www.gliamicidellamusica.net Pubblicato il 25 Settembre 2016 Il M EI (M eeting delle Etichette Indipendenti) ne ha discusso a Faenza durante il festival La fine del giornalismo musicale intervento di Athos Tromboni FAENZA (RA) - Come è cambiata l’informazione musicale nell’era del web? Ha cercato di rispondere a questo quesito un incontro formativo promosso dall’Ordine nazionale dei giornalisti, in concomitanza con la XX edizione del MEI (Meeting delle Etichette Indipendenti) che per il 2016 si è caratterizzato come un vero e proprio festival del giornalismo musicale. Domenica 25 settembre presso l’aula consigliare del Comune di Faenza i giornalisti musicali Giò Alaimo (Il Gazzettino, quotidiano del Veneto), Mario De Luigi (Musica & Dischi ), Riccardo De Stefano (ExitWell ), Federico Savini (Blow Up e Settesere) ed Ezio Guaitalamacchi (direttore del Master in giornalismo e critica musicale del Centro Professione Musica) si sono confrontati in una tavola rotonda che - alla presenza di un nutrito gruppo di giornalisti non solo emiliano-romagnoli che erano iscritti al corso promosso dall’Odg Emilia Romagna - ha costituito uno dei momenti più caratterizzanti del MEI edizione 2016. Le domande a cui hanno risposto i relatori, dopo il saluto del patron della manifestazione faentina, Giordano Sangiorgi, e del vicesindaco di Faenza, Massimo Isola, erano queste: ha ancora senso parlare di giornalismo musicale in Italia? Ci sono ancora spazi per parlare della nuova musica sulle grandi testate? Hanno senso le recensioni on-line? O contano di più i like su Facebook? Di quale musica parleremo in futuro? La successione degli interventi era coordinata da Enrico Deregibus. Alaimo ha fatto un excursus storico sul giornalismo musicale in Italia partendo dal Festival di Sanremo del 1950 e attraverso aneddoti e ricordi personali ha raccontato come i giornali a stampa hanno nel tempo trattato le cronache e le recensioni della musica leggera italiana e del rock internazionale. E ha concluso confermando che tutti i giornali a stampa oggi hanno bandito le recensioni dalle loro pagine. De Luigi ha spiegato la parabola delle riviste specializzate di settore, praticamente tutte chiuse nel giro di una decina d’anni (qualcuna sopravvive nel web), e ha trattato della differenza fra il critico musicale specializzato e il giornalista di spettacolo. De Stefano ha fatto il parallelo fra la carta stampata e il web concludendo che se la carta stampata rimane comunque il segno dell’autorevolezza della “firma” del giornalista, il web ha aperto prospettive nuove e impensabili, soprattutto perché con Facebook e altri social ognuno può diventare critico per se stesso, seguendo i propri gusti indipendentemente dalle conoscenze storiche del fenomeno musicale e delle sue proprie valenze culturali. Savini ha parlato della musica folk romagnola (il “liscio”) come esempio di un approfondimento su materie “altre” rispetto a quella musica commerciale che scala le classifiche e le hit parade, giungendo a dire che nell’era del web l’approfondimento su estetiche e temi considerati “delle periferie” costituisce la linea distintiva fra amatorialità e professionalità nel mestiere del giornalista musicale. Guaitamacchi ha concluso i lavori facendo il punto sulla differenza fra la produzione di musica commerciale e quella di musica artistica, dicendo che quest’ultima non ha bisogno dello stimolo delle “vendite” per realizzarsi, perché esiste musica ottima, nuova, innovativa, godibile, che non ha successo commerciale ma che dovrebbe attirare di più l’attenzione del giornalista musicale, il quale per essere uno specialista non può limitarsi a fare il cronista di eventi mondani legati alla musica o il compilatore delle classifiche fake su internet. Dal mio punto di osservazione, dopo aver assistito alla tavola rotonda fatta al MEI di Faenza, mi sono detto: se la musica rock e la musica extracolta in genere, che detengono il primato nelle preferenze delle genti di tutto il mondo occidentale, non fanno più notizia (nel senso che sono oggi bandite dai giornali a stampa le recensioni, i giudizi critici, e spesso anche le interviste agli artisti) che futuro può avere il giornalismo della musica colta? Opera lirica e Musica classica hanno oggi una audience che giustifichi la sopravvivenza del critico musicale e del giornalismo musicale? Sono andato col pensiero a Pellegrino Turri di Castelnuovo Garfagnana (Lucca) che nel 1802 perfezionò la macchina per scrivere inventata una decina d’anni prima dall’amico Agostino Fantoni di Fivizzano (Massa Carrara), invenzione che fu la progenitrice della mitica Olivetti Lettera 44 (la macchina per scrivere dei giornalisti e delle redazioni); e ho congiunto con una parabola il Turri garfagnino all’americano Mark Zuckerberg, l’inventore di Facebook. Quello fu l’antesignano povero del giornalista della carta stampata; questo è il miliardario dei clic dove uno vale (veramente) uno, e dove è sancito il de profundis del giornalista musicale. Certo; perché, sul giornale a stampa, giornalista musicale e critico musicale sono finiti, valgono meno di un necrologio, perciò le loro analisi, anche storiografiche e storicizzate, non vengono richieste né pubblicate. Oggi il giornale a stampa (e anche l’edizione web quando ne sia pedissequa copia) parla di musica se si tratta della passerella del nome famoso, del teatro famoso, del gossip attorno al famoso. E sul web il pensiero critico del giornalista musicale è svalutato dai milioni di “commenti” fatti da chi se ne intende solo un po’ e soprattutto da chi non se ne intende. Ma attenzione, lo dice un giornalista musicale (io): con la fine dello scritto critico c’è il rischio reale d’atrofizzazione del pensiero critico. Il discorso non vale solo per la musica, ma è generalizzabile a tutte le materie che dall’inizio dell’era antropozoica ad oggi hanno consentito le tappe evolutive dell’etica umana, tutte fondate sul pensiero critico. Poi in molti, soprattutto gli adolescenti e i giovanissimi d’oggi, possono fare spallucce, tanto (dicono) non serve il pensiero critico, tanto è tempo buttato il perdersi a ragionare sulle cose e sulla storia delle cose, tanto (concludono) basta un clic e 140 caratteri sono più che sufficienti per spiegare il mondo. O no? Crediti fotografici: Fototeca gli Amici della Musica.Net Nella miniatura in alto: ritratto a stampa di Pellegrino Turri di Castelnuovo Garfagnana, perfezionatore della macchina per scrivere Al centro: Mark Zucherberg inventore e proprietario di Facebook Sotto: il tavolo dei realtori al MEI; da sinistra Mario De Luigi, Giò Alaimo, Enrico Deregibus, Giordano Sangiorgi , Massimo Isola e Riccardo De Stefano