AVERSA. RITRATTO
DELLA CITTÀ
Giosi Amirante
La città dei normanni
Aversa fu fondata nel 1030 da Rainulfo Drengot sull’antico casale denominato Sanctum Paulum ad Averze per rispondere all’esigenza di insediamento
stabile di un gruppo di guerrieri normanni, abili nel gestire le proprie capacità
belliche nel conflitto tra longobardi e bizantini, all’incrocio tra la via Campana
e la via Cumana, in una posizione geografica strategica per il controllo del territorio. La crescente importanza del nucleo normanno di Aversa si riflette nell’organizzazione della città, unica realtà urbana del Mezzogiorno nella quale si
riscontra la netta prevalenza numerica della popolazione normanna rispetto a
quella autoctona. Il modello urbano radiocentrico al quale si ispirarono i conquistatori venuti d’Oltralpe nell’organizzazione del nuovo insediamento, che
non ha coevi riscontri nel territorio italiano, fortemente condizionato dalla tradizione romana, deve essere dunque ricercato nella tradizione francese.
La forma urbis, ispirata alle città radiocentriche transalpine – i normanni
provenivano infatti non solo dalla Normandia ma anche dalle altre regioni della
Francia – è caratterizzata dalla subordinazione dei vari elementi al centro, individuato nella cattedrale, che assumeva nei confronti dell’ambiente fisico, la
stessa posizione dominante della teologia nei confronti dell’ambiente spirituale
e sociale; la cortina edilizia si sviluppava quasi a protezione del centro religioso «comme le couche du bois dans l’arbre»1.
Il primitivo impianto aversano – costituito dalla chiesa di S. Paolo, dal preesistente castello di origine bizantina, divenuto la residenza di Rainulfo e dalle
prime fabbriche civili proliferate intorno – fu cinto de fossez e de hautes siepes
che si svolgevano secondo un tracciato ancor oggi perfettamente leggibile nell’articolazione delle strade S. Marta, S. Nicola, S. Domenico e S. Gennaro realizzate sull’originario fossato. L’ingresso alla città avveniva attraverso le porte
S. Andrea, Castello, S. Maria e S. Nicola poste in corrispondenza dei collegamenti con le strade consolari2 (Fig. 1).
1
FIG. 1 Aversa normanna (1030-1156).
La città di Rainulfo e
l’ampliamento di
Ruggero: ipotesi di
articolazione del
tracciato rainulfiano
de fossez e de hautes
siepes e delle mura
realizzate da Ruggero
II.
FIG. 2 Aversa. La
copertura della cattedrale decorata con
archetti pensili di
tradizione medievale.
FIG. 3 Aversa. Le
cappelle del deambulatorio della cattedrale dal cosidetto giardino del vescovo.
2
La residenza di Rainulfo, nell’antico castello bizantino, adiacente la cinta
muraria, fu inglobata nel Seminario in occasione dei lavori settecenteschi: i resti
della struttura medievale sono tuttavia ancora evidenti per la presenza di murature di insolita sezione in alcune parti della fabbrica, di un ambiente coperto con
volte a crociera dalle consistenti strutture di fondazione, della torretta lungo la
cortina muraria prospiciente la via S. Gennaro. Il palazzo regio – così definito
ancora nei documenti settecenteschi3 – aveva una consistenza volumetrica
minore rispetto all’attuale Seminario e consentiva la completa visibilità del transetto e del coro deambulato della cattedrale; indicato nelle fonti palatium, presentava un modello non fortificato e ospitava l’apparato amministrativo e la
cappella palatina dedicata a S. Benedetto, tangibile segno dello stretto legame
del sovrano con il potere religioso4. La presenza della cappella costituisce una
significativa eccezione alla tradizione che attribuisce agli angioini l’aggiunta del
vano da adibire alle funzioni sacre nelle strutture fortificate.
Nella nuova realtà urbana normanna la chiesa assunse un ruolo e una posizione centrale, espressione visibile e non solo simbolica della religione, equivalente
alla posizione centrale che la teologia aveva nella società e, nel caso in esame, nelle
strategie politiche normanne; logico dunque l’impegno dei conquistatori franchi
nella costruzione della nuova chiesa madre a partire dal 1053, anno dello spostamento da Atella della cattedra episcopale. L’iniziativa intrapresa per la costruzione
della fabbrica religiosa, richiese notevoli risorse economiche e testimonia l’obiettivo di Riccardo Drengot di migliorare i rapporti con la chiesa (Figg. 2-3).
Il modello dell’abside con deambulatorio e cappelle radiali utilizzato ad
Aversa – e replicato dagli stessi normanni a Venosa e Acerenza – costituisce la
prima sperimentazione in Italia di una tipologia adottata in alcune cripte delle
cattedrali francesi (Fig. 4). L’impianto – che si deve con ogni probabilità all’iniziativa di maestranze venute d’Oltralpe – venne compromesso dai settecenteschi
restauri al Seminario diretti da Carlo Buratti che provvide a demolire una delle
cappelle del deambulatorio per realizzare lo scalone; di recente, è stata completamente occultata anche la cappella simmetrica che, sebbene chiusa in corrispondenza del coro deambulato, testimoniava con la configurazione muraria
della calotta – ancora in situ e visibile – l’originaria articolazione con cinque
cappelle radiali5. Carlo Buratti, esponente della scuola romana, incaricato agli
inizi del Settecento del restauro della cattedrale progettò la nuova facciata che,
per la scelta di severi partiti decorativi ispirati a temi di matrice cinquecentesca,
testimonia l’adesione al gusto dell’Arcadia (Fig. 5). La presenza del Buratti ad
Aversa chiamato da Innico Caracciolo a sostiuire Giuseppe Lucchese, esponente
della scuola napoletana, per i lavori della cattedrale ebbe significativi esiti nella
cultura architettonica locale fino ad allora condizionata dai numerosi artefici
napoletani attivi nei cantieri dell’Annunziata, di S. Francesco e di S. Domenico.
In prossimità degli ingressi alla città erano i sedili, poli importanti nell’insediamento normanno, già esistenti nel 1195 quando, con decreto dell’imperatore
Enrico VI, beneficiarono di esenzioni fiscali. I seggi ad Aversa erano, come le
analoghe strutture napoletane «quasi tutti ... fabbricati vicino le porte, et avea-
3
FIG. 4 Aversa. Il
deambulatorio della
cattedrale e le superstiti cappelle radiali.
4
FIG. 5 Aversa. La facciata della cattedrale
realizzata su progetto
di Carlo Buratti agli
inizi del XVIII secolo
e il campanile della
fine del XV secolo.
no anco cura di custodirle...»6. Il Seggitiello di piazza, in origine appartenente ai
nobili ai quali era affidata la custodia della porta Castello, venne successivamente concesso ad una Confraternita cui si deve la trasformazione dell’originaria fabbrica, divenuta chiesa di S. Maria del Popolo, pregevole esempio di architettura tardobarocca napoletana che i disegni di progetto (Figg. 6) da chi scrive
esaminati anni or sono, consentono di riferire a Domenico Vaccaro7; in prossimità della porta settentrionale della cerchia muraria rainulfiana era il seggio di
S. Luigi. La struttura trasferita dai nobili aversani nel 1569 nel suolo adiacente
il palazzo Masola era in origine, con ogni probabilità, localizzata altrove8: i
recenti lavori di restauro nel palazzo che dal 1712 all’Unità ospitò il Reggimento
della città, oggi sede della Pretura, hanno portato alla luce il vano terraneo ad
angolo definito da due arcate a sesto ribassato e coperto da una volta a crocie-
5
FIG. 6 Aversa. S.
Maria del Popolo. La
facciata e la sezione
del progetto di trasformazione in chiesa
dell’originario
Seggitiello di piazza
attribuibile a D. A.
Vaccaro.
6
ra ad otto spicchi di origine medievale nel quale deve, a mio avviso, riconoscersi
il seggio di S. Luigi sito a ridosso dell’originaria porta e trasferito poi nella stessa piazza accanto al palazzo dei Masola9.
Il seggio di S. Antonio ubicato lungo la via Seggio, ancora visibile agli inizi
del Novecento «in un casa che fa angolo con la via Cimarosa era costruito a tre
sottili archi, sopra sottilissime colonne di marmo bianco, ed ogni arco chiuso ai
piedi da graziosa balaustrata, similmente di marmo bianco»10. Sembra non esser
rimasta purtroppo alcuna traccia della loggia ricordata dal Vitale nel 1946, tuttavia nel fabbricato sito in via Seggio n. 60 va segnalata, negli ambienti terranei vicini al cantonale, la presenza di due volte a crociera a otto settori, con
ogni probabilità, i resti dell’antico seggio: l’ipotesi è avallata dalla circostanza
che la fabbrica è adiacente alla seconda cerchia muraria voluta da Ruggero, da
FIG. 7 Aversa. La facciata della
Parrocchiella realizzata negli anni
Trenta del XVIII
secolo.
individuare nel tracciato che si snoda sul versante orientale della città lungo le
strade S. Maria della Neve, S. Francesco di Paola, vicoletto S. Francesco d’Assisi,
via Orto dei Bagni e lo scomparso vico Pennino, i cui resti sono ancora riconoscibili in prossimità della chiesa della Trinità.
Ai tre seggi innanzi citati va aggiunto quello di S. Andrea, ritenuto scomparso dalla storiografia locale, ma ancora esistente anche se trasformato nel
Settecento: il seggio, posto in prossimità dell’incrocio della Strada Nuova con
l’omonimo asse viario di collegamento con la cattedrale, rappresentava un nodo
strategico al quale venne riservata particolare cura e attenzione in occasione
degli allestimenti effimeri realizzati nel 1549 in occasione del passaggio di Carlo
V e nuovamente nel 1738 all’arrivo di Carlo di Borbone11. L’antico sedile era sito,
a mio avviso, sulla sinistra della chiesa, negli ambienti che ancora mostrano
7
FIG. 8 Aversa. La facciata di S. Pietro a
Majella realizzata su
disegno di Francesco
Maggi.
8
nelle coperture la loro origine medievale e che, una volta dismessi, furono in
parte occupati dalla Confraternita delle Anime del Purgatorio che provvide nel
1760, all’ampliamento dello spazio e alla parziale demolizione anche del piccolo ambiente ove era localizzato il battistero. Negli anni Trenta fu trasformata la
Parrocchiella, ampliata e dotata di un nuovo frontespizio – concluso da un timpano mistilineo che ricorda la fontana di S. Sebastianello a campo Marzio – che
conferì all’episodio grande visibilità anche per la sua singolare articolazione
convessa e il notevole sviluppo verticale ispirato alla facciata di S. Maria della
quercia di Raguzzini ma esaltato, nel caso in esame, dalla minor quota delle
parti laterali12 (Fig. 7). L’ignoto artefice tenne conto anche del timpano mistilineo della vicina chiesa di S. Eligio – analogo a quello di S. Maria degli Angeli
– ove, con l’uso di un profilo concavo per la facciata, si tentò di occultare l’irregolarità planimetrica della chiesa. La Parrocchiella, S. Eligio e S. Pietro a
Majella configurarono un contesto urbano di notevole qualità nel quale maestranze educate nella capitale pontificia e artefici napoletani seppero conferire
singolare qualità alle fabbriche religiose (Fig. 8).
I poli determinanti l’incremento urbano furono, all’interno del primitiva cinta,
le due parrocchie normanne di S. Croce e S. Antonino: la prima inglobata nella
chiesa di S. Girolamo, largamente rimaneggiata nel Cinquecento, non conserva
alcuna traccia dell’originaria configurazione, mentre la seconda, citata nei codici sin dal 1126, fu concessa ai Domenicani nel 1298. L’antica chiesa normanna,
definita dalla successione di tre volte a crociera, dell’adiacente chiostrino e dei
resti del piccolo campanile, sul lato occidentale del convento dei Predicatori è
stata di recente parzialmente liberata dalle superfetazioni ottocentesche13: la fabbrica medievale, preceduta con ogni probabilità da un portico – non recuperato
nei recenti restauri e occultato in occasione di lavori per l’adeguamento dell’edificio alla nuova funzione di Palazzo comunale dopo l’unità – costituisce un significativo esempio di architettura normanna in Campania14 (Fig. 9).
Di recente è stata avanzata l’ipotesi che negli archi a tutto sesto su piedritti
poligonali, databili al XII secolo e visibili nell’ala meridionale del convento dei
Domenicani, accanto alla parrocchia di S. Antonino, possano riconoscersi i resti
del palazzo di Fenicia Mosca, la fabbrica appartenuta a Roberto principe di
Capua che, «in domo Richardi Musce», concesse nel 1116 un privilegio al monastero di S. Biagio15. Il palazzo, che secondo la testimonianza del Pagliuca, fu
inglobato nella fabbrica di S. Domenico, sito nell’insula della parrocchia di S.
Antonino e poco distante dalla residenza rainulfiana, è un importante tassello
per la ricostruzione dell’originario insediamento normanno16.
Al di fuori del primitivo impianto rainulfiano erano i monasteri Benedettini di S.
Lorenzo fondato tra il 1000 e il 1030 e di S. Biagio (eretto solo qualche anno dopo),
che divennero i poli attorno ai quali si formarono i primi borghi extra moenia.
Il successivo sviluppo di Aversa, nel rispetto dell’originario sistema radiocentrico, fu subordinato alla presenza delle quattro parrocchie normanne fuori
le mura rainulfiane attorno alle quali si era coagulata la crescita della popolazione: S. Maria a Piazza, S. Nicola, S. Giovanni Evangelista e S. Andrea costi-
9
FIG. 9 Aversa. Il
rilievo del complesso
conventuale di S.
Domenico dei Padri
Predicatori nel quale
si rileva l’articolazione dell’antica parrocchia normanna di S.
Antonino.
10
tuirono i poli di riferimento di autonomi impianti urbani destinati a definire i
quartieri che vennero inglobati nella nuova cinta muraria realizzata dopo l’assedio subito nel 1135 ad opera delle truppe di Ruggero.
Le parrocchie normanne, oggetto di restauri e di ‘ammodernamenti’ nel
Settecento, appaiono tutte caratterizzate da una pianta a tre navate dal contenuto sviluppo longitudinale che ben si inseriva nel frammentario tessuto edilizio aversano: la navata centrale dal notevole slancio verticale, assai più ampia
delle due laterali, venne in alcuni casi coperta a tetto mentre una successione di
volte a crociera scandiva le due navi laterali che si aprivano con ampie arcate
sullo spazio centrale. S. Nicola esistente sin dal 1132, trasformata ad opera degli
angioini nel 1266, venne ridefinita nella zona absidale tra Seicento e Settecento
con l’inserimento del vano cupolato; conserva dell’originaria configurazione le
ampie arcate della navata centrale e, della successiva fase angioina, le monofore ad arco acuto nella zona absidale. S. Giovanni Evangelista il polo di riferimento del borgo dei pescatori, largamente rimaneggiata in occasione di lavori
di rifazione più che di ripristino realizzati nel secolo scorso, conserva tuttavia
l’impianto della fabbrica normanna. S. Maria a piazza, a tre navate da datare al
XII secolo, suggestiva fabbrica di grande interesse, è caratterizzata dalla pre-
FIG. 10 Aversa.
Androne del palazzo
in via S. Giovanni
18, coperto con volta
cassettonata a lacunari databile alla
prima metà del XIII
secolo.
11
senza lungo la navata centrale di due ampi archi ogivali che inquadrano il tiburio sormontato da una cupola ottagonale e concluso da una abside poligonale.
L’autonomia di questi borghi rispetto al primitivo impianto rainulfiano è resa
ancor più evidente dalla presenza attorno ai larghi prospicienti le strutture religiose, consueti luoghi di riunione della collettività, di antiche fabbriche civili;
in via S. Giovanni, antistante l’omonimo largo, il palazzo tardo medievale al n.
14 con il portale durazzesco ad arco depresso, ma soprattutto i due edifici in
vico S. Giovanni 8 e 18. Il primo è costituito dall’aggregazione di due corpi di
fabbrica medioevali, mentre il secondo, con l’atrio caratterizzato da una volta a
botte ogivale a lacunare – analoga a quelle utilizzate nei campanili a Caserta
Vecchia e nella cattedrale napoletana – rappresenta un singolare episodio di
architettura medioevale (Fig. 10). Dirimpetto la scomparsa chiesa di S. Andrea,
il palazzo Monticelli della Valle duchi di Ventignano nel quale più nulla resta
dell’originaria configurazione medievale, lungo la via S. Andrea il palazzo
Lionetti (ora Biancolella e Grottola) nel quale, in occasione dei restauri condotti dopo il terremoto del 1930, vennero alla luce archi e volte trecentesche.
Nella piazza S. Nicola palazzo Merenda costituito da un corpo di fabbrica ad U
con la scala ricavata in un’ala dell’edificio; delle antiche fabbriche che si affacciavano sul largo antistante la parrocchia di S. Maria a Piazza resta il ricordo nella volta
a crociera che costituisce oggi un sottopasso, prospiciente la facciata della chiesa.
A Ruggero II si deve anche la costruzione di una nuova struttura difensiva
per la quale si scelse un sito al di fuori del nucleo più antico, nel borgo del
Mercato vecchio, fuori la porta S. Andrea in posizione strategica per il controllo della via Atellana: il castello normanno, visibile con le sue quattro torri nella
celebre veduta della città di Angiolillo Arcuccio, fu residenza degli angioini e
deve identificarsi con il complesso adiacente la chiesa di S. Pietro a Majella
(denominata anche Madonna di Casaluce).
L’impianto medioevale è ancora riconoscibile nella successione delle volte
che un tempo scandivano i quattro lati del cortile e nel tessuto murario di una
delle quattro torri angolari dell’edificio normanno, quella sud orientale con
andamento a scarpata nella zona basamentale e le caratteristiche finestre a feritoia ancora presenti, pur se il restauro ha cancellato quasi ogni traccia dell’originaria fabbrica. La restituzione prospettica della tavola di Angiolillo Arcuccio,
evidenziando la puntuale corrispondenza tra planimetria e veduta, conferma l’ipotesi che nel castello con le quattro torri, tipologia utilizzata dagli stessi normanni nel vicino castello di Casaluce, ma anche in numerosi altri esempi italiani e inglesi, deve riconoscersi la fabbrica normanna17 (Fig. 11).
Federico Il utilizzò il castello di Ruggero e il castello di Casaluce nell’ambito
della generale riorganizzazione militare del regno, per la difesa di Terra di lavoro;
il “castrum Averse”, annoverato tra i Castra exempta nell’elenco del primo periodo angioino (1269-1283) e nelle Costitutiones serventium in castris Regni del
1299, rivestì anche in quegli anni tanta importanza per la difesa da essere amministrato direttamente dalla corona18. Numerosi documenti trascritti nei Registri
della Cancelleria Angioina, testimoniano la cura prestata alla manutenzione del
FIG. 11 Restituzione
prospettica della
tavola di Angiolillo
Arcuccio, Martirio di
S. Sebastiano, con
l’indicazione delle
principali fabbriche
della città.
12
FIG. 12 Aversa. Il
cortile di palazzo
Azzolini.
castello aversano dai re angioini19; sono documentati numerosi interventi di
manutenzione nella residenza fortificata – denominata anche hospitium regium –
nella quale, sin dalle origini, era stata costruita una cappella20. Carlo I ordinò la
rifazione del castello, a carico della città e dei luoghi circostanti, facendo riprendere loro il giusto obbligo che avevano avuto già nei tempi passati21.
In entrambi i castelli normanni a Casaluce e ad Aversa una parte della fabbrica fu
ceduta ai Celestini, con i quali i re francesi avevano un rapporto privilegiato.
La seconda cinta muraria normanna si svolgeva secondo un tracciato – sinteticamente indicato nello schema proposto – che corrisponde alle strade di S. Maria
della Neve, S. Francesco di Paola, vicoletto S. Francesco di Paola, vicoletto S.
Francesco di Assisi, via Orto dei Bagni, lo scomparso vico Pennino per ricongiungersi in corrispondenza del vico S. Anna alla via S. Agostino. L’ipotesi circa il suo
svolgimento è confortata da indagini effettuate sulle quote in corrispondenza di
tratti che apparivano in passato controversi: è il caso del vicolo Pennino, in parte
inglobato nella parrocchia della Trinità, ancora visibile alle spalle del fabbricato
13
in via C. Golia 4, un tempo sede della Trinità dei Pellegrini. Resti di mura normanne a doppio circuito e con fossato all’interno, ancora visibili sul versante occidentale, mostrano ancora nel tratto che va da Porta S. Giovanni a Porta S. Nicola,
le torrette medievali nei palazzi Pirozzi e Fuori Sant’Anna.
La costruzione della nuova cinta muraria e la conseguente demolizione del
primo anello di mura favorì l’edificazione di palazzi e chiese sugli antichi fossati:
in corrispondenza dello slargo antistante la parrocchia di S. Croce vennero costruiti i palazzi Pignatelli e Azzolini, lungo la via S. Marta i palazzi d’Ausilio (ora Pozzi),
Fumagalli e la chiesa di S. Marta mentre lungo la via S. Nicola va segnalato il
palazzo in via S. Nicola 15. Nelle fabbriche suddette le aree destinate a verde – ubicate al di là del cortile – testimoniano ancora, per il salto di quota rispetto al piano
di imposta dell’edificio, l’originario tracciato delle mura e del fossato. Tale peculiarità è emersa da ricerche recentemente condotte nelle fabbriche lungo la via S.
Marta e in particolare nel giardino retrostante il palazzo Azzolini (Fig. 12).
Il palazzo aversano ha conservato nel XV e XVI secolo le caratteristiche assunte in epoca angioina per la scelta delle famiglie nobili che vi si trasferirono di condurre, dal palazzo di città, l’azienda agricola. La ricca borghesia terriera in Terra di
lavoro, a differenza di quanto avveniva altrove nella seconda metà del Cinquecento
– e che in Veneto favorì il fenomeno delle ville palladiane – non si impegnò mai
direttamente nella gestione dell’attività agricola, con la costante presenza sui luoghi
della produzione. Di qui l’organizzazione del palazzo e l’imponenza dimensionale
dell’ultimo piano generalmente destinato a granile, cioè a deposito di grano e granaglie, preventivamente battute e lavorate nel cortile, camera d’aria ventilata utile
a rendere più confortevole l’abitabilità del palazzo. Questi elementi, questi spazi
architettonici hanno dunque radici nell’organizzazione dell’attività economica aversana che fa del palazzo di città un palazzo azienda. Il fornice, sproporzionato al
complesso edilizio retrostante, consentiva il transito ai carri colmi di derrate: attraverso l’androne si raggiungeva la corte, ampio piazzale che costituisce il tema
costruttivo centrale, il punto di arrivo e di partenza di ogni lavoro.
Nel nuovo perimetro fortificato vennero dunque inglobati i borghi sviluppatisi
intorno alle quattro parrocchie normanne mentre il castello di Ruggero, che rispondeva alla fondamentale esigenza di controllo della popolazione, rimase al di fuori
della cinta fortificata. All’interno della città altro polo religioso di fondazione normanna è la chiesa di S. Audeno – documentata sin dal 1142, oggi testimoniata dalla
presenza di frammentari elementi – con antistante largo sul quale prospettano fabbriche di origine medioevale. La viella a settentrione, chiusa a seguito delle trasformazioni operate nel contesto urbano, costituisce un importante frammento dell’originario sistema stradale; la conservazione di questa, e di altre piccole, ma significative arterie dell’impianto medioevale, è uno degli obbiettivi da perseguire al fine di
non cancellare definitivamente le tracce della città normanna.
Il borgo di Savignano, sviluppatosi intorno alla fabbrica medioevale dedicata
a S. Giovanni Battista, restava al di fuori della città e lontano dalla consolare.
14
La città degli angioini
I sovrani angioini conferirono un nuovo assetto alla città con la costruzione della
Strada nuova (l’attuale via Roma) che con il suo tracciato lineare, esterno e tangente al primitivo impianto normanno, migliorava i collegamenti con Napoli e Capua,
offriva nuove possibilità di incremento delle attività commerciali, aprendo a un più
ampio mercato la produzione dei fertili terreni circostanti, collegava infine il castello normanno con la struttura fortificata a Casaluce (Fig. 13).
Il nuovo asse viario, determinando l’abbandono dell’antica strada consolare
e la conseguente emarginazione del borgo S. Lorenzo, sconvolgeva il precedente assetto della città, e destinava l’area orientale, da sempre adibita alle attività
commerciali, al successivo sviluppo urbano. Il castello di Ruggero, sito ai margini della città originaria, nel borgo del Mercato vecchio, divenne con la costruzione della nuova strada, un polo significativo per lo sviluppo della città e fu
collegato alla cattedrale dalla via Seggio – vero e proprio sventramento del primitivo nucleo normanno – unica arteria radiale che attraversava con andamento rettilineo il radiocentrico impianto normanno, lungo la quale si concentrarono i palazzi delle famiglie più importanti. Tra gli altri va ricordato il palazzo di
Riccardo – posto fuori le mura rainulfiane, in posizione strategica per il controllo di uno degli assi di ingresso alla città – donato nel 1375 dai sovrani
angioini ai certosini di S. Martino che, pur avendo subito numerosi rimaneggiamenti, conserva alcuni elementi di notevole interesse: il cortile con ampie
arcate dal notevole sviluppo verticale sostenute da massicci pilastri che scandiscono, con volte a crociera di tradizione medioevale, i corridoi laterali.
Lungo la via Seggio costruirono il proprio palazzo le più importanti famiglie
aversane, attirate dalla presenza di Giovanna I che risiedette a lungo ad Aversa nel
castello di Ruggero; lo spostamento della corte francese, dovette suscitare l’interesse di nobili e dignitari che si trasferirono ad Aversa costruendo nuove residenze delle quali rimangono pregevoli, seppur sporadiche, testimonianze. La perdita di
gran parte del patrimonio di fabbriche civili dovuta ai frequenti interventi di adeguamento alle rinnovate esigenze abitative, ma anche ai danni dei numerosi terremoti succedutisi nel tempo, non consente che l’analisi di frammentarie testimonianze. Tra le fabbriche di maggiore rilievo il palazzo de Fulgore completato nel
MDLXII, nel quale va sottolineato il contributo fornito dal Mormando, chiamato ad
Aversa dai governatori dell’Annunziata e dai Francescani della Maddalena, cui si
deve con ogni probabilità il pregevole portale di piperno: la loggia ad archi tra la
corte e il giardino si ispira a coevi esempi napoletani.
Gli ampliamenti della murazione, realizzati durante la dominazione angioina per inglobare nel perimetro urbano il borgo settentrionale di S. Biagio e l’espansione sud orientale del borgo del Mercato vecchio, configurarono un nuovo
modello di città a sviluppo lineare. Consistenti sono i resti delle mura angioine
lungo il versante nord-occidentale; si rileva ancora la presenza delle antiche
torri di guardia lungo le cortine murarie prospicienti le strade realizzate sul tracciato di antichi fossati.
15
FIG. 13 Aversa
angioina e aragonese
(1266-1442). La
Strada nuova collegata al centro normanno dalla via Seggio,
l’arteria radiale e rettilinea che taglia l’originaria città radiocentrica.
16
Nella ben nota incisione pubblicata nel 1703 nel Regno di Napoli in prospettiva
del Pacichelli, ma da datare come ho avuto modo di dimostrare, alla fine del
Cinquecento, viene sinteticamente indicata l’ormai sdoppiata imago urbis con il centro antico che conserva il carattere di città radiocentrica chiusa, connaturata alla sua
forma avvolgente, e l’ampliamento costituito in quegli anni dal Mercato vecchio, con
le caratteristiche di regolarità e di apertura più aderenti al ruolo su scala territoriale
che la città era chiamata a svolgere. Tra i due nuclei la Strada nuova, enfatizzata nella
rappresentazione dall’ignoto autore, con l’ingenuo espediente di inserire una carrozza e dei viandanti decisamente fuori scala rispetto all’insieme.
Il nuovo perimetro murario angioino, la cui costruzione ebbe inizio nel 1382,
inglobava dunque a nord il borgo delle Benedettine di S. Biagio, a sud gli insediamenti coagulatisi intorno ai monasteri delle Francescane e dei Benedettini di
Montevergine.
I sovrani angioini incoraggiarono nuove fondazioni da parte di quegli ordini mendicanti che Federico II, considerandoli spie del papa, aveva tenuto lontani dal Regno: ad Aversa erano riusciti a stabilirsi i soli Francescani che avevano fondato sin dal 1230 il convento di S. Antonio, occupando un’area all’interno della seconda cinta normanna. Tra le nuove fondazioni di epoca angioina
vanno ricordati i complessi degli Agostiniani calzati (fine XIII sec.) che scelsero il quartiere sud occidentale nel borgo S. Nicola, dei Domenicani (1278) che si
insediarono nell’area settentrionale ai limiti della cinta rainulfiana accanto alla
parrocchia di S. Antonino, delle Francescane e dei Celestini – ai quali i sovrani
francesi donarono una parte del castello – e dei Benedettini di Montevergine che
occuparono il popoloso quartiere del Mercato vecchio (Fig. 14).
FIG. 14 Aversa. Porta
S. Nicola tra due
torri della cinta
muraria di Ruggero.
17
I nuovi Ordini, che svolsero un ruolo fondamentale per lo sviluppo urbano
di Aversa, si differenziano dai precedenti in quanto sono Ordini urbani; anziché
l’isolamento come i Benedettini cercano il rapporto all’interno della città con le
comunità alle quali più si addiceva la loro interpretazione della fede.
L’ubicazione delle nuove comunità religiose – per lo più al di fuori della cinta
normanna e in prossimità delle porte si accesso – era determinata dalla possibilità di reperimento di idonee aree all’interno del contesto urbano, ma condizionata anche dalla necessità di porsi ad adeguata distanza tra di loro. Le cappelle inizialmente utilizzate dai mendicanti, spesso preesistenti e al di fuori del precedente circuito murario, conobbero un rapido sviluppo, commisurato all’importanza crescente che essi acquisirono nell’ambito della società, tale da condizionare lo sviluppo urbanistico ma anche la crescita culturale della popolazione. Intorno alla chiesa di S. Domenico si registra la presenza dei palazzi della
nobiltà e della ricca borghesia aversana che meglio recepiva l’ortodossia religiosa dei Predicatori e la convinta affermazione dell’infallibilità del sistema teologico; diversamente i Francescani perseguivano il consenso dei fedeli disponibili ad accogliere il messaggio di fede con la partecipazione dei soli sensi.
Le mura angioine partivano dall’antica porta S. Giovanni – localizzata con
ogni probabilità all’incrocio tra il vico S. Giovanni e la chiesa di S. Maria delle
Grazie – demolita e spostata più a nord dove la nuova cortina muraria, realizzata a partire dal 1382, si riallacciava senza soluzione di continuità alla cinta di
Ruggero. La discontinuità tra i due circuiti si registra dunque in corrispondenza di S. Maria delle Grazie, sorta alla fine del ’500 sulle mura normanne ove in
origine, in prossimità della primitiva porta urbica, vi era un’edicola con l’immagine della Madonna22. La fabbrica è caratterizzata da una frammentaria spazialità determinata dall’aggiunta della navata e della zona absidale all’originaria cappella, posta perpendicolarmente rispetto alle mura e formata dal vano sul
quale fu poi impostata la cupola: i lavori condotti nel 1742 da Francesco Maggi,
protagonista in quegli anni dell’architettura tardo barocca aversana, furono
completati nel 1757 con la posa in opera dell’altare commissionato ad artefici
napoletani23. L’attribuzione al Maggi dell’‘ammodernamento’ di S. Maria delle
Grazie consente di riferire al professionista romano anche i lavori del 1760 per
la trasformazione della Congregazione delle Anime del Purgatorio per le evidenti analogie del finestrone in facciata che, nell’episodio in esame, è inserito
in un prospetto di gusto classico definito da un doppio ordine di lesene giganti
appoggiate su un alto basamento e concluso da un doppio frontone24. Le aperture definite da due semicirconferenze di diverso raggio, variazione sul tema
delle finestre termali di origine palladiana, introdotte da Buratti nel restauro
della cattedrale, conobbero notevole diffusione ad Aversa soprattuto negli interventi di ristrutturazione diretti da Francesco Maggi.
Nuove strutture religiose continuarono a profilerare anche al di fuori della
cinta muraria angioina: fuori porta S. Nicola, sul versante sud orientale, venne
fondata la Maddalena, fabbrica esistente ancor prima del 1279 da sempre destinata alla cura degli infermi. Il complesso acquistò particolare importanza a
18
seguito dei lavori realizzati nella prima metà del XVI dai Minori osservanti ai
quali Alfonso d’Aragona affidò la struttura nel 1440 delegando loro l’importante funzione sociale dell’assistenza agli infermi.
La chiesa che costituisce l’unico, ma significativo esempio di architettura rinascimentale ad Aversa, conserva del primitivo impianto angioino il solo sviluppo planimetrico, comune alle altre coeve fabbriche aversane, tutte caratterizzate dalla scelta
di aule ad una sola navata coperta a tetto e con altari laterali contenuti nel rettangolo di inviluppo della pianta. Nei primi decenni del Cinquecento vennero aggiunti
il vano presbiteriale di chiaro gusto brunelleschiano, con ogni probabilità su progetto del Mormando, e il capoaltare di pregevole fattura, opera di Giovanni da Nola, uno
dei protagonisti nella capitale napoletana della felice stagione rinascimentale. Nel
bassorilievo al centro del capoaltare, ai piedi della Madonna con il bambino, il
modello della chiesa conferma l’ipotesi che nel Cinquecento ci si era limitati ad allungare l’aula con l’aggiunta di un corpo, visibilmente autonomo, una sorta di transetto concluso da tre cappelle di uguale profondità; la navata era scandita all’esterno da
slanciate lesene nelle quali le antiche monofore vennero sostituite dalle aperture circolari di tradizione fiorentina, una delle quali era sistemata sul portale di ingresso.
Negli stessi anni i Minori osservanti commissionarono ad Angiolillo Arcuccio il trittico con la Madonna tra S. Francesco e S. Sebastiano, ulteriore dimostrazione dei rapporti che intrattenevano con gli ambienti culturali e la tradizione fiorentina alla quale
in larga misura attingevano. Alla fase cinquecentesca va riferito l’adeguamento alle
norme dettate dal Concilio di Trento dell’adiacente chiostro rettangolare, costruito nel
1430 e caratterizzato dalla successione di volte a crociera decorate con affreschi che
rappresentano episodi della vita di S. Francesco, dove le originarie colonne vennero
sostituite da pilastri ed archi di piperno.
Al di fuori delle mura angioine rimase il monastero del Carmine fondato nel
1315; all’originaria chiesa angioina ad aula unica venne aggiunta la cupola di tradizione grimaldiana ispirata a quelle del Tesoro di S. Gennaro, di S. Maria degli
Angeli e dell’Annunziata di Capua: la chiesa fu completamente ristrutturata a partire dal 1746 da Francesco Maggi, tra i professionisti più attivi ad Aversa, sostituito nel 1753 nella direzione dei lavori dal napoletano Antonio Sciarretta25. In occasione di quei lavori furono aggiunte le cappelle lungo la navata, i cappelloni ai lati
del vano cupolato e gli apparati ornamentali che adeguarono l’invaso al nuovo
gusto tardo barocco. In questi anni fu anche introdotto un atrio all’ingresso per
ridurre l’accentuato sviluppo longitudinale della fabbrica, nel tentativo di mascherare l’ampliamento dell’aula originaria per l’aggiunta delle cappelle.
L’Annunziata, fondata agli inizi del Trecento, venne dotata di rendite e privilegi
dai sovrani angioini perché ad essa fu affidata la cura degli infermi e l’assistenza ai
fanciulli abbandonati. Alla nuova istituzione nel 1422 Giovanna II donò l’ospedale
di S. Eligio – sito dirimpetto al castello – promuovendo l’accorpamento delle strutture assistenziali nell’A.G.P., la cui gestione era affidata ad amministratori laici.
Abbiamo in precedenza segnalato la grancia dei certosini di S. Martino: ad Aversa
va sottolineata la presenza di numerose grance, realizzate dai maggiori ordini religiosi, importanti strutture delegate all’amministrazione e alla conduzione delle loro
19
proprietà agricole diffuse nei fertili territori limitrofi. Il Parente ricorda quelle della
Commenda Gerosolimitana (ora palazzo Pirozzi), della Congregazione Olivetana (ora
palazzo Scoppa); della Compagnia di Gesù (poi palazzo Jacova demolito nel
Novecento). Tutte privilegiarono l’insediamento sul versante meridionale in prossimità del Mercato vecchio e del Mercato dei porci dove avrebbero meglio svolto la
funzione di struttura di raccordo tra l’economia agricola e l’economia cittadina.
Alle prime grance di S. Martino e dei Gerosolimitani si aggiunse, sin dal XIV
secolo, quella della Congregazione dei Verginiani trasformata in monastero nel
1592. Nella seconda metà del XVI secolo stabilirono un presidio ad Aversa i
Gesuiti la cui sede, prospiciente il largo Portanova, divenne nel 1767 dopo l’espulsione della Compagnia dal regno, proprietà Jacova; gli Olivetani occupavano l’attuale palazzo Scoppa sito in via del Torrente a Savignano.
La città degli spagnoli: dagli aragonesi al viceregno
Gli aragonesi decisero di costruire ad Aversa una nuova struttura fortificata:
la fabbrica di Ruggero, in parte ceduta ai Celestini dai sovrani angioini, aveva
assunto prevalente carattere residenziale e risultava poco idonea a svolgere le
funzioni difensive delle quali la città da sempre si era fatta carico per la sua
posizione geografica strategica a metà strada rispetto all’asse Capua Napoli. Gli
aragonesi allestirono un nuovo castello sul versante settentrionale con possibilità di controllo della consolare in direzione Capua: nella veduta manoscritta di
Francesco Cassiano da Silva è ben visibile l’originaria articolazione dell’edificio,
peculiare degli anni definiti di transizione, perché priva di baluardi26 (Fig. 15).
La fabbrica aragonese, completata negli anni Settanta del XV secolo – non visibile nella tavola di Angiolillo Arcuccio perché dal punto di vista scelto per la
FIG. 15 F. Cassiano
de Silva.Veduta di
Aversa nell’album
manoscritto redatto
tra il 1695 e il 1705.
Vienna Österreichische Nationalbibliothek.
20
FIG. 16 Aversa. Il
castello aragonese.
Con il colore arancio
è stata evidenziata la
struttura aragonese
tardo quattrocentesca, con il viola l’originario bastione a
protezione della Porta
Castri, con il verde i
resti della fabbrica
vicereale.
veduta risultava coperta da S. Sebastiano – si sviluppava intorno ad un cortile
quadrato porticato, senza torri angolari ed era protetta da un solo mastio posto
in corrispondenza dell’angolo occidentale e collegato alla porta urbica. Le indicazioni delle fonti iconografiche sono confermate dall’esame del manufatto e
dai numerosi documenti: la presenza del mastio raffigurato da Cassiano è avvalorata dall’analisi delle superstiti murature quattrocentesche nell’angolo occidentale dove si rilevano resti dei setti murari dell’antico torrione. Le murature,
sulle quali è appoggiata una volta a botte, sono diverse rispetto ai settecenteschi manufatti adiacenti e presentano, per l’altezza di due piani, uno spessore
inusuale per un edificio settecentesco27. La presenza del mastio condizionò il
progetto degli ingegneri militari che non lo demolirono e, per rispettare la simmetria delle aperture nella facciata nord occidentale, furono costretti ad inserire finte finestre in alcuni vani. In corrispondenza dell’ingresso dalla piazza
castello, nel vano scala a sinistra sono visibili pilastri di piperno che definivano il locale adibito a posto di guardia28 (Fig. 16).
21
Il castello fu oggetto di lavori di adattamento e manutenzione per ospitare le
truppe sin dal 1728 e ripetutamente negli anni successivi prima del trasferimento dell’immobile dai Sanchez di Luna alla Regia corte per il quale fu richiesta una perizia al Magliano29. La struttura rientrava nel piano di militarizzazione di Terra di Lavoro insieme agli edifici da ridurre a caserme a Nola e a S. Maria
Capua Vetere, importanti per supportare le truppe ospitate a Capua, città che
rivestiva un ruolo fondamentale per la difesa dell’intero regno.
Il piano per la fabbrica di Aversa con la realizzazione dei quattro baluardi
angolari – la cui struttura muraria settecentesca nulla mostra della presunta origine medievale immaginata da qualcuno30 – si deve con ogni probabilità a Giovan
Battista Bigotti che in quegli anni rivestiva un ruolo di generale soprintendenza
alla realizzazione delle opere necessarie alla difesa del regno. Padiglioni con angoli smussati, analoghi ai corpi di fabbrica aggiunti agli angoli del castello aragonese aversano, vennero utilizzati anche nella ristrutturazione settecentesca del
Gran quartiere borbonico a Capua, edificio vicereale realizzato da Bartolomeo
Picchiatti, ed adeguato dallo stesso Bigotti alle nuove esigenze militari.
Durante la dominazione aragonese non si registrano nuove fondazioni religiose: le vicende di Aversa sono legate all’espansione di una istituzione laica
con fini assistenziali l’Annunziata, alla quale i sovrani concessero numerosi privilegi. Notevole rilevanza per la crescita economica dell’Annunziata ebbe infatti il privilegio, concesso da Alfonso I nel 1440, di una Feria seu mercato franco
da celebrarsi ogni anno per otto giorni: concessione che nel 1463 Ferdinando
non soltanto rinnovò, ma estese territorialmente consentendo lo svolgimento
del mercato «avanti detta chiesa e nel suo circuito sino alla porta delle predette
muraglie, e sino al mercato che si dice de Porci per la villa di Savignano, e per
il circuito della Starza di Iomentaro, quale è dell’istessa chiesa …»31. La fiera si
svolgeva dunque lungo la Strada reale, nel tratto compreso tra il Conservatorio
e la porta del Mercato vecchio; nel Mercato dei porci, l’attuale piazza Vittorio
Emanuele, denominata anche Fiera degli animali; lungo l’intero circuito della
Starza di Iomentaro, area compresa tra la Strada Nuova, l’Annunziata e il borgo
di Savignano. Lo slargo denominato Mercato dei porci tramite la Strada delle
Mandrie – antico toponimo dell’attuale via Isonzo – si collegava alla piazza di
Savignano ed all’antica via Lonca, che definivano i confini della Starza di
Iomentaro. La via delle Mandrie come la vicina via del Torrente, si svolgevano
con un sinuoso tracciato perché erano percorsi naturali scavati dalle acque.
La piazza di S. Giovanni Battista nel borgo di Savignano, acquisì un nuovo
ruolo per la funzione commerciale alla quale vennero destinate le fabbriche che
si affacciavano in essa e lungo tutto il percorso autorizzato per lo svolgimento
della fiera (Fig. 17).
Le aree destinate al mercato franco rivestono particolare interesse perché
emerge con chiarezza che fu proprio lo sviluppo della fiera nel territorio della
Starza di Iomentaro a consentire la saldatura delle propaggini sud-orientali
aversane con il borgo di Savignano, insediamento in origine autonomo, cresciuto intorno alla chiesa intitolata a S. Giovanni Battista di fondazione nor-
22
FIG. 17 Aversa
durante il viceregno
(1501-1734). Le
Botteghelle e l’urbanizzazione della
Starza di Iomentaro.
Il percorso della
Fiera e la ricucitura
della città con l’antico Borgo di
Savignano.
23
manna, caratterizzata, come le coeve fabbriche aversane, da un ridotto sviluppo longitudinale della fabbrica con un’icnografia a tre navate. La struttura normanna è quasi completamente occultata per le modifiche apportate in occasione dei lavori avviati sin dal 1662; le due navatelle laterali coperte con volte a
crociera sono oggi quasi completamente nascoste dai pilastri che sostituirono
l’originaria successione di archi e colonne per assorbire le spinte generate dalla
nuova copertura. La chiesa nella quale fu aggiunta la calotta, priva di tamburo
ma con ampie finestre ovoidali, che conferì nuove valenze luministiche al vano
altare, fu completata nel 1715 con il pregevole organo mentre solo nel 1768 fu
sostituito l’altare ligneo con il nuovo altare di scuola napoletana in commesso
marmoreo di gusto vaccariano; S. Giovanni Battista, unitamente alla cappella
dell’Angelo custode, aderente all’antica struttura normanna e adibita a sacrestia,
costituisce un pregevole esempio di architettura tardo barocca aversana32.
Nella piazza di Savignano altro polo di riferimento dell’aggregato urbano era
la grangia di Monteoliveto (l’attuale palazzo Scoppa), e la chianca degli stessi
Olivetani, fabbrica destinata alle attività commerciali, ancora visibile alle spalle
della chiesa di S. Giovanni Battista. L’edificio acquisito nell’Ottocento, a seguito
dell’abolizione dei monasteri, dai marchesi Scoppa si articola intorno ad una grande corte – un tempo caratterizzata dalla successione di grandi arcate oggi in gran
parte chiuse – e ripropone lo schema del fondaco, largamente utilizzato nell’area
in esame che sempre più assumeva in quegli anni le caratteristiche di quartiere
commerciale della città. La tutela dell’impianto tipologico di alcuni di questi edifici – per i quali non può pensarsi a vincoli più onerosi – è giustificata al fine della
conservazione della memoria storica di antiche funzioni.
L’Annunziata, ubicata fuori la Porta del Mercato vecchio, inizialmente collegata alla città da un percorso appena sterrato, dopo la costruzione della Strada nuova,
si trovò ad occupare un sito periferico ma privilegiato; la rapida crescita dell’istituzione suggerì ai governatori la costruzione nel 1516 della chiesa di S. Maria del
Casale (l’attuale S. Maria di Costantinopoli) che costituiva un polo di riferimento
per la popolazione di quei fondi suburbani appartenenti alla Casa Santa e, probabilmente per i malati contagiosi sistemati nelle fabbriche adiacenti.
Divenne allora necessario complemento alle proprietà dell’A.G.P. il territorio denominato Lemitone – compreso tra la via della Lava, asse di collegamento del
Conservatorio con il nuovo polo religioso di S. Maria del Casale, e le mura meridionali della città – che fu acquistato nel 1519. Nel nuovo fondo, dopo aver allestito i
necessari collegamenti viari che consentirono la suddivisione del podere in otto lotti,
vennero costruite strutture di supporto alla Fiera. Lungo la via del Lemitone, la via
della Lava e la via Lonca alle botteghe si alternavano i fondachi, strutture commerciali più complesse con cortile porticato centrale circondato sui quattro lati da vani
adibiti a magazzini e a depositi di mercanzie, con scale laterali di accesso al primo
piano dove, lungo una balconata che si svolgeva sui quattro lati dell’edificio, si aprivano le stanze destinate all’alloggio dei mercanti33. Ad Aversa dunque il fondaco
svolgeva la funzione di alloggio per i mercanti che giungevano in occasione delle
fiere, tanto che nei documenti le stesse strutture vengono indicate indifferentemente
24
FIG. 18 Aversa. La
facciata della chiesa
dell’Annunziata con
le colonne provenienti dal Seggio di
S. Luigi.
25
con l’appellativo di fondaco, taverna o hostolania; la tipologia, diffusa nelle città
mercantili, e perciò singolare in un insediamento dell’entroterra, venne, con ogni probabilità, introdotta dalla colonia amalfitana, alla quale era sicuramente ben nota.
Recenti studi hanno accertato la presenza di numerosi fondachi sulla spiaggia amalfitana, tra i quali val la pena di ricordare quello donato nel 1082 da Roberto il
Guiscardo all’Abbazia di Montecassino34.
Il territorio denominato Lemitone era circoscritto ad occidente dal sentiero che
collegava la chiesa di S. Maria del Casale a Portanova, a nord dai fossati della
città, ad oriente da un fossato che lo separava dalle Botteghelle a sud dal viottolo denominato via della Lava per l’antica funzione di raccolta delle acque, asse di
collegamento con l’Annunziata. La nuova strada fu il primo significativo passo
per l’urbanizzazione del Lemitone che, dopo la costruzione dell’arco di ingresso
alla Casa santa, venne denominato la Starza dell’arco perchè si sviluppava in direzione del nuovo arco di ingresso all’Annunziata collegandolo, tramite una «strada antichissima che passa per detta Starza» con la Portanova (Fig. 18).
Nel nuovo fondo vennero costruite strutture di supporto alla fiera, botteghe
e fondachi, mentre soltanto dal 1640 i governatori cominciarono a stipulare
contratti di concessione per un periodo di ventinove anni dei suoli preventivamente suddivisi in lotti. Il piano di urbanizzazione redatto da architetti chiamati dalla capitale del viceregno, dovendo tener conto essenzialmente della
FIG. 19 Aversa. Il
campanile
dell’Annunziata in
asse rispetto alla
strada di collegamento con Portanova.
L’opera progettata da
Giuseppe Lucchese
nel 1712 fu completata solo nel 1776 da
Bartolomeo
Vecchione.
FIG. 20 Aversa. Il
pregevole cassettonato ligneo cinquecentesco sulla navata della
chiesa
dell’Immacolata
Concezione sita nei
pressi della Porta S.
Nicola.
volontà di procedere alle censuazioni nel più breve tempo, prevedeva il frazionamento dei terreni in un’ottica speculativa.
Questa circostanza unitamente al limite temporale della concessione, determinò frammentari e parziali interventi nelle fabbriche che, in assenza di un progetto complessivo, assunsero un carattere meramente speculativo. Sicché ancor
oggi appaiono concepiti in modo unitario i soli palazzi derivanti da trasformazioni di antichi fondachi.
L’area non venne dotata di alcuna attrezzatura pubblica e non fu destinato
alcun suolo alla realizzazione di piazze o slarghi. L’analisi anche superficiale del
nuovo quartiere evidenzia il carattere monofunzionale dell’insediamento – dove
le fabbriche all’interno della regolare maglia urbana, vennero destinate ad
esclusivo uso residenziale – e l’assoluta mancanza finanche delle chiese e di edifici adibiti ad attività comunitarie.
26
Le strutture religiose di riferimento per gli abitanti del Lemitone erano tutte
nelle insule limitrofe al tracciato pressoché quadrato di strade che delimitava il
quartiere. S. Spirito, l’Annunziata e le chiese da essa dipendenti – S. Maria di
Costantinopoli e S. Caterina – monopolizzarono la cura e l’assistenza spirituale del
crescente numero di censuari: all’interno del reticolo solo le edicole votive, negli
angoli dei fabbricati, testimoniavano la religiosità degli abitanti, mentre sull’asse
dei tre principali percorsi stradali, dopo la definitiva sistemazione settecentesca del
campanile e dell’arco, incombeva la presenza dell’Annunziata (Fig. 19).
Durante il viceregno si registra ad Aversa, a partire dalla seconda metà del
Cinquecento, un notevole incremento di nuove fabbriche religiose, tutte ubicate
prope mura civitatis negli spazi dei fossati delle antiche murazioni, dove avevano
preso il posto di edicole votive. Nel 1597 in occasione della visita del cardinale Ursino
vengono citati molti nuovi luoghi di culto tra i quali S. Maria delle Grazie fondata
27
intorno al 1570 ma ampliata e ‘ammodernata’ nel 1742, S. Maria Succurre Miseris
(1545) – oggi in stato di deplorevole abbandono – nei pressi della cinta rainulfiana,
S. Maria la Nova sita extra portam s. Biasii (1592), S. Maria della Pietà in supportico januae civitatis vulgo dictam Portanova (1583), S. Bartolomeo nei pressi della porta
del Mercato vecchio, S. Maria degli Angeli (anteriore al 1597) extra portam Castri, il
Carminello (anteriore al 1597) abbattuta agli inizi del Novecento, sita prope portam
Intoregliam, S. Monica (1591), S. Rocco e, ai margini del borgo S. Biagio, la cappella
di Monserrato nei pressi della Porta S. Giovanni eretta nel 1689.
Nel 1582 fu iniziata anche la costruzione dell’Immacolata Concezione, in
prossimità della porta S. Nicola, completamente ristrutturata nel 1739 con l’aggiunta del vano presbiteriale e dello spazio antistante sul quale venne inserita
una finta cupola. Carlo Schisano, responsabile dei lavori, fornì il disegno del
pregevole altare in commesso marmoreo; da segnalare il cassettonato ligneo sul
vano orginario di ottima fattura nel quale è inserito un bassorilievo della cattedrale nella configurazione anteriore alle trasformazioni settecentesche (Fig. 20).
Nuove istituzioni religiose si insediarono anche nel centro antico trasformando fabbriche in precedenza destinate ad abitazione, tanto che l’originario
nucleo rainulfiano assunse sempre più le caratteristiche di cittadella monastica;
si registra nei primi anni del Seicento l’esodo degli abitanti – espulsi dai palazzi trasformati in monasteri – nelle aree fuori Portanova, nel Limitone dove i
governatori dell’Annunziata ben presto allestirono fabbriche residenziali che
consentirono la crescita delle rendite dell’istituzione.
Gli edifici religiosi nel centro antico raggiunsero una densità perfino superiore, nel rapporto alla popolazione, ai coevi parametri napoletani.
Le Clarisse nel 1562 fondarono il monastero dello Spirito Santo dirimpetto
al giardino del palazzo episcopale, ma qualche anno dopo si trasferirono in una
nuova sede a pochi metri di distanza, dopo aver alienato l’originaria residenza
alle Salesiane di S. Gennaro.
Non furono da meno le Cappuccinelle che si insediarono nel 1599 in un’area
adiacente al Seggitiello di Piazza, a ridosso delle mura di Rainulfo; alla fine del
XVII secolo iniziarono una politica di progressivo ampliamento delle strutture
conventuali tanto da occupare a metà Settecento l’intera insula realizzando uno
dei più importanti complessi religiosi della città (Fig. 21).
Nel 1558 costruirono la loro sede ad Aversa anche i Paolotti che fondarono
il monastero di S. Francesco di Paola, mentre ai padri Crociferi di S. Carlo
Borromeo venne concesso l’edificio un tempo Ospedale di S. Eligio sito dirimpetto al castello di Ruggero.
Al di fuori della città, in territorio agricolo, era stata costruita nel 1516 su
iniziativa dei governatori dell’A.G.P., come innanzi accennato, la chiesa di S.
Maria del Casale (denominata S. Maria di Costantinopoli dal 1656).
28
FIG. 21 Aversa.
L’articolato prospetto
della chiesa delle
Cappuccinelle fuori
l’antica Porta
Castello lungo l’impianto murario rainulfiano.
La città dei Borbone
Durante il viceregno, in particolare nella seconda metà del XVI secolo, si erano
moltiplicate ad Aversa, come emerge da quanto innanzi esposto, le nuove fabbriche religiose costruite con criteri coerenti alle norme indicate dal Concilio di
Trento. I sobri apparati decorativi realizzati in quegli anni apparvero tuttavia ben
presto inadeguati ai temi che la cultura barocca aveva già ampiamente diffuso
nella capitale nella seconda metà del Seicento. Soltanto le Clarisse di S. Francesco
avevano, sin dal 1645, programmato la totale trasformazione degli apparati ornamentali all’interno della chiesa; tuttavia a partire da quella data gli impegnativi e
dispendiosi lavori di decorazione ed i rivestimenti marmorei parietali vennero eseguiti nel corso di un intero secolo. È documentata la presenza in cantiere di numerosi artefici napoletani tra i quali val la pena di ricordare Pietro e Bartolomeo
Ghetti, Giuseppe Gallo, Giovan Battista Massotti i quali portarono a termine un
progetto avviato molti anni prima con la soprintendenza del padre oratoriano Luigi
Maffei: il gusto delle tarsie marmoree di rivestimento delle cappelle e dei pilastri,
ispirato ad esempi di scuola napoletana della metà del XVII secolo, è dunque da
riferire a maestranze e professionisti che collaborarono con l’oratoriano per eseguire un programma figurativo redatto molti anni prima35 (Fig. 22).
La città oltre che dalle strade, dalle mura è fatta dalle sue architetture e il ritratto di Aversa è fortemente condizionato dalle fabbriche religiose, tante da essere
assolutamente sproporzionate rispetto alla popolazione residente e di tali dimensioni da configurare, nell’ambito della città settecentesca, vere e proprie autonome cit-
29
FIG. 22 Aversa.
L’interno di S.
Francesco delle
monache, in cui spiccano i pregevoli rivestimenti in commesso
marmoreo realizzati
da artefici napoletani
a partire dalla seconda metà del Seicento.
30
tadelle monastiche. Nel panorama aversano grande rilievo assumono le articolate
facciate delle chiese, che subirono le più significative ristrutturazioni a partire dagli
anni Trenta del Settecento quando, dopo i lavori di ‘ammodernamento’ della cattedrale ad opera del Buratti, dell’Annnunziata e della chiesa di S. Domenico affidati
ad architetti di scuola napoletana, si innescò una sorta di gara tra le varie istituzioni per proporsi nel panorama cittadino con prospetti più aderenti alle nuove istanze della cultura tardo barocca.
Tra i protagonisti della felice stagione settecentesca aversana va segnalato
anche Francesco Maggi, professionista romano arrivato al seguito del Buratti
che seppe conquistarsi la fiducia della committenza locale alla quale prestò la
sua opera per oltre quaranta anni.
Nel cantiere delle Benedettine di S. Biagio ebbe modo di collaborare con
Giovan Battista Nauclerio nella realizzazione dell’originale atrio, una sorta di
doppia facciata dove, per riequilibrare l’accentuato sviluppo verticale delle tre
arcate originarie, furono inseriti tre portali di piperno, materiale particolarmente caro all’architetto napoletano, che contribuì a introdurre nell’ambiente aversano temi di chiara ispirazione sanfeliciana. La presenza di Giovan Battista e del
fratello Muzio ancora nel 1737 nei lavori del dormitorio delle Benedettine – nel
quale la scala aperta denuncia la filiazione dell’episodio dai numerosi esempi di
tradizione napoletana – costituisce anche una significativa conferma alla tesi
che ogni ordine si avvaleva di professionisti ai quali era affidata la soprintendenza generale delle fabbriche nell’ambito di un ampio contesto territoriale36.
Nauclerio subentrò al Guglielmelli nelle fabbriche dei Benedettini di
Montecassino, fu il resposabile delle trasformazioni settecentesche della chiesa
napoletana dei SS. Severino e Sossio, venne chiamato sin dai primi anni del
Settecento ad Aversa per i lavori nel complesso delle Benedettine di S. Biagio e fu,
in entrambi i cantieri, sostituito alla sua morte da Giovanni del Gaizo.
Nel 1727, dopo la visita al vescovo Innico Caracciolo del papa domenicano
Benedetto XIII, ospitato nel monastero aversano dei Predicatori, venne intrapresa la ristrutturazione della chiesa con l’affidamento dell’opera al Nuclerio,
che l’Orsini ben conosceva per aver con lui collaborato nella ricostruzione di
Benevento dopo il terremoto del 1702. Formatosi alla scuola di Francesco
Antonio Picchiatti, Giovan Battista Nauclerio alla morte dell’architetto divenne
il responsabile delle fabbriche dei Domenicani. La presenza del maestro napoletano nel cantiere aversano è documentata già nel 1701 quando fornì i disegni
per l’’ammodernamento’ dell’altare seicentesco al quale vennero aggiunte nella
parte superiore, tra volute dall’accentuato plasticismo, teste di angeli e cherubini di pregevole fattura37 (Fig. 23).
La facciata di S. Domenico ad Aversa, realizzata con ogni probabilità su suo
progetto, si svolge su una linea leggermente inflessa ed è caratterizzata dalla
sovrapposizione di due ordini di colonne ioniche, dalla concavità delle ali nelle
quali le nicchie convesse che ospitano le statue dei santi dell’ordine conferiscono
all’insieme uno straordinario dinamismo, dal classicismo delle colonne che definiscono la campata centrale, racchiudendo il sobrio portale di ingresso – esaltato
31
FIG. 23 Aversa.
L’originale altare
della chiesa di S.
Domenico realizzato
nel 1702 su disegno
di G. B. Nauclerio.
32
FIG. 24 Aversa. La
facciata di S.
Domenico testimonia
il sapiente inserimento delle colonne ioniche, ispirate al
mondo classico, in un
contesto in cui l’alternanza di linee
convesse e concave
mutuate dal barocco
romano, conferisce
straordinaria dinamicità all’opera.
dalla linea convessa del gradino di invito – e l’ampia edicola del piano superiore
di chiara derivazione dall’architettura romana. L’uso delle colonne che caratterizza
le facciate progettate da Nauclerio – S. Giovanni Battista delle monache a Napoli
e San Paolo a Sorrento38 – legittima a mio avviso l’attribuzione della facciata aversana all’architetto napoletano anche se, come già ho sottolineato in passato, ricorrono nell’episodio in esame elementi riconducibili alla scuola romana e, in particolare, alla Trinità dei pellegrini di Francesco De Santis39. Il prospetto è concluso
dalla statua di S. Luigi e ospita nelle nicchie le statue dei papi domenicani,
Benedetto XIII, Pio V, Benedetto XI e Innocenzo V. (Fig. 24).
Solo dopo la morte del Nauclerio subentrò nel cantiere aversano Francesco
Maggi che diresse nel 1747 i lavori di ammodernamento all’interno della chiesa introducendo nell’aula angioina la singolare trabeazione appoggiata su lese-
33
FIG. 25 Aversa.
L’interno di S.
Domenico realizzato
nel 1747 con il disegno di Francesco
Maggi.
ne accoppiate e incurvata in corrispondenza delle cappelle era stato (Fig. 25)
Francesco Maggi anche l’artefice della trasformazione di S. Pietro a Majella
dove, nel 1736, intervenne all’interno ridefinendo la navata con l’inserimento di
coppie di lesene tra le cappelle; nell’occasione redasse il disegno, ancora conservato nei registri parrocchiali, esemplare del metodo utilizzato dall’architetto
per adeguare le aule medievali al nuovo gusto barocco (Fig. 26).
La facciata, impostata su un basamento di piperno interrotto dalla cornice del portale di ingresso della stessa pietra, è scandita da coppie di lesene amplificate con l’utilizzo delle volute dei capitelli ionici spezzati e sovrapposti in modo tale da creare
un effetto di dilatazione degli elementi strutturali, che inquadrano due setti murari
convessi nei quali sono inserite le nicchie con le statue dei fondatori dell’ordine, ed
è conclusa da un frontone curvilineo spezzato, analogo a quello utilizzato dallo stesso Maggi nella facciata della chiesa delle Cappuccinelle40.
34
FIG. 26 Progetto
redatto nel 1736 da
Francesco Maggi per
l’interno di S. Pietro
a Majella.
Nel Settecento si attuarono interventi che incisero in modo determinante nella
trasformazione epidermica della città perché, pur nel rispetto degli spazi preesistenti, si operò un completo rifacimento delle facciate e dei registri decorativi all’interno
delle più importanti fabbriche religiose. Gli ‘ammodernamenti’ furono realizzati ad
opera dei maggiori architetti attivi a Napoli e nella Roma papale.
I governatori dell’Annunziata, a partire dagli ultimi anni del XVII secolo,
affidarono a Bonaventura Presti e Francesco Antonio Picchiatti la sostituzione
del soffitto ligneo sulla navata con una volta a botte e all’architetto archeologo la rifazione della facciata della chiesa. Il Picchiatti volle utilizzare a sostegno del nuovo portico, da anteporre all’originaria fabbrica medievale, le esili
colonne di marmo bianco acquistate dai governatori del seggio di S. Luigi41; alla
sua morte subentrarono nel cantiere i suoi allievi, Giovan Battista Manni che
diresse i lavori per il completamento della facciata, Nauclerio al quale si deve
il progetto della cupola che crollò nell’Ottocento e, nel 1712, Giuseppe Lucchese
al quale venne affidata la ricostruzione della nuova torre campanaria completata solo nel 1776, con la realizzazione dell’arco di collegamento agli edifici
della Casa Santa ad opera di Bartolomeo Vecchione.
Il nuovo campanile, in origine accanto alla chiesa, localizzato al di là della
strada e con la diagonale perfettamente allineata rispetto all’asse che, tagliando trasversalmente il Lemitone, collegava l’istituzione benefica con la
Portanova, incombeva con la sua mole sull’intero quartiere del Lemitone, del
quale costituiva l’unico punto di riferimento.
L’idea era di realizzare una nuova porta di ingresso alla città, una sorta di
Arco trionfale, monumentale accesso che includesse nei confini urbani il nuovo
quartiere e le fabbriche dell’Annunziata, anzi fosse ad essi simbolicamente collegata. I materiali scelti per la struttura, il piperno e la pietra calcarea casertana, estranei alla tradizione locale si impongono nel contesto urbano anche per
35
l’accentuato cromatismo; ma è soprattutto la scelta delle dimensioni che conferisce grande risalto alla torre che venne parzialmente completata rispetto all’originario ambizioso programma costruttivo, soltanto fino al terzo livello. Il massiccio piano basamentale scarpato rivestito con bugne di pietra vesuviana sul
quale converge la visuale dell’asse che taglia trasversalmente il quartiere e di
quello meridionale che lo conclude collegandolo a S. Maria di Costantinopoli,
chiuso su tutti i lati è accessibile solo dalla Casa santa attraverso il collegamento
aereo realizzato sull’arco sostenuto da coppie di colonne dal notevole sviluppo
verticale e concluso dalla balaustra e dall’orologio in pietra bianca.
La Porta Napoli deve intendersi come un tentativo di unificare la ‘città murata’ medioevale e la ‘città aperta’ settecentesca, monumentalizzandone il nuovo
ingresso42.
Sin dal 1739 si iniziarono i lavori di trasformazione del castello aragonese:
inadeguato alle esigenze residenziali della corte – non a caso Carlo di passaggio ad Aversa nel 1734 venne ospitato per quasi un mese nel palazzo Della Valle
– fu oggetto di importanti lavori di ristrutturazione per assolvere alla nuova
funzione di quartiere di cavalleria.
Nel Settecento si accentuò il fenomeno di abbandono del centro antico, già
registrato nel periodo precedente, e si concentrarono nel Lemitone tutte le nuove
fabbriche residenziali con un progressivo slittamento verso la Strada reale.
Aversa nell’Ottocento
«Si può affermare, senza eccessivo azzardo, che una questione peculiare della
città ottocentesca sia costituita dal rapporto che le nuove istanze, i nuovi valori, i nuovi programmi, le nuove culture dello spazio urbano stabiliscono con il
sistema mura-porte che è il segno complessivo che raccoglie, contiene e da
forma a ciò che è passato, di cui si è, o si presume di essere, alternativi. La cultura ottocentesca appare percepire la cinta urbica come un impedimento, un
vincolo da rimuovere, una presenza confliggente con gli ideali della Modernità
e cioè dell’igienicità, della rettilineità»43.
Nel 1835 venne eseguita la demolizione della Porta del Mercato vecchio e nel
1840 quella della Porta di Capua. La Strada nuova voluta dagli angioini aveva
già segnato il futuro di Aversa che aveva acquisito una valenza territoriale
nuova, completamente diversa da quella tracciata dai normanni: la città antica
rimase da quel momento chiusa nella circolarità imposta da Rainulfo mentre la
rettilineità angioina, segno della modernità con l’abbattimento delle due porte
appare aperta al territorio circostante, pronta a far proprie le nuove istanze
introdotte dai francesi e le espressioni architettoniche del progresso: il
Camposanto, la linea ferroviaria e la relativa stazione, il Gazometro, il Macello
che trovarono nell’area occidentale la naturale localizzazione.
La storia di Aversa nei secoli XIX e XX venne condizionata dai provvedimenti francesi – l’istituzione delle province e dei comuni e la soppressione degli
36
FIG. 27 Aversa.
Planimetria del Real
Manicomio della
Maddalena (da T.
Cecere, Aversa la
città consolidata,
1998).
ordini – è prevalentemente la storia della secolarizzazione della sua struttura
urbana: per essere tra le più ricche di fabbriche religiose, la città più di altre
avvertì il travaglio della trasformazione dei luoghi di Dio in strutture dedicate
al miglior servizio del cittadino. Con decreto dell’11 marzo 1813 Gioacchino
Napoleone destina l’abolito complesso francescano della Maddalena a Real casa
dei matti di Aversa; un mese dopo viene messo a disposizione il convento dei
Cappuccini per ricoverare le donne matte. Nel 1821 per risolvere il problema del
sovraffollamento dei due istituti viene aperto un terzo asilo destinando a tanto
il Convento di Montevergine. Nel 1836 viene adibita ad attività di ricovero e cura
dei matti un’altra struttura conventuale soppressa S. Agostino degli scalzi, sino
a che nel 1845 si da il via al Progetto di ampliamento e di restauro del Real
Morotrofio della Maddalena affidandone l’incarico a Nicola Stassano.
La trasformazione di queste strutture è quindi legata a un momento di metamorfosi della città la cui storia nell’Ottocento è in gran parte connessa alle origini e all’evoluzione della ricerca diagnostica e terapeutica in materia di patologie mentali: è ad Aversa che si da la prima risposta all’impulso originario di
risolvere l’esigenza dell’umanità di «portarsi un’utile riforma nel regime sanitario de’ Matti onde ottenersene con misure efficaci il ristabilimento». Aversa
37
diviene un laboratorio avanzato dell’umanità, un luogo significativo della sollecitudine umana e scientifica verso la peggiore delle sventure, il centro di sperimentazione e di verifica dell’attenzione istituzionale a raccogliere questa parte
infelice dell’umanità per poterla meglio assistere e curare al fine di richiamarla
alla ragione perduta.
Particolare significato va pertanto attribuito al complesso della Maddalena;
l’antica struttura conventuale, un importante esempio di architettura rinascimentale grazie agli interventi di Mormando e di Giovanni Merliano, oggetto di
ampliamento a metà Ottocento, presenta elementi di particolare interesse anche
nelle parti progettate da Nicola Stassano. L’architetto che non riuscì a completare l’opera secondo il programma originario, operò pur nella parzialissima realizzazione, nel rispetto della struttura conventuale preesistente che «divenne
quasi il gene organico dell’articolazione spaziale e volumetrica del nuovo. Le
strutture porticate dell’impianto ottocentesco, e in particolare quelle delle quattro torri centrali, infatti si allineano perfettamente con quelle esistenti che vengono così a scandire, e a determinare il proporzionamento complessivo»44.
Nell’edificio di Stassano va inoltre sottolineata un’altra peculiarità che lo
rende anche oggi estremamente adattabile a nuove funzioni: le strutture per
intenzionalità progettuale del suo autore vennero predisposte ad eventuali
modificazioni determinate da esigenze organizzative non programmabili in una
disciplina ancora alla ricerca di protocolli terapeutici e regolamentari.
Nel 1866 venne elaborato un progetto di recupero anche della Casa
Soccorsale di S. Agostino degli Scalzi per adeguarla alle esigenze del programma medico predisposto.
Altri importanti poli della città Ottocentesca sono il Camposanto con la chiesa – opera di Pietro Valente del 183945 – il Macello completato nel 1882, definito una architettura proto-razionalistica perché improntata a obiettivi di funzionalità e di economicità che condizionarono le scelte relative ai materiali da
impiegare ed al programma decorativo.
Nel 1863 la città ottenne che un braccio della via ferrata Napoli Foggia
«transitasse per Aversa ed avesse fermata ad Aversa»; l’iniziativa presa dal sindaco Parente testimonia accanto alla sensibilità di studioso, la sua capacità di
cogliere l’importanza del trasporto su ferro e le implicazioni di ordine economico e sociale che avrebbe avuto l’iniziativa. La costruzione della Stazione ferroviaria rese necessaria la demolizione del vecchio Macello. Soltanto nel 1925 fu
approvato l’allacciamento alla direttissima Napoli Roma e negli stessi anni si
avviò la costruzione della nuova stazione per i viaggiatori, un edificio in muratura e ferro, decorosa testimonianza di architettura istituzionale e importante
polo sul versante orientale per il successivo sviluppo della città46.
Meritano un accenno gli edifici che a metà Ottocento furono adibiti a carceri: il complesso di S. Francesco di Paola destinato a Carcere Muliebre fu oggetto di totale trasformazione che cancellò quasi ogni traccia della cinquecentesca
fabbrica adibita a Carcere Circondariale l’antica masseria Volpe sita nei pressi
del complesso di S. Agostino degli scalzi.
38
NOTE
P. LAVEDAN, Les villes francaises, Paris 1960, p. 252.
La porta S. Nicola nel primitivo impianto è, a mio avviso, da riconoscersi nell’androne del fabbricato sito in via S. Marta 37.
3
G. AMIRANTE, Aversa dalle origini al Settecento, Napoli 1998, p. 54: nel volume avviai una prima
complessiva e sistematica lettura dell’impianto urbano, degli edifici più significativi, dai castelli
alle più importanti fabbriche civili e religiose, avvalendomi di un apparato filologico che, incrementato da nuove acquisizioni, consente oggi una più precisa conoscenza dei singoli episodi,
senza tuttavia incrinare la generale ricostruzione delle fasi di crescita dell’insediamento.
4
G. AMIRANTE, Aversa.., cit., p. 52 s.
5
Cfr. M. D’ONOFRIO, Precisazioni sul deambulatorio della cattedrale di Aversa, in «Arte medievale»,
VII (1993), p. 65.
6
C. TUTINI, Dell’origine e fundatione de seggi di Napoli, Napoli 1754, p. 56.
7
Cfr. G. AMIRANTE, Aversa.., cit., p. 124 ove l’analisi dettagliata dei disegni conservati nell’AVA
nella Platea di S. Maria del Popolo.
8
Nel documento segnalato da G. FIENGO-L. GUERRIERO, Il centro storico di Aversa. Analisi del patrimonio edilizio, Napoli 2002, I, p. 152 e 415, è detto che «si principiò a edificare un altro seggio
nominato di S. Luigi prendendo detto nome dal seggio antico, che vi era nel luogo che chiamasi
la Piazza di S. Luigi».
9
Il vano dell’antico seggio nel palazzo del Reggimento della città è indicato nel foglio catastale
del 1876 (cfr. M. C. MIGLIACCIO, Brani di città medievale nell’inedita cartografia catastale di Aversa
del 1876, in «Città e Storia», I, 2006, n. 2, p. 527) come particella autonoma e contrassegnato da
un diverso numero rispetto all’edificio nel quale è inserito.
10
R. VITALE, Il Seggio di S. Luigi e la nobiltà di Aversa, in «Corriere aversano», n. 17, 1946, p.1
11
Cfr. G. AMIRANTE, Aversa.., cit., p. 130 ove ampi riferimenti bibliografici.
12
Cfr. G. FIENGO-L. GUERRIERO, op. cit., I, p. 222 s. ove i documenti sui lavori condotti nel 1760 per
la costruzione della nuova sede delle Anime del Purgatorio – tra i pochi utili delle tante trascrizioni, per lo più prive di interpretazioni critiche – indicano la presenza di un vano lungo la navata sinistra della chiesa concesso alla Confraternita delle Anime del Purgatorio nel 1708. Nel 1722
il parroco ottenne il suolo di palmi sette di terreno per realizzare la nuova facciata della chiesa.
13
La chiesa di S. Antonino all’interno del complesso di S. Domenico, citata dalle fonti, ma occultata dalle
trasformazioni delle fabbriche nel monastero dei Predicatori, è stata evidenziata con il rilievo inserito
nella tesi di laurea di C. LUCIA-B. LA ROSSI, S. Antonino liberato, S. Domenico liberato 1988; la ricostruzione ripresa e pubblicata successivamente senza indicarne la paternità ha consentito il recente restauro della struttura.
14
Cfr. T. CECERE, Aversa. La città consolidata, Napoli 1998, p. 180 ss.
15
Cfr. M. C. MIGLIACCIO, op. cit., p. 527.
16
Cfr. P. PAGLIUCA, I Normanni. Fondazione di Aversa, ms. 16 del 1857 della Biblioteca Comunale
di Aversa.
17
Per una più ampia trattazione dell’argomento cfr. G. AMIRANTE, Iconografia di Aversa dal XV al
XVII secolo, in AA.VV., Iconografia delle città in Campania. Le province di Avellino, Benevento,
Caserta e Salerno a cura C. de Seta e A. Buccaro, Napoli 2007, p. 132 sgg. ove ampia dimostrazione di quanto qui si sostiene. Analogie evidenti della fabbrica aversana sono state riscontrate
con le strutture fortificate di Bari e Trani, con il castello di Norfolk e con lo Château le Conquérant
a Falaise in Normandia.
18
Le indicazioni sono in E. STHAMER, Die Verwaltung der kastelle im konifreich Sizilien unter
Kaiser Friederich II und Karl I von Anjou, Lipsia 1914, trad. italiana L’amministrazione dei castelli nel regno di Sicilia sotto Federico II e Carlo d’Angiò, Bari 1995, pp. 7, 11 s.; vedi pure L. SANTORO,
Castelli angioini e aragonesi, Milano 1982, p. 50 s. e C. MINIERI RICCIO, De’ grandi Uffiziali del
Regno di Sicilia dal 1265 al 1285, Napoli 1872, III, pp. 74 s. e 170 ss. Più complete indicazioni
bibliografiche sono in G. AMIRANTE, Aversa .., cit., p. 57 ss.
19
Nel settembre del 1269 Carlo I impartiva disposizioni per riparare il castello di Aversa: «das
1
2
39
Castell von Aversa wurde 1269 auf Befehl Karl’s I reparirt, urkunde vom. 8 september 1269»: cfr.
H. W. SCHULZ, Denkmaeler der kunst des Mittelaters in Unteritalien, Dresda 1860, IV, p. 120. L’8
aprile del 1269, il sovrano ordinava al «giustiziero di terra di lavoro di pagare 3 once d’oro al
castellano e al cappellano del castello di Aversa per eseguire riparazioni al castello e … per acquistare alcuni ornamenta per la cappella»; la cappella Palatina è da identificarsi con la chiesa di San
Pietro a Majella, sita in hospitio regio in civitate Aversae, come si può rilevare da un diploma del
1305, con il quale Carlo II d’Angiò eleggeva il cappellano.
20
R. FILANGIERI, I registri della cancelleria angioina, Napoli 1950, III, pp. 75 e 83. La tesi sostenuta da G. FIENGO-L. GUERRIERO, op. cit., che il castello di Ruggero deve riconoscersi nella fabbrica
aragonese adiacente la chiesa di S. Maria a Piazza è smentita dalla restituzione prospettica della
tavola di Angiolillo Arcuccio. Inoltre nella veduta di Cassiano la fabbrica quadrata e priva delle
quattro torri angolari, perfettamente corrispondente all’originaria struttura aragonese, è protetta
da un solo mastio che, posto in corrispondenza dell’angolo occidentale e collegato alla porta urbica venne inglobato nella caserma settecentesca. Non vi è infine alcuna traccia nella struttura aragonese della cappella indicata nei documenti angioini.
21
Vedi R. FILANGIERI, op. cit., I, p. 199 e C. MINIERI RICCIO, Alcuni fatti riguardanti Carlo I d’Angiò,
Napoli 1874, p. 47.
22
Un’attenta analisi della chiesa della Madonna delle grazie e degli ampliamenti in essa realizzati
nel Settecento è stata condotta nella tesi di laurea di P. MORMILE, Episodi di architettura ecclesiastica settecentesca in Aversa, discussa nella facoltà di Architettura e della quale sono stata relatore.
23
Cfr. G. FIENGO-L. GUERRIERO, op. cit., I, p. 388 ove è indicato in Giovan Battista Massotti il marmoraio incaricato della realizzazione dell’altare.
24
L’attribuzione a Francesco Maggi si rileva da un atto del Notaio Mattia d’Amore del 1742 riportato nella tesi di P. Mormile.
25
Nei contratti documentati da G. FIENGO-L. GUERRIERO, op. cit., II, p. 515, stipulati nel 1746 dai
carmelitani per i lavori di ristrutturazione della chiesa, affidati a Francesco Maggi, non sembra
esservi alcun riferimento a opere per la costruzione della cupola, peraltro legata alla tradizione
seicentesca; né d’altra parte le modeste cifre liquidate agli imprenditori autorizzano a ipotizzare
che la struttura venne costruita in questi anni.
26
La veduta di Aversa è accompagnata da una sintetica descrizione della città: cfr. G. AMIRANTEM.R. PESSOLANO, Immagini di Napoli e del regno. Le raccolte di Francescso Cassiano de Silva,
Napoli 2005, p. 105
27
La presenza dei massici setti murari indusse gli ingegneri militari, che diressero la trasformazione in caserma del castello aragonese, per rispettare la simmetria nelle aperture, a inserire nel
prospetto occidentale finte finestre in corrispondenza del retrostante mastio.
28
Per una più completa analisi della struttura cfr. G. AMIRANTE, Aversa.., cit., p. 63 sgg.
29
Cfr. V. TEMPONE, L’architettura dei quartieri militari a Napoli e nel Regno delle due Sicilie, Napoli 2007,
p. 49 ss.. Per un più approfondito esame della fabbrica vedi G. AMIRANTE, Aversa.., cit., p. 66 ss.
30
Vorrei sottolineare che l’unico resto medievale all’interno della fabbrica, il mastio visibile nella
veduta di Cassiano, è ancora lì, inglobato nell’edificio settecentesco, probabilmente per evitare i
notevoli aggravi di spese necessarie per la demolizione; dell’esistenza di torri medievali agli angoli del castello che presenta evidenti caratteristiche quattrocentesche, non vi è alcuna traccia neanche nelle note dei lavori che ne avrebbero conteggiato i costi della demolizione.
31
Cfr. G. PARENTE, Origine e vicende ecclesiastiche della città di Aversa, Aversa 1858, II, p. 197.
32
Cfr. G. FIENGO-L. GUERRIERO, op. cit., I, p. 174 ove i riferimenti documentari.
33
Sul fondaco e la sua origine cfr. G. AMIRANTE, L’edilizia di locazione nei borghi fuori le mura di
Napoli, in AA.VV., L’uso delle spazio privato nell’età dell’illuminismo a cura di G. Simoncini,
Firenze 1995, II, p. 491 ss.
34
Sulla presenza dei fondachi ad Amalfi cfr. G. GARGANO, Amalfi ducale. Aspetti topografici e ricostruzione della forma urbana, in «Rassegna del centro di cultura e storia amalfitana», VIII (1988),
nn. 15-16, p. 77. L’analisi delle fonti documentarie indica la presenza di numerosi fondachi (quello detto de Capro e l’altro de la Lardaria) ad Amalfi lungo la spiaggia occidentale: cfr. G. GARGANO,
L’area «maritima» e le «plateee», in «Rassegna del centro di cultura e storia amalfitana», I (1991),
40
p. 70. Il fondaco donato nel 1082 da Roberto il Guiscardo al Monastero di Montecassino era uno
dei più grandi: cfr. H. WILLARD, The fundicus, a Port Facility of Montecassino in Medieval Amalfi,
in «Benedictina», 19 (1972), n.2, p. 62
35
I documenti sono solo un momento della ricerca e vanno interpretati: nel cantiere delle clarisse intervennero nel Settecento tecnici come Francesco Maggi e Francesco Fioravanti, agrimensori, ai quali certamente non può essere attribuito un programma decorativo che rivela strette attinenze con l’ambiente artistico napoletano seicentesco. L’attribuzione a suo tempo da me avanzata a Dionisio Lazzari o a
Guglielmelli era giustificata dalla significativa circostanza che nel cantiere napoletano degli Oratoriani
i due architetti si avvicendarono e collaborarono proprio con il padre Maffei, indicato nelle fonti
responsabile, con ogni probabilità economico, della fabbrica aversana.
36
Su questo argomento ho svolto una relazione dal titolo Trasformazioni barocche nelle chiese
domenicane della provincia napoletana al convegno Gli ordini mendicanti e la città: i Frati
Predicatori, tenutosi a Cherasco 27-29 ottobre 2006, in corso di pubblicazione negli atti.
37
Cfr. G. FIENGO-L. GUERRIERO, op. cit., I, p. 174 s.
38
Cfr. G. AMIRANTE, Nella linea del classicismo: l’opera di Giovan Battista Nauclerio, in
L’architettura nella storia. Scritti in onore di A. Gambardella, Milano 2008.
39
Cfr. G. AMIRANTE, Aversa.., cit., p. 232.
40
La presenza del Maggi nel cantiere delle Cappuccinelle è ampiamente documentata nella tesi di
P. MORMILE, cit.
41
Cfr. G. AMIRANTE, Aversa.., cit., p 228 s.
42
Cfr. sull’argomento M. RUSSO, Giuseppe Lucchese, Bartolomeo Vecchione e il cantiere di porta
Napoli, in Lo sviluppo sei-settecentesco di Aversa e l’episodio urbanistico del Lemitone a cura di
G. Fiengo, Napoli 1997, p. 69 ss.; G. FIENGO, Un singolare monumento della Campania: l’insieme
del campanile e dell’arco di Aversa, in «Apollo», XI (1995), p. 129 ss. e G. AMIRANTE, Aversa.., cit.
43
Cfr. T. CECERE, op. cit., p. 17.
44
Cfr. T. CECERE, op. cit., p. 38.
45
Cfr. C. LENZA, Monumento e tipo nell’architettura neoclassica. L’opera di Pietro Valente nella cultura napoletana dell’800, Napoli 1997, p. 318 ss.
46
Cfr. T. CECERE, op. cit., p. 115 ss.
41