Le distanze delle stelle, un problema fondamentale dell’astronomia Ciao, riprendiamo oggi a studiare le stelle. L’ultima volta abbiamo parlato della loro luminosità, e abbiamo scoperto che la luminosità apparente di una stella dipende non solo da quanto essa è brillante, ma anche da quanto è lontana. Per questo gli astronomi hanno bisogno di conoscere la distanza delle stelle. Non solo. Determinare le distanze cosmiche è fondamentale per capire come sono distribuiti gli oggetti celesti nello spazio e poter avanzare delle ipotesi sulla struttura dell’Universo. Come possiamo quindi risolvere il problema di determinare le distanze cosmiche, che è un problema fondamentale dell’astronomia? Dobbiamo ricordare che tutte le informazioni che possiamo avere sulle stelle sono contenute nel segnale che da esse ci arriva: la loro “luce”. Forse è questa la chiave per risolvere il problema. Proviamo a ragionare. È nostra esperienza comune che la luminosità di una sorgente dipende dalla distanza che ci separa da questa. Ad esempio i fari di una macchina che si avvicina ci appaiono tanto più luminosi quanto più la macchina è vicina, come abbiamo detto. La stessa cosa possiamo notarla ad esempio se guardiamo una fila di lampioni uguali lungo una strada diritta. Quello più vicino a noi ci apparirà più luminoso del secondo, che pure è uguale, e questo ci apparirà più luminoso del terzo e così via. Sappiamo già come varia la luminosità con la distanza (con l’inverso del quadrato della distanza) e possiamo dire che un lampione stradale a 100 metri di distanza apparirà 4 volte più brillante di uno a 200 metri e 9 volte più brillante di uno a 300 metri. 1 La strada da seguire per trovare la soluzione, quindi, è questa: la luminosità apparente di una stella dipende dalla distanza. Il Sole, per esempio, ci appare così luminoso perché è la stella più vicina a noi (150 milioni di chilometri). Se lo guardassimo da un pianeta più lontano del nostro, Marte o Giove ad esempio, lo vedremmo più piccolo e più debole. Il Sole visto da Marte Il Sole visto dalla Terra Ora rovesciamo il ragionamento e vediamo cosa ne possiamo ricavare. Se noi sapessimo quanto è intrinsecamente luminoso un lampione della strada, misurando la sua luminosità apparente (ovvero vedendo quanto brillante ci appare), potremmo capire a che distanza si trova. Come? semplicemente misurando la differenza fra luminosità apparente e luminosità intrinseca. Lo stesso vale per una stella. Se riusciamo in qualche modo a sapere quanto luminosa è una stella, potremo scoprire anche quanto è distante, confrontando la sua luminosità apparente con quella che sappiamo essere la sua luminosità intrinseca. Riassumendo: un corpo celeste, come una stella, ci appare con una certa luminosità per due motivi, che sono indipendenti fra loro. Sia perché è relativamente vicino, sia perché effettivamente è molto luminoso. La luminosità delle stelle e degli altri corpi celesti si misura usando la scala delle magnitudini, che ci proviene dalla antica classificazione delle stelle osservabili a occhio nudo. Già ai tempi degli antichi Greci, le stelle visibili ad occhio nudo, circa 4-5.000, sono state divise dagli antichi astronomi in sei classi di magnitudine: dalla prima per le stelle più luminose, alla sesta per le più deboli. La scala è tale per cui la luminosità di due stelle che distano 5 classi di magnitudine, ad esempio 2 la prima e la sesta, stanno tra loro nel rapporto 1/100. In altre parole una stella di prima magnitudine non è 6 volte, bensì 100 volte più luminosa di una stella di sesta magnitudine. Questa scala vale ancora oggi, anche se è stata estesa sia per le stelle più luminose della prima classe che per quello di stelle più deboli della sesta. Con i moderni telescopi oggi riusciamo a vedere stelle di ventottesima magnitudine apparente, ovvero che ci appaiono 100 miliardi di volte più deboli della stella meno luminosa visibile ad occhio nudo. Questo ovviamente non significa che queste stelle siano così poco luminose, semplicemente sono molto distanti da noi. Per usare la lingua degli astronomi distinguiamo quindi tra magnitudine apparente e magnitudine assoluta di un oggetto celeste, come una stella. La magnitudine apparente misura la luminosità dell'oggetto come appare da Terra, e questa quantità dipende da due fattori: la luminosità effettiva della sorgente (luminosità intrinseca) e la sua distanza dalla Terra. (Ricordate che l'intensità di una sorgente puntiforme diminuisce inversamente al quadrato della distanza a cui si trova l'osservatore). La magnitudine assoluta invece è la misura della quantità di energia luminosa effettivamente emessa dalla sorgente celeste, cioè la sua luminosità intrinseca. La definiamo come la magnitudine apparente che la sorgente avrebbe se fosse osservata da una distanza di 32,6 anni luce. Forse sembra complicato, ma si può riassumere in modo semplice: noi vediamo una stella con una certa luminosità, sappiamo quanto 3 dovrebbe essere luminosa e di conseguenza possiamo calcolare quanto distante è. La differenza tra magnitudine apparente e magnitudine assoluta ci dà quindi la stima della distanza dell'oggetto. La strada per conoscere la distanza delle stelle è senz’altro questa. C’è ora però un ultimo ostacolo: come facciamo a capire quanto è luminosa una stella vista da 32.6 anni luce? Non ci possiamo certo andare! Ecco che entra in scena il metodo della parallasse, con il quale, se lo ricordate, si riesce a determinare abbastanza precisamente la distanza delle stelle più vicine: avremo quindi poche centinaia di stelle, per le quali la distanza è nota con certezza. Di queste stelle, nota la loro distanza e la loro luminosità apparente, possiamo ricavare la magnitudine assoluta (ricordati dei lampioni!). In questo modo ci saremo costruiti delle “candele campione”. Queste ci serviranno per ricavare la distanza di altre stelle, troppo lontane per poter usare il metodo della parallasse. Come? Tra le stelle di cui sappiamo misurare la distanza con la parallasse, ne troveremo di molti tipi. Noi possiamo distinguere i diversi tipi analizzando la luce che ci arriva da questi oggetti, luce che ha caratteristiche diverse per ciascun tipo di stella. Una volta determinata la loro magnitudine assoluta (grazie alla conoscenza della loro magnitudine apparente e distanza) questi tipi di stelle potranno essere usati come degli standard, una specie di “modello” di stella da confrontare con le altre. Infatti si suppone che ogni tipo di stella abbia una determinata luminosità intrinseca, cioè una determinata magnitudine assoluta. Ogni volta che vedremo in cielo una stella lontana di un certo tipo (che riconosceremo analizzando la sua luce), sapremo che ha la stessa magnitudine assoluta di una stella dello stesso tipo, ma vicina a noi. Il gioco è fatto: misurando la magnitudine apparente di quella stella lontana e conoscendone la magnitudine assoluta, dalla differenza fra magnitudine apparente ed assoluta potremo ricavare la sua distanza. 4 Finalmente siamo arrivati alla fine del ragionamento: grazie alla misura della luminosità delle stelle posso arrivare alla loro distanza. Facciamo un esempio, fra i più importanti, di stelle che sono “candele campione”, chiamati anche, più spesso, indicatori di distanza: le Cefeidi. Le Cefeidi sono stelle giganti, molto luminose intrinsecamente, la cui luminosità varia con estrema regolarità, con periodi compresi tra 1 e 70 giorni. La luminosità delle Cefeidi aumenta e diminuisce periodicamente perché queste stelle pulsano, cioè aumentano e diminuiscono continuamente di dimensioni. Gli astronomi hanno scoperto che il periodo delle pulsazioni, ovvero il tempo che impiegano a tornare alla dimensione di partenza, è strettamente legato alla luminosità intrinseca della stella. In parole più semplici aumentano e diminuiscono di luminosità in modo estremamente regolare, a seconda di quanto aumenta o diminuisce il loro diametro, come un pallone luminoso che si gonfia e sgonfia ritmicamente. Una cefeide è in qualche modo come un faro in mare, che si può riconoscere proprio dalla pulsazione della lampada. Siccome gli astronomi conoscono alcune Cefeidi abbastanza vicine al Sole, hanno potuto ricavare la loro distanza con il metodo della parallasse: dunque conoscono la loro magnitudine assoluta, che a sua volta è legata al periodo di pulsazione. In questo modo hanno potuto ricavare una formula che lega il periodo di pulsazione di una Cefeide alla sua magnitudine assoluta. Allora è semplice: se vediamo in cielo una stella, e la sua luminosità cambia in quel modo caratteristico, possiamo dire che si tratta di una Cefeide. Dal periodo di pulsazione ricaviamo la sua magnitudine assoluta, poi misuriamo la sua magnitudine apparente, ed ecco fatto: possiamo calcolare la sua distanza! Così ci siamo procurati un altro metodo per conoscere la distanza analizzando la luminosità. Esistono molti altri metodi, più o meno raffinati e complicati per calcolare la distanza di un oggetto celeste e spesso ne vengono usati più di uno sugli stessi oggetti per avere una riprova dei valori che si trovano e della bontà dei metodi usati. 5 Con questo ragionamento abbiamo ripercorso quello che si chiama il metodo di costruzione della “scala delle distanze cosmiche”, che la scienza ha messo a punto in centinaia di anni di ricerca. E lo sforzo continua. Conoscere la distanza è un dato fondamentale per capire come è fatto l’Universo e gli oggetti che lo compongono. La formazione delle stelle Dopo aver capito come gli astronomi hanno risolto il problema importantissimo di ricavare le distanze delle stelle, parliamo un po’ di come queste si formano ed evolvono nel tempo. L’Astronomia è una scienza osservativa, non permette cioè, come ad esempio la fisica o la chimica, la sperimentazione. Un fenomeno astronomico non può essere ripetuto, magari cambiando le condizioni dell’esperimento. Può solo essere osservato, e per di più da un unico punto di vista e per un tempo, quello della vita umana, molto minore rispetto ai milioni o miliardi di anni di durata della gran parte dei fenomeni astronomici. Nonostante questo, riusciamo a ricostruire la storia e la casistica delle stelle, la componente di base delle galassie, osservando e analizzando attraverso i telescopi l’unico messaggio che ci arriva da questi corpi celesti: la luce visibile e tutto il resto della radiazione elettromagnetica che essi emanano. Riusciamo a capire a che distanza si trovano da noi, ma soprattutto le loro reciproche distanze, a capire la grande varietà delle dimensioni delle stelle, ma anche della loro massa, che può essere da pochi decimi di quella solare a cento volte quella del Sole. Con i telescopi riusciamo a vedere i tanti colori delle stelle, che ci dicono qual è la loro temperatura: da poche migliaia di gradi a molte centinaia di migliaia. Riusciamo a capire quale può essere la loro struttura e come si possono evolvere nel tempo. Si potrebbe pensare che, allo stesso modo del Sole, le stelle siano astri isolati, distribuiti nella Galassia. In realtà sono molto più “socievoli”: due terzi delle stelle sono raggruppate in sistemi multipli, cioè sistemi di due o più stelle, legate insieme dalla reciproca attrazione gravitazionale. La maggior parte di questi sistemi sono binari, cioè formati da due sole stelle, come ad esempio Sirio, ma esistono anche sistemi tripli, quadrupli e perfino sestupli ! Queste stelle ruotano attorno ad un punto comune, che è il baricentro del sistema, compiendo ciascuna un'orbita ellittica. 6 Tuttavia le stelle, sia singole che multiple, sono spesso riunite anche in gruppi più numerosi: gli ammassi stellari. Si tratta di decine, centinaia o migliaia di stelle, legate fra loro dalla reciproca attrazione gravitazionale. Come nel caso del Sistema Solare, le orbite delle varie stelle, le une attorno alle altre, sono determinate da questa attrazione. Tuttavia, mentre nel Sistema Solare la massa del Sole è predominante su quelle dei pianeti, e quindi il campo gravitazionale dovuto al Sole determina il moto di tutti gli altri corpi, nel caso degli ammassi stellari le masse delle stelle che lo compongono sono abbastanza simili. Ogni stella quindi risente contemporaneamente dell’attrazione di tutte le altre, di conseguenza le loro orbite sono molto complesse. Il fatto che molte stelle siano riunite in gruppi e ammassi risale al periodo durante il quale esse sono nate. Le stelle si formano da grandi nubi di gas e polvere, si evolvono nel corso di milioni o miliardi di anni. Quando arrivano al termine della loro evoluzione, riemettono nello spazio buona parte del materiale di cui sono composte e che, nel corso della loro evoluzione, è stato modificato dalle reazioni nucleari che hanno avuto luogo al centro delle stelle. Questo, in estrema sintesi, può essere il riassunto della formazione e dell’evoluzione stellare che andremo a esaminare nelle prossime pagine. Solo 30 anni fa non era chiaro che lo spazio tra una stella e l’altra contiene materia sotto forma di nubi di gas e polvere. Si tratta soprattutto di molecole di idrogeno, il più leggero degli elementi e anche il più abbondante nell’Universo: costituisce infatti il 75% di tutta la materia visibile. Grazie a studi recenti, si è compresa l’importanza fondamentale delle nubi di materia interstellare nella formazione delle stelle: è infatti da queste nubi che ha inizio il processo di formazione e evoluzione stellare. 7 Quando parliamo di “nubi” di materiale intendiamo qualcosa di profondamente diverso da quello cui i nostri sensi ci hanno abituato: è sufficiente pensare che parliamo di nube interstellare quando la densità supera 1 particella per centimetro cubo, il volume di un piccolo cucchiaino da caffè. Per fare un confronto e capire quanto poco “denso” è il materiale interstellare pensiamo che nella nebbia fitta o in una nuvola, sono presenti almeno 200 miliardi di miliardi di particelle! Dalla contrazione di queste nubi su sé stesse inizia la formazione ed evoluzione delle stelle. Non è del tutto chiaro perché inizi il processo di contrazione, che comunque è lentissimo: dura centinaia di milioni di anni. Si pensa che in queste nubi, a densità molto bassa, si formino delle lievi concentrazioni di particelle, che si raggruppano anche per eventi casuali, ad esempio si scontrano. In questo modo questi gruppi di particelle, avendo massa maggiore della media, inizieranno ad attrarre per gravitazione altre particelle e così via, con un processo che si auto-amplifica. In altre parole, due o più particelle si aggregano e iniziano ad attirarne altre, man mano che se ne aggiungono la attrazione gravitazionale del gruppo aumenta ed attira sempre più particelle, dato che questa attrazione, come sappiamo, dipende dalla massa. Nelle prime fasi della formazione di una stella possono addensarsi, attorno all’astro, dischi di polvere e gas che sono i precursori di un eventuale sistema planetario. Fino alla metà degli anni ‘90 questa era solo una teoria, accettata dagli scienziati, ma senza l’indispensabile appoggio di una evidenza osservativa. Ora invece, grazie alle immagini di alcuni di questi dischi ottenute da Hubble Space Telescope, abbiamo la prova sperimentale che le cose si svolgono proprio in questo modo. 8 Nell’immagine a fianco si vedono quattro giovanissime stelle, nella regione della Nebulosa di Orione, a circa 1500 anni luce da noi, attorniate da addensamenti di gas e polvere. Questi potrebbero essere dei dischi protoplanetari, che alla fine della propria evoluzione potrebbero formare dei pianeti attorno alle proprie stelle. Abbiamo quindi ora delle prove che sembrano confermare la teoria; si spera di raccoglierne altre grazie ai nuovi strumenti che si stanno progettando, e che saranno pronti per la fine di questo decennio. La prossima volta continueremo a parlare di come si evolvono le stelle. Buon lavoro! Ricorda che se vuoi avere altre informazioni, vedere più immagini o anche rivolgere una domanda direttamente ad un astronomo puoi recarti sul sito Web www.scopriticielo.it. Entra nel sito e clicca sul tuo Osservatorio, quello di Monte Arancio. 9