‘esecuzione forzata>>, di cui per l‘appunto parla la lett. b) dell‘art. 29, 1° comma, D.L. n. 78/2010 conv. in l. n. 122/2010, restando invece esclusa dall‘effetto legale di cui trattasi la riscossione ―straordinaria‖ prevista dalla lett. c) dell‘art. 19, 1° comma, cit., <<in presenza di fondato pericolo per il positivo esito della riscossione>> (66) ed essendo stata fatta, inoltre, specificamente salva la possibilità di accedere, senza vincoli di sospensione ex lege, alle azioni cautelari e conservative e ad ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore (67). Riguardo al termine iniziale, esso è precisamente indicato nella <<notifica>> della <<richiesta>> o <<istanza>> della domanda di sospensione cautelare ex art. 47 d. lgs. n. 546/1992 e il dato legislativo alimenta non poche difficoltà di univoca determinazione sul piano applicativo. Si pone, anzitutto, il dubbio se 23 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA sia sufficiente il solo invio della <<richiesta>> o <<istanza>> all‘ufficio o sia necessario anche il <<deposito>> presso la segreteria del giudice adito (68). Si prospetta, inoltre, qualche elemento d‘incertezza per l‘ipotesi che la <<notifica>> sia fatta tramite ufficiale giudiziario o per posta, specificamente riguardo alla precisa individuazione del momento iniziale, nel solo fatto della consegna della richiesta o istanza all‘ufficiale giudiziario o nella spedizione tramite posta, e non anche all‘atto del ricevimento della richiesta o istanza da parte dell‘ufficio (69). Infine, parlando la nuova legge di <<richiesta>> o <<istanza>>, poiché l‘art. 47, 1° comma, d. lgs. n. 546/1992 espressamente prevede che l‘una o l‘altra possano essere contenute nel <<ricorso>> ovvero in <<atto separato notificato alle altre parti e depositato in segreteria secondo le disposizioni di cui all‘articolo 22>> (70), nulla vieta che detta richiesta o istanza possa essere postergata rispetto alla proposizione del ricorso iniziale, con il consequenziale spostamento nel tempo dell‘effetto sospensivo che ne deriva ex lege (71). Per quanto concerne il momento terminale dell‘effetto legale sospensivo di cui trattasi, la nuova legge lo colloca <<fino alla decisione del giudice e comunque fino al centoventesimo giorno>> (72) ovvero <<fino alla data di emanazione del provvedimento che decide sull‘istanza di sospensione e, in ogni caso, per un periodo non superiore a centoventi giorni dalla notifica dell‘istanza stessa>> (73). A parte la non perfetta coincidenza tra i due testi (74), non è del tutto chiara la determinazione del momento finale dell‘efficacia sospensiva legale. Non ostante l‘impiego della particella <<e>> tra i due momenti finali del provvedimento che decide sull‘istanza e del decorso di centoventi giorni dalla notifica dello stesso (75), non sembra che questa particella possa avere un significato cumulativo, che non avrebbe d‘altronde assolutamente senso, riuscendo difficile comprendere il protrarsi dell‘efficacia sospensiva legale ancorata alla sospensione giudiziale qualora la stessa abbia già sortito esito negativo, dovendosi viceversa attribuire a questo contesto letterale il significato espressivo di un‘alternativa condizionata, nel senso che la sospensione legale opera per centoventi giorni dalla data di notifica dell‘istanza quale termine massimo, ma sol se, ed in quanto, non sia nel frattempo intervenuta l‘emanazione del provvedimento giurisdizionale sull‘istanza stessa, sia esso di accoglimento (nel qual caso subentra l‘effetto sospensivo giudiziale) o di rigetto (nel qual caso viene a cadere anche l‘effetto sospensivo legale) (76). Ovviamente, quanto al termine massimo di centoventi giorni, essendo parametrato alla <<notifica>> dell‘istanza di sospensione giudiziale, sconta anch‘esso tutte le incertezze individuative che già si sono evidenziate in proposito (77). Riguardo, invece, al termine di chiusura correlato all‘<<emanazione del provvedimento che decide sull‘istanza di sospensione>>, è da ritenere che per <<emanazione>> (78) debba più propriamente intendersi l‘inserimento nel processo verbale, se pronunciato in udienza, o, altrimenti, nella scrittura in calce al processo verbale o in foglio separato munito della data e della sottoscrizione del presidente, secondo quanto disposto dall‘art. 134 c.p.c. (79), laddove il 24 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA richiamo fatto al <<provvedimento che decide sull‘istanza di sospensione>> può far sorgere il dubbio sulla sua identificabilità o meno anche nel solo provvedimento presidenziale previsto dall‘art. 47, 3° comma, d. lgs. n. 546/1992, stante la natura provvisoria di tale provvedimento, che necessita in ogni caso di un suo completamento attraverso la pronuncia collegiale di cui al 4° comma della norma citata (80). Con tutte le complicazioni interpretative che si sono viste, emerge in definitiva, un quadro complessivo di forte, fors‘anche ultroneo, potenziamento dell‘apparato cautelare a fronte degli atti <<impoesattivi>>, che a prescindere da ogni perplessità sull‘opportunità del suo mantenimento in vita (81), rende necessario, in ogni caso, un rinnovato approfondimento sul generale impianto della tutela cautelare approntato dall‘art. 47 del d. lgs. n. 54671992. 8. Il rinnovato quadro generale dell‘art. 47 del D. lgs. n. 546/1992 e la sua rinforzata vis expansiva. Dopo l‘immersione nella ―nuovissima‖ normativa che, come si è visto, specificamente richiama l‘art. 47 del d. lgs. n. 546/1992, è importante conclusivamente tornare a questa disposizione, che contiene la generale disciplina della tutela cautelare nel processo tributario (82), rivalutandone la portata alla luce di tutte le novità sopra esaminate. Il dato di fondo è che, senza dubbio, l‘importanza e la funzione di questa generale disciplina ne riescono rinforzate, anche e proprio in relazione al suo ruolo di cruciale presidio della tutela giurisdizionale rispetto alla particolare figura degli atti impoesattivi con la quale interagisce in termini d‘intensa reciprocità. I tratti più significativi sono d‘immediato riscontro. Già si è visto come a fronte degli atti impoesattivi l‘attualità del pregiudizio è, per così dire, in re ipsa. Non occorrerà più attendere alcun atto esecutivo futuro, che infatti c‘è già. Il legame tra fumus boni iuris e periculum in mora diventa ancora più stretto e indissolubile (83). Viene meno ogni frazionamento tra <<imposizione>> ed <<esazione>> e cade ogni più o meno artefatta frazionabilità di ruoli e di ogni diversificata scansione diacronica rispetto ad un danno grave ed irreparabile ormai unitariamente atteggiato a fronte di motivi pur essi complessivamente dedotti (84). L‘atto di impulso, come già pure si è visto, risulta particolarmente rafforzato, proprio in funzione della particolare natura degli atti impoesattivi. La possibilità di regolarne la proposizione, anche al di fuori del ricorso introduttivo del giudizio, in tempi diversi, se strumentalmente utilizzata potrebbe determinare livelli protettivi persino eccessivi (85). Lo stesso strumento della tutela cautela inaudita altera parte a fronte degli atti impoesattivi e della particolare disciplina della tutela cautelare ad essi commisurata viene ad offrire nuove prospettive d‘impiego. Se, da un lato, contrariamente a quanto si è comunque opportunamente suggerito (86), non potrà certo risolvere il problema del pronosticabile affollamento d‘istanze 25 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA cautelari determinato dalla prevista fruibilità dell‘effetto legale di sospensione dell‘esecuzione forzata, anche a prescindere dall‘esito del provvedimento cautelare, dall‘altro lato potrebbe forse costituire un utile strumento per rimediare alla scadenza del termine massimo di centoventi giorni dalla notifica dell‘istanza, ove non sia possibile la normale attivazione della seduta camerale, in quanto il rischio del superamento di questa soglia potrebbe integrare, pur con qualche forzatura, gli estremi dell‘eccezionale urgenza e, d‘altro lato, la concessione, sia pure interinale della sospensione, potrebbe consentire la conversione dell‘effetto sospensivo ex lege in un effetto sospensivo giudiziale, ancorché provvisorio, dell‘esecuzione (87). Infine, la scomparsa di un titolo esecutivo tout court e l‘individuazione unitaria del titolo del potere impositivo ed esattivo nell‘atto impoesattivo di cui trattasi comporta il tendenziale mantenimento di questa essenziale unità lungo tutto lo svolgimento del processo, Il che, da un lato, dovrebbe accelerare il venir meno della riscossione frazionata, anche oltre il primo grado (88), dall‘altro non può non può più nemmeno far dubitare che la sentenza dei giudici tributari possa considerarsi titolo esecutivo, essendo invece titolo impositivo e titolo esecutivo concentrati in un solo atto di natura sostanziale, qual è l‘atto impoesattivo di cui trattasi, in cui, oltretutto, rifluisce anche il provvedimento irrogativo di sanzioni (89), con la logica conseguenza che non ha più letteralmente senso una disciplina differenziata tra primo e secondo grado, dell‘atto impoesattivo e del provvedimento sanzionatorio, quanto alla tutela cautelare, la cui vis expansiva ormai dev‘essere anzi estesa a tutto il sistema delle impugnazioni, quale strumento essenziale di garanzia dell‘effettività della tutela giurisdizionale anche oltre il primo grado, a prescindere dai tortuosi itinerari sinora faticosamente praticati dalla Corte costituzionale al riguardo (90). Cesare Glendi NOTE (*) Lo scritto trae origine dalla relazione introduttiva <<Nuove valenze della notifica degli atti e della tutela cautelare>> predisposta per il (ed oralmente illustrata per excerpta nel) Convegno su <<La concentrazione della riscossione nell‘accertamento>>, tenutosi nel Teatro Ariston di Sanremo nelle giornate del 3 – 4 giugno 2011 a cura della Fondazione Antonio Uckmar per la serie de <<I ―venerdì‖ di diritto e pratica tributaria>>. (1) C. Glendi, <<Luci>> e <<ombre>> sulla Manovra 2010, in Corr. trib., n. 33/2010, pag. 2645 ss. (2) Il neologismo non può dirsi elegante. Ma esprime icasticamente la speciale categoria di atti nei quali appaia coniugata la diversa funzione dell‘imposizione e dell‘esazione (con la doppia specificazione della formazione del titolo esecutivo e del precetto), con una lieve prevalenza della prima, di proposito lessicalmente anticipata, fermo restando la coessenzialità di tutte in un simplegma inscindibile. L‘espressione, d‘altro lato, è più completa rispetto a formule, ricorrenti, come quelle di <<accertamento 26 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA esecutivo>> o di <<avvisi di accertamento esecutivi>>, che mal designano atti che non possono propriamente dirsi di accertamento e che riducono alla sola esecutività la più articolata e complessa figura dell‘esazione, così da non mostrare adeguatamente tutti i connotati della categoria degli atti che vi s‘intendono rappresentare. (3) La nuova disciplina, infatti, presenta in oggi limiti temporali ed oggettivi, non tutti ancora precisamente delineati, in ordine ai quali v., al momento, A. Carinci, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex D. L. n. 78/2010, in Riv. dir. trib., n. 2/2011, I, pag. 159 ss. e, in specie, a pag. 162 ss., nonché A. Giovannini, Riscossione in base al ruolo e agli atti d‘accertamento, in Rass. trib., n. 1/2011, pag. 22 ss. La progressiva estensione della nuova disciplina ad altre tipologie di atti (in particolare, liquidativi) e ad altri tributi (doganali, sui trasferimenti, ecc.) o ad altre entrate, oggi riscuotibili a mezzo ruolo, in genere, è stata peraltro espressamente prefigurata nell‘art. 29, comma 1, lett. h, del d. l. n. 78/2010 conv. in l. n. 122/2010, attraverso <<uno o più regolamenti da adottare ai sensi dell‘art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 anche in deroga alle norme vigenti>>, (4) La specificazione è importante perché la nuova disciplina attribuisce un‘effettualità tutt‘affatto diversa alla c.d. sospensione amministrativa della riscossione ex art. 39 del d.p.r. n. 602/1973, a cui fa espresso riferimento l‘art. 29, comma 1, lett. g), ultima parte, del d. l. n. 78/2010 conv. in l. n. 112/2010, che ne prevede expressis verbis l‘applicazione in caso di ricorso avverso gli atti di cui alla lett. a) del dato normativo appena indicato. Sulla natura amministrativa e sulla funzione non cautelare del rimedio cfr., da ultimo, C. Magnani, La sospensione amministrativa della riscossione ―concentrata―, in La concentrazione della riscossione nell‘accertamento, Atti preparatori al Convegno tenutosi a Sanremo nei giorni 3 – 4 giugno 2011, pag. 235 ss. (5) Con l‘art. 7, comma 2, sub n), al n. 2.2.) del d. l. 13 maggio 2011, n. 70 la parola ―anche‖, dopo la parola ―sanzioni‖, nel 2° periodo del comma 1, lett. a), dell‘art. 29 d.l. n. 78 conv. in l. n. 122/2010, è stata eliminata. Questo cambiamento ha fatto sorgere il problema se il nuovo regime di immediata esecutorietà valga, in generale, per i <<successivi atti da notificare ai contribuenti … in tutti i casi in cui siano rideterminati gli importi derivanti in base agli avvisi d‘accertamento>> o se, invece, si applichi <<ai soli casi enumerati espressamente (rideterminazione degli importi dovuti a seguito delle vicende del processo ex art. 68 D. Lgs. n. 546/92 ed art. 19 D. lgs. n. 472/97, in materia di sanzioni, e mancato pagamento di rate successive alla prima nell‘accertamento per adesione ex art. 8, co. 3 – bis, d. lgs. n. 218/97)>>. Orientato in questa seconda prospettiva A. Carinci, La concentrazione della riscossione nell‘accertamento (ovvero un nuovo ircocervo tributario), in La concentrazione della riscossione nell‘accertamento, cit., 48, secondo cui <<dovrebbero invece restare escluse ipotesi affatto similari a quelle indicate, quali l‘omesso pagamento di rate successive alla prima nell‘adesione all‘invito al contraddittorio (art. 5, 27 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA comma 1 – quater, del D. lgs. n. 218/97), nell‘adesione al processo verbale (art. 5 – bis, comma 4, del D. lgs. n. 218/97), nella conciliazione giudiziale (art. 48, co. 3 – bis, del D. lgs. n. 546/92), nell‘acquiescenza alla comunicazione di irregolarità, di cui agli artt. 2 e 3 del D. lgs. n. 462/97, a seguito delle liquidazioni ex artt. 36 – bis, DPR n. 600/73, e 54 – bis DPR n. 633/72, e dei controlli formali, ex art. 36 – ter del DPR n. 600/73 (art. 3 – bis del D. lgs. n. 462/97)>>. Sempre secondo l‘A. cit., inoltre, <<il nuovo regime non dovrebbe applicarsi nei casi in cui l‘avviso di accertamento, non contenendo la liquidazione del tributo, non appare idoneo ad assumere la veste di titolo esecutivo>>, come nel caso di <<avvisi di accertamento emanati nei confronti delle società di persone soggette al regime di trasparenza, di cui all‘art. 5 del Tuir>>, ma non <<nel caso di società trasparenti ai sensi degli artt. 115 e 116 del Tuir (c.d. trasparenza per opzione)>>, in quanto, in tal caso, <<l‘accertamento nei confronti della partecipata dovrebbe poter assumere la nuova forma esecutiva anche per l‘imposta sul reddito, stante la responsabilità solidale della società trasparente con i soci, per l‘imposta, le sanzioni e gli interessi conseguenti all‘obbligo d‘imputazione del reddito>>, a norma dell‘art. 115, comma 8, del T.U.I.R. Sulle specifiche problematiche circa l‘applicabilità o meno del nuovo regime alla rettifica delle dichiarazioni dei soggetti aderenti al consolidato nazionale ex art. 40 bis del d.p.r. n. 600/1973 v., ancora, A. Carinci, op. loc. cit., pag. 49. Altri dubbi possono sorgere, infine, riguardo all‘art. 37 bis, 4° comma, del D.P.R. n. 600/1973. (6) Secondo A. Carinci, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex D.L. n. 7872010, cit., loc. cit., pag. 165, l‘<<intimazione ad adempiere>> atterrebbe alla funzione tipica del precetto, che verrebbe a far parte dell‘atto ancor prima dell‘assunzione della qualità di titolo esecutivo. In realtà questa <<‖curiosa‖ inversione logica>> è più apparente che reale. In quanto l‘atto <<impoesattivo>> presenta una struttura essenzialmente unitaria, al punto che non consente più, neppure astrattamente, di configurare un ―accertamento‖ che non sia al contempo ―precettivo‖ del conseguente adempimento ivi previsto e come tale dotato dell‘attitudine a divenire ―titolo esecutivo‖ alla scadenza del termine normativamente stabilito dalla notifica dell‘atto, essenzialmente costitutiva di ogni sua intrinseca effettualità. E‘ importante insistere sul carattere strutturalmente unitario ed inscindibile del nuovo atto impoesattivi anche in ragione dei vari effetti. Non si ha una mera <<inabitazione trinitaria>>, entro un unico contenitore, dell‘impugnazione, del titolo esecutivo e del precetto. Le tre funzioni restano inevitabilmente compenetrate. Con la conseguenza, tra l‘altro, che un atto impoesattivo che difetti dell‘intimazione al pagamento o dell‘avvertenza che in difetto si procederà all‘affidamento in carico agli agenti della riscossione non solo non vale come titolo esecutivo o come precetto, ma non vale neppure come atto d‘imposizione in quanto tutti e tre le funzioni e tutti e tre gli effetti che derivano dall‘atto impoesattivi sono inscindibilmente collegate. In altre parole, un atto impoesattivo che non sia anche titolo e precetto non può dar 28 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA luogo all‘utilizzo alternativo di una iscrizione a ruolo. Dev‘essere sostituito con la rinotifica di un nuovo atto impoesattivo conforme al modello legislativamente previsto. (7) Nel testo originario dell‘art. 29 del d. l. 31 maggio 2010, n. 78 l‘esecutività degli atti impoesattivi era contestuale alla notificazione degli atti stessi, mentre, in sede di conversione del d. l. con legge 30 luglio 2010, n. 122, l‘effetto esecutivo, pur essendo sempre strettamente collegato alla notificazione, è stato differito a sessanta giorni dopo la notifica stessa. La diversità sembra possa relazionarsi alla previsione dell‘art. 29, 1° comma, lett. a), del D.L. cit., non modificata in sede di conversione con L. n. 122/2010, a tenore del quale l‘affidamento in carico per la riscossione per la totalità del dovuto <<in presenza del fondato pericolo per il positivo esito della riscossione>> comunque previsto <<decorsi sessanta giorni dalla notifica degli atti di cui alla lett.a>>. (8) Con l‘art. 7, comma 2, del d. l. 13 maggio 2011, n. 70, alla lettera n), sub 1), <<la parola ―notificati‖>> è stata sostituita dalla parola <<emessi>>, per cui, ferma l‘operatività del limite temporale relazionato <<ai periodi d‘imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi>>, il nuovo regime disciplinare per gli atti <<impoesattivi>> di cui alla lettera a) dell‘art. 29 del D. L. n. 78/2010 conv. in l. n. 122/2010 varrà solo con riferimento a siffatti atti che vengano <<emessi>> a partire dal 1° luglio 2011. (9) Già si è accennato (retro a nota 5) a questa particolare sottocategoria di atti impoesattivi, che in effetti non sono veri e propri accertamenti, attenendo più propriamente alla rideterminazione liquidativa del dovuto secondo gli atti impoesattivi per così dire ―primari‖. Di tale sottocategoria di atti impoesattivi ―secondari‖ o ―subprimari‖, che dir si voglia, restano ancora da definire i precisi contorni. Non solo ai fini dell‘applicabilità del nuovo regime di cui trattasi, ma anche in riferimento alla loro collocazione all‘interno dell‘art. 19 del D. lgs. n. 546/1992. V. anche infra nel testo sub 3. Qui ancora si segnala come per essi l‘art. 29, 1° comma, lett. a), del D.L. n. 78/2010, conv. in L. n. 122/2010 preveda una scadenza temporale a sé, che fuoriesce, almeno in parte, dalla più articolata sequenza di cui si parla nel testo, con specifico riferimento agli atti impoesattivi primari, catalogabili nella prima parte del disposto normativo in esame, stabilendosi, infatti, che <<in tali ultimi casi>>, nei casi, cioè, specificamente indicati nell‘ultima parte del 1° comma, lett. a), della normativa di cui trattasi, <<il versamento delle somme dovute deve avvenire entro sessanta giorni dal ricevimento della raccomandata>>. (10) Il termine, ovviamente, è suscettibile di proroga ove scada nel periodo feriale (dal 1° agosto al 15 settembre, per complessivi 46 giorni) ed anche in caso di morte del contribuente (a norma dell‘art. 65 del d.p.r. n. 600/1973). (11) Sull‘anacronistico mantenimento, già da tempo stigmatizzato (v. C. Glendi, L‘oggetto del processo tributario, Padova, 1984, pag. 842 ss; Id., <<Postfazione di sintesi>>, in A. Comelli – C. Glendi, La riscossione dei tributi, Padova, 2010, pag. 244), del vecchio armamentario della riscossione frazionata, v., in ultimo, consonantemente, C. Corrado Oliva, L‘anomala coesistenza di riscossione frazionata e sospensione cautelare, in La 29 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA concentrazione della riscossione nell‘accertamento, cit., pag. 105 ss. Sul punto v. anche S. La Rosa, Il riparto delle competenze nella disciplina della riscossione (testo provvisorio), ivi, pag. 197 ss. (12) Sulle difficoltà a cui può dar luogo la stabilita decorrenza degli interessi di mora dalla notificazione dell‘atto impoesattivo, essenzialmente <<mobile>>, rispetto all‘esigenza di una loro precisa determinazione nello stesso atto, cfr. A. Carinci, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex D. L. n. 78/2010, cit., loc. cit., pag. 167 – 168. Sul piano pratico dette difficoltà potrebbero comunque superarsi con l‘indicazione nell‘atto del tasso d‘interesse giornaliero a decorrere da una data comunque normativamente parametrata in riferimento alla scadenza del termine per impugnare l‘atto medesimo. (13) Osserva in proposito A. Carinci, op. loc.ult. cit., pag. 172, con riferimento al termine di trenta giorni, per l‘<<affidamento>> della riscossione dell‘agente della riscossione e per l‘eventuale richiesta di concessione della rateizzazione, come, <<subordinando alla scadenza di tale termine la possibilità di promuovere l‘istanza di rateizzazione, si determina la conseguenza per cui non è più previsto uno spazio temporale intermedio rappresentato oggi dai sessanta giorni della notifica della cartella - in cui è possibile avanzare la predetta istanza senza il timore di subire l‘esecuzione>>. (14) In questa sequenza temporale non si è fatto cenno al momento di decorrenza della spettanza all‘agente della riscossione dell‘<<aggio, interamente a carico del debitore>>, e del <<rimborso delle spese relative alle procedure esecutive>>, che sono <<previsti dall‘art. 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112>>. L‘art. 29 del D.L. n. 78/2010, conv. in L. n. 122/2010, ne parla nel 1° comma, alla lettera f), dove, in unico periodo, diviso da un punto e virgola, dopo aver fatto riferimento, nella prima parte al regime dei maggiori interessi moratori, scadenzati <<a partire del primo giorno successivo al termine ultimo per la presentazione del ricorso>>, si parla, per l‘appunto, nella seconda parte, dell‘aggio e del rimborso delle spese all‘agente della riscossione, senza specificare alcunché in ordine alla decorrenza, così da potersi legittimamente dubitare che essa coincida con il momento indicato per la decorrenza dei maggiori interessi di mora. Si condivide quanto scritto da A. Carinci, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex D. L. n. 78/2010, cit., loc. cit., pagg. 173 – 174, secondo cui l‘aggio potrebbe <<essere richiesto solo a seguito dell‘affidamento della riscossione>>, per cui <<non sarà dovuto nell‘ipotesi di pagamento intervenuto nei trenta giorni che debbono decorrere tra la scadenza del termine per l‘impugnazione e l‘affidamento della riscossione all‘agente>>. (15) Su questo dato normativo v., da ultimo, M. Bruzzone, L‘essenzialità della sottoscrizione del ―titolo esecutivo tributario‖, in A. Comelli – CGlendi, La riscossione dei tributi, cit., pag. 95 ss. Secondo A. Carinci, op. loc. cit., pag. 170, non si comprende <<il bisogno di subordinare l‘acquisto di 30 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA efficacia esecutiva alla notifica, rectius ad un termine successivo a tale adempimento>>. Il rilievo è stato fatto dopo il richiamo all‘art. 12 del d.p.r. n. 602/1973, e all‘art. 1, comma 5 ter, lett. e), del d. l. 106/2005, n. 106, conv. con legge n. 156/2005. Tutto ciò peraltro concerne il ruolo e il ―vecchio‖ titolo esecutivo, a fronte del quale quello ―nuovo‖, costituito appunto dall‘atto impoesattivo, si connota in forme completamente diverse, quanto alla sottoscrizione (che è ormai quella un tempo limitata all‘atto impositivo), e quanto, per l‘appunto, alla notificazione (che un tempo era scissa dal ruolo, concretizzandosi propriamente nella cartella di pagamento, mentre oggi il tutto risulta compenetrato in un solo atto. (16) Da A. Carinci, op. loc. cit., pag. 168 ss. (17) Le parole riportate sono di A. Carinci, La concentrazione della riscossione nell‘accertamento (ovvero un nuovo ircocervo tributario), cit., loc. cit., pag. 35 ss. (18) Ricorda giustamente A. Carinci, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex D. L. n. 78/2010, cit., loc. cit., pag. 168, come la recettizietà, oltre che per l‘avviso di accertamento, valga, <<analogamente, per il titolo esecutivo ed il precetto, dove la notificazione è stabilita quale regola generale dall‘art. 479 c.p.c.>> e come, d‘altronde, <<per effetto dell‘art. 21 – bis della legge n. 241/1990, introdotto con la legge 11 febbraio 2005, n. 15>>, la notifica sia <<oggi prescritta per tutti i provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati, tra i quali vanno sicuramente annoverati quelli esecutivi>>. (19) Vengono in particolare ricordate, da A. Carinci, op. loc. ult. cit., la ben nota sentenza delle Sezioni Unite 5 ottobre 2004, n. 19854, nonché Cass., sez. trib., 12 aprile 2005, n. 7498; Id., 12 luglio 2006, n. 15849; Id., 2 luglio 2009, n. 15554. Per altri riferimenti, e per ogni ulteriore approfondimento, v. infra, al n. 4, nel testo e nelle note. (20) L‘asserita distorsione sistematica con quella che è in oggi l‘interpretazione seguita dalla Suprema Corte di Cassazione in tema di sanatoria della notifica degli atti impositivi non esiste, proprio perché quest‘ultima resta pur sempre solo una pur autorevole, ma assai discutibile, opinione giurisprudenziale. In ogni caso, da ricomporsi con il superamento (o, meglio, con la palinodia) di siffatta opinione, nel senso che da parte della Suprema Corte, dovrà riconoscersi, come già ritenuto in passato, conformemente ad un insegnamento dottrinale, mai validamente contraddetto, che il vizio di notifica, per gli atti impositivi, ed a maggior ragione ormai, dunque, per gli atti impoesattivi, lungi dal potersi considerare sanato, per effetto dell‘impugnazione dell‘atto con il quale detto vizio sia stato dedotto come vizio, comporta il mancato perfezionamento dell‘atto stesso, come tale suscettibile di essere fatto valere in via pregiudiziale proprio attraverso la sua impugnazione e la deduzione in apposito motivo. Sul punto v. comunque amplius in prosieguo. Sull‘importanza del nuovo dato normativo, ai fini dell‘inquadramento degli atti impositivi, degli atti esecutivi e degli atti impoesattivi nell‘ambito di una rigorosa nozione unitaria di atti recettizi, in cui la notificazione riveste un ruolo essenzialmente costitutivo dei 31 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA relativi effetti, già comunque si segnala, M. Bruzzone, L‘avviso di accertamento diventa <<titolo esecutivo>> per imposte sui redditi ed IVA, in Corr. trib., n. 28/2010, pag. 2230, e C. Glendi, <<Luci>> e <<ombre>> sulla Manovra 2010, cit., loc. cit., pag. 2649. (21) S‘intende quindi far riferimento a quella rigorosa concezione dell‘atto recettizio che ravvisa nella notificazione, non una condizione di efficacia di un atto già perfetto, ma una componente intrinseca per il perfezionamento dell‘atto stesso, il quale, in mancanza di esso, per l‘appunto, non può dirsi perfezionato e venuto ad esistenza. In questo senso v. E. Allorio, Diritto processuale tributario, Torino, 1979, pag. 110 ss.; G. Falsitta, Il ruolo di riscossione, Padova, 1972, pag. 260; C. Glendi, La sanatoria delle nullità di notifica degli atti impugnati nel processo tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1978, I, pag. 45 ss.; Id., Sulla sanabilità o meno dei vizi di notificazione degli atti del prelievo per il solo fatto della loro impugnazione davanti alle commissioni tributarie, in G.T. – Riv. giur. trib., n. 11/2003, pag. 1073 ss.; Id., Le Sezioni Unite si pronunciano sulla sanatoria dei vizi di notifica degli atti impugnati nel processo, in Corr. trib., n. 47/2004, pag. 3707 e in specie 3715 ss.; F. Niccolini, Dall‘effetto all‘effettività: un‘ipotesi evolutiva del sistema delle notifiche tributarie, in Statuto dei diritti del contribuente a cura di A. Fantozzi – A. Fedele, Milano, 2005, pag. 168, nt. 17. Diversamente orientato A. Carinci, La riscossione a mezzo ruolo nell‘attuazione del tributo, Bologna, 2008, pag. 140 ss. Contrariamente a quanto indicato da quest‘ultimo A., peraltro, non è affatto vero che <<la soluzione, prima giurisprudenziale e poi positivizzata, che ammette un‘efficacia temporalmente disgiunta della notifica degli atti per il notificante e per il destinatario risulti meglio argomentabile alla stregua di una concezione della ricezione quale elemento necessario all‘efficacia dell‘atto piuttosto che alla sua esistenza>> e non è neppure vero che la riferibilità degli effetti della notificazione, che deve in ogni caso ritenersi effettuata sol se l‘atto entra nella sfera giuridica del destinatario, per il notificante postuli una <<efficacia temporalmente disgiunta della notifica degli atti per il notificante e per il destinatario>>. Basti rimandare in proposito a quanto rilevato negli scritti di C. Glendi, Le nuove frontiere della ―notificazione‖ dopo la sentenza n. 477/2002 della Corte costituzionale, in G.T. – Riv. giur. trib., n. 4/2003, pag. 319 ss.; Id., La notificazione degli atti dopo la Corte costituzionale, in Corr. giur., n. 10/2004, pag. 1311 ss. specie a pag. 1313 ss., dei quali l‘A. prima citato non mostra di aver tenuto conto. Quanto, infine, al richiamo fatto dallo stesso A., op. loc. cit., pag. 142 ss. alla natura recettizia del ruolo, non pare che l‘assunto possa essere condiviso, in quanto, se è pur vero che (ed, anzi, proprio perché , non a caso) l‘art. 19, 1° comma, lett. d), del d. lgs. n. 546/1992 considera proponibile il ricorso avverso <<il ruolo e la cartella di pagamento>>, mentre l‘art. 21, 1° comma, secondo periodo, del D. lgs. cit. stabilisce che <<la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo>>, non par dubbio che il ruolo, non solo <<come atto unitario e plurimo>>, ma anche come <<atto singolare>>, è, di per sé, atto 32 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA non recettizio, laddove ha sicuramente natura recettizia la cartella di pagamento, che <<vale anche>> come (e quindi, di per sé, non è, né può essere tout court, e a tutti gli effetti) notificazione del ruolo ai fini della sua impugnabilità. L‘asserita, non dimostrata, natura recettizia del ruolo perde così, sul piano argomentativo, ogni valenza di parallelismo antitetico in ordine all‘assunto, già contrastato, di una generale recettizietà degli atti tributari caratterizzata dal ridursi della notificazione a mera condizione di efficacia anziché collocarsi quale componente essenziale ed elemento costitutivo della fattispecie dell‘atto e dei relativi effetti. (22) Il risultato in tal modo interpretativamente ottenuto non è di poco conto. Significa, ad es., che, non ostante il nuovo atto impoesattivo costituisca titolo esecutivo e contenga il ―precetto‖, non potranno essere utilizzate le meno garantistiche forme di notificazione previste nell‘art. 26 del d.p.r. n. 602/1973, e così, in specie, riguardo ai casi di notifica ai destinatari temporaneamente assenti, l‘agente della notificazione non potrà limitarsi alla sola affissione dell‘atto nell‘albo comunale, né, mai, in ogni caso, la notifica potrà aversi <<per eseguita nel giorno successivo a quello in cui l‘avviso del deposito è affisso nell‘albo del comune>>, dovendosi, per contro, essere compiutamente applicate le disposizioni contenute nell‘art. 60 del d.p.r. n. 600/1973, secondo le quali, in caso di temporanea irreperibilità, l‘agente della notificazione deve provvedere ad affiggere sulla porta dell‘abitazione o dell‘ufficio o dell‘azienda del destinatario l‘avviso del deposito della copia dell‘atto nella casa del comune e gliene deve dare notizia per raccomandata con avviso di ricevimento, mentre, in caso di irreperibilità assoluta del destinatario nel suo domicilio fiscale, la notifica si avrà per eseguita <<nell‘ottavo giorno successivo a quello di affissione>> dell‘avviso di deposito dell‘atto stesso nell‘albo presso la casa comunale. (23) Per queste notazioni d‘inquadramento, che si dovrebbero ritenere addirittura superflue, se non fosse che troppo spesso vengono dimenticate proprio dai supremi vertici della giurisdizione, si rimanda a C. Glendi, Notificazioni e comunicazioni nel diritto tributario, in Boll. trib., n. 20/2003, pag. 1563 ss.; Id., Comunicazioni e notificazioni nel diritto tributario, in Appendice Novissimo Digesto italiano, Torino, 1984. Cfr., inoltre, M. Bruzzone, Notificazioni e comunicazioni degli atti tributari, Padova, 2006, pag. 2 ss. (24) Così era stato puntualmente rilevato (C. Punzi, Comunicazione, in Enc. del dir., VIII, Milano, 1961, pag. 208), a sua volta, che anche l‘utilizzazione di un soggetto normativamente abilitato alla notificazione degli atti quale nuncius, cioè mero organo trasmettitore dell‘atto, ai fini della partecipazione al destinatario da parte dell‘autore dell‘atto stesso, non trasforma la comunicazione in notificazione. Questo spiega perché l‘art. 136, 2° comma, cod. proc. civ., comunque più volte variato nel tempo, ricomprende nell‘ambito della <<comunicazione>> degli atti processuali da parte della cancelleria anche la <<rimessione>> del biglietto di cancelleria all‘ufficiale giudiziario <<per la notifica>>. 33 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA L‘art. 16, comma 1, del D. lgs. n. 546/1992, comunque, con maggior rigore disciplinare, dispone che <<le comunicazioni sono fatte mediante avviso della segreteria della commissione tributaria consegnato alle parti, che ne rilasciano immediatamente ricevuta, o spedito a mezzo del servizio postale in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento>>, peraltro prevedendo, nell‘ultima parte, che <<la segreteria può anche richiedere la notificazione dell‘avviso da parte dell‘ufficiale giudiziario o del messo comunale nelle forme di cui al comma seguente>>, che riguarda per l‘appunto le notificazioni. (25) Sulla particolare figura della c.d. notifica diretta, e in specie sulla c.d. notifica diretta a mezzo posta, v. già C. Glendi, Notificazioni e comunicazioni nel diritto tributario, cit., loc. cit., nt. 9 e poi, amplius, M. Bruzzone, Notificazioni e comunicazioni degli atti tributari, cit., pag. 75 ss. e 172 ss.; Id., L‘essenzialità dell‘intermediazione dell‘agente notificatore e l‘inoperatività della sanatoria dei vizi di notifica delle cartella di pagamento, in G.T. – Riv. giur. trib., n. 1/2009, pag. 86 ss., in nota a Comm. trib. prov. Genova, 12 giugno 2008, n. 121, ivi, pag. 83 ss.; Id., Incertezze della Suprema Corte sulle notifiche a mezzo posta prive di relate, in Corr. trib., n. 41/2009, pag. 3356 ss. (26) Oltre che, naturalmente, della cartella di pagamento, relativamente alla quale, tra l‘altro, la S.C. non tiene conto, delle modifiche legislative intervenute nella formulazione dell‘art. 26 del d.p.r. n. 602/1973, dove, un tempo era in effetti prevista la notifica <<mediante invio da parte dell‘esattore di lettera raccomandata con avviso di ricevimento>>, cioè la notificazione diretta, mentre si è poi parlato di notifica <<mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento>> tout court, da parte dell‘autore dell‘atto, e non da uno degli agenti della notificazione in detta norma specificamente indicati, nel che propriamente dev‘essere ravvisata una vera e propria notifica a mezzo posta, in sintonia con quanto previsto dall‘art. 14 della l. n. 890/1982, che pone l‘art. 26 del d.p.r. n. 602/1973, sullo stesso piano dell‘art. 60 del d.p.r. n. 600/1973 escludendo per gli atti tutti disciplinati da dette norme la possibilità di notifica diretta generalmente prevista per gli atti finanziari di cui alla parte iniziale dello stesso art. 14 l. cit. Per la giurisprudenza della Suprema Corte, criticabilissima, vedasi, in particolare, Cass., sez. trib., 19 giugno 2009, n. 14327, massimata in Corr. trib., n. 7/2010, pag. 567 ss., con nostra nota. A seguire, Cass. sez. trib., ord. 6 luglio 2010, n. 15948. Di segno contrario, v., invece, correttamente, Comm. trib. prov. Pescara, 3 novembre 2010, in Corr. trib., n. 46/2010, pag. 3885, con nostra breve nota di apprezzamento. Quanto ai giudici di merito persiste comunque uno stato di incertezza decisoria. V., da ultimo, in contrapposizione tra loro, Comm. trib. reg. Lazio, II, 3 maggio 2010, n. 68 e Comm. trib. prov. Latina, I, 15 maggio 2008, n. 88, entrambe in Boll. trib., n. 9/2011, pag. 697 ss., con il commento di V. Azzoni, La notificazione della cartella di pagamento. Cfr., altresì, Comm. 34 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA trib. prov. Lecce, sez. V, 23 ottobre 2009, n. 909, di cui è data notizia su Il Sole – 24 Ore del 23 novembre 2009; Id., sez. V, 29 dicembre 2010, n. 533, pres. ed est. Donato Plenteda, di cui si segnala l‘alta qualità del dettato. (27) Ricollegando quanto rilevato nel testo a quanto si è osservato alle note 5 e 9 viene in tal modo ad emergere un ulteriore tratto differenziale della disciplina degli atti impoesattivi per così dire ―secondari‖ (o ―subprimari‖) rispetto agli atti impoesattivi ―primari‖, sotto il profilo della diversa disciplina delle rispettive ―notificazioni‖. Per i primi è inibita la c.d. notifica diretta a mezzo posta, che resta, invece, per gli altri, possibile de lege lata. (28) Questo, naturalmente, a maggior garanzia del destinatario, ma anche, come ancora si preciserà a nota 30, per i rischi e le incertezze, che possono risultare gravemente pregiudizievoli per lo stesso ente impositore, di notifiche, come quella diretta a mezzo posta, che oggettivamente difettano del grado di sicurezza formale che contraddistingue le notifiche effettuate con l‘intermediazione dell‘agente della notificazione. (29) Anche sull‘esatta portata della <<relata di notifica>>, per ogni caso di notifica in genere e per quella a mezzo posta in specie la giurisprudenza della Suprema Corte è tutt‘altro che univoca e chiara. Si è detto, ad es., che <<la mancanza della ―relata‖ comporta una mera irregolarità, che non può essere fatta valere dal destinatario, trattandosi di adempimento che non è previsto nel suo interesse>> (Cass., n. 12010 del 2006), ma si è anche ritenuto che <<tale mancanza comporti la nullità della notifica, sanabile a seguito del raggiungimento dello scopo cui l‘atto è preordinato>> (Cass. n. 2079 del 2008). Nel primo senso adde, poi, Cass., sez. trib., 22 ottobre 2009, n. 9493, in Corr. trib., n. 41/2009, pag. 3360), mentre, secondo Cass., sez. trib., 21 aprile 2009, n. 9377 (ivi, n. 41/2009, pag. 3363) <<la relata è prevista come momento fondamentale nell‘ambito del procedimento di notificazione sia dal codice di rito che dalla normativa speciale e non è integralmente surrogabile dall‘attività dell‘ufficiale postale>>. Peraltro, da ultimo, in Cass., sez. trib., 27 maggio 2011, n. 11708, oltre ad ammettere ex art. 26 del d.p.r. n. 602/1973 la notifica della cartella, <<anche senza ricorrere alla collaborazione di terzi (messi comunali, agente della polizia municipale), ma direttamente ad opera del concessionario ―mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento‖>>, ancora si sostiene che l‘avviso di ricevimento redatto dall‘ufficio postale equivalga ex se, quanto meno negli effetti, a relata di notifica e abbia la stessa valenza di atto pubblico facente prova sino a querela di falso della relazione di notifica direttamente eseguita dall‘ufficiale giudiziario. Il mantenimento di questa incerta e non univoca interpretazione dei dati normativi, oltre ad urtare con la nuova normativa sulla notifica di atti <<impoesattivi>>, sarebbe senza dubbio esiziale per il buon esito della riforma. (30) E‘ questo un punto sul quale si ritiene la stessa Amministrazione finanziaria, latamente intesa, dovrà seriamente riflettere, rifuggendo, per quanto possibile, dalle apparenti facilitazioni offerte a suo favore dalla stessa legislazione vigente. L‘art. 29, comma 1, lett. a), della normativa di riferimento, parlando di <<atti della notificazione al contribuente, anche 35 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA mediante raccomandata con avviso di ricevimento>>, in effetti attribuisce ad essa una facoltà, della quale, peraltro, la stessa Amministrazione farebbe bene a non avvalersi, quanto meno, sempre e indiscriminatamente, organizzandosi, piuttosto, per un miglior impiego delle ordinarie notifiche a mezzo di agenti della notificazione, adeguatamente preparati, anche relativamente agli atti per i quali eccezionalmente essa è comunque dal legislatore stesso legittimata ad avvalersi della notifica c.d. diretta. Proprio perché, come ricordato nel testo, trattandosi di atti che, in quanto dotati di forza esecutiva, impingono direttamente nella sfera patrimoniale dei contribuenti, gli stessi, per farvi fronte, tenderanno sempre più spesso ad avvalersi di professionisti abilitati anche alla tutela dei diritti in sede civile, i quali, naturalmente, saranno sempre più portati a concentrare la massima attenzione sui vizi di notifica, come via necessitata per tentare la strada delle opposizioni esecutive o di azioni risarcitorie davanti al giudice ordinario. In questo contesto, inoltre, emergerà con maggior frequenza, la scoperta di falsi, materiali ed ideologici, che tanto più si verificano, per l‘appunto, nelle c.d. notifiche dirette a mezzo posta, dove mancano gli agenti della notificazione, sostituiti, per così dire, da agenti postali, sull‘operato dei quali, tuttavia, la quotidiana esperienza mostra come le patologie di cui si è detto presentano ingravescenti tassi di verificabilità. (31) V., in specie, diacronicamente, C. Glendi, Le Sezioni Unite si pronunciano sulla sanatoria dei vizi di notifica degli atti impugnati nel processo tributario, cit., loc. cit.; A. Rossi, Vizi di notifica dell‘atto impositivo, ne Il Fisco, 2004, pag. 7131; A. Voglino, Luci ed ombre del responso nomofilattico sulla sanatoria dei vizi di notifica dell‘atto impositivo a seguito del ricorso del contribuente, in Boll. trib., n. 23/2004, pag. 1707; L. Ferlazzo Natoli – G. Ingrao, Il ricorso non sana i vizi dell‘atto impugnato, in Boll. trib., n. 24/2004, pag. 1783;C. Scalinci, La notifica dell‘atto tributario recettizio: un ―Giano bifronte‖ tra sanatoria e decadenza, in Riv. dir. trib., n. 1/2005, II, pag. 13 ss.; M. Bruzzone, Notificazioni e comunicazioni degli atti tributari, cit., pag. 181 ss. (32) Anteriormente alla nota pronuncia delle Sezioni Unite 5 ottobre 2004, n. 19854, in Corr. trib., n. 47/2004, pag. 3707, la questione sulla sanabilità o meno del vizio di notifica dell‘atto impugnato per il solo fatto della proposizione del ricorso con il quale se ne denunziava la sussistenza era fortemente dibattuta, tant‘è che, per l‘appunto, era stata rimessa all‘esame delle Sezioni Unite, con ordinanza 12 marzo 2003, n. 3672 della Sezione tributaria, in Corr. trib., n. 30/2003, pag. 2471, con il commento di C. Glendi, Ritorna alle SS.UU. la questione sulla sanabilità dei vizi degli atti impugnati e in G.T. – Riv. giur. trib., n. 11/2003, pag. 1070, con altra nota dello stesso A., Sulla sanabilità o meno dei vizi di notifica degli atti del prelievo per il solo fatto della loro impugnazione davanti alle Commissioni tributarie. Nel senso dell‘insanabilità del vizio di notifica per il solo fatto della proposizione del ricorso v., in specie, Cass., sez. trib., 16 maggio 2003, n. 7691, in Corr. trib., n. 3272003, pag. 2645, con il commento di M. 36 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA Bruzzone, e in G.T. – Riv. giur. trib., n. 11/2003, pag. 1671, con il commento di C. Glendi; Id., 15 novembre 2002, n. 16113; Id., 11 marzo 2002, n. 3513; Id., 21 aprile 2001, n. 5924, in Corr. trib., n. 23/2001, pag. 1736, con il commento di M. Bruzzone. Nel senso, invece, della sanabilità del vizio, segnatamente, Cass., sez. trib., 26 giugno 2003, n. 10186, in G.T. – Riv. giur. trib., n. 11/2003, pag. 1073, con il già sopra cit. commento di C. Glendi,; Id., 12 dicembre 2002, n. 17762; Id., 22 maggio 2001, n. 7284. Seguono la via indicata dalla Sezioni Unite con la sentenza n. 19854/2004, tra le altre, Cass., 20 giugno 2005, n. 13231; Id., 16 settembre 2005, n. 18420; Id., 12 luglio 2006, n. 15894; Id., 27 settembre 2007, n. 20357; Id., 11 ottobre 2007, n. 21411. In ultimo cfr. Cass., sez. trib., 27 febbraio 2009, n. 4760, pres. Miani Canevari – est. Meloncelli, che ha formato oggetto dello studio di L. Nicótina, Irregolarità e inesistenza della notifica di atti tributari sostanziali: note a margine della sentenza n. 4760/2009 e recenti orientamenti della Suprema Corte di cassazione, in Riv. dir. trib., nn. 7 – 8/2010, I, pag. 847 ss. (33) Con specifico riferimento alla notifica delle cartelle di pagamento già si sono indicate alcune diverse pronunce dei giudici di merito, retro a nota 26. A queste si possono ancora aggiungere Comm. trib. reg. Abruzzo, sez. X, 8 gennaio 2010, n. 3; Comm. trib. reg. Lombardia, sez. XXII, 28 maggio 2010, n. 61; Id., sez. V. 17 dicembre 2009, n. 141. Non mancano comunque contrasti fra i giudici di merito anche a proposito della notificazione degli avvisi di accertamento. Il pur minoritario orientamento, vólto a privilegiare l‘insanabilità del vizio della notificazione per il solo fatto dell‘impugnazione di avvisi di accertamento o di liquidazione davanti al giudice tributario., trovasi, ad es., motivatamente seguito da Comm. trib. prov. Milano, sez. XIX, 29 maggio 2009, n. 88; Id., sez. XXII, 3 settembre 2009, n. 211. (34) Ovviamente, è appena il caso di sottolineare lo slittamento concettuale a cui da luogo il richiamo all‘istituto del raggiungimento dello scopo con riferimento all‘atto d‘impugnazione. Lo scopo non può essere ravvisato esclusivamente in quello di mettere a conoscenza del destinatario il contenuto dell‘atto, tant‘è che la legge tributaria prevede la notificazione e non prevede altre forme di conoscenza dell‘atto come invece accade nell‘ambito amministrativo (cfr. il 1° comma degli artt. 2 e 9 del d.p.r. 24 novembre 1971, n. 1199; art. 21, comma 1, n. 1, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, nel testo originario e in quello sostituito dalla l. 21 luglio 2000, n. 205; art. 12, comma 2, n. 1 del d.p.r. 12 aprile 2006, n. 184; art. 41, comma 2, del d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104). Tanto meno, lo scopo della notificazione può individuarsi nella proposizione del ricorso contro l‘atto notificato da parte del suo destinatario. Sul punto v., in varia guisa, gli autori ricordati alle note 21 e 31. Adde, in ultimo, L. Nicótina, op. loc. cit., pag. 854 ss. (35) Il riferimento alla figura della giuridica inesistenza della notifica dell‘atto è previsto, sia pure in termini tutt‘altro che chiari, anche nella sentenza delle SS.UU. n. 19854/2004, su cui vedasi specificamente, quanto rilevato in C. Glendi, Le Sezioni Unite si pronunciano sulla sanatoria dei vizi di notifica degli atti impugnati nel processo, cit., loc. cit., pag. 3717. Appare chiarissimo, invece, nella sentenza della Corte di Cassazione, sez. trib., 2 37 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA ottobre 2008, n. 24442, in Boll. trib., n. 1/2009, pag. 53, nella quale, avuto riguardo ad una notifica tramite messo con relata non sottoscritta, è detto, in termini ben precisi, che <<la mancanza di sottoscrizione, che è certamente elemento costitutivo essenziale di un atto giuridico come l‘atto di notifica, ne determina la giuridica inesistenza>> e che <<questa situazione è del tutto insuscettibile di sanatoria in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo, la quale è prevista solo per la sanatoria della nullità>>. Di <<inesistenza della notificazione, della quale, pertanto, non può essere disposta la rinnovazione>>, si parla, da ultimo, in Cass., sez. trib., 31 maggio 2011, n. 11993, sia pure a proposito della notifica del ricorso per cassazione effettuata ex art. 140 c.p.c. qualora non sia stato prodotto l‘avviso di ricevimento della c.d. raccomandata informativa. (36) Anche su questo apparente casus exceptus di sanatoria permangono le perplessità già diffusamente illustrate in C. Glendi, Le Sezioni Unite si pronunciano sulla sanatoria dei vizi di notifica degli atti impugnati nel processo, cit., loc. cit., pag. 3717 ss. L‘idea che il raggiungimento dello scopo intervenuto successivamente al maturare di una decadenza sia inidoneo ad evitarne gli effetti si ritrova pure nella sentenza 27 febbraio 2009, n. 4760, cit, ove si precisa che <<anche l‘equipollenza tra la piena conoscenza dell‘atto e la sua notificazione può attuarsi solo entro lo stesso limite temporale>> e che incomberebbe in ogni caso sull‘ente impositore l‘onere di provare la piena conoscenza effettiva dell‘atto, che determina, <<a carico del contribuente, l‘onere di rispettare il termine decadenziale per l‘eventuale impugnazione dell‘atto d‘imposizione che non gli sia stato notificato, ma che egli abbia, comunque, pienamente conosciuto>>. Ancora da ultimo, secondo Cass., sez. trib., 31 maggio 2011, n. 11993, <<la proposizione del ricorso del contribuente produce l‘effetto di sanare la nullità della notificazione dell‘avviso di accertamento>>, ma <<tale sanatoria può operare soltanto se il conseguimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza – previsto dalle singole leggi d‘imposta – per l‘esercizio del potere di accertamento>>. (37) Sul punto la giurisprudenza della Suprema Corte sembra si sia ormai definitivamente assestata. Cfr., ab ovo, Cass., sez. un., 25 luglio 2007, n. 16142, in tema di rapporti tra avviso di mora e cartella di pagamento non notificati, nonché, poi, con riferimento ai rapporti tra avviso di accertamento non notificato e cartella di pagamento consequenziale, Cass. sez. trib., 18 gennaio 2008, n. 1024 e Cass., sez. un., 4 marzo 2008, n. 5791, in G.T. – Riv. giur. trib., n. 6/2008, pag. 477 ss., con il commento di M. Basilavecchia, Impugnazione facoltativa dell‘atto presupposto non notificato: un principio ormai generale. V., comunque, in ultimo, Cass., sez. trib., 19 febbraio 2009, n. 3983, massimata in Corr. trib., n. 14/2009, pag. 1169, con breve nota di C. Glendi, in cui si sottolinea l‘importanza del rilievo, fatto in motivazione, che, ai fini dell‘illegittimità dell‘atto esattivo, non è necessario che il vizio di notifica dell‘atto presupposto (avviso di accertamento) abbia i connotati della giuridica inesistenza, bastando, invece, trattarsi di notifica nulla (in quanto, 38 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA nel caso, effettuata mediante consegna dell‘atto a parente non convivente del destinatario in luogo diverso dalla sua residenza), anche in tal caso, infatti, non operando la sanatoria per raggiungimento dello scopo, per essere il ricorso diretto contro l‘atto esattivo e non contro l‘atto impositivo, a cui fa riferimento il denunziato vizio della notificazione. (38) Cfr. in generale C. Glendi, Rapporti tra nuova disciplina del processo tributario e codice di procedura civile, in Dir. prat. trib., n. 6/2000, I, pag. 1768 ss.; Id., Impugnazione dell‘atto presupposto non notificato correlativamente all‘atto conseguente ritualmente notificato, in G.T. – Riv. giur. trib., n. 4/2001, pag. 353 ss. Alla stregua di quanto ivi rilevato, risulta evidente l‘erroneità dell‘assunto espresso dalla Corte di Cassazione, nella già cit. sentenza n. 4760/2009, che tende a ravvisare nell‘art. 19, ultimo comma, D. lgs. n. 546/1992 l‘implicito riconoscimento che <<la notificazione non sia elemento costitutivo dell‘atto amministrativo d‘imposizione tributaria e non contribuisca, per ciò, alla sua perfezione>>. A parte la natura assolutamente eccezionale della disposizione, poiché la stessa, ai fini dell‘impugnabilità dell‘atto presupposto non notificato o mal notificato, lo subordina espressamente ad una scelta facoltativa del contribuente, che, anziché limitarsi ad invocare l‘illegittimità dell‘atto conseguente, in quanto non preceduto da valida notifica dell‘atto presupposto, impugni quest‘ultimo, di cui esclude si sia comunque avuta aliunde la piena conoscenza, conferma pienamente come la notifica sia elemento costitutivo dell‘atto, tant‘è che, in via del tutto eccezionale, si equipara alla notifica dell‘atto, non la sua piena conoscenza, ma l‘esercitata facoltà d‘impugnazione dell‘atto presupposto correlativo a quello consequenziale, elevando così a fattispecie costitutiva dell‘atto presupposto siffatto esercizio d‘impugnazione cumulativa, senza il quale la notifica dell‘atto presupposto non notificato resta per l‘appunto giuridicamente inesistente, e inidonea a legittimare ex se l‘impugnazione dell‘atto stesso pur esso ulteriormente relegato nel novero degli atti giuridicamente inesistenti, ancorché non legato all‘atto successivo da un qualsivoglia nesso procedimentale, con la conseguenza che l‘atto consequenziale, se non impugnato, preserva e consolida tutta la sua effettualità. Sull‘inidoneità in ogni caso del richiamo all‘art. 19, ultimo comma, del D. lgs. n. 546/1992 a fungere da sanatoria del vizio di notifica dell‘atto presupposto, v. da ultimo, L. Nicótina, op. loc. cit., pag. 858 ss. (39) Sembrava, in effetti, che, con la sentenza delle SS.UU. n. 19854 del 2004 si fosse ormai recitato il de profundis della vecchia formula della provocatio ad opponendum. A giudicare dai rinnovati richiami che ne vengono ancora fatti dalla Suprema Corte, anche in tempi recenti, non è stato evidentemente così. Cfr. al riguardo le puntuali considerazioni di L. Nicótina, op. loc. cit., pag. 854 ss. A dimostrazione di una deplorevole ―vischiosità‖ di erronei luoghi comuni nell‘esercizio di un sempre meno credibile esercizio dell‘alta funzione di nomofilachia in questa materia. (40) I margini di applicabilità dell‘art. 19, ultimo comma, del D. lgs. n. 546/1992 restano relegati ai casi d‘impugnazione degli atti rideterminativi 39 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA degli importi indicati nel primo atto <<impoesattivo>> rispetto alla sua mancata o irrituale notificazione ovvero nei casi d‘impugnazione degli atti di intimazione di pagamento dell‘agente della riscossione che non abbia proceduto al pignoramento entro l‘anno dalla notifica dell‘atto <<impoesattivo>>, qualora venga dedotta la sua mancata o irregolare notifica, mentre, ovviamente, scompare la dualità, prima esistente, tra atto impositivo ed esattivo, individuata per l‘appunto nel <<ruolo e cartella di pagamento>>, secondo la formula dell‘art. 19, lett. d), del D. lgs. n. 546/1992, destinata a rimanere operante solo al di fuori della nuova disciplina. (41) S‘intende naturalmente far richiamo all‘art. 21 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 636, nel testo originario (sul quale v. C. Glendi, La sanatoria delle nullità di notifica degli atti impugnati nel processo tributario, cit., loc. cit., 45 ss.) e in quello poi modificato dal d.p.r. 3 novembre 1981, n. 739 (su cui v. ancora C. Glendi, Accertamento e processo, in Boll. trib., n. 10/1986, pag. 771 ss., nonché, amplius, S. Muscarà, in C. Glendi, Commentario delle leggi sul contenzioso tributario, Milano, 1990, pag. 394 ss.). (42) Si rinvia in proposito a C. Glendi, Natura giuridica dell‘esecuzione forzata tributaria, in Dir. prat. trib., n. 6/1992, I, pag. 2240 ss., nonché, di recente, ad A. Guidara, Indisponibilità del tributo e accordi in fase di riscossione, Milano, 2010, pag. 234 ss. (43) C. Glendi, Abolizione dell‘avviso di mora: si torna al ―solve et repete‖?, in Corr. trib., n. 38/1999, pag. 2833 ss. (44) L‘espressione riportata nel testo è immediatamente seguita, nel dato normativo, dalla proposizione secondo la quale, <<in caso di richiesta di sospensione degli atti esecutivi, non si precede all‘esecuzione fino alla decisione del giudice e comunque fino al centoventesimo giorno>>, in tal modo chiaramente evidenziando che nessuna solutio si suppone sia avvenuta e nulla quindi si abbia da ripetere. (45) In continuità con quanto appena rilevato nella nota precedente è appena il caso di ricordare che la regola del solve et repete in materia tributaria era contenuta nel 2° comma dell‘art. 6 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, sull‘abolizione del contenzioso amministrativo, che subordinava l‘ammissibilità degli atti di opposizione in controversie d‘imposte alla prova del previo pagamento dell‘imposta stessa. La norma è stata dichiarata incostituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 113 Cost., con sentenza della Consulta, 31 marzo 1961, n. 21, pubblicata in Riv. dir. proc., 1961, pag. 641 ss., con nota di F. Maffezzoni, Motivi e limiti di efficacia della abolizione del <<solve et repete>>. (46) Il che appare possibile solo in ragione della mancata o invalida notifica dell‘atto autonomamente impugnabile pregresso, che esclude ogni effetto preclusivo altrimenti ostativo alla ripetizione d‘indebito attivabile, naturalmente, attraverso il generale congegno previsto dall‘art. 19, comma 1, lett. g, nonché dall‘art. 21, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 546/1992. V. già in 40 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA proposito C. Glendi, Abolizione dell‘avviso di mora: si torna al ―solve et repete‖?, cit., loc. cit., pag. 2834. (47) Questa via, con riferimento alla precedente normativa e avuto specifico riferimento all‘ipotesi di pignoramento non preceduto da valida notifica dell‘avviso di mora, è stata praticata in giurisprudenza da Comm. trib. prov. di Treviso, 4 marzo 2009, n. 23 e da Comm. trib. prov. Piacenza, 29 giugno 2009, n. 71, su cui v. lo scritto di A. Cissello, Impugnabilità dell‘atto di pignoramento presso le commissioni tributarie, in Il fisco, n. 32/2009, 2, pag. 5371 ss., nonché da Comm. trib. prov. di Milano, sez. IX, 27 ottobre 2009, in Corr. trib., n. 48/2009, pag. 3925 ed ivi, pag. 3921 ss. il commento di A. Vozza, La giurisdizione sulle controversie relative all‘illegittimità del pignoramento. Nello stesso senso v. anche Comm. trib. prov. di Parma, sez. VII, 16 dicembre 2009, n. 124, massimata in Corr. trib., n. 13/2010, pag. 1073, con breve nota di C. Glendi. Da ultimo, Comm. trib. prov. Milano, sez. XLVI, 10 settembre 2010, n. 186, massimata in Corr. trib., n. 39/2010, pag. 3265 con annotazione di C. Glendi. In questo senso v., già prima, in dottrina, A. Mercatali, La riscossione delle imposte, nuove norme e nuovi problemi, in Boll. trib., n. 1/2000, pag. 14, che considera il pignoramento quale <<atto consequenziale ad un atto che doveva necessariamente essere notificato>> e come tale sarebbe impugnabile per censurare, oltre che la mancata notifica della cartella, anche i vizi propri della cartella stessa. Il dato positivo non sembra peraltro avallare questa prospettiva, chiaramente finalizzata a privilegiare comunque spazi di tutela davanti al giudice tributario anche dopo l‘inizio dell‘esecuzione forzata, tenuto specificamente conto di quanto disposto dall‘art. 19 e dall‘art. 2 del D. lgs. n. 546/1992, ove si esclude la tutela giurisdizionale davanti alle commissioni tributarie oltre la soglia del pignoramento e non risulta indicato da nessuna parte il pignoramento quale atto autonomamente impugnabile davanti al giudice tributario. In dottrina si segnala, ancora, S. La Rosa, La tutela del contribuente nella fase di riscossione dei tributi, in Rass. trib., n. 4/2001, pag. 1178 ss. e in specie a pag. 1188, dove si accredita la tesi del termine per ricorrere alla Commissione tributaria (senza peraltro specificare contro quale atto) <<dal giorno de primo atto esecutivo>>, in quanto <<l‘avviso di mora è stato incluso tra gli atti impugnabili (e tale è rimasto), più che per la sua intrinseca natura provvedimentale, per il suo porsi ad immediato ridosso della fase esecutiva; e deve quindi ritenersi assorbito nel primo atto esecutivo (nel nuovo ordinamento) agli specifici fini del decorso del termine per far valere, innanzi alla Commissione tributaria, i vizi di notificazione della cartella>>. Infine, secondo A. Randazzo, Le problematiche di giurisdizione nei casi di riscossione tributaria non preceduta da avviso di mora, in Riv. dir. trib., n. 12/2003, II, pag. 916 ss., dove conclusivamente si precisa che <<il pignoramento è occasione per l‘impugnazione dell‘atto processualmente rilevante che esso presuppone (il ruolo o l‘avviso di mora) ed a quest‘ultimo deve ritenersi rivolta l‘azione promossa dal ricorrente quando siano sollevate censure collocabili nella fase anteriore all‘inizio dell‘esecuzione>>. 41 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA (48) Potrebbe in effetti essere questa la via di aggancio alla giurisdizione tributaria senza scardinare l‘impianto segnato dagli artt. 2 e 19 del D. lgs. n. 546/1992. L‘atto da impugnare risulta pur sempre l‘atto impoesattivo. Si potrebbe anche utilizzare lo strumento del c.d. ricorso al buio, con il quale ci si limita a impugnare l‘atto impoesattivo per quanto risultante dall‘atto di pignoramento comunque denunziando la giuridica inesistenza e/o nullità della notifica del primo, salvo, se del caso, qualora da parte dell‘ente impositore ne venisse prodotta copia, la possibilità di avvalersi della facoltà di cui all‘art. 19, ultimo comma, D. lgs. n. 546/1992. Circa la portata del nuovo art. 153, 2° comma, c.p.c., con specifico riferimento al processo tributario, v., da ultimo, C. Glendi, Nuove disposizioni generali del codice di procedura civile e processo tributario, in Corr. trib., n. 32/2010, pag. 2561 ss. e in specie pag. 2572 ss; e F. Randazzo, Rimessione in termini per l‘impugnazione del provvedimento impositivo, in Corr. trib., n. 33/2009, pag. 2690. (49) In questa prospettiva, ratione temporis, V. Perrucci, Riscossione più severa per il contribuente, in Boll. trib., 1999, pag. 453; G. Montedoro, La nuova tutela giurisdizionale dei diritti nella riforma della riscossione, ne Il fisco, n. 24/2001, pag. 8493. V., inoltre, F. Zalea, La nuova cartella di pagamento nel D. lgs. n. 46/1999, in Corr. trib., n. 25/1999, pag. 1866. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 6 novembre 2002, n. 15563, in Riv. dir. trib., n. 12/2003, II, pag. 913 ss., hanno qualificato l‘azione con la quale il contribuente lamenta la mancata notificazione di atti anteriori al pignoramento come opposizione all‘esecuzione ex art. 615 c.p.c. per avere il contribuente stesso posto in dubbio, non la fondatezza della pretese, ma il diritto del fisco ad agire nei suoi confronti, con il conseguente riconoscimento della giurisdizione ordinaria. Nella sentenza è stato specificamente osservato che <<non interferisce sulla ritenuta giurisdizione del giudice ordinario, nella causa di opposizione ex art. 615 c.p.c., la problematica posta dalle citate disposizioni del d.p.r. n. 602/1973 delimitative dell‘ammissibilità della domanda, essendo le relative questioni di pertinenza del giudice munito di giurisdizione sulla domanda stessa>>. (50) Sui ristretti limiti e sugli specifici presupposti dell‘azione di risarcimento danni, proponibile da <<chiunque si ritenga leso dall‘esecuzione>> nei confronti dell‘agente della riscossione <<dopo il compimento dell‘esecuzione stessa>>, a sensi dell‘art. 59 del d.p.r. n. 602/1973, v. il commento di D. Longo, in C. Consolo – C. Glendi, Commentario breve alle leggi del processo tributario, Padova, 2008, pag. 977 ss. (51) In tal modo il denunziato vizio di notifica dell‘atto presupposto, oltre che fungere da motivo in grado di portare all‘annullamento dell‘atto, come sopra si è detto, diventa oggetto della questione relativa alla tempestività o meno e quindi all‘ammissibilità del ricorso stesso, come tale comunque rilevabile e conoscibile in ogni stato e grado, anche d‘ufficio. 42 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA (52) Vale a dire gli artt. 617 e 618 c.p.c. E‘ da ritenersi comunque applicabile anche l‘art. 60 del DPR n. 602/1973, che consente al giudice dell‘esecuzione di sospendere il processo esecutivo ove <<ricorrano gravi motivi e vi sia fondato pericolo di grave e irreparabile danno>>. Cfr. gli ampi commenti di D. Longo, agli artt. 57 e 60, in C. Consolo – C. Glendi, Commentario, cit., pagg. 912 ss. e 984 ss. (53) Legittimato passivo sarà, naturalmente, l‘ente impositore, su cui grava l‘onere e la responsabilità della notifica dell‘atto impoesattivo. L‘illecito si concreta nel momento stesso del pignoramento, quindi a prescindere dal compimento dell‘esecuzione, e l‘azione risarcitoria sarà esperibile nelle forme dell‘ordinario giudizio di cognizione, nonché, in alternativa, anche nelle forme del procedimento sommario ex art. 702 bis c.p.c. (54) Quanto esposto nel testo s‘impernia specificamente nel fatto che, mentre nella normativa precedente, secondo quanto emerge dagli artt. 57 e 59 del d.p.r. n. 602/1973, la notifica della cartella, riproduttiva del ruolo, cioè del titolo esecutivo, rientra nella sfera di competenza e di responsabilità dell‘agente della riscossione, con la nuova disciplina la notifica dell‘atto impoesattivo grava sull‘ente impositore e dev‘essere dallo stesso verificata prima dell‘affidamento in carico all‘agente della riscossione, sul quale graverà il solo obbligo del rituale compimento dell‘ulteriore attività esecutiva, rispetto alla quale, normalmente, varrà quanto disposto dall‘art. 59 d.p.r. n. 602/1973. Sul nuovo rapporto tra ente impositore e agente della riscossione, proprio in ordine alla notifica degli atti, v. anche da C. Attardi, Accertamento esecutivo e ruolo dell‘agente della riscossione, in Corr. trib., n. 45/2010, pag. 3766 ss. (55) Si riprende così, e si sviluppa l‘altro punto focale della contrapposizione evidenziata al paragrafo 1. (56) Viene in tal modo a ribaltarsi, nella sua concreta soluzione, la vexata quaestio relativa alla proponibilità o meno dell‘istanza cautelare in sede d‘impugnativa degli avvisi di accertamento. In effetti, dopo un lungo dibattito dottrinale e dopo molti contrasti giurisprudenziali, poteva ormai dirsi affermata, e comunque largamente condivisa, l‘opinione che esclude il contenimento dell‘istanza cautelare nel ricorso avverso l‘avviso di accertamento, in quanto, per definizione, difetta, al momento, il presupposto dell‘attualità del pregiudizio, che sorge solo all‘atto dell‘iscrizione provvisoria a ruolo e alla notifica della cartella di pagamento, a fronte della quale, il contribuente, ove non sussistano vizi propri, che ne giustificano l‘autonoma impugnabilità, ben può limitarsi a proporre l‘istanza di sospensione nell‘ambito del precedentemente instaurato giudizio d‘impugnazione dell‘avviso di accertamento, avvalendosi di quanto previsto, sotto il profilo formale, dall‘art. 47, 1° comma, ultima parte, del D. lgs. n. 546/1992. Cfr., sul punto, in generale, C. Glendi, Procedimenti cautelari (dir. trib.), in Enc. giur. Treccani, Appendice VIII, Roma, 2000, paragrafo 3.4. Naturalmente, questa opinione non ha più ragione d‘essere a fronte dell‘atto impoesattivo, proprio perché, data la sua valenza anche di titolo esecutivo e di precetto, e dato il già predestinato sbocco sul versante esattivo, in caso di 43 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA mancato pagamento, l‘attualità del pregiudizio si manifesta appieno sin dal momento della notifica dell‘atto stesso. (57) Come già evidenziato in C. Glendi, Nuove frontiere per la tutela cautelare, in Corr. trib., n. 27/2010, pag. 2163, dal punto di vista della tecnica legislativa l‘intervento limitativo, generalmente operato sull‘art. 47 del d. lgs. n. 546/1992 dall‘art. 38, comma 9, lett. a) del D.L. n. 78/2010 si era focalizzato sul primo e sul penultimo comma di detta norma. Nel primo comma alla parola <<sospensione>> si era aggiunta l‘espressione <<per un periodo massimo di centocinquanta giorni>>, per cui il dato legislativo, ut supra modificato, testualmente prevedeva che <<il ricorrente, se dall‘atto impugnato può derivargli un danno grave e irreparabile, può chiedere alla Commissione provinciale competente la sospensione per un periodo massimo di centocinquanta giorni dell‘esecuzione dell‘atto stesso>>. Nel comma 7, in cui già era previsto che <<gli effetti della sospensione cessano alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado>>, erano state quindi aggiunte le parole <<e, in ogni caso, decorsi centocinquanta giorni dalla data del provvedimento di sospensione>>. (58) C. Glendi, op. loc. cit., pag. 2165. (59) Se è vero, come scrive P. Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936, pag. 63, che <<il giorno in cui la esistenza del debito non sarà più una ipotesi, ma una giuridica certezza, il provvedimento cautelare avrà esaurito il suo compito>>, altrettanto vero è che il provvedimento cautelare non può dirsi abbia assolto il suo compito sino a quando l‘ipotesi di esistenza del debito non si sia tramutata in giuridica certezza con l‘avvenuta pubblicazione della decisione di merito, venendo altrimenti meno la funzione stessa e la ragione d‘essere della tutela cautelare. (60) M. Basilavecchia e L. Lovecchio, Sospensiva di 150 giorni solo per nuove ordinanze, ne Il Sole – 24 Ore del 9 giugno 2010, pag. 34. Secondo la tesi ivi prospettata l‘effetto dirompente della norma limitativa della durata di efficacia della sospensione avrebbe potuto essere attenuata dalla possibilità di riproporre l‘istanza al termine del centocinquantesimo giorno. Peraltro, come si era osservato in Nuove frontiere per la tutela cautelare, cit., loc. cit., pag. 2165, nt. 6, se così fosse la norma sarebbe obiettivamente inutile e priva di senso. Il necessario adeguamento al variare della tutela cautelare in ragione delle concrete circostanze e durante la durata del processo è già regolato dall‘art. 47, ultimo comma, del D. lgs. n. 546/1992, ma non ha nulla a che vedere con l‘automatica caducazione ex lege dell‘efficacia del provvedimento cautelare solo in ragione del mero decorso del tempo. (61) Il riferimento è a Corte Cost., 23 luglio 2010, n. 281, in G.T. – Riv. giur. trib., n. 11/2010, pag. 944 ss., con il commento di C. Glendi, La Corte costituzionale sancisce l‘illegittimità della tutela cautelare <<ad tempus>>, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, perché contrastante con l‘art. 24, 2° comma, e con l‘art. 111, 2° comma, Cost., l‘art. 1, comma 3, terzo periodo, del D. L. n. 59/2008, conv. con modificazioni in l. n. 101/2008, nella 44 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA parte in cui prevedeva un termine di novanta giorni, eventualmente prorogabile per altri sessanta, alla cui scadenza il provvedimento di sospensione, rinnovato dal giudice in base alle nuove disposizioni, avrebbe comunque perso efficacia. Oltre al contrasto con l‘art. 24, 2° comma, Cost., è stato puntualmente rilevato il contrasto con l‘art. 111, 2° comma, Cost., sul doppio versante, di una evidente alterazione del principio della parità delle armi (in quanto la norma denunziata d‘incostituzionalità, prevedendo la<<perdita di efficacia della sospensione del titolo collegato al mero decorso di un breve arco di tempo, consente all‘ente, che ha proceduto ad iscrivere a ruolo il presunto credito, di azionarlo in via esecutiva pur in presenza delle condizioni che avevano condotto il giudice a disporre della sospensione stessa, così attribuendogli una ingiustificata posizione di vantaggio>>) e di una consistente lesione al principio di durata ragionevole del processo (che, <<se è diretto a disporre che il processo stesso non si protragga oltre certi limiti temporali>> importa altresì <<che esso duri per il tempo necessario a consentire un adeguato spiegamento del contraddittorio e l‘esercizio del diritto di difesa, di cui il diritto di avvalersi di una sufficiente tutela cautelare è componente essenziale>>, onde <<l‘automatica cessazione del provvedimento di sospensione dell‘efficacia esecutiva del titolo, in assenza di qualsiasi verifica circa la permanenza delle ragioni che ne avevano determinato l‘adozione, si risolve in un deficit di garanzie che rende la norma censurata non conforme al modello costituzionale>>). (62) Il ―famigerato‖ comma 9 dell‘art. 38 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, che, per l‘appunto, prevedeva la limitazione quoad tempus della sospensione cautelare, è stato <<soppresso>> in sede di conversione con l. n. 30 luglio 2010, n. 122. Al ripensamento legislativo ha contribuito anche l‘apporto criticamente sviluppatosi nel corso del Convegno su <<Funzione e tutela nella riscossione delle imposte dopo il D.L. 78/2010>> tenutosi il 9 luglio 2010 presso la Facoltà di giurisprudenza dell‘Università di Bologna. (63) Cfr. Italia – Oggi, del 4 luglio 2010, pag. 1 e pag. 30. (64) In effetti l‘attribuzione alla sola istanza di sospensione cautelare di un effetto sospensivo immediato, ancor prima e a prescindere dalla pronuncia sull‘istanza stessa, è abbastanza singolare, e, nel caso, va a totale vantaggio, financo eccessivo, del contribuente. Non constano, quanto meno in materia, altre disposizioni del genere. (65) Se il regime normativo introdotto con il D.L. n. 70/2011 dovesse restare fermo, l‘impatto sull‘organizzazione dei processi avanti ai giudici tributari sarebbe devastante. Tale da mettere in gioco la serietà della tutela cautelare, che, se pur costituisce, sicuramente, una componente esenziale della tutela giurisdizionale tout court, in ogni caso, richiede, per la sua stessa natura, un effettivo ancoraggio agli estremi del periculum in mora e del fumus boni iuris, mentre, secondo il congegno legislativo di cui trattasi qualsiasi istanza, anche in difetto di uno o di entrambi di questi presupposti, consentirebbe al ricorrente di fruire per il solo fatto della proposizione dell‘istanza di un immediato effetto sospensivo, senz‘alcuna ragione giustificativa. 45 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA (66) La formula usata dall‘art. 29, 1° comma, lett. c), del D.L. n. 78/2010 conv. nella l. n. 122/2010 è analoga, ma non identica, a quella impiegata dall‘art. 11, comma 3, nonché dall‘art. 15 bis del d.p.r. n. 602/1973. In questa ―vecchia‖ normativa si parla di <<fondato pericolo per la riscossione>>, mentre il nuovo dato legislativo fa riferimento alla <<presenza di fondato pericolo per il positivo esito della riscossione>>. Ovviamente incombe sull‘ente impositore l‘onere di provare la sussistenza del <<fondato pericolo>> e di darne conto nella motivazione dell‘atto impoesattivo. L‘obbligo della motivazione, sul quale già era richiesto con riferimento alla normativa riguardante la riscossione a mezzo ruolo. Cfr., ex plurimis, Comm. trib. prov. Milano, 20 ottobre 1998, in Giur. it., 1999, pag. 2927; e, più di recente, Comm. trib. prov. di Bari, 16 marzo 2009, n. 28. La sanzione della nullità, per il caso di omessa motivazione sul punto, è derivabile dal fatto che all‘atto impoesattivo si applica senza dubbio, sotto il profilo formale, la disciplina contenuta nel d.p.r. n. 600/1973 e nel d.p.r. 633/1972, e, poiché la disposta riscossione immediata dell‘intero costituisce parte essenziale dell‘atto impoesattivo stesso, vale al riguardo quanto disposto dall‘art. 56 del d.p.r. n. 633/1972 e dall‘art. 42 del d.p.r. n. 600/1973, nonché, più in generale, dall‘art. 7 della l. n. 212/2000 e altre disposizioni ivi richiamate. Sull‘argomento v. infine le riflessioni di A. Giovannini, Riscossione in base al ruolo e agli atti d‘accertamento, cit., loc. cit., pag. 33 e seg. e di A. Carinci, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex D.L. n. 78/2010, cit., loc. cit., pag. 172. (67) l‘espressione legislativa è molto ampia e tale da ricomprendere tutte le misure cautelari pro fisco, sia quelle di cui all‘art. 22 del d. lgs. n. 472/1997, e sia, pure, quelle previste dagli artt. 77 e 88 del DPR n. 602/1973, sempre che, per queste ultime, sia già avvenuto l‘affidamento in carico della riscossione agli agenti della riscossione. Secondo A. Carinci, La concentrazione della riscossione nell‘accertamento, cit., loc. cit., pag. 42, ciò varrebbe sicuramente per l‘ipoteca <<mentre è lecito dubitare del fermo dei beni mobili registrati, che non sembra qualificabile come misura cautelare o conservativa>>, ricordando, in nota 23, l‘opinione di S. Cannizzaro, Il fermo dei beni mobili registrato e l‘ipoteca nella fase di riscossione dei tributi: una difficile ricostruzione sistematica>>, in A. Comelli – C. Glendi, La riscossione dei tributi, cit., pag. 178, ove per il fermo si parla, infatti, di strumento autonomo di coazione finalizzato all‘esecuzione indiretta del credito>>. (68) Benché la norma faccia decorrere il termine di sospensione ex lege <<dalla data di notifica dell‘istanza>> sarebbe assolutamente irragionevole, quanto meno, esonerare chi propone l‘istanza o formula la richiesta di sospensione dall‘obbligo di provvedere al deposito del ricorso che la contiene o della richiesta o istanza medesima se autonomamente proposta, tenuto conto di quanto disposto dall‘art. 22 del D. lgs. n. 546/1992 espressamente richiamato dall‘art. 47, 1° comma, D. lgs. cit. In ogni caso la formulazione della norma, anche sotto questo profilo, mostra i suoi limiti essenzialmente 46 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA riportabili al non meditato aggancio di un immediato effetto di sospensione ex lege alla mera proposizione della domanda cautelare. (69) La questione è correlata alla nota problematica circa il c.d. doppio momento, iniziale e finale, del procedimento notificatorio, a cui si è fatto cenno alla nota 21. Come chiarito in La notificazione degli atti dopo la Corte costituzionale, cit., loc. cit., pag. 1313 ss., poiché in ogni caso, ai fini del perfezionamento della notificazione, occorre che l‘atto da notificare entri nella sfera giuridica del destinatario, è comunque da ritenere che tutto ciò debba avere luogo anche riguardo all‘istanza o richiesta di sospensione cautelare di cui trattasi. Il problema è però se, ove ciò accada, l‘effetto sospensivo ex lege decorra da quest‘ultimo momento o sia riportabile al momento iniziale di consegna dell‘istanza all‘ufficiale giudiziario o di spedizione della stessa a mezzo del servizio postale. La seconda alternativa sembra maggiormente accreditabile alla stregua di quanto diffusamente illustrato nello scritto ultimamente citato, a livello generale, nonché avuto riguardo al caso di specie in cui non v‘è traccia di una decorrenza effettuale espressamente ancorata al momento iniziale del procedimento notificatorio né si prefigurano specifiche decadenze e/o preclusioni da preservare in capo all‘istante, e non potendosi, infine, far ricadere sul destinatario dell‘istanza le conseguenze negative di atti posti in essere nell‘incolpevole ignoranza dell‘iniziato procedimento di notifica della domanda cautelare nei suoi confronti. Anche alla luce delle problematiche sopra evidenziate sembra palese, pure sotto questo profilo, l‘incongruità della scelta legislativa di far dipendere un effetto sospensivo ex lege da un dato così labile e non ben definito come quello della sola notifica dell‘istanza di sospensione cautelare. (70) Questa diversa possibilità, espressamente prevista dall‘art. 47, 1° comma, del D. lgs. n. 546/1992 trova la sua ben precisa ragione d‘essere nel fatto che la tutela cautelare è per sua natura contingente e la necessità della stessa può quindi variamente atteggiarsi nel corso del processo, in ragione dei mutamenti che ben possono verificarsi, sia quanto all‘attualità del pregiudizio, e sia pure riguardo ai presupposti, tanto del fumus boni iuris, quanto del periculum in mora, che, in ipotesi, possono difettare all‘atto della proposizione del ricorso e manifestarsi invece successivamente (si pensi, quanto al fumus, alle ipotesi di ius superveniens o d‘interventi della Corte costituzionale sulle norme poste a base del ricorso, e, quanto al danno grave e irreparabile, al caso di una sua inesistenza all‘atto alla proposizione del ricorso e al suo sopravvenire in epoca successiva). (71) Se è vero quanto appena ricordato nella nota precedente, non è chi non veda come l‘indiscriminata possibilità di presentazione della domanda cautelare nel tempo, fermo restando l‘effetto legale di una sospensione automatica ad essa correlata, ben si presti ad una troppo facile e ingiustificabile strumentalizzazione in danno dell‘ente impositore e dell‘agente della riscossione. Basti pensare ad istanze di sospensione, ancorché prive di fondamento, presentate quasi al termine del processo e poco prima della vendita dei beni pignorati o addirittura in appello o in pendenza di ricorso per cassazione, ove ne venga riconosciuta, come se ne 47 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA deve riconoscere, l‘ammissibilità, ma non certo in mancanza dei presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora e per il solo fatto di una presentazione dell‘istanza (che la normativa in esame, tra l‘altro, neppure espressamente circoscrive al solo primo grado di giudizio). (72) Così si esprime, precisamente, l‘art. 7, comma 1, lett. m), del D. l. 31 maggio 2011, n. 70. (73) Questa è, invece, la letterale riproduzione di quanto disposto in parte qua, dall‘art. 7, comma 2, lett. n), del D. l. n. 70/2011. (74) Nel testo, infatti, di cui al comma 1, lett. m), si fa generico riferimento alla <<decisione del giudice>> e ad un termine a calendario (<<centoventesimo giorno>>) ,senza nessun‘altra specificazione, laddove nella formulazione di cui al comma 1, lett. n), dello stesso D.L. n. 70/2011, si parla, più precisamente, di <<emanazione del provvedimento>> che decide sull‘istanza e di un <<periodo non superiore a centoventi giorni>>, che non coincide assolutamente con il <<centoventesimo giorno>> di cui parla l‘altro testo e di cui, in ogni caso si puntualizza la decorrenza identificandola nella <<data di notifica dell‘istanza stessa>>. (75) Secondo A. Carinci, La concentrazione della riscossione nell‘accertamento, cit., loc. cit., pag. 42, <<non è chiaro se il predetto periodo>>, pari a centoventi giorni, <<sospenda l‘esecuzione anche nel caso di rigetto dell‘istanza, naturalmente prima del suo decorso, oppure, di contro, consenta l‘esecuzione anteriormente la pronuncia sull‘istanza>>, ma <<la prima opzione sembra da preferire, stante l‘impiego della congiuntiva ―e‖>>. In realtà, questa particella equivale a ―ma‖, specie se viene correlata alle espressioni <<comunque>> e <<in ogni caso>> che si riscontrano nell‘art. 7, del D.L. n. 70/2011, rispettivamente al 1° comma. lett. m) e al comma 2, lett. n), con le consequenzialità interpretative illustrate nel testo. (76) Così anche F. Tundo, Accertamento esecutivo sospeso fino all‘emanazione del provvedimento del giudice, in Corr. trib., n. 23/2011, pag. 1853 ss. (77) V. retro, a nota 69. Tutto ciò, naturalmente, rende ancora più evidente l‘inopportunità della scelta legislativa di un effetto sospensivo automatico agganciato ad una decorrenza relativamente ―mobile‖, o comunque ad alto rischio di incertezza problematica, come la ―notifica‖ dell‘istanza di sospensione. (78) Così si esprime, con linguaggio non propriamente vigilato, l‘art. 7, comma 2, lett. n, del d. l. n. 70/2011. (79) La norma, infatti, integra ex art. 1, 2° comma, d. lgs. n. 546/1992 la mancanza di una puntuale disciplina delle forme dell‘ordinanza nel processo tributario. (80) Alla quale, del resto, e non a caso, l‘art. 47, 3° comma, D. lgs. n. 546/1992 fa esplicito richiamo. In verità la terminologia impiegata dal legislatore è tutt‘altro che appropriata, in quanto il giudice, in sede di sospensione, non pronuncia una <<decisione>>, ma <<provvede sull‘istanza>>, dopo aver <<delibato il merito>>, come, molto più 48 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA correttamente, si esprime l‘art. 47, 4° comma, d. lgs. cit. Proprio per questa, difficilmente contestabile, approssimatività di linguaggio dell‘odierno legislatore sembrerebbe difficile identificare il solo provvedimento collegiale ex art. 47, comma 4, d. lgs. 546/1992 con il <<provvedimento che decide sull‘istanza di sospensione>> e nella <<decisione del giudice>>, di cui parlano rispettivamente l‘art. 7, comma 2, lett. n), e l‘art. 7, comma 1, lett. m), del D. l. n. 70/2011, escludendo dal più vasto ambito dei provvedimenti che ―decidono‖ sull‘istanza quello reso, sia pure provvisoriamente dal presidente a norma dell‘art. 47, 3° comma, d. lgs. n. 546/1992. Si potrebbe, peraltro, anche prospettare una linea interpretativa completamente diversa. Ravvisando, quindi, nella pur discutibile espressione usata dal d. l. n. 70/2011, laddove parla di <<decisione del giudice>> e di <<provvedimento che decide>> sull‘istanza di sospensione un significato peculiarmente identificativo di un solo provvedimento comunque esaustivo e, per l‘appunto, in tal senso, definitivamente ―decisorio‖ sulla domanda di sospensione, così da differenziarlo rispetto al provvedimento meramente interinale, e, per l‘appunto, in questo senso, non definitivamente ―decisivo‖, ma meramente ―provvisorio‖, del presidente ex art. 47 d. lgs. cit. I corollari derivabili dall‘una o dall‘altra interpretazione non sono di poco conto, come si dirà, più dettagliatamente, a nota 87. (81) E‘ forte l‘impressione che l‘idea di una sospensione ex lege collegata alla presentazione dell‘istanza cautelare sia sorta nell‘intento di attenuare l‘impatto, ritenuto eccessivo, della nuova disciplina in danno del contribuente. Se ne può in effetti trovare conferma nell‘enunciato contenuto nell‘art. 7, comma 1, lett. m), del D.L. n. 70/2011. La via seguita, peraltro, rischia di far precipitare nell‘opposto eccesso, concedendo al contribuente strumenti dilatori che poco hanno a che vedere con la giusta valorizzazione della tutela cautelare. (82) Se ne veda la più recente, accurata, sintesi nel commento di M. Montanari, in Commentario breve alle leggi del processo tributario, a cura di C. Consolo – C. Glendi, Padova, 2008, pag. 475 ss. (83) Si potrebbe fors‘anche dire che il periculum in mora viene ad ―accendere‖ la consistenza del fumus boni iuris, fornendo al giudice una più viva e completa piattaforma della situazione concreta sottoposta alla valutazione delibativi che gli compete. (84) Riducendosi gli atti della riscossione autonomamente impugnabili, si avrà, oltretutto, una significativa contrazione di liti e non potrà non ridimensionarsi la ―tecnica‖ di impugnative distinte di atti esattivi separati da quelli propriamente impositivi quand‘anche l‘atto esattivo era meramente consequenziale a quello impositivo, onde l‘esasperante ricerca da parte del contribuente di vizi propri, spesso inconsistenti. Anche sul piano della legittimazione passiva, la nuova disciplina dovrebbe fortemente ridurre le fastidiose contrapposizioni tra ente impositore e agente della riscossione, dando pure luogo ad una rinnovata stagione interpretativa e applicativa della spesso irragionevolmente negletta disposizione di cui all‘art. 39 d. lgs. n. 112/1999. 49 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA (85) Dei quali già si è dato conto nel paragrafo precedente, nel testo e a nota 71. Sul piano operativo è da ritenere che anche la tecnica di formazione del ricorso iniziale, proprio in ragione della natura dell‘atto che ne costituisce oggetto, dovrà essere modificata, con una più ampia esposizione del fatto, una più elaborata illustrazione dei motivi ed una maggior attenzione alla deduzione dei c.d. fatti secondari, sui quali possono innestarsi importanti conseguenze a livello istruttorio, stante il novellato disposto dell‘art. 115 c.p.c., sicuramente applicabile anche al processo tributario e utilizzabile in specie, pure per quanto attiene alla prova del danno grave e irreparabile ai fini del giudizio cautelare immediato. (86) Da M. Scuffi, nel corso dell‘illustrazione della sua apprezzata relazione su Atti di accertamento e imposizione comunitaria (dazi, accise, recupero aiuti di Stato ed agevolazioni in frode) oralmente integrata al Convegno sanremese del 3 – 4 giugno 2011. A parte, infatti, che un troppo generalizzato utilizzo di provvedimenti presidenziali di sospensione cautelare ex art. 47, 3° comma, D. lgs. n. 546/1992, ai soli fini di fronteggiare un eccesso di domande di tutela cautelare da parte dei contribuenti, urterebbe vistosamente contro l‘indubbia eccezionalità del rimedio, la sua ratio e la sua ristretta base di operatività, neanche sul piano organizzativo verrebbero conseguiti concreti benefici di alleggerimento, nello smaltimento delle domande di tutela cautelare, in quanto, in ogni caso, la sospensione presidenziale concessa postula pur sempre un successivo, ineliminabile giudizio di conferma o di revoca in sede collegiale. (87) La possibilità indicata nel testo postula, tuttavia, l‘accoglimento di una sola delle ipotesi interpretative sopra delineate a nota 80. Inoltre, resta il problema dell‘effettiva idoneità della sola riscontrata difficoltà per deficienze organizzative, di addivenire ad una pronuncia collegiale sulla istanza di sospensione entro il termine di centoventi giorni dalla presentazione dell‘istanza stessa, ad integrare gli estremi della ―eccezionale urgenza‖ di cui all‘art. 47, 3° comma, d. lgs. n. 54671992. Sul punto, v., in nuce, M. Montanari, op. loc. cit., pag. 496 – 497, ove altre indicazioni di dottrina e giurisprudenza. In caso di colpevole inerzia il contribuente potrebbe, in ogni caso, avvalersi del combinato disposto dell‘art. 14 del D. lgs. n. 545/1992 e dell‘art. 3 della l. n. 117/1988, anche se, allo stato, manca una specifica indicazione di un termine, legislativamente imposto, entro il quale la commissione tributaria adita sia tenuta a pronunciare sulla richiesta di tutela cautelare. (88) Si fa quindi ancora richiamo agli scritti sopra ricordati a nota 11, nonché, ancora, a C. Glendi, Postfazione di sintesi, cit., in A. Comelli – C. Glendi, La riscossione di tributi, cit., pag. 244, ove per l‘appunto retoricamente ci si domanda quale senso possa avere, dal punto di vista storico – sistematico, e a prescindere, ovviamente, da una evidente situazione di vantaggio per il contribuente, che al momento può essere soltanto politicamente opportuna, il mantenimento della riscossione frazionata, anacronisticamente sopravvissuta 50 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA dall‘epoca in cui l‘accertamento avveniva gradatamente attraverso il progredire di un contenzioso, che aveva natura amministrativa e non giurisdizionale. (89) E‘ veramente incredibile come, a fronte del chiaro dettato dell‘art. 29 del d. l. n. 78/2010 conv. in l. n. 122/2010, possa sostenersi che <<il titolo esecutivo, in base al quale si procede nei confronti del contribuente, risulta costituito dalla sentenza>> e che, in tal modo, verrebbe superato <<il dogma, rappresentato dall‘art. 49 del D. lgs. n. 546/1992, che le sentenze non sono titolo per l‘esecuzione>>, addirittura ipotizzando che ora <<vi sarebbero sentenze esecutive, quando relative ad atti impositivi che risultano anch‘essi esecutivi (e favorevoli all‘amministrazione), e altre sentenze che, invece, non lo sono>>, tra le quali vengono segnalate le <<sentenze, ad esempio, riguardanti atti di accertamento relativi a tributi doganali oppure a cartelle di pagamento impugnate e relative all‘attività di liquidazione della dichiarazione, ai sensi dell‘art. 36 - bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600>>, in cui <<il titolo esecutivo non sarebbe certamente rappresentato dalla sentenza>>, aprendosi così <<una sorta di doppio binario nel processo tributario, con alcune sentenze che divengono esecutive ed altre no>>. Le parole riportate sono di D. Deotto, Gli effetti dell‘esecutività degli atti di accertamento sulle vicende del processo tributario, in Corr. trib., n. 26/2011, pag. 2097 ss. Se, de lege lata, il titolo esecutivo si forma dopo sessanta giorni dalla notifica degli atti impoesattivi, come può ritenersi che titolo esecutivo sia una sentenza ancora di là da venire? Se tra gli atti impoesattivi sono ricompresi, oltre all‘atto impoesattivo primario, anche gli atti impoesattivi secondari, emessi a seguito della rideterminazione degli importi conseguenti alle vicende del processo ex art. 68 D. lgs. n. 546/1992 ed artt. 19 D. lgs. n. 472/1992, e pure per essi viene detto che il titolo esecutivo è dato da ognuno di siffatti atti, tra l‘altro autonomamente impugnabili, decorsi sessanta giorni dalla loro notifica, su quali basi ermeneutiche è oggettivamente accreditabile l‘assunto che titoli esecutivi sarebbero invece le sentenze delle Commissioni tributarie, che non sono certo impugnabili davanti alla stessa Commissione tributaria di primo grado alla stregua degli atti impoesattivi? La verità è che, come si è da tempo dimostrato (v. C. Glendi, L‘oggetto del processo tributario, cit., pag. 226 ss. e in specie a pag. 230 ss.), in materia tributaria le sentenze delle Commissioni non costituiscono mai titoli esecutivi per l‘Amministrazione finanziaria, che, infatti, unilateralmente procede, come di legge, oltre che all‘imposizione anche alla formazione dei titoli esecutivi in base ai quali procede poi (anche qui, direttamente, non certo per via di ufficiale giudiziario e secondo le norme del codice di procedura civile) all‘espropriazione forzata. (90) V. amplius C. Glendi, Verso la costituzionalizzazione della tutela cautelare oltre il primo grado, in Corr. trib., n. 30/2010, pag. 2401 ss., a commento della sentenza della Corte costituzionale 17 giugno 2010, n. 217, pubblicata anche in G.T. – Riv. giur. trib., 2010, pag. 841 ss. con il commento di F. Randazzo, Poteri di sospensione del giudice di secondo grado in pendenza del ricorso in cassazione: un importante passo avanti 51 NOTIFICA DEGLI ATTI ―IMPOESATTIVI‖ E TUTELA CAUTELARE AD ESSI CORRELATA verso la pienezza della tutela cautelare; in Boll. trib., 2010, pag. 1150 ss. con nota di V. Azzoni, Un passo avanti verso la completa tutela del contribuente anche in fase cautelare, e in Riv. dir. trib., 2011, II, pag. 38 ss., con il commento di P. Accordino, La Corte costituzionale apre uno spiraglio per un révirement sulla sospensione cautelare, in secondo grado, nel processo tributario. Pur non potendosi non apprezzare l‘apertura ultimamente manifestata dalla Corte al riconoscimento della necessità di una tutela cautelare anche oltre il primo grado del processo tributario, resta il neo di una mera pronuncia di rigetto, sotto il profilo della insufficiente dimostrazione della rilevanza della questione di incostituzionalità da parte del giudice a quo e sotto il profilo, inoltre, di una prospettiva d‘incostituzionalità orientata sul presupposto di una ritenuta individuazione dei titoli esecutivi nelle decisioni delle commissioni anziché negli atti, dotati di questo effetto, che appartengono all‘Amministrazione, in contrasto, fra l‘altro, con quanto già limpidamente acclarato dalla stessa Corte costituzionale, nell‘ordinanza 5 aprile 2007, n. 119, dove, per l‘appunto, si era puntualmente rilevato come <<oggetto del provvedimento di sospensione non potrebbe mai essere la sentenza che ha respinto l‘impugnazione, bensì semmai il provvedimento impositivo la cui impugnazione è stata rigettata in primo grado>>. Sul punto, v., altresì, A Colli Vignarelli, La tutela cautelare tributaria nei giudizi di impugnazione, in Riv. dir. trib., 2011, I, 431 ss. Generosa, ma nient‘affatto condivisibile, e fors‘anche controproducente, sul punto, la difesa della pronuncia n. 217/2010 della Corte fatta, in ultimo, da F. d‘Ayala Valva, Sulla necessità dei rimedi di sospensione cautelare processual-civilistici per un ―giusto‖ processo tributario, in Boll. trib., n. 10/2011, pag. 725 ss. 52 Prof. Massimo Basilavecchia La difficile interstizialità della compensazione tra accertamenti e attività esattive Sommario: 1. Premessa. 2. Diverse tipologie di compensazione. 3. La compensazione a iniziativa del contribuente. 4. La compensazione a iniziativa dell‘Amministrazione finanziaria. 5. L‘avviso di recupero come atto emblematico della interstizialità. 1 Premessa La parola interstizio descrive una piccola cavità che divide due masse, ed in questo senso il titolo assegnato, che qualifica interstiziale la compensazione, mi pare straordinariamente efficace per descrivere la funzione dell‘istituto, tra le due grandi sequenze di atti compresi, rispettivamente nell‘attività di riscossione e in quella di accertamento. Il nodo che dovrà essere sciolto riguarda la funzione dell‘interstizio, rispetto al quale appare subito evidente che le soluzioni possono essere diverse, così come diversi possono essere i punti di vista dai quali si affronta il problema. L‘interstizio divide due masse, ma può anche essere considerato uno spazio che le collega. La compensazione tributaria può essere intesa come un territorio in cui non si applicano le regole né dell‘accertamento, né della riscossione, o viceversa come un punto di convergenza tra due attività normalmente – ma non sempre – parallele, rispetto al quale occorre ricostruire in quale modo le regole dell‘una e dell‘altra attività possano convivere. Poiché la compensazione, nella sua struttura essenziale, vede la reciproca estinzione di posizioni debitorie e creditorie simmetriche, nell‘analisi della stessa è del tutto fisiologico che assuma un valore decisivo il punto di vista dal quale le cose si guardano: dunque in primo luogo rileva quale sia il soggetto che oppone la compensazione, perché in quel momento il credito da soddisfare non viene messo in discussione (la compensazione è comunque modalità estintiva dell‘obbligo o dell‘obbligazione, ed è quindi in tal senso del tutto interna alla riscossione del tributo) mentre l‘efficacia estintiva del controcredito opposto in compensazione dipende dalla sua esistenza e dalla sua effettiva consistenza. Occorrono delle regole per stabilire come si possa considerare esistente il controcredito, quale sia il soggetto abilitato ad accertarlo (il creditore, il giudice), con quale tempistica. Lo schema base da adottare è dunque il seguente: c‘è un debito a carico di uno dei soggetti, rispetto al quale in un dato momento X non vi è discussione o, al più, la contestazione si svolge su binari paralleli, che non interferiscono sull‘obbligo di adempimento; rispetto a quel debito, talune norme – tributarie, ma senza escludere la rilevanza di talune regole civilistiche - (di carattere LA DIFFICILE INTERSTIZIALITÀ DELLA COMPENSAZIONE TRA ACCERTAMENTI E ATTIVITÀ ESATTIVE generale, ovvero destinate a regolare singole forme di compensazione) prevedono la possibile estinzione per compensazione. Così, in una fattispecie tipica della riscossione – intendendo tale termine come comprensivo anche del rimborso a favore del contribuente – irrompe un segmento di attività che coinvolge l‘accertamento: la fattispecie di riscossione viene alterata dal controcredito vantato, sicchè occorre chiedersi quali garanzie le norme prevedano perché l‘alterazione sia possibile, anche in difetto di definitività del controcredito, come interferiscano i meccanismi di accertamento su quelli di riscossione, come si possano coordinare le due attività. 2 Diverse tipologie di compensazione La compensazione nel diritto tributario si caratterizza per un costante rapporto di integrazione tra disposizioni extratributarie di carattere generale e regole specifiche poste dalle norme in materia. Per quanto riguarda la compensazione a favore del contribuente, la chiave di lettura che dà ingresso alle regole generali civilistiche sull‘istituto è come noto costituita dall‘art. 8 comma primo dello Statuto dei diritti del contribuente, che prevede con formula generale la possibilità di estinzione dell‘obbligo tributario per compensazione, senza apparenti ulteriori condizioni. Questa disposizione aprirebbe il campo a un‘applicazione amplissima, sia in sede di versamenti spontanei, sia nelle fasi amministrative di accertamento e soprattutto di riscossione del tributo, sia anche in sede processuale. E‘ noto invece che prevale in giurisprudenza l‘idea di una non immediata applicabilità del primo comma, quanto meno con caratteri di generalità, ed è altrettanto noto che, nella prassi, la presenza dell‘altra compensazione speciale, quella riferibile al meccanismo dei versamenti unitari (il modello F24, divenuto orami una mini-dichiarazione), sconsiglia il ricorso alla compensazione al di là dei limiti tassativi previsti dall‘art. 17 della legge n. 241/90. Vi sono peraltro due fatti nuovi che si ricollegano all‘art. 8 primo comma della legge n. 212/90. Il primo riguarda la possibilità, introdotta dall‘art. 31 comma 1 del d.l. 78/2010 (e attuata dal d.m. 10 febbraio 2011), di provvedere mediante compensazione con modello F24 al pagamento delle somme iscritte a ruolo. E‘ una possibilità prevista in via generale, non necessita di una preventiva manifestazione di assenso degli uffici o dell‘agente della riscossione, ed è a mio avviso importantissima sia perché per la prima volta si avvia un percorso di effettva attuazione dell‘art. 8 dello statuto, sia perché il meccanismo è in grado di eliminare la necessità di dover far valere in sede processuale la compensazione impugnando atti impositivi, rispetto ai quali in ipotesi possono anche mancare altri profili di contestazione. Il secondo elemento innovativo è dato dallo scenario che si sta aprendo sul problema, assai ricorrente, della compensazione tra imponibili: quando cioè da un‘attività di accertamento, che rettifica talune poste della dichiarazione 54 LA DIFFICILE INTERSTIZIALITÀ DELLA COMPENSAZIONE TRA ACCERTAMENTI E ATTIVITÀ ESATTIVE del contribuente, dovrebbe discendere consequenzialmente la diminuzione di altre poste, o delle stesse poste in periodi d‘imposta contigui. E‘ il problema che ha condotto per la prima volta alla affermazione giurisprudenziale della immediata applicabilità dell‘art. 8 (cass. 22872/2006). Qui la compensazione si fa ―accertamento‖, nel senso che il problema, pur nascendo dall‘esigenza di evitare forme di doppia imposizione, si allontana dall‘area della riscossione e invade un tema centrale, un punto centrale dell‘accertamento che è quello di riuscire a riequilibrare gli imponibili di uno o più periodi, quando la rettifica di talune parti della dichiarazionea favore del fisco implicherebbe la necessità di operare anche talune correzioni a favore del contribuente. Accanto all‘art. 8, vi è poi il sistema delle compensazioni speciali, che ruota soprattutto sull‘art. 17 d.lgs. 241/97. Quando invece è l‘amministrazione a operare la compensazione, per prassi la normativa generale che costituisce l‘archetipo di tutte le altre possibilità riconosciute da norme particolari è rappresentata non tanto dalla discplina civilistica, quanto dall‘art. 69 della legge sulla contabilità di stato, r.d. 2440/1923, che contempla anche la possibilità di intervento cautelare sulla base della sussistenza di sole ragioni di credito delle amministrazioni statali. Si individuano dunque due fasi, un blocco temporaneo nel pagamento del debito da parte dell‘amministrazione, e successivamente una compensazione forzosa, di autorità, che attua definitivamente la compensazione imputando le somme dovute dall‘amministrazione a pagamento del credito vantato dalla stessa o da altra amministrazione statale. Anche in questo caso, alla normativa generale, applicabile a tutte le amministrazioni statali, si affiancano norme particolari, in parte con finalità cautelare: un ruolo centrale, per compiutezza e ampiezza di disciplina, viene svolto dall‘art. 23 d.lgs. 472/97, che prevede la sospensione e poi eventualmente la compensazione di autorità delle somme da rimborsare ai contribuenti. Nonostante il palese limite al credito fiscale per sanzioni, da ultimo implicitamente riconfermato dall‘art. 27 d.l. 185/2008, che ha esteso al credito per tributi la sola disciplina delle misure cautelari di cui all‘art. 22 dello stesso decreto, e non quella dell‘art. 23, la giurisprudenza di cassazione sembra ormai orientata a ritenere che quest‘ultima disposizione assuma un carattere generale di applicazione così diffusa, da rendere in concreto inoperante in materia tributaria l‘art. 69 della legge di contabilità e implicitamente abrogata, ad es., la disposizione dell‘art. 38-bis d.p.r. 633/72 che prevedeva la sospensione del rimborso IVA in caso di emersione di ipotesi di reati tributari. 3 La compensazione a iniziativa del contribuente In parallelo all‘art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente, sta la compensazione intrinseca al sistema dei versamenti unitari (art. 17 d.lgs. 241/97), nella quale confluiscono – ed in tal modo si accentua la complessità dell‘istituto – non solo crediti strettamente tributari – in genere nascenti da dichiarazioni; peraltro sono coinvolti crediti e debiti relativi a tributi diversi, e anche enti impositori diversi – ma anche crediti d‘imposta che a tutti gli 55 LA DIFFICILE INTERSTIZIALITÀ DELLA COMPENSAZIONE TRA ACCERTAMENTI E ATTIVITÀ ESATTIVE effetti sono veri e propri finanziamenti concessi a tipologie di contribuenti e fruibili in sede di versamento dei tributi o delle altre entrate contributive incluse nel sistema dei versamenti unitari. A questo proposito, come è noto, il tema emergente è dato dal contemperamento tra un meccanismo che è fondamentale per l‘equilibrio finanziario dei contribuenti, ma non lo è meno per l‘operatività dell‘amministrazione finanziaria, che vede drasticamente ridotte le procedure di rimborso da seguire, e l‘esigenza di contenere, reprimere e infine ridurre drasticamente i comportamenti fraudolenti dilagati negli ultimi anni: perché chi non è in condizione di versare, o non ha intenzione di farlo, ha ovviamente una fortissima tentazione di mascherare l‘omesso versamento inserendo crediti insussistenti nel modello F24. La legislazione degli ultimi anni, oltre a rafforzare notevolmente l‘apparato sanzionatorio amministrativo e penale, ha introdotto appositamente un atto, l‘avviso di recupero, che ha la funzione di contestare l‘utilizzo di crediti insussistenti. Tale atto, di cui si parlerà nella parte conclusiva della relazione, ha indubbiamente una doppia natura, nel senso che assume ad oggetto non una dichiarazione, ossia un atto dell‘accertamento, ma un atto tipico della riscossione quale appunto il modello di versamento unificato che dà conto delle compensazioni effettuate; il suo contenuto, tuttavia, può spingersi a lambire le soglie dell‘accertamento, se si ammette che l‘avviso di recupero possa ad es. disconoscere un credito IVA compensato, che sia stato regolarmente incluso nella dichiarazione. Emerge un quadro esemplare di interferenze: un credito vantato dal contribuente, ancora suscettibile di essere controllato dall‘Agenzia delle entrate, va ad incidere, pur senza essere stabile, sulle procedure di riscossione ed in particolare di versamento spontaneo. Si profila dunque una duplice possibilità di controllo, l‘idea che su binari paralleli il credito possa essere disconosciuto da un lato con le procedure di accertamento che riguardano l‘atto che ―dichiara‖ l‘esistenza del credito, dall‘altro con le procedure di riscossione, che verificano la congruità del versato e hanno ad oggetto gli atti nei quali quel credito viene utilizzato (il modello F24 che esprime il versamento unitario). Come è noto, a proposito del ravvedimento operoso l‘Agenzia, dopo qualche oscillazione, e senza trovare un consenso generalizzato, ha indicato la via della prevalenza dell‘accertamento, nel senso che la minore entità del credito usato in compensazione dovrebbe essere sanata con un ravvedimento rapportato non al minore versamento, ma alla violazione commessa nell‘ambito del tributo dal quale il credito scaturiva. Come si dirà, forse la metodologia corretta potrebbe essere quella di distinguere da caso a caso, lasciando che il controllo di carattere formale sull‘esistenza del credito dichiarato continui ad avvenire con le forme procedurali già previste (artt. 36-bis, 36-ter d.p.r. 600/73; art. 54-bis d.p.r. 633/72) – sono infatti forme di controllo rapide – e riservando invece agli atti destinati a controllare il versamento il recupero di crediti inesistenti (concetto 56 LA DIFFICILE INTERSTIZIALITÀ DELLA COMPENSAZIONE TRA ACCERTAMENTI E ATTIVITÀ ESATTIVE che dovrebbe essere diverso, meno ampio perché più restrittivo, di quello di crediti semplicemente inferiori a quelli dichiarati) e l‘applicazione delle relative sanzioni: come crediti inesistenti dovrebbero intendersi quelli non sorretti dal dichiarato, del tutto avulsi da precedenti atti del contribuente, ovvero, ancorchè dichiarati, frutto di manovre fraudolente che renderebbero giustificata, ad esempio, la maggior durata del termine decadenziale prevista per l‘avviso di recupero. Come si è rilevato al paragrafo precedente, il contribuente oggi può anche compensare con F24 il proprio credito per provvedere al pagamento delle somme iscritte a ruolo (la prossima concentrazione della riscossione nell‘accertamento dovrebbe rendere possibile la compensazione anche in quel caso); diventa a questo punto abbastanza incomprensibile, se non del tutto irrazionale, che la compensazione non possa avvenire, sempre con il ricorso al modello F24, quando le somme sono dovute, ma non iscritte a ruolo (il che accade, ad es., quando si tratta di somme dovute sulla base di avviso bonario, o quando si tratti di rate non pagate nell‘ambito del versamento di quanto dovuto per effetto di accertamento con adesione). Si apre dunque uno scenario nuovo, dal 2011, che rende (o tende a rendere, quale approdo finale interpretativo) sostanzialmente generalizzata la possibilità di estinzione dei debiti tributari mediante compensazione perlomeno quando gli stessi siano indicati in atti dell‘amministrazione finanziaria, la quale puo‘ così immediatamente apprendere che la pretesa è stata soddisfatta e nel contempo verificare che la modalità di adempimento sia compatibile e coerente con l‘ammontare della pretesa. Se così è, dovrebbe venir meno la necessità – già problematica, in relazione alla regola dei vizi propri di cui all‘art. 19 d.lgs. 546/92 - di impugnativa degli atti della riscossione per far valere la compensazione: il contribuente che chieda la compensazione in via amministrativa potrebbe in ipotesi impugnare il diniego opposto dall‘ufficio, e non l‘atto di accertamento rispetto al quale l‘invocazione della compensazione sarebbe prematura -, mentre in fase di riscossione la compensazione potrebbe essere direttamente attuata dal contribuente. Con la via, residuale, di poter impugnare l‘atto di riscossione conil quale l‘ufficio dimostri di non considerare avvenuto validamente il ―pagamento‖ mediante compensazione. 4 La compensazione a iniziativa dell‟Amministrazione finanziaria 5 L‟avviso di recupero come atto emblematico della interstizialità 57 Prof. Claudio Berliri Nuovo redditometro e altri accertamenti presuntivi: alternatività o concorrenza? 1 Accertamento sintetico e nuove modalità di riscossione delle imposte accertate Come è ben noto il D.L. 31.5.2010 n. 78 convertito in L. 30.7.2010 n. 122 ha, fra l‘altro, notevolmente modificato l‘accertamento sintetico complessivo del reddito imponibile e ancor più la riscossione delle imposte accertate, ancorché in contestazione. In particolare l‘art. 22 ha modificato l‘art. 38 del D.P.R. n. 600/73 con effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del decreto stesso, vale a dire alla data del 31.7.2010, il che significa che la nuova normativa si applica agli effetti degli accertamenti per l‘anno 2009, e successivi. Le modifiche alla riscossione sono state apportate dal successivo art. 29, e si applicano agli atti di accertamento, relativi ai periodi di imposta 2007 e successivi ed ai connessi provvedimenti di irrogazione delle sanzioni notificati a far data dall‘1.7.2011. 2 La determinazione del reddito imponibile Per quanto concerne l‘accertamento, il citato art. 22 ha modificato l‘art. 38 del D.P.R. 600/73 rubricato ―Rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche‖ relativamente alla determinazione sintetica del reddito complessivo del contribuente agli effetti dell‘IRPEF. Il nuovo testo del quarto comma dell‘art. 38 consente agli Uffici di determinare il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo di imposta, ed il successivo quinto comma prevede altresì che la determinazione sintetica possa essere fondata ―sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva individuato mediante l‘analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell‘area territoriale di appartenenza, con decreto del Ministero dell‘Economia e delle Finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale con periodicità biennale‖. Tale decreto – che ovviamente sostituirà quelli emessi in virtù dei precedenti testi dell‘art. 38 – non è stato ancora pubblicato, e si sa soltanto che la casistica sarà ben più ampia di quella sin qui prevista, e dovrebbe prevedere, oltre al possesso di case, auto, aerei, imbarcazioni e quant‘altro, anche la NUOVO REDDITOMETRO E ALTRI ACCERTAMENTI PRESUNTIVI: ALTERNATIVITÀ O CONCORRENZA? frequenza di circoli qualificati e di scuole private, viaggi all‘estero ed altre manifestazioni di agiatezza. Fermo ovviamente restando che una definitiva valutazione del nuovo redditometro potrà essere espressa solo dopo la pubblicazione del previsto decreto ministeriale, sin d‘ora si rileva che le differenze, rispetto al precedente testo dell‘art. 38, non sono di poco conto. Il precedente testo dell‘art. 38 prevedeva la facoltà dell‘Ufficio di accertare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in base agli elementi indicativi di capacità contributiva individuati nel Decreto Ministeriale. Ed aggiungeva: ―Qualora l‘Ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell‘anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti‖. Il D.M. 10.9.1992, dopo aver indicato le modalità di quantificazione dei valori desumibili dalla disponibilità dei beni e servizi analiticamente indicati nello stesso Decreto, al comma 7 dell‘art. 3 disponeva: ―A tale valore devono essere aggiunti l‘eventuale quota relativa ad incrementi patrimoniali, determinata ai sensi del quinto comma dell‘art. 38 del D.P.R. 29.9.1973 n. 600, anche con riguardo all‘acquisto dei beni di cui al comma 1‖. Era, quindi, assolutamente pacifico che l‘imponibile sinteticamente determinato era costituito dalla somma dei valori risultanti dal redditometro e dell‘importo di 1/5 degli investimenti patrimoniali effettuati nel quinquennio. Il nuovo testo dell‘art. 38, invece, sembra tener distinti il reddito complessivo del contribuente determinato ―sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo di imposta‖, di cui al quarto comma e ―la determinazione sintetica fondata sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva‖ individuati dall‘emanando Decreto Ministeriale, previsto dal comma 5. Da un canto, quindi, gli investimenti patrimoniali sono sostituiti dalle spese di qualsiasi genere sostenute dal contribuente, e d‘altro canto la loro somma determina, per cassa, l‘imponibile nell‘anno in cui sono state sostituite. Tale imponibile sembrerebbe non sommabile alle risultanze del vero e proprio redditometro, bensì alternativo a questo, nel senso che l‘Ufficio può sia determinare il reddito in base al contenuto delle spese sia determinarlo in base al vero e proprio redditometro, ovviamente utilizzando il maggiore dei due risultati. Tale alternatività è già stata riconosciuta da qualificati esponenti dell‘Agenzia delle Entrate, anche perché l‘eventuale cumulo potrebbe comportare autentiche duplicazioni. E comunque auspicabile che di tale alternatività venga dato espresso atto nell‘atteso Decreto Ministeriale. Altra novità è costituita dalla circostanza che, mentre l‘accertamento sintetico previsto dal precedente testo dell‘art. 38 determinava il reddito complessivo netto del contribuente - tanto che il settimo comma dell‘art. 38 espressamente prevedeva che ―dal reddito complessivo determinato 60 NUOVO REDDITOMETRO E ALTRI ACCERTAMENTI PRESUNTIVI: ALTERNATIVITÀ O CONCORRENZA? sinteticamente non sono deducibili gli oneri di cui all‘art. 10 del decreto indicato nel secondo comma‖ (D.P.R. 29.9.1973 n. 597, si veda oggi l‘art. 6 D.P.R. n. 317/1986) - il nuovo redditometro previsto dall‘art. 22 del D.L. n. 78/2010 determina il reddito lordo, come espressamente risulta dal nuovo comma 7 dell‘art. 38 secondo cui: ―Dal reddito complessivo determinato sinteticamente sono deducibili i soli oneri previsti dall‘art. 10 del D.P.R. 22.12.1986 n. 917; competono, inoltre, per gli oneri sostenuti dal contribuente, le detrazioni dall‘imposta lorda previste dalla legge‖. Sono invece peggiorate le condizioni di applicabilità dell‘accertamento sintetico. Il vecchio testo dell‘art. 38 prevedeva infatti l‘applicabilità del redditometro ―quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per 1/4 da quello dichiarato‖ e aggiungeva che la determinazione induttiva poteva essere effettuata ―quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta‖. Il nuovo testo del sesto comma dell‘art. 38 del D.P.R. 600 consente, invece, la determinazione sintetica del reddito complessivo ―a condizione che il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno 1/5 (e non più 1/4 – n.d.r.) quello dichiarato‖. E‘ inoltre venuta meno la condizione della non congruità per almeno due periodi di imposta. E‘ quindi sufficiente la incongruità per un solo esercizio perché scatti l‘accertamento induttivo. 3 La natura della presunzione e l‟onere della prova Da parte di alcuni autori è sorto il dubbio se le spese di qualsiasi genere sostenute dal contribuente, ovvero gli elementi indicativi di capacità contributiva che verranno evidenziati dal Decreto Ministeriale, costituiscano presunzioni semplici ovvero presunzioni legali. Ed a conforto di quest‘ultima soluzione adducono l‘orientamento assunto dalla Suprema Corte nei confronti degli studi di settore qualificati appunto come presunzioni semplici ancorché qualificate. Personalmente ritengo che il legislatore abbia inteso le presunzioni che giustificano il redditometro quali presunzioni legali e mi indicano a tali conclusioni due considerazioni. Il terzo comma del più volte citato art. 38, che non ha subito modifiche, consente all‘Ufficio di procedere ad accertamenti ―anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi precise e concordanti‖. Il nuovo quarto comma dell‘art. 38, come già abbiamo visto, dispone che ―L‘Ufficio indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall‘art. 39, può sempre determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo di imposta, salva la prova che il relativo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo di imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente escluse dalla formazione della base 61 NUOVO REDDITOMETRO E ALTRI ACCERTAMENTI PRESUNTIVI: ALTERNATIVITÀ O CONCORRENZA? imponibile‖. E il successivo quinto comma prevede a carico del contribuente la stessa prova contraria di cui al quarto comma, nell‘ipotesi di determinazione sintetica del reddito in base al redditometro. Se, quindi, è il contribuente a dover fornire la prova contraria avverso le presunzioni desunte dalle spese sostenute o dagli elementi indicativi di capacità contributiva, significa che le presunzioni stesse costituiscono presunzioni legali che possono essere vinte solo con la dimostrazione che i relativi costi sono stati sostenuti con finanziamenti diversi dai redditi imponibili posseduti nello stesso periodo di imposta. A tali effetti la formulazione adottata dal legislatore appare quanto meno imprecisa poichè, come rilevato, fa ―salva la prova che il relativo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo di imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte o comunque legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile‖. Ora, appare addirittura evidente che il termine ―redditi‖ deve essere inteso come ―proventi‖ ovvero ―disponibilità‖ che possono non avere alcuna natura reddituale. Si pensi, per non fare che degli esempi, alla possibilità che la spesa sia stata effettuata utilizzando risparmi bancari che il contribuente ha accumulato in precedenti esercizi, che sia stata sostenuta con donazioni, lasciti, o vincite che il contribuente abbia conseguito nell‘esercizio stesso o in precedenza, e che non costituiscono certo ―redditi‖. E‘ poi appena il caso di precisare che il riferimento ai redditi ―diversi‖ da quelli posseduti nello stesso periodo di imposta non significa certo che le spese sostenute con detti redditi ordinari legittimino comunque l‘accertamento induttivo. Il già citato sesto comma dell‘art. 38 precisa, infatti, che ―la determinazione del reddito complessivo di cui ai precedenti commi è ammessa a condizione che il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno 1/5 quello dichiarato‖. Conseguentemente, sino a concorrenza del 120% del reddito dichiarato dal contribuente, le spese sostenute e gli altri elementi indicativi di capacità contributiva non necessitano di alcuna prova contraria. Fermo quanto precede, in ordine alle prove che il contribuente deve fornire per giustificare spese o altri elementi indicativi di capacità contributiva eccedenti il reddito dichiarato, va rilevato che il più volte citato settimo comma dell‘art. 38 espressamente dispone che: ―l‘Ufficio che procede alla determinazione sintetica del reddito complessivo ha l‘obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell‘accertamento e, successivamente, di avviare il procedimento di accertamento con adesione ai sensi dell‘art. 5 del Decreto legislativo 19 giugno 1997 n. 218‖. Ciò significa che, in mancanza di preventivo contraddittorio con il contribuente – e salva, ovviamente, l‘ipotesi di inottemperanza di questi agli 62 NUOVO REDDITOMETRO E ALTRI ACCERTAMENTI PRESUNTIVI: ALTERNATIVITÀ O CONCORRENZA? inviti disposti dall‘Ufficio – l‘accertamento sintetico non può essere compiuto e, se compiuto, risulta illegittimo e quindi nullo. Naturalmente, sia in sede di contraddittorio, sia di invito all‘accertamento con adesione, il contribuente può rifiutare la definizione impugnando l‘accertamento dinanzi la competente Commissione Tributaria Provinciale. 4 Rapporto tra accertamento sintetico ed altri accertamenti Come è ben noto, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e successive modificazioni, ed in particolare il titolo IV ―Accertamento e controlli‖ prevedono e disciplinano varie ipotesi di attività e di interventi da parte delle Agenzie delle Entrate al fine di verificare la congruità delle dichiarazioni presentate dal contribuente e l‘accertamento dei redditi omessi. Le Agenzie delle Entrate provvedono, quindi, dapprima al controllo formale delle dichiarazioni ed al recupero delle imposte dichiarate ma non versate, alla correzione di errori materiali, alla riduzione delle detrazioni di imposta o delle deduzioni dal reddito dichiarati e alla liquidazione delle maggiori imposte dovute. Successivamente l‘Agenzia delle Entrate procede – o può procedere – all‘accertamento dei redditi non dichiarati e tale accertamento può essere parziale, se riguarda solo taluni cespiti o talune categorie di reddito, o complessivo quando riguarda la totalità dei redditi posseduti dal contribuente. Gli accertamenti, inoltre, possono essere analitici, se riguardano singoli dati risultanti dalle dichiarazioni o dalla contabilità del contribuente, ovvero sintetici-presuntivi, se concernono l‘intero reddito e, tra questi, ricordiamo, oltre al redditometro di cui ci siamo sin qui occupati, gli accertamenti in base agli studi di settore, gli accertamenti su parametri, gli accertamenti desunti dalle risultanze bancarie. Da alcuni si ritiene che il nuovo redditometro sia destinato ad assorbire gli altri tipi di accertamento, ed in particolare gli accertamenti presuntivi quali quelli basati sugli studi di settore. Tale previsione, peraltro, non ci trova consenzienti. Innanzitutto il redditometro concerne solo ed esclusivamente le persone fisiche e non anche le persone giuridiche. Lo stesso art. 38 del D.P.R. 600, dopo le modifiche apportate dal D.L. n. 78/2010, fa espressamente salve le rettifiche delle dichiarazioni presentate dalle persone fisiche e dei redditi determinati in base alle scritture contabili. E l‘accertamento sintetico, che costituisce il nuovo redditometro o ―spesometro‖ è soltanto una ulteriore possibilità prevista per gli Uffici. Il nuovo redditometro, inoltre, non concerne l‘Iva, per il cui accertamento sono previste, oltre al controllo analitico delle operazioni, le risultanze degli studi di settore. Si aggiunga che, mentre la congruità della dichiarazione rispetto agli studi di settore può essere fatta direttamente a tavolino, l‘accertamento induttivo di 63 NUOVO REDDITOMETRO E ALTRI ACCERTAMENTI PRESUNTIVI: ALTERNATIVITÀ O CONCORRENZA? cui al redditometro necessita di specifiche indagini onde accertare la tipologia e l‘entità delle spese sostenute, ovvero la sussistenza di elementi indicativi di capacità contributiva. Ferma, quindi, la coesistenza dei vari tipi di accertamento, resta da vedere se nei confronti del singolo contribuente sia possibile procedere, per la medesima annualità, a vari tipi di accertamento. Certamente l‘eventuale notifica di un accertamento parziale non impedisce all‘Ufficio di procedere successivamente ad accertamento complessivo. Se quindi un contribuente dichiara un imponibile 100, di cui 50 costituiti da redditi di lavoro autonomo e l‘Ufficio, in base agli studi di settore, eleva tale reddito di lavoro autonomo a 80 e, quindi, il reddito complessivo a 130, l‘Ufficio potrà poi procedere ad un accertamento sintetico del reddito complessivo, sempre che in base al redditometro il risultato complessivo ecceda i 130 già accertati e, comunque, solo per l‘eccedenza rispetto a detti 130. E‘ invece assai dubbio se, una volta effettuato l‘accertamento sintetico complessivo, e ,quindi, quantificato il reddito totale in una determinata cifra, possa successivamente l‘Ufficio accertare tramite gli studi di settore il solo reddito di lavoro autonomo già ricompreso nel reddito sintetico. È peraltro senz‘altro possibile – ed è stato già effettuato da alcune Agenzie delle Entrate – procedere contemporaneamente ad accertamento sintetico e ad accertamento in base agli studi di settore, dopo che la Cassazione ha ritenuto questi ultimi frutto di presunzioni semplici, e quindi da rafforzare con altre presunzioni o prove. Con il doppio accertamento l‘Ufficio non soltanto rafforza le proprie conclusioni ma è in grado di accertare un maggior imponibile agli effetti sia del reddito complessivo soggetto ad IRPEF sia del volume d‘affari relativo all‘IVA. 5 La riscossione degli imponibili accertati Come già anticipato agli inizi del presente lavoro, il chilometrico articolo 29 del D.L. n. 78/2010 sostanzialmente modifica le modalità di riscossione delle imposte e delle sanzioni, attribuendo agli avvisi di accertamento la natura di titoli esecutivi, e quindi abolendo la iscrizione a ruolo delle imposte e le relative cartelle esattoriali. Dispone infatti il citato art. 29 del D.L. n. 78 modificato dalla Legge 125 del 2010 che, a partire dal 1° luglio 2011, ―l‘avviso di accertamento emesso dall‘Agenzia delle Entrate ai fini delle imposte sui redditi e dell‘imposta sul valore aggiunto e del connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni, devono contenere anche l‘intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all‘obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso ed a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dall‘art. 15 del D.P.R. 29.9.73 n. 602. L‘intimazione ad adempiere al pagamento è altresì contenuta nei successivi 64 NUOVO REDDITOMETRO E ALTRI ACCERTAMENTI PRESUNTIVI: ALTERNATIVITÀ O CONCORRENZA? atti da notificare al contribuente, anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento, in tutti i casi in cui siano ridimensionati gli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento e ai fini delle imposte sui redditi e dell‘imposta sul valore aggiunto ed ai connessi provvedimenti di irrogazione delle sanzioni, anche ai sensi dell‘art. 8, comma 3bis, del D.L. 19.6.97 n. 218, dell‘art. 68 del D.L. 31.12.92 n. 546 e dell‘art. 19 del D.L. 18.12.97 n. 472. In tali ultimi casi il versamento delle somme dovute deve avvenire entro sessanta giorni dal ricevimento della raccomandata‖. Aggiunge l‘articolo in esame che gli atti sopraindicati ―divengono esecutivi decorsi i sessanta giorni dalla notifica e devono indicare espressamente l‘avvertimento che, decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme richieste, in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo, è affidata in carico agli Agenti della Riscossione anche ai fini della esecuzione forzata, con le modalità determinate con provvedimento del Direttore dell‘Agenzia delle Entrate, di concerto con il Ragioniere Generale dello Stato‖. In base al titolo esecutivo costituito dall‘avviso di accertamento o dai successivi atti di liquidazione gli Agenti della Riscossione, senza la preventiva notifica della cartella di pagamento, inviano l‘intimazione ad adempiere e, trascorsi sessanta giorni, provvedono alla espropriazione forzata con i poteri, le facoltà e le modalità previste dalle disposizioni che disciplinano le riscossioni a mezzo ruolo. Tralasciando altre disposizioni, di cui si occuperanno specificatamente gli altri relatori, mi limito a ricordare l‘inasprimento delle sanzioni penali nell‘ipotesi di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, già previste dall‘art. 11 del D.L.vo 10.3.2000 n. 74. Rilevo inoltre che le modifiche apportate dall‘art. 29 non modificano gli obblighi di pagamento delle imposte accertate, finora vigenti, ma ne accelerano la riscossione anche coattiva. Come è noto, infatti, fino ad ora l‘Ufficio, una volta notificato l‘accertamento, attendeva che questo fosse divenuto definitivo e quindi procedeva alla iscrizione a ruolo delle imposte dovute. In caso di impugnazione dell‘accertamento, l‘Ufficio poteva procedere alla iscrizione a ruolo del 50% dell‘imposta accertata e alla trasmissione del ruolo all‘Agente della Riscossione, il quale provvedeva alla redazione e alla notifica della cartella esattoriale, impugnabile da parte del contribuente. Con la nuova normativa è lo stesso avviso di accertamento che, trascorsi i sessanta giorni dalla notificazione, viene trasmesso agli Agenti della Riscossione che possono provvedere alla riscossione, anche tramite esecuzione forzata, dell‘intero importo o del 50% se il contribuente ha proposto ricorso. La riduzione dei tempi appare evidente. A tutela del contribuente non sono previste norme particolari. Viene confermata la possibilità di richiedere all‘Agente della Riscossione la dilazione del pagamento prevista dall‘art. 19 del D.P.R. 29.9.1973, n. 602 65 NUOVO REDDITOMETRO E ALTRI ACCERTAMENTI PRESUNTIVI: ALTERNATIVITÀ O CONCORRENZA? ovvero chiedere all‘Agenzia delle Entrate la sospensione della riscossione sino alla sentenza della Commissione Provinciale tempestivamente adita, ai sensi dell‘art. 39 del già citato D.P.R. n. 602/73. Resta altresì ferma la facoltà del contribuente di richiedere la sospensione dell‘esecuzione dell‘atto impugnato ai sensi dell‘art. 47 del D.L.vo n. 546/1992. Ed a questi effetti, tenuto conto del tempo normalmente richiesto dalle Commissioni per i provvedimenti di sospensione, e del fatto che trascorsi sessanta giorni dalla notifica dell‘accertamento e altrettanti dall‘avviso di intimazione, l‘Agente della Riscossione provvede in esecutivis, appare opportuno anticipare al massimo la proposizione del ricorso e contestuale istanza di sospensione, senza attendere l‘ultimo giorno. Naturalmente quanto precede vale per tutti i tipi di accertamento, ivi compresi, quindi, gli accertamenti presuntivi. Claudio Berliri 66 Dott.ssa Giulia Boletto Tutela del contribuente nella fase di esecuzione forzata in caso di omessa o irregolare notifica del titolo esecutivo L‘art. 57, comma 1, del DPR 602 del 1973 dispone che non sono ammesse le opposizioni regolate dall‘art. 615 del codice di procedura civile, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni, e le opposizioni regolate dall‘art. 617 del codice di procedura civile relative alla regolarità formale e alla notificazione del titolo esecutivo. La limitata esperibilità delle opposizioni esecutive si giustifica alla luce dell‘impugnazione del titolo esecutivo e del precetto (adesso concentrati nell‘ avviso di accertamento) innanzi alle Commissioni tributarie, ai sensi dell‘art. 19 del D.Lgs. 546 del 1992. Il legislatore, in buona sostanza, ha ritenuto che il diritto di difesa del contribuente/esecutato sia perfettamente tutelato in forza di questo sistema binario che prevede il ricorso sia alle commissioni tributarie sia, in alcune limitate ipotesi, innanzi al giudice ordinario: nella 1 relazione al D.Lgs. 46/99 - decreto cui si deve, tra l‘altro, la riforma della materia delle opposizioni all‘esecuzione esattoriale - si legge, infatti, che l‘impugnazione innanzi alle Commissioni tributarie rende inutile la previsione di un‘opposizione ex art. 615 c.p.c. o ex art. 617 c.p.c. Gli strumenti processuali a tutela del contribuente/esecutato, tuttavia, non sembrano in grado di realizzare una piena ed effettiva tutela giurisdizionale; la dottrina si è interrogata, infatti, in ordine alla tutela esperibile a fronte di un atto dell‘espropriazione forzata, qual è l‘atto di pignoramento, che non sia stato preceduto dalla notifica del titolo esecutivo, oppure che non abbia ragione di esistere in quanto il diritto di credito dell‘amministrazione è stato annullato oppure completamente soddisfatto; in tali ipotesi il contribuente/esecutato non solo non potrebbe agire dinanzi alle Commissioni tributarie, mancando il presupposto necessario dell‘azione, e cioè la notifica di uno degli atti di cui all‘art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, ma, stando a quanto dispone l‘art. 57 del DPR n. 602 del 1973, non potrebbe neppure proporre opposizione all‘esecuzione dinanzi al giudice ordinario per far valere la mancanza del diritto di procedere ad esecuzione da parte dell‘amministrazione, in quanto tale azione sarebbe proponibile solo nei casi in cui si contestasse la pignorabilità dei beni. 1 In Boll. Trib., 1999, 485. TUTELA DEL CONTRIBUENTE NELLA FASE DI ESECUZIONE FORZATA IN CASO DI OMESSA O IRREGOLARE NOTIFICA DEL TITOLO ESECUTIVO 2 A fronte di questo vuoto di tutela alcuni autori hanno prospettato un‘unica possibile soluzione, consistente nell‘adempimento, al quale il contribuente potrebbe far seguire un‘istanza di restituzione ed un eventuale successivo ricorso avverso il diniego espresso o tacito, con un meccanismo che somiglia molto al solve et repete. 3 Altri , viceversa, hanno ritenuto che la disciplina dei mezzi processuali a disposizione del contribuente durante la riscossione coattiva presenti profili di illegittimità costituzionale con riguardo al diritto (costituzionalmente garantito) ad una tutela piena ed effettiva: è pur vero, dicono, che il contribuente può esperire, ad esecuzione esaurita, un‘autonoma azione diretta ad ottenere il risarcimento del danno da esecuzione ingiusta (art. 59 DPR n. 602 cit.), ma la tutela risarcitoria non offre la piena realizzazione del diritto del contribuente a non subire un‘esecuzione ingiusta al pari di una tutela in forma specifica (qual è l‘opposizione all‘esecuzione), basti pensare al fatto che il debitore dovrebbe prima subire l‘esecuzione e poi agire per ottenere il risarcimento del danno, con un meccanismo che, di nuovo, richiama il solve et repete. Da questo punto di vista, allora, l‘art. 57 presenterebbe profili di incostituzionalità in quanto, escludendo il rimedio dell‘opposizione all‘esecuzione ex art. 615 c.pc. per far valere eventi dai quali deriva l‘inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata diversi e sopravvenuti da quelli deducibili in sede ordinaria, importa una conformazione del diritto sostanziale dell‘esecutato diversa e deteriore rispetto a quella che risulterebbe dall‘esperimento del rimedio escluso, importa, in altri termini, una compressione delle forme di tutela riconosciute al contribuente/esecutato del tutto ingiustificata. 4 Un‘altra parte della dottrina , infine, ha fornito una lettura costituzionalmente orientata del combinato disposto degli artt. 2 e 19 del D.Lgs. n. 546/92 e art. 57 del DPR n. 602/73, riconoscendo al contribuente la possibilità di contestare l‘esistenza del diritto processuale di agire in esecuzione forzata dinanzi al giudice tributario attraverso l‘impugnazione del primo atto dell‘esecuzione forzata (quand‘anche esso sia il pignoramento); in caso contrario, infatti, si avrebbe un‘ingiustificata disparità tra quei contribuenti nei confronti dei quali la fase di recupero coattivo del credito tributario inizia con un atto autonomamente impugnabile dinanzi alle Commissioni tributarie 2 C. GLENDI, Abolizione dell‘avviso di mora: si torna al solve et repete, in Corr. Trib., 1999, 2833 3 A. SCALA, La tutela del contribuente nella riscossione coattiva, Rass. Trib., 2008, 1299. 4 Cfr. A. MERCATALI, La riscossione delle imposte. Nuove norme e nuovi problemi, in Boll. Trib., 2000, 14; S. LA ROSA, La tutela del contribuente nella fase di riscossione, in Rass. Trib., 2001, 1178; F. RANDAZZO, Le problematiche di giurisdizione nei casi di riscossione tributaria non preceduta da avviso di mora, in Riv. Dir. trib., 2003, II, 914. 68 TUTELA DEL CONTRIBUENTE NELLA FASE DI ESECUZIONE FORZATA IN CASO DI OMESSA O IRREGOLARE NOTIFICA DEL TITOLO ESECUTIVO (atto che può avere natura cautelare come l‘ipoteca o il fermo dei beni mobili registrati, oppure rappresentare una nuova intimazione al pagamento come l‘avviso di cui all‘art. 50 del D.lgs. n. 602 del 1973) e coloro nei confronti dei quali l‘agente della riscossione procede subito, appunto, con un pignoramento. Sono anch‘io dell‘avviso che dal combinato disposto delle norme sopra citate (artt. 2 e 19 D.Lgs. 546/92 e 57 DPR n. 602/73), emerga, inequivocabilmente, la volontà del legislatore di attribuire alle Commissioni tributarie la giurisdizione in merito alle controversie aventi ad oggetto la fondatezza della pretesa, e l‘esistenza del diritto processuale di agire in via di esecuzione forzata, e al giudice ordinario la giurisdizione in merito alle controversie aventi ad oggetto la legittimità degli atti del procedimento di riscossione coattiva successivi alla cartella di pagamento (o all‘avviso di mora). Ciò trova conferma, a mio avviso, anche nel fatto che il legislatore ha ammesso (ai sensi dell‘art. 57 cit.) la proponibilità dinanzi al giudice ordinario dell‘unica forma di opposizione all‘esecuzione (ex art. 615 del c.p.c.) che riguarda non l‘an ma il quomodo dell‘esecuzione: cioè l‘opposizione attraverso la quale è dato contestare la pignorabilità dei beni. Anche per l‘ipotesi di pignoramento non preceduto dalla notifica del titolo esecutivo, mi pare che il legislatore, avendo previsto, come dicevamo, un sistema di tutela binario, nell‘escludere espressamente l‘azione dinanzi al giudice ordinario per far valere vizi di notificazione del titolo esecutivo, abbia inteso ricomprendere tali questioni tra quelle eccepibili dinanzi al 5 giudice tributario . Quanto all‘effettiva proponibilità dell‘azione dinanzi al giudice tributario, mi pare che, ormai, immaginare l‘impugnazione del pignoramento, cioè di un atto diverso da quelli contemplati all‘art. 19 del D.Lgs. n. 546/92 non sia più così ―avveniristico‖: non si può negare, infatti, che si stia andando nella direzione di un totale superamento del binomio giurisdizione/atto 5 Come rileva anche F. RANDAZZO, Le problematiche di giurisdizione nei casi di riscossione tributaria non preceduta da avviso di mora, cit., il fatto che il legislatore tributario abbia escluso la proponibilità dell‘ordinaria opposizione agli atti esecutivi, regolata dell‘art. 617 del c.p.c., per tutti i casi riguardanti la notifica del titolo esecutivo, ―indica chiaramente‖ che il legislatore ha dato per scontato l‘esperibilità del ricorso avanti il giudice tributario anche in assenza di notificazione dell‘atto impugnabile (cartella di pagamento), altrimenti ―la norma avrebbe l‘effetto di impedire qualunque tutela giurisdizionale proprio nel caso in cui massimo è il disvalore (mancata notificazione del titolo esecutivo) avverso cui pongono rimedio le opposizioni agli atti esecutivi‖. Contra, U. PERRUCCI, Riscossione più severa per il contribuente, in Boll. Trib., 1999, 453, secondo il quale, in questo caso, sarebbe proponibile l‘opposizione al giudice ordinario ai sensi dell‘art. 617 del c.p.c., attraverso la quale è possibile contestare la conformità dell‘atto dell‘esecuzione alle norme che lo disciplinano. Così anche G. MONTEDORO, La nuova tutela giurisdizionale dei diritti nella riforma della riscossione, in Il Fisco, 2001, 8493. 69 TUTELA DEL CONTRIBUENTE NELLA FASE DI ESECUZIONE FORZATA IN CASO DI OMESSA O IRREGOLARE NOTIFICA DEL TITOLO ESECUTIVO impugnabile. La giurisprudenza di legittimità tende, da qualche anno, a sostituire tale binomio con l‘interesse ad agire ex art. 100 c.p.c.: in sostanza, data la natura tributaria della controversia, si ammette la proposizione dell‘azione dinanzi al giudice tributario ogniqualvolta sussista un interesse ad 6 agire del ricorrente . Volendo essere più rigorosi e rispettosi del dato testuale delle disposizioni, occorre dire, invece, che l‘attuale assetto normativo pare essere chiuso rispetto all‘ipotesi di proposizione dell‘azione di opposizione all‘esecuzione dinanzi al giudice tributario attraverso l‘impugnazione di un atto che non rientra tra quelli impugnabili, neppure alla luce di un‘interpretazione 7 estensiva dell‘art. 19 del D. Lgs. 546/92 . 6 Emblematica in tal senso è la sentenza della Cass. n. 16776 del 2005 nella quale si dice che il giudice tributario può conoscere del diniego di autotutela in quanto la devoluzione al giudice tributario di tutte le controversie in materia di tributi ha comportato che la giurisdizione tributaria è divenuta nell’ambito della materia tributaria una giurisdizione a carattere generale, e di conseguenza essa si estende anche alle controversie relative agli atti di esercizio dell’autotutela tributaria, in quanto comunque incidenti sul rapporto. 7 E‘ noto che a seguito dell‘unificazione della giurisdizione tributaria 7, la giurisprudenza di legittimità ha affermato, con orientamento ormai consolidato, che l‘elenco di atti impugnabili di cui all‘art. 19, D.Lgs. 546/1992 non debba ritenersi tassativo e di stretta interpretazione nominalistica, ma, al contrario, che spetti al giudice tributario, cui è devoluta l‘impugnazione circa la legittimità dell‘atto notificato al contribuente, ―valutarne il contenuto ―sostanzialmente impositivo‖, inteso quale attitudine a rappresentare e rendere conoscibile - negli elementi essenziali e sufficienti per adire la tutela amministrativa o giudiziale - la pretesa tributaria‖ (Corte di Cassazione, sez. trib., Sent. n. 21045 dell‘8 ottobre 2007). Si è data, cioè, un‘interpretazione estensiva della norma, volta a privilegiare i profili funzionali e contenutistici dell‘atto, rispetto al nomen, così da riconoscere l‘interesse ad agire del contribuente in presenza di atti che siano sostanzialmente espressivi della pretesa tributaria. Tale interpretazione, tuttavia, ha sempre preso a riferimento atti che precedono il provvedimento con il quale, di regola, viene compiutamente manifestata la pretesa impositiva e non atti che seguono ad esso (come il pignoramento): è stata ritenuta impugnabile, infatti, la visura catastale tramite la quale una società aveva appreso l‘entità della rendita catastale attribuita a un immobile acquistato da un fallimento (Corte Cass., sez. trib., sent. n. 27385 del 18 novembre 2008 (ud. del 14 ottobre 2008), il preavviso di fermo (Corte Cass., Ss. Uu., Sent. n. 11087 del 7 maggio 2010 (ud. del 7 maggio 2010) e, infine, la visura dei ruoli pendenti presso l‘agente della riscossione (Corte Cass., sez. trib., ord 15946 del 6 luglio 2010). 70 TUTELA DEL CONTRIBUENTE NELLA FASE DI ESECUZIONE FORZATA IN CASO DI OMESSA O IRREGOLARE NOTIFICA DEL TITOLO ESECUTIVO Si potrebbe immaginare, tutt‘al più, che l‘opposizione all‘esecuzione per mancata notifica del titolo esecutivo possa essere instaurata dinanzi alle Commissioni tributarie proprio attraverso l‘impugnazione del titolo esecutivo. Il titolo esecutivo (avviso di accertamento o ruolo) è, infatti, l‘unico atto impugnabile dinanzi alle Commissioni tributarie, ai sensi dell‘art. 19 del D.lgs. n. 546 del 1992, per vizi propri, vizi tra i quali non può non rientrare la mancata notifica. Il verbale di pignoramento diventerebbe, allora, il mezzo attraverso il quale è possibile prendere conoscenza del fatto che il titolo esecutivo è stato adottato, ma non notificato: dalla notifica del verbale 8 di pignoramento, quindi, dovrebbero decorrere i termini per l‘impugnazione. Quanto detto si porrebbe in linea, peraltro, con il principio generale secondo il quale l‘atto recettizio irritualmente notificato è inefficace e non può essere impugnato dato che non reca una lesione attuale e concreta all‘interesse del soggetto, ma che gli atti esecutivi di un atto inefficace sono illegittimi e, come tali, possono ex se, essere impugnati; tali atti, peraltro, facendo sorgere un interesse attuale nel ricorrente, segnano anche il momento dal quale decorre il termine per l‘impugnativa dell‘atto inefficace eseguito, per motivi 9 che direttamente lo concernono . 8 Ricordo che le SS.UU. nella sentenza n. 15563 del 6 novembre 2002, in Riv. Dir. trib., 2003, II, 914, con nota di F. RANDAZZO, Le problematiche di giurisdizione nei casi di riscossione tributaria non preceduta da avviso di mora; in Rass. Trib., 2002, 1378, con nota di F. CATARZI, Una sentenza in linea coi principi generali ed i precedenti, e con nota di G. PORCARO, La fase esecutiva tra giurisdizione ordinaria e tributaria; in Dialoghi di diritto tributario, 2003, 5, con nota di R. LUPI, Le diverse reazioni al pignoramento sine titulo tra giurisdizione ordinaria e tributaria, e con nota di F. TESAURO, La giurisdizione del giudice ordinario nelle liti esecutive fiscali) hanno stabilito, viceversa, che l‘opposizione all‘atto di pignoramento ―inatteso‖ (in quanto non preceduto da altro atto autonomamente impugnabile) deve essere attribuita al giudice ordinario: questo perché, secondo la Cassazione, la domanda del ricorrente pone in dubbio non la fondatezza della pretesa, ma il diritto del Fisco di agire nei suoi confronti e si qualifica, quindi, come opposizione all‘esecuzione ai sensi dell‘art. 615 del c.p.c., di competenza del giudice ordinario. L‘art. 2 del D.lgs. n. 546 del 1992, dice la Cassazione, si limita a stabilire il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice tributario con riguardo alle controversie aventi ad oggetto il rapporto tributario e le sue componenti accessorie e a quelle relative agli atti dell‘esecuzione forzata tributaria, ma niente prevede per le cause che investono il diritto di procedere all‘esecuzione: ―il silenzio di detto art. 2 sull‘opposizione ex art. 615 c.p.c.‖, conclude il supremo collegio, ―è di per sé sufficiente a determinare la giurisdizione del giudice ordinario, traducendosi nella mancanza di deroga ai comuni criteri di collegamento‖. Tale decisione non mi pare condivisibile. Se (come suggeriscono le Sezioni unite della Cassazione), l‘esecutato avesse impugnato l‘atto di pignoramento dinanzi al giudice ordinario per contestare l‘esistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata, il giudice ordinario avrebbe poi dovuto dichiarare inammissibile la domanda, che non si riferiva a questioni di pignorabilità dei beni. 9 Cfr. N. DANIELE, L‘atto amministrativo recettizio, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1953, 826. 71 TUTELA DEL CONTRIBUENTE NELLA FASE DI ESECUZIONE FORZATA IN CASO DI OMESSA O IRREGOLARE NOTIFICA DEL TITOLO ESECUTIVO La possibilità di impugnare un atto che non sia stato notificato pare essere espressamente contemplata, tra l‘altro, dalla legge processual - tributaria: l‘art. 22 del D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in tema di costituzione in giudizio del ricorrente, al comma 4, infatti, subordina il deposito dell‘atto impugnato all‘avvenuta notifica, disponendo che ―unitamente al ricorso ed ai documenti previsti al comma 1, il ricorrente deposita il proprio fascicolo, con l‘originale o la fotocopia dell‘atto impugnato, se notificato [corsivo nostro], ed i documenti che produce, in originale o fotocopia‖. E‘ evidente, tuttavia, che la tutela che si verrebbe a realizzare in questo modo non è esattamente uguale a quella che sarebbe riconosciuta al contribuente se la riscossione coattiva fosse iniziata con uno degli atti autonomamente impugnabili (ad es. avviso di mora), in quanto, in quest‘ultimo caso egli avrebbe avuto la possibilità di scegliere se impugnare solo l‘atto successivo, contestando il vizio di illegittimità del procedimento di formazione, oppure proporre un ricorso cumulativo estendendo le proprie contestazioni anche all‘atto precedente (ai sensi dell‘art. 19, c.3, D. Lgs. 546/92). La tutela prospettata, inoltre, risulterebbe insoddisfacente anche sotto un altro profilo: l‘impugnazione del titolo esecutivo per mancata notifica non avrebbe l‘effetto di sospendere l‘azione esecutiva (già iniziata con il pignoramento), a meno di non ritenere che l‘azione debba essere proposta anche nei confronti dell‘agente della riscossione (che ha proceduto al pignoramento) per evitare che questi, all‘oscuro di tutto, prosegua nell‘esecuzione forzata incorrendo in responsabilità per esecuzione ingiusta (ex art. 59 DPR n. 602/73). La soluzione proposta, infine, non sarebbe attuabile nel caso in cui l‘agente della riscossione abbia proceduto al pignoramento per recuperare un credito che, in realtà, è già stato completamente soddisfatto: per tale ipotesi vi sarebbe davvero un vuoto di tutela, che solo il legislatore può colmare prevedendo espressamente la proponibilità dell‘azione di opposizione all‘esecuzione ex art. 615 c.p.c. per sopravvenuta insussistenza del credito, oppure, meglio ancora, l‘impugnazione del pignoramento dinanzi alle Commissioni tributarie. Giulia Boletto Università di Pisa 72 Prof. Andrea Carinci La concentrazione della riscossione nell‟accertamento (ovvero un nuovo Ircocervo tributario) 1 Tenore e ragioni della novella L‘art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con L. 30 luglio 2010, n. 122, ha introdotto il cd. accertamento esecutivo nelle imposte sui redditi, Irap1 e nell‘imposta sul valore aggiunto. A partire dal 1° luglio 2011, l‘agente della riscossione potrà così procedere alla riscossione coattiva delle somme vantate in forza di un avviso di accertamento, non più in base a ruolo ed in virtù della notifica della cartella di pagamento, ma già e solo in ragione dell‘avvenuta notifica del nuovo avviso di accertamento e del connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni 2. Il sostanziale superamento del ruolo, che la novella mira a realizzare (ancorché solo parziale, almeno in questa prima fase), concentrando in un unico atto ed in un unico procedimento i due momenti della determinazione della pretesa e della sua esazione, porta a compimento l‘auspicata unificazione tra le fasi di accertamento e della riscossione 3. Unificazione, 1 L‘Irap è stata espressamente inclusa nell‘art. 29 solo con il cd. Decreto sviluppo (schema di decreto-legge approvato il 5 maggio 2011), sebbene l‘applicazione del nuovo regime a tale imposta si potesse desumere in via interpretativa alla stregua dell‘art. 25 del D.Lgs. n. 446/97, che rende applicabili le disposizioni in materia di imposte sui redditi all‘accertamento ed alla riscossione dell‘imposta regionale; cfr. Circ. n. 4/E del 15 febbraio 2011; A. CARINCI, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex D.L. n. 78/2010, in Riv. dir. trib., 2011, I, pag. 162. 2 Per un primo commento della novella, A. GIOVANNINI, Riscossione in base al ruolo e agli atti d‘accertamento, in Rass. trib., 2011, pag. 22; A. CARINCI, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex D.L. n. 78/2010, cit., pag. 159; F. TUNDO, L‘avviso di accertamento quale atto della riscossione, in Corr. trib., 2010, pag. 2653; M. BRUZZONE, L‘avviso di accertamento diventa ―titolo esecutivo‖ per imposte sui redditi ed IVA, in Corr. trib., 2010, pag. 2230; C. ATTARDI, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito - Accertamento esecutivo e superamento del ruolo: profili sistematici, in il fisco, 2010, pag. 6323. 3 Così M. BASILAVECCHIA, Il ruolo e la cartella di pagamento: profili evolutivi della riscossione dei tributi, in Dir. prat. trib., 2007, I, p. 148. LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO (OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO) questa, che la recente riforma del sistema della riscossione a mezzo ruolo 4 aveva effettivamente lasciato intravedere quale epilogo naturale 5. Si tratta di una novità di grande rilevanza, sul piano sistematico come su quello strettamente operativo. Sul piano strettamente operativo, in particolare, la previsione secondo cui l‘azione esecutiva – da svolgere con le forme e le modalità dettate dal D.P.R. n. 602/73, come prevede la lett. e) del comma 1 dell‘art. 29 - potrà essere iniziata senza la notifica al contribuente di un atto ulteriore e successivo all‘avviso di accertamento, costringerà ad assegnare a questo momento una centralità per certi versi inedita. Soprattutto nella prospettiva di tutela del contribuente. Non si può trascurare, difatti, che la scelta di sopprimere - per i casi in cui opererà il nuovo avviso - il ruolo e la cartella, si tradurrà nell‘eliminazione di un momento di accesso alla tutela del giudice tributario. Ciò sembra rispondere, indubbiamente, ad un‘esigenza condivisibile, nella misura in cui intende scongiurare pratiche dilatorie, quali l‘impugnazione di cartelle di pagamento relative a debiti tributari dovuti per avvisi di accertamento definitivi. Resta il fatto però che, in questo modo, l‘avviso di accertamento diventerà l‘ultima occasione utile 6 per accedere al processo tributario e alla pienezza di tutela che questo solo può concedere al contribuente. 2 La concentrazione mediante “innesto” ed i profili di criticità della nuova disciplina sull‟accertamento esecutivo Per effetto dell‘art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, l‘avviso di accertamento verrà ad integrare altresì il titolo esecutivo legittimante, di per sé solo, la riscossione coattiva. Si realizza, per questa via, la concentrazione in capo all‘avviso di accertamento delle funzioni di titolo esecutivo e di precetto, affidate ora rispettivamente al ruolo ed alla cartella, in aggiunta a quella già propria di atto impositivo. Con la conseguenza che l‘avviso di accertamento verrà a 4 Riforma introdotta dall‘art. 3, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito con L. 2 dicembre 2005, n. 248, che ha soppresso il sistema di affidamento in concessione del servizio nazionale della riscossione ed ha previsto la costituzione di un‘apposita società, partecipata dall‘Agenzia delle Entrate e dall‘Inps (―Riscossione S.p.a.‖ divenuta in seguito ―Equitalia S.p.a.‖), incaricata della riscossione a mezzo ruolo. Cfr. A. PARLATO, Gestione pubblica e privata nella riscossione dei crediti a mezzo ruolo, in Rass. trib., 2007, pag. 1355; M. C. PARLATO, Brevi note sulla Riscossione S.p.a., in Rass. trib., 2006, pag. 1174; U. PERRUCCI, Fine annunciata per il concessionario della riscossione, in Boll. trib., 2006, pag. 107. 5 G. FALSITTA, Funzione vincolata di riscossione dell‘imposta e intransigibilità del tributo, in A. Comelli – C. Glendi (a cura di), La riscossione dei tributi, Padova, 2010, pag. 7. 6 Ferma la possibilità di impugnare comunque, dinanzi ai giudici tributari, l‘iscrizione di ipoteca, il fermo dei beni mobili registrati, nonché l‘avviso di mora di cui all‘art. 50 del D.P.R. n. 602/73. 74 LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO (OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO) cumulare ben tre distinte funzioni: di atto impositivo, di titolo esecutivo e di precetto. La situazione che si viene a creare non è però una novità assoluta, dal momento che già oggi vanno riconosciute in capo al ruolo, almeno in talune ipotesi, le funzioni, i caratteri e gli effetti, oltre che di titolo esecutivo, di atto impositivo7. Sennonché, proprio l‘esperienza maturata a tale riguardo avrebbe suggerito un approccio differente al problema. L‘obiettivo della novella, di concentrare la riscossione nell‘accertamento, allo scopo di velocizzare e rendere più efficace l‘esazione delle somme vantate 8, è stato conseguito, in effetti, semplicemente innestando, sul ―ceppo‖ dell‘avviso di accertamento, elementi e caratteri ad esso estranei, tipici degli atti – ruolo e cartella – le cui funzioni si volevano spostare sull‘accertamento. Questo per dire che non si è atteso all‘elaborazione di un strumento apposito, con una disciplina dedicata; sennonché - come si vedrà – una simile tecnica ha portato ad un risultato per molti aspetti insoddisfacente, in conseguenza essenzialmente della difficoltà di conciliare elementi normativi tanto disomogenei. Alla stregua di quanto testé osservato, si può così rilevare che, sul piano strettamente formale, la prima novità attiene al contenuto dell‘avviso di accertamento: questo, difatti, dovrà contemplare, altresì, l‘intimazione ad adempiere entro un dato termine, nonché l‘avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata (lett. a) dell‘art. 29 del D.L. n. 78/2010). Si tratta – come noto - di elementi tipici del precetto9, che fino ad ora andavano esposti nella cartella di pagamento (cfr. art. 25 del D.P.R. n. 602/73). Alle successive lett. b) ed e), inoltre, è chiarita la ―nuova‖ natura di titolo esecutivo dell‘avviso di accertamento, tradizionalmente propria del ruolo (cfr. art. 12 del D.P.R. n. 602/73), nonché le condizioni ed i termini per la sua realizzazione. Ebbene - primo aspetto critico - non è chiaro cosa accada nell‘eventualità in cui l‘avviso di accertamento – ovvero gli altri atti di rideterminazione degli importi, cui il regime torna applicabile – risulti carente delle prescritte indicazioni. In particolare, se l‘atto conservi, comunque, l‘idoneità a fungere da titolo di iscrizione a ruolo oppure debba considerarsi semplicemente illegittimo, come lasca intendere l‘impiego della formula ―devono contenere‖. Ed è un problema, questo, che potrebbe assumere particolare rilevanza, nel momento in cui si bisognerà definire esattamente i confini di applicazione del nuovo regime. 7 Sul tema, si consenta di rinviare a A. CARINCI, La riscossione a mezzo ruolo nell‘attuazione del tributo, Pisa, 2008, passim. Più di recente, si veda G. BOLETTO, Il ruolo di riscossione nella dinamica del prelievo delle entrate pubbliche, Milano, 2010, pag. 45 e ss. 8 Cfr. la Relazione di accompagnamento al D.L. n. 78/2010. 9 Cfr. C. A. NICOLETTI, voce Precetto (dir. proc. civ.), in Enc. del dir., 1985, XXXIV, pag. 850. 75 LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO (OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO) I maggiori interrogativi sollevati dalla novella coinvolgono, però, le previsioni normative in concreto elaborate per tradurre, in disciplina operativa, i predetti elementi formali. Questo perché, in ultima analisi, si è finito per riprodurre, con il nuovo avviso di accertamento, soluzioni normative proprie del ruolo e della cartella, trascurando il fatto che queste sono state congegnate, ed appaiono giustificate e coerenti, per atti connotati in modo univoco sul piano funzionale e posti al termine di una sequenza articolata di atti e momenti diversi; non quindi per un atto che, oltre ad assolvere plurime funzioni, resta l‘unico in cui si esaurisce l‘attuazione del tributo. 2.1 La previsione di un termine mobile per la messa in mora del debitore. Come appena evidenziato, il nuovo avviso di accertamento dovrà contenere l‘intimazione ad adempiere entro un dato termine, nonché l‘avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata. Ciò, coerentemente al fatto che il nuovo avviso di accertamento funzionerà altresì da precetto. Il tratto che tuttavia peculiarizza la nuova disciplina, rispetto all‘art. 25 del D.P.R. n. 602/73 sulla cartella di pagamento, è che il termine per l‘adempimento è qui individuato in misura non fissa, ossia nei tradizionali 60 giorni dalla notifica dell‘atto, bensì mediante un rinvio al termine per impugnare l‘avviso medesimo. E quindi, in definitiva, in misura variabile, posto che il termine per impugnare può restare sospeso (per sospensione feriale dei termini ex L. 7 ottobre 1969, n. 742, per istanza di accertamento per adesione ai sensi dell‘art. 6, comma 3, del D.lgs. n. 218/97 o per istanza di utilizzo delle perdite di consolidato, ai sensi dell‘art. 40-bis del D.P.R. n. 600/73)10. La previsione di un termine mobile non costituisce di per sé una novità, potendola ritrovare, ad esempio, nell‘art. 16 del D.lgs. n. 472/97, per l‘atto di contestazione delle violazioni. Nella disciplina qui in commento, tuttavia, ingenera problemi e dubbi interpretativi. Innanzitutto, perché porta ad escludere dall‘applicazione del nuovo regime gli atti non impugnabili, come, ad esempio, l‘atto di definizione dell‘accertamento parziale, di cui all‘art. 5-bis, D.lgs. n. 218/97. Si tratta, difatti, di un atto non impugnabile11, rispetto a cui è peraltro dettato un 10 Conferma, a contrario, che il termine per adempiere è mobile il fatto che, nel caso degli atti successivi all‘accertamento con cui si rideterminano gli importi dovuti (ex art. 68, D.lgs. n. 546/92, art. 19 D.lgs. n. 472/97 ed art. 8, co. 3-bis, D.lgs. n. 218/97), è prescritto espressamente che il versamento delle somme deve avvenire entro sessanta giorni dal ricevimento della raccomandata. 11 Tale soluzione dovrebbe conseguire alla qualificazione di tale atto in termini di species del genus accertamento con adesione (così Circ. n. 55/E del 17 settembre 2008, § 7); cfr. anche M. PIERRO, I nuovi modelli di definizione anticipata del rapporto fiscale (adesione al verbale e adesione all‘invito), in Rass. trib., 2009, pag. 76 LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO (OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO) peculiare ed autonomo termine di adempimento (20 giorni ex art. 8, del medesimo decreto, richiamato dal co. 3 dell‘art. 5-bis). Di conseguenza, non sembrando applicabile il termine mobile dell‘impugnazione, stabilito dal nuovo regime per il pagamento, diviene inevitabile concludere che, in questo caso, si dovrà continuare a riscuotere in base a ruolo (ex art. 5-bis, co. 4). Il carattere mobile del termine per adempiere pone, poi, problemi nel momento in cui il termine medesimo condiziona l‘operatività di altri istituti: la tendenziale indeterminatezza del primo si traduce, difatti, in incertezza sul funzionamento dei secondi. Così, nella disciplina in esame, rimane incerto il momento di affidamento dell‘avviso all‘agente di riscossione, dal momento che questo deve avvenire trenta giorni dopo lo scadere del termine per adempiere (lett. b). Ma poi, e soprattutto, rimane indeterminato il termine per richiedere la rateazione dei tributi, giacché la dilazione del pagamento ex art. 19 del D.P.R. n. 602/73 può essere richiesta solo una volta intervenuto il predetto affidamento (lett. g). La mobilità del termine per adempiere, infine, solleva questioni nei casi in cui lo si deve coordinare con altri termini, congeniati però come fissi. Ciò accade, segnatamente, per il caso di grave pericolo per la riscossione. In tale eventualità, difatti, si prevede un‘accelerazione nella procedura di riscossione attuata, non solo prevedendo, in conformità alla disciplina dell‘art. 15-bis del D.P.R. n. 602/73 in tema di ruolo straordinario, la riscossione integrale (non rateale) dell‘imposta, degli interessi e delle sanzioni, quanto e soprattutto stabilendo che l‘affidamento all‘agente della riscossione delle somme venga fatto decorsi 60 giorni dalla notifica dell‘atto. Indipendentemente, però, dalla circostanza che sia già scaduto il termine mobile per adempiere. Con la conseguenza che il contribuente potrebbe trovarsi assoggettato alla riscossione coattiva senza essere ancora in mora Il rispetto dell‘intimazione, e quindi il pagamento nei termini dettati al preciso fine di evitare l‘aggressione esecutiva, dovrebbe, in ogni caso, consentire la fruizione del beneficio dell‘abbattimento delle sanzioni accordato per l‘acquiescenza all‘avviso di accertamento (art. 15 del D.lgs. n. 218/97). 2.2 L‟esecutività in ragione della notifica dell‟atto Un altro aspetto che desta perplessità attiene alla scelta di subordinare l‘esecutorietà dell‘avviso di accertamento al decorso di 60 giorni dalla notifica (lett. b), comma 1, art. 29). Va osservato, innanzitutto, che l‘attribuzione di efficacia esecutiva agli atti della riscossione esattoriale (il ruolo) ha perso ogni formalità, esaurendosi in una vicenda meramente interna all‘ente procedente12. Inoltre, con la nuova 965 e ss.. Contra per l‘impugnabilità, cfr. Comm. trib. prov. di Torino n. 57 del 26 marzo 2010. 12 Ai sensi dell‘art. 1, comma 5-ter, lett. e), D.L. n. 106/2005, n. 106, conv. con L. n. 156/2005, la sottoscrizione del ruolo necessaria a renderlo esecutivo si compie 77 LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO (OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO) disciplina, l‘atto di accertamento diventa esecutivo indipendentemente dalla circostanza che il contribuente sia o meno nei termini per adempiere all‘intimazione: l‘esecutorietà dell‘accertamento e il momento a partire dal quale l‘agente della riscossione è legittimato a procedere con l‘esecuzione, difatti, non coincidono. Ma a parte queste considerazioni, che però mettono in dubbio l‘opportunità se non la necessità della previsione in commento, deve essere evidenziato come la lettera della norma conduca poi ad accordare alla vicenda della notifica portata addirittura costitutiva della natura di titolo esecutivo all‘avviso di accertamento. Il titolo esecutivo, per regola generale (art. 479 c.p.c.) deve essere notificato; regola, questa, ribadita per gli atti amministrativi dall‘art. 21-bis della L. n. 241/9013, che ha prescritto la notifica per i provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati14, tra i quali vanno annoverati quelli esecutivi 15. Sicché, volendo ricercare un significato alla previsione, che subordina espressamente alla notifica (decorsi sessanta giorni dalla stessa) l‘esecutorietà dell‘avviso di accertamento, bisogna concludere che la notifica realizza qui un elemento costitutivo, un requisito di esistenza, del titolo esecutivo, piuttosto che una semplice condizione di efficacia 16. In assenza della notifica, insomma, si deve concludere che il titolo esecutivo non è venuto neppure a giuridica esistenza. Ma allora, se la notifica è condizione di esistenza del titolo, un eventuale vizio che ne pregiudichi l‘esatto compimento non può essere concepito in termini di ―attentato‖ alla conoscenza del titolo medesimo: in difetto della notifica, il titolo non è, semplicemente, non conosciuto, bensì non venuto ad esistenza giuridica. Con la conseguenza ulteriore che resta preclusa la possibilità di invocare modalità di conoscenza del titolo equipollenti alla notifica, e quindi la surrogabilità della conoscenza legale con quella effettiva, proprio perché il vizio di notifica non incide sulla conoscenza di un atto ―…mediante la validazione dei dati in essi contenuti‖. Sul punto, le puntuali osservazioni di A. GUIDARA, Telematica e ruoli orfani, in Riv. dir. trib., 2006, I, pag. 147. 13 Introdotto con la L. 11 febbraio 2005, n. 15. 14 Cfr. F. FIGORILLI, Art. 21-bis, in La pubblica Amministrazione e la sua azione, a cura di N. Paoloantonio - A. Police - A. Zito, Torino, 2005, pag. 425; A. AUCIELLO, Efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati, in La nuova disciplina dell‘azione amministrativa, a cura di R. Tomei, Padova, 2005, pag. 481. 15 F. FIGORILLI, op. cit., pag. 429; A. AUCIELLO, op. cit., pag. 482. 16 Ritiene che ―negli atti recettizi la notificazione costituisca un elemento essenziale dell‘atto stesso, che non si perfeziona e non esiste se non ed in quanto l‘atto non venga notificato‖, C. GLENDI, Le Sezioni Unite si pronunciano sulla sanatoria dei vizi di notifica degli atti impugnati nel processo, in Corr. trib., 2004, pag. 3715. 78 LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO (OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO) perfetto, quanto sull‘esistenza giuridica dell‘atto/titolo 17. Sicché, nell‘ipotesi di tempestiva impugnazione di un avviso affetto da vizio di notifica, si dovrà reputare sanato il vizio di notifica riguardo all‘accertamento18, ma anche non integrato il titolo con cui portare in esecuzione la relativa pretesa 19. La sanatoria del vizio di notifica per raggiungimento dello scopo ex artt. 156 e 160 del c.p.c., difatti, può essere invocata per un atto esistente, ancorché non efficace, non certo per uno non venuto neppure ad esistenza (giuridica) 20. 2.3 L‟improcedibilità dell‟azione esecutiva L‘affidamento dell‘avviso di accertamento all‘agente della riscossione, affinché possa procedere all‘esecuzione forzata, può avvenire solamente decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento. Solo a partire da tale momento – dispone la lett. b) dell‘art. 29 - la riscossione è affidata all‘agente della riscossione. La previsione di tale termine - oggetto di espressa segnalazione nell‘avviso di accertamento – sembrerebbe individuare uno spazio temporale di improcedibilità assoluta per l‘Agente, che quindi non potrà, prima del suo completo decorso, procedere in alcun modo, né al pignoramento né all‘ipoteca o al fermo (artt. 77 ed 86 del D.P.R. n. 602/73), ma neppure alle azioni cautelari e conservative previste dalle norme ordinarie a tutela del creditore21 (ex art. 49 del D.P.R. n. 602/73). Una conferma, indiretta, in questo senso, si può ritrovare nel recente Decreto sviluppo, che ha previsto l‘inserimento, nell‘art. 29, di una nuova lett. b-bis), con cui è concessa la sospensione automatica dell‘esecuzione forzata, nel caso (e solo) in cui sia richiesta la sospensione giudiziale degli effetti dell‘atto impugnato (ex art. 47 del D.lgs. n. 546/92). Tale sospensione ope legis è accordata fino all‘emanazione del provvedimento che decide 17 Per l‘applicazione agli atti di accertamento del metro della conoscibilità, ritenuto equipollente alla notifica, si veda Cass. n. 13852 del 9 giugno 2010; Cass. n. 4760 del 27 febbraio 2009. 18 È pacifico, nella giurisprudenza della Cassazione, che la proposizione tempestiva del ricorso, da parte del contribuente, sia idonea a sanare i vizi di notifica degli atti impositivi (da ultimo Cass. n. 15554 del 02 luglio 2009; Cass. n. 15849 del 12 luglio 2006; Cass. n. 7498 del 12 aprile 2005; Cass. SS.UU. n. 19854 del 5 ottobre 2004; per una critica a tale soluzione, si veda però C. GLENDI, Le Sezioni Unite si pronunciano sulla sanatoria dei vizi di notifica degli atti impugnati nel processo, cit., pag. 3711; C. SCALINCI, La notifica dell‘atto tributario recettizio: un ―Giano bifronte‖ tra sanatoria e decadenza, in Riv. dir. trib., 2005, II, pag. 13). 19 Senza che siano peraltro previste forme alternative all‘esecuzione in base all‘avviso di accertamento. 20 In tema, M. BRUZZONE, Notificazioni e comunicazioni degli atti tributari, Padova, 2006, pag. 218. 21 Su cui, M. GIORGETTI, Profili dell‘espropriazione forzata tributaria, in A. Comelli – C. Glendi (a cura di), La riscossione dei tributi, Padova, 2010, pag. 215. 79 LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO (OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO) sull‘istanza e, in ogni caso, per un periodo non superiore a centoventi giorni. A parte la considerazione che restano esclusi gli atti non impugnabili22 e che, comunque, non è chiaro se il predetto periodo sospenda l‘esecuzione anche nel caso di rigetto dell‘istanza, intervenuto prima del suo decorso, oppure, di contro, consenta l‘esecuzione anteriormente la pronuncia sull‘istanza (la prima opzione sembra da preferire, stante l‘impiego della congiuntiva ―e‖), sono sottratte dalla sospensione proprio ed espressamente le azioni cautelari e conservative (quindi sicuramente l‘ipoteca, mentre è lecito dubitare del fermo dei beni mobili registrati, che non sembra qualificabile come misura cautelare o conservativa23) nonché ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore. Azioni, tutte, queste, che sarebbero altrimenti rimaste comprese nell‘inibitoria all‘esercizio dell‘azione esecutiva introdotta dalla nuova norma e che, quindi, debbono ritenersi incluse nei poteri dell‘Agente della riscossione legittimati proprio e solo con l‘affidamento della riscossione, ai sensi della citata lett. b) dell‘art. 29. Il termine dei trenta giorni è invece derogato nel caso di pericolo per la riscossione24. Qui (lett. c), il termine per l‘affidamento della riscossione è in effetti calcolato in misura fissa, ossia 60 giorni dalla notifica dell‘atto. Come già evidenziato, si tratta però del solo termine per l‘affidamento della riscossione e non anche di quello per il pagamento. Peraltro, non sembra applicabile la sospensione ope legis dell‘esecuzione, introdotta con il Decreto sviluppo, dal momento che nel testo (nuova lett. b-bis) si rinvia solo all‘esecuzione di cui alla lett. b), ossia quella ordinaria, e non pure alla lett. c), che detta la disciplina per la riscossione nei casi di grave pericolo per il positivo esito della riscossione. 22 Ciò tradisce il preciso obiettivo di accelerare la riscossione essenzialmente con riferimento agli atti non impugnabili. Sennonché - va evidenziato - la sospensione in oggetto poteva risultare opportuna anche in tali casi, se non altro per consentire al debitore di inoltrare l‘istanza di rateazione senza il timore di subire, nel mentre, l‘esecuzione forzata: si ricorda, infatti, che ai sensi della lett. g) dell‘art. 29, D.L. n. 78/2010, la dilazione del pagamento può essere richiesta ―solo dopo l‘affidamento del carico all‘agente della riscossione‖, ossia solo a partire dal momento in cui l‘agente può procedere con l‘esecuzione. 23 Parla al riguardo di ―strumento autonomo di coazione finalizzato all‘esecuzione indiretta del credito‖, S. CANIZZARO, Il fermo dei beni mobili registrati e l‘ipoteca nella fase della riscossione dei tributi: una difficile ricostruzione sistematica, in A. Comelli – C. Glendi (a cura di), La riscossione dei tributi, Padova, 2010, pag. 178. 24 In questo caso, peraltro, i segni dell‘innesto sono particolarmente evidenti, essendo sostanzialmente riprodotta la disciplina del ruolo straordinario, di cui all‘art. 11, lett. b), ed art. 15-bis del D.P.R. n. 602/73: riscossione integrale (non quindi rateale) dell‘imposta, degli interessi e delle sanzioni Con ogni evidenza, la sussistenza delle ragioni che legittimano questa modalità di esazione, dovrà essere oggetto di specifica e puntuale motivazione in seno all‘avviso di accertamento. 80 LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO (OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO) 2.4 Il termine decadenziale per iniziare il pignoramento: lo strano innesto di un termine decadenziale per l‟esercizio di un credito Un altro ―innesto‖, che desta perplessità, è quello che introduce un termine decadenziale entro cui deve essere iniziata l‘espropriazione forzata: il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l‘accertamento è divenuto definitivo. È palese qui la volontà di recuperare il termine dettato dall‘art. 25, del D.P.R. n. 602/73, per la notifica della cartella nel caso di esazione di somme dovute in base ad accertamenti definitivi. La disposizione, non di meno, appare mal congeniata. La previsione di un termine di decadenza riferito ad atti tributari si giustifica, essenzialmente, con l‘esigenza di evitare un assoggettamento del contribuente, per un tempo eccessivamente lungo o indefinito, al potere dell‘amministrazione finanziaria25. Sicché, se lo scopo della previsione era di tutelare il contribuente verso una soggezione illimitata ai poteri della riscossione coattiva - oramai connotati in termini spiccatamente autoritativi sarebbe stato più corretto fissare un termine, non per l‘inizio del pignoramento, quanto per la conclusione della procedura esecutiva. Ma una volta che tale termine è rimasto invariato, non sembra né ―ragionevole, né equo, stabilire per l‘assoggettamento all‘esecuzione del credito tributario un termine più breve di quanto accada in diritto comune‖ 26. Ad ogni modo, per impedire la decadenza dovrà essere effettuato il pignoramento, unico atto con cui si può dire iniziata l‘espropriazione forzata (art. 491 c.p.c.), mentre non potrà ritenersi idonea allo scopo l‘adozione di fermi o ipoteche, che, invece, non comportano l‘avvio dell‘espropriazione. Peraltro, la previsione del termine decadenziale riferito ad ―ogni caso‖ induce ad escludere che l‘agente della riscossione, intervenuta la decadenza, possa intraprendere procedure esecutive alternative a quella esattoriale 27. Infine, la decadenza non opera nel caso in cui l‘esecuzione abbia ad oggetto somme vantate con un avviso impugnato, non definitivo: manca, insomma, un termine decadenziale riferito alla riscossione provvisoria. 25 M. BASILAVECCHIA, Il ruolo e la cartella di pagamento: profili evolutivi della riscossione dei tributi, in Dir. prat. trib., 2007, I, pagg. 143-144. 26 M. BASILAVECCHIA, Termini decadenziali per la liquidazione delle imposte, in Corr. trib. 2005, pag. 46. Di diverso avviso, invece, M. ALLENA, I termini per la formazione dei ruoli, la loro consegna al concessionario e la notifica della cartella di pagamento, Riv. dir. trib., 2005, II, pag. 402, che reputa comunque inadeguato il termine della prescrizione decennale ―rispetto alla funzione di un‘attività che deve essere sottoposta a decadenza‖. 27 Soluzione suggerita per la riscossione in base a ruolo, nel caso di decadenza dalla notifica della cartella ex art. 25 del D.P.R. n. 602/73; cfr. sul punto, G. BOLETTO, Il ruolo di riscossione nella dinamica del prelievo delle entrate pubbliche, cit., pag. 41. 81 LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO (OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO) 2.5 La riscossione nei confronti dei coobbligati La tecnica dell‘innesto solleva poi interrogativi nel momento in cui si debbono affrontare ipotesi non contemplate espressamente dalla nuova disciplina, nell‘alternativa tra invocare il regime originario dell‘avviso di accertamento o quello ―innestato‖ del ruolo e della cartella. La questione si pone, segnatamente, per la riscossione nei confronti del coobbligato, rispetto alla quale la novella non contempla nulla. La soluzione apparentemente più lineare suggerirebbe l‘applicazione dell‘art. 25 del D.P.R. n. 602/73, che consente all‘agente della riscossione di notificare al coobbligato la cartella formata in base al ruolo intestato al debitore principale. Ciò, anche per effetto della lett. g) dell‘art. 29, ai sensi del quale ―ai fini della procedura di riscossione,… i riferimenti contenuti in norme vigenti al ruolo e alla cartella di pagamento si intendono effettuati‖ al nuovo accertamento esecutivo. L‘applicabilità dell‘art. 25 del D.P.R. n. 602/73 all‘accertamento esecutivo, tuttavia, non sembra scontata; ed anzi, pare da escludere. Innanzitutto, perché, avendo subordinato l‘efficacia esecutiva dell‘accertamento alla notifica dell‘atto (rectius al decorso di sessanta giorni dalla stessa (lett. b)), sembra logico concludere che l‘efficacia esecutiva debba essere circoscritta al soggetto destinatario della notifica medesima. In secondo luogo, perché l‘estensione della regola dell‘art. 25 all‘accertamento esecutivo consentirebbe all‘agente della riscossione di coinvolgere il coobbligato con la notifica dell‘avviso di accertamento, o addirittura di un estratto dello stesso (come lascia prevedere la modifica portata dal Decreto sviluppo alla lett. e) dell‘art. 29), intestato al debitore principale. Questo, però, presupporrebbe la consegna dell‘avviso di accertamento in carico all‘agente. Ebbene, dal momento che ai sensi della lett. f) dell‘art. 29, l‘aggio di riscossione è dovuto per intero, una volta che l‘avviso è stato consegnato all‘agente della riscossione, il coobbligato sarebbe così tenuto a corrispondere l‘aggio sempre in misura intera, laddove il debitore principale lo sarebbe solo decorsi i trenta giorni dalla scadenza del termine per impugnare e, comunque, dopo almeno sessanta giorni dalla notifica dell‘avviso. Una disparità di trattamento, questa, non giustificata né accettabile. Per le suddette ragioni, la regola di cui all‘art. 25, comma 1, del D.P.R. n. 602/73 non appare invocabile. Ma se è così, ecco allora che competerà agli uffici dell‘Agenzia individuare e selezionare i coobbligati verso cui procedere, notificando loro l‘avviso di accertamento, fermo restando per l‘Agente della riscossione, ricevuti in carico i diversi avvisi di accertamento, la facoltà di scegliere verso quale, tra i diversi debitori, condurre la procedura esecutiva. 82 LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO (OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO) L‟accertamento quale atto unico di imposizione e di riscossione e i rischi di un deficit di tutela per il contribuente Come evidenziato, l‘esecuzione forzata – come anche ogni atto conservativo, cautelare o di ―induzione‖ all‘esecuzione - non sarà più preceduta da un sollecito per il contribuente, una volta notificato l‘avviso di accertamento e decorsi i trenta giorni dalla scadenza del termine per pagare 28. Un rinnovo dell‘intimazione a pagare è previsto solo nelle ipotesi di rideterminazione degli importi dovuti (ex art. 8, co. 3-bis, D.lgs. n. 218/97; art. 68, D.lgs. n. 546/92 ed art. 19 D.lgs. n. 472/97) o di intervenuto decorso di un anno dalla notifica dell‘avviso, senza che si sia proceduto con il pignoramento (cfr. lett. e)). Fuori da queste ipotesi, l‘avviso di accertamento rappresenterà invece l‘unico atto che il contribuente riceverà prima dell‘aggressione esecutiva. Vero è che, a rigore, la norma contempla come possibilità e non come obbligo quella di procedere all‘esecuzione forzata senza notificare al contribuente alcun ulteriore atto. Nulla esclude, in effetti, che l‘espropriazione e gli altri atti esecutivi vengano preceduti da comunicazioni ulteriori, anche informali29. Va però anche segnalato che una tale prassi, ove introdotta, rischierebbe di ridimensionare, se non frustrare, le finalità della novella. Alla stregua della giurisprudenza oramai consolidata 30, secondo cui devono ritenersi impugnabili ―tutti quegli atti con cui l‘Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita‖ 31, potrebbe invero accadere che le predette comunicazioni siano ritenute impugnabili. Ma ciò significherebbe riprodurre quella moltiplicazione di momenti contenziosi, che la novella ha inteso, chiaramente, superare 32. Se invece - come del resto sembra essere lo scopo della disciplina in commento - l‘avviso di accertamento diventerà l‘unico atto ricevuto dal contribuente, la notifica di tale atto verrà ad assumere una rilevanza ed una 2.6 28 Così, testualmente, la lett. e) dell‘art. 29, ai sensi della quale ―l‘agente della riscossione, sulla base del titolo esecutivo di cui alla lettera a) e senza la preventiva notifica della cartella di pagamento, procede ad espropriazione forzata…‖. 29 Come con il preavviso di fermo, introdotto con atto di prassi (cfr. Nota dell‘Agenzia delle Entrate del 9 aprile 2003, n. 57413). 30 Ex multis cfr. Cass. Ord. n. 15946 del 6 luglio 2010; Cass. n. 27385 del 18 novembre 2008; Cass. SS.UU. n. 16293 del 24 luglio 2007; Cass. SS.UU. n. 16776 del 10 agosto 2005. Sul tema, più di recente, M. CANTILLO, Aspetti critici del processo tributario nella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Rass. trib., 2010, pag. 14. 31 Così Cass. n. 14373 del 15 giugno 2010; in argomento, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, A. CARINCI, Dall‘interpretazione estensiva dell‘elenco degli atti impugnabili al suo abbandono: le glissement progressif della Cassazione verso l‘accertamento negativo nel processo tributari, in Riv. dir. trib., 2010, II, pag. 617. 32 Per l‘impugnazione del preavviso di fermo, cfr. Cass. SS.UU. n. 10672 dell‘11 maggio 2009. 83 LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO (OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO) centralità inedite: non solo in merito alla costituzione del titolo esecutivo, ma anche, e soprattutto, perché tale vicenda rimarrà l‘unica occasione per il contribuente di conoscere la pretesa nei suoi confronti, prima dell‘avvio della procedura esecutiva, oltre che per accedere alla tutela giudiziale innanzi al giudice tributario. Ecco che, in caso di vizio di notifica dell‘avviso, il contribuente potrebbe avere conoscenza della pretesa solo in occasione dell‘aggressione espropriativa, una volta che questa è iniziata. Inoltre, in una simile eventualità, al contribuente resterebbe preclusa ogni forma di tutela giudiziale piena, in via immediata33. Da un lato, per effetto dell‘art. 2, del D.lgs. 546/92, che sottrae alla giurisdizione tributaria le controversie riguardanti gli atti dell‘esecuzione forzata tributaria; dall‘altro, in ragione dell‘art. 57 del D.P.R. n. 602/73, che nega l‘opposizione all‘esecuzione ex art. 615 c.p.c. e quella agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. relativa alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo. Il rischio, allora, è di un ritorno al solve et repete, dal momento che il contribuente non avrebbe alternativa al pagamento e alla successiva richiesta di rimborso, salva solo l‘azione per il risarcimento danni34. Anche sotto questo aspetto, in definitiva, la novella tradisce una certa approssimazione. La previsione di un‘immediata efficacia esecutiva, per l‘unico atto da notificare al contribuente, avrebbe suggerito una riflessione più meditata ed attenta sulle misure di tutela del contribuente. Questo, principalmente, per non limitarsi a riprendere le misure che, proprio perché concepite per modelli impositivi, e sequenze di atti, non più attuali, rischiano di apparire inefficaci ed intempestive rispetto alle nuove esigenze poste dall‘avviso di accertamento esecutivo. 33 Fuori dalle ipotesi in cui l‘espropriazione sia accompagnata dall‘iscrizione di ipoteca o dal fermo, che ancora consentono l‘accesso alla giurisdizione tributaria. 34 Ciò a meno di aderire a taluna delle soluzioni già ipotizzate per il caso di omessa notifica della cartella: ammettere la proponibilità, avverso il pignoramento, dell‘opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. (G. PORCARO, La fase esecutiva tra giurisdizione ordinaria e tributaria, in Rass. trib., 2002, pag. 1381; U. PERRUCCI, Riscossione più severa per il contribuente, in Boll. trib., 1999, pag. 453), oppure ritenere impugnabile, innanzi alla Commissione tributaria, il pignoramento, quale surrogato dell‘avviso di mora (S. LA ROSA, La tutela del contribuente nella fase di riscossione dei tributi, in La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nel sistema della giustizia tributaria: bilancio e prospettive ad un anno dalla sua istituzione, in Rass. trib., 2001, pag. 1192, nonché, F. RANDAZZO, Le problematiche di giurisdizione nei casi di riscossione tributaria non preceduta da avviso di mora, in Riv. dir. trib., 2003, II, pag. 923). 84 LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO (OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO) 3 La conservazione del ruolo ed i problemi di “convivenza” con l‟accertamento esecutivo: gli ambiti non coperti dalla novella Ai problemi dinanzi segnalati, conseguenti alla disciplina in concreto elaborata, si sommano poi quelli correlati alla scelta di non abbandonare subito ed interamente la riscossione in base a ruolo. La quale sopravvive, in ambiti peraltro che non si possono certo ritenere residuali. Restano così esclusi dal nuovo regime i tributi diversi da quelli individuati all‘art. 29, come i tributi doganali, quelli indiretti diversi dall‘Iva (registro e successioni), i tributi locali, oltre a tutte le altre entrate 35, non tributarie, riscuotibili in base a ruolo36. Inoltre, la riscossione in base a ruolo residua anche in materia di imposte sui redditi e Iva, in tutti i casi in cui non si procede con avviso di accertamento (liquidazioni e controlli formali, di cui all‘art. 36-bis e 36-ter del D.P.R. n. 600/73, nonché 54-bis del D.P.R. n. 633/72)37. In tutte queste ipotesi, l‘adozione di un modello analogo a quello prefigurato dalla novella, incentrato sull‘immediata esecutività dell‘atto d‘imposizione o comunque di vanto della pretesa, è rinviato a successivi regolamenti di delegificazione (cfr. lett. h) dell‘art. 29). Sennonché, e nonostante il tenore apparentemente inequivoco della novella, residuano incertezze sugli ambiti di applicazione del nuovo regime e, parallelamente, di ulteriore impiego del ruolo. Così, ad esempio, resta dubbio se il riferimento compiuto dall‘art. 29 al ―connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni‖ comprenda solo l‘atto di irrogazione delle sanzioni, di cui art. 17 del D.lgs. n. 472/97 38, oppure anche l‘atto di constatazione delle violazioni, di cui all‘art. 16, qualora sia impiegato per comminare sanzioni correlate all‘accertamento del tributo39. Questo perché, ai sensi del comma 4 dell‘art. 16, il predetto avviso 35 Eccezion fatta per le somme dovute all‘Inps, per le quali l‘art. 30 del medesimo D.L. n. 78/2010 ha previsto che, a partire dal 1° gennaio 2011, l‘attività di riscossione sia effettuata mediante la notifica di un avviso di addebito con valore di titolo esecutivo. 36 Ai sensi dell‘art. 17 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, ―si effettua mediante ruolo la riscossione coattiva delle entrate dello Stato, anche diverse dalle imposte sui redditi, e di quelle degli altri enti pubblici, anche previdenziali, esclusi quelli economici‖; cfr. A. BEFERA, La nuova riscossione mediante ruolo delle entrate pubbliche, in L‘evoluzione dell‘ordinamento tributario italiano, coordinati da V. Uckmar, Padova, 2000, pag. 651; C. BUCCICO, La riforma della riscossione. Alcune novità introdotte dal D.Lgs. n. 46/99, in Il fisco, 2000, pag. 3286. 37 In argomento, R. RINALDI, voce Liquidazione dei tributi, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, 2006, IV, pag. 3556. 38 Cfr. CNDCEC Cir. n. 22/IR del 7 marzo 2011, par. 2. 39 Cfr. Circ. n. 180/E-110100 del 10 luglio 1998. 85 LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO (OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO) di contestazione si può tramutare in atto di irrogazione delle sanzioni impugnabile40. Vi è poi il problema di interpretare la formula, usata dall‘art. 29 del D.L. n. 78/2010, per estendere il nuovo regime dell‘immediata esecutorietà ai ―successivi atti da notificare al contribuente… in tutti i casi in cui siano rideterminati gli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento‖. Nella versione originaria, l‘impiego della congiunzione ―anche‖, prima dell‘elenco di ipotesi di rideterminazione, consentiva in effetti di intendere l‘elenco medesimo come meramente esemplificativo 41. Il Decreto sviluppo, tuttavia, prevede la soppressione di quel termine, con la conseguenza di indurre a concepire l‘elenco come esaustivo. Se così è, però, il nuovo regime potrà tornare applicabile ai soli casi enumerati espressamente (rideterminazioni degli importi dovuti a seguito delle vicende del processo, ex art. 68, D.lgs. n. 546/92 ed art. 19 D.lgs. n. 472/97, in materia di sanzioni, e mancato pagamento di rate successive alla prima nell‘accertamento con adesione ex art. 8, co. 3-bis, D.lgs. n. 218/97). Dovrebbero invece restare escluse ipotesi affatto similari a quelle indicate, quali l‘omesso pagamento di rate successive alla prima nell‘adesione all‘invito al contraddittorio (art. 5, comma 1-quater, del D.lgs. n. 218/97), nell‘adesione al processo verbale (art. 5-bis, comma 4, del D.lgs. n. 218/97), nella conciliazione giudiziale (art. 48, co. 3-bis, del D.lgs. n. 546/92), nell‘acquiescenza alla comunicazione di irregolarità, di cui agli artt. 2 e 3 del D.Lgs. n. 462/97, a seguito delle liquidazioni ex artt. 36bis, D.P.R. n. 600/73, e 54-bis, D.P.R. n. 633/72, e dei controlli formali ex art. 36-ter del D.P.R. n. 600/73 (art. 3-bis del D.Lgs. n. 462/97). Dal momento, poi, che la finalità della novella è quella di concentrare in capo all‘atto di accertamento, contenuti e funzioni propri del ruolo e della cartella, il nuovo regime non dovrebbe applicarsi nei casi in cui l‘avviso di accertamento, non contenendo la liquidazione del tributo, non appare idoneo ad assumere la veste di titolo esecutivo. Come accade, segnatamente, con gli avvisi di accertamento emanati nei confronti delle società di persone soggette al regime di trasparenza, di cui all‘art. 5 del Tuir. In questo caso, l‘avviso dovrebbe allora essere emesso nella nuova forma limitatamente all‘Iva, all‘Irap ed alle relative sanzioni42, ma non anche per l‘imposta sui redditi dovuta dai soci. Diversamente, nel caso di società trasparenti ai sensi degli artt. 115 e 116 del Tuir (cd. trasparenza per opzione 43), l‘accertamento nei 40 Cfr. A. CARINCI, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex D.L. n. 78/2010, cit., pag. 164; esclude invece tale possibilità, A. GIOVANNINI, Riscossione in base al ruolo e agli atti d‘accertamento, cit., pag. 30. 41 Cfr. CNDCEC Cir. n. 22/IR del 7 marzo 2011, par. 2. 42 Stante la piena soggettività per tali imposte delle società di persone ai fini Iva ed Irap; cfr. Circ. n. 56/E del 23 dicembre 2009. 43 In argomento, A. CARINCI, L‘accertamento nel regime di trasparenza delle società: responsabilità, garanzie e tutele per la società e per i soci, in Rass. trib., 2006, pag. 171. 86 LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO (OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO) confronti della partecipata dovrebbe poter assumere la nuova forma esecutiva anche per l‘imposta sul reddito, stante la responsabilità solidale della società trasparente con i soci, per l‘imposta, le sanzioni e gli interessi conseguenti all‘obbligo d‘imputazione del reddito44. Un dubbio, infine, si pone con riguardo alla rettifica delle dichiarazioni dei soggetti aderenti al consolidato nazionale, di cui all‘art. 40-bis del D.P.R. n. 600/7345. In particolare, in ragione della previsione per cui la determinazione del debito è suscettibile di rettifica se, entro 60 giorni dalla notifica dell‘avviso, la consolidante fa istanza per il computo, in diminuzione dei maggiori imponibili, delle perdite di consolidato non utilizzate 46. In tale eventualità, difatti, l‘ufficio deve provvedere al ricalcolo della maggiore imposta dovuta, degli interessi e delle sanzioni nonché a comunicarne l‘esito alla consolidante ed alla consolidata, entro sessanta giorni dall‘istanza. Ebbene, il dubbio che si pone è se tale rideterminazione vada intesa come mero elemento integrativo del primo accertamento oppure come atto autonomo: nel primo caso, tornerebbe applicabile il nuovo regime, ed il termine mobile, fissato per il nuovo avviso di accertamento, dovrebbe decorrere dalla comunicazione; nel secondo, preso atto della portata tassativa dell‘elenco degli atti di rideterminazione, cui è applicabile il nuovo regime, la riscossione dovrebbe avvenire in base a ruolo. 4 (segue) e dalla riscossione alle riscossioni. Il ruolo, in definitiva, non scompare; e ciò - a tacer d‘altro - porterà alla moltiplicazione delle procedure esattive nei confronti del medesimo debitore, in ragione e per l‘effetto di titoli esecutivi differenti. Si passerà, così, dalla riscossione alle riscossioni. Ma tralasciando una simile eventualità, si deve riconoscere che la concentrazione in un unico atto di funzioni diverse – di accertamento/sanzionatoria e di riscossione - non è di per sé né censurabile né asistematica; così come la finalità di perseguire una maggiore speditezza nell‘azione impositiva, segnatamente nella fase della riscossione. Occorre, tuttavia, che simili obiettivi non si traducano in scelte incoerenti ed asistematiche. Ebbene, come si è cercato di evidenziare, la nuova disciplina sull‘accertamento esecutivo non offre garanzie in tal senso. La scelta di innovare il modello di attuazione delle imposte sui redditi e dell‘Iva, 44 Così art. 115, co. 8 del Tuir; art. 13, D.M. 23 aprile 2004; Circ. n. 49/E del 22 novembre 2004, par. 2.16. 45 In tema, cfr. G. GAFFURI, Il procedimento e gli atti di accertamento nel consolidato fiscale, in Corr. trib., 2010, pag. 3065; F. DAMI, Razionalizzata la disciplina dell‘accertamento consolidato, in Corr. trib., 2010, pag. 2681; F. PADOVANI, Consolidato fiscale nazionale: riflessioni in tema di attuazione del rapporto obbligatorio d‘imposta, in Riv. dir. trib., 2010, I, pag. 1189. 46 Art. 40-bis, co. 3, del D.P.R. n. 600/73. 87 LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO (OVVERO UN NUOVO IRCOCERVO TRIBUTARIO) rendendo immediatamente esecutivo l‘avviso di accertamento, avrebbe suggerito una riflessione più meditata sulle cautele procedimentali e processuali da assicurare al contribuente. Limitarsi a predisporre la disciplina del nuovo istituto, semplicemente combinando, con innesto, quella di atti esistenti (avviso di accertamento, ruolo e cartella), non può essere considerata una soluzione appagante. Intersecare spezzoni di disciplina pensati per atti propri di modelli di attuazione del tributo, differenti per tempi e modalità di funzionamento, minaccia di fornire soluzioni normative superate e comunque non adeguate alle esigenze poste dal nuovo accertamento esecutivo, con il rischio di un arretramento nelle tutele e nelle garanzie per il contribuente 47. 47 Perplessità del medesimo tenore sono avanzate da E. DE MITA, L‘accertamento esecutivo deroga ai principi, in Il Sole-24ore, del 13 giugno 2010, pag. 19. 88 Prof. Giuseppe Maria Cipolla Prove ed inversioni degli oneri probatori nell‟accertamento delle imposte sui redditi e nell‟accertamento IVA 1 La presenza nell‘ordinamento tributario e, segnatamente nei provvedimenti volti a regolamentare l‘accertamento tributario delle imposte sui redditi ed IVA, di presunzioni legali ha sempre rappresentato uno degli strumenti di tecnica normativa cui il legislatore ha nel corso del tempo fatto ricorso in nome del ben noto interesse fiscale. Le presunzioni, se da un lato, confermano che in via di principio l‘onere della prova è a carico del Fisco ( 1), dall‘altro, confermano pure che il Fisco è prima ancora obbligato ad enunciare le ragioni in punto di fatto ed in punto di diritto del tributo da esso stesso liquidato. Ampliando la prospettiva di riferimento, l‘inferenza induttiva posta dalla legge tra un fatto noto ed un fatto ignoto costituisce una delle molteplici forme di intervento nell‘area del giudizio di fatto. L‘attribuzione agli uffici tributari di poteri istruttori, l‘ampliamento rispetto al passato delle fonti di prova a disposizione di tali uffici nella ricostruzione della pretesa, la previsione a carico del contribuente di obblighi collaborativi – la cui violazione a sua volta è sanzionata, direttamente, attraverso l‘irrogazione di sanzioni amministrative e, indirettamente, attraverso la previsione di preclusioni di ordine probatorio applicabili in sede procedimentale (prima) e processuale (dopo), nonché attraverso il deterrente del ricorso all‘accertamento induttivo puro del reddito d‘impresa o di lavoro autonomo – sono altrettante modalità finalizzate tutte a consentire (per non dire, ad agevolare) a seconda dei casi l‘assolvimento da parte dell‘A.f. del proprio obbligo di motivazione e del proprio onere di prova. 2 Se ripercorriamo la materia dell‘accertamento tributario attraverso il prisma delle scelte normative compiute nell‘ultimo quarantennio notiamo come dalla riforma tributaria degli anni settanta del XX secolo in avanti una delle maggiori preoccupazioni del nostro legislatore fosse quella di ampliare il più possibile il materiale informativo utilizzabile dagli uffici tributari. La previsione di poteri istruttori, sul piano quantitativo, ancora più numerosi e, 1 ( )La felicissima intuizione si deve – come è noto – ad Allorio, Diritto processuale tributario, Torino, 1969, 389. PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA su quello qualitativo, ancora più incisivi rispetto a quelli pure contemplati dal T.U.II.DD. del 1958, la progressiva attenuazione fino alla totale abrogazione di norme volte a sottrarre (o a renderne più difficile l‘acquisizione) determinate informazioni al Fisco (come, per tutte, quelle volte a tutelare il segreto bancario), il sempre più stringente collegamento – pur nel rispetto del c.d. principio di autonomia – tra il procedimento di accertamento tributario ed il procedimento penale, sono tutti mezzi diretti al fine di riequilibrare (in modo più o meno adeguato) la fisiologica situazione di inferiorità conoscitiva in cui gli uffici tributari vengono a trovarsi rispetto al tema di prova. A questa stessa logica è ascrivibile il sempre meno timido affrancamento da una sorta di limbo (più o meno consapevole) in cui erano state relegate delle prove presuntive, intendendo come tali (ed almeno a mio avviso) solo quelle inferenze induttive fatto noto/ignoto costruite sul campo dagli uffici tributari e, nel processo, dal giudice. Nella regolamentazione originariamente riservata dai decreti del 1972-1973 ai metodi di accertamento sono numerosi i riferimenti a prove ―certe e dirette‖, come se le prove documentali – in cui le prove certe e dirette tradizionalmente si risolvono – possano sempre dimostrare, senza margine di errori e comunque con un grado di attendibilità maggiore di quello offerto dalle presunzioni, la violazione degli obblighi formali e, soprattutto, di quello sostanziale par excellence (quello di pagare il tributo) da parte del contribuente. Ad un sistema di determinazione del reddito di impresa e dell‘IVA imperniato sulle scritture contabili – su prove, dunque, documentali – si contrappone un sistema di accertamento anch‘esso incentrato prevalentemente su prove documentali. 3 La prova documentale che il Fisco deve fornire per smontare (quello che con particolare enfasi viene indicato come) il vinculum juris della contabilità rappresenta così, all‘indomani della riforma tributaria degli anni settanta del XX secolo e nella logica dei c.d. metodi di accertamento, una sorta di ―regola necessitata‖ conseguente alla generalizzazione dell‘obbligo di tenere le scritture contabili. In questa cornice sistematica, l‘accertamento induttivo finisce con l‘assumere non solo carattere eccezionale (2) ma anche natura 2 ( )La natura eccezionale del metodo induttivo è riconosciuta fin dalla relazione BimaSilvestri, VI Commissione permanente Finanze e Tesoro (in Delega al Governo per la riforma tributaria-Testo e relazioni parlamentari, Bologna-Roma 1971, 161 ss.). Nello stesso senso v., in giurisprudenza, Cass., sez. V, 22 maggio 2001, n. 6939; Cass., sez. I, 27 agosto 1998, n. 8535; Cass., sez. I, 28 agosto 1996, n. 7931; Cass., sez. I, 17 dicembre 1992, n. 13331; Cass., sez. I, 15 gennaio 1992, n. 420. L‘esistenza di una gerarchia all‘interno dei metodi di accertamento dei redditi d‘impresa tale per cui quello analitico (ed analitico-induttivo) rappresenta la regola e quello induttivo puro rappresenta l‘eccezione è stata ribadita da ultimo da Cass., sez. V, 30 dicembre 2009, n. 27927. 90 PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA para-sanzionatoria delle gravi irregolarità commesse dal contribuente quali l‘omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi (art. 41 DPR n. 600/1973) o IVA (art. 55, comma 1 DPR n. 633/1972) e la tenuta della contabilità in modo inaffidabile [art. 39, comma 2, lett. d) DPR n. 600/1973 ed art. 55, comma 2. n. 3) DPR n. 633/1972]. Parimenti, il ricorso a metodi induttivi volti alla rideterminazione del reddito complessivo netto è fin dall‘origine subordinato all‘acquisizione da parte dell‘A.f. di ―elementi‖ e ―circostanze di fatto certi‖ (art. 38, comma 4 DPR n. 600/73). Si deve quindi registrare sul punto un limite connaturato ai noti metodi di accertamento, quello rappresentato dall‘erroneo quanto vano convincimento di poter sempre contrapporre alle prove documentali formate dai contribuenti prove documentali della sottrazione della materia imponibile a tassazione. L‘atteggiamento di sfiducia verso la prova presuntiva sembra accompagnarsi alla fiducia (oltremodo eccessiva) riposta nei controlli compiuti dagli uffici nella possibilità di reperire tracce materiali dell‘evasione. Le prime applicazioni degli artt. 38-39 DPR n. 600/1973 e degli artt. 54-55 n. 633/1972 avrebbero, al contrario, dimostrato l‘estrema difficoltà del Fisco di reperire simili tracce e, nel contempo, l‘idoneità di ragionamenti di tipo inferenziale a ricostruire globalmente parte o tutta della base imponibile delle imposte sui redditi e dell‘IVA. 4 Indubbiamente, la formulazione di tali norme ha fortemente condizionato anche gli interpreti i quali non sempre hanno saputo cogliere, al di là delle parole usate dalla legge, la loro ratio. In modo emblematico, a distanza di circa vent‘anni dall‘entrata in vigore di tali decreti, si continuava a sostenere anche ex professo che l‘utilizzo delle presunzioni semplici (note anche come prove presuntive, logiche o critiche che dir si voglia) nell‘accertamento analitico fosse subordinato alla previa ispezione delle scritture contabili per avere la legge collocato sistematicamente l‘impiego di tali prove nel corpo di un norma [l‘art. 39, comma 1, lett. d) DPR n. 600/1973] il cui incipit riguarda il controllo della contabilità. Ad un‘analisi giuridico-formale dell‘art. 39 DPR n. 600/1973 (e degli artt. 54 e 55 DPR n. 633/1972) non può sfuggire, ancora, come il criterio discretivo assunto dalla legge, a livello di lessico probatorio, sia rappresentato dalla tipologia di prove che l‘A.f. può utilizzare: nell‘un caso, quello del metodo analitico tout court, prove certe e dirette (artt. 39, comma 1 DPR n. 600/1973 e 54 DPR n. 633/1972); nell‘altro, quello del metodo induttivo, prove indirette (art. 39, comma 2 DPR n. 600/1973 e 55, comma 2 DPR n. 633/1972). È vero per contro, che al pari delle prove documentali, l‘utilizzo delle prove presuntive non richiede lo svolgimento di una specifica attività istruttoria, ben potendo gli uffici ricostruire la base imponibile delle imposte sui redditi 91 PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA o IVA attraverso collegamenti di tipo inferenziale senza per questo dover previamente ispezionare la contabilità o senza per questo dover esercitare altri poteri istruttori diversi da quelli di accesso, ispezione e verifica. Ciò che richiede la legge per l‘impiego di prove critiche è che la presunzione semplice sia prova giuridica e non indizio. Il che si potrà stabilire avendo riguardo al grado di probabilismo logico sotteso al collegamento induttivo fatto noto/fatto ignoto, non all‘osservanza di requisiti di ammissibilità. Inoltre, se finalizzata a porre rigide contrapposizioni tra il metodo analitico e quello induttivo, simile impostazione non è condivisibile. L‘inferenza induttiva rappresenta un metodo euristico generale, come tale non confinato all‘impiego di prove presuntive: anche una prova documentale dev‘essere interpretata dall‘operatore giuridico, ed anche una prova documentale può, a sua volta, essere posta alla base di un ragionamento di tipo induttivo. Non è affatto vero poi che le prove presuntive siano dotate di una vis dimostrativa ontologicamente inferiore rispetto ad altre tipologie di prove e, in particolare, rispetto a quelle documentali (3). Nell‘accertamento delle imposte sui redditi come nell‘accertamento IVA non è prevista una gerarchia delle fonti di prova; con la conseguenza che, salvi i casi eccezionali in cui l‘efficacia dimostrativa del singolo mezzo di prova è predeterminata dalla legge, l‘ufficio è libero di valutare tutti gli elementi raccolti o comunque acquisiti al procedimento secondo il buon senso e l‘esperienza comune. Una simile gerarchia non esiste nel processo tributario. Non solo in ragione del principio di simmetria probatoria tra l‘istruttoria procedimentale e quella processuale (4); ma anche, sul piano del diritto positivo, in forza di quella norma del c.p.c. (l‘art. 116, comma 1) applicabile nel processo innanzi alle Commissioni tributarie in forza della clausola generale di rinvio (l‘art. 1, comma 2 d.lgs. . 546/1992) la quale, rimettendo al prudente apprezzamento del giudice la valutazione delle prove (eccezion fatta per le prove legali stricto sensu), affida alla valutazione del giudice il compito di ricostruire liberamente i fatti controversi. Né potrebbe essere diversamente. Costituendo la prova giuridica un mezzo per risolvere questioni empiriche, il giudice è chiamato volta per volta a stabilire se quel singolo elemento (di natura documentale, di natura orale o di (3)La prevalenza accordata alle prove documentali rispetto alle prove presuntive è il precipitato di una ben precisa opzione ideologica, quella di voler razionalizzare la valutazione giudiziale della prova e di comprimere, per tale via, il libero convincimento del giudice (GIULIANI, Il concetto classico di prova: la prova come argumentum, in Jus, 1960, 185 ss.) e trova riscontro, negli ordinamenti di civil law, nell‘ampio spazio riservato dal legislatore al formalismo giuridico nella circolazione dei beni (così VERDE, Prova legale e formalismo, in Foro it., 1990, V, 465 ss.). 4 ( )Sul principio di cui al testo sia consentito rinviare al mio Prova (diritto tributario), in Digesto delle discipline privatistiche - Sez. commerciale, Aggiornamento, vol. IV, Torino, 2008, 730 ss. 92 PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA natura logico-critica) fa prova e se, nella comparazione degli elementi conoscitivi addotti dalle parti, i mezzi di prova prodotti da una parte siano assistiti da un grado di probabilismo maggiore rispetto a quelli prodotti dalla controparte: la dialettica della controversia giudiziale, nella ricostruzione dei fatti controversi, si risolve in un simile gioco di prove e controprove. Non è, in altri termini, la struttura della prova che determina il suo grado di probabilità, ma il contesto conoscitivo in cui essa si colloca a consentire di determinarne la sua rilevanza e la sua forza: un documento potrebbe riguardare non il fatto principale, ma un fatto secondario dal quale trarre, in via di inferenza induttiva, illazioni intorno al thema probandum e potrebbe, di conseguenza, rappresentare nel contesto storico di riferimento una prova indiretta, così come una presunzione potrebbe avere ad oggetto il fatto principale e, quindi, costituire essa stessa prova diretta di tale thema; un documento, ancora, potrebbe essere contraffatto e non fornire alcuna garanzia sulla sua attendibilità. Quella che viene spacciata dal legislatore (ed in molte sentenze specialmente di merito) come certezza altro non è che un grado (sia pure elevato, ma pur sempre un grado) di probabilità fornito dal mezzo di prova. Nell‘accertamento e nel processo tributario lo spazio riservato alle prove scientifiche (quali la prova del DNA o c.d. la prova balistica) è pressoché nullo in ragione dell‘oggetto della prova: il presupposto del tributo (an) e la misurazione della capacità economica del contribuente (quantum) rifuggono fa asettiche ricostruzioni compiute a tavolino. Anche a voler poi ammettere, in via di pura ipotesi, che le prove scientifiche o le prove documentali assicurino la certezza, la certezza quale risultato del mezzo di prova è, a mio avviso, un falso problema. La prova – lo ribadisco – attiene a questioni empiriche. Tali questioni a loro volta, considerati i limiti umani, possono essere risolte soltanto in termini di probabilismo logico, non in termini assoluti. La valorizzazione nell‘accertamento e nel processo tributario delle prove presuntive, inoltre, passa attraverso due ulteriori insegnamenti della giurisprudenza di legittimità (civile, in un primo momento, a cui si è subito uniformata quella tributaria): quello secondo cui il risultato della prova presuntiva non dev‘essere univoco ma dev‘essere quello più attendibile rispetto ad altri possibili collegamenti tratti dallo stesso fatto noto (5), e quello secondo cui per l‘impiego di prove presuntive non è necessario ricorrere ad una pluralità di collegamenti inferenziali. Sotto quest‘ultimo profilo, ―concordanti‖ vuol dire che in presenza di più collegamenti induttivi le singole inferenze fatto noto/fatto ignoto utilizzate dall‘A.f. non devono elidersi tra di loro o essere contraddittorie, ben potendo l‘Amministrazione utilizzare anche solo un collegamento di tipo induttivo: se grave e preciso, la 5 ( )Cass., sez. V, 31 marzo 2008, n. 8255. 93 PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA singola presunzione può costituire prova giuridica e può, come tale, costituire il fondamento dimostrativo della pretesa erariale (6). Non è quindi dubbio, quale riconoscimento della piena dignità di prova, che prove documentali quali le scritture contabili possano essere smentite anche da prove logiche (7). Così come non è altrettanto dubbio che, costituendo prove giuridiche, le presunzioni semplici non invertono gli oneri di prova, quanto semmai – al pari delle altre prove e sempreché attraverso esse il giudice abbia ritenuto assolto l‘onere di prova da parte del soggetto che ne era gravato – pongono a carico della controparte l‘onere di difendersi ( 8). Ed è pure pacifico, sempre in ragione della loro natura di prova giuridica ed in conformità al precetto costituzionale della parità delle armi, che anche il contribuente può addurre in chiave difensiva prove logiche ( 9). 5 Nei metodi di accertamento costruiti dai decreti n. 600 del 1973 e n. 633 del 1972 il ruolo delle presunzioni legali e degli spostamenti degli oneri probatori che ad esse conseguono è, forse, ancora marginale. Pur essendo il ricorso ad argomentazioni induttive nell‘accertamento del reddito ben più risalente nel tempo rispetto alla stessa riforma Cosciani (10), a parte il già richiamato art. 38, comma 3 testo originario DPR n. 600/1973 per la ricostruzione del reddito complessivo netto delle persone fisiche, nei metodi di accertamento dei redditi di impresa e dell‘IVA le presunzioni legali restano in un primo momento storico estranee alla logica propria di tali metodi. Con questo, beninteso, non intendo sostenere che nel ricostruire una frazione o l‘intera base imponibile dei contribuenti imprenditori o esercenti un‘arte o 6 ( )Cass., sez. V, 29 settembre 2005, n. 19077 e, più recentemente, Cass., sez. V, 12 maggio 2011, n. 10417. 7 ( )Così, tra le altre, Cass., sez. V, 2 settembre 2007, n. 21953. 8 ( )Da ultimo, Cass., sez. V, 19 giugno 2009, n. 14328. 9 ( )A ben altre conclusioni, per contro, è pervenuta di recente (sia pure in via di obiter dictum) Cass., sez. V, ord. 21 marzo 2011, n. 6424. 10 ( )Già l‘art. 1 del r.d.l. n. 1261/1932 , in materia d‘imposta complementare sul reddito, disponeva – come è noto – che ai fini della determinazione dell‘imponibile, si tenesse conto anche dei redditi la cui esistenza si palesasse ―per circostanze od elementi di fatto, con speciale riguardo al tenore di vita del contribuente‖. Con l‘emanazione del DPR n. 645/1958, pur restando il metodo di accertamento analitico quello normale, all‘art. 137 fu previsto – come è altrettanto noto – che, ai fini dell‘imposta complementare, il reddito determinato analiticamente dovesse essere sottoposto a verifica, tenendo conto del tenore di vita del contribuente e di altri elementi o circostanze di fatto che facessero presumere un reddito netto superiore a quello risultante dalla determinazione analitica, rettificando le risultanze di questa su basi presuntive. 94 PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA una professione l‘A.f. non potesse già nei primi anni successivi all‘entrata in vigore di tali decreti fare ricorso a ricostruzioni induttive operate direttamente dalla legge. A parte il rilievo (che pure è frutto di una successiva maturazione da parte della dottrina) che l‘accertamento sintetico propriamente detto (quello, cioè, regolato dall‘art. 38, comma 3 testo originario DPR n. 600/1973) ben poteva essere utilizzato anche per ricostruire il reddito complessivo del contribuente/ persona fisica pur se il contribuente svolgesse un‘attività economica, in ogni caso già nei decreti attuativi della legge delega n. 825 del 1971 (nella loro versione originaria o nella versione di lì a poco innovata) si intravedevano i primi esempi di presunzioni legali: quanto all‘IVA, nell‘art. 53 DPR n. 633/1972 (le ben note presunzioni di cessione e di acquisto); quanto alle imposte sui redditi ed alla stessa IVA, nell‘art. 32, comma 1, n. 2) DPR n. 600/1973 e nell‘art. 51, comma 2, n. 2) DPR n. 633/1972 come novellati dal DPR n. 463/1982 (le altrettanto ben note presunzioni bancarie). A conferma del ruolo ancora marginale svolto dalle presunzioni legali nell‘accertamento tributario è significativo rilevare come, anche sul piano giuridico-formale, i collegamenti inferenziali fatto noto/ fatto ignoto sono collocati in articoli distinti rispetto a quelli contenenti i metodi di accertamento dei redditi di impresa, dei redditi di lavoro autonomo, e dei corrispettivi. Le questioni empiriche sottese all‘accertamento sono affrontate dal legislatore, in questo primo momento storico, attraverso lo strumento suo proprio: quello della prova giuridica. Di qui, dicevamo, l‘espresso riconoscimento del ruolo svolto dalle presunzioni semplici financo nella ricostruzione del componente reddituale per eccellenza (va sens dire) quali i ricavi; di qui la massimizzazione delle fonti di prova nell‘accertamento induttivo mercé l‘impiego di inferenze induttive assistite da un grado di probabilismo meno forte rispetto alle presunzioni gravi, precise e concordanti, di qui in ultima analisi il rafforzamento dei poteri istruttori e la sottoposizione del contribuente ad obblighi collaborativi al fine, appunto, di consentire agli uffici di risolvere la quaestio facti (l‘an ed il quantum del tributo) attraverso la prova. 6 Sottesa ai metodi di accertamento è, quindi, la consapevolezza che le questioni di fatto nel diritto tributario condividono con altri settori dell‘ordinamento un substrato comune (giuridico e metagiuridico nel contempo) i cui postulati possono essere così di seguito sintetizzati: oggetto di prova non sono propriamente i fatti, quanto gli enunciati fattuali. La prova (nel senso di risultato della dimostrazione) si traduce anch‘essa in una proposizione risultante dal processo di falsificazione al quale è sottoposto il thema probandum (c.d. carattere proposizionale della prova); 95 PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA più che a formulare un giudizio di fatto, la prova è funzionale alla formulazione di un giudizio sull‘enunciato fattuale essendo la locuzione giudizio di fatto una formula ellittica – e, come tale, di comodo – per indicare il giudizio di conferma o di falsificazione della proposizione sottoposta al controllo (c.d. carattere empirico della prova); la prova giuridica non è una novazione nel presente di ciò che è accaduto nel passato, essendo invece uno strumento per stabilire se l‘enunciato fattuale controverso risponda al vero; la prova giuridica, in ragione del suo carattere proposizionale e dell‘oggettiva impossibilità (connaturata financo a quelle che, specialmente un tempo, venivano indicate come le scienze esatte) di pervenire alla verità assoluta, assicura (o tende, più esattamente, ad assicurare) la verità relativa o probabile (c.d. carattere probabilistico della prova); il probabilismo della prova, a sua volta, è il probabilismo logico il cui scopo è <<razionalizzare l‘incertezza>> Il probabilismo logico non dice di quanto l‘ipotesi A sia più probabile dell‘ipotesi B, ma se un enunciato fattuale sia più probabile di un altro; il giudizio di fatto formulato dal Fisco si colloca sullo stesso piano dello (e non è, di conseguenza, qualitativamente diverso dallo) accertamento fattuale compiuto dal giudice costituendo l‘uno e l‘altro delle variazioni di grado su una scala sostanzialmente omogenea, quella del probabilismo logico. La natura pubblica del soggetto che ricostruisce gli accadimenti del passato non implica alcuna deviazione rispetto all‘oggettiva natura della questio facti. 7 Il ruolo ancora marginale svolto dalle presunzioni legali nell‘accertamento delle imposte sui redditi e nell‘IVA costituisce, ancora, il portato della non chiara percezione delle distinzioni esistenti tra l‘evasione della piccola e media impresa e l‘evasione della grande impresa, da un lato, e della altrettanto non chiara percezione della natura della regola di giudizio fondata sull‘onere della prova. 7.1 Sotto il primo profilo, è ben noto come l‘art. 39 DPR n. 600/1973, non diversamente dagli artt. 54 e 55 DPR n. 633/1972, non distingue tra accertamento delle piccole imprese ed accertamento delle imprese mediograndi. Alle scritture contabili (recte, a tutte le scritture contabili indipendentemente dalla natura individuale o collettiva dell‘imprenditore) è attribuito, sul piano dimostrativo, un ruolo privilegiato benché solo per le imprese medio-grandi la tenuta di apposite scritture (―fiscali‖ e ―civili‖) costituisca un‘esigenza fisiologica imposta dalla loro struttura, dalle loro dimensioni, nonché dalla tipologia della loro clientela prima ancora che dalla legge; per le piccole imprese (recte, per le imprese individuali e familiari, per 96 PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA le società di persone e per le società di capitali a ristretta base azionaria o familiare operanti con consumatori finali), per contro, la tenuta della contabilità costituisce, tutto sommato, un adempimento del quale nel silenzio della legge si potrebbe fare benissimo a meno. Nei decreti della riforma tributaria degli anni settanta del secolo scorso, manca la consapevolezza – solo successivamente acquisita – che l‘evasione delle piccole imprese si realizza, di regola, al di fuori della contabilità tramite l‘occultamento dei corrispettivi (ricavi o compensi) effettivamente conseguiti. L‘evasione delle imprese medio-grandi, invece, si realizza (anche in tal caso, di regola) all‘interno della contabilità tramite la registrazione di costi fittizi o di costi non inerenti, o tramite la realizzazione di operazioni economiche il cui scopo esclusivo è quello di ottenere un indebito risparmio di imposta. Così come manca pure la consapevolezza che ―contabilità formalmente regolare‖ non equivale necessariamente a ―contabilità attendibile‖: come avrebbe dimostrato l‘esperienza acquisita nel corso del tempo, il ―contribuente ordinato‖ (11) non è necessariamente il contribuente onesto. Per molti anni, complice – lo ribadisco –una non felice formulazione del testo normativo, ci si è fermati al dato letterale della legge per escludere la legittimità di accertamenti induttivi operati dall‘ente impositore in assenza di irregolarità formali nella tenuta delle scritture contabili: l‘uso della disgiuntiva ―ovvero‖ in luogo della congiuntiva ―e‖ nel corpo dell‘art. 39, comma 2, lett. d) DPR n. 600/1973 offriva ai contribuenti più smaliziati il destro per attaccare pretestuosamente la legittimità degli avvisi di accertamento (12). 7.2 Sotto il secondo invece, la natura pubblica dell‘obbligazione tributaria, in alcuni casi, l‘ampiezza dei poteri istruttori attribuiti alle Commissioni tributarie, in altri, la formulazione testuale di alcune norme processuali (come il previgente art. 35, comma 1 DPR n. 636/1972, testo originario), in altri (11)L‘espressione è di HENSEL, Diritto tributario (trad. it.), Milano, 1956 (ma Berlino, 1933), 247. 12 ( )La tesi avversata nel testo risulta ancor di più infondata non appena si tenga conto che fin dal testo originario della speculare disposizione dettata ai fini IVA [l‘art. 55, comma 2, n. 3) DPR n. 633/1972] è stata utilizzata la disgiuntiva ―ovvero‖. La natura dell‘imposta accertata – va da sé – non giustificava alcuna distinzione tra accertamenti induttivi del reddito d‘impresa (subordinati alla previa dimostrazione delle irregolarità formali delle scritture contabili) ed accertamenti induttivi delle operazioni IVA (sganciati, per contro, dalle modalità di tenuta dell‘impianto contabile). Anche se in via ermeneutica si sarebbe agevolmente potuta superare la littera legis per adottare un‘interpretazione sistematica della norma, la questione è stata risolta – come è pure è ben noto – dall‘art. 62 sexies, comma 4, lett. b), d.l. n. 331/1993, convertito dalla legge n. 427/1993 attraverso, appunto, la sostituzione della congiuntiva ―e‖ con la disgiuntiva ―ovvero‖. 97 PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA ancora, rappresentavano le giustificazioni addotte per limitare (se non addirittura per escludere più o meno consapevolmente) l‘applicazione della regola di giudizio fondata sull‘onere della prova nel processo tributario (recte, in quello che ancora stentava ad assumere la dignità di processo per essere relegato al rango di contenzioso). In questa prospettiva, veniva attribuita alle Commissioni tributarie una funzione di supplenza (per non dire, a volte, di preminenza) nella ricerca dei mezzi di prova da porre a base della sentenza. Il brocardo judex judicare debet iuxta alligata et probata partium, ora veniva tenuto fuori dal processo tributario (affermandone, per contro, la natura inquisitoria sostanziale, prima ancora che formale) ora, invece, veniva scisso in due tronconi per riconoscere l‘operatività innanzi alle Commissioni soltanto del primo corno (id est, il principio dispositivo in senso sostanziale) e non anche del secondo (id est, il principio dispositivo in senso formale). Così argomentando, ben poco (o nessuno) spazio poteva residuare alla regola di giudizio fondata sull‘onere della prova. L‘horror vacui di una decisione adottata in base ad essa induceva a porre a carico del giudice l‘obbligo di ricercare – anche in luogo delle parti – la verità dei fatti di causa. Nel contempo, almeno fino all‘inversione di rotta iniziato dalla S.C. con la storica sentenza della sez. 1 23 maggio 1979, n. 2990, la presunzione di legittimità degli atti amministrativi, in generale, e degli avvisi di accertamento, in particolare, faceva sentire i suoi effetti nefasti. Tanto più gravi, poi, tali effetti in quanto si andavano a combinare con l‘ulteriore tesi di matrice giurisprudenziale (ed altrettanto censurabile) consistente nel distinguere, pur nel silenzio della legge (ed anzi, in presenza di un dettato normativo che senza mezzi termini poneva a carico degli uffici tributari l‘obbligo di motivare la pretesa), tra motivazione omessa e motivazione insufficiente (13). 8 L‘evoluzione successiva è a tutti nota. Sul piano giurisprudenziale, si assiste ad un sempre più deciso superamento della presunzione di legittimità degli atti amministrativi, ad una sempre più decisa affermazione della natura dispositiva (sostanziale e formale) del processo tributario (grazie anche al nuovo testo dell‘art. 7, comma 1 d.lgs. n. 546/1992), nonché ad un sempre più deciso riconoscimento della legittimità di accertamenti analitici-induttivi volti a ricostruire la voce più importante del bilancio di un‘impresa (i ricavi) e basati su presunzioni semplici il cui fatto noto è il consumo di materie prime (14), l‘impiego di altro fattore produttivo ( 15), il costo di acquisto del prodotto (16). 13 ( )Ex multis, Cass., sez. I, 30 luglio 1984, n. 4541 e Cass., sez. I, 29 gennaio 1986, n. 402. 14 ( )Cass., sez. V, 10 gennaio 2008, n. 11093. 98 PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA Sul piano normativo, l‘annullamento giudiziale degli atti di accertamento per carenza di motivazione o per infondatezza della pretesa in uno con la raggiunta consapevolezza che sulla falsariga dell‘accertamento sintetico si possono stabilire in via astratta correlazioni di ordine parametrico tra fatti noti e fatti ignoti volti a ricostruire i ricavi, i compensi ed i corrispettivi o, ancora, l‘intera base imponibile, spingono sempre più il legislatore ad introdurre metodi di accertamento ed argomentazioni induttive ora alternativi a quelli tradizionali ora, invece, innervati sui metodi classici. Sia pure ancora con qualche riserva sull‘attendibilità dei collegamenti inferenziali posti dalla legge, i coefficienti della c.d. Visentini-ter (17), i coefficienti presuntivi di compensi e ricavi ed i coefficienti presuntivi di congruità ( 18), la c.d. minimum tax (19), i parametri (20) e, da ultimo, gli studi di settore ( 21) sono altrettante risposte sul piano dell‘accertamento e, come per la minimum tax, su quello della riscossione alla stessa, identica domanda di fondo: se il tributo è dovuto ed in che misura è dovuto. Le modifiche di recente apportate dal d.l. n. 78/2010 (conv. dalla legge n. 122/2010) all‘art. 38 DPR n. 600/1973 e, in particolare, il nuovo metodo di accertamento (ma forse si dovrebbe più correttamente parlare della nuova presunzione legale) che assume a fatto noto ―le spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d‘imposta‖ ( 22) si collocano nel solco 15 ( )Cass., sez. V, 13 aprile 2007, n. 8869. 16 ( )Cass., sez. V, 2 ottobre 2009, n. 21147. 17 ( )Art. 2, comma 29 d.l. n. 853/1984 conv. dalla legge n. 17/1984. 18 ( )Artt. 11 e 12 d.l. n. 69/1989 conv. dalla legge n. 154/1989. 19 ( )Art. 11 bis d.l. n. 384/1992, conv. dalla legge n. 438/1992. 20 ( )Art. 3, commi 181-189 della legge n. 549/1995. 21 ( )Art. 62 sexies, comma 3 d.l. n. 331/1993, conv. dalla legge n. 427/1993, artt. 10 e 10-bis della legge n. 146/1998 (come da ultimo modificati dall‘art. 37 d.l. n. 223/2006, conv. dalla legge n. 296/2006), nonché art. 70 della legge n. 342/2000. 22 ( )È agevole prevedere che le spese il cui sostenimento farà scattare in forza del nuovo art. 38, comma 4 DPR n. 600/1973 l‘accertamento saranno, in prima battuta, quelle già individuate dalla G. di F. nella circolare n. 1 del 29 dicembre 2008 ed i cui beneficiari sono o lo stesso contribuente che le sostiene oppure i terzi legati al primo da un rapporto di parentela (come la moglie ed i figli): tra le altre, il pagamento di consistenti rate di mutuo o di consistenti rette per la frequentazione di scuole private; il pagamento di canoni di locazione finanziaria in relazione ad unità immobiliari di pregio, auto di lusso, natanti da diporto; il pagamento di canoni per l‘affitto di posti barca; il sostenimento di spese di ristrutturazione di immobili o per l‘acquisto di arredi di lusso; il pagamento di quote di iscrizione in circoli esclusivi; la partecipazione ad aste; le spese sostenute per viaggi; l‘acquisto di beni di particolare valore (quadri, gioielli, etc.); la disponibilità di quote di riserve di caccia e di pesca; il sostenimento di spese per hobby particolarmente costosi; l‘assidua frequentazione di case da gioco (anche se, diversamente dalle altre, tale fatto noto di per sé non consente di passare alla determinazione del reddito). 99 PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA tracciato e perseguono le stesse finalità: agevolare gli uffici tributari nell‘individuare la ricchezza da assoggettare a tassazione, nel determinare nel quantum tale ricchezza, nel ricorrere in via di ultima analisi ad uno strumento (quello della presunzione legale) che possa poi resistere al vaglio dei giudici. Sotto quest‘ultimo profilo, come anche di recente la S.C. ha ribadito nel pronunciarsi sull‘accertamento sintetico ante novella del 2010, ―il giudice tributario, una volta accertata l‘effettività fattuale degli specifici elementi rilevatori di capacità contributiva, non può privare tali elementi della capacità presuntiva che la legge ha inteso annettere alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma‖ (23). 9 Il sempre più massiccio ricorso alle presunzioni legali nell‘area dell‘accertamento tributario pone non pochi problemi derivanti, tutti, dalla natura del tipo di collegamento inferenziale posto dalla legge. Benché anche in sede civile ci si continui ad interrogare sulla loro natura, le presunzioni legali propriamente dette a mio avviso non sono propriamente prove. Le presunzioni legali non tengono conto del singolo contesto storico e non sono finalizzate affatto a convincere (il funzionario della p.a. o il giudice) che il fatto ignoto in tal modo ricostruito sia vero, quanto semmai ad imporre (all‘uno ed all‘altro) di adeguarsi agli effetti stabiliti dalla norma. Prima ancora che invertire gli oneri della prova (come si suole tralaticiamente sostenere), le presunzioni legali relative ed i metodi parametrici volti alla rideterminazione della base imponibile operano sul piano sostanziale assumendo la legge come vero il fatto ricostruito in via induttiva. Tra la formulazione astratta della norma e la sua applicazione al caso concreto la prova rappresenta una sorta di liaison (o di ponte che dir si voglia) il cui impiego – in tutti quei casi in cui l‘attuazione del diritto passa attraverso l‘accertamento del fatto storico ed in cui lo stesso fatto è controverso – è in un certo senso imposto in uno Stato di diritto al soggetto titolare della funzione di accertamento o al soggetto titolare della funzione giudiziaria: l‘A.f. al pari del giudice tributario deve motivare i propri atti; il giudice tributario, non diversamente dal giudice civile, amministrativo o penale che sia non può non decidere. La prova – lo ribadisco – è la risposta ad una questione empirica. Ed una questione empirica si risolve volta per volta, individuando, selezionando e valutando il materiale informativo a disposizione: una conoscenza 23 ( )Cass., sez. V, 29 aprile 2011, n. 9549. 100 PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA predeterminata dalla legge e dalla legge imperativamente imposta non è una vera conoscenza (24). Come pure dimostra l‘esperienza ben poco edificante della modifica apportata all‘art. 39, comma 1, lett. d) DPR n. 600/1973 dall‘art. 35, comma 3 d.l. n. 223/2003 conv. dalla legge n. 248/2006 gli innesti in un sistema di prove giuridiche di strumenti quali le presunzioni legali (sia pure relative) che non hanno natura di prova non sono così scontati (al punto da operarli in via di decreto legge), in specie quando si pretenda di integrare una prova logica con un‘inferenza induttiva di tipo legale (25). Tutt‘al più, alle presunzioni legali può essere riconosciuta una funzione paracognitiva nel senso che (per restare alla funzione da esse svolte nell‘accertamento tributario) gli uffici tributari, anche quando le utilizzano, sono pur sempre obbligati ad accertare la capacità economica effettiva del contribuente sottoposto al controllo ed a svolgere, di conseguenza, un‘istruttoria adeguata al caso di specie. 10 Di ciò è sempre più consapevole la nostra giurisprudenza ed il nostro legislatore. Non è un caso, infatti, che a livello costituzionale la Consulta abbia ormai definitivamente superato la propria risalente giurisprudenza ispirata ad un odioso fiscalismo. Non è più la presunzione pro fisco una prova legale volta a creare stabilità e certezza e ad evitare nel contempo <<la libera scelta dei mezzi di prova>> a disposizione del contribuente ( 26), né tanto meno risulta indifferente interrogarsi sulla natura assoluta o relativa del modulo presuntivo costruito dalla legge (27). Le presunzioni fiscali sono ragionevoli (art. 3 Cost.), non ledono il diritto di difesa del contribuente (art. 24, co. 2, Cost.) e sono conformi al principio di capacità contributiva (art. 53, co. 1, Cost.) se ed in quanto rispecchino i dati dell‘esperienza comune (vanno, quindi, costruite dalla legge secondo criteri di normalità) e se ed in quanto abbiano natura 24 ( )Così, tra gli altri, TARUFFO, «Presunzioni (diritto processuale civile)», in Enc. giur., XXIV, Roma, 1991, 3 e MENGONI, Gli acquisti «a non domino», Milano, 1975, 353. 25 ( )Quanto fosse irragionevole ed asistematica la novella richiamata nel testo è dimostrato, a tacer d‘altro, dalla successiva abrogazione dell‘ultimo periodo dell‘art. 39, comma 1, lett. d) DPR n. 600/1973 ad opera dell‘art. 24, comma 5 della legge 88/2009. 26 ( )Così Corte Cost., 26 giugno 1965, n. 50 27 ( )Così Corte Cost., 12 luglio 1967, n. 109. 101 PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA relativa (devono, quindi, sempre assicurare al contribuente il diritto di difendersi provando) (28). Così come non è un caso che nell‘ottica di ancorare l‘accertamento al singolo contesto di riferimento nei coefficienti presuntivi di reddito e di congruità, negli studi di settore e, da ultimo, nel nuovo accertamento sintetico (sia esso svolto per il tramite del c.d. spesometro, sia invece compiuto per mezzo del più tradizionale strumento rappresentato dal redditometro) il contraddittorio tra contribuenti ed A.f. costituisca una condizione di legittimità degli accertamenti emessi sulla base delle presunzioni (29). L‘esigenza di contestualizzare le presunzioni fiscali attraverso il coinvolgimento (obbligatorio e non meramente facoltativo) del contribuente nella fase dell‘accertamento è sottesa ancora all‘avvenuto riconoscimento, da parte della Consulta, della legittimità costituzionale dei coefficienti presuntivi di compensi e ricavi e dei coefficienti di congruità ( 30), ed al ruolo assegnato dalla Corte di legittimità (anche attraverso la riaffermazione da parte della S.C. della natura precettiva e non meramente programmatica dell‘art. 53, comma 1 Cost.) agli studi di settore sia pure depotenziandone la forza da presunzioni legali (secondo la stessa voluntas legis) a presunzioni semplici (31). L‘ulteriore step dell‘evoluzione del pensiero della Corte di legittimità dovrebbe essere quello di riconoscere l‘obbligatorietà del contraddittorio in tutti gli altri casi in cui la determinazione della materia imponibile è realizzata attraverso il ricorso a presunzioni legali quali, per tutte, quelle previste in tema di accertamenti bancari (32). 28 ( )V., ex multis, Corte Cost., 12 luglio 1967, n. 103; C. Cost., 16 luglio 1968, n. 99; Corte Cost., 28 luglio 1976, n. 200; Corte Cost., 26 marzo 1980, n. 42; Corte Cost., 23 luglio 1987, n. 283; C.orte Cost., ord. 28 luglio 2004, n. 297. 29 ( )Che il contraddittorio endoprocedimentale diventi sempre più la regola nei rapporti tra fisco e contribuenti è confermato dai primi chiarimenti forniti dall‘A.f. a commento delle modifiche apportate all‘art. 38 DPR n. 600/1973. L‘obbligo di attivare il contraddittorio in forza del nuovo comma 7 dell‘art. 38 DPR n. 600/1973 è ritenuto dall‘Agenzia delle entrate in linea con le disposizioni contenute nella legge 27 luglio 2000, n. 212 (circolare n. 4/E del 15 febbraio 2011), in tal modo riconoscendo che già dallo Statuto dei diritti del contribuente sia evincibile il diritto del privato a partecipare al procedimento di accertamento. 30 ( )Corte Cost., ord. 24 gennaio 1992, n. 22. 31 ( )Cass., SS.UU., 18 dicembre 2009, n. 26638 e 26639. A tale giurisprudenza si è uniformata la sez. V come dimostrano, tra le tante, le sentenze 28 febbraio 2011, n. 4792 e 6 luglio 2010, n. 15905. 32 ( )È noto al riguardo come l‘orientamento univoco della S.C. sia nel senso di escludere in capo agli uffici tributari l‘obbligo di sentire in contraddittorio il contribuente allorché i primi facciano ricorso alle presunzioni il cui fatto noto è il versamento sui (o il prelevamento dai) conti correnti bancari e postali: ex multis, le sentenze della sez. V, 13 marzo 2009, n. 6094; 15 febbraio 2008, n. 3900; 7 febbraio 2008, n. 2821. 102 PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA Sia pure nel silenzio della legge, l‘intervento del contribuente nella fase dell‘accertamento non più in chiave passiva e collaborativa ma nella nuova chiave attiva e partecipativa porta necessariamente con sé, a meno di svalutare il ruolo stesso del contraddittorio endoprocedimentale, l‘obbligo a carico dell‘A.f. di prendere posizione nella stesura della motivazione dell‘accertamento sugli elementi allegati al (e sui documenti prodotti nel) procedimento dal privato (33). Parimenti, comporta l‘ulteriore conseguenza (pure già delineata dalla S.C. nella richiamata giurisprudenza sugli studi di settore) che il contribuente sarà sempre libero nella successiva fase processuale di addurre elementi e prove ultronee rispetto a quelli versati nel corso del procedimento amministrativo: le preclusioni probatorie previste dall‘art. 52, comma 5 DPR n. 633/1972 e dall‘art. 32, penultimo comma DPR n. 600/1973 costituiscono una riaffermazione dell‘obbligo di collaborazione, non del diritto di partecipazione. 11 La decontestualizzazione (ontologica, si direbbe) delle presunzioni legali rispetto al singolo tema di prova è sottesa, ancora, alla previsione di requisiti alla cui sussistenza è spesso subordinato ex positivo jure l‘impiego della stessa inferenza induttiva. In termini analoghi a quanto, ad es., dispone l‘art. 10 della legge n. 146/1998 nell‘individuare (in specie nel comma 4) tutta una serie di fatti impeditivi all‘applicazione degli studi di settore e sulla falsariga del testo previgente dell‘art. 38 DPR n. 600/1973, molto opportunamente il nuovo art. 38 oltre ad ammettere la prova contraria ( 34) ed oltre a rendere obbligatorio il contraddittorio stabilisce una soglia legale di scostamento tra reddito dichiarato e reddito accertabile in base alla spesa o in base al redditometro (nuovo comma 6 dell‘art. 38). Lo scostamento di ―almeno un quinto‖ tra l‘uno e l‘altro corno della forbice è un‘ulteriore riaffermazione dell‘esigenza di agganciare uno strumento (quale la presunzione legale) di per sé avulso per sua stessa natura dalla realtà economica del singolo contribuente alla capacità effettivamente manifestata dal soggetto sottoposto all‘accertamento. Un‘analoga ratio ispira il nuovo comma 5 dell‘art. 38 DPR n. 600/1973 laddove si prevede il ricorso alla ―analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell‘area 33 ( )V. in terminis già Cass., sez V, 22 febbraio 2008, n. 4264. 34 ( ) A rigor di termini, in presenza di una presunzione legale relativa, sarebbe più esatto parlare della tutela riservata al contribuente del diritto di difendersi provando la non riferibilità alla sua situazione personale del fatto ignoto ricostruito ex positivo jure. Ciò in quanto, come pure abbiamo illustrato nel testo, le presunzioni legali più che invertire gli oneri di prova spostano i temi di prova rendendo non più bisognevole di prova ciò che, per contro, in assenza della presunzione, andrebbe dimostrato. 103 PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA territoriale di appartenenza‖. Come già avvenuto nel passaggio dai vecchi coefficienti di compensi, di ricavi e di congruità agli studi di settore, le presunzioni legali e le argomentazioni induttive in generale vanno sempre più calate già a livello di elaborazione nel contesto storico di riferimento. Indicativa in tal senso è pure l‘ulteriore novità della revisione ―con cadenza biennale‖ del nuovo redditometro (ancora art. 38, comma 5 DPR n. 600/1973). Parimenti, è da salutare con favore l‘abrogazione del vecchio comma 6 dell‘art. 38 DPR n. 600/1973 e, per l‘effetto, la scomparsa della presunzione legale il cui fatto noto era rappresentato dalla spesa per incrementi patrimoniali di cui pure la legge presumeva, salvo prova contraria, il sostenimento con redditi conseguiti nell‘anno in cui è stata effettuata e nei cinque. Sul punto si deve registrare la raggiunta consapevolezza di come tale strumento, nonostante il tentativo di estenderne il più possibile la portata attraverso la riduzione da cinque a quattro anni dell‘arco temporale di riferimento (35), abbia probabilmente posto più problemi applicativi di quanti ne abbia risolti (in specie a livello di gettito). 12 Le presunzioni legali, in generale, e quelle previste in campo fiscale, in particolare, hanno a nostro avviso natura bivalente: sul piano sostanziale, semplificano le fattispecie regolate dalla legge ponendo un automatismo tra il fatto noto indiziante ed il fatto ignoto la cui rispondenza al vero andrebbe altrimenti accertata, mentre su quello processuale dispensano il soggetto a cui vantaggio sono poste dall‘onere di dimostrare il fatto presunto regolando nel contempo gli effetti che nel processo conseguono alla mancata dimostrazione del suo contrario. Se si condivide la premessa, si deve pure ammettere che la tutela offerta dall‘ammissibilità della prova contraria non è ancora sufficiente per stabilire la conformità delle presunzioni legali al dettato costituzionale. La natura empirica del giudizio di fatto comporta che occorre verificare di volta in volta se il contribuente, a fronte dell‘astratta previsione normativa di fornire la prova contraria, sia in grado di assolvere sul piano concreto l‘onere di prova posto a suo carico dalla legge, e se possa in tal modo dimostrare che la sua capacità economica è inferiore a quella presunta dalla legge. In caso negativo, alla previsione astratta della norma corrisponderebbe un‘inferenza induttiva operante nel singolo caso come presunzione assoluta; con l‘ulteriore conseguenza che la norma che quella presunzione ponesse, se fosse pure avulsa dall‘id quod plerumque accidit, sarebbe incostituzionale anche per violazione del principio di ragionevolezza e del principio di capacità contributiva. 35 ( )Art. 2, comma 14-quater d.l. n. 203/2005, conv. dalla legge n. 248/2005. 104 PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA In questa chiave di lettura, ci sembra difficilmente sostenibile la costituzionalità delle presunzioni legali c.d. miste (o semi-assolute), ovverosia delle presunzioni di cui la legge individui non solo il collegamento fatto noto/ fatto ignoto, ma anche il mezzo di prova utilizzabile dal contribuente in chiave difensiva (36). Così come, ci sembra pure difficilmente sostenibile la costituzionalità di presunzioni legali in cui la legge stabilisca, in via astratta e generalizzata, i possibili temi di prova contraria. Il canone dell‘interpretazione adeguatrice deve a nostro avviso condurre ad interpretare le norme che individuino i temi o i mezzi di prova contraria come mere esemplificazioni, non già come tassative prescrizioni. La libertà dei temi di prova contraria, già riconosciuta dalla S.C. con riferimento al previgente comma 6 dell‘art. 38 DPR n. 600/1973 ( 37), deve pertanto essere riaffermata anche con riguardo al nuovo comma 5 dello stesso art. 38 post riforma del 2010. 13 La novella del 2010 conferma che, a regime, il ricorso alle presunzioni legali non è subordinato alla previa acquisizione al procedimento o al previo accertamento di determinati fatti. Il nuovo comma 4 dell‘art. 38 DPR n. 600/1973, non diversamente dal previgente comma 4 di questo stesso articolo, conferma un‘ulteriore linea di tendenza delle scelte operate dal legislatore in quest‘ultimi anni: rispetto ad un passato ormai molto remoto, il ricorso a presunzioni legali non è collegato né (a maggior ragione) subordinato all‘esistenza di gravi inadempienze da parte del contribuente: l‘espressione ―indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall‘art. 39‖, più volte impiegata nei provvedimenti normativi volti a regolamentare i nuovi metodi di accertamento, è contenuta tel quel nel vecchio come nel nuovo testo dell‘art. 38, comma 4 DPR n. 600/1973 e sta a 36 ( )Benché esuli dalla materia dell‘accertamento delle imposte sui redditi e dell‘IVA giova richiamare in questa sede la sentenza 21 aprile 2000, n. 114 con la quale – come è noto – la Consulta dichiarò l‘incostituzionalità dell‘art. 19, comma 1 d.l. n. 688/1982, conv. dalla legge n. 873/1982 nella parte in cui limitava alla prova documentale il mezzo di prova contraria idoneo superare la presunzione (legale) di trasferimento del tributo doganale, dell‘imposta di fabbricazione, e dell‘imposta di consumo sull‘acquirente. 37 ( )Sulla libertà di prova del contribuente nell‘impugnare avvisi di accertamento IRPEF emessi con il metodo sintetico o avviso di accertamento IVA basati sulla presunzione di cessione e di acquisto v., tra le altre, Cass. sez. V, 7 maggio 2005, n. 10345; Cass. sez. V, 6 agosto 2003, n. 11863; Cass. sez. V, 31 marzo 2006, n. 7654; Cass. sez. V, 4 aprile 2000, n. 4098. A ben altre conclusioni è, invece, pervenuta la S.C. quando ha negato al contribuente il diritto di difendersi a fronte di iscrizioni a ruolo operate con la c.d. miminum tax allegando in giudizio fatti impeditivi ultronei rispetto a quelli indicati dall‘art. 11-bis, commi 2 e 3 d.l. n. 384/1992. 105 PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA significare, appunto, la raggiunta consapevolezza che le presunzioni legali non hanno (e non dovrebbero mai avere) carattere sanzionatorio (o parasanzionatorio). Presunzioni legali ed argomentazioni induttive sono uno strumento per accertare la capacità contributiva, non per catastizzare il reddito. Ben si spiega, del resto, come l‘accertamento sintetico previsto dal vecchio art. 38, comma 4 DPR n. 600/73 sia passato più volte indenne da censure di incostituzionalità (38). È prevedibile, sulla base delle stesse argomentazioni addotte dalla Consulta per riconoscere la legittimità costituzionale dell‘accertamento sintetico ante novella del 2010, che anche la nuova presunzione legale il cui fatto noto è la spesa possa superare il vaglio di costituzionalità. Resta comunque fermo che, nonostante l‘ampia formulazione della norma, non qualsiasi spesa potrà essere posta alla base dell‘accertamento ma solo quella che secondo l‘id quod plerumque accidit ed in relazione al contesto storico di riferimento sia adeguatamente rappresentativa della capacità economica del soggetto sottoposto al controllo. 14 Discorso a parte, e con questo mi avvio alla conclusione, meritano tutta quella congerie di disposizioni collocate sistematicamente in provvedimenti normativi diversi dai più volte richiamati decreti n. 600/1973 e n. 633/1972 e frutto, spesso, di scelte poco o nulla meditate (come pure sta a dimostrare l‘eccesivo ricorso allo strumento della decretazione d‘urgenza). Se presunzione legale è il collegamento fatto noto/ fatto ignoto stabilito dalla legge e se la presunzione in tanto è costituzionalmente legittima in quanto, prima ancora di essere relativa, risponda al principio di ragionevolezza, v‘è da chiedersi se effettivamente siano presunzioni (e non piuttosto assimilazioni, equiparazioni e, più in generale, norme che prevedono principalmente conseguenze di tipo sostanziale prima ancora che conseguenze di tipo probatorio) e siano poi conformi a Costituzione quelle, ad es., poste dall‘art. 2, comma 2 bis TUIR per contrastare il trasferimento fittizio in paesi black-list della residenza delle persone fisiche, dall‘art. 73, commi 5 bis e 5 quater TUIR per contrastare il fenomeno dell‘esterovestizione delle società, dall‘art. 110, commi 10 e 12 bis per contrastare la deducibilità di spese o di altri componenti negativi sostenuti con controparti estere localizzate in paesi black-list, quella dettata dall‘art. 30, comma 3 della legge n. 724/1994 per contrastare il fenomeno delle c.d. società di comodo o, ancora, dall‘art. 10 d.l. n. 78/2009 conv. dalla legge n. 38 ( ) Corte Cost., 23 luglio 1987, n. 283 e Corte cost., ord. 28 luglio 2004, n. 297. 106 PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA 25/2010 per contrastare l‘effettuazione di investimenti o la detenzione di attività in paesi black-list (39). In effetti, in questi ed altri consimili casi, non siamo in presenza di vere e proprie tipologie di accertamento se per tipologia intendiamo la definizione di metodi accertativi diversi ed ultronei rispetto a quelli di cui finora abbiamo parlato. Prova ne sia, come pure l‘esperienza insegna, che tali norme sono sempre applicate dal Fisco in combinato disposto con quelle dettate sui metodi di accertamento. Eppure, in modo forse ancora più pressante di quanto abbiamo constatato con riguardo alla materia dell‘accertamento propriamente detta, le inversioni e (soprattutto) gli spostamenti degli oneri probatori dall‘A.f. al contribuenti previsti da tali disposizioni rendono in non pochi casi ancora più difficile per i contribuenti l‘assolvimento di tali oneri di quanto non lo sia l‘assolvimento degli oneri probatori per superare le risultanze delle presunzioni legali propriamente dette. In specie laddove la norma che la presunzione (o la pseudo-presunzione) pone prescinde dal collegamento fatto noto/ fatto ignoto per procedere direttamente alla quantificazione del reddito la massima di esperienza ed il criterio di normalità alla prima sotteso non costituisce più uno dei parametri cui si possa e si debba avere riguardo nel sindacato costituzionale (sul piano della ragionevolezza). Nondimeno, le implicazioni che queste stesse norme hanno (oltreché sul piano sostanziale, anche) sul piano processuale rende imprescindibile il sindacato costituzionale, oltreché ai sensi dell‘art. 53, comma 1 Cost., in forza pure dell‘art. 24, comma 2 Cost. e dell‘art. 111 comma 2 Cost. Con particolare riguardo al principio della parità delle armi dettato dall‘art. 111, comma 2 Cost. va condiviso quanto la Consulta ha di recente sostenuto, più o meno consapevolmente, uniformandosi alla già richiamata sentenza della S.C. n. 2990 del 1979 ed a quanto pure era stato sostenuto in dottrina (40): ―La rilevanza pubblicistica dell‘obbligazione tributaria giustifica ampiamente i penetranti poteri che la legge conferisce all'Amministrazione nel corso del procedimento destinato a concludersi con il provvedimento 39 ( )In effetti, l‘equivocità del termine ―presunzione‖ nasce già dalla legge: se da un lato, la definizione dell‘art. 2727 c.c. non lascia dubbi nel senso di ritenere che anche la presunzione legale è un collegamento tra due fatti, per contro l‘art. 2728, comma 2 c.c. – benché impieghi il termine ―presunzione‖ – finisce con il prescindere dall‘esistenza di un simile collegamento. Pur non potendo in questa sede approfondire ex professo il tema, l‘eccezionalità del ricorso alla prova contraria, previsto dallo stesso art. 2728, comma 2 c.c. nei casi stabiliti dalla legge dovrebbe portare a ritenere che siamo in presenza non di presunzioni relative, ma di presunzioni assolute. 40 ( )Sia consentito rinviare sul punto ai miei scritti La prova tra procedimento e processo tributario, Padova, 2005, 4 ss. e 522 ss., e Sulla ripartizione degli oneri probatori nel processo tributario tra nuovi (quanto, forse, ormai tardivi) sviluppi giurisprudenziali e recenti modifiche normative, in Rassegna tributaria, 2006, 594 ss. 107 PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA impositivo, ma certamente non implica affatto - né consente - che tale posizione si perpetui nella successiva fase giurisdizionale e che, in tal modo, sia contaminata l'essenza stessa del ruolo del giudice facendone una sorta di longa manus dell‘Amministrazione: in particolare, attribuendo al giudice poteri officiosi che, per la indeterminatezza dei presupposti del loro esercizio (o non esercizio), sono potenzialmente idonei a risolversi in una vera e propria supplenza dell'Amministrazione‖(41). Indubbiamente, le norme precedentemente richiamate trovano tutte la loro ratio nello scopo di combattere l‘evasione e l‘elusione fiscale. Tale ratio è consustanziale al principio di capacità contributiva per la decisiva ragione che comportamenti evasivi od elusivi alterano la giusta ripartizione dei carichi pubblici tra i consociati. Nelle ben note letture del principio di capacitè contributiva da parte della S.C., anzi, l‘art. 53, comma 1 Cost. diventa norma imperativa per la p.a. (42) come per i contribuenti ( 43). Queste stesse norme, ancora, non diversamente da quelle che costruiscono inferenze induttive tra due fatti determinano – lo dicevamo – uno spostamento degli oneri di prova tale per cui il soggetto nei cui confronti queste stesse norme sono applicate si trova gravato di un onere che, nel silenzio della legge, incomberebbe sulla controparte. Con questo non voglio certo dire che la compressione del principio at arm‘s lenght si traduca di per sé nella incostituzionalità della norma ben potendo il legislatore ordinario comprimere tale principio in nome di altri principi (pure essi aventi dignità costituzionale) come quello di assicurare la pronta e sicura esazione del tributo. A ben vedere, in via di principio nulla osta a che la legge, ricorrendo ad inferenze di tipo induttivo, alle assimilazioni, alle equiparazioni o più in generale a ―norme di diritto materiale che prevedono conseguenze di tipo sostanziale‖ (44) e (aggiungerei io) di tipo processuale , sostituisca sul piano procedimentale una fattispecie ad un‘altra e sposti di conseguenza, su quello processuale, gli oneri della prova dall‘A.f. al contribuente riducendo fortemente gli oneri probatori della prima ed accentuando, simmetricamente, gli oneri probatori del secondo. Perché però possa deviare dall‘assetto ordinario, la norma deve essere ragionevole, deve rispondere ad una difficoltà oggettiva del Fisco di accertare la capacità economica effettivamente manifestata dal contribuente, e non deve porre a carico del privato un onere di prova diabolico. Se così non fosse, la norma stessa finirebbe essa stessa 41 ( ) Corte Cost., 29 marzo 2007, n. 107. 42 ( ) Mi riferisco alla già richiamata giurisprudenza in tema di studi di settore. 43 ( ) Mi riferisco alle sentenze sull‘abuso del diritto SS.UU., 23 dicembre 2008, n. 30055, 30056 e 30057. 44 ( ) L‘espressione è di Patti, Prova testimoniale-Presunzioni, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2001, 124. 108 PROVE ED INVERSIONI DEGLI ONERI PROBATORI NELL‘ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI E NELL‘ACCERTAMENTO IVA con il creare – questa volta in danno del contribuente – un nuovo squilibrio difficilmente conforme al principio dell‘égalité des armes. Giuseppe Maria Cipolla Ordinario diritto tributario Università degli studi di Cassino 109 Prof. Alberto Comelli L‟individuazione dei dati e degli elementi rilevanti ai fini dei nuovi accertamenti sintetici Sommario: 1. Premessa: il testo dell‘art. 38 del d.p.r. n. 600/1973, novellato dall‘art. 22 del d.l. n. 78/2010 non postula un mero ―aggiornamento‖ della disciplina dell‘accertamento sintetico. – 2. Le ―spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d‘imposta‖, ai fini dei nuovi accertamenti sintetici ―puri‖. – 3. L‘individuazione degli elementi indicativi di capacità contributiva e l‘analisi di campioni significativi di contribuenti. – 4. Il potenziamento della rete informativa ai fini di un più proficuo approvvigionamento dei dati, con riferimento a tre direttrici autonome ma strettamente connesse. – 5. Profili comparatistici, con riferimento all‘ordinamento tedesco: non sembra che sia prevista una disciplina specifica relativamente all‘accertamento sintetico e si applica la disciplina generale, largamente dominata dalla collaborazione del contribuente. – 6. Osservazioni conclusive: l‘insussistenza di una pregiudizialità metodologica dei metodi accertativi diversi da quello sintetico e la realizzazione di un‘attività conoscitiva calibrata sull‘acquisizione essenzialmente in via telematica dei dati e degli elementi rilevanti, salvo l‘espletamento del contraddittorio endoprocedimentale. 1 Premessa: il testo dell‟art. 38 del d.p.r. n. 600/1973, novellato dall‟art. 22 del d.l. n. 78/2010 non postula un mero “aggiornamento” della disciplina dell‟accertamento sintetico La sostituzione dei commi quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo dell‘art. 38 del d.p.r. n. 600/1973, ad opera dell‘art. 22 del d.l. n. 78/2010, convertito con modificazioni dalla l. n. 122/2010, ―con effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto‖, ha prodotto non poco significative modifiche alla disciplina degli accertamenti sintetici ( 1). Nella prospettiva ―di 1 ( ) Cfr. A. MARCHESELLI, Accertamenti tributari e difesa del contribuente. Poteri e diritti nelle procedure fiscali, Milano, 2010, 203 ss.; Id., Garanzie e doveri nel nuovo redditometro, in Corr. trib., 2010, 3781 ss.; L. TOSI, Commento sub art. 38, in AA.VV., Commentario breve alle leggi tributarie, tomo II, Accertamento e sanzioni, a cura di F. MOSCHETTI, Padova, 2011, 228 e 229. Si vedano anche E.-M. BAGAROTTO, L‘accertamento sintetico dopo le modifiche apportate dal DL n. 78/2010, in Riv. dir. trib., 2010, I, 967 ss.; G. BERARDO, La rilevanza degli investimenti per la corretta determinazione del reddito sintetico, in Corr. trib., 2010, 3918 ss.; D. DEOTTO, Luci e ombre del nuovo accertamento sintetico, ivi, 2010, 3366 ss.; A. IORIO, Ampliato l‘ambito di applicazione dell‘accertamento sintetico, L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI ACCERTAMENTI SINTETICI adeguare‖ quest‘ultima ―al contesto socio-economico, mutato nel corso dell‘ultimo decennio‖, rendendola ―più efficiente e‖ dotandola ―di garanzie per il contribuente, anche mediante il contraddittorio‖ ( 2), il nuovo dato normativo in esame è molto più di un mero ―aggiornamento dell‘accertamento sintetico‖, come recita la rubrica dell‘art. 22 del d.l. n. 78/2010 e, secondo quanto è già stato esattamente rilevato in dottrina (3), avvia ―una vera e propria rivoluzione di metodo‖. Tale osservazione vale sia sul versante dell‘accertamento sintetico puro, sia su quello dell‘accertamento cosiddetto ―sintetico redditometrico‖, per usare una efficace locuzione indicata da un‘attenta dottrina ( 4). Queste due species del medesimo genus evidenziano profili disciplinari differenziati, come sarà meglio chiarito nel corso del presente contributo, ma presentano senza dubbio alcuni tratti comuni (5). Tra questi ultimi, si segnalano, a titolo esemplificativo quello della prova, che il contribuente può fornire, ―che il relativo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d‘imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d‘imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base ivi, 2010, 2666 ss.; C. PINO, L‘accertamento sintetico e il nuovo redditometro, ivi, 2010, 2057 ss. 2 ( ) Così recita il disposto dell‘art. 22, comma 1 del d.l. n. 78/2010. 3 ( ) Cfr. C. GLENDI, «Luci» e «ombre» sulla Manovra 2010, in Corr. trib., 2010, 2645. 4 ( ) Il riferimento è a M. BEGHIN, Profili sistematici e questioni aperte in tema di accertamento «sintetico» e «sintetico redditometrico», in Riv. dir. trib., 2010, I, 717 ss. Sulla confusione terminologica relativa all‘accertamento sintetico, dopo la riforma tributaria del 1973, cfr. R. LUPI, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, Milano, 2001, 591, nel senso che l‘accertamento in questione ―può essere caratterizzato, a dispetto del nome, da una notevole dose di analisi‖. Cfr. anche M. BEGHIN, Determinazione sintetica del reddito complessivo irpef, conoscenza delle fonti e alternatività dei metodi di accertamento in un recente arresto giurisprudenziale, in Riv. dir. trib., 2009, II, 784 ss.; F. BIANCHI, R. LUPI, Accertamento sintetico e dei c.d. «privati», in Il Diritto, Enc. giur. Sole 24 Ore, Milano, 2007, I, 41 ss. 5 ( ) Ai sensi dell‘art. 83, commi 8 e 9, del d.l. n. 112/2008, come modificati dalla l. di conversione n. 133/2008, è pianificata l‘esecuzione di un piano straordinario di controlli finalizzati alla determinazione sintetica del redito delle persone fisiche, in relazione agli anni 2009, 2010 e 2011. Tale piano è incentrato sugli elementi e circostanze di fatto certi alla luce delle informazioni desumibili dall‘anagrafe tributaria, ovvero acquisiti nell‘espletamento degli ordinari poteri istruttori, con particolare riferimento alle indagini creditizie e finanziarie. Nella selezione delle posizioni da sottoporre ai controlli in questione, saranno prioritariamente considerati i contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi senza evidenziare alcun debito d‘imposta ma per i quali sussistono elementi indicativi di capacità contributiva. 112 L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI ACCERTAMENTI SINTETICI imponibile‖ (6). Inoltre, per entrambe le species in questione, è obbligatorio (7), da un lato, l‘invito di comparizione al contribuente nella prospettiva di ―fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell‘accertamento‖ e, dall‘altro lato, l‘avvio del procedimento di accertamento con adesione ( 8). Alla luce di questo nuovo assetto normativo, mentre della disciplina del contraddittorio endoprocedimentale (9), della prova contraria (10) e dell‘apparato presuntivo ( 11) si occupano specificamente altre relazioni, alle 6 ( ) Così dispone il disposto del novellato art. 38, comma 4 dell‘art. 38, richiamato espressamente dall‘ultimo periodo del comma 5, con riferimento all‘accertamento sintetico redditometrico. 7 ( ) Ai sensi dell‘art. 38, comma 7, come riformulato dall‘art. 22 del d.l. n. 78/2010. 8 ( ) In virtù dell‘art. 5 del d.lgs. n. 218/1997. 9 ( ) La determinazione in via sintetica e inferenziale del reddito complessivo netto è necessariamente preordinata a stimolare la partecipazione, nella fase precontenziosa, del soggetto accertato e già in tale sede, a prescindere dall‘eventuale proiezione processuale, alla luce della documentazione prodotta e delle osservazioni formulate dal contribuente, dovrebbe emergere l‘ammontare del reddito globale ragionevolmente attribuibile ad esso. Cfr. G. RAGUCCI, Il «nuovo» accertamento sintetico tra principio del contraddittorio e garanzie del giusto processo, in Corr. trib., 2010, 3809 ss. 10 ( )Con riferimento alla disciplina precedente le modifiche apportate dal d.l. n. 78/2010, nel senso che sono ampie le possibilità di prova contraria offerte al contribuente, v. S. LA ROSA, Principi di diritto tributario, Torino, 2009, 351. Esse spaziano, a titolo esemplificativo ed estensivamente, dalla dimostrazione della provenienza delle risorse finanziarie da disinvestimenti patrimoniali, o da liberalità, o da redditi effettivi superiori rispetto a quelli catastali, ovvero da indebitamento o da disponibilità di altri familiari. Con riferimento alle limitazioni probatorie, in capo al contribuente, in ordine alla necessaria corrispondenza tra le spese per incrementi patrimoniali ed i redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d‘imposta, cfr. Cass. 20 marzo 2009, n. 6813, in Corr. trib., 2009, 1592 ss., con commento critico di S. MULEO, Limitazioni probatorie nella difesa del contribuente dall‘accertamento sintetico. Cfr. anche F. DE SIMONE, C. LEUCI, L‘accertamento sintetico e la prova contraria: profili problematici, in Dir. prat. trib., 2001, I, 830 ss., i quali sottolineano che la prova contraria è una prova impossibile e che il reddito derivante dalle tabelle è quasi incontestabile e l‘imposizione avviene su un reddito determinato da un atto amministrativo, con grave menomazione del diritto di difesa. 11 ( )Secondo G. TINELLI, Istituzioni di diritto tributario, Padova, 2010, 285, nota 96, l‘accertamento sintetico si fonderebbe ―su una presunzione legale di coerenza del reddito complessivo con quello desumibile dalla valorizzazione della spesa, giungendo così a ricostruire il fatto ignoto, cioè il reddito, sulla base della constatazione della certezza della spesa‖. Anche la giurisprudenza di legittimità è favorevole alla tesi secondo cui l‘art. 38, comma 4 del d.p.r. n. 600/1973 paleserebbe una presunzione legale: secondo Cass. 23 luglio 2007, n. 16284, in Fisco, 2007, 5226 e 5227, la presunzione di capacità contributiva ivi prevista è da qualificare ―legale‖ in quanto ―è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità l‘esistenza di una «capacità contributiva»‖ (nello stesso senso, v. già Id., 20 giugno 2007, n. 14367, in Corr. trib., 2007, 2849 ss., con commento di C. PINO); 113 L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI ACCERTAMENTI SINTETICI quali occorre rinviare, il presente contributo ha per oggetto la tematica della individuazione dei dati e degli elementi rilevanti ai fini di entrambi i tipi di accertamenti sintetici, vale a dire sia quelli puri, sia quelli redditometrici, per esaminare, successivamente, alcune problematiche connesse alla rete informativa ai fini dell‘approvvigionamento dei dati e degli elementi per espletare gli accertamenti in questione. 2 Le “spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d‟imposta”, ai fini dei nuovi accertamenti sintetici “puri” Il reddito complessivo netto del contribuente persona fisica poteva essere determinato, prima dell‘entrata in vigore della novella in questione, ―in base ad elementi e circostanze di fatto certi‖, a condizione che lo scostamento tra il reddito complessivo netto accertabile e quello dichiarato fosse pari almeno ad un quarto (12). La determinazione del reddito in via sintetica era Id., 30 ottobre 2007, n. 22936, in Fisco, 2007, 6307 ss., con commento di P. TURIS. Afferma che l‘amministrazione finanziaria è dispensata da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti indicativi di capacità contributiva, individuati dal redditometro e posti a base della pretesa tributaria (nella specie, il possesso di automobili) e grava sul contribuente l‘onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore, Id., 5 dicembre 2007, n. 25386, ivi, 2007, 6863 e 6864. In senso pienamente sintonico, v. già Id., 1 luglio 2003, n. 10350, ivi, 2003, 6017 ss.; Id., 22 settembre 2006, n. 20519, ivi, 2006, 7179 ss. Tuttavia, è preferibile aderire all‘impostazione seguita da altra parte della dottrina, secondo cui la rettifica in via sintetica del reddito delle persone fisiche postula(va) delle presunzioni semplici: gli ―elementi indicativi di capacità contributiva individuati‖ (così disponeva il testo dell‘art. 38, comma 4, del d.p.r. n. 600/1973 prima delle modifiche introdotte dal d.l. n. 78/2010) col redditometro si estrinsecano in fatti noti indizianti rispetto alla quantificazione dell‘elemento ignoto, costituito dall‘ammontare del reddito globale attribuibile alla persona fisica sottoposta ad accertamento, alla quale i medesimi elementi sono riferibili. Si tratterebbe di presunzioni che il giudice può apprezzare, di volta in volta e secondo la sua prudente valutazione, in sede di giudizio di impugnazione avverso l‘avviso di rettifica basato sul metodo sintetico, a condizione che esse siano gravi, precise e concordanti. Cfr. G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Padova, 2010, 424, secondo il quale il metodo sintetico è fondato su presunzioni semplici, che devono essere gravi, precise e concordanti; P. RUSSO, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2007, 310, per il quale sussiste una presunzione semplice tra gli indici di capacità contributiva individuati dal redditometro, ―concepiti come fatti noti indizianti, e l‘esistenza di una corrispondente capacità reddituale del soggetto che sostiene la spesa o dispone del denaro‖. Nel senso che l‘applicazione del redditometro al caso concreto determina una presunzione semplice, con un‘inversione dell‘onere della prova, cfr. Comm. trib. reg. di Roma (recte: del Lazio) 11 ottobre 2005, n. 76, in Fisco, 2005, 6673 e 6674. Cfr., da ultimo, D. DEOTTO, L‘accertamento sintetico alla prova di una presunzione ragionevole, in Corr. trib., 2010, 493 ss. 12 ( )Questa regola istituisce una franchigia tanto maggiore quanto è più elevato il reddito dichiarato: cfr. G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, cit., 423. Nello stesso senso, cfr. S. PANSIERI, Nuovi orientamenti normativi e 114 L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI ACCERTAMENTI SINTETICI consentita, in estrema sintesi, anche qualora, ai sensi, rispettivamente, dei numeri 2), 3) e 4) del comma 1 dell‘art. 32 del d.p.r. n. 600/1973, il contribuente non avesse ottemperato ai seguenti inviti ( 13): a) a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti, al fine di fornire dati e notizie rilevanti per l‘accertamento nei loro confronti, anche ai fini dei rapporti e delle operazioni bancarie e finanziarie; b) a esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell‘accertamento nei loro confronti; c) a restituire compilati e firmati questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico, rilevanti ai fini dell‘accertamento nei loro confronti (ovvero nei confronti di terzi con cui abbiano intrattenuto rapporti) ( 14). Il testo dell‘art. 38 del d.p.r. n. 600/1973, novellato dall‘art. 22 del d.l. n. 78/2010, stabilisce che l‘ufficio ―può sempre determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente‖ (così il comma 4), qualora ―il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato‖ (ai sensi del comma 6) (15) e non riproduce l‘applicazione delle regole dell‘accertamento sintetico nel caso in cui il contribuente non abbia ottemperato agli inviti sopra indicati sub lettere a), b) e c). Conseguentemente, da un lato, la determinazione sintetica non si riferisce più al concetto di ―reddito complessivo netto‖, ma al ―reddito complessivo‖, vale giurisprudenziali in materia di determinazione con metodo sintetico dei redditi delle persone fisiche, in Riv. dir. trib., 1992, II, 712. 13 ( )Nel senso che questa disposizione ha una ―chiara intonazione sanzionatoria‖ e risulta non agevolmente comprensibile: P. RUSSO, Manuale di diritto tributario. Parte generale, cit., 308. Cfr. anche A. NASTASIA, Accertamento sintetico del reddito e questionari esplorativi: utile combinazione fra metodologia accertativa e strumento istruttorio, in Fisco, 2007, 401 ss. 14 ( )Nell‘esercizio del peculiare potere determinativo, in via sintetica, del reddito complessivo netto delle persone fisiche, l‘ufficio dell‘agenzia delle entrate poteva utilizzare ―anche elementi e circostanze di fatto indicativi di capacità contributiva diversi da quelli‖ descritti nella tabella allegata al d.m. 10 settembre 1992 (così dispone l‘art. 1, comma 2 del decreto ministeriale 10 settembre 1992), come successivamente sostituita e aggiornata, sempre che si trattasse di ―elementi e circostanze di fatto certi‖. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle spese per effettuare viaggi molto costosi, ovvero per iscriversi a club di golf: G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, cit., 425; oppure al mantenimento dei figli presso istituti d‘istruzione privati, agli acquisti di gioielli e beni d‘antiquariato: R. LUPI, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, cit., 593. 15 ( )Secondo una regola che non è stata riprodotta alla luce della novella di cui all‘art. 22 del d.l. n. 78/2010, in caso di determinazione sintetica del reddito globale della persona fisica sottoposta al controllo, la spesa per incrementi patrimoniali si presume(va) sostenuta, ―con redditi conseguiti, in quote costanti, nell‘anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti‖, salvo prova contraria da parte del contribuente medesimo, ex art. 38, comma 5 del d.p.r. n. 600/1973. Sul parametro dell‘accumulazione del risparmio quinquennale o della cosiddetta quota di risparmio, cfr. Cass. 11 gennaio 2008, n. 436, in Fisco, 2008, 810 e 811. 115 L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI ACCERTAMENTI SINTETICI a dire al reddito al lordo degli oneri deducibili ( 16) e, dall‘altro lato, la franchigia è stata modificata, vale a dire diminuita, dal venticinque al venti per cento. Nonostante le suddette non poco rilevanti modifiche, sussiste una linea di continuità rispetto alla previgente disciplina dell‘art. 38 del d.p.r. n. 600/1973 (17) quanto alla base logica del metodo di accertamento sintetico. Difatti, è stabilita una correlazione logica e inferenziale tra un fatto noto, derivante dal sostenimento di ―spese di qualsiasi genere nel corso del periodo d‘imposta‖ ed un fatto ignoto, vale a dire il reddito complessivo attribuibile alla persona fisica sottoposta all‘indagine (18), salva la prova contraria del contribuente, suscettibile ―di dimostrare la natura già tassata di tale maggior reddito oppure l‘irrilevanza fiscale della spesa, connessa alla natura di mera modificazione patrimoniale dell‘erogazione‖ (19). In altre parole, la suddetta correlazione tra il fatto noto e quello ignoto valorizza la corrispondenza che, in condizioni di normalità, sussiste tra quanto una persona fisica spende e quanto essa guadagna nel medesimo periodo d‘imposta e prescinde dalla propensione alla 16 ( ) Come si evincerebbe dal disposto dell‘ultimo comma del novellato art. 38 del d.p.r. n. 600/1973, ai sensi del quale dal reddito complessivo determinato sinteticamente sono scomputabili gli oneri deducibili di cui all‘art. 10 del t.u.i.r.: in senso sintonico, cfr. L. TOSI, Commento sub art. 38, cit., 228. 17 ( )Nel senso che la disciplina dell‘accertamento sintetico, come modificata dal d.l. n. 78/2010, conforta l‘ipotesi secondo cui sussistono oneri impliciti di documentazione, che gravano su ogni contribuente, a prescindere dall‘attività esercitata, cfr. S. MULEO, Accertamento sintetico per spesa per investimenti patrimoniali e oneri impliciti di documentazione, in Corr. trib., 2011, 513. Afferma in modo condivisibile questo Autore che ―qualsiasi contribuente avrebbe l‘onere di tenere i propri conti in modo da ricostruire i propri movimenti finanziari, anche qualora non rientri tra i soggetti obbligati ad adempimenti contabili‖. 18 ( )Sul nesso inferenziale tra le spese sostenute (o la disponibilità da parte del contribuente di beni o servizi astrattamente idonei a far ritenere probabile il sostenimento di un certo importo di spese) e il reddito, cfr. G. TINELLI, Istituzioni di diritto tributario, cit., 286, testo e note 99 e 100. Secondo questo Autore, il nesso inferenziale in questione si riferisce al comportamento dell‘uomo medio, il quale destina al consumo personale o familiare somme non superiori a quelle di cui dispone a titolo reddituale o a titolo patrimoniale. Il riferimento, quindi, è al bonus pater familias, vale a dire ad un corretto amministratore del proprio patrimonio, mentre lo schema logico della determinazione sintetica ―si risolve nella predeterminazione legale di uno schema tipico di comportamento, rispetto al quale le deviazioni costituiscono una eccezione e, come tali, devono formare oggetto di prova positiva‖. Nello stesso senso, v. Id., L‘accertamento sintetico del reddito complessivo nel sistema dell‘irpef, Padova, 1993, 116 e 117. Per S. LA ROSA, Principi di diritto tributario, cit., 349, sussiste ―una normale corrispondenza tra quel che si guadagna e quel che si spende‖. 19 ( ) La locuzione citata è di G. TINELLI, Istituzioni di diritto tributario, cit., 287. 116 L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI ACCERTAMENTI SINTETICI spesa, la quale è essenzialmente soggettiva e non riportabile a massime di comune esperienza (20). Solo apparentemente la modifica di maggiore spessore consisterebbe nella determinazione del reddito complessivo del contribuente non più ―in base ad elementi e circostanze di fatto certi‖, bensì ―sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d‘imposta‖. Difatti, anche nel vigore della precedente disciplina era chiaro che con la prima locuzione si intendessero le spese di qualunque genere sostenute, a titolo di consumi o di investimenti, tra i quali rientravano, ad esempio, ―gli acquisti di immobili, di partecipazioni, di autovetture, di gioielli, di opere d‘arte e finanche‖ le spese ―per gli abiti firmati, per l‘iscrizione a centri benessere, per viaggi esotici eccetera‖ (21). Il concetto di ―spese di qualsiasi genere‖ appare più preciso e polarizza l‘attenzione dell‘interprete sulla capacità di spesa, intesa in senso volutamente ampio, ma non per questo ambiguo, da cui può desumersi, in via inferenziale, la sussistenza di un reddito globale, senza che vi sia la necessità di conoscere a priori e con certezza i singoli cespiti dai quali tale reddito possa derivare (22). Sotto il profilo letterale, viene espunto dal novellato disposto dell‘art. 38, comma 4 il riferimento alla ―certezza‖ (degli elementi e circostanze di fatto), ma anche questo profilo non dev‘essere sopravvalutato, in una prospettiva ad ampio respiro, laddove il nesso di collegamento tra le ―spese si qualsiasi genere‖ ed il contribuente che le ha ―sostenute‖ dev‘essere fondato su elementi di riscontro suscettibili di dimostrare (anche nell‘eventuale proiezione processuale) la sussistenza di tale nesso, vale a dire che quest‘ultimo dev‘essere ragionevolmente certo. D‘altro canto, tra le spese rilevanti ai fini dell‘espletamento dell‘accertamento in esame, non viene fatta alcuna distinzione tra quelle ordinarie e quelle straordinarie, dovendosi ritenere il concetto di ―spese di qualsiasi genere‖ onnicomprensivo, vale a dire che esso comprende anche le spese che, secondo la previgente disciplina, dovevano considerarsi ―per incrementi patrimoniali‖ (23). Sono rilevanti ai fini del concetto in questione 20 ( ) Cfr. A. MARCHESELLI, Accertamenti tributari e difesa del contribuente, cit., 205. 21 ( ) Così M. BEGHIN, Nella normalità economica un punto di partenza, in Dir. prat. trib., 2010, I, 941. 22 ( )Sottolinea esattamente M. BEGHIN, La determinazione sintetica dell‘imponibile irpef e il problema degli «scostamenti» tra reddito accertabile e reddito dichiarato, in Rass. trib., 2009, 222 ss., che, con riferimento alle spese attribuibili ad una certa persona, ―non si guarda a come viene prodotta la ricchezza, ma a come essa viene iniettata nel mercato, consumata, spesa, dispersa o, più semplicemente, trasformata in altri beni‖. 23 ( ) Si veda D. DEOTTO, Luci e ombre del nuovo accertamento sintetico, cit., loc. cit., 3368, il quale definisce l‘incremento patrimoniale come ―ogni bene o valore 117 L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI ACCERTAMENTI SINTETICI non solamente le spese ―tipiche, ma anche quelle che potrebbero essere denominate ―atipiche‖, le quali denotano una capacità reddituale della persona fisica, come, a titolo meramente semplificativo, le spese per l‘iscrizione a determinati ―circoli‖ sportivi o non sportivi e le spese per l‘organizzazione di eventi ―mondani‖ (feste, ricevimenti, eccetera). In altre parole, rilevano quelle spese che evidenziano un determinato tenore di vita, vale a dire effettive disponibilità economiche in capo alla persona fisica non in linea, per il periodo d‘imposta considerato, col reddito complessivo dalla stessa dichiarato (24), salva la prova contraria che essa può fornire, come in precedenza già sottolineato. Quale corollario, il metodo accertativo in esame individua il concetto di ―spesa‖ in termini molto ampi, quale esborso monetario suscettibile di ridurre (cioè depauperare) il patrimonio del contribuente, in via definitiva, quale che sia il titolo (giuridico) di sostenimento di tale spesa (25). Un altro profilo che merita di essere sottolineato consiste nella individuazione delle spese sostenute dalla persona fisica secondo il ―criterio di cassa‖, valorizzando pertanto tutte quelle spese effettivamente sostenute nel periodo d‘imposta sottoposto ad accertamento, a prescindere dalla natura di acconto, ovvero di saldo, delle stesse (26). Il criterio del ―sostenimento‖ della spesa attribuisce rilevanza esclusiva al momento dell‘effettivo esborso da parte del soggetto, che individua il periodo d‘imposta al quale tale costo dev‘essere imputato, previo invito al contraddittorio nei confronti del contribuente medesimo (27). 3 Gli “elementi indicativi di capacità contributiva” e l‟“analisi di campioni significativi di contribuenti” ai fini dei nuovi accertamenti redditometrici Sotto il profilo del dato normativo, il testo dell‘art. 38, comma 4 vigente ratione temporis prima delle modifiche apportate dall‘art. 22 del d.l. n. 78/2010 (28), fondava la determinazione induttiva del reddito o del maggior destinato ad incrementare, con un certo grado di stabilità, il patrimonio del contribuente‖. 24 ( ) Sembrano rilevanti ai fini in questione, sia i finanziamenti effettuati dai soci a favore di società di comodo, sia i trasferimenti di denaro all‘estero. 25 ( ) In senso sintonico, cfr. C. PINO, L‘accertamento sintetico e il nuovo redditometro, cit., loc. cit., 2059. 26 ( ) Sul ―principio di cassa‖, cfr. D. DEOTTO, La spesa come dato standard di partenza del «sintetico», in Corr. trib., 2011, 593 ss. e specialmente 594. 27 ( ) Il contribuente, per esempio, potrà fornire la prova in sede di espletamento del contraddittorio con l‘ufficio tributario, che una determinata spesa è stata finanziata, in tutto o in parte, con un reddito realizzato in precedenti periodi d‘imposta. 28 ( ) Secondo L. TOSI, Le predeterminazioni normative nell‘imposizione reddituale. Contributo alla trattazione sistematica dell‘imposizione su basi forfettarie, Milano, 118 L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI ACCERTAMENTI SINTETICI reddito sulla base di ―elementi indicativi di capacità contributiva individuati‖ con decreto del Ministro delle finanze ( 29), da pubblicare nella Gazzetta ufficiale (30), a condizione che il reddito dichiarato non fosse congruo rispetto ai suddetti ―elementi‖ per almeno due periodi d‘imposta, anche non consecutivi (31), al fine di evitare l‘attribuzione di rilevanza alla determinazione del reddito o del maggior reddito in presenza di uno scostamento occasionale imputabile, per ipotesi, ad eventi imprevedibili ed eccezionali (32). In virtù di questa disciplina, il redditometro costituiva uno strumento determinativo del reddito globale netto della persona fisica caratterizzato da un elevato grado di empirismo ed approssimazione, non suscettibile di 1999, 373 e 374, l‘accertamento redditometrico ―si risolve in una predeterminazione dell‘imponibile ottenuta con uno strumento di natura procedimentale‖, riferito al ―reddito complessivo delle sole persone fisiche, il quale viene quantificato, come si suol dire sinteticamente, desumendolo dalla disponibilità di taluni beni o servizi non utilizzati produttivamente, ritenuta indicativa del sostenimento delle spese necessarie per il loro mantenimento e la loro utilizzazione‖. Sottolinea esattamente Id., Condizioni e limiti dell‘efficacia probatoria del redditometro, in Rass. trib., 1989, I, 419, che il redditometro non è l‘accertamento sintetico ma, più precisamente, ―uno strumento dell‘accertamento sintetico‖, quale metodo di repressione dell‘evasione fiscale, assoggettato alla disciplina posta in termini generali dalla prima parte del comma 4 dell‘art. 38 del d.p.r. n. 600/1973. Cfr. anche M.V. SERRRANÒ, S. DE MARCO, Il redditometro: limiti applicativi e questioni irrisolte alla luce della più recente giurisprudenza, in Boll. trib., 2007, 755 ss. 29 ( ) Nel senso che i decreti ministeriali 21 luglio 1983 e 13 dicembre 1984, emanati sulla base dell‘originaria formulazione dell‘art. 38, comma 4 del d.p.r. n. 600/1973, prevedono presunzioni che tengono conto di ciò che avviene nei casi normali ed esprimono le risultanze di un uso normale dei fatti – indice di capacità contributiva, v. Cass. 29 gennaio 1996, n. 656, in Riv. dir. trib., 1996, II, 781 ss., con nota di S. PANSIERI, Utilizzo normale e utilizzo «eccezionale» dei fatti – indice di capacità contributiva considerati dal redditometro. 30 ( )Cfr. F. TESAURO, Considerazioni sui parametri ministeriali di determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche, in Dir. prat. trib., 1983, I, 1941 ss. e, successivamente, Id., L‘accertamento sintetico del reddito ed il redditometro, in Boll. trib., 1986, 952 ss. 31 ( ) Il giudice tributario, nella lite che scaturisce dall‘impugnazione avverso l‘avviso di rettifica da parte del contribuente, ha il potere di ridurre il maggior reddito complessivo netto accertato sinteticamente, mediante l‘applicazione del redditometro, ovvero di annullare l‘avviso medesimo, in quanto infondato, secondo il suo prudente apprezzamento, in relazione alle peculiarità del caso concreto sottoposto al suo vaglio ed alle argomentazioni sostenute ed alla documentazione prodotta dal contribuente, prima in sede endoprocedimentale e poi nella fase contenziosa: in tal senso, cfr. LA ROSA, Principi di diritto tributario, cit., 289. Sulle strategie difensive in relazione al nuovo redditometro, anche nella proiezione processuale, cfr. F. PISTOLESI, Possibile presentare nuove prove durante il processo, in Il Sole 24 Ore, 21 agosto 2010. 32 ( ) Si pensi, in via esemplificativa, ad una malattia, ovvero al mutamento dell‘attività lavorativa: G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, cit., 423. 119 L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI ACCERTAMENTI SINTETICI determinare presunzioni legali in fase applicativa ( 33) e che si giustificava, come è stato esattamente sostenuto, alla luce dell‘―esigenza di assicurare uniformità ed imparzialità nella difficile e delicata attività di concreta determinazione, da parte degli uffici periferici, del quantum di ricchezza riferibile ai singoli elementi indicativi di capacità contributiva‖ (34). La vigente disciplina dell‘accertamento redditometrico è costruita in modo non poco diverso, al punto che sembrerebbe riduttivo affermare la sussistenza di un mero ―aggiornamento‖, quanto piuttosto di una discontinuità rispetto al previgente dato normativo (35), almeno in relazione ai criteri di individuazione degli ―elementi indicativi di capacità contributiva‖. Questi elementi sono individuati con apposito decreto del Ministero dell‘economia e delle finanze (36), con un duplice vincolo. Difatti, esso deve differenziare i campioni significativi di contribuenti, ai fini della determinazione degli ―elementi indicativi di capacità contributiva‖, in funzione, per un verso, del nucleo familiare e, per altro verso, dell‘area territoriale di appartenenza. Ad oggi tale decreto non è stato ancora adottato e, conseguentemente, le considerazioni che saranno svolte non potranno che essere formulate in linea generale, in attesa di un ulteriore riscontro normativo. Non vi è dubbio che il contenuto della disciplina delegata, che troverà riscontro nell‘emanando decreto ministeriale, risulta meglio precisato rispetto al previgente dato normativo. Difatti, traspare l‘intento di ancorare, a livello dell‘apposita fonte di normazione secondaria, la determinazione sintetica degli ―elementi indicativi di capacità contributiva‖, alla concreta ―analisi di campioni significativi di contribuenti‖; come è stato acutamente sottolineato (37), ―realizzandosi in tal modo sia l‘effetto di coordinamento dell‘azione di accertamento, sia quello di preventiva conoscibilità della visione amministrativa della congruità del reddito dichiarato‖. 33 ( ) Se così non fosse, non si capirebbe perché l‘art. 38, comma 4 del d.p.r. n. 600/1973 (con riferimento al testo previgente rispetto alle modifiche apportate dall‘art. 22 del d.l. n. 78/2010) afferma che gli elementi e le circostanze di fatto devono essere ―certi‖: questo aggettivo indica, secondo una parte della dottrina, ―la necessità che la prova del fatto venga offerta dall‘ufficio non in via logicopresuntiva‖: così P. RUSSO, Manuale di diritto tributario. Parte generale, cit., 309. 34 ( ) La locuzione citata è di S. LA ROSA, Principi di diritto tributario, cit., 289. 35 ( )Contra, nel senso che la disciplina dell‘accertamento redditometrico sarebbe rimasta sostanzialmente immutata, v. L. TOSI, Commento sub art. 38, cit., 229. 36 ( ) Il quale dev‘essere pubblicato nella Gazzetta ufficiale con periodicità biennale. 37 ( ) Da G. TINELLI, Istituzioni di diritto tributario, cit., 288, nota 103, il quale sottolinea la necessità di evitare il pregiudizio derivante dalla possibile diversa valutazione in termini di reddito di beni aventi un‘ampia diffusione di mercato, nonché l‘opportunità di far conoscere al contribuente, ancor prima della presentazione della dichiarazione dei redditi, ―la valorizzazione della spesa sostenuta ai fini accertativi‖. 120 L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI ACCERTAMENTI SINTETICI Sotto il profilo del ―nucleo familiare‖, si tratta di individuare precisamente il perimetro concettuale della ―famiglia fiscale‖, vale a dire quali membri della famiglia debbano intendersi rilevanti al fine di far emergere i campioni di contribuenti da analizzare ai fini degli ―elementi indicativi di capacità contributiva‖. In attesa di conoscere le scelte compiute in sede di approvazione del decreto ministeriale, non possono che formularsi, allo stato, delle ipotesi in una duplice direzione, ossia con riferimento alle circolari dell‘Agenzia delle entrate (le quali sembrano aver anticipato e favorito, sul punto, la novella legislativa) e la giurisprudenza della Suprema Corte. In particolare, nella circolare n. 49/E (38) si precisa che, ai fini dell‘applicazione dell‘accertamento sintetico, è opportuno valutare e ricostruire la complessiva posizione reddituale sia del soggetto sottoposto ad indagine, sia dei componenti del suo ―nucleo familiare‖, laddove frequentemente gli elementi indicativi di capacità contributiva possono essere giustificati dalla ―potenzialità di spesa degli altri componenti il nucleo familiare‖. Nella successiva circolare n. 13/E (39), l‘Agenzia precisa, con riferimento al piano straordinario di accertamenti sintetici per il triennio 2009-2011, che i risultati induttivi cui consente di pervenire il redditometro devono essere confermati ―anche mediante ulteriori elementi idonei a rappresentare compiutamente la complessiva posizione reddituale del nucleo familiare dei soggetti indagati‖. Peraltro, entrambe le circolari non precisano affatto cosa debba intendersi per ―nucleo familiare‖ e per ―famiglia fiscale‖ ( 40) e se debbano considerarsi solamente i familiari conviventi col soggetto sottoposto ad indagine, ovvero anche altri familiari, ovvero ancora tutti (conviventi o meno). Tuttavia, nella precedente e risalente circolare ministeriale n. 7 del 1977 (41), si afferma che il nucleo familiare sarebbe composto dal coniuge non legalmente ed effettivamente separato e dal figlio minore possessore di redditi, secondo il disposto dell‘art. 324, comma 2 c.c. In questa prospettiva, emergerebbe il concetto di nucleo familiare naturale, vale a dire composto dai coniugi conviventi e dai figli, con esclusione degli altri soggetti temporaneamente conviventi (42). Ma tale unico riferimento ad una più precisa connotazione del 38 ( ) La circolare dell‘Agenzia delle entrate è del 9 agosto 2007, in banca dati fisconline. 39 ( ) La circolare è datata 9 aprile 2009 ed è reperibile nella banca dati fisconline. 40 ( ) Non sembra potersi giungere ad una diversa conclusione con riferimento alla circolare ministeriale 30 aprile 1999, n, 101/E, in banca dati fisconline, laddove viene precisato, ma non ulteriormente chiarito, che, ai fini dell‘applicazione del redditometro, occorre esaminare la posizione reddituale dell‘intero nucleo familiare, posto che risulta evidente come gli elementi indicativi di capacità contributiva trovino frequentemente spiegazione nei redditi posseduti da altri componenti il nucleo familiare. 41 ( ) Circolare 30 aprile 1977, in banca dati fisconline. 42 ( ) In senso sintonico, cfr. L. TOSI, Commento sub art. 38, cit., 239. 121 L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI ACCERTAMENTI SINTETICI concetto di nucleo familiare appare non poco debole, se isolatamente considerato. Non sembra potersi giungere ad una più esaustiva e soddisfacente conclusione sul punto alla luce di un sintetico esame della giurisprudenza di legittimità (43). Difatti, nell‘arresto n. 17203/2006 (44) si osserva che il concetto di nucleo familiare desumibile alla luce della circolare ministeriale n. 7 del 1997, sopra citata, costituisce una semplificazione, essendo coincidente col nucleo familiare naturale, formato dai coniugi conviventi e dai figli ―soprattutto minori‖ (45). Il perimetro così circoscritto troverebbe giustificazione, secondo la Suprema Corte, ―nel legame che lega le persone indicate che lo compongono e non già soltanto nella loro convivenza‖, con esclusione dei parenti estranei a detto nucleo e, a maggior ragione, degli affini. Conseguentemente, il concetto di nucleo familiare che emerge alla luce sia della circolare ministeriale n. 7 del 1997, sia dell‘arresto della Suprema Corte n. 17203/2006, dovrebbe intendersi in senso non poco restrittivo. Tuttavia, in attesa di conoscere il testo del decreto ministeriale che individuerà gli ―elementi indicativi di capacità contributiva‖ e nel pieno rispetto dei parametri individuati dagli artt. 29-31 Cost., non sembra potersi escludere, in una prospettiva evolutiva, che tenga conto del mutato contesto economicosociale, una possibile apertura, ai limitati fini dell‘applicazione degli accertamenti redditometrici, anche al convivente del contribuente ed ai figli conviventi nati al di fuori del matrimonio, ricavandosi un concetto di nucleo familiare in un senso più ampio rispetto a quello prefigurato dall‘arresto n. 17203/2006 della Suprema Corte. Tale approccio sarebbe coerente, peraltro, con l‘impostazione seguita dalla Corte di cassazione nella recente sentenza n. 4775/2011 ( 46), la quale ha ammesso la rilevanza dell‘acquisizione di dati di natura bancaria relativa ad un conto corrente intestato alla convivente del contribuente sottoposto ad indagine, per il quale quest‘ultimo aveva la delega ad operare sin dal 43 ( ) Nella sentenza della Comm. trib. reg. Lazio 23 aprile 2008, n. 160, in Giust. trib., 2009, 169 e 170, con nota di M. AUGUGLIARO, si afferma, con riferimento ad un avviso di accertamento confezionato mediante determinazione sintetica del reddito complessivo, la sussistenza del principio di solidarietà economica, il quale prescinde dalle regole giuridiche, ―nei rapporti tra coniugi e nell‘ambito della famiglia in generale‖. 44 ( ) La sentenza è stata depositata il 28 luglio 2006 ed è reperibile nella banca dati fisconline. 45 ( ) Di ―gruppo‖ e non di ―nucleo‖ familiare, in relazione all‘estensione delle indagini bancarie a soggetti terzi rispetto alla società sottoposta ad indagine, laddove tutti i soggetti considerati sono ricollegabili alla società medesima quali amministratori o quali congiunti di questi, parla Cass. 21 marzo 2007, n. 6743, in banca dati fisconline. 46 ( ) La sentenza è stata depositata il 28 febbraio 2011 ed è consultabile nella banca dati fisconline. 122 L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI ACCERTAMENTI SINTETICI momento della sua apertura. In tale arresto, la Suprema Corte valorizza la ―presenza di uno stretto legame di natura personale fra il contribuente e l‘intestataria del conto corrente, evidenziato dalla formalizzazione del rapporto di convivenza sia pure in un momento successivo al periodo d‘imposta considerato‖, alla luce del quale la sentenza impugnata ha ritenuto di desumere la riferibilità del conto corrente al contribuente sulla base dell‘esistenza di una delega in suo favore e della concreta utilizzazione dello stesso in autonomia, come avevano confermato le movimentazioni di somme da e verso i suoi conti correnti (47). D‘altro canto, con riferimento all‘individuazione del parametro dell‘―area territoriale di appartenenza‖, che concorre insieme ad altri (tra i quali il nucleo familiare) all‘―analisi di campioni significativi di contribuenti‖, sembrano esservi meno consistenti problematiche a livello interpretativo. Difatti, è evidente che il fattore geografico non può non riflettersi sulla situazione di normalità in cui si colloca il ―campione‖ di contribuenti esaminato ai fini dell‘individuazione degli ―elementi indicativi di capacità contributiva‖. Deve ritenersi diversa la collocazione del contribuente, in concreto, nel contesto di un grande centro urbano, rispetto alla localizzazione in un comune situato in alta montagna e con pochi abitanti, per non parlare, poi, delle significative differenze, a tutti note, tra il nord, il sud e la parte insulare del nostro Paese. Basterebbe considerare i costi per l‘acquisto della proprietà di unità immobiliari nelle diverse aree geografiche per comprendere appieno la rilevanza di questo parametro, apprezzabile in senso oggettivo. 4 Il potenziamento della rete informativa ai fini di un più proficuo approvvigionamento dei dati, con rifermento a tre direttrici autonome ma strettamente connesse Le modifiche apportate alla disciplina degli accertamenti sintetici dal più volte citato art. 22 del d.l. n. 78/2010 devono essere collegate ad altre disposizioni contenute nello stesso d.l. che permettono, con diverse modalità, l‘acquisizione di una serie di dati rilevanti sulla situazione fiscale dei singoli contribuenti. In altre parole, è prevista una indispensabile rete informativa suscettibile di migliorare l‘esame della specifica situazione reddituale del contribuente, al fine di facilitare la selezione di quei contribuenti per i quali le ―spese sostenute nel corso del periodo d‘imposta‖, ovvero gli ―elementi indicativi di capacità contributiva‖ evidenziano degli importi superiori 47 ( ) Con riferimento all‘impugnazione di una sentenza di una commissione tributaria regionale che ha ritenuto infondato l‘avviso di accertamento per irpef ed ilor basato sulla ingente capacità di spesa per gli acquisti effettuati dal contribuente, laddove questi erano giustificati da liberalità del convivente e padre della figlia comune, ma senza alcun riferimento alla documentazione versata in atti, dovendo, al contrario, la sentenza di merito fare preciso riferimento ai documenti che la sorreggono ed al loro contenuto, cfr. Cass. 3 dicembre 2010, n. 24597, in Corr. trib., 2011, 514 e 515, con nota di S. MULEO, Accertamento sintetico per spesa per investimenti patrimoniali e oneri impliciti di documentazione, cit., loc. cit., 509 ss. 123 L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI ACCERTAMENTI SINTETICI rispetto al reddito complessivo dichiarato dal contribuente, fatta salva la franchigia del venti per cento tra il reddito complessivo accertabile e quello dichiarato. In questa prospettiva, gli approvvigionamenti di dati sono stati ampliati e meglio coordinati, nel contesto del d.l. n. 78/2010, con riferimento a tre direttrici, autonome ma strettamente interconnesse, vale a dire: la rinnovata partecipazione dei comuni all‘attività di accertamento tributario; l‘attivazione, a decorrere dal 1° gennaio 2011, dell‘―anagrafe immobiliare integrata‖, gestita dall‘Agenzia del territorio; l‘obbligo di comunicazione telematica annuale, da parte di tutti i soggetti passivi ai fini dell‘iva, delle operazioni rilevanti (per tale imposta) per un importo almeno pari a tremila euro (al netto dell‘iva). La prima tessera di questo articolato mosaico è formata dalla partecipazione dei comuni all‘accertamento, modificata in misura significativa dal disposto dell‘art. 18 del d.l. n. 78/2010. Prima di confezionare avvisi di accertamento sintetici, gli uffici dell‘Agenzia delle entrate ―inviano una segnalazione ai comuni di domicilio fiscale dei soggetti passivi‖ (così l‘art. 44, comma 2 del d.p.r. n. 600/1973, come novellato) ed i comuni comunicano, nel termine di sessanta giorni dal ―ricevimento della segnalazione ogni elemento‖ utile ai fini della determinazione del reddito complessivo. Tale partecipazione è incentivata (48) attraverso il riconoscimento, a favore del comune, di una quota delle maggiori somme riscosse a titolo definitivo relative a tributi statali. Ma l‘efficacia di tale forma di partecipazione dei comuni all‘azione di contrasto all‘evasione fiscale, nonostante l‘incentivo collegato alle modalità compartecipative, resta al momento piuttosto incerta, essendo strettamente collegata alla capacità organizzativa dei comuni di rispondere selettivamente e tempestivamente alle segnalazioni inviate dagli uffici dell‘Agenzia delle entrate. Ne consegue che, ad oggi, è tutt‘altro che scontato l‘esito positivo di questa partecipazione all‘attività accertativa e, in capo ai suddetti uffici, l‘arricchimento, in termini conoscitivi, dei dati e degli elementi rilevanti ai fini dell‘espletamento di accertamenti sintetici. Un altro elemento significativo, peraltro strettamente correlato a quello in precedenza esaminato, consiste nell‘attivazione, a decorrere dal 1° gennaio 2011, dell‘―anagrafe immobiliare integrata‖ ( 49), una banca dati costituita e gestita dall‘Agenzia del territorio in collaborazione con i comuni, i quali possono accedervi gratuitamente, nell‘ottica di contrastare l‘occultamento dell‘effettiva consistenza catastale degli immobili sottoposti ad imposizione 48 ( ) Cfr. l‘art. 1, comma 1 del d.l. n. 203/2005, convertito con modificazioni dalla l. n. 248/2005, come sostituito dall‘art. 18, comma 5, lett. a) del d.l. n. 78/2010. 49 ( ) Di cui all‘art. 19, commi 1 e seguenti del d.l. n. 78/2010. 124 L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI ACCERTAMENTI SINTETICI (50). Più precisamente, l‘attivazione dell‘anagrafe in questione persegue l‘obiettivo, per un verso, della piena integrazione, sotto il profilo tributario, delle banche dati dell‘Agenzia del territorio e, per altro verso, di individuare correttamente gli immobili, la relativa base imponibile e il soggetto titolare di diritti reali (51). Lo strumento in questione potrebbe consentire ai comuni di effettuare alcune segnalazioni agli uffici dell‘Agenzia delle entrate in sede di determinazione del reddito complessivo del contribuente sottoposto ad accertamento sintetico. Tuttavia, al momento, tale strumento si segnala più per la sua potenzialità che per la sua concreta utilizzazione, anche se ogni giudizio sul punto appare ancora prematuro. Il terzo importante tassello, introdotto dal più volte citato d.l. n. 78/2010 ( 52), che arricchisce ulteriormente la rete informativa a disposizione degli uffici dell‘Agenzia delle entrate, è costituito dall‘obbligo di comunicazione telematica annuale, da parte di tutti i soggetti passivi ai fini dell‘iva, delle operazioni rilevanti (per tale imposta) per un importo almeno pari a tremila euro (al netto dell‘iva) (53), siano esse cessioni di beni o prestazioni di servizi rese o ricevute. I dati e le notizie acquisiti per effetto dell‘adempimento dell‘obbligo in questione sono inseriti nei sistemi informativi dell‘anagrafe tributaria e sono raccolti e ordinati su scala nazionale. Senza dubbio le comunicazioni in questione consentiranno di far emergere, in modo piuttosto efficace, un gran numero di ―spese di qualsiasi genere‖ rilevanti ai fini degli accertamenti sintetici e costituiranno uno strumento particolarmente utile sul versante informativo, a disposizione degli uffici dell‘Agenzia delle entrate. Conclusivamente, su questo punto, può osservarsi che l‘efficacia delle direttrici sopra indicate sub lettere a) e b) è tutta da verificare, a consuntivo, sotto il profilo dell‘approvigionamento di dati e degli elementi ai fini dell‘espletamento degli accertamenti sintetici. Al contrario, la comunicazione annuale delle operazioni rilevanti sotto il profilo dell‘iva, di cui alla lettera c), si configura come un obbligo in capo ai soggetti passivi suscettibile di arricchire in modo non poco significativo i dati e gli elementi a disposizione degli uffici dell‘Agenzia delle entrate, nell‘ottica di ricostruire in modo attendibile e ragionevole la posizione reddituale complessiva del contribuente sottoposto ad indagine e del suo nucleo familiare. In altre parole, è proprio la suddetta comunicazione annuale delle operazioni rilevanti ai fini dell‘iva il fulcro dell‘arricchita rete informativa, a disposizione degli uffici dell‘Agenzia delle entrate, nel quadro della cosiddetta ―manovra 2010‖ di cui al d.l. n. 78/2010. 50 ( ) Cfr. la circolare dell‘Agenzia delle entrate 15 febbraio 2011, n. 4/E, in banca dati fisconline. 51 ( ) Si veda, al riguardo, la circolare dell‘Agenzia del territorio 10 agosto 2010, n. 3/T, in banca dati fisconline. 52 ( ) Cfr. l‘art. 21 del d.l. n. 78/2010 ed il relativo provvedimento del direttore dell‘Agenzia delle entrate 22 dicembre 2010, prot. n. 184182. 53 ( ) Per il solo periodo d‘imposta 2010, l‘importo è elevato ad euro venticinquemila. 125 L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI ACCERTAMENTI SINTETICI 5 Profili comparatistici, con riferimento all‟ordinamento tedesco: non sembra che sia prevista una disciplina specifica relativamente all‟accertamento sintetico e si applica la disciplina generale, largamente dominata dalla collaborazione del contribuente Nell‘ordinamento tributario tedesco non sembra esservi una disciplina specifica relativamente all‘accertamento sintetico nei confronti dei contribuenti persone fisiche, simile o assimilabile al disposto dell‘art. 38, commi 4 e seguenti del d.p.r. n. 600/1973. La relativa problematica rifluisce, pertanto, nella disciplina generale dell‘accertamento tributario, la quale, in quell‘ordinamento, sembra valorizzare il metodo analitico di determinazione della maggiore base imponibile e della maggiore imposta, rispetto a quello sintetico o induttivo (54). Conseguentemente, non sono previsti specifici mezzi di acquisizione (di dati ed elementi) calibrati nei confronti di questi soggetti da sottoporre alla disciplina degli accertamenti sintetici, siano essi ―puri‖, ovvero ―redditometrici‖. Inoltre, il modello accertativo che può riscontrarsi nell‘ordinamento in questione è largamente dominato dalla necessaria collaborazione del contribuente, intesa come vero e proprio dovere: se il contribuente non rispetta tale dovere, l‘autorità finanziaria può adottare specifiche misure, anche di tipo coercitivo. Sotto questo profilo, la disciplina in materia di accertamenti sintetici, come novellata dal d.l. n. 78/2010, avendo previsto l‘obbligo di invitare il contribuente ad un contraddittorio endoprocedimentale con l‘ufficio tributario, al fine di ―fornire dati e notizie rilevanti‖, appare meno distante dal modello di accertamento tedesco, complessivamente considerato. 54 ( )Cfr., senza pretesa di esaustività, R. AX, T. GROSSE, J. MELCHIOR, Abgabenordnung und Finanzgerichtsordnung, Stuttgard, 2003, 204-207 e 794-797; D. BIRK, Steuerrecht, Heidelberg, 2008, 137-140; G. ROSE, Abgabenordnung mit Finanzgerichtsordnung, Bielefeld, 2003, 72-74; R. SIKORSKI, U. WUESTENHOEFER, Abgabenordnung, Muenchen, 2003, 94-112; K. TIPKE, J. LANG, Steuerrecht, Koeln, 18 ed., 2005, 877-880; 19 ed., 2008, 952-956; 20 ed., 2010, 1002-1004; K. TIPKE, H. W. KRUSE, Abgabenordnung und Finanzgerichtsordnung, Kommentar, Koeln, 2007, passim. Cfr. anche D. BIRK, Poteri di controllo, accertamento dell‘imposta e discrezionalità dell‘amministrazione, in L‘accertamento tributario nella Comunità europea. L‘esperienza della Repubblica federale tedesca, a cura di A. DI PIETRO, Milano, 1997, 79 ss.; T. PUHL, Le procedure e i metodi di accertamento tributario alla luce dei principi costituzionali, ivi, 1 ss. 126 L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI ACCERTAMENTI SINTETICI 6 Osservazioni conclusive: l‟insussistenza di una pregiudizialità metodologica dei metodi accertativi diversi da quello sintetico e la realizzazione di un‟attività conoscitiva calibrata sull‟acquisizione essenzialmente in via telematica dei dati e degli elementi rilevanti, salvo l‟espletamento del contraddittorio endoprocedimentale Come si evince chiaramente dall‘inciso secondo cui ―l‘ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall‘articolo 39, può sempre determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente‖ (55), non sembra sussistere alcuna antecedenza logica della determinazione analitica o anche analitico-induttiva, rispetto a quella sintetica. Difatti, la novella in esame sembra avere realizzato una vera e propria ―inversione del rapporto, in termini di funzionalità e di concreta utilizzabilità, del metodo di accertamento sintetico rispetto ad ogni altro metodo accertativo‖ (56). In altre parole, l‘ufficio tributario può applicare direttamente il criterio di determinazione sintetica del reddito complessivo del contribuente sottoposto ad accertamento, senza prima individuare il reddito medesimo utilizzando altri metodi (e, in primo luogo, quello analitico), non sussistendo alcuna antecedenza logica di questi ultimi rispetto al primo. Alla luce di questo rinnovato dato normativo, si è accentuata la necessità di inquadrare correttamente le regole che governano il criterio sintetico di determinazione del reddito complessivo del contribuente, con particolare riferimento ai dati ed agli elementi utili, sotto il profilo accertativo, ai fini dell‘applicazione di tale metodo, come novellato dall‘art. 22 del d.l. n. 78/2010. Sotto questo profilo, l‘accertamento sintetico non può più essere considerato ―un‘ipotesi di accertamento di secondo grado, diretto a prevenire un vuoto d‘imposta, conseguente ai limiti dell‘accertamento analitico, in presenza di una situazione di contrasto tra il reddito derivante dalla ricostruzione analitica e il reddito complessivo netto che risulta accertabile sulla base del contenuto induttivo attribuibile alle spese sostenute dal contribuente‖ (57). Tale affermazione, forse condivisibile se riferita alla disciplina vigente prima della novella in esame, risulta oggi non più attuale in virtù dell‘insussistenza di qualunque pregiudizialità metodologica dei criteri 55 ( ) Nel senso che all‘accertamento sintetico dovrebbe essere attribuita una funzione meramente integrativa (e non totalmente alternativa) rispetto alla disciplina dell‘accertamento dei singoli redditi, v. S. LA ROSA, Principi di diritto tributario, cit., 350 e 351. L‘Autore osserva che l‘accertamento in questione ―risponde soltanto all‘intento di consentire l‘assoggettamento a tassazione dei redditi che, pur obiettivamente emergendo sul piano della realtà sociale, rimangono però di fonte produttiva ignota‖. 56 ( ) La locuzione citata è di C. GLENDI, «Luci» e «ombre» sulla Manovra 2010, cit., loc. cit., 2646. 57 ( ) Le parole sono tratte da G. TINELLI, Istituzioni di diritto tributario, cit., 285. 127 L‘INDIVIDUAZIONE DEI DATI E DEGLI ELEMENTI RILEVANTI AI FINI DEI NUOVI ACCERTAMENTI SINTETICI accertativi diversi da quello sintetico, rispetto alla posizione reddituale complessiva del contribuente persona fisica sottoposta a controllo. Se si considera la rete informativa a disposizione degli uffici dell‘Agenzia delle entrate, al fine di individuare e selezionare i contribuenti da assoggettare ad accertamento sintetico, essa è stata irrobustita in modo senza dubbio significativo in virtù della ―manovra 2010‖. In particolare, è stato esaminato nel quarto paragrafo il potenziamento degli strumenti che consentono l‘approvigionamento dei dati e degli elementi utili ai fini dell‘espletamento degli accertamenti sintetici, dando particolare risalto (in relazione alla sua presumibile efficacia operativa) alla recente istituzione della comunicazione telematica annuale delle operazioni rilevanti ai fini dell‘iva, di importo non inferiore a tremila euro (al netto dell‘iva). L‘acquisizione di questi dati sembra porre le premesse per l‘espletamento di un‘attività conoscitiva, fortemente calibrata sull‘acquisizione in via telematica dei dati e degli elementi rilevanti, suscettibile di individuare e di selezionare (ancora su base telematica) la posizione dei contribuenti persone fisiche più ―a rischio‖, vale a dire maggiormente disallineati rispetto alla forbice di valori costituiti, rispettivamente, dal reddito complessivo accertabile e da quello dichiarato. Questa attività conoscitiva, poi, è finalizzata, da un lato, alla realizzazione di un proficuo contraddittorio con l‘ufficio tributario, durante il quale il contribuente può fornire dati e notizie utili allo scopo di acclarare la sua posizione reddituale complessiva per il periodo d‘imposta sottoposto ad accertamento ( 58) e, dall‘altro lato, all‘avvio del procedimento di accertamento con adesione. Tale rinnovato assetto ordinamentale dovrebbe condurre alla confezione ed alla notificazione dell‘avviso di accertamento sintetico in via del tutto residuale, vale a dire qualora fallisca il tentativo di realizzare un accertamento con adesione del contribuente, alla luce dei dati e degli elementi emersi prima in sede conoscitiva (utilizzando l‘ampia rete informativa a disposizione degli uffici dell‘Agenzia delle entrate) e, poi, durante il contraddittorio endoprocedimentale. 58 ( ) Sotto il profilo della difesa del contribuente, cfr. A. MARCHESELLI, Accertamenti tributari e difesa del contribuente, cit., 214 ss. 128 Prof. Giuseppe Corasaniti La tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio Sommario: 1. La “questione” del riconoscimento della tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio; - 2. Il quadro normativo di riferimento; 3. La sentenza della corte costituzionale n. 217 del 2010; - 4. La corretta impostazione della “questione”: la tutela cautelare contro l‟esecuzione dell‟atto impugnato nei gradi di giudizio successivi al primo; - 5. Osservazioni conclusive 1 La “questione” del riconoscimento della tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio Il riconoscimento della tutela cautelare1 oltre il primo grado di giudizio rappresenta una ―questione‖ di grande attualità per due ordini di ragioni. In primo luogo perché è stata recentemente oggetto di una ―nuova‖ pronuncia da parte della Corte costituzionale, la n. 217 del 17 giugno 2010 2, che (forse più delle precedenti3) merita di essere attentamente esaminata perché se, da Per una esaustiva ricostruzione dell‘istituto della tutela cautelare nel processo tributario si rinvia a C. Glendi, La tutela cautelare del contribuente nel processo tributario riformato (art. 47 del D.Lgs. n. 546 del 1992 e norme complementari, in Dir. prat. trib., 1999, I, 21 ss; Id., voce Procedimento cautelare (dir. trib.), in Enc. giur. Treccani, VIII vol. di aggiornamento, Roma, 2000. 2 In Corr. trib., n. 30 del 2010, con commento di C. Glendi, Verso la costituzionalizzazione della tutela cautelare oltre il primo grado, 2401 ss.; nonché in GT, Rivista di Giur. trib., n. 10 del 2010, 841 ss., con commento di F. Randazzo, Poteri di sospensione del giudice di secondo grado in pendenza del ricorso in cassazione: un importante passo in avanti verso la pienezza della tutela cautelare, 848 ss. 3 Il riferimento è a Corte cost., ord. 5 aprile 2007, n. 119; Id., ord. 27 luglio 2001, n. 325; Id., ord. 19 giugno 2000, n. 217; sent. 31 maggio 2000, n. 165; tutte in banca dati Fisconline. Si ricorda – brevemente - che la Corte costituzionale con le prime tre pronunce aveva affermato che la tutela cautelare costituisce senza dubbio una componente essenziale della tutela giurisdizionale garantita dall‘art. 24 Cost., riferibile anche al processo tributario, che si spiega ―con l‘esigenza di evitare che la durata del processo vada a danno dell‘attore che ha ragione e che, durante il tempo occorrente per l‘accertamento in via ordinaria del suo diritto, è esposto al rischio di subire un danno irreparabile‖. In ragione di ciò, concludeva la Corte, ―risulta allora evidente come la garanzia debba ritenersi imposta solo fino al momento in cui non intervenga, nel processo, una pronuncia di merito che accolga – con efficacia esecutiva – la domanda, rendendo superflua l‘adozione di ulteriori misure cautelari, 1 LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO un lato, tale pronuncia rappresenta senza dubbio ―un importante passo in avanti verso la pienezza della tutela cautelare nel processo tributario‖ 4, dall‘altro lato, la stessa è censurabile – come si vedrà a breve – sotto il profilo del percorso giuridico indicato dalla Corte costituzionale al Giudice rimettente al fine di giungere ad un‘interpretazione (del dato normativo attualmente vigente) ―costituzionalmente orientata‖ nel senso dell‘essenzialità della tutelare cautelare in ogni grado di giudizio. A ciò si aggiunga che la soluzione interpretativa ivi indicata, per quanto criticabile, ha iniziato ad essere favorevolmente recepita anche dai Giudici d‘appello5, come nel caso, ad esempio, della Commissione tributaria regionale di Torino, sez. XXVIII, che con l‘ordinanza del 27 settembre 2010, n. 46, seguendo le indicazioni interpretative della Corte costituzionale, ha ovvero la respinga, negando in tal modo, con cognizione piena, la sussistenza del diritto e dunque il presupposto dell‘invocata tutela. Con la conseguenza che la previsione di mezzi di tutela cautelare nelle fasi successive a siffatta pronuncia, in favore della parte soccombente nel merito, deve ritenersi rimessa alla discrezionalità del legislatore‖. Si affermava inoltre che non sarebbe ravvisabile alcuna ―disparità di trattamento‖ tra la disciplina del processo tributario e processo civile, stante l‘insussistenza di un principio costituzionalmente garantito di necessaria uniformità tra i vari tipi di processo. Con la quarta pronuncia (ord. 5 aprile 2007, n. 119) la Corte costituzionale ha inoltre (correttamente) precisato che l‘‖oggetto del provvedimento di sospensione non potrebbe mai essere la sentenza che ha respinto l‘impugnazione, bensì semmai il provvedimento impositivo la cui impugnazione è stata rigettata in primo grado‖. 4 In questi termini cfr. F. Randazzo, Poteri di sospensione del giudice di secondo grado in pendenza del ricorso in cassazione: un importante passo in avanti verso la pienezza della tutela cautelare, op. cit., 848. In senso conforme si veda anche C. Glendi, Verso la costituzionalizzazione della tutela cautelare oltre il primo grado, op. cit., 2401, il quale Autore, nel commentare la citata sentenza, parla di ―ascesa verso il pieno riconoscimento della tutela cautelare nel processo tributario‖. 5 Peraltro, sul punto si segnala anche la contrastante posizione interpretativa nel frattempo manifestata dalla Corte di cassazione, che con la sentenza n. 21121 del 13 ottobre 2010 (in banca dati Fisconline), nonostante le ultime aperture interpretative della Corte costituzionale, ha escluso ―ogni possibilità di tutela cautelare nei confronti dell‘efficacia esecutiva della pronuncia di secondo grado, secondo quanto stabilito nel D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 49 e 68, senza che ciò determini un‘ingiustificata lesione del diritto di difesa, in quanto la garanzia costituzionale della tutela cautelare deve ritenersi doverosa, anche alla luce della sentenza n. 165 del 2000 della Corte costituzionale, solo fino al momento in cui non intervenga una pronuncia di merito che accolga, con efficacia esecutiva, la domanda, rendendo superflua l‘adozione di ulteriori misure cautelari, o al contrario la respinga, negando in tal modo a cognizione piena la sussistenza del diritto ed il presupposto stesso dell‘inibitoria (v. Cass. 7815/2010)‖. In verità, questa sentenza è stata pronunciata dalla Corte di cassazione in data 28 maggio 2010, dunque prima della pubblicazione dell‘ultima pronuncia della Corte costituzionale. 6 In banca dati Big-online. 130 LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO concesso la sospensione dell‘esecuzione della sentenza di secondo grado in pendenza del giudizio di cassazione. In secondo luogo, l‘interesse per la ―questione‖ in esame diviene sempre più attuale anche e soprattutto a seguito della nuova disciplina dell‘attività di accertamento e di riscossione, introdotta dall‘art. 29, d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (conv. nella l. 30 luglio 2010 n. 122), che, con riferimento alle imposte sui redditi ed all‘iva, porta ad un ―accorpamento‖ degli atti esattivi in quelli impositivi, i quali ultimi, in quanto dotati di per sé di efficacia esecutiva, legittimano quindi l‘immediata attuazione dell‘esecuzione esattoriale senza dover attendere, come accadeva in passato, la notifica della cartella di pagamento7. In ragione di ciò, è stato condivisibilmente osservato da autorevole dottrina come appaia oramai ―ineludibile la necessità del riconoscimento della tutela cautelare, senza limiti di grado, essendo la stessa ormai accentrata sull‘atto impositivo, che è anche esattivo, così da dover essere sempre disposta dal giudice di merito, nel suo diacronico svolgimento, anche dopo il primo grado, e da non poter essere strumentalmente realizzata, quanto meno nella stessa latitudine in cui era precedentemente possibile, attraverso altri procedimenti aventi ad oggetto atti esecutivi ormai pretermessi‖ 8. Difatti, è un dato di fatto incontestabile che esigenze di tutela cautelare possano manifestarsi, con riferimento alla riscossione del tributo, anche oltre il primo grado di giudizio, perché nel frattempo potrebbe mutare per il contribuente la situazione di pregiudizio economico derivante dalla prosecuzione dell‘attività di riscossione della pretesa impositiva recata dal provvedimento tributario impugnato, così come potrebbero mutare anche i presupposti del fumus boni iuris. Ebbene, sino ad ora, in presenza di esigenze cautelari di tal genere si è spesse volte cercato di ―aggirare‖ il problema del mancato riconoscimento normativo della tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio mediante l‘attivazione di procedimenti cautelari all‘interno di giudizi instaurati innanzi a Commissioni tributarie provinciali (strumentalmente) investite della decisione sulla legittimità degli atti (esattivi) con cui è attuata la riscossione (a titolo provvisorio) della pretesa impositiva impugnata (ad esempio mediante l‘impugnazione delle cartelle di pagamento, dei fermi amministrativi, dei provvedimenti di iscrizioni di ipoteca, ecc…); ma è evidente come il più delle volte si tratti di giudizi ―paralleli‖ strumentalmente instaurati solo per tentare di soddisfare le predette esigenze cautelari. 7 In commento alla nuova disciplina si veda, tra gli altri, C. Glendi, Nuove frontiere per la tutela cautelare, in Corr. trib., n. 27 del 2010, 2163 ss.; M. Bruzzone, L‘avviso di accertamento diventa <<titolo esecutivo>> per imposte sui redditi ed IVA, in Corr. trib., n. 28 del 2010, 2230 ss. 8 In tal senso cfr. C. Glendi, Verso la costituzionalizzazione della tutela cautelare oltre il primo grado, op. cit., 2407 – 2408. L‘Autore conclude auspicando un ―nuovo risolutivo intervento‖ della Corte costituzionale, questa volta correttamente investita della relativa questione di legittimità costituzionale (sul punto si rinvia infra). 131 LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO Ebbene, d‘ora in avanti, a seguito dell‘―accorpamento‖ degli atti esattivi in quelli impositivi, il ricorso a questo escamotage sarà più difficile, divenendo quindi più che mai necessario il superamento dell‘attuale dato normativo in tema di tutela cautelare, superamento che – come si vedrà a breve – difficilmente può essere risolto in via interpretativa, richiedendo invece un nuovo intervento della Corte costituzionale, questa volta – si auspica – non solo risolutivo ma anche ―corretto‖ nel relativo percorso giuridico da seguire per poter giungere al riconoscimento della tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio. Non resta quindi che passare ad esaminare il contenuto dell‘ultima pronuncia della Corte costituzionale dopo aver brevemente ricordato il contesto normativo di riferimento. 2 Il quadro normativo di riferimento A tal riguardo, si ricorda che l‘art. 47, commi 1 e 7, d.lgs. n. 546 del 1992, attribuisce alle Commissioni tributarie provinciali il potere di sospendere l‘efficacia esecutiva dell‘atto impugnato, ma fino alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado. Manca, invece, una norma che attribuisca espressamente un analogo potere al Giudice tributario anche nei successivi gradi di giudizio; soltanto l‘art. 19, 2° co., d.lgs. n. 472 del 1997, estende l‘applicabilità nel giudizio di appello del procedimento incidentale per la sospensione cautelare di cui al citato art. 47, d.lgs. n. 546 del 1992, ma limitatamente alla riscossione delle sanzioni 9. Si ricorda, inoltre, che la disposizione di cui all‘art. 47, d.lgs. n. 546 del 1992 (id est la previsione normativa che attribuisce il potere di sospensione cautelare della riscossione dell‘atto impugnato alle sole Commissioni tributarie provinciali e non anche alle Commissioni tributarie regionali) rappresenta la diretta attuazione, da parte del Legislatore delegato, del ―principio di delega‖ stabilito dal Legislatore delegante nell‘art. 30, co. 1, lett. h), l. n. 413 del 1991 e consistente nella ―previsione di un procedimento incidentale ai fini della sospensione dell‘esecuzione dell‘atto impugnato disposta mediante provvedimento motivato, con efficacia temporale limitata a non oltre la decisione di primo grado e con l‘obbligo di fissazione della udienza entro novanta giorni‖. Ritengono che l‘inapplicabilità della tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio vada desunta dal dato letterale dell‘art. 47, d.lgs. n. 546 del 1992 o dall‘art. 19 del d.lgs. n. 472 del 1997, tra gli altri, F. Pistolesi, L‘appello nel processo tributario, Torino, 2002, 370 ss.; S. Muleo, La tutela cautelare, in Il processo tributario. Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, F. Tesauro (diretta da), 1998, 882 – 883; C. Glendi, La tutela cautelare del contribuente nel processo tributario riformato (art. 47 del D.Lgs. n. 546 del 1992 e norme complementari, op. cit., 27; L. Del Federico, Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, in Commento agli interventi di riforma tributaria. I decreti legislativi di attuazione delle deleghe contenute nell‘art. 3 della legge 26 dicembre 1996, n. 662, Padova, 1999, 1065 ss. 9 132 LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO Anche per tale ragione la disposizione di cui all‘art. 61, d.lgs. n. 546 del 1992, che, nel disciplinare il procedimento di appello, rinvia, in quanto compatibili, alle norme dettate per il procedimento di primo grado, viene di regola interpretata – salvo alcune posizioni dottrinarie e giurisprudenziali di segno opposto10 - nel senso che tra le ―norme richiamate‖ non sarebbero ricomprese anche quelle di cui al Capo II del Titolo II del medesimo decreto, tra cui, appunto, l‘art. 47, ciò nonostante il rinvio operato dal citato art. 61 sia un rinvio ―generale‖ a tutte le norme dettate per il procedimento di primo grado, in quanto compatibili11. A ciò va aggiunto che l‘art. 49, d.lgs. n. 546 del 1992, nel disciplinare le impugnazioni delle sentenze tributarie, esclude espressamente l‘applicabilità al processo tributario dell‘art. 337 c.p.c.12, così escludendo l‘applicabilità anche delle disposizioni menzionate da tale norma, tra cui l‘art. 283 c.p.c. (attribuzione al giudice d‘appello del potere di sospendere, in tutto o in parte, l‘efficacia esecutiva o l‘esecuzione della sentenza impugnata quando sussistono gravi e fondati motivi) e l‘art. 373 c.p.c. (attribuzione al Giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata innanzi alla Corte di cassazione, di Vi è chi in dottrina ha sostenuto che, nonostante la formulazione letterale dell‘art. 47, d.lgs. n. 546 del 1992, andrebbe comunque ragionevolmente riconosciuto un eguale potere di sospensione anche al Giudice d‘appello proprio in forza del citato art. 61, d.lgs. n. 546 del 1992, il quale, nel disciplinare il giudizio d‘appello, opera un rinvio ―generale‖ alle norme dettate per il procedimento di primo grado, ivi incluse, quindi, quelle contenute nel Capo II del Titolo II; in ragione di ciò, applicando la disciplina del procedimento cautelare di cui all‘art. 47 al giudizio d‘appello, i riferimenti ivi contenuti alla Commissione tributaria provinciale ed alla sentenza da quest‘ultima emessa, dovrebbero essere intesi come riferimenti alla Commissione tributaria regionale ed alla sentenza di secondo grado. In questi termini cfr. F. Tesauro, La tutela cautelare nel procedimento di appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale, in Boll. trib., 1999, 1733. In tal senso, in giurisprudenza si veda anche Comm. trib. reg. Puglia, ord. 22 agosto 2001, in Dir. prat. trib., 2001, con commento di A. Uricchio, Ancora sull‘applicabilità nel giudizio di appello della tutela cautelare, 1096. 11 Sul punto si rinvia al commento relativo all‘art. 47 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992 in C. Consolo – C. Glendi, Commentario breve alle leggi del processo tributario, Padova, 2010. Sul punto si veda anche il commento ai citati articoli in T. Baglione – S. Menchini – M. Miccinesi (a cura di), Il nuovo processo tributario, Milano, 2004. 12 In tal senso cfr. A. Colli Vignarelli, La sospensione delle sentenze delle commissioni tributarie provinciali, in Boll. trib., 1999, 1503; Id., Considerazioni in tema di tutela cautelare nel processo tributario, in Rass. trib., 1996, 565; E. Della Valle, Sospensione, interruzione ed estinzione del processo, in Il Processo tributario, Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, op. cit. 77. Sottolinea la difficoltà di ricorrere ad eterointegrazioni della disciplina del processo tributario mediante il ricorso a completamenti ad opera della disciplina del processo civile C. Glendi, Rapporti tra nuova disciplina del processo tributario e codice di procedura civile, in Dir. prat. trib., 2000, 1749. 10 133 LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO sospenderne l‘esecuzione se da tale esecuzione possa derivare un danno grave ed irreparabile)13. Peraltro, sarebbero proprio le peculiarità del processo tributario a rendere di difficile applicazione i rimedi cautelari di cui agli artt. 283 e 373 c.p.c., perché - così come chiarito anche dalla stessa Corte costituzionale con l‘ordinanza n. 119 del 2007 - nel processo tributario, a differenza del processo civile, ―oggetto del provvedimento di sospensione non potrebbe mai essere la sentenza che ha respinto l‘impugnazione, bensì semmai il provvedimento impositivo la cui impugnazione è stata rigettata in primo grado‖. In altri termini, alla sentenza del Giudice tributario non può riconoscersi efficacia di titolo esecutivo, né quando accoglie il ricorso del contribuente né quando lo rigetta, in quanto il titolo che legittima l‘attività di riscossione, attuata mediante l‘iscrizione a ruolo (a titolo provvisorio) della pretesa impositiva, è sempre e solo il provvedimento impositivo impugnato; conseguentemente l‘oggetto della sospensione cautelare è solo l‘esecuzione dell‘atto impugnato14. Contra, a favore dell‘utilizzabilità dei rimedi cautelari previsti dagli artt. 283 e 373 c.p.c., in quanto non esisterebbe alcuna espressa esclusione della loro applicazione nel processo tributario, cfr. G. Falcone, La sospensione tributaria e l‘opera dell‘interprete, in Il Fisco, 1996, 6106; M. Cantillo, Nuovo processo tributario. I procedimenti cautelari e preventivi, in Il Fisco, 1993, 8902; S. Muleo, La tutela cautelare, op. cit., 878. 13 14 In tal senso cfr. C. Glendi, Verso la costituzionalizzazione della tutela cautelare oltre il primo grado, op. cit., 2404 ss; Id., La tutela cautelare del contribuente nel processo tributario riformato, op. cit., 112 – 114; Id., Rapporti tra nuova disciplina del processo tributario e codice di procedura civile, in Dir. prat. trib., 2000, 1748, nota 132 F. Tesauro, La tutela cautelare nel procedimento di appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale, in Boll. trib., 1999, 1733. In merito alla natura non sostitutiva della sentenza del Giudice tributario si veda, funditus, F. Randazzo, L‘esecuzione delle sentenze tributarie, Milano, 2003, passim. In senso contrario cfr. M. Cantillo, Un nodo da sciogliere: il potere di sospensione cautelare dell‘efficacia delle sentenze dei giudici tributari, in Rass. trib., 1998, 824 ss., secondo il quale la sentenza del Giudice tributario costituirebbe titolo per la riscossione del tributo, ―legittimando successivi atti di iscrizione a ruolo di tutte o di parte delle imposte accertate‖. In altri termini, secondo questo orientamento dottrinario l‘iscrizione a ruolo sarebbe legittimata sia dall‘atto impositivo ad esso presupposto, sia dalla sentenza che ha confermato (totalmente o parzialmente) l‘atto impositivo. Sul punto si veda inoltre F. Pistolesi, L‘appello nel processo tributario, op. cit., 370 ss., 378; A. Giovannini, Riflessioni a margine dell‘oggetto della domanda nel processo tributario, in Riv. dir. trib., 1998, 35 ss. Da ultimo, in questa sede appare opportuno sottolineare come sia senza dubbio non condivisibile quanto recentemente sostenuto in un articolo di stampa specializzata in punto di interpretazione del citato art. 29, d.l. 31 maggio 2010, n. 78. In specie il riferimento è all‘articolo dal titolo ―Sentenze sospese in appello‖ pubblicato sul Sole24Ore del 22 marzo 2011, in cui è stato sostenuto che la ―nuova‖ previsione normativa secondo cui ―l‘intimazione ad adempiere al pagamento è altresì contenuta nei successivi atti da notificare al contribuente, anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento, in tutti i casi in cui siano rideterminati gli 134 LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO Per tale ragione è stato correttamente osservato in dottrina che le disposizioni di cui ai citati artt. 283 e 373 c.p.c., ―che riguardano propriamente la sospensione dell‘efficacia esecutiva delle sentenze, risultano palesemente ultronee ed inidonee ad un loro inserimento nel processo di cui trattasi e nel sistema della riscossione che vi è correlato, proprio ed essenzialmente perché non attengono alla sospensione dell‘esecuzione, bensì all‘efficacia di sentenze che costituiscono anche titoli esecutivi.‖ 15 importi dovuti in base agli avvisi di accertamento ai fini delle imposte sui redditi e dell‘imposta sul valore aggiunto ed ai connessi provvedimenti di irrogazione delle sanzioni, (…), anche ai sensi dell‘art. 68 del decreto legislativo 19 giugno del 1997, n. 218 (…)‖, debba essere intesa nel senso che con la stessa, in forza del richiamo (anche) all‘art. 68, d.lgs. n. 546 del 1992 ivi contenuto, il Legislatore avrebbe inteso riconoscere alla sentenza del Giudice tributario natura di ―titolo giuridico per la riscossione‖, con conseguente possibilità, quindi, di poter d‘ora in avanti presentare istanza di sospensione cautelare anche dopo la sentenza della Commissione tributaria provinciale, giust‘appunto in ragione dell‘efficacia esecutiva che tale previsione normativa avrebbe ora riconosciuto alle sentenze tributarie. Si tratta con evidenza di un‘affermazione non corretta poiché il semplice richiamo al citato art. 68, d.lgs. n. 546 del 1992, ossia alla disciplina della riscossione frazionata in pendenza di giudizio, non può certamente essere inteso come volontà legislativa di stravolgere il sistema del processo tributario e la natura delle sentenze tributarie. Come già ricordato, infatti, le sentenze del Giudice tributario non hanno efficacia esecutiva poiché ciò che è portato in esecuzione (con le modalità di riscossione frazionata indicate nel citato art. 68) è sempre e solo l‘atto impositivo impugnato così come confermato nella sua legittimità formale e (in tutto ovvero solo in parte) nella sua legittimità sostanziale dalla sentenza di primo e di secondo grado. Peraltro è anche evidente come le sentenze dei Giudici tributari non possano essere ricomprese tra i ―successivi atti da notificare al contribuente‖ cui fa riferimento il citato art. 29, d.l. n. 78 del 2010: i) anzitutto perché la sentenza tecnicamente non è un ―atto‖, un ―atto‖, peraltro, che l‘Amministrazione finanziaria – stando a tale (errata) lettura interpretativa - sarebbe sempre tenuta a notificare al contribuente (così implicitamente abrogando il termine ―lungo‖ di impugnazione delle sentenze); ii) ed inoltre perché le sentenze tributarie non rideterminano la pretesa impositiva recata dall‘atto impositivo impugnato sostituendosi a quest‘ultimo, bensì rigettano oppure accolgono (in tutto ovvero solo in parte) la richiesta di annullamento di tale atto fatta valere dal ricorrente (sul punto si rinvia, funditus, ai riferimenti bibliografici poco sopra citati). In verità, la previsione normativa di cui al citato art. 29, d.l. n. 78 del 2010, è infelicemente formulata perché è fuor di dubbio che l‘espressione ―successivi atti da notificare al contribuente‖ debba intendersi riferita non già alle sentenze del Giudice tributario, ma, quanto al rinvio all‘art. 68, d.lgs. n. 546 del 1992, agli atti esattivi con cui viene attuata la riscossione frazionata (appunto regolata da tale ultima disposizione) nei diversi gradi del processo tributario. Ecco quindi la superfluità della nuova previsione normativa nella parte in cui fa espressamente riferimento ad alcuni atti [ossia le cartelle di pagamento recanti: l‘iscrizione a ruolo effettuata in forza dell‘art. 8, co. 3-bis, d.lgs. n. 218 del 1997, l‘iscrizione a ruolo (a titolo provvisorio) effettuata in forza dell‘art. 68, d.lgs. n. 546 del 1992 e l‘iscrizione a ruolo (a titolo provvisorio) effettuata in forza dell‘art. 19, d.lgs. n. 472 del 1997] che già contenevano l‘‖intimazione ad adempiere al pagamento‖. 15 In questi termini cfr. Glendi, La tutela cautelare del contribuente nel processo tributario riformato, op. cit., 113 – 114. 135 LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO 3 La sentenza della corte costituzionale n. 217 del 2010 Così delineato il quadro normativo di riferimento, non resta che esaminare le indicazioni interpretative contenute nella citata sentenza n. 217 del 2010 della Corte costituzionale. A tal proposito deve anzitutto ribadirsi l‘importanza di questa pronuncia perché - come condivisibilmente affermato da autorevole dottrina – la Corte costituzionale ―nel <<rimproverare>> al Giudice rimettente l‘inadeguato approfondimento dei dati legislativi vigenti, che a suo avviso inibivano la tutela cautelare oltre il primo grado del giudizio tributario, ai fini di un‘interpretazione degli stessi in senso conforme ai principi costituzionali, mostra, sia pure indirettamente, una diversamente avvertita rivitalizzazione, quanto meno tendenziale di questi stessi principi costituzionali, nel rinnovato senso, evidentemente, di un loro apprezzamento quanto all‘essenzialità della tutela cautelare anche dopo il primo grado di giudizio‖16. Difatti, scorrendo l‘iter motivazionale della sentenza, traspare chiaramente la ―disponibilità‖ della Corte costituzionale – in un prossima occasione in cui la questione di (il)legittimità costituzionale venga (questa volta) correttamente sollevata - a rivedere la propria giurisprudenza in punto di riconoscimento della tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio17 e dunque a superare l‘orientamento manifestato nelle precedenti quattro pronunce, in base al quale la tutela cautelare nel processo tributario rappresenterebbe una garanzia costituzionale imposta soltanto fino al momento in cui non sia intervenuta una sentenza di merito. Ciò detto, nella specie la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di (il)legittimità costituzionale dell‘art. 49, d.lgs. n. 546 del 1992, sollevata dal Giudice rimettente con riferimento agli artt. 3, 23, 24, 111 e 113 Cost., nonché, quale norma interposta, all‘art. 10 Cost., in riferimento all‘art. 6, 1° co., della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell‘uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata in Italia con l. 4 agosto 1955, n. 848 (d‘ora in avanti per semplicità C.E.D.U.). Ebbene, uno dei motivi per i quali è stata dichiarata l‘inammissibilità della predetta questione è rappresentato dal fatto che, ad avviso della Corte costituzionale, il Giudice rimettente non avrebbe esperito alcun tentativo di interpretare in modo ―costituzionalmente orientato‖ la disposizione censurata (art. 49, d.lgs. n. 546 del 1992) ―nel senso che essa consenta l‘applicazione al processo tributario della sospensione cautelare prevista dall‘art. 373 c.p.c., con conseguente insussistenza del prospettato contrasto con gli evocati parametri costituzionali‖. 16 In questi termini cfr. C. Glendi, Verso la costituzionalizzazione della tutela cautelare oltre il primo grado, op. cit., 2404. 17 In tal senso si veda anche F. Randazzo, Poteri di sospensione del giudice di secondo grado in pendenza del ricorso in cassazione: un importante passo in avanti verso la pienezza della tutela cautelare, op. cit., 849. 136 LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO Più precisamente, il Giudice rimettente ha sollevato dubbi sulla legittimità costituzionale dell‘art. 49, d.lgs. n. 546 del 1992, perché a suo avviso tale norma, escludendo espressamente l‘art. 337 c.p.c. dal rinvio ivi operato alla disciplina generale delle impugnazioni del processo civile, impedirebbe l‘applicazione nel processo tributario del rimedio cautelare previsto dall‘art. 373 c.p.c. (richiamato dal citato art. 337 c.p.c.) relativo alla sospensione dell‘esecuzione della sentenza d‘appello in pendenza del giudizio di cassazione. Ebbene, la Corte costituzionale mostra di non condividere il percorso interpretativo seguito dal Giudice rimettente, ritenendo invece che sia possibile un‘interpretazione ―alternativa‖ che consentirebbe di poter sostenere che il ―comma 1 dell‘art. 49 del D.lgs. n. 546/1992 non costituisce ostacolo normativo ad applicare al processo tributario l‘inibitoria cautelare di cui all‘art. 373 c.p.c. astrattamente compatibile con il processo tributario‖, rendendo così irrilevante la questione di illegittimità sollevata con sua conseguente inammissibilità. In specie, secondo quest‘interpretazione ―alternativa‖ indicata dalla Corte costituzionale, l‘art. 337 c.p.c. (inapplicabile al processo tributario in forza del disposto di cui all‘art. 49, d.lgs. n. 546 del 1992) contiene una regola (―l‘esecuzione della sentenza non è sospesa per l‘effetto dell‘impugnazione di essa‖) ed una un‘eccezione a tale regola poiché fa salve, tra le altre, le disposizioni degli artt. 283 e 373 c.p.c.; allo stesso modo quest‘ultima norma (l‘art. 373 c.p.c.) contiene anch‘essa al primo comma una regola (―il ricorso per cassazione non sospende l‘esecuzione della sentenza‖) ed una eccezione a tale regola (―tuttavia il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall‘esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l‘esecuzione sia sospesa …‖). Ebbene, secondo la Corte costituzionale ―l‘inapplicabilità al processo tributario – in forza della disposizione censurata – della regola, sostanzialmente identica, contenuta nell‘art. 337 c.p.c. e nel primo periodo del primo comma dell‘art. 373 dello stesso codice, non comporta necessariamente l‘inapplicabilità al processo tributario anche delle sopraindicate <<eccezioni>> alla regola e, quindi, non esclude di per sé la sospendibilità ope iudicis dell‘esecuzione della sentenza d‘appello impugnata per cassazione‖. In questo modo, in base a tale interpretazione ―alternativa‖ si giungerebbe al riconoscimento della tutela cautelare anche in pendenza del giudizio di cassazione, mediante la sospensione dell‘esecuzione della sentenza impugnata. Ecco quindi emergere l‘evidente profilo di criticità della soluzione interpretativa indicata dalla Corte costituzionale 18, che sembrerebbe aver 18 In tal senso cfr. C. Glendi, Verso la costituzionalizzazione della tutela cautelare oltre il primo grado, op. cit., 2404 ss.; F. Randazzo, Poteri di sospensione del giudice di secondo grado in pendenza del ricorso in cassazione: un‘importante passo in avanti verso la pienezza della tutela cautelare, op. cit., 850 ss. 137 LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO dimenticato quanto dalla stessa correttamente affermato nella precedente pronuncia del 2007, n. 119, secondo cui – come più volte ricordato - ―oggetto del provvedimento di sospensione non potrebbe mai essere la sentenza che ha respinto l‘impugnazione, bensì semmai il provvedimento impositivo la cui impugnazione è stata rigettata in primo grado‖. 4 La corretta impostazione della “questione”: la tutela cautelare contro l‟esecuzione dell‟atto impugnato nei gradi di giudizio successivi al primo Può quindi affermarsi che la pronuncia in commento, pur essendo senza dubbio apprezzabile per lo sforzo ermeneutico compiuto dalla Corte costituzionale nella ricerca di una soluzione interpretativa che possa condurre al riconoscimento della tutela cautelare anche oltre il primo grado di giudizio, tuttavia non può essere condivisa nella soluzione interpretativa ivi indicata, poiché affetta da un errore di fondo, probabilmente ―indotto‖ anche dai termini normativi in cui è stata sollevata dal Giudice rimettente la questione di (il)legittimità costituzionale. In ragione di ciò, andrebbero quindi accolte le ―aperture‖ che la Corte costituzionale ha manifestato in punto di pieno riconoscimento della tutela cautelare nel processo tributario; in particolare, andrebbe ―sfruttata‖ la ―disponibilità‖ manifestata dalla Corte costituzionale a rivedere il proprio precedente orientamento, ma con una ―correzione‖ dei dati legislativi da censurare, sui quali, cioè, dovrebbe essere correttamente incentrato il riscontro di (il)legittimità costituzionale ex artt. 3 e 24 Cost. Difatti, la questione, così come prospettata dal Giudice rimettente alla Corte costituzionale nella sentenza in esame, è stata inadeguatamente focalizzata sugli artt. 49, d.lgs. n. 546 del 1992 e 373 c.p.c., in quanto la questione dell‘ammissibilità della tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio è stata ivi riferita all‘esecutività delle sentenze ed alla sospensione di tale esecutività, laddove, invece - come già più volte ricordato - nel processo tributario il titolo esecutivo dell‘attività di riscossione non è mai la sentenza, bensì sempre e solo il provvedimento impositivo impugnato, in base al quale vengono effettuate le iscrizioni a ruolo (a titolo provvisorio), così come peraltro correttamente affermato dalla stessa Corte costituzionale nella precedente ordinanza n. 119 del 2007. In considerazione di ciò, ai fini del riconoscimento della tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio, non ha quindi senso discutere dell‘applicabilità o meno nel processo tributario delle norme del codice di rito che disciplinano la sospensione dell‘esecuzione delle sentenze impugnate, poiché queste norme presuppongono che le stesse siano esecutorie; ma le sentenze dei Giudici tributari non lo sono né quando accolgono il ricorso del contribuente, né quando lo rigettano. Come detto e come riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale, poiché la riscossione tributaria non ha mai come titolo la sentenza impugnata ma l‘atto impositivo impugnato, deve dunque discutersi 138 LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO di sospensione dell‘esecuzione dell‘atto impugnato e non di sospensione dell‘esecuzione della sentenza impugnata 19. Pertanto, le norme che sono di ostacolo al riconoscimento della tutela cautelare (anche) nei gradi di giudizio successivi al primo non sono costituite dall‘art. 49, d.lgs. n. 546 del 1992, bensì dall‘art. 47, commi 1 e 7 (quali norme delegate), che nella loro formulazione letterale circoscrivono l‘attribuzione del potere di sospensione cautelare alle sole Commissioni tributarie provinciali e, a monte, dall‘art. 30, 1° co., lett. h), l. n. 413 del 1991 (quale norma delegante)20 che, come ricordato, è chiara nell‘aver delegato il Governo ad introdurre un procedimento di sospensione dell‘atto impugnato con efficacia temporale limitata a non oltre la decisione di primo grado. Quanto poi alla corretta individuazione dei parametri costituzionali con riferimento ai quali andrebbe sindacata la legittimità costituzionale delle predette norme di legge, sebbene nella sentenza della Corte costituzionale n. 271 del 2010, la questione di (il)illegittimità costituzionale (al di là delle norme censurate) sia stata sollevata anche con riferimento agli artt. 23 e 113 Cost., nonché all‘art. 6, 1° co., della C.E.D.U., tuttavia deve ritenersi che le principali norme costituzionali di riferimento per il riconoscimento della tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio, vadano essenzialmente individuate negli artt. 3, 24 e 111, 2° co., Cost. 21. In particolare, con riferimento alla (in)compatibilità dell‘art. 47, commi 1 e 7, (norma delegata) e, a monte, dell‘art. 30, 1° co., lett. h), l. n. 413 del 1991 (norma delegante), con l‘art. 24 Cost., deve essere rivisto e superato (poiché affetto da un evidente vizio logico) quanto sul punto già affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 165 del 2000, cui si erano poi uniformate le successive pronunce. Difatti, a tal riguardo la Corte costituzionale correttamente ha affermato che la tutela cautelare anche nel processo tributario costituisce ―una componente essenziale della tutela giurisdizionale garantita dall‘art. 24 Cost.‖ e la ragione di ciò è stata giustamente individuata nell‘‖esigenza di evitare che la durata del processo vada a danno dell‘attore che ha ragione e che, durante il tempo occorrente per l‘accertamento in via ordinaria del suo diritto, è esposto al rischio di subire un danno irreparabile‖. Tuttavia, da questo correttissimo assunto la Corte costituzionale ha poi fatto derivare l‘affermazione secondo cui ―la garanzia costituzionale della tutela cautelare‖ dovrebbe ritenersi ―imposta solo fino al momento in cui non 19 In questi termini si veda, per tutti, C. Glendi, Verso la costituzionalizzazione della tutela cautelare oltre il primo grado, op. cit., 2404 ss.; F. Randazzo, Si va profilando l‘estensione della tutela cautelare oltre il primo grado, op. cit., 850 ss. 20 In senso conforme cfr. C. Glendi, op. ult. cit., 2405. Secondo C. Glendi (op. ult. cit., 2405 – 2406), ―i principi costituzionali di fondo restano comunque agli artt. 3 e 24 Cost., sui quali già si era pronunciata la Corte costituzionale nelle tre iniziali pronunce (…)‖. Per una valorizzazione anche dell‘art. 111 Cost. si veda M. S. Messina, La tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio, in Corr. trib., 2007, 3077 ss. 21 139 LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO intervenga, nel processo, una pronuncia di merito che accolga – con efficacia esecutiva – la domanda, rendendo superflua l‘adozione di ulteriori misure cautelari, ovvero la respinga, negando in tal modo, con cognizione piena, la sussistenza del diritto e dunque il presupposto dell‘invocata tutela‖. Ma è evidente il vizio logico di tale ragionamento. Difatti, se è vera la premessa secondo cui il fondamento costituzionale della tutela cautelare deve essere individuato, ex art. 24 Cost., nella necessità che nel tempo occorrente per ottenere giustizia, la parte che ha ragione debba essere preservata, nelle more del processo tributario, dalle conseguenze irreparabili che vanificherebbero tale risultato, è evidente come tale esigenza non possa non permanere ―per tutto il tempo del processo necessario perché questa ragione venga accertata‖ in modo definitivo, ―senza che nel frattempo l‘interessato subisca un pregiudizio che irreparabilmente lo danneggi, vanificandone il diritto all‘azione che gli è costituzionalmente garantito, così da non potersi ritenere pienamente attuato‖ tale diritto, ―limitandone l‘operatività alla sola emanazione <<di una pronuncia di merito a cognizione piena>> entro il primo grado‖22. Pertanto, il riconoscimento o meno della tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio non deve ritenersi una scelta affidata alla discrezionalità del Legislatore23, rientrando, invece, nell‘ambito della garanzia costituzionale di cui al citato art. 24 Cost. Ma se così è, è allora evidente come la protezione costituzionale (ex art. 24 Cost.) della tutela cautelare nell‘ambito del processo tributario non possa essere limitata al solo primo grado di giudizio, ma (anche qui, come nel processo civile e amministrativo) debba essere garantita per tutta la durata del processo fino alla definizione dello stesso. Ed è sempre in questi termini che deve essere inteso anche il riferimento all‘art. 3 Cost., poiché quest‘ultimo, così come riconosciuto (seppur in astratto) dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 165 del 2000, ―lungi dal poter essere dribblato con la stereotipa formula dell‘inesistenza di un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità tra i vari tipi di processo, deve essere pregiudizialmente apprezzato sotto il profilo della piena attuazione del principio di razionalità e del generale criterio di ragionevolezza delle scelte legislative‖24. Pertanto, non è ravvisabile alcun ragionevole motivo che sia in grado di giustificare una diversità di disciplina tra, da un lato, il processo civile e quello amministrativo, in cui la tutela cautelare è assicurata in ogni grado di giudizio e, dall‘altro lato, il processo tributario, in cui la tutela cautelare è invece assicurata solo limitatamente al primo grado di giudizio. 22 In questi termini cfr. C. Glendi, op. ult. cit., 2406. 23 Secondo C. Glendi (op. ult. cit. loc.) alla discrezionalità del Legislatore andrebbe riconosciuta la sola possibilità di limitare l‘operatività della tutela cautelare esclusivamente in presenza di circostanze ―eccezionali‖ che, a loro volta, rispondano ad esigenze protette da principi costituzionali superiori ovvero equivalenti a quello di cui al citato art. 24 Cost. 24 In questi termini cfr. sempre C. Glendi, op. ult. cit., 2407 140 LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO Né, sul punto, in senso contrario potrebbe sostenersi l‘esistenza di un ―interesse prevalente‖ in capo all‘Amministrazione finanziaria, poiché non esiste alcuna norma costituzionale che tuteli, in misura preminente rispetto a quello del contribuente, un ―interesse fiscale alla riscossione dei tributi‖. Difatti, come condivisibilmente affermato da autorevole dottrina, ―il dovere alla contribuzione del contribuente e l‘interesse alla percezione dei tributi da parte dell‘Erario non costituiscono due valori contrapposti, diversamente tutelati dal legislatore, ma rappresentano due diverse espressioni del medesimo principio, ossia quello del <<giusto tributo>> di cui all‘art. 53 Cost. (…). Non sembra esistere, dunque, un principio che giustifichi una differenza di posizioni tra contribuente e amministrazione finanziaria‖ 25. Ed inoltre, poiché la riscossione frazionata è prevista a tutela solo della posizione dell‘Amministrazione finanziaria e non anche di quella del contribuente, negare a quest‘ultimo qualsiasi forma di tutela cautelare (oltre il primo grado di giudizio) contro detta riscossione, tutte le volte in cui questa possa recargli un pregiudizio grave ed irreparabile, ―equivarrebbe ad attribuire una posizione prevalente all‘amministrazione finanziaria non giustificata e, dunque, in palese violazione dell‘art. 111 Cost., che assicura la parità delle parti‖26. Ecco quindi che, ai fini del riconoscimento della pienezza della tutela cautelare nel processo tributario, la questione di (il)legittimità costituzionale dovrebbe essere correttamente sollevata con riferimento all‘art. 47, commi 1 e 7 (quale norma delegata) e, a monte, all‘art. art. 30, co. 1, lett. h), l. n. 413 del 1991 (quale norma delegante), nella parte in cui viene esclusa la tutela cautelare contro la riscossione frazionata (a titolo provvisorio) dell‘atto impositivo impugnato nei gradi di giudizio successivi al primo, perché in contrasto con i parametri costituzionali di cui agli artt. 3, 24 e 111, 2° co., Cost. 5 Osservazioni conclusive Sono dunque questi i termini in cui, a mio avviso, andrebbe correttamente sollevata la questione di (il)legittimità costituzionale affinché (anche) la disciplina del processo tributario possa finalmente conoscere, similmente al processo civile ed amministrativo, la pienezza della tutela cautelare contro la riscossione frazionata (a titolo provvisorio) dell‘atto impositivo impugnato anche oltre il primo grado di giudizio. Ed i tempi per una pronuncia della Corte costituzionale in tal senso sembrerebbero essere oramai maturi proprio in ragione, da un lato, delle ―aperture‖ da quest‘ultima manifestate nell‘ultima pronuncia poco sopra esaminata e, dall‘altro lato, delle spinte provenienti dal basso verso un riconoscimento pieno della tutela cautelare, 25 In questi termini cfr. M. S. Messina, La tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio, in Corr. trib., n. 38 del 2007, 3077 ss. 26 Così sempre M. S. Messina, La tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio, in Corr. trib., n. 38 del 2007, 3077 ss. 141 LA TUTELA CAUTELARE OLTRE IL PRIMO GRADO DI GIUDIZIO (spinte) che con l‘entrata in vigore della nuova disciplina dell‘accertamento ―dotato di immediata esecutività‖ saranno senza dubbio ancora maggiori. A mio avviso appare invece difficilmente percorribile una soluzione della ―questione‖ in esame di tipo interpretativo, ossia una soluzione che consenta di giungere al riconoscimento della tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio attraverso un‘interpretazione ―costituzionalmente orientata‖ del dato normativo vigente, così da evitare un giudizio di legittimità costituzionale. Difatti, sebbene sia stata la stessa Corte costituzionale a sollecitare questo tipo di soluzione, e pur apprezzando lo sforzo ermeneutico in tal senso compiuto da autorevole dottrina27, tuttavia questo tipo di soluzione si scontra inevitabilmente con una formulazione (più che delle norme delegate, soprattutto) della norma delegante [30, 1° co., lett. h), l. n. 413 del 1991] chiaramente diretta a circoscrivere la previsione della tutela cautelare nel processo tributario al solo primo grado di giudizio. Giuseppe Corasaniti Professore associato di diritto tributario Università degli Studi di Brescia 27 Il riferimento è a F. Randazzo, Poteri di sospensione del giudice di secondo grado in pendenza del ricorso in cassazione: un importante passo in avanti verso la pienezza della tutela cautelare, op. cit., 851 e 852. 142 Avv. Caterina Corrado Oliva L‟anomala coesistenza di riscossione frazionata e sospensione cautelare SOMMARIO: 1. Pregevoli gli obiettivi della riforma ma urgenti le necessità di intervento e coordinamento. - 2. La riscossione frazionata, istituto legato alle sue origini storiche e poco compatibile con l‘evoluzione normativa. 3. La concentrazione della riscossione nell‘accertamento e la sospensione cautelare oltre il primo grado: la riscossione frazionata è sempre più incoerente con il sistema. 1 Pregevoli gli obiettivi della riforma ma urgenti le necessità di intervento e coordinamento. La riforma, che è oggetto dell‘odierno convegno, per quanto apparentemente limitata dal punto di vista normativo, sia perché ―abbozzata‖ in un'unica norma di legge inserita nell‘ambito di una decretazione di urgenza 1, sia perché al momento riferita soltanto a determinate fattispecie di imposizione sui redditi e Iva2, ha tuttavia una portata dirompente e vastissima nel nostro sistema tributario. 1 Art. 29, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv. in l. 22 luglio 2010, n. 122. Come è noto, l‘art. 29, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv. in l. 22 luglio 2010, n.122, modifica l‘attuale sistema di riscossione dei tributi, prevedendo che, a partire dal 1° luglio 2011, l‘avviso di accertamento e il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni emessi dall‘Agenzia delle Entrate ai fini delle imposte sul reddito e dell‘imposta sul valore aggiunto diventino esecutivi decorsi sessanta giorni dalla loro notifica. La norma sarà applicabile, quindi, ai periodi di imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi. La norma, dunque, è limitata a imposte sui redditi e imposta sul valore aggiunto. Non solo, essa è circoscritta, nell‘ambito di tali imposte, a quelle fattispecie che sono verificate tramite l‘emissione di avvisi di accertamento. Non rientrano, quindi, nella riforma le fattispecie, pur in tema di imposte sui redditi e Iva, che sono oggetto di liquidazione e controlli formali ex art. 36-bis e 36 ter, d.p.r. n. 600 del 1973, nonché ex art. 54 bis d.p.r. n. 633 del 1972. In tal senso, si è espressa quasi unanimemente la dottrina. Cfr. A. CARINCI, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex d.l. n. 78/2010, in Riv. dir. trib., 2011, 159 ss.; A. GIOVANNINI, Riscossione in base al ruolo e agli atti di accertamento, in Rass. trib., 2011, 22 ss. Un problema che si è posto, ed è stato ad oggi risolto positivamente dalla dottrina (la medesima sopra richiamata), riguarda la ricomprensione o meno dell‘Irap nella disciplina in questione. La novella, invero, non la contempla esplicitamente; tuttavia, 2 L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA E SOSPENSIONE CAUTELARE Appare criticabile la mancanza di una adeguata ponderazione della riforma e dei suoi diretti riflessi sulle numerose tematiche connesse, e quindi la sussistenza di diversi problemi di coordinamento, che sfociano talora in possibili censure di incostituzionalità3, ma è comunque da apprezzare l‘indicazione, coraggiosa, di una nuova via da seguire per velocizzare e semplificare la fase della riscossione 4: eliminare inutili passaggi formali 5 e rendere l‘avviso di accertamento già titolo esecutivo della pretesa impositiva. E‘ compito della dottrina, a questo punto, segnalare al legislatore i profili critici, le necessità di coordinamento, le distonie, le lacune da colmare, con riguardo a specifici problemi normativi, direttamente o indirettamente toccati dalla riforma6. Uno dei problemi senz‘altro più delicati, su cui mi sembra opportuno brevemente soffermarsi, riguarda la carenza di tutela del contribuente nei la sua natura di imposta sui redditi ed il suo accertamento in connessione con queste e con l‘Iva, rende possibile e giustificabile considerarla ricompresa. 3 A. CARINCI, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex d.l. n. 78/2010, in Riv. dir. trib., 2011, 159 ss., in particolare 162, così scrive significativamente (e poi puntualmente dimostra la tesi nelle pagine successive del proprio intervento): ―La scelta attuata con il DL n. 78/2010 di rendere esecutivo l‘avviso di accertamento, proprio perché nei fatti innovativa, se non nel fine certo nelle modalità, avrebbe suggerito una riflessione più meditata; una riflessione, di contro, esclusa a priori dallo strumento impiegato della decretazione d‘urgenza. Una riflessione che – come meglio si vedrà – avrebbe dovuto coinvolgere non solo la disciplina procedimentale della riscossione, ma altresì quella sul processo tributario, nella misura in cui la concentrazione delle funzioni di accertamento e riscossione, per come la si è voluta realizzare, potrebbe implicare ipotesi di grave pregiudizio per talune insopprimibili garanzie del contribuente‖. 4 Sulla portata innovatrice della riforma particolarmente da individuarsi nella scelta di fondo e nella direzione scelta, cfr. il commento ―a caldo‖ di C. G LENDI, ―Luci‖ ed ―ombre‖ sulla manovra 2010, Editoriale, in Corr. trib., 2010, 2645 ss., in particolare 25648, laddove si legge: ―nonostante questi lati «oscuri», emerge la bontà della scelta di fondo, che è stata coraggiosa e meritevole di particolare apprezzamento. Cogliendo segnali già chiaramente manifestati in dottrina, si è finalmente avvertito quanto fosse ormai anacronistica la traslazione dell‘efficacia esecutiva dell‘atto impugnato, posto in essere dall‘ente impositore, ad un successivo atto, pur esso dello stesso ente, ma destinato ad essere riprodotto nelle cartelle di pagamento, che sono invece atti propri dell‘organo della riscossione, e si è dunque riportata al primo la qualità di titolo esecutivo, abolendo l‘iscrizione a ruolo e la cartella di pagamento, il cui contenuto è anch‘esso rifluito nell‘atto impositivo‖. 5 Ci si riferisce, in particolare, al ruolo, che, già a seguito di Corte cost. 15 luglio 2005, n. 280, è mero passaggio di consegne, ―interno‖, tra organi amministrativi quali sono l‘Amministrazione finanziaria e il concessionario (oggi, Equitalia s.p.a., ad intera partecipazione statale). 6 Significativo, al riguardo, già nel titolo, oltre che ovviamente nel testo, il lavoro di G. INGRAO, Il difficile inserimento sistematico di una evoluzione strutturale, in Dial. trib., 2010. L‘evoluzione è quindi strutturale, ma l‘inserimento sistematico è delicatissimo. 144 L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA E SOSPENSIONE CAUTELARE confronti dell‘eventualità di una mancata o viziata notifica dell‘atto di accertamento. Sotto tale profilo, il sacrificio imposto al contribuente, con riguardo alle sue possibilità di conoscere tempestivamente e di reagire alle pretese del Fisco, appare piuttosto marcato, inutile e, tra l‘altro, rischia di trasformarsi in un boomerang per la riscossione, sotto diversi profili. Con l‘eliminazione del ruolo e della cartella di pagamento, infatti, l‘avviso di accertamento diventa l‘unico atto col quale il contribuente viene a conoscenza della pretesa vantata dal Fisco. E quell‘atto, autoritativo ed unilaterale, è l‘unico che egli riceve prima di ritrovarsi assoggettato ad una espropriazione forzata. Senza contare appunto che, se il contribuente non riceve neppure quello, a causa di un vizio di notifica (purtroppo molto frequente), si ritroverebbe d‘emblée pignorato! Se la notifica dell‘avviso non fosse andata a buon fine, infatti, potrebbe divenire esecutivo un atto impositivo senza che il contribuente ne abbia mai avuto conoscenza e senza che abbia avuto la possibilità di contestarlo. E non può dirsi che le problematiche di notifica degli atti tributari siano di poco conto, ―casi di scuola‖. Il dibattito al riguardo è da sempre molto acceso, non soltanto sulla sanabilità dei vizi in caso di proposizione del ricorso7, ma anche su diversi profili di invalidità contestati dai contribuenti8. Ebbene, con la riforma, che renderà l‘avviso di accertamento unico atto necessario e sufficiente a procedere all‘esecuzione forzata, è facile prevedere che una corretta notifica di esso sarà sempre più un elemento chiave 9. Ciononostante, sulla base degli attuali parametri normativi della esecuzione forzata tributaria, nei quali si inserirà la riforma, il contribuente non avrebbe alcuna tutela immediata di fronte all‘azione esecutiva in caso di notifica viziata dell‘atto di accertamento. 7 Ormai ammessa dalla Cass., Sez. Un., 5 ottobre 2004, n. 19854 salvo che non si tratti di vizi di inesistenza, ovvero che non sia nel frattempo – cioè prima della proposizione del ricorso - maturata la decadenza dal potere impositivo (decadenza che il contribuente è onerato ad eccepire insieme con il vizio di notifica). Cfr. sul punto C. GLENDI, Le Sezioni Unite si pronunciano sulla sanatoria dei vizi di notifica degli atti impugnati nel processo, in Corr. trib., 2004, 3711 ss. 8 Con riguardo, ad esempio, alla corretta compilazione della relata di notifica ovvero alla possibilità di una spedizione per posta direttamente dagli uffici finanziari senza la intermediazione di un soggetto terzo notificatore. Per i vari problemi della notifica degli atti tributari, sia consentito il rinvio a M.G. B RUZZONE, Notificazioni e comunicazioni degli atti tributari, Cedam, 2006, nonché alla rassegna di giurisprudenza ID., Orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in tema di comunicazioni e notificazioni degli atti del processo tributario, in Dir. prat. trib., 1994, 309 ss. (prima parte) e 903 ss. (seconda parte). 9 E‘ anzi prevedibile, ed auspicabile, maggior rigore nella verifica delle notifiche da parte dei giudici. 145 L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA E SOSPENSIONE CAUTELARE Invero, l‘art. 57, primo comma, lettera b), d.p.r. 602/1973, esclude la proponibilità, in materia tributaria, delle opposizioni all‘esecuzione e agli atti esecutivi per questioni di notificazione del titolo esecutivo 10. Si tratta di una macroscopica lesione del diritto di difesa. Il contribuente, in altri termini, potrà subire una esecuzione senza avere mai ricevuto alcunché da parte dell‘Amministrazione finanziaria, e non avrà la possibilità di reagire per contestare il vizio di notifica! Tutta la dottrina chiede a gran voce un intervento legislativo di coordinamento, e in particolare la modifica di tale norma con il riconoscimento della possibilità per il contribuente di proporre opposizione per vizio di notifica dell‘avviso di accertamento. Certamente, il legislatore dovrà occuparsi di questo vuoto di tutela del contribuente, prima che la Corte Costituzionale intervenga a censurarlo. Del resto, si tratta, di fatto, di un ritorno al solve et repete11, già diversi anni orsono eliminato dal nostro sistema proprio a cura del Giudice delle Leggi 12. Nel condividere pienamente le richieste in tal senso di tutti i primi commentatori della riforma13, non si può peraltro mancar di notare come un intervento di questo tipo rischierebbe di travolgere la ratio dell‘odierna riforma: se il contribuente potesse rivolgersi al giudice dell‘esecuzione per far valere i vizi di notifica degli atti impositivi (come è imprescindibile che sia, se tali atti sono gli unici che precedono l‘esecuzione), considerati i tempi medi di definizione delle controversie dinanzi ai giudici ordinari, ben più lunghi di quelli dei giudizi tributari, e rilevato che in questi casi è probabile 10 Per completezza, si precisa che la norma vieta il ricorso all‘art. 617 c.p.c. in materia tributaria anche per questioni relative alla regolarità formale del titolo esecutivo. Cfr., sul punto, C. GLENDI, ―Luci‖ ed ―ombre‖ sulla manovra 2010, in Corr. trib., 2010, 2645 ss.; G. INGRAO, Il difficile inserimento sistematico di una evoluzione strutturale, in Dial. trib., 2010. 11 Stando all‘odierna formulazione, invero, per evitare l‘espropriazione dei propri beni, il contribuente dovrebbe pagare l‘imposta e poi - eventualmente - tentare di ripetere l‘indebito, con tutte le obiezioni di legittimità costituzionale già anticipate e soprattutto con le difficoltà nella configurazione di una siffatta azione. Problematiche analoghe erano state sollevate a seguito della riforma che ha abolito l‘avviso di mora: cfr. al riguardo C. GLENDI, Abolizione dell‘avviso di mora: si torna al ―solve et repete‖?, in Corr. trib., 1999, 2833 ss. 12 C. Cost., 31marzo 1961, n. 21. Sul punto si veda C. MAGNANI, Incostituzionalità del solve et repete, in Dir. e prat. trib., 1961, II, 153 e ss. 13 Cfr., per tutti, C. Glendi, Luci e ombre sulla Manovra 2010, in Corr. trib., 2010, 2645 ss., in particolare 2649. Lo stesso A. propone, anche, una interpretazione ―costituzionalmente orientata‖ della norma, conforme all‘art. 24 cost, per affermare già sin d‘ora l‘ammissibilità dell‘opposizione del contribuente volta ad eccepire l‘omessa notifica dell‘avviso di accertamento. Nello stesso senso, G. I NGRAO, Il difficile inserimento sistematico di una evoluzione strutturale, in Dial. trib., 2010. 146 L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA E SOSPENSIONE CAUTELARE sia concessa la sospensione dell‘esecuzione, la riforma finirebbe per aumentare – anziché diminuire – i tempi della riscossione14. In conclusione, il pesante sacrificio alle garanzie del contribuente (per l‘eliminazione, in particolare, della notifica della cartella di pagamento), addirittura a rischio di illegittimità costituzionale, neppure pare giustificato dai suoi fini, in relazione ai quali anzi rischia di porsi come serio ostacolo. Non comunque è possibile fare bilanci prima ancora che diventi operativa una riforma. Si possono solo fare previsioni, o commenti sulla apparente idoneità della stessa a raggiungere gli scopi prefissati. E, particolarmente sotto il profilo richiamato, pare che la riforma possa essere controproducente. Ma nell‘analisi di tutti i profili più delicati già si muovono, pregevolmente e in modo completo, tutti gli interventi dell‘odierno convegno. Credo, quindi, possa essere utile ed interessante analizzare anche, oltre ai pregi e difetti della riforma e alle connessioni per così dire ―dirette‖ con altri istituti normativi che ne sono incisi, quelle fattispecie che, pur non direttamente incise dalla riforma, potrebbero, de iure condendo, necessitare di un ripensamento, vista la direzione15 assunta dalla riforma. Anzi, questa valutazione, cui mi accingo con specifico riguardo al tema della riscossione frazionata nei suoi rapporti con la sospensione cautelare, per quanto solo indirettamente connessa con la riforma, mi pare importante proprio perché la riforma in esame, per la sua ―essenzialità‖, è apprezzabile più nelle linee generali e negli obiettivi fissati che nella loro, ancora superficiale e poco coordinata, attuazione normativa. 2 La riscossione frazionata, istituto legato alle sue origini storiche e poco compatibile con l‟evoluzione normativa. Come è noto, l‘istituto della riscossione frazionata o ―gradata‖ comporta che il tributo (e relativi interessi), in pendenza di un giudizio sulla sua legittimità, sia riscosso soltanto in parte, sulla base di quote normativamente individuate. In passato, la riscossione frazionata del tributo in pendenza del processo era delineata diversamente nelle singole leggi di imposta. Successivamente, è stata fissata, nell‘art. 68, d.lgs. n. 546 del 1992, una disciplina unitaria per tutti i tributi, ma solo con riferimento alle fasi processuali che seguono la sentenza di primo grado. 14 Senza contare che i giudici ordinari saranno per natura ben più severi dei giudici tributari nel valutare le notifiche degli atti impositivi, spesso non proprio ―esemplari‖. 15 La dottrina, per la riforma in commento, ha parlato proprio di ―prospettiva ribaltata‖, di ―inversione dell‘ordine di marcia‖ rispetto alla direzione fino ad oggi seguita: si è detto, in particolare, che il legislatore non ha più inteso caricare di funzione impositiva l‘atto di riscossione, quanto di funzione esattiva quello di accertamento. ―Se la montagna non va da Maometto, Maometto va alla montagna‖. Così, sempre, A. CARINCI, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex d.l. n. 78/2010, in Riv. dir. trib., 2011, 159 ss., in particolare 161. 147 L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA E SOSPENSIONE CAUTELARE In sostanza, per la riscossione del tributo in pendenza del primo grado di giudizio (e quindi prima della sentenza della Commissione provinciale), occorre ancora far riferimento alle singole leggi di imposta, e alle varie differenze da esse previste16; dopodiché, per la riscossione successiva alla sentenza di primo grado o a quella di secondo grado, la disciplina è prevista dall‘art. 68 menzionato in forma unitaria per tutti i tributi, sicché le corrispondenti regole per le singole imposte debbono ritenersi abrogate 17. Ad esempio, con riguardo alle imposte sui redditi, il tributo, in pendenza del giudizio di primo grado, può essere iscritto a ruolo per il 50%. Dopo la sentenza di primo grado, che rigetti il ricorso, il tributo deve essere pagato per i due terzi; dopo la sentenza di secondo grado, ancora negativa per il contribuente, dovrà essere versato il residuo 18. 16 Per le imposte sui redditi, l‘art. 15, primo comma, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, prevede l‘iscrivibilità a ruolo della sola metà delle imposte dovute (in passato, la quota iscrivibile era un terzo). La stessa norma è applicabile all‘Iva in forza dell‘art. 23 d.lgs. n. 46 del 1999. Una iscrizione provvisoria, pur in pendenza di giudizio di primo grado, è prevista anche per l‘imposta di registro, ex art. 56 d.p.r. n. 131 del 1986, nonché per l‘imposta sulle successioni e donazioni, ex art. 40 d.lgs. n. 346 del 1990. Altri tributi, invece, non conoscono tale istituto (es. tributi locali). 17 Art. 15, secondo comma, e 40 d.p.r. n. 602 del 1973, per le imposte sui redditi; art. 60, commi dal secondo al quinto, d.p.r. n. 633 del 1972, per l‘Iva; art. 56 d.p.r. n. 131 del 1986, per l‘imposta di registro. Sul punto, l‘opinione di dottrina e giurisprudenza non è unanime. Invero, una corrente minoritaria ritiene che, in forza della precisazione testuale dell‘art. 68 citato laddove scrive ―anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi di imposta‖, siano state implicitamente abrogate anche tutte le norme delle singole leggi di imposta che prevedano una riscossione qualsivoglia prima della sentenza di primo grado e che, per tutti i tributi, valga solo e soltanto la disciplina dell‘art. 68. In tal senso, alcuna giurisprudenza di merito: Comm. trib. reg. Piemonte, 29 marzo 1999, n. 16, in Boll. trib., 2000, 939 nonché, più recentemente, Comm. trib. prov. Roma, 4 settembre 2009, n. 329, in Corr. trib., 2010, 1277 ss. con nota di F. Napolitano, L‘iscrizione a ruolo provvisoria tra tutela del contribuente ed esigenze di ―restyling‖. In senso contrario, tuttavia, si è espressa la Suprema Corte (Cass., sez. trib., 13 maggio 2003, n. 7339, in Riv. giur. trib., con nota di F. RANDAZZO) ricordando che l‘art. 15 d.p.r. 602 del 1973 era originariamente composto da te commi e che il primo rimaneva esistente, mentre i successivi dovevano ritenersi abrogati dall‘art. 68 d.lgs. n. 546 de 1992. Nello stesso senso, già l‘Amministrazione finanziaria, con circ. 23 aprile 1997, n. 98/E. 18 Per la precisione, l‘art. 68, primo comma, d. lgs. n. 546 del 1992 così statuisce: ―anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi di imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato: a) per i due terzi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso; b) per l‘ammontare risultante dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso; 148 L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA E SOSPENSIONE CAUTELARE Ebbene, una siffatta normativa è finalizzata a temperare la normale esecutorietà dei provvedimenti amministrativi, con funzione evidentemente cautelare per il contribuente19. Si vuol, cioè, evitare che, nelle more della decisione su un avviso di accertamento che si protesta come illegittimo, l‘intera pretesa sia esecutiva nei confronti del contribuente. Al tempo stesso, non si può né si vuole eliminare in radice la possibilità per l‘Amministrazione finanziaria di riscuotere il tributo in pendenza del giudizio, per esigenze di tutela della riscossione 20 oltreché per evitare ricorsi meramente dilatori. Così, per bilanciare i due contrapposti interessi, si è introdotto un sistema, tutto sommato rozzo, che ―fraziona‖ le due esigenze e, a seconda dello stato di avanzamento del contenzioso, progressivamente aumenta la tutela della riscossione rispetto a quella cautelare del contribuente. Questo nella, un po‘ superficiale, considerazione che più si va avanti nel processo, più è probabile che la pretesa sia fondata 21. L‘istituto della riscossione gradata ha origini storiche, nel senso che risale a quando le Commissioni tributarie erano organi per lo più amministrativi, che formavano l‘avviso di accertamento e contribuivano, progressivamente, alla determinazione dell‘imponibile e dell‘imposta dovuta. Allora, i ―tre‖ livelli crescenti di riscossione, correlati all‘atto impositivo, la decisione di prime cure, la decisione di secondo grado, restavano giustificati dalla contestuale formazione progressiva dell‘imponibile. Ma oggi l‘istituto ha perso giustificazione e logica, per la diversa natura delle Commissioni tributarie, ma soprattutto per l‘introduzione, sempre nel d.lgs. n. 546 del 1992, all‘art. 47, della sospensione cautelare dinanzi alla Commissione tributaria provinciale. Le Commissioni tributarie, infatti, sono certamente organi giurisdizionali, che controllano la legittimità dell‘avviso di accertamento, e non partecipano alla formazione della fattispecie impositiva. Ma l‘istituto della riscossione frazionata, nonostante l‘innegabile modifica in senso giurisdizionale delle Commissioni, è rimasto, logicamente giustificato per tutti coloro che ricostruiscono natura del processo tributario c) per il residuo ammontare determinato nella sentenza della commissione tributaria regionale‖. 19 Ha sottolineato la funzione cautelare dell‘art. 68 in commento, G. BELLAGAMBA, Il contenzioso tributario dopo il d.l. n. 259/1996, Utet, 1996, 208. 20 Insiste più su tale profilo di tutela delle ragioni dell‘Amministrazione finanziaria, S. LA ROSA, Principi di diritto tributario, 2006, 377, il quale sottolinea come, nell‘art. 68 in commento, sia l‘efficacia esecutiva, che normalmente accompagna l‘avviso di accertamento, ad essere sospesa e a progressivamente venir reintegrata. 21 Scrive però C. GLENDI, L‘esecuzione delle sentenze e la disciplina transitoria, in Il nuovo processo tributario di F. Moschetti – L. Tosi, Cedam, 1999, 153: ―ricordo pagine bellissime di libri che dicevano che, più avanti si va, maggiore è il rischio di disastri‖. 149 L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA E SOSPENSIONE CAUTELARE nell‘accertamento della fattispecie impositiva, e quindi vedono la sentenza come sostitutiva dell‘atto impugnato 22, ancora da coloro che lo ricostruiscono nell‘annullamento- sostituzione dell‘atto impositivo. Buona parte della dottrina, tuttavia, indipendentemente dalla propria posizione in tema di natura del processo tributario, nega alla sentenza efficacia sostitutiva della pretesa tributaria, e riconosce che le iscrizioni provvisorie ex art. 68, pur prendendo a parametro l‘imponibile deciso dall‘organo giurisdizionale, hanno a proprio fondamento non la sentenza ma l‘atto di imposizione impugnato che rimane titolo per la riscossione 23. Lasciati per ora da parte le delicate problematiche circa la natura del processo tributario, e anche riguardo a quale sia il titolo legittimante la pretesa, se l‘atto di accertamento (il ruolo, ante riforma) ovvero la sentenza 24, resta comunque a minare le basi dell‘istituto della riscossione frazionata, più che ogni altra considerazione, la previsione nel nostro ordinamento tributario della sospensione cautelare giudiziale (art. 47 d. lgs. n. 546 del 1992). Essa rappresenta una diversa e più specifica risposta all‘esigenza di tutela cautelare del contribuente nelle more del processo: il giudice, invero, valuta se sospendere o meno la riscossione, in base al fumus e al periculum di quella specifica vertenza. Ma, per effetto della vigenza dell‘istituto della riscossione frazionata, tale specifica valutazione del giudice deve restare, incongruamente, limitata alla quota che, in quel grado di giudizio, può essere pretesa. E cioè il giudice decide se sospendere o meno il 50 per cento dell‘imposta, giacchè l‘altro 50 22 Da ultimo, ancora dopo la recente riforma, A. Giovannini, Riscossione in base al ruolo ed in base ad atti di accertamento, in Rass. trib., 2011, 23 ss. in particolare 31, laddove scrive: ―in termini generali, a me non sembra azzardato ricondurre la sentenza tra i titoli giuridici per la riscossione: attenendo al merito del rapporto controverso, essa può essere qualificata come sostitutiva dell‘atto impugnato. In poche parole, se si muove, com‘è mia opinione, dalla qualificazione del processo come accertamento del rapporto e dunque del diritto di credito in contestazione, è coerente al sistema vedere nella sentenza il ―nuovo‖ titolo legittimante l‘esazione delle somme in essa stabilite‖. L‘A., con riguardo alla recente riforma e al richiamo dell‘art. 68 in commento nell‘art. 29 l. n. 122 del 2010, conclude rilevando che ―l‘Agenzia deve notificare al contribuente avviso di determinazione delle somme dovute ai sensi dell‘art. 68 d.lgs. n. 546 del 1992‖. Ora, a me pare, piuttosto, che tale necessità di rinotificare un atto, di determinazione del nuovo importo da pagare, non sia imposto soltanto da necessità esecutive, di assolvere correttamente alla funzione di intimazione ad adempiere indicando precisamente la somma dovuta, ma sia testimonianza ulteriore che, nel processo che ne occupa, titolo legittimante l‘esazione delle somme non possa mai essere la sentenza. 23 Così, per tutti, F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, 2006, 397 ss.; G. FALSITTA, Manuale tributario, 2003, 504. 24 Problema, quest‘ultimo, ancora molto controverso specie in tema di sospensione cautelare oltre il primo grado. Cfr. C. GLENDI, Verso la costituzionalizzazione della tutela cautelare oltre il primo grado, in Corr. trib., 2010, 2041 ss. 150 L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA E SOSPENSIONE CAUTELARE % non può essere preteso, è sospeso ex lege dell‘art. 15 d.p.r. n. 602 del 1973. Trattasi di incongruenza già denunciata dalla dottrina25, che appare sempre più incoerente con il sistema, soprattutto per effetto della odierna riforma della riscossione, volta a renderla più veloce ed efficiente, e anche a seguito del recente ampliamento giurisprudenziale della sospensione cautelare oltre il primo grado di giudizio. 3 La concentrazione della riscossione nell‟accertamento e la sospensione cautelare oltre il primo grado: la riscossione frazionata è sempre più incoerente con il sistema. L‘art. 29, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv. in l. 22 luglio 2010, n. 122, modifica l‘attuale sistema di riscossione dei tributi, prevedendo che, a partire dal 1° luglio 2011, l‘avviso di accertamento e il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni emessi dall‘Agenzia delle Entrate ai fini delle imposte sul reddito e dell‘imposta sul valore aggiunto diventino esecutivi decorsi sessanta giorni dalla loro notifica. Ciò determina un mutamento della natura dell‘avviso di accertamento che, da atto essenzialmente ―impositivo‖, diviene anche ―esattivo-esecutivo‖26. Nel sistema attuale, ante riforma, infatti, l‘avviso di accertamento è emesso dall‘Amministrazione finanziaria per modificare la rappresentazione della fattispecie tributaria fornita dal contribuente 27 e per avanzare la pretesa di una maggiore imposta; solo a seguito dell‘iscrizione a ruolo, da effettuarsi decorsi sessanta giorni dalla notifica dell‘avviso di accertamento, si forma il titolo esecutivo che appunto coincide con il ruolo. Successivamente, dopo la 25 C. GLENDI, L‘esecuzione delle sentenze e la disciplina transitoria, in Il nuovo processo tributario di F. Moschetti – L. Tosi, Cedam, 1999, 153, laddove si legge ―ritengo che se l‘avviso di accertamento, che ha valenza di provvedimento, quindi immediatamente produttivo di effetti, è un provvedimento fondato, inattaccabile, ora che c‘è la sospensione cautelare, o viene sospeso oppure, se non viene sospeso, deve avere piena attuazione. Non si capisce perché ci debba essere una forma di graduazione successiva e tanto meno comprendo perché poi ci debba essere una situazione di riscossione progressiva frazionata tra la sentenza di primo grado e la sentenza di secondo grado‖. 26 Cfr. al riguardo A. CARINCI, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex d.l. n. 78/2010, in Riv. dir. trib., 2011, 159 ss.; M. BRUZZONE, L‘avviso di accertamento diventa ―titolo esecutivo‖ per imposte sui redditi ed IVA, in Corr. trib., 2010, 2230 ss. 27 G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Cedam, 2010, definisce gli atti impositivi quali ―atti autoritativi diretti al contribuente, con i quali si modifica (in misura più o meno estesa) la rappresentazione della fattispecie tributaria da questi fornita, ovvero si sopperisce alla mancanza di tale doverosa rappresentazione determinando gli elementi rilevanti per la quantificazione del tributo dovuto‖. ― A questi atti è riconducibile l‘effetto di legittimare l‘Amministrazione finanziaria a riscuotere le somme dovute in base alla suddetta determinazione‖. 151 L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA E SOSPENSIONE CAUTELARE notifica della cartella di pagamento28, che ha funzione di atto di ―precetto‖, e dopo l‘infruttuoso decorrere di sessanta giorni da essa, l‘Agente della riscossione può procedere all‘esecuzione forzata. Con la riforma, invece, tutti questi passaggi sono stati soppressi, con l‘evidente intento di velocizzare la riscossione: l‘avviso di accertamento sarà chiamato a svolgere anche la funzione di titolo esecutivo e precetto. Non sarà, dunque, più necessaria né l‘iscrizione a ruolo né la notifica della cartella di pagamento29. Il contribuente avrà sempre la possibilità di impugnare l‘avviso di accertamento entro sessanta giorni dalla notifica, ma dovrà sapere che, decorso tale termine, l‘atto diventerà esecutivo (sia esso impugnato o meno 30) e, dopo altri trenta giorni, l‘esecuzione sarà presa in carico dall‘Agente della riscossione. Sarà quindi necessario che il contribuente, se ne sussistono i presupposti 31, proponga già insieme con il ricorso anche l‘istanza di sospensione cautelare. E‘ bene precisare, tuttavia, che la eventuale impugnazione da parte del contribuente non è del tutto irrilevante sotto il profilo dell‘esecuzione. E questo, non solo perché si potrà richiedere la sospensione cautelare alla Commissione tributaria, ma soprattutto perché l‘atto sarà provvisoriamente esecutivo, nella pendenza del giudizio di primo grado, solo per la metà dell‘imposta, ai sensi dell‘art. 15 d.p.r. n. 602 del 1973, e, poi, nei successivi 28 Ovvero dopo l‘eventuale avviso di intimazione nei casi di cui all‘art. 50, comma 2, d.p.r. n. 602 del 1973 e cioè nei casi in cui l‘esecuzione non sia iniziata entro un anno dalla notifica della cartella. 29 L‘art. 29 d.l. 78/2010 precisa invero che ―l‘avviso di accertamento … ed il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni, devono contenere anche l‘intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all‘obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati …‖, che essi ―divengono esecutivi decorsi sessanta giorni dalla notifica‖ e che ―devono espressamente recare l‘avvertimento che, decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme richieste, in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo, è affidata in carico agli agenti della riscossione, anche ai fini dell‘esecuzione forzata‖. 30 Fermo restando l‘obbligo di rispettare i limiti di cui all‘art. 15 d.p.r. 602 del 1973 (iscrizione della metà dell‘imposta), nella pendenza del primo grado di giudizio, e poi, dopo la sentenza di prime cure, quelli di cui all‘art. 68 d.lgs. n. 546 del 1992. 31 Naturalmente, nel valutare il periculum in mora, saranno superate le perplessità delle molte Commissioni tributarie di merito che, giustamente, concedevano sospensione cautelare soltanto in presenza della cartella di pagamento, ritenendo che la semplice notifica dell‘avviso di accertamento, il quale non aveva efficacia esecutiva, non rappresentasse un pericolo attuale e quindi non fosse meritevole di tutela cautelare. A partire dal 1° luglio 2011 questo problema non si porrà più dal momento che, come visto, la natura impositiva ed esecutiva dell‘atto si fonderanno insieme nell‘avviso di accertamento. A. CARINCI, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex d.l. n. 78/2010, in Riv. dir. trib., 2011, 175 ss.; C. GLENDI, Nuove frontiere per la tutela cautelare, in Corr. trib., 2010, 2163 ss. 152 L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA E SOSPENSIONE CAUTELARE gradi di giudizio, secondo le regole e i limiti di cui all‘art. 68, d.lgs. n. 546 del 1992. Entrambe le norme sono espressamente fatte salve dalla riforma. Non c‘è più l‘iscrizione a ruolo a titolo provvisorio di metà dell‘imposta, quindi, ma rimane la provvisoria esecutività per metà. Cambiano i passaggi formali, non cambia la sostanza32. Senza contare che quella stessa metà imposta, già esecutiva, può essere sospesa in via cautelare dalla Commissione di primo grado; e poi, ancora, i due terzi dell‘imposta stabilita dalla sentenza di prime cure, eseguibili a norma dell‘art. 68 citato, possono a loro volta essere sospesi in secondo grado, seguendo le recenti aperture in tal senso della Corte costituzionale33. E allora, davvero la riforma velocizza la riscossione? Certo, toglie passaggi formali. Non sarebbe stato meglio togliere queste assurde ―frazioni di imposta‖ automaticamente ineseguibili? Eventualmente, rimettendo alla valutazione della Commissione tributaria la sospensione cautelare dell‘intera imposta recata dall‘avviso di accertamento, in quanto interamente esecutivo? Già che l‘ordinamento prevede la possibilità di accedere ad una specifica valutazione del caso concreto da parte della Commissione, e quindi alla sussistenza del fumus boni iuris del ricorso, nonché delle ragioni di periculum in quella particolare vicenda, perché non rimettere a tale più vicina 32 Lo stesso, per il ruolo straordinario, istituto che era stato introdotto per consentire all‘ente creditore di iscrivere l‘intero importo, risultante dall‘avviso di accertamento non definitivo, qualora vi fosse fondato pericolo per il positivo esito della riscossione. Con la riforma del 2010, il legislatore, all‘art. 29, lett. c), d.l. 78/2010, mantiene la possibilità di anticipare il momento della riscossione prevedendo che ―in presenza di fondato pericolo per il positivo esito della riscossione, decorsi sessanta giorni dalla notifica degli atti di cui alla lettera a), la riscossione delle somme in essi indicate, nel loro ammontare integrale comprensivo di interessi e sanzioni, può essere affidata in carico agli agenti della riscossione‖ anche prima del decorrere dei termini sopra indicati. Anche in tale ipotesi, dopo la notifica dell‘avviso di accertamento, non è però necessario l‘adempimento di ulteriori formalità (e quindi, l‘iscrizione a ruolo straordinario) per procedere direttamente all‘esecuzione. Ancora, quindi, si saltano alcuni passaggi formali, ma la sostanza non cambia. Vi sono, però, lesioni del diritto all‘informazione e alla difesa del contribuente, posto che questo sistema di esazione straordinaria fa sì che il contribuente sia privato della possibilità di conoscere i motivi che hanno indotto l‘Agenzia a procedere in tal senso, limitando così il diritto di difesa del debitore. A. GIOVANNINI, Riscossione in base al ruolo e agli atti di accertamento, in Rass. trib., 2011, 22 ss. 33 C. Cost., 17 giugno 2010, n. 217, in Corr. trib., 2010, 2401 ss. con nota di C. GLENDI, Verso la costituzionalizzazione della tutela cautelare oltre il primo grado, nonché in Riv. giur. trib., 2010, 848 con nota di F. RANDAZZO, I poteri di sospensione del giudice di secondo grado in pendenza del ricorso in cassazione: un importante passo in avanti verso la pienezza della tutela cautelare. Ancora, sempre in tema, cfr. recentemente C. GLENDI, Sulla sospensione della riscossione dei tributi in pendenza di ricorso per cassazione, in Riv. giur. trib., 2011, 73 ss. 153 L‘ANOMALA COESISTENZA DI RISCOSSIONE FRAZIONATA E SOSPENSIONE CAUTELARE valutazione del caso l‘intera pretesa impositiva ed invece sprecare il lavoro limitandolo a metà imposta (o due terzi dell‘imposta)? Perché, ad esempio, concedere automaticamente ad un contribuente che proponga un ricorso (o un appello) del tutto infondato, solo al fine di prender tempo, che l‘imposta sia eseguita solo per metà (o per i due terzi)? E‘ evidente che la finalità della riforma, di render più efficiente e veloce il sistema di esazione dei tributi, è certamente tradita dalla c.d. riscossione frazionata. L‘istituto sempre più appare anacronistico, del tutto incompatibile con il sistema, che tende invece a tutelare sia le ragioni della riscossione che le esigenze cautelari del contribuente ben diversamente che tramite un rozzo frazionamento di imposta eseguibile: dal lato dell‘Amministrazione, si tende ad una riscossione più veloce, anticipata, correlata già all‘atto impositivo, che non ammette, dunque, quanto meno sul piano degli obiettivi dichiarati 34, una esecuzione ―a rate‖, automaticamente ritardata; dal lato del contribuente, il sistema muove correttamente verso una più specifica, e più garantistica, valutazione dei presupposti cautelari del singolo caso concreto per ogni grado di giudizio. 34 Anche se, come si è visto, sul piano normativo, l‘art. 29 l. n. 122 del 2010 fa espressamente salvo, e richiama, sia l‘art. 15 d.p.r. n. 602 del 1973 che l‘art. 68 d.lgs. n. 546 del 1992. 154 Avv. Paolo de‟Capitani di Vimercate La cooperazione internazionale in materia di accertamento e riscossione SOMMARIO: 1. Il contesto internazionale di riferimento. - 2. Lo scambio di informazioni nelle convenzioni internazionali. - 3. La normativa comunitaria in materia di scambio di informazioni. - 4. L‘assistenza alla riscossione nelle convenzioni internazionali. - 5. La normativa comunitaria sulla riscossione all‘estero dei crediti tributari. 1 Il contesto internazionale di riferimento La globalizzazione ha comportato la necessità per i Governi e le amministrazioni finanziarie dei vari Paesi di intensificare il contrasto all‘evasione e all‘elusione fiscale internazionale. La mobilità dei fattori produttivi e in generale la possibilità di delocalizzare rapidamente le attività economiche e finanziarie sono infatti fenomeni - spesso aiutati da regimi fiscali o legali di favore - che nonostante contribuiscano allo sviluppo della concorrenza di mercato incidono negativamente sulla stabilità economica dei singoli Paesi. La globalizzazione ha infatti accentuato di riflesso anche la ―concorrenza economica‖ tra i Paesi e per questo anche la concorrenza fiscale. Al fine dunque di combattere tale fenomeno si è ravvisata la necessità di un intervento congiunto e collaborativo dei singoli Stati, i quali si sono attivati tramite l‘azione di diversi organismi internazionali. Nazioni Unite, G-7, G-20, World Trade Organizazion (WTO), Fondo Monetario Internazionale (FMI), Banca Mondiale, Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (IBRD) e Banco Interamericano de Desarollo (BID), nonché OCSE e Unione Europea con interventi anche coincidenti, in più occasioni hanno auspicato - e stimolato – l‘ introduzione di regole fiscali comuni al fine di limitare la patologica riduzione del gettito fiscale derivante dalla globalizzazione del mercato. Tale fenomeno è causato essenzialmente dalla difficoltà di accertare - e quindi tassare – taluni tipi di reddito in quanto derivanti da fattori volatili, a fronte invece di altri redditi che – facilmente individuabili - sono meno esposti al rischio di erosione della base imponibile nazionale. Il problema è inoltre accentuato dalla concorrenza fiscale intrapresa dagli Stati al fine di attrarre gli investimenti esteri, oltre che dall‘avvento dalle nuove tecniche di comunicazione che hanno permesso la realizzazione dell‘off-shore electronic commerce (spesso sfruttato quale attrattiva economica proprio dai Paradisi fiscali) e la delocalizzazione o la esterovestizione di redditi e sedi societarie. Un altro fattore che può avere incoraggiato fenomeni evasivi a livello internazionale è stata l‘emanazione della direttiva n. 88/361/CEE del 24 giugno 1988, la quale istituendo il regime di liberalizzazione valutaria LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE all‘interno dell‘Unione europea a partire dal 1° luglio 1990 ha sancito la caduta delle barriere valutarie È chiaro dunque come nelle ipotesi in cui atti economicamente rilevanti siano produttivi di effetti oltre i confini di un unico Paese l‘effettivo esercizio della sovranità fiscale non possa prescindere da accentuate forme di cooperazione internazionale, e ciò tanto più per i Paesi che adottano un sistema di imposizione reddituale su base mondiale 1. Comunemente ciò prende il nome di ―cooperazione fiscale internazionale‖, e com‘è stato autorevolmente rilevato essa si sostanzia nella ―attività coordinata, ma distinta, di organi interni di due o più Stati, mirante di volta in volta ad adattare i fini di uno di essi indifferentemente, fini trovanti rispondenza negli analoghi degli altri, aventi egualmente diritto alla loro attuazione‖2. Tale collaborazione può tuttavia realizzarsi solo attraverso una disciplina comune che permetta ai singoli Stati di esigere dagli altri assistenza ai fini dell‘accertamento e della riscossione delle imposte oltre i propri confini nazionali, garantendo cioè tra i vari Stati in modo effettivo la condizione di reciprocità nell‘assistenza in materia fiscale. In tal senso lo stesso Consiglio dell‘Unione europea nelle premesse alla recente direttiva n. 2011/16/UE del 15 febbraio 2011, emanata in materia di cooperazione amministrativa nel settore fiscale (non ancora recepita in Italia), ha rilevato che ―Nell‘era della globalizzazione la necessità per gli Stati membri di prestarsi assistenza reciproca nel settore della fiscalità si fa sempre più pressante. (...) Per questo motivo uno Stato membro non può gestire il proprio sistema fiscale interno, soprattutto per quanto riguarda la fiscalità diretta, senza ricevere informazioni da altri Stati membri. Per ovviare agli effetti negativi di questo fenomeno è indispensabile mettere a punto una nuova cooperazione amministrativa fra le amministrazioni fiscali dei diversi Stati membri. È necessario disporre di strumenti atti a instaurare la fiducia fra gli Stati membri mediante l‘istituzione delle stesse norme e degli stessi obblighi e diritti per tutti gli Stati membri‖3. Nell‘ordinamento sovranazionale possono distinguersi differenti tipologie di fonti normative volte alla cooperazione fiscale internazionale, le quali si differenziano tra loro non tanto a motivo delle finalità perseguite poiché, appunto, sostanzialmente comuni - bensì per gli Stati e i Paesi rispetto ai quali svolgono i propri effetti e per i vincoli, più o meno stringenti, imposti agli Stati. 1 Lo scambio può tuttavia servire anche al Paese della fonte: v. per esempio il caso deciso dal Bundesfinanzhof in data 29 aprile 2008, I R 79/07, relativo al trattato Germania-Cina, pubblicato in Tax Treaty Case Law, www.ibfd.com e in BFH/NV, 2008, 1807. 2 In tal senso, v. Udina, Il diritto internazionale tributario, Padova, 1949, 428 ss. 3 V. anche Comunicazione della Commissione europea del 29 aprile 2009, COM/2009/201, sulla ―Promozione della buona governance in materia fiscale‖, http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2009:0201:FIN:IT:PDF 156 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE A livello internazionale, la principale fonte di regolamentazione in materia di scambio di informazioni fiscali è l‘art. 26 del Modello OCSE di Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni internazionali, adottato poi nei singoli trattati bilaterali conclusi dai vari Paesi. La norma è stata peraltro recepita nel 2008 anche all‘interno dell‘art. 26 del Modello ONU di Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni. V‘è poi la Convenzione di Strasburgo del 1988, intitolata ―Convenzione multilaterale sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale‖ che è stata promossa congiuntamente dall‘OCSE e dal Consiglio d‘Europa. I Paesi nord europei hanno invece concluso nel 1989 la Nordic Convention on Mutual Administrative Assistance in Tax Matters. L‘Italia e i Paesi del Centro Interamericano de Administraciones Tributarias4 (CIAT) nel 1999 hanno promosso il Working Group on Exchange of Information nell‘ambito del quale è stato concluso il CIAT Model Agreement on Exchange of Tax Information (CIAT Model). Sempre a livello OCSE, in seguito, il Global Forum Working Group on Effective Exchange of Information ha redatto nel 2001 il Tax Information Exchange Agreement (TIEA), quale standard da seguire a livello internazionale da parte dei singoli Stati per l‘implementazione di accordi bilaterali finalizzati alla cooperazione fiscale e alla lotta contro le pratiche fiscali dannose5. Nel 2010, invece, per quanto riguarda la cooperazione internazionale nelle verifiche fiscali il Forum on Tax Administration dell‘OCSE ha emanato il Joint Audit Report. Altre informazioni utili ai fini fiscali possono essere scambiate in esecuzione di altri accordi, come quelli di cooperazione internazionale in ambito penale, salva però l‘applicazione del principio di specialità che talvolta è richiamato da parte del Paese richiesto per impedire l‘utilizzo delle informazioni al di fuori del contesto (per es. penale) per cui sono richieste 6. 4 Ex amplius, v. http://www.ciat.org/index.php/es/productos-y-servicios/ciatdata.html V. Turina, I recenti sviluppi internazionali in materia di scambio di informazioni, in Fiscalità Internazionale, 2, 2010. 6 In giurisprudenza, v. Comm. trib. prov. di Milano, sent. n. 175 del 30 maggio 2000, dove i giudici, in relazione a un caso concernente un avviso d‘accertamento riguardante il rinvenimento di somme all‘estero detenute da un contribuente italiano in violazione della disciplina sul monitoraggio fiscale, hanno stabilito che ―Gli atti dell‘ufficio delle imposte dirette posti a base del proprio accertamento, conseguenti a rogatoria con la Svizzera, non possono essere utilizzati nell‘accertamento fiscale in ossequio alla Convenzione Europea di Assistenza Giudiziaria in materia penale, atteso che lo Stato elvetico rifiuta l‘assistenza in materia fiscale o valutaria‖. In dottrina v. Naef, Divagazioni del potere cognitivo del giudice delle rogatorie internazionali, in Aktuelle Juristische Praxis, 1997, 290 ss.; Bernasconi, La cooperazione giudiziaria italo-svizzera per le indagini bancarie di carattere penale, in Metodologie e strumenti per le indagini bancarie e patrimoniali, 1987, 179; Vogler, Spezialitätsbindung bei der sog.kleinen Rechtshilfe?, GA, 1986, 199; Vogler Wilkitzki, IRG Kommentar, Heidelberg, 1994; Aubert, Relations bancaires et entraide internationale en matière pénale, in Les nouveaux défis au secret bancaire suisse, Lausanne e Bellinzona, 1996, 113; Broggini, Irricevibilità della domanda e 5 157 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE In materia di assistenza alla riscossione dei crediti fiscali da parte di uno Stato estero la fonte più importante è senza dubbio l‘art. 27 del Modello OCSE. A livello comunitario, invece, sono state emanate specifiche direttive quali la n. 77/799/CEE del 19 dicembre 1977 (modificata poi dalla n. 79/1070/CEE del 6 dicembre 1979) in materia scambio di informazioni nel campo delle imposte dirette e IVA - peraltro recentemente abrogata dalla direttiva n. 2011/16/UE del 2001 citata - nonché la direttiva n. 76/308/CEE del 15 marzo 1976 in materia di assistenza nella riscossione all‘estero dei crediti tributari, la quale di recente è stata abrogata e sostituita dalla direttiva n. 2008/55/CE del 26 maggio 2008, che a sua volta, dal 1° gennaio 2012, sarà sostituita dalla direttiva 2010/24/UE. L‘importanza della cooperazione internazionale è tale che quando essa, come all‘interno dell‘Unione europea, raggiunge buoni livelli può addirittura avere effetti collaterali sulla struttura dei sistemi fiscali dei singoli Stati: un esempio di questo è dato dalle decisioni della Corte di Giustizia 7 che condannano singoli aspetti dei sistemi fiscali degli Stati membri che impongono limiti all‘esercizio delle libertà fondamentali non più giustificabili dalla lotta alla evasione e alla elusione fiscale internazionale, nel momento in cui queste legittime finalità possono essere contrastate, in linea con il principio di proporzionalità, attraverso il ricorso alla cooperazione internazionale. 2. Lo scambio di informazioni convenzioni internazionali. Oltre all‘obiettivo di eliminare le doppie imposizioni, le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni svolgono anche la funzione di contrasto all‘evasione e all‘elusione fiscale internazionale 8. Il perseguimento principio di specialità con particolare riguardo alle infrazioni valutarie, in L‘Assistenza internazionale in materia penale in Svizzera, Milano, 1983, 74-76; Schultz, Struttura generale della nuova legge svizzera sull'assistenza internazionale in materia penale, in L‘assistenza internazionale in materia penale in Svizzera, Milano, 1983. 7 Si pensi alle sentenze in materia di exit tax, solo per fare un esempio, o, ancor di recente alla sentenza 5 maggio 2011, C-267/09, Commissione / Portogallo, che ha dichiarato incompatibile con il diritto UE l‘imposizione ai non residenti dell‘obbligo di nominare un rappresentante fiscale nel caso percepiscano redditi che devono essere dichiarati in Portogallo. 8 In tal senso, v. Commentario al Modello di Convenzione OCSE, Parigi, 2010, laddove al par. 16 dell‘Introduzione si indica espressamente che ―In both the 1963 Draft Convention and the 1977 Model Convention, the title of the Model Convention included a reference to the elimination of double taxation. In recognition of the fact that the Model Convention does not deal exclusively with the elimination of double taxation but also addresses other issues, such as the prevention of tax evasion and non-discrimination, it was subsequently decided to use a shorter title which did not 158 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE di questi obiettivi emerge chiaramente dall‘analisi dei già richiamati artt. 26 e 27 del Modello OCSE di convenzione bilaterale. Secondo le disposizioni contenute nel paragrafo 1 dell‘art. 26 del Modello OCSE lo scambio di informazioni 9 può avvenire su richiesta di uno dei due Stati contraenti, automaticamente tra loro, oppure in modo spontaneo nei caso in cui ad esempio uno Stato abbia ottenuto informazioni che potrebbero interessare l‘altro (v. Commentario all‘art. 26 del Modello OCSE, versione del 22 luglio 2010, par. 9)10. Queste tre forme di scambio di informazioni possono anche essere combinate tra loro, dato che in base alla disposizione de qua per gli Stati contraenti non vi sono limitazioni nella possibilità di scambiare informazioni 11; al riguardo il Commentario OCSE chiarisce addirittura che ―the Contracting States may use other techniques to obtain information which may be relevant to both Contracting States such as simultaneous examinations, tax examinations abroad and industry-wide exchange of information‖ (v. Commentario all‘art. 26 del Modello OCSE, cit., par. 9.1)12. include this reference. This change has been made both on the cover page of this publication and in the Model Convention itself. However, it is understood that the practice of many member countries is still to include in the title a reference to either the elimination of double taxation or to both the elimination of double taxation and the prevention of fiscal evasion‖. 9 Ex multis, v. Adonnino, Lo scambio di informazioni fra amministrazioni finanziarie, in AA. VV., Diritto tributario internazionale, coordinato da V. Uckmar, Padova, 2005, 1125 ss. 10 Sull‘argomento di veda anche Ardito, La cooperazione internazionale in materia tributaria, Padova, 2005, 1125 ss.; Guglielmi, Scambio di informazioni: modifiche al Modello di Convenzione OCSE, in Fiscalità internazionale, 1, 2005, 42 ss.; Persano, La cooperazione internazionale nello scambio di informazioni: il caso dello scambio di informazioni in materia tributaria, Torino, 2006; Ruchelman-Shapiro, Exchange of Information, in Intertax, 2002, 408 ss. 11 V. Antonini, Le novità apportate al Modello ed al Commentario Ocse in tema di sul reddito e sul capitale, in Riv. dir. trib., 2006, IV, 25. 12 Il Commentario all‘art. 26 del Modello OCSE, al par. 9.1 chiarisce poi che tali tecniche possono sostanzialmente riassumersi come segue: ―- a simultaneous examination is an arrangement between two or more parties to examine simultaneously each in its own territory, the tax affairs of (a) taxpayer(s) in which they have a common or related interest, with a view of exchanging any relevant information which they so obtain (see the OECD Council Recommendation C(92)81, dated 23 July 1992, on an OECD Model agreement for the undertaking of simultaneous examinations); - a tax examination abroad allows for the possibility to obtain information through the presence of representatives of the competent authority of the requesting Contracting State. To the extent allowed by its domestic law, a Contracting State may permit authorised representatives of the other Contracting State to enter the first Contracting State to interview individuals or examine a person‘s books and records, — or to be present at such interviews or examinations carried out by the tax authorities of the first Contracting State — in accordance with procedures mutually 159 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE Diversamente dal passato, il modello Ocse prevede ormai che lo scambio di informazioni possa attivarsi anche per l‘applicazione delle disposizioni domestiche dello Stato richiedente (cd. broad assistance) e quindi a prescindere dalla sussistenza di problematiche relative all‘applicazione della convenzione, come peraltro richiesto ancora da alcune delle convenzioni in vigore a livello internazionale (impostate sulla cd. narrow assistance). Nel rispetto del principio di legalità, la richiesta di informazioni incontra peraltro il limite delle fishing expeditions, e al riguardo il modello Ocse (art. 26, par. 1) stabilisce il compromesso tra l‘interesse dello Stato richiedente e il divieto di ricerca indiscriminata di prove ammettendo le richieste di informazioni che siano prevedibilmente rilevanti ai fini di una specifica verifica fiscale. Posto tale principio, ispirato alla più ampia collaborazione tra le amministrazioni finanziarie nell‘attività accertativa, tuttavia, v‘è un limite pratico all‘effettivo e completo scambio di informazioni, dato dalle differenze degli ordinamenti interessati. Non è infatti produttiva di effetti la richiesta di particolari informazioni o di adozione di specifici provvedimenti che non sia conforme alle leggi o alla prassi amministrativa di uno dei due Stati contraenti. Una specifica richiesta di provvedimenti finalizzati all‘accertamento o allo svolgimento di indagini non è vincolante cioè per lo Stato destinatario di tale richiesta, sia quando ciò integri la violazione delle norme di legge o della prassi amministrativa di tale Paese, sia quando gli atti oggetto dell‘istanza siano contrari alle leggi o alla prassi amministrativa dello Stato richiedente (v. art. 26 del Modello OCSE, par. 3)13. agreed upon by the competent authorities. Such a request might arise, for example, where the taxpayer in a Contracting State is permitted to keep records in the other Contracting State. This type of assistance is granted on a reciprocal basis. Countries‘ laws and practices differ as to the scope of rights granted to foreign tax officials. For instance, there are States where a foreign tax official will be prevented from any active participation in an investigation or examination on the territory of a country; there are also States where such participation is only possible with the taxpayer‘s consent. The Joint Council of Europe/OECD Convention on Mutual Administrative Assistance in Tax Matters specifically addresses tax examinations abroad in its Article 9; - an industry-wide exchange of information is the exchange of tax information especially concerning a whole economic sector (e.g. the oil or pharmaceutical industry, the banking sector, etc.) and not taxpayers in particular‖. Ex amplius, v. Tax Information Exchange between OECD Member Countries: A Survey of Current Practices, OCSE, Parigi, 1994. 13 Ex multis, v. Brodersen, Limits on the International Exchange of tax information, in European Taxation, 1987, 139 ss.; Gangemi, International mutual assistance through exchange of information, in Cahiers de droit fiscal international, IFA, Vol. LXXVb, 1990, 23; Calderon, Taxpayer Protection within the Exchange of Information Procedure Between State Tax Administrations, in Intertax, vol. 28, Issue 12, in Kluwer Law International, 2000, 462; Gyongyi Vegh, Towards a Better Exchange of Information, in European Taxation, IBFD, 2002, 394; Bavila, Some Issues On The Exchange Of Information Between Revenue Authorities, in Dir. Prat. Trib., 2001, 270; 160 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE Siffatta restrizione è chiaramente motivata dall‘inopportunità che le Autorità fiscali di un Paese ottengano da Amministrazioni estere o forniscano loro l‘accesso a notizie o la produzione di atti che esse stesse non potrebbero ottenere in base ai poteri esercitabili nel loro territorio a causa dei limiti posti dal loro ordinamento. Allo stesso modo, in base al paragrafo 3 dell‘art. 26 del Modello OCSE, non v‘è l‘obbligo in capo a uno dei due Stati contraenti di fornire informazioni che potrebbero rivelare segreti commerciali, di affari, industriali, professionali o processi commerciali, oppure informazioni la cui comunicazione sarebbe contraria all‘ordine pubblico. La richiesta di informazioni, inoltre, non è ammessa se tesa ad una applicazione delle imposte contraria alla convenzione bilaterale. Sulla concreta possibilità di utilizzo delle informazioni ottenute tramite procedure di scambio di informazioni il Modello OCSE stabilisce peraltro che esse possano essere usate in procedimenti giurisdizionali e non, benché la valutazione del loro valore probatorio sia rimessa alla legislazione del Paese richiedente. A questo riguardo peraltro occorre ricordare che la Cassazione italiana ha chiarito che ―È legittimo l'avviso di accertamento per redditi esteri non dichiarati, fondato su un documento proveniente dal Dipartimento del Tesoro USA ed emesso in base all‘art. 26 della Convenzione USA-Italia, ratificata con L. 11 dicembre 1985, n. 763, anche in assenza della sottoscrizione dell‘atto, in quanto non è possibile ritenere che i documenti di provenienza estera abbiano gli stessi requisiti formali di quelli formati in Italia‖14. Il quarto paragrafo dell‘art. 26 prevede poi un obbligo di cooperazione tra Stati contraenti, obbligando uno Stato a fornire le informazioni richieste dall‘altro Stato - fatti salvi i casi di cui al terzo paragrafo precedente - anche qualora il primo non tragga alcun vantaggio da tali informazioni ai fini dell‘accertamento delle proprie imposte. Secondo il Commentario, al fine di attuare lo scambio di informazioni previsto dal primo paragrafo dell‘art. 26 in esame ciascuno Stato contraente deve peraltro adottare le misure legislative e i provvedimenti amministrativi necessari affinché i suoi organi amministrativi dispongano dei poteri necessari per l‘ottenimento delle informazioni richieste, a prescindere dall‘interesse di tali informazioni per lo Stato destinatario della richiesta15. Malherbe, Protection of confidential information in tax matters, in Cahiers de droit fiscal international, IFA, vol. LXXVIb, 1991, 15; Fedele, Prospettive e sviluppi della disciplina dello scambio di informazioni fra Amministrazioni finanziarie, in Rass. Trib., 1999, 1, 49; Schenk-Geers, International Exchange of Information and the Protection of Taxpayers, Alphen aan den Rijn, 2009, 101 e 160; AnarmoulisNethercott, An Overview of Tax Information Exchange Agreements and Bank Secrecy, in IBFD Bullettin, 2009, 616 ss. 14 Cass., 3 marzo 2000, n. 2390, in Giur. imp., 2000, 844. 15 Al riguardo si veda il par. 19.9 del Commentario all‘art. 26, par. 4, del Modello di Convenzione OCSE, laddove infatti si indica che ―For many countries the 161 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE L‘art. 26 del Modello OCSE presenta tuttavia lacune in ordine alle garanzie sulla riservatezza delle informazioni ottenute da parte di uno Stato e al segreto d‘ufficio, dato che il trattamento delle informazioni ottenute è rimesso alla tutela offerta dalla legge dello Stato che le ha ottenute. A motivo quindi di una disomogeneità tra le leggi in materia di riservatezza e segreto d‘ufficio esistenti tra i due Stati si potrebbero verificare effetti imprevisti nello Stato di provenienza qualora le leggi dello Stato richiedente fossero meno rigide. Al riguardo, il Manual on the Implementation of Exchange of Information Provisions for Tax Purposes redatto dall‘OCSE il 23 gennaio 2006, al paragrafo 56 commentando l‘art. 26, comma 2, del Modello di convenzione OCSE, indica che ―Any information received should be treated as confidential. The Model Agreement provides that the information received may be disclosed only to persons or authorities (including courts and administrative bodies) concerned with the assessment, collection and enforcement of the taxes covered by the Agreement (including the prosecution or the determination of appeals) and the information may be used only for such purposes. Information may not be disclosed to any other person or third jurisdiction without the express written consent of the competent authority of the requested party‖. Si rilevi peraltro che all‘interno del Modello OCSE nulla è disposto relativamente all‘eventuale diritto di intervento del contribuente durante la procedura di scambio di informazioni e reciproca assistenza tra le Amministrazioni interessate. Ciononostante si ritiene che il contribuente sottoposto ad indagine possa far valere i propri diritti e interessi in seno alla procedura di richiesta e acquisizione dei dati da parte di uno dei due Stati, nonché in quella del successivo utilizzo dei medesimi da parte dell‘Autorità richiedente16. Alcuni Stati, peraltro, al fine di promuovere la cooperazione combination of paragraph 4 and their domestic law provide a sufficient basis for using their information gathering measures to obtain the requested information even in the absence of a domestic tax interest in the information. Other countries, however, may wish to clarify expressly in the convention that Contracting States must ensure that their competent authorities have the necessary powers to do so. Contracting States wishing to clarify this point may replace paragraph 4 with the following text: 4. In order to effectuate the exchange of information as provided in paragraph 1, each Contracting State shall take the necessary measures, including legislation, rulemaking, or administrative arrangements, to ensure that its competent authority has sufficient powers under its domestic law to obtain information for the exchange of information regardless of whether that Contracting State may need such information for its own tax purposes‖. 16 Per quanto riguarda tale problematica rispetto alle discipline estere si veda Schenk, International Exchange of Information and the Protection of Taxpayers, Alphen aan del Rijn, 2009. Sulla dipendenza di una tutela effettiva dagli obblighi di notifica v. peraltro anche Seer-Gabert, European and International Tax Cooperation: Legal Basis, Practice, Burden of Proof, Legal Protection and Requirements, in Bulletin for Int‘l Fiscal Documentation, 2011/2, par. 5. V. inoltre i contributi di Crazzolara-Lurà sui casi UBS, citati infra alla nota 36. 162 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE amministrativa per lo scambio di informazioni, oltre a recepire all‘interno delle singole convenzioni bilaterali il testo dell‘art. 26 del Modello di Convenzione, hanno concluso anche altri accordi internazionali. In primo luogo, in materia di mutua assistenza in materia fiscale si segnala che il 7 dicembre 1989 è stata siglata tra Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia, Danimarca, Isole Faroer e Groenlandia la Nordic Convention on Mutual Administrative Assistance in Tax Matters 17 (The Nordic Assistance Convention), con lo scopo di rendere più efficienti le verifiche fiscali di interesse di più Stati contraenti permettendo - con riferimento ad una determinata verifica - la partecipazione congiunta, benché in maniera indipendente, delle rispettive Autorità fiscali (non solo, quindi, di quelle appartenenti allo Stato in cui materialmente si svolge la verifica). Nella stessa materia il 25 gennaio 1988 a Strasburgo è stata siglata la ―Convenzione multilaterale sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale‖18 (entrata in vigore il 1° aprile 1995), la quale è stata conclusa sotto l‘egida dell‘OCSE nell‘ambito del Consiglio d‘Europa affinché la sua sottoscrizione fosse aperta alla firma degli Stati membri di entrambe le Organizzazioni. Ratificata in Italia con legge 10 febbraio 2005, n. 19, obiettivo della Convenzione è la promozione della cooperazione amministrativa in materia fiscale in tutte le sue forme, dallo scambio di informazioni all‘assistenza per il recupero dei crediti di natura tributaria al fine di intensificare la lotta all‘evasione e all‘elusione fiscale internazionale. E‘ previsto che lo scambio di informazioni debba avvenire su specifica richiesta di uno Stato (art. 5) relativamente ad una determinata persona o transazione e, qualora le informazioni già disponibili negli archivi fiscali dello Stato interpellato non consentano di dar seguito alla richiesta, detto Stato dovrà adottare tutti i provvedimenti necessari al fine di fornire allo Stato richiedente le informazioni richieste. Anche la procedura di scambio di informazioni automatico è contemplata, nonostante essa debba essere pattuita espressamente tra due o più Stati (art. 6). Qualora, poi, uno Stato ritenga opportuno informare un altro Stato contraente relativamente all‘insorgere di situazioni che possono determinare un‘anomala riduzione di gettito per l‘altro Stato, il primo Stato può attivare la procedura di scambio spontaneo di informazioni di cui all‘art. 7 della Convenzione in esame. Gli Stati contraenti in casi di interesse comune possono inoltre procedere all‘esecuzione di verifiche fiscali simultanee, ciascuno all‘interno del suo territorio, in base all‘art. 8 della Convenzione. Le Autorità competenti di uno Stato contraente possono inoltre ottenere l‘autorizzazione da parte di 17 http://www.itdweb.org/documents/NORDIC%20MUTUAL%20ASSISTANCE%20C ONVENTION.pdf 18 Reperibile sul sito http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/QueVoulezVous.asp?NT=127&CM=1&C L=ENG 163 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE un altro Stato contraente al fine di inviare nel territorio di quest‘ultimo rappresentanti della propria Amministrazione per assistere ad una determinata verifica fiscale (art. 9). Deve rilevarsi peraltro che il 14 aprile scorso si è concluso alla Camera dei Deputati l‘iter per l‘esame del disegno di legge per la ratifica del Protocollo emendativo della Convenzione in esame, che è stato siglato a Parigi il 27 maggio 2010. Tale Protocollo si è reso infatti necessario al fine di allineare il testo della convenzione allo standard dell‘OCSE attualmente vigente in materia di trasparenza e di scambio di informazioni, adottato nell‘ambito del Global Forum on Transparency and Exchange of Information for Tax Purposes istituito in seno a tale Organizzazione nel 200019. Come riportato dalla relazione di accompagnamento al disegno di legge di ratifica in questione, il Protocollo di modifica del 2010 ha previsto modifiche al Preambolo della Convenzione (art. I del Protocollo) e precisazioni sull‘ambito applicativo dello scambio di informazioni (art. II), nonché sul livello di dettaglio necessario per le richieste di informazioni da parte di uno Stato contraente (art. III). Per quanto riguarda invece l‘adeguamento della Convenzione allo standard internazionale in materia di scambio di informazioni, l‘art. IV del Protocollo ha disposto la soppressione del previgente art. 19 della Convenzione (dove si prevedeva la Possibilità di rifiuto di una richiesta) e che il segreto bancario e l‘interesse fiscale nazionale non possono essere invocati a fondamento del rifiuto di scambiare informazioni ai fini fiscali (art. V)20. In tal senso sono state anche eliminate alcune limitazioni relative all‘utilizzo delle informazioni scambiate (art. VI). Il Protocollo definisce, altresì, il rapporto tra lo strumento convenzionale e il diritto comunitario, prevedendo espressamente che gli Stati membri dell‘Unione e parte della convenzione possano applicare nelle reciproche relazioni le disposizioni convenzionali ogni qualvolta esse consentano una cooperazione più ampia rispetto alle possibilità offerte dalle norme comunitarie all‘uopo applicabili (art. VII). Il documento consente peraltro di aprire la Convenzione all‘adesione di Stati che non sono membri dell‘OCSE né del Consiglio d‘Europa, richiedendo però ai fini di tale partecipazione il parere favorevole degli altri Stati che già ne sono membri (art. X). La Convezione di Strasburgo è quindi il principale strumento multilaterale a carattere non regionale di cooperazione amministrativa internazionale in materia di scambio di informazioni. Come visto essa contempla anche la possibilità di scambiare tra le Autorità fiscali dei vari Stati contraenti le informazioni in modo automatico, nonostante gli standard 19 In tal senso, v. atto della Camera dei Deputati n. 4143/XVI-163 del 13 aprile 2011, reperibile dal sito http://documenti.camera.it/Leg16/dossier/Testi/SA4143.htm 20 Peraltro conformemente a quanto disposto dall‘art. 18 della direttiva n. 2011/16/UE. Al riguardo, v. il successivo par. 4. 164 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE OCSE rispetto ai quali è stata di recente modificata contemplino solo lo scambio di informazioni su richiesta. Il Working Group del Global Forum on Transparency and Exchange of Information for Tax Purposes (breviter, il Forum) nel 2002 ha redatto il Model Agreement on Exchange of Information on Tax Matters (TIEAs) e tale modello di Convenzione bilaterale21, diversamente dalla Convezione di Strasburgo, contempla infatti solo la possibilità di attuare lo scambio di informazioni su richiesta. Ciò perché si è ritenuto che obbligare tutti gli Stati ad attuare un sistema di scambio di informazioni su base automatica avrebbe potuto costituire in numerosi casi un adempimento eccessivamente gravoso 22, un deterrente cioè nei confronti del loro adeguamento agli standard internazionali in materia di scambio di informazioni e lotta contro le pratiche fiscali dannose23. L‘OCSE per mezzo del Forum si è fatta promotrice del monitoraggio e della verifica dell‘implementazione degli standard internazionali de quibus sia da parte degli Stati che ne fanno parte, sia da parte di altre giurisdizioni (trattasi in totale di 90 giurisdizioni e cioè dei Paesi del G-20, di tutti i membri dell‘OCSE, nonché di altre giurisdizioni cd. off-shore). Quest‘attività di verifica e monitoraggio prende il nome di ―peer review‖ e si svolge essenzialmente in due fasi. Essa in primis mira alla verifica della legislazione interna di ciascun Paese in ordine alla sussistenza dei dieci elementi individuati dall‘OCSE la cui esistenza permette di qualificare il Paese in esame come collaborativo o meno. Trattasi di caratteristiche della legislazione interna attinenti gli aspetti connessi, rispettivamente, (i) alla disponibilità di informazioni, (ii) all‘accesso alle informazioni, nonché (iii) allo scambio di informazioni24. Aver concluso con 21 Principalmente pensata affinché l‘eventuale mancanza di convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni stipulate tra Paesi, giusta l‘eventuale scarsità tra loro di rapporti commerciali, e, dunque, l‘assenza di una norma convenzionale simile all‘art. 26 del Modello OCSE, potesse essere colmata per l‘ambito dello scambio internazionale di informazioni fiscali con un accordo bilaterale che ripetesse sostanzialmente il contenuto di tale norma. 22 Ciò, nonostante lo scambio di informazioni sia reputato la modalità di scambio più proficua. Ex amplius, v. Mc Intyre, Viewpoints: How to End the Charade of Information Exchange, in Tax Notes International, 2009, 257. 23 V. OCSE, Countering Off Shore Tax Evasion. Some Question and Answers on the Project, pubblicato il 16 dicembre 2009, pag. 14, reperibile dal sito www.oecd.org/document/21/0,3344,en_2649_37427_42344853_1_1_1_1,00.html 24 V. OECD, The Global Forum on Transparency and Exchange of Information for Tax Purposes, 20 aprile 2011, par. 19, dove ―The 10 Essential Elements of Transparency and Exchange of Information for Tax Purposes‖ sono stati stati così descritti: A. AVAILABILITY OF INFORMATION A.1. Jurisdictions should ensure that ownership and identity information for all relevant entities and arrangements is available to their competent authorities. 165 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE altri Paesi accordi rispettosi degli standard di cui all‘art. 26 del Modello OCSE e del Modello ONU, oppure convenzioni in linea con il modello TIEAs, concorre per un esito positivo della verifica 25. In secondo luogo, qualora un Paese abbia superato positivamente la prima fase di osservazione, in base al peer review verrà poi verificata la concreta operatività delle misure ivi adottate in materia di trasparenza (siano esse di fonte interna o convenzionale). Superando positivamente sia la prima che la seconda fase di verifica il Paese in esame viene quindi incluso dall‘OCSE nella white list; se l‘esame ha invece un esito negativo il Paese viene incluso nella black list. Se il Paese osservato non supera positivamente la prima fase di verifica, ne viene valutata in prima battuta l‘assunzione dell‘impegno di introdurre all‘interno della sua giurisdizione misure volte a migliorare gli ―indici di trasparenza‖ nonché, poi, la loro effettiva successiva implementazione. Assumendo solo detto impegno - ma non implementando effettivamente le A.2. Jurisdictions should ensure that reliable accounting records are kept for all relevant entities and arrangements. A.3. Banking information should be available for all account-holders. B ACCESS TO INFORMATION B.1. Competent authorities should have the power to obtain and provide information that is the subject of a request under an EOI agreement from any person within their territorial jurisdiction who is in possession or control of such information. B.2. The rights and safeguards that apply to persons in the requested jurisdiction should be compatible with effective exchange of information. C EXCHANGING INFORMATION C.1. EOI mechanisms should provide for effective exchange of information. C.2. The jurisdictions‘ network of information exchange mechanisms should cover all relevant partners. C.3. The jurisdictions‘ mechanisms for exchange of information should have adequate provisions to ensure the confidentiality of information received. C.4. The exchange of information mechanisms should respect the rights and safeguards of taxpayers and third parties. C.5. The jurisdiction should provide information under its network of agreements in a timely manner‖. Il documento è reperibile dal sito http://www.oecd.org/dataoecd/32/45/43757434.pdf 25 V. OECD, The Global Forum on Transparency and Exchange of Information for Tax Purposes, cit., Frequently Asked Questions, par. 6. Sul numero di accordi necessari per essere inclusi nella white list, v. lo stesso documento, FAQ, par. ―12. Can a jurisdiction be ―whitened‖ by signing with any 12 partners?‖, dove al riguardo si indica che ―The peer review exercise is not limited to a number‘s game, but goes much more in-depth. Countries will be assessed on their ability to effectively exchange information. This includes their ability to maintain and enlarge a network of agreements to the standards with all relevant partners. This means that 12 agreements to the standards with partners of no relevance would not be sufficient. It is to be noted that, among the 600 agreements signed or brought up to the standards, fewer than 10 percent were concluded among jurisdictions which were considered as not having substantially implemented the standard in April 2009‖. 166 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE misure promesse - il Paese in questione viene incluso dall‘OCSE nella grey list. Nonostante l‘iniziale inclusione nella black list o nella grey list dell‘OCSE un Paese può comunque aspirare alla promozione nella white list adottando le misure richieste dal Forum. Alla data del 2 maggio 2011 la black list OCSE non comprende alcuno Stato, mentre nella grey list ne risultano solo 426. In base all‘art. 5 del Tax Information Exchange Agreement - similmente a quanto accade con riferimento all‘art. 26 del Modello OCSE - lo scambio di informazioni su richiesta si attua nel caso in cui uno Stato contraente richiede all‘altro precise informazioni fiscali su un dato contribuente che si qualificano come rilevanti per l‘applicazione della legge dello Stato richiedente27. Prima dell‘inoltro della domanda, quest‘ultimo Stato deve 26 Per la lista completa, aggiornata al 20 aprile 2011, v. il sito http://www.oecd.org/dataoecd/50/0/43606256.pdf 27 L‘art. 5 dispone che ―1. The competent authority of the requested Party shall provide upon request information for the purposes referred to in Article 1. Such information shall be exchanged without regard to whether the conduct being investigated would constitute a crime under the laws of the requested Party if such conduct occurred in the requested Party. 2. If the information in the possession of the competent authority of the requested Party is not sufficient to enable it to comply with the request for information, that Party shall use all relevant information gathering measures to provide the applicant Party with the information requested, notwithstanding that the requested Party may not need such information for its own tax purposes. 3. If specifically requested by the competent authority of an applicant Party, the competent authority of the requested Party shall provide information under this Article, to the extent allowable under its domestic laws, in the form of depositions of witnesses and authenticated copies of original records. 4. Each Contracting Party shall ensure that its competent authorities for the purposes specified in Article 1 of the Agreement, have the authority to obtain and provide upon request: a) information held by banks, other financial institutions, and any person acting in an agency or fiduciary capacity including nominees and trustees; b) information regarding the ownership of companies, partnerships, trusts, foundations, ―Anstalten‖ and other persons, including, within the constraints of Article 2, ownership information on all such persons in an ownership chain; in the case of trusts, information on settlors, trustees and beneficiaries; and in the case of foundations, information on founders, members of the foundation council and beneficiaries. Further, this Agreement does not create an obligation on the Contracting Parties to obtain or provide ownership information with respect to publicly traded companies or public collective investment funds or schemes unless such information can be obtained without giving rise to disproportionate difficulties. 5. The competent authority of the applicant Party shall provide the following information to the competent authority of the requested Party when making a request for information under the Agreement to demonstrate the foreseeable relevance of the information to the request: (a) the identity of the person under examination or investigation; 167 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE tuttavia avere infruttuosamente utilizzato ogni mezzo a sua disposizione per ottenere l‘informazione richiesta. Se la richiesta, scritta e circostanziata, è giudicata dallo Stato ricevente legittima e completa, le Autorità preposte procedono prima confermando allo Stato richiedente l‘ammissibilità della domanda e, poi, con il recupero delle informazioni richieste ai fini della successiva trasmissione. Deve peraltro rilevarsi che già nel 1999 gli standard OCSE in materia di scambio internazionale di informazioni contenuti nell‘art. 26 del Modello OCSE e poi all‘interno del TIEA del 2002 erano stati recepiti anche dal Centro Interamericano de Administraciones Tributarias nel relativo modello di Convenzione sullo scambio di informazioni fiscali. Il CIAT Model Agreement on Exchange of Tax Information (CIAT Model)28, redatto appunto nel 1999 dal Working Group on Exchange of Information - sponsorizzato dall‘Italia e coordinato dal CIAT (che all‘uopo ha coinvolto esperti in materia fiscale provenienti da Argentina, Brasile, Canada, Stati Uniti, Italia e Messico) - disciplina infatti lo scambio di informazioni tra amministrazioni fiscali in modo simile agli standard OCSE. Tuttavia, rispetto al TIEA - che come visto contempla solo la modalità di (b) a statement of the information sought including its nature and the form in which the applicant Party wishes to receive the information from the requested Party; (c) the tax purpose for which the information is sought; (d) grounds for believing that the information requested is held in the requested Party or is in the possession or control of a person within the jurisdiction of the requested Party; (e) to the extent known, the name and address of any person believed to be in possession of the requested information; (f) a statement that the request is in conformity with the law and administrative practices of the applicant Party, that if the requested information was within the jurisdiction of the applicant Party then the competent authority of the applicant Party would be able to obtain the information under the laws of the applicant Party or in the normal course of administrative practice and that it is in conformity with this Agreement; (g) a statement that the applicant Party has pursued all means available in its own territory to obtain the information, except those that would give rise to disproportionate difficulties. 6. The competent authority of the requested Party shall forward the requested information as promptly as possible to the applicant Party. To ensure a prompt response, the competent authority of the requested Party shall: a) Confirm receipt of a request in writing to the competent authority of the applicant Party and shall notify the competent authority of the applicant Party of deficiencies in the request, if any, within 60 days of the receipt of the request. b) If the competent authority of the requested Party has been unable to obtain and provide the information within 90 days of receipt of the request, including if it encounters obstacles in furnishing the information or it refuses to furnish the information, it shall immediately inform the applicant Party, explaining the reason for its inability, the nature of the obstacles or the reasons for its refusal‖. 28 http://www.ciat.org/biblioteca/opac_css/doc_num.php?explnum_id=711 168 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE scambio su richiesta - il CIAT Model è sostanzialmente allineato al contenuto dell‘art. 26 del Modello OCSE, dato che al suo interno oltre a tale modalità di scambio (art. 4, par. 5) sono espressamente previste anche quella automatica (art. 4, par. 3) e quella spontanea (art. 4, par. 4). Nel 2008 anche il Committee of Experts on International Cooperation in Tax Matters dell‘ONU ha recepito29 i principi contenuti nell‘art. 26 del Modello OCSE all‘interno dell‘art. 26 dello Schema ONU di Convenzione contro le doppie imposizioni30. Da ultimo sempre in materia di mutua assistenza in materia fiscale si rileva che in ambito OCSE Austria, Canada, Danimarca, Francia, Giappone, Corea, Messico, Paesi Bassi, Sudafrica, Spagna, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti hanno avviato il Forum on Tax Administration, in seno al quale in occasione dell‘ultimo incontro tenutosi a Istanbul il 15 e 16 settembre 2010 è stato emanato il Joint Audit Report31. Il Report dopo aver analizzato gli aspetti peculiari della legislazione internazionale esistente in materia di scambio di informazioni fiscali (che abbiamo qui ripercorso) ha previsto linee guida e raccomandazioni in merito alla cooperazione in materia fiscale da attuarsi tramite procedure di verifica tributaria (propriamente definite all‘interno del Report come audits) da svolgere congiuntamente tra gli Stati, riportando anche l‘esperienza degli Stati partecipanti al Forum dal quale il documento promana. Esso presuppone l‘esistenza di una base di disposizioni internazionali (e rinvenibili appunto dall‘insieme delle fonti normative internazionali esistenti in materia, detto Framework for Mutual Assistance) secondo le quali operare congiuntamente per lo svolgimento di siffatte verifiche (v. par. 35 e ss. del Joint Audit Report). In sostanza ―A joint audit can be described as two or more countries joining together to form a single audit team to examine an issue(s)/transaction(s) of one or more related taxable persons (both legal entities and individuals) with cross-border business activities, perhaps including cross-border transactions involving related affiliated companies organized in the participating countries, and in which the countries have a common or complementary interest; where the taxpayer jointly makes presentations and shares information with the countries, and the team includes Competent Authority representatives from each country. A joint audit can be activated for all compliance activities that can be accommodated through (1) the competent authority process outlined in the tax treaties between the participating revenue bodies and (2) the legal 29 http://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=E/C.18/2008/3/Corr.1&Lang=E Reperibile sul sito http://unpan1.un.org/intradoc/groups/public/documents/un/unpan002084.pdf. Si veda anche http://www.un.org/esa/ffd/tax/unmodel.htm 31 http://www.oecd.org/dataoecd/10/13/45988932.pdf 30 169 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE framework that guides the limits of collaboration between the participating parties‖ (v. par 7 del Joint Audit Report)32. L‘accordo mira ―(...) to reduce taxpayer burden of multiple countries conducting audits of similar interests and/or transactions; to improve the case-selection of tax audits by mutual risk identification and analyses; to provide as much evidence as possible that the correct and complete income, expense and tax are reported in accordance with national legislation, through efficient and effective administrative cooperation; to enhance the awareness of tax officers of the opportunities available in dealing with international tax risks; to gain understanding of the differences in legislation and procedures and if necessary to accelerate the Mutual Agreement procedure by early involvement of the Competent Authority, where double taxation is involved; to recognise and learn from the different audit methodologies in participating countries; to harness the particular strengths and expertise of team members (for example, valuation experts, economists or industry experts) from different administrations for the benefit of the joint audit; to identify and improve further areas of collaboration; and for all participating countries to reach a joint/mutual agreement on the audit results to avoid double taxation, as applicable‖ (v. par. 10). Peraltro secondo il Report ―A joint audit can also contribute to: the development of enhanced relationships between revenue bodies and taxpayers33; enhancing the compliance of multinational companies; providing certainty for taxpayers; a reduction in compliance costs for taxpayers through the resolution of tax issues in a timely and cost effective manner; more effective management of tax issues in ―real time‖; increasing the efficiency and effectiveness of revenue bodies; and more effective challenges to those taxpayers who push legal boundaries and who rely on lack of transparency in cross-border transactions‖. Altri importanti accordi in materia di scambio di informazioni, specificamente riferiti ai rapporti Svizzera-UE, sono l‘accordo di Schengen e il cd. Accordo Antifrode, ratificati dalla Svizzera insieme all‘accordo sull‘euroritenuta in data 17 dicembre 200434. Il primo accordo è in vigore dal 12 dicembre 2009 e prevede all‘art. 50 e ss. l‘estensione della cooperazione 32 Il Report nel seguente paragrafo 8 rileva peraltro che ―The term ―joint audit‖ as such is not a legal term. In tax matters the term ―joint audit‖ has been used in practice to express the idea that two or more tax administrations work together. If countries want to carry out a joint audit, it is first necessary to determine the legal framework on which they can co-operate. The basis for cooperation can be found in a network of bilateral and multilateral tax treaties which provide for varying degrees of mutual assistance (...)‖. 33 See OECD (2008) Study into the Role of Tax Intermediaries, OECD, Paris for an explanation of the enhanced relationship between a revenue body and large taxpayers and their advisers. 34 V. al riguardo Bernasconi, Cooperazione svizzera in material fiscale: novità storiche negli accordi bilaterali bis con l‘Unione europea, in Dir. Prat. Trib. Int., 2005/2, 379. 170 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE in materia penale anche ai reati fiscali, cosicché anche per questi ultimi è possibile ottenere l‘estradizione dal territorio svizzero di una persona che per essi è perseguita (e per i quali all‘interno di tale territorio potrebbe applicarsi una pena privativa della libertà personale di almeno sei mesi), nonché ottenere il trasferimento del provento di un reato fiscale (ossia, degli importi corrispondenti all‘imposta sottratta). L‘Accordo Antifrode permette invece la scelta fra la cooperazione fra autorità fiscali o fra quelle penali, che può essere estesa anche relativamente ai procedimenti instaurati all‘estero per sottrazione fiscale, contrabbando, riciclaggio di proventi derivanti dalla frode fiscale e per riciclaggio del contrabbando organizzato 35. I rapporti tra la Svizzera e alcuni Paesi dell‘UE e gli Stati Uniti in materia di scambio di informazioni si sono peraltro arricchiti di un nuovi capitoli a seguito di alcuni scandali che hanno colpito alcuni intermediari elvetici negli ultimi anni, similmente a quanto peraltro avvenuto anche in altri Paesi, come il Liechtenstein. Si allude evidentemente alla sottrazione di dati bancari da parte di dipendenti infedeli di questi intermediari, dati che – anche dietro corrispettivo – sono poi stati forniti alle Amministrazioni finanziarie di altri Paesi, mettendole a conoscenza di depositi e investimenti non dichiarati da parte di migliaia di loro contribuenti. La questione è stata anche oggetto, nei vari casi, di interventi giurisprudenziali e approfondimenti dottrinali ai quali in questa sede non può che rinviarsi 36. 35 V. al riguardo Bernasconi, Scambio svizzero di informazioni fiscali, rogatorie e convenzioni contro la doppia imposizione, in Dir. Prat. Trib. Int., 1, 2011, 18. 36 V. in primis Bernasconi, Berlin vs. Vaduz - Effetti fiscali del trafugamento di informazioni dal Liechtenstein a favore delle autorità fiscali di paesi dell‘Unione Europea,in Dir. Comm. Int., 2008, 259; Crazzolara-Lurà, Lo scambio internazionale di informazioni in materia tributaria e la giurisprudenza svizzera, parti I, II e III, rispettivamente in Dir. Prat. Trib. Int., 2010/1, 547, 2010/2, 1019 e 2010/3, 1507. In giurisprudenza italiana, in relazione al caso della cd. lista del Liechtenstein, v. Commissione Tributaria Provinciale di Mantova, sent. n. 137 del 27 maggio 2010, con nota di Tomassini, Sullo scambio di informazioni tra Stati UE i giudici tributari contemperano l‘interesse pubblico al contrasto dell'evasione con la tutela del contribuente, in Giur. Trib., n. 9, 2010, 798, che ha annullato gli avvisi di accertamento per violazione della disciplina sullo scambio di informazioni e dell‘art. 7 dello Statuto del contribuente; e Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sent. n. 367 del 15 dicembre 2009, la quale ha considerato inattendibili i dati trafugati e ha quindi parimenti annullato l‘avviso di accertamento impugnato che si fondava soltanto su di essi. V. anche Succio, Illegittimo l'accertamento fondato su scambi di informazioni ove non si rispetti la previsione dell‘art. 7 dello Statuto del Contribuente, in Dir. Prat. Trib. Int., 2010/3, 1555 e Id., Cooperazione internazionale e scambi di informazioni tra amministrazioni finanziarie: alcune considerazioni, ivi, 2011/1, 163. Si noti peraltro che la Svizzera ha annunciato che non fornirà alcuna informazione tesa a confermare la veridicità di dati illegittimamente trafugati: v. avamprogetto LAAF descritto da Bernasconi, Scambio italo-svizzero di informazioni, cit., 25. All‘estero la Corte di Appello di Parigi e la Corte di Appello di Chambery hanno deciso in materia diametralmente opposta la questione dell‘utilizzabilità dei dati della lista Falciani (comperata dalle autorità fiscali francesi e venduta dal sig. 171 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE Occorre infine citare anche l‘accordo di Bruxelles, formalizzato a fine 2009 tra gli Stati Uniti e l‘UE e che, a fini di contrasto al terrorismo, su richiesta prevede la fornitura alla CIA di tutti i dati bancari, senza incontrare il limite delle fishing expeditions e del segreto bancario: non è chiaro al Falciani in violazione della legge svizzera sul segreto bancario). Per la Corte di Parigi quei dati, illegittimamente acquisiti non sono utilizzabili in Francia, mentre a Chambery si è detto il contrario. Per quanto peraltro i dati della lista siano stati inoltrati all‘Italia proprio dalla Francia non sembra che l‘esito della questione francese, in attesa di una decisione dei supremi giudici di quel Paese, possa riverberare effetti sull‘utilizzabilità dei dati in Italia, utilizzabilità che dovrebbe essere valutata a prescindere dalle decisioni dei tribunali di un altro Paese, considerando anche l‘eventuale violazione o l‘aggiramento della disposizione sullo scambio di informazioni tra la Svizzera e l‘Italia e le possibili conseguenze, in capo ai contribuenti, di una tale violazione, oltre ovviamente alla affidabilità dei dati, che non trovano la loro origine in una verifica fiscale avviata dallo Stato a ciò legittimato, ma in un trafugamento che potrebbe non garantirne la veridicità. In Germania, il Bundesverfassungsgericht, con sentenza del 9 novembre 2010 emessa in relazione a un Verfassungsbeschwerde per violazione del diritto costituzionale di inviolabilità del domicilio, ha stabilito che i dati sottratti a una banca del Liechtenstein e venduti da un dipendente infedele della stessa alle autorità tedesche possono costituire valida fonte di innesco di ulteriori indagini, consistenti nella perquisizione del domicilio del contribuente i cui dati risultavano sulla lista, che conteneva un elenco di soggetti che avevano disponibilità estere che non erano state dichiarate al fisco tedesco. Le prove raccolte durante tale perquisizione domiciliare, consistenti in contabili bancarie riferite proprio a quei conti esteri, non potevano quindi considerarsi inutilizzabili, essendo legittimamente acquisite. In Italia, analogamente, v. Vignoli-Lupi, Sono utilizzabili le informazioni bancarie illecitamente sottratte da impiegati di istituto di credito esteri?, in Dial. trib., 2009, 1. Si noti peraltro che le autorità svizzere negano la possibilità di effettuare alcuno scambio di informazioni in relazione a dati illegittimamente acquisiti, per esempio per violazione del segreto bancario svizzero da parte di un dipendente della banca elvetica: . Questo frustra evidentemente molte delle possibilità di costruzione di un quadro probatorio completo in relazione a quelle indagini che sono appunto scaturite dalle liste di cui sopra (V. Bernasconi, Scambio italo svizzero di informazioni, cit., par. 3). La questione potrebbe peraltro incidere anche sul rispetto dell‘art. 6 CEDU, che prevede il diritto a un giusto processo: al riguardo potrebbe ritenersi che non sia tale il processo che porti a una condanna fondata soltanto su prove illegittimamente acquisite rispetto al cui utilizzo la parte si sia tempestivamente opposta: v. Bernasconi, Berlin v. Vaduz, cit. infra alla nota 42 e la giurisprudenza ivi richiamata. In materia di utilizzabilità di dati e informazioni illegittimamente acquisiti in Italia non si può che rimandare, tra gli altri, a Marcheselli, Le garanzie del professionista nell‘istruttoria tributaria: dalla tutela differita alla tutela inibitoria, in Dir. Prat. Trib., 2011, I, 1, parr. 4 e ss., oltre alla dottrina ivi richiamata alla nota 10; Id., Accertamenti tributari e difesa del contribuente, Milano, 2010; Vanz, La tutela giurisdizionale diretta e immediata contro le attività di indagine dell‘Agenzia delle Entrate, della Guardia di Finanza e degli Agenti della Riscossione, in questi stessi atti del convegno. In giurisprudenza v. tra le altre Cass., 21 novembre 2002, n. 16424, in Riv. dir. trib., 2002, II, 786, con nota di Fortuna; Cass., 1° ottobre 2004, n. 19689, in banca dati DeJure; Cass., 16 ottobre 2009, n. 21974 in banca dati DeJure. 172 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE momento se questi dati potranno essere trasmessi anche all‘IRS e, conseguentemente, anche ad altre Amministrazioni37. 3. La normativa comunitaria in materia di scambio di informazioni. La disciplina comunitaria della cooperazione trova le sue basi all‘interno di taluni provvedimenti di tipo secondario distintamente riferibili alle differenti tipologie d‘imposte; nessuna specifica norma è stata infatti dettata in tal senso all‘interno del Trattato istitutivo dell‘Unione europea. Per quanto riguarda le imposte sul reddito e sul patrimonio, nonché quelle sui premi assicurativi, è stata emanata la direttiva n. 77/799/CEE del 19 dicembre 1977 (modificata poi dalla direttiva n. 79/1070/CEE del 6 dicembre 1979, nonché integrata dal regolamento del Consiglio 27 gennaio 1992, n. 92/218/CEE per quanto riguarda l‘Iva) recepita in Italia con il d.p.r. n. 506 del 5 giugno 1982. Com‘è stato accennato la direttiva n. 77/799/CEE è stata peraltro abrogata di recente dalla direttiva n. 2011/16/UE del 15 febbraio 2011 (ed entrata in vigore il successivo 1° marzo), non ancora recepita nel nostro ordinamento. La disciplina sullo scambio di informazioni in materia di imposta sul valore aggiunto, inizialmente rappresentata dalla direttiva n. 79/799/CEE e dal regolamento n. 92/218/CEE, è confluita poi - in modo unitario e con integrazioni - all‘interno del regolamento n. 1798/2003/CE del 7 ottobre 2003 e oggi nel regolamento UE n. 904 del 7 ottobre 2010, che ha abrogato il precedente. Lo scambio di informazioni in materia di accise è disciplinato invece dal regolamento n. 2073/2004/CE del 17 novembre 2004 38. La direttiva n. 77/799/CEE prevede che lo scambio di informazioni avvenga secondo le modalità in precedenza viste con riferimento all‘art. 26 del Modello OCSE. Gli artt. 2, 3 e 4 della direttiva de qua, rispettivamente riferibili allo scambio di informazioni su richiesta, automatico e spontaneo, trovano infatti applicazione senza particolari differenze rispetto a quanto disciplinato dalle varie disposizioni di tipo sovranazionale esistenti in materia. Lo scambio di informazioni di matrice comunitaria non crea infatti obblighi di attivazione nel caso in cui lo Stato interpellato rilevi che il richiedente ―non ha esaurito le abituali fonti di informazione che avrebbe 37 V. Anamourlis-Nethercott, The EU-US (―Brussels‖) Agreement on European Banking Secrecy and the Effect on Tax Information Exchange Agreements, in Bull. Int‘l Fiscal Doc., 2010/1, par. 5. 38 V. Saponaro, Lo scambio di informazioni tra Amministrazioni finanziarie e l‘armonizzazione fiscale, in Rass. Trib., 2005, 453 ss. 173 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE potuto utilizzare, secondo le circostanze, per ottenere le informazioni richieste (...)‖ (art. 2, par. 1). L‘Amministrazione finanziaria di uno Stato membro può inoltre rifiutare di fornire informazioni nel caso in cui per motivi di fatto o di diritto il Paese richiedente non sia in grado di fornire informazioni equipollenti, quando le informazioni richieste non possano essere ottenute ai sensi della disciplina e della prassi vigente nello Stato richiesto, oppure quando la loro divulgazione potrebbe svelare un segreto commerciale, industriale, professionale, un processo commerciale, o contrastare con l‘ordine pubblico (art. 8). La Corte di Giustizia ha peraltro confermato che lo scambio di informazioni spontaneo previsto dall‘art. 4 della direttiva del 1977 deve intendersi come un obbligo degli Stati membri 39. Le Amministrazioni coinvolte possono accordarsi al fine di svolgere accertamenti simultanei, ciascuno nel proprio territorio, quando ―la situazione di uno o più soggetti di imposta presenta un interesse comune o complementare (…) al fine di scambiarsi le informazioni così ottenute quando tali controlli appaiano più efficaci di un controllo eseguito da un solo Stato‖ (art. 8ter). In base all‘art. 31bis del d.p.r. n. 600 del 1973 per le imposte dirette, e all‘art. 65 del d.p.r. n. 633 del 1972 per l‘Iva (come risultanti dalle modifiche rispettivamente introdotte dagli artt. 1 e 2 del d.p.r. n. 506 del 1982) l‘Amministrazione finanziaria italiana può infine accordarsi con funzionari fiscali di altri Stati comunitari affinché essi possano partecipare all‘interno del nostro territorio allo svolgimento congiunto di verifiche fiscali. La recente adozione della direttiva n. 2011/16/UE, con cui appunto è stata abrogata la direttiva n. 77/799/CEE, è stata motivata dalla necessità di adottare a livello comunitario gli standard Ocse e ampliare l‘ambito applicativo dello scambio di informazioni. Sono interessate dalla nuova direttiva le imposte di qualsiasi tipo riscosse da o per conto di uno Stato membro o delle sue ripartizioni territoriali o amministrative, comprese le autorità locali, con l‘esclusione però dell‘Iva, dei dazi doganali e delle accise, per cui come accennato sono previste disposizioni specifiche (v. art. 2, par. 1 e 2). Inoltre si considerano ―persone‖ stabilite in uno Stato membro e interessate dalla direttiva tutte le persone fisiche e giuridiche, nonché enti privi di personalità giuridica e ―qualsiasi altro istituto giuridico di qualunque natura e forma, dotato o meno di personalità giuridica, che possiede o gestisce beni che, compreso il reddito da essi derivato, sono soggetti a una delle imposte di cui alla presente direttiva‖ (art. 3, par. 11) [dovendosi considerare compresi nell‘ambito applicativo della direttiva anche tutti gli istituti giuridici di nuova creazione al pari di quelli già esistenti quali i trust, 39 Corte di Giustizia, 13 aprile 2000, C-420/98, W.N. 174 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE le fondazioni e i fondi d‘investimento (in tal senso, v. Premesse alla dir. n. 2011/16/UE, par. 7)]. È stato inoltre rafforzato lo scambio automatico di informazioni, giacché ai sensi dell‘art. 8 della direttiva de qua per una serie di tipologie di redditi (e di capitali40) ivi contemplati tale modalità è diventata obbligatoria41, pur prevedendo anche modalità di scambio su richiesta o spontaneo (v. artt. 5 e 9). Il secondo paragrafo dell‘art. 18 della direttiva n. 2011/16/UE ha previsto che i limiti alla sua applicazione contenuti all‘interno del precedente art. 17, parr. 2 e 4 - i.e. il caso in cui le indagini o le comunicazioni di informazioni richieste siano contrarie alla legislazione interna del Paese richiesto e quello dove lo scambio di informazioni comporti la divulgazione di un segreto commerciale, industriale o professionale, di un processo commerciale o di un‘informazione la cui divulgazione sia contraria all‘ordine pubblico - non possono in nessun caso essere interpretati ―nel senso di autorizzare l‘autorità interpellata di uno Stato membro a rifiutare di fornire informazioni solamente perché tali informazioni sono detenute da una banca, da un altro istituto finanziario, da una persona designata o che agisce in qualità di agente o fiduciario o perché si riferiscono agli interessi proprietari di una persona‖42. In base al paragrafo 20 delle Premesse uno Stato membro 40 In base all‘art. 8, comma 1, lett. e), l‘Autorità di ciascuno Stato membro comunica infatti all‘Autorità di ciascun‘altro Stato membro, mediante scambio automatico, le informazioni riguardanti anche proprietà immobiliari. 41 Trattasi, per i periodi d‘imposta dal 2014 in poi, di ―a) redditi di lavoro; b) compensi per dirigenti; prodotti di assicurazione sulla vita non contemplati in altri strumenti giuridici dell‘Unione sullo scambio di informazioni e misure analoghe; d) pensioni; e) proprietà e redditi immobiliari‖. 42 Di recente a seguito dei noti fatti di cronaca riguardanti la pubblicazione di dati di natura fiscale irritualmente acquisiti – nonché della loro successiva acquisizione da parte delle singole autorità fiscali appartenenti ai vari Stati interessati - in dottrina e in giurisprudenza si dibatte sulla loro utilizzabilità ai fini dell‘accertamento. Al riguardo v. Bernasconi, Berlin Vs. Vaduz, effetti fiscali del trafugamento di informazioni dal Liechtenstein a favore delle autorità fiscali di Paesi dell‘Unione europea, in Dir. Comm. Int., 2, 2008, 259 ss., che insiste tra l‘altro sulla possibile violazione delle regole del giusto processo tutelate dall‘art. 6 della CEDU nel caso di utilizzo per l‘accertamento di prove illegittimamente acquisite; Castiglione, Cooperazione fra autorità fiscali, accertamento tributario e garanzie del contribuente, in Giustizia Tributaria, 3, 2009, 258 ss.; Succio, Cooperazione internazionale e scambi di informazioni tra amministrazioni finanziarie: alcune considerazioni, in Dir. Prat. Trib. Int., 1, 2011, 189 ss.; Id., nota a Commissione Tributaria di Mantova n. 137 del 22 maggio 2010, in Dir. Prat. Trib. Int., 3, 2010, 1566 ss.; Tomassini, Sullo scambio di informazioni tra Stati UE i giudici tributari contemperano l‘interesse pubblico al contrasto dell‘evasione con la tutela del contribuente, cit., 798 ss.; Cardone - Di Siena, I vizi della fase ispettiva e le conseguenze degli stessi sul provvedimento di accertamento: considerazioni problematiche alla luce di una recente pronunzia della Cassazione, in Il Fisco, 44, 2005, 6865 ss. V. inoltre Bernasconi, Scambio svizzero di informazioni fiscali, rogatorie e convenzioni contro la doppia imposizione, cit., 15 ss. 175 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE non dovrebbe altresì rifiutarsi di trasmettere le informazioni richieste soltanto perché non vi ha interesse. Si rileva infine che ai sensi dell‘art. 19 ha trovato applicazione all‘interno della direttiva de qua il principio della ―nazione più favorita‖. È previsto infatti che ―quando uno Stato membro presti ad un Paese terzo una cooperazione più estesa di quella prevista a norma della presente direttiva, tale Stato membro non può rifiutare tale cooperazione più estesa ad un altro Stato membro che desideri partecipare a tale cooperazione più estesa con detto Stato membro‖43. Per quanto riguarda invece l‘Imposta sul valore aggiunto il regolamento dell‘UE n. 904/2010 prevede disposizioni sostanzialmente analoghe a quelle della direttiva n. 77/799/CEE e del regolamento n. 1798/2003/CE. Esso stabilisce infatti le condizioni secondo le quali le autorità amministrative degli Stati membri preposte all‘applicazione della disciplina IVA devono collaborare tra loro e con la Commissione allo scopo di assicurare l‘osservanza di tale legislazione. Il regolamento definisce quindi norme e procedure che consentono alle autorità competenti degli Stati membri di collaborare e di scambiare ogni informazione che possa consentire loro di accertare correttamente tale imposta (v. art. 1). Le novità principali che il regolamento de quo ha inserito rispetto alla previgente disciplina riguardano invece talune nuove modalità di scambio automatizzato di informazioni per il contrasto delle frodi IVA, istituendo a tal fine una specifica rete informativa denominata ―Eurofisc‖ (v. art. 33 e ss.) 44. È stato inoltre istituito un sistema di archiviazione e di scambio di informazioni mirante a fornire, in modo reciproco e multilaterale tra gli Stati comunitari, l‘accesso ai dati relativi ai propri rispettivi contribuenti in merito al settore di attività d‘appartenenza, volume d‘affari, etc. (art. 17 e ss.). Altre nuove disposizioni riguardano poi la collaborazione tra Amministrazioni finanziarie per la verifica della sussistenza dei requisiti necessari alla concessione dei rimborsi IVA in uno Stato membro da parte di un soggetto passivo stabilito all‘interno di un‘altro Stato membro, relative in particolare alle modalità di scambio e di conservazione delle informazioni a tal fine necessarie (art. 48). In linea con la previgente disciplina sono previste modalità di scambio di informazioni su richiesta, automatico e spontaneo (v. risp. artt. 7 e 9, 13 e 15). Per quanto riguarda invece la giurisprudenza internazionale emanata di recente in materia, sull‘inutilizzabilità dei dati irritualmente acquisiti v. Corte di Appello di Parigi 8 marzo 2011, mentre in senso opposto v. Corte di Appello di Chambery 22 marzo 2011. In Germania, v. BVerfG, 9 novembre 2011, cit. V. supra nota 36. 43 V. Dürrschmidt, Tax Treaties and the Most-Favoured-Nation Treatment, particularly within the European Union, in Bullettin for international taxation, 2006, 202 ss. 44 V. Centore, La cooperazione internazionale contro le frodi Iva, in IVA, n. 1, 2011, su Fisconline. 176 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE Previo accordo tra le Autorità fiscali di due Stati membri vi è inoltre la possibilità, per i funzionari di uno di questi due Stati, di presenziare nel corso delle attività di verifica condotte all‘interno dell‘altro Stato (v. art. 28), come pure è prevista la possibilità di svolgere verifiche fiscali simultanee (art. 29). Disposizioni analoghe sono state previste dal regolamento n. 2073/2004/CE per quanto riguarda le accise. Grande impulso alla lotta contro l‘evasione fiscale internazionale è stato dato dalla introduzione della direttiva sulla tassazione degli interessi da risparmio 2003/48/CE, la quale impone agli Stati membri lo scambio automatico delle informazioni relative alla percezione di interessi derivanti da alcuni investimenti finanziari da parte di persone fisiche residenti in un altro Stato membro. La resistenza di Austria, Belgio e Lussemburgo, che ancora garantiscono in linea di principio il segreto bancario e temevano una fuga di capitali verso altri paradisi fiscali e bancari come la Svizzera, il Liechtenstein, Andora, Montecarlo e altri Paesi, anche asiatici, come Singapore, ha indotto alla introduzione di un doppio binario, secondo il quale il regime ordinario di scambio di informazioni automatico su base annuale non opera nei confronti di questi tre Paesi, i quali per contro si sono impegnati ad applicare una ritenuta alla fonte sugli interessi in questione – la cd. euroritenuta -, il cui 75 per cento è poi rimesso alle casse dello Stato di residenza dei contribuenti percettori, senza però indicazione nominativa di tali ―contribuenti‖ (che hanno comunque il diritto di rinunciare a questo sistema, evitando così di subire la ritenuta alla fonte, ormai giunta al 35 per cento, consentendo al Paese ove detengono gli investimenti di fornire allo Stato di residenza i loro dati). Il regime dell‘euroritenuta è stato poi esteso anche ad altri Paesi, non appartenenti alla UE, attraverso accordi di diritto internazionale con la UE stessa. Sebbene l‘effetto dell‘introduzione della euroritenuta sia quello di rendere meno convenienti gli investimenti in questione, il vero problema sta nel fatto che essa non scoraggia a sufficienza l‘esportazione di capitali frutto di evasione fiscale: l‘evasore domestico, infatti, sarà sempre disposto a subire una ritenuta, anche gravosa come l‘euroritenuta, in cambio del segreto sull‘esistenza dei capitali sottratti al Fisco. E‘ questa una delle ragioni dello stallo nei rapporti italo-svizzeri, a fronte invece di altri Paesi come il Regno Unito e la Germania, che parrebbero più condiscendenti rispetto a un incremento della ritenuta applicata dalla Svizzera. Va detto, inoltre, che il meccanismo dell‘euroritenuta, così come quello dello scambio di informazioni presenta molti difetti, quali il fatto di applicarsi solo nel caso di percezione di interessi (non sono scambiati i dati degli investimenti che non producono interessi), solo nei confronti delle persone fisiche e di prestare il fianco a manovre elusive. Manovre che in parte sono emerse in occasione dello scudo fiscale del 2009, il cui effetto collaterale è stato proprio quello di confermare i dubbi che già da tempo aleggiavano sul comportamento di contribuenti residenti e intermediari e Amministrazioni finanziarie dei Paesi soggetti alla euroritenuta, che consentivano la non 177 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE applicazione di tale imposta attraverso il ricorso ad interposizioni fittizie di società nella detenzione dei conti correnti o la veicolazione degli investimenti verso strumenti non inclusi nel campo di applicazione della direttiva, come le polizze assicurative sulla vita. Sebbene in base a specifici accordi45 si colpissero alcuni di questi comportamenti, infatti, il risultato perseguito da queste manovre era quello di sfuggire alla euroritenuta e allo scambio di informazioni automatico, ben coscienti del fatto che la possibilità per lo Stato di residenza di ottenere le informazioni su base individuale era – a livello statistico – assai ridotta. Per questo motivo, anche su sollecitazione italiana, la Commissione europea è stata indotta ad avviare una revisione della direttiva 2003/48/CE46, con l‘obiettivo di contrastare questi fenomeni, estendendo il campo di applicazione della direttiva anche ad investimenti ulteriori, come le polizze assicurative sulla vita che abbiano un contenuto finanziario largamente preponderante (e che pertanto coprano il rischio vita in maniera troppo esigua per non essere parificate, dal punto di vista fiscale, ad uno strumento finanziario, essendo inoltre la loro remunerazione connessa a quella di investimenti che se direttamente effettuati ricadrebbero nel campo di applicazione della direttiva) e tappandone le falle più vistose, come quella che consente agli intermediari esteri di considerare come beneficiari effettivi degli investimenti i veicoli societari panamensi e simili quando invece, ai fini della più rigorosa disciplina antiriciclaggio già si possiedono i dati degli investitori effettivi47. Il Parlamento europeo, condividendo lo spirito della riforma, ha peraltro suggerito alcune modifiche 48 e la strada della modifica 45 V. per esempio il Comunicato del 25 ottobre 2005 del Dipartimento delle politiche fiscali italiano, che annuncia l‘accordo raggiunto con le autorità svizzere sullo scambio di informazioni ai fini fiscali in relazione all‘art. 10 dell‘Accordo SvizzeraUE del 2004; accordo secondo il quale, tra l‘altro, costituisce frode fiscale l‘interposizione nella detenzione degli investimenti di veicoli societari, ciò che appunto consente lo scambio delle informazioni su richiesta, con i limiti pertanto che abbiamo già visto sopra, in particolare in relazione al divieto di fishing expedition. V. inoltre quanto riportato alla nota 36 supra in relazione al rifiuto da parte svizzera di scambiare informazioni volte a corroborare e confermare i dati contenute in liste trafugate da dipendenti infedeli. 46 V. la comunicazione (2008) 727 della stessa Commissione europea. 47 L‘assimilazione del beneficiario effettivo ai fini fiscali con quello disciplinato dalle regole di contrasto al riciclaggio, peraltro, meriterebbe un approfondimento ben maggiore di quello che è possibile effettuare in questa sede. Si rinvia, tra gli altri, a Bernasconi, Scambio di informazioni fiscali, rogatorie e convenzioni contro la doppia imposizione, cit., 16. 48 V. P6_TA-PROV(2009)0325] 22 aprile 2009, ove in particolare si legge: ―[the directive applies also to] benefits from a life insurance contract where the contract provides for a biometric risk coverage which, expressed as an average over the duration of the contract, is lower than 10 % of the initial capital insured and its actual performance is linked to interest or its actual performance is expressed in or directly linked to units and more than 40 % of the underlying assets is invested in income of the kinds referred to in points (a), (aa), (b), (c) and (d). 178 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE non è in discesa, anche per i rapporti con gli Stati terzi interessati dall‘euroritenuta. 4. L‘assistenza alla riscossione nelle convenzioni internazionali. La riscossione forzata all‘estero dei crediti tributari vantati da uno Stato è un aspetto di peculiare importanza per quanto riguarda il soddisfacimento della pretesa erariale, una volta che questa sia stata accertata. È pacifico infatti che un Stato non possa esercitare la sua sovranità fiscale all‘estero e che quindi non possa pretendere di far valere direttamente i crediti fiscali vantati al di fuori della sua giurisdizione al pari di quanto avviene per le norme di natura penale 49. Il soddisfacimento di tali crediti può Where for a unit linked insurance contract a paying agent has no information concerning the percentage of the underlying assets invested in debt claims or the relevant securities, that percentage shall be deemed to be above 40 %. For this purpose any difference between the amounts paid out pursuant to a life insurance contract and the sum of all the payments made to the life insurer under the same life insurance contract shall be considered benefits from life insurance contracts. Where the underwriter of the contract, the insured person and the beneficiary are not identical, the biometric risk coverage is deemed to be lower than 10 %‖. 49 Il principio è noto nei Paesi di common law come revenue rule. V. tra gli altri il caso australiano Jamieson v. Commissioner (2007) 9 ITLR 954 (Sup Crt NSW), richiamato da Baker-Czaert-van Eijsden-Grau Ritz-Kana, International Assistanza in the Collection of Taxes, in Bull. Int‘l Fiscal Doc., 2011/4-5, in cui la corte australiana ha ignorato il diritto di credito vantato dal Fisco americano nei confronti di un contribuente statunitense che aveva beni situati in Australia. V. anche il caso inglese Government of India v. Taylor (1955) A.C. 1991, e quello americano HM the Queen in right of British Columbia v. Gilbertson, 433 F. Supp. 410, 597 F.2d 1161 (US Court of Appeals, 9th Cir., 1979): gli stessi autori citano anche, come eccezione alla revenue rule, il caso Pasquantino, in cui la Corte Suprema degli Stati Uniti ammise il concorso del Canada quale creditore nei confronti del reo di un reato fiscale (contrabbando di alcol con evasione dei dazi all‘importazione in Canada): US v. Pasquantino 336 F3d 321 (4° Cir. 2003), (2005) 7 ITLR 774 (Sup. Crt.). Si consenta il rinvio a Uckmar-Corasaniti-de‘Capitani, Manuale di diritto tributario internazionale, Padova, 2009, 111, dove al riguardo è stato rilevato che ―La questione è stata varie volte esaminata dalle magistrature straniere ed in particolare da quelle anglosassoni. Una delle più note sentenze risale al 1928: l‘Olanda aveva intrapreso un‘azione giudiziaria in Inghilterra al fine di ottenere il riconoscimento del credito per l‘imposta di successione gravante sul patrimonio di un cittadino olandese, defunto in patria, e che possedeva immobili in Inghilterra. Il giudice Tomlin dichiarò di non potere scendere all‘esame del merito della controversia in quanto «vi è una prassi pienamente riconosciuta che trova applicazione da circa 200 anni, in forza della quale le Corti inglesi non raccolgono le imposte degli Stati stranieri a beneficio dei sovrani di tali Stati stranieri». Tale principio è confermato nella Rule 22 del Dicey‘s Conflict of Laws (ed. 1949) così formulata: «The Court has no jurisdiction at common 179 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE dunque ottenersi solo contando sulla cooperazione dello Stato nel cui territorio deve avvenire l‘esecuzione. È proprio al fine di superare tali problemi che gli Stati si sono dotati di apposite disposizioni convenzionali. In tal senso, per le attività di riscossione all‘estero dei tributi gli artt. 11 e 12 della ―Convenzione multilaterale sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale‖ di Strasburgo del 1988 (retro, par. 2) dispongono espressamente che qualora uno Stato contraente abbia ricevuto una specifica law to entertain an action: 1) for the enforcement, either directly or indirectly, of a penal, revenue or political law of a foreign State, or 2) where the grounds of the action involve an act of State». La giurisprudenza delle Corti degli Stati Uniti d‘America è conforme a quella inglese; a giustificazione del rifiuto di riconoscere le leggi di imposta straniere è stato affermato che «nessuna obbligazione contrattuale o quasi contrattuale di pagare sorge dall‘imposizione dei tributi … L‘applicazione delle leggi fiscali trova il suo fondamento non sul consenso, ma sulla forza e sull‘autorità». Anche i giudici del continente europeo hanno ripetutamente respinto le azioni giudiziarie intese ad ottenere l‘applicazione di leggi fiscali straniere. La Corte Suprema austriaca si è pronunciata in tal senso, pur rilevando che la regola generale può essere derogata quando siano stati stipulati appositi accordi internazionali; la Corte Suprema belga con sentenza 18 febbraio 1929 annullò la decisione d‘un giudice inferiore che aveva accordato l‘exequatur a una pronuncia straniera in materia di imposta. Uniformandosi alla Corte Suprema il Tribunale di Charleroi, con sentenza 8 gennaio 1930, nel riaffermare l‘impossibilità per uno Stato di far valere all‘estero un suo credito tributario, addusse a giustificazione che «la action n‘à pas pour base un contrat privé, mais bien une loi politique étrangère et la souverainité réciproque de l‘État s‘oppose à ce qui une loi de ce genre soit appliquée en dehors des limites territoriales de l‘État qui l‘a promulguée». La Corte di Cassazione francese, con sentenza 14 aprile 1934, ha affermato che neppure un privato può agire giudizialmente in Francia per ottenere il rimborso di un‘imposta pagata all‘estero per conto del convenuto e ciò sempre per le stesse ragioni: «les lois fiscales sont strictement territoriales»; «le Fisc français ne peut poursuivre devant les tribunaux étrangers le recouvrement de ces taxes … et que le Fisc étrangers ne peuvent poursuivre devant les tribunaux français le recouvrement de leurs impôts». Si è a conoscenza di una sola sentenza italiana che abbia espressamente esaminato l‘ammissibilità di un‘azione giudiziaria di uno Stato straniero tendente a far valere nel nostro Paese un credito di imposta: la sentenza della Corte d‘Appello di Genova 14 gennaio 1932 la cui massima recita: «l‘Autorità giudiziaria italiana non ha giurisdizione a conoscere della domanda proposta dal Console di uno Stato estero in tale sua qualità (nella specie dal Console della Repubblica Ellenica), diretta ad ottenere la riscossione della tassa dovuta secondo le leggi fiscali del suo Stato sulla successione di un suo connazionale apertasi in Italia e riguardante beni esistenti in Italia»‖. Ex amplius, v. Sacchetto, Territorialità nel diritto tributario, in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, 303; Sacchetto, L‘evoluzione del principio di territorialità e la crisi della tassazione del reddito mondiale nel Paese di residenza, Riv. dir. trib. int., 2001, 49. 180 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE richiesta da parte di un altro Stato contraente deve attivarsi per la riscossione dei crediti tributari vantati dallo Stato richiedente come se si trattasse di crediti tributari propri, adottando i provvedimenti cautelari necessari (solo, anche in questo caso, su richiesta) anche nei casi in cui la pretesa erariale sia stata oggetto di contestazione da parte del contribuente o non sia stato ancora emesso un titolo esecutivo. A livello OCSE la materia è disciplinata nell‘art. 27 del Modello di convenzione. Introdotta nel Modello di Convenzione solo nel 2003, in base a tale norma gli Stati contraenti si obbligano a fornirsi reciprocamente assistenza nella riscossione dei tributi di ogni genere e specie. Il suo ambito di applicazione non è pertanto limitato alle imposte disciplinate dalla convenzione, né ai soggetti cui si applica la convenzione stessa 50. La norma dispone che lo Stato destinatario di una richiesta di assistenza debba procedere con la riscossione di imposte e sanzioni - nonché interessi e altri costi di riscossione connessi - sui beni del contribuente e secondo le regole del proprio ordinamento. In particolare affinché il credito possa essere escusso da parte dell‘Autorità estera il Commentario chiarisce che ―the revenue claim has to be enforceable under the law of the requesting State (...)‖; non è quindi sufficiente che la pretesa erariale sia diventata definitiva, bensì dev‘essere accompagnata da un idoneo titolo che ne legittimi la riscossione (v. rispettivamente i par. 2 e 3 dell‘art. 27 del Modello OCSE e i paragrafi 10 e 15 del Commentario allo stesso articolo). Anche i termini decadenziali relativi al recupero d‘imposta sono regolati dalle disposizioni presenti nell‘ordinamento dello stato richiedente 51. Il contribuente non potrà invece proporre eccezioni od opposizioni allo Stato destinatario della richiesta riguardo al merito della pretesa erariale, in quanto esse logicamente potranno essere fatte valere solo nei confronti dello 50 Si rileva peraltro che secondo il par. 8 del Commentario all‘art. 27 del Modello OCSE ―The agreement should also deal with the issue of the costs that will be incurred by the requested State in satisfying a request made under paragraph 3 or 4. In general, the costs of collecting a revenue claim are charged to the debtor but it is necessary to determine which State will bear costs that cannot be recovered from that person. The usual practice, in this respect, is to provide that in the absence of an agreement specific to a particular case, ordinary costs incurred by a State in providing assistance to the other State will not be reimbursed by that other State. Ordinary costs are those directly and normally related to the collection, i.e. those expected in normal domestic collection proceedings. In the case of extraordinary costs, however, the practice is to provide that these will be borne by the requesting State, unless otherwise agreed bilaterally (...)‖. 51 Il paragrafo 22 del Commentario all‘art. 27 del Modello OCSE, su tale questione al secondo periodo indica infatti che ―Since paragraph 3 refers to revenue claims that are enforceable in the requesting State and paragraph 4 to revenue claims in respect of which the requesting State can take measures of conservancy, it follows that it is the time limits of the requesting State that are solely applicable‖. 181 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE Stato richiedente52 (v. art. 27, par. 6, del Modello OCSE e il relativo par. 28 del Commentario). V‘è anche la possibilità di richiedere l‘applicazione di misure cautelari la quale verrà però evasa seguendo le regole dello Stato in cui devono essere applicate (e quindi quello che riceve la richiesta: v. par. 19-21 del Commentario all‘art. 27). Lo Stato può tuttavia respingere detta richiesta se la sua soddisfazione comportasse una violazione delle sue disposizioni interne o della sua prassi amministrativa o, più in generale, dell‘ordine pubblico [art. 27, par. 8, lett. b), del Modello OCSE e par. 37 del Commentario]; ovvero ancora il rifiuto può essere giustificato nel caso in cui il beneficio per lo Stato richiedente fosse inferiore rispetto al sacrificio sofferto dallo Stato destinatario della richiesta di assistenza nella riscossione [art. 27, par. 8, lett. d), del Modello OCSE]. Lo Stato che riceve la richiesta, infine, non è tenuto ad evaderla se l‘altro Stato non ha ancora infruttuosamente esperito ogni mezzo per la riscossione del credito fiscale previsto dal suo stesso ordinamento [art. 27, par. 8, lett. c), del Modello OCSE]. 5. La normativa comunitaria sulla riscossione all‘estero dei crediti tributari. Con la direttiva n. 76/308/CEE del 15 marzo 1976 in materia di assistenza nella riscossione all‘estero dei crediti tributari la Comunità Europea ha disciplinato la collaborazione tra i Paesi membri in materia di dazi doganali e di Imposta sul valore aggiunto. La direttiva è stata poi modificata dalla direttiva n. 2001/44/CE del 15 giugno 2001, recepita in Italia con il d.lgs. n. 69 del 9 aprile 2003, la quale ha esteso l‘assistenza anche ad altri tributi, ivi comprese le imposte sul reddito e le altre imposte ad esse equivalenti (comprese quindi le imposte sostitutive). Modifiche successive sono inoltre intervenute ad opera della direttiva n. 94/2002/CE del 9 dicembre 2002, e della direttiva n. 79/2004/CE del 4 marzo 2004, entrambe recepite in Italia dal d.lgs. n. 69 del 2003 e dal successivo d.m. 22 luglio 2005, n. 17953. A motivo dunque delle numerose modifiche che il testo della direttiva n. 76/308/CEE ha subito negli anni, al fine di razionalizzarne e renderne più chiaro il contenuto - peraltro riproducendolo sostanzialmente - il Consiglio 52 Per un caso giurisprudenziale relativo alla convenzione tra Italia e Germania, v. Cass., SS.UU., 17 gennaio 2006, n. 760, in Fisconline, con commento di Placido. 53 Per quanto riguarda la riscossione all‘estero dei crediti tributari nella normativa precedente alle direttive in esame, v. Poggioli, Applicabilità della disciplina comunitaria di assistenza alla riscossione dei crediti tributari sorti antecedentemente all‘entrata in vigore della direttiva 76/308/CEE, nota a Corte di Giustizia CE, cause riunite C-361/2002 2 C-362/2002, in Rass. Trib., 30, 2005. 182 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE dell‘Unione europea ha deciso di abrogarla e sostituirla con la direttiva del 26 maggio 2008 n. 2008/55/CE (v. par. 2 delle Premesse e art. 25), la quale prevede che gli Stati membri si impegnano ad assistersi reciprocamente per l‘esecuzione coattiva della riscossione di crediti tributari non soddisfatti 54. Guardando alla normativa interna attuativa delle disposizioni comunitarie attualmente vigenti (ossia, la dir. n. 2008/55/CE, con riferimento alla quale ex secondo comma del suo art. 25 ci si deve rapportare in luogo della previgente dir. n. 76/308/CEE), l‘art. 5 del d.lgs. n. 69 del 2003 prevede che, in base ai titoli esecutivi stranieri che lo Stato estero ha trasmesso all‘Agenzia delle Entrate (v. art. 7, par. 2, dir. n. 2008/55/CE), si proceda alla loro riscossione come se si trattasse di crediti fiscali italiani, in quanto i titoli stranieri vengono parificati ai ruoli di cui al d.p.r. n. 602 del 29 settembre 1973. Il contribuente che intenda contestare il credito o il titolo esecutivo emesso nello Stato membro richiedente deve adire l‘organo competente di tale Stato ai sensi delle leggi ivi vigenti (art. 12, dir. n. 2008/55/CE); in tal caso l‘Agenzia delle Entrate sospende la riscossione del credito de quo fino all‘emissione di una decisione in merito da parte di tale organo, salvo che lo Stato estero in cui è stata promossa la contestazione da parte del contribuente non produca un‘apposita istanza finalizzata a non interrompere la procedura di esazione già avviata (v. art. 6, d.lgs. n. 69 del 2003, e art. 10, d.m. n. 179 del 2005). Se l‘Autorità estera ne fa richiesta ovvero l‘Amministrazione finanziaria italiana lo ritiene necessario ex art. 7, d.lgs. n. 69 del 2003, e art. 12, d.m. n. 179 del 2005, quest‘ultima può procedere con l‘adozione di misure cautelari (art. 13, dir. n. 2008/55/CE). Si rileva peraltro che, applicando principi in linea con quelli della direttiva in esame, per quanto riguarda la riscossione dei crediti fiscali di altri Stati – segnatamente di titolarità tedesca, in applicazione della convenzione tra l‘Italia e questo Stato – la Corte di Cassazione ha riconosciuto che la giurisdizione in merito alla pretesa sostanziale dev‘essere riconosciuta al giudice del Paese le cui Autorità vantano tale pretesa. Relativamente al contenzioso attinente la procedura di riscossione la competenza è invece dello Stato in cui detta procedura si svolge e in tal caso la giurisdizione è del Giudice tributario e non di quello ordinario (v. Corte di Cass., SS.UU., 1° dicembre 2005, dep. Il 17 gennaio 2006, n. 76055; Cass., SS.UU., 19 febbraio 2008, dep. il 23 maggio 2008, n. 13357). Analoghi principi sono peraltro stati affermati anche dalla Corte di Giustizia in relazione all‘interpretazione dell‘art. 12 della direttiva 76/308/CEE56. 54 V. Cusintino, Riscossione in Italia dei crediti fiscali degli Stati esteri e sistema di tutela giurisdizionale, in Fisconline, 2, 2009. 55 v. Placido, Riscossione in Italia di debiti tributari formati all‘estero L‘impugnazione dell‘avviso di mora va proposta dinanzi al giudice tributario nazionale, in Fisconline, 26, 2006. 56 Corte di Giustizia, 14 gennaio 2010, C-233/08, Kyrian. 183 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE Ciò significa che la concentrazione della riscossione nell‘accertamento comporterà la necessità di distinguere i motivi di opposizione all‘avviso di accertamento fatti valere dal contribuente, così da individuare la giurisdizione competente tra quella dello Stato richiedente e quella dello Stato richiesto. La direttiva n. 2008/55/CE a partire dal 1° gennaio 2012 sarà peraltro sostituita dalla direttiva 16 marzo 2010, n. 2010/24/UE57, la quale è entrata in vigore il 20 aprile 2010 e che ai sensi del suo art. 28 dovrà essere recepita dagli Stati membri dell‘Unione europea entro il 31 dicembre 2011. 57 Motivazioni sottostanti all‘emanazione di quest‘ultima direttiva sono rinvenibili nei paragrafi 1-5 delle sue Premesse, laddove al riguardo si indica che ―1. L‘assistenza reciproca tra gli Stati membri ai fini del recupero dei rispettivi crediti e di quelli dell‘Unione derivanti da determinate imposte e altre misure contribuisce al buon funzionamento del mercato interno. Oltre a garantire la neutralità fiscale, ha permesso agli Stati membri di eliminare misure di protezione discriminatorie adottate in relazione alle operazioni transfrontaliere per prevenire frodi e perdite di bilancio. 2. Disposizioni relative all‘assistenza reciproca in materia di recupero sono state inizialmente stabilite dalla direttiva 76/308/CEE del Consiglio, del 15 marzo 1976, relativa all‘assistenza reciproca in materia di ricupero dei crediti risultanti da operazioni che fanno parte del sistema di finanziamento del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, nonché dei prelievi agricoli e dei dazi doganali. Tale direttiva e i suoi atti modificativi sono stati codificati dalla direttiva 2008/55/CE del Consiglio, del 26 maggio 2008, sull‘assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da taluni contributi, dazi, imposte ed altre misure. 3. Tali disposizioni, se hanno costituito un primo passo verso un miglioramento delle procedure di recupero all‘interno dell‘Unione grazie all‘avvicinamento delle norme nazionali applicabili, si sono però rivelate insufficienti per rispondere alle esigenze del mercato interno quale si è andato evolvendo negli ultimi trenta anni. 4. Per garantire meglio gli interessi finanziari degli Stati membri e la neutralità del mercato interno, è necessario estendere l‘ambito di applicazione dell‘assistenza reciproca in materia di recupero ai crediti derivanti da imposte e dazi che ancora non vi rientrano, mentre per far fronte alle crescenti domande di assistenza e produrre risultati migliori è necessario rendere l‘assistenza più efficace ed efficiente e facilitarla nella pratica. Al fine di conseguire tali obiettivi sono necessari importanti adattamenti, per cui una mera modifica della vigente direttiva 2008/55/CE non sarebbe sufficiente. La direttiva 2008/55/CE dovrebbe pertanto essere abrogata e sostituita da un nuovo strumento giuridico che muova dai risultati di detta direttiva ma preveda, laddove necessario, norme più chiare e precise. 5. Norme più chiare favorirebbero un più ampio scambio di informazioni tra gli Stati membri. Assicurerebbero inoltre la copertura di tutte le persone fisiche e giuridiche nell‘Unione, tenendo conto della gamma sempre crescente di istituti giuridici, inclusi non solo gli istituti tradizionali quali trust e fondazioni, ma anche qualsiasi nuovo strumento che possa essere creato dai contribuenti negli Stati membri. Esse permetterebbero altresì di tener conto di tutte le forme che possono assumere i crediti delle autorità pubbliche derivanti da imposte, dazi, contributi, restituzioni e interventi, inclusi tutti i crediti pecuniari nei confronti del contribuente interessato o di terzi che sostituiscono il credito originario. Norme più chiare sono necessarie soprattutto per definire meglio i diritti e gli obblighi di tutti i soggetti interessati‖. 184 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE La nuova direttiva - nonostante ai fini della collaborazione internazionale in materia di riscossione copra sostanzialmente le medesime imposte considerate dalla direttiva n. 2008/55/CE - introduce importanti disposizioni in linea con gli standard OCSE (alcune delle quali peraltro adottate anche all‘interno della direttiva n. 2011/16/UE in materia di scambio di informazioni). Per ―persona‖ stabilita o residente in uno Stato membro l‘art. 3 stabilisce infatti che oltre alle persone fisiche e giuridiche debba intendersi anche, ―(...) iii) ove la normativa vigente lo preveda, un‘associazione di persone alla quale è riconosciuta la capacità di compiere atti giuridici, ma che è priva di personalità giuridica; o iv) qualsiasi altro istituto giuridico di qualunque natura e forma, dotato o meno di personalità giuridica, che possiede o gestisce beni che, compreso il reddito da essi derivato, sono soggetti a una delle imposte di cui alla presente direttiva‖ [dovendosi considerare compresi nell‘ambito applicativo della direttiva anche tutti gli istituti giuridici di nuova creazione al pari di quelli già esistenti quali i trust, le fondazioni e i fondi d‘investimento (in tal senso, v. il par. 5 delle Premesse alla direttiva in esame)]. La nuova direttiva ha previsto inoltre che qualora uno Stato membro effettui una richiesta di informazioni ad un altro Stato ai sensi del suo art. 5 al fine di potere meglio escutere all‘estero i propri crediti tributari, i limiti allo scambio contenuti al secondo comma di tale norma - i.e. il caso in cui vengano richieste informazioni a) che l‘autorità adita non sarebbe in grado di ottenere per il recupero di crediti analoghi sorti all‘interno del suo ordinamento, b) che rivelerebbero un segreto commerciale, industriale o professionale, ovvero c) la cui comunicazione sarebbe tale da pregiudicare la sicurezza e l‘ordine pubblico dello Stato membro adito - non possono in nessun caso essere interpretati ―nel senso di autorizzare l‘autorità interpellata di uno Stato membro a rifiutare di fornire informazioni solamente perché tali informazioni sono detenute da una banca, da un altro istituto finanziario, da una persona designata o che agisce in qualità di agente o fiduciario o perché si riferiscono agli interessi proprietari di una persona‖. È stata peraltro prevista la possibilità per uno Stato membro che debba effettuare un rimborso di dazi o imposte (diverse dall‘Iva) nei confronti di un residente di un altro Stato membro di informare al riguardo in modo spontaneo detto secondo Paese (art. 6). In base all‘art. 7, poi, previo accordo fra le autorità fiscali interessate è possibile permettere allo Stato estero che richiede assistenza in materia di riscossione di fare presenziare e assistere suoi funzionari alle attività svolte dai funzionari dello Stato richiesto (similmente a quanto concesso dall‘art. 9 della Convenzione di Strasburgo e dall‘art. 11 del regolamento n. 1798/2003/CE in materia di scambio di informazioni in ambito Iva). 185 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE Per quanto riguarda invece i problemi concernenti i termini di prescrizione l‘art. 19 stabilisce che questi sono disciplinati esclusivamente dalle norme in vigore nello Stato membro richiedente. La direttiva de qua non pregiudica comunque la ricorrenza di obblighi più ampi in materia di assistenza risultanti da accordi o convenzioni bilaterali o multilaterali, anche nel settore della notifica degli atti giudiziari o extragiudiziari (art. 24). Ulteriore importante innovazione è legata alla semplificazione amministrativa, posto che la richiesta di assistenza ai sensi della nuova direttiva si fonderà su strumenti standardizzati, il che consentirà di velocizzare i tempi di evasione della richiesta e di superare le barriere linguistiche che sino ad oggi hanno ostacolato una efficace attuazione della 58 cooperazione . 58 A livello comunitario le somme riscosse grazie alla assistenza internazionale nel 2007 erano pari al 5 per cento di quelle richieste, pur dovendosi considerare tale dato in relazione anche ai dati sulla riscossione domestica, non sempre di molto maggiore. V. Baker et al., cit., par. 7.2. 186 Prof. Adriano Di Pietro La collaborazione comunitaria nell‟accertamento e nella riscossione: la tutela del contribuente Prof. Guglielmo Fransoni L‟esecuzione coattiva a carico dei debitori diversi dall‟obbligato principale 1 I termini del problema 1.1 Il tema sul quale mi propongo di svolgere talune riflessioni è ben noto: esistono più ipotesi in cui il soggetto attivo del tributo può agire coattivamente per la soddisfazione del proprio diritto di credito nei confronti di un debitore diverso dall‘obbligato principale ed occorre individuare le relative regole procedimentali e processuali. Dal punto di vista soggettivo, il tema è delimitato da due coordinate: deve trattarsi di debitori e tali soggetti non devono essere obbligati a titolo principale. Implicita in questa definizione dell‘oggetto del presente contributo è che restano quindi dallo stesso escluse, sotto il profilo soggettivo: a) le ipotesi in cui vi siano più soggetti passibili di esecuzione coattiva, tutti però tenuti per un debito proprio, ossia le ipotesi di solidarietà c.d. paritetica. b) le ipotesi in cui la riscossione non avviene nei confronti di un soggetto obbligato (ancorchè non in via principale), ma con riguardo ai beni di un terzo in quanto questi ultimi costituiscono garanzia del credito tributario (ossia le ipotesi che sono state definite di obbligazione dipendente limitata (1)). Dal punto di vista oggettivo, invece, si avrà specifico riguardo alla fase dell‘esecuzione coattiva. Restano quindi escluse dall‘ambito della trattazione le ipotesi in cui i soggetti terzi adempiono spontaneamente alla propria coobbligazione: pur essendo anche questo un aspetto della riscossione ( 2) del 1 ( ) Al riguardo si rinvia a ALLORIO E., Diritto processuale tributario, ___. Si noti che, peraltro, nel nostro ordinamento esiste un‘ipotesi di co-obbligazione dipendente limitata in senso proprio individuata dall‘art. 14 del D. Lgs., n. 472/1997. Infatti, il cessionario dell‘azienda è obbligato insieme al cedente per i debiti tributari di quest‘ultimo in via sussidiaria e limitatamente al valore dell‘azienda ceduta. 2 ( ) E‘ noto, infatti, che l‘espressione ―riscossione delle entrate‖ indica ―la fase della procedura finanziaria della gestione dell‘entrata nella quale l‘agente della riscossione incassa, in senso fisico e, quindi, in termini reali il flusso monetario costituente l‘adempimento della prestazione pecuniaria del debitore‖ (così BARETTONI ARLERI A., Riscossione delle entrate dello Stato e degli enti pubblici, in Enc. dir., ___, Milano, ___). La definizione – ancora attuale salvo che per il L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE tributo e pur non potendosi negare, in astratto, la possibilità di un diverso modo di atteggiarsi della sua disciplina rispetto alla riscossione a carico dell‘obbligato principale, mi pare pacifico che, invece, tale disciplina è attualmente conformata in modo uguale per ciò che attiene sia all‘adempimento dell‘obbligato principale che a quello dei co-obbligati dipendenti. 1.2 Nonostante queste prime precisazioni, l‘ampiezza della casistica oggetto di esame resta significativa. Non solo permangono sufficientemente numerose le ipotesi di obbligazione dei soggetti terzi (rispetto al presupposto del tributo), ma queste si presentano anche piuttosto eterogenee (3). Prova ne è la pluralità di criteri che possono essere impiegati per la loro classificazione. A) Nel nostro sistema, infatti, si possono innanzi tutto distinguere le ipotesi del coinvolgimento del terzo nella soddisfazione dell‘interesse del creditore in ragione della fonte della co-obbligazione. E‘ noto infatti che l‘obbligazione dei terzi può dipendere dalla legge o da una fonte negoziale (in particolare dalla fideiussione, ma anche l‘accollo, ad esempio, può dar luogo a ipotesi di co-obbligazione (4)). B) Vi è peraltro una seconda classificazione che mi sembra di un certo rilievo. Le situazioni di co-obbligazione, si possono infatti distinguere a riferimento alla ―fisicità‖ dell‘incasso venuta meno a causa della ―digitalizzazione‖ delle transazioni finanziarie – implica che, nell‘ambito delle contabilità pubblica, tutto il fenomeno del flusso finanziario è riguardato dal punto di vista del creditore, con una evidente inversione di prospettiva rispetto al diritto civile che osserva il fenomeno del punto di vista della co-operazione richiesta al debitore. Dal punto di vista della contabilità pubblica, allora, la riscossione abbraccia sia il caso in cui il flusso è ―generato‖ dalla collaborazione del debitore (l‘adempimento), sia quello in cui esso si realizza attraverso l‘esclusiva iniziativa del creditore (l‘esecuzione coattiva). 3 ( ) A fronte dell‘esistenza di una forte e autorevole tradizione di studi dedicati alla figura del ―responsabile d‘imposta‖ – si vedano, senza pretesa di completezza, FANTOZZI A., La solidarietà nel diritto tributario, ___, PARLATO A., Il responsabile d‘imposta, __; POTITO E., Soggetto passivo d‘imposta, in Enc. dir., Torino 1990, XLII, 1253; COPPA D., Gli obblighi fiscali dei terzi, Padova, 1990; FANTOZZI A., La solidarietà tributaria, in Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci, Padova, 1994, II, pag. 453; COPPA D., Responsabile d‘imposta, in Dig. disc. priv., sez. comm., Torino 1996, XII, 395; CASTALDI L., Solidarietà tributaria, in Enc. giur. Treccani, Roma __, XXIX; MICCINESI M., Solidarietà nel diritto tributario, in Dig. disc. priv., sez. comm., 1997, XIV, 445 e ss.– non mi sembra esistere uno studio aggiornato ed esaustivo della totalità delle ipotesi di co-obbligazione dipendente che abbracci tutte le diverse ipotesi di coinvolgimento del terzo nell‘attuazione del interesse del creditore. 4 ( ) Sul tema, per tutti PAPARELLA F., L‘accollo del debito d‘imposta, Milano 190 L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE seconda che esse siano previste in funzione dell‘esclusivo interesse del soggetto creditore del tributo, ovvero della generalità dei creditori. Questa è una classificazione parzialmente trasversale rispetto a quella precedente. Se, per un verso, le ipotesi di co-obbligazione previste in funzione dell‘esclusivo interesse dell‘erario possono nascere tanto dalla legge (in primis, le vere e proprie ipotesi di ―responsabilità di imposta‖), quanto da manifestazioni di autonomia privata (basta pensare alle varie ipotesi di fideiussione previste a garanzia di rimborsi d‘imposta o di rateazioni); per altro verso, i rapporti di co-obbligazione previsti nell‘interesse della generalità dei creditori hanno esclusivamente origine legale (l‘ipotesi più nota è quella solidarietà dei soci delle società di persone con la società medesima), il negozio potendosi al più atteggiare come presupposto della responsabilità (si pensi, alla posizione del cessionario dell‘azienda). C) Un altro possibile criterio di qualificazione che, a mio avviso, deve essere tenuto presente ai fini del corretto inquadramento della disciplina è collegato alla preventiva determinazione dell‘oggetto della responsabilità del terzo. Talune ipotesi di co-obbligazione riguardano debiti già sorti e specificamente individuati anche nel loro ammontare: è questo, ad esempio, il caso della fideiussione prestata per la rateazione di un tributo. L‘unico elemento di incertezza, per il terzo, è se l‘obbligato principale adempirà puntualmente alla propria obbligazione ed eventualmente in che misura; ove vi sia inadempimento, tuttavia, l‘esistenza del debito non è comunque controvertibile e la misura della responsabilità è perfettamente stabilita. Altre fattispecie riguardano debiti che sorgono contestualmente al sorgere della responsabilità, ma immediatamente determinabili nel loro ammontare. Tali sono le ipotesi di responsabilità ai fini dell‘imposta di registro a carico dei pubblici ufficiali che hanno partecipato alla formazione dell‘atto. Infine, in altre ipotesi ancora, il debito è del tutto indeterminato nel momento in cui sorge la responsabilità. In alcuni casi si tratta addirittura di debiti futuri (si pensi alla co-obbligazione dei soci illimitatamente responsabili), ma potrebbe trattarsi di debiti di cui si è realizzata la fattispecie costitutiva, ma non ancora accertati (si pensi alla solidarietà delle società risultanti dalla scissione per i debiti fiscali della società scissa o alla co-obbligazione del cessionario d‘azienda per le violazioni del biennio anteriore alla cessione). D) La distinzione che precede corrisponde solo in parte, infine, a una quarta possibile classificazione connessa alla fase di attuazione del tributo in cui si inserisce la responsabilità del terzo. La casistica sembra presentare fattispecie in cui la responsabilità riguarda l‘adempimento spontaneo, altre in cui essa si inserisce nella fase di liquidazione d‘ufficio o accertamento del tributo, altre ancora in cui essa attiene proprio alla fase della riscossione (in quanto ha ad oggetto i tributi iscritti a ruolo). 191 L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE 1.3 Rispetto a queste diverse ipotesi, non sembra esistere uno studio generale e complessivo delle forme di esecuzione. In dottrina è dato riscontrare, è vero, l‘esistenza di molti pregevoli e autorevolissimi interventi, i quali, però, riguardano di norma solo talune forme specifiche di co-obbligazione (5). Vi è di più, gli interventi sul tema, nella loro quasi totalità, attengono sempre a profili specifici della disciplina: l‘estensione dell‘efficacia soggettiva del ruolo, l‘ambito delle eccezioni opponibili dal co-obbligato, la delimitazione delle giurisdizione delle controversie ecc. Questa specificità è perfettamente rispecchiata dallo stato della legislazione e della giurisprudenza. Come non esistono disposizioni espressamente dirette a stabilire una disciplina generale delle ipotesi prima individuate (o di un gruppo di talune fra esse), così non esistono arresti giurisprudenziali di portata generale. Anche queste note non possono, allora, che costituire un tentativo per l‘avvio una più generale riflessione della quale, per il momento, è dato solo provare a tracciare le linee di sviluppo e qualche possibile soluzione. 2 Il titolo esecutivo 2.1 Il problema da cui prendere le mosse riguarda l‘individuazione della disciplina da osservare per la formazione del titolo esecutivo. Si pone cioè l‘esigenza di verificare se il titolo in questione possa essere in ogni caso formato dal creditore avvalendosi delle prerogative concessegli 5 ( ) Anche in questo caso senza alcuna pretesa di completezza, si rinvia a MICHELI G.A., Primi appunti sull‘efficacia soggettiva (limiti soggettivi) dell‘iscrizione a ruolo, in Opere minori di Diritto tributario, Milano, 1982, I, 348 ss.; FALSITTA G., Riscossione delle imposte dirette, in Noviss. Dig. it., Torino, 1969, XVI, 73; GLENDI C., Solidarietà dipendente e pretesa estensibilità ai coobbligati dell‘efficacia esecutiva del titolo riguardante il debito principale d‘imposta, in Dir. prat. trib., 1974, II, 777; LUPI R., Coobbligazione solidale dipendente ed esecuzione esattoriale, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1987, II, 200; BASILAVECCHIA M., Ruolo d‘imposta, in Enc. dir., Milano 1989, XLI, 180 ss.; DEL FEDERICO L., Riscossione e solidarietà sanzionatoria: questioni vecchie e nuove sull‘art. 98 del D.P.R. n. 602/1973, in GTRiv. giur. trib., 1996, 445 ss.; GIOVANNINI A., Riscossione delle sanzioni e obbligazioni solidali, in Dir. prat. trib., 1997, II, 83 ss.; LA ROSA S., Riscossione delle imposte, in Enc. giur. Treccani, Roma 2000, XXVII; GUIDARA A., La riscossione dei tributi nei confronti del garante, in Riv. dir. trib., 2005, I, 679 ss.; BASILAVECCHIA M., Il ruolo e la cartella di pagamento: profili evolutivi della riscossione dei tributi, in Dir. prat. trib., 2007, I, 141; CARINCI A., La riscossione a mezzo ruolo nell‘attuazione del tributo, Pisa, 2008, pag. 240; BOLETTO G., Il ruolo di riscossione nella dinamica del prelievo delle entrate pubbliche, Milano 2010; CANNIZZARO S., Il fermo dei beni mobili registrati e l‘ipoteca nella fase di riscossione dei tributi, Roma 2011. 192 L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE dalla disciplina speciale della riscossione, ovvero se, in alcune ipotesi, occorra seguire la strada ordinaria. 2.2 Sul tema, come si diceva, si è obbligati a procedere con molta cautela, giacchè non è dato riscontrare non solo un‘opinione consolidata, ma neanche una soluzione prevalente sia nelle conclusioni, sia nelle sue giustificazioni. Il punto di partenza sembrerebbe dover essere la constatazione per cui l‘art. 17 del D.Lgs. n. 46 del 1999 prevede che il ruolo costituisce il sistema di riscossione per tutte le entrate dello Stato. Tuttavia, dal coordinamento di questa disposizione con il successivo art. 21 del medesimo D. Lgs. n. 46 del 1999 è dato pervenire alla conclusione che il ruolo non è anche il titolo esecutivo di tutte le entrate riscosse a mezzo dello stesso. Invero, l‘art. 21 stabilisce che le entrate ―aventi causa in rapporti di diritto privato‖ possono essere iscritte a ruolo solo se esse ―risultano da titolo avente efficacia esecutiva‖. Per tali entrate, quindi, l‘iscrizione a ruolo non costituisce il momento di formazione del titolo esecutivo, ma ne è la conseguenza (6). 2.3 Questa affermazione, ha due immediate implicazioni. Occupandoci per il momento della prima conseguenza ( 7), si deve rilevare che essa si risolve nella ovvia necessità di distinguere fra obbligazioni ―aventi causa in rapporti di diritto privato‖ e altre obbligazioni. Il problema è dato dal fatto che il criterio della natura privatistica del rapporto costituente causa dell‘entrata non è sufficientemente determinato ed è, anzi, per sua natura idoneo a condurre a più soluzioni. Se questo è vero in generale, lo è particolarmente quando occorra verificare l‘applicazione di tale criterio alle obbligazioni di cui ci interessiamo in questa sede, le quali hanno tutte una generale causa ―fideiussoria‖, ossia di rafforzamento del diritto di credito del soggetto attivo. A) Un primo criterio distintivo potrebbe essere infatti proprio quello di negare ogni sostanziale autonomia a qualunque obbligazione avente una generale causa fideiussoria e considerarla, almeno ai fini della soluzione del problema della riscossione, come sempre dipendente, anche quanto alla sua causa ultima, dal rapporto principale. Se così fosse, sarebbe risolto in radice il problema che ci occupa immediatamente in questa sede. In altri termini dovrebbe concludersi che il ruolo costituisce il titolo esecutivo per procedere 6 ( ) Deve peraltro rilevarsi che secondo la prassi che si è andata formando, il titolo esecutivo, nelle ipotesi in cui si applica l‘art. 21 del D.Lgs. n. 46/1999 è sempre a formazione ―unilaterale‖. In questo senso si veda Circolare del 14/12/2000 n. 231. 7 ( ) E rinviando al successivo par. 3 per l‘esame della seconda. 193 L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE contro qualunque co-obbligato, là dove l‘oggetto dell‘obbligazione principale è un tributo. B) Astrattamente, si potrebbe poi ritenere che l‘obbligazione (latamente fideiussoria) del terzo condebitore ha causa in rapporti di diritto privato se trova la sua fonte in un atto di autonomia negoziale. In base a questo diverso criterio identificativo vi sarebbe la necessità della previa formazione di un titolo esecutivo – ai sensi del citato articolo 21 – in tutti i casi in cui la co-obbligazione nasce da una fideiussione o da un altro negozio. Viceversa, sempre in questa prospettiva, le co-obbligazioni di fonte legale dovrebbero essere, indistintamente, ricondotte fra quelle non ―aventi causa in rapporti di diritto privato‖ e, come tali, escluse dall‘applicazione dell‘art. 21 cit. C) Infine, si può sostenere che ha causa in rapporti di diritto privato l‘entrata che trova la sua fonte in un atto (negoziale o normativo) diretto a tutelare interessi di diritto privato (restando poi da specificare, come diremo, anche il senso di questa espressione). In questo caso, per un verso, sarebbe escluse dall‘applicazione dell‘articolo 21 l‘esecuzione coattiva relativa alle obbligazioni che trovano la loro fonte nella legge tributaria ovvero in atti di autonomia privata specificamente previsti dalla legge stessa (come è per le varie ipotesi di fideiussione richieste nell‘ambito della gestione delle vicende attuative di un tributo). Per contro, si potrebbe assumere che hanno ―causa in rapporti di diritto privato‖ (e sono conseguentemente soggette alla regola di cui al citato articolo 21) anche le obbligazioni di fonte legale quando la responsabilità di un determinato soggetto è prevista in funzione della soddisfazione dell‘interesse generico dei creditori. Si tratterebbe in altri termini, di tutte (e solo) le ipotesi in cui la particolare relazione fra il terzo e il debitore (rapporto sociale, successione a titolo universale, cessione d‘azienda, scissione ecc.) implica l‘estensione al primo della responsabilità patrimoniale per la generalità delle obbligazioni del secondo soggetto. 2.4 Pur nella consapevolezza della difficoltà di dare a questo problema una soluzione giustificabile in modo (sufficientemente) univoco sulla base del dato normativo, sembra che la soluzione di dare esclusivo rilievo alla fonte dell‘obbligazione (cfr. supra n. 2.3.B) è senz‘altro quella meno plausibile. E questo perché il criterio identificativo fondato sulla fonte dell‘obbligazione risulta, in fin dei conti, quanto mai astratto. Esso, infatti, conduce, innanzi tutto, a considerare come aventi causa in rapporti non di diritto privato le obbligazioni puramente risarcitorie (avendo esse sicuramente fonte legale). Ma più radicale è poi l‘obiezione che deriva dalla valutazione delle conseguenze opposte, giacchè, in applicazione del medesimo criterio si dovrebbero reputare come aventi causa in rapporti di diritto privato le 194 L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE obbligazioni che nascono da atti anche solo formalmente negoziali (giacchè se, nell‘applicazione di questo criterio, si avesse riguardo all‘interesse concretamente tutelato esso [criterio] coinciderebbe, di fatto, con il terzo criterio proposto). In questo modo, tuttavia, si porrebbe, in primo luogo, il problema dell‘esatta qualificazione dei contratti di diritto pubblico e, in secondo luogo, si dovrebbero parificare le ipotesi in cui l‘amministrazione agisce iure privatorum a quelle in cui il modulo consensuale è impiegato (come è pacificamente possibile) quale di soddisfazione di interessi pubblici alternativo a quello autoritativo-provvedimentale. 2.5 La scelta si pone, quindi, fra la prima e la terza possibile interpretazione dell‘espressione ―aventi causa in rapporti di diritto privato‖. Di queste due, la terza soluzione ha il pregio di apparire fondata sul carattere sostanziale dell‘obbligazione e, come tale, potrebbe essere giudicata più idonea a riflettere gli interessi in gioco e la tradizione complessiva. Invero, la nozione stessa di ―responsabile d‘imposta‖ risulta dotata di una propria autonomia concettuale solo se risulta distinguibile, anche sotto il profilo della disciplina attuativa, da altre ipotesi di co-obbligazione dipendente. Al tempo stesso, la necessità di un autonomo titolo esecutivo al fine di procedere nei confronti del co-obbligato dipendente – come prescritto rispetto alle entrate ―aventi causa in rapporto di diritto tributario‖ – sembra coordinarsi meglio con l‘esigenza di limitare l‘eccezionalità del sistema di esecuzione forzata, là dove il titolo immediato del diritto di credito azionato è una responsabilità generale del terzo che trova fondamento nel generale interessi di più creditori possibilmente in concorso fra loro. D‘altra parte, non si può negare che l‘evoluzione del sistema ha condotto a una generalizzazione del sistema della riscossione a mezzo ruolo e che la distinzione fra obbligazioni aventi causa in rapporti di diritto privato e altre obbligazioni, non corrisponde affatto alla distinzione fra applicazione della disciplina generale dell‘esecuzione e ipotesi di applicabilità della disciplina esecuzione forzata prevista dal Titolo II del D.P.R. n. 602 del 1973. Come vedremo, la rilevanza della distinzione è molto limitata (e forse può essere ulteriormente circoscritta nel nostro settore) e non si può quindi escludere, anche in una prospettiva evolutiva dell‘intero sistema della riscossione, una possibile chiave di lettura fondata sul riferimento testuale della ―causa del rapporto‖ all‘―entrata‖ dello Stato. Da questo punto di vista, si potrebbe sostenere che la ―causa‖ vada intesa come legittimo titolo di acquisizione della somma di denaro e che questa, rispetto ai rapporti fideiussori (anche se espressi in garanzie autonome), è sempre data dal rapporto cui essi accedono. In altri termini, anche quando l‘esecuzione riguarda somme che il debitore è obbligato a pagare in virtù di una disciplina di fonte negoziale o di una disciplina di fonte legale volta a tutelare interessi 195 L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE generali ―privatistici‖, la causa dell‘entrata (e della legittima retentio della stessa) è sempre data dal rapporto principale. Argomento, quest‘ultimo che condurrebbe a ritenere sempre esclusa l‘applicazione dell‘art. 21 rispetto alle ipotesi di co-obbligazione di terzi rispetto a debiti d‘imposta. 3 La formazione del ruolo 3.1 Come si vede, il problema si presenta abbastanza complesso e la sua soluzione non può risultare indifferente tanto agli interessi pratici perseguiti, quanto alle idee di fondo da cui prendono le mosse i diversi approcci teorici. Tuttavia, è forse possibile dire che la rilevanza della questione può essere di fatto attenuata se si tiene conto della seconda conseguenza implicata dal combinato disposto degli articolo 17 e 21 del D.Lgs. n. 46/1999. Secondo quanto si è già accennato, si deve infatti riconoscere che se, in base all‘art. 21, esistono ipotesi in cui il ruolo non è titolo esecutivo, tuttavia, l‘applicazione anche a tali rapporti della disciplina della riscossione a mezzo ruolo (stabilita dagli articoli 17 e 18) impone di attribuire comunque valenza generale alla procedura di esecuzione forzata in base a ruolo. Il ruolo può essere esso stesso titolo esecutivo ovvero può essere emesso sulla base di un titolo esecutivo preventivamente formato e, al tempo stesso, i crediti dello Stato possono avere, secondo le diverse possibili prospettive, natura ―privatistica‖ o ―pubblicistica‖, ma in ogni caso con il ruolo (e solo con esso (8)) prende avvio l‘esecuzione forzata dei crediti medesimi secondo le regole titolo II del D.P.R. n. 602 del 1973 (9). Se le cose stanno in questo modo, è allora evidente che viene a mancare almeno uno dei motivi che potrebbe indurre a prediligere la soluzione diretta all‘applicazione della disciplina civilistica, ossia quello di limitare un privilegio dell‘amministrazione quale indubbiamente è il procedimento esecutivo esattoriale. Con ciò non si avrebbe però una perfetta equiparazione dei due sistemi residuando (rectius, sembrando residuare) la differenza consistente nel 8 ( ) A questa affermazione fa eccezione la nuova disciplina della concentrazione dell‘accertamento e della riscossione, sulla quale avremo modo di ritornare. 9 ( ) In questa prospettiva, l‘art. 21 si coordina con l‘art. 18 (e i successivi articoli 18bis, 19, 20 e 20-bis) del D.Lgs. n. 46 del 1999. Come è noto, l‘art. 18 stabilisce l‘estensione a tutti i tributi riscossi a mezzo ruolo delle disposizioni di cui al capo II del Titolo I e del Titolo II del D.P.R. n. 602 del 1973, mentre i successivi articoli limitano la portata del rinvio. Tuttavia tale ulteriore limitazione riguarda sempre le disposizioni del capo II del Titolo I e mai quelle del Titolo II. Cosicchè l‘art. 21 completa, per le obbligazioni aventi causa in rapporti di diritto privato, la limitazione del rinvio, ma sempre con riguardo alla formazione del ruolo, senza incidere sulla generalità del procedimento esecutivo di riscossione forzata. 196 L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE privilegio riconosciuto all‘erario di procedere da sé medesimo alla formazione del titolo esecutivo. Detto in altri termini, occorre verificare se la necessità della previa formazione del titolo esecutivo nel caso di entrate ―aventi causa in rapporti di diritto privato‖ ai fini dell‘emissione del ruolo (e del conseguente avvio della procedura esecutiva), comporta una differenza sostanziale rispetto ai presupposti per l‘iscrizione a ruolo là dove il ruolo sia anche il titolo esecutivo in base al quale si procede. Questa verifica deve essere condotta, rispetto ai casi che ci interessano, da un duplice punto di vista. Occorre cioè stabilire: a) per quanto riguarda i casi disciplinati dall‘art. 21 del D.Lgs. n. 46 del 1999, in cosa consiste la previa emanazione del titolo esecutivo; successivamente b) per quanto riguarda gli altri casi, se è comunque necessario notificare uno o più atti al debitore solidale dipendente prima dell‘iscrizione a ruolo (e, ovviamente, quali sono tali atti). 3.2 Dal primo punto di vista, si deve ricordare che, secondo la prevalente tesi erariale, il titolo esecutivo – la cui emissione, nelle ipotesi previste dall‘art. 21, deve precedere l‘iscrizione a ruolo – può essere costituito unilateralmente dall‘ente creditore ai sensi del R.D. 14.4.1910, n. 639. E‘ allora evidente che le entrate ricomprese nell‘ambito di applicazione dell‘art. 21 cit. non si differenziano dalle altre entrate né per il procedimento di esecuzione coattiva (il quale è sempre costituito dalla speciale procedura esattoriale), né per la formazione del titolo esecutivo, che è sempre formato unilateralmente dal creditore (10). L‘unica differenza fra le ipotesi di riscossione soggette alla disciplina dell‘art. 21 cit. e le altre si potrebbe risolvere, pertanto, nella necessità di previa notifica di un atto che deve essere motivato e contenere l‘accertamento di tutti i presupposti per la responsabilità del co-obbligato. Occorre quindi verificare se tale necessità può dirsi esclusa o meno per le ipotesi non ricomprese nell‘ambito di applicazione dell‘art. 21 cit. le quali costituiscono certamente la parte più ampia delle fattispecie di coobbligazione dipendente, atteso che, qualunque criterio si impieghi per distinguere le entrate aventi causa in rapporti di diritto privato dalle altre, queste ultime sono senz‘altro più numerose. 10 ( ) Si ricorda, peraltro, che l‘art. 229 del D.Lgs. 10 febbraio 1998 n. 51 ha soppresso la necessità del visto pretorile dell‘ingiunzione la quale è, pertanto, ―esecutiva di diritto‖. 197 L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE 3.3 Il tema è certamente vasto e richiederebbe una verifica molto più analitica rispetto a quella che è possibile condurre in questa sede. Sembra, peraltro, legittimo affermare che esistono taluni casi in cui la previa notifica di un ―atto‖ – costituente il necessario presupposto, se non proprio il titolo per l‘iscrizione a ruolo – è espressamente stabilita. A) Una prima ipotesi è quella prevista dall‘articolo 8, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 218 del 1997 (in tema di accertamento con adesione) e dall‘art. 48, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 546 del 1992 (in tema di conciliazione giudiziale) (11). Tali disposizioni prevedono che, in caso di mancato pagamento di una delle rate previste ai fini del perfezionamento dell‘accertamento con adesione o della conciliazione giudiziale, si può procedere nei confronti del garante mediante iscrizione a ruolo che deve essere, tuttavia, preceduta da un invito ―contenente l'indicazione delle somme dovute e dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa‖. Questa disposizione appare estremamente significativa perché, nel caso di specie, si è in presenza di un‘ipotesi in cui, con riferimento alle classificazioni elaborate inizialmente (cfr., supra, nn. 1.2.C e 1.2.D), la responsabilità del terzo attiene a un‘obbligazione principale che, quanto alla determinatezza della esistenza ed dell‘ammontare del debito, è già sorta e preventivamente determinata nel momento in cui nasce l‘obbligazione dipendente e, quanto al momento della fase attuativa del tributo in cui si inserisce, si colloca nella fase della riscossione. Se, allora, si avverte in questo caso l‘esigenza di un previo invito, appare davvero arduo sostenere che analoga esigenza non sussista anche quando i presupposti della responsabilità del garante sono solo potenziali e del tutto indeterminati. B) Ed infatti esistono delle ipotesi che molto chiaramente sono orientate in questo senso. Viene innanzi tutto in rilievo quanto disposto dall‘art. 36, comma 5, del D.P.R. n. 602 del 1973 ai sensi del quale, per azionare la responsabilità di soci e liquidatori, è necessario procedere alla previa notifica di un atto di accertamento della relativa responsabilità per l‘imposta dovuta dalla società si procede. C) L‘art. 43-bis, comma 2 del medesimo D.P.R. n. 602 del 1973 prevede, poi, che la responsabilità solidale del cessionario di crediti d‘imposta è condizionata alla notifica degli ―atti con i quali l‘ufficio delle entrate o il centro di servizio procedono al recupero delle somme stesse‖ (nei confronti del cedente-obbligato principale). Orbene, non dovrebbe essere dubbio che la norma non si limita a disporre l‘allegazione degli atti suddetti alla cartella di pagamento (o la loro riproduzione), ma impone un‘autonoma notifica quale condizione per l‘iscrizione a ruolo. Non sembra poi neppure discutibile che fra tali atti sia ricompreso anche l‘avviso di accertamento previsto dall‘art. 43, comma 2 del decreto suddetto. 11 ( ) Sul tema cfr. Guidara A., La riscossione dei tributi nei confronti del garante, cit. 198 L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE D) Fra le ipotesi particolarmente discusse in tempi recenti vi è il rapporto fra società controllante e società controllata nell‘ambito dei rapporti di gruppo (12). Orbene, prescindendo dalla qualificazione di tali rapporti, appare evidente che la previsione di un avviso di primo livello e di secondo livello e l‘esigenza di notificare tanto gli uni che gli altri sia alla controllata che alla controllante esclude, almeno in questo specifico settore, la possibilità di procedere all‘iscrizione a ruolo nei confronti di alcuno dei soggetti coinvolti ove non sia stato notificato un previo atto di accertamento. E ciò è ulteriormente confermato dalla disciplina recata dall‘art. 40-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 (introdotto dal D.L. n. 70 del 2010) ai sensi della quale il medesimo avviso di accertamento deve essere notificato sia alla consolidata che alla consolidatente. E) Un‘indicazione a contrario può desumersi, poi, dall‘articolo 173 del t.u.i.r.. Come è noto, questa disposizione, per un verso, afferma l‘esistenza di una coobligazione fra le società risultanti dalla scissione e, per altro verso, attribuisce a tutti i condebitori la facoltà di partecipare all‘accertamento ―senza oneri di avviso o di altri adempimenti per l‘Amministrazione‖. Ferma l‘esistenza di non lievi riserve sulla legittimità di questa disposizione (temperata, forse, dalla sua operatività apparentemente limitata alla sola scissione totale), dovrebbe ritenersi che la sua espressa previsione non avrebbe senso se non fosse stata considerata come derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria. 3.4 Oltre che in alcuni sparsi dati normativi, l‘esigenza di un previo atto (di accertamento o di invito a seconda, come diremo, dei casi) trova conferma poi in talune considerazioni ulteriori che potremmo dire di ordine sistematico sempre che, ovviamente, si aderisca, all‘idea tenuta ferma dalla giurisprudenza, che esclude ogni forma di efficacia riflessa sull‘esistenza del rapporto dipendente delle vicende relative al rapporto principale. A) In primo luogo, con riguardo alle ipotesi di responsabilità che attengono a debiti d‘imposta (anche) risultanti da atti di accertamento a carico del debitore principale, una volta ammesso (come sembra necessario alla luce della giurisprudenza costituzionale e di legittimità) che il responsabile è legittimato a contestare non solo il titolo della sua responsabilità, ma anche l‘esistenza dell‘obbligazione principale, appare difficile escludere poi tale soggetto dal regime di riscossione frazionata previsto dall‘art. 15 del D.P.R. n. 602 del 1973 e dall‘art. 68 del D. Lgs. n. 546 del 1992. 12 ( ) Per un‘esaustiva ricognizione della disciplina e delle diverse teorie, nonché per la completa bibliografia si rinvia a PADOVANI F., ___ del quale deve essere pure segnalata la puntuale ipotesi ricostruttiva. 199 L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE La riscossione frazionata non può, tuttavia, operare con riferimento al ruolo o alla cartella di pagamento (13), cosicchè è giocoforza ammettere la previa esistenza di un atto impugnabile. B) Nelle ipotesi in cui il condebitore gode del beneficium excussionis o del beneficium ordinis, si deve ritenere che il rispetto di queste condizioni costituisce presupposto per l‘iscrizione a ruolo non per il concreto avvio della procedura esecutiva. Infatti, se l‘iscrizione a ruolo potesse avvenire indipendentemente dalla previa escussione o richiesta del obbligato principale, il rispetto dei due beneficia non potrebbe mai essere contestato dal condebitore, perché nel procedimento di riscossione non trovano spazio le opposizioni di cui all‘art. 615 c.p.c.. Se, allora, si ammette che l‘escussione o la richiesta devono precedere l‘iscrizione a ruolo – pur non potendosi escludere che di tali presupposti si dia atto nella motivazione del ruolo – sembra più coerente dal punto di vista sistematico dare autonomo rilievo a questi elementi e agli altri che concorrono a legittimare l‘esistenza del ruolo e farne oggetto della motivazione di uno specifico atto. 3.5 Questi dati lasciano intravedere, a mio avviso, uno spazio per l‘elaborazione del principio secondo cui, prima dell‘iscrizione a ruolo, occorre sempre notificare al condebitore dipendente anche un atto volto ad accertare il titolo della sua responsabilità. E‘ forse possibile affermare che l‘operare di questo principio dipende anche da due variabili costituite dalla fase attuativa del tributo in cui si inserisce la co-obbligazione e, al tempo stesso, dall‘esistenza di una preventiva determinazione quantitativa del debito al momento della nascita della obbligazione. A) Da questo punto di vista, quando il vincolo solidale sorge in relazione a debito la cui esistenza è affermata nella fase di accertamento e che, correlativamente, non può dirsi conosciuto dal condebitore al momento della nascita della sua responsabilità, i dati e le ragioni prima sommariamente esposti dovrebbero essere valorizzati al fine di escludere che possa procedersi alla iscrizione a ruolo nei confronti del co-obbligato medesimo senza che essa sia preceduta dalla notifica di un ―atto di accertamento‖. Ovviamente, l‘espressione ―atto di accertamento‖ che si è appena utilizzata deve essere intesa in senso lato, ricomprendendo essa, di volta in volta e conformemente alla disciplina dei diversi moduli attuativi del tributo, sia gli atti di accertamento veri e propri, sia l‘atto di accertamento così denominato dall‘art. 36, comma 5 del D.P.R. n. 602, sia il ruolo medesimo nelle ipotesi in cui è quest‘ultimo l‘atto deputato a costituire la funzione di momento 13 ( ) Per alcuni ulteriori riflessioni sul punto si veda il successivo par. 3.6. 200 L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE conclusivo della funzione di controllo della dichiarazione e di liquidazione o accertamento del debito d‘imposta. Ciò che importa evidenziare, a nostro avviso, è che a questi atti si devono poter applicare le medesime regole, sul piano della esecutorietà, riferibili agli atti di cui è destinatario l‘obbligato principale. Diversamente, infatti, si negherebbe – come diremo al successivo par. 3.6 – il principio che esclude l‘efficacia riflessa delle vicende relative al rapporto principale rispetto a quello dipendente. B) Là dove la responsabilità del terzo si inserisce nella fase di adempimento c.d. ―spontaneo‖ e/o la nascita del vincolo solidale dipende (anche) da una scelta volontaria del terzo e riguarda un debito già determinato nel momento stesso in cui sorge l‘obbligazione solidale, è invece possibile ammettere che un‘attenuazione o il venir meno della necessità della formazione e la notifica al condebitore di un atto quale presupposto dell‘iscrizione a ruolo. Anche quando un atto è effettivamente previsto – come nel caso degli ―inviti‖ da notificare al soggetto che ha prestato fideiussione nelle ipotesi disciplinate dall‘art. 8, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 218 del 1997 e dall‘art. 48, comma 3bis, del D.Lgs. n. 546 del 1992 – si potrebbe poi escluderne l‘autonoma impugnabilità (ferma restando, ovviamente, quella del ruolo o della cartella di pagamento). 3.6 Da questo punto di vista, si può forse dire che la previsione di cui all‘art. 25 del D.P.R. n. 602 del 1973 – la quale sembra ammettere che al condebitore possa essere notificata la sola cartella esattoriale ancorchè il ruolo sia formato nei confronti del solo debitore principale – può trovare applicazione, nella sua interpretazione letterale, solo in alcune ipotesi molto limitate di coobbligazione dipendente. E questo non per ragioni legate all‘efficacia in sé del titolo, quanto per motivi connessi alla tutela giurisdizionale che deve essere riconosciuta, sul piano del merito e sul piano esecutivo, al terzo la quale, in ossequio all‘insegnamento della Corte costituzionale, non può essere diversa da quella riconosciuta al debitore principale. Altrimenti detto, in tutte le ipotesi in cui si ammette l‘estensione a terzi dell‘efficacia del titolo esecutivo formato a nome di alcuni soggetti, il problema non è costituito, in sé, dalla deroga al principio nulla executio sine titulo. Invero, si potrebbe affermare che, almeno formalmente, un titolo pur sempre esiste ancorchè dotato di una estensione soggettiva che la legge conforma in termini più ampi dell‘ordinario, così come, d‘altra parte, avviene anche in talune altre circostanze (si pensi all‘efficacia esecutiva contro gli eredi riconosciuta al titolo formato nei confronti del de cuius ai sensi dell‘art. 477 c.p.c.). Il punto è, invece, che queste forme di estensione presuppongono, in misura più o meno intensa, una ―riflessione‖ a danno o a favore dell‘obbligato dipendente delle vicende dell‘obbligazione realizzate nei confronti 201 L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE dell‘obbligato principale. Né è un esempio proprio l‘art. 477 c.p.c. in cui si vede, appunto, un‘applicazione della regola per cui la sentenza fa stato nei confronti delle parti e dei loro aventi causa. Se e nella misura in cui si aderisce però all‘idea – fermissima ormai in giurisprudenza – secondo cui il terzo è del tutto indifferente alle vicende che attengono alla definizione del debito di cui non sia parte (ancorchè coinvolgano il debitore a titolo principale), si deve anche escludere che le ipotesi di riflessione negate sul piano processuale riemergano, poi, su quello procedimentale. Un esempio – che si coordina con affermazioni fatte in precedenza – può aiutare a chiarire il punto. Si pensi al caso in cui il debito del terzo riguardi un‘obbligazione non preesistente né determinabile al momento della nascita della sua coobbligazione, ma emergente nell‘ambito della fase di accertamento (potrebbe trattarsi del cessionario d‘azienda o di un socio di una società di persone). In questo caso, a seguito dell‘emanazione dell‘avviso di accertamento nei confronti del debitore principale e della successiva iscrizione a ruolo a titolo provvisorio, potrebbero darsi tre ipotesi: A) la prima, che è quella già illustrata, vede l‘Agenzia delle entrate procedere nei confronti del condebitore attraverso la notifica di un autonomo atto di accertamento costituente, poi, titolo per l‘iscrizione a ruolo nei sui confronti; B) una seconda ipotesi è quella in cui nessuna iscrizione a ruolo può essere fatta nei confronti del coobbligato dipendente fino a che l‘accertamento non è diventato defintivo; C) la terza è che il ruolo a titolo provvisorio emesso nei confronti del debitore principale, sia efficace, ai sensi dell‘art. 25 del D.P.R. n. 602 del 1973, anche nei confronti del condebitore dipendente. A me sembra evidente che la seconda e la terza ipotesi implicano comunque l‘accettazione di una efficacia riflessa degli atti e delle vicende relative all‘obbligazione principale. In primo luogo, la soluzione per cui il creditore deve attendere la definizione della controversia con il debitore principale prima di procedere nei confronti del condebitore dipendente, ha senso solo se si accede all‘idea per cui l‘accertamento cui si perviene all‘esito di tale controversia possa considerarsi definitivo anche per il terzo condebitore. Se così non fosse, avremmo una soluzione del tutto insoddisfacente (i) sotto un profilo pratico, perché il creditore si troverebbe obbligato ad aspettare la conclusione di un intero giudizio, articolato nei suoi diversi gradi, solo per dover ricominciare tutto dall‘inizio nei confronti del condebitore; (ii) sotto il profilo logico, perché non si può richiedere che l‘avvio dell‘azione esecutiva nei confronti del condebitore abbia determinati presupposti (ivi inclusa, in ipotesi, la definitività dell‘accertamento nei confronti dell‘obbligato principale) e poi, al tempo stesso negare, ogni rilevanza alla verificazione di tali circostanze; (iii) sotto il profilo sistematico, in quanto tutte le ipotesi di co-obbligazione 202 L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE solidale dipendente risulterebbero praticamente equiparate a quelle in cui il debitore gode di un beneficium excussionis. L‘unico modo per giustificare praticamente, logicamente e sistematicamente la soluzione in esame è, quindi, quella di rendere dipendente la posizione del terzo condebitore dall‘accertamento giudiziale dell‘obbligazione resa nei confronti dell‘obbligato principale. Ma questo, ovviamente, contraddice la premessa. A non diverse conclusioni si perviene, poi, nel caso in cui si esplorino le conseguenze connesse alla terza soluzione. Se, infatti, si assume che il creditore può procedere esecutivamente nei confronti del condebitore dipendente notificando a questi la cartella di pagamento relativa a un ruolo emesso a titolo provvisorio nei confronti dell‘obbligato principale, si deve poi ammettere che il venir meno del ruolo (per esempio perché il debitore principale è vittorioso nel giudizio di primo grado) si risolve in una caducazione dell‘efficacia anche nei confronti del responsabile. E‘ ben vero che si tratta di una efficacia riflessa in bonam partem, come quella prevista dall‘art. 1306, comma 2, c.c., ma già questo raffronto pone in evidenza la singolarità del caso, perché gli effetti favorevoli non conseguono a un giudicato (come richiesto dall‘art. 1306, secondo comma, c.c.), cosicchè sono anch‘essi provvisori. Ne discende che, venuta meno l‘efficacia del ruolo nei confronti del coobbligato dipendente a seguito della decisione di primo favorevole al debitore principale (14), il coobbligato resta esposto a una nuova iscrizione a ruolo, per l‘intero, se la decisione di secondo grado (sempre emessa nel giudizio sull‘avviso di accertamento promosso dall‘obbligato principale) dovesse riformare la sentenza impugnata. Né questa è l‘unica ―complicazione‖ derivante dall‘aver adottato la terza fra le soluzioni prospettabili: basta pensare alle conseguenze che derivano dall‘eventuale pagamento da parte del responsabile, in base all‘iscrizione a ruolo a titolo provvisorio. La intima connessione che si viene così ad instaurare fra i due procedimenti evidenzia quindi una nuova deroga al presupposto di partenza – quella della totale autonomia dei due rapporti – che, proprio ove si tenga conto di tutte le sue possibili manifestazioni, difficilmente si presta a essere trascurata sol perché limitata (almeno in prima battuta) ai soli effetti favorevoli. Invero, quando la connessione si palesa così intensa, diventa necessario porsi il problema se sia corretto operare una limitazione del genere ponendo su un piano decisamente privilegiato il debitore, rispetto al creditore. In ogni caso, mi sembra evidente che l‘unica soluzione davvero coerente con il postulato di partenza sia quella che impone la previa notifica al responsabile di un atto di accertamento in senso lato. 14 ( ) Il che, conseguentemente, potrebbe condurre all‘estinzione del giudizio sulla cartella di pagamento promosso dal debitore dipendente per cessazione della materia del contendere. 203 L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE Va da sé che, peraltro, quel postulato può essere abbandonato. Nel qual caso, la soluzione prospettata dovrebbe essere anch‘essa scartata per evidente contraddittorietà rispetto al sistema. 4 La giurisdizione 4.1 Ove si condividano le linee generali rapidamente tratteggiate – e che, come si è detto in premessa, richiedono certamente di essere ulteriormente elaborate e messe a punto – possono trovare soluzione molti problemi connessi al tema generale in esame e che qui non possono essere nemmeno elencati: dal termine per la notifica, all‘efficacia interruttiva della notifica del ruolo a uno solo degli obbligati, ai limiti dell‘intervento in giudizio ecc. Mi limito ad accennare solo a una questione estremamente rilevante, ossia al tema della tutela giurisdizionale. Invero, una volta ammesso che, nei confronti del terzo condebitore, l‘esecuzione coattiva in base a ruolo deve essere preceduta, in molte occasioni, dalla previa formazione di un atto di accertamento (nel senso lato prima indicato), il problema del giudice munito di giurisdizione non può che essere visto in una prospettiva diversa. In altri termini, posto che, secondo la tesi qui esposta, la lite non riguarda (sempre e necessariamente) la mera fase della riscossione coattiva, ma coinvolge anche una preventiva fase di accertamento, appare difficile negare la giurisdizione del giudice tributario. Se, infatti, l‘affermazione della giurisdizione del giudice ordinario può avere un senso quando la lite attiene al processo esecutivo, una simile tesi perde ogni giustificazione nel caso di controversie che, almeno in via immediata, attengono all‘accertamento (della validità di un atto contenente l‘affermazione) dell‘esistenza di un debito d‘imposta nei confronti di un determinato soggetto. L‘unica differenza, in punto di contenuto della lite rispetto alle altre liti tributarie, sarebbe costituito da ciò che il soggetto destinatario della pretesa non è quello nei cui confronti si è verificato il presupposto del tributo, ma un simile elemento non ha mai costituito una ragione idonea ad escludere la giurisdizione del giudice tributario. 5 La concentrazione della riscossione nell‟accertamento. 5.1 Rispetto al quadro così delineato occorre adesso chiedersi quali siano le conseguenze derivanti dalla ―concentrazione della riscossione nell‘accertamento‖ disposta dall‘art. 29 del D.L. n. 78/2009, convertito con L. 30 luglio 2010, n. 122. 204 L‘ESECUZIONE COATTIVA A CARICO DEI DEBITORI DIVERSI DALL‘OBBLIGATO PRINCIPALE Quanto si è detto in precedenza mi sembra attestare che la novità di tale disciplina: a) non consiste certo nell‘abbandono del modello della riscossione esattoriale, il quale è invece espressamente riaffermato; b) né consiste nel fatto che alla riscossione esattoriale si procede sulla base di un titolo esecutivo diverso dal ruolo, visto che, come si è detto, tale possibilità è da tempo contemplata dall‘art. 21 del D.Lgs. n. 46/1999. Ne consegue che la vera novità deve ravvisarsi nella possibilità di avviare la riscossione esattoriale senza la previa iscrizione a ruolo, evitando, quindi, la notifica al contribuente (debitore principale) di un atto ulteriore. Questa eliminazione di una fase del procedimento non può, ovviamente, non riguardare anche il terzo condebitore. Se, infatti, si ammette che, alla stregua di quanto affermato in precedenza, al condebitore avrebbe dovuto essere notificato, prima delle modifiche di cui al D.L. 78/2010, un atto di accertamento quale presupposto della successiva iscrizione a ruolo (e ciò in modo perfettamente analogo a quanto previsto per l‘obbligato principale), in base alla nuova disciplina dovrebbe risultare riaffermata la necessità dell‘autonoma notifica dell‘atto di accertamento e, sempre preservando l‘uguaglianza di trattamento rispetto al debitore principale, esclusa l‘esigenza della previa iscrizione a ruolo. 5.2 Resta inteso che tale notifica dovrà avvenire a cura dell‘Agenzia e che la disciplina dell‘accertamento notificato al co-obbligato dipendente dovrà essere, sotto tutti i profili rilevanti, esattamente corrispondente a quella prevista per l‘obbligato principale cosicchè, in particolare: I. dalla notifica dell‘accertamento al responsabile decorreranno i termini per l‘esecutività dell‘atto nei sui confronti (art. 29, primo comma, lett. b)); II. l‘affidamento della riscossione all‘agente nel caso di fondato pericolo per la stessa non potrà avvenire se non sono decorsi sessanta giorni dalla notifica dell‘atto al terzo (art. 29, primo comma, lett. c)); III. l‘avviso di cui all‘art. 50 del D.P.R. n. 602/1973 dovrà essere notificato dopo il decorso di un anno dalla notifica dell‘avviso di accertamento al coobbligato dipendente (art. 29, primo comma, lett. e)); IV. gli interessi di mora e l‘aggio della riscossione saranno dovuti dal responsabile solo dal primo giorno successivo al termine ultimo per proporre il ricorso da parte del responsabile (art. 29, primo comma, lett. f)). 205 Prof. Franco Gallo Contraddittorio procedimentale e attivita‟ istruttoria SOMMARIO: 1. - L‘autonoma rilevanza dell‘attività di controllo e conoscitiva; 2. - Quando l‘attività di controllo produce atti discrezionali; 3. Rapporto fra attività di controllo e attività di accertamento; 4. – Conclusioni. 1 L‟autonoma rilevanza dell‟attività di controllo e conoscitiva In questa relazione mi limiterò a dare conto, in termini molto generali, di quello che a mio avviso è lo stato del dibattito circa la funzione e le caratteristiche della c.d. istruttoria amministrativa tributaria e circa il rapporto tra essa e l‘istruttoria processuale sotto il particolare profilo dell‘acquisizione delle prove. 1.1 Va innanzitutto preso atto del fatto che, sia pure con qualche distinguo, buona parte della dottrina è ormai abbastanza concorde nel ritenere, sulla scia delle originarie intuizioni di S. La Rosa (dallo stesso successivamente sviluppate in vari scritti), che le multiformi attività conoscitive e di controllo, comunemente denominate attività istruttorie, debbono considerarsi dotate di una propria autonomia funzionale rispetto all‘attività di accertamento e di indirizzo, e non più come si è ritenuto in passato e, in un certo qual modo, ritiene ancora la Corte di cassazione italiana attività ―interne‖ di un generale procedimento amministrativo di imposizione. In quanto tali, esse si articolano in distinti e autonomi procedimenti che, a loro volta, possono essere prodromici al procedimento di accertamento in senso proprio. Questa opinione credo, ormai predominante – non solo trova la sua giustificazione nel convincente assunto logico che non avrebbe molto senso connettere necessariamente la complessa attività di controllo ad un‘attività, quella di accertamento, che si presenta invece come eventuale, e cioè ad un procedimento amministrativo che non sempre si conclude con un vero e proprio atto autoritativo. È imposta anche dalla necessità di adeguare la complessa disciplina della raccolta delle prove alla progressiva evoluzione del sistema tributario verso moduli partecipativi, in cui: da una parte, le situazioni soggettive passive dei contribuenti si frazionano in tanti distinti autonomi obblighi legali, quali sono quelli – CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA ormai collaudati – di autotassazione, autoliquidazione e versamento ―spontaneo‖ all‘esattoria tramite delega all‘istituto di credito, dall‘altra, le situazioni soggettive attive dell‘erario si risolvono normalmente nell‘esercizio di un potere a imperatività-normatività depotenziata, che non va oltre all‘acquisizione delle informazioni utilizzabili e al mero controllo dell‘osservanza dei suddetti obblighi strumentali dei contribuenti. L‘estensione della fase di controllo a danno di quella (una volta considerata solo) di accertamento è, in particolare, la naturale conseguenza di una evoluzione legislativa, tesa a superare la ricostruzione del fenomeno tributario esclusivamente in termini coercitivi e di patologia evasiva e a potenziare, in alternativa, forme di responsabilizzazione e collaborazione del contribuente, non necessariamente collegate all‘attività di accertamento. Basti pensare al riguardo, a puro titolo di esempio, che: la dichiarazione dei redditi è stata resa ormai liberamente rettificabile e integrabile direttamente dallo stesso contribuente, in aumento e in diminuzione, con l‘applicazione di sanzioni ridotte in caso di ravvedimento operoso; la stessa dichiarazione si considera ormai validamente presentata, anche se non sottoscritta, purché il contribuente, invitato a sanarla, si rechi presso l‘ufficio per apporre la sua firma in calce al modello presentato; l‘uso dello strumento telematico comporta un controllo in tempi reali, da parte dello stesso contribuente, degli errori materiali rilevati e segnalati dal programma, con la conseguente forte riduzione dell‘attività di liquidazione da parte degli uffici; è previsto l‘obbligo a carico dell‘ufficio di valutare, prima dell‘emissione dell‘avviso di accertamento, le deduzioni, presentate dal contribuente dopo il processo verbale di constatazione, in ordine a quanto in esso contenuto. Una recente sentenza della Cassazione (n. 21253/08) sembra rendere, in via interpretativa, ancora più pregnante questo obbligo, subordinando la legittimità dello stesso atto di accertamento alla circostanza che esso scaturisca da un processo verbale sottoscritto dal contribuente o, comunque, da attività ―istruttorie‖ alle quali quest‘ultimo ha preso parte; è contemplato l‘obbligo a carico dell‘ufficio di indicare, a pena di nullità, le ragioni per cui si disattendono le deduzioni del contribuente in ordine all‘atto di contestazione delle sanzioni; il contraddittorio, sia pure sotto la forma dimidiata della collaborazione ―servente‖, si espande sempre più nella fase istruttoria attraverso la moltiplicazione delle occasioni di incontro tra il contribuente e l‘ufficio. Si pensi a riguardo alla giurisprudenza che ammette l‘applicazione degli studi di settore, ai fini dell‘accertamento, solo qualora questi siano integrati da validi riscontri o, comunque, da una qualche forma di contraddittorio. In alcuni casi, addirittura, la Cassazione è arrivata al punto di ―saltare‖ in via interpretativa la successiva fase amministrativa 208 CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA di accertamento, ammettendo la possibilità per il contribuente di investire preventivamente il giudice tributario, senza la necessità dell‘emissione di un atto autoritativo impugnabile, con effetti di accertamento negativo giurisdizionale dell‘obbligazione tributaria. Mi riferisco alla sentenza che ha ricompreso tra gli atti impugnabili le ―comunicazioni‖ o, meglio, gli ―inviti bonari‖ (n. 16293 e 16428/2007) o a quella che, sulla base dell‘affermata unitarietà dell‘accertamento delle società di persone e dei soci, ha ritenuto che il ricorso proposto da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che i soci, i quali così devono far parte dello stesso processo anche se non hanno impugnato l‘atto di accertamento (n. 148115/08)1; lo strumento dell‘interpello tende ad essere adottato sempre più spesso per conoscere il parere dell‘amministrazione finanziaria in funzione preventiva e non repressiva; 1 Mi si consenta al riguardo una piccola digressione rispetto allo specifico tema qui trattato. Con la sopraindicata giurisprudenza la Cassazione sembra essersi messa sulla strada di accreditare un‘idea di sistema unitario esclusivo di giustizia tributaria che comprende ogni tipologia di lite tributaria, ―indipendentemente dal tipo di atto impugnato‖ (S.U. 7388/07). Questa impostazione può essere in astratto anche apprezzabile e semplificante, ma nell‘attuale contesto normativo appare forse un po‘ forzata. La Suprema Corte, infatti, in nome di una malintesa unitarietà della giurisdizione speciale tributaria, trasforma in via interpretativa l‘estensione orizzontale della giurisdizione tributaria – realizzata attraverso le recenti integrazioni dell‘art. 2 della D.Lgs n. 546 del 1992 – in una estensione verticale. Rende, così, meramente esemplificativa l‘elencazione degli atti autonomamente impugnabili di cui all‘art. 19, dischiudendo la porta verso azioni di accertamento negativo anche in materia tributaria. Il tutto, senza tener conto della natura del processo tributario di giudizio di impugnativa di atti impositivi e trascurando, comunque, il fatto – incontestabile – che prima dell‘imposizione non vi sono rapporti tributari da accertare da parte del giudice speciale. In termini procedimentali e di fatto, tale riconoscimento dà ingresso, in ambito endoprocedimentale, ad una fase irrituale di contraddittorio anticipato sul ―merito tributario‖ rispetto all‘iscrizione a ruolo e alla notifica della cartella; una fase, cioè, in cui la pretesa espressa da tali atti non ha ancora forma autoritativa e, quindi, non sarebbe suscettibile di essere contestata davanti al giudice tributario, ma semmai – come vedremo più avanti nel testo – presso un giudice diverso (in presenza, beninteso, solo della lesione di una libertà o di un diritto individuale non patrimoniale). Da qui a negare la centralità degli atti impositivi nella giurisdizione tributaria il passo è, dunque, molto breve. E rischia di mettere in discussione la stessa identificazione delle situazioni giuridiche tutelate nel processo e, in definitiva, il tipo di azione esperibile e di tutela fornita. 209 CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA il contribuente può concludere forme di accordo con l‘amministrazione, aderendo agli atti di accertamento o, prima che questi siano emessi, agli stessi processi verbali di constatazione. In questa situazione risalta, dunque, l‘autonoma rilevanza che, rispetto e accanto all‘attività di accertamento, assume l‘attività amministrativa di controllo. Sostenere il contrario – e cioè che quest‘ultima attività costituisca solo la fase istruttoria di un procedimento, unico e unitario, preordinato all‘emissione di atti autoritativi di accertamento – significa dare una valenza accertativa a tutti quegli atti conoscitivi, paritetici e discrezionali, che invece nella loro sequenza non si concludono con un atto autoritativo, ma rappresentano solo una fase amministrativa di verificazione e, spesso, anche di confronto delle posizioni del contribuente e del fisco. Significa, soprattutto, sostenere che i controlli debbono avere il solo fine di preparare gli accertamenti e debbono, di conseguenza, fondarsi sulla presunzione, inaccettabile, che il controllato sia un evasore, ancorché manchi a suo carico un qualunque specifico indizio di violazione. Al contrario, svincolare l‘attività di controllo da quella di accertamento in senso stretto, riconoscendole una propria autonomia funzionale e procedimentale, serve a potenziare la partecipazione del contribuente e a valorizzare l‘imparzialità dell‘attività amministrativa di controllo. Serve, in definitiva, ad evidenziare una circostanza difficilmente contestabile nell‘attuale stato dell‘evoluzione legislativa, e cioè che l‘ufficio si relaziona al contribuente non al fine esclusivo di recuperare un‘imposta evasa, ma per sottoporlo più semplicemente ad un controllo il cui esito può indifferentemente essere il riscontro sia di violazioni che dell‘esatto adempimento dei vari obblighi strumentali posti a suo carico. La logica del ―risultato di servizio‖ ad ogni costo che spesso anima l‘attività degli uffici in funzione del seppur apprezzabile e condivisibile obiettivo di recupero di gettito e che sul piano concreto è alla base di una visione totalizzante dell‘accertamento non sempre è compatibile con il principio di imparzialità. Che l‘azione amministrativa di accertamento debba essere efficiente non è in alcun modo contestabile ed è, anzi, auspicabile. Bisogna, però, intendersi sul significato di efficienza, tenendo presente che in ambito pubblicistico essa non è un valore assoluto, da perseguire a ogni costo per raggiungere obiettivi predeterminati. Nel disegno dell‘ordinamento generale l‘efficienza deve rapportarsi, innanzitutto, con più pregnanti valori anche costituzionali, per primi quelli di capacità contributiva e, appunto, di imparzialità. Non a caso la Costituzione parla, quanto all‘attività amministrativa, non di efficienza, ma di ―organizzazione degli uffici‖ e dello svolgimento della loro attività ―in modo che siano assicurati il buon andamento e l‘imparzialità dell‘amministrazione‖ (articolo 97, comma 1). Dove assume rilevanza non solo l‘utilizzo dell‘espressione ―buon andamento‖, ma anche il concorrente parametro dell‘imparzialità, a sottolineare che non può esservi buon andamento e, perciò, efficienza senza imparzialità. 210 CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA 1.2 Non credo che la conclusione, cui siamo finora giunti, circa l‘autonomia funzionale dell‘attività di controllo e conoscitiva possa essere in qualche modo ribaltata ampliando la nozione di attività di accertamento a scapito del primo tipo di attività, fino a ricomprendere nell‘accertamento non solo e non tanto la costituzione o la mera liquidazione dell‘obbligazione tributaria, ma anche tutta l‘attività di controllo e di vigilanza del contribuente e dei terzi. Così ragionando, si tende probabilmente a tener ferma una impostazione fondata sulla perdurante esistenza di un unitario procedimento di accertamento, sia pure inteso nel senso atecnico e improprio in cui lo intendevano i nostri maestri; procedimento che partirebbe dalla dichiarazione e, attraverso i diversi atti istruttori intermedi, finirebbe con l‘atto di accertamento e di rettifica. Questa ricostruzione è apprezzabile per il tentativo di riportare all‘unità dell‘accertamento una serie di controlli parcellizzati quali la liquidazione automatizzata, il c.d. controllo formale, l‘accertamento parziale, l‘accertamento generale e l‘accertamento integrativo o modificativo. Mi pare, però, ostacolata dalla considerazione che l‘ordinamento vigente nega che l‘impugnabilità dell‘atto di accertamento per vizi degli atti precedenti si fondi necessariamente su un nesso d‘ordine procedimentale tra questi atti e lo stesso atto di accertamento. L‘invalidità dell‘atto di accertamento per vizi dell‘attività conoscitiva e di controllo va, infatti, intesa non già in termini di ―invalidità derivata‖ – come sarebbe nei rapporti tra atti (―presupposti‖) endoprocedimentali e l‘atto (―presupponente‖) conclusivo del procedimento – bensì in termini di mera inutilizzabilità ai fini dell‘accertamento del materiale probatorio autonomamente (e illegittimamente) acquisito nella distinta fase di controllo. 1.3 Se si accetta l‘indicata impostazione di fondo in termini di autonomia funzionale della fase di controllo, si capisce quindi come la nozione di istruttoria procedimentale si vada sempre più scolorando ed ampliando fino a comprendere attività conoscitive che si articolano esse stesse in più procedimenti, tanti quanti sono i poteri attribuiti dalla legge agli organi ispettivi e di vigilanza. In tali procedimenti ci saranno sempre una situazione base di partenza e un provvedimento autoritativo che determina a carico del destinatario l‘obbligo di dare, facere o pati; con il conseguente svolgimento di una determinata attività di tipo materiale da parte sia del soggetto contribuente o terzo, sia dello stesso organo di controllo. Può, quindi, parlarsi d‘accordo con la maggioranza della dottrina di una distinta funzione di controllo e conoscitiva attribuita all‘amministrazione finanziaria, caratteristica dei sistemi fiscali di massa; di una funzione, cioè, diretta all‘acquisizione di conoscenze fiscalmente rilevanti e rispondente ad un interesse pubblico alla vigilanza e al controllo delle attività economiche svolte dai contribuenti e dai terzi obbligati. E possono, quindi, condividersi quelle opinioni secondo cui l‘obiettivo di fondo, che con l‘esercizio di tale 211 CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA funzione si persegue, sarebbe quello di assicurare ―credibilità‖ al sistema e di spingere il contribuente ad un fedele adempimento tributario, piuttosto che quello del solo recupero e della repressione dell‘evasione. 2 Quando l‟attività di controllo produce atti discrezionali Dalla suddetta impostazione conseguono un allargamento del campo di indagine dell‘attività amministrativa tributaria nel suo complesso e l‘emersione di problematiche che nella tradizionale visione endoprocedimentale rimanevano, invece, in ombra. Mi limiterò qui ad evocarne molto sinteticamente le più importanti e ad indicare le soluzioni compatibili con la sottolineata autonomia funzionale dell‘attività conoscitiva. Il primo ordine di problemi attiene alla individuazione della natura, vincolata o discrezionale, delle attività in questione. Debbo riconoscere al riguardo che questa problematica è stata finora studiata da buona parte della dottrina, me compreso, ragionando per lo più sul presupposto della non disgiungibilità della fase di controllo da quella di accertamento o, meglio, dell‘assorbimento in quest‘ultima di (quasi) tutte le altre attività di controllo e di vigilanza. Quindi, sul presupposto della natura prevalentemente vincolata del potere esercitato dall‘ente impositore in sede accertativa e, corrispondentemente, della titolarità piena di un diritto soggettivo del contribuente accertato, inteso come situazione di immunità da detto potere. Si è, così, quasi sempre giunti alla conclusione di negare, in linea di massima, carattere discrezionale a tale potere, prendendo anche atto che in materia di prestazioni imposte il principio di riserva di legge, cui tali prestazioni devono essere assoggettate, esclude normalmente l‘esercizio di poteri discrezionali di scelta idonei a degradare i diritti del contribuente e ad interferire con gli stessi. E, quindi, non ammette nemmeno la possibilità di operare quelle valutazioni e comparazioni dell‘interesse primario al controllo con altri interessi secondari confliggenti e/o concorrenti del contribuente medesimo, nelle quali appunto secondo la classica definizione di M.S. Giannini consiste la discrezionalità. Ciononostante, già allora non si escludeva, né io escludevo, radicalmente l‘esistenza di una discrezionalità amministrativa in tutti quei particolari casi in verità, ridotti ad assai pochi in una visione ―pan-accertativa‖ in cui gli interessi da ponderare non erano attinenti alla sfera impositiva sostanziale disciplinata in modo vincolato dalla legge, ma riguardavano situazioni soggettive autonome del contribuente e del terzo che, scrivevo allora, solo incidentalmente venivano compresse dall‘attività di controllo e di verifica funzionalizzata all‘accertamento. In tali casi poteva in effetti sostenersi che il contribuente e il terzo non avevano la disponibilità giuridica del bene protetto. Pertanto, a fronte dell‘interesse primario all‘acquisizione di conoscenze fiscalmente rilevanti (cui il potere dell‘organo di controllo era funzionalmente preordinato) si poteva ben porre, quale altro termine di comparazione, un interesse secondario del contribuente o del terzo a non subire restrizioni alle proprie libertà individuali; un interesse, perciò, che trovava una sua tutela esclusivamente nella legge attributiva del suddetto 212 CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA potere e nei principi – di rilievo anche comunitario – di imparzialità, ragionevolezza, normalità, adeguatezza e proporzionalità tra fine perseguito e mezzi impiegati. Queste considerazioni vanno ora ribadite e, nel contempo, integrate con l‘osservazione empirica che la rilevata autonomizzazione dell‘attività di controllo e la sua articolazione in diversi procedimenti consentono di porre con maggiore attenzione il problema della discrezionalità con riferimento a quegli atti di ispezione, verifica e controllo, che sono sganciati dall‘attività di accertamento e sono, comunque, frutto dell‘esercizio ―libero‖ e, perciò, non predeterminato e non predefinito dalla legge di un potere di scelta delle soluzioni più opportune e più consone al caso concreto. E‘ in questo senso che, a mio avviso, può dirsi come comunemente si dice nella pratica che l‘amministrazione finanziaria è ―libera‖ di scegliere quando, come e in capo a chi effettuare un controllo, senza che sia data ad alcun giudice la possibilità di sindacare tale scelta nel merito e in termini di opportunità. Ciò che in questa sede preme sottolineare sotto il profilo, che qui più interessa, della tutela è comunque che, quando tali atti ledono la libertà individuale del contribuente o del terzo coinvolto come, ad es., il diritto all‘inviolabilità del domicilio, al segreto professionale e alla riservatezza e quando, per l‘intensità e modalità con cui sono posti in essere, risultano affetti dal vizio di eccesso o sviamento di potere (o da altri vizi di legittimità) e quando, ancora, non rispondono ai richiamati principi di ragionevolezza, normalità, adeguatezza e proporzionalità, in tali casi dovrebbe essere data, avverso essi, una immediata tutela giurisdizionale che faccia cessare le attività fortemente lesive di dette libertà e diritti. Il tutto, indipendentemente dalla successiva possibile confluenza degli atti viziati nel procedimento di accertamento e, beninteso, in quelle ipotesi in cui la tutela differita presso il giudice dell‘atto di accertamento non sia in alcun modo sufficiente ad assicurare una protezione piena ed effettiva. La giurisdizione al riguardo dovrebbe essere ripartita tra giudice ordinario e giudice amministrativo, a seconda che si faccia valere, rispettivamente, un diritto soggettivo (come sarebbe il caso dell‘accesso o dell‘ispezione eseguiti senza il necessario provvedimento autorizzatorio) o un interesse legittimo (come sarebbe il caso, ben più frequente, dell‘esercizio di un potere pubblico). Trattandosi di questioni attinenti a libertà e diritti individuali o a vizi del potere di controllo che emergono prima della formazione dell‘atto di accertamento impugnabile, andrebbe infatti esclusa, allo stato attuale della legislazione, la possibilità di ottenere tale tutela dinnanzi al giudice tributario. Confermano questa conclusione, sul piano legislativo, l‘articolo 7, comma 4, della legge n. 212 del 2000, laddove esso dispone che ―la natura tributaria dell‘atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa quando ne ricorrano i presupposti‖ e, sul piano giurisprudenziale, soprattutto le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell‘Uomo 21 febbraio 2008, causa n. 18497/03, Ravon, e 24 luglio 2008, causa n. 18603/04, Andrè; la prima delle quali, con riferimento ad un‘indagine amministrativa tributaria 213 CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA svoltasi in Francia presso il luogo di lavoro e l‘abitazione dei contribuenti, ha fortemente valorizzato il diritto di questi ―al rispetto del domicilio‖ (punto 24 della sentenza). Essa ha, in proposito, espressamente affermato che ―le persone interessate possono ottenere un controllo giurisdizionale effettivo, in fatto come in diritto, sulla regolarità della decisione che prescrive l‘ispezione e, se del caso, delle azioni intraprese circa il suo fondamento; i ricorsi a disposizione devono consentire, in caso di constatazione di irregolarità, sia di prevenire la continuazione delle operazioni sia, nei casi in cui l‘operazione considerata irregolare abbia già avuto luogo, di fornire all‘interessato un opportuno rimedio‖ (punto 28). 3 Rapporto fra attività di controllo e attività di accertamento. Esclusa la possibilità di considerare l‘ attività conoscitiva e di controllo come attività interna di un articolato, generale procedimento di accertamento tributario, c‘è allora da domandarsi quale tipo di rapporto intercorra tra tale attività e quella di accertamento. 3.1 Condivido in proposito quelle tesi che qualificano tale rapporto facendo ricorso alla nozione, di gianniniana memoria, di ―procedimento collegato‖. Nella fase di attuazione della norma tributaria il collegamento è, del resto, un istituto di applicazione generale che opera in modo da associare, ricorrendone i presupposti, la funzione di controllo e conoscitiva allo sviluppo delle ulteriori attività amministrative funzionalmente distinte. Queste attività partono dalle conoscenze acquisite nella fase di controllo e possono concludersi non solo con un accertamento in senso stretto, ma anche con accertamenti con adesione del contribuente, con l‘irrogazione di sanzioni e con atti di riscossione e di rimborso, e così via. In questa ottica l‘attività collegata di accertamento è, perciò, solo una sicuramente tra le più rilevanti delle predette attività svolte dall‘ufficio, avente la caratteristica di essere valutativa dei fatti e delle prove e interpretativa delle norme sulla cui base si forma l‘atto impositivo. Il tramite tra l‘attività di accertamento e gli atti di controllo prodromici ad essa è, in particolare, costituito dalla motivazione dell‘atto autoritativo che conclude il procedimento. E‘, infatti, attraverso la motivazione che le risultanze dell‘attività di indagine sono qualificabili come ―risultanze istruttorie‖ ed entrano in tale procedimento. Le prove raccolte e indicate nell‘atto autoritativo possono così acquistare rilevanza, a seguito di impugnativa dello stesso, anche ai fini del processo tributario e, quindi, della loro valutazione da parte del giudice. Questo passaggio è espressamente descritto dall‘art. 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990, il quale, nel disporre che la motivazione deve ―indicare i presupposti di fatto e le motivazioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell‘amministrazione‖, afferma che queste indicazioni devono effettuarsi ―in relazione alle risultanze istruttorie‖. 214 CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA Da questo riferimento alle risultanze istruttorie per definire il contenuto della motivazione dovrebbe, dunque, conseguire una prevalenza, sostanziale e di fatto, della fase preparatoria su quella formale di formazione dell‘atto autoritativo di accertamento; prevalenza che, però, non arriva al punto di tramutarsi necessariamente nell‘obbligo formale di motivare tale atto in perfetto accordo e sintonia con le risultanze istruttorie acquisite nella fase di controllo. La distinzione tra quest‘ultima fase e quella di accertamento porta, infatti, a ritenere che, anche nei casi in cui la prima ―sbocca‖ nella seconda, il responsabile del procedimento di accertamento può pur sempre discostarsi dalle originarie indagini svolte dal soggetto controllante ove ―ragioni di valore‖ e di opportunità lo impongano, anche in via di autotutela. Se ci si pone in questa ottica, la lettura dell‘art. 3 della legge n. 241 del 1990 non può, quindi, che essere nel senso che le risultanze istruttorie da indicare sono quelle su cui sono fondati effettivamente ―i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche‖ della pretesa e non necessariamente quegli elementi conoscitivi originari, acquisiti nella fase preparatoria e poi abbandonati. In armonia con questa interpretazione è, del resto, la modifica alla legge n. 241 del 1990, apportata dall‘art. 6, comma 1, lettera e), della legge n. 15 del 2005, laddove si dispone che ―l‘organo competente per l‘adozione del provvedimento formale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell‘istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale‖. In conclusione, il fatto che l‘indicazione degli elementi probatori nella motivazione presupponga normalmente lo svolgimento di una distinta, ma collegata attività di controllo diretta all‘acquisizione della prova (come è il caso, il più frequente, in cui la pretesa sia fondata su prove documentali acquisite o su argomentazioni induttive, quali sono le percentuali di ricarico, costruite nell‘esercizio di poteri istruttori), non esclude che l‘ufficio deputato all‘accertamento possa prescindere dal riferimento all‘attività svolta nella fase preparatoria (come avviene nel caso di avvisi di accertamento di maggior valore fondati sulla prova costituita dalla c.d. stima UTE o nel caso di avvisi di accertamento delle imposte sui redditi e dell‘IVA emessi sulla base anche di ―non prove ―, e cioè di giudizi e valutazioni logiche o di congegni presuntivi più o meno automatici, quali gli studi di settore, i coefficienti e, in genere, ogni valido parametro). È la motivazione e ciò che è scritto in essa che rappresenta la ―griglia‖ attraverso la quale necessariamente passano sia gli elementi probatori raccolti nella fase prodromica, sia quelli che possono anche non costituire vere e proprie prove determinati nella stessa fase di formazione dell‘atto. 3.2 Indipendentemente dagli indicati riferimenti legislativi alle risultanze istruttorie, va comunque tenuto presente che il collegamento delle attività di accertamento e dello stesso atto di accertamento con le pertinenti, distinte attività di controllo e preparatorie è la conseguenza naturale dell‘osservanza 215 CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA dell‘obbligo – posto a carico dell‘amministrazione in attuazione del principio di imparzialità – di ―dare a se stessa‖ la prova della pretesa nel caso concreto. È, infatti, la circostanza che l‘atto di accertamento diviene definitivo se non impugnato nei termini di legge che, secondo l‘originaria intuizione di E. Allorio, ―costringe‖ il legislatore a porre al centro della fase di formazione dell‘atto medesimo il dovere dell‘amministrazione di motivare, anche per se stessa, i fatti costitutivi della pretesa. Si è visto che tale dovere si sdoppia temporalmente, prima, nell‘obbligo di acquisire in sede di controllo gli elementi idonei a dimostrare la rispondenza al vero degli enunciati fattuali della pretesa e, poi, in quello di sintetizzare nella motivazione tali elementi quali prove giuridiche della pretesa medesima (definibili, perciò, solo a posteriori come elementi istruttori). In questa ottica mi parrebbe, perciò, più coerente all‘autonomia del procedimento di controllo considerare le acquisizioni, avvenute prima dell‘enunciazione nella motivazione, meri ―fatti‖, che diventano prove o, se si preferisce, ―risultanze istruttorie‖ solo al momento della loro indicazione nell‘atto di accertamento. 3.3 È anche ragionando su questi presupposti che la prevalente dottrina dissente dall‘orientamento della Suprema Corte, secondo cui, invece, la prova può anche essere enunciata e fornita per la prima volta nel processo tributario. Il dissenso non è di poco conto perché nasconde un contrasto interpretativo teorico sulla natura dell‘accertamento tributario, che si prolunga ormai da tempo e sul quale vale la pena di spendere qualche ulteriore considerazione. Innanzitutto, va rilevato che la linea di evoluzione della legislazione tributaria nel senso dell‘obbligatoria indicazione in motivazione degli elementi probatori è testimoniata dal fatto che la disciplina IVA, a differenza della più risalente disciplina delle imposte sui redditi e di registro (che nulla o poco dicono in materia), anticipa la ricordata norma dell‘art. 3 della legge n. 241 del 1990, richiedendo espressamente, nell‘art. 56, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1974, l‘indicazione nella motivazione, insieme agli ―errori, omissioni e false o inesatte indicazioni su cui è fondata la rettifica‖, anche dei ―relativi elementi probatori‖, e cioè di quegli elementi che l‘art. 3 medesimo chiamerà, poi, ―risultanze istruttorie‖. Nello stesso senso si è mosso, sempre in anticipo rispetto all‘ art. 3, il legislatore con la disciplina delle sanzioni tributarie, prevedendo espressamente, nell‘art. 16 del D.Lgs. n. 472 del 1997, l‘obbligo per l‘ufficio di enunciare gli ―elementi probatori‖ nell‘atto di contestazione delle sanzioni e comminando la sanzione della nullità in caso di inosservanza di tale precetto. In questo quadro normativo, non dovrebbe quindi avere valenza interpretativa contraria il fatto che l‘art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente (legge n. 212 del 2000), nel delimitare il contenuto della motivazione, non fa specifico riferimento alle risultanze istruttorie. L‘esegesi condotta sulla base dell‘art. 3 della legge n. 241 trova, comunque, un sostegno concettuale decisivo non 216 CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA solo nelle suddette esplicite disposizioni relative all‘IVA e alle sanzioni, ma anche nella stessa nozione di prova, nella esigenza di tutela del diritto di difesa del contribuente e nello stretto rapporto di correlazione che deve necessariamente esistere tra la prova medesima e la motivazione. Verifichiamo queste ulteriori argomentazioni più nel dettaglio. 3.3.1 Quanto alla nozione di prova, rilevo che la distinzione tra fase accertativa e fase processuale di controllo impone di scomporla in prova quale giustificazione della pretesa, attinente quindi alla motivazione, e prova quale dimostrazione della stessa, attinente quindi al processo. Questa distinzione è resa necessaria dalla circostanza che il nostro linguaggio giuridico, diversamente da quello di altri paesi, usa il termine polisemico ―prova‖ per indicare fenomeni tra loro differenti. Ho già fatto presente in altra sede che la migliore dottrina processualistica italiana, con riferimento al rapporto tra la prova ed il fatto, distingue, in termini funzionali, la prova quale elemento conoscitivo e giustificativo dalla prova come elemento dimostrativo, riecheggiando così la ben nota distinzione, tratta dai sistemi di common law, tra proof ed evidence. Dove l‘evidence è il mezzo di prova, ovverosia ogni elemento di natura documentale o logica che può essere impiegato, appunto, per la conoscenza del fatto o per la giustificazione della ricostruzione fattuale operata dall‘autore dell‘atto. E simmetricamente la proof è il risultato che deriva dall‘acquisizione dei mezzi di prova nel processo e dalla loro valutazione da parte del giudice. Come proof la prova è, perciò, sinonimo di dimostrazione e, più esattamente, di ―dimostrazione raggiunta‖, che porta il giudice a ritenere attendibile l‘enunciato fattuale sostenuto da uno dei contraddittori. La proof è, in altri termini, la dimostrazione del fatto che il giudice raggiunge sulla base dell‘evidence e rappresenta, quindi, l‘elemento di conferma e di controllo della versione fattuale offerta da una delle parti. Queste puntualizzazioni sul significato del termine prova costituiscono, dunque, un ulteriore argomento per risolvere affermativamente la questione se le prove debbano essere indicate nell‘accertamento tributario o no. È indubbio, infatti, che l‘evidence in quanto elemento necessario di conoscenza e di giustificazione delle determinazioni assunte dall‘ufficio appartiene pienamente all‘area della motivazione. Ne costituisce, anzi, un tassello e un passaggio necessario di cui l‘ufficio dovrebbe dare in ogni caso atto nella ricostruzione degli enunciati di fatto da lui fornita in contrapposizione a quella offerta dal contribuente. E ciò anche nelle ipotesi in cui l‘obbligo di indicazione degli elementi probatori nella motivazione non è espressamente previsto né dallo statuto dei diritti del contribuente, nè dalle norme relative ai singoli tributi (come avviene per le imposte sul reddito e per le imposte di registro). Se poi in sede processuale, a seguito dell‘impugnativa dell‘atto di accertamento da parte del contribuente, la dimostrazione della pretesa non 217 CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA sarà raggiunta, è evidente che quegli stessi elementi probatori che si presentano nell‘atto di accertamento come evidence non costituiscono proof nel processo e, quindi, perdono la loro funzione di giustificare la pretesa. 3.3.2 L‘obbligo di enunciare la prova quale evidence nella fase motivazionale trova, inoltre, la sua ratio anche nell‘esigenza di informazione del contribuente ai fini dell‘esercizio del diritto di difesa garantito dall‘art. 24 Cost. Basta rilevare al riguardo che l‘ammissibilità del ricorso del contribuente contro l‘accertamento è subordinata alla indicazione in esso dei motivi di impugnazione, indicazione che deve avvenire entro il termine previsto per la sua presentazione (artt. 18, 21 e 24 del D.Lgs. n. 546 del 1992), non potendo il contribuente addurre successivamente in giudizio motivi che non siano stati formulati nel ricorso (e nelle eventuali integrazioni ammesse dalla legge). Stante questa stringente disciplina, si capisce come la mancata enunciazione nella motivazione degli elementi probatori su cui si fonda la pretesa si riflette in una mancata conoscenza, da parte del ricorrente, degli elementi stessi e gli preclude, pertanto, una completa ed adeguata evidenziazione dei motivi di ricorso, determinando anche la sua decadenza dall‘esercizio del diritto di impugnativa. 3.3.3 L‘esame dello specifico rapporto che deve intercorrere tra motivazione e prova mi induce, infine, ad ulteriori più generali considerazioni in ordine al contrario indirizzo seguito al riguardo dalla Corte di cassazione. La mia impressione è che dietro la svalutazione della fase accertativa e la rivalutazione di quella processuale c‘è una certa tentazione della Suprema Corte a riportare integralmente il processo tributario, attraverso lo schema dell‘impugnazione-merito, al modello processuale civilistico e a superare, se non annullare, per tale via lo iato tra la fase amministrativa e quella giurisdizionale-contenziosa. Se così non fosse, non si capirebbe infatti l‘insistenza di essa nel qualificare in numerose sentenze l‘atto di accertamento quale provocatio ad opponendum riecheggiando e, forse, abusando di alcune risalenti posizioni teoriche. Secondo tali posizioni, essendo l‘oggetto del giudizio dinanzi alle Commissioni costituito non dall‘atto impugnato bensì dal rapporto obbligatorio d‘imposta, sarebbe consentito, all‘amministrazione finanziaria, di integrare in sede contenziosa la motivazione dell‘atto e, al giudice, di formare il proprio convincimento quanto alla sussistenza o meno del rapporto, prescindendo anche dal contenuto ―probatorio‖ della motivazione. Mi sembra peraltro che, allo stato attuale dell‘evoluzione dottrinaria e legislativa, nemmeno i più acerrimi fautori della teoria dichiarativista e la stessa Suprema Corte arrivino a tali estreme conclusioni. La qualificazione del giudizio tributario quale giudizio di impugnazione-merito e l‘attribuzione all‘atto di accertamento di una mera funzione liquidatoria dell‘obbligazione 218 CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA tributaria non escludono, infatti, che tale atto abbia natura autoritativa (anche se non costitutiva del rapporto tributario) e, comunque, abbia il ruolo di ―veicolo di accesso‖ all‘esame del rapporto d‘imposta. Tanto ciò è vero che la stessa giurisprudenza della Cassazione è ben ferma nel ritenere, da una parte, che, in mancanza di un‘adeguata motivazione, l‘atto di accertamento è nullo, con la conseguente preclusione per il giudice tributario di valutare nel merito la pretesa tributaria e, dall‘altra, che la motivazione deve comunque delimitare l‘oggetto del giudizio di impugnazione dinanzi alla Commissione e, quindi, in relazione a ciò l‘ufficio finanziario o il giudice non possono, in corso di causa, né modificare, né sostituire i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste a base dell‘accertamento. Questi punti fermi della giurisprudenza e della dottrina contraddicono, perciò, chiaramente la qualificazione dell‘atto di accertamento quale provocatio ad opponendum che recenti sentenze – in verità, recentemente con qualche eccezione - continuano a dare( si vedano, tra le altre, le sentt. 28 febbraio 2000, n. 2500; 4 febbraio 2000, n. 1209; 3 maggio 2000, n. 5557; 22 dicembre 1999, n. 14427; 2 settembre 1996, n. 7991). Non ha senso, infatti, e sarebbe comunque contraddittorio attribuire correttamente a tale atto la natura di ―veicolo di accesso‖ al giudizio sul rapporto e negare, di conseguenza, la possibilità di modificarlo nel corso del processo e, nello stesso tempo, invocarne la natura di provocatio ad opponendum per giustificare la possibilità dell‘ufficio di indicare nella fase contenziosa le prove della pretesa e, quindi, negare l‘obbligo di enunciare tali prove nella motivazione. In altri termini, non si può disconoscere la natura di provocatio ad opponendum dell‘atto di accertamento ai fini di definire l‘oggetto del giudizio tributario e, contemporaneamente, riesumarla ai fini di consentire all‘ufficio di enunciare, solo in fase contenziosa, gli elementi probatori posti a base della pretesa. Se l‘atto di accertamento è da qualificare quale provocatio ad opponendum, allora se ne dovrebbero trarre le conseguenze in termini generali e, quindi, anche con riferimento alla possibilità di modificare la motivazione e, in ultima analisi, con riferimento alla stessa qualificazione del giudizio tributario. Ne resta confermato che la soluzione del problema del rapporto tra motivazione e prova dovrebbe più coerentemente essere data nel senso indicato dalla dottrina maggioritaria è recepito dall‘articolo 3, comma 1 della legge n. 241 del 1990, riconducendo, cioè, gli elementi probatori-―risultanze istruttorie‖ alla sfera della motivazione, in applicazione del principio di imparzialità amministrativa e nel pieno rispetto del diritto di difesa. 4 Conclusioni Non v‘è dubbio che, nonostante la rilevata espansione del sistema tributario verso forme di partecipazione e di collaborazione del contribuente, l‘istruttoria procedimentale è retta ancora dal principio inquisitorio e vede l‘amministrazione come protagonista e il contribuente, al più, come deuteragonista. Le deduzioni, le osservazioni e i rilievi – che, con riguardo 219 CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA alle verifiche fiscali, questi può fare e presentare ai sensi dell‘art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente e di altre norme sparse nell‘ordinamento – rappresentano, infatti, solo un ―minimo‖ concesso ad un soggetto obbligato a collaborare, piuttosto che l‘espressione piena di un suo diritto a partecipare. Tanto meno costituiscono strumenti utili a far cessare nell‘immediato gli effetti pregiudizievoli di atti conoscitivi illegittimi. Da qui la proposta, che parte della dottrina porta avanti da tempo, di costruire, attraverso un‘appropriata regolamentazione, un vero contraddittorio amministrativo con riferimento all‘autonoma fase preventiva di controllo. Non un contraddittorio nel quale, come taluno ritiene, si debbano applicare, anticipandoli, i principi probatori processuali, sul presupposto che gli elementi raccolti nella fase amministrativa devono essere poi utilizzati nel processo tributario. Più semplicemente, un contraddittorio in cui, senza arrivare al punto di ―processualizzare l‘accertamento‖, sia possibile la formale partecipazione del contribuente o del terzo interessato agli atti istruttori che li riguardano, anche se solo per verificare, in aperta e trasparente dialettica con l‘amministrazione, se tali atti siano compiuti in modo corretto e legittimo. All‘ufficio deputato al controllo dovrebbe essere imposto in particolare, oltre all‘obbligo (già esistente) di dare atto dei rilievi del contribuente in un processo verbale e di tenerne conto in sede di accertamento, anche quello di rispondere in tempi brevi alle contestazioni avanzate dal contribuente medesimo in ordine alla legittimità e immediata lesività degli atti posti in essere nei suoi confronti. Si eviterebbe, così, fin dall‘inizio di fare entrare nel procedimento di accertamento elementi acquisiti illegittimamente nella fase preparatoria e di ―scaricare‖ sul giudice tributario la soluzione di questioni che, pur relative ad atti tributari, non attengono al ―merito‖ tributario e, perciò, non toccano quell‘interesse patrimoniale del contribuente che è la base sostanziale del suo diritto giustiziale. L‘applicazione generalizzata del principio audietur et altera pars, seppur limitata alla fase di acquisizione dei dati ed elementi probatori (e, quindi, alla indicata verifica della legittimità degli atti posti in essere nel procedimento) avrebbe, in conclusione, l‘effetto positivo: per il contribuente, di farlo partecipare al procedimento non come ―oggetto‖ o collaboratore ―servente‖, ma quale parte attiva che vuole conoscere il punto di vista dell‘amministrazione, prima di ricorrere nell‘immediato al giudice competente per chiedere la cessazione degli effetti degli atti (asseritamente) illegittimi e lesivi; per l‘amministrazione finanziaria, di migliorare la qualità della sua attività conoscitiva consentendole di utilizzare, nella successiva sede di accertamento, elementi probatori che hanno passato il vaglio di un vero contraddittorio. Subprocedimenti come questi si pongono nel solco del sempre maggiore utilizzo dell‘istituto dell‘interpello, sono presupposti dallo stesso richiamato statuto dei diritti del contribuente (il cui art. 7 ,comma 4 espressamente dispone che ― la natura tributaria dell‘atto non preclude il ricorso agli organi 220 CONTRADDITTORIO PROCEDIMENTALE E ATTIVITA‘ ISTRUTTORIA di giustizia amministrativa, quando ne ricorrono i presupposti‖), sono previsti dagli ordinamenti di molti paesi europei ed hanno dato il più delle volte un esito soddisfacente quali ―filtri amministrativi‖ o, meglio, quali ―stanze di decompressione‖ della giustizia tributaria. Franco Gallo 221 Prof. Giuseppe Ingrao “Concentrazione della riscossione nell‟accertamento” e riflessi sull‟ammissione al passivo fallimentare 1. Il tradizionale riferimento alla iscrizione al ruolo per la dimostrazione della esistenza del credito tributario in sede di insinuazione al passivo fallimentare. Analogamente a quanto avviene con riguardo ai crediti scaturenti da rapporti di natura privatistica vantati nei confronti dell‘imprenditore fallito, anche per i crediti tributari la partecipazione alla procedura concorsuale è condizionata alla presentazione di una apposita istanza di insinuazione al passivo e all‘espletamento del procedimento di accertamento e verifica del credito. Qualora la pretesa tributaria debba essere riscossa nei confronti di un soggetto fallito, quindi, le tradizionali prerogative del Fisco, finalizzate a tutelare l‘interesse pubblico alla pronta e sicura riscossione dei tributi, vengono stemperate nel rispetto del principio a cui è informata la procedura concorsuale in questione e cioè la par condicio creditorum (1). Ciò detto, occorre premettere che l‘art. 87 del DPR n. 602/1973, in tema di ricorso per la dichiarazione di fallimento e domanda di ammissione al passivo, stabilisce che la pretesa deve risultare da una iscrizione a ruolo dell‘Ufficio impositore (2). 1 Cfr. VIGNOLI, ―Prior in tempore potior in iure‖: la procedura concorsuale trasforma il Fisco in un creditore come gli altri, in Dialoghi tributari, 2010, p. 572. Sino alla riforma della riscossione del 1999, era previsto che il Concessionario potesse agire in via esecutiva, al di fuori del concorso con gli altri creditori. L‘art. 51, Dpr n. 602/73, stabiliva, infatti, che ―l‘esattore può procedere alla espropriazione anche quando il debitore sia dichiarato fallito‖. Si trattava, tuttavia, di un privilegio esclusivamente processuale, in quanto dal punto di vista sostanziale il credito fiscale era comunque soggetto alla procedura di accertamento del passivo, con la conseguenza che il parziale o totale disconoscimento del credito comportava l‘obbligo di restituire alla massa attiva fallimentare le somme acquisite in via individuale. Analogo obbligo era previsto nel caso di acquisizione di somme eccedenti rispetto al piano di ripartizione definitivo: il Fisco finiva, quindi, col subire la medesima decurtazione degli altri creditori (salvo le cause di prelazione), nonostante che dal punto di vista procedurale avesse agito in modo individuale. 2 Questa disposizione, seppur riferita alla riscossione delle imposte sui redditi, è stata ritenuta applicabile in via analogica alle imposte indirette da Cass. 18 agosto 1996, n. 7579, in Giur. it., 1997, I, 1, p. 602, con nota di TURCHI, Crediti tributari e tutela concorsuale dell‘Amministrazione finanziaria. Ma in senso contrario ―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖ E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE Non basta, quindi, lo svolgimento di un controllo formale o sostanziale da cui emerge l‘imposta dovuta, per ritenere ammissibile una istanza di insinuazione al passivo della procedura fallimentare il credito, ma è necessario che l‘Ufficio impositore concluda l‘attività amministrativa finalizzata a formalizzare l‘esistenza del proprio credito con l‘emanazione di un provvedimento avente efficacia esecutiva, qual è l‘iscrizione a ruolo. L‘iscrizione a ruolo è seguita dalla notifica della cartella di pagamento, che è l‘atto con cui l‘Agente della riscossione intima il pagamento del debito risultante dalla dichiarazione tributaria, da un controllo formale ai sensi degli art. 36 bis e ter, DPR 600/73, da un avviso di accertamento, da una sentenza del giudice tributario ed infine da un provvedimento di irrogazione delle sanzioni. La competenza a presentare istanza per l‘insinuazione del credito nella procedura concorsuale, spetta non all‘ente impositore, ma all‘Agente della riscossione, il quale agisce in relazione ai ruoli ad esso affidati per la riscossione (3). 2. L‟impatto delle nuove norme sulla concentrazione della riscossione: il duplice regime di insinuazione al passivo. La normativa in tema di individuazione del titolo dimostrativo della pretesa fiscale, in relazione al quale l‘Agente della riscossione è legittimato a proporre istanza di insinuazione al passivo del fallimento, deve essere interpretata alla luce delle recenti innovazioni contenute nell‘art. 29, D.L. n. 78/2010, finalizzate – come è noto - a ―concentrare la riscossione nell‘accertamento‖ (4). La citata innovazione legislativa ha segnatamente previsto la soppressione dell‘iscrizione a ruolo e della cartella di pagamento con riguardo alla riscossione delle somme dovute sulla base di avvisi di cfr. Cass. 4 marzo 2009, n. 5165, in Corr. trib., 1555 con nota di MAURO, La problematica ammissione al passivo fallimentare del credito Iva, ove si è affermata la possibilità di insinuarsi al passivo per il credito Iva sulla base dell‘invito al pagamento delle somme risultanti dalla dichiarazione. 3 Cfr. art. 33, D. Lgs. n. 112/99. 4 Per un commento a tali disposizioni si veda INGRAO, Il difficile inserimento sistematico di una evoluzione strutturale, in Dialoghi tributari, 2010, p. 565, ove si è evidenziato che si è fatto un passo in avanti, con grande valenza sistematica, verso il superamento dell‘anacronistico dualismo tra determinazione del tributo e sua riscossione, che è privo di riscontri negli altri Paesi sviluppati; CARINCI, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex DL 78/2010, in Riv. dir. trib., 2011, I, p. 159; GIOVANNINI, Riscossione in base al ruolo e agli atti di accertamento, in Rass. trib., 2011, p. 22. 224 ―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖ E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE accertamento relativi alle imposte sui redditi ed all‘IVA ( 5), nonché dei provvedimenti di irrogazione delle sanzioni ( 6). Questi ultimi atti, pertanto, hanno efficacia esecutiva e contengono l‘intimazione ad adempiere entro i termini previsti per la presentazione del ricorso (7). La portata generale del provvedimento normativo di cui si discute e la riduzione dello spazio applicativo dell‘iscrizione a ruolo sono confermate dalla scelta legislativa di prevedere apposite «intimazioni ad adempiere», da notificare al contribuente anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento, per le rideterminazioni degli importi da pagare sia a seguito di utilizzo degli istituti deflattivi del contenzioso, sia a seguito di sentenze delle Commissioni tributarie, sempre in tema di Imposte sui redditi e Iva. 5 E‘ tuttavia stabilito che, con regolamento da emanare ai sensi della legge n. 400/1988, saranno introdotte, anche in deroga alle norme vigenti, delle disposizioni con cui si uniformeranno le procedure di riscossione di tutti i tributi a quelle già fissate per le imposte sui redditi e l‘IVA. 6 L‘ammissione al passivo delle sanzioni tributarie per violazioni commesse dal fallito fa sì che il peso economico venga sopportato da tutti i creditori concorsuali, i quali subiscono una minore soddisfazione delle loro pretese. La sanzione viene quindi a ricadere su soggetti che non hanno alcuna relazione con la violazione compiuta, disattendendo la funzione afflittiva che rivestono. Sull‘argomento cfr. DAMI, Alcune riflessioni sull‘applicazione delle sanzioni amministrative tributarie nelle procedure concorsuali, in Rass. trib., 2002, p. 1284; MAURO, L‘inadeguato coordinamento normativo tra prerogative erariali e le finalità del fallimento: le criticità in tema di riscossione dei crediti e delle relative sanzioni, in Dialoghi tributari, 2010, p. 574, i quali ipotizzano il differimento dell‘esigibilità del credito sanzionatorio nel momento in cui il fallito tornerà in bonis. Contra PIERRO, L‘insinuazione dei crediti da sanzioni tributarie e la rilevanza del ruolo, in Corr. trib., 2010, p. 2371, per la quale il debito da sanzioni deve ricadere sulla massa fallimentare, altrimenti l‘imprenditore tornato in bonis potrebbe essere di fatto impossibilitato a riprendere l‘attività. 7 Non vi è, quindi, un termine fisso per l‘effettuazione dell‘adempimento, potendo detto termine variare in relazione alla sussistenza di cause di sospensione del termine per ricorrere. Occorre, infatti, tener conto non solo del termine di sessanta giorni previsto per l‘impugnazione, ma anche di eventuali sospensioni previste dalla legge, come la sospensione feriale, ovvero la sospensione di novanta giorni connessa alla presentazione di una istanza di accertamento con adesione. La cumulabilità di tali sospensioni è stata di recente affermata da Cass. 4 febbraio 2011, n. 2682, in quanto differenti sono le ragioni per le quali sono disposte. In senso analogo in dottrina cfr. FRANSONI, Una preghiera: recuperiamo i canoni interpretativi ispirati alla ratio delle norme, in Dialoghi tributari, 2009, p. 639 e ss. 225 ―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖ E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE La qualifica di ―titolo esecutivo‖ dei predetti atti non è, tuttavia, immediata, ma è subordinata al decorso del termine di sessanta giorni dalla notifica (8). In deroga alla procedura di iscrizione a ruolo, l‘Ufficio provvede, quindi, ad ―affidare‖ all‘Agente della riscossione, con modalità da definire con un apposito provvedimento ministeriale, la riscossione delle somme risultanti da atti di accertamento, da avvisi di irrogazione di sanzioni e da ―intimazioni ad adempiere‖; di tale affidamento il contribuente non viene a conoscenza (9). Vi è da dire, però, che il citato provvedimento normativo non ha realizzato una generale soppressione del ruolo: questo atto sopravvive, tra l‘altro, quale strumento di riscossione: a) per le somme indicate in avvisi di accertamento relativi agli altri tributi indiretti; b) per le somme risultanti dalle sentenze delle Commissioni tributarie qualora si controverte su tributi indiretti e locali (10); c) per le somme dovute in relazione alle procedure di rettifica della dichiarazione di tipo formale (36-bis e 36-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600); d) per le somme dovute a titolo di sanzioni (se non vengono comminate unitamente all‘atto di accertamento); e) per le somme dovute a titolo di tassazione separata. Rilevano ancora le ipotesi in cui il ruolo costituisce la forma di riscossione ordinaria del tributo. Si tratta, quindi, di un ulteriore ridimensionamento del ruolo rispetto alla funzione che ricopriva in passato ( 11). 8 L‘esecuzione forzata può, peraltro, essere espletata qualora il contribuente non adempia all‘obbligo di versamento entro ulteriori 30 giorni dalla scadenza del predetto termine (di ciò occorre dare espressa menzione nell‘atto impositivo). 9 Nelle ipotesi in cui si applica la riscossione mediante ruolo, l‘avvenuta iscrizione a ruolo veniva comunicata al contribuente indirettamente mediante la notifica della cartella di pagamento, la quale deve avvenire entro i termini di decadenza previsti dal‘art. 25, DPR n. 602/73. 10 Ribadiamo che le somme rideterminate dalle Commissioni tributarie in relazione ad accertamenti relativi alle imposte sui redditi ed all‘IVA vengono riscosse con una apposita «intimazione ad adempiere» da notificare al contribuente anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento. 11 Peraltro, la procedura di riscossione tramite ruolo si era già ridotta ―di fatto‖ negli ultimi anni, in relazione all‘introduzione della normativa in tema di adesioni all‘accertamento (D. Lgs. n. 218/97), la quale ha avuto una amplissima applicazione. 226 ―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖ E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE Orbene, occorre a questo punto evidenziare che l‘art. 29, 1° comma, lettera g), D.L. n. 78/2010, stabilisce che i riferimenti contenuti in norme vigenti al ruolo e alla cartella di pagamento, si intendono traslati agli avvisi di accertamento o alle ―intimazioni ad adempiere‖ ( 12); i riferimenti alle somme iscritte a ruolo si intendono effettuati alle somme ―affidate‖ agli Agenti della riscossione. E‘, pertanto, pacifico che, con riferimento alle pretese risultanti da avvisi di accertamento, da avvisi di irrogazione di sanzioni, nonché da sentenze tributarie aventi ad oggetto Imposte sui redditi e Iva, il titolo dimostrativo della sussistenza del credito tributario per cui l‘Agente della riscossione si insinua nel fallimento deve essere individuato nell‘atto di accertamento, di irrogazione delle sanzioni, o nell‘intimazione ad adempiere (13). Con riguardo a pretese differenti da quelle risultanti dai predetti atti, nonché relative a tributi differenti dalle Imposte sui redditi e dall‘Iva, l‘insinuazione al passivo del fallimento resta subordinata alla avvenuta iscrizione a ruolo (14). Esiste, pertanto, un duplice regime in relazione al quale l‘Agente della riscossione può insinuarsi al passivo del fallimento. Con riferimento alle ipotesi per cui l‘insinuazione al passivo è subordinata alla iscrizione a ruolo, va rammentato che la giurisprudenza, muovendo dal presupposto che il ruolo è un atto meramente interno (15), ha 12 La natura di tali intimazioni ad adempiere è quella di atti di liquidazione, quindi è ipotizzabile una loro impugnazione di fronte alle Commissioni tributarie per vizi propri. 13 In precedenza si escludeva la possibilità di legittimare un‘istanza di ammissione al passivo sulla base di atti precedenti l‘iscrizione a ruolo, quali gli avvisi di accertamento, le comunicazioni di irregolarità, gli avvisi di liquidazione e simili, anche nel caso in cui tali atti non venivano impugnati dal curatore. Ciò in quanto si voleva assicurare quanto più possibile stabilità e certezza alla pretesa fiscale, per evitare di penalizzare gli altri creditori. Gli atti in questione, infatti, potevano essere rimossi d‘Ufficio in autotutela. 14 Va precisato che i ruoli diventano esecutivi con l‘apposizione della firma anche elettronica del capo dell‘Ufficio, o mediante validazione del sistema centrale. Sul tema cfr. GUIDARA, Telematica e ruoli orfani, in Riv. dir. trib., 2006, I, p. 147 e ss. 15 La Corte costituzionale (sent. 15 luglio 2005, n. 280) ha posto in risalto la necessità che la pretesa impositiva dell‘Amministrazione resti ancorata a termini certi, al fine di non pregiudicare l‘esercizio del diritto di difesa del contribuente, e tale esigenza non poteva ritenersi soddisfatta dalla previsione di termini di decadenza per l‘iscrizione a ruolo, tant‘è che sono stati introdotti termini perentori di decadenza per la notifica delle cartella di pagamento (art. 25, DPR n. 602/73). Sul punto cfr. CARINCI, Termini di notifica della cartella di pagamento e funzioni del ruolo: 227 ―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖ E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE opportunamente affermato che la proposizione della domanda è condizionata alla notifica della cartella di pagamento ( 16). L‘Agente della riscossione non solo deve produrre l‘estratto del ruolo, dal quale risultano le partite creditorie suddivise per causali (17), ma anche deve dimostrare l‘avvenuta notifica dell‘atto avente rilevanza esterna nell‘ambito del procedimento di riscossione del tributo, cioè la cartella di pagamento (18). Tale affermazione si giustifica per il fatto che, mancando la notifica della cartella di pagamento al curatore verrebbe preclusa la possibilità di contestare la legittimità della pretesa (19). Rileva, inoltre, l‘esigenza di una maggiore trasparenza nel rapporto con i terzi creditori. E‘ da escludere la possibilità di ottenere l‘ammissione allo stato passivo del fallimento sulla base di atti differenti da quelli predetti, ed in particolare con riguardo a somme risultanti da processi verbali di constatazione, inviti al contraddittorio, comunicazioni di irregolarità. L‘esigenza di ammettere i crediti tributari solo ove supportati da titoli aventi maggiore stabilità, quali gli avvisi di accertamento, gli avvisi di irrogazione delle sanzioni, le intimazioni ad adempiere e le iscrizioni a ruolo/cartelle di pagamento, si riconduce, tra l‘altro, al fatto che il giudice delegato (20) può constatare l‘eventuale infondatezza del credito comune ed perplessità applicative e dubbi sistematici in merito al nuovo art. 25 del DPR n. 602/73, in Rass. trib., 2005, p. 1669 e ss. 16 Cfr. Cass. 17 giugno 1998, n. 6032. Preso atto di tale orientamento giurisprudenziale, gli Agenti della riscossione presentano le istanze di ammissione al passivo sulla scorta delle cartelle di pagamento notificate al fallito o al curatore. Tale ricostruzione è stata tuttavia contestata da Cass. 31 maggio 2011, n. 12019, la quale ha ritenuto inutile la notifica della cartella di pagamento,essendo impossibile l‘esecuzione singolare, ed ha ritenuto sufficiente la mera iscrizione a ruolo, evidenziando tra l‘altro che il curatore fallimentare possa opporsi dinnanzi alla Commissione tributaria per contestare la legittimità del ruolo comunicato con la domanda di aimmissione al passivo. 17 Per ogni causale, l‘Agente deve richiedere anche la sussistenza di cause di prelazione. 18 In caso di fallimento del debitore l‘Agente della riscossione revoca tempestivamente eventuali dilazioni di pagamento in precedenza concesse. 19 Il curatore deve valutare la legittimità dell‘atto ed eventualmente proporre ricorso al giudice tributario; in caso di inerzia del curatore anche il fallito è legittimato a proporre ricorso. Sulla legittimità del fallito ad impugnare gli atti impositivi cfr. Cass. 14 maggio 2002, n. 6937; Cass. 24 febbraio 2006, n. 4235. L‘Amministrazione, dopo la chiusura del fallimento, potrebbe far valere la pretesa nei confronti del fallito, il quale infatti resta soggetto passivo d‘imposta; per questi motivi, si ritiene sussistente l‘interesse ad agire. L‘avvenuta impugnazione dell‘atto da parte del curatore fa venir meno l‘interesse ad agire in capo al fallito. 20 Cfr. art. 96, L.F. 228 ―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖ E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE escluderlo dallo stato passivo, dichiarando con decreto motivato l‘inammissibilità della domanda o respingendola. Tale prerogativa non gli è, invece, assegnata con riguardo al credito tributario, per la cui contestazione è necessario proporre un‘apposita azione dinnanzi al giudice tributario. In caso di mancata impugnazione dell‘atto impositivo, la sua natura provvedimentale fa sì che lo stesso divenga definitivo ed incontestabile in sede fallimentare; pertanto il giudice delegato lo deve ammettere al passivo. Qualora sorgano contestazioni sul ruolo, l‘ammissione al passivo avviene con riserva (21). La questione circa l‘ammissibilità di istanze di ammissione al passivo fallimentare supportate da atti precedenti la notifica della cartella di pagamento si era posta con riferimento alla riscossione dell‘Iva risultante dalla dichiarazione presentata dal contribuente, per cui la legge prevedeva l‘invio di un invito di pagamento (22). Orientamento che, dopo la soppressione di tale atto, potrebbe essere riproposto con riguardo alle 21 Cfr. l‘art. 88, DPR n. 602/73. La legge fallimentare (art. 96) prevede espressamente quali siano le ipotesi in cui il giudice delegato può ammettere i crediti con riserva. Il principio di tipicità si giustifica nell‘ottica di rendere celere la procedura fallimentare (v. Cass. 20 febbraio 2004, n. 3397). L‘ammissione con riserva dei crediti tributari contestati, pur essendo stabilita da una norma speciale e non dalla legge fallimentare, può considerarsi comunque un caso di ipotesi tipica. Sul punto cfr. RASI, L‘ammissione con riserva dei crediti tributari: un recente intervento giurisprudenziale, in Dir. fall, 2006, II, p. 70, il quale osserva che la collocazione della norma è ottimale perché deroga non alla legge fallimentare, ma alle regole del procedimento di riscossione. Prima della introduzione dell‘espressa previsione contenuta nell‘art. 88 (cioè prima del 1999), una parte della giurisprudenza ammetteva comunque con riserva i crediti tributari considerandoli come ―crediti condizionali‖ (v. Cass. 26 novembre 1987, n. 8761) . 22 Art. 60, 6° comma, DPR n. 633/72. Sull‘argomento cfr. Cass. 14 luglio 2004, n. 13027; Cass. 10 febbraio 2006, n. 2994; Cass. 20 luglio 2007, n. 16120; Cass. 22 febbraio 2008, n. 4633; Cass., SS.UU., 4 marzo 2009, n. 5165. La possibilità di ammettere il credito tributario sulla base dell‘invito al pagamento, secondo questa giurisprudenza, è condizionata dal fatto che il curatore non contesti la pretesa tributaria (con riguardo a errori commessi dal contribuente nella compilazione della dichiarazione). La dichiarazione esaurisce da sola la fattispecie dell‘accertamento e costituisce titolo per l‘ammissione al passivo con riguardo alle somme dichiarate e non versate. Nel caso di contestazione è, invece, necessaria l‘iscrizione a ruolo del credito tributario, non potendosi quindi ammettere, nemmeno con riserva, l‘importo del tributo risultante dalla dichiarazione. Si tratta di una affermazione erronea perché la contestazione da parte del curatore può avvenire solo impugnando il ruolo. Gli inviti in questione, infatti, non sono impugnabili. 229 ―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖ E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE comunicazione d‘irregolarità di cui agli artt. 36 bis DPR n. 600/73 e 54 bis DPR n. 633/72. Pur tenendo a mente che la dichiarazione tributaria può esaurire il procedimento di accertamento dell‘obbligazione tributaria, va notato che, qualora venga accolta l‘insinuazione al passivo sulla base di una comunicazione di irregolarità, al curatore fallimentare viene preclusa la possibilità di contestare la pretesa, anche al fine di rettificare il contenuto della dichiarazione (23). Allo stato, infatti, nonostante si registri in giurisprudenza la tendenza a svalutare i c.d. limiti interni di giurisdizione di cui all‘art. 19, D. Lgs. n. 564/92, l‘impugnazione delle comunicazioni di irregolarità è preclusa (24). 23 La possibilità che il contribuente rimedi ad un errore in dichiarazione direttamente per mezzo dell‘impugnazione del ruolo è affermata tra gli altri da FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Padova, 2008, p. 348. Sul punto, di recente, si veda CARINCI, La riscossione a mezzo ruolo nell‘attuazione del tributo, Pisa, Pacini editore, 2008, p. 242 e ss., il quale afferma che, anche in caso di omessa impugnazione del ruolo, il contribuente deve reputarsi legittimato a proporre una autonoma istanza di rimborso, ciò in quanto la mancata impugnazione del ruolo produce esclusivamente la definitività di un mero atto di riscossione e non di un atto impositivo. La possibilità di modificare la dichiarazione impugnando l‘atto impositivo dell‘Ufficio è stata riconosciuta da Cass. n. 23177/2010 per le medesime ragioni che hanno indotto la giurisprudenza prima e il legislatore poi ad affermare la ritrattabilità della dichiarazione tributaria. Vi è, tuttavia, chi rileva che (cfr. MUSCARA‘, La sequenza degli atti impositivi tra vecchio e ―nuovo‖ processo tributario, in Rass. trib, 1994, p. 1513, nota 21), sotto il profilo processuale, atteso che il ruolo può essere impugnato solo per vizi propri, se l‘atto fa riferimento a somme dichiarate (ma non versate) dal contribuente, non si dovrebbero ammettere contestazioni circa l‘erroneità della dichiarazione. Pertanto, se l‘Ufficio in una rettifica ex art. 36 ter non ammettesse la deduzione delle spese per interessi passivi, il contribuente non potrebbe impugnare il ruolo per eccepire l‘esistenza di spese mediche non fatte valere per errore, ritrattando il contenuto della dichiarazione, in quanto il ruolo non avrebbe vizi propri. 24 Sul dibattito circa l‘impugnazione di atti differenti da quelli elencati nell‘art. 19, D. Lgs. n. 546/92 si veda INGRAO, Prime riflessioni sull‘impugnazione facoltativa nel processo tributario (a proposito dell‘impugnabilità di avvisi di pagamento, comunicazioni di irregolarità, preavvisi di fermo di beni mobili e fatture), in Riv. dir. trib., 2007, I, p. 1075 e ss.; FERLAZZO NATOLI, Considerazioni critiche sulla impugnazione facoltativa, ivi, p. 1112; TABET, Contro l‘impugnabilità degli avvisi di pagamento della TARSU, in Riv. giur. trib., 2008, p. 326; SEPE, Ancora sull‘impugnabilità degli atti atipici e sugli arresti più recenti della Corte di Cassazione, in Il fisco, 2008 p. 641; CARINCI, Il ruolo tra pluralità di atti ed unicità della funzione, in Riv. dir. trib., 2008, I, p. 274; RANDAZZO, ―Avvisi bonari‖ ed esercizio informale di funzioni tributarie, in Rass. trib., 2008, p. 468; 230 ―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖ E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE In definitiva, ci si troverebbe in una situazione in cui il curatore non può impugnare la pretesa, né di conseguenza il giudice può ammettere con riserva il ―presunto‖ credito (25). Ed allora, fintanto che l‘Ufficio non proceda ad iscrivere a ruolo le somme risultanti dalle dichiarazioni tributarie, ovvero quelle connesse alla liquidazione del tributo, deve ritenersi inammissibile l‘istanza di ammissione al passivo del fallimento ( 26). 3. La ragionevolezza dell‟anticipazione dell‟insinuazione al passivo al momento della notifica dell‟avviso di accertamento o del provvedimento irrogazione delle sanzioni. Le lungaggini burocratiche connesse alla notifica della cartella di pagamento hanno, in questi anni, causato notevoli ritardi nella presentazione delle istanze di ammissione al passivo del fallimento ( 27), facendo sì che il Fisco sia stato per lo più ammesso tardivamente. I creditori che si insinuano tardivamente hanno diritto di prelevare le quote che sarebbero loro spettate nelle precedenti ripartizioni solo se assistiti da cause di prelazione o se il ritardo è dipeso da causa ad essi non imputabile (28); ma con riguardo ai crediti tributari non sempre sussistono tali condizioni, pertanto, essi generalmente non vengono soddisfatti tenendo conto delle precedenti ripartizioni. In questa prospettiva, gli effetti della ―concentrazione della riscossione nell‘accertamento‖ appaiono opportuni: si anticipa l‘ammissione al passivo fallimentare al momento in cui l‘Ufficio affida la riscossione delle somme risultanti dall‘atto di accertamento e di irrogazione delle sanzioni all‘Agente, eliminando inutili ―duplicati procedurali‖. COPPA, Impugnabilità degli avvisi bonari e tutela del contribuente, in Corr. trib., 2007, pag. 3696. 25 Si aggiunge, ancora, che l‘eventuale ammissione, senza riserva, del credito Iva sulla base dell‘invito al pagamento/comunicazione di irregolarità comporta l‘impossibilità per il curatore di contestare in seguito la pretesa erariale, con grave lesione degli interessi della procedura. E ciò per due ordini di ragioni: innanzitutto perché, una volta ottenuta l‘ammissione al passivo, l‘Agente della riscossione non ha alcun interesse a notificare la cartella di pagamento, impedendo così al curatore l‘accesso al giudice tributario; anche ove venisse emessa e notificata la cartella di pagamento, va rammentato che l‘art. 96 preclude la proponibilità di azioni volte a contestare l‘esistenza della pretesa creditoria nel momento in cui lo stato passivo viene reso esecutivo. 26 In senso conforme cfr. App. Milano, 8 aprile 2003, in Dir. fall., 2003, II, p. 909. 27 La domanda viene considerata tardiva se presentata oltre trenta i giorni che precedono l‘udienza fissata per l‘esame dello stato passivo. 28 Cfr. l‘art. 112 LF. 231 ―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖ E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE Ciò detto, verifichiamo cosa accede qualora l‘avviso di accertamento o la cartella di pagamento siano stati impugnati. In linea generale, bisogna affermare che vi è la possibilità di insinuarsi al passivo nei limiti della quota di imposta riscuotibile ―automaticamente‖ in via provvisoria e non per l‘intera pretesa (29); altrimenti l‘innovazione di cui al D.L. n. 78/2010, finirebbe per travolgere un principio desumibile dalla normativa precedente. E‘ da evidenziare, però, che la giurisprudenza ( 30) ritiene che la dichiarazione di fallimento integri il presupposto del periculum in mora che legittima l‘Ufficio ad intimare nell‘avviso di accertamento il pagamento integrale delle somme dovute, ovvero ad iscrivere nei ruoli straordinari le somme ivi indicate. Pertanto gli Uffici, in sede di ammissione allo stato passivo, richiedono l‘insinuazione dell‘intero credito tributario risultante dall‘atto impugnato, sia a titolo di tributo che di sanzioni. Tale ricostruzione è stata contestata in dottrina per la evidente incompatibilità tra dichiarazione di fallimento e sussistenza del pericolo per la riscossione (31). Tuttavia, detta critica può essere condivisa solo se ci si limita ad una rigida interpretazione letterale dell‘art. 11, DPR n. 602/73, in tema di iscrizione nei ruoli straordinari. In effetti, posto che la dichiarazione di fallimento ha come effetto lo spossessamento dei beni del fallito, non dovrebbero sussistere esigenze cautelari, cioè il pericolo della concreta riscossione del credito. Quest‘ultima situazione non può desumersi, infatti, dalla dichiarazione di fallimento, ma presuppone che prima di tale data sussista il pericolo che il contribuente si spogli dei propri beni rendendo di fatto inesigibile il credito dell‘Erario; pericolo riscontrato sia sulla base di elementi oggettivi, quali il rapporto tra le condizioni economiche del trasgressore (desunte non solo dall‘entità del suo patrimonio, ma anche 29 Dopo la formazione del giudicato favorevole all‘Ufficio e previo invio dell‘intimazione ad adempiere, l‘Agente della riscossione si dovrebbe insinuare al passivo per il restante credito. 30 Sulla legittimità delle iscrizioni a ruolo straordinarie qualora la pretesa fiscale debbe essere riscossa nei confronti di una procedura fallimentare cfr. di recente Cass. 27 maggio 2011, n. 11736. In precedenza in senso conforme cfr. Cass. 19 luglio 1999, n. 7654, in Fall., 2000, p. 1325, con nota di POLLIO, Validità dell‘iscrizione a ruolo delle imposte nei ruoli straordinari; Cass. 7 settembre 2001, n. 11508, Cass. 9 gennaio 2009, n. 242. 31 Cfr. MAURO, L‘inadeguato coordinamento normativo, cit., p. 575, il quale afferma che il pericolo nel ritardo deve ravvisarsi in epoca precedente alla dichiarazione di fallimento, in quanto esso non può confondersi con l‘impossibilità di riscuotere il credito tributario. Una volta intervenuto il fallimento non vi è ragione per ritenere integrato il periculum in mora, posto che la procedura segue le regole del concorso sotto la vigilanza del giudice delegato. L‘orientamento della Cassazione determina un indebito vantaggio al Fisco, in quanto può riscuotere l‘intero credito tributario sulla base di atti non definitivi, qualora il contribuente ritorni in bonis. 232 ―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖ E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE dall‘esistenza di eventuali protesti, pignoramenti o azioni esecutive a suo carico) e il credito da tutelare, sia sulla base di elementi soggettivi, in relazione cioè a comportamenti del debitore, che potrebbero far temere la sottrazione di garanzia (32). L‘interpretazione offerta dalla giurisprudenza, però, può ritenersi ragionevole nella prospettiva che l‘insinuazione al passivo per la solo quota di imposta riscuotibile in via provvisoria potrebbe compromettere quasi del tutto la possibilità di riscuotere la restante quota dovuta qualora il processo tributario si chiuda con una sentenza favorevole al Fisco. Escludere l‘ammissione con riserva dei tributi per i quali si è intimato l‘integrale pagamento nell‘avviso di accertamento o si è proceduto con l‘iscrizione nei ruoli straordinari significa penalizzare ingiustamente la posizione del Fisco rispetto a quella degli altri creditori; penalizzazioni che la ratio dell‘art. 88, DPR n. 602/73, intende invece prevenire, stabilendo appunto l‘automatica ammissione con riserva dei ruoli oggetto di contestazione (cioè quelli provvisori) senza alcuna specificazione circa la natura ordinaria o straordinaria dell‘iscrizione. L‘Agente della riscossione dovrebbe attendere la conclusione del processo tributario per potersi insinuare tardivamente al passivo. Tuttavia, nelle more del giudizio tributario, possono essersi esaurite le ripartizioni dell‘attivo fallimentare (33), divenendo non più ammissibile una domanda tardiva (anche se il ritardo è dipeso da causa non imputabile all‘Agente della riscossione). Il credito tributario rimarrebbe, pertanto, presumibilmente insoddisfatto, salvo la possibilità di agire sul fallito tornato in bonis. Va precisato che deve escludersi l‘ammissione al passivo qualora, prima della presentazione dell‘istanza, sia intervenuta una sentenza di primo grado favorevole al contribuente; mentre, nel caso di accoglimento parziale, il credito ammesso deve essere ridotto nei limiti di quanto stabilito dall‘art. 68 D. Lgs n. 546/92. Ciò in applicazione del principio secondo cui la tutela del credito erariale (ammissione con riserva) può permanere fintanto che la pretesa sottostante venga dichiarata esistente da un provvedimento dell‘autorità giudiziaria, ancorché non definitivo; diversamente, l‘annullamento dell‘atto impositivo da parte della Commissione tributaria, anche con sentenza non passata in giudicato, deve costituire presupposto per l‘inammissibilità della domanda di insinuazione al passivo, venendo, infatti, 32 Sul tema del periculum in mora, sia pure con riferimento al c.d. misure cautelari dell‘Agenzia delle entrate di cui all‘art. 22, D. Lgs. 472/97, cfr. in giurisprudenza Cass. 23 aprile 1958, in Giust. civ., 1958, p. 801e ss.; Cass. 13 novembre 1982, n. 6076, in Giust. civ. Mass, 1982, fasc. 10-11; Cass. 9 febbraio 1990, n. 902 in Giust. civ. Mass., 1990, fasc. 2; Trib.Venezia 19 luglio 1991, in Giur. it., 1992, I, p. 625. 33 L‘attivo potrebbe essere stato ripartito in via definitiva, in quanto il giudice delegato è obbligato ad accantonare le somme connesse ai crediti ammessi con riserva. 233 ―CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL‘ACCERTAMENTO‖ E RIFLESSI SULL‘AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE a mancare il motivo per cui se ne giustifica l‘ammissione con riserva ex art. 88, e cioè la tutela dell‘interesse collettivo connesso alla tutela delle esigenze finanziarie dello Stato (34). L‟ammissione con riserva di cui all‟art. 88 citato trova, quindi, un limite nel giudicato favorevole al contribuente, sia pur risultante da una sentenza non definitiva. Se il giudizio di secondo grado risulta favorevole all‘Ufficio, allora l‘Agente della riscossione può insinuarsi al passivo in via definitiva per il credito risultante dalla sentenza. Nel caso in cui la sentenza di primo grado intervenga dopo il deposito dell‘istanza di insinuazione al passivo, non vi è l‘obbligo di variare l‘entità del credito ammesso con riserva in relazione alle pronunce non definitive, ma il giudice delegato deve sciogliere la riserva (ammettendolo integralmente, in parte o escludendolo del tutto) nel momento in cui si forma il giudicato tributario. 34 Il principio secondo cui il giudizio favorevole al contribuente comporta l‘obbligo di rimuovere la misura cautelare adottata è stato di recente enunciato, da Cass. 10 luglio 2008, n. 19078 e da Cass. 22 settembre 2006, n. 20526. In precedenza, i giudici di legittimità (Cass. 2 marzo 2004, n. 4219), avevano sostenuto che solo la sentenza che accoglie in via definitiva il ricorso del contribuente e annulla l‘atto impositivo determina il venir meno della pretesa tributaria e quindi del fermo disposto a garanzia del credito. Tale affermazione è stata superata dallo stesso organo, in quanto ritenuta apodittica, cioè priva di specifica motivazione. Si è detto, infatti, ―che la sentenza che accoglie il ricorso del contribuente e annulla l‘atto impositivo priva, sia pure non in via definitiva (non essendosi ancora formato il giudicato), del supporto di un atto amministrativo legittimante la pretesa tributaria, che non può più formare oggetto di alcuna riscossione provvisoria. In sostanza viene meno il titolo su cui si fonda la ragione di credito‖. Nel caso in cui fossero mantenute in vita le misure cautelari, il principio di parità delle armi, sancito dall‘art. 111 Cost., sarebbe leso; se nella fase amministrativa l‘Ufficio può godere di poteri sopraordinati, quali quello di agire con strumenti di autotutela, nella fase processuale le parti debbono essere collocate in posizione di parità. Tale parità impone, quindi, che l‘Amministrazione non possa continuare a godere di una garanzia qualora il credito cui si riferisce sia stato disatteso dal giudice. 234 Prof. Salvatore La Rosa Il riparto delle competenze nella disciplina della riscossione 1 Considerazioni introduttive. Penso che, come sempre accade, le nuove norme sulla ―concentrazione‖ della riscossione nell‘accertamento tributario1 siano state dettate da ragioni essenzialmente pratiche – più che teoricosistematiche2 – in prima battuta ravvisabili nell‘intento di rendere più celeri ed efficienti le riscossioni provvisorie in pendenza di giudizio, eliminando le lungaggini e i tempi morti inevitabilmente connessi al procedimento di formazione dei ruoli, trasmissione agli agenti della riscossione e notificazione delle cartelle3; e, personalmente, non riterrei di per sé rivoluzionari né l‘inserimento negli avvisi di accertamento dell‘intimazione al pagamento mediante versamento diretto delle maggiori imposte accertate, nè l‘attribuzione ad uno stesso atto degli effetti sinora propri dell‘atto di accertamento delle maggiori imposte (avviso di accertamento) e del provvedimento della 1 …contenute nell‘art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, conv. in L. 30 luglio 2010, n. 122. Per i primi commenti sul tema, e per una più analitica esposizione del contenuto della nuova disciplina, cfr. CARINCI, Prime considerazioni sull‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ ex D.L. n. 78/2000, in Riv. Dir. Trib., 2011, I, p. 162 ss.; GIOVANNINI, Riscossione in base al ruolo e agli atti di accertamento, in Rass. trib., 2011, p. 22 ss. 2 Per generali riflessioni sulle interrelazioni teorico-sistematiche tra gli atti della riscossione e dell‘ accertamento, con particolare riferimento al ruolo di riscossione e alla valenza ad esso attribuibile nel vigente ordinamento, cfr., per tutti, BASILAVECCHIA, Il ruolo e la cartella di pagamento: profili evolutivi della riscossione dei tributi, in Dir. Prat. Trib., 2007, I, 127; LA ROSA, Accordi e transazioni nella fase della riscossione dei tributi, in Riv. Dir. Trib., 2008, I, p. 313 ss; FALSITTA, Funzione vincolata di riscossione e intransigibilità del tributo, in Riv. Dir. Trib., 2007, I, p. 1059 ss. 3 Di questi pragmatici propositi, costituiscono del resto chiari sintomi sia il carattere in certo senso sperimentale della nuova disciplina (non certo a caso per il momento riferita alle sole imposte scaturenti dagli accertamenti in materia di imposte dirette ed IVA, e che solo in prospettiva dovrebbe progressivamente estendersi alle imposte derivanti dalle dichiarazioni ed agli altri settori in genere dell‘ordinamento tributario), sia le limitazioni temporali che con l‘originario testo dell‘art. 38 del medesimo D.L. n. 70/2010 erano state poste agli effetti delle ordinanze di sospensione della riscossione eventualmente emesse dalle Commissioni tributarie ai sensi dell‘art. 47, D.Lvo n. 546/1992. IL RIPARTO DELLE COMPETENZE NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE riscossione (ruolo). Non sarebbe invero difficile riscontrare esempi di analoghe soluzioni nelle discipline del presente e del passato; e penso, in tal senso, a quel che tuttora dispongono gli artt. 36 bis e 36 ter del DPR 600/1973, nonché 57 bis DPR 633/1972, in punto di diretta iscrizione a ruolo degli importi scaturenti dalle ―liquidazioni‖ e dai c.d. ―controlli formali‖ delle dichiarazioni dei redditi e dell‘IVA presentate dai contribuenti, ovvero a quanto in passato stabilito dall‘art. 60 del DPR 633/1972 in punto di obbligatorietà del pagamento mediante versamento diretto degli importi provvisoriamente riscuotibili sulla base degli accertamenti IVA 4, ovvero ancora (e andando ancor più indietro nel tempo) alla valenza ad un tempo di atto di riscossione e di accertamento che la giurisprudenza attribuiva all‘ingiunzione fiscale nel regime antecedente la Riforma tributaria degli anni settanta del secolo scorso5. 4 Questa disciplina era strettamente legata al sistema di c.d. riscossione diretta (a mezzo ingiunzione) inizialmente adottato in materia di IVA; ed è poi stata superata dalla riforma del sistema sanzionatorio e dall‘estensione all‘IVA del sistema della riscossione a mezzo ruolo. 5 Queste analogie non debbono tuttavia far velo alle non lievi diversità delle problematiche distintamente suscitate da ciascuna delle tre ―concentrazioni‖ sopra ricordate, nonché da quella adesso delineata dalle nuove norme in esame. In particolare, la disciplina dei recuperi derivanti dalle c.d. ―liquidazioni‖ delle dichiarazioni, e dai ―controlli formali‖ del loro contenuto, concerne un numerus clausus di tipizzate irregolarità, che sono state ritenute, per la loro evidenza, suscettibili di diretta contestazione in fase di riscossione; ed essa ha poi fatto sorgere problemi sia di fungibilità con le ordinarie forme di accertamento, sia di riferibilità al ruolo di riscossione, in questi casi, di taluni profili disciplinari (motivazione, termini di decadenza, ecc.) tipicamente propri degli atti di accertamento. Le norme di cui all‘originario art. 60 del DPR 633/1972 avevano invece sollevato dubbi (poi definitivamente fugati da Corte Cost. 25/5/1985, n. 176 e 4/11/1987, n. 371, con pronunzie che meritano di essere ricordate a fronte del riemergere della tendenza a stabilire improprie assimilazioni anche della nuova disciplina con l‘istituto del solve et repete) sulla procedibilità dei ricorsi ove non fossero stati preventivamente pagati gli importi provvisoriamente riscuotibili (nel senso dell‘improcedibilità, cfr., ad esempio, Comm. Trib. Centr. 25/2/1986, n. 1577, in Boll. Trib., 1986, p. 849), nonché sui riflessi sanzionatori del mancato pagamento. Quanto alla discussa tesi della natura anche impositiva (invece che soltanto esattiva) dell‘ingiunzione fiscale, nel regime antecedente la Riforma tributaria degli anni settanta (per tutte, cfr. Cass. 23/1/1964, n. 164, in Riv. Leg. Fisc., 1964, p. 851), va ricordato che essa si affermò in presenza di una disciplina che in quel settore riferiva l‘accertamento soltanto alla rettifica dei valori dichiarati, e non anche alle questioni di an debeatur; e può dirsi che il relativo dibattito sia stato alla base di un processo di separazione e distinzione 236 IL RIPARTO DELLE COMPETENZE NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE Neanche appare dotata di concreta efficacia innovativa l‘affermazione dell‘esecutività dell‘avviso di accertamento una volta decorsi sessanta giorni dalla sua notificazione, perché (a parte quanto più avanti si dirà sull‘improprietà di questa affermazione) la stessa nozione dell‘esecutività (o, più propriamente, ―esecutorietà‖) del ruolo era già stata svuotata di un proprio autonomo significato nel momento in cui assunta a conseguenza della mera sottoscrizione (con modalità oltretutto elettroniche e sostanzialmente impersonali) dell‘atto; ossia, della sua esistenza giuridica6. E per il contribuente cambia poco il dire che l‘agente della riscossione opera sulla base del ―ruolo esecutivo‖, o di un ―avviso di accertamento esecutivo‖, trattandosi in entrambi i casi di atti emanati da uno stesso soggetto ed egualmente legittimanti l‘esecuzione forzata da parte degli agenti della riscossione. Profondamente innovative debbono invece ritenersi - per gli automatismi che mirano ad avvalorare ed accentuare - le disposizioni contenute nelle lett. b) ed e) dell‘art. 29 del D.L. n. 78/2010, laddove si prevede, per un verso, che decorsi trenta giorni dalla scadenza del termine stabilito per l‘effettuazione del versamento diretto degli importi intimati con l‘accertamento ―esecutivo‖, la riscossione ―…è affidata in carico agli agenti della riscossione anche ai fini dell‘esecuzione forzata…‖7; e, per altro verso, che questi ultimi concettuale tra le funzioni dell‘accertamento e della riscossione che poi sfociò (nei decreti delegati del 1972) nell‘affermazione della necessità che l‘ingiunzione fosse in ogni caso preceduta dalla notificazione dell‘avviso di liquidazione. Vale a dire che, in quel campo, la tesi della ―concentrazione‖ degli effetti impositivi ed esattivi in un unico atto alimentò, di fatto, un processo di distinzione e ―deconcentrazione‖ degli atti amministrativi tributari. A fronte dell‘eterogeneità e non univocità di questi precedenti, penso che debba guardarsi con cautela alla tesi secondo la quale, con l‘emanazione delle nuove norme, il legislatore avrebbe ―….idealmente ―invertito‖ l‘ordine di marcia sinora seguito: non si è più caricato di funzione impositiva l‘atto di riscossione, quanto di funzione esattiva quello di accertamento…‖ (così, CARINCI, Prime considerazioni cit., p. 123). Malgrado le apparenze, accertamento e riscossione sono sempre stati e restano pur sempre momenti funzionalmente distinti delle attività amministrative tributarie; e le stesse nuove norme, malgrado l‘unificazione degli atti, rappresentano, di fatto (e come si dirà), una tappa di non indifferente rilievo nella direzione proprio della distinzione e divaricazione tra la funzione impositiva e quella esattiva. 6 Per analoghi rilievi, cfr. CARINCI, Prime considerazioni cit. p. 131; GUIDARA, Telematica e ruoli orfani, in Riv. Dir. Trib., 2006, I, p. 147 ss. 7 Questa disposizione, benché di per sé riferita al contenuto dell‘‖avvertimento‖ che dovrà essere inserito negli avvisi di accertamento ―esecutivi‖, si presta infatti ad essere letta anche come regola acceleratoria dei doverosi comportamenti operativi degli Uffici dell‘Agenzia delle Entrate, a 237 IL RIPARTO DELLE COMPETENZE NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE ―…senza la preventiva notifica della cartella di pagamento, proced[ono] ad espropriazione forzata con i poteri, le facoltà e le modalità previste dalle disposizioni che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo…‖8. Invero, discendono proprio da queste disposizioni le preoccupazioni, i timori e i disorientamenti che le nuove norme hanno determinato in ogni campo; e penso che, volendo adeguatamente mettere a fuoco le relative problematiche, sia anzitutto opportuno focalizzarne le ragioni di fondo. Personalmente, ravviserei tali ragioni in un duplice ordine di circostanze: per un verso, nella crisi nella quale in atto versa l‘istituto stesso delle riscossioni provvisorie in pendenza di giudizio; per altro verso, nella persistente ambiguità dei modi in cui sono regolati i rapporti tra gli Uffici dell‘accertamento (oggi, Agenzia delle Entrate) e quelli preposti alla riscossione amministrativa (oggi, Equitalia S.p.a.) delle maggiori imposte accertate; e, su questi profili, vorrei qui svolgere alcune veloci considerazioni introduttive. a) L‘istituto delle riscossioni provvisorie a mio avviso necessita ormai da tempo di profonde rimeditazioni, perché è di per sé fonte, per i modi in cui esso è in atto regolato e gestito, di spesso ingiustificate complicazioni e disfunzioni, nei rapporti tra i contribuenti, gli Uffici dell‘accertamento, quelli della riscossione e le stesse Commissioni tributarie. Queste complicazioni dipendono dal fatto che proprio in quella tipologia di riscossioni confluiscono e interferiscono (in modi che allo stato sono difficilmente razionalizzabili) le competenze e i comportamenti del suddetto triplice ordine di organi ed uffici. Il loro essere spesso fonte di complicazioni ingiustificate è attestato dalla frequenza dei casi in cui gli accertamenti impugnati vengono annullati o drasticamente ridimensionati dai giudici tributari, determinando così l‘esigenza di sgravi e rimborsi di quel che era stato provvisoriamente iscritto a ruolo o addirittura riscosso. E la problematicità intrinseca dell‘assetto disciplinare dell‘istituto trova adesso un anche testuale riscontro nel riemergere di impropri accostamenti (da parte dello seguito della notificazione degli accertamenti tributari; e quindi come regola fortemente innovativa rispetto ad una disciplina che, per i casi di impugnazione dell‘accertamento, sinora non prevedeva alcuna necessità che le iscrizioni a ruolo a titolo provvisorio fossero immediatamente effettuate. 8 Il tenore testuale di questa disposizione legittima invero certamente la tesi secondo la quale l‘agente della riscossione, a seguito della notificazione dell‘avviso di accertamento ―esecutivo‖ da parte dell‘Agenzia delle Entrate, potrebbe direttamente procedere al pignoramento dei beni del contribuente inadempiente (in questo senso, cfr., per tutti, CARINCI, Prime considerazioni cit. p. 163). Ma, sul punto, si tornerà in prosieguo. 238 IL RIPARTO DELLE COMPETENZE NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE stesso legislatore9) delle riscossioni provvisorie al solve et repete. In realtà (e come puntualizzato dalla stessa Corte Costituzionale con sentenze di circa cinquanta anni or sono 10) le riscossioni provvisorie non hanno nulla a che vedere con il solve et repete, il quale consisteva nella subordinazione della tutela giurisdizionale al preventivo pagamento delle somme richieste dagli Uffici finanziari, ed è stato a suo tempo dichiarato costituzionalmente illegittimo per l‘inammissibilità di una siffatta compressione del fondamentale diritto alla tutela giurisdizionale. Ad esse occorre invece guardare come a misure amministrative cautelari, volte a preservare l‘interesse pubblico alla sollecita acquisizione delle entrate tributarie dai pregiudizi che possono su di esso riversare le impugnazioni più o meno pretestuose o dettate da intenti meramente dilatori11; ed a misure che dovrebbero quindi essere regolate e gestite in modo da assicurare quella flessibilità e quell‘attenzione per le peculiarità dei singoli casi concreti che alle misure cautelari dovrebbero sempre essere tipicamente correlate12. 9 Cfr. l‘art. 7, comma 1, lett. m, del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, ove si prospetta in termini di ―attenuazione del principio del ―solve et repete‖…‖, il differimento automatico dell‘esecuzione per centoottanta giorni ove dal contribuente sia stata nel ricorso richiesta la sospensione giudiziale degli atti esecutivi. 10 Cfr. Corte Cost. 4/7/1963, n. 114, in Riv. Leg. Fisc., 1963, p. 2063. 11 Sul fondamento e sulla giustificazione sistematica delle riscossioni provvisorie, si è in passato molto discusso; e non poco seguito (anche nella giurisprudenza costituzionale) ha avuto anche la tesi secondo la quale esse costituirebbero, al contrario, una limitazione (a favore del contribuente) della generale esecutorietà dei provvedimenti amministrativi, ivi compresi gli accertamenti tributari. In realtà, il profilo dell‘esecutorietà non è un corollario necessario di tutti i provvedimenti amministrativi, in quanto ―…da un lato, riguarda solo i provvedimenti amministrativi per i quali esiste un problema di concreta realizzazione, dall‘altro si colloca sul piano dell‘esecuzione e non della produzione dell‘effetto….‖ (così, VILLATA - RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, Torino, 2006, p. 309); in materia tributaria, esso dovrebbe essere quindi riconosciuto solo ai provvedimenti esattivi, e non anche a quelli di accertamento; ed alle riscossioni provvisorie dovrebbe essere attribuita natura ―cautelare‖ per la subordinazione della stabilità dei loro effetti agli esiti del ricorso giurisdizionale proposto avverso gli atti che ne costituiscono il presupposto (in questo senso, cfr. LA ROSA, Principi di diritto tributario, III ed., Torino, 2009, p. 358 ss.). 12 Aperture a questa esigenza di articolazione disciplinare possono ad esempio ravvisarsi nelle peculiari regole stabilite per le riscossioni provvisorie nel campo degli accertamenti ex art. 37 bis, DPR n. 600/1973, ovvero per quelle eccezionalmente effettuabili per l‘intero ammontare delle imposte, interessi e sanzioni, in presenza di ―fondato pericolo per la riscossione‖. Ma non minori attenzioni richiederebbero, ad esempio (e quanto meno, sul piano dei ―tempi‖), le riscossioni provvisorie effettuabili in 239 IL RIPARTO DELLE COMPETENZE NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE Così, però, non accade, perché le riscossioni provvisorie sono ancora regolate e gestite sulla base di quei connotati di generalizzati automatismo e standardizzazione che avevano nei decenni antecedenti la Riforma tributaria degli anni settanta, quando gli accertamenti dell‘Ufficio rappresentavano una fase normale ed essenziale delle sequenze applicative delle imposte, le controversie tributarie avevano normalmente ad oggetto questioni di natura estimativa ed induttiva, le Commissioni tributarie non avevano ancora pienamente acquisito i connotati della giurisdizionalità e non erano investite di poteri cautelari, e le riscossioni provvisorie costituivano un tassello di non indifferente rilievo di un sistema in cui gli esattori dovevano assicurare la continuità dei flussi finanziari pubblici13; mentre oggi l‘esistenza di discipline fondate sui versamenti diretti dei contribuenti, sul principio della selettività dei controlli e naturale eccezionalità degli accertamenti, sulla loro natura essenzialmente sanzionatoria, sulla ormai acquisita giurisdizionalità delle Commissioni tributarie e sull‘attribuzione ad esse di poteri di tutela cautelare solo in favore del contribuente, fa delle riscossioni provvisorie standardizzate e generalizzate un istituto che per un verso consente al più incallito degli evasori di differire automaticamente gran parte dei pagamenti dovuti mediante la semplice presentazione di un pretestuoso ricorso (anche soltanto in attesa di un… sempre possibile ―condono‖!), e per altro verso espone il contribuente che ha ragione al rischio di sacrifici che possono talora essere gravissimi, e può soltanto confidare nella celerità e nel buon esito del rimedio costituito dall‘istituto della sospensione giudiziale della riscossione. Da questo punto di vista, l‘emanazione delle nuove norme sugli accertamenti di per sè immediatamente esecutivi rischia chiaramente di acuire non poco questi inconvenienti, aprendo le porte alla possibilità che le riscossioni provvisorie talora si tramutino in una dipendenza di addebiti di inosservanza del principio di competenza, se si considera che (alla stregua degli attuali orientamenti giurisprudenziali) all‘acclarata fondatezza dell‘addebito dovrebbe far seguito il rimborso (da parte dell‘Amministrazione) degli importi dal contribuente già pagati nell‘anno di errata imputazione temporale. In questi casi, infatti, non vi sono (per l‘Amministrazione) esigenze cautelari da soddisfare, poiché il ―dovuto‖ deve ritenersi comunque già versato dal contribuente, e le riscossioni provvisorie si traducono in una ―provvisoria‖ doppia imposizione. 13 In generale, e sui mutamenti che il passaggio da una ―fiscalità di elite‖ ad una ―fiscalità di massa‖ determina sul ruolo degli uffici della riscossione - nella direzione del rafforzamento dei relativi poteri al fine del contrasto della c.d. ―evasione da riscossione‖, e della necessità in genere di garantire la ―sicura riscossione‖ in luogo della ―pronta riscossione‖ rimangono ancora attuali le puntuali notazioni di LUPI, Problemi generali della nuova disciplina, in La nuova disciplina della riscossione dei tributi, Atti del Convegno tenutosi a Venezia il 24/1/1992, Milano 1996, p. 35 ss. 240 IL RIPARTO DELLE COMPETENZE NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE sorta di inammissibile prestito forzoso in favore dell‘Erario 14; ed appare quindi auspicabile che il dibattito in corso sulla problematica suscitata dalle nuove regole si estenda anche alla necessità di rivedere a monte proprio la disciplina delle riscossioni provvisorie, le modalità della loro gestione, nonché le forme e i contenuti della tutela cautelare in corso di giudizio. b) Quanto ai rapporti tra gli Uffici dell‘accertamento e quelli della riscossione, è superfluo ricordare come l‘art. 3 della L. n. 248/2005 abbia sancito l‘abbandono del precedente sistema di affidamento negoziale in concessione dell‘attività di riscossione a Società di capitali di diritto privato, contestualmente avviando un processo di acquisizione e progressiva pubblicizzazione delle strutture dei precedenti concessionari; e tutto ciò in una prospettiva che dovrebbe avere il suo finale e naturale sbocco nella loro trasformazione in organi ed uffici pubblici investiti dei poteri autoritativi specificamente volti all‘acquisizione eventualmente coattiva delle entrate pubbliche; ossia, nella trasformazione di Equitalia S.p.a. in una vera e propria Agenzia della riscossione delle entrate pubbliche. Da questo risultato si è però ancora lontani, poiché alla riscossione dei tributi continuano transitoriamente a provvedere delle società di capitali, solo controllate dalla mano pubblica, ma partecipate anche da Istituti di credito. E la delicatezza e complessità delle problematiche scaturenti da questa combinazione di strutture privatistiche con proprie finalità lucrative e poteri pubblicistici particolarmente incidenti sulla libertà patrimoniale dei cittadini, sono di per se stesse attestate dall‘art. 3 del D.L. n. 205/2005, con il quale si è disposto che ―…a decorrere dal 1° ottobre 2006 è soppresso il sistema di affidamento in concessione del servizio di riscossione e le funzioni relative alla riscossione nazionale sono attribuite all‘Agenzia delle Entrate, che le esercita mediante la società di cui al comma 2 [oggi, ―Equitalia S.p.a.‖], sulla quale svolge attività di coordinamento, attraverso la preventiva approvazione dell‘ordine del giorno delle sedute del consiglio di amministrazione e delle deliberazioni da assumere dallo stesso consiglio…‖15; nonché (ad 14 Proprio l‘intento di ridimensionare questi pericoli sembra avere indotto il legislatore ad operare (con disposizioni in corso di approvazione al momento della stesura di queste note) un sensibile ridimensionamento degli importi provvisoriamente riscuotibili in pendenza del giudizio di primo grado, riducendo la relativa percentuale dal 50% al 30%. 15 In questa disposizione non può non ravvisarsi una contraddizione tra la formale attribuzione all‘Agenzia delle Entrate delle funzioni relative alla riscossione nazionale, e l‘affermazione dell‘essere tali funzioni esercitate attraverso lo svolgimento di una generica attività di ―coordinamento‖ dell‘operato dell‘Ente (Equitalia S.p.a.), al quale i relativi poteri sono invece attribuiti direttamente dalla legge, e oltretutto riguardano anche entrate 241 IL RIPARTO DELLE COMPETENZE NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE esempio) dal comma 3 dello stesso art. 29 del D.L. n. 78/2010, laddove si prevede che l‘agente della riscossione al quale venga comunicata una proposta di concordato in fase di procedura concorsuale, può prestare adesione ad essa soltanto dopo aver ottenuto una ―formale autorizzazione‖ da parte dell‘Agenzia delle Entrate16; ovvero dall‘affermazione (rinvenibile nella Direttiva di Equitalia N. 10/2010 del 6/5/2010 e a mio avviso non condivisibile) secondo la quale gli agenti della riscossione opererebbero ―…quali mandatari nella gestione del credito affidato in riscossione…‖. Non posso e non voglio, ovviamente, affrontare qui la complessa problematica dell‘esatta qualificazione dei rapporti intercorrenti tra Agenzia delle Entrate ed Equitalia S.p.a., e sulla natura dei poteri di quest‘ultima17. Mi limito soltanto a rilevare che la funzione della riscossione amministrativa dei tributi è in atto sostanzialmente cogestita da entrambi questi rami della Pubblica Amministrazione, i quali hanno distinta soggettività giuridica, ed ai quali le norme attribuiscono aree di poteri e competenze propri dell‘uno e dell‘altro, in un contesto complessivo non privo di incongruenze e aree grigie; le quali ultime appaiono meritevoli, appunto, di adeguata verifica e approfondimento, anche per le implicazioni processuali che proprio alla corretta definizione del riparto delle competenze si ricollegano. In generale, può tuttavia dirsi che la notevole espansione (avutasi nell‘ultimo decennio) dei poteri pubblicistici attribuiti agli agenti della riscossione (basti pensare alle misure da essi adottabili in materia, oltre che di espropriazione forzata, anche di adozione di pubbliche (contributi previdenziali, entrate tributarie degli Enti locali, ecc.) diverse da quelle rientranti nelle competenze gestionali proprie dell‘Agenzia delle Entrate medesima; né può ritenersi consona allo svolgimento di una attività di effettivo ―coordinamento‖ la mera necessità della preventiva approvazione degli ordini del giorno delle sedute del consiglio di amministrazione dell‘Ente investito dei compiti e dei poteri relativi alla riscossione delle entrate pubbliche. In realtà l‘ambigua formula del ―coordinamento‖ appare essenzialmente dettata dall‘intento di coniugare transitoriamente la persistente titolarità in capo all‘Agenzia delle Entrate di alcune fondamentali competenze in materia di riscossione con le esigenze di autonomia gestionale da riconoscere a chi delle funzioni medesime viene in realtà investito. 16 Questa disposizione sarebbe invero superflua ove le funzioni relative alla riscossione fossero in toto riservate all‘Agenzia delle Entrate, e sembra invece postulare, al contrario, che la titolarità di quelle funzioni competa (di regola) ad Equitalia S.p.a. 17 Sul punto, e nel senso dell‘attribuzione ad Equitalia S.p.a. della natura di Ente pubblico strumentale, cfr. M.C. PARLATO, Brevi note sulla Riscossione S.p.a., in Rass. Trib., 2006 p. 1174 ss.; nonché A. PARLATO, Gestione pubblica e privata nella riscossione dei tributi a mezzo ruolo, in Rass. Trib., 2007, p.1355 ss. 242 IL RIPARTO DELLE COMPETENZE NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE misure conservative, blocco dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni ai contribuenti morosi, acquisizione in forme autoritative di dati e notizie sulla loro situazione patrimoniale, ecc.) imporrebbe in realtà di imputare proprio ad Equitalia S.p.a. la titolarità sostanziale delle funzioni relative alla riscossione amministrativa dei tributi e delle entrate pubbliche in genere 18; pur se con molteplici condizionamenti derivanti da competenze proprie dell‘Agenzia delle Entrate (e degli altri Enti impositori in genere). E penso comunque che la problematica suscitata dalle nuove norme sugli accertamenti esecutivi possa trarre proficui elementi di orientamento proprio dalla ricognizione (necessariamente sommaria) dei modi in cui sono in atto ripartite le competenze amministrative, in materia di riscossione delle imposte, tra l‘uno e l‘altro soggetto. 2. Le competenze dell‘Agenzia delle Entrate in materia di riscossione…. - Limitando in questa sede il discorso alla sola area della riscossione amministrativa degli importi scaturenti dagli accertamenti delle imposte sui redditi, dell‘IVA e dell‘IRAP (ai quali soltanto risultano riferite le nuove norme), può dirsi che le competenze ancora riservate agli Uffici impositori, in questo specifico settore, si risolvano: a) nella possibilità di chiedere ed ottenere (ai sensi dell‘art. 22 del D.Lvo n. 472/1997, e prima ancora della notificazione dell‘accertamento) l‘iscrizione di ipoteca sui beni immobili (o il sequestro conservativo dei beni mobili) dell‘autore di violazioni tributarie punite con sanzioni pecuniarie, ove l‘ufficio abbia un ―fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito‖; b) nella possibilità di promuovere l‘operato degli agenti della riscossione (mediante trasmissione sinora dei ―ruoli esecutivi‖, e in futuro anche degli ―avvisi di accertamento esecutivi‖) per l‘acquisizione (in via eventualmente coattiva, e, a seconda dei casi, a titolo provvisorio o definitivo), degli importi scaturenti dagli accertamenti (e dalle eventuali successive sentenze dei giudici tributari), ove il contribuente non abbia corrisposto gli importi richiesti con l‘avviso di accertamento; c) nella ―facoltà‖ di disporre (ai sensi dell‘art. 39, DPR 602/1973) la sospensione amministrativa della riscossione - in 18 Invero, le funzioni pubbliche sono costituite da aree più o meno vaste di poteri autoritativi finalisticamente orientati al perseguimento di un medesimo interesse pubblico; ed al quesito relativo alla titolarità di esse dovrebbe quindi rispondersi guardando, prima e più che alle generali affermazioni di principio, alla concreta disciplina dei singoli poteri che le funzioni compongono. 243 IL RIPARTO DELLE COMPETENZE NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE pendenza del ricorso giurisdizionale - sino alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado, e dietro corresponsione di interessi da parte del contribuente; d) e nella possibilità (adesso riformulata dall‘art. 29, comma 1, lett. c, del D.L. n. 78/2010) di attivare eccezionalmente l‘immediata riscossione integrale delle imposte, interessi e sanzioni risultanti dagli accertamenti notificati al contribuente, ove sussista un ―fondato pericolo per il positivo esito della riscossione‖. Da questo complessivo quadro già emerge che l‘Agenzia delle Entrate (alla quale in maniera a mio avviso non del tutto appropriata viene ancora spesso attribuita la veste del ―creditore‖, nonostante non competa ad essa la titolarità dei proventi da riscuotere) non può in realtà esperire alcuna diretta azione esecutiva sui beni del contribuente; la giurisprudenza ha già in passato avuto occasione di affermare che le forme pubblicistiche di riscossione dei tributi sono inderogabili e non surrogabili dal ricorso ai mezzi di tutela offerti ai privati creditori19; e delle competenze sopra elencate hanno certamente un rilievo centrale - sul piano della concreta prassi operativa degli Uffici e della stessa esperienza giurisprudenziale quelle di cui alla superiore lett. b), essendo le altre in vario modo assorbite da altre concorrenti misure, o comunque scarsamente esercitate dagli Uffici. In particolare, la disciplina delle misure conservative adottabili prima della notificazione dell‘avviso di accertamento (e di cui alla precedente lett. a) ha trovato sempre minori applicazioni pratiche dopo l‘entrata in vigore del complesso procedimento di cui all‘art. 22, D.Lvo n. 472/1997, e (soprattutto) dopo l‘attribuzione (ad opera del D.lvo n. 46/1999) anche agli agenti della riscossione del potere di procedere, in base al ruolo, ad iscrizioni ipotecarie e al fermo dei beni mobili registrati. L‘esistenza di una sostanziale corrispondenza nel duplice ordine di misure conservative adottabili sia dall‘ente impositore che dagli agenti della riscossione è stata ulteriormente accentuata nel momento in cui l‘area di operatività di quelle del primo tipo è stata estesa (ad opera dell‘art. 27 del D.L. n. 185/2008) anche alle imposte ed ai relativi interessi, al contempo precisandosi che esse ―…conservano, senza bisogno di alcuna formalità o annotazione la loro validità e il loro grado a favore dell‘agente della riscossione che ha in carico il ruolo…‖. Ed è in prospettiva da chiedersi se, volendosi mantenere e valorizzare la possibilità di attivare misure conservative anche prima della notificazione dell‘accertamento, non sarebbe preferibile attribuire la 19 Cfr., ad esempio, Cass. 6 novembre 2006, n. 23631. In senso contrario (ma in termini a mio avviso non condivisibili), cfr. BOLETTO, Il ruolo di riscossione nella dinamica del prelievo delle entrate pubbliche, Milano, 2010, p. 40 ss.. 244 IL RIPARTO DELLE COMPETENZE NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE relativa competenza direttamente agli agenti della riscossione, al contempo rivedendo l‘intera disciplina di queste particolari misure. Quanto alla disciplina (di cui alla superiore lett. c) della c.d. ―sospensione amministrativa‖ della riscossione, essa rappresenta un ormai superfluo relitto di quello che in passato era un rimedio giustiziale amministrativo riservato all‘Intendente di Finanza; ed è stata nel corso degli anni devitalizzata, e/o sostanzialmente assorbita, a seguito dell‘attribuzione al giudice tributario di poteri di tutela cautelare in favore del contribuente, agli Uffici tributari di un più generale potere di sospendere in autotutela gli effetti degli atti da essa ritenuti illegittimi o infondati20, e agli agenti della riscossione del potere di concedere rateazione degli importi iscritti a ruolo. Parimenti marginale sembra essere, sul piano delle concrete prassi operative degli Uffici, la competenza (di cui alla superiore lettera d) relativa alla possibilità di avviare riscossioni provvisorie straordinarie per l‘intero importo delle imposte, interessi e sanzioni risultanti dagli avvisi di accertamento. L‘esperienza giurisprudenziale evidenzia infatti che ad esse si è sinora fatto ricorso con pressoché esclusivo riferimento ai ruoli emessi nei confronti di contribuenti assoggettati a procedure concorsuali, e per consentire agli agenti della riscossione di procedere all‘insinuazione al passivo dei relativi carichi, più che per fronteggiare veri ―pericoli‖ per la riscossione. Ed è da chiedersi se l‘efficiente esercizio di questa facoltà non dovrebbe e potrebbe trovare impulsi ed orientamenti dagli uffici che concretamente operano la riscossione, e sono quindi maggiormente in grado di valutare la sussistenza o meno di un ―fondato pericolo‖ per il positivo esito della medesima. Prestando quindi preminente attenzione alle (effettivamente rilevanti) competenze di cui alla superiore lett. b), è superfluo ricordare come sia stato in passato convincimento diffuso che ai concessionari della riscossione fossero devoluti compiti meramente attuativi ed esecutivi del provvedimento (ruolo) con il quale la riscossione coattiva veniva disposta, sino a contrarie determinazioni da parte degli Uffici emittenti del ruolo, da formalizzarsi in appositi provvedimenti di sospensione (amministrativa) della riscossione o di sgravio dal ruolo21; e non vi è dubbio che le nuove norme sugli 20 …ad opera dell‘art. 1, quater, comma 1 bis, della L. n. 656/1994, introdotto dall‘art. 27 della L. 18/2/1999, n. 28. 21 Il rigore di questa posizione è stato tuttavia recentemente non poco attenuato dalla Direttiva di Equitalia S.p.a. del 6/5/2010, n. 10, con la quale, rilevata ―…la necessità di migliorare sensibilmente la relazione con i debitori iscritti a ruolo…‖, e l‘esistenza di ―…disfunzioni a monte della nostra operatività…‖, si è disposto che, ―…pur in assenza di provvedimento dell‘ente creditore…‖, gli agenti della riscossione dovranno ―…immediatamente sospendere ogni ulteriore iniziativa finalizzata alla 245 IL RIPARTO DELLE COMPETENZE NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE accertamenti esecutivi (non certo a caso rubricate in termini di ―Concentrazione dell‘accertamento nella riscossione‖) a prima vista mirino a confermare e ad avvalorare proprio l‘idea della centralità dei poteri decisionali dell‘Agenzia delle Entrate (anche) in materia di riscossione coattiva dei tributi. Se, tuttavia, si procede ad un più attento esame dei contenuti effettivi sia delle norme preesistenti che di quelle adesso introdotte, le certezze possono non poco incrinarsi; ed in particolare induce ad una ben più riduttiva visione di questa specifica competenza amministrativa un triplice ordine di considerazioni. a) Appare anzitutto impropriamente evocata la nozione dell‘‖esecutività‖ dell‘accertamento, come mera conseguenza del decorso di sessanta giorni dalla sua notificazione, se si considera che quella ―esecutività‖, non solo viene automaticamente e drasticamente ridimensionata nel caso in cui il contribuente abbia proposto tempestivo ricorso, ma non può comunque essere in alcun modo azionata sinchè la riscossione non è affidata in carico all‘agente della riscossione. Non si vede, cioè, come possa validamente qualificarsi ―esecutivo‖ un atto prima che il suo contenuto dispositivo sia eseguibile; e penso che molto più felicemente sarebbe stata espressa l‘effettiva portata precettiva della norma se si fosse detto che l‘accertamento diviene ―esecutivo‖ quando, e nella misura in cui, il ―carico‖ viene affidato all‘agente della riscossione; che in realtà è il solo soggetto legittimato all‘espropriazione forzata amministrativa dei beni del contribuente, ed all‘adozione delle misure a ciò specificamente correlate. Probabilmente, nell‘impropria attribuzione del connotato dell‘―esecutività‖ all‘avviso di accertamento del tributo occorre quindi ravvisare un residuo retaggio, ormai meramente verbale, degli assetti riscossione della somma iscritta a ruolo…‖, in alcune eccezionali ipotesi tassativamente specificate, ed a fronte di documentata richiesta da parte del contribuente. Al contempo, i comportamenti operativi degli agenti della riscossione sono stati definiti disponendo che ―…entro i successivi dieci giorni, dovrete, inoltre, trasmettere all‘ente creditore la documentazione consegnataVi dal debitore, al fine di ottenere conferma, o meno, dell‘esistenza delle ragioni di quest‘ultimo e richiedere, in caso affermativo, la sollecita trasmissione della sospensione o dello sgravio ai Vostri sistemi informativi. Dovrete , infine, avvertire l‘ente creditore che in caso di silenzio dei suoi Uffici, le azioni volte al recupero del credito rimarranno comunque sospese…‖. Tende così ad emergere, nella concreta prassi operativa degli Uffici, una forma di ―sospensione amministrativa della riscossione‖ direttamente esercitabile dall‘agente della riscossione. 246 IL RIPARTO DELLE COMPETENZE NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE normativi di un passato nel quale la riscossione coattiva dei tributi era ancora affidata a privati esattori, fondamentalmente modellata sulla falsariga dell‘esecuzione forzata processualcivilistica, e priva della vasta serie di poteri pubblicistici di coazione diretta ed indiretta dei quali oggi dispongono gli agenti della riscossione. E, comunque, la legittimazione degli agenti della riscossione all‘esercizio delle loro competenze per la riscossione dei tributi non dipende certo dalla magica formuletta dell‘esecutività ex lege dell‘accertamento, ma piuttosto dal distinto atto di ―affidamento in carico‖ agli agenti della riscossione del compito di procedere alla riscossione di quel che gli Uffici dell‘accertamento ritengono riscuotibile. b) Il fatto poi che la legge disponga che gli accertamenti debbano contenere l‘espressa avvertenza che ―…decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme richieste… è affidata in carico all‘agente della riscossione…‖, non implica a mio avviso alcun effettivo automatismo, e non dovrebbe escludere che quell‘‖affidamento‖ possa avvenire anche successivamente, né che il contribuente possa validamente effettuare dei versamenti diretti (pur se maggiorati degli interessi moratori) a decorso avvenuto di quell‘arco temporale. A tal proposito, anzi, l‘introduzione 22 della sospensione ope legis per centottanta giorni della possibilità che l‘agente della riscossione proceda all‘esecuzione forzata - ove l‘accertamento sia stato impugnato da parte del contribuente (e sia stata in ricorso richiesta la sospensione della riscossione) - rende ragionevolmente auspicabile l‘affermarsi di una prassi amministrativa contraria, almeno in tali casi, ad ogni immediatezza nell‘affidamento dei carichi all‘agente della riscossione. c) La legge infine precisa espressamente che i carichi vengono affidati all‘agente della riscossione ―…anche ai fini dell‘esecuzione forzata…‖, e non perché ad esecuzione forzata debba subito e necessariamente procedersi. Questa puntualizzazione normativa dipende chiaramente dalla pluralità degli strumenti di coazione diretta ed indiretta dei quali gli agenti della riscossione possono in atto avvalersi per indurre il contribuente al pagamento delle somme dovute, e denota anche la volontà di lasciare all‘agente della riscossione medesima la scelta delle soluzioni più idonee alla fini del buon esito della riscossione medesima. In sintesi, le competenze proprie dell‘Agenzia delle Entrate, in punto di riscossione delle imposte scaturenti dai suoi accertamenti, sostanzialmente si fermano al piano della quantificazione degli importi riscuotibili (a titolo provvisorio o definitivo), e a quello della trasmissione degli atti (a mezzo, sembra, di un apposito ―estratto‖ 22 …ad opera dell‘art. 7, comma 2, n. 3, del D.L 13 maggio 2011, n. 70. 247 IL RIPARTO DELLE COMPETENZE NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE dell‘avviso di accertamento 23) all‘agente della riscossione, per l‘esercizio delle competenze propriamente operative che ad esso sono attribuite dalla legge; e l‘‖affidamento del carico‖ all‘agente della riscossione non appare in alcun modo riconducibile ad un negozio di diritto privato (e tanto meno ad un ―mandato‖) in quanto esercizio di un potere pubblicistico di impulso non dissimile da quello di avanzare ―proposte‖ negli ordinari procedimenti amministrativi; ed evento che poi, ope legis (e sino a contrarie determinazioni da parte del giudice o dell‘ente impositore), di per sé legittima l‘esercizio (nel rispetto dei fondamentali principi di proporzionalità, efficienza, trasparenza, imparzialità, ecc.) dei poteri propri che all‘agente della riscossione sono conferiti direttamente dalla legge. 3. ….e quelle degli agenti della riscossione. Quanto alle competenze proprie degli agenti della riscossione, esse appaiono fondamentalmente costituite, oltre che dalla possibilità di procedere all‘esecuzione forzata (mobiliare, immobiliare, presso terzi, ecc.), anche da quelle di concedere rateazioni dei pagamenti e di disporre misure lato sensu conservative (iscrizione di ipoteca, fermo dei veicoli registrati), e di esercitare taluni poteri di indagine finalizzati allo svolgimento dei loro compiti istituzionali. Ed a questi profili disciplinari occorre adesso aggiungere anche le incombenze (sulle quali in realtà le nuove norme nulla dicono) relative alle strade che dovranno in futuro seguirsi in materia di sgravi e rimborsi delle somme versate sulla base degli accertamenti ―esecutivi‖. In generale, e sempre sul versante dell‘attività degli agenti della riscossione, l‘innovazione di maggior rilievo derivante dalle nuove norme sugli ―accertamenti esecutivi‖ è certamente costituito dall‘essere stato espressamente previsto che essi potranno in futuro procedere all‘espropriazione forzata, ―...senza la preventiva notifica della cartella di pagamento…‖. Ed è convincimento diffuso che gli agenti della riscossione potranno quindi operare il pignoramento dei beni del contribuente come mera conseguenza dell‘ ―affidamento del carico‖ e senza necessità di alcun preliminare adempimento. Non nego, ovviamente, che proprio questo sia stato il presumibile intendimento degli estensori della norma. Ma mi sembra auspicabile che di questa disposizione (a pena di incostituzionalità del suo contenuto) si affermi una interpretazione restrittiva; nel senso di escludere (appunto) la necessità della generalizzata notificazione di 23 Ciò indirettamente risulta dall‘art. 7, comma 2, n. 4 del D.L. n. 70/2011, ove si prevede che ―ai fini dell‘espropriazione forzata l‘esibizione dell‘estratto dell‘atto di cui alla lettera a), come trasmesso all‘agente della riscossione con le modalità determinate con il provvedimento di cui alla lettera b), tiene luogo, a tutti gli effetti, dell‘esibizione dell‘atto stesso in tutti i casi in cui l‘agente della riscossione ne attesti la provenienza‖. 248 IL RIPARTO DELLE COMPETENZE NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE una ―cartella di pagamento‖; ma non anche l‘esigenza di una preliminare comunicazione del ―carico‖ che è stato affidato all‘agente della riscossione, ovvero della notificazione dell‘‖intimazione di pagamento‖ ex art. 50, DPR n. 600/1973, quando si intendano avviare procedimenti esecutivi sui beni del contribuente. Ed indicherei in tal senso un molteplice ordine di ragioni. a) Può anzitutto farsi discendere dall‘art. 97 Cost., dalle complessive esigenze di buon andamento e trasparenza dell‘azione amministrativa, e dalla stessa diversità delle competenze proprie degli Uffici dell‘accertamento e di quelli della riscossione, la necessità che il contribuente venga reso preliminarmente edotto dell‘an e del quantum dei carichi per i quali l‘agente della riscossione intende procedere al pignoramento dei suoi beni, nonché del responsabile del procedimento che è stato a tal fine avviato, e presso il quale possono ottenersi gli opportuni chiarimenti. b) Questa esigenza conoscitiva non può dirsi soddisfatta dall‘intimazione al pagamento già contenuta nell‘avviso di accertamento ―esecutivo‖; e ciò in considerazione sia dei possibili vizi di notifica dell‘accertamento, sia dell‘eventuale pluralità degli accertamenti notificati ad uno stesso contribuente e dei titoli in genere che possono essere posti a base di una unitaria espropriazione forzata, dei mutamenti quantitativi che sull‘ammontare delle somme riscuotibili possono essere intervenuti dopo la notificazione dell‘accertamento ―esecutivo‖ come conseguenza di acquiescenze parziali ad esso, degli altrettanto parziali versamenti diretti che possono essere stati effettuati dal contribuente, della maturazione di interessi moratori, ecc.. c) La decisione di procedere all‘esecuzione forzata amministrativa (particolarmente in materia di riscossioni provvisorie), in quanto normalmente espressione di una scelta tra modalità satisfattive dell‘interesse pubblico diversamente incidenti sulla sfera patrimoniale del contribuente (e tra le quali dovrebbero sempre annoverarsi le garanzie negoziali da esso eventualmente offerte), dovrebbe per ciò stesso essere sempre formalizzata in apposito provvedimento debitamente motivato, esorbitando essa dagli effetti propri dell‘accertamento ―esecutivo‖. d) L‘essere stata espressamente prevista (nello stesso art. 29, lett. e del D.L. n. 78/2010) l‘obbligatorietà della notificazione dell‘intimazione di pagamento ex art. 50, DPR 602/1973 quando l‘agente della riscossione procede ad espropriazione forzata dopo il decorso di un anno dalla notifica dell‘accertamento, lungi dall‘attenuare, acuisce i dubbi di costituzionalità della disciplina, in quanto determina irrazionali disparità di trattamento a, parità di situazioni di fatto, in dipendenza delle accidentali circostanze che possono avere fatto seguito alla notificazione dell‘accertamento, e 249 IL RIPARTO DELLE COMPETENZE NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE remorato i tempi dell‘ esecuzione forzata (presentazione di istanza di accertamento con adesione, presentazione del ricorso alla Commissione Tributaria, ecc.). e) E l‘essere stato stabilito (dalla successiva lett. g dello stesso articolo) che la dilazione di pagamento ex art. 19, DPR 602/1973, ―…può essere concessa solo dopo l‘affidamento del carico all‘agente della riscossione…‖ (e non anche immediatamente dopo la notificazione dell‘accertamento esecutivo) di per se stesso richiede che quanti possono e vogliono beneficiare di questa misura abbiano notizia di tale ―affidamento‖ prima (e non dopo) l‘avvio dell‘esecuzione forzata, essendo la dilazione dei pagamenti di per se stessa volta proprio a prevenire ed evitare l‘esecuzione forzata. A quest‘ultimo proposito, va anzi segnalato che, se è stato comprensibilmente disposto che la dilazione dei pagamenti può essere ―concessa‖ solo dopo l‘affidamento del carico all‘agente della riscossione (essendo ad esso rimessa la valutazione dell‘esistenza o meno dei relativi presupposti), nulla però dovrebbe ostare alla possibilità che la relativa istanza venga dal contribuente avanzata immediatamente dopo la notificazione dell‘avviso di accertamento, per il tramite della stessa Agenzia delle Entrate. Ed in tal caso l‘esame, e l‘eventuale rigetto, dell‘istanza medesima, da parte dell‘agente della riscossione, dovrebbero comunque precedere l‘avvio dell‘esecuzione forzata. In definitiva, venuti meno il ruolo e la cartella di pagamento, dovrebbe restare comunque ferma l‘esigenza che l‘eventuale ricorso all‘esecuzione forzata amministrativa venga preceduta dalla formale comunicazione, al contribuente, dell‘avvio del procedimento di riscossione coattiva dei ―carichi‖ derivanti da accertamenti esecutivi. Sarebbe anzi auspicabile che ciò fosse chiarito con espresse disposizioni normative. Ritengo che l‘onere di tale adempimento dovrebbe essere posto a carico dell‘agente della riscossione, in quanto naturale corollario della sua decisione di procedere, appunto, ad espropriazione forzata; e penso che il regime sostanziale e processuale di tale atto, in quanto vero e proprio provvedimento ablativo, dovrebbe corrispondere a quello sinora riservato (appunto) al ruolo ed alla cartella di pagamento. 4. Il riparto delle competenze in materia di rimborsi conseguenti agli esiti del contenzioso sugli ―accertamenti esecutivi‖. Le nuove norme nulla espressamente dicono sui provvedimenti che debbono essere adottati nei casi in cui l‘accertamento esecutivo, e affidato in carico all‘agente della riscossione, venga in tutto o in parte annullato dal giudice tributario; questo silenzio può forse imputarsi al 250 IL RIPARTO DELLE COMPETENZE NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE convincimento che, venuto meno il ruolo, debba anche ritenersi automaticamente superata l‘esigenza dell‘emissione di provvedimenti di sgravio nei casi di esito positivo per il contribuente delle controversie sull‘accertamento; e ordini di idee di questo tipo (sostanzialmente fondati sull‘equiparazione degli effetti della sentenza di annullamento dell‘accertamento, a quelli del vero e proprio sgravio dal ruolo) non dovrebbero suscitare particolari problemi nei casi in cui nulla è stato versato dal contribuente (a parte il quesito, squisitamente processualistico, relativo alla necessità di stabilire se, ai fini dell‘opponibilità all‘agente della riscossione della sentenza di annullamento dell‘accertamento esecutivo, questi debba o meno essere stato parte in causa nella relativa controversia). Il discorso diviene invece più delicato nei casi in cui, per effetto della sentenza del giudice tributario, competa al contribuente (ai sensi dell‘art. 68, D.Lvo 546/1992) il rimborso degli importi versati a titolo provvisorio24. Sinora, le prassi amministrative in questo campo sono state nel senso della doverosità della determinazione da parte degli enti impositori sia dell‘an che del quantum degli importi da rimborsare, del conseguente sgravio dai ruoli degli importi medesimi, e della successiva erogazione delle somme al contribuente da parte dell‘agente della riscossione al quale esse erano state corrisposte. De iure condito, sembra che tali soluzioni operative dovrebbero essere tenute ferme (malgrado la soppressione del ruolo), indipendentemente dall‘essere stati effettuati i pagamenti prima o dopo l‘affidamento del carico all‘agente della riscossione, dovendosi rimettere all‘Ente impositore la valutazione dei riflessi della pronuncia giudiziale (concernente l‘avviso di accertamento) sui rimborsi da effettuare; e sarebbe anzi a tal proposito auspicabile che le modalità tecniche del pagamento mediante ―versamento diretto‖ fossero espressamente estese anche ai pagamenti del secondo tipo, in modo da uniformare (in fase di rimborso) il regime di tutti i pagamenti ―provvisori‖ comunque effettuati dal contribuente, escludendo ogni rilevanza alle imputazioni effettuate dagli agenti della riscossione ai sensi dell‘art. 31, DPR 602/197325. 24 In senso critico sul silenzio delle nuove norme riguardo al ―…tema delicatissimo del rimborso dell‘imposta indebita la cui disciplina ora vigente è assai insoddisfacente…‖, cfr. FALSITTA, Manuale di diritto tributario, vol. I, 7^ ediz., Padova, 2010, p. 463. 25 Invero, in tale articolo sono sancite regole legali di imputazione dei pagamenti la cui applicazione è di fatto rimessa agli agenti della riscossione e che, proprio per la loro divergenza dalle regole vigenti nel campo dei versamenti diretti, possono essere fonte di disfunzioni ed inconvenienti, particolarmente nel campo delle riscossioni provvisorie e dei relativi rimborsi. 251 IL RIPARTO DELLE COMPETENZE NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE Resta tuttavia il fatto che l‘an ed il quantum dei rimborsi da effettuare al contribuente saranno in futuro sempre maggiormente condizionati anche da una molteplice serie di eventi diversi dal contenuto della sentenza, specificamente attinenti proprio alla fase della riscossione26, e potenzialmente suscettibili di incidenza sui compensi spettanti ai relativi agenti; è per tali aspetti ragionevolmente prevedibile una rivendicazione di competenza degli uffici della riscossione medesima a far valere la regolarità del proprio operato, anche nei confronti dei contribuenti; e non è quindi da escludere l‘affermarsi di orientamenti volti ad attribuire proprio agli agenti della riscossione aree più o meno vaste di poteri decisionali nella quantificazione degli importi da rimborsare ai contribuenti. De iure condendo, sarebbe quindi auspicabile che queste incertezze fossero fugate sancendo con chiarezza la competenza esclusiva dell‘uno o dell‘altro ufficio all‘effettuazione dei rimborsi degli importi pagati a titolo provvisorio, indipendentemente dal momento e dai modi in cui essi sono stati effettuati, e anche dall‘essere stati o meno adottati provvedimenti di discarico da parte dell‘Ente impositore. 5. Osservazioni conclusive – Al termine di queste veloci riflessioni, penso di poter osservare che, se si guarda alla sostanza degli assetti normativi (andando oltre i non del tutto appropriati modi e termini nei quali essi sono stati prospettati dal legislatore), le nuove norme sugli accertamenti esecutivi, lungi dal dar vita ad una vera ―concentrazione‖ della riscossione nell‘accertamento, costituiscono una tappa di non poco rilievo nella direzione, al contrario, proprio della distinzione tra le funzioni dell‘accertamento e della riscossione amministrativa delle imposte, nonchè delle competenze degli Uffici preposti allo svolgimento delle relative attività27. Si sono cioè unificati gli atti (avviso di accertamento e ruolo) sinora propedeutici alla riscossione, in una prospettiva di semplificazione e alleggerimento delle residuali competenze esattive ancora riservate agli Uffici dell‘accertamento; ma si sono anche in tal modo ulteriormente avvalorate la relativa autonomia funzionale della riscossione rispetto all‘accertamento, e la specificità dei poteri propri degli Uffici della riscossione in punto di prevenzione e contenimento dell‘‖evasione dalla riscossione‖, oltre che di tutela dell‘interesse 26 Basti pensare alle implicazioni delle dilazioni di pagamento (con relativi interessi) ottenute dal contribuente, delle compensazioni eventualmente operate dagli agenti della riscossione, dell‘addebito più o meno corretto di interessi moratori, ecc. 27 Per maggiori notazioni sulla distinzione, e relativa autonomia funzionale, delle attività relative all‘accertamento e alla riscossione dei tributi, rinvio a LA ROSA, Accordi e transazioni cit., p. 313 ss. 252 IL RIPARTO DELLE COMPETENZE NELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE pubblico alla ―sicura riscossione‖ degli importi dovuti dai contribuenti. Sullo sfondo, rimane comunque auspicabile, non solo che venga portato a sollecito compimento il processo di pubblicizzazione degli Uffici della riscossione, ma anche che nella disciplina dei rapporti tra essi e quelli dell‘accertamento possano trovare maggiore spazio i criteri solitamente seguiti nel diritto amministrativo generale per raccordare l‘operato di uffici preposti alla tutela di interessi pubblici diversi, ma reciprocamente interconnessi; ossia, che almeno nei casi più delicati l‘esercizio dei rispettivi poteri venga subordinato all‘acquisizione di preliminari pareri, formali proposte o incanalato in altri simili itinerari procedimentali. Ne guadagnerebbero la trasparenza e la complessiva efficienza dell‘azione amministrativa tributaria. 253 Prof. Antonio Lovisolo L‟attività accertativa mirata all‟“apri e chiudi societario” e al “mordi e fuggi reddituale” (artt. 23 e 24 l. n. 122/2010) INDICE: 1. Premessa. Le ragioni di una scelta legislativa. - 2. Art. 23 (imprese ―apri e chiudi‖): suo contenuto e inquadramento sistematico. - 2.1 La disposizione sulle imprese ―apri e chiudi‖ quale misura che si colloca nel più generale contrasto alle frodi IVA ed all‘esterovestizione in attuazione anche della previsione dell‘art. 37, comma 3, d.p.r. 1973, n. 600 e del concetto di ―interposizione fittizia‖ da esso accolto. - 2.2 L‘art. 23 D.L. n. 78/2010 (imprese ―apri e chiudi‖): principali aspetti applicativi. - 3. Art. 24 (imprese ―in perdita sistemica‖): suo contenuto e inquadramento sistematico. - 3.1 La disposizione sulle imprese in ―perdita sistemica‖ (art. 24) quale misura che si colloca nel più generale contrasto all‘indebito utilizzo delle perdite, sintomatico di un comportamento antieconomico del contribuente dietro al quale può celarsi l‘occultamento di base imponibile. - 3.2 L‘art. 24 D.L. n. 78/2010 (―imprese in perdita sistemica‖): principali aspetti applicativi. Le ―imprese individuali‖ e le ―grandi imprese‖. - 4. In conclusione. La valenza sistematiche degli articoli 23 e 24 D.L. n. 78/2010. La progressiva ―softwarizzazione‖ dei controlli amministrativi ha i propri limiti anche costituzionali e non può pregiudicare la ―individualizzazione‖ della ricostruzione reddituale del contribuente con particolare riferimento alla necessità della tutela del contraddittorio. 1. Premessa. Le ragioni di una scelta legislativa. Il D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (c.d. ―Manovra 2010‖), conv. con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, ed in vigore dal 31 luglio 2010, ha previsto, al titolo II, diverse disposizioni (artt. da 18 a 39) volte a contrastare espressamente ―l‘evasione fiscale e contributiva‖, tra le quali si possono ricordare esemplificativamente: la riduzione a 5.000 euro del limite per il pagamento in contanti e per i libretti al portatore (art. 20); la comunicazione telematica per operazioni soggette ad IVA pari o superiore a 3.000 euro (art. 21); la ritenuta d‘acconto del 10% trattenuta sui bonifici effettuati in favore delle imprese che hanno realizzato lavori per i quali il soggetto beneficiario intende fruire della detrazione del 36% (ristrutturazioni edilizie) o del 55% (bonus risparmio energetico) (art. 25), oltre al L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) potenziamento dell‘azione accertatrice attraverso l‘aggiornamento dell‘accertamento sintetico (art. 22) e la previsione della concentrazione della riscossione nell‘accertamento (art. 29). Oltre alle norme sopra ricordate, il D.l. n. 78/2010 ha introdotto due disposizioni rivolte al ―contrasto al fenomeno delle imprese «apri e chiudi»‖ (art. 23) ed al ―contrasto al fenomeno delle imprese in perdita «sistemica»‖ (art. 24). In entrambe le norme si rinviene la volontà del legislatore di elevare a specifico oggetto della Programmazione dell‘azione di controllo amministrativo comportamenti del contribuente considerati ―antieconomici‖ ritenuti sintomo di ―pericolosità fiscale‖. In particolare, (anche in proposito) il suo comportamento (ritenuto) ―antieconomico‖ fa assumere al contribuente una posizione di ―disfavore‖ nei confronti della Amministrazione Finanziaria che si traduce (in questo caso) nel suo inserimento in programmi di controllo sia da parte delle Agenzie fiscali che dell‘INPS: inserimento dal quale, tuttavia, non necessariamente consegue una effettiva attività di monitoraggio, di ispezione e di accertamento. E‘ certo, comunque, che, se a tali comportamenti ―antieconomici‖ dovesse effettivamente far seguito una attività accertativa, il contribuente sarebbe chiamato non tanto (e comunque non solo) a giustificare le ragioni economiche-gestionali riconnesse all‘―apri e chiudi‖ dell‘impresa ed alla sua gestione costantemente in perdita, quanto a dimostrare che a tale gestione non si accompagna alcun occultamento di base imponibile. Ed infatti, pur muovendo l‘attività accertativa dagli indici di programmazione indicati, in realtà essa può avere ad oggetto anche componenti reddituali o, più in generale, ―comportamenti‖ del contribuente del tutto estranei ai fatti storici indicati, quali elementi di segnalazione di una supposta ―pericolosità fiscale‖. In altre parole, la circostanza che venga a trovarsi nelle situazioni antieconomiche sopra delineate può far ricadere il contribuente nella diretta programmazione della attività di controllo, non certamente limitata alla verifica delle sole due indicate specifiche situazioni di ―pericolosità fiscale‖. Ciò premesso, v‘è da domandarsi cosa possa accadere, ove nel corso della verifica programmata ai sensi degli art. 23-24 cit. si riscontri che il verificato 256 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) in realtà non si trovava nelle situazioni di operatività degli indicati programmi di controllo (ad esempio per configurabilità degli esimenti di cui all‘art. 24). A mio giudizio a quel punto cadrebbe l‘obbligo dell‘effettuazione del controllo ―speciale‖. Pertanto la verifica potrebbe anche fermarsi. E‘ fatta salva ovviamente la possibilità che essa si ―converta‖ in verifica ―ordinaria‖. 2. Art. 23 (imprese “apri e chiudi”): suo contenuto e inquadramento sistematico. 2.1 La disposizione sulle imprese “apri e chiudi” quale misura che si colloca nel più generale contrasto alle frodi IVA ed all‟esterovestizione, in attuazione anche della previsione dell‟art. 37, comma 3, d.p.r. 1973, n. 600 e del concetto di “interposizione fittizia” da esso accolto. 2.1.1 L‘art. 23 D.L. n. 78/2010, prevedendo l‘effettuazione di controlli sulle imprese ―apri e chiudi‖, non ha introdotto una disposizione ―nuova‖, bensì ha elevato a rango normativo una prassi che da tempo la stessa Amministrazione aveva assunto con riferimento alla repressione delle ―frodi IVA‖: mi limito a ricordare, a titolo di esempio, che già nel 2000, con la Circ. n. 158/E-165648 del 7 agosto 2000, l‘Amministrazione finanziaria al fine di potenziare le attività di controllo da eseguire nei confronti dei contribuenti che effettuavano operazioni di import-export con la Repubblica di San Marino 1, indicava in base a quali criteri procedere alla selezione dei soggetti da monitorare, tra i cui indici di rischio era annoverata anche la ―ridotta vita operativa‖ delle società contribuenti. In tale circolare si poteva leggere come «l‘attività di controllo finora svolta dell‘Amministrazione finanziaria ha consentito l‘individuazione di alcuni meccanismi di evasione più ricorrenti2 nell‘interscambio commerciale italosammarinese (...). Le analisi effettuate sulla base delle attività di controllo finora svolte hanno posto in luce che i soggetti direttamente operanti 1 Disciplinate, in primis, dall‘art. 71 del D.P.R. n. 633/1972 secondo cui, da un lato, le cessioni di beni ad operatori Sammarinesi sono considerate assimilate alle esportazioni beneficiando del regime di non imponibilità, dall‘altro, nel caso di importazione in Italia di beni provenienti da San Marino il cessionario nazionale – soggetto passivo IVA – è tenuto agli adempimenti previsti dal comma 2 dell‘art. 17 D.P.R. n. 633/1972, per cui l‘imposta è dovuta dall‘acquirente nazionale, ed in terzo luogo, per i beni di provenienza estera che transitano per l‘Italia con destinazione San Marino, l‘IVA sarà assunta in deposito dalla dogana e rimborsata a San Marino successivamente all‘introduzione dei beni stessi nel suo territorio. 2 Attuate attraverso la ―falsa dichiarazione di intenti‖, l‘utilizzo di ―cartiere‖, la sovrafatturazione e sottofatturazione e l‘impiego di ―società filtro‖. 257 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) all’interno dei meccanismi di frode hanno in genere vita brevissima (da uno a tre anni al massimo); le società ―cartiere‖ e ―filtro‖ nascono infatti per la ―gestione‖ di un limitato numero di operazioni illecite e scompaiono, quindi, velocemente, rendendo difficoltosa l‘individuazione degli effettivi responsabili di fatti illeciti compiuti». Pertanto, è «necessario concentrare l‘attività di controllo sulle imprese per le quali il comportamento evasivo è fondatamente ipotizzabile ed appare maggiormente significativo (...) secondo parametri di rischio appositamente individuati dalle strutture locali di ―analisi e ricerca‖», selezionando quelle posizioni che «risultano interessate da più indici di rischio quali: (...) – acquisti da società ―filtro‖ cessate e/o fallite; – chiusura dell’attività dopo breve periodo dalla costituzione; (...) – variazione del numero di partita IVA (per cambio di domicilio fiscale – denominazione – attività – etc.) (...)»3. In particolare, la norma di contrasto di che trattasi (e la prassi interpretativa che l‘ha preceduta) è il frutto della ―esperienza‖ che la stessa Agenzia delle Entrate ha potuto acquisire in materia di ―frodi carosello‖ e, più in generale, in materia di evasione IVA negli scambi comunitari, nella quale è normalmente riscontrabile un ―missing trader‖ (soggetto interposto) rappresentato da un‘impresa che ―sparisce nel nulla‖ dopo aver effettuato acquisti (intracomunitari) e le successive vendite (nazionali), intascando l‘IVA senza versarla4. Anzi, è interessante rilevare che, per contrastare tale fenomeno evasivo, l‘Agenzia delle Entrate ha potenziato l‘attività di prevenzione alle frodi attraverso l‘impiego (inizialmente, in via sperimentale) di applicazioni informatiche volte alla c.d. ―analisi del rischio della partita IVA‖ 5, attivando 3 Il successivo 11 agosto 2000, il Ministero delle Finanze ―varava‖ ufficialmente la Circ. n. 158/2000 con un comunicato stampa nel quale dava atto dell‘intensificazione delle verifiche sulle imprese che concludono affari con la Repubblica di San Marino, affermando che «i controlli (...) saranno effettuati sulla base del tipo di irregolarità riscontrata. Per esempio, sotto il microscopio delle Finanze passeranno le aziende che non hanno versato l‘Iva da più anni, oppure le società che improvvisamente hanno aumentato il numero delle operazioni di import-export con San Marino. E ancora: le imprese che chiudono i battenti dopo un breve periodo di attività o quelle che registrano consistenti crediti Iva (...)». 4 Così si legge infatti nella Relazione tecnica di accompagnamento al D.L. n. 78\2010: ―L‘esperienza dei controlli fiscali conferma che tale categoria di contribuenti è a particolare rischio soprattutto di frodi (false fatturazioni o anche frodi ―carosello‖)‖. 5 Cfr. l‘―Indagine programmata dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato con deliberazione n. 1/2003/G del 2 gennaio 2003‖ effettuata dalla Corte dei Conti – Ufficio di controllo sulla gestione dei Ministeri economico finanziari – il 27 ottobre 2004 ed intitolata ―Effetti sul sistema di gestione dell‘IVA derivanti dal prolungarsi del regime provvisorio‖. Cfr. altresì gli atti del Convegno ―Le frodi IVA‖ tenutosi a Venezia il 12 maggio 2005 ed in particolare la relazione del Dott. Di Capua (allora Direttore Centrale Accertamento Agenzia delle 258 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) fin dal 2004 un metodo di ―analisi del rischio‖ da compiersi in sede di attribuzione del numero di partita IVA a persone fisiche, similmente alle prassi già sperimentate in Gran Bretagna e Belgio. Ed infatti, in considerazione di scenari evasivi in rapida evoluzione (il fenomeno europeo delle frodi carosello e in genere le frodi fiscali attuate attraverso false fatturazioni), le azioni di controllo preventivo svolte già in sede di rilascio della partita IVA a persone fisiche, avrebbero assunto una rilevanza fondamentale, costituendo il più efficace sistema di intervento tempestivo. Attraverso il metodo di ―analisi del rischio‖ l‘Amministrazione finanziaria ha introdotto l‘esame delle principali caratteristiche dell‘attività dei soggetti che avrebbero presentato la dichiarazione di inizio attività per ottenere un numero di partita IVA, identificando i potenziali soggetti ―irregolari‖, ed in particolare quelli potenzialmente ―fittizi‖ (missing trader), sulla base di elementi di criticità contenuti in una specifica check list6 quali ad esempio: «età superiore ai 60 o inferiore ai 20 anni; frequenti attivazione e chiusura in un breve lasso di tempo di partite IVA; frequenti cambi di residenza in un breve lasso di tempo; mancanza di dichiarazioni dei redditi ed IVA (compresa la comunicazione annuale) negli ultimi tre anni; richieste di rimborsi IVA; presenza di accertamenti notificati al soggetto e alle società rappresentate»7. Successivamente, il contrasto all‘impiego di società fittizie nelle frodi IVA attraverso l‘―analisi del rischio‖ in sede di apertura della partita IVA, è stato potenziato con la previsione dell‘art. 37, commi 18 e ss., del D.L. n. Entrate) intitolata ―L‘attività della Agenzia delle Entrate per la prevenzione ed il contrasto dell‘elusione e delle frodi‖. 6 Inoltre, gli Uffici avrebbero anche valutato se, a prima vista, il nome/ragione sociale della ditta è incoerente con l‘attività svolta, se il nome della nuova ditta è di fantasia, in lingua straniera o se riporta il nome dei titolari, se l‘indirizzo è residenziale o abitativo, se la sede corrisponde all‘abitazione del titolare o se presso quella sede hanno sede altre ditte; il tipo di attività svolta con particolare attenzione a quelle più sensibili quale il commercio di computer, di telefoni, di auto, di carni, ecc.; se la richiesta della partita iva è stata effettuata prima dell‘inizio dell‘attività; se il contribuente ha legami con altri soggetti IVA o se è già rappresentante di altre ditte; se il titolare dell‘attività è residente all‘estero; se il contribuente ha posto la sede dell‘attività presso il depositario delle scritture o presso un commercialista od un altro soggetto terzo; se il titolare ha una posizione reddituale apparentemente anormale (cfr. l‘―Indagine‖ della Corte dei Conti del 24 ottobre 2004 cit.). 7 Cfr. Di Capua, ―L‘attività della Agenzia delle Entrate per la prevenzione ed il contrasto dell‘elusione e delle frodi‖, cit. secondo il quale «l‘analisi del rischio sull‘attribuzione della partita IVA costituisce lo strumento più tempestivo in assoluto per la prevenzione dei fenomeni di frode, in quanto - come si evince dalla prassi operativa - incide sui primi passi dell‘attività economica che un soggetto intende svolgere ed appare, pertanto, particolarmente adatto a contrastare soggetti che si dimostrano decisamente rapidi nell‘attuare strategie di frode». 259 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) 223/2006 (―Decreto Visco-Bersani‖) che all‘art. 35 del D.P.R. n. 633/1972, ha inserito il comma 15-bis (secondo cui «l‘attribuzione del numero di partita IVA determina la esecuzione di riscontri automatizzati per la individuazione di elementi di rischio connessi al rilascio dello stesso nonché l‘eventuale effettuazione di accessi nel luogo di esercizio dell‘attività...») ed il comma 15-ter, che rimandava all‘adozione di uno specifico provvedimento del Direttore dell‘Agenzia delle Entrate l‘individuazione delle specifiche informazioni da richiedere all‘atto della dichiarazione di inizio attività e delle tipologie di contribuenti per il quali l‘attribuzione del numero di partita IVA avrebbe determinato la possibilità di effettuare gli acquisti intracomunitari (art. 38 D.P.R. n. 633/1972), subordinatamente al rilascio di polizza fideiussoria o fideiussione bancaria per la durata di tre anni dalla data del rilascio e per un importo rapportato al volume d‘affari presunto e comunque non inferiore a 50.000 euro. Mi sembra significativo ricordare che, per dare attuazione alla previsione del comma 15-ter dell‘art. 35 cit., è stato emanato il Provvedimento del 21 dicembre 2006 del Direttore dell‘Agenzia delle Entrate, nel quale è stato affermato che «le disposizioni del presente provvedimento rispondono all'esigenza di rendere più incisiva l'azione di prevenzione nei confronti dei fenomeni di evasione e di frode, creando appositi filtri nella fase di attribuzione della partita IVA, idonei a far emergere con tempestività i soggetti con un profilo da meri «prestanome». Si prevede che la richiesta di informazioni specifiche8 sulla posizione del soggetto richiedente la partita IVA e sull'attività da svolgere, fissando criteri reali di individuazione di elementi essenziali per l'attività, risulterà di per sé un valido strumento di deterrenza e di possibile riduzione di parte delle richieste non ponderate correttamente dal richiedente». Pertanto, se con la Circ. n. 158/2000 la riscontrata esistenza di imprese ―apri e chiudi‖ rappresentava indubbiamente un indice di una possibile evasione, successivamente, e con il decreto Visco Bersani (D.L. n. 223/2006), l‘Amministrazione finanziaria ha tentato di prevedere già in sede del rilascio della partita IVA il possibile proliferare di società costituite solamente per compiere attività evasive e poi sparire immediatamente, tenendo conto che, secondo la circ. n. 6/E del 25 gennaio 2008, infatti, «al fine di garantire la natura preventiva dell‘azione che mira ad intercettare i soggetti 8 Tra le quali (secondo il Provvedimento 21 dicembre 2006 cit.), l‘indicazione dell‘ammontare annuo degli acquisti e delle cessioni che si prevede di effettuare nei confronti di operatori dell‘Unione europea e, per alcune tipologie di attività a maggior rischio frode (tra cui quella, come si vedrà infra, nel settore dell‘edilizia), l‘indicazione degli investimenti previsti nel primo anno di attività ed il valore complessivo degli investimenti in beni strumentali già effettuati: evidentemente, il rapporto tra l‘ammontare degli investimenti compiuti ed il tipo di attività intrapresa avrebbe rappresentato un indice della potenziale durata della stessa attività. 260 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) potenzialmente pericolosi nelle primissime fasi di svolgimento dell‘attività, i controlli andranno eseguiti nei confronti di coloro che hanno aperto la partiva IVA da breve tempo», considerando altresì che «tra le attività di prevenzione e contrasto alle frodi IVA, viene confermata (...) l‘attività di intelligence diretta ad individuare quei soggetti richiedenti nuove partite iva che presentano elevati indici di pericolosità fiscale. La chiusura delle partite IVA ha notevoli effetti anche in ambito comunitario, dove vengono rese note la cessazione del soggetto e la sua inidoneità ad effettuare operazioni intracomunitarie». 2.1.2 Ciò premesso, la disposizione sulle ―imprese apri e chiudi‖ (art. 23) può essere sistematicamente collegata anche con altre disposizioni che il medesimo D.L. n. 78/2010 ha dettato in relazione alla repressione delle frodi IVA, quale, ad esempio, l‘art. 27 che ha previsto nuovi adempimenti a cui sono tenuti coloro che intendano effettuare operazioni intracomunitarie (tra cui, la comunicazione dell‘intenzione di effettuare tale tipo di operazioni all‘atto dell‘apertura della partita IVA, la soggezione al possibile diniego di autorizzazione da parte dell‘Amministrazione finanziaria e l‘inserimento, mediante censimento, nella banca dati dei soggetti passivi che effettuano operazioni intracomunitarie, ai fini del contrasto alle frodi sull‘IVA comunitaria)9. Inoltre, sempre in un‘ottica ―antifrode‖, accanto alla disposizione sull‘art. 23 sulle imprese ―apri e chiudi‖ il D.L. n. 78/2010 ha anche introdotto all‘art. 21 (―Comunicazioni telematiche all‘Agenzia delle Entrate‖) «l‘obbligo di comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini IVA, di importo pario o superiore a 3.000 euro. Tale disposizione mira a rafforzare gli strumenti a disposizione dell‘amministrazione finanziaria per il contrasto e la prevenzione dei comportamenti fraudolenti soprattutto in materia IVA (frodi Carosello e false fatturazioni) ma anche in ambito di imposizione sul reddito» (così la Relazione di accompagnamento al D.L. n. 78/2010). Ancora, la misura prevista dall‘art. 23 presenta altresì punti di contatto con la previsione contenuta nell‘art. 25 del D.L. n. 78/2010 il quale ha introdotto una ritenuta d‘acconto del 10% che Banche e Poste Italiane S.p.A. devono operare all‘atto dell‘accredito di pagamenti relativi a bonifici disposti dai 9 Art. 27 da leggere unitamente a quanto era già stato previsto dal D.L. 25 marzo 2010, n. 40, convertito con modificazioni nella L. n. 73/2010. (c.d. ―decreto incentivi‖), con il quale sono state varate misure che si pongono come obiettivo espresso (art. 1) il ―contrasto alle frode fiscali e finanziarie internazionali e nazionali operate, tra l‘altro, nella forma dei cosiddetti «caroselli» e «cartiere»‖, le quali prevedono, in linea di massima, adempimenti di comunicazione in relazione alle operazioni, attive e passive, che i soggetti residenti pongono in essere con residenti o domiciliati in Stati o territori black list. 261 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) contribuenti per beneficiare di oneri deducibili o per i quali spetta la detrazione d‘imposta. E‘ notoria d‘altronde l‘esistenza di frodi perpetrate da imprese che, eseguiti lavori di ristrutturazione edilizia commissionati da contribuenti che hanno beneficiato della relativa agevolazione del 36%10, una volta fatturati regolarmente i lavori ed incassati i compensi, non li dichiarano, scomparendo attraverso la cessazione dell‘attività. Il monitoraggio (preventivo) sulle imprese ―apri e chiudi‖ e la ritenuta d‘acconto da applicare nel caso di bonifici emessi per beneficiare dell‘agevolazione del 36% collegata alle ristrutturazioni edilizie potrebbe contribuire al ridimensionamento di tale tipo di evasione che si intreccia con il proliferare delle partite IVA che poi vengono rapidamente cancellate. Del resto, le ―imprese apri e chiudi‖ sono un fenomeno oggetto di controllo anche in relazione al contrasto al riciclaggio di denaro (che lo stesso D.L. n. 78/2010 ha provveduto ad intensificare per mezzo degli articoli 20 11, 3612 e 3713): a tal fine ricordo ad esempio come l‘U.I.F. (Unità di informazione finanziaria) – istituita presso la Banca d‘Italia dal D.Lgs. n. 231/2007 come struttura nazionale incaricata della vigilanza e del contrasto al riciclaggio ed al finanziamento al terrorismo – con comunicazione del 15 febbraio 2010 raccomandava a causa della «operatività connessa con il rischio di frode all‘IVA intracomunitaria», la segnalazione non solo delle «imprese in precedenza non operative, ovvero di recente costituzione operanti in settori economici interessati dalla movimentazione di elevati flussi finanziaria», 10 Cfr. art. 1, c. 6, L. n. 449/1997 ed art. 1, commi 17 e 18, L. n. 244/2007. Il quale, secondo la Relazione di accompagnamento al D.L. n. 78/2010, prevedendo «l‘obbligo di ricorrere a uno strumento di pagamento tracciabile per importi superiori a 5.000 euro (...) evita il pericolo di divenire parte di un‘operazione illecita (frode, evasione fiscale, riciclaggio)». 12 Con riguardo all‘art. 36 D.L. n. 78/2010, la Relazione di accompagnamento ha affermato che «al fine di contrastare Paesi dove da un lato è maggiore il rischio di riciclaggio, di finanziamento del terrorismo, e dall'altro vi è l'assenza di un adeguato scambio di informazioni anche in materia fiscale, si prevede che il Ministro dell'Economia e delle Finanze provveda alla loro individuazione in una black list. Conseguentemente, i soggetti destinatari del decreto legislativo 231/2007 devono astenersi dall'instaurare un rapporto continuativo, eseguire operazioni o prestazioni professionali ovvero devono porre fine al rapporto continuativo o alla prestazione professionale già in essere di cui siano direttamente o indirettamente parte società fiduciarie, trust, società anonime o controllate attraverso azioni al portatore aventi sede nei Paesi individuati nella stessa black list». 13 Il quale, dettando espressamente ―disposizioni antiriciclaggio‖, ha previsto la necessità del rilascio di un‘autorizzazione ministeriale che i soggetti residenti in paesi blacklist, al fine di poter partecipare alle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui al D.lgs. n. 163/2006, debbano necessariamente essere autorizzati dal Ministero dell‘economia e delle Finanze. 11 262 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) bensì anche delle «imprese che risultano cedute ovvero cessate poco tempo dopo la loro costituzione» e cioè le imprese ―apri e chiudi‖ di cui all‘art. 23 del D.L. n. 78/2010. 2.1.3 Prevedendo come monitorabili le imprese che hanno cessato l‘attività entro un anno dalla loro apertura, l‘art. 23 cit. attua un ―ampliamento orizzontale‖ dei soggetti passibili di controllo estendendolo a tutte le imprese che non potrebbero essere soggette agli studi di settore, avendo iniziato o cessato l‘attività nel corso del periodo di imposta 14, ed alla disciplina sulle ―società di comodo‖, non applicabile ai soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta (art. 30, comma 1, L. n. 724/1994)15. Tuttavia, a prescindere da tale ampliamento soggettivo, occorre osservare che tale disposizione ha carattere meramente ―programmatico‖ 16, conferendo rango ―legislativo‖ a quelli che fino ad oggi erano indirizzi meramente ―interni‖ dell‘Amministrazione i cui Uffici, pertanto, vengono oggi assoggettati ad un vincolo di indirizzo ―più forte‖. In ogni caso, i controlli di che trattasi permangono meramente ―eventuali‖, posto che le imprese ―apri e chiudi‖ «sono specificamente considerate ai fini della selezione delle posizioni da sottoporre a controllo», e cioè senza che esista un ―automatismo‖ tra la cessazione dell‘attività entro l‘anno ed il controllo da parte degli Uffici che, pertanto, potrebbero anche non verificarsi, ad esempio, in dipendenza di una diversa destinazione di risorse da parte dell‘Amministrazione finanziaria e delle priorità variabili di anno in anno. 14 Cfr. sul punto la Circ. n. 110/E del 21 maggio 1999, Dir. Aff. Amm.vi; secondo la successiva Circ. n. 148/E del 5 luglio 1999, anche «la modifica in corso d‘anno dell‘attività esercitata» integra una causa di esclusione dall‘applicazione degli studi di settore (non invece qualora l‘attività cessata e quella iniziata siano contraddistinte da codici di attività compresi nel medesimo studio di settore). 15 Dovendosi intendere quale ―primo periodo di imposta‖ «quello di inizio dell‘attività coincidente con l‘apertura della partita Iva, a prescindere dall‘inizio dell‘attività produttiva» (così la Circ. n. 25/2007 cit.). 16 Al riguardo, in occasione dell‘audizione alla Camera dei Deputati – VI Commissione Finanze del 26 gennaio 2011, il Comandante Generale della G.d.F. Di Paolo, in relazione alla Manovra Fiscale 2010, ebbe a rilevare che «tra i fenomeni evasivi più gravi rientrano certamente le ―frodi Iva carosello‖, basate sull‘interposizione di imprese cartiere che acquistano merci da altri Paesi comunitari in sospensione d‘IVA, le rivendono con fatture per operazioni inesistenti ai reali destinatari applicando l‘imposta, ma poi omettendo di versarla all‘erario perché spariscono dopo poco tempo. (...) Si tratta di uno schema di frode in continua evoluzione e che si presente in molte varianti, come dimostrato da recenti attività investigative nel settore telefonico. Per tali ragioni il piano di verifiche e d‘indagini che il Corpo ha avviato in quanto campo sarà ulteriormente rafforzato, facendo leva sui nuovi ed importanti strumenti di contrasto messi a punto dal decreto legge n. 78 del 2010 convertito dalla legge n. 122 del luglio scorso». 263 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) 2.1.4 Si è già detto che il contenuto normativo dell‘art. 23 cit. (―imprese apri e chiudi‖) riflette l‘esperienza delle ―frodi carosello‖, nelle quali la caratteristica precipua della imprese ―missing trader‖ è quella della sua durata per l‘―espace d‘un matin‖ (cioè per il tempo necessario ad effettuare acquisti comunitari in regime di ―neutralità‖ ai fini IVA) ed alla successiva vendita ―nazionale‖ intascando l‘IVA dall‘acquirente (ignaro o no che sia) senza poi versarla. La disposizione sulle imprese ―apri e chiudi‖ (art. 23 D.L. n. 78/2010) è quindi utilizzabile dalla A.F. in un ampio quadro di lotta alle frodi (specie quelle IVA) attuate mediante l‟interposizione di soggetti fittizi, nonché attraverso la ―esterovestizione‖17. L‘art. 23 cit. è norma di programmazione dell‘attività di controllo: ma quali sono gli strumenti normativi che consentono di intervenire al fine della ricostruzione e del recupero della materia imponibile? Certamente sono in proposito invocabili sia l‘art. 39, d.p.r. 1973, n. 600, sia l‘art. 54 d.p.r. 1972, n. 633; tuttavia ruolo centrale si rinviene nell‘art. 37, terzo comma d.p.r. 1973 n. 600, ai sensi del quale «in sede di rettifica o di accertamento d‘ufficio, sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l‘effettivo possessore per interposta persona». In tal modo, è ribadita la funzione dell‘art. 37 cit. - quale norma generale di contrasto alla interposizione (seppur specificamente prevista al solo fine della imposizione sul reddito) – che si fonda su principi generali applicabili anche ai fini IVA, in attuazione del principio di capacità contributiva che impone di applicare i tributi in relazione alla ―situazione di fatto‖ ―vera‖ e non a quella ―apparente‖. Si consideri che la previsione dell‘art. 23 di che trattasi, indirizza certamente l‘attività amministrativa di contrasto alle ipotesi di ―interposizione fittizia‖ (―stricto sensu‖ caratterizzata, cioè, dalla simulazione soggettiva del titolare ―dell‘affare‖ o dell‘attività). Tuttavia, è indubitabile (stante anche l‘espresso riferimento alle ―frodi carosello‖ e alla ―esterovestizione‖) che tale controllo amministrativo è indirizzato specificamente anche nei confronti di chi, lungi dal porre in essere ―atti simulati‖, svolge tuttavia una attività effettiva, ma ―priva di sostanza economica, essendo diretta alla sola frode fiscale‖: comportamento tradizionalmente inquadrabile nell‘ambito dell‘―interposizione reale‖ e delle ―società di comodo‖. 17 Vedi in tal senso la circ. 1/E del 18 marzo 2011 dell‘Agenzia dell‘Entrate, illustrativa della disposizione in esame. 264 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) Rinvengo, quindi, nell‘attività ―di controllo‖, sancita dall‘art. 23 cit., un elemento di conforto alla mia opinione18 secondo la quale l‘effettivo contenuto normativo dell‘art. 37 comma 3 cit. è diretto a contrastare non solo (e non tanto) il fenomeno della simulazione soggettiva (―interposizione fittizia‖ in senso stretto), ma anche quello della interposizione ―reale‖, beninteso nelle ipotesi in cui siano riscontrabili un effettivo acquisto ed operatività dell‘interposto, ma privo di una propria ragione economica, essendo diretti al solo risparmio (o peggio ancora: ―raggiro‖) d‘imposta, come è proprio (ad esempio) dei missing traders delle frodi carosello o è rinvenibile nelle ipotesi di ―esterovestizione‖. In tal senso, si veda d‘altronde il contenuto della circ. n. 21/E/2011, ove [punto 3.2] con espresso riferimento alla esterovestizione si riconduce nell‘ambito dell‘interposizione fittizia il collocamento di attività in paradisi fiscali finalizzato alla sottrazione alla tassazione in Italia di redditi prodotti in Italia all‘estero. Da ultimo, si segnala in proposito l‘intervento di Cass. 10 giugno 2011 n. 12788 ove espressamente, con riferimento all‘art. 37, terzo comma cit., si legge che ―il fenomeno della simulazione relativa (nell‘ambito del quale può ricomprendersi la interposizione personale fittizia) non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo mediante operazioni effettive e reali, nelle quali difetta del tutto l‘elemento caratteristico dei negozi simulati costituito dalla divergenza tra la dichiarazione esterna e la effettiva volontà dei contraenti o meglio dalla relazione funzionale, integrante la causa unitaria, che intercorre tra il negozio apparentemente stipulato (simulato) e quello effettivamente concluso dalle parti (dissimulato)‖. Ed infatti la Suprema Corte, in tale sentenza, ha ritenuto che tale previsione normativa ―non presuppone un comportamento fraudolento (diretto ad aggirare il divieto imposto da una norma imperativa: art. 1344 c.c.), essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante (perché non sorretto da valutazioni economiche diverse dal profilo fiscale) di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l‘applicazione del regime fiscale proprio dell‘operazione che costituisce il presupposto d‘imposta‖. L‘art. 23 D.L. n. 78/2010 indirizza l‘attività programmatica di controllo sia ai fini Iva che delle imposte dirette verso ―soggetti fittizi‖, utilizzando quale proprio strumento accertativo la previsione dell‘art. 37, c. 3, cit., che concretamente finalizza e rende operativa la mera funzione ―programmatica‖ dell‘art. 23 cit.(e all‘ivi previsto concetto ―allargato‖ di ―interposizione fittizia‖).. Pertanto tale disposizione, individuando elementi sintomatici di una frode perpetrata da un ―soggetto fittizio‖, può essere utilizzato dall‘Amministrazione finanziaria quale ―veicolo‖ per poter effettuare 18 Già espressa in Possesso di reddito ed interposizione di persona, in Dir. Prat. Trib., I, 1993, pag. 1165. 265 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) recuperi di imposte che trovano il proprio strumento accertativo nella previsione dell‘art. 37, c. 3, cit., che si configura attuativa della mera funzione ―programmatica‖ della norma in esame. 2.2 L‟art. 23 D.L. n. 78/2010 (imprese “apri e chiudi”): principali aspetti applicativi. L‘art. 23 D.L. n. 78/2010, rubricato «Contrasto al fenomeno delle imprese "apri e chiudi"», dispone quanto segue: «Le imprese che cessano l'attività entro un anno dalla data di inizio sono specificamente considerate ai fini della selezione delle posizioni da sottoporre a controllo da parte dell'Agenzia delle Entrate, della Guardia di finanza e dell'INPS, in modo da assicurare una vigilanza sistematica sulle situazioni a specifico rischio di evasione e frode fiscale e contributiva». La Relazione tecnica di accompagnamento al D.L. n. 78/2010, sul punto afferma che «la norma in esame ha l'evidente intento di concentrare una specifica azione di vigilanza fiscale su una categoria di contribuenti a particolare rischio di frode o evasione fiscale, costituita dalle imprese cosiddette "apri e chiudi". L'esperienza dei controlli fiscali conferma che tale categoria di contribuenti è a particolare rischio, soprattutto di frodi (false fatturazioni o anche frodi "carosello"). La disposizione, quindi, prevede che dette imprese sono specificamente considerate ai fini della selezione delle posizioni da sottoporre a controllo da parte dell' Agenzia delle entrate, della Guardia di Finanza e dell'INPS con la finalità di assicurare una vigilanza sistematica sulle situazioni a rischio di evasione e frode fiscale e contributiva». La disposizione è anzitutto formalmente diretta alle sole imprese e non anche ai lavoratori autonomi, ed oggetto di monitoraggio è l‘operatività delle stesse in un lasso di tempo che non coincide con il ―periodo di imposta‖ ma con l‘―anno solare‖. In tal senso si è anche espressa la recente Circ. 15 febbraio 2011, n. 4/E (che ha recato primi chiarimenti con riguardo alle novità fiscali introdotte con il D.L. n. 78/2010), affermando che «si evidenzia, tra l‘altro, che la disposizione di cui all‘art. 23 in esame da riferimento alle sole imprese (a prescindere dalla natura giuridica delle stesse) e non ai professionisti, nonché ad un periodo di tempo che non è l‘anno di imposta ma l‘anno solare». In relazione all‘ambito temporale nel quale identificare l‘―anno di vita‖, oggetto di monitoraggio, i primi interventi dottrinali di commento della disposizione citata19 si sono interrogati sull‘esatta identificazione dei due 19 Cfr. MASTROBERTI, Imprese ―apri e chiudi‖ e in perdita ricorrente, in Pratica Fiscale e Professionale, 2010, 49, ANELLO-SALVATI, Indagini «ad hoc» per imprese «apri e chiudi» ed in perdita sistemica, in Corr. Trib., 2010, 2671. 266 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) momenti nei quali considerare l‘attività dell‘impresa ―iniziata‖ e ―terminata‖, posto l‘assoluto silenzio della norma sul punto. Ed infatti, con riguardo al momento di inizio dell‘attività esso potrebbe essere individuato o nella data di costituzione delle imprese (quindi con la sua iscrizione nel registro delle imprese) oppure nella data in cui l‘attività risulta avviata per l‘Amministrazione finanziaria (e cioè a seguito della presentazione della dichiarazione di inizio attività e dell‘attribuzione della partita IVA, da effettuarsi, secondo l‘art. 35, c. 1, D.P.R. n. 633/1972, entro trenta giorni dall‘inizio dell‘esercizio dell‘impresa). Analogamente, ci si interroga sull‘esatto momento di cessazione dell‘attività (chiusura della partita IVA o cancellazione dal registro delle imprese?). Al riguardo, considerato che la finalità dell‘art. 23 è quella di monitorare e prevenire soprattutto «comportamenti fraudolenti (...) di natura fiscale (false fatturazioni e frodi carosello)20», ritengo si possa far decorrere i relativi termini dalla apertura e chiusura delle partite IVA, ossia dal momento in cui l‘attività assume rilevanza per l‘Amministrazione finanziaria, e ciò anche in considerazione che tale apertura o chiusura sono momenti nei quali già si innesta una prima forma di controllo nell‘ambito del contrasto alla frode fiscale (si ricorda ad esempio l‘esecuzione di riscontri automatizzati per la individuazione di elementi di rischio connessi al rilascio della partita IVA, come previsto dall‘art. 35, c. 15-bis, D.p.r. n. 633/1972 e l‘obbligo di comunicare, all‘atto dell‘apertura della partita IVA, l‘intenzione di effettuare operazioni intracomunitarie, come introdotto dall‘art. 23 D.L. n. 78/2010) 21. L‘art. 23 cit. dispone che le imprese ―apri e chiudi‖ sono monitorate non solo per finalità di carattere meramente fiscale, ma anche per finalità di carattere contributivo, prevedendo a tal fine lo svolgimento di controlli ―incrociati‖ tra l‘Agenzia delle Entrate (e la Guardia di Finanza) e l‘INPS. Sotto quest‘ultimo profilo, la disposizione in esame può essere collegata con il successivo art. 28 del D.L. n. 78/2010 il quale, prevedendo un ―Incrocio tra le basi dati dell‘INPS e dell‘Agenzia delle Entrate per contrastare la microevasione diffusa‖, ha disposto che «Al fine di contrastare l'inadempimento dell'obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi l'Agenzia delle Entrate esegue specifici controlli sulle posizioni dei soggetti che risultano aver percepito e non dichiarato redditi di lavoro dipendente ed 20 Così la Circ. n. 4/E/2011 cit.. Un‘ulteriore conferma alla rilevanza ―fiscale‖ e non ―civile‖ della data di inizio dell‘attività potrebbe provenire dalla disciplina prevista in tema di ―società non operative‖ (art. 30, L. n. 724/1994), in relazione alla quale la circ. n. 25/E del 4 maggio 2007 ha escluso l‘applicazione della disciplina per quei soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta, intendendo quale ―primo periodo di imposta‖ «quello di inizio dell‘attività coincidente con l‘apertura della partita Iva, a prescindere dall‘inizio dell‘attività produttiva». 21 267 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) assimilati sui quali, in base ai flussi informativi dell'INPS, risultano versati i contributi previdenziali e non risultano effettuate le previste ritenute». Al riguardo, per tornare a quanto in precedenza osservato, si potrebbe ricordare l‘esempio di un‘impresa di ristrutturazione edilizia che, dopo aver eseguito i lavori ed incassato i relativi compensi, ―scompaia‖, senza dichiarare e versare alcunché. I controlli incrociati tra l‘Agenzia e l‘INPS ai sensi degli articoli 23 e 28 del D.L. n. 78/2010 potrebbero permettere di far emergere comportamenti evasivi realizzati sia per quanto riguarda la mancata effettuazione e versamento delle ritenute e la mancata dichiarazione dei compensi ricevuti a fronte delle commesse eseguite, sia sul versante della mancata dichiarazione da parte dei lavori dipendenti delle retribuzioni corrisposte dall‘impresa. 3. Art. 24 (imprese in “perdita sistemica”): suo contenuto e inquadramento sistematico. 3.1 La disposizione sulle imprese in “perdita sistemica” (art. 24) quale misura che si colloca nel più generale contrasto all‟indebito utilizzo delle perdite, sintomatico di un comportamento antieconomico del contribuente dietro al quale può celarsi l‟occultamento di base imponibile. 3.1.1 Anche in relazione alle imprese ―in perdita sistemica‖, si può notare come la disposizione introdotta con l‘art. 24 D.L. n. 78/2010 affronti un tema già ampiamente noto agli operatori, sia per gli interventi normativi succedutisi negli ultimi anni, sia per la stessa prassi dell‘Amministrazione (avallata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione), volta a monitorare quelle imprese che evidenziassero perdite fiscali costanti nel tempo, quale indice di comportamento ―antieconomico‖ sintomatico di evasione. La disposizione in esame si inserisce anzitutto in un quadro normativo nel quale il regime fiscale delle perdite (e della loro ―riportabilità‖) è stato ridisegnato al fine di arginare fenomeni evasivi, con la sostanziale differenza che la norma in esame si limita alla programmazione di controllo delle imprese in perdita. Al riguardo, e richiamando alcune tra le disposizioni più note, ricordo come per effetto dell‘art. 36, c. 27, del D.L. n. 223/2006 – L. n. 248/2006 (―Decreto Visco – Bersani‖), il regime delle perdite dei soggetti a contabilità ordinaria è stato esteso per la prima volta alle perdite conseguite dai professionisti e dalle imprese in regime di contabilità semplificata, prevedendo, anche per questi soggetti, il regime di compensazione ―verticale‖ delle perdite (ossia 268 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) esclusivamente con redditi della stessa natura), con il riporto a nuovo dell‘eventuale eccedenza nei cinque esercizi successivi. Tale innovazione era evidentemente finalizzata ad aumentare la base imponibile per effetto del concorso dei redditi derivanti dalle altre categorie reddituali (non essendo più consentito utilizzare tali perdite per abbattere redditi di diversa natura – ad es. di capitale – i quali rimanevano tassabili anche se coevi a risultati di impresa e/o di lavoro autonomo negativi). Analogamente, in relazione alla disciplina della tassazione per trasparenza delle società, di cui agli articoli 115 e 116 del Tuir, l'articolo 36 del D.L. n. 223 del 2006, al comma 9, aveva introdotto il divieto alla compensabilità delle perdite pregresse dei soci con redditi rivenienti dalla società partecipata. Infatti, volendo evitare che il regime per l‘opzione della trasparenza fosse funzionale all‘utilizzo delle perdite maturate in capo ai soci in periodi di imposta precedenti all‘opzione, il legislatore ha aggiunto all'articolo 115, comma 3, cit. (richiamato dall‘art. 116, c. 2, cit., per la trasparenza delle società di capitali ―a ristretta base‖), il seguente periodo: "Le perdite fiscali dei soci relative agli esercizi anteriori all'inizio della tassazione per trasparenza non possono essere utilizzate per compensare i redditi imputati dalle società partecipate". Sempre in relazione al contrasto all‘evasione perpetrata attraverso la strumentalizzazione delle perdite, il Decreto Visco – Bersani, nell'ambito delle disposizioni relative al recupero della base imponibile, aveva altresì previsto ai commi 12 e 13 dell'articolo 36 alcune modifiche con riferimento alle perdite illimitatamente riportabili. Ed infatti, il comma 2 dell'articolo 84 del Tuir, che originariamente prevedeva che "Le perdite realizzate nei primi tre periodi d'imposta possono, con le modalità previste al comma 1, essere computate in diminuzione del reddito complessivo dei periodi d'imposta successivi senza alcun limite di tempo", è stato integrato dal comma 12 dell'articolo 36 cit. il quale ha inserito dopo le parole "primi tre periodi d'imposta" le seguenti: "dalla data di costituzione", completando il periodo con la frase "a condizione che si riferiscano ad una nuova attività produttiva". Inoltre, con la lett. b) comma 12, dell‘art. 36, D.L. n. 223/2006, è stata soppressa la lettera a) dell‘art. 84 tuir relativa alla limitazione al riporto delle perdite pregresse in caso di trasferimento della maggioranza delle partecipazioni e cambiamento dell‘attività principale. E‘ stata eliminata l‘esimente precedentemente prevista nel caso in cui le partecipazioni risultassero acquisite da società controllate dallo stesso soggetto che controlla il soggetto che riporta le perdite ovvero dal soggetto che controlla il controllante di questi. La conseguenza è che nei casi previsti dall‘art. 84, c. 3, 269 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) il riporto delle perdite viene impedito anche nel caso di trasferimento delle partecipazioni nell‘ambito del gruppo. Sotto un ulteriore profilo, l‘art. 35, c. 7, D.L. n. 223/2006, ha integrato la disciplina contenuta nell‘art. 172, comma 7, tuir, in tema di fusioni estendendo l‘applicazione delle limitazioni ivi contenute (test di vitalità, limite del patrimonio netto e rilevanza delle svalutazioni delle partecipazioni), riguardanti l‘utilizzo delle perdite maturate dai soggetti che partecipano ad operazioni di fusione, anche all‘ipotesi di retrodatazione degli effetti fiscali dell‘operazione. Successivamente, con la L. 244/2007 (Finanziaria 2008) è stato modificato l'art. 101 co. 6 del TUIR, prevedendo che le perdite realizzate dalle società di persone non fossero computabili in deduzione dalla base imponibile dei soci soggetti IRES, ma sono utilizzabili solo a scomputo dei redditi realizzati dalle stesse società di persone nei successivi periodi d'imposta. La disposizione intende evitare che i limiti alla deducibilità degli interessi stabiliti dal "nuovo" art. 96 del TUIR, applicabili alle sole società di capitali, vengano da queste elusi, "convogliando" l'indebitamento in società di persone partecipate, le quali poi trasferirebbero per trasparenza le perdite derivanti dai finanziamenti ottenuti alle società di capitale socie. 3.1.2 Più strettamente inerente alla norma in esame è il riferimento alla circostanza che l‘ipotesi di soggetti in perdita ―costante‖ era stata presa in considerazione anche dalla stessa Amministrazione finanziaria nell‘ambito degli indirizzi operativi diramati ai propri Uffici, per prevenire e contrastare l‘evasione. Ad esempio, con la Circolare 9 aprile 2009, n. 13/E, l‘Amministrazione aveva espressamente stabilito che con riguardo ai controlli da eseguire sulle ―imprese di minori dimensioni‖22 per l‘anno 2009 la «selezione dovrà essere condotta considerando sempre più annualità (es. 2004-2005-2006-2007) e tenendo prioritariamente conto della coesistenza di alcuni, più selettivi indicatori di rischio, quali in specie: (...) presenza di perdite per più annualità che denotano situazioni apparentemente antieconomiche». Nella medesima Circ. n. 13/2009 si nota altresì come la situazione di reiterata esposizione di perdite sia stata ritenuta un indicatore del rischio di evasione anche in relazione a quella platea di soggetti non rientranti nel regime degli studi di settore: nella Circ. n. 13/2009 si legge infatti che per i «soggetti non compresi nel regime degli Studi di settore (...) il grado del rischio va valutato tenendo conto degli indicatori più generali di cui si è detto innanzi (costante posizione IVA a credito, crescita anomala di crediti utilizzati in compensazione o chiesti a rimborso, trend pluriennale dei redditi 22 Oltre che per i ―lavoratori autonomi‖. 270 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) obiettivamente non plausibile, reiterata dichiarazione di perdite), nonché di altri elementi specifici acquisiti». Analogamente, con la Circolare del 16 aprile 2010, n. 20/E, l‘Amministrazione Finanziaria, formulando gli indirizzi operativi per l‘anno 2010 per la ―prevenzione e contrasto dell‘evasione‖, ha affermato con riguardo ai ―grandi contribuenti‖ come «particolare attenzione va inoltre rivolta alla presenza di significative variazioni o anomalie nei risultati d’esercizio, ovvero alla genesi di perdite fiscali, in quanto le stesse potrebbero rappresentare indicatori sintetici dell’avvenuta attuazione di schemi di pianificazione fiscale aggressiva, peraltro di particolare rilevanza negli anni di imposta in cui il contesto economico internazionale è stato interessato da una grave crisi economico-finanziaria». Sempre in relazione ai ―grandi contribuenti‖, la riportabilità e l‘esposizione delle perdite è stata assunta dall‘Amministrazione finanziaria quale fatto da monitorare anche in relazione al 2007 (cfr. circ. n. 2/E del 23 gennaio 2007), per il quale l‘Amministrazione indicava, quali contribuenti soggetti a controllo, le società di capitali ed in generale «i contribuenti titolari di impresa commerciale» al fine del «potenziale recupero di eventuali perdite dichiarate», potendo indirizzare la verifica «all‘esame di alcuni specifici fatti o elementi (quali, ad esempio,operazioni straordinarie, componenti positivi o negativi di particolare rilevanza, utilizzo di perdite)». Come riconosciuto anche dalla Circ. n. 4/E del 15 febbraio 2011 (che ha fornito i primi chiarimenti sul D.L. n. 78/2010) in relazione all‘art. 24 cit., «la programmazione di controlli fiscali delle imprese in perdita prevista dalla norma in esame è in linea con quanto ribadito negli ultimi anni, sia dalla prassi amministrativa dell‘Agenzia delle entrate (cfr. circolari n. 20/E del 16 aprile 2010 e n. 13/E del 9 aprile 2009), che dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., Corte di Cassazione, sentenze n. 24436 del 2 ottobre 2008 e n. 21536 del 15 ottobre 2007)». Ed infatti, la Corte di Cassazione, negli ultimi anni, ha assunto un orientamento volto ad attribuire rilevanza indiziaria (anche in presenza di una contabilità esistente e formalmente corretta), al comportamento ―antieconomico‖ del contribuente, da questo in alcun modo non spiegato e/o non giustificato, al fine di accertare induttivamente l‘esistenza di un reddito occultato, anche in presenza di altri elementi presuntivi a sostegno della pretesa tributaria. Per quanto in questa sede interessa più specificamente, si ricorda che la Suprema Corte ha ritenuto che l‘esposizione di perdite per più annualità fosse un indice di una potenziale evasione di imposta. In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza 15 ottobre 2007, n. 21536, rigettando il ricorso di una contribuente esercente attività di impresa, 271 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) in quanto i compensi che la società aveva corrisposto ai soci dipendenti per due annualità consecutive erano stati ritenuti ―sproporzionati‖ in rapporto ai ricavi dichiarati, anche in relazione al rapporto ricavi/compensi di una terza annualità23, tanto più che, per le due annualità in contestazione, la contribuente aveva evidenziato anche delle perdite. In particolare, la Cassazione ha affermato che «in mancanza di documentate spiegazioni, l‘irragionevolezza economica del comportamento del contribuente che, per esempio, affermi per più anni di essere finito in perdita o di avere sostenuto costi sproporzionati ai ricavi, rappresenta un fatto sintomatico di possibili violazioni all‘obbligo di dichiarazione, perché, non essendo conforme a logica ed esperienza impostare o proseguire l’attività secondo criteri o malgrado risultati poco vantaggiosi o addirittura dannosi, autorizza a presumere che l‘interessato abbia, in realtà, incassato più di quanto indicato nella denuncia dei redditi». In senso analogo si è pronunciata la Corte di Cassazione con la successiva sentenza 2 ottobre 2008, n. 24436, esaminando il caso di una società che aveva contestato la ricostruzione induttiva del reddito operata dall‘Ufficio ritenendone inesistenti i presupposti (ex art. 39 d.p.r. n. 600/1973 e 62-sexies, comma 3, DL n. 331/1993), anche in considerazione della correttezza delle scritture contabili. Rigettando il ricorso della società, la Suprema Corte ha affermato come «la circostanza che una impresa commerciale dichiari, ai fini dell‘imposta sul reddito, per più anni di seguito rilevanti perdite, nonché una ampia divaricazione tra costi e ricavi, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare da parte dell‘erario una rettifica della dichiarazione (...) a meno che il contribuente non dimostri concretamente la effettiva sussistenza delle perdite dichiarate. Nella fattispecie in esame, tale anomalia è significativa ed ulteriormente aggravata dal fatto che, malgrado i risultati negativi ottenuti per cinque anni, per come risultano dalla contabilità esaminata e disattesa prima dai verificatori e poi dall‘Ufficio, la società avrebbe insistito nella stessa attività (...) in palese contrasto ―con i principi di ragionevolezza, anche sotto il profilo dell‘antieconomicità del comportamento della contribuente che inspiegabilmente si sarebbe decisa ad aprire un altro esercizio contiguo”. Né le giustificazioni addotte dalla contribuente appaiono ragionevolmente tali da superare quanto affermato e dall‘Amministrazione finanziaria e dai giudici di merito». Secondo la Cassazione, l‘evasione sarebbe stata confermata dal fatto che il contribuente non era riuscito a giustificare economicamente perché, a fronte dell‘attività (di ristorazione) svolta che per cinque anni consecutivi aveva generato delle perdite, aveva insistito nella medesima attività addirittura aprendo ―un altro esercizio contiguo‖. 23 Nella sentenza si legge infatti che: per la 1° annualità accertata, a fronte di ricavi per 113 milioni di Lire, erano state corrisposte retribuzioni per circa 76 milioni di Lire; per la 2° annualità accertata, a fronte di ricavi per 115 milioni di Lire, erano state corrisposte retribuzioni per circa 92 milioni di Lire; per la 3° annualità (quella ritenuta dal giudice di merito ―più realistica‖), invece, a fronte di ricavi per 188 milioni di Lire erano state corrisposte retribuzioni per circa 88 milioni di Lire. 272 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) Quanto alla giurisprudenza di merito, in linea con l‘orientamento della Corte di Cassazione si segnala la sentenza della Comm. trib. reg. di Roma 6 aprile 2006, n. 33, la quale si è pronunciata in relazione al caso di una società a cui erano stati contestati i risultati di bilancio relativi ad una annualità, in quanto non in linea con alcuna logica di mercato aziendale, sia in riferimento al volume di affari conseguito, sia al consistente impegno finanziario. Tale anomalia risultava ancora più evidente considerando la situazione reddituale della società nelle tre annualità precedenti, per le quali erano stati esposti risultati estremamente negativi. A fronte della contestazione mossa dall‘Ufficio, nella sentenza si legge che «la contribuente si è limitata a dire che si deve tener conto della zona in cui la società opera e dei prezzi (inferiori a quelli correnti) che è costretta ad usare. Ma tutto ciò non può giustificare la permanenza sul mercato di un'azienda che conduce un'attività esercitata in perdita (perché tale dovrebbe ritenersi anche quella che eserciti appena in pareggio, fatti che il rilevante giro di affari non sarebbe in grado di giustificare sotto il profilo economico), a meno che ricorrano fondati motivi extraeconomici per farlo; ma di ciò la contribuente non ha offerto alcun elemento giustificativo. D'altra parte, la società operava già da tre anni con risultati estremamente negativi e l'ufficio (salvo elementi sconosciuti alla scrivente) è intervenuto a censurare, sotto il profilo fiscale, tali risultanze soltanto al quarto anno consecutivo di risultato incomprensibilmente negativo». 3.2 L‟art. 24 D.L. n. 78/2010 (“imprese in perdita sistemica”): principali aspetti applicativi. Le “imprese individuali” e le “grandi imprese”. 3.2.1 Il D.L. n. 78/2010, convertito con modificazioni in legge n. 122/2010 ha previsto all‘art. 24 una disposizione volta al «Contrasto al fenomeno delle imprese in perdita "sistemica"». In particolare, il comma 1 dispone che «la programmazione dei controlli fiscali dell'Agenzia delle Entrate e della Guardia di finanza deve assicurare una vigilanza sistematica, basata su specifiche analisi di rischio, sulle imprese che presentano dichiarazioni in perdita fiscale, non determinata da compensi erogati ad amministratori e soci, per più di un periodo d'imposta e non abbiano deliberato e interamente liberato nello stesso periodo uno o più aumenti di capitale a titolo oneroso di importo almeno pari alle perdite fiscali stesse». Il successivo comma 2 prevede altresì che «anche ai fini di cui al comma 1, nei confronti dei contribuenti non soggetti agli studi di settore né a tutoraggio, l'Agenzia delle Entrate e la Guardia di finanza realizzano coordinati piani di intervento annuali elaborati sulla base di analisi di 273 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) rischio a livello locale che riguardino almeno un quinto della platea di riferimento». La Relazione Tecnica di accompagnamento al D.L. n. 78/2010 ha precisato che la disposizione di cui al comma 1 è «finalizzata a realizzare una specifica azione di vigilanza fiscale su una particolare categoria di contribuenti a particolare rischio di frode o evasione fiscale. Si tratta, in particolare, delle imprese che si dichiarano in perdita, ai fini delle imposte sui redditi, per più di un periodo di imposta, per le quali il rischio di evasione è del tutto evidente, atteso che perdite reiterate contraddicono ogni logica imprenditoriale e depongono per un posizionamento fuori mercato che, ove persistente, non giustifica la sopravvivenza dell’impresa». Pertanto, così come già affermato dalla Amministrazione finanziaria (circ. n. 20/E/2010 e n. 13/E/2009) e dalla Corte di Cassazione (sent. n. 21536/2007 e n. 21536/2008), con l‘art. 24 è stata normativamente posta l‘attenzione sul fenomeno delle perdite sistematiche quale indicatore di ―attività antieconomica‖, ossia ―spia‖ di comportamenti che non trovano una giustificazione economica e che, pertanto, sono potenzialmente evasivi, invertendo, così, l‘onere della prova, in relazione alla giustificazione della operatività dell‘impresa e dei profili fiscali contestati (normalmente, maggiori ricavi). Con l‘art. 24 cit. il legislatore ha quindi voluto attribuire maggiore incisività all‘azione di controllo dell‘Amministrazione finanziaria, avendo riconosciuto dignità normativa al fenomeno del contrasto alle imprese in costante perdita, convogliando e sacralizzando in una disposizione normativa gli indirizzi operativi che l‘Amministrazione finanziaria ha ripetutamente dettato per il contrasto all‘evasione (si ricordano le Circ. n. 13/2009 e n. 20/2010). In tal modo si da seguito all‘orientamento manifestatosi all‘interno delle giurisprudenza della Corte di Cassazione sul ―comportamento antieconomico‖ del contribuente che esercita la propria attività in costante perdita, ponendosi l‘art. 24 cit., più in generale, nell‘ambito delle norme di legge (di cui retro se ne sono ricordate alcune) deputate al contrasto all‘indebito utilizzo delle perdite fiscali. Conseguentemente, attraverso questa ―consacrazione normativa‖, ossia attraverso la sublimazione degli orientamenti di cui sopra in una disposizione di legge, il legislatore attribuisce all‘art. 24 cit. una duplice rilevanza, sia interna che esterna: l‘art. 24 cit. ha una ―rilevanza interna‖ in quanto è in primis rivolta all‘Amministrazione finanziaria con la valenza propria di una disposizione di legge e non più di una semplice prassi interna, con la conseguenza che gli uffici sono maggiormente tenuti, rispetto a prima, al 274 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) rispetto delle modalità di programmazione e di svolgimento dei controlli da eseguire. Correlativamente, l‘art. 24 cit. assume una ―rilevanza esterna‖ nella misura in cui è diretta a scoraggiare in maniera generalizza comportamenti finalizzati all‘evasione. Ed infatti, come risulta dalla Relazione di accompagnamento al D.L. n. 78/2010, «la nuova norma, determinando nei contribuenti la consapevolezza del potenziamento dell‘attività di controllo (sempre maggiore via via che lo stesso verrà in concreto attuato sfruttando al massimo le sinergie tra l‘Agenzia e la Guardia di Finanza), comporterà effetti fortemente dissuasivi delle più disparate pratiche evasive ed elusive che emergono in modo sempre più significativo dalle attività di controllo fiscale». L‘effetto dissuasivo dell‘art. 24 cit., sulla base della formulazione del primo comma, è pertanto ―generale‖, ossia rivolto a tutte le ―imprese‖ indipendentemente dalle loro ―dimensioni‖. Viceversa, con il suo secondo comma, l‘art. 24 cit. ha ampliato ―verso il basso‖ la platea dei soggetti passibili di rientrare nella programmazione dei controlli, ricomprendendovi (attraverso la realizzazione di piani di intervento annuale) anche quei contribuenti non soggetti agli studi di settore (e cioè quei soggetti con ricavi superiori a 5.164.569 di euro) e non soggetti al c.d. ―tutoraggio‖ (cioè quei soggetti che al 1° gennaio 2011 hanno conseguito un volume d‘affari o ricavi inferiore a 150 milioni di euro) 24. 24 Si ricorda infatti che l‘art. 27 del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, ha previsto: al comma 9, che «per le dichiarazioni in materia di imposte sui redditi e le dichiarazioni IVA delle imprese di più rilevante dimensione, l‘Agenzia delle entrate attiva un controllo sostanziale, di norma, entro l‘anno successivo a quello della presentazione»; al comma 10, che «si considerano imprese di più rilevante dimensione quelle che conseguono un volume d‘affari o di ricavi non inferiori a trecento milioni di euro. Tale importo è gradualmente diminuito fino a cento milioni di euro entro il 31 dicembre 2011. Le modalità della riduzione sono stabilite con provvedimento del Direttore dell‘Agenzia delle Entrate, tenuto conto delle esigente organizzative connesse all‘attuazione del comma 9»; al comma 11, che «il controllo sostanziale previsto dal comma 9 è realizzato in modo selettivo sulla base di specifiche analisi di rischio concernenti il settore produttivo di appartenenza dell‘impresa, dei soci, delle partecipate e delle operazioni effettuate, desunto anche dai precedenti fiscali». Si ricorda altresì che il Direttore dell‘Agenzia delle Entrate, con Provvedimento del 16 dicembre 2009, ha ridotto a 200 milioni di euro, con decorrenza dal 1° gennaio 2010, l‘ammontare del volume d‘affari o dei ricavi rilevanti ai fini di assoggettare le imprese a ―tutoraggio‖ e, con successivo Provvedimento del 20 dicembre 2010, tale importo è stato ridotto a 150 milioni di euro, con decorrenza dal 1° gennaio 2011. 275 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) Al riguardo, per meglio comprendere i soggetti che rientrano nella programmazione dei controlli ai sensi dell‘art. 24 cit., si ricorda che l‘Amministrazione finanziaria ha suddiviso i contribuenti in diverse ―tipologie‖ (ad esempio, ―grandi contribuenti‖, ―imprese di medie dimensioni‖, ―imprese di minore dimensioni e lavoratori autonomi‖, ―enti non commerciali‖ e ―persone fisiche‖) in relazione alle quali calibrare specificamente le azioni di controllo25. In particolare, con la Circ. n. 13/E del 2009, l‘Amministrazione ha individuato: le «grandissime imprese» (definite dalla Circ. n. 13/E del 2009 anche «imprese di più rilevante dimensione»), nei cui confronti sono espletate le particolari attività di controllo denominate ―tutoraggio‖, introdotte dall‘art. 27, commi da 9 a 14, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185. Infatti, in base al comma 10 dell‘art. 27, D.L. n. 185/2008, sono considerate «imprese di più rilevante dimensione» quelle che all‘entrata in vigore del D.L. n. 185/2008 (29 novembre 2008) hanno conseguito un volume d‘affari o di ricavi non inferiori a 300 milioni di euro. Tale importo è gradualmente diminuito fino a 100 milioni di euro entro il 31 dicembre 2011. Pertanto, dal 1° gennaio 2012, ai fini dell‘applicazione del ―tutoraggio‖, i ―grandi contribuenti‖ verranno a coincidere con le ―imprese di più rilevante dimensione‖ (detti altrimenti ―grandissimi contribuenti‖). i ―grandi contribuenti‖, nelle «imprese e professionisti con volumi d‘affari IVA, ricavi o compensi non inferiori a 100 milioni di euro»; le ―imprese di medie dimensioni‖, nelle «imprese con volumi d‘affari IVA, ricavi o compensi da 5.164.569 a < 100 milioni di euro»; le ―imprese di minori dimensioni‖, nelle «imprese con volumi d‘affari IVA, ricavi o compensi fino a 5.164.569 di euro»; nell‘ambito della stessa soglia reddituale (che corrisponde al limite entro il quale si applicano gli studi di settore) la Circ. n. 13/E del 2009 ricomprende anche i ―lavoratori autonomi‖. 25 Infatti, nella Circ. n. 13/E del 2009 l‘Amministrazione ha evidenziato che il contrasto all‘evasione è attuato attraverso le seguenti strategie: «focalizzare distintamente l‘azione di controllo sulle diverse macro-tipologie di contribuenti (grandi e medie imprese, piccole imprese e lavoratori autonomi, enti non commerciali e persone fisiche); adottare metodologie di intervento differenziate per ciascuna macro-tipologia e coerenti con altrettanto distinti sistemi di analisi e valutazione del rischio di evasione e/o elusione da sviluppare tenendo anche conto delle peculiarità che connotano ciascuna realtà territoriale ed economica». 276 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) Ciò premesso, l‘art. 24 cit. ha previsto al comma 1 ed al comma 2 due diversi meccanismi di selezione dei contribuenti da sottoporre a monitoraggio in funzione della diversa tipologia dei contribuenti sopra ricordata. In particolare: i soggetti aventi un volume d‘affari IVA, ricavi o compensi fino a 5.164.569 di euro (e cioè lavoratori autonomi ed imprese di minori dimensioni), quindi soggetti che rientrano nell‘ambito di applicazione degli studi di settore, sono monitorati ai sensi del comma 1 dell‘art. 24 cit.: nei loro confronti è cioè effettuata una «vigilanza sistematica, basata su specifiche analisi di rischio»; i soggetti aventi un volume d‘affari IVA, ricavi o compensi compreso tra 5.164.569 di euro e 100 milioni di euro, e cioè le imprese di ―medie dimensioni‖ o comunque i contribuenti per i quali non si applicano né gli studi di settore né la particolare forma di controllo detta ―tutoraggio‖ 26, sono monitorati ai sensi del comma 2 dell‘art. 24 cit.: nei loro confronti, cioè, «l‘Agenzia delle Entrate e la Guardia di finanza realizzano coordinati piani di intervento annuali elaborati sulla base di analisi di rischio a livello locale che riguardino almeno un quinto della platea di riferimento»;. infine, i soggetti aventi un volume d‘affari IVA, ricavi o compensi superiore a 100 milioni di euro, cioè i soggetti che (a partire dal 31 dicembre 2011) sono soggetti a tutoraggio (c.d. ―imprese di rilevante dimensione‖) ed i ―grandi contribuenti‖, sono monitorati ai sensi del comma 1 dell‘art. 24 cit. (come per i contribuenti sotto il limite di 5.164.569 di euro) e nei loro confronti è effettuata una «vigilanza sistematica, basata su specifiche analisi di rischio». Al riguardo, è rilevante notare come, al fine della selezione dei soggetti da sottoporre a controllo, per i soggetti rientranti nel ―gap‖ compreso tra 5.164.569 di euro (soglia degli studi di settore) e 100 milioni di euro (soglia per la definizione dei ―grandi contribuenti‖ e, dal 31 dicembre 2011, soglia al di sopra della quale si applica il ―tutoraggio‖), l‘art. 24 cit. prevede al comma 2 che siano elaborati dei criteri più articolati rispetto a quelli previsti dal comma 1, che tengano cioè conto della realtà locale, ossia ad esempio di quei settori e di quelle zone dove è riscontrabile una più alta evasione (ad esempio, commercio di metalli ferrosi e non ferrosi e relativi rottami). 26 Limite che il comma 10 dell‘art. 27 del D.L. n. 185/2008 ha originariamente previsto in 300 milioni di euro, ma che per effetto dello stesso comma 10 cit. è destinato ad abbassarsi a 100 milioni di euro entro il 31 dicembre 2011. 277 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) La previsione del comma 2 dell‘art. 24 cit. di criteri di selezione basati su analisi del rischio di evasione, legato alla realtà ―del territorio‖, deriva dal fatto che il comma 2 cit. si riferisce ad ―fascia‖ di contribuenti particolarmente ampia (circa 70.000 soggetti) rispetto alla quale è quindi necessario effettuare delle ―scremature‖ sulla base di un concreto rischio di evasione. Al riguardo, secondo la Relazione di accompagnamento, «la norma contenuta nel comma 2, anche ai fini di realizzare la vigilanza prevista dal comma 1, ha la finalità di intensificare l‘attività di controllo su di un segmento di contribuenti assai rilevante in termini di gettito fiscale atteso, e che pertanto presenta un rischio di evasione complessiva particolarmente elevato (determinato in misura consistente, proprio per questo segmento di soggetti, dalla esposizione di perdite fiscali)». Pertanto, sempre secondo la Relazione di accompagnamento, «stante la concentrazione su di una platea di circa 70.000 soggetti, il miglior modo di coprire tale rischio è sicuramente quello del controllo sistematico mediante specifici piani a livello locale coordinati tra l‘Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza», con la «creazione di apposite strutture specificamente dedicate ai controlli sulla platea di contribuenti in parola». Per la «individuazione dei criteri selettivi da utilizzare per scegliere i soggetti da sottoporre a vigilanza fiscale – che dovranno rappresentare almeno un quinto della platea degli interessati» la Circ. n. 4/E del 2011 rinvia alla successiva adozione di provvedimenti ufficiali da parte dell‘Agenzia delle Entrate. Inoltre, secondo il comma 2 dell‘art. 24 cit., il controllo nei confronti dei contribuenti rientranti in questo ―gap‖ (soggetti compresi tra la soglia degli studi di settore e la soglia del tutoraggio) viene comunque effettuato «anche ai fini di cui al comma 1», e cioè considerando pur sempre, quale criterio selettivo imprescindibile, la riscontrata esistenza di perdite reiterate. Ed infatti, a tal proposito la Circ. n. 4/E del 2011 ha affermato che «il comma 2 dell‘art. 24 del decreto – anche al fine di armonizzare l‘attività sinergica tra Agenzia delle entrate e Guardia di Finanza nell‘ambito dell‘attività di monitoraggio in esame – prevede coordinati piani di intervento annuali elaborati sulla base di analisi di rischio a livello locale nei confronti dei contribuenti non soggetti agli studi di settore né a tutoraggio che, proprio a causa della reiterata esposizione di perdite fiscali, presentano un rischio di evasione complessiva particolarmente elevato». 3.2.2 Ciò considerato al paragrafo precedente, l‘art. 24 cit. può porre alcuni problemi di carattere interpretativo legati alla sua formulazione estremamente generica. Anzitutto, sempre in relazione ai soggetti interessati dalla disposizione, ci si domanda se nel concetto di «imprese» rilevanti ai fini del monitoraggio possano essere ricondotte le ―imprese individuali‖ 27. 27 Analoghi dubbi potrebbero altresì sorgere nei confronti dei ―contribuenti minimi‖ (L. n. 244/2007) ed ai ―giovani imprenditori‖ (ex art. 13 L. 388/2000). 278 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) Ed infatti, in relazione a tale tipologia di contribuenti sarebbe oltremodo difficoltosa l‘applicazione delle due ―esimenti‖ previste dal comma 1 dell‘art. 24 cit. (ossia l‘erogazione dei compensi agli amministratori e soci e la deliberazione di aumenti di capitale), considerando, da un lato, la previsione generale di indeducibilità dei compensi dell‘imprenditore individuale 28 e, dall‘altro, che il finanziamento dell‘impresa spesso è effettuato mediante versamenti diretti da parte dell‘imprenditore sul conto corrente relativo all‘impresa (con modalità, quindi, diverse rispetto a quelle richieste dall‘art. 24 cit. ai fini dell‘esclusione dai controlli). Conseguentemente, se non si vuole ritenere che l‘art. 24 cit. preveda come monitorabili soggetti per i quali sarebbe strutturalmente difficoltosa (se non impossibile) l‘applicazione delle due ―esimenti‖, con la conseguenza di non consentir loro di sottrarsi alla programmazione dei controlli, l‘art. 24 cit. è applicabile nei confronti di quelle imprese esercitate in forma ―societaria‖. Inoltre, sempre in relazione al concetto di «imprese» rilevanti ai fini del monitoraggio – ferma restando l‘esclusione degli esercenti arti professioni e delle ―società semplici‖ che, in quanto tali, non esercitano attività commerciale – la dottrina29 che per prima ha commentato la disposizione si è domandata se nel concetto siano da ricondurre anche gli ―enti non commerciali‖ che potrebbero comunque esercitare, in forma marginale, un‘attività di carattere commerciale, rispetto alla quale, proprio in virtù del carattere secondario di tale attività, potrebbero verificarsi ripetuti esercizi in perdita. Inoltre, la generica formulazione della norma ha posto un problema interpretativo legato al fatto se per poter ricondurre l‘impresa al controllo di cui all‘art. 24 cit., gli Uffici debbano riscontrare perdite per due annualità consecutive oppure per annualità alterne: il dubbio è sorto infatti come conseguenza della formulazione generica della norma che nella rubrica indica le perdite come ―sistemiche‖ e nel comma 1 si riferisce alle «imprese che presentano dichiarazioni in perdita fiscale (...) per più di un periodo di imposta». Sul punto è intervenuta la Circ. n. 4/E/2011, la quale ha affermato che l‘art. 24 cit. si riferisce «alle imprese che si dichiarano in perdita, ai fini delle imposte sui redditi, per più annualità» e che, considerato che «la norma non individua un periodo temporale minimo trascorso il quale la perdita può 28 Infatti, in relazione alle società di persone l‘art. 60 t.u.i.r. dispone che le ―spese per prestazioni di lavoro‖ «non sono ammesse in deduzione a titolo di compenso del lavoro prestato o dell‘opera svolta dall‘imprenditore, dal coniuge, dai figli, affidati o affiliati minori di età o permanentemente inabili al lavoro e dagli ascendenti, nonché dai familiari partecipanti all‘impresa di cui al comma 4 dell‘art. 5». 29 Cfr., ad esempio, FORTE, Imprese in perdita sistematica: perimetro applicativo in cerca di definizione, in Corr. Trib., 2010, 3536. 279 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) definirsi ―sistemica‖ (...) la perdita fiscale che si protrae per almeno due esercizi consecutivi sarà sufficiente (...) a legittimare l‘attività di accertamento da parte degli Organi di controllo». In tal modo, la circolare n. 4/2011 ha evidentemente ritenuto che le perdite che non sono consecutive potrebbero considerarsi ―occasionali‖ e quindi non ―sistemiche‖ (come espressamente contrastate dalla norma). In terzo luogo, l‘art. 24 cit. si riferisce espressamente alle ―perdite fiscali‖ con la conseguenza che, ai fini della soggezione dell‘impresa al monitoraggio, non dovrebbero assumere rilevanza le perdite ―civili‖, cioè risultanti solo dal conto economico (ma non dalle dichiarazioni), scattando i controlli solamente sulla base delle risultanze di queste ultime. Tuttavia, il risultato fiscale che fa scattare i controlli è pur sempre il frutto delle risultanze civilistiche alle quali sono apportate le variazioni in aumento od in diminuzione secondo i criteri indicati dall‘art. 83 e ss. T.u.i.r., con la conseguenza che una società civilisticamente in utile potrebbe essere fiscalmente in perdita a seguito delle variazioni in diminuzione, essendo quindi potenzialmente soggetta ai controlli programmati, mentre una società civilisticamente in perdita, per effetto delle variazioni in aumento, potrebbe essere fiscalmente non in perdita, sfuggendo alla programmazione dei controlli ex art. 24 cit.. 3.2.3 Il primo comma dell‘art. 24 cit. presenta due ipotesi (due ―esimenti‖) al verificarsi delle quali le imprese in perdita non assumono rilevanza ai fini del controllo previsto dalla disposizione: da un lato, quando la perdita è determinata da compensi erogati ad amministratori e soci; dall‘altro, quando nello stesso periodo in cui si è verificata la perdita vengano deliberati e liberati uno o più aumenti di capitale. La prima ―esimente‖, relativa all‘erogazione di compensi ad amministratori e soci, esclude l‘impresa dal monitoraggio sistematico, «trattandosi di componenti reddituali tassati in capo ai percettori» (così la Circ. n. 4/2011), ed in considerazione del fatto che, secondo la Relazione di accompagnamento al D.L. n. 78/2010, «tale situazione appare, infatti, a minor rischio, e non richiede, pertanto, una vigilanza sistematica». Tale esimente in un certo modo supera la successiva pronuncia della Corte di Cassazione del 10 dicembre 2010, n. 24957, che ha affermato come in caso di attribuzione agli amministratori di compensi ―insoliti e sproporzionati‖ non è ravvisabile uno «scopo fraudolento» a danno dell‘Erario dato che le aliquote applicabili nei confronti dei redditi degli amministratori sono superiori rispetto a quelle mediamente applicabili per i redditi della società, posto che l‘art. 24 cit., avendo subordinato il concorso del compenso alla realizzazione 280 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) della perdita, non prevede che, a tal fine, i compensi non possano essere anche ―insoliti e sproporzionati‖. Al riguardo, tale ―esimente‖ non sembra però applicabile nei confronti dell‘―imprenditore individuale‖ (per quanto retro osservato) e dell‘―impresa familiare‖ (considerato che, se ci si attenesse ad una lettura restrittiva della norma, l‘esimente sarebbe espressamente applicabile nei confronti dei soli ―soci‖ e non anche nei confronti dei ―familiari collaboratori‖ dell‘imprenditore). La seconda ―esimente‖ (espressa nell‘inciso «e non abbiano deliberato ed interamente liberato nello stesso periodo uno o più aumenti di capitale a titolo oneroso di importo almeno pari alle perdite fiscali stesse»), non era prevista nel testo originario della norma, essendo stata introdotta in sede di conversione del D.L. n. 78/2010 da parte della L. n. 122/2010. Il legislatore ha verosimilmente inserito tale inciso in considerazione del fatto che l‘effettuazione di aumenti di capitale evidenzia una oggettiva esistenza di (vere) perdite la cui indicazione in dichiarazione non è frutto di una attività ―fiscalmente indesiderata‖. Inoltre, la riscontrata effettuazione di aumenti di capitale potrebbe essere un indice della volontà della società di volersi garantire le risorse necessarie per la prosecuzione della propria attività e quindi per ricollocarsi in una logica di ―economicità‖ dell‘agire imprenditoriale alla cui tutela l‘art. 24 cit. sembra essere ispirato 30. Come confermato anche dalla Circ. n. 4/2011, gli aumenti di capitale devono, anzitutto, essere effettuati a ―titolo oneroso‖ (aventi cioè ad oggetto sia denaro che beni in natura e crediti, ex art. 2440 c.c. e ss.), non assumendo quindi rilevanza, ad esempio, gli aumenti di capitale ―gratuiti‖, effettuati mediante conversione di riserve disponibili 31, e di importo almeno pari alle perdite fiscali stesse. Inoltre, considerato che l‘art. 24 cit. dispone che gli aumenti di capitale debbano essere non solo ―deliberati‖, ma anche ―interamente liberati‖, ciò significa che non assumeranno rilevanza quegli aumenti di capitale 30 Si ricorda infatti che, secondo la Relazione di accompagnamento al D.L. n. 78/2010, l‘art. 24 è riferito alle «imprese che si dichiarano in perdita, ai fini delle imposte sui redditi, per più di un periodo di imposta, per le quali il rischio di evasione è del tutto evidente, atteso che perdite reiterate contraddicono ogni logica imprenditoriale e depongono per un posizionamento fuori mercato che, ove persistente, non giustifica la sopravvivenza dell’impresa». 31 Cfr. FERRANTI, Monitoraggio delle imprese in perdita: primi chiarimenti e questioni ancora aperte», in Corr. Trib. 2011, 861. 281 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) sottoscritti ma non ancora versati nel corso dell‘esercizio nel quale si vuole che esplichi efficacia. Al riguardo, l‘―esimente‖ degli aumenti di capitale non sembra applicabile in relazione alle ―imprese‖ svolte in forma ―individuale‖, spesso in regime di contabilità semplificata ed i cui aumenti sono rappresentati da versamenti diretti da parte dell‘imprenditore sul conto corrente relativo all‘impresa. Secondo l‘art. 24 cit., l‘aumento o gli aumenti di capitale debbono essere di importo sufficiente ad assicurare l‘integrale copertura della perdita di esercizio («almeno pari alle perdite fiscali stesse») e devono essere effettuati «nello stesso periodo» nel quale si è realizzata la perdita fiscale. Tale ―esimente‖, però, potrebbe risultare di non agevole applicazione in considerazione del fatto che le perdite considerate dalla disposizione sono quelle che risultano dalla dichiarazione fiscale e che quindi possono essere il frutto di variazioni rispetto alle risultanze del conto economico: potrebbe, quindi, non essere agevole effettuare preventivamente (e cioè prima della chiusura dell‘esercizio civile e prima della compilazione della dichiarazione fiscale) una stima dell‘esatto risultato finale dell‘esercizio, calcolando esattamente le variazioni che saranno effettuate successivamente in sede di presentazione della dichiarazione così da effettuare un aumento di capitale almeno pari alla perdita fiscale che sarà indicata in dichiarazione. 4. In conclusione. La valenza sistematica degli articoli 23 e 24 D.L. n. 78/2010. La progressiva “softwarizzazione” dei controlli amministrativi ha i propri limiti anche costituzionali e non può pregiudicare la “individualizzazione” della ricostruzione reddituale del contribuente con particolare riferimento alla necessità della tutela del contraddittorio. 4.1 Tentando di attribuire una valenza sistematica alle due indicate norme di programmazione di controllo da effettuarsi in base ad analisi di rischio di evasione\elusione fiscale, osservo che le disposizioni di cui agli articoli 23 e 24 citati sono state predisposte nel chiaro intento di scoraggiare, attraverso un‘opera di forte deterrenza, il compimento di operazioni evasive. Al riguardo, la Corte dei Conti – Sezioni riunite in sede di controllo, nel corso dell‘audizione tenuta il 10 giugno 2010 presso la Commissione Bilancio del Senato ha precisato, con riguardo al D.L. n. 78/2010, che «per quanto riguarda gli effetti finanziari, sul piano generale va rilevato come nel provvedimento coesistano disposizioni tributarie con sicuri e rilevanti effetti sul gettito, soprattutto in termini di anticipazione di entrate future, con altre disposizioni, alle quali pure vengono riconnesse rilevanti previsioni di 282 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) maggior gettito, ma che, forse, sarebbe più prudente considerare soltanto a posteriori, avendo le medesime disposizioni essenzialmente la natura di un atto di indirizzo all‘azione dell‘amministrazione (...). Sono (...) riconducibili alla seconda tipologia (atti di indirizzo all‘Amministrazione) disposizioni come quelle contenute negli articoli 23 (...) e 24 (...), i cui effetti stimati superano, complessivamente, il miliardo di euro a regime 32. Si tratta di fenomeni sui quali è già da anni appuntata l‘attenzione dell‘Amministrazione finanziaria (...)». Tali disposizioni, tuttavia, proprio perché predispongono solo criteri per selezionare i contribuenti da assoggettare a controllo, e tra tutti i contribuenti, in particolare quelli che evidenziano alcune caratteristiche di ―pericolosità fiscale‖ (ossia la chiusura dell‘attività dopo un anno dalla sua apertura, e la conduzione antieconomica dell‘attività evidenziata dalla ripetuta indicazione di perdite), non hanno una diretta incidenza sul potere di accertamento degli Uffici, né hanno introdotto nuove forme di accertamento per i soggetti da esse contemplati. In particolare, dei rapporti fra la previsione dell‘art. 23 cit. e dell‘art. 37, 3° comma, d.p.r. 1973, n. 600, si è già detto sub par. 1.2 che precede. 4.2 Inoltre, le disposizioni sulle imprese ―apri e chiudi‖ e su quelle in ―perdita sistemica‖ non comportano alcun automatismo tra il trovarsi nelle situazioni da esse previste e l‘essere assoggettati ad accertamento: al riguardo, valga considerare che un‘impresa ―apri e chiudi‖, secondo la dicitura dell‘art. 23 cit., è ―considerata ai fini della selezione della posizione da sottoporre a controllo‖, ma non è detto che necessariamente sia controllata; analogamente dicasi per i contribuenti non soggetti agli studi di settore e tutoraggio (art. 24, c. 2, d.l. n. 78/2010) rispetto ai quali devono essere determinati dei ―piani di intervento sulla base di analisi di rischio a livello locale‖ che comprendano almeno un quinto dei soggetti controllabili, e non tutti i soggetti controllabili. Né, per converso, si può ritenere che i soggetti che non rientrano nell‘ambito di applicazione degli articoli 23 e 24 cit. (ad esempio imprese in perdita che abbiano visto anche aumenti di capitale a titolo oneroso pari alle perdite) non possano comunque essere assoggettati ad accertamento. Parimenti, si pensi agli enti non commerciali o agli esercenti attività agricola che sembrerebbero essere esclusi dagli art. 23 e 24 cit. per il fatto che in via principale non producono reddito di impresa, ma che, per tale motivo, non significa che non 32 Sulla cui stima, però, la stessa Corte dei Conti nella propria relazione solleva qualche perplessità affermando che «non pare affatto che l‘Amministrazione si sia attrezzata per poter rilevare ex post, in modo affidabile, gli effetti finanziari delle misure legislative di contrasto all‘evasione ed ancor meno quelli delle azioni amministrative». 283 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) possano essere altrimenti verificati33. Esiste, in altri termini, la possibilità di un controllo anche senza la formalizzazione di un obbligo di controllo o la programmazione dello stesso. In questa prospettiva, pertanto, anche la problematica sopra affrontata attraverso la individuazione di ―casi problematici‖ di applicazione delle indicate previsioni normative, potrebbe apparire ―ultronea‖, considerato che, anche ove l‘Amministrazione si convincesse che una certa fattispecie non è riconducibile di per se stessa a tale attività di programmazione, ciò non escluderebbe minimamente la possibilità che il controllo fosse (sotto questo profilo) del tutto legittimamente effettuato. Affermazione quest‘ultima che, in linea teorica, appare assolutamente ineccepibile. Tuttavia, in concreto, considerata la programmazione dei controlli, l‘impresa che riuscisse a non trovarsi nella situazione prevista dalle norme indicate (art. 23 cit. - imprese ―apri e chiudi‖ ed art. 24 cit. - imprese in ―perdita sistemica‖) avrebbe certamente più possibilità di non subire un, pur comunque doveroso e legittimo, controllo da parte dell‘Amministrazione finanziaria. Da qui la rilevanza concreta delle due previsioni normative e l‘interesse del contribuente a non ―ricadere‖ nell‘ambito del loro ―tessuto applicativo‖. Analogamente, le due disposizioni non comportano alcun aggravio probatorio per il contribuente che, sulla base delle stesse, fosse stato verificato. Costui, ad esempio, per quanto riguarda la disposizione sulle imprese in ―perdita sistemica‖, sarà comunque chiamato (e ciò a prescindere dall‘introduzione di tale disposizione), a provare il carattere ―economico‖ della propria attività, dimostrando (ad esempio) che la perdita è derivata dall‘inizio dello svolgimento dell‘attività (essendo economicamente normale che lo start up dell‘impresa determini almeno il primo anno una perdita)34, oppure (sempre ad esempio) che la perdita fiscale deriva dall‘applicazione di alcune disposizioni agevolative (quale la c.d. ―Tremonti-ter‖35). 33 Ed infatti, la Circ. n. 13/E del 2009, al par. 2.4 specificamente dedicato agli ―enti non commerciali‖ ha espressamente affermato che l‘attività di controllo «volta nei confronti degli enti del terzo settore (enti non commerciali ed ONLUS) riveste, per il corrente anno, una rilevanza superiore rispetto al passato» di modo che «il comparto in parola va dunque attentamente monitorato, a livello locale, allo scopo di individuare rischi di abuso dei regimi agevolativi, pianificando un numero di controlli idoneo a supportare l‘effetto di deterrenza indotto dalla nuova normativa (i.e. art. 30 D.L. n. 185/2008)». 34 Fermo restando che in tal caso opera pur sempre la previsione dell‘art. 84, c. 2, tuir, che consente il riporto illimitato delle perdite realizzate nei primi tre anni dalla data di costituzione e riferibili all‘esercizio di una nuova attività produttiva. 35 Ed infatti, il comma 1 dell‘art. 5 del D.L. n. 78/2009 prevede che è escluso dall‘imposizione sul reddito di impresa il 50% del valore degli investimenti in nuovi 284 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) 4.3 Conclusioni. Mi sembra pertanto che la reale novità apportata dalla introduzione degli articoli 23 e 24 cit. sia da ravvisare innanzi tutto nel fatto che con essi il legislatore ha voluto ―potenziare‖ l‘attività di controllo, elevando a rango di legge orientamenti che già esistevano all‘interno dell‘Amministrazione (ed avallati dalla giurisprudenza della Cassazione) al fine di responsabilizzare maggiormente sia gli Uffici, in relazione al raggiungimento degli obiettivi del controllo, e sia, soprattutto, i contribuenti, scoraggiandoli dal tenere comportamenti che, presentando aspetti economicamente discutibili, nascondono condotte evasive. Assolutamente non secondario è un ulteriore profilo che emerge dalle due indicate disposizioni di legge, le quali ribadiscono la progressiva tendenza alla softwarizzazione‖ dell‘attività di controllo dell‘amministrazione, cioè all‘attività di controllo effettuata attraverso la selezione computerizzata dei soggetti da verificare, in relazione al semplice scostamento da canoni predeterminati o per il riscontrarsi di situazioni ritenute di particolare ―pericolosità fiscale‖. Attività verso la quale mi sembra si stia muovendo a lunghi passi l‘Amministrazione. Progressiva ―catastizzazione‖ dell‘attività di controllo che è apprezzabile, se limitata alla individuazione dei soggetti da controllare, restando inteso che comunque la determinazione della base imponibile non può prescindere dalle regole di accertamento ispirate alla individualizzazione della ricostruzione della situazione impositiva. In quest‘ottica, particolare rilevanza assume l‘esigenza del ―contraddittorio‖ preventivo, la cui necessità emerge da numerose previsioni normative. Si pensi all‘art. 6 dello Statuto dei diritti del contribuente (l. n. 212/2000), ove è sancito l‘obbligo per l‘Amministrazione di portare a conoscenza del contribuente ―atti ed iniziative‖ emessi ed intraprese nei suoi confronti. Si pensi altresì alla previsione dell‘art. 37-bis d.p.r. 1973 n. 600, comma 4, ove è sancita la necessità (a pena di nullità) che in materia di elusione fiscale l‘avviso di accertamento possa essere emanato solo previa richiesta al contribuente di ―chiarimenti‖. Si pensi ancora alla circostanza che la stessa legge n. 122/10 all‘art. 22, innovando la previsione dell‘art. 38 d.p.r. 1973 n. 600, abbia previsto che macchinari e in nuove apparecchiature di cui a specifiche tabelle, con l‘effetto di determinare, in sede di dichiarazione, una variazione in diminuzione del reddito di impresa che potrebbe anche generare una perdita di periodo. 285 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) l‘accertamento sintetico debba essere contraddittorio con il contribuente. preceduto da un invito al D‘altronde la stessa giurisprudenza della Cassazione, sotto diversi profili, valorizza la necessità del contraddittorio: si considerino le pronunce, emesse con riferimento agli studi di settore, ove è ribadita l‘illegittimità di una applicazione automatica del loro contenuto senza alcuna ―individualizzazione‖ della pretesa impositiva che valorizzi le ―gravi incongruenze‖ di tale scostamento (art. 62-sexies d.l. 1993 n. 331) e la necessità di un contraddittorio preventivo36.. Si pensi infine alle recenti pronunce sia della Corte Costituzionale che della Corte di Cassazione37 in ordine al c.d. ―accertamento anticipato‖ di cui all‘art. 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente: la riconosciuta doverosità che l‘Ufficio motivi le ragioni della mancata osservanza di tale termine evidentemente ribadisce la necessità di garantire al contribuente la possibilità di instaurare un preventivo contraddittorio 38. Semmai in questa prospettiva è del tutto incomprensibile la giurisprudenza della Corte di Cassazione (che a questo punto appare certamente di ―retroguardia‖)39 che in materia di accertamenti bancari non ritiene necessario il previo contraddittorio fra Amministrazione e contribuente, tanto più che tale necessità si desume chiaramente dalla previsione dell‘art. 32, n. 2, d.p.r. n. 1973, n. 600, a tenore del quale i dati e gli elementi desunti dai conti correnti bancari ―sono posti a base delle rettifiche degli accertamenti (…) se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto (…) per la determinazione del reddito (…)‖. 36 Si vedano in tal senso le sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, 18 dicembre 2009, nn. 26635, 26636, 26637 e 26638, nonché, sempre della Corte di Cassazione, l‘ord. 16 maggio 2011, n. 10778, l‘ord. 17 febbraio 2011, n. 3923 e la sent. 25 febbraio 2011, n. 4634. 37 A titolo di esempio, si ricordano l‘ordinanza della Corte Costituzionale 24 luglio 2009, n. 244, a cui hanno fatto seguito, della Corte di Cassazione, la sentenza 3 novembre 2010, n. 22320, le ordinanze 19 novembre 2010, n. 23553, 23554 e, da ultimo, l‘ordinanza 15 marzo 2011, n. 6088. 38 Si veda la sentenza della Corte di Giustizia, sent. 18 dicembre 2008, causa C349/07; cfr. anche BASILAVECCHIA, Contraddittorio e procedimento tributario, un passo indietro e due avanti, in Corr. Trib. 2011, 376, a commento della sentenza della Corte di Cassazione, 29 dicembre 2010, n. 26316. 39 Espressione di questo orientamento è la sent. della Cass., 14 gennaio 2011, n. 802, che ha affermato come «la legittimità dell‘utilizzo dei dati, desunti dalla verifica operata dall‘ufficio sui conti correnti bancari del contribuente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, non è condizionata, infatti, dalla previa instaurazione del contraddittorio con il medesimo. Tale attività preventiva costituisce, per vero, una mera facoltà per l‘amministrazione, e non certo un obbligo (...)»; in senso analogo si vedano altresì le sent. della Cassazione n. 14675/2006 e n. 25142/2009. 286 L‘ATTIVITÀ ACCERTATIVA MIRATA ALL‘―APRI E CHIUDI SOCIETARIO‖ E AL ―MORDI E FUGGI REDDITUALE‖ (ARTT. 23 E 24 L. N. 122/2010) Pertanto, tenuto conto anche delle due previsioni normative di che trattasi, mi sembra di potermi esprimere a favore della elevazione a rango legislativo della ―softwarizzazione‖ della ricerca della materia imponibile, quale strumento assolutamente necessario tenuto conto della platea dei contribuenti e della loro diversificazione. Tuttavia, la ricostruzione della materia imponibile, a mio giudizio, deve avvenire tenendo conto della ―individualità‖ e della specificità della situazione reddituale di ciascun contribuente, ed ispirandosi al principio del contraddittorio. 4.4 Soprattutto, si consideri che, anche la progressiva softwarizzazione della programmazione dell‘attività di controllo (di cui gli artt. 23 e 24 cit. sono chiara espressione) non può prescindere dall‘osservanza di fondamentali principi costituzionali quali il principio di eguaglianza, di ragionevolezza e di proporzionalità, desumibili direttamente dagli artt. 3 e 97 Cost.. Senza tralasciare il contenuto dell‘art. 53 Cost. posto che, qualificandosi l‘attività di controllo ―veicolo diretto‖, al fine della determinazione reddituale, i criteri di programmazione di tale attività non possono che essere ispirati al principio di capacità contributiva: in questa prospettiva, certamente (oltre che del tutto irragionevole e non proporzionale) sarebbe in contrasto col principio di capacità contributiva un‘attività di controllo, volta ad esempio, (nell‘ambito dell‘accertamento sintetico) alla rilevazione di spese strettamente necessarie a sostenere il ―minimo vitale‖ per vivere. Anche l‘attività amministrativa di programmazione del controllo non può che tener conto dei limiti costituzionali sopra individuati. 287 Prof. Corrado Magnani “La sospensione amministrativa della riscossione „concentrata‟” Circa quindici anni fa, negli scritti in onore di Victor Uckmar che oggi, tramite la Fondazione Antonio Uckmar, ha organizzato con inesauribile dedizione questo convegno, mi occupai della sospensione amministrativa della riscossione, tentando di fornire un inquadramento teorico ―fra autotutela amministrativa e tributaria cautelare‖ pur nella consapevolezza sociologica del diffuso scetticismo nei c.d. rimedi giustiziali della P.A.. Il tema non è stato comunque approfondito in prosieguo. Basti pensare che in una recente monografia, dedicata alla riscossione a mezzo ruolo, non mi pare si accenni neppure al tema. Per aggiornamenti è necessario ricorrere alla manualistica più avveduta. Così, con sapienza ed equilibrio, S. La Rosa nei suoi Principi di diritto tributario dedica un paragrafo al tema constatando che ―si è in presenza di una disciplina che è ancora poco lineare e dal difficile inquadramento sistematico‖ e ne suggerisce comunque l‘inquadramento ―nella ottica del contemperamento discrezionale degli interessi patrimoniali pubblici e privati sottesi ai modi e tempi del pagamento del tributo‖. Orbene codesta disciplina che, in assenza di un adeguamento legislativo, sarebbe stata praticamente confinata nel limbo della marginalità, ha tratto invece nuova linfa dall‘essere stata estesa agli avvisi di accertamento esecutori, cioè ad un amplissimo settore della fenomenologia impositiva. Nonostante che la circolare 15-2-2011, n. 4 della Agenzia delle entrate si limiti laconicamente a puntualizzare che ―nel caso in cui sia presentato ricorso avverso l‘atto di accertamento si rende applicabile l‘art. 39 del d.P.R. n. 602/1973 che prevede la facoltà per l‘Ufficio delle entrate di sospendere in tutto o in parte il ruolo fino alla sentenza della C.T.P.‖, rinviando invece a successivi documenti di prassi ―ulteriori problematiche interpretative ed applicative relative a specifiche disposizioni‖ e quindi anche a quella in esame, siamo in presenza di una notevole innovazione che esige un‘attenta riflessione. Innanzi tutto, manca tuttora una disciplina generale sia perché difetta un codice tributario sia perché ancora una volta il legislatore interviene in modo occasionale e disorganico. Per la verità un tentativo - giudicato unanimemente contingente (legato cioè alla patologia delle c.d. cartelle pazze) e maldestro (espressione del fenomeno della normativa per stratificazione) - di legiferare ―per principii‖ è stato fatto con l‘art. 27 della legge n. 28/1999 che ha inserito nel testo delle legge del 1994 sull‘autotutela la norma (art. 1 bis) che così suona: ―nel potere di annullamento o di revoca di cui al comma 1 deve intendersi compreso anche ―LA SOSPENSIONE AMMINISTRATIVA DELLA RISCOSSIONE ‗CONCENTRATA‘‖ il potere di disporre la sospensione degli effetti dell‘atto che appare illegittimo o infondato‖. Codesta norma, peraltro, si sostanzia e si esaurisce in un enunciato di valenza essenzialmente teorica. Anche a condividersi l‘opinione secondo cui è improprio sostenere che la sospensione degli effetti del provvedimento impositivo costituisce attività di per sé ―ricompresa‖ nell‘autotutela, stante la diversità di effetti dell‘una e dell‘altra, non può negarsi che la sospensione sia riconducibile all‘autotutela sia pure intesa in senso lato, ossia come espressione del potere di riesame dei provvedimenti impositivi ed esattivi riconosciuto all‘amministrazione finanziaria. Ma al di là di codesto riconoscimento di principio (essere cioè sospendibile l‘atto nelle more del procedimento di riesame) non mi sembra desumibile dal richiamato articolo 27 la generalizzazione di un autonomo potere di sospensione che, dal punto di vista procedimentale, resta invece confinato nell‘ambito della delineata disciplina. Di conseguenza la generalizzata, almeno nel settore delle imposte sul reddito e IVA, sospensione amministrativa degli atti impositivi dotati di esecutorietà appare una realtà del tutto nuova poiché secondo la disciplina oggi ancora operante essa è possibile solo nei casi in cui il ruolo assume funzione anche impositiva. Sebbene l‘estensione del rimedio agli avvisi di accertamento si coerenzi in termini di ratio con l‘attribuzione agli stessi del carattere esecutivo, la sospensione può essere accordata non soltanto qualora il ricorso contro l‘avviso attenga alla sua valenza di titolo esecutivo (carenza o difformità a legge della intimazione ad adempiere ovvero dell‘‖avvertimento‖; nullità della notifica) ma altresì per qualsiasi motivo che riguardi la legittimità dell‘atto impositivo. Codesta estensione del potere avrebbe richiesto, a mio avviso, una normazione, quanto meno secondaria sui presupposti e sul procedimento per delimitare e quindi indirizzare, in attuazione dei principi costituzionali d‘imparzialità e di buon andamento della P.A., l‘esercizio di un potere eminentemente discrezionale quale è quello in esame. In assenza di un regolamento (o, quanto meno, di norme interne) spetta allo interprete delineare un quadro disciplinare attendibile del procedimento utilizzando i pochi dati normativi emergenti dall‘art. 39 cit.. Al riguardo occorre innanzi tutto individuare l‘organo dell‘Agenzia delle entrate titolare del potere di sospensione. Ciò esige addirittura un‘operazione ermeneutica perché l‘art. 39 non è stato aggiornato sul punto e fa ancora riferimento a ―l‘Ufficio delle entrate o il centro di servizio‖, ossia a organi da tempo soppressi e sostituiti dalla struttura territoriale dell‘Agenzia delle entrate. Non sembra peraltro difficile l‘individuazione dell‘organo competente che evidentemente è quello che ha emesso l‘atto oggetto dell‘impugnazione. 290 ―LA SOSPENSIONE AMMINISTRATIVA DELLA RISCOSSIONE ‗CONCENTRATA‘‖ Il procedimento, come quello relativo all‘autotutela, non deve essere necessariamente ad iniziativa della parte privata, ma può essere attivato anche d‘ufficio. Nel primo caso, tuttavia, sebbene la legge non parli espressamente di domanda (come invece accadeva per la sospensione disposta dal centro di servizio) o di istanza del contribuente, il carattere recettizio del provvedimento decisorio, reso palese dalla prevista sua notificazione all‘agente della riscossione ed al contribuente, comprova, in capo all‘organo titolare del potere, l‘esistenza di un obbligo di provvedere. Ciò consente indubbiamente, in caso di inerzia, di applicare l‘istituto di silenzio-rifiuto ma non autorizza l‘interprete a ravvisare nella sospensione in esame una misura cautelare. A tale configurazione osta la disciplina del procedimento. In primo luogo la legge non subordina, come accade invece nel settore dei ricorsi amministrativi, l‘esercizio del potere di sospensione al pericolo di danno di guisa che legittimamente l‘Agenzia delle entrate sospende la riscossione (recte: l‘esecuzione del ruolo) se ravvisa un fumus boni juris nel ricorso alla commissione. Per la verità si è addirittura sostenuto che, dall‘inquadramento della sospensione amministrativa nell‘ambito dell‘autotutela tributaria nell‘eventuale attuazione del potere di sospensione da parte del contribuente non dovrà più essere evidenziato il profilo del fumus boni juris, ―dovendosi viceversa segnalare profili di interesse generale, sia in ordine alla legittimità degli atti e sia in ordine allo ordinato svolgimento dell‘attività di prelievo, specie nella fase esattiva‖ (Glendi, in Dir. prat. trib., 1999, I, 135). Il corollario, ineccepibile da un punto di vista logico, ci sembra, almeno apparentemente, sottovalutare la circostanza che l‘istanza di sospensione ex art. 39 d.p.r. n. 602/73 presuppone il ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento esecutivo e quindi postula, proprio in ordine ai segnalati ―profili di interesse generale‖ una sommaria valutazione prognostica circa la fondatezza in via sintomatica dei motivi del ricorso come si desume dalla regola secondo cui la cessazione dell‘effetto sospensivo è correlata – sia dall‘art. 39 d.p.r. n. 602/73 sia dall‘art. 1 quater della legge n. 28/1999 – alla pubblicazione della sentenza. Tali disposizioni sono state censurate in dottrina ―siccome ripetitive di principi consolidati di diritto comune‖ (s. muscarà) ma la critica coglierebbe nel segno se la sospensione amministrativa fosse riconducibile alla tutela cautelare mentre la ricostruzione da noi proposta esclude qualsiasi analogia funzionale tra le due e quindi giustifica tale disposizione. Sempre in tema di presupposto della sospensione amministrativa va ricordato l‘art. 244.2 del codice doganale ai sensi del quale ―l‘autorità doganale può sospendere, in tutto o in parte, l‘esecuzione della decisione quando abbia fondati motivi di dubitare della conformità della decisione impugnata alla normativa doganale, o si debba temere un danno irreparabile per l‘interessato‖. 291 ―LA SOSPENSIONE AMMINISTRATIVA DELLA RISCOSSIONE ‗CONCENTRATA‘‖ La portata veramente illuminante della norma in esame risiede nell‘esplicitazione – mediante una formula che, dal punto di vista letterale e logico, non sembra ammettere dubbi interpretativi – dei requisiti della sospensione che la congiunzione ―o‖, con valore sicuramente disgiuntivo enfatizzato dalla virgola che la precede, individua alternativamente nel fumus boni juris e nel periculum in mora. Il primo, correlando lo stato soggettivo di incertezza a motivi ―fondati‖, tende ad oggettivizzare la valutazione circa la legittimità del provvedimento e quindi, indirettamente, si risolve in un giudizio prognostico sull‘esito del ricorso; il secondo fa riferimento alla prospettazione di un danno irreparabile in termini non molto dissimili (manca la qualificazione della gravità del danno ―temuto‖). Siamo dunque in presenza di una sospensione certamente non cautelare nell‘accezione che questo termine assume nell‘ambito giurisdizionale; positivamente, di una sospensione subordinata alla sussistenza di circostanze riconducibili alla tutela di ben differenziati interessi: il fumus in chiave di autotutela amministrativa interinale, il periculum in mora a tutela dell‘interesse dell‘operatore economico e della speditezza dei traffici. Ma, diversamente da quanto disposto per il ricorso contro il ruolo, il codice, con specifico riferimento all‘ipotesi in cui ―la decisione impugnata abbia per effetto l‘applicazione di dazi all‘importazione o di dazi all‘esportazione‖, ossia a fronte di un atto di imposizione tributaria, la tutela cautelare dell‘amministrazione doganale si realizza ope legis nel senso che ―la sospensione dell‘esecuzione è subordinata all‘esistenza o alla costituzione di una garanzia‖. Mentre nel caso di ricorso contro il ruolo codesto intervento cautelare è, per così dire, successivo ed eventuale (ossia si concretizza nella regola del provvedimento di sospensione, assumendo autonomia procedimentale), nel caso in esame è contestuale e anticipatorio (prestazione di una garanzia). L‘automatismo è peraltro attenuato da un contrappeso altrettanto automatico, nel senso che ―tuttavia non si può esigere detta garanzia qualora, a motivo della situazione del debitore, ciò possa provocare gravi difficoltà di carattere economico o sociale‖. La genericità della formula è tale da rendere largamente discrezionale la decisione dell‘autorità doganale che investe un doppio livello valutativo e cioè sia l‘accertamento della sussistenza del requisito per la sospensione sia il giudizio di prevalenza tra l‘interesse pubblico alla cautela amministrativa e quello privato del ―debitore‖. La legge non disciplina i rapporti tra sospensione amministrativa e sospensione giudiziale dell‘atto di imposizione. Occorre quindi innanzi tutto chiedersi se sia necessaria o comunque utile una normazione di raccordo ovvero se, come ritengo, nessun serio problema si ponga al riguardo. Il primo interrogativo è stato formulato in epoca anteriore alla vigente disciplina e quindi in prospettiva de jure condendo, rispondendosi che ―bisognerà costruire un sistema in cui quando il contribuente ha scelto di chiedere la sospensione al giudice, non potrà più andare a chiederla all‘Intendente e poi all‘ufficio‖ (gallo). 292 ―LA SOSPENSIONE AMMINISTRATIVA DELLA RISCOSSIONE ‗CONCENTRATA‘‖ Non è chiaro, peraltro, se la citata dottrina fosse addirittura favorevole alla tendenziale eliminazione (secondo l‘originaria scelta fatta poi dal legislatore delegato) della sospensione amministrativa ovvero a precluderla in conseguenza della proposizione dell‘istanza in via cautelare in omaggio al brocardo electa una via non datur recursus ad alteram (sia pure a senso unico, quasi in virtù di una sorta di ―prevalenza‖ della sospensione giurisdizionale su quella amministrativa). Il primo corno del dilemma è stato superato – e, come confidiamo aver dimostrato, giustificato – dalla legislazione successiva. Il secondo non ci sembra condivisibile in quanto le due sospensioni hanno presupposti, natura e funzione diversi. Ciò non significa, ovviamente, che producendosi gli stessi effetti, possano emettersi, in successione temporale, un‘inibitoria amministrativa o un‘inibitoria giurisdizionale. E‘ evidente infatti che, disposta dall‘Agenzia delle entrate la sospensione dell‘atto, la Commissione tributaria provinciale non possa (salvo che nel frattempo quella sospensione sia stata revocata dallo stesso organo amministrativo) emettere l‘ordinanza cautelare ostando all‘evidenza la mancanza del presupposto (periculum in mora). D‘altra parte, disposta la sospensione da parte del giudice non può essere chiesta e comunque accordata la sospensione amministrativa perché è già operante, e quindi il provvedimento sarebbe privo di presupposto, salvo che nel frattempo la commissione la abbia revocata. Ciò non esclude che, de jure condendo, il concorso dei due procedimenti possa essere convenientemente disciplinato; ma sempre nella premessa che le due forme hanno diversa natura e che sono quindi perfettamente compatibili. Né in proposito può essere utilmente invocata la disciplina dei rapporti tra le due sospensioni in vigore in Germania giacchè la disposta priorità dell‘istanza in via amministrativa è conseguenziale all‘obbligo del previo ricorso stragiudiziale e la (successiva) istanza in via giurisdizionale è ammissibile, anche prima dell‘inizio della causa in merito, come si è già accennato, soltanto se l‘Ufficio finanziario non ha accolto in tutto o in parte l‘istanza di sospensione o è rimasto inerte per un ragionevole termine ovvero è incombente l‘esecuzione. Nel nostro ordinamento non esiste né un filtro (oltretutto incostituzionale) né un filtro attenuato (dalla proponibilità immediata dell‘azione cautelare nei casi previsti) che sistematicamente rendono necessarie in materia alternativa o priorità. In secondo luogo – e quand‘anche la sussistenza di gravi motivi si volesse considerare un presupposto implicito del provvedimento di sospensione – dall‘accennata disciplina emerge piuttosto un‘esigenza cautelare di segno opposto, e cioè il ―fondato pericolo per la riscossione‖ che legittima l‘A.F. a revocare il provvedimento. Ne discende che l‘interesse del contribuente ad assicurarsi l‘anticipazione degli effetti della sentenza della commissione è destinato a soccombere di fronte al prevalere dell‘interesse pubblico all‘esazione del tributo. Vi è anzi da aggiungere che l‘accennata esigenza cautelare a favore dell‘Amministrazione finanziaria consentiva di autorizzare l‘iscrizione a titolo provvisorio ―anche in deroga alle norme di cui all‘art. 15‖ 293 ―LA SOSPENSIONE AMMINISTRATIVA DELLA RISCOSSIONE ‗CONCENTRATA‘‖ (art. 11, 5° comma, d.P.R. n. 602 del 1973) e quindi, in caso di ricorso contro il ruolo straordinario (nel quale può dunque essere iscritta l‘intera imposta accertata), la sospensione della riscossione era praticamente esclusa avendo l‘organo ad essa deputato previamente accertato la sussistenza del ―fondato pericolo per la riscossione‖ che è causa, se sopravvenuta, di revoca della sospensione. Identicamente la nuova disciplina, consentendo, se ricorre il periculum in mora, di intimare il pagamento delle somme liquidate nell‘avviso di accertamento, ―nel loro ammontare integrale comprensivo di interessi e sanzioni‖, evidenzia la stessa preclusione. Naturalmente se il periculum in mora sopravviene alla notificazione dell‘avviso, l‘intimazione a pagare l‘intero deve essere notificata al contribuente o quanto meno essere contenuta nell‘atto di revoca. La disciplina della sospensione è dunque improntata a criteri di valutazione comparativa di contrapposti interessi (pubblico e privato) e non può essere ascritta alla funzione cautelare. Per quanto riguarda il provvedimento finale la legge si limita a prescriverne la motivazione il cui contenuto deve essere funzionale, in caso di istanza, ai motivi in essa dedotti. Sebbene, si è detto, il periculum in mora non costituisca presupposto per accoglimento della domanda e quindi debba ritenersi illegittima la sua reiezione giustificata soltanto dalla mancata prova del pregiudizio, non può escludersi che tale prospettazione, nell‘ambito della valutazione eminentemente discrezionale demandata all‘organo decidente, possa, anzi debba essere presa in considerazione. Per quanto concerne, infine, la tutela giurisdizionale avverso il provvedimento di diniego deve affermarsi la sussistenza della giurisdizione speciale tributaria stante l‘insegnamento giurisprudenziale che individua nel carattere ―tributario‖ della controversia l‘ambito della competenza giurisdizionale delle commissioni tributarie. Resta da stabilire se il diniego di sospensione rientri tra gli atti impugnabili ai sensi dell‘art. 19 d.lgs. n. 546/92. Sebbene tale atto non sia espressamente menzionato nell‘elenco stabilito da tale disposizione ritengo che, secondo il più recente insegnamento giurisprudenziale, si sia in presenza di un atto (come si è visto, sicuramente ―tributario‖) avente natura provvedimentale ossia espressivo di un potere dispositivo sul c.d. rapporto tributario costituente, in particolare, esercizio della funzione di riscossione, e come tale suscettibile di ledere immediatamente una situazione soggettiva meritevole di tutela ex art. 113 Cost. Naturalmente, in relazione sia alla natura discrezionale dell‘atto che a quella della giurisdizione tributaria, il sindacato delle commissioni può riguardare soltanto la legittimità dell‘atto (ad esempio il controllo della sua motivazione) ed avere ad oggetto il suo eventuale annullamento. Purchè legittimamente esercitato il potere di sospensione è riservato all‘Amministrazione finanziaria 294 ―LA SOSPENSIONE AMMINISTRATIVA DELLA RISCOSSIONE ‗CONCENTRATA‘‖ che, in caso di annullamento del provvedimento di diniego sarà tenuta a provvedere nuovamente. Acclarata l‘autonomia strutturale e funzionale dei due rimedi e quindi la loro razionale convivenza nell‘ordinamento tributario, conclusivamente occorre chiedersi se e a quali condizioni la sospensione amministrativa possa assolvere, sul piano operativo, allo scopo in vista del quale è stata prevista. All‘interrogativo abbiamo già dato una risposta articolata che è opportuno meglio spiegare e argomentare. Affinchè la sospensione possa costituire uno strumento di tutela efficiente e quindi utilizzabile dal contribuente eventualmente in alternativa al rimedio cautelare è a nostro avviso indispensabile che ne sia dettata una disciplina stringente idonea, da un lato, a delimitare la discrezionalità della amministrazione finanziaria e dall‘altro ad assicurare che il procedimento ad istanza di parte sia informato al principio costituzionale di imparzialità della pubblica amministrazione. In particolare – come, del resto, avviene per l‘autotutela decisoria – è necessario che siano analiticamente individuati i presupposti della domanda con particolare esplicitazione di quello del fumus boni juris che induca l‘Agenzia delle entrate, a tutela innanzi tutto dell‘interesse pubblico ad un ordinato prelievo, al sommario riesame del proprio operato alla luce dei motivi del ricorso alla commissione tributaria e assicuri, in caso di diniego della sospensione, un effettivo controllo giurisprudenziale della relativa motivazione. E‘ assolutamente indispensabile, poi, che per la decisione sull‘istanza sia stabilito un termine non superiore ai trenta giorni per la decisione scaduto il quale sia configurabile un silenziodiniego. In caso contrario la sospensione amministrativa resterà un mero flatus vocis del legislatore tributario, privo di qualsiasi incidenza sull‘esperienza giustiziale della amministrazione finanziaria proposto nel momento in cui l‘attuata ―concentrazione‖ della riscossione avrebbe postulato maggiori garanzie per i contribuenti. 295 Prof. Giuseppe Marini Blocco dei crediti, ordine di pagamento al fisco ed effettività della tutela giurisdizionale 1 Gli interessi del Fisco non possono mai comportare, come non di rado è avvenuto nella nostra legislazione e come mi sembra avvenga nella normativa di cui parlerò, la violazione di fondamentali principi costituzionali tra i quali quello della effettività della tutela giurisdizionale. Quando ciò avviene sarebbe auspicabile una minore timidezza del giudice delle leggi che anche egli, non di rado, ed oggi fortunatamente sempre meno, grazie anche alla presenza nella Corte di un autorevole tributarista, ha svolto la sua altissima funzione con un occhio rivolto al fisco e mezzo occhio alla tutela costituzionale del contribuente. E la vicenda alla quale dedicherò un brevissimo cenno mi sembra particolarmente significativa al riguardo. Nel riassumere una fin troppo nota disciplina mi limiterò a ricordare che l‘art. 48-bis del d.P.R. n. 602/1973 dispone che le amministrazioni pubbliche, prima di effettuare pagamenti di importo superiore a diecimila euro in favore dei loro creditori, sono tenute a verificare se questi ultimi abbiano, a loro volta, adempiuto nei confronti dell‘erario agli obblighi di pagamento derivanti dalla notifica di cartelle esattoriali 1 per un ammontare almeno pari all‘importo suddetto. Ai sensi dell‘art. 2 del relativo decreto ministeriale attuativo, n. 40/2008, il concessionario della riscossione deve dare riscontro alla richiesta di verifica proveniente dalla p.a. entro il termine di cinque giorni, scaduto inutilmente il 1 Si tenga presente che, giusta la previsione dell‘art. 29, D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito con legge 30 luglio 2010, n. 122), a partire dal 1° luglio 2011 l‘agente della riscossione potrà procedere alla riscossione del credito tributario mediante notificazione al contribuente di un avviso di accertamento, recante l‘intimazione ad adempiere entro un dato termine, nonché l‘avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata. Tale atto, che funge a un tempo da atto impositivo, da titolo esecutivo e da precetto, sostituirà pertanto – con riguardo ai tributi espressamente previsti dalla legge (imposte sui redditi, Irap e imposta sul valore aggiunto) – il ruolo e la cartella. La riscossione mediante ruolo permane invece per i tributi diversi da quelli previsti dal citato art. 29, tra i quali i tributi doganali, quelli locali, quelli indiretti diversi dall‘IVA. Sul punto v. amplius infra, § 5 BLOCCO DEI CREDITI, ORDINE DI PAGAMENTO AL FISCO ED EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE quale la p.a. può procedere al pagamento dovuto, al pari di quanto accade qualora la verifica non accerti l‘esistenza di alcun ―inadempimento‖ 2. Qualora, invece, risulti un ―inadempimento‖, il concessionario della riscossione, nei termini di cui sopra, dovrà comunicare al soggetto pubblico l‘intenzione di procedere alla notifica dell‘ordine di pagamento previsto dall‘art. 72-bis del d.P.R. n. 602, di cui oltre si dirà. Il soggetto pubblico, dal canto suo, dovrà congelare i pagamenti da effettuarsi al (presunto) debitore erariale. L‘agente della riscossione ha l‘onere di notificare l‘ordine di pagamento entro i trenta giorni successivi alla suddetta comunicazione, pena il venir meno del congelamento dei pagamenti dovuti dalla p.a. Il combinato disposto degli artt. 48-bis e 72-bis, che in tal modo viene a realizzarsi, non può certo dirsi esente da censure. Scaduto il termine per il pagamento della cartella esattoriale, può, infatti, accadere che nello spazio di pochi giorni il contribuente si veda dapprima bloccati i pagamenti da parte dei committenti pubblici e, successivamente, sottratte le relative somme da parte del Fisco, senza avere ancora, verosimilmente, potuto ottenere (dal giudice tributario) la sospensione dell‘esecuzione della cartella3. 2. Giova premettere – ai fini di una migliore comprensione dei termini del problema – che l‘art. 72-bis (nel testo introdotto dall‘art. 3, comma 40, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, e successivamente modificato dall‘art. 2, comma 6, del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262) consente all‘agente della riscossione di pignorare i crediti del debitore verso terzi con un atto recante, in luogo della più ―garantista‖ citazione davanti al giudice, l‘ordine al terzo di pagare il credito direttamente al concessionario, fino a concorrenza del credito per cui si procede, ―nel termine di quindici giorni dalla notifica dell‘atto di pignoramento, per le somme per le quali il diritto alla percezione sia maturato anteriormente alla data di tale notifica, ovvero alle rispettive scadenze, per le restanti somme‖4. 2 Su tale disciplina v. Basilavecchia, Il blocco dei pagamenti della Pubblica Amministrazione, in Corr. trib., 2008, 2659. 3 Salvo quanto si dirà infra, § 5, a proposito della nuova disciplina in tema di concentrazione della riscossione nell‘accertamento (art. 29, 1° co., lett. b-bis, D.L. n. 78/2010). 4 Tale speciale sistema di riscossione era in origine previsto unicamente per consentire l‘espropriazione immediata sui fitti e le pigioni dovuti dal terzo al debitore iscritto a ruolo (art. 72, d.P.R. n. 602/1973); successivamente, esso fu esteso al pignoramento sul quinto dello stipendio del lavoratore (art. 72-bis, d.P.R., nella precedente formulazione introdotta dall‘art. 3, comma 40, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203), per essere infine generalizzato a qualunque esecuzione avente ad oggetto cose mobili del debitore (v. il nuovo art. 73 del d.P.R., nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall‘art. 1, comma 142, della legge 24 dicembre 2007, n. 244). In particolare, il comma 1-bis del citato art. 73 prevede che ―il pignoramento dei beni di cui al comma 1 del presente articolo può essere effettuato dall‘agente della 298 BLOCCO DEI CREDITI, ORDINE DI PAGAMENTO AL FISCO ED EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE Diversamente da quanto accade nel rito ―ordinario‖, ove il pignoramento inizia con la notifica della citazione ex art. 543 c.p.c. (momento a decorrere dal quale gravano sul terzo gli obblighi che la legge impone al custode, primo tra tutti il divieto di pagare le somme dovute senza ordine del giudice), si perfeziona con la conforme dichiarazione del terzo e si conclude con un provvedimento di assegnazione delle somme al procedente (e agli eventuali creditori intervenuti) all‘esito dell‘udienza in cui è sentito il debitore 5, nel caso in esame il pignoramento si attua con la notifica dell‘ordine e si conclude rapidamente con il pagamento del terzo in favore del concessionario, senza alcun controllo da parte del giudice in ordine alla sussistenza dei presupposti dell‘azione esecutiva e alla legittimità del suo esercizio. Tale disciplina speciale, indubbiamente preordinata a rendere più incisiva ed efficace la riscossione delle entrate tributarie, è da subito apparsa di dubbia costituzionalità, in parte evidenziata dall‘ordinanza n. 87 dell‘11 dicembre 2007, con cui il Tribunale di Genova ha per la prima volta sollevato la questione di legittimità costituzionale dell‘art. 72-bis per violazione degli artt. 3 e 24 Cost.6 Ad avviso del giudice remittente, la disposizione citata, nel consentire all‘agente della riscossione di ordinare discrezionalmente al terzo il pagamento diretto, ha di fatto creato una irragionevole disparità di trattamento tra il debitore esecutato nell‘àmbito di un procedimento esecutivo ―ordinario‖, al quale sono applicabili le norme del codice di procedura civile, e il debitore esecutato in una procedura esattoriale. Mentre, infatti, il primo potrà sempre proporre opposizione all‘esecuzione – e così confidare nella sospensione della procedura esecutiva ai sensi dell‘art. 624 c.p.c. – allorché il debito non sussista ovvero il creditore sia comunque sprovvisto del diritto ad agire in executivis, il secondo ha facoltà difensive assai più ridotte, non essendo legittimato a valersi del rimedio di cui all‘art. 615 c.p.c. se non per far valere l‘impignorabilità dei beni (art. 57, comma 1, d.P.R. n. 602/1973), e potendo ottenere la sospensione dell‘esecuzione alle sole limitate condizioni riscossione anche con le modalità previste dall‘articolo 72-bis; in tal caso, lo stesso agente della riscossione rivolge un ordine di consegna di tali beni al terzo, che adempie entro il termine di trenta giorni, e successivamente procede alla vendita‖. 5 Giova ricordare che, in esito alla modifica degli artt. 543 e 547 c.p.c. per effetto della legge n. 52/2006, il terzo può ora, anziché comparire in udienza, rendere la propria dichiarazione a mezzo raccomandata inviata al creditore procedente (salvo che l‘espropriazione abbia ad oggetto crediti da lavoro o previdenziali). Tale disciplina deve evidentemente applicarsi anche nella procedura esecutiva esattoriale, quante volte il terzo resti inadempiente rispetto all‘ordine di pagamento formulato dall‘agente della riscossione; e sarà in ogni caso applicabile allorché il suddetto agente, nell‘esercizio della facoltà riconosciutagli dalla legge, opti per l‘iter espropriativo ―ordinario‖ previsto dagli artt. 543 ss. c.p.c. 6 Il testo dell‘ordinanza di rimessione è pubblicato in GT Riv. Giur. Trib., 2008, 517, con commento di Piciocchi, La nuova ―esecuzione forzata esattoriale‖. 299 BLOCCO DEI CREDITI, ORDINE DI PAGAMENTO AL FISCO ED EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE indicate nell‘art. 60 del medesimo d.P.R. (ossia quando ricorrano gravi motivi e vi sia fondato pericolo di grave e irreparabile danno) 7. La Corte costituzionale, con ordinanza n. 393 del 28 novembre 2008 8, ha dichiarato la questione inammissibile per difetto di rilevanza, ―non essendo ulteriormente il giudice a quo chiamato ad applicare la disposizione censurata‖9. La Corte ha poi precisato che, indipendentemente dai profili di inammissibilità, ―la facoltà di scelta del concessionario tra due modalità di esecuzione forzata presso terzi non crea né una lesione del diritto di difesa dell‘opponente, né una rilevante disparità di trattamento tra i debitori esecutati, sia perché questi sono portatori di un interesse di mero fatto rispetto all‘utilizzo dell‘una o dell‘altra modalità e possono in ogni caso proporre le opposizioni all‘esecuzione e agli atti esecutivi di cui all‘art. 57 del d.P.R. n. 602/1973, sia perché non sussiste un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità di regole procedurali‖. Argomentazioni che non sembrano tuttavia del tutto appaganti. La questione sollevata dal Tribunale di Genova non atteneva, infatti, alla intrinseca ragionevolezza (della quale non può certamente dubitarsi) del sistema di riscossione speciale, in sé considerato, rispetto a quello ordinario; né, d‘altro canto, il giudice a quo aveva censurato la norma impugnata sotto il profilo della ―necessaria uniformità delle regole procedurali‖ (principio che, anzi, nella propria ordinanza ha espressamente dichiarato non sussistere). 7 Si legge infatti nell‘ordinanza del giudice a quo che ―il pignoramento eseguito in base alla norma censurata, con ordine coattivo di consegna immediata, in luogo di quello ex artt. 543 ss. c.p.c., ha reso più gravosa e meno efficace per l‘esecutato la sua difesa‖, perché se costui ―avesse proposto opposizione dopo aver ricevuto la rituale citazione ex art. 543 c.p.c., nel tempo intercorrente tra la sua notifica e l‘udienza di dichiarazione del terzo ex art. 547 c.p.c., qualora il g.e. avesse sospeso l‘esecuzione ex art. 60 del d.P.R. n. 602/1973, stante il disposto dell‘art. 49, n. 2 del d.P.R. citato, sarebbe stato conseguentemente applicabile, per la parte per cui non provvede l‘art. 60 del d.P.R. n. 602/1973, l‘art. 624 c.p.c.‖; con l‘ulteriore conseguenza che, ―in caso di sospensione non reclamata ex art. 669-terdecies c.p.c., o disposta o confermata in sede di reclamo, il g.e., in caso di istanza dell‘opponente, avrebbe dichiarato l‘estinzione della procedura, liberando di fatto la somma vincolata e non ancora assegnata‖. In definitiva, ad opinione del giudice a quo, ―è di percezione immediata quanto la diversa scelta operata dal concessionario procedente, la cui discrezionalità discende dalla norma, abbia creato una disparità di trattamento ove si consideri che, in caso di sospensione ed estinzione della procedura, il recupero della somma pignorata, già versata al procedente, sarebbe non poco oneroso per l‘esecutato‖. 8 In GT Riv. Giur. Trib., 2009, 111, con nota di Piciocchi, nonché in Corr. trib., 2009, 330, con nota di Basilavecchia. 9 Occorre infatti considerare che, nella specie, il giudice dell‘esecuzione aveva già sospeso la procedura esecutiva nel rimettere gli atti alla Corte: con ciò – ad opinione del Giudice delle leggi – definitivamente esaurendo il potere cautelare attribuitogli dall‘art. 60, d.P.R. n. 602/1973. 300 BLOCCO DEI CREDITI, ORDINE DI PAGAMENTO AL FISCO ED EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE Il vero problema – sul quale la Corte ha omesso di pronunciarsi – è invece quello della oggettiva disparità di trattamento che la disposizione censurata introduce tra due (presunti) debitori erariali, di cui uno assoggettato alla ―ordinaria‖ procedura espropriativa presso terzi ex artt. 543 ss. c.p.c., e l‘altro soggetto alla procedura speciale. Il secondo non gode, all‘evidenza, delle medesime garanzie attribuite al primo. Né tale vuoto di tutela potrebbe ritenersi superato dalla facoltà – comunque spettante al debitore erariale – di proporre l‘opposizione all‘esecuzione di cui all‘art. 57 del d.P.R., giacché, come si è anticipato, il rimedio di cui all‘art. 615 c.p.c. è ammesso nella procedura esecutiva esattoriale solamente in caso di contestazioni concernenti la pignorabilità dei beni assoggettati ad esecuzione, ogni altra questione dovendo essere invece dedotta dinanzi alla commissione tributaria 10. 3. Ma la scarsa conformità della disciplina in esame ai principi di cui agli artt. 3, 24 (e, deve aggiungersi, 111) Cost. risulta viepiù evidente quando si passi a considerare le forme di tutela cautelare concesse al contribuente nell‘àmbito della procedura esecutiva esattoriale11. Se già l‘art. 60, d.P.R. 602/1973 pone una evidente limitazione al potere del giudice dell‘esecuzione di sospendere il processo esecutivo, subordinandolo al ricorrere di gravi motivi e del fondato pericolo di grave e irreparabile danno12, in presenza di una procedura espropriativa ex art. 72-bis d.P.R. tale (limitato) potere cautelare resterà solo sulla carta. Tutte le volte in cui il terzo abbia già corrisposto al concessionario la somma richiesta ―nel termine di quindici giorni dalla notifica dell‘atto di pignoramento‖, il processo esecutivo dovrà infatti considerarsi chiuso, con la conseguenza che il giudice dell‘esecuzione non potrà più provvedere (né, d‘altronde, avrebbe motivo di provvedere) in ordine all‘istanza di sospensione eventualmente proposta 13. 10 Si noti che la pur limitata possibilità di proporre opposizione all‘esecuzione ex art. 615 c.p.c. è una conseguenza delle modifiche apportate all‘art. 57 dall‘art. 16 del d. lgs. 26 febbraio 1999, n. 46. Nella relazione governativa si legge, in proposito, che la norma ―reca disposizioni fortemente innovative, che sopprimono l‘istituto del ricorso amministrativo contro gli atti esecutivi del concessionario e, fatta eccezione per gli aspetti connessi alla regolarità formale ed alla notifica del titolo esecutivo, rientranti nella competenza delle Commissioni tributarie, conducono integralmente sotto la giurisdizione dell‘autorità giudiziaria ordinaria la disciplina di tali ricorsi‖. 11 Anche la possibilità della sospensione del processo esecutivo da parte del g.e. è una conseguenza delle modifiche di cui al d. lgs. n. 46/1999 cit. In precedenza, infatti, il solo rimedio cautelare ammesso era il ricorso all‘intendente di finanza, la cui determinazione avrebbe poi potuto essere impugnata dinanzi al giudice amministrativo. 12 L‘art. 624 c.p.c. prevede, di contro, che il processo esecutivo possa essere sospeso, su istanza di parte, ―concorrendo gravi motivi‖. 13 In tal senso si è infatti pronunciata la recente Trib. Catania, 12 gennaio 2011, inedita, la quale ha dichiarato il non luogo a provvedere in ordine alla istanza di sospensione dell‘esecuzione proposta dal debitore esecutato, sul riflesso che il 301 BLOCCO DEI CREDITI, ORDINE DI PAGAMENTO AL FISCO ED EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE Senza dire che, in molti casi, l‘atto di pignoramento non viene notificato al debitore (erroneamente ritenendosi che la previsione dell‘art. 72-bis importi deroga a quella dell‘art. 543 c.p.c., che impone la notificazione del pignoramento tanto al debitore quanto al terzo), il quale non ha dunque neppure conoscenza della pendenza di una procedura esecutiva a suo carico. In tali ipotesi, ove il contribuente – creditore della p.a. – non riesca a ottenere la sospensione in via giurisdizionale dell‘atto impugnato, il blocco dei pagamenti, prima, e il pignoramento, poi, rendono del tutto vana l‘effettività della tutela giurisdizionale (nella specie cautelare), frustrando al contempo il diritto ad ottenere il pagamento delle prestazioni rese in favore delle amministrazioni pubbliche. Nel nostro ordinamento, l‘esecuzione forzata si incardina nella tutela giurisdizionale e si fonda sulla centralità della figura e sulla potestà ordinatoria del giudice dell‘esecuzione, il quale è tenuto ad accertare la sussistenza dei presupposti dell‘azione esecutiva e la legittimità della procedura. Va sottolineato che anche il procedimento esecutivo speciale del concessionario è riconducile a questo schema in considerazione del fatto che il giudice dell‘esecuzione, pur non comparendo nella fase liquidatoria dell‘espropriazione (vendita), dirige l‘intera fase successiva finalizzata alla soddisfazione del concessionario e degli eventuali creditori intervenuti. L‘art. 72-bis si pone, pertanto, in evidente contrasto con tale sistema, in quanto rimette l‘intero svolgimento dell‘esecuzione nella sfera del preteso creditore, senza alcun controllo da parte del giudice: il che solleva più di un dubbio sulla conformità di un sistema siffatto ai principi costituzionali di cui agli artt. 3, 24 e 111 Cost. 4. La mancata previsione, nel procedimento de quo, di misure idonee a realizzare un‘efficace tutela provvisoria del contribuente è stata di recente posta in luce dal Tribunale di Venezia 14, il quale ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 60 e 57, comma 1 lett. A) del d.P.R. n. 602/1973, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. Ad avviso del giudice remittente, se pure può affermarsi la legittimità di un trattamento differenziato dell‘esecuzione esattoriale nei confronti dell‘ordinario processo esecutivo, l‘art. 57 del d.P.R. n. 602/1973 sembra nondimeno porsi in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. nella misura in cui, sancendo l‘inammissibilità delle opposizioni esecutive di cui all‘art. 615 c.p.c.15, impedisce di fatto – anche in presenza di gravi motivi e di un grave e Ministero della Pubblica Istruzione – debitor debitoris – aveva già corrisposto alla Serit le somme dovute, appunto in applicazione dell‘art. 72-bis. 14 Ordinanza 30 settembre 2009, n. 1481, inedita. 15 Secondo la giurisprudenza di legittimità (ex multis, Cass. 13 gennaio 2005, n. 565), i limiti di cui all‘art. 57 configurano un‘ipotesi di improponibilità assoluta della domanda per carenza nell‘ordinamento di una norma che riconosca e tuteli la posizione giuridica di chi intenda opporsi ex artt. 615 e 617 c.p.c. V. peraltro A.M. 302 BLOCCO DEI CREDITI, ORDINE DI PAGAMENTO AL FISCO ED EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE irreparabile danno – la sospensione dell‘esecuzione ex art. 60 del d.P.R., a fronte di contestazioni circa l‘esistenza o l‘entità del credito atte a legittimare un‘azione di accertamento negativo 16. Il sistema che ne deriva finisce insomma per introdurre – secondo il giudice a quo – un ingiustificabile e irragionevole privilegio a favore del concessionario per le entrate tributarie: privilegio che non può certamente ritenersi compensato, in presenza di un danno grave ed irreparabile, dalla possibilità, riconosciuta all‘esecutato dall‘art. 59 d.P.R. 602/1973, di promuovere una successiva azione risarcitoria contro il concessionario. Da ciò la lamentata violazione del ―principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, in quanto nel complessivo assetto della materia in esame (…) sono carenti idonei strumenti di difesa giurisdizionale del debitore‖17. 5. E‘ bene a questo punto avvertire che i problemi di tutela sinora evidenziati paiono destinati ad attenuarsi con l‘avvento – a partire dal 1° luglio 2011 – della nuova disciplina sulla c.d. concentrazione della riscossione nell‘accertamento18, introdotta dall‘art. 29 del D.L. n. 78/2010. La lettera b-bis) dell‘art. 2919 prevede infatti che, qualora il contribuente chieda la sospensione giudiziale degli effetti dell‘atto impugnato (ex art. 47, d. lgs. n. 546/1992), l‘esecuzione forzata è automaticamente sospesa (e, ove il primo atto esecutivo non sia stato ancora compiuto, non potrà essere iniziata) ―fino alla data di emanazione del provvedimento che decide sull‘istanza di sospensione e, in ogni caso, per un periodo non superiore a centoventi giorni dalla data di notifica dell‘istanza stessa‖ Soldi, Manuale dell‘esecuzione forzata, II ed., Padova, 2009, 929, secondo cui non dovrebbe potersi dubitare ―della proponibilità della opposizione prevista dall‘art. 615 c.p.c. in tutti i casi in cui la parte esecutata intenda contestare l‘inesistenza del diritto dell‘ente impositore e per esso del concessionario a procedere esecutivamente in suo danno per fatti sopravvenuti alla formazione del titolo esecutivo (ad esempio la prescrizione del credito indicato nella cartella, la morte dell‘autore della violazione, l‘avvenuto pagamento della sanzione)‖. 16 Si noti per inciso che, già con riferimento alle entrate previdenziali, la Corte costituzionale ha censurato ―il discriminatorio regime al quale risulta assoggettata la riscossione delle entrate di natura non tributaria quando l‘utente avanzi contestazioni circa la esistenza o l‘entità del credito, atte a legittimare un‘azione di accertamento negativo‖ (Corte cost., 13 luglio 1995, n. 318). 17 La q.l.c. dell‘art. 57, nella parte in cui esclude la possibilità di proporre opposizione all‘esecuzione in materia di riscossione esattoriale, era già stata sollevata dal Giudice di pace di Marcianise con ordinanza del 24 giugno 2008. In quella occasione la Corte costituzionale ha peraltro dichiarato la questione manifestamente inammissibile (ord. 27 marzo 2009, n. 93), non avendo il giudice a quo motivato l‘ordinanza di rimessione in modo da consentire alla Corte di valutare la rilevanza della questione in rapporto al thema decidendum della controversia dedotta. 18 Sulla quale v. supra, nota 1. 19 Inserita dall‘art. 7, 2° co., lett. n), n. 3), D.L. 13 maggio 2011, n. 70. 303 BLOCCO DEI CREDITI, ORDINE DI PAGAMENTO AL FISCO ED EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE Ove, pertanto, si consideri che l‘affidamento dell‘avviso di accertamento all‘agente della riscossione, ―anche ai fini dell‘esecuzione forzata‖, può avvenire solamente decorsi trenta giorni dalla scadenza del termine ultimo per il pagamento (art. 29, 1° co., lett. b, D.L. n. 78/2010) 20, è agevole concludere che il contribuente, cui sia stato notificato un avviso di accertamento, avrà oggi a disposizione un tempo maggiore per ottenere la sospensione dell‘atto impugnato, e così per evitare la (eventualmente) ingiusta aggressione esecutiva del proprio patrimonio da parte del Fisco. Residuano peraltro taluni inconvenienti. Anzitutto, essendo l‘avviso di accertamento l‘unico atto notificato al contribuente, è evidente che, in caso di vizio di notifica dell‘avviso, il contribuente non avrà notizia della pretesa vantata dall‘erario nei suoi confronti se non in occasione dell‘aggressione esecutiva dei suoi beni: vale a dire in un momento in cui – per quanto si è detto finora – gli è ormai preclusa qualunque possibilità di difesa. Onde ovviare a tale inconveniente, si potrebbe forse ritenere impugnabile avanti la CTP l‘atto di pignoramento e ammettere che anche in tal caso operi la sospensiva ope legis21 ovvero consentire l‘impugnabilità ―al buio‖ dell‘avviso di accertamento dinanzi alla CTP allorché di esso si venga a conoscenza in occasione della notifica dell‘atto di pignoramento. Probabilmente, però, la soluzione preferibile consiste nel ritenere esperibile il rimedio dell‘opposizione agli atti esecutivi, ancorché nei soli casi di inesistenza della notificazione (e ciò in quanto l‘art. 57 preclude le opposizioni agli atti relative alla regolarità formale e alla notificazione del titolo esecutivo). A quanto precede deve aggiungersi che, esaurendosi normalmente la procedura di cui all‘art. 72-bis del d.P.R. in brevissimo tempo (si rammenti che il terzo deve adempiere all‘ordine di pagamento nel termine di quindici giorni dalla notifica dell‘atto di pignoramento), non può escludersi l‘eventualità che la sospensione intervenga ad esecuzione ormai conclusa (perché l‘agente ha ormai definitivamente incassato le somme dovutegli); sicché, ancora una volta, il contribuente non avrà altro rimedio che quello, del tutto inappagante, del risarcimento del danno 22. 20 Trattasi – secondo l‘opinione preferibile – di un‘ipotesi di improcedibilità assoluta dell‘azione esecutiva, posto che l‘agente della riscossione non potrà, prima dell‘integrale decorso del termine di trenta giorni, procedere né al pignoramento, né al fermo o all‘ipoteca. 21 Ma tale soluzione è per lo più negata dalla giurisprudenza: v. infatti Comm. Trib. prov. Milano, sez. III, 7 giugno 2010, n. 256, secondo cui ―deve dichiararsi l‘inammissibilità dell‘impugnazione del pignoramento presso terzi promossa avanti al giudice tributario in quanto tale atto non è contemplato fra quelli devoluti alla cognizione del giudice speciale‖. 22 E ad analoghe conclusioni deve ovviamente pervenirsi allorché il termine di centoventi giorni sia decorso senza che la commissione tributaria si sia pronunciata sull‘istanza di sospensione. In tal caso, infatti, l‘avviso di accertamento riacquisterà 304 BLOCCO DEI CREDITI, ORDINE DI PAGAMENTO AL FISCO ED EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 6. Non sembra superfluo accennare, a completamento del discorso, a un‘ultima questione. Nel consentire all‘agente della riscossione di soddisfarsi con estrema celerità e per l‘intero sui beni e sui crediti del (presunto) debitore, l‘art. 72-bis preclude, di fatto, agli altri eventuali creditori del contribuente, che pure – diversamente dall‘erario – non dispongono di mezzi di espropriazione ulteriori rispetto a quelli ordinari, di intervenire e di realizzare la propria pretesa nella medesima procedura esecutiva 23. Allorché il patrimonio del debitore non sia sufficiente a soddisfare tutti, la particolare efficacia dei mezzi di cui l‘agente della riscossione può avvalersi finisce, infatti, per pregiudicare le ragioni degli altri creditori, sottraendo all‘aggressione esecutiva di questi ultimi le somme ormai definitivamente acquisite dall‘Erario24. La lesione del principio della par condicio creditorum – che in tal modo si realizza – è dunque evidente, al pari della sostanziale elusione della disciplina legislativa in tema di privilegi e di graduazione dei crediti. Alla luce di tali considerazioni, sembra allora auspicabile un nuovo intervento legislativo che, modificando la disciplina in esame, per un verso attenui le segnalate sperequazioni, concedendo all‘esecutato adeguati strumenti di tutela anche cautelare, e, per l‘altro, valorizzi e renda più incisivo il ruolo del giudice dell‘esecuzione, quale indispensabile organo di controllo della legalità dell‘azione esecutiva. efficacia, consentendo all‘agente della riscossione di portare l‘esecuzione a compimento in brevissimo tempo, senza che al contribuente residui alcuna possibilità difensiva. 23 Sia consentito rinviare a Marini, Creditori orfani di un giudice, in Il Sole 24 Ore del 25 aprile 2008, 27. Sul punto v. anche Piciocchi, op. ult. cit. 24 Il problema, del resto, era stato avvertito anche dal legislatore, al punto che, nella relazione di accompagnamento al d. lgs. n. 46/1999, la mancata estensione della speciale procedura di riscossione (inizialmente prevista – come si è detto – in relazione al solo pignoramento dei fitti e delle pigioni) al quinto dello stipendio del lavoratore è espressamente motivata con la preoccupazione che una estensione siffatta avrebbe ―potuto recare pregiudizio ai creditori concorrenti con il concessionario‖. 305 Prof. Gianni Marongiu Le nuove tipologie di accertamento oltre il sintetico 1 Le modifiche normative del 2010 e la loro applicazione retroattiva. Dal punto di vista del contrasto all‘evasione, che, va ricordato, dovrebbe ―finanziare‖ in modo consistente il rilevante intervento1 realizzato con la manovra finanziaria2, uno dei punti maggiormente qualificanti è rappresentato dal nuovo accertamento sintetico e dal nuovo ―redditometro‖. L‘art. 22 del D.L. n. 78/2010 (conv. dalla legge 30 luglio 2010, n. 122) riscrive, infatti, l‘art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 nei commi 4 e seguenti, che disciplinano appunto l‘accertamento sintetico e anche quello basato sul cosiddetto redditometro. Va detto che l‘intervento normativo evidenzia le linee guida sulle quali si baserà il rinnovato strumento accertativo; quindi, soltanto nel momento in cui verrà emanato il decreto ministeriale con il quale saranno individuati gli elementi indicativi di capacità contributiva, e soprattutto le modalità con le quali questi concorreranno a formare il reddito complessivo attribuito ai contribuenti, potrà essere dato un giudizio definitivo. Per quanto riguarda l‘applicazione temporale del nuovo accertamento sintetico, l‘art. 22 stabilisce che esso dispiegherà la propria efficacia a partire dagli accertamenti relativi ai redditi del periodo d‘imposta 20093: di conseguenza, per i periodi precedenti ancora accertabili, ossia quelli che vanno dal 2005 al 2008, l‘accertamento sintetico e il redditometro continueranno ad essere applicati sulla base del testo dell‘art. 38 antecedente alle modifiche; ciò non soltanto in relazione agli avvisi di accertamento che sono stati già emanati, ma anche a quelli che invece lo saranno negli anni futuri4. 1 Che ammonta a circa 24,9 miliardi di euro. 2 D.L. 31 maggio 2010, n. 78. ―….con effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto…‖. 3 4 Il signor Rossi presenta sia per il 2008 che per il 2009, un reddito complessivo dichiarato pari a 39.000 euro (nell‘esempio il reddito complessivo = reddito netto), ma per effetto dell‘applicazione dei parametri presuntivi individuati con decreto attuativo emerge, per entrambi i periodi di imposta considerati, un reddito accertabile che è pari a 50.000 euro. In questo caso, emergono i seguenti riflessi di ordine pratico: per l‘anno 2008 valgono le regole previgenti alle modifiche introdotte dal D.L. n. 78 del 2010, e risulta che, ai fini dell‘accertamento sintetico connesso all‘applicazione del c.d. redditometro, l‘annualità 2008 non assume rilevanza; il 25% di 50.000 euro è LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO Ben si comprende perché il legislatore abbia così disposto. La giurisprudenza ritiene, infatti, con orientamento consolidato che il redditometro sia applicabile anche ai periodi di imposta precedenti alla sua introduzione. Si invoca la natura procedimentale delle relative norme (esse quindi disciplinerebbero il procedimento e non sarebbero retroattive se applicate a redditi posseduti antecedentemente ma ad accertamenti effettuati dopo) e si giustifica la conclusione perché si tratta di strumenti privi di una reale portata innovativa, che si raccordano allo strumentario già previsto dagli accertamenti presuntivi, nella forma di presunzioni semplici. Così la Corte di Cassazione (Cass. Sez.trib. 30 agosto 2002, n. 12731) escludeva che la applicazione a redditi pregressi dei coefficienti violasse l‘art. 23 Cost. e il principio della retroattività della legge. La sentenza escludeva anche che l‘applicazione ai soli periodi successivi sia desumibile dall‘art. 5, comma 3, d.m. 10 settembre 1992 (Cass.Sez.trib. 11 settembre 2001, n. 11607 ha escluso anche la violazione dell‘art. 2 Cost.). La soluzione della Corte è corretta in base alle premesse formali da cui parte (la contrapposizione tra norme sostanziali da un lato e norme processuali e procedimentali dall‘altro), ma da meditare sulla base di più recenti riflessioni che forniscono spunti per un diverso orientamento. Qualche difficoltà può infatti derivare se, in particolare nell‘istituto del c.d. redditometro si riconosce una presunzione legale. Una inversione dell‘onere della prova introdotta dopo che si sono verificati i fatti potrebbe effettivamente sorprendere l‘affidamento del contribuente perché è ragionevole che un soggetto conosca in anticipo quale è il regime probatorio applicabile all‘accertamento della propria ricchezza. Ad esempio, chi riceve un bene di particolare valore (un SUV o altro) in regalo è ragionevole sappia prima che, se non documenta (rectius, prova) il carattere gratuito dell‘acquisto, potrebbe essere oggetto di un accertamento fiscale. La documentazione ex post della circostanza può essere più difficile. Detto in altre parole, a tutela dell‘affidamento, della buona fede e del diritto di difesa il contribuente dovrebbe essere edotto, sin dal momento della predisposizione della dichiarazione dei redditi, degli indizi, delle modalità e degli strumenti attraverso i quali la amministrazione può procedere alla rettifica della dichiarazione stessa. Non a caso l‘art. 5 dello Statuto del contribuente statuisce che ―l‘amministrazione finanziaria deve portare a conoscenza dei contribuenti tempestivamente con mezzi idonei tutte le circolari e le infatti 12.500 euro, e la franchigia di riferimento pari a 37.500 euro (= 50.000 – 12.500) risulta rispettata dal contribuente, che nel Mod. Unico 2009-PF ha dichiarato un importo superiore (pari a 39.000 euro); per il 2009 valgono le nuove regole secondo cui il reddito accertabile deve essere superiore di almeno un quinto (20%) rispetto a quello complessivo, ragion per cui nel caso in esame si presentano i presupposti normativi per far rientrare l‘annualità 2009 nel novero di quelle rilevanti ai fini dell‘applicazione dell‘accertamento sintetico. Difatti, il parametro di riferimento è pari, in questo caso, a 40.000 euro (= 50.000 – 10.000), ma il contribuente dichiara un reddito fiscale inferiore a tale valore. 308 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO risoluzioni da essa emanate,nonché ogni altro atto o decreto che dispone sulla organizzazione, sulle funzioni e sui procedimenti‖ (così il 2° comma). Obbligo che, all‘evidenza, è funzionale al fatto che il contribuente, nel momento in cui è chiamato ad assolvere i propri doveri, sia posto in grado di conoscere le conseguenze delle proprie scelte economiche5. In altre parole, l‘entrata in vigore dello Statuto del contribuente deve indurre a rimeditare la possibile applicazione retroattiva delle norme, anche di quelle procedimentali6 come insegna una recente sentenza della Corte di Cassazione ove si legge: ―L‘utilizzo dei coefficienti presuntivi indicati nel redditometro sui redditi dei periodi di imposta anteriori comporta l‘applicazione retroattiva di disposizioni normative contraria allo Statuto del contribuente e quindi vietata quando i nuovi decreti prendono in considerazione indici di capacità contributiva prima ininfluenti e quindi lungi dal rappresentare un semplice aggiornamento Istat delle tabelle precedenti stabiliscono una normativa diversa di calcolo, con differenti parametri di base e con nuovi coefficienti di valutazione, il tutto con incidenza sull‘ammontare del tributo richiesto‖7. 2 L‟impiego massiccio dell‟ accertamento sintetico. Il primo chiarimento fornito dall‘Amministrazione finanziaria, su cui pare opportuno soffermarsi, riguarda l‘incremento dell‘ utilizzo dell‘accertamento sintetico nell‘anno appena trascorso, come registrato da diverse Direzioni Regionali.8 In proposito è stato richiesto se tale aumento di accertamenti sia ascrivibile all‘impiego di nuovi indici di ricchezza. L‘Agenzia delle Entrate ha risposto che ―Il forte incremento rispetto all‘anno 2008, dell‘accertamento sintetico, di cui il redditometro costituisce uno strumento di ricostruzione del reddito complessivo, è da attribuire anche alla capillare raccolta di dati avvenuta sia con flussi informativi strutturati che tramite l‘acquisizione di dati sul territorio. In tale ambito hanno assunto particolare rilievo gli elementi che caratterizzano la capacità di spesa relativa a beni non di prima necessità quali le imbarcazioni, le auto di lusso, il 5 Si veda al riguardo G. MARONGIU, Lo Statuto dei diritti del contribuente, Torino, Giappichelli, 2010, II ed., spec. pp. 6 Si veda ancora G. MARONGIU, Lo Statuto, cit., pp. 7 Così Cass. sez.trib., 29 aprile 2009, n. 10028 in GT 2009; sulle novità del redditometro e in genere dell‘accertamento sintetico disciplinati dal d.l. del 2010 non si possono avere dubbi alla luce di quanto disposto dai commi quarto e quinto del novellato art. 38. 8 Nel corso del 2009 l‘Agenzia delle Entrate ha infatti effettuato più di 28mila controlli basati sul redditometro (a fronte dei 15mila previsti), mentre per il 2010 l‘obiettivo fissato dalla recente circ. n. 20/E del 16 aprile 2010, nel quale sono delineati gli indirizzi operativi per l‘anno in corso per gli uffici è quello di realizzare almeno 25mila accertamenti ricorrendo a questo strumento accertativo (ma è stato già anticipato come i numeri a consuntivo saranno molto più significativi). 309 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO possesso di cavalli, le iscrizioni a scuole e circoli esclusivi, acquisto di opere d‘arte ecc.‖. L‘amministrazione finanziaria, infatti, già da qualche tempo attinge regolarmente ai dati della Motorizzazione Civile al fine di identificare e selezionare i proprietari di auto di lusso.9 A fianco di questi ―flussi informatici strutturati‖, vi sono poi tutti gli elementi raccolti in sede di indagini locali. Nei mesi appena trascorsi sono stati effettuati, per esempio, dei sopralluoghi presso i circoli ippici di competenza di ogni ufficio al fine di acquisire i nominativi dei proprietari di cavalli da corsa tenuti in pensione presso le strutture controllate. Analogamente sono sati richiesti alle varie agenzie di viaggio gli elenchi dei clienti che avevano, per esempio, acquistato dei pacchetti turistici superiori ad un determinato importo piuttosto consistente. Le stesse indagini sono state effettuate, in sede locale, presso gli istituti scolastici privati, i circoli esclusivi e le gallerie d‘arte. Si tratta, come sottolineato nella circolare, di informazioni una tantum e non di flussi informativi continui ed omogenei su tutto il territorio nazionale. E‘ tuttavia probabile che, nei prossimi mesi, continueranno tali attività di acquisizione di elementi e contestualmente verranno portati avanti, in maniera massiva, gli accertamenti sintetici fondati su di essi. 3 L‟accertamento sintetico e la sua legittimità costituzionale. L‘accertamento sintetico – sin dalla sua origine – ha destato non poche perplessità sul piano della legittimità costituzionale, tanto che – ancor prima della modifica apportata all‘art. 2 del d.P.R. n. 600/2973 (cioè quando si affidava al provvedimento ministeriale solo il compito di precisare ―dati e notizie indicativi di capacità contributiva, relativi alla disponibilità, in Italia o all‘estero, da parte del contribuente‖ di determinati beni e/o servizi individuati dalla legge) – il comma 4 dell‘art. 38 del d.P.R. n. 600/1973 era stato ―sospettato‖ d‘incostituzionalità sotto il profilo della violazione degli artt. 2, 3, 24 e 53 della Costituzione. Segnatamente – ed in relazione all‘art. 2 della Costituzione – in quanto, negando al cittadino di poter concorrere alla spesa pubblica in proporzione all‘effettivo accertamento dei suoi redditi, si poneva in contrasto con il ―diritto naturale‖ del contribuente a una giusta imposizione fiscale. In relazione all‘art. 3 della Costituzione, si assumeva che la prospettata violazione si riconnetteva alla discriminazione – fra contribuenti – causata dall‘impiego o meno di tale metodologia di accertamento, e al ricorso del legislatore tributario a presunzioni sprovviste dei requisiti prescritti dall‘art. L‘Agenzia delle Entrate ha formato degli elenchi di soggetti proprietari di auto di lusso. Si tratta delle cosiddette liste selettive ―AU‖ di cui al punto 3.1 della circ. n. 49/E del 9 agosto 2007. 9 310 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO 2729 del codice civile, avverso le quali non era esperibile alcuna prova testimoniale. Con riferimento all‘art. 24 della Costituzione, la difesa del contribuente, di fronte ad una ricostruzione reddituale basata su meri indizi e presunzioni, risultava aleatoria se non impossibile; mentre con riguardo all‘art. 53 della Costituzione si contestava la previsione di un accertamento sintetico basato in concreto unicamente su indici e coefficienti presuntivi, quindi, svincolato da ogni preliminare verifica sulla effettiva capacità contributiva del soggetto passivo del rapporto tributario. Peraltro, con la sentenza del 7-23 luglio 1987, n. 283 la Corte rigettava tutte le sollevate eccezioni di incostituzionalità sostenendo che: - l‘art. 2 della Costituzione non costituisce fonte di diritti inviolabili dell‘uomo, ma prevede una tutela generale di tali diritti sanciti in altre disposizioni costituzionali e, per di più, non è configurabile un ―diritto naturale‖ del contribuente alla giusta imposizione, quando a ciò sono specificamente deputate altre norme costituzionali (in particolare l‘art. 53 della Costituzione); - il comma 4 dell‘art. 38 del d.P.R. n. 600/1973 pone a carico dell‘ufficio l‘obbligo di procedere ad un accertamento sintetico, per cui tale disposizione garantisce una parità di trattamento fiscale per tutti i soggetti che si trovino nella stessa situazione giuridica; - la questione dell‘ utilizzo di strumenti presuntivi difformi da quelli civilistici va esaminata congiuntamente alla prospettata violazione dell‘art. 53 della Costituzione e, al riguardo, si deve ritenere che un accertamento fondato su simili presunzioni, oltre a non violare il precetto costituzionale della capacità contributiva, rappresenti un mezzo per l‘attuazione dello stesso, in quanto è del tutto ragionevole il ricorso ad indicatori idonei a dare concreto fondamento alla corrispondenza tra l‘imposizione e la capacità contributiva; - sotto il profilo dell‘art. 24 della Costituzione non poteva essere ravvisata alcuna compressione del diritto di difesa, atteso che l‘impugnata normativa non pone limiti alla dimostrazione dell‘insussistenza degli elementi e delle circostanze fattuali su cui si fonda l‘induttività dell‘accertamento. Successivamente alle modifiche apportate all‘art. 2 del d.P.R. n. 600/1973 dall‘art. 1 della L. n. 30 dicembre 1991, n. 413, la Corte veniva nuovamente investita della questione d‘incostituzionalità del comma 4 dell‘art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all‘art. 23 della Costituzione, dato che la nuova formulazione normativa demandava al Ministro delle finanze anche l‘individuazione degli ―indicatori‖ di capacità contributiva (e non solo quella dei relativi parametri di misurazione). Anche questa volta – però – la Corte, con ordinanza 13-28 luglio 2004, n. 297, rigettava ogni eccezione affermando che, ―secondo la costante giurisprudenza costituzionale, tale riserva va intesa in senso relativo‖ e la stessa ―è stata rispettata…, in quanto l‘art. 38 stabilisce che il regolamento 311 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO deve prendere in considerazione elementi e circostanze di fatto certi e fissa delle linee direttive a cui si deve attenere l‘accertamento compiuto tramite regolamento perché lo stesso sia valido, con salvezza della prova contraria del contribuente‖. Dopo questa pronuncia sarebbe a dir poco presuntuoso, soprattutto per chi scrive, prospettare una ulteriore ipotesi d‘incostituzionalità del comma 4 dell‘art. 38 del d.P.R. n. 600/1973. 3.1. L‘obbligo di completezza induce, però, a ricordare che la mutata formulazione del 4° comma dell‘art. 38 (―sulla base delle spese di qualsiasi genere‖) potrebbe indurre a riprendere un dubbio già formulato alcuni anni fa. Si addusse, allora, che l‘art. 38 avrebbe sostituito l‘imposizione sul reddito prodotto con una imposizione sul reddito consumato o sui consumi modificando, così, sostanzialmente il presupposto di imposta e per di più obliquamente attraverso formule di significato ambiguo. Di qui la violazione dell‘art. 23 della Costituzione perché il legislatore avrebbe lasciato nell‘assoluta incertezza un elemento fondamentale di ciascun tributo e cioè il presupposto. In realtà non è così nel senso che il tributo rimane una imposta sul reddito complessivo che può accertarsi induttivamente, anche attraverso le spese, i consumi come si evince dal disposto dell‘art. 38, 1° comma, dallo stesso quarto comma nonché dal 5° e dal 6°10. 3.2. Sotto un altro profilo si è sottolineato che, in forza dell‘accertamento sintetico, contribuenti di uguale reddito subirebbero una diversa imposizione a seconda delle loro scelte rispetto ai consumi. Si invocherebbe un questo caso una violazione del principio di uguaglianza perché, si dice, non si riuscirebbe a recuperare l‘imposta evasa da colui che si astiene dalle spese. Ma all‘evidenza si può replicare che sono diverse le situazioni fattuali, non sono discriminative le norme. L‘art. 38 consente all‘amministrazione di utilizzare questo modello accertativo nei confronti di tutti e non si può certo pretendere di non essere assoggettati a tributo perché altri soggetti che pure realizzano il presupposto non sono starti di fatto scoperti. Resta il fatto che,in applicazione del principio costituzionale di imparzialità all‘Agenzia delle Entrate, dovrebbe essere imposto l‘obbligo di comunicare, ogni anno, il numero degli accertamenti sintetici attuati, la ripartizione per 10 Come già sottolineato da parte della dottrina con riferimento al previgente art. 38, infatti, l‘accertamento sintetico, al pari dell‘accertamento analitico, è uno strumento finalizzato all‘individuazione del reddito complessivo, come definito nell‘ambito della disciplina sostanziale del presupposto e della base imponibile (in questi termini si veda L.PERRONE, L‘accertamento sintetico del reddito complessivo Irpef, in Dir.prat.trib., 1990, I, 25; similmente si veda G. TINELLI, L‘accertamento sintetico del reddito complessivo nel sistema Irpef, cit. 91, al quale si rinvia per ulteriori citazioni). 312 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO regioni e dovrebbe essere inibito di procedere al riaccertamento dello stesso contribuente prima che sia trascorso un adeguato numero di anni. 4 La (negata) pregiudizialita‟ dell‟ accertamento analitico. Nel 2010 è stata dettata una nuova disciplina, di cui occorre capire gli elementi essenziali. In primo luogo anche per le persone fisiche viene mutuato lo schema accertativo già previsto per le imprese dall‘art. 39 del d.P.R. n. 600/1973. Da questo punto di vista, niente di particolarmente innovativo, poiché, già da tempo, la giurisprudenza ha stabilito che le tre tipologie di accertamento, in presenza dei presupposti che le legittimano, sono del tutto fungibili ed intercambiabili, sia per le imprese che per le persone fisiche. Non vi è, in sostanza, alcuna necessità di esperire l‘accertamento analitico in via principale, e – solo se il risultato cui si perviene sia insoddisfacente – utilizzare l‘accertamento sintetico; il confronto andrà sempre operato fra quanto dichiarato dal contribuente e quanto accertabile dall‘Ufficio, utilizzando tutti gli strumenti che, nel singolo caso, la legge pone a disposizione. Pertanto, l‘art. 38 del d.P.R. n. 600/1973 nella nuova formulazione recita che ―indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall‘articolo 39‖ (riguardanti rispettivamente l‘accertamento analitico del reddito delle persone fisiche, e l‘accertamento dei redditi professionali e d‘impresa), l‘Ufficio ―può sempre determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente‖, dove l‘aggiunta dell‘avverbio ―sempre‖ vuole evidenziare l‘assoluta autonomia di questa procedura accertativa rispetto a ogni altra già presente nell‘ordinamento. Va rilevato che la Corte di Cassazione si è, a più riprese pronunciata in questo senso, affermando che l‘art. 38 ―non esige il preventivo riscontro dell‘impossibilità (o difficoltà) di una revisione di tipo analitico delle poste indicate dal dichiarante, essendo all‘uopo sufficiente che l‘imponibile, come risultante dai dati enunciati dal contribuente, si appalesi complessivamente in contrasto con la realtà evidenziata su base presuntiva da detti elementi e circostanze‖ (sent. 14 giugno 1996, n. 5507; nello stesso senso si veda sent. 20 giugno 2007, n. 14367 e 6 marzo 2009, n. 5478). 5 La certezza degli indici del “tenore di vita”. Quanto al primo passaggio (l‘individuazione dell‘indice del tenore di vita) va detto, in primo luogo, che esso, per poter innescare la presunzione deve essere certo. Il comma 4 dell‘art. 38 prescriveva nella versione previgente, che si doveva trattare di elementi e circostanze di fatto certi. 313 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO Tale espresso riferimento è scomparso nella dizione della norma risultante dal d.l. n. 78/201011. La circostanza è irrilevante, nella sostanza perché una presunzione non può fondarsi se non su fatti certi: si tratta del normale requisito del fatto12 su cui deve fondarsi una presunzione ed esso deve essere noto. Esso è tale, come si insegna a proposito delle presunzioni in genere, quando è provato o non bisognoso di prova perché ammesso o non contestato13. All‘ufficio accertatore spetta, quindi, il compito di assicurarsi, sul piano documentale, che il bene o la spesa sia riconducibile alla sfera del contribuente. La individuazione dell‘indice del tenore di vita è agevole quando sia collegato all‘acquisto di beni registrati. In generale, si deve trattare di titoli di spesa concernenti la sfera privata del soggetto: i costi inerenti le attività professionali rilevano, invece, come fattori di produzione della ricchezza e non a questi fini. L‘individuazione di questi titoli di spesa non è limitata dalla legge o da fonti subordinate, ancorchè, come si vedrà, particolari indici siano espressamente contemplati. Nella casistica, sono stati ritenuti rilevanti, l‘acquisto di immobili (rispetto al costo di acquisto)14, il possesso di immobili (rispetto alle spese per mantenerli)15, l‘effettuazione di viaggi, la disponibilità di rimesse su conti correnti,la sottoscrizione di un atto pubblico (nel caso una compravendita) contenente la dichiarazione di pagamento di un prezzo16, le disponibilità di valuta all‘estero17, l‘acquisto di azioni18, la sottoscrizione di aumenti di 11 Anche questa parte della modifica non sembra avere effetto rivoluzionario: la possibilità di disegnare presunzioni da fatti diversi dalla spesa continua ad essere possibile sulla base della disposizione generale del comma 3, dell‘art. 38. 12 Che ben può essere uno solo, non essendo richiesta la pluralità: Cass., sez. trib., 9 agosto 2002, n. 12060. 13 Per una applicazione: Cass., sez. trib., 28 giugno 2002, n. 8738, che ha rilevato che deve essere assunto come noto il fatto che il contribuente dichiara (ad esempio, in sede di risposta a un questionario). 14 Cass., sez. trib., 11 settembre 2009, n. 19647 ha ritenuto che la presunzione operi correttamente anche quando il prezzo non sia pagato, ma assolto mediante compensazione con altri crediti dell‘acquirente verso il venditore. Cass., sez. trib., 21 dicembre 2005, n. 28320 rileva che valorizzare sia il costo di acquisizione come fonte dell‘accertamento di redditi pregressi sia le rendite successive non comporterebbe doppia imposizione. 15 Cass., sez. trib., 19 luglio 2002, n. 10603. Così Cass., sez.trib. 16 dicembre 2010, n. 19637, salva ―la prova contraria da parte del contribuente, della natura simulata dell‘atto‖. 16 17 Cass., sez. I, 2 giugno 1992, n. 6714. 18 Cass., sez. I, 11 maggio 1992, n. 5599. 314 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO capitale19 e l‘accensione di un mutuo20. Si è escluso che possa tout court costituire un elemento valorizzabile la prestazione di fideiussioni21. Nulla esclude che si possa dare rilievo ad altri fatti noti quali: il pagamento di consistenti rate di mutuo, di canoni di leasing relativi a beni di lusso, di spese per arredi di beni di lusso di abitazioni, per frequenti viaggi e crociere, per l‘affitto di ―posti barca‖, per acquisti di beni di particolare valore, quali quadri, sculture, gioielli, reperti di interesse storico, hobby particolarmente costosi come la partecipazione a rally, gare di motonautica, etc. (circolare n. 1/2008, Guardia di Finanza). La giurisprudenza ammette espressamente che il fatto su cui si innesta la presunzione non deve necessariamente collocarsi nel periodo cui viene attribuito il reddito, se tale fatto, verificatosi in un periodo diverso, fa comunque presumere il possesso del reddito nell‘anno considerato22. Tale ragionamento ha una sua plausibilità. Esso trova ora un ostacolo testuale nella dizione del comma 4, dell‘art. 38, risultante dal d.l. n. 78/2010, che prevede la possibilità di desumere reddito da ―spese sostenute nel periodo d‘imposta‖. Tale innovazione potrebbe in effetti leggersi a contrario, come indicativa di una preclusione alla valorizzazione di spese sostenute in diversi periodi di imposta. La questione è interessante e controvertibile: si possono dare casi in cui una spesa sostenuta nel periodo 3 è seriamente indiziaria di redditi posseduti nel periodo 1 e 2 (si veda quanto si dirà tra poco in tema di investimenti). 6 L‟accertamento sintetico basato sulle spese del contribuente. La norma prevede una sorta di ―controllo di congruità ad personam‖, fra il livello di reddito dichiarato (e la conseguente sottostante disponibilità monetaria al netto delle imposte assolte) e l‘ammontare delle spese sostenute nel periodo d‘imposta. 19 Cass., sez. I, 10 giugno 1987, n. 5052. 20 Con le precisazioni formulate da Cass., sez.trib., 3 dicembre 2010, n. 24597. Sulla base dell‘assunto che esse nulla aggiungono rispetto alla consistenza del patrimonio del garante e che a questo dovrebbe semmai farsi riferimento (Cass., sez. trib. 19 marzo 2010, n. 6753). Non può peraltro negarsi il carattere potenzialmente indiziario di fideiussioni rilasciate in modo sproporzionato al patrimonio visibile, anche se potrebbe trattarsi di esposizione debitoria a rischio. Più fondata ovviamente l‘illazione ove siano concessi mutui o ipoteche. 21 22 Per una ipotesi di prova a ritroso dei redditi: Cass., sez. trib., 21 giugno 2002, n. 9099, rispetto alla imputabilità a reddito risparmiato dagli anni precedenti di somme spese per l‘acquisto di veicoli di pregio. Per una ipotesi di prova in avanti dei redditi: Cass., sez. I, 2 giugno 1992, n. 6714, rispetto alla possibilità di desumere reddito dalle verosimili spese di mantenimento di un immobile, negli anni successivi all‘acquisto (in tale ultima ipotesi si potrebbe peraltro anche riconoscere che il fatto fonte della presunzione è il possesso dell‘immobile negli anni successivi e non l‘acquisto in quello precedente). 315 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO La nuova formulazione legislativa abbandona la classica bipartizione fra spese correnti e spese per incrementi patrimoniali, prima presente nell‘art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, in quanto fa espresso riferimento alle ―spese di qualsiasi genere‖ che il contribuente abbia effettuato nel corso del periodo d‘imposta. Il termine ―spesa‖ – ad avviso di chi scrive – va considerato come esborso monetario che ha effettivamente decrementato il patrimonio del contribuente, qualunque sia il titolo di tale spesa (sia essa destinata al consumo che ad investimento). Quindi, potranno essere considerate, non solo spese voluttuarie (viaggi, crociere, quote associative a circoli sportivi, come spesso si legge), ma anche spese mediche di particolare importo, ristrutturazioni edilizie, acquisti di beni durevoli di consumo (elettrodomestici, mobilia, mezzi di trasporto ecc.), oltre che ovviamente spese per investimenti societari, immobiliari e così via. Il fatto che la legge si riferisca alle spese, intese nel senso sopra prospettato, esclude ciò che monetariamente spesa non è per il contribuente in quel periodo d‘imposta, in quanto si tratti di esborso finanziato da terze economie (cioè mediante indebitamento), ovvero finanziato mediante dismissione di patrimonio già esistente. Solo in questa ottica si spiega il mancato inserimento degli smobilizzi patrimoniali (già previsti dall‘art. 4 del D.M. 10 settembre 1992) e dei finanziamenti di terzi (già considerati dalla C.M. 30 aprile 1999, n. 101/E) quale possibile prova della spesa sostenuta. Il compito dell‘Ufficio, peraltro, è solo apparentemente semplice: l‘accertamento potrebbe infatti limitarsi – secondo una lettura estremamente superficiale della norma – ad una pura sommatoria di uscite monetarie, alla loro comparazione con il reddito dichiarato, per procedere quindi all‘accertamento sintetico qualora il ―reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato‖. E‘ la spesa effettiva sostenuta da parte del contribuente a rappresentare l‘elemento centrale su cui poggerà la quantificazione del reddito complessivo. Da quanto indica la norma, le spese in questione dovrebbero rilevare nella quantificazione del reddito attribuito a chi le sostiene in un rapporto di 1 a 1, in modo analogo, in realtà, a quanto già sta avvenendo per gli avvisi di accertamento emanati tenendo conto di elementi di spesa diversi da quelli individuati specificamente dal D.M. 10 settembre 1992. Va ricordato, infatti, come, già con il d.l. 25 giugno 2008, n. 11223, il legislatore, nel progettare un piano straordinario di controlli basati sul redditometro per il triennio 2009-2011, abbia previsto espressamente che l‘accertamento sintetico potesse essere effettuato ―sulla base di elementi e circostanze di fatto certi desunti dalle informazioni presenti nel sistema 23 Art. 83, comma 8, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertivo, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133. 316 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO informativo dell‘anagrafe tributaria nonché acquisiti in base agli ordinari poteri istruttori e in particolare a quelli acquisiti ai sensi dell‘articolo 32, primo comma, numero 7, del citato decreto del presidente della Repubblica n. 600 del 1973‖. Da un punto di vista operativo, l‘indicazione legislativa si è tradotta nel ricorso da parte degli uffici a nuove fattispecie di spese24 da utilizzare per la determinazione sintetica del reddito: non essendo, però, queste voci comprese fra quelle indicate nella tabella allegata al decreto ministeriale del 1992, e non essendo di conseguenza ad esse associati dei coefficienti stabili ex lege, gli uffici non hanno potuto prenderle in considerazione se non in un rapporto ―paritario‖ con il reddito presunto, correlando ad un euro di spesa, appunto, un euro di reddito complessivo attribuito al contribuente. 7 La individuazione delle spese. La prima questione riguarda il modo con cui gli uffici potranno individuare tutte le spese sostenute dal contribuente nel periodo d‘imposta: ebbene, è verosimile che vengano valorizzate le spese che emergono dall‘analisi di dati bancari25 e delle banche dati dell‘amministrazione finanziaria (che consentono di verificare, per esempio, l‘intervenuto acquisto di immobili, quote societarie, automezzi, ecc.)26. La seconda concerne il rapporto con l‘accertamento redditometrico. Qualora l‘ufficio faccia uso dell‘accertamento sintetico e contesti – per esempio, proprio grazie all‘ausilio dei dati bancari –un reddito pari alla totalità delle spese sostenute dal contribuente, non sarà possibile sovrapporre automaticamente (sommandone i risultati) detto accertamento all‘accertamento redditometrico27. Ciò per evitare la palese duplicazione che 24 Nella circ. della Guardia di finanza n. 1 del 29 dicembre 2008, in banca dati ―fisconline‖, viene proposta la seguente elencazione: pagamento di consistenti rate di mutuo; pagamento di canoni di locazione finanziaria, soprattutto in relazione a unità immobiliari di pregio, auto di lusso ed natanti da diporto; pagamento di canoni per l‘affitto di posti barca; sostenimento di spese per ristrutturazione di immobili; sostenimento di spese per arredi di lusso di abitazioni; pagamento di quote di iscrizione in circoli esclusivi; pagamento di rette consistenti per la frequentazione di scuole private particolarmente costose; assidua frequentazione di case da gioco; partecipazione ad aste; frequenti viaggi e crociere; acquisto di beni di particolare valore (quadri, sculture, gioielli, reperti di interesse storico archeologico, eccetera); disponibilità di quote di riserva di caccia e di pesca: hobby particolarmente costosi (ad esempio, partecipazioni a gare automobilistiche, rally, gare di motonautica, eccetera). 25 Per alcune considerazioni sul rapporto tra accertamento sintetico ed accertamento fondato sui dati bancari si veda A. CONTRINO, Ricostruzione sintetica del reddito imponibile fondata su dati bancari, in Corr.trib., 2008, p. 387 sg. 26 Sull‘impiego delle banche dati dell‘anagrafe tributaria nell‘ambito degli accertamenti sintetici si veda M. BEGHIN, Profili sistematici e questioni aperte in tema di accertamento ―sintetico‖, cit. 722 sg. 27 Fino ad oggi, invero, sulla base di quanto previsto dall‘art. 3, comma 7, del DM 10 settembre 1992, si è assistito alla combinazione dell‘accertamento redditometrico e 317 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO si verificherebbe qualora le spese di mantenimento dei beni posseduti venissero accertate sia direttamente (mediante il sintetico ―puro‖) sia indirettamente (mediante il redditometro). 8 Spese per investimento. Quanto alle spese per incrementi patrimoniali, stante la formulazione letterale della norma, si potrebbe sostenere che, venuta meno la presunzione di formazione pluriennale (quinquennale), anche esse potrebbero essere considerate sostenute per l‘intero con redditi conseguiti nell‘anno. Situazione che potrebbe risultare, in talune circostanze, penalizzante per i contribuenti, considerato che la presunzione di formazione quinquennale dei redditi impiegati per effettuare spese per incrementi patrimoniali in primo luogo, rendeva più agevole per il contribuente dimostrare la capienza di un reddito di un determinato esercizio rispetto alla spesa pluriennale sostenuta (fermo restando che il sostenimento di una spesa incrementativa poteva comportare l‘esigenza di dimostrare la capienza del proprio reddito anche negli esercizi precedenti il sostenimento); in secondo luogo, portava sovente l‘amministrazione a non recuperare a tassazione la totalità del reddito corrispondente alla spesa pluriennale, poiché decaduta dal potere di accertare alcune annualità passate; in terzo luogo, portava il contribuente a fruire di una forma di splitting temporale, con conseguente possibile diminuzione dell‘aliquota applicatagli. Orbene, se la norma dovesse essere intesa nel modo più fiscale rischierebbe di produrre risultati scarsamente attendibili, considerato che, se è verosimile che le spese non incrementative vengano sostenute con redditi conseguiti nel corso dell‘esercizio, non corrisponde al normale comportamento dei contribuenti sostenere spese per incrementi patrimoniali con il solo reddito percepito nel corso di un anno. Se applicata in modo eccessivamente rigoroso, allora, la previsione dell‘art. 38 rischierebbe di manifestarsi, costituzionalmente illegittima per violazione del principio della ragionevolezza 28 e comunque inidonea, nei casi caratterizzati dal sostenimento di ingenti spese per incrementi patrimoniali, a ricostruire in modo verosimile la capacità contributiva del soggetto accertato. Ebbene, come vedremo tra breve, il legislatore ha scelto di mitigare la rigidità del meccanismo in argomento riconoscendo al contribuente il diritto di dell‘accertamento basato sugli incrementi patrimoniali. Combinazione che era coerente alla luce della complementarità dei dati ottenibili grazie a tali due procedimenti: da un lato, si accertavano i redditi presumibilmente necessari per sostenere le spese di mantenimento dei beni posseduti e, dall‘altro, venivano accertati i redditi presumibilmente necessari per sostenere gli incrementi patrimoniali riscontrati. 28 In tema va ricordato che parte della dottrina ritiene condivisibilmente che le norme contenenti presunzioni relative debbano essere idonee a rappresentare il presupposto economico in base all‘‘id quod plerumque accidit e rispondere a criteri di logicità e ragionevolezza (si veda Corte cost. 12 luglio 1967, n. 109). 318 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO fornire ampia prova contraria alla ricostruzione sintetica anche nell‘ambito del contraddittorio anticipato obbligatorio. Gli uffici, pertanto potranno essere posti in condizione di valorizzare in modo adeguato anche l‘avvenuto sostenimento di spese per incrementi patrimoniali e la valutazione dovrà essere fatta caso per caso. 9 Il nuovo redditometro. Il comma 5 del nuovo art. 38 disciplina l‘accertamento redditometrico fondato sugli indicatori di capacità contributiva: ―La determinazione sintetica può essere altresì fondata sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva individuato mediante l‘analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell‘area territoriale di appartenenza, con decreto del Ministero dell‘Economia e delle Finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale con periodicità biennale‖. Dalle anticipazioni che sono state fornite da parte dell‘Agenzia, gli indicatori che verranno fissati dal decreto saranno molto più numerosi rispetto a quelli attuali, e c‘è quindi da attendersi l‘inclusione nel provvedimento di quegli elementi che la prassi dell‘Amministrazione finanziaria ha già raccomandato agli uffici di tenere in debita considerazione29. Il nuovo accertamento redditometrico si differenzia dalla versione previgente poiché contiene alcune precisazioni in ordine alle modalità da seguire per la individuazione degli ―elementi indicativi di capacità contributiva‖, richiedendo: - che ciò avvenga ―mediante l‘analisi di campioni significativi di contribuenti‖30 - che vi sia una differenziazione ―anche in funzione del nucleo familiare 31 e dell‘area territoriale di appartenenza32; 29 Le indiscrezioni fanno riferimento a più di una ventina di indicatori. 30 Si tratta di una previsione che ricorda quanto già stabilito anche in materia di studi di settore :l‘art. 62-bis del DL n. 331/1993, infatti, richiama ―l‘analisi di campioni significativi di contribuenti‖. Giova precisare che l‘esigenza di effettuare differenziazioni sulla base del nucleo familiare non è funzionale a trasformare la famiglia in un soggetto passivo d‟imposta, posto che, come noto, la soggettività tributaria della famiglia è stata da tempo negata. E‘ tuttavia necessario considerare che, nell‘ambito delle famiglie, è piuttosto frequente che la titolarità di un fatto-indice di capacità contributiva sia di un primo componente e che le relative spese vengano sostenute grazie alle disponibilità finanziarie di un secondo componente. Tale dato, ha un doppio risvolto ai fini accertativi: è possibile che, in capo a un determinato soggetto, siano accertabili redditi inferiori rispetto a quelli determinati sinteticamente sulla base dei fatti-indice a lui formalmente riferibili e ciò, segnatamente, può accadere qualora egli dimostri che parte della spesa stimata è stata sostenuta grazie alle risorse economiche di un familiare; ma può verificarsi anche la situazione opposta ed è il caso in cui l‘ufficio dimostri che il soggetto accertato sostenga anche spese relative a fatti-indice 31 319 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO - che essi vengano rivisti con periodicità biennale33 Tali precisazioni sono evidentemente state inserite per esplicitare la ―traccia‖ che il Ministero dovrà seguire nell‘elaborazione del decreto, anche in considerazione dei dubbi che la dottrina ha sollevato in ordine alla laconicità del dato normativo previgente. Come si è detto la disposizione indica come il contenuto induttivo di questi indicatori sarà costruito attraverso ―l‘analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell‘area territoriale di appartenenza‖34. E‘ evidente come queste appaiono, al momento, come affermazioni di principio, volte a far attribuire (a priori) una patente di ―scientificità‖ ad uno strumento che fino ad oggi è stato tutto meno che accurato, ma inevitabilmente portano ad immaginare il futuro redditometro come una sorta di ―studi di settore per le famiglie‖. Da quello che al momento si può soltanto intuire, dovendo per forza di cose il giudizio rimanere sospeso fino all‘emanazione del decreto, saranno previsti dei ―coefficienti di trasformazione‖ delle spese in reddito e ciò avverrà sulla base di valutazioni di natura statistica. In sostanza, mediante opportune elaborazioni statistiche, si ritiene sia possibile stabilire che una famiglia di tre persone che vive in provincia di Milano necessiti di un reddito non inferiore (supponiamo) a 32.000 euro, mentre una famiglia di quattro persone che risiede in un paesino dell‘Abruzzo abbia mediamente (sempre per ipotesi) un reddito di 25.000 euro, e un single che vive a Roma si attesti a circa 18.000 euro di reddito. Ed è questo l‘aspetto che, se confermato, si presenterebbe maggiormente critico: associare ad una spesa ―monetaria‖ un reddito non coincidente con essa, ma, ―maggiorato‖ per l‘effetto di moltiplicatori, minerebbe la credibilità dello strumento presuntivo. Nessuno, infatti, potrebbe contestare il principio che, per spendere 100, si deve avere guadagnato almeno quella somma (oppure averla ricevuta a formalmente riferibili ai suoi familiari. Sull‘eventualità che la capacità di spesa individuata mediante un accertamento sintetico sia stata sostenuta con redditi di un familiare si veda Comm.trib.centr. 12 luglio 1994, n. 2590; 3 aprile 1992, n. 2420; 14 aprile 1998, n. 1954. Di converso, sulla rilevanza delle spese sostenute per il mantenimento dei familiari si veda Cass. 22 dicembre 1995, n. 13089; Comm.trib.centr. 7 settembre 1994, n. 3001. 32 Anche nell‘ambito degli studi di settore è stata inserita una previsione mirata a valorizzare la territorialità: l‘art. 83, comma 19, del DL n. 112/2008, infatti, stabilisce che gli studi di settore, a determinate condizioni, debbano essere elaborati ―anche su base regionale o comunale‖. 33 La necessità di adeguare con cadenza biennale gli indici numerici contenuti nel redditometro era già prevista dall‘art. 5 DM 10 settembre 1992. L‘Agenzia delle Entrate ha indicato come sia partita dalla selezione di un campione di oltre 800 mila famiglie, poi suddivise in gruppi omogenei, con l‘aggiunta di un criterio territoriale, che non si baserebbe solo sulle differenze tra Nord e Sud, ma anche sulla localizzazione rispetto a grandi aree territoriali, comuni, piccoli paesi. 34 320 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO prestito o in regalo da qualcuno). Se, invece, alla spesa di 100 lo strumento fa corrispondere un reddito di 300, è necessario capire come si giunga a tale risultato, spiegando al contribuente perché esiste questo incremento e come lo si è costruito. Più ―credibile‖, e di conseguenza accettabile per i contribuenti, sarebbe invece un redditometro che si basasse su coefficienti soltanto per ―trasformare‖ in reddito le spese ―non monetarie‖, vale a dire quelle correlate alla disponibilità di beni patrimoniali, mantenendo invece il rapporto 1 a 1 per quelle ―monetarie‖ 10 La legittimita‟ (costituzionale) dei decrfeti redditometrici e il loro carattere “forte”. Ad ogni buon conto, va ricordato che la giurisprudenza della Corte costituzionale ha già ritenuto legittima la delegazione all‘esecutivo della determinazione degli indici costituenti il redditometro. La Corte costituzionale, infatti, con la nota sentenza n. 238/1987: - ha riconosciuto la legittimità del ricorso a un sistema presuntivo, a condizione che esso sia razionale e riconosca la prova contraria a favore del contribuente; - ha dato atto della razionalità dello specifico meccanismo basato sulla verifica del possesso di aeromobili, navi e imbarcazioni, cavalli, residenze ecc., e sulla presunzione che al possesso di tali beni dovrebbe corrispondere la disponibilità di un reddito proporzionato; - ha negato che, in forza dell‘art. 134 Cost., competesse alla Corte costituzionale giudicare sulle controversie relative alla legittimità (sotto l‘aspetto di eventuali vizi nella formazione o applicazione) dei decreti ministeriali, ricordando che essi sono atti disapplicabili o annullabili. Dopodiché la giurisprudenza ha confermato la valenza tendenzialmente ―forte‖ degli indici redditometrici, sia sotto il profilo probatorio sia sotto il profilo motivazionale. Più precisamente, la Corte di cassazione, con giurisprudenza consolidata, ritiene che la determinazione del reddito effettuata sulla base dell‘applicazione del redditometro costituisca una presunzione legale (relativa) e quindi dispensi l‘amministrazione finanziaria dal fornire prove ulteriori rispetto alla dimostrazione della sussistenza dai fatti-indice di maggiore capacità contributiva individuata dal redditometro; e che ricada sul contribuente l‘onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro sia costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi già assoggettati ad imposta ovvero che esso non esista o esista in misura inferiore35. 35 Così Cass., sez. trib,, 7 aprile 2008, n. 8845 in Boll.trib,, 2008, pp. 1610 sg. 321 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO 11 La motivazione degli accertamenti reddito metrici. Le considerazioni svolte consentono di proporre una riflessione sulla motivazione degli avvisi di accertamento redditometrici. Il DM 10 settembre 1992, contenente il redditometro oggi vigente (al pari dei provvedimenti con cui i relativi importi sono stati aggiornati) non è motivato, né è stato accompagnato dalla messa a disposizione delle modalità tecniche e dei dati impiegati per la loro elaborazione. Ma allora non può condividersi l‘orientamento giurisprudenziale di cui si faceva cenno in precedenza e che ritiene sufficientemente motivati gli avvisi di accertamento che si limitano al richiamo del regolamento attuativo del redditometro. Non si vuole certo negare che la motivazione di un provvedimento impositivo possa essere fornita per relationem ad altro atto. Ma l‘atto richiamato dovrà essere un atto motivato, poiché, se così non fosse, si sarebbe in presenza di una motivazione per relationem ad un atto privo di motivazione (sebbene quest‘ultimo, di per sé, non debba essere obbligatoriamente motivato). Ebbene, come detto, il DM contenente il redditometro non è motivato in alcun modo: non vi è alcuna indicazione che espliciti i criteri logici e matematici seguiti per elaborare gli indici ivi contenuti36. Né, come invece accade per gli studi di settore, vi sono note tecniche e documentazione ulteriore messe a disposizione dal Ministero e dall‘Agenzia delle Entrate37. Le modalità di costruzione degli indici e la base informativa su cui essi dovrebbero poggiare, dunque, sono del tutto sconosciute. E ciò, inevitabilmente, incide in modo negativo sulle concrete modalità di esercizio del diritto di difesa del contribuente,il quale si ritrova a difendersi ―alla cieca‖ 36 F. TESAURO, Considerazioni sui parametri ministeriale di determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche, in Dir.prat.trib., 1984, I, 1946, ha considerato ―non …plausibile la tesi che il decreto dovrebbe recare l‘indicazione delle regole tecniche e dei criteri adottati‖. Sull‘esigenza di motivare il DM di cui si tratta si veda anche F. BATISTONI FERRARA, I principi della riforma tributaria: accertamento sintetico e redditometro, in Dir.prat.trib., 1994, I, 712. In senso contrario si è invece espressa la Corte di cassazione, che ha richiamato la regola,contenuta nell‘art. 3, comma 2, legge n, 241/1990, secondo cui gli atti generali si sottraggono all‘obbligo di motivazione (in tal senso si vedano le sentenze 11 gennaio 2006, n. 327 e n.328; 5 dicembre 2007, n. 25386; 7 giugno 2002, n. 8272). 37 E, si badi, proprio in materia di studi di settore e di parametri, alcune pronunce di merito hanno negato la legittimità degli avvisi di accertamento motivati con il mero rinvio ai risultati matematici delle elaborazioni statistiche per difetto di motivazione e lesione del diritto di difesa: Comm.trib.prov. di Treviso, 17 gennaio 207, n. 153; Comm.trib. prov. di Verbania, 25 ottobre 2001, n. 82; Comm.trib.prov. di Catanzaro 3 marzo 2009, n. 85; Comm.trib. prov. di Ragusa 25 gennaio 2002, n. 426. 322 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO rispetto ad accuse formalizzate in base ad un iter logico ignoto nei suoi passaggi analitici38. Circostanza che è ancor più grave se si considera che sorgono diversi interrogativi leggendo ―vecchi‖ indici. E‘ qui sufficiente rilevare, per esempio, che le spese di mantenimento delle abitazioni vengono distinte solamente in funzione della loro ubicazione in una delle quattro macro aree geografiche (nord, centro, sud, estero), pur non essendo ragionevole ipotizzare che i costi di mantenimento di un‘abitazione nel centro di una grande città siano i medesimi sostenuti in un piccolo paese di periferia. Non solo: i costi di mantenimento delle autovetture vengono stimati in proporzione alla cilindrata, indipendentemente, quindi, dall‘intensità dell‘utilizzo e dalla potenza, cioè dal dato più rilevante ai fini della quantificazione delle spese assicurative e della tassa automobilistica39. Ma non è tutto, la citata giurisprudenza, a proposito della forza probatoria del redditometro, si pone in qualche modo in antitesi con le diverse pronunce che hanno negato la fondatezza delle costruzioni basate esclusivamente su medie e indici statistici. Nelle sentenze nn. 26635, 26636, 26637, 26638 del 2009, le SS.UU. della Corte di cassazione, con riferimento a parametri e studi di settore,hanno infatti negato la possibilità di effettuare accertamenti automatizzati e valorizzato il contradditorio come strumento finalizzato all‘individuazione di ulteriori elementi su cui fondare la pretesa40. Ebbene, non sembra casuale che l‘ulteriore modifica apportata al sistema dell‘accertamento sintetico sia proprio quella dell‘introduzione del contraddittorio anticipato obbligatorio. Ed è sul tema del contradditorio che ci si soffermerà qui di seguito. 12 La valorizzazione della tipologia di spese. Ad avviso di chi scrive, non si deve cadere nella tentazione di utilizzare questo strumento per finalità, per così dire, di carattere etico: una volta stabilito il livello della spesa da valorizzare, è del tutto indifferente, ai fini Tant‘è che in passato A. FANTOZZI, L‘accertamento sintetico ed i coefficienti presuntivi di reddito, cit., 465, ha evidenziato che ―il tecnicismo della determinazione dei coefficienti e la mancanza di criteri guida nell‘art. 38 renderanno di fatto la prova contraria di assai difficile, se non impossibile operatività‖. 39 G. FALSITTA, Per un fisco civile, Milano, 1996, 323, ha definito il redditometro come uno strumento ―assai debole, rozzo e impreciso di lotta all‘evasione‖ e che ― a tutto concedere, può assolvere a una funzione di segnalazione di possibili situazioni di evasione‖. 40 Va peraltro ricordato che, in passato, la Corte di cassazione ha negato che la legittimità dell‘accertamento sintetico fosse subordinata alla previa instaurazione del contraddittorio con il contribuente:in tal senso si veda sent. 27 marzo 2010, n. 7485 e 27 agosto 1991, n. 9198. 38 323 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO della giustificazione del suo finanziamento, la tipologia della spesa stessa. Che si tratti di spese telefoniche per i cellulari, che si tratti dell‘iscrizione a un circolo di tennis o a una palestra, piuttosto che di spese dentistiche, il problema che si vuole affrontare con lo strumento del redditometro non è quello di «indirizzare» il contribuente verso comportamenti socialmente ritenuti più meritevoli di altri, o di colpire tipologie di consumo ritenute voluttuarie, quanto semplicemente di capire la provenienza del denaro che ha finanziato tali spese, se frutto o meno di attività regolarmente assoggettate a tassazione. Il redditometro non può cioè avere - pena una sua evidente illegittimità, valutabile anche sotto il profilo costituzionale della libertà della persona – finalità pseudo-punitive rispetto a scelte di consumo individuali. Può ben essere, specie nell‘attuale sistema sociale basato sull‘immagine di sé agli occhi della collettività, che alcuni soggetti privilegino spese assolutamente voluttuarie, rispetto ad altre apparentemente più necessarie, pur di ben figurare in pubblico. Le statistiche dicono del decremento delle spese alimentari, ma - pur in tempi di crisi economica - della tenuta di spese per viaggi o per la cura del corpo. Allora, il problema che si pone è quello della valorizzazione della spesa in sé, una volta individuata nella sua dimensione quantitativa, piuttosto che di un «contenuto induttivo» di una tipologia di spesa rispetto ad un‘altra. 13 La spesa familiare. Una volta stabilito questo principio, si potrà cominciare a discutere di altre cose; per esempio, del ruolo della famiglia all‘interno dell‘accertamento sintetico. Si ricorda che la necessità di prendere in considerazione l‘intero nucleo familiare era stata già fatta propria dalla circolare n. 101 del 1999. L‘introduzione dell‘accertamento delle disponibilità di spesa su basi familiari, del tutto logico e corretto dal punto di vista economico e sociale, si scontra, però, inevitabilmente con il problema sostanziale: oggi l‘imposizione è inderogabilmente personale. Ora, è evidente che non può reggere, sotto il profilo logico e metodologico, un sistema dove le imposte sono dichiarate dal singolo individuo, ma poi la capacità di spesa va giudicata nell‘ambito della famiglia (a prescindere poi da che cosa si debba intendere per «famiglia», cioè se solo quella istituzionalizzata, o anche quella di fatto). Inevitabilmente l‘accertamento sintetico, se aspira davvero a diventare uno strumento di accertamento di «massa» verso la generalità dei contribuenti (il che, però, come si diceva all‘inizio, pare scarsamente realistico) deve confrontarsi con questo problema. Ciò porta inevitabilmente a pensare che si debba cominciare, finalmente, a varare una seria riforma del sistema dell‘imposizione personale, basandolo sulla considerazione della famiglia come pieno soggetto d‘imposta, come già 324 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO avviene in molti altri Paesi europei, e come da tempo sta chiedendo al nostro legislatore anche la Corte costituzionale. Si spera che almeno questo porti in dote il nuovo redditometro varato dal D.L. n. 78/2010. 14 La riduzione delle condizioni di utilizzo del c.d. redditometro e la possibile influenza sulla sua qualificazione. Le condizioni di utilizzo dell‘accertamento sintetico, sia quello del comma 4, basato sulle spese di qualunque genere sostenute nel corso del periodo d‘imposta, sia quello del comma 5, che poggia invece sugli elementi indicativi di capacità contributiva, sono definite dal legislatore nel comma 6 del nuovo art. 38. La norma stabilisce che ―La determinazione sintetica del reddito complessivo di cui ai precedenti commi è ammessa a condizione che il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato‖. C‘è, quindi, un‘unica condizione che deve essere verificata, ossia il riscontro di uno scostamento significativo nel reddito quantificato sinteticamente, ritenendo il legislatore tale quello che registra un divario di almeno il 20% tra reddito dichiarato dal contribuente e reddito presunto. Rispetto al testo antecedente alle modifiche, vi è quindi una riduzione significativa della ―soglia‖, considerando il fatto che lo scostamento richiesto era invece di almeno il 25%. L‘altro aspetto che deve essere evidenziato è l‘eliminazione dell‘ulteriore condizione in precedenza richiesta, ossia che lo scostamento riguardasse due o più periodi d‘imposta41. Precisato che i nuovi requisiti valgono per i periodi di imposta antecedenti il 2009 (secondo l‘amministrazione e per chi scrive solo dal 2011) in futuro sarà quindi sufficiente all‘Amministrazione finanziaria l‘evidenziazione del divario in relazione ad un solo periodo d‘imposta ( e con uno sconto del 20%) per poter attribuire al contribuente il reddito complessivo determinato in via sintetica. Anche questa scelta, considerando il fatto che si parla pur sempre di una presunzione legale relativa, non appare esente da critiche e soprattutto pone dubbi sulla possibilità di sostenere ancora tesi che si dicono ―consolidate‖. 41 Va detto che, a seguito della sentenza della Cassazione n. 237 del 9 gennaio 2009, nella circ. n. 12/E del 12 marzo 2010 (rispettivamente in banca dati ―fisconline‖ e in ―il fisco‖ n. 13/2010, fascicolo n. 1, pag. 2017), l‘Agenzia ha indicato come i due periodi di imposta in questione non debbano essere consecutivi (modificando l‘orientamento espresso nella circ. n. 49/E del 9 agosto 2007, in banca dati ―fisconline‖ nella quale si era affermata invece la necessità della consecutività). Cfr. A Iorio-S. Sereni, Redditometro: i due periodi d‘imposta di incongruità del reddito non devono necessariamente essere consecutivi, in ―il fisco‖ n. 6/2009, fascicolo n. 2, pag. 946. 325 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO Al riguardo è opportuno ricordare che, secondo la Corte di Cassazione, ―L‘indicata quota (per almeno un quarto) di scostamento del reddito dichiarato rispetto a quello determinabile sinteticamente in base agli opportuni coefficienti di redditività costituisce, per univoca disposizione normativa, il limite posto dal legislatore allo stesso potere dell‘ufficio di determinazione sintetica del reddito, al fine evidente di temperare la rigidità propria di una applicazione meramente aritmetica dei cosiddetti parametri e di dare valenza (sia pure in via forfettaria) a possibili variabili caratteristiche di ciascuna produzione di rddito…‖42. Orbene, se i vecchi requisiti (come i nuovi) hanno la funzione di temperare la rigidità propria di una applicazione meramente aritmetica del redditometro (insomma ne compensano le inevitabili imprecisioni e arbitrarietà), la riduzione a un ―quinto‖ e a un solo anno di scarto mina la credibilità del c.d. accertamento sintetico e quindi può fare dubitare della sua (comunemente ritenuta) natura di presunzione legale relativa. 15 Utilizzo combinato di studi di settore e redditometro. L‘ultimo argomento trattato in una recente circolare concerne una prassi relativamente recente dell‘Amministrazione finanziaria, ovvero quella di combinare gli studi di settore con l‘accertamento sintetico. Altri43 si è già occupato di questa nuova modalità accertatrice, evidenziando, in tale sede, come recenti inviti al contraddittorio per l‘accertamento con adesione basato sugli studi di settore fossero stati integrati con l‘esposizione dei beni indicatori di capacità contributiva, quali auto ed immobili, per avvalorare le risultanze di non congruità degli stessi studi di settore. Quel che preme sottolineare è la risposta fornita dall‘Amministrazione finanziaria alla domanda se ritenesse di mutare orientamento circa l‘applicazione congiunta dei predetti strumenti, attese le recenti pronunce della Suprema Corte con cui è stato deciso che gli studi di settore devono essere avvalorati con elementi emergenti dal contradditorio con il contribuente44, riguardanti l‘attività d‘impresa o di lavoro autonomo,mentre 42 Così Cass. sez.trib., 12 luglio 2006, n.15824. 43 Cfr., Applicazione congiunta di studi di settore e redditometro, in Il fisco, n. 47/2009, fascicolo n. 1, p. 7781. 44 La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con le note sentenze n. 26635/6/7/8 del 18 dicembre 2009, la prima in ―Il fisco‖, n. 2/2010, fascicolo 1, p. 236, con commento di P. Turis, le altre in banca dati ―fisconline‖, ha stabilito che ―…va ribadito che quel che dà sostanza all‘accertamento mediante l‘applicazione dei parametri (così come degli studi di settore, n.d.A.) è il contraddittorio con il contribuente dal quale possono emergere elementi idonei a commisurare alla concreta realtà economica dell‘impresa la ―presunzione‖ indotta dal rilevato scostamento del reddito dichiarato dai parametri. Pertanto, la motivazione dell‘atto di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo del predetto scostamento dai parametri, ma deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio: è da questo più 326 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO il possesso dei beni ―indice‖ non ha alcun legame con l‘attività del contribuente. L‘Agenzia delle Entrate ha risposto che ―Le sentenze della Cassazione non fanno riferimento alle caratteristiche degli elementi che, nell‘ambito del necessario contraddittorio, possono contribuire alla ―personalizzazione‖ del risultato degli studi di settore (rectius alla conferma della alta probabilità che il risultato sia coerente con l‘effettiva situazione del contribuente). L‘Agenzia non ritiene di mutare il proprio orientamento, dato che lo stesso non riguarda affatto, come spiegato in numerosissime occasioni, l‘utilizzo di elementi ―indice‖ estrapolati dal redditometro. In base alle direttive recentemente impartite, infatti, gli Uffici utilizzano elementi di conferma delle risultanze degli studi di settore sia direttamente connessi all‘attività d‘impresa o di lavoro autonomo (indicatori di coerenza, redditività a livello pluriennale e così via), sia concernenti il maggior reddito d‘impresa o lavoro autonomo derivante dai ricavi o compensi risultanti dagli studi in tale caso rappresentati da elementi denotanti una capacità contributiva significativamente superiore a quella espressa dai detti redditi dichiarati (ovviamente considerando l‘eventuale esistenza di redditi di diversa natura). L‘Amministrazione finanziaria ha, quindi, confermato che, di fatto, proseguirà nell‘applicazione congiunta dei due strumenti presuntivi, atteso che le pronunce della Suprema corte non hanno intaccato la validità di tale procedura accertatrice. Restano, però, alcune perplessità già evidenziate in passato. Infatti, la combinazione ―redditometro-studi di settore‖ ha un senso logico se l‘unico reddito del contribuente è quello derivante dall‘attività imprenditoriale o di lavoro autonomo, atteso che l‘accertamento sintetico consente di determinare il reddito complessivo netto del contribuente (somma dei redditi delle varie categorie: lavoro dipendente, impresa, fondiari, capitale, ecc.), mentre gli studi di settore consentono di stimare soltanto i ricavi o compensi della sua attività imprenditoriale o di lavoro autonomo. Il problema che si potrebbe manifestare, dunque, è che tale impostazione possa andare, di fatto, ad incidere soltanto su quei contribuenti più piccoli, magari meno accorti, che non abbiano una pluralità di tipologie di redditi posseduti da invocare a giustificazione dell‘uso combinato ―redditometrostudi di settore‖, o che non possano avvalersi,per esempio, di strutture giuridiche societarie, magari a ristrettissima base sociale, alle quali intestare i beni – tipicamente le auto di lusso e le imbarcazioni – che, in realtà, però, siano nella piena disponibilità del contribuente persona fisica, che così, però, non manifestando alcuna capacità contributiva derivante dal possesso di tali beni eviti il redditometro. complesso quadro che emerge la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria (ma senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente. 327 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO 16 Il coinvolgimento dei Comuni. L‘art. 18 del DL n. 78/2010 prevede che gli Uffici dell‘Agenzia delle Entrate, prima di emettere gli avvisi di accertamento, inviano una segnalazione ai comuni, i quali dispongono di 60 giorni per comunicare alle Entrate ogni elemento utile alla determinazione de reddito complessivo; va peraltro ricordato che nel nuovo quadro di stimolo alla lotta all‘evasione, la partecipazione di detti enti locali è incentivata, in linea generale, mediante il riconoscimento di una quota pari al 33% delle maggiori some relative ai tributi statali riscosse a titolo definitivo, oltre che su una parte delle correlate sanzioni. 17 La prova contraria da parte del contribuente. Nella parte finale del comma 4, in relazione alla presunzione rappresentata dal reddito determinato sinteticamente sulla base delle spese sostenute, è stata inserita la possibilità di prova contraria da parte del contribuente, poi richiamata anche nell‘ambito del comma 5, con riferimento alla ricostruzione del reddito fondata sul contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva. La norma stabilisce che viene fatta ―…salva la prova che il relativo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d‘imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d‘imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile‖45. Il contribuente dovrà alternativamente dimostrare che la spesa a) è stata finanziata da redditi non tassabili, b) ovvero con redditi già tassati in precedenti periodi di imposta. Esempio Si ipotizzi che nel 2010 risulti acquistato un immobile al prezzo di 200.000 euro, e sia stato ottenuto un finanziamento bancario di 120.000 euro. In quell‘anno il contribuente dovrà dimostrare come ha finanziato l‘eccedenza di 80.000 euro (qualora evidentemente non trovi capienza nel reddito dichiarato, tenuto conto anche delle normali esigenze di vita), mentre negli anni successivi, dovrà dimostrare come ha finanziato le rate di mutuo pagate sul finanziamento: insomma, si applica un criterio di pura cassa. Nel testo antecedente alle modifiche, una possibilità di questo tipo era prevista dal comma 6 dell‘art. 3846, che faceva però riferimento soltanto alla Per l‘applicazione del redditometro ai redditi derivanti da attività agricole si veda Cass. 6 maggio 2009, n. 10385. 46 ―Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell‘accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d‘imposta. L‘entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione‖. 45 328 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO dimostrazione dell‘esistenza di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d‘imposta. In realtà, anche in questo caso, da un punto di vista operativo non si può parlare di cambiamento rilevante, in considerazione del fatto che tanto la prassi dell‘Amministrazione finanziaria, quanto la giurisprudenza della Cassazione, hanno varie volte affermato come il contribuente possa contrastare la presunzione ricorrendo a qualsiasi elemento di prova. Questo concetto è stato ribadito da ultimo nella circ. n. 12/E del 12 marzo 2010, ove si legge: ―La presunzione relativa può essere contrastata con vari elementi di prova contraria. Tra questi va certamente compresa la dimostrazione che le spese per il mantenimento dei beni e servizi indici di capacità contributiva (dalle quali viene desunto il maggior reddito determinato sinteticamente) sono state coperte con elementi patrimoniali accumulati in periodi d‘imposta precedenti o sono state finanziate da economie terze‖ 47. La prima considerazione che si ritiene opportuno svolgere riguarda la conferma, da parte del Fisco, della valenza presuntiva dello strumento, che si sorreggerebbe su una presunzione legale relativa. 18 Le presunzioni e le prescizioni legali. Ci si trova, dunque, dinanzi ad un accertamento basato su presunzioni la cui definizione e disciplina si rinviene – come noto – nel codice civile. L‘art. 2727 afferma che ―Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato‖; il successivo art. 2728 (―Prova contro le presunzioni legali‖) distingue tra presunzioni legali relative (avverso le quali è ammessa la prova contraria) e presunzioni legali assolute (contro le quali tale facoltà non è ammessa); infine, l‘art. 2729 disciplina le presunzioni semplici, cioè quelle lasciate alla prudente valutazione del giudice, che le deve ammettere soltanto se gravi, precise e concordanti. Dalla lettura delle norme regolatrici, si ritraggono, ai fini che ci interessano, alcuni principi generali applicabili anche al procedimento tributario: - le presunzioni costituiscono metodi logici per raggiungere la prova di un fatto non conosciuto; - solo la legge può stabilire lo stravolgimento della dialettica processuale, rovesciando l‘onere probatorio o limitandone l‘esplicazione, mediante la introduzione di presunzioni (legali) relative o assolute; - nel caso di presunzioni legali, al giudice è sottratto il vaglio critico del valore probatorio delle stesse, essendo questo predeterminato dalla legge; 47 Circ. Agenzia delle Entrate 12 marzo 2010, n. 12/E punto 8.3. 329 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO - le presunzioni non stabilite dal legislatore possono essere valutate come prova piena a favore di chi le ha addotte, soltanto se le stesse vengono ritenute gravi, precise e concordanti dal giudice. L‘Agenzia delle Entrate, già in più occasioni passate, aveva sostenuto appunto che il redditometro costituisse una presunzione legale relativa, comportando un ribaltamento dell‘onere probatorio a carico del contribuente, che deve quindi fornire la prova contraria. Del resto la Suprema Corte si è sempre pronunciata nello stesso senso, ribadendo continuamente che la sola disponibilità dei beni ―indice‖ rappresenta una presunzione di ―capacità contributiva‖ da qualificare ―legale‖ ai sensi dell‘art. 2728 del codice civile, ―perché è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità la esistenza di una capacità contributiva‖48. 19 Il vaglio critico del contribuente. Ne consegue una situazione di obiettivo favore ―dialettico-processuale‖ dell‘Amministrazione, che trova la sua origine nella volontà del legislatore di valutare in modo aprioristico determinati elementi, che non necessitano di vaglio critico da parte del giudice49. Sul punto la giurisprudenza è molto chiara ―…il giudice tributario, una volta accertata l‘esistenza degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti dall‘ufficio, non ha il potere di togliere a tali elementi la capacità presuntiva contributiva che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità‖50; questo significa che il giudice non può valutare con autonomo giudizio critico i risultati economici ai quali si perviene mediante l‘applicazione del redditometro ai ―fattori-indice‖. Da ciò deriva che la prova del contribuente non potrà incentrarsi sulla minore redditività di un determinato ―elemento-indicatore‖, essendo tale risultato economico frutto della presunzione predeterminata dalla legge (e quindi non valutabile dal giudice), ma dovrà indirizzarsi verso altri elementi capaci di far ritenere al giudice che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore, ovvero che tale reddito presunto è costituito da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte (e ciò per espressa disposizione di legge). Resta evidente come la prima circostanza di merito che il contribuente dovrà vagliare criticamente è rappresentata proprio dal possesso degli elementi 48 Cass. sent. n.12187 del 26 maggio 2009; in senso conforme Cass. n. 22937 del 30 ottobre 2007. 49 Secondo Cassazione, sez. trib., 28 luglio 2006, n. 17202 ―La determinazione del reddito effettuata in base al cosiddetto redditometro, dispensa l‘Amministrazione finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti indice di maggior capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti alla base della pretesa tributaria fatta valere‖: in senso conforme anche Cass. 1° luglio 2003, n. 10350; Cass. 19 aprile 2001, n. 5794. 50 Cass. 20 giugno 2007, n. 14367; Cass. 23 luglio 2007, n. 16284. 330 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO rivelatori di maggior capacità contributiva indicati: perché l‘esistenza di tali elementi deve essere provata dall‘Amministrazione. Laddove, quindi, quest‘ultima non fornisca prova sufficiente di un tanto, il contribuente sarà tenuto a contestare in via preliminare tale carenza, sia per motivi logici, sia per evitare preclusioni processuali51. In concreto, quindi, la prima valutazione di merito (una volta eventualmente contestata la legittimità della motivazione nel senso sopra tratteggiato), sarà quella riguardante gli ―elementi-indice‖. In proposito si segnalano due fattispecie che possono fornire un utile esempio di quale genere di contestazione possa essere validamente sollevata. Nel primo caso, il contribuente aveva eccepito la parziale inesistenza dell‘‖elemento-indicatore‖, in quanto la superficie dell‘appartamento di residenza era stata calcolata in eccesso dall‘Amministrazione. A causa di tale errore, il maggior reddito accertabile in via presuntiva non si discostava per almeno un quarto dal reddito effettivamente dichiarato dal contribuente e i giudici di legittimità hanno, dunque, annullato l‘accertamento. Nel secondo caso, il contribuente deduceva in giudizio che una delle autovetture possedute, valutata come ―elemento-indicatore‖ di maggior reddito era da considerarsi ―auto-storica‖ e andava quindi esclusa dall‘accertamento sintetico in quanto non posseduta per soddisfare le esigenze di circolazione52. Ma la Cassazione 53ha rigettato il ricorso di parte, sostenendo che nel ―redditometro‖ non esiste alcuna disposizione che legittimi tale interpretazione. Queste due sentenze confermano i principi generali sopra tratteggiati, ossia: - i valori aritmetici che scaturiscono dell‘applicazione del cosiddetto redditometro non sono utilmente contestabili, perché predeterminati dalla legge; di contro l‘esistenza e la consistenza degli elementi presupposti possono essere oggetto di prova contraria; - in entrambi i casi il contribuente ha sollevato contestazioni (documentali) circa l‘esistenza degli ―elementi-indice‖ (la metratura dell‘abitazione, l‘autovettura) e non già sulla valenza economica che tali elementi hanno sulla determinazione del reddito. 51 Non si può, infatti, dimenticare che anche nel processo tributario vige il cosiddetto principio di ―non contestazione‖ in virtù del quale – in analogia al processo civile – ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto) un onore di allegazione (e prova), l‘altra parte ha l‘obbligo di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendosi in mancanza ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la parte che lo ha dedotto del relativo onere probatorio. Sulla applicabilità – e sulla portata – di tale principio alla dialettica processuale tributaria Cassazione, 24 gennaio 2007, n. 1540. 52 A sostegno della propria tesi il contribuente citava un parere del Se.CI.T., reso su istanza dell‘ASI (Automobil Club Storico Italiano), a giudizio del quale le auto e le moto di interesse storico e collezionistico, ai sensi dell‘art. 60 del D.L. n. 285/1992, dovevano ritenersi escluse dall‘applicazione del redditometro. 53 Cassazione, 22 gennaio 2007, n. 1294 331 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO 20 Ancora sulla prova contraria del contribuente. Anzitutto, il redditometro non è ammissibile quando non sussistono gli elementi e circostanze di fatto sui quali l‘ufficio ha basato l‘accertamento sintetico. In questi casi, la difesa del contribuente accertato consiste nell‘eccepire e dimostrare ( subito) la carenza di presupposti della presunzione legale: ad esempio, la non disponibilità dei beni ―indice‖ presi in considerazione dall‘ufficio o l‘utilizzo degli stessi nell‘ambito dell‘attività d‘impresa o di lavoro autonomo del contribuente (con conseguente rilevanza fiscale degli stessi esclusivamente ai fini dell‘accertamento del reddito delle rispettive categorie) o, ancora, la natura simulata dell‘atto di acquisto (a copertura del prezzo di acquisto da parte di terzi. Ma l‘illegittimità dell‘accertamento sintetico per difetto dei presupposti non è l‘unica difesa possibile contro il redditometro, dato che – come riconosciuto dalla giurisprudenza e dalla stessa prassi al contribuente è sempre concessa la prova contraria54– ―non limitata a quella prevista dal comma 5 [ora comma 6, n.d.A.] dell‘art. 38 del d.p.r. n. 600/1973, e cioè che il maggior reddito accertato è costituito da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta‖. Essa consiste nel dimostrare, in maniera attendibile e circostanziata, che il reddito presunto sulla base dei parametri legali (e ministeriali) non esiste o esiste in misura inferiore55. Lo stesso Ministero delle finanze ha affermato – già nel 1981 – che, oltre ai due casi espressamente previsti dal comma 6 dell‘art. 38 del d.p.r. n. 600/1973, ―esistono altre ipotesi di valide eccezioni che il contribuente può opporre all‘accertamento sintetico, quando è in possesso di proventi esclusi dalla base imponibile‖ (citando, ad esempio, le somme riscosse a titolo di risarcimento patrimoniale o percepite dai soci in seguito alla distribuzione dei fondi di capitale costituiti con i sovraprezzo azionari) ed ha aggiunto che ―sono da considerare (inoltre) alcune eccezioni di fatto che…, seppure non esplicitamente contemplate dalla legge si basano sulla logica delle cose e consentono una valida contestazione delle induzioni formulate dall‘ufficio‖ (citando l‘esempio del coniuge accertato che giustifichi il suo presunto maggiore reddito con le elargizioni dell‘altro coniuge, già regolarmente tassate in capo a quest‘ultimo) 56. Proprio alla prassi amministrativa si deve l‘elaborazione di un elenco (molto utile ai contribuenti) delle situazioni di fatto idonee a contrastare il metodo sintetico, che è andato nel tempo arricchendosi con l‘individuazione di nuove fattispecie, come i disinvestimenti patrimoniali e gli atti di liberalità degli ascendenti 57 o i redditi imponibili dichiarati dallo stesso contribuente 54 Si ricorda che la prova non data in sede amministrativa può essere sempre portata in sede processuale (così Cass., sez.trib., 7 febbraio 2008, n. 2816) 55 Cass., sez. trib., sent. 18 giugno 2008, n. 16472 (in termini, cfr. Cass., sez. trib., sent. 29 agosto 2000, n. 11300). 56 Circolare Ministero delle finanze 14 agosto 1981, n. 27. 57 Circolare Ministero delle finanze 30 aprile 1999, n. 101/E. 332 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO accertato per gli anni precedenti i periodi di imposta presi in considerazione dagli uffici58. 21 La necessità della prova documentale: puntualizzazioni e differenze tra vecchia e nuova disciplina. E‘ importante evidenziare che il comma 6 dell‘art. 38, nel momento in cui riconosceva al contribuente la facoltà di dimostrare che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, statuiva anche che ―l‘entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione‖. E‘ pur vero che la giurisprudenza mitigava questa restrittiva statuizione adottando il principio di ragionevolezza, ma non sono mancati casi in cui della riferita statuizione è stata data una criticabilissima applicazione. Ci si riferisce a un caso specifico e concreto in cui il contribuente aveva contestato che l‘ufficio, nell‘applicazione del cosiddetto redditometro, non aveva tenuto in considerazione la circostanza documentata che la suocera conviveva con il proprio nucleo familiare e che, pertanto, anche il reddito di costei doveva essere considerato ai fini di una valutazione del proprio reddito complessivo. La Suprema Corte, dopo aver ricordato che anche la circolare 30 aprile 1999, n. 101 (sopra riportata) richiama l‘attenzione degli uffici sulla necessità di procedere sempre ad un esame reddituale complessivo dell‘intero nucleo familiare del contribuente, da un lato, ha affermato che il concetto di nucleo familiare deve essere ristretto al coniuge convivente (e non legalmente separato) ed ai figli (soprattutto minori)(!) e, dall‘altro, che non è possibile desumere il possesso di redditi altrui dalla mera convivenza con un parente diverso: tanto più, ha soggiunto la Corte, che nella fattispecie in esame, la tesi del contribuente non era nemmeno confortata da prova documentale circa le modalità di partecipazione al reddito familiare della suocera convivente59. La sentenza richiamata appare ispirata a un formalismo per nulla condivisibile. Infatti, anche prescindendo dalla immotivata nozione restrittiva di nucleo familiare, il contribuente aveva provato documentalmente la convivenza della suocera ed è pacifico che i soggetti conviventi possano contribuire alla disponibilità di reddito del soggetto, concorrendo anche al sostenimento delle spese o, in genere, venendo incontro ai bisogni della famiglia. La pretesa di ottenere prova documentale circa le modalità di partecipazione del reddito del familiare convivente è infondata per due ragioni: in primo luogo perché la lettera del ―vecchio‖ comma 6 prevedeva la prova documentale solo per i redditi esenti e per quelli soggetti a ritenuta alla fonte 58 Circolare Agenzia delle Entrate 9 agosto 2007, n. 49/E e oggi anche il disposto normativo. 59 Cassazione 28 luglio 2006, n. 17202. 333 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO a titolo di imposta e in secondo luogo perché essa imporrebbe al contribuente di organizzare la propria vita familiare in modo complicatissimo per rispettare la ricordata sentenza. Infatti soltanto prevedendo a priori (o, forse, per iscritto con data certa?) la partecipazione del singolo alle spese familiari si potrebbe soddisfare l‘onere probatorio richiesto! Per altro, giova sottolinearlo, il legislatore, con la normativa dettata nel 2010, non solo ha ampliato le possibilità di controprova a favore del contribuente prevedendo che il finanziamento della spesa può avvenire anche con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo di imposta o comunque legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile- ma ha eliminato il riferimento alla ―idonea documentazione‖. E‘ stato così sconfessato il rigore mostrato dal Supremo Collegio in una sentenza peraltro criticata60. 22 Ancora sulla asserita presunzione legale e sulle controprove. Tale modifica non può sminuire la portata dell‘accertamento sintetico, posto che il vaglio critico degli elementi di prova spetta pur sempre al giudice con ampie garanzie, quindi, anche per le ragioni dell‘Erario. Al riguardo si possono svolgere alcune considerazioni. In primo luogo si ricorda che la giurisprudenza è propensa a ritenere che la prova contraria a una presunzione legale (ovviamente relativa) può essere fornita con ogni mezzo: anche con presunzioni semplici purchè gravi e precise, dato che ―la legge non pone alcun divieto alla ammissione della prova per presunzioni al fine di contrastare una presunzione legale, valevole sino a prova contraria. In tal caso spetta al giudice di apprezzare se prevalga la presunzione legale, fondata su di una previsione di carattere generale, ovvero altre presunzioni in senso opposto, le quali valgano a convincere, in base alle particolari circostanze del caso concreto, che quella situazione di carattere generale non ha influito nella determinazione dell‘evento‖61. In materia tributaria, merita di essere segnalata la sentenza con la quale la Suprema Corte – occupandosi della questione (per molti aspetti analoga a quella in trattazione) della determinazione induttiva dell‘ammontare dei ricavi e dei compensi sulla base dei coefficienti presuntivi di cui agli artt. 11 e 12 del D.L. 2 marzo 1989, n. 69 (cosiddetti parametri‖) – per di salvaguardare il principio della capacità contributiva effettiva del soggetto sottoposto a verifica – ha affermato che ―anche in ipotesi di legittima utilizzazione dei coefficienti presuntivi da parte dell‘Amministrazione, è sempre ammessa a carico del contribuente la prova della inapplicabilità dei parametri al caso concreto; prova che può essere costituita, in assenza di 60 Si veda Cass. sez.trib., 20 marzo 2009, n. 6813, in Corr.trib., 2009, p.1588, con nota critica di S. Muleo. 61 Cass., sez. I, 25 maggio 1972, n. 1659. 334 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO indicazioni normative specifiche contrarie, anche da presunzioni che il giudice nel suo prudente apprezzamento può configurare e valutare‖62. Orientamento che il Supremo Collegio ha, ancora di recente, confermato statuendo, proprio in materia di accertamenti con i parametri e con gli studi di settore, che ―il contribuente, nel giudizio di accertamento, ha la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici e il giudice può liberamente valutare tanto l‘applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall‘ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente‖63. Ma v‘è di più nel senso che la riduzione a un ―quinto‖ e a un anno solo ha indebolito la presunzione legale relativa il che significa che i possibili scarti dalla realtà possono essere più numerosi e più consistenti andando a colpire capacità contributive superiori al reale. E proprio per ciò non bisogna dimenticare che, allorquando la Corte costituzionale nel 2004 (ord. n. 297), riconobbe la legittimità del redditometro, statuì anche che ―era fatta salva la prova contraria del contribuente‖ e quanto alla prova non pose limiti. Conclusione corretta e condivisa dalla Corte di Cassazione per la quale ―il contraddittorio è il mezzo più efficace per consentire un necessario adeguamento della elaborazione parametrica alla concreta realtà reddituale oggetto dell‘accertamento nei confronti di un singolo contribuente e cioè alla sua capacità contributiva‖ (così Cass. sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635). 23 Alcune indicazioni concrete. Accade, sovente, che il mancato pagamento del prezzo del simulato acquirente (in genere figlio o coniuge dell‘apparente venditore) sia addotto in giudizio come causa di non applicabilità del meccanismo presuntivo disciplinato nel comma 5 del citato art. 38 del d.p.r. n. 600 del 1973, dato che, in quel caso, non v‘è alcuna ―spesa‖ per incrementi patrimoniali da potersi presumere sostenuta con redditi occulti all‘Erario. In merito alla prova della eccepita simulazione e con specifico riferimento al pagamento del prezzo (dichiarato nell‘atto di acquisto), la Corte di Cassazione ha ritenuto che ―la prova negativa costituita dalla documentazione bancaria (quella esibita non registrava né incassi da parte del ―venditore‖, né prelevamenti da parte del ―compratore‖) è di per sé stessa inidonea a dimostrare la diversa causa negoziale sottostante al contratto formalizzato, atteso che le risultanze degli estratti conto non hanno alcuna attinenza certa e casualmente efficiente rispetto all‘adempimento dell‘obbligazione del prezzo, nel negozio simulato come oneroso che si assume celarne uno gratuito, atteso che la provvista necessaria all‘adempimento del prezzo può provenire dalle tante altre fonti, e può avere come sua destinazione tanti altri canali, non esauribili – né quelle, 62 Cass., sez. trib., 15 dicembre 2003, n. 19163. 63 Così Cass. sez. un., 18 dciembre 2009, n. 26635 in Dir.prat.trib, 2010, II, 229 e ripubblicata nello stesso anno con nota di commento. 335 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO né questi – in quelli bancari‖64. In altra occasione, la Cassazione ha, però, riconosciuto che, al fine della dimostrazione della non rispondenza al vero della quietanza del prezzo contenuta nell‘atto simulato, la controdichiarazione indicante l‘effettivo contenuto del rapporto può essere opposta all‘Amministrazione finanziaria, a condizione (peraltro mancante nel caso deciso dalla Suprema Corte) che tale atto rechi data certa anteriore al giudizio65. Se gli elementi e i fatti posti dall‘ufficio alla base della presunzione legale non sono contestabili (e di conseguenza l‘accertamento sintetico è, sotto questo profilo, legittimo) non resta al contribuente che l‘onere di dimostrare, nel rispetto del principio dispositivo che governa il processo tributario66, che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore a quella accertata: ciò mediante prove attendibili e circostanziate, documentali (preferibilmente) o indirette (se si vuole dimostrare fatti materiali non suscettibili di prova documentale) 67. Ai fini della individuazione delle circostanze che il contribuente può efficacemente allegare (e provare) per contrastare l‘accertamento sintetico, è molto utile fare riferimento alle istruzioni dettate dall‘Amministrazione finanziaria (da ultimo, con la circolare dell‘Agenzia delle entrate n. 49/E) per consentire agli uffici locali della Agenzia delle Entrate di operare una ―attenta selezione dei soggetti da sottoporre a controllo sulla base delle evidenti manifestazioni di capacità contributiva. In tali direttive, si raccomanda agli uffici di acquisire, nel corso della istruttoria, tutte le informazioni che, nelle fasi successive alla emanazione dell‘accertamento sintetico, i contribuenti potrebbero addurre come ―prova contraria‖ per vanificare il risultato delle presunzioni legali utilizzate per la determinazione induttiva del maggiore reddito. Nell‘elenco delle situazioni che gli uffici devono preventivamente valutare rientra, ad esempio, la posizione reddituale (attuale e pregressa) dei familiari68 del contribuente, dato che – come ha di frequente riconosciuto la Cass., sez. trib.,17 giugno 2002, n. 8665, la quale ha anche affermato che ―l‘onere della prova contraria a quella fornita dall‘Amministrazione grava sul contribuente che intende affermare – in via incidentale – la simulazione del contratto, non sull‘ufficio, né può – in mancanza del suo retto esercizio – essere surrogato dal giudice‖. 65 Cass., sez. trib., sent. 13 giugno 2005, n. 12671. 64 66 Obbligatoriamente, nel caso in cui il contribuente deduca il possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta d‘imposta. 67 Basti pensare alla convivenza di un soggetto non facente parte del nucleo familiare naturale (ad esempio, un affine o un estraneo) che ben può costituire la base (il cosiddetto ―fatto noto‖) di un ragionamento induttivo dal quale ricavare la prova del contributo (raramente documentato) di tale soggetto alle ―piccole‖ spese per la gestione ordinaria del bene o dei beni presi in considerazione dall‘ufficio come beni rivelatori di maggiore capacità contributiva. 68 In questo senso, si veda ex multis la sent. n. 11300/2000 (già citata), sulla idoneità al superamento della presunzione derivante dal possesso di una abitazione della 336 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO giurisprudenza tributaria – gli elementi rivelatori di maggior capacità contributiva possono trovare spiegazione nella potenzialità di spesa degli altri componenti del nucleo familiare. In proposito, anche se la prassi amministrativa insiste nel dare rilevanza ai soli legami coniugali e parentali, si ritiene che non abbia più senso negare la medesima valenza induttiva alla mera convivenza (tra soggetti che non siano legati da vincoli familiari): in effetti tale circostanza, nella normalità dei casi, genera (e spesso trae origine da) una propensione alla condivisione delle spese per l‘utilizzo di beni rivelatori di capacità contributiva, a prescindere dalla titolarità degli stessi; è, pertanto, innegabile che, se idoneamente dimostrata, la convivenza – secondo l‘id quod plerumque accidit – sia idonea a giustificare la congruità del reddito dichiarato da uno dei conviventi. Gli uffici devono, poi, tenere conto di eventuali fatti che abbiano messo il contribuente (e i suoi familiari) nella condizione di disporre delle somme di denaro utilizzabili per spese o investimenti: operazioni di disinvestimento patrimoniale, donazioni o eredità ricevute sotto forma di denaro, concessione di finanziamenti69. Quindi, anche se se il contribuente non è in grado di provare direttamente che le somme ricavate da tali operazioni sono state utilizzate per mantenere il possesso o provvedere all‘acquisto dei beni ―indice‖, è ragionevole ritenere che il giudice tributario, nel suo prudente apprezzamento, reputi tale presunzione prevalente rispetto alle risultanze del redditometro70. In conclusione, a noi pare che le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza tributaria (con qualche eccezione) e dalla prassi amministrativa (con una comprensibile prudenza) vadano nella direzione di riconoscere al contribuente sottoposto ad accertamento sintetico la più ampia facoltà di fornire la prova contraria al ―redditometro‖, nella prospettiva di raggiungere il vero obiettivo dell‘accertamento tributario, che è quello di individuare la reale capacità contributiva del soggetto controllato. Come ha osservato la Corte di Cassazione, ciò non significa ―disconoscere l‘importantissimo ausilio che può derivare dagli strumenti presuntivi, che non possono però avere effetti automatici, che sarebbero contrastanti con il dettato costituzionale, ma che richiedono un confronto con la situazione circostanza che ―negli anni contestati il nucleo familiare era composto anche dalla nonna e dal figlio, entrambi percettori di redditi …tali da garantire al contribuente accertato ed alla sua famiglia una dignitosa sussistenza‖. 69 Ma, ad esempio, nel caso della cessione di titoli (azioni, fondi comuni di investimento, eccetera) o della erogazione di finanziamenti è chiaro che tali operazioni possono essere riscontrate anche dai conti di deposito dei titoli negoziati o dai conti correnti bancari. 70 Il generico richiamo ai proventi di una vendita immobiliare da parte della figlia del contribuente accertato è stato invece ritenuto insufficiente da Cass., sez. trib., 9 agosto 2006, n. 17985, ma – in quel caso – la cessione era successiva ai periodi di imposta accertati; era pertanto ragionevole pretendere che venisse quantificata e provata la effettiva incidenza di tale disinvestimento sulla capacità di spesa del padre. 337 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO concreta‖.71: confronto, dal quale lo strumento presuntivo utilizzato dal fisco potrà risultare anche vincente, ma solo dopo aver consentito alla giustizia tributaria di valutare l‘inattendibilità degli elementi forniti dal contribuente. 24 Il contraddittorio anticipato. Il nuovo art. 38 stabilisce che l‘ufficio che intenda determinare sinteticamente il reddito complessivo ―ha l‘obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell‘accertamento e, successivamente, di avviare il procedimento di accertamento con adesione ai sensi dell‘art. 5 del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218‖.72. Anteriormente alla novella normativa, il legislatore si limitava a riconoscere al contribuente la facoltà di ―dimostrare, anche prima della notificazione dell‘accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d‘imposta‖, specificando che l‘entità di tali redditi e la durata del loro possesso dovevano risultare da ―idonea documentazione‖. Si tratta, quindi, di una lodevole novità che supera l‘orientamento negativo di una giurisprudenza autorevole, e ancora recente, secondo la quale l‘amministrazione poteva effettuare accertamenti sintetici in assenza di qualsivoglia contradditorio preventivo73. Il definitivo riconoscimento dell‘obbligatorietà del contraddittorio anticipato è una soluzione condivisibile, in linea con le statuizioni dello Statuto del contribuente e con l‘orientamento giurisprudenziale formatosi in materia di parametri e studi di settore, oltre che con l‘esigenza di non applicare in modo automatico l‘accertamento sintetico74. D‘altro canto, posto che gli uffici hanno la possibilità di elevare avvisi di accertamento sulla base di tutte le spese sostenute dal contribuente durante l‘anno, al fine di operare una ricostruzione ragionevole si rende inevitabilmente necessario acquisire preventivamente informazioni dal contribuente stesso, in quanto unico soggetto in grado di fornire ragguagli sulle concrete modalità grazie alle quali dette spese sono state finanziate. 71 Cass., sez. trib., n. 19163/2003 (già citata). 72 Si veda G. RAGUCCI, Il nuovo accertamento sintetico tra principio del contraddittorio e garanzie del giusto processo, in Corr.trib., 2010, pp. 380 sg. 73 Si veda Cass. sez. trib,, 27 marzo 2010, n. 7485. 74 Le sentenze delle SS.UU. della Corte di cassazione nn. 26635, 26636, 26637, 26638 del 2009 hanno sottolineato che il contraddittorio rappresenta un ―elemento essenziale‖ del giusto procedimento amministrativo e che esso costituisce il mezzo più efficace per adeguare le elaborazioni parametriche (e lo stesso può dirsi con riferimento alle elaborazioni statistiche alla base del redditometro) al dato reddituale effettivo del contribuente (nello stesso senso si veda Cass. 7 febbraio 2008, n. 2816 e 28 luglio 2006, n. 17229). 338 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO Ben si intende che la legge richiede che si giustifichino le spese riscontrate dall‘ufficio non il reddito dichiarato. Secondo la formulazione legislativa, il contribuente può dimostrare che tale finanziamento è avvenuto con le disponibilità monetarie provenienti da redditi: — diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d‘imposta; — esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta; — legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile. Come si è detto, tale prova riguarda la parte delle spese che non sia stata coperta da indebitamento, da smobilizzi patrimoniali o da entrate patrimoniali straordinarie (eredità, donazioni, vincite, risarcimenti di danni di natura personale o patrimoniale, ecc.); per comodità questa entità viene chiamata «spesa netta» effettivamente sostenuta nel periodo d‘imposta. Al contraddittorio anticipato è, perciò, assegnato il delicato ruolo di controbilanciare la estrema rigidità del meccanismo alla base del novellato art. 38 e la scarsa affidabilità dei risultati ottenibili limitandosi a presumere che tutte le spese sostenute nell‘anno siano state finanziate grazie a redditi conseguiti nel medesimo anno. E‘ dunque opportuno delineare le potenziali dinamiche che potrebbe assumere il procedimento accertativo. A) Qualora l‘ufficio non attivi il contraddittorio anticipato ed elevi un accertamento sintetico, si deve ritenere che il provvedimento debba essere giudicato illegittimo. La norma, infatti, stabilisce in modo chiaro che ―l‘ufficio … ha l‘obbligo‖ di attivare il contraddittorio anticipato. Del resto, se così non fosse, gli uffici potrebbero omettere l‘attivazione del contraddittorio senza alcuna conseguenza, in aperto contrasto altresì con i principi dettati dall‘art. 10 dello Statuto dei diritti del Contribuente, in forza del quale, ―i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede‖. B) Per altro, qualora l‘ufficio attivi il contraddittorio anticipato e il contribuente non dia seguito all‘invito (o vi dia seguito solo in modo parziale), si deve ritenere che a quest‘ultimo non sia preclusa, nell‘eventuale fase contenziosa, la possibilità di proporre e valorizzare argomenti, dati e documenti non illustrati in precedenza75: nell‘art. 38 non si riviene, infatti, alcuna ipotesi decadenziale mentre le ipotesi di decadenza debbano essere previste per legge76. Sul punto si veda L.TOSI, Condizioni e limiti dell‘efficacia probatoria del redditometro, in Rass..Trib., 1989, I, 428; Id., Le predeterminazioni normative nell‘imposizione reddituale, Milano, 1999, 386 sg. e anche la giurisprudenza citata. 76 Per alcuni casi di applicazione di tale principio in ambito tributario vd. le sentenze della Corte di cassazione 30 giugno 2009, n. 15307; 7 febbraio 2008, n. 2849; 1° aprile 2003, n. 4966. 75 339 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO Tant‘è che, nelle citate sentenze delle SS.UU. della Corte di Cassazione, è stato riconosciuto che ―l‘esito del contraddittorio endoprocedimentale non condiziona…la impugnabilità dell‘accertamento innanzi al giudice tributario, al quale il contribuente potrà proporre ogni eccezione (e prova) che ritenga utile alla sua difesa, senza essere vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo, e anche nel caso in cui egli all‘invito al contraddittorio non abbia risposto, restando inerte‖.77. C) Infine, v‘è da chiedersi cosa accada se l‘ufficio attivi il contraddittorio anticipato e il contribuente risponda all‘invito, proponendo elementi a sostegno della infondatezza del maggior reddito determinato sinteticamente. Qualora l‘ufficio condivida tali elementi ed archivi la posizione, va da sé che non si pongono problemi. Diversamente, se l‘ufficio decida comunque di elevare l‘avviso di accertamento, dovrà illustrare nella motivazione, a pena di nullità, le ragioni che lo hanno condotto a non accogliere le difese del contribuente. Se così non fosse l‘istituto del contraddittorio anticipato verrebbe svilito e trasformato in un passaggio formale, poiché gli uffici avrebbero la possibilità di respingere qualunque argomentazione, anche in modo pretestuoso e senza curarsi di affrontare ed approfondire gli elementi proposti dal contribuente. Anche con riferimento a tale punto si possono ricordare le citate sentenze della Corte di Cassazione a SS.UU., nn. 26635, 26636, 26637, 26638 del 2009, che hanno specificato che ―la motivazione dell‘atto di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo del predetto scostamento dai parametri, ma deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio‖. Similmente, e proprio con specifico riferimento agli accertamenti reddito metrici, la Corte di Cassazione, nella sentenza 22 febbraio 2008, n. 4624, ha giudicato illegittimo per difetto di motivazione un avviso di accertamento che non conteneva una ―adeguata replica alle deduzioni del contribuente, che giustificano il reddito dichiarato in misura inferiore a quanto emerge dal redditometro‖. Un‘ultima modifica apportata con il D.L. n. 78/2010 riguarda l‘eliminazione della possibilità per l‘ufficio di procedere ad accertamento sintetico ove il contribuente non abbia ottemperato agli inviti di cui all‘art. 32, comma 1, n. 1, 3) e 4) del d.P.R. n. 600/1973. Anche questa statuizione conferma l‘assenza di finalità sanzionatorie dell‘accertamento sintetico e la sua natura 77 La Suprema Corte, tuttavia, verosimilmente con la finalità di rafforzare la funzione del contraddittorio, mette ―in guardia‖ i contribuenti che intendano non partecipare al contraddittorio, evidenziando che ―naturalmente, il giudice potrà valutare nel quadro probatorio questo di tipo di comportamento (la mancata risposta) mentre l‘Ufficio potrà motivare l‘accertamento sulla sola base dell‘applicazione dei parametri dando conto della impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito‖. 340 LE NUOVE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO OLTRE IL SINTETICO di strumento finalizzato alla ricostruzione della capacità contributiva del soggetto passivo accertato. E invero, come già scriveva anni fa la più autorevole dottrina ―la determinazione sintetica non è licenza di determinazioni arbitrarie, ma sempre una ricerca del reddito effettivamente prodotto da quel contribuente, in quel periodo di imposta, sorretta da precisi elementi di fatto, da argomentazioni logiche e da criteri di comune esperienza‖. 78. Gianni Marongiu 78 Così F. MOSCHETTI Avvisi di accertamento tributario e garanzie del cittatini in Dir. prat. trib., 1983, I, 1924: e anche A. FANTOZZI, L‘accertamento sintetico ed i coefficienti presuntivi di reddito, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1985, I, 459. 341 Prof. Giuseppe Melis La disciplina delle notificazioni degli atti ai soggetti residenti all‟estero 1 Introduzione. Il tema della notificazione degli atti ai soggetti residenti all‘estero trova possibili referenti a livello sia costituzionale, sia dello Statuto dei diritti del contribuente. Quanto al profilo costituzionale, viene evidentemente in rilievo l‘art. 24 Cost. sul diritto di difesa, che la notificazione, assicurando la conoscibilità dell‘atto, è finalizzata a garantire. Quanto allo Statuto dei diritti del contribuenti, vengono in rilievo sia l‘art. 6, co. 1, sia l‘art. 14, rispettivamente per il profilo della ―notificazione‖ e per quello del destinatario ―contribuente non residente‖. L‘art. 6, rubricato ―Conoscenza degli atti e semplificazione‖, prevede infatti che ―L'amministrazione finanziaria deve assicurare l'effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati‖. L‘art. 14 intende invece agevolare quei contribuenti i quali, proprio in quanto dimorino abitualmente (o comunque, nel caso di soggetti diversi dalle persone fisiche, siano stabiliti) all‘estero, si trovino in una posizione di svantaggio sia in relazione al profilo ―conoscitivo‖ della normativa tributaria (compresi quei soggetti che contribuenti ancora non sono, ma che siano eventualmente interessati a conoscere la normativa tributaria applicabile a operazioni da effettuare in Italia), sia in relazione all‘adempimento di tutti quegli obblighi di natura strumentale (quali: l‘attribuzione del codice fiscale, la presentazione delle dichiarazioni, il versamento delle imposte, ecc.) correlati al rapporto impositivo. Tale finalità di ―compensare‖ lo svantaggio in cui si trova un contribuente per il fatto di risiedere all‘estero, alla base della specifica previsione di cui all‘art. 14 Statuto, non può non venire in rilievo anche nel momento ―patologico‖ del rapporto impositivo allorquando si tratti di portare a conoscenza del contribuente il contenuto di particolari atti. Nonostante la portata ed importanza dei suddetti referenti, una disciplina costituzionalmente conforme della notificazione degli atti ai soggetti non residenti ha tuttavia tardato a farsi strada e comunque appare, allo stato, tuttora incompiuta. LA DISCIPLINA DELLE NOTIFICAZIONI DEGLI ATTI AI SOGGETTI RESIDENTI ALL‘ESTERO 2 La disciplina costituzionale. positiva prima dell‟intervento della Corte Come noto, l‘art. 60 d.p.r. n. 600/73 rinvia alle norme di cui agli artt. 137 ss. c.p.c., stabilendo, tra l‘altro, che la notificazione deve avvenire nel domicilio fiscale del contribuente salvo la consegna in mani proprie (lett. c); che il contribuente ha facoltà di eleggere domicilio per la notificazione degli atti o degli avvisi presso una persona o un ufficio nel comune del proprio domicilio fiscale (lett. d); che, quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l‘avviso del deposito prescritto dall‘art. 140 c.p.c. si affigge nell‘albo del comune e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell‘ottavo giorno successivo a quello di affissione (lett. e). L‘art. 60, 1° co., lett. f), esclude poi l‘applicabilità dell‘art. 142 c.p.c., norma che, nei casi di notificazione a persona ―non residente, né dimorante, né domiciliata nella Repubblica‖, prevede che l‘atto sia notificato mediante affissione di copia nell‘albo dell‘ufficio giudiziario davanti al quale si procede e mediante spedizione di altra copia al destinatario per mezzo della posta in piego raccomandato e che una terza copia sia consegnata al pubblico ministero che ne cura la trasmissione al Ministero degli affari esteri per la consegna alla persona alla quale è diretta. Il sistema notificatorio attuale del c.p.c. nei confronti dei soggetti residenti all‘estero presenta invece il seguente ordine obbligatorio: 1) procedimenti notificatori previsti dal regolamento comunitario CE n. 1348/00, che espressamente esclude dal proprio campo di applicazione la materia fiscale; 2) ricorso ad uno dei procedimenti previsti dalla convenzione dell‘Aja, se applicabile, o da altra eventuale convenzione bilaterale sottoscritta dall‘Italia; 3) ricorso ai sensi degli artt. 30 e 75 della cd. ―legge consolare‖ (d.p.r. n. 200/1967); 4) affissione di copia dell‘atto nell‘albo dell‘ufficio giudiziario davanti al quale si procede, spedizione di una copia dell‘atto per mezzo posta, in piego raccomandato, spedizione di altra copia al p.m., per il tramite del Ministero degli affari esteri ( 1). Tanto premesso, la mancata applicabilità in ambito tributario della procedura di cui all‘art. 142 c.p.c è suscettibile di creare rilevanti problemi di conoscibilità degli atti impositivi ai soggetti non residenti poiché, identificandosi il domicilio fiscale con il luogo nel quale si è prodotto il maggior reddito o, per i soggetti diversi dalle persone fisiche non residenti, con quello nel quale si è esercitata prevalentemente la propria attività, è frequente che tale notificazione si concluda con esito negativo e che pertanto operi il criterio residuale dell‘affissione dell‘avviso del deposito prescritto dall‘art. 140 c.p.c. nell‘albo del comune. 1 Si veda la ―Guida alla notifica all‘estero degli atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale‖ a cura del Ministero degli Affari Esteri, D.G.I.E.P.M. – Uff. IV. 344 LA DISCIPLINA DELLE NOTIFICAZIONI DEGLI ATTI AI SOGGETTI RESIDENTI ALL‘ESTERO Alla problematica della mancata conoscenza da parte del soggetto non residente dell‘atto notificato, l‘Amministrazione finanziaria ha inteso porre rimedio invitando gli uffici a comunicare i propri atti al destinatario al suo indirizzo estero reperibile presso l‘AIRE o comunque conosciuto dall‘amministrazione stessa (2), sia pure non riconoscendo alcun valore vincolante a tale procedura; mentre la giurisprudenza ha operato un‘applicazione assai rigida della normativa, sia a favore del Fisco (3), che contro di esso (4). La questione di legittimità costituzionale era stata più volte sollevata dinanzi al giudice delle leggi, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., in ipotesi di contribuenti cui erano stati notificati avvisi di accertamento e/o cartelle esattoriali mediante l‘affissione del deposito nell‘albo comunale, senza che fosse stato pertanto possibile impugnarli nei termini di legge. In tal caso, si trattava peraltro di soggetti iscritti all‘AIRE, sicché l‘indirizzo della relativa abitazione sarebbe stato di agevole ―conoscibilità‖, presupposto per l‘applicabilità dell‘art. 142 c.p.c. (5): l‘art. 2, l. n. 470/1988 prevede, infatti, che l‘ufficiale di anagrafe annota sulle schede individuali l‘indirizzo all‘estero ―comunicato dall‘interessato o comunque accertato‖ e pone a carico dell‘interessato l‘obbligo di comunicare eventuali variazioni (art. 6, 2° co., l. n. 470/1988). La Corte costituzionale (6) si era tuttavia inizialmente pronunziata nel senso dell‘inammissibilità della questione sollevata, ritenendo che la censura dovesse investire l‘intero sistema della notificazione al soggetto non residente, comprendente sia le disposizioni sulla notificazione tributaria – in specie, gli artt. 58, 1° e 2° co., e 60, 1° co., lett. c) ed e) d.p.r. n. 600/73 – sia quella dell‘art. 60, 1° co., lett. f) d.p.r. 600/73 sull‘esclusione dell‘art. 142 c.p.c., mentre in entrambi i casi ciò era avvenuto soltanto con riferimento a parte delle disposizioni sopra richiamate, risolvendosi pertanto il tutto nell‘erronea indicazione della norma censurata. La Corte aveva peraltro lasciato trasparire la non conformità del sistema della notificazione ai principi costituzionali, richiamando anche il principio di non discriminazione del diritto comunitario e il citato art. 6, 1° co. dello Statuto dei diritti del contribuente. 2 Circolare Agenzia delle Entrate 27 Gennaio 2000, n. 16/E. 3 Cass., 28 giugno 1980, n. 4086; Cass., 25 gennaio 2002, n. 906; Cass., 23 Giugno 2003, n. 9922; Cass., 26 giugno 2003, n. 10189; Cass., 27 novembre 2006, n. 25095. 4 Nel senso di ritenere inesistente la più garantistica notifica avvenuta tramite il Consolato d‘Italia, Cass., 25 settembre 1996, n. 8456. 5 Cass., 28 marzo 1991, n. 3358. 6 Corte Cost., Ord. 18 dicembre 2001, n. 417; Corte Cost., Ord. 26 maggio 2006, n. 210. 345 LA DISCIPLINA DELLE NOTIFICAZIONI DEGLI ATTI AI SOGGETTI RESIDENTI ALL‘ESTERO Con riferimento a tale ultima disposizione, la giurisprudenza ne aveva tuttavia negato qualsiasi portata in ordine alla soluzione del problema delle notificazioni ai soggetti non residenti (7). Nel frattempo, mentre i giudici di merito rimettevano nuovamente la questione di legittimità costituzionale alla Corte – questa volta prospettando correttamente il sistema normativo rilevante – il legislatore interveniva in materia, aggiungendo con d.l. n. 223/2006 conv. dalla l. n. 248/2006, la lettera e-bis) all‘art. 60, 1° co. d.p.r. n. 600/73 e prevedendo che ―è facoltà del contribuente che non ha la residenza nello Stato e non vi ha eletto domicilio ai sensi della lettera d), o che non abbia costituito un rappresentante fiscale, comunicare al competente ufficio locale, con le modalità di cui alla stessa lettera d), l‘indirizzo estero per la notificazione degli avvisi e degli altri atti che lo riguardano; salvo il caso di consegna dell‘atto o dell‘avviso in mani proprie, la notificazione degli avvisi o degli atti è eseguita mediante spedizione a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento‖. In tal caso l‘elezione di domicilio ha effetto dal trentesimo giorno successivo dalla comunicazione. Tale disposizione – peraltro introdotta a seguito dell‘apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea secondo cui la disciplina previgente si poneva in violazione del principio di non discriminazione e comunque non priva di specifici problemi sul piano applicativo (8) – non era tuttavia idonea a risolvere la questione costituzionale, sia per la sua valenza soltanto pro futuro, sia per la circostanza che essa si risolve pur sempre in una facoltà, sicché dal suo mancato esercizio non possono farsi discendere conseguenze negative per il contribuente (9). Lo stesso deve in realtà affermarsi per quanto attiene all‘art. 60-bis d.p.r. n. 600/73, rubricato ―Assistenza per le richieste di notifica tra le autorità competenti degli Stati membri dell‘Unione Europea‖ ed introdotto in esecuzione della direttiva 2003/93/CE del 7 ottobre 1993 relativa alla reciproca assistenza tra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette ed indirette, che si risolve anch‘esso in una mera facoltà (nella specie, di richiedere all‘amministrazione finanziaria dell‘altro Stato membro di notificare determinati atti secondo le regole dello Stato richiesto). 7 V. Cass., 23 giugno 2003, n. 9922, che conferma la procedura di cui all‘art. 60, lett. e), ritenendo che tale disciplina sia stata tenuta ferma anche dallo Statuto del contribuente di cui alla l. 212/2000 (art. 6, 1° co.); in senso conforme, Cass., 27 novembre 2006, n. 25095. 8 D. PLACIDO, La notifica ai soggetti non residenti. Disarmonie tra giurisprudenza della Suprema Corte e recenti interventi normativi, in Il Fisco, 2007, 114. 9 C. GLENDI, Torna alla Corte costituzionale la questione delle notifiche all‘estero, in GT Rivista di giurisprudenza tributaria, 2006, 1017. 346 LA DISCIPLINA DELLE NOTIFICAZIONI DEGLI ATTI AI SOGGETTI RESIDENTI ALL‘ESTERO 3 L‟intervento prima della Corte costituzionale e poi del legislatore con d.l. n. 40/2010. Con sentenza n. 366/2007, la Corte Costituzionale ha infine dichiarato l‘illegittimità costituzionale degli artt. 58 e 60 d.p.r. n. 600/73 per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui prevedono che nel caso di notifica ad un contribuente residente all‘estero iscritto all‘AIRE non debbano essere applicate le disposizioni di cui al citato art. 142 c.p.c. Il sistema normativo censurato non garantirebbe infatti al notificatario non più residente l‘effettiva conoscenza degli atti a lui destinati, senza che a tale diminuita garanzia corrisponda un apprezzabile interesse dell‘Amministrazione finanziaria notificante a non subire eccessivi aggravi nell‘espletamento della procedura notificatoria, potendo l‘amministrazione finanziaria espletare la non troppo gravosa procedura di notifica presso la residenza estera risultante dall‘AIRE. Inoltre, secondo la Corte, alle modifiche apportate al sistema delle notificazioni dal d.l. n. 223/2006, conv. dalla l. n. 248/2006, può assegnarsi la sola funzione di ―ampliare le possibilità di effettiva conoscenza, da parte del destinatario dell‘atto‖, seguendo la diversa via della spedizione a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento all‘indirizzo estero indicato dal contribuente, di talché, ―nel caso di iscrizione del contribuente nell‘AIRE, l‘applicazione della disciplina censurata dal rimettente resta circoscritta all‘ipotesi in cui il contribuente abbia omesso di indicare al competente ufficio locale l‘indirizzo estero per la notificazione degli atti tributari‖ (10). Il legislatore è nuovamente intervenuto sulla disciplina delle notificazioni con il d.l. n. 40/2010 (conv. dalla L. n. 73/2010), aggiungendo i nuovi commi 4 e 5 all‘art. 60. Essi prevedono che – fatto salvo quanto previsto dai precedenti commi e ―in alternativa‖ a quanto previsto dall‘art. 142 c.p.c. – la notificazione ai contribuenti non residenti è validamente effettuata mediante spedizione di lettera raccomandata con avviso di ricevimento all‘indirizzo della residenza estera rilevato dai registri dell‘AIRE o a quello della sede legale estera risultante dal registro delle imprese di cui all‘articolo 2188 c.c.; che in mancanza dei predetti indirizzi, la spedizione della raccomandata a.r. è effettuata all‘indirizzo estero indicato dal contribuente nelle domande di attribuzione del numero di codice fiscale o variazione dati; che in caso di esito negativo della notificazione si applicano le disposizioni di cui al comma 1, lett. e) (affissione all‘albo comunale); infine, che la notificazione ai contribuenti non residenti così effettuata è valida qualora i medesimi non abbiano comunicato all‘Agenzia delle entrate l‘indirizzo della loro residenza o sede estera o del domicilio eletto per la notificazione degli atti e le 10 Si veda, a seguito della sentenza della Consulta, Comm. Trib. Prov. Avellino, 19 gennaio 2010, n. 40. 347 LA DISCIPLINA DELLE NOTIFICAZIONI DEGLI ATTI AI SOGGETTI RESIDENTI ALL‘ESTERO successive variazioni. Viene inoltre previsto che le nuove disposizioni in materia di notificazioni operino anche ai fini della riscossione. Il d.l. n. 40/2010 individua dunque le fonti da cui evincere l‘indirizzo estero del contribuente non residente; fa salvo quanto previsto dal comma 1 (tra cui la facoltà di comunicare l‘indirizzo estero per le notifiche, di cui alla lett. ebis, il cui esercizio preclude l‘applicazione della nuova procedura); prevede espressamente l‘applicabilità, in alternativa alla nuova procedura, dell‘art. 142 c.p.c.. 4 Conclusioni. La pronunzia di incostituzionalità della normativa sulla notificazione ai soggetti non residenti e l‘adeguamento normativo di cui al d.l. n. 40/2010 non risultano ancora pienamente soddisfacenti. In primo luogo, se il presupposto è la ―conoscibilità‖, va ricordata quella giurisprudenza di legittimità secondo cui nel caso in cui nelle risultanze anagrafiche dell‘AIRE manchi l‘indirizzo, il notificante debba esperire, prima di ricorrere all‘art. 143 c.p.c., ulteriori ricerche avvalendosi dell‘ufficio consolare di cui all‘art. 6, l. n. 470/88 (11), ciò che si porrebbe in contrasto con la tassatività delle fonti di cognizione indicate dal d.l. n. 40/2010. In secondo luogo, la ―conoscibilità‖ prescinde dalla cittadinanza del soggetto e dalla sua iscrizione all‘AIRE, di talché non pare potersi confinare i profili di incostituzionalità relativi alla inapplicabilità dell‘art. 142 c.p.c. solo a tali casi di iscrizione all‘AIRE, previa l‘irragionevole parificazione di soggetti stranieri (il cui indirizzo potrebbe essere finanche noto all‘Amministrazione finanziaria e risultare da fonti diverse dalle domande di attribuzione del numero di codice fiscale o dalla variazione dati contemplate dal d.l. n. 40/2010) a quella dei destinatari ―irreperibili‖: è vero che il d.l. n. 40/2010 riconosce adesso la generale applicabilità dell‘art. 142 c.p.c., ma ciò avviene solo ―in alternativa‖ alla procedura indicata nei nuovi commi 4 e 5. In terzo luogo, la diversa disciplina prevista per i cittadini UE non residenti in Italia potrebbe costituire una discriminazione vietata ai sensi del Trattato UE, e quindi dovrebbe quanto meno imporre il ricorso allo scambio di informazioni per conoscere l‘indirizzo estero del contribuente (anche mediante diretta interrogazione del sistema cd. VIES per i soggetti dotati di un numero di identificazione IVA) ovvero alla richiamata procedura di cui all‘art. 60-bis, d.p.r. n. 600/73, che si ritiene essere stata erroneamente configurata dal nostro legislatore come facoltativa anziché obbligatoria (12). Giuseppe Melis - Università degli Studi del Molise 11 Cass., SS.UU., 10 maggio 2002, n. 6737. 12 S. DORIGO, La notifica degli atti tributari all‘estero nella prospettiva comunitaria dopo la sentenza n. 36/07 della Corte costituzionale, in Rivista di diritto internazionale, 2008, 465. 348 Avv. Alessandra Mereu La tutela penale della riscossione tributaria Sommario. 1. Premessa. 2. La tutela penale della riscossione coattiva: il nuovo volto dell‘avviso di accertamento nella prospettiva del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. 2.1. Le novità introdotte dal d.l. n. 78/2010: le circostanze aggravanti. 2.2. (segue) Il falso nella transazione fiscale. 3. La tutela penale della riscossione volontaria: l‘omesso versamento di ritenute certificate, l‘omesso versamento Iva e l‘indebita compensazione. 4. Conclusioni. I reati di cui al d. lgs. n. 1559/1947: il delitto di promozione di intese o accordi finalizzati alla disobbedienza fiscale, il delitto di pubblica istigazione alla disobbedienza fiscale e l‘interruzione o turbativa dei servizi di accertamento o riscossione delle imposte. 1 Premessa. L‘Erario si trova oggi a dover fare i conti con sistemi sempre più evoluti e sofisticati di evasione dei tributi, la cui repressione impone uno sforzo continuo e costante di fornirsi di sempre più adeguati strumenti di tutela. La progressiva globalizzazione dell‘economia, con la conseguente traslazione su scala europea delle coordinate spaziali del nuovo ―mercato unico‖, ha inoltre inevitabilmente portato ad un cambiamento dei confini della ―scena del crimine‖: un tempo gli stessi circoscrivevano gli spazi territoriali dei singoli Paesi e i fenomeni evasivi avevano una rilevanza esclusivamente domestica; oggi la criminalità organizzata si muove tra e oltre le frontiere nazionali e i più gravi fenomeni di fraudolenta sottrazione alle imposte hanno acquisito un intrinseco rilievo internazionale proprio in funzione dello sfruttamento delle asimmetrie, delle lacune e delle differenze normative che connotano i regimi fiscali dei vari ordinamenti1. In questo contesto la scelta iniziale effettuata dal legislatore penal-tributario del 2000 di concentrare la riforma dei reati fiscali principalmente sulla tutela del corretto adempimento all‘obbligo dichiarativo da parte del contribuente, si è dovuta sottoporre a revisione: il sorgere di un fenomeno illecito che vedeva il momento patologico insinuarsi non solo nella presentazione della dichiarazione tributaria, ma anche nel mancato versamento dei tributi ha reso, infatti, necessario un rafforzamento di tutela della fase di riscossione erariale. Al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte ex art. 11 d. lgs. n. 74/2000, unica fattispecie originariamente deputata alla tutela della riscossione fiscale, il legislatore ha quindi dovuto affiancare i reati di omesso versamento di ritenute certificate, omesso versamento Iva e indebita 1 FLICK, Globalizzazione dei mercati e globalizzazione della giustizia, in Diritto penale dell‘economia, 2000, p. 591 e ss. LA TUTELA PENALE DELLA RISCOSSIONE TRIBUTARIA compensazione ex artt. 10 bis, ter e quater, i quali presentano il minimo comune denominatore di colpire la lesione del dovere di corretto adempimento alle obbligazioni di versamento da parte del contribuente. In questa prospettiva la riscossione fiscale è, quindi, oggi tutelata dal sistema penal-tributario in entrambe le sue manifestazioni: la tutela penale della riscossione coattiva dimora nel ricordato reato di cui all‘art. 11 il quale, per l‘ampiezza della fattispecie descrittiva, appresta tutela a tutta la fase di esazione delle imposte da parte dell‘Amministrazione finanziaria2; la riscossione spontanea trova invece protezione nelle fattispecie introdotte con la tecnica della novellazione nell‘impianto dei reati di cui al d. lgs n. 74/2000, le quali colpiscono i comportamenti del contribuente che non adempie volontariamente al pagamento delle imposte. La recente riforma attuata con il d.l. n. 78/2010 (conv. nella l. n. 122 del 2010), è infine intervenuta rendendo più severa la risposta penale predisposta dall‘ordinamento ai c.d. fenomeni di evasione alla riscossione: l‘art. 28, comma 4 della normativa ricordata ha infatti inciso sul reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, da un lato, attraverso l‘inasprimento della risposta sanzionatoria, dall‘altro, con l‘introduzione di un‘ulteriore fattispecie incriminatrice al 3° comma del ricordato art. 11 (il c.d. falso nella transazione fiscale). Le modifiche apportate dalla riforma in commento all‘ordinamento tributario, pur di significativa importanza, non incidono invece sotto il profilo della tutela penale predisposta dalle menzionate fattispecie: l‘eliminazione dell‘iscrizione a ruolo e l‘assorbimento della funzione propria del ruolo esattoriale nell‘avviso di accertamento del tributo (nei quali possono essere riassunte le cifre più importanti della riforma di cui si tratta), sono infatti ininfluenti ai fini della sussistenza dei reati ricordati. Per quanto riguarda le fattispecie in materia di mancato pagamento delle imposte ex artt. 10 bis, ter e quater d.lgs. n. 74/2000, si deve infatti osservare come la stessa struttura delle figure di incriminazione delimiti la fase di rilevanza penale del fatto ad un momento che, in quanto coincidente con il termine ultimo fissato dalla disciplina tributaria per l‘adempimento dell‘obbligazione fiscale, precede necessariamente l‘emanazione dell‘avviso di accertamento. Diverso è invece il discorso con riguardo al reato di cui all‘art. 11 d.lgs. n. 74/2000, in quanto le manovre fraudolente volte a ledere la garanzia patrimoniale del contribuente possono essere compiute anche successivamente all‘emanazione dell‘avviso di accertamento: pur tuttavia la 2 FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Padova 2010, p. 445 e ss. L‘A. ricorda come il sistema della riscossione assuma connotati differenti a seconda dei vari settori impositivi. In materia di imposte sul reddito la legge prevede tre modalità di riscossione spontanea (ritenuta diretta, iscrizione a ruolo e versamento diretto, mentre in tema di imposte dirette la riscossione spontanea avviene mediante il solo versamento diretto. Per entrambi i settori impositivi (prima della riforma del 2010) la riscossione coattiva si fondava invece, di regola sul ruolo. 350 LA TUTELA PENALE DELLA RISCOSSIONE TRIBUTARIA nuova funzione al medesimo attribuita dal d.l. n. 78/2010 non incide in alcun modo sulla sussistenza della fattispecie di cui al ricordato art. 11, così come ridisegnato dalla riforma dei reati tributari del 2000. In una prospettiva ―a ritroso‖ rispetto a quella che un ordine logico e cronologico imporrebbe di seguire, ma forse più rispettosa della pregnanza della risposta penale, si tenterà di delineare i confini della tutela apprestata in sede penale alla riscossione tributaria, dalla fase della riscossione coattiva (affidata all‘iniziativa dell‘Amministrazione finanziaria) alla fase della riscossione volontaria (il cui adempimento è invece rimesso alla discrezionalità del contribuente), per concludere con un cenno ai delitti di pubblica istigazione alla disobbedienza fiscale di cui al d. lgs del Capo provvisorio dello Stato 7 novembre 1947 n. 1559 i quali, rimasti nel dimenticatoio nel corso di tutti questi anni, sarebbe invece opportuno che tornassero, oggi, di attualità. 2 La tutela penale della riscossione coattiva: il nuovo volto dell‟avviso di accertamento nella prospettiva del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all‘art. 11 del d. lgs. n.74/20003, nel colpire le condotte distrattive del patrimonio del contribuente finalizzate a dissolvere la garanzia creditoria delle pretese erariali, tutela la regolare ed efficace percezione dei tributi da parte dello Stato, riconducibile nell‘alveo dell‘art. 53 Cost., attraverso l‘intangibilità della garanzia patrimoniale rappresentata dai beni dell‘obbligato 4. Ridisegnata nei suoi tratti essenziali con la riforma del sistema penaltributario del 2000 e recentemente modificata dall‘art. 29, comma 4, del d.l. n. 78 del 20105, la figura di incriminazione in esame rinviene il suo 3 Cfr. ALDOVRANDI, Commento all‘art. 11, in CARACCIOLI-GIARDA-LANZI, Diritto e procedura penale tributaria, cit., p. 361; DI AMATO-PISANO, Trattato di diritto penale dell‘impresa, I reati tributari, Vol. VII, Padova, 2002, p. 644; LO MONTE, Gli aspetti problematici del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, in Rassegna Tributaria 2000, n. 4, p. 1136; MUSCO, Diritto penale tributario, Milano, 2002, p.211; NANNUCCI, Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in La riforma del diritto penale tributario, Padova, 2000, p. 291; VAGNOLI, Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, in Rassegna Tributaria, 2004, n. 4, p. 1317; PAPPA, Il sistema sanzionatorio penale nella fase della riscossione delle imposte: il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, in Il fisco, 2004, n. 29, p. 4431; ZANNOTTI, Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, in Rassegna tributaria, 2001, n. 3, p. 771. 4 Zannotti, Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in Diritto penale tributario, (a cura di) Musco, Milano, 2002, p. 211 e ss. 5 Pubblicato nella Gazz. Uff. 31 maggio 2010, n. 125, S.O. e convertito in legge, con modificazioni, dall‘art. 1, comma 1, L. 30 luglio 2010, n. 122. Per un primo commento Cfr CORSO, Nuovo reato e nuova ―aggravante‖ contro l‘evasione fiscale, in Corr. trib., 33/2010, p. 2738-2740; MANFREDA, Decreto anti-crisi (D.L. 31 maggio 351 LA TUTELA PENALE DELLA RISCOSSIONE TRIBUTARIA dell‘art. 97 del d.P.R. n. 602/1973 il quale, nel punire la c.d. frode nell‘esecuzione esattoriale6, colpiva gli atti fraudolenti che avessero reso inefficace la procedura di riscossione coattiva promossa dall‘Erario, al fine specifico di sottrarsi al pagamento delle imposte. La fattispecie era costruita come reato di danno e veniva attribuita rilevanza penale a quei soli comportamenti illeciti successivi alla conoscenza da parte del contribuente della volontà dell‘Erario di recuperare il proprio credito di imposta. La necessità del verificarsi di un evento e il ristretto ambito di rilevanza penale della figura di incriminazione hanno portato ad una scarsa applicazione della norma di cui al ricordato art. 11, pur a fronte di un fenomeno di sicura rilevanza. Con la riforma dei reati tributari, attuata con il d.lgs. n. 74/2000, il legislatore ha ridisegnato la fisionomia della vecchia frode esattoriale, da un lato, costruendo il nuovo reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte come reato di pericolo, per la cui sussistenza é sufficiente ―la semplice idoneità della condotta a rendere inefficace la procedura di riscossione 200, n. 78) – Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in il fisco, 2010, n. 29, pag. 1-4644; IORIO, Evoluzione normativa e giurisprudenziale della sottrazione fraudolenta, in Corr. trib., 41/2010, pag. 3385. Innanzitutto è scomparsa la clausola di salvaguardia ―salvo che il fatto non costituisca più grave reato‖, che relegava la figura di incriminazione in posizione residuale, con la conseguenza che il reato di sottrazione fraudolenta può ora concorrere anche con fattispecie sanzionate in modo più grave, come il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui all‘art. 216, comma 1, n. 1) del r.d. n. 267 del 1942. E‘ stata poi ridotta la soglia di rilevanza penale da 51.645,69 a 50.000 euro ed è stata introdotta un‘aggravante per la quale ―se l‘ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni‖. Nuova è l‘introduzione del secondo comma, nel quale viene introdotta una fattispecie di reato che punisce con la reclusione da sei mesi a quattro anni le falsità ―nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale‖, la cui condotta è integrata dalla falsa indicazione nella documentazione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo ovvero di elementi passivi fittizi per un ammontare superiore a 50.000 euro, accompagnata dal dolo specifico di ―ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori‖. Anche in questo caso viene prevista un‘ipotesi aggravata (sanzione della reclusione da uno a sei anni) per il superamento della soglia di punibilità di duecentomila euro. 6 L‘art. 97 comma VI del dpr 29 settembre 1973 n.602 disponeva: ―Il contribuente che, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte, interessi, sopratasse e pene pecuniarie dovute, ha compiuto, dopo che sono iniziati accessi, ispezioni e verifiche o sono stati notificati gli inviti e le richieste previste dalle singole leggi di imposta ovvero sono stati notificati atti di accertamento o iscrizioni a ruolo, atti fraudolenti sui proprio o su altrui beni che hanno reso in tutto o in parte ineffiace la relativa procedura esattoriale, è punito con la reclusione fino a tre anni. La disposizione non si applica se l‘ammontare delle somme non corrisposte non è superiore a dieci milioni‖. 352 LA TUTELA PENALE DELLA RISCOSSIONE TRIBUTARIA coattiva e non anche l‘effettiva verificazione di tale evento‖7, dall‘altro, eliminando il presupposto rappresentato dal compimento da parte dell‘Erario di accessi, ispezioni e verifiche. In sostanza, a differenza della norma abrogata, per la quale la condotta penalmente rilevante doveva determinare l‘effettiva inefficacia (totale o parziale) dell‘attività di riscossione, il nuovo volto della figura di incriminazione anticipa la tutela penale, accontentandosi della idoneità delle alienazioni simulate8 o degli altri atti fraudolenti sui propri o sugli altrui beni9, a porre in pericolo la riscossione del credito da parte dell‘Erario 10. 7 In questo senso la Relazione governativa al d.lgs. n.74/2000 in Guida al diritto, 2000, n.14, p.39. 8 Per alienazione simulata deve intendersi qualsiasi alienazione di beni caratterizzata da una simulazione (assoluta o relativa): tipico è l‘esempio dell‘intestazione fittizia di un immobile ad una testa di legno. Se l‘interposizione fittizia rientra senza ombra di alcun dubbio nell‘ambito applicativo della fattispecie, si ritiene che l‘interposizione reale ne rimanga invece fuori pena la violazione del principio di legalità: così ragionando ―l‘effettivo trasferimento di un bene, anche se in concreto determina un affievolimento o, addirittura, il venire meno delle garanzie per l‘Erario, non può in ogni caso configurare la condotta di cui all‘art.11‖. Si ritorna tuttavia nell‘area di rilevanza penale del fatto nel caso in cui il trasferimento di un bene, pur effettivo, sia stato compiuto attraverso modalità tali da risultare fraudolento, quali ad esempio ―la cessione di un immobile ad una società e la contestuale cessione della corrispondente quota societaria a prezzo irrisorio a favore dell‘originario propietario del bene‖. Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in Diritto penale tributario, (a cura di) MUSCO, cit., p. 216. Nello stesso senso VAGNOLI, Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, cit., p. 16. Secondo l‘A. non vi è ragione di attribuire alla alienazione simulata un significato diverso da quello dalla medesima assunto in sede civilistica. Con essa si intende, pertanto fare riferimento al ―trasferimento della proprietà di un bene caratterizzato dalla divergenza tra la volontà dichiarata e quella effettiva delle parti‖. In questa prospettiva ciò che rileva ―nell‘ottica dell‘incriminazione dell‘art. 11 non è tanto la produzione reale di un effetto giuridico dannoso per la riscossione delle imposte, quanto la capacità di un atto di creare una situazione di apparente carenza di consistenza nel patrimonio del contribuente (come ad esempio nei casi dei cosiddetti prestanome o del trasferimento di beni da una società cosiddetta di comodo, con contemporaneo acquisto di parte delle quote di quest‘ultima). Con l‘espressione atti fraudolenti, invece, il legislatore ha voluto attribuire rilevanza penale non a tutte le diminuzioni della capacità contributiva del soggetto agente ma soltanto ―a quelle ingannatorie, simulate, creatrici di fittizie inconsistenze patrimoniali che non consentono al Fisco di agire su uno o più beni che, in concreto, sono ancora di proprietá del contribuente e che, quindi, potrebbero essere oggetto della procedura esecutiva‖. 9 La locuzione altri atti fraudolenti, ritenuta contrastante con il principio di determinatezza della fattispecie, ha invece natura residuale e comprende tutti quei negozi giuridici diversi dalle alienazioni simulate attraverso i quali viene diminuita o addirittura eliminata la garanzia patrimoniale per l‘Erario. In argomento Cfr.ZANNOTTI, Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, cit., p. 773; MUSCO, Profili costituzionali del nuovo diritto penale tributario, in studi ―La riforma dei reati fiscali: abuso di delega ed eccessi repressivi‖, in allegato a Il fisco , 2001, n. 12. 353 LA TUTELA PENALE DELLA RISCOSSIONE TRIBUTARIA Costruita come reato di pericolo, la nuova formulazione della norma, nel richiedere una connessione tra l‘idoneità degli atti fraudolenti e l‘inefficacia della procedura di riscossione, non chiarisce tuttavia se sussista anche un rapporto di consequenzialità cronologica, tale per cui la condotta illecita debba essere necessariamente realizzata in pendenza di una procedura esecutiva già avviata dall‘Amministrazione Finanziaria o se invece il compimento della medesima possa porsi in un momento a questa anteriore. L‘aderire ad una piuttosto che ad un‘altra lettura della figura di incriminazione rileva ai fini della delimitazione dell‘ambito di applicazione della fattispecie, più ristretto se si ritiene necessaria una procedura di riscossione coattiva in atto, più ampio ovviamente nel caso contrario. In questo contesto, se le prime pronunce della Corte di Cassazione hanno ritenuto la procedura di riscossione coattiva un elemento indefettibile della figura di incriminazione11, esse sono state tuttavia superate dal più recente 10 Il bene giuridico tutelato è stato individuato ora nella garanzia patrimoniale dei crediti del Fisco, rappresentata dai beni appartenenti al contribuente (Così Zannotti, Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in Rassegna tributaria, 2001, n. 3, p. 771; Napoleoni, I fondamenti del diritto penale tributario, cit., p. 195) ora nel corretto funzionamento della procedura di riscossione coattiva (così Aldrovandi, Art. 11 in Caraccioli, Giarda, Lanzi, Diritto e procedura penale, Commentario al Decreto Legislativo 10 marzo 2000 n. 74, cit., p. 361). 11 In questo senso si v. Cassazione, sez. IV, 9 marzo 2005 n. 9251, in Dir.pratc.trib., 2006, n.6, II, p. 1371 con nota di Mereu, Procedura di riscossione coattiva e reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte: il revirement della Corte di Cassazione.. Secondo la Suprema Corte il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte trova applicazione laddove ricorrano ―l'esistenza di specifiche procedure di riscossione di imposte dirette sui redditi o sul valore aggiunto, l'individuazione di attività fraudolente miranti a frustrare tali procedure esecutive, nonché l'identificazione dell'ammontare delle somme non corrisposte in misura superiore alla soglia fissata dal legislatore in euro 51.645,69. Ne consegue che non è punibile il soggetto che compia generiche manovre fraudolente finalizzate all'evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto in assenza di atti fraudolenti miranti a rendere inefficaci le procedure di riscossione coattiva di tali imposte‖. Sebbe la Corte di Cassazione non abbia esplicato le ragioni sottese al suo convincimento (per il quale sarebbe sempre necessaria la sussistenza di una procedura di riscossione in atto ai fini della configurabilità della figura di incriminazione di cui all‘art.11), si legge nella nota di commento come ―una lettura, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte in sintonia con la ratio sottesa alla riforma del sistema dei reati tributari, volta a limitare la repressione penale ai soli fatti direttamente correlati alla lesione degli interessi fiscali, potrebbe aver condotto la Suprema Corte ad accogliere una tale interpretazione. La conferma di ciò si può intravedere in quel passaggio del motivare nel quale la Cassazione addiviene a ritenere necessaria la sussistenza della procedura di riscossione coattiva subito dopo aver analizzato la vecchia fattispecie di frode nell‘esecuzione esattoriale. Il confronto tra l‘attuale art. 11 del d.lgs. 74/2000 e il suo antecedente conduce a ritenere oggi come allora la necessità di una procedura di riscossione coattiva, con la sola differenza che mentre nelle disciplina previgente era altresì necessario il verificarsi di un effettivo danno, nella disciplina attuale è sufficiente che la medesima venga posta 354 LA TUTELA PENALE DELLA RISCOSSIONE TRIBUTARIA orientamento giurisprudenziale il quale, in sintonia con il pensiero della dottrina maggioritaria12, sembra consolidarsi nel ritenere non necessaria ai fini della sussistenza del reato la pendenza di una procedura di esazione avviata da parte dell‘ente verificatore13. Le motivazioni sottese alla configurabilità del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte soltanto in presenza di specifiche procedure di riscossione di imposte dirette sui redditi o sul valore aggiunto, ravvisabili nella volontà di non estendere eccessivamente l‘ambito applicativo della norma fino ad incriminare ogni condotta che possa risultare anche solo lontanamente pregiudizievole per gli interessi dell‘Erario, sono state reputate non fondate alla luce del dettato normativo della disposizione di cui all‘art. 1114. in pericolo‖. Nello stesso senso si v. Cassazione, 03 marzo 2006 n. 7600 nella banca dati www.dejure.giuffre.it. Cassazione, sez. IV, 9 marzo 2005 n. 9251, cit. 12 Cfr. Infra multis Vagnoli, Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, cit., p. 16. 13 Così Cfr. Cass., 27 febbraio-18 aprile 2001 n. 15864, in Il fisco 2002, n. 9, p. 1337 con commento di IZZO. La Suprema Corte di Cassazione non affronta specificatamente il problema dei rapporti tra la procedura di riscossione coattiva e gli atti fraudolenti posti in essere dal contribuente, ma nell‘analizzare il tema della continuità normativa tra l‘art. 97 VI comma del dpr 603/1973 e l‘art. 11 del d.lgs. 74/2000 enuclea le differenze tre le disposizioni di cui si tratta. In tale analisi la Suprema Corte sottolinea come a differenza della vecchia norma in base al nuovo art. 11 ―il compimento degli atti incriminati può avvenire in qualsiasi momento‖ per essere stato eliminato il presupposto che la condotta criminosa venisse realizzata dopo l‘inizio di accessi, ispezioni o verifiche od anche dopo la notifica di provvedimenti accertativi o di iscrizioni a ruolo. Nello stesso senso si è pronunciata in diverse occasioni la Corte di Cassazione, qualificando il reato di cui si tratta quale reato di pericolo concreto, si è ritenuta non necessaria l‘attualità di una procedura di riscossione coattiva. Cfr. Cass., Cass., Sez. III, 17 giugno 2009, n. 25147. Cassazione, 04 giugno 2006 n. 17071in Riv.giur.trib., 2007 n. 2, p. 151 con nota di Soana, Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte e azione esecutiva tributaria; Cassazione, 18 dicembre 2007, n. 5824 con nota di Cardone, La procedura di riscossione coattiva e il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in Il Fisco, 2008, n. 38, 1, p. 6835; Cass., Sez. III, 3 agosto 2007 n. 32282;Cassazione, 06 marzo 2008 n. 14720; Cassazione, 10 giugno 2009 n. 38925; Cassazione 27 giugno 2009 n. 25147, tutte nella banca dati fisconline. 14 Si pensi, a titolo esemplificativo, a tutti quei comportamenti, quali vendite a prezzo inferiore al valore di mercato del bene, acquisto di beni all‘estero, intestazioni di beni a familiari, suscettibili di integrare l‘elemento oggettivo del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte in pieno contrasto con il fondamentale principio costituzionalmente garantito della libertà di iniziativa economica e della piena disponibilità dei propri beni. In questo senso NANNUCCI, Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, cit., p. 302, il quale sottolinea come qualunque negozio giuridico riduttivo della capacità patrimoniale del contribuente possa realizzare l‘estremo obiettivo del reato: ―identificato il fatto potenzialmente lesivo, gli uffici e gli organi accertatori investigheranno al fine di stabilire se l‘operazione fu commessa col dolo richiesto dal reato di sottrazione fraudolenta, 355 LA TUTELA PENALE DELLA RISCOSSIONE TRIBUTARIA I rischi di una soggettivizzazione del diritto penale tributario, in contrasto con la concezione del reato quale fatto offensivo tipico di un bene protetto 15, sono stati ritenuti scongiurati dalla stessa lettera della figura di incriminazione la quale, nel rinvenire il legame tra gli atti fraudolenti e la procedura di riscossione coattiva in quel giudizio di idoneità dei primi a rendere inefficace in tutto o in parte la seconda, ―affida a tale elemento della fattispecie un‘adeguata efficacia selettiva dei comportamenti penalmente rilevanti‖16. Così ragionando, è stato sottolineato come non ogni comportamento del contribuente potenzialmente lesivo degli interessi dell‘Erario sia suscettibile di essere qualificato quale sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, ma soltanto quei comportamenti che in concreto sulla base delle circostanze esistenti al momento del fatto si rivelano idonei a porre in pericolo l‘efficacia della procedura di riscossione coattiva 17. In questo ovvero per finalità diverse. Che il fatto sia poi avvenuto prima ancora che l‘ufficio finanziario o l‘organo di polizia tributaria abbia soffermato la propria attenzione ed iniziato a considerare la situazione fiscale del contribuente, è irrilevante. Il fatto obiettivo rilevato autorizza l‘indagine penale. E‘ appena il caso di segnalare quale ambito di incertezza e di aleatorietà di previsione la norma consente. Qualunque atto che sia ritenuto dall‘ufficio o dalle autorità di polizia economicamente dannoso, e tale da porre a rischio una ipotetica esecuzione, giustifica l‘inchiesta‖. Per queste ragioni l‘A., nel fornire un‘interpretazione correttiva della norma capace di recuperare quanto la tradizione legislativa precedente aveva costantemente affermato, propone di ritenere presupposto tacito della condotta quell‘inizio di accessi, accertamenti, verifiche che solo può autorizzare le autorità preposte al controllo a dubitare delle operazioni compiute successivamente. L‘A. propone tale soluzione correttiva, ―ardita e forse di dubbia legittimità visto il pensiero esternato nella relazione‖, perché diversamente opinando ―si aprirebbe la strada ad una indiscriminata possibilità di indagine penale in relazione a qualsiasi scelta imprenditoriale che, a discrezionale giudizio dell‘autorità, fosse ritenuta non conveniente per l‘interesse dell‘impresa‖. 15 LO MONTE, , Gli aspetti problematici del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, cit., p. 1140 secondo il quale un‘interpretazione che ancori la punibilità di tali comportamenti all‘inizio della procedura di riscossione coattiva sicuramente scongiura i rischi di una soggettivazione del diritto penale tributario la quale, incentrando il disvalore della fattispecie sul dolo specifico di evasione, si pone in contrasto con la concezione del reato quale fatto offensivo tipico di un bene protetto. 16 Così MEREU, Procedura di riscossione coattiva e reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte: il revirement della Corte di Cassazione, in Dir.pratc.trib., cit., p. 1371 la quale sottolinea come nella Relazione Governativa al d.lgs. 74/2000, si legga che l‘idoneità degli atti fraudolenti a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura esecutiva si presenta quale ―linea della tutela penale opportunamente avanzata‖ . 17 In questo senso Cfr. MUSCO, Diritto penale tributario, cit., p. 217. Secondo l‘A. ―il giudice deve verificare –caso per caso, cioè in concreto- se la condotta del soggetto agente, sulla base delle circostanze dallo stesso conoscibili al momento (attraverso un giudizio ex ante) abbia avuto o no efficacia potenzialmente depauperatoria‖; Izzo, 356 LA TUTELA PENALE DELLA RISCOSSIONE TRIBUTARIA contesto il criterio del pericolo concreto, nel quale si risolve il giudizio di idoneità degli atti, assurge a nesso che lega gli atti fraudolenti alla procedura di riscossione coattiva: tra un‘interpretazione che richiede il necessario compimento dei primi solo dopo la promozione della seconda e un‘altra che ne recide completamente il legame, la stessa lettera della legge impone una diversa lettura in base alla quale l‘alienazione simulata e gli atti fraudolenti possono considerarsi idonei a porre in pericolo la procedura esecutiva soltanto se compiuti in un momento in cui la stessa, anche se non ancora promossa, appaia probabile e prevedibile. Suffraga ulteriormente il convincimento dell‘applicabilità della fattispecie anche a quegli atti fraudolenti compiuti in un‘epoca anteriore all‘inizio della procedura di riscossione coattiva la mancata riproposizione, nella nuova formulazione della figura di incriminazione, del presupposto rappresentato dall‘avvenuta effettuazione di accessi, ispezioni o verifiche o dalla preventiva notificazione all‘autore di inviti, richieste, atti di accertamento o iscrizioni a ruolo che connotava, invece, la vecchia disciplina18. L‘aver eliminato ogni connotazione di carattere ―temporale‖, nella delimitazione della condotta penalmente rilevante, consente infatti alla fattispecie di esplicare la propria efficacia repressiva a prescindere dal compimento di qualunque atto da parte dell‘Amministrazione finanziaria. In questa prospettiva, risultando l‘ambito applicativo della figura di incriminazione sganciato dall‘esistenza di una procedura di riscossione in atto, risulta evidente come la riforma attuata con il d.l. n. 78/2010, nell‘attribuire all‘avviso di accertamento la funzione di ruolo esattoriale, così anticipando il momento d‘inizio della riscossione coattiva, non incida in La sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, cit., p. 7555; Vignoli, La sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, cit., p…. 18 Nella Relazione Governativa al D.lgs. 74/2000, cit., p.39 si legge, infatti, che ―presupposto rappresentato dall‘avvenuta effettuazione di accessi, ispezioni o verifiche…..aveva contribuito a limitare fortemente la capacità di presa dell‘incriminazione. La tutela penale è stata avanzata, richiedendo, ai fini della perfezione del delitto, la semplice idoneità della condotta a rendere inefficace la procedura di riscossione‖. Sull‘argomento v. Soana, Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Un nuovo intervento della Suprema Corte di Cassazione, cit., p. 523, secondo il quale il legislatore ―preso atto del concreto fallimento della pregressa disciplina- ha voluto sanzionare anche quelle condotte fraudolente che vengono compiute (congiuntamente o in modo alternativo) in una fase antecedente all‘attivazione da parte dell‘Erario sia di atti di verifica fiscale che di atti diretti alla riscossione delle imposte accertate, in assenza di un effettivo danneggiamento della procedura di riscossione coattiva. Ciò in relazione all‘esperienza comune, per la quale abitualmente, il contribuente che vuole sottrarsi alla riscossione coattiva delle imposte agisce per occultare i propri beni molto prima dell‘intervento dell‘amministrazione finanziaria, organizzan