I Geositi della Provincia di Sondrio

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I Geositi della Provincia di Sondrio
I
Geositi
della Provincia
di Sondrio
a cura di
Livello di interesse
locale
regionale
nazionale
europeo
mondiale
Accessibilità
facile
medio
difficile
Valore estetico
basso
medio
elevato
Rischio compromissione
naturale
antropico
I Geositi
della Provincia
di Sondrio
I Geositi
della Provincia di Sondrio
Indice
2
Geositi della Provincia di Sondrio
Premessa
4
Il territorio della Provincia di Sondrio
6
Inquadramento geografico
6
Geomorfologia
6
Geologia
9
I geositi della Provincia di Sondrio
19
Dalle “singolarità geologiche” ai “geositi”: il percorso
della normativa lombarda, italiana e comunitaria
19
La gestione delle aree protette nel territorio di Sondrio
19
Il censimento geositi in ambito “Conservazione del
Patrimonio Geologico Italiano”
19
I geositi nel Piano Paesaggistico Regionale della Lombardia
20
I geositi nell’ambito del PTCP di Sondrio
20
Esperienze di geoconservazione realizzate o avviate
da altri enti sul territorio di Sondrio
21
Bibliografia
21
La carta geologica della Provincia di Sondrio
22
I Geositi della Provincia di Sondrio
1 - Pian dei Cavalli e Alpe Gusone
2 - Caürga del Torrente Rabbiosa
3 - Paleofrana di Cimaganda
4 - Caürga di Chiavenna
5 - Marmitte dei Giganti
6 - Cascate dell’Acquafraggia
7 - Frana di Piuro
8 - Lotteno
9 - Solco della Val Piana
10 - Cave di Riva
11 - San Giorgio
12 - Cava di Fornaci di Nuova Olonio
13 - Pian di Spagna
14 - Lago di Trona
15 - Conoide del Tartano
16 - Val di Mello e Sasso di Remenno
17 - Piramidi di Postalesio
18 - Dossi di Triangia
19 - Sasso Bianco
20 - Torbiera dell’Alpe Palù
21 - Ruinon del Curlo
22 - Parco geologico di Chiareggio
23 - Val Sissone
24
26
30
32
34
36
38
40
42
44
46
48
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52
56
60
62
66
68
70
72
74
76
78
24 - Sentiero glaciologico del Ventina
25 - Campo Franscia e Val Brutta
26 - Valle dello Scerscen
27 - Vedretta di Scerscen Inferiore
28 - Sentiero glaciologico del Fellaria
29 - Forno fusore nella Val Venina
30 - Conglomerato di Sazzo
31 - Il “punt de sass” di Villa di Tirano
32 - Torbiera di Pian Gembro
33 - Madonna di Tirano
34 - Rupe Magna e Dosso Giroldo
35 - Cava Maffei
36 - Frana della Val Pola
37 - Paluaccio di Oga
38 - Val Viola Bormina
39 - Passo del Foscagno
40 - Passo d’Eira
41 - Cresta di Reit
42 - Piano delle Platigliole
43 - Vedretta della Miniera
44 - Ghiacciaio dei Forni
82
86
88
90
92
96
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100
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130
132
Glossario
Crediti
134
139
Geositi della Provincia di Sondrio
3
Premessa
4
Geositi della Provincia di Sondrio
La Lombardia è stata la prima regione italiana a dotarsi, ben 26
ri”, è stata comunque oggetto di iniziative di valorizzazione,
tica come pochi altri in Lombardia, sul quale si è concentra-
anni fa, di un elenco di aree naturali da tutelare per i valori flo-
numerose e significative nonostante la loro frammentarietà: in
ta per un ventennio, a partire dalla grande alluvione del 1987,
ristici, faunistici e geologici che le caratterizzano. Quell’espe-
proposito si possono ricordare, tra le molte, le esperienze del
l’attività di indagine e di intervento di Regione Lombardia. Al
rienza pionieristica si è poi tradotta in una ricca e prolungata
parco geologico di Chiareggio (SO), di quello paleontologico
di là degli aspetti di rigore scientifico e di corretta applicazio-
attività di tutela e valorizzazione delle aree protette lombarde,
di Cene (BG) e dei parchi minerari dei Piani Resinelli (LC), di
ne della normativa, che necessariamente sottendono un’attivi-
anche in applicazione della Legge Regionale 86 del 1983. Nel
Schilpario e della Val Trompia (BS). I geositi della Provincia
tà di censimento come quella qui proposta, è utile sottolinea-
frattempo, la componente geologica del territorio (c.d. abiotica)
di Pavia sono stati censiti e descritti in una recente pubblica-
re come la geologia possa rivelarsi una chiave di lettura forte
riceveva una sempre maggiore attenzione da parte della comuni-
zione curata dall’Amministrazione Provinciale, mentre i geosi-
per la comprensione di un territorio e quindi per la sua valo-
tà scientifica e delle amministrazioni locali, con la crescente af-
ti dell’Insubria saranno oggetto di valorizzazione nel quadro
rizzazione, culturale e turistica.
fermazione del significato e del valore della “geodiversità”, per-
di un progetto europeo Interreg guidato dalla Comunità Mon-
Tra i 42 geositi proposti, ritengo emblematici da questo pun-
cepita come una qualità che supporta e integra la biodiversità
tana Valsassina. Inoltre, proprio questo primo scorcio di 2008
to di vista i casi delle cave di pietra ollare, che da secoli con-
all’interno degli ecosistemi. In concreto, la tutela della compo-
ha registrato una tappa fondamentale nel percorso di valoriz-
traddistinguono in positivo un settore significativo dell’eco-
nente geologica del territorio si realizza attraverso l’individua-
zazione della geodiversità, con l’approvazione da parte della
nomia della provincia, o il caso della Val di Mello, dove la
zione puntuale di una trama di elementi (“geositi”) che emer-
Giunta Regionale dell’aggiornamento del Piano Paesaggistico
singolarità geologica locale - legata all’onnipresenza del gra-
gono per rarità, rappresentatività o esemplarità didattica e che
Regionale – sezione specifica della proposta di Piano Territo-
nito - ha favorito, a partire dagli anni ’70, l’assidua frequen-
testimoniano, con una fisicità accompagnata da forti elemen-
riale Regionale – che aggiorna e integra il Piano Territoriale
tazione da parte di una comunità, quella dei “sassisti”, che si
ti di conoscenza scientifica, le tappe nell’evoluzione geologica,
Paesistico Regionale del 2001. La proposta approvata introdu-
è spinta a ridefinire la toponomastica stessa della valle, in un
climatica e biologica di un territorio; ciò è particolarmente evi-
ce i geositi, censendone ben 264 sull’intero territorio regiona-
atto di gioiosa riappropriazione dei luoghi che di rado è con-
dente nel territorio lombardo, che è ricco di testimonianze degli
le e assoggettandoli a una normativa specifica.
cessa all’uomo moderno.
ultimi 300 milioni d’anni di storia del nostro pianeta.
Questa pubblicazione, realizzata in collaborazione con IREALP,
Tale ricchezza di testimonianze geologiche, spesso poco per-
rappresenta invece un compendio dei geositi della Provincia di
cepita al di fuori della ristretta cerchia degli “addetti ai lavo-
Sondrio, territorio meritevole di attenzione per questa tema-
L’Assessore all’Urbanistica e Territorio
Regione Lombardia
Geositi della Provincia di Sondrio
5
Il territorio
della Provincia di Sondrio
Inquadramento geografico
476 d.C.
Età Romana
Età del ferro
Età del bronzo
Età del rame
Neolitico
Mesolitico
Paleolitico
P o s t g l a c i a l e
Medioevo
Piccola Età
Glaciale
1
Optimum
climatico
10.3
125
Tardiglaciale (Dryas I-III)
10
16.5
Ultimo Massimo
Glaciale
(Würm Auctorum)
75
Tirreniano o
Eemiano
100
Glaciazioni del
Pleistocene Inferiore
e Medio
(Günz, Mindel, Riss
Auctorum)
780
PLEIST
INF.
Geositi della Provincia di Sondrio
1492 d.C.
PLEISTOCENE
MEDIO
6
Età
Moderna
1000
1810
PASSATO
GEOLOGICO
Sulla destra il pizzo
Bernina, la cima più alta
della Provincia di Sondrio.
II territorio tipicamente alpino della provincia di Sondrio presenta una morfologia giovanile, legata essenzialmente all'azione di modellamento esercitata dalle acque e dai ghiacciai, che
hanno agito con tempi e modalità diverse. Tuttavia le principali incisioni vallive (valle dell'Adda, valle della Mera) sono
probabilmente di età relativamente antica, oltre i 6 milioni
d’anni (Ma), e fortemente incise dalle acque superficiali durante il Messiniano; a quel tempo, a causa del drastico abbassamento del livello marino nell’intero bacino del Mediterraneo,
dovuto alla temporanea chiusura dello stretto di Gibilterra, i
fiumi incisero profondamente le valli alpine, i cui fondovalle
vennero a trovarsi ben al di sotto del precedente livello del
mare (ricordiamo che, prima della crisi di salinità messiniana,
il Mediterraneo ricopriva per intero l'attuale pianura Padana).
Questi antichi processi sono testimoniati dai laghi pedemontani, come il Lario, il cui fondale raggiunge i 211 m sotto il livello del mare. La successiva ingressione marina del Pliocene
0.1
PREISTORIA
Geomorfologia
(5 Ma) ha "allagato" le valli principali, trasformandole in fiordi, che andavano man mano colmandosi per apporto di detriti generati dalla progressiva erosione della catena montuosa.
Durante le glaciazioni quaternarie (da 870.000 fino a 10.000
anni fa) la regione alpina fu ricoperta da una spessa coltre di
ghiacci e ampie lingue glaciali hanno modellato i versanti delle valli; il ghiacciaio dell'Adda è ridisceso più volte fino all’alta
pianura (Brianza), erodendo e levigando le valli e trascinando
con sè una gran quantità di detriti. Inoltre la decompressione
sviluppatasi sui versanti in seguito al ritiro dei ghiacci dell'ultima glaciazione (Würm), ha provocato fenomeni di rilascio
nei pendii, con franamenti e innesco di deformazioni gravita-
PLEISTOCENE SUP.
quello orobico, che presenta anche una costante esposizione
a Nord. La Valchiavenna, a causa della sua orientazione quasi
perpendicolare alla Valtellina, presenta un clima più mite ma
più piovoso di quello valtellinese.
Le condizioni climatiche e le grandi differenze di quota tra
fondovalle e cime più elevate hanno chiaramente influito sullo
sviluppo della vegetazione; il paesaggio valtellinese e valchiavennasco è dominato fino a quote attorno ai 600-700 m s.l.m.
da boschi di latifoglie; tra queste il castagno, spesso prevalente, si spinge fino a circa 1000 m s.l.m.. A quote più elevate
incominciano a comparire le conifere che diventano predominanti a partire dai 1400 m s.l.m. e si spingono, con esemplari isolati, fino ai 2300 m s.l.m.. Sui fondovalle e sui versanti meno acclivi, l'antropizzazione ha influito notevolmente
sulla vegetazione, con ampi disboscamenti per ottenere prati e colture, nonché con terrazzamenti per la coltivazione della vite o di piante da frutta. Anche il netto incremento di popolazione a partire dal secolo scorso ha influito sull'equilibrio
dell'ambiente: in passato i centri abitati erano situati prevalentemente sui terrazzi naturali dei versanti, più salubri del
fondovalle e al sicuro da alluvioni; le bonifiche e soprattutto
lo sviluppo delle attività industriali hanno portato alla rapida colonizzazione del fondovalle e soprattutto dei conoidi alluvionali, su cui oggi sorgono gran parte dei maggiori centri
abitati della provincia.
Attualmente il turismo è la maggior attività economica della provincia, anche se non ha del tutto cancellato l'antica vocazione agricola né ha frenato il recente sviluppo industriale;
l'attività turistica ha portato ad un maggior sfruttamento, talvolta anche molto intenso, del territorio, ma si è tuttavia ben
inserita nel tessuto umano e ambientale della provincia.
OLOCENE
te vallata, la Valtellina, nella sua porzione inferiore e centrale,
è ad esempio orientata Est-Ovest, così come altre valli minori: questa orientazione è chiaramente legata a fattori tettonici, che hanno ampiamente agito in questa regione negli ultimi 25 milioni di anni. Anche l'orientazione della Valchiavenna
risente della strutturazione recente del substrato che ha guidato l'azione erosiva degli agenti esogeni. La parte medio-alta
della Valtellina si sviluppa invece dapprima in direzione NE-SO
e quindi Nord-Sud, con varie diramazioni laterali; qui è stata
preponderante l'azione erosiva dei ghiacciai, che si sono mossi su un substrato dalla struttura molto complessa. I più recenti eventi geologici hanno colmato di materiale detritico gli
ampi fondovalle, sia della bassa Valtellina che della bassa Valchiavenna, che un tempo si situavano ben al di sotto del livello del mare e che oggi si ritrovano a quote comprese tra i
200 ed i 300 m s.l.m.
L'attuale modellamento del territorio è legato alle condizioni climatiche. II clima della Provincia di Sondrio non è molto
uniforme, a causa degli elevati dislivelli presenti; buona parte della Valtellina mostra un clima di tipo continentale, con
piovosità media nella parte alta della valle, che diviene man
mano più accentuata scendendo nella bassa valle, verso il Lario. Differenze climatiche si notano anche tra i vari versanti: ad esempio il versante retico è più mite e meno piovoso di
STORIA
La Provincia di Sondrio si situa nel Nord della Lombardia, interamente in area alpina, e copre una superficie di 3212 km2.
II territorio della provincia si sviluppa lungo il corso superiore dell'Adda e dei suoi principali affluenti, che si addentrano
profondamente nelle valli alpine incise nei massicci montuosi
delle Alpi Retiche e delle Prealpi Orobiche; solo l'estrema porzione occidentale della provincia (versante destro della Valchiavenna) si situa nelle Alpi Lepontine. Lungo il crinale alpino, da Ovest verso Est, compaiono i massicci del Tambò (3275
m), del Suretta (3027) - Emet (3210) - Stella (3163), del Disgrazia (3678), del Bernina - Palù (con la massima quota della regione, 4050 m), dello Scalino (3323) - Canciano (3103),
della Cima Redasco (3139) - Cima Piazzi (3439) e dell'Ortles
(3905) - Cevedale (3764). La parte sud-occidentale della provincia è invece limitata dalle Prealpi Orobiche, le cui principali vette montuose (Massiccio Coca-Redorta-Scais) superano di
poco i 3000 m. II territorio è quindi in gran parte montuoso,
e ben 2255 km2 , cioè il 67% circa della superficie della provincia, è situato a quote superiori ai 1500 m s.l.m.
Lo sviluppo delle principali valli della Provincia di Sondrio è
in buona parte legato alla struttura ed alla complessa evoluzione tettonica del substrato roccioso, inciso poi da ghiacciai, torrenti e fiumi durante il Quaternario. La più importan-
PLIOCENE
5200
MIOCENE
Crisi di salinità
messiniana
10000
Geositi della Provincia di Sondrio
7
tive profonde, evidenziate da contropendenze e trincee, non
rare soprattutto nella media e alta Valtellina, in Val Bregaglia
e Val S. Giacomo.
II sistema idrografico della provincia di Sondrio è condizionato dalla presenza di due grandi bacini, quello dell'Adda (Valtellina) e quello della Mera (Valchiavenna), entrambi confluenti nell'alto Lario; fanno eccezione i piccoli bacini dello
Spöl (nel Livignasco), tributario dell'Inn, e quello della Val di
Lei (Madesimo), tributario del Reno. L'Adda ha un bacino di
2646 km2, la Mera di 762 km2.
L'escavazione fluviale delle valli principali ha seguito in parte lineamenti strutturali ben precisi; da Tirano all'alto Lario,
la Valtellina segue, nella sua porzione inferiore, l'importante
Linea Insubrica, orientata Est-Ovest, mentre la Valchiavenna
mostra un allineamento circa NO-SE, guidato da strutture recenti con la medesima direzione. Le valli laterali, tra cui si segnalano la Val Masino, la Valmalenco e la Val Grosina, e l'alta Valtellina, in cui l'attività dei ghiacciai quaternari ha avuto
maggior intensità, hanno una morfologia maggiormente complessa, non più guidata, se non marginalmente, dalle strutture del substrato roccioso, ma fortemente condizionata dall'erosione glaciale e in seguito fluviale; fanno eccezione alcune
vallate minori orientate in direzione Est-Ovest oppure in direzione NO-SE, cui si legano i maggiori sistemi di fratture della
regione. Più lineare è la situazione del versante orobico, in cui
le valli, e quindi l'idrografia, presentano di norma un’orientazione perpendicolare al fondovalle valtellinese.
II modellamento glaciale è ben evidente in tutto il territorio
provinciale; circhi e terrazzi glaciali, rocce montonate, con-
8
Geositi della Provincia di Sondrio
che e soglie glaciali, valli sospese, superfici di esarazione e
valli dalla caratteristica forma ad U, testimoniano l'importante azione erosiva dei ghiacciai. I resti del passaggio dei ghiacciai durante le loro fasi di espansione, come il loro ultimo progressivo ritiro, sono riconoscibili nei depositi e nei cordoni
morenici, di varia età, nei depositi dei diversi terrazzi di erosione glaciale, posti a vari livelli sui versanti, e nei massi erratici, talora giganteschi, che compaiono in numerose località. Estesi sono anche i depositi fluvio-glaciali, generati dal
trascinamento da parte delle acque delle grandi quantità di
detrito generate dall'azione glaciale. Nelle porzioni inferiori
delle valli, salvo alcune soglie glaciali, non di rado profondamente incise, la morfologia glaciale è in gran parte mascherata dalla successiva azione erosiva delle acque superficiali. Attualmente restano in tutta la provincia circa 170 ghiacciai,
situati soprattutto sui versanti rivolti a Nord, comunque in
fase di forte ritiro. Al di sotto o presso questi ghiacciai, non
di rado compaiono depositi detritici di forma allungata, attraversati da varie ondulazioni parallele al pendio: sono i cosiddetti rock glaciers. Si tratta di detriti parzialmente o totalmente cementati da ghiaccio, che subiscono lenti movimenti
di scivolamento a valle che a loro volta generano la particolare struttura ondulata. Anche la attività delle valanghe crea
forme evidenti, come accumuli a forma di cono, alla base dei
canaloni, in cui si sovrappongono spesso anche l'azione della
gravità o delle acque.
Attualmente l'erosione torrentizia è preponderante in quasi
tutta la provincia; essa ha interessato e spesso reinciso le
precedenti morfologie glaciali. Nelle soglie glaciali i torrenti
si sono aperti la strada incidendo spesso profonde forre, non
di rado guidate dai sistemi di frattura del substrato roccioso.
Nelle parti basse delle valli invece la distribuzione dei corsi
d'acqua è per lo più legata alla struttura tettonica del substrato; in alcuni casi si notano brusche deviazioni dell'asta torrentizia e si notano anche paleoalvei oramai inutilizzati dalle acque; questi fenomeni sono legati all'attività tettonica recente
(movimenti neotettonici) e, talora, allo sviluppo di grandi frane. Meno comuni sono i casi di cattura fluviale, in genere legati anch'essi a movimenti neotettonici, come lungo il fiume
Serio o l'alto corso della Mera (o Maira).
L'azione delle acque, localmente piuttosto intensa, provoca
erosioni sia di sponda che di fondo, che possono intaccare
in misura considerevole i versanti, innescando franamenti o
mobilizzazioni di zone interessate da deformazioni gravitative profonde o di paleofrane; non rari sono anche i fenomeni
di erosione accelerata, che intaccano i depositi di versante o
glaciali, oppure le zone dove il substrato roccioso è fortemente cataclasato. Per molte valli minori, che scendono fino alle
quota del fondovalle, la morfologia è quindi oramai mutata da
una forma “a U”, tipica dell'erosione glaciale, ad un profilo “a
V”, dovuto all'incisione dei torrenti; al loro sbocco sul fondovalle si sono formati ampi conoidi alluvionali, come quelli
che si notano sui fondovalle della Valtellina e della Valle della Mera, che sono testimoni di questa evoluzione morfologica, talora molto rapida. La diversa resistenza all'erosione del
substrato e le differenti modalità di trascinamento a valle del
materiale eroso, fanno sì che spesso a piccole e profonde valli
corrispondano estesi conoidi (ad esempio a Ponte in Valtellina), mentre a valli più ampie e "ramificate" corrispondono conoidi spesso solo accennati (Val Grosina, etc.).
I fondovalle sono occupati da imponenti quantità di materiale
alluvionale, con ampi terrazzi e piane alluvionali ben sviluppate; fino ad alcuni decenni fa, l'Adda e la Mera disegnavano
ampi meandri entro questi depositi e presentavano ancora intatte le loro aree di esondazione, poi in gran parte cancellate
dai lavori di regimazione fluviale.
Lo sfruttamento delle acque per la produzione di energia elettrica, con la costruzione di numerosi bacini artificiali, ha spesso causato importanti variazioni nella portata di numerosi torrenti e fiumi; assieme alla regimazione dei fiumi, gli interventi
dell'uomo sulle acque hanno portato talora a brusche variazioni nella profondità degli acquiferi e a problemi di stabilità dei
terreni sovrastanti.
Geologia
La struttura geologica della provincia di Sondrio è strettamente legata agli eventi che hanno portato alla formazione della
catena alpina. Le Alpi hanno una lunga storia, iniziata circa
280 milioni di anni fa, quando il grande continente della Pangea (che raggruppava l'Europa, l'Africa e le Americhe) iniziò la
Tipico esempio di valle
“a U”, la Val di Mello.
Un conoide
intensamente
urbanizzato, quello
della valle del Bitto su
cui sorge Morbegno.
Geositi della Provincia di Sondrio
9
sua lenta frantumazione. Tra Europa e Africa iniziò un assottigliamento della crosta continentale che fu la causa dell'ingressione marina all'inizio del periodo Triassico (circa 250 milioni
di anni fa). La trazione continua della crosta causò in seguito una rottura della stessa, con eruzione di lave che formarono una nuova crosta oceanica. Questa rottura portò alla individuazione di due nuovi continenti, o più precisamente di due
distinte placche litosferiche: la paleoeuropa, a Nord, e la paleoafrica, a sud, separate dall'Oceano della Tetide Alpina che
raggiunse, nella sua massima espansione, oltre 1000 km di
ampiezza. A partire da circa 120 milioni di anni fa i movimenti divergenti delle due placche si invertirono, sicché paleoeuropa e paleoafrica cominciarono a convergere; la crosta oceanica della Tetide Alpina subì così un processo di subduzione al
di sotto della placca paleoafricana, sul cui margine cominciò a
svilupparsi una catena montuosa (detta catena eoalpina) generata dall'accatastarsi di scaglie di crosta oceanica e continentale. I moti di convergenza delle placche proseguirono fino
alla completa subduzione della crosta oceanica e quindi alla
collisione tra la catena eo-alpina ed il margine continentale
paleoeuropeo (circa 40-50 milioni di anni fa).
La collisione provocò imponenti fenomeni traslativi entro le
masse rocciose; si formarono così le principali strutture delle
unità che costituiscono l'attuale catena alpina: le falde di ricoprimento. La sovrapposizione delle falde di ricoprimento è
l'elemento principale della struttura della catena alpina; nella
Alpi Centrali le falde appartengono a due domini strutturali: il
Pennidico e l'Austroalpino. Le falde pennidiche rappresentano
la porzione più deformata della catena eo-alpina e corrispondono a settori completamente oceanizzati della Tetide Alpina,
in una posizione intermedia tra paleoeuropa e paleoafrica. Le
falde austroalpine rappresentano invece la parte più esterna
dell’antico margine continentale paleoafricano. L'impilamento
di queste falde ha causato un ispessimento della crosta che
ha provocato nelle rocce, sottoposte a forte carico litostatico, profonde trasformazioni (metamorfismo); questo processo
di trasformazione di una roccia comporta modifiche sia a livello strutturale che mineralogico. Tipiche delle rocce metamorfiche sono il netto allineamento dei minerali causato dalle
pressioni orientate generate dal carico litostatico e dai movimenti traslativi delle falde.
Dopo il metamorfismo, avvenuto tra 45 e 30 milioni di anni
fa, e l'intrusione di plutoni granitici (30-35 milioni di anni),
la parte assiale della catena ha subito un rapido sollevamento (valutato in 10-20 km) ed è retroscorsa sulle unità presenti
più a sud (dominio Sudalpino) lungo la Linea Insubrica. Movimenti traslativi lungo zone di frattura a carattere fragile sono
le attività tettoniche più recenti segnalate nelle Alpi Centrali;
alcune di queste linee di frattura sono attive ancor oggi, come
ad esempio la Linea dell'Engadina.
10
Geositi della Provincia di Sondrio
Nel territorio della provincia di Sondrio sono rappresentati tre
domini alpini (fig. 1); le falde Pennidiche occupano la porzione più occidentale (dalla Valmalenco alla Valchiavenna),
mentre quelle Austroalpine ricoprono l'intera Valtellina, a nord
della Linea Insubrica che attraversa la bassa valle da Nuova
Olonio a Stazzona; il versante orobico fa invece parte del Sudalpino.
Le falde Pennidiche affiorano estesamente in Valchiavenna e
mostrano una strutturazione piuttosto complessa, soprattutto
nella bassa valle della Mera. A Nord, la Val S. Giacomo è occupata dalla falda Tambò e dalla soprastante falda Suretta; sono
entrambe costituite da grossi piastroni di gneiss, spessi circa 4-5 km, che immergono debolmente verso ENE. Le litologie
principali sono costituite da paragneiss e da micascisti, spesso a granato, talora con staurolite e cianite, in cui si intercalano livelli di anfiboliti e di ortogneiss. Nella Falda Suretta
è compreso anche un corpo di vulcaniti acide (da metarioliti
fino a gneiss fengitici) di età permiana (Porfiroidi di Roffna);
anche nella Falda Tambò è presente una grande massa di porfiroidi permiani, noti impropriamente come "Quarziti dello Spluga". Un plutone granitico varisico (Metagranito del Truzzo) è
inoltre incluso negli gneiss della Falda Tambò; esso si sviluppa
in senso Ovest-Est per circa 27 km, dal bacino del Truzzo fino
a Vicosoprano, in Val Bregaglia.
La separazione tra le falde Tambò e Suretta è marcata da
una fascia di rocce quarzitiche e carbonatiche ("Zona permomesozoica dello Spluga"), originatesi da sedimenti datati a
270-180 milioni di anni; essa si sviluppa dal Passo dello Spluga e attraverso la Val Scalcoggia ed il Passo d'Avero, raggiunge Stampa. Lembi di queste rocce affiorano anche sul versante
idrografico destro della Val S. Giacomo, in particolare al Pian
dei Cavalli, in Val Febbraro e presso il Pizzo Quadro. Sopra i sedimenti carbonatici del Pian dei Cavalli, sul Monte Tignoso, si
riconosce inoltre un elemento strutturalmente isolato (o klippe) di gneiss appartenenti alla soprastante Falda Suretta.
Da Chiavenna fino a Nuova Olonio la struttura geologica è molto più complicata. Presso Chiavenna affiorano rocce basiche
ed ultrabasiche ("Complesso ofiolitico di Chiavenna") che si
estendono in direzione Ovest-Est fino alla Val Bondasca; sono
interpretate come un lembo di mantello sotto crosta oceanica
assottigliata, ora intercalata alla base della Falda Tambò. Sul
versante destro della Valle della Mera, sopra Gordona, lungo la
Valle della Forcola passa il limite tra la Falda Tambò e la sottostante Falda Adula, che affiora fino al Lago di Novate Mezzola;
sul versante opposto, da Cappella di Pizzo fino quasi a Verceia,
si estende invece il Complesso del M. Gruf, probabilmente correlabile alla Falda Adula. Entrambe queste unità sono composte in prevalenza da gneiss migmatici entro cui si intercalano
numerosi lembi di anfiboliti ed ultrabasiti, in lenti o tasche,
e livelli di rocce carbonatiche (marmi e calcefiri); localmente
compaiono anche gneiss granulitici a saffirina, rocce formatesi all'interno della crosta terrestre a profondità di diverse decine di km e a temperature di circa 800°C.
Dalla bassa Val Codera fino a Nuova Olonio si entra nella cosiddetta "zona verticalizzata meridionale", dove le rocce migmatiche (appartenenti alla Zona Bellinzona-Dascio) sono state
raddrizzate e fortemente compresse tra 25 e 18 milioni di anni
fa. In esse è intrusa la porzione centro occidentale del Plutone
di Val Màsino-Bregaglia, composta in gran parte da quarzodioriti e tonaliti e da subordinate granodioriti. Soprattutto nella zona di Novate Mezzola si hanno grossi filoni di un granito
chiaro a due miche (Granito di S. Fedelino), che si intrudono
con direzioni molto varie entro le rocce migmatiche, inglobandone spesso frammenti o noduli. L'origine di questi graniti filoniani è legata a fenomeni più estesi di fusione parziale rispetto a quelli che caratterizzano la zona migmatitica.
II Plutone di Val Màsino-Bregaglia, originatosi da un magma calcoalcalino, generato da fusione di mantello litosferico,
si è intruso nelle unità Austroalpine e nelle falde pennidiche
tra 30 e 32 milioni di anni fa. Le rocce granitoidi del Plutone di Val Màsino-Bregaglia sono rappresentate da diversi litotipi, generatisi in fasi successive durante la differenziazione
magmatica: dapprima sono cristallizzati gabbri ed orneblen-
diti che si rinvengono in piccole masse ai margini del plutone; seguono quindi quarzodioriti e tonaliti (il cosiddetto "Serizzo"), con tipica orientazione degli anfiboli, e quindi il vero
e proprio "granito" della Val Màsino, il "Ghiandone", una granodiorite caratterizzata spesso da grossi cristalli bianchi di Kfeldspato, che definisce la parte centrale e nord-orientale del
plutone. Le fasi intrusive tardive sono rappresentate da filoni e sacche di micrograniti, apliti e pegmatiti che intersecano
con varie orientazioni le precedenti rocce intrusive, intrudendosi anche in quelle incassanti.
L'intrusione delle rocce plutoniche di Val Màsino-Bregaglia ha
causato un innalzamento termico nei litotipi incassanti dando
origine ad un’aureola di contatto marcata da profonde trasformazioni delle rocce originarie. Questa aureola di contatto è
ben sviluppata solo nella porzione nord-orientale del plutone,
lungo la Valle di Preda Rossa, la Val Sissone e la Val Muretto.
Si sono così formati marmi a silicati di calcio e/o magnesio,
calcefiri, gneiss a silicati di alluminio (sillimanite, mullite, andalusite) e hornfels ultrabasici ad antofillite, enstatite, tremolite e talco; inoltre la circolazione di fluidi magmatici "caldi"
ha creato in alcuni litotipi vene metasomatiche.
Le rocce intrusive hanno nettamente separato le unità affioranti ai due margini, occidentale ed orientale, del plutone;
Val Màsino, l’isola
di granito al centro
delle Alpi. Nella
foto Il Pizzo Badile
e il Pizzo Cengalo.
Geositi della Provincia di Sondrio
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A sinistra: contatto
granito-serpentino dalla
Sella di Pioda lungo la
valle di Predarossa.
A destra: la Valmalenco
dalla Val Sissone allo
sbocco sopra Sondrio.
verso Est dominano in effetti la unità austroalpine, mentre il
Pennidico è ristretto ad alcuni affioramenti della medio-alta
Valmalenco. L'assetto strutturale della Valmalenco è caratterizzato da un’ampia antiforme che la attraversa longitudinalmente nella sua parte mediana, dove affiorano le falde più profonde. A Sud di questa antiforme le rocce hanno una giacitura
subverticale, mentre a Nord le principali falde sono suborizzontali, con deboli immersioni verso Est. Lungo la Val Torreggio e la Val Lanterna affiora il nucleo dell'antiforme occupato
dalla Zona Lanzada-Scermendone, un'unità pennidica correlata alla Falda Suretta, che rappresenta una zona di mélange
tettonico, ossia una zona in cui – come suggerisce il nome –
sono mescolate rocce di diversa provenienza. Si trovano lembi di crosta continentale (ortogneiss, paragneiss ed anfiboliti), di sedimenti marini di età mesozoica quali marmi calcitici
e dolomitici, calcescisti e brecce sinsedimentarie, e di litosfera oceanica; questi ultimi sono rappresentanti da frammenti
di mantello (serpentiniti ed oficarbonati), di crosta oceanica
(metagabbri e prasiniti) e di copertura sedimentaria (micascisti, quarzoscisti e quarziti, talora con mineralizzazioni a man-
12
Geositi della Provincia di Sondrio
ganese). Simile alla Zona Lanzada-Scermendone è la Zona Preda Rossa - Sissone, affiorante lungo il margine sud-orientale
del Plutone di Val Màsino-Bregaglia.
Al margine del plutone affiora inoltre, nell'alta Valmalenco, un
altra unità pennidica, la Serie di Monte del Forno, costituita
da una tipica sequenza ofiolitica con serpentiniti, metagabbri, anfiboliti (metabasalti) e copertura sedimentaria metapelitica (micascisti, quarzoscisti, talora con noduli a manganese e scarsi calcefiri).
Al di sopra della Zona Lanzada-Scermendone si trovano le Serpentiniti della Valmalenco che coprono un’area di circa 150
km2, quasi la metà dell'intera Valmalenco. Questa unità, che
forma un grosso lastrone di rocce ultrabasiche dello spessore
massimo di circa 2 km, è costituita in gran parte da serpentiniti, con subordinati serpentinoscisti ed oficarbonati, che
sono interpretati come un frammento di mantello litosferico
oceanico. Inclusi nelle serpentiniti si trovano inoltre filoni di
talco, lenti di rodingiti, livelli di cloritoscisti (la "pietra ollare") e rocce di origine idrotermale a prevalente dolomite. Le
Serpentiniti della Valmalenco rappresentano la "base" su cui
giaceva la crosta continentale austroalpina, rappresentata dai
litotipi della Falda Margna. Quest'ultima, in realtà costituita
da due singole falde ripiegate, è composta da rocce correlabili a crosta inferiore, quali metagabbri (Metagabbro di Fedoz),
originati da fusione parziale del sottostante mantello, e paragneiss con relitti di granuliti e livelli di calcefiri di alto grado
metamorfico (Monte Senevedo); la parte sommitale della falda è costituita da scaglie di crosta superiore, formate da paragneiss ed ortogneiss occhiadini e da metasedimenti (marmi,
calcescisti e metaradiolariti), che affiorano principalmente tra
il Pizzo Tremogge e la Val di Scerscen, tra la Bocchetta delle Forbici e le Cime di Musella, ai Sassi Bianchi, sotto la vetta
del Pizzo Scalino, scendendo poi verso Caspoggio, e che separano la Falda Margna della soprastanti falde austroalpine Sella e Bernina.
La Falda Sella è formata da rocce metapelitiche (per lo più di
tipo fillonitico) e da ortogneiss occhiadini in cui si sono intruse masse gabbro-dioritiche di età varisica. La Falda Bernina, affiorante sulla cresta Piz Roseg - Pizzo Bernina - Piz Palù
- Piz Varuna (con assetto tabulare) e tra la bassa Val Màsino
e la Val Poschiavo (con assetto verticalizzato), è composta da
paragneiss ed ortogneiss che includono plutoni di età varisica
sia a composizione granitico-granodioritica che gabbro-dioritica. Nella bassa Valmalenco, tra Cagnoletti e Torre di Santa
Maria, entro la Falda Bernina affiora una massa ovoidale di ortogneiss granodioritici (Gneiss del Monte Canale) testimoni di
un'antica intrusione di età Sardo-Caledoniana (circa 450 milioni di anni); in questa zona sono presenti anche alcuni lembi della copertura permo-mesozoica della Falda Bernina (Monte Arcoglio, Cagnoletti, imbocco della Val di Togno). Presso
Sondrio le unità austroalpine verticalizzate sono inoltre intruse dal piccolo plutone alpino di Triangia, formato da tonaliti
con un nucleo granitico.
La porzione più meridionale di questi gneiss austroalpini, a
contatto con la Linea Insubrica, è data dai cosiddetti "Scisti
del Tonale", paragneiss biotitici a granato e sillimanite con
frequenti intercalazioni di anfiboliti e di metapegmatiti, con
subordinate lenti di ortogneiss e di calcefiri. Gli "Scisti del Tonale" che affiorano lungo l'estremità meridionale della zona
assiale alpina definiscono un lembo di crosta inferiore austro-
Geositi della Provincia di Sondrio
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alpina che ha subito processi di fusione parziale probabilmente durante l'Orogenesi Varisica.
Nella media Valtellina le unità austroalpine rappresentano uno
spaccato di un’intera sezione di crosta continentale. Geometricamente sotto gli "Gneiss del Monte Tonale", che rappresentano una porzione di crosta inferiore, si situa un blocco crostale intermedio rappresentato dalla Falda Grosina che affiora
nella porzione più alta del versante destro della Valtellina, tra
Grosio e Bormio, nonchè in Val Grosina e sul pendio destro della Val Viola; forma inoltre due klippe: uno a Nord di Fumero, in
Val di Rezzalo, e l'altro attorno al Monte Vallecetta. Litologicamente la Falda Grosina è costituita da ortogneiss occhiadini,
associati a gneiss biotitici minuti, talora a granato e staurolite, e a lembi di migmatiti (Migmatiti di Vernuga).
La sequenza crostale superiore è data dal sistema di falde di
Campo, formato da grandi scaglie composte da paragneiss e
micascisti biotitici a granato, con lenti di ortogneiss, di anfiboliti e di quarziti; nella parte superiore affiorano filloniti (le
cosiddette "Filladi" di Bormio e di Grosotto) che sono a contatto con i sedimenti permo-mesozoici. Entro questo basamento si trovano anche masse granitico-granodioritiche varisiche, come ad esempio sul versante sinistro dell'alta Val
Federia, presso il Pizzo del Leverone ed il Monte Cotschen e
nell'alta Val Viola Bormina, presso il lago di Val Viola, il Passo
di Val Viola ed il Pizzo Bianco.
Nella crosta austroalpina si sono intrusi (probabilmente
280-220 milioni di anni fa) plutoni basici a composizione prevalentemente gabbrica, con subordinate dioriti e granodioriti,
e con rari differenziati granitici e pegmatitici. Tra questi corpi intrusivi si ricordano il Gabbro di Monte Masuccio, a Nord di
Tirano, il Gabbro di Sondalo e la Diorite del Monte Serottini.
L'intrusione di questi plutoni basici ha provocato un evidente metamorfismo di contatto nelle rocce incassanti, con sviluppo di hornfels a granato, biotite e sillimanite (dintorni di
Sondalo e presso la frana di Val Pola); attorno al plutone del
Monte Masuccio si hanno invece gneiss a grossi cristalli di andalusite. Questo magmatismo basico viene oggi interpretato
come conseguenza della distensione crostale avvenuta all'inizio dell'orogenesi alpina nel Permo-Trias.
Le rocce del basamento cristallino della Falda Campo sono separate dalle soprastanti falde di copertura permo-mesozoica
da una linea tettonica, la Linea dello Zebrù, che dalla bassa Val Federia, attraverso il Monte Trela, arriva fino all’alta Val
Zebrù. Le rocce sedimentarie hanno costituito una complessa
serie di scaglie tettoniche la cui esatta delimitazione è ancor
oggi oggetto di dispute tra gli studiosi. Secondo studi recenti sono individuabili almeno tre falde (Ortles, Quattervals e SCharl) accatastate l'una sull'altra, e separate da importanti livelli di scorrimento. La successione stratigrafica delle falde
austroalpine è piuttosto complessa; inizia con vulcaniti (lave
riodacitiche, tufi, ignimbriti, etc.) del Permiano inferiore (Formazione di Ruina) cui si sovrappongono conglomerati e arenarie, con ciottoli delle precedenti vulcaniti, attribuibili al Permiano superiore e al Trias inferiore (Formazione di Chazforà, o
"Verrucano"). L'ingressione marina triassica è marcata da una
successione di arenarie, siltiti, arenarie carbonatiche e dolomie (Formazione del Fuorn, Formazione di Val Pila) dell'Anisico. Seguono quindi dolomie grigie con livelli di calcari algali della Formazione di Vallatscha e dolomie gialle sottilmente
stratificate (Formazione di Parai-Alba) del Ladinico, di am-
biente marino poco profondo. Al di sopra compaiono i sedimenti del Gruppo di Raibl (Ladinico-Carnico) formati da dolomie, dolomie marnose, arenarie, dolomie vacuolari, livelli di
brecce e di gessi che testimoniano un ambiente di deposizione di mare basso. Essi sono ricoperte dall'imponente sviluppo
della Dolomia Principale, attribuita al Norico, composta da dolomie bianche o grigie, massicce, con spessori fino a 1600 m
(Dolomia del Cristallo). Lateralmente la Dolomia Principale,
che rappresenta un antico reef carbonatico, passa a calcari, a
calcari dolomitici stratificati e raramente a dolomie gessose.
La parte alta della Dolomia Principale è data da alternanze di
dolomie e calcari, che fanno da passaggio ai sedimenti peli-
tico-calcarei della Formazione di Kóssen del Retico (nota anche come "Formazione di Fraele" o "Calcare del Leverone"). II
Giurassico Inferiore e Medio sono rappresentati da alternanze
di calcari e marne con livelli di brecce (Formazione di Allgäu,
Brecce di Alv), che testimoniano l'approfondimento dei bacini
lungo faglie distensive. II Giurassico Medio-Superiore è caratterizzato da sedimenti pelagici di mare profondo (le radiolariti della Formazione di Blais) o da lacune di sedimentazione; al
di sopra compaiono i calcari silicei, con calpionelle, radiolari e
foraminiferi del Cretaceo inferiore (Formazione di Russenna; o
"Calcari ad Aptici" e "Calcari a Calpionella") e da marne e calcareniti anch'esse ricche in radiolari e foraminiferi.
A sinistra: la Val Zebrù.
A destra: il Monte del
Forno.
Sotto: il Gruppo del
Bernina.
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Geositi della Provincia di Sondrio
Geositi della Provincia di Sondrio
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A Nord di Bormio, tra il Passo dello Stelvio, il Piz Umbrail ed il
Monte Braulio, le falde di copertura sono sovrascorse da scaglie di basamento cristallino, attribuiti alla Falda Chavalatsch,
con ortogneiss e subordinati micascisti a due miche.
II terzo dominio alpino che si ritrova in provincia di Sondrio è
il Sudalpino (o Alpi Meridionali) che costituisce l'intera catena orobica e che è separato dalla parte assiale della catena alpina (Pennidico ed Austroalpino) dalla Linea Insubrica. Questa
linea rappresenta la superficie di sovrascorrimento delle unità
pennidiche ed austroalpine sul dominio sudalpino, movimento
sviluppatosi tra 25 e 18 milioni di anni fa, che ha provocato il
sollevamento della porzione "alpina" di circa 15-20 km rispetto al Sudalpino. La Linea Insubrica è marcata da livelli di miloniti orientate Est-Ovest, che interessano tutte le rocce affioranti presso tale linea per oltre un chilometro in ampiezza.
Il Sudalpino delle Orobie è rappresentato soprattutto dal basamento cristallino composto da gneiss e micascisti a metamorfismo pre-alpino (probabilmente varisico), che decresce da
Ovest verso Est; le rocce a grado maggiore si ritrovano nella zona del Monte Legnone, dove gli gneiss a "occhi" di oligoclasio (Gneiss di Morbegno) contengono granato, staurolite e rara cianite. Sono inoltre intercalate alcune grosse lenti
di ortogneiss occhiadini (Mantello, Val d'Arigna, Val del Livrio, etc.) e metatonaliti pre-varisiche (ad esempio presso Sirta). Verso Est affiorano micascisti muscovitico-cloritici, talora
a granato (Scisti di Edolo); masse di filladi, a contatto tettonico con gli Gneiss di Morbegno, si incontrano inoltre tra
il Passo San Marco ed il Pizzo di Tartano. In questa porzione di basamento sono inoltre riconoscibili alcuni piccoli plutoni tardo-varisici quali il Granito di Dazio ed il Granito del
Monte Fioraro. Il basamento sudalpino è interessato da un sistema di linee tettoniche, trasversali rispetto alla Linea Insubrica, tra cui la più importante è senz'altro quella del Porcile,
che si sviluppa da Sazzo fino all'alta Val Tartano. Questo lineamento, lungo cui si rinvengono lembi di copertura sedimentaria, consente l'affioramento ad oriente di frammenti di basamento di grado metamorfico più elevato (Gneiss di Morbegno),
soprattutto lungo il crinale orobico, dall'alta Val Tartano fino
alle pendici del Pizzo di Redorta; nuovamente a contatto tettonico con gli Gneiss di Morbegno vi è un lembo di rocce filladiche (Filladi di Ambria) affioranti tra il Lago di Venina ed
il Pizzo di Rodes.
La copertura sedimentaria sudalpina che compare lungo il crinale orobico è rappresentata esclusivamente dalla sua porzione più antica (Carbonifero Superiore - Trias Inferiore). La
successione sedimentaria inizia con il "Conglomerato basale" (Carbonifero Superiore - Permiano Inferiore) costituito da
ciottoli di scisti del basamento e da frammenti di quarzo, con
intercalazioni arenaceo-siltose. Sopra i conglomerati si sviluppa la potente Formazione di Collio (Permiano Inferiore), che
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Geositi della Provincia di Sondrio
mostra spessori molto variabili, fino ad un massimo di 2000
m; è composta da sedimenti di ambiente continentale (argille,
siltiti e arenarie, con rari livelli conglomeratici), con rari resti
vegetali e impronte di tetrapodi, alternati a lave riolitico-riodacitiche, ignimbriti, tufi, tufiti e brecce vulcaniche. Seguono
quindi le formazioni conglomeratiche permiane, quali il Conglomerato del Ponteranica, a ciottoli di vulcaniti misti a frammenti di scisti del basamento, ed il Verrucano Lombardo, a
ciottoli di vulcaniti e di quarzo, entrambi con livelli di arenarie grigio-verdi o rossastre. L'ingressione marina, datata all’Induano (base del Triassico), è documentata dalle alternanze di
marne e argilliti con subordinate arenarie del Servino.
Lembi di rocce sedimentarie affiorano in scaglie lungo la Linea
Insubrica, ad esempio presso Nuova Olonio e Dubino, all'imbocco della Val Màsino, a Tresivio e a Stazzona. Questi lembi
sono composti da arenarie e conglomerati del Carbonifero Superiore - Permiano, da scisti sericitici con intercalazioni carbonatiche correlabili al Servino e da dolomie gialle o bianche,
con livelli marnosi, del Trias Medio-Superiore.
Sopra: il Gruppo del Bernina dalla
vetta del Redorta, in primo piano
la Cima di Scais.
A sinistra: Val Viola
A destra: La vetta del Pizzo Trona
costituito da Verrucano Lombardo
e sullo sfondo il Monte Disgrazia
e il Gruppo del Bernina.
Geositi della Provincia di Sondrio
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CARTA TETTONICA DELLA PROVINCIA DI SONDRIO ED AREE ADIACENTI
I geositi della Provincia di Sondrio
Area chiave per l’interpretazione geologica della catena alpina, il territorio della Provincia di Sondrio (176.856 residenti
stando alle rilevazioni ufficiali) è attraversato interamente dal
Lineamento Periadriatico e ospita alcuni dei fenomeni franosi più estesi e pericolosi dell’intero arco alpino. La scelta di
avviare il censimento sistematico dei geositi lombardi cominciando dal territorio di Sondrio deriva dall’opportunità di attingere al ricco repertorio di conoscenze raccolto dagli uffici
tecnici regionali negli ultimi vent’anni, grazie alle attività di
censimento dei dissesti, a partire dal 1987, e di rilevamento
di quattro fogli CARG (“Bormio”, “Sondrio”, “Malonno” e “Ponte di Legno”) a partire dal 1996. I geositi descritti sono rappresentativi di un ampio spettro di discipline nell’ambito delle
scienze della terra, dalla geomorfologia alla mineralogia, dalla geologia strutturale alla paleontologia.
Coperture quaternarie
PENNIDICO
INTRUSIVI TERZIARI
Flysch terziario (Cretaceo superiore-Eocene)
Plutoni e masse granitoidi (Oligocene)
Am = Plutone dell’Adamello; MB = Plutone di Val MasinoBregaglia; SF = Granito di S. Fedelino; Tr = Plutone di
Triangia; VZ = Intrusivi della Val Zebrù
AUSTROALPINO
Coperture Permo-Mesozoiche (Permiano-Cretaceo)
Cr = Falda Carungas; DA = Dolomiti di Arosa; DU = Falda
Ducan; El = Falda Ela; Gv = Mesozoico di Grevasavals;
Lw = Mesozoico di Landwasser; Me = Mesozoico di Mezzaun;
MM = Mesozoico della Margna; Mu = Mesozoico del Murtiröl;
Or = Falda dell’Ortles; Pa = Mesozoico del Piz Alv; Qu = Falda
di Quattervals; Sa = Mesozoico del Sassalbo; Sc = Falda di
S-charl; Za = Zona dell’Albula; Zs = Zona di Samedan
a
Falde austroalpine inferiori (Paleozoico?)
Be = Falda Bernina; Er = Falda Err; Ju = Falda Julier:
Ma = Falda Margna; Se = Falda Sella
a) Sm = Serpentini della Valmalenco
Al = Flysch dell’Arblatsch-Lenzerheide; Pr = Flysch del
Prättigau;
Unità ofiolitiche (Giurassico-Cretaceo)
Ch = Complesso mafico-ultramafico di Chiavenna;
Fo = Ofioliti di M. del Forno; Fu = Ofioliti di Furtschellas;
Li = Unità di Lizun; Pl = Falda Platta
Unità dei calcescisti (Giurassico-Cretaceo)
Bü = Calcescisti (Bündnerschiefer) nordpennidici;
Ca = Calcescisti dell’Avers
Unità di mélange (Paleozoico-Eocene)
Ar = Zona di Arosa; LS = Zona di Lanzada-Scermendone;
Mt = Zona di Martegnas
Coperture Permo-Mesozoiche
(Permiano-Cretaceo inferiore)
Sh = Falde dello Schams; Sp = Zona dello Spluga;
TS = Trias del Suretta
Falde di Basamentp (Paleozoico?)
Falde austroalpine medio-superiori (Paleozoico?)
Ca = Falda Campo; La = Falda Languard; Sv = Falda Sesvenna
Ad = Falda Adula; BD = Zona Bellinzona-Dascio;
Gf = Complesso del M. Gruf; Sm = Falda Simano;
Su = Falda Suretta; Ta = Falda Tambò
Falde austroalpine superiori (Paleozoico?)
SUDALPINO
Br = Falda del Braulio; Gr = Falda Grosina; Ot = Falda
dell’Oetztal; Si = Falda Silvretta; To = Gneiss del Monte Tonale
Copertura vulcano-sedimentaria sudalpina
(Carbonifero superiore-Cretaceo)
Basamento cristallino sudalpino
(Paleozoico?)
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Geositi della Provincia di Sondrio
glio d’Europa Rec(2004)3 sulla conservazione del patrimonio
geologico e delle aree di particolare interesse geologico, adottata dal Comitato dei Ministri il 5 maggio 2004.
Sempre nel 2004, il D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (“Codice
dei beni culturali e del paesaggio”, spesso informalmente definito “Codice Urbani”) recupera la dizione di cui all’art. 1, commi 1 e 2, L. 1497/39, riconoscendo nei beni soggetti a vincolo
“manifestazioni identitarie percepibili” da assoggettare a norme di “tutela e valorizzazione” (art. 131, comma 2).
La scelta regionale, esplicitata con la proposta di Piano Paesaggistico Regionale approvata dalla Giunta Regionale il
16 gennaio 2008, è comunque quella di non fare riferimento
esclusivamente alle situazioni puntuali eccezionali, da iscrivere tra i Beni Paesaggistici o ambientali tutelati per legge, ma
di attivare un’azione di tutela e valorizzazione dell’intero sistema dei geositi di rilevanza regionale e provinciale tramite
la pianificazione paesaggistica della Regione Lombardia e delle province lombarde, come meglio specificato nel successivo
paragrafo relativo a i geositi nel Piano Paesaggistico.
Dalle “singolarità geologiche”
ai “geositi”: il percorso della
normativa lombarda, italiana e
comunitaria
La gestione delle aree protette nel
territorio di Sondrio
La normativa italiana sulla tutela dei beni geologici risale al
1939, quando la Legge 29 giugno 1939, n. 1497, introdusse la
definizione di “singolarità geologica”, affiancandola a quella
di “bellezza naturale” (art. 1, comma 1). Il successivo Regolamento per l’applicazione della Legge (Regio Decreto 3 giugno
1940, n. 1357) assoggettò le singolarità geologiche ad un dispositivo distinto da quello proprio delle bellezze paesaggistiche in quanto si riconobbe che “che la singolarità geologica è determinata segnatamente dal suo interesse scientifico”
(art. 9, comma 2).
La Lombardia è stata la prima regione italiana ad elaborare una selezione di siti di interesse geologico e naturalistico da assoggettare a norme di tutela specifica (Regione Lombardia, 1982). I “geotopi” individuati in quel primo elenco,
che è andato ampliandosi negli ultimi 15 anni grazie all’attività della Direzione Generale regionale Qualità dell’Ambiente,
sono stati fatti oggetto di una normativa che si collega direttamente a quella istitutiva delle riserve e monumenti naturali (L.R. 86/83).
A partire dalla fine degli anni ’90 è andata affermandosi
nell’uso la dizione di “geosito”: oggetto geologico ritenuto
meritevole di tutela (Wimbledon) o, in una definizione più
comprensiva, elemento geologico riconoscibile come bene
qualora ad esso sia possibile associare un valore scientifico, ai
fini della comprensione dei processi geologici in atto e/o nei
termini dell’esemplarità didattica (Panizza & Piacente, 2003).
I geositi trovano una posizione ben definita nella normativa
comunitaria, in particolare nella Raccomandazione del Consi-
A titolo di esempio del percorso normativo che in Lombardia ha portato al riconoscimento dei geotopi (ex L.R. 33/77)
come aree regionali protette (L.R. 86/83) si possono citare
alcune esperienze ricadenti nel territorio della Provincia di
Sondrio, dove la gestione delle riserve naturali “Marmitte dei
Giganti”, “Piramidi di Postalesio” e dei monumenti naturali
“Cascate dell’Acqua Fraggia”, “Caürga del Torrente Rabbiosa”,
è affidata agli enti locali (comuni e comunità montane). Gli
enti gestori accedono ad un piano di riparto regionale annuale, sia per le spese di gestione amministrativa che per gli interventi finalizzati alla riqualificazione ambientale e alla fruizione turistica.
Per le riserve naturali, che rientrano nella disciplina nazionale delle aree protette ai sensi della L. 431/85, l’ente gestore
adotta un piano, con valenze sia urbanistiche che gestionali, approvato dalla Giunta Regionale. Per i monumenti naturali lo strumento operativo è rappresentato dal programma pluriennale di gestione.
Riguardo alla fruizione, in queste aree regionali protette è privilegiata quella didattica e culturale. Sono previsti servizi di
accompagnamento dei visitatori gestiti da associazioni convenzionate con l’ente gestore o assicurati mediante il servizio
volontario di vigilanza ecologica coordinato dalle comunità
montane. Ulteriori opportunità di valorizzazione dei siti della
Provincia di Sondrio sono state attivate con finanziamenti sui
Fondi Strutturali Obiettivo 2 e attraverso il programma di cooperazione con la Confederazione Elvetica nell’ambito Interreg
IIIB Spazio Alpino ([email protected]).
Geositi della Provincia di Sondrio
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Il censimento geositi in ambito
“Conservazione del Patrimonio
Geologico Italiano”
Nato nel 2000 sotto il coordinamento dell’APAT, il Progetto
“Conservazione del Patrimonio Geologico Italiano” (CPGI) promuove studi in materia di monumenti geologici, geodiversità e siti di interesse geologico in senso lato, recuperando ed
omogeneizzando i censimenti realizzati da regioni ed enti locali; l’obiettivo finale è un nuovo censimento su scala nazionale. Lo strumento principe del censimento è la Scheda
Inventario, standardizzata a scala nazionale, che nella sua impostazione concettuale evidenzia alcuni aspetti rilevanti di
cui si è tenuto conto anche nella realizzazione della presente guida: tra questi la necessità di evidenziare puntualmente per ciascun sito
un motivo di interesse scientifico primario, a cui si associano eventuali motivi secondari;
un livello territoriale di interesse (mondiale, europeo, nazionale, regionale o locale);
l’eventuale rischio di compromissione e degrado, in risposta
a fattori naturali o antropici.
Dal 2004, nel quadro delle attività di attuazione del Progetto
CARG, la Direzione Generale Territorio e Urbanistica della Regione Lombardia ha aderito al Progetto CPGI. In tale contesto è stata avviata un’indagine a tappeto che ha comportato
l’invio della Scheda Inventario APAT a numerosi soggetti, distribuiti in modo il più possibile omogeneo sul territorio, e ripartiti fra uno spettro alquanto diversificato di categorie di
enti, che spaziano da musei a università, da comunità montane a istituti del CNR, fino a comprendere amministrazioni locali di vario ordine.
Per l’individuazione dei geositi si è tenuto conto di diverse tipologie di fonti:
siti precedentemente vincolati in quanto riserve o monumenti naturali;
località-tipo o stratotipi di unità litostratigrafiche validate
nell’ambito del Catalogo delle Formazioni Geologiche Italiane;
siti di rilevanza geologica mondiale (siti UNESCO definiti per
caratteristiche naturali, GSSP);
geoparchi e sentieri geologici esistenti;
schede inventario compilate da soggetti individuati come referenti da Regione Lombardia;
situazioni ampiamente consolidate nella conoscenza diffusa
del territorio e nella letteratura, note alla Direzione Generale o
segnalate per iniziativa autonoma di specialisti ed esperti;
siti individuati ex novo nel corso dei rilevamenti effettuati in ambito CARG;
studi e pubblicazioni di settore (es. Pellegrini et al., 2005;
Pellegrini & Vercesi, 2005).
I geositi nel Piano Paesaggistico
Regionale della Lombardia
Regione Lombardia ha recentemente provveduto all’integrazione e all’aggiornamento del Piano Territoriale Paesistico Regionale vigente dal 2001, alla luce del nuovo quadro normativo nazionale e regionale, nell’ambito della definizione della
proposta di Piano Territoriale Regionale e correlato Piano Paesaggistico (Deliberazione di Giunta Regionale n. VIII/6447
del 16 gennaio 2008). Mentre la cartografia e i repertori del
Piano risultano immediatamente vigenti, l’articolato normativo che lo correda sarà pienamente efficace dopo l’approvazione in Consiglio Regionale, attesa entro il 2008.
Un forte elemento di novità del suddetto articolato sta
nell’aver incorporato i geositi come nuova categoria di tutela e valorizzazione del territorio. L’art. 22 della normativa di
Piano definisce i geositi, ne stabilisce una classificazione se-
condo i motivi di interesse scientifico prevalente (mutuati dalla Scheda Inventario APAT) e, a seconda di quali siano questi
motivi, li assoggetta a tre tipologie di tutela alternative. Attribuisce inoltre alle province e ai parchi, tramite i Piani Territoriali di rispettiva competenza, l’onere di perimetrare i siti
individuati puntualmente nel Piano Paesaggistico Regionale e
la facoltà di individuare ulteriori geositi di rilevanza locale.
Nei collegati repertori e nella cartografia di Piano, che come
si è detto sono immediatamente vigenti, in Lombardia si individuando 264 geositi, 34 dei quali di livello locale; in Provincia di Sondrio si individuano 44 siti, uno solo dei quali è ritenuto di livello locale.
I geositi nell’ambito del PTCP di
Sondrio
I Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale sono strumenti di pianificazione dalla duplice valenza: essi rappresentano,
ad un tempo, piani urbanistici territoriali “con finalità di salvaguardia dei valori paesistici e ambientali” e piani di tutela
“nei settori della protezione della natura, della tutela dell’ambiente, delle bellezze naturali, delle acque e della difesa del
suolo” (art. 57 D.Lgs. 112/1998). Strumenti di iniziativa provinciale, essi naturalmente rivestono un importante ruolo di
gestione delle dinamiche territoriali e di prefigurazione di linee di sviluppo del territorio, raccordandosi alla pianificazione
urbanistica comunale e alla programmazione socio-economica
regionale, ma proprio la loro summenzionata valenza in termini di conservazione li rende particolarmente idonei al censimento dei geositi, alla loro delimitazione e all’apposizione
di norme a loro tutela. In Lombardia, esempi in questo senso
vengono dalle Province di Milano, Bergamo e Sondrio.
La Provincia di Sondrio, nella bozza di PTCP attualmente in discussione, individua 21 “Aree di particolare interesse geolitologico, mineralogico e paleontologico” e un numero ben più
elevato di “Aree di particolare interesse geomorfologico”, con
specifiche norme di tutela.
Esperienze di geoconservazione
realizzate o avviate da altri enti sul
territorio di Sondrio
In collaborazione o in modo indipendente dall’attività degli
enti locali, la sfida della geoconservazione in Lombardia è stata raccolta da una molteplicità di soggetti, in una grande varietà di forme accomunate da uno spiccato carattere settoriale
su base tematica. Di seguito si elencano soltanto le principali attività compiute o in corso.
CNR-IDPA. L’istituto per la Dinamica dei Processi AmbientaliSezione di Milano del CNR ha realizzato, in località Chiareggio
di Chiesa Valmalenco (SO), il Parco Geologico della Valmalen-
20
Geositi della Provincia di Sondrio
co: un allestimento a cielo aperto di tipi petrologici rappresentativi dell’intera Valtellina, la cui comprensione è facilitata
da una serie di supporti didattici distribuiti lungo un percorso
guidato ([email protected]).
Università di Milano. Il Dipartimento di Scienze della Terra
da tempo opera, anche in collaborazione con il Comitato Glaciologico Italiano, nello studio e nella promozione di siti di
interesse glaciologico (es. Ghiacciaio dei Forni in Valfurva –
SO: Casartelli et al., 1995) e geomorfologico (es. Val Viola Bormina a Valdidentro – SO; Diolaiuti et al., 2003; [email protected]).
Servizio Glaciologico Lombardo. Ha attrezzato e promosso i
Sentieri Glaciologici di Fellaria a Lanzada (SO) e della Ventina a Chiesa Valmalenco (SO) (http://sgl.cluster.it/NuovoSGL/
pag7.htm).
Ente Speleologico Regionale Lombardo. Nell’arco di oltre 25
anni di attività ha prodotto una serie di catasti parziali delle
cavità carsiche lombarde, spesso su base provinciale; alcune
sintesi sono state pubblicate (es. Bini, 1981), mentre la progettazione e l’aggiornamento di un catasto regionale complessivo sono attualmente allo studio ([email protected]).
La Fabbrica di Mercurio ONLUS. In collaborazione con la Direzione Generale Turismo della Regione Lombardia, è stata realizzata una serie di visite virtuali (“Lezioni di Lombardia”),
una delle quali interessa la Valmalenco. Il formato degli audiovisivi, agile e divulgativo, non impedisce che esperti di riconosciuto valore offrano con competenza un inquadramento geografico, etnografico e geologico di un’area chiave per la
comprensione dell’intero arco alpino (http://www.lafabbricadimercurio.org/lezionidilombardia/valmalenco_lez.htm).
Bibliografia
Bini A. (1981) – Le Grotte (III ed.). Regione Lombardia, 220 pp., Milano.
Casartelli G., Pelfini M., Smiraglia C. (1995) – Il Ghiacciaio dei Forni in Valfurva. Sentiero glaciologico del centenario. Ed. Polaris, Sondrio.
Diolaiuti G., Lombardi A., Mauri A., Pelfini M., Smiraglia C. (2003) – Il GIS per
la gestione e valorizzazione turistica di aree di alta montagna. MondoGIS, lug./
ago. 2003, 39-43, Roma.
Gray M. (2004) – Geodiversity – Valuing and conserving abiotic nature. John
Wiley & Sons, Chichester.
Heiddeger M. (1951) – Bauen Wohnen Denken. In Saggi e discorsi, Mursia,
Milano.
Odum E.P. (1966) – Ecologia. Zanichelli, Bologna.
Panizza M. & Piacente S. (2003) – Geomorfologia culturale. Pitagora, Bologna.
Pellegrini L., Boni P., Vercesi P.L., Carton A., Laureti L., Zucca F. (2005) – The
Geomorphosites in Lombardy. Il Quaternario, n.s. in stampa, Torino.
Pellegrini L. & Vercesi P.L. (2005) – I geositi della Provincia di Pavia. L. Ponzio
& F.o Editori, 228 pp., Pavia
Regione Lombardia (1982) – Biotopi e Geotopi. Natura in Lombardia, 261 pp.,
Milano.
Sei Shōnagon (993-1000?) – Note del guanciale, 13. Mondadori, Milano.
Geositi della Provincia di Sondrio
21
La carta geologica della Provincia
ghiacciai
laghi
QUATERNARIO CONTINENTALE
conoidi
Depositi fluviali dei greti attuali
Depositi terrazzati (Alluvium medio)
Detriti di falda e frane
Morenico tardo-würmiano e
localmente olocenico
SUBSTRATO ROCCIOSO
Rocce magmatiche s.s. e intercalazioni
nei basamenti cristallini
Pegmatiti (intercal. nei basam. cristallini)
Anfiboliti
Prasiniti
Marmi
Peridotiti
Rocce plutoniche terziarie
Graniti e granodioriti
Pegmatiti e apliti
Quarzodioriti e tonaliti
Dioriti e gabbri
Rocce filoniane mesozoiche e terziarie
Andesiti (“Porfiriti” Auct.)
di Sondrio
Alpi meridionali (Sudalpino)
Dolomia Principale
Calcare di Esino e “Calcare rosso”
Carniola di Bovegno
Servino
Verrucano Lombardo
Fm. di Collio
Conglomerato del Ponteranica
“Conglomerato basale”
“Ortogneiss” e “Gneiss chiari” Auct.
Paraderivati di Edolo e Ambria
Quarziti
“Micascisti dei Laghi”
Gneiss di Morbegno etc.
Rocce vulcaniche permiane
Rioliti (“Porfiriti quarzifere” Auct.)
Rocce plutoniche permo-carbonifere
Graniti e granodioriti
Dioriti e gabbri
Austroalpino
Fm. M. Motto/Calc. V. di Monte/”Broccatello”
Fm. di Fraele/Calcare di Leverone
Calcare di Quattervals
D. Umbrail D. Prà Grata D. Stelvio D. Cristallo
Fm. di V. Forcola, V. Lunga, M. Garone
Dolomia di Wetterstein
Pennidico
Ridisegnata da
Montrasio A. (1990) - Carta Geologica
della Lombardia. Serv. Geol. Naz., Roma.
22
Geositi della Provincia di Sondrio
Fm. di Val Pila
Calcescisti, quarzosc. marmi ofiolitici
“Arenarie variegate”
Anfiboliti di M. del Forno e di S. Croce
“Verrucano alpino”
Prasiniti ofiolitiche
Calcesc. non ofiolitiferi e Mn-quarzoscisti
Marmi dolomitici e calcarei, carniole
Dolomie calcari cristallini, carniole
Quarziti
“Ortogneiss” Auct. e gneiss migmatici
Serpentini (Valmalenco, Chiavenna ecc.)
Porfiroidi
Oficarbonati
Filladi e micascisti filladici
“Ortogneiss” Auct. e gneiss migmatici
Quarziti
Porfiroidi
Micascisti argentei della Cima Rovaia
Paragneiss a due miche
Paragneiss a due miche
Paragneiss a due miche e sillimanite
Paragneiss a due miche e sillimanite
Geositi della Provincia di Sondrio
23
I Geositi della Provincia di Sondrio
Livigno
40
42
41
39
43
Bormio
37
1
38
2
36
Campodolcino
44
Santa Caterina
3
4
5
6
27
28
7
Chiavenna
22
8
23
35
26
24
25
21
9
34
Sondalo
Grosio
16
10
San Martino
20
11
13
Colico
33
19
17
12
Tirano
18
Chiuro
31
32
15
Sondrio
Morbegno
30
29
Gerola
14
1 - Pian dei Cavalli e Alpe Gusone
12 - Cava di Fornaci di Nuova Olonio
23 - Val Sissone
34 - Rupe Magna e Dosso Giroldo
2 - Caürga del Torrente Rabbiosa
13 - Pian di Spagna
24 - Sentiero glaciologico del Ventina
35 - Cava Maffei
3 - Paleofrana di Cimaganda
14 - Lago di Trona
25 - Campo Franscia e Val Brutta
36 - Frana della Val Pola
4 - Caürga di Chiavenna
15 - Conoide del Tartano
26 - Valle dello Scerscen
37 - Paluaccio di Oga
5 - Marmitte dei Giganti
16 - Val di Mello e Sasso di Remenno
27 - Vedretta di Scerscen Inferiore
38 - Val Viola Bormina
6 - Cascate dell’Acquafraggia
17 - Piramidi di Postalesio
28 - Sentiero glaciologico del Fellaria
39 - Passo del Foscagno
7 - Frana di Piuro
18 - Dossi di Triangia
29 - Forno fusore nella Val Venina
40 - Passo d’Eira
8 - Lotteno
19 - Sasso Bianco
30 - Conglomerato di Sazzo
41 - Cresta di Reit
9 - Solco della Val Piana
20 - Torbiera dell’Alpe Palù
31 - Il “punt de sass” di Villa di Tirano
42 - Piano delle Platigliole
10 - Cave di Riva
21 - Ruinon del Curlo
32 - Torbiera di Pian Gembro
43 - Vedretta della Miniera
11 - San Giorgio
22 - Parco geologico di Chiareggio
33 - Madonna di Tirano
44 - Ghiacciaio dei Forni
1
Pian dei Cavalli
e
Alpe Gusone
Motivo di interesse
scientifico primario:
geomorfologico
Motivi secondari:
stratigrafico
strutturale
petrografico
paesistico
idrogeologico
paleoantropologico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Fedele F.G. & Wick L. (1996) - Glacial/Postaglacial
transition South of Splügen Pass: environment and
human activity. Il Quaternario, 9, 541-550.
26
Geositi della Provincia di Sondrio
Il sito del Pian dei Cavalli, a 2200 metri in Alta Valle Spluga (Valchiavenna),
coincide con un ampio altopiano carsico delimitato a Nord dalla Val Febbraro e a Sud dalla Valle Starleggia. Al
centro dell’altopiano svetta la cresta
del Monte Tignoso (2375 metri s.l.m.),
un klippe costituito da gneiss del basamento della Falda Suretta, delimitato da contatti tettonici suborizzontali
in gran parte mascherati da estese coltri di detrito di falda. Il carsismo - attività chimica dell’acqua, soprattutto
su rocce calcaree, ad opera di precipitazioni rese leggermente acide dall’anidride carbonica presente nell’atmosfera
- ha interessato una successione carbonatica attribuibile alla “Sinclinale dello Spluga”, la copertura sedimentaria,
a metamorfismo esclusivamente alpino, della Falda Tambò (Pennidico Medio). Tra i litotipi carbonatici prevalgono marmi e marmi dolomitici bianchi o
grigi, di aspetto granuloso e ruvido simile allo zucchero in zollette (“saccaroide”), e dolomie vacuolari, dette “carniole”, di colore giallo-bruno. Alla base
della successione carbonatica si segnalano lenti discontinue di quarziti bianche, mentre dove le quarziti mancano si
assiste ad un brusco contatto tettonico tra la successione carbonatica, spesso in facies di carniola, e i sottostanti
paragneiss e micascisti, ricchi in muscovite, clorite e localmente grafite, attribuiti alla parte carbonifero-permiana
della medesima “Sinclinale dello Spluga”. I paragneiss si presentano deformati, a luoghi in modo spettacolare, da
pieghe isoclinali e fenomeni di trasposizione del clivaggio. Il contatto per faglia tra i paragneiss e le carniole corrisponde ad un brusco cambiamento
morfologico (ai paragneiss corrispondono pendii regolari inerbiti; alla successione carbonatica piccole balze, ripide
e scabre, intervallate a pianori dall’andamento irregolare) ed una ancor più
drastica variazione nella circolazione
idrica sotterranea. Se infatti la succes-
Campodolcino
A sinistra: il Buco Rosso,
cavità carsica sviluppata
al contatto tettonico
tra carniole (sopra) e
paragneiss (sotto)
A destra: trasposizione
di pieghe nel basamento
della Falda Tambò
sione carbonatica, nettamente più solubile da parte delle acque meteoriche,
ospita un fitto reticolo di canali di infiltrazione che collegano tra loro grotte anche di dimensioni ragguardevoli, i
paragneiss si presentano - al confronto
- pressoché impermeabili, rappresentando un livello di ritenuta che in più punti costringe i canali di infiltrazione, tendenzialmente verticali, a venire a giorno
correndo lungo le superfici suborizzontali del contatto tettonico. Le principali grotte ad imbocco suborizzontale, con
aperture superiore al metro, non a caso
si collocano alla base della successione carbonatica, appena sopra il contatto tettonico: è il caso del Buco Rosso
sopra l’Alpe Gusone e della Grotta della Sabbia Bianca sopra San Sisto. In superficie l’altopiano carbonatico presenta
blande forme carsiche, meglio sviluppate sul versante settentrionale del Pian
dei Cavalli rispetto a quello meridiona-
In basso: marmi saccaroidi
nella successione
mesozoica della Falda
Tambò
Geositi della Provincia di Sondrio
27
1
A sinistra: la piana di San
Sisto, vasto anfiteatro
naturale cosparso di baite
nella cornice della cima del
Pizzo Quadro
A destra: l’imbocco di
uno dei numerosi sistemi
carsici del Pian dei Cavalli
In basso: cartellonistica
della Comunità Montana
alla piana di San Sisto
le del Pian Gusone: si tratta per lo più
di volubili ondulazioni del terreno determinate dall’alternanza di forme positive (dossi) e negative (canyon, doline
e inghiottitoi). Uno di questi ultimi, il
Buco del Nido, rappresenta l’imbocco di
un sistema carsico sotterraneo assai articolato e sviluppato, 4 km di lunghezza totale per 132 m di dislivello, la cui
mappatura è stata realizzata dal Gruppo
Grotte Novarese.
Da segnalare anche i ritrovamenti archeologici di età paleolitica recente, che
28
Geositi della Provincia di Sondrio
fanno di Pian dei Cavalli una delle località che meglio conservano le testimonianze dei più antichi abitanti della Val
Chiavenna. Dal 1986 il Professor F. Fedele, ordinario di Antropologia all’Università di Napoli, ha infatti, condotto
delle compagne archeologiche e gli scavi hanno portato alla luce tracce di insediamenti umani. Sono stati individuati 30 siti distribuiti su un’area di quasi
25 km2. Sono stati rinvenuti scarti di
lavorazione di quarzo e di selce, pietre
scheggiate in parte fissate su aste e ma-
nici, armature di frecce. Straordinaria è
stata la scoperta di focolari lungo il ciglio di una grande scarpata: come spesso accade, la presenza di grotte ha favorito l’accumulo e la conservazione di
resti antropici. La facile percorribilità di
suggestivi scenari alpini e la presenza di
motivi di interesse ambientale piuttosto
variegati hanno fatto sì che gran parte dell’area sia stata ben attrezzata in
termini di segnavia e pannelli illustrativi, questi ultimi concentrati al Pian dei
Cavalli.
Geositi della Provincia di Sondrio
29
2
Caürga
del
Torrente Rabbiosa
Motivo di interesse
scientifico primario:
geomorfologico
Motivi secondari:
petrografico
paesistico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Monumento Naturale
Studi Monumento Naturale “Caürga del Torrente
Rabbiosa” - Pasquarè modificato Huber. 2003
30
Geositi della Provincia di Sondrio
Il Torrente Rabbiosa, affluente di sinistra del Torrente Liro, si origina in corrispondenza del Passo dello Spluga in
alta Valchiavenna e confluisce nel Fiume Mera nei pressi di Chiavenna. La val
Rabbiosa, bagnata dall’omonimo torrente e ricca nella parte alta di begli
esemplari di granati e tormalina, raggiunge la piana del Liro scavandosi una
gola profonda tra le rocce e i depositi morenici. L’ultimo tratto montano del
torrente, prima di confluire nel conoide alluvionale su cui sorge l’abitato di
Campodolcino, scorre in una profonda forra detta Caürga del Torrente Rabbiosa, un profondo e suggestivo orrido
che si protende alle spalle della contrada di Acero. Giungendo invece da Chiavenna, sulla statale 36, si incontrano le
località di Pietra e Tini che si addossano
sul versante boscoso; la vallata si allarga progressivamente, seguendo le linee
dell’antica conca lacustre, per raggiungere la sua massima ampiezza intorno al
ventaglio alluvionale del torrente omonimo. Il bacino del Torrente Rabbiosa è
molto esteso e comprende l’ampia conca
dell’Angeloga, di origine glaciale, apertasi tra il Pizzo Stella ed il Pizzo Groppera. Dal terrazzo strutturale sospeso tra
gli abitati di Fraciscio, Mottala e Gualdera. Il torrente Rabbiosa confluisce
all’altezza del paese di Campodolcino
facendo registrare un dislivello di circa
2100 m e scavando una profonda forra che termina in prossimità del “Ponte Romano”, così chiamato localmente,
ma costruito nel 1692 e consolidato nel
1927 dopo una alluvione. Il nome “Rabbiosa” trova qui conferma nell’ampiezza
di un greto sassoso, irregolare, sottolineato da macchie folte di ontano, tra un
imponente accumulo di detriti. La forra
è caratterizzata da un canale meandriforme lungo il quale si sviluppano una
fitta successione di piccole cascate e di
marmitte di erosione di rilevante interesse geomorfologico e paesaggistico.
Le formazioni rocciose affioranti nella
Gola della Caürga appartengono alla Fal-
Campodolcino
da Tambò. Sono costituite prevalentemente da metapeliti ma anche da paragneiss, gneiss grigi e anfiboliti. Il sito e
le litologie presenti recano con evidenza
didattica le tracce delle quattro fasi deformative che hanno caratterizzato il ciclo orogenetico alpino, iniziato verso la
fine dell’Era Mesozoica e che ha determinato la formazione del corrugamento alpino-himalayano. Per le caratteristiche
geomorfologiche, geologiche e paesaggistiche del sito la Regione Lombardia
ha istituito nel 2002 il Monumento Naturale “Caürga del Torrente Rabbiosa”.
In alto: il Lago Angeloga
con il Pizzo Stella sullo
sfondo. Qui nasce il
torrente Rabbiosa
In basso a destra: la Caürga
del torrente Rabbiosa, la
profonda forra scavata
dall’acqua
In basso a sinistra: il
ponte detto “romano” a
Campodolcino. In realtà
l’opera fu costruita nel 1692
Geositi della Provincia di Sondrio
31
3
Paleofrana
di
Cimaganda
Il geosito si può osservare agevolmente
salendo lungo la statale 36 che da Chiavenna porta al passo dello Spluga. L’antica frana (paleofrana) di Cimaganda - in
Comune di San Giacomo Filippo - è una
tipica rock avalanche (valanga di roccia)
cioè una frana che ha interessato una
consistente porzione di ammasso roccioso scivolato a valle con un movimento assimilabile a quello di una valanga
nevosa. Questa grande frana, del volume stimato a circa 7,5 milioni di metri
cubi, è avvenuta in due fasi differenti:
una prima nel 900 a.C. caratterizzata dal
franamento principale di gran parte della massa rocciosa e da uno successivo,
di minor volumetria, più assimilabile a
un fenomeno di crollo in massa. Interessante è notare come l’accumulo di frana,
data la notevole energia, abbia risalito
in parte il versante opposto e sia stato in seguito eroso dal Torrente Liro che
oggi lo attraversa. Dal torrente deriva il
nome dell’abitato che si incontra appena prima di Cimaganda: Lirone, un gruppo di case antiche raccolte tra gli alberi, nella protezione dei macigni.
L’attuale accumulo di frana, ben evidente lungo il taglio della strada statale, è
costituito da blocchi rocciosi di diversa
volumetria, più fine verso la nicchia, più
grossolano al piede, dove sono presenti
anche massi giganteschi, con volumi superiori ai 1000 m3, tra cui sorgono le case
Motivo di interesse
scientifico primario:
geomorfologico
Motivi secondari:
strutturale
petrografico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Val Zerta (SIC)
Ortogneiss
occhiadini della
Falda Tambò
Agostoni S., Laffi R. & Sciesa E. (1997) - Centri
Abitati Instabili della provincia di Sondrio. Pubblicazione CNR GNDCI 1580, Vertemati, Vimercate.
Mazzaccola D. (1994) - La frana di Cimaganda: un
meccanismo complesso e composito. Renc. Intern.
Jeunes Cherch., Lausanne, 21.04.94. 140-145.
32
Geositi della Provincia di Sondrio
San Giacomo Filippo
Le case della frazione
di Cimaganda.
Il nome, cimaganda, indica il
limite superiore
dell’imponente
muraglia detritica
della frazione di Cimaganda che, come indica il toponimo, segna il limite superiore
dell’imponente muraglia detritica. La nicchia, impostata lungo la bastionata rocciosa sottostante la piana di Bondeno, si
situa a quota 1750 m circa, in prossimità del contatto tettonico tra due falde alpine: la Falda Tambò e la soprastante Falda Suretta. La frana interessa l’ammasso
roccioso appartenente alla Falda Tambò:
le litologie coinvolte sono costituite da
grosse bancate di ortogneiss occhiadini
che giacciono sopra paragneiss e micascisti entro cui si intercalano livelli di ortogneiss biotitici lineati.
L’innesco della frana è stato favorito
dalla disposizione sfavorevole dei grandi sistemi di frattura che interessano il
versante idrografico sinistro della Val S.
Giacomo. Vi si incrociano, infatti, quelli orientati circa NNO-SSE, legati a deformazioni gravitative di versante sviluppatesi in conseguenza al ritiro delle
grandi lingue glaciali che occupavano
le valli alpine durante l’era glaciale, e
quelli trasversali, circa E-O. Una curiosità: i massi caduti sono stati tutti numerati e classificati e costituiscono una
palestra di roccia, meta di numerosi appassionati di arrampicata.
Geositi della Provincia di Sondrio
33
4
Caürga
di
Chiavenna
Motivo di interesse
scientifico primario:
geominerario
Motivi secondari:
geomorfologico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Riserva naturale
Marmitte dei giganti
David M. & De Michele V. (1993) - Una cava
romana di pietra ollare a Chiavenna. Osservazioni
preliminari. Clavenna (Boll. Centro Studi Stor. Valchiav.) 32, 75-106.
Gessner C. 1(565) - De rerum fossilium, lapidum
et gemmarum genere maxime figuris et similitudinibus liber, Zurigo.
Liati A., Gebauer D. & Fanning C.M. (2003) - The
youngest basic oceanic magmatism in the Alps
(Late Cretaceous; Chiavenna unit, Central Alps):
geochronological constraints and geodinamyc significance. Contrib. Min. Petr. 146/2, 144-158.
Scheuchzer J.J. (1723) - Helveticus, sive itinera
per Helvetiae alpinas regiones, Annis MDCCIIMDCCXI, Zurigo.
Schumtz H.U. (1976) - Der Mafitit-UltramafititKomplex zwischen Chiavenna und Val Bondasca
(Provinz Sondrio, Italien; Kt. Graubünden, Schweiz). Beitr. Geol. Karte Schweiz, N.F. 149, 73.
Theobald G. (1866) - Die südöstlichen Gebirge
von Graubünden und dem angrenzenden Veltlin.
Buchdruckerei von J.A. Pradella.
Wallerius J.G. (1778) - Systema mineralogicum.
2 voll., Vienna.
34
Geositi della Provincia di Sondrio
Le rupi del “Paradiso” di Chiavenna, parco geologico botanico che sovrasta la
città, presentano un profondo e ampio
taglio verticale detto Caürga, uno scavo
artificiale legato all’estrazione della pietra ollare, varco invalicabile tra le due
rocce sovrastanti utilizzato in passato per la produzione di recipienti e statue. La vena di pietra ollare della Caürga, dello spessore di circa 7 m, è stato
sfruttato per 2000 anni: indagini storiche hanno testimoniato un’attività di
cava già in epoca romana. D’altro canto sembra molto probabile che la pietra ollare descritta da Plinio nel 77 d.C.
come “lapis viridis comensis”, sia quella
estratta a Chiavenna. Durante i vari secoli di attività si calcola che siano stati estratti nella cava della Caürga circa
25.000 m3 di pietra ollare. La pietra ollare della Caürga è stata in seguito oggetto dell’attenzione di molti studiosi, quali Gessner (1565), Scheuchzer (1723),
Wallerius (1778), Theobald (1866), etc.,
che hanno descritto nel dettaglio sia la
roccia, sia i metodi di estrazione e di lavorazione.
La pietra ollare è una roccia, verde o verde-grigriastra, a grana fine o finissima,
tenera ma resistente, facilmente lavorabile al tornio; è costituta in gran parte da clorite o talco, con scarsi minerali
accessori, spesso costituiti da carbonati, ed è classificabile di volta in volta o
come cloritoscisto o come talcoscisto.
La pietra ollare si rinviene in vene irregolari entro rocce ultrabasiche, generalmente lungo linee di dislocazione, o in
zone in cui le ultrabasiti sono attraversate da filoni gabbrici. Si è formata durante il metamorfismo alpino, circa 37
milioni di anni di fa, entro fasce di dislocazione che interessavano lembi di
rocce ultrabasiche (peridotiti) appartenenti al mantello litosferico e associate a rocce gabbriche e basaltiche, la cui
età di intrusione/effusione è stimata a
93 milioni di anni (Liati et al.,2003).
L’insieme di queste rocce basiche e ultrabasiche, affioranti presso Chiaven-
Chiavenna
In alto a destra: le rupi
del Paradiso di Chiavenna
presentano un profondo
e ampio taglio verticale
detto Caürga
A sinistra: particolare del
selciato che porta al Parco
del Paradiso: i blocchi
venivano recuperati dalla
tornitura dei “lavecc”,
pentole in pietra ollare
na, rappresenta un lembo di litosfera
oceanica (crosta oceanica e sottostante mantello) dell’antico oceano della Tetide, formatosi nel Giurassico-Cretaceo,
e in seguito frammentato e in parte inglobato nelle falde che costituiscono attualmente la catena alpina.
Geositi della Provincia di Sondrio
35
5
Marmitte
dei
Giganti
Motivo di interesse
scientifico primario:
geomorfologico
Motivi secondari:
petrografico
paesistico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Riserva naturale
Marmitte dei giganti
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Geositi della Provincia di Sondrio
Alle spalle di Chiavenna, all’imbocco della Val Bregaglia, si trova un piccolo mondo ombroso, fatto di fitte foreste e di
rocce rossastre che affiorano qua e là,
interrompendo il mantello verde. Queste rocce sono completamente diverse da
quelle che caratterizzano gran parte della
Valchiavenna e della Val Bregaglia elvetica dove predominano gli gneiss e i graniti. Si tratta infatti, di un affioramento di rocce sensibilmente più dure, dette
comunemente pietre verdi o serpentini,
ma più precisamente oliviniti e anfiboliti, che sono tipiche nella non lontana
Valmalenco. Il ghiacciaio, che millenni
or sono ricopriva tutta la vallata, confluiva più o meno in questo punto con
la grande lingua che scendeva dal valico
dello Spluga. La grande massa glaciale fu
costretta dalla morfologia valliva a modellare le rocce serpentinose in rilievo,
lasciando i segni del suo pesante passaggio con striature e arrotondamenti inequivocabili. Contemporaneamente, sulle
rocce, nei punti ove si trovavano delle
piccole concavità, le acque di fusione si
invorticarono e i detriti che trasportavano agirono da macina approfondendo
gradualmente il buco. Altri detriti più
grandi aumentarono l’efficacia dell’azione delle acque, fino a formare delle marmitte di pietra che, in certi casi, assunsero dimensioni enormi tanto da essere
dette “Marmitte dei Giganti”. Si tratta di
un fenomeno diffuso in tutte le Alpi e in
Chiavenna
ogni altro luogo dove scorra, o sia passato per lungo tempo, un corso d’acqua
vorticoso.
I motivi di interesse scientifico sono indubbiamente di carattere prevalentemente geomorfologico: la presenza in un’area
piuttosto concentrata di tutti quegli elementi quali rocce montonate e striate,
canali di erosione e di gronda, pozzi o
vaschette - marmitte dei giganti - conferiscono al territorio una forte identità legata agli eventi glaciali quaternari.
Le località principali dove insistono gli
aspetti più scenografici sono i rilievi di
Belmonte e di Sasso Dragone, dossi rocciosi le cui litologie appartengono al
Complesso Ofiolitico di Chiavenna. Sul
versante nord del Sasso Dragone è stato
allestito un sentiero glaciologico e alcuni affioramenti di “pietra ollare” - in passato sfruttati per la produzione di olle =
calici, pentole - sono stati recuperati e
attrezzati ai fini didattici.
La continuità dell’area con la cittadina
di Chiavenna, i resti delle antiche cinte murarie e la cava o “Caürga di Chiavenna” sono motivo di ulteriore interesse
culturale, paesaggistico ed etnografico del sito, che è stato riconosciuto dalla Regione Lombardia come riserva naturale regionale negli anni ottanta (DCR
III/1803 del 15.11.1984). I siti rilevati e
proposti per l’inventario dei geositi italiani sono compresi all’interno della riserva regionale.
Particolari della riserva
naturale delle Marmitte
dei Giganti: assieme alle
molte decine di marmitte
glaciali numerose sono le
rocce montonate e striate
e i massi erratici che
spiccano con il bianco del
granito sul grigio scuro
delle rocce mafiche e
ultramafiche
Geositi della Provincia di Sondrio
37
6
Cascate
dell’
Acquafraggia
Motivo di interesse
scientifico primario:
geomorfologico
Motivi secondari:
paesistico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Monumento naturale
Cascate dell’Acquafraggia
Studio idrogeomorfologico - Piano della Monumento Naturale “Cascate dell’Acquafraggia”.
Studio GEA.
38
Geositi della Provincia di Sondrio
Appena fuori Chiavenna, lungo la statale del Maloja, si incrocia Piuro e, sulla sinistra, le cascate dell’Acquafraggia. Il bacino dell’Acquafraggia è situato
all’imbocco ovest della Val Bregaglia: il
torrente omonimo nasce dalla Cima di
Lago a 3050 metri s.l.m.. Scendendo
verso il fondovalle il torrente percorre
due valli sospese (ambedue a controllo strutturale), l’una sui duemila metri e
l’altra sui mille metri di altitudine, forma quindi una serie di cascate di cui le
più basse formano un doppio salto. Si
capisce così l’origine del nome Acquafraggia, da “aqua fracta”, cioè torrente continuamente interrotto da cascate.
Queste, a doppio salto e a doppio corso, sono decisamente suggestive e sono
state protette da decreto regionale del
1984 e considerate Monumento Naturale. Sul finire del 1400 Leonardo da Vinci,
ingegnere ducale di passaggio da Chiavenna, annotò sul “Codice Atlantico”
che “su per detto fiume (Mera) si trova
chadute di acqua di 400 braccia le quali fanno belvedere”, e diversi viaggiatori
europei, tra il Sette e l’Ottocento, definirono le cascate dell’Acquafraggia come
le più belle fra le Alpi. Geologicamente
la zona è interessata dalla Falda Tambò del Pennidico medio, con gneiss biotitici, ma localmente anche muscovitici e assai lucenti, generalmente a grana
fine. Nel settore botanico rilevanti sono
gli ontani, l’abete bianco e la flora rupicale, tra cui rara Oplismenus undulatifolius, Erica arborea e in un suggestivo castagneto alla base delle cascate,
un esteso tappeto di Allium ursinum. Va
segnalata anche una felce, la Pteris cretica, che qui trova la stazione europea
più settentrionale grazie alla costante
nebulizzazione dell’acqua della doppia
cascata. Sulle sponde del torrente, circa
a quota mille, sorgono i paesi di Savogno e di Dasile, permanentemente abitati a partire dal secolo XV allorché l’aumento della popolazione, l’insalubrità e
l’insicurezza delle aree planiziali spinsero ad abitare i nuclei di mezza costa.
Piuro
Le cascate
dell’Acquafraggia a
Piuro. Le cascate, a
doppio salto e a doppio
corso. Sono state
protette da decreto
regionale del 1984 e
considerate monumento
naturale
Essi sono raggiungibili percorrendo una
mulattiera formata da oltre duemila gradini, che tocca dapprima gli interessanti
nuclei delle stalle dei Ronchi e dei crotti di Savogno (nel primo nucleo, di particolare rilievo il mastodontico torchio
da vino).
Geositi della Provincia di Sondrio
39
7
Frana
di Piuro
Motivo di interesse
scientifico primario:
geomorfologico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Casati P. (1991) – La frana di Gero e Barcone
(Valsassina) del 1762. Bollettino C.A.I., 92: 59–67,
Torino.
Pozzi R., Sfondrini G. (1972) – Caratteri generali della franosità in Provincia di Sondrio. Pubbl. 88
CNR-Fondazione per i problemi montani dell’arco
alpino. Tip Ramponi, Sondrio, 174 pp.
Scaramellini G., Kahl G., Falappi G.P. (1988) – La
frana di Piuro del 1618. Storia e immagini di una
rovina. Associazione italo-svizzera per gli scavi di
Piuro, Sondrio.
Piuro
Giustamente ricordata come una delle
più gravi calamità geologiche che hanno
colpito la Lombardia in epoca storica, la
frana di Piuro è un evento ben documentato nelle sue conseguenze anagrafiche
e socio-economiche, ma molto meno
compreso dal punto di vista geologico.
Se è assodato che l’evento provocò oltre
un migliaio di vittime (le stime variano tra 1200 e 2500) e che l’antico borgo di Piuro - paese ricco e importante in
virtù dell’estrazione e lavorazione della
pietra ollare e del commercio della seta
- fu quasi interamente sepolto da un accumulo di frana che localmente raggiunse i 60 m di spessore, è assai meno chiaro che tipo di frana possa aver causato
una simile devastazione e da cosa sia
stata scatenata. Partiamo dai fatti. Sul
finire dell’estate del 1618 si registrarono più di dieci giorni di pioggia pressoché ininterrotta. Il 4 settembre ci fu
una schiarita, e la sera stessa si scatenò la catastrofe. La frana si sviluppò sul
versante orografico sinistro, presumibilmente a partire dalle pendici del Monte
Conto, appartenente al massiccio Pizzo
Grillo-Corna Garzone, che – oltre ad essere stato interessato in passato, a più
basse quote, da una rete di gallerie per
la coltivazione della pietra ollare – tuttora presenta un andamento assai accidentato e conserva alcune delle principali evidenze morfologiche diagnostiche
dell’instabilità di versante: successioni
irregolari di selle e scarpate, contropendenze morfologiche, grandi accumuli di
detrito sciolto, impluvi rettilinei che delimitano blandi displuvi linguoidi. Queste caratteristiche potrebbero far pensare che la frana avvenne in risposta a
distacchi catastrofici di ingenti volumi
di roccia, che poi sarebbero precipitati,
come un flusso granulare ad alta densità (rock avalanche - valanga di roccia),
verso il fondovalle. Tuttavia il modello contrasta con due aspetti essenzia-
li: 1) la difficoltà di individuare un’area
di nicchia, 2) l’assenza di un accumulo
detritico di fondovalle conservato, come
è invece ancor oggi possibile osservare
– ad esempio – in Valsassina per effetto della frana di Gero-Barcone del 1762
(Casati, 1991). Entrambi gli aspetti fanno pensare che le devastazioni di Piuro
siano state causate da un flusso di detrito ricco d’acqua (debris flow) che, una
volta esauritosi il fenomeno, avrebbe lasciato sul posto accumuli fango-sabbiosi più facilmente rimovibili, nei secoli a
venire, dall’azione degli agenti atmosferici o dell’uomo stesso.
Sulle cause che hanno scatenato il fenomeno, scartata l’ipotesi di un sisma
(data la sostanziale inattività dell’area:
v. ad es. Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani, con possibilità di interrogazione, oppure The Earthquake Engineering
Online Archive – University of California
at Berkeley), non sfugge a nessuno l’evidente correlazione con le abbondanti
piogge dei giorni immediatamente precedenti l’evento. L’ipotesi più autorevole
(Pozzi & Sfondrini, 1972, pag. 46; Archivio AVI, record n. 1200924) è perciò che
la frana abbia coinvolto 1) una porzione corticale di versante (forse interessata dagli scavi estrattivi anzidetti) e 2)
la soprastante coltre detritica di origine
glaciale: entrambi gli elementi saturati
in acqua e quindi in condizioni di equilibrio limite. Lo scenario potrebbe essere stato aggravato dal cedimento di una
morena che sbarrava il laghetto del Grillo, alla sommità del Monte Conto (Scaramellini et al., 1988).
Gli scavi nell’aria di frana hanno permesso il rinvenimento di monete e armi
conservate presso il Museo degli Scavi
di Piuro (patrocinato da un’associazione italo-svizzera e facente parte del Museo della Valchiavenna), che si può visitare su richiesta, previo accordo con
il Municipio.
ACQUA FORTE di MERIAN MATTHAEUS
Pubblicata a Francoforte per la prima
volta nel suo “Theatrum Europaeum” nel
1635 (collezione G.Lisignoli Piuro) con la
rappresentazione di Piuro prima e dopo la
frana che distrusse il borgo
40
Geositi della Provincia di Sondrio
Geositi della Provincia di Sondrio
41
8
Lotteno
Motivo di interesse
scientifico primario:
petrografico
Motivi secondari:
mineralogico
geomorfologico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Tazzoli V. , Domeneghetti M.C., Mazzi F. & Cannillo E. (1995) - The crystal structure of chiavennite.
European Journal of Mineralogy 7, 1339-1344.
42
Geositi della Provincia di Sondrio
Prata Camportaccio
Le pegmatiti sono un tipo petrografico
particolarmente amato dai collezionisti
di minerali per la varietà, l’abbondanza
e la regolarità nella conformazione cristallina dei minerali che le costituiscono. Veri e propri “campionari naturali”
di minerali rari e/o ben formati, le pegmatiti devono le loro caratteristiche alle
condizioni fisico-chimiche che accompagnano la loro formazione. Esse traggono infatti origine dalla solidificazione di magmi residuali di temperatura
relativamente bassa, arricchiti in fluidi
ed elementi incompatibili – ossia, che
durante la cristallizzazione del magma
tendono a concentrarsi nel fuso. Soprattutto nei magmi acidi, l’abbondanza di
fluidi (per lo più vapor d’acqua e anidride carbonica) durante le ultime tappe della cristallizzazione conferisce elevata mobilità agli ioni necessari per la
costruzione dei reticoli cristallini, mentre i tempi - relativamente lunghi - di
raffreddamento facilitano la loro accrezione agli originari nuclei di cristallizzazione. In questo modo, minerali molto abbondanti nelle rocce crostali, ma
in genere presenti in individui di dimensioni millimetriche (es. feldspati), possono raggiungere dimensioni anche metriche; la concentrazione nei fluidi di
ioni incompatibili quali rubidio, cesio,
berillio, boro, fluoro e terre rare favorisce la crescita di minerali altrimenti
piuttosto rari (es. berillo, tormalina) o
comuni, ma non con tale abbondanza o
di tali dimensioni (es. ortoclasio, muscovite).
Le “Pegmatiti di Lotteno” sono un importante sistema di filoni ad andamento pressoché orizzontale, che tagliano i
corpi di rocce mafiche-ultramafiche del
“Complesso ofiolitico di Chiavenna”. Si
tratta in realtà di apliti e micrograniti
cui si associano, con minor frequenza,
filoni a struttura pegmatitica. Le pegmatiti presentano una comune struttura cristallina dominata dal feldspato
potassico, di colore bianco latteo, e da
aggregati fibroso-raggiati (“arborescenti”) di mica. I minerali accessori presenti nelle pegmatiti comprendono berillo
(anche nella varietà acquamarina), granato e rari accessori tra cui columbite,
Quella del Sasso Bianco
di Lotteno è una storica
palestra di arrampicata,
oggi meno di moda di un
tempo perché presenta
placche di aderenza, un
genere ormai soppiantato
dall’arrampicata in
strapiombo
di Roma accertò che era stata rinvenuta una specie nuova al mondo, poi approvata dall’IMA come nuova specie nel
1983 con il nome di chiavennite. Il minerale, rarissimo nelle Alpi, è un silicato di calcio, manganese e berillio, con
acqua e ossidrili, che si presenta in sottili cristalli tabulari esagonali, traslucidi e facilmente sfaldabili fino a 2 mm di
diametro, riuniti in aggregati irregolari. Talvolta costituisce strutture a feltro
che rimpiazzano più o meno profondamente cristalli di berillo alterati.
Non ultimo motivo di interesse, la maggior resistenza dei litotipi pegmatitici
rispetto alle ultramafiti incassanti determina la formazione di falesie subverticali, altre fino ad alcuni metri, che ben
si prestano all’arrampicata sportiva.
In basso: un netto
contrasto morfologico e
cromatico accompagna
il contatto tra il filone e
l’incassante
uraninite, gahnite, bertrandite, bavenite, milarite, aeschynite, uranmicrolite e
chiavennite. Il campo filoniano interessa prevalentemente la destra idrografica della Val Schiesone, ma è ben visibile
anche a Nord del displuvio, dove un canalone di frana sbocca presso la frazione Tanno di Chiavenna (località-tipo per
la chiavennite).
E’ proprio in quest’area, infatti, che tra
il 1978 e il ‘79 furono rinvenuti alcuni frammenti di una insolita pegmatite solcata da una serie di cavità lenticolari, rivestite da nitidi cristalli. Su
alcuni campioni venne osservata la presenza di esili lamelle da rosso arancio
vivo a giallo, con caratteri non attribuibili ad alcun minerale conosciuto. Il
Prof. Annibale Mottana dell’Università
In alto: aspetto
macroscopico della
“Pegmatite di Lotteno”
In basso: chiavennite
Geositi della Provincia di Sondrio
43
9
Solco
della Val Piana
Motivo di interesse
scientifico primario:
mineralogico
Motivi secondari:
strutturale
geomorfologico
paesistico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
AA. VV. (1997) - Val Codera montagna per tutte le stagioni. Guide Natura n. 5, 112, Lyasis Ed.,
Stampa Polaris, Sondrio.
Bedogné F., Montrasio A. & Sciesa E. (1993) - I
minerali della provincia di Sondrio. Val Malenco.
275, Tipografia Bettini, Sondrio.
Bonacossa A. & Rossi G. (1977) - Guida dei Monti d’Italia: Masino, Bregaglia, Disgrazia. Vol. I, 400
pp., CAI-TCI, Milano.
De Michele V. (1974) - Val Codera. In: Guida
mineralogica d’Italia. Ed. De Agostini, Vol. 1,
110-113, Novara.
Ghizzoni S. & Mazzoleni G. (2005) - Itinerari mineralogici in Val Codera. Geol. Insubr., 316, Tipografia Bettini, Sondrio.
Guastoni A. (1998) - Yugawaralite della Val Codera. Riv. Miner. Ital. 2, 59-60, Stampa tipografica
Milanese, Milano.
44
Geositi della Provincia di Sondrio
La presente proposta di itinerario geoturistico riguarda la Val Codera, raggiungibile dalla frazione Mezzolpiano di Novate Mezzola, al termine della strada
che si stacca dalla Statale 36 risalendo
la conoide (segnalata dalle indicazioni
su convenzionali cartelli turistici). Ubicata presso il margine meridionale del
massiccio delle Alpi Centrali, pochi km
a Nord della faglia principale della catena alpina (Lineamento Periadriatico),
questo luogo espone in splendide condizioni di affioramento uno dei più famosi massicci granitici di età alpina, il Plutone di Val Masino-Bregaglia, ed alcune
peculiarità geologiche. Queste ne incoraggiano la visita, nonostante la difficile accessibilità conseguente alla morfologia di valle glaciale sospesa, ove non
esiste attualmente alcuna strada d’accesso: già dai primi passi si fa infatti conoscenza con sentieri molto ripidi e a
zig-zag su pendii scoscesi spesso lastricati con lunghe gradinate di granito. La
Val Codera, nel suo medio corso, è attraversata da un evidente lineamento morfologico-strutturale che si sviluppa per
oltre 20 km di lunghezza, tra il versante sinistro idrografico della Val Bregaglia
e la Val Masino, in corrispondenza delle
celebri sorgenti termali ed oltre, fin verso lo sbocco di quest’ultima nella Valtellina. Il segmento di maggior evidenza
morfologica corrisponde ad una laterale destra, che si sviluppa come uno dei
più impressionanti canyon delle Alpi Retiche: la Val Piana. Tale sottobacino corrisponde ad un solco di erosione accelerata, impostato lungo un lineamento
fragile orientato circa NO-SE (denominato Linea della Val Piana). Quest’ultimo appartiene ad un sistema dovuto ad
estensione e/o transtensione (apertura,
più o meno combinata con movimenti di
scorrimento orizzontale), dominato dalla Linea della Forcola. Tale sistema è localmente intersecato da fratture più recenti, orientate circa N-S. Ad entrambi i
sistemi sono associate fasce di rocce cataclastiche, interessate da un’intensa al-
Novate Mezzola
In alto a sinistra: Solco
della Val Piana
In bassso a sinistra:
Yugawaralite
In alto a destra: il ponte
lungo il sentiero che porta
a Codera
In basso a destra: le Saline
Sopra: da segnalare anche
i ritrovamenti archeologici
di età paleolitica recente
A sinistra: suggestivi
scenari alpini e la presenza
di motivi di interesse
ambientale piuttosto
Sotto: variegati hanno
fatto sì che gran parte
dell’ambiente estreno
interesse ambientale
piuttosto
terazione idrotermale con formazione di
minerali argillosi e zeoliti (stilbite-Ca,
cabasite-Ca, laumontite e yugawaralite).
La presenza dell’ultima specie citata, decisamente rara, è al momento esclusiva
in tutto l’arco alpino. Secondo gli studi sperimentali, disponibili in letteratura ed effettuati sui campi di esistenza
dei minerali di alterazione idrotermale, le paragenesi mineralogiche trovate
in Val Piana indicano condizioni di formazione a profondità di poche centinaia
di metri e temperature variabili tra circa
130 e 200 °C. Tali temperature testimoniano l’esistenza di un campo geotermico fossile, messo in luce dall’erosione.
L’ambiente di formazione delle minera-
lizzazioni ed il loro contesto geologico-strutturale appaiono in buon accordo
con il significato, attribuito alla Linea
della Forcola, di faglia di denudamento
tettonico. Le aperture prodotte da questo tipo di faglie possono facilmente interferire con sistemi profondi di circolazione idrica: lo stesso processo e tipo
di mineralizzazioni si osservano anche
presso le fratture connesse alla Linea del
Sempione (corrispettivo della Linea della
Forcola, al margine occidentale del Duomo Lepontino). Questo itinerario, faticoso ma prodigo di soddisfazioni, è consigliabile ad escursionisti con un minimo
di pratica di montagna, discreto allenamento fisico e abbigliamento adeguato.
Geositi della Provincia di Sondrio
45
10
Cave di Riva
Motivo di interesse
scientifico primario:
petrografico
Motivi secondari:
strutturale
mineralogico
geomorfologico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Callegari E. & Monese A. (1961) - Studio petrogenetico dei bordi di reazione metamorficometasomatici attorno a lenti ultrafemiche incluse
nel granito di S. Fedelino. Rend. Soc. Min. It. 17,
147-192.
46
Geositi della Provincia di Sondrio
Sopra Novate Mezzola, paese posto
all’imbocco della Valchiavenna, la cornice di un fitto bosco di castagni lascia
ben presto il posto a quella più severa della nuda roccia, il granito che, in
questa zona, l’uomo ha piegato al suo
servizio: si tratta, infatti, del San Fedelino, qualità pregiata che ha determinato, in passato, l’apertura di numerose
cave. Il sentiero che sale in Val Codera è qui scavato proprio nel granito, e
solo così può scavalcare la forra terminale della valle, che precipita, selvaggia, per circa 300 metri, sul fondo del
Torrente Codera.
La presenza di litologie granitiche ha
conferito ai versanti montuosi un’asprezza e un’acclività insoliti anche per lo
standard valtellinese. Una tale energia
di rilievo determina una condizione di
rischio diffuso rispetto a fenomeni di
crollo e scivolamento in roccia, motivo
per cui è stata cura della Regione Lombardia eseguire una valutazione della
pericolosità del territorio anche attraverso modellazioni tridimensionali dei
versanti, che permettono – ad esempio
– di applicare modelli matematici di simulazione di caduta massi, o di evidenziare settori particolarmente critici sui
quali è prioritario effettuare interventi
di mitigazione del rischio.
Le cave di Riva rappresentano un’area
estrattiva oggi in fase di ridotta attività, ma rimangono un sito privilegiato
per l’osservazione del Granito di San Fedelino (Novate Granit) ed i suoi rapporti con l’incassante. La località presenta un notevole interesse petrologico e
mineralogico, in quanto sono stati studiati i processi metasomatici legati alla
trasformazione di rocce ultrafemiche a
composizione peridotitica. Tali processi
hanno originato aggregati fibrosi grigioverdi di antofillite, un minerale appartenente alla famiglia degli anfiboli (Callegari & Monese 1961).
In affioramento, il Granito di San Fedelino si presenta con la sua caratteristica struttura olocristallina minuta e
compatta: si distingue da molti altri intrusivi alpini per la coesistenza di abbondanti biotite e muscovite, da cui la
definizione di “granito a due miche”.
Novate Mezzola
In alto a sinistra: la cava
di Riva sopra l’abitato di
Novate Mezzola vista dalla
Val Codera
In basso a sinistra: massi
granitici attraversati da
sciami di filoni aplitici
A destra: studio
morfometrico sull’area
delle Cave di Riva tramite
DTM
Questo carattere mineralogico è un indicatore dell’eccesso di alluminio rispetto ad un granito comune (granito di
tipo A, dove “A” sta per “Andino”), fattore che a sua volta indica una probabile origine del fuso per anatessi crostale
(tipica dei graniti di tipo S, dove “S” sta
per “sedimentario”, dei quali il San Fedelino è considerato un esempio tipico).
L’eccezionale omogeneità del granito in
gran parte della sua area di affioramento
ne ha fatto uno standard internazionale, adottata in molti laboratori di scienza dei materiali in Italia e all’estero, per
misurare il cosiddetto coefficiente relativo di abrasione in condizioni di usura
per attrito radente. Solo in prossimità
dell’incassante, il granito rivela volubili giochi di intersezione con filoni bianchissimi di aplite, o ingloba inclusi ultramafici di colore scuro.
In basso a destra: lembi
di ultramafite incassante,
inglobati nel granito
Geositi della Provincia di Sondrio
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11
San Giorgio
Motivo di interesse
scientifico primario:
mineralogico
Motivi secondari:
paesistico
paleoantropologico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Le pendici occidentali del grande plutone del Masino-Bregaglia sono incise da
due imponenti solchi vallivi che, in direzione NE-SO, scendono dal cuore del
gruppo raggiungendo le rive del Lago
di Novate Mezzola. Le due valli hanno
un decorso quasi parallelo, ma si differenziano notevolmente soprattutto per
quanto riguarda l’ambiente naturale. A
Sud la lunga e verdeggiante Valle dei
Ratti offre vasti panorami ricchi di boschi e pascoli. Poco più a Nord, invece,
nella interminabile Val Codera, roccia e
vegetazione sembrano divedersi equamente gli spazi. L’imbocco della valle
è costituito da una profondissima forra scavata da torrente nel granito vivo,
con pareti alte alcune centinaia di metri. Da qui, all’altezza della località nota
come “i Barach”, raggiungibile in auto
da Novate Mezzola, parte una stradina
che costeggia il torrente e che in pochi minuti porta all’imbocco del sentiero per il piccolo villaggio di San Giorgio
Novate Mezzola
di Cola che sorge invisibile sul sommo
della rupe.
I motivi di interesse del sito, che ripaga
ampiamente la salita a tratti faticosa,
sono molteplici, a cominciare dall’aspetto architettonico ed etnografico: a un
passato remoto, testimoniato dall’organizzazione edilizia e, in forme più misteriose e suggestive, dai massi avelli,
si sovrappone bizzarramente una modernità rappresentata dalla fermata dell’elicottero di linea nella piazza principale!
San Giorgio è anche sito di interesse geomorfologico, in quanto punto panoramico di prim’ordine sulla bassa Valchiavenna ed in particolare sulla riserva
naturale Pian di Spagna e Lago di Mezzola; assume una notevole importanza
dal punto di vista mineralogico e petrografico, anche in quanto sede storica di attività di cava del granito (illustrata nelle strutture museali di Novate
Mezzola e frazioni); infine, rappresenta
un punto di sosta ideale lungo il Sentie-
ro Tracciolino.
Tagliato a mezza costa ad una quota costante di circa 915 m s.l.m., il Tracciolino è stato realizzato negli anni ’30 del
XX Secolo come comunicazione di servizio per gli impianti idroelettrici in Valle dei Ratti e Val Codera. Le condizioni
di affioramento pressoché continue, assieme alle caratteristiche di lungo ed articolato belvedere sospeso sul Piano di
Chiavenna, favoriscono l’osservazione
degli aspetti geologici e geomorfologici
più rappresentativi di questa regione.
Lungo le pareti rocciose tagliate dal
Tracciolino presso San Giorgio affiorano lenti di calcefiri, nelle quali sono
presenti cristalli pluricentimetrici idiomorfi di grossularia (un granato ricco di
calcio e alluminio) con abito rombododecaedrico e colore aranciato, immersi nella calcite oppure nel quarzo vitreo
bianco, associati talora a diopside e
spinello in cristalli neri ottaedrici (Repossi, 1917).
In alto: scorcio del
suggestivo sentiero che
conduce a San Giorgio.
Sotto: il piccolo villaggio
di San Giorgio sorge
invisibile in una splendida
conca verde
A sinistra: l’avello di
San Giorgio è il segno
dell’antica colonizzazione
della parte iniziale della
Val Codera
Sopra:
Grossularia
presente nei
calcefiri di
San Giorgio
A sinstra:
spinello
Repossi E. (1917) - La bassa valle della Mera, studi petrografici e geologici. Mem. Soc. Geol. It., 8,
(I-II), 1-186, Roma.
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Geositi della Provincia di Sondrio
Geositi della Provincia di Sondrio
49
Cava di Fornaci
di
Nuova Olonio
Motivo di interesse
scientifico primario:
geologia strutturale
Motivi secondari:
stratigrafico
geominerario
geomorfologico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
50
Geositi della Provincia di Sondrio
L’abitato di Nuova Olonio sorge sulla statale 36 all’imbocco della Valchiavenna. Qui sono di notevole interesse
le pareti di una cava solitaria e ormai
in disuso realizzata per l’estrazione di
pietra da calce. Si possono osservare affiorare estesamente dolomie compatte,
di aspetto granuloso o brecciate, di colore grigio chiaro; più raramente di colore grigio scuro, a tessitura minuta e
omogenea, che solo all’esame microscopico rivelano la presenza di piccole cavità riempite da minerali secondari. È
frequente una minuta dispersione di cristalli maggiori di un millimetro di pirite ossidata. L’ammasso roccioso si presenta attraversato da numerosi sistemi
di frattura, alcune delle quali riempite
da vene di alabastro. La giacitura degli strati, riconoscibile solo sul lato
Nord della cava, è sottolineata da giunti
millimetrici di pelite rossastra: gli strati, decimetrici e planari, immergono ripidamente verso Nord e sono deformati
da un minimo piegamento. La giacitura
concorda con l’andamento generale della stratificazione nell’intero lembo sedimentario di Dubino-Nuova Olonio, che
mediamente immerge verso Nord con
inclinazione prossima ai 70°. Per pura
analogia litologica l’affioramento è attribuito alla Dolomia Principale (v. carta geologica), ma in assenza di qualsiasi riscontro paleontologico conclusivo;
l’attribuzione tiene conto soprattutto della vasta distribuzione areale della
Dolomia Principale nei domini Sudalpino e Austroalpino. Muovendo dalla cava
verso Nord per circa 50 m, in un piccolo solco percorso dalle acque di scorrimento (impluvio) che ne biseca due più
grandi, si osserva il limite tra le suddette dolomie e metamorfiti alpine, ricche
di biotite, staurolite e granato, attribuibili agli “Scisti del Tonale”, Austroalpino Superiore. Dal momento che le metamorfiti a Sud delle dolomie presentano
un’evoluzione metamorfica del tutto diversa (picco di metamorfismo varisico
in facies anfibolitica, anchimetamor-
Dubino
scala del versante è notevole: la faglia
presenta un decorso parallelo al fondovalle, circa 500 m al di sopra della quota media della piana alluvionale dell’Adda, e la sua intersezione con il versante
è delineata da un allineamento di selle e
contropendenze, da considerare inattive
e legate esclusivamente all’erosione differenziale dei litotipi cataclasati lungo
lo specchio di faglia.
A sinistra: la cava di
Fornaci sopra l’abitato di
Nuova Olonio.
fismo alpino), il contatto tra il lembo
sedimentario di Dubino-Nuova Olonio non metamorfosato durante l’Orogenesi Alpina - e le metamorfiti dell’Austroalpino Superiore, è interpretato come
l’espressione in affioramento del Lineamento Periadriatico (“Linea Insubrica” o
“Linea del Tonale”), la più importante
faglia regionale che attraversa il tratto
italiano dell’arco alpino. La faglia giustappone il Dominio Sudalpino, non metamorfosato - se non a bassissimo grado
- durante l’Orogenesi Alpina, con le unità pennidiche e austroalpine, che invece
registrano un metamorfismo alpino fino
alla facies eclogitica (Falda Adula). Alla
faglia sarebbero associati rigetti plurichilometrici sia in senso verticale, con
risalita relativa del blocco settentrionale, sia in senso trascorrente destro.
L’evidenza morfologica della faglia alla
In basso: vista panoramica
della cava: nella
morfologia del versante
si evidenzia (a destra)
il piano di discontinuità
rappresentato dalla Linea
Insubrica.
SUDALPINO
12
DOLOMIA PRINCIPALE (NORICO)
SUCCESSIONE INFRA-E
MEDIO-TRIASSICA INDIFFERENZIATA
SUCCESSIONE PERMIANA (?)
DI DUBINO
UNITA’ METAMORFICHE
AUSTROALPINE
LINEAMENTO PERIADRIATICO
(“LINEA INSUBRICA”)
Geositi della Provincia di Sondrio
51
13
Pian
di
Spagna
Motivo di interesse
scientifico primario:
geomorfologico
Motivi secondari:
sedimentologico
naturalistico
paesistico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Riserva naturale
Pian di Spagna (SIC-ZPS)
Agostoni S., Laffi R. & Sciesa E. (1997) – Centri
Abitati Instabili della Provincia di Sondrio. Pubbl.
CNR-GNDCI 1580, Arti Grafiche Vertemati, Vimercate, 59 pp. + 86 schede.
52
Geositi della Provincia di Sondrio
Piano presso la confluenza dei fiumi
Adda e Mera, costituito prevalentemente ed in superficie dai sedimenti alluvionali deposti da entrambi. Attualmente il delta sviluppatosi principalmente
lungo la direttrice Est-Ovest del Fiume
Adda separa, di fatto, il Lago di Como
dal Lago di Novate Mezzola: tuttavia, in
un passato nemmeno troppo remoto, la
situazione geografica era ben diversa,
con un Pian di Spagna molto meno sviluppato (per cui più arretrato verso Est)
e con i due laghi in sostanziale continuità. Inoltre, la propaggine settentrionale del bacino lacustre si spingeva talmente a Nord da inglobare l’area
dell’attuale “Pozzo di Riva”, sotto l’abitato di Novate, e lambire l’abitato di
Samolaco, che deve il suo nome alla
locuzione latina summus lacus (“cima
del lago”). Attualmente il ruolo è stato “usurpato” (peraltro a buon diritto,
vista l’evoluzione morfologica che i luoghi hanno subito nel frattempo) da Colico, il cui nome sembra richiamarsi al
dialetto lombardo (co’ del lac) più che
al latino.
Lo scenario di un Lago di Como esteso
sino a Samolaco è documentato anche
dalla cartografia storica, dove il Lago di
Mezzola appare ancora privo di identità separata nonostante esistesse già il
forte spagnolo di Fuentes, seicentesco.
Non sfugge all’osservatore attento come
l’area conservi traccia della dominazione spagnola sotto forma di una teoria
di toponimi riconoscibilissimi: oltre agli
ovvi Pian di Spagna e Fuentes, vale la
pena di ricordare come in carte pre-seicentesche il toponimo di Verceia si scrivesse “Vercella”, e sia stato presumibilmente storpiato a causa della pronuncia
della “ll” spagnola.
Per i suoi caratteri di naturalità floristica
e faunistica, l’area del Pian di Spagna è
stata anche individuata come zona umida di interesse internazionale ai sensi
della Convenzione di Ramsar, come Riserva Naturale regionale (d.c.r. 1913 del
19/12/1984) e come Zona a Protezione
Dubino - Piantedo
In alto a sinistra: il Pian di
Spagna visto da Dascio,
grazioso borgo che si
trova sulle rive di una
diramazione meridionale
del lago di Mezzola
Speciale nell’ambito della Rete Natura
2000 (IT 2040022). Il paesaggio vegetale è dominato da canneti a cannuccia
di palude; si segnalano inoltre boschi
misti di latifoglie, ampie zone agricole adibite a pascolo o appezzamenti a
mais. Il vero patrimonio della Riserva è,
però, costituito dall’avifauna, sia nidificante sia, soprattutto, migratoria. Fra
migratori e stanziali sono stati osservati
uccelli appartenenti a 200 specie diverse, delle quali 24 acquatiche.
Rispetto al perimetro della ZPS, che tutela il sistema lacustre e la piana alla
base delle pareti che la cingono, è opportuno che il geosito includa anche i
rilievi a Ovest del lago, alle pendici del
Monte Berlinghera, ed un limitato settore a Sud dell’Adda. In particolare, includendo il Piano di Còlico, con i rilievi del Montecchio Nord e Monteggiolo,
dove affiorano miloniti insubriche, il geosito offrirebbe numerosi aspetti d’interesse geomorfologico e petrografico, un
percorso culturale quale la “Via Franci-
In alto a destra: le
propaggini settentrionali
del Pian di Spagna viste
dalla Valle dei Ratti
In basso: il Pian di Spagna
visto dal Monte Combana
Geositi della Provincia di Sondrio
53
13
A sinistra: dal Pian di
Spagna la visione sullo
sbocco della Val Codera e
della Valle dei Ratti. In alto
spicca (a destra nella foto)
il quadrangolare massiccio
del Sasso Manduino
A destra: l’insenatura di
Dascio
In basso a sinistra: cartina
“storica” della Valtellina,
dove si vede un Pian di
Spagna ben più piccolo
in un periodo in cui già
esisteva il forte spagnolo
di Fuentes
In basso a destra: la foce
della Mera
sca” e, all’estremità meridionale, il sito
storico del Forte di Fuentes, sulla sommità del Monteggiolo: entrambi sono,
tra l’altro, eccellenti punti panoramici.
A meno di un km dal Forte, in direzione Est presso l’attuale centro abitato di
S. Agata, si trovava l’insediamento preromano di Aneunia, in seguito Olonium
(infine Olonio, centro abitato definitivamente distrutto nel 1443 da un even-
54
Geositi della Provincia di Sondrio
to franoso e sostituito da Nuova Olonio: Agostoni et al., 1997), oggetto di
ricerche archeologiche e preziosa testimonianza del rapporto tra l’uomo ed i
processi di dinamica fluviale, nel settore della confluenza Mera/Adda.
Anche l’insediamento dei Crotti di Vico
(Verceia), in un contesto morfologico
unico in Valchiavenna, meriterebbe tutela come luogo d’interesse etnografico.
Geositi della Provincia di Sondrio
55
14
Lago
di
Trona
Motivo di interesse
scientifico primario:
paleontologico
Motivi secondari:
stratigrafico
sedimentologico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Parco delle Orobie
Valtellinesi
Gerola Alta
Il sito paleontologico è ubicato alla testata della valle di Trona, in Valgerola,
pochi metri al di sotto della linea di cresta che corre dal Pizzo di Trona - il quale emerge dalle acque del Lago Rotondo,
residuo delle grandi glaciazioni quaternarie che si caratterizza per non avere
immissari visibili e neppure si notano
ghiacciai che lo alimentano - al Passo
Bocca di Trona, ad Est della Cima di Giarolo (2344 m). La strada che porta in
Valgerola, la provinciale 405, percorre
il versante occidentale della stessa iniziando da Morbegno e passando per numerosi paesi aggrappati ai ripidi fianchi
della montagna: Rasura, Pedesina, Gerola Alta sono i più importanti, fino ad
arrivare a Pescegallo. Lasciate le auto
presso il piazzale della seggiovia di Pescegallo, si imbocca un sentiero che si
inerpica lungo un itinerario molto suggestivo tra le aspre architetture della
testata della Valgerola, in un ambiente
decisamente solitario e selvaggio, sino
ad arrivare al sito in oggetto, costituito da un unico livello di argilloscisti grigio-nerastri, potente circa una trentina
di centimetri e con immersione a SE, un
antico canale da sabbioso a siltoso.
Tale livello, a forma di lente, è esposto
per qualche decina di metri quadrati e
risulta intercalato tra due banchi metrici di arenarie grossolane grigio-nocciola chiaro. L’alternanza argilloscisti-arenarie si ripete per molte decine di metri
sia a letto che a tetto del livello fossili-
In alto: lo splendido
Lago Zancone dalle
verdi acque
In basso: le aspre
forme del Pizzo di
Trona sovrastano
l’omonimo lago
A destra: Cassinisia
orobica, olotipo
Il comodo sentiero
che conduce sulle
sponde del Lago di
Trona
56
Geositi della Provincia di Sondrio
Geositi della Provincia di Sondrio
57
14
Sullo sfondo la testata
della Valle di Trona,
dove è ubicato il sito
paleontologico
Il Lago Rotondo, autentica
gemma della desolata conca
che lo circonda. Il lago si
caratterizza per non avere
immissari visibili
A sinistra: ricostruzione
di Cassinisia orobica (da
Kerp et al., 1996)
A destra: esemplari
di Cassinisia orobica
custoditi presso il
Museo di Morbegno
(ritrovamento: G.Perego)
fero; lo spessore degli argilloscisti risulta mediamente ridotto a qualche centimetro.
Gli schemi dei rapporti stratigrafici fra le
unità permiane nell’area indicano il rientro, a più livelli dei conoidi alluvionali, del Conglomerato del Ponteranica nei
bacini lacustri della Formazione di Collio
s.s.. Di tale rapporto è visibile un esempio lungo la dorsale a ONO dell’affioramento fossilifero. Entro una di queste
modalità di deposizione dei sedimenti,
che si realizza quando in tempi successivi si depongono corpi sedimentari parzialmente sovrapposti in posizione sempre più lontana rispetto alla sorgente
dei sedimenti stessi, si rinvengono i resti fossili di Cassinisia orobica.
I fossili si ritrovano caoticamente disposti e tra loro ammassati senza però pre-
58
Geositi della Provincia di Sondrio
sentare tracce di usura per trascinamento o rotolamento. Contrariamente alla
conservazione bidimensionale per compressione di tutti i macroresti vegetali sinora ritrovati nella Fm. di Collio s.l.,
e presenti anche in alta Val Gerola, i resti di C. orobica sono modelli tridimensionali, apparentemente non deformati,
costituiti da siltiti grigiastre, a cemento carbonatico, e/o sparite. Tali modelli,
privi di strutture organiche, corrispondono quasi unicamente a porzioni terminali di assi vegetativi (anche ramificati)
e sono contenuti in voluminosi “mani-
cotti” calcarei grigio-nerastri, che altro
non sono che strutture stromatolitiche,
ovvero di origine fossile, di dimensioni variabili tra 5 e 20 cm. La modalità
di fossilizzazione è unica ed è stata studiata da Freytet et al. (1996).
Tali resti vegetali appartengono sicuramente ad una conifera di età permiana,
ma per le peculiari caratteristiche morfologiche non hanno trovato collocazione in alcun taxon di quelli tardopaleozoici conosciuti. Pertanto, sono stati
proposti un genere ed una specie nuovi:
Cassinisia orobica Kerp et al., 1996.
Freytet P., Kerp H. & Broutin J. (1996): Permian
freshwater stromatolites associated with the conifer shoots Cassinisia orobica Kerp et al. - a very
peculiar type of fossilization. - Rev. Palaeobot. Palynol., 91: 85-105.
Kerp H., Penati F., Brambilla G., Clement-Westerhof J.A. & Van Bergen P.F. (1996): Aspects of
Permian palaeobotany and palynology. XVI. Threedimensionally preserved stromatolite-incrusted
conifers from the Permian of the western Orobic
Alps (northern Italy). - Rev. Palaeobot. Palynol. 91:
63-85.
Geositi della Provincia di Sondrio
59
15
Conoide
del
Tartano
Motivo di interesse
scientifico primario:
geomorfologico
Motivi secondari:
sedimentologico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
60
Geositi della Provincia di Sondrio
Il Torrente Tartano nasce dalla confluenza dei torrenti di Val Corta e Val Lunga in Val Tartano: con una corsa complessiva di 14 chilometri, distribuita
su 1835 metri di dislivello, il torrente
si getta nella piana di fondovalle confluendo nell’Adda poco a monte dell’abitato di Talamona, fiorente paese della
Bassa Valtellina lambito dalla statate 38
dello Stelvio.
La conoide che il torrente forma al suo
sbocco nella piana, in corrispondenza dell’improvvisa diminuzione di pendenza, è unica in Valtellina non tanto
per le sue dimensioni, non eccezionali con i suoi 190 ha = 1.9 km2, o per
la sua simmetria, non perfetta, quanto
per il suo elevatissimo grado di attività
recente: la granulometria ciclopica dei
detriti, l’ampiezza dei canali distributori attivi e la discontinuità della copertura vegetale ne fanno uno dei migliori esempi di conoide valliva attiva non
solo in Lombardia, ma nell’intero arco
alpino. L’ultima fase di attività parossistica della conoide ha coinciso con
l’evento alluvionale del 1987, quando il
considerevole trasporto solido ha provocato un innalzamento generalizzato
(aggradazione) della conoide. In seguito all’evento sono stati realizzati interventi di sistemazione idraulica. Alcuni
spaccati, artificiali e naturali, consentono di effettuare interessanti osservazioni sedimentologiche sull’architettura del
deposito. In rari casi è possibile riconoscere un’alternanza di ghiaie grossolane
e angolose, relativamente pulite data la
scarsità di matrice limoso-sabbiosa, e di
sabbie ciottolose con rozze laminazioni parallele; questi sedimenti si organizzano, più che in strati regolari, in lenti grossolane, compatibilmente con una
dinamica alluvionale di alta energia dominata dai processi di trasporto in massa e flusso granulare. Sia in depositi relativamente antichi, esposti in spaccati
trasversali, sia in depositi recentissimi
esposti a piano campagna, è possibile apprezzare l’embricazione dei ciotto-
Talamona
A sinistra: l’estesa conoide
del Tartano è uno dei
migliori esempi di conoide
valliva attiva nell’intero
arco alpino
In alto a destra:
un’immagine della conoide
durante l’alluvione del
1987
In basso a destra: la
conoide visto dalla Colmen
di Dazio
li che si accavallano l’uno sull’altro nel
verso della corrente e, in rari casi, veri e
propri “depositi setaccio”, barre di blocchi grossolani che hanno trattenuto accumuli di ghiaia più fine, impedendone
il deflusso.
Dal punto di vista naturalistico-ambientale l’area presenta particolare interesse per la vegetazione forestale presente
sulla conoide. I successivi spostamenti a “tergicristallo” dell’alveo attivo del
torrente Tartano nel corso degli anni,
hanno favorito la coesistenza di formazioni forestali a diverso grado di evoluzione, in genere sviluppate su suoli di
spessore esiguo.
WWF-Italia nel 1997, per le peculiarità ambientali del sito, ha proposto che
esso venga tutelato come Parco Sovracomunale.
In basso a sinistra:
embricazioni da corrente
nei ciottoli che riempiono i
canali attivi
Geositi della Provincia di Sondrio
61
16
Val di Mello
e
Sasso di Remenno
Motivo di interesse
scientifico primario:
geomorfologico
Motivi secondari:
petrografico
sedimentologico
paesistico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Camanni E. (1998) – Nuovi Mattini. Il singolare
sessantotto degli alpinisti. Vivalda, Torino.
Dickinson W.R. (1985) – Interpreting provenance relations from detrital modes of sandstones. In:
Zuffa, G.G. (Ed.) Provenance of arenites. Dordrecht,
Reidel, NATO ASI Series, 148, 333-361.
62
Geositi della Provincia di Sondrio
Una delle più classiche e belle gite che
si possono fare in Valtellina, partendo da San Martino in Val Masino lungo
la provinciale n. 404 che si stacca dalla statale 38 all’altezza di Ardenno, è
quella che percorre la Val di Mello attraverso uno degli angoli più spettacolari
di tutte le Alpi. La gita è di quelle “tutto riposo” adatte a comitive numerose e
a famiglie. La Val di Mello è interamente
intagliata nel plutone cenozoico del Masino-Bregaglia - Bergell Granit o Bergell
Granodiorite nella letteratura in lingua
tedesca - che presenta due litologie dominanti: il serizzo, una tonalite orientata a grana minuta che tende a disporsi
ai margini del plutone, ed il ghiandone, una granodiorite a grossi cristalli
ben definiti di feldspato potassico che
occupa prevalentemente il nucleo del
corpo roccioso. L’azione combinata della gravità e dell’erosione glaciale, estremamente attiva sino all’ultimo massimo
glaciale (LGM, ~ 15.000 anni fa) e ormai soltanto residuale, ha conferito alla
valle un aspetto quanto mai suggestivo e di grande valore scenico. Aspri dirupi, intagliati nelle nude pareti di granito, si affacciano spesso verticali sugli
accumuli di frana e sulle estese coltri
di detrito di versante ad essi intervallate; la larghissima spaziatura dei sistemi
di fratture che interessano gli ammassi rocciosi e la tenacia dei litotipi hanno fatto sì che le frane coinvolgessero
blocchi di dimensioni ciclopiche, come
il Sasso Remenno. Situato in Val Masino,
a circa 1.5 km a valle dell’imbocco della
Val di Mello, è un unico, enorme masso
con dimensioni approssimative di 100 m
di lunghezza per 55 di larghezza per 35
di altezza: con i suoi circa 180.000 m3
di volume, rappresenta probabilmente il
più grosso masso di frana noto nell’intero arco alpino.
L’esposizione di rocce unicamente granitoidi fa sì che il detrito alluvionale sia
monolitologico e che la frazione sabbiosa di questo si avvicini alla composizione dell’arkose ideale (Dickinson 1985).
Val Masino
A sinistra: spaccato della
splendida Val di Mello e del
Monte Disgrazia
A destra: arrampicata sulla
via Luna Nascente con vista
su Cascina Piana
In basso un momento
della manifestazione
di Melloblocco, raduno
internazionale dei “sassisti”.
La natura litologica della
zona, caratterizzata da una
roccia molto compatta ed
idonea all’arrampicata in
aderenza, fanno della Val di
Mello una delle destinazioni
più affascinanti per gli
arrampicatori
Geositi della Provincia di Sondrio
63
16
Precipizio degli Asteroidi
Qt
*
Serie delle arenarie
di catena collisionale
Arkose “ideale”
F
bie
di b
*
Sab
Provenienza da catene
a falde continentali
Serie delle arenarie
di bacino d'avampaese
Sabbie attuali della Val di
Mello (analisi quantitative:
Giovanni Vezzoli)
loc
co
con
t
Provenienza da complessi
di subduzione oceanici
ine
nta
le
Sabbie quarzose
cratoniche
*
*
Ser
vulc ie dell
ano e sa
-plu bbie
ton
iche
Sabbie vulcanoclastiche di arco
riodacitiche
andesitiche
L
Da segnalare anche le Cascate della Val
del Ferro, un suggestivo scivolo in roccia che il torrente, proveniente dalla Casera del Ferro a 1658 m s.l.m., è
costretto a percorrere a precipizio, con
pendenze medie del 100% - intervallate, peraltro, da tratti subverticali – ed
un salto complessivo di oltre 200 m.
Durante l’inverno la cascata ghiaccia e
si trasforma in una difficilissima palestra di arrampicata per i rocciatori più
esperti. Non ultima, tra le attrattive della valle, una suggestiva toponomastica
dei picchi rocciosi - es. “Precipizio degli Asteroidi”, “Stella Marina”, “Tempio
di Eden”, “Scoglio delle Metamorfosi”,
“Sperone degli Gnomi” - spesso imposta non dai topografi del Regno d’Italia
ma, a partire dagli anni ’70, dai numerosi free-climbers, Ivan Guerini in testa,
che hanno frequentato e frequentano la
valle - ribattezzata a proposito “la piccola Yosemite” - e le sue falesie (Camanni, 1998).
64
Geositi della Provincia di Sondrio
Nella pagina alcune
suggestive immagini
della Val di Mello
In alto da sinistra:
aspetto macroscopico
del “Ghiandone”, qui
attraversato da un
filone aplitico
In alto: Cascate del
Ferro
In basso: Sasso di
Remenno
Geositi della Provincia di Sondrio
65
17
Piramidi
di
Postalesio
Motivo di interesse
scientifico primario:
geomorfologico
Motivi secondari:
paesistico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Riserva naturale
Piramidi di Postalesio
Tuia T. (1984) Piano della riserva Naturale “Piramidi di Postalesio” - Relazione Geologico-Geomorfologica.
66
Geositi della Provincia di Sondrio
Da Postalesio, comune che si trova sul
versante retico mediovaltellinese fra
Berbenno di Valtellina, ad Ovest, e Castione Andevenno, ad Est, una strada
che si arrampica alle spalle del paese
porta a uno dei maggenghi del comune, detto “il Prato”, a 743 metri, situato in una zona morenica molto interessante. Si tratta di una riserva naturale
nella quale si può osservare un fenomeno geomorfologico insolito e senz’altro raro nelle nostre valli, le cosiddette “piramidi d’erosione”, denominate in
questo luogo “Piramidi di Postalesio”. Il
sito delle “Piramidi di Postalesio” si trova in un’area di impluvio del Torrente
Caldenno, un tributario sinistro del Fiume Adda. Si tratta di una valle di origine glaciale successivamente modellata dall’azione erosiva del corso d’acqua
che, grazie a particolari condizioni geologiche e climatiche, ha dato origine a
questa evoluzione morfologica piuttosto
rara ed interessante. Le piramidi sono
strutture eleganti ricavate nel deposito
glaciale dal lavoro nei secoli dei torrenti
selvaggi e delle piogge che hanno consumato i materiali facilmente erodibili
intorno, a esclusione di alte guglie disuguali e decorative, protette da altrettanti massi che hanno fatto da “cappello” ai sedimenti più fini sottostanti. Lo
spettacolo è interessante e ha un suo
fascino particolare, tanto più che queste
pallide guglie si inquadrano in un paesaggio severo, profondamente trasformato e inciso dai fenomeni atmosferici.
Guardando il sito più da vicino, mentre
imponenti depositi morenici quaternari
caratterizzano tutto il versante esposto
a meridione, il bacino di erosione delle piramidi occupa una limitata area tra
i 750 e 800 m s.l.m., impostato su uno
dei due cordoni morenici ancora riconoscibili, il più recente dei quali si estende
con orientamento NE-SO dalla località
Postalesio
piramidi crea inoltre un particolare microclima che permette lo sviluppo di un
fitto bosco con la presenza contemporanea di specie di climi freddi (tra cui larice, abete rosso, abete bianco, pino silvestre) accanto a specie che prediligono
climi più caldi.
Pra’ Montesanto - dallo spiazzo pianeggiante di Pra Leone due deviazioni della
strada portano rispettivamente a Ca Moroni e a Pra Montesanto - fino all’alveo
del Torrente Caldenno. La posizione protetta del sito all’interno delle valle e le
caratteristiche sedimentologiche del deposito hanno permesso il formarsi e il
conservarsi di queste spettacolari piramidi di erosione e il sito ben si presta
a descrivere la dinamica dei fenomeni
erosivi. Ognuna delle sette piramidi ha
una morfologia peculiare - sono rilevabili tre piramidi in via di formazione - e
molti massi erratici subarrotondati, osservabili al piede del bacino di erosione,
potrebbero appartenere a piramidi crollate negli ultimi decenni, la cui colonna
detritica è stata velocemente dilavata.
Le litologie dei massi sono prevalentemente micascisti della formazione della
punta di pietra rossa, gneiss occhiadini
del Dosso Cornin, membro della stessa
formazione, e Gneiss del Monte Tonale.
L’esistenza delle vallecole scavate tra le
Il sito delle Piramidi di
Postalesio. Le piramidi
sono strutture eleganti
ricavate nel deposito
glaciale dall’azione del
ruscellamento diffuso
e concentrato che ha
consumato i materiali
facilmente erodibili
intorno, a esclusione di
alte guglie disuguali e
decorative
Geositi della Provincia di Sondrio
67
18
Dossi
di
Triangia
Motivo di interesse
scientifico primario:
geologia strutturale
Motivi secondari:
petrografico
geomorfologico
paesistico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Boriani A., Bini A., Berra F., Cariboni M., Ferrario
A., Mazzoccola D., Migliacci Bellante R., Ronchi
A., Rossi R., Rossi S., Papani L., Sciesa E. & Tognini
P. (2008) – Note Illustrative della Carta Geologica
d’Italia alla scala 1:50.000 - Foglio 056 “Sondrio”.
APAT-Servizio Geologico, in stampa.
Venzo S., Crespi R., Schiavinato G. & Fagnani G.
(1970) – Carta Geologico-petrografica delle Alpi
Insubriche valtellinesi tra la Val Masino e la Val Malenco (Sondrio). Mem. Soc. It. Sc. Nat. Mus. Civ. St.
Nat 19, Milano.
68
Sondrio
Castione Andevenno
Geositi della Provincia di Sondrio
L’assolato ripiano di Triangia si sviluppa alla destra idrografica del Torrente Mallero a pochi chilometri dall’abitato di Sondrio, ad un’altitudine media
di circa 500 metri. Nonostante i versanti montuosi della Valtellina abbondino
sia di ripiani a mezza costa, sia di rocce
montonate, la combinazione di elementi
strutturali e morfologici che si osserva
nei pressi di Triangia è del tutto peculiare e forse unica. Sul ripiano, di superficie approssimativa di 35 ettari, si contano fino a 12 dossi di forma allungata,
alti in media una decina di metri, lunghi mediamente dai 100 ai 450 metri e
larghi da 20 a 60 metri, con un’ellitticità media pari a 8. I dossi presentano anche un elevato grado di parallelismo: gli azimuth della loro direzione
presentano scostamenti modestissimi
dalla media di 85°N. Da un punto di vista litologico i dossi sono caratterizzati dalla prevalenza di rocce metamorfiche scarsamente foliate, i cui protoliti
sono interpretabili come pegmatiti di
età imprecisata e probabili porfidi permiani: questi litotipi si raggruppano in
una grande amigdala tettonica (amygdala = mandorla) di forma allungata, compresa tra più classiche facies metamorfiche foliate, attribuite alle formazioni
degli Scisti di Edolo e degli Scisti del
Tonale. L’amigdala tettonica, non rappresentata nella classica carta geologica di Venzo et al. (1970), è stata distinta all’interno del Foglio CARG 1: 50
000 “Sondrio” (Boriani et al., 2008). Da
un punto di vista strutturale il contesto è quello del Dominio Austroalpino
(margine adriatico interessato da metamorfismo alpino) in una posizione assai prossimale alla Linea Insubrica, che
corre con direzione E-O lungo l’avvallamento che separa i dossi dall’abitato di Triangia. Gli enormi rigetti associati alla Linea Insubrica, sia nel senso
della trascorrenza destra (che vari autori stimano nell’ordine dei 30-100 km),
sia in senso verticale (stimato nell’ordine dei 5-20 km sulla base dei diversi
In alto a sinistra: il Castello
De Piro al Grumello, meglio
conosciuto come Castel
Grumello, che deve il suo
nome al dosso roccioso
(grumo) sul quale è stato
edificato. Sullo sfondo il dosso
di Triangia
In basso a sinistra: Paul
Klee, Strade principali e
secondarie, olio su tela, 1929,
Colonia, Museum Ludwig.
Con l’imporsi di geometrie
ricorrenti, il paesaggio di
Triangia evoca all’occhio del
visitatore schematismi tipici
dell’arte cubista e astratta
In alto a destra: l’assolato
ripiano di Triangia
gradi metamorfici dei domini Sudalpino
e Austroalpino, direttamente giustapposti), hanno determinato una marcata deformazione duttile dei litotipi, che
si sono assottigliati e stirati plasticamente (un processo noto in petrologia
del metamorfico come trasposizione). Il
modellamento glaciale ha fatto il resto,
erodendo in modo differenziale un substrato roccioso già caratterizzato da discontinuità marcate, ravvicinate e pressoché perfettamente parallele alla Linea
Insubrica. Le fasce incise in modo preferenziale coinciderebbero con litotipi più
erodibili per natura mineralogica e/o
per grado di fratturazione. Il risultato
è un paesaggio inusuale e suggestivo,
dove l’imporsi di geometrie ricorrenti
evoca all’occhio del visitatore schematismi tipici dell’arte cubista e astratta.
Può completare l’escursione, risalendo
per pochi tornanti la strada che parte da
Triangia, una visita agli affioramenti del
Plutone di Triangia (una massa granitoi-
A destra: Triangia nella
cartografia tradizionale
(sopra) e CARG (sotto):
in quest’ultima, le
metapegmatiti hanno trovato
rappresentazione distinta
de di età Cenozoica, legata allo stesso
magmatismo periadriatico rappresentato, con volumi ben maggiori, dai Plutoni del Masino-Bregaglia e dell’Adamello)
e al piccolo Lago di Triangia.
Geositi della Provincia di Sondrio
69
19
Sasso Bianco
Motivo di interesse
scientifico primario:
geologia strutturale
Motivi secondari:
petrografico
geomorfologico
paesistico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
70
Castione Andevenno
Postalesio - Torre S. Maria
Geositi della Provincia di Sondrio
Come per il geosito, precedentemente descritto, del Pian dei Cavalli – Alpe
Gusone, anche in questo caso i motivi di interesse e di singolarità geologica dell’area derivano dalla presenza
di micro-paesaggi carsici legati all’implicazione strutturale di lenti marmoree, di estensione ettometrica, all’interno di rocce metamorfiche intensamente
deformate. Le rocce in questione appartengono alle unità degli Scisti del Monte Canale (Falda Bernina, Austroalpino)
e ai Micascisti di Scermedone-Ciappanico (Zona Lanzada-Scermedone, Pennidico); le lenti marmoree intercluse sono
da ricondurre plausibilmente a protoliti
calcarei di età mesozoica, metamorfosati durante l’Orogenesi Alpina.
Il Sasso Bianco, segnalato anche come
Monte Arcoglio nella cartografia IGM, si
raggiunge comodamente con automezzo adeguato da Postalesio, con un ultimo “strappo” a piedi di un certo impegno fisico. Con l’automezzo si raggiunge
la conca occupata dal piccolo Lago di
Colina, dove un’azienda zootecnica svolge la sua attività in una cornice particolarmente bucolica. La conca, di evidente modellamento glaciale, ospita tuttora
un rock glacier (ghiacciaio di roccia).
I versanti che chiudono la conca verso
Nord evidenziano, nella volubilità delle
morfologie e dei cromatismi, come nella insistita continuità laterale degli elementi strutturali del substrato roccioso,
la presenza di un sistema di pieghe interno alle metamorfiti della Falda Bernina. Risalendo verso la sommità del
Sasso Bianco, si incontrano via via più
frequentemente in affioramento marmi
saccaroidi di colore rosato e poi bianco;
i marmi rosati presentano una maggiore dispersione di ferro ossidato, vuoi per
un’originaria maggiore abbondanza di
minerali ferrosi nel protolito, vuoi – più
plausibilmente – per una maggiore circolazione di soluzioni ossidanti in prossimità dei contatti tettonici che delimitano la lente di marmo. Giunti in cima al
Sasso Bianco, ecco uno scenario di grande effetto: un pianoro carbonatico, interessato da micromorfologie carsiche, si
apre verso Nord consentendo di godere
di uno sguardo d’insieme di rara bellez-
A destra: il Sasso Bianco,
posto a cavallo tra media
Valtellina e Valmalenco.
La cima - resa bianca dal
marmo che la forma rappresenta un ottimo
osservatorio su entrambe
le valli
A sinistra: la presenza di
marmo, interessato da
fenomeni di trasposizione
(in alto), determina
morfologie carsiche quali
campi solcati e inghiottitoi
(in basso)
za sul Gruppo del Disgrazia, al cui piede affiora il fronte meridionale delle Serpentiniti della Valmalenco – tanto che i
bruschi passaggi morfologici e vegetazionali che si osservano in panoramica
appaiono condizionati più dalla natura
dei litotipi che non dall’altitudine.
In corrispondenza della cima del Sasso Bianco, un piccolo cocuzzolo isolato di marmo bianco rivela l’imbocco di
una cavità carsica ipogea, che non risulta sia stata ancora esplorata a fondo, e
che tuttavia è diventata, come altri luoghi singolari delle montagne valtellinesi, oggetto di una leggenda. Si dice, in
particolare, che da qui parta un cunicolo misterioso, che si inoltra nel cuore più segreto della montagna e scende fino a Postalesio. D’altra parte, le
brusche chiusure tettoniche della lente
marmorea del Sasso Bianco, che ben difficilmente potrebbe estendersi a grande
profondità, rendono geologicamente insostenibile questa ipotesi.
In basso: il Monte Disgrazia
visto dal pianoro carsico del
Sasso Bianco. In primo piano
nereggiano le Serpentiniti
della Valmalenco (Costone
Cassandra)
Geositi della Provincia di Sondrio
71
20
Torbiera
dell’
Alpe Palù
Motivo di interesse
scientifico primario:
naturalistico
Motivi secondari:
geomorfologico
paesistico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Aceti, A.A. (2007) – La variabilità climatica
nell’Olocene: studio di torbiere e di ambienti di alta
quota nelle Alpi italiane. Tesi di Dottorato, Univ. di
Milano, 150.
ERSAF & Regione Lombardia (2004) - Carta dei
suoli della Lombardia in scala 1:250.000
United States Department of Agriculture (1998)
- Soil taxonomy. http://soils.usda.gov/technical/
classification/taxonomy/
72
Geositi della Provincia di Sondrio
Le torbiere d’alta quota rivestono uno
straordinario valore scientifico in quanto custodiscono una registrazione millenaria di evoluzione naturale e vicissitudini socio-economiche, nonché una
notevole importanza pratica in quanto la loro capacità di assorbimento dei
deflussi idrici limita il rischio di dissesti conseguenti ad eventi meteoclimatici estremi. Nonostante ciò, pochi altri
ambienti naturali sono stati altrettanto
deturpati, vuoi per l’opportunità di ricavarne combustibili a basso rendimento e – più recentemente – terra da giardinaggio, vuoi nell’intento di estendere
gli appezzamenti coltivabili tramite bonifiche (Aceti, 2007).
Il sito della torbiera dell’Alpe Palù si trova sopra il Rifugio Bosio, all’Alpe Airale, nel Comune di Torre di S. Maria. Lo
si può raggiungere dalla località Ciappanico, su un sentiero che raggiunge
l’Alpe Piasci e prosegue sul lato destro
idrografico della Val Torreggio, fino alla
bellissima piana che ospita il rifugio.
Si può anche optare di salire, seguendo
il sentiero che costituisce la prima tappa dell’Alta Via della Valmalenco, dalla
località Musci (m 1000 circa), sulla strada sterrata che da Torre sale all’Alpe di
Arcoglio (seguire l’indicazione “ai rifugi”), a Pra’ Fedugno e di qui, in breve,
all’Alpe Piasci, proseguendo per l’itinerario sopra descritto.
Si può anche seguire la strada (nel primo
tratto asfaltata, poi sterrata) sopra citata, che però è chiusa al traffico per le
persone non autorizzate. Anch’essa conduce all’Alpe Piasci e quindi al Rifugio
Cometti (m 1780), dal quale si sale alla
Bosio in un’ora e mezza circa. Una terza ed interessante variante è quella che
prevede di staccarsi da tale strada prima
di raggiungere l’Alpe Piasci, salendo fino
all’Alpe di Arcoglio e da qui raggiungere il rifugio in un’ora circa. Il rifugio è,
infine, raggiungibile anche da Chiesa in
Valmalenco, percorrendo il sentiero per
l’Alpe Lago (ore 3.00): si sale verso Primolo ma, prima di raggiungere la riden-
Torre di Santa Maria
In alto: tipici fiori da
torbiera (Eriophorum
scheuchzeri) spesso
associati a muschi di
sfagno.
A destra: sezione
pedologica verticale
(profilo) realizzata in una
torbiera d’alta quota.
te frazione, ci si stacca, seguendo le
indicazioni, dalla strada asfaltata, percorrendo una comoda sterrata (chiusa
però al traffico per i non autorizzati),
oppure un bel sentiero che sale nel bosco; in entrambi i casi si raggiunge l’Alpe Lago di Chiesa (un dolce pianoro anticamente occupato da un lago), la si
oltrepassa sul lato destro per poi proseguire verso Sud-Ovest, fino al bivio per
l’Alpe Mastabia, dove il sentiero piega
decisamente verso Ovest, proseguendo,
in lieve pendenza, fino all’Alpe di Airale, dove, superato un ponte posato recentemente dai cacciatori, si attraversa il Torreggio per raggiungere in breve
il rifugio.
La foto in mezzo a destra, realizzata sul
sito, mostra una sezione pedologica verticale (profilo) realizzata in una torbiera d’alta quota che può essere presa ad
esempio del patrimonio pedologico presente in ambienti simili della Regione
Lombardia e del contesto alpino in generale. La sezione mostra un suolo costituito in prevalenza da materiali organici (torba), classificato come hydric
histosol secondo il sistema tassonomico americano (USDA, 1998). Per definizione, un istosuolo presenta almeno 40
cm di spessore, negli 80 cm sommitali,
A sinistra: la Torbiera
dell’Alpe Palù.
di componenti organici. Questi presentano un contenuto di carbonio organico
(in peso) pari al 12-18%, a seconda del
contenuto di argilla presente nel suolo.
Il suolo costituisce l’elemento fondamentale del sistema torbiera con rischio d’interramento presente per fattori naturali, potenzialmente amplificato
dall’intervento antropico e legato anche
alle variazioni climatiche.
Geositi della Provincia di Sondrio
73
21
Ruinon
del
Curlo
Motivo di interesse
scientifico primario:
geomorfologico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
74
Geositi della Provincia di Sondrio
Con il nome “Ruinon del Curlo” viene
comunemente chiamata un’estesa area
di frana della Valmalenco che interessa
le località di Curada e Ponte, in Comune
di Lanzada, e le frazioni di Curlo e Pedrotti in Comune di Chiesa Valmalenco.
I termini Rovinajo, Rovinone e Ruinon,
riportati anche dalle cartografie storiche, non lasciano dubbi sulla “vocazione” dell’asta torrentizia per lo meno da
cent’anni a questa parte. La frana del
Ruinon del Curlo, posta sulle pendici meridionali del Monte Motta, occupa
gran parte del piccolo bacino idrografico del torrente omonimo (poco più di
0,5 km2) che si sviluppa tra le quote di
2142 metri della cima del Monte Motta e
quota 1000 metri in corrispondenza della confluenza del Ruinon con il Torrente Mallero.
Nei settori settentrionale e occidentale
del bacino affiorano serpentiniti e serpentinoscisti, mentre nel settore orientale sono presenti potenti depositi di
copertura rappresentati principalmente
da depositi fluvioglaciali e morenici sui
quali è impostato il terrazzo glaciale di
Ponte, antica soglia glaciale della valle del Lanterna, successivamente erosa.
La secolare incisione torrentizia in atto
ha posto in luce la potente sequenza di
depositi fluvioglaciali e glaciali - massi, blocchi, ciottoli inglobati in ghiaie,
sabbie e talora argille - e depositi morenici - massi, blocchi e ciottoli immersi
in una matrice fine predominante - che
formano il terrazzo morenico di Ponte.
Del dissesto è ben visibile, dal fondovalle, la porzione superiore frastagliata e
denudata che costituisce la testata della
frana con uno sviluppo altimetrico tra le
quote 1800 e 1300 metri circa e una larghezza massima fino a 200 metri. Al suo
interno si riconoscono incisioni minori
con diverso grado di attività e di copertura vegetale che hanno generato con
il tempo un caratteristico paesaggio calanchivo nel quale sono abbozzate forme simili alle piramidi di terra. Il confronto tra la cartografia attuale e quella
Chiesa in Valmalenco
storica ha posto in evidenza un progressivo e costante arretramento negli ultimi 100 anni delle scarpate per effetto
dell’erosione provocata dalle precipitazioni: il fenomeno ora si è praticamente arrestato sul fronte settentrionale,
dove è visibile il contatto dei depositi
con la roccia affiorante ed è quiescente
sul fianco occidentale ove sono presenti depositi fluvioglaciali molto cementati più difficilmente erodibili. Alcuni studi geologici hanno ricostruito l’ipotetica
superficie del terreno precedente l’innesco del fenomeno erosivo, evidenziando che le dimensioni attuali della frana
sono dovute ad un’asportazione di materiale pari ad oggi a circa 5.000.000
di metri cubi. L’ipotesi che il fenomeno si arresti una volta raggiunto il nuovo profilo d’equilibrio dell’alveo, ovvero
dopo un arretramento del ciglio dell’orlo di scarpata verso Est di altri 50 metri
circa, significa che possono ancora depositarsi sul conoide circa 2 o 3 milioni
di metri cubi di materiale sciolto. Con-
In alto: il maggengo
dell’Alpe Ponte in posizione
di terrazzo sulla sponda
soleggiata della conca di
Chiesa in Valmalenco
siderando velocità medie annue di regressione del ciglio tra 0,5 e 1 metro/
anno, la fine del fenomeno avverrà forse tra 150 anni. L’asta mediana del torrente non ha subito nel tempo significative evoluzioni: essa ha forma tortuosa
e stretta, confinata tra le ripide pareti
spondali ove sono localmente affioranti lembi di substrato o massi di origine
fluvioglaciale entro copertura quaternaria e mantiene le funzioni di canale di
scorrimento delle periodiche colate detritiche.
Oltre la gola stretta del canale compare a valle il conoide asimmetrico formato dall’originario scaricatore glaciale, in parte inciso e in parte ricoperto
da nuovi depositi. In mezzo a queste
opere compare l’imponente “pennello”
costituito da un’arginatura con grossi
massi a lato dei parcheggi della piscina
comunale e in mezzo ai prati che venne realizzato dopo l’alluvione del 1911
a protezione e deviazione dalle colate
del Ruinon e del Mallero dalle abitazioni di Vassalini.
In basso: ortofoto realizzate
nel 1998 (sopra) e nel 2003
(sotto)
Geositi della Provincia di Sondrio
75
22
Parco geologico
di
Chiareggio
Motivo di interesse
scientifico primario:
petrografico
Motivi secondari:
mineralogico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Disgrazia - Sissone (SIC-ZPS)
Canetta N. & Montrasio A. (1996) - Chiareggio. Il
sentiero glaciologico della Ventina e il parco geologico della Valmalenco. Guide Natura Lyasis, 64.
76
Geositi della Provincia di Sondrio
Nella comunità scientifica che esercita
la sua attività nel sempre più vasto e
interdisciplinare campo delle geoscienze, è andata crescendo, negli anni, la
consapevolezza degli straordinari motivi
di interesse geologico della Valmalenco.
Tra questi la particolare natura dei litotipi affioranti, nei quali figurano le vestigia della litosfera oceanica di quella Tetide Alpina, di età mesozoica, dalla
cui chiusura si sono originate le Alpi;
l’abbondanza e varietà di morfologie
glaciali e gravitative, testimonianza di
processi di modellamento più recenti e
in molti casi ancora attivi; la straordinaria simbiosi tra natura geologica del territorio e industria umana, evidente nelle
diffuse, tradizionali attività di estrazione e lavorazione delle serpentiniti e dei
litotipi associati. L’opportunità di istituire la Valmalenco a paradigma geologico delle Alpi, non solo italiane, è stata evidenziata da esperti autorevoli e un
primo passo in questa direzione è indubbiamente rappresentato dal Parco Geologico di Chiareggio (Canetta & Montrasio,
1996). Realizzato dal CNR-IDPA di Milano in collaborazione con il Comune di
Chiesa in Valmalenco e inaugurato nel
luglio 2000, è un allestimento in massima parte a cielo aperto, strutturato
in modo da richiamare con discrezione
e semplicità scenari familiari a chiunque frequenti la montagna (massi sparsi
su un pendio, piccoli fabbricati in pietra
e legno): tuttavia, è proprio attraverso
questi scenari che si offre, in modo accattivante, una proposta scientifica evidente nella minuziosa classificazione dei
tipi petrografici (riportata su targhette
metalliche applicate a ciascun masso) e
nelle scenografiche interpretazioni geologiche, proposte dai coloratissimi pannelli illustrativi custoditi nella struttura
coperta. Il cosiddetto “Percorso Litografico” si snoda lungo un comodo sentiero e consente di osservare circa sessanta esemplari di roccia che sono stati
divisi in tre gruppi: le rocce della crosta continentale, della crosta oceanica e
Chiesa in Valmalenco
In alto a sinistra: il sito di
Chiareggio in Valmalenco;
sullo sfondo la Val Sissone
In alto a destra e in basso
a sinistra: massi di rocce
intrusive e metamorfiche
esposte a cielo aperto
In basso a destra: struttura
fissa del Parco Geologico
della Valmalenco di
Chiareggio. Il parco è
stato allestito tra il gruppo
di case della Corte e il
Torrente Nevasco, su
un’area di quasi due ettari
messa a disposizione
dal Comune di Chiesa in
Valmalenco
le rocce intrusive terziarie (che si sono
formate successivamente, durante l’orogenesi vera e propria). Il sentiero termina in corrispondenza di un terrazzo su
cui sono state collocate due grandi tavole che riproducono i paesaggi visibili
alle spalle dell’abitato.
L’immaginazione del visitatore è guidata
nella rievocazione di processi geologici
molto lontani dall’esperienza attuale in
quanto ambientati in massima parte in
un contesto riferito ai fondali oceanici e
alle profondità terrestri sottostanti: è in
virtù di tali processi che si sono prodotti i tipi rocciosi attualmente dominanti in Valmalenco, e che tali litotipi sono
stati esumati sino a raggiungere la loro
posizione attuale, al nucleo di una delle
più importanti (e meglio studiate) catene montuose al mondo.
Geositi della Provincia di Sondrio
77
23
Val Sissone
Motivo di interesse
scientifico primario:
mineralogico
Motivi secondari:
petrografica
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Disgrazia - Sissone (SIC-ZPS)
Bedognè F., Montrasio A. & Sciesa E. (1993) - I
minerali della Provincia di Sondrio: Val Malenco.
Ed. Bettini, Sondrio, 275.
Montrasio A. (1990) - Itinerario n° 10 - Valmalenco. In Cita M.B., Gelati R., Gregnanin A. (Eds.), Alpi
e Prealpi lombarde. Guide Geologiche Regionali,
BE-MA Editrice, Milano, 291.
Trommsdorff V., Montrasio A., Hermann J., Müntener O., & Spillmann P. (2004) - Carta Geologica
della Valmalenco. Quaderni di Geodinamica Alpina
e Quaternaria 8, CNR Milano.
Ottenziali L., Fossati D., Padovan N., Presbitero
M., Mannucci G., Gramaccioli C.M., Scaini G. & De
Michele V. (1992) - Natura in Lombardia: i minerali.
Regione Lombardia, Milano.
78
Geositi della Provincia di Sondrio
La Val Sissone, tributaria della Valmalenco, costituisce il letto di un antico
ghiacciaio che abbracciava tutto il circo di montagne comprese fra il Monte
Disgrazia a SE e la Cima di Vazzeda a
NO. Il complesso intrusivo granodioritico di età cenozoica della Val Masino ha
prodotto nelle formazioni incassanti di
questa valle importanti effetti di contatto testimoniati da una grande varietà di minerali, spesso ben cristallizzati, ricercati per anni dagli appassionati.
Per accedere alla zona dal capoluogo di
Chiesa in Valmalenco si percorre la provinciale 15 che risale la valle del Torrente Mallero fino alla frazione di Chiareggio. Poco oltre Chiareggio, dove termina
la strada, si prosegue lungo la mulattiera che porta al Pian del Lupo e di qui
ancora fino alle baite dell’Alpe Forbesina, in abbandono e diroccate a seguito degli eventi alluvionali che le hanno
colpite nel 1951 e nel 1987. Ci si trova
così all’imbocco della Val Sissone, percorsa da un corso d’acqua di tipo intrecciato il cui greto, largo localmente sino
a 200 metri, è ingombro di massi di dimensioni da decimetriche a metriche. I
massi rappresentano un ricco campionario delle rocce esposte sui fianchi e alla
testata della valle, tra le quali senz’altro prevale la tonalite orientata, nota
come Serizzo. Sono tuttavia ampiamente rappresentate anche le anfiboliti e gli gneiss minuti che rappresentano
la parte volumetricamente più rilevante
dell’incassante, oltre a quarziti e marmi. In alta valle le anfiboliti conservano, nonostante il metamorfismo e la deformazione alpina, chiare evidenze di
un’originaria struttura a pillows, cioè a
cuscini, dei protoliti basaltici (Montrasio in Cita et al., 1990). Questi ultimi
devono perciò essere interpretati come
effusioni subacquee, presumibilmente legate all’oceanizzazione della Tetide Alpina avvenuta a partire dal Giurassico Medio. Nella maggior parte dell’area
di affioramento, tuttavia, la deformazione traspositiva che ha interessato le anfiboliti durante i processi metamorfici
ha completamente cancellato le strutture originarie.
Le quarziti, a tessitura minuta e com-
Chiesa in Valmalenco
In alto: la Val Sissone vista
dalla Sassa d’Entova. Da
sinistra si possono ammirare
il Pizzo Rachele, il Cassandra,
il Monte Disgrazia, il Passo
di Mello, il Monte Sissone e
l’elegante profilo della Cima di
Vazzeda
In basso: la parete nord del
Monte Disgrazia vista dal
sentiero che dalla Val Sissone
porta al Rifugio Del Grande
Camerini
A destra: vista d’insieme del
greto
Geositi della Provincia di Sondrio
79
23
Ponte in località
“Forbicina”
all’imbocco della
Val Sissone
Minerali e
rocce della Val
Sissone: da ore
12 in senso
orario, marmo
dolomitico;
granato;
berillo; epidoto
var. pistacite;
quarzite ad
anfibolo
patta, possono presentare minuti aggregati di rutilo, anatasio e scheelite, mentre i marmi, più o meno dolomitici, si
presentano di aspetto granuloso e particolarmente poveri di impurezze. Sono
infine più rari, ma di estremo interesse
mineralogico, i tipi rocciosi di seguito
elencati, che derivano essenzialmente
dall’aureola di contatto e dal corteggio
filoniano del corpo roccioso.
Pegmatiti: contengono berillo da celeste ad azzurro carico, quarzo ialino, granato almandino, allanite, titanite, zircone verdastro o bruniccio, tormalina nera,
molibdenite e rarissima columbite.
Calcefiri a spinello: è caratteristico lo
spinello in ottaedri di colore nero, verde
o viola associato a calcite spatica e flogopite violacea o verde chiaro.
Calcefiri a vesuviana e grossularia: comprendono granato (grossularia), in cristalli di dimensioni anche ragguardevoli e colore assai variabile, e vesuviana in
granuli sparsi, in un una matrice di calcite spatica in cui sono dispersi aghetti
di tremolite; figurano come accessori gli
80
Geositi della Provincia di Sondrio
epidoti zoisite e allanite.
Granatiti: domina un granato roseo (varietà hessonite) in una matrice di calcite spatica o quarzo, associato a epidoto
(pistacite) in cristalli prismatici e diopside verde scuro.
Epidotiti: è caratteristica la pistacite in
cristalli prismatici lunghi anche parecchi centimetri, di colore verde, associata a titanite, albite e solfuri metallici
(pirite, calcopirite e antimonite).
Calcefiri a pirosseno: oltre al diopside
e alla calcite, contengono minerali rari
quali la brandisite (o clintonite: Ca (Mg,
Al)3(Al3Si)O10(OH)2) e l’augite, presente nella varietà fassaite o interessata
da pseudomorfismo da parte di anfiboli (c.d. uralite).
Calcefiri modificati da soluzioni idrotermali: prevalgono l’idrossido di magnesio
brucite e la cabasite (tettosilicato idrato,
alluminoso, contenente quantità variabili dei cationi Na, K, Ca, Mg, Sr), associate
ad apofillite, natrolite e prehnite.
Rocce a struttura granitica: constano essenzialmente di epidoto, biotite e calcite.
La testata della
Val Sissone dal
Bivacco Andrea
Oggioni
Geositi della Provincia di Sondrio
81
24
Sentiero glaciologico
del
Ventina
Motivo di interesse
scientifico primario:
geomorfologico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Disgrazia - Sissone (SIC-ZPS)
82
Geositi della Provincia di Sondrio
Il Ghiacciaio della Ventina si pone alla
testata dell’omonima valle, nel tratto terminale dell’alta Valmalenco: è
anzi proprio dalla confluenza delle Valli Ventina, Sissone e del Muretto che nasce il Torrente Mallero, immediatamente a monte dell’abitato di Chiareggio. Il
sito è di notevole interesse glaciologico e naturalistico, per la presenza di un
ghiacciaio che in Lombardia può vantare
una delle più lunghe serie di osservazioni e misurazioni (oltre 100 anni) e che
conserva intatte gran parte delle caratteristiche morfologie legate all’azione
dei processi glaciali. A ciò si aggiunge
il grande valore paesaggistico, accentuato dalla cornice montuosa che ospita il ghiacciaio, e l’accessibilità agevole (circa un’ora di cammino) dall’abitato
di Chiareggio.
Il Servizio Glaciologico Lombardo ha
scelto il Ghiacciaio della Ventina per
l’allestimento di un itinerario didattico-escursionistico che garantisce un’accessibilità in sicurezza al pubblico più
eterogeneo. Il sentiero è intitolato a
Vittorio Sella, pioniere insuperato della
fotografia alpina che visse a cavallo tra
l’800 e il 900. Grazie agli studi del suo
contemporaneo Luigi Marson, cui è intitolato l’altro sentiero glaciologico istituito dal Servizio (Ghiacciao di Fellaria), è stato possibile ricostruire serie
di misure tra le più complete dell’epoca
storica: i primi rilievi per questo ghiacciaio risalgono infatti al 1897-1898. Il
sentiero parte dal Rifugio Alpe Ventina,
raggiungibile dalla piana di Chiareggio
risalendo la Val Ventina lungo una mulattiera che passa anche dal Rifugio Augusto Porro. Il sentiero glaciologico si
insinua “in punta di piedi” in alta Valle Ventina: la segnaletica e la cartellonistica sono state studiate in modo
da minimizzare l’impatto visivo, in effetti pressoché nullo. Anche le poche
passerelle di attraversamento sono interamente in legno e si integrano felicemente nell’ambiente naturale. Il sentiero non presenta difficoltà lungo il suo
Chiesa in Valmalenco
In alto a sinistra: vista
sul Disgrazia e sul
ghiacciaio del Ventina
In alto a destra: la
morena del ghiacciaio
all’Alpe Zocca
percorso e consente di osservare in condizioni ottimali forme glaciali attive o
quiescenti. Tra queste vanno menzionate soprattutto l’ampio profilo “a U” della
valle; la grande morena laterale in sinistra idrografica, denudata e interessata
da dissesti superficiali di tipo calanchivo; le rocce montonate che subaffiorano lungo il tratto assiale dell’incisione
valliva. Apposite targhe, affisse direttamente su alcuni grossi erratici e su pali,
segnano i limiti raggiunti dalla fronte
glaciale durante la “Piccola Età Glaciale”
del XVII Secolo (cartello 1), a metà del
XIX Secolo (cartello 2) e alla fine di questo, quando si registrò una limitata fase
di crescita (cartello 3). Le fronti del XX
Secolo sono marcate dai cartelli 11-15.
E’ verso la fine della Piccola Età Glaciale che il ghiacciaio si estese maggiormente lungo la vallata con una differenza di quasi quattrocento metri di quota
con la fronte attuale. Durante le Piccola Età Glaciale nella zona dove attualmente si trova la fronte del ghiacciaio,
Sotto: l’ampio
sentiero che conduce
al Rifugio Gerli-Porro
a un’ora di cammino
da Chiareggio
Geositi della Provincia di Sondrio
83
24
In alto: l’ “imbronciato”
Pizzo Rachele.
In basso a sinistra: il
piazzale del Rifugio
Gerli-Porro
In basso a destra: la
fronte della lingua del
ghiacciaio.
Il sentiero glaciologico
del Ventina visto dal
Torrione Porro.
84
Geositi della Provincia di Sondrio
si univa alla lingua del Ventina il ghiacciaio del canalone della Vergine, che ora
si può solo intravedere con la fronte sospesa nel proprio canalone quattrocento metri più in alto. Successivamente
l’avanzata cessò e il ghiacciaio cominciò nuovamente a regredire verso la valle fino ad una nuova avanzata culminata
al termine del 1800 che, però, non ebbe
altrettanta forza. Negli ultimi cent’anni
fino ad oggi il ghiacciaio è in lento ritiro, nonostante piccoli avanzamenti episodici. Conseguenza di questi continui
spostamenti della fronte del ghiacciaio
è il deposito di massi erratici dovuti alla
diminuzione della forza di trasporto del
ghiaccio stesso. Importante nella valutazione di un ghiacciaio è soprattutto
lo spessore del ghiaccio con la conseguente possibile formazione di crepacci
e seracchi, basti pensare che a giugno
2003 erano presenti due grossi crepacci,
mentre a settembre il numero era almeno raddoppiato e il ghiacciaio si è ritirato di 20 m. Gli aumenti di temperatura
di questi ultimi anni e le deboli nevicate invernali non danno un lungo futuro
al ghiacciaio.
Geositi della Provincia di Sondrio
85
25
Campo Franscia
e
Val Brutta
Motivo di interesse
scientifico primario:
petrografico
Motivi secondari:
strutturale
mineralogico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Bailey E.B. & McCallien W.J. (1950) - The Ankara mélange and the Anatolian thrust. Nature 166,
938-943.
Trommsdorf V., Montrasio A., Hermann J., Müntener O., Spillmann P. (2004) - Carta geologica
della Valmalenco, in scala 1:25.000. Quaderni di
geodinamica Alpina e Quaternaria 8, Milano.
86
Geositi della Provincia di Sondrio
Il territorio della Valmalenco ricade, in
massima parte, nel dominio Pennidico delle Alpi (Trommsdorf et al., 2004).
Nella definizione data dagli autori questo dominio paleogeografico corrisponde all’antica crosta oceanica della Tetide Alpina, un braccio di mare apertosi
tra Africa ed Europa durante il Giurassico (circa 170 milioni d’anni fa) e che si
è andato chiudendo a partire dall’Eocene (circa 50 milioni d’anni fa). Le associazioni litologiche di fondale oceanico
comprendono rocce magmatiche di tipo
intrusivo (peridotiti, gabbri, diabasi) ed
effusivo (basalti), oltre alle rocce sedimentarie deposte sulla piana abissale (argille residuali e noduli ferro-manganesiferi; radiolariti, diaspri e calcari
selciferi; successioni marnoso-arenacee
note come flysch). La ricorrenza di tipiche associazioni cogenetiche ha portato
gli autori, in particolare lo Steinmann, a
descrivere le antiche successioni di fondale oceanico come sequenze ofiolitiche
(da οφιοσ, “serpente”, per il colore verde variegato dei litotipi più comuni), riconoscendo al loro interno una “trinità” (Bailey & McCallien, 1950) di tipi
litologici. Come abbiamo già visto, il litotipo dominante in Valmalenco è rappresentato dalle serpentiniti, note con
diversi nomi merceologici ed effettive
differenze petrologiche: serpentino, talco, pietra ollare. Sul lato sinistro della Val Brutta - raggiungibile passando
ad Est di Chiesa Valmalenco, oltrepassando Lanzada, le sue contrade Ganda,
Vetto e Tornadri e seguendo le indicazioni per Franscia - il cuore della montagna è messo a nudo dalle cave estrattive di serpentino, pietra ollare e talco.
Non vediamo più i mulini che, sul greto del torrente, facevano muovere i torni utilizzati per la lavorazione dei “lavecc”, i tradizionali recipienti in pietra
ollare. Proseguendo lungo questa strada, l’ultima galleria ci introduce all’ampia ed amena conca nella quale è adagiata Campo Franscia. L’importanza del
villaggio era legata alle attività com-
Lanzada
merciali, di allevamento e di estrazione
mineraria: qui si trovava il cuore del sistema delle miniere di amianto, aperte
verso la fine dell’Ottocento per iniziativa di imprenditori inglesi.
A sinistra: il nucleo
di Franscia si estende
intorno ai 1520 metri
di quota nell’omonima
conca, punto di
confluenza delle valli
dello Scerscen e di
Campo Moro
A destra: serpentino
“reticolato” (in alto)
e fibroso (in mezzo),
in grandi masse
intersecate da filoni
rosati di rodingite (in
basso)
Geositi della Provincia di Sondrio
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26
Valle
dello
Lanzada
Scerscen
Motivo di interesse
scientifico primario:
geomorfologico
Motivi secondari:
mineralogico
petrografico
geominerario
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
La parte superiore della Valmalenco,
all’altezza dell’abitato di Chiesa, si divide in due grandi rami: alta Valmalenco, percorsa dal Torrente Màllero, ad
occidente, e Val Lanterna, percorsa dal
torrente omonimo, ad oriente. La Val
Lanterna, a sua volta, si divide nei due
rami della Valle di Scerscen, ad occidente, e nella Valle di Campomoro, ad
oriente. Le due valli, percorse dai Torrenti Scerscen e Cormor (o Lanterna),
convergono nella conca di Campo Franscia.
La valle, o vallone, di Scerscen è stata
definita “il Gran Canyon della Valmalenco”: paragone azzardato se prendiamo
in considerazione le dimensioni, azzeccato, invece, se ci riferiamo alla suggestione che suscita questa grande conca di detriti alluvionali, che si stende
ai piedi dei giganti della testata della
valle.
Imponenti fenomeni di erosione fluviale,
localizzati lungo l’intero sviluppo longitudinale della gola scavata nelle serpentiniti, hanno dato luogo a morfologie
caratteristiche, analoghe alle “marmitte
dei giganti”; i litotipi interessati sono le
ultramafiti pennidiche della Falda Margna, nelle quali sono ancora osservabili resti delle antiche miniere di amianto
e cromite. Oltre ai minerali di interesse
commerciale, nei marmi a silicati e nelle
quarziti della successione di copertura
ne sono stati rinvenuti di interesse collezionistico, tra i quali possiamo elencare la tiragalloite e la rodonite rosa.
La tiragalloite, silicato di manganese e
arsenico tanto strano nel nome quanto raro, ha formula Mn4AsSi3O12(OH) e
– dal punto di vista della simmetria cristallina – appartiene al sistema monoclino. Nitidi cristalli, anche limpidi, di
abito prismatico appiattito e color ros-
so arancio, lunghi fino a 4 mm, ricchi di
faccette simmetriche, i migliori rinvenuti al mondo, sono annidati nelle microcavità delle quarziti a manganese della
Val di Scerscen. Anche la rodonite è minerale ricco di manganese, con formula
generale (Mn, Fe, Mg, Ca) SiO3.
È plausibile che le successioni di copertura di un’antica crosta oceanica, come
quella rappresentata dalle serpentiniti della Falda Margna, siano costituite
da sedimenti marini: una conferma viene dalla diffusa presenza di arsenico e
vanadio nelle mineralizzazioni a manganese della Valle di Scerscen, a conferma
dell’origine oceanica dei metasedimenti (quarziti manganesifere, marmi a silicati) che formano la copertura della Falda Margna.
La Valle dello Scerscen è compresa all’interno del sito di importanza comunitaria
(pSIc) ai sensi della Direttiva 92/43/CEE
“Monte di Scerscen, ghiacciai di Scerscen e Monte Motta”.
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Monte Scerscen
Ghiacciaio di Scercen
Monte Motta (SIC-ZPS)
A sinistra: a partire dalla
sinistra è possibile ammirare
la Punta Marinelli e il
ghiacciaio di Caspoggio;
al centro il vallone e sulla
destra il ghiacciaio di
Scerscen
A destra: il torrente
generato dal ghiacciaio di
Scerscen, le sue bianche
acque vanno a gettarsi nel
vallone
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Geositi della Provincia di Sondrio
Geositi della Provincia di Sondrio
89
27
Vedretta
di
Scerscen Inferiore
Motivo di interesse
scientifico primario:
petrografico
Motivi secondari:
mineralogico
geomorfologico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Monte Scerscen
Ghiacciaio di Scercen
Monte Motta (SIC-ZPS)
Tognini P. (1992) - Tra rocce e ghiaccio - le grotte dello Scerscen - Il Grottesco n. 50 - Bollettino del
Gruppo Grotte Milano CAI-SEM: 5 - 13.
In Valmalenco esistono tre grandi gruppi
di ghiacciai: del Disgrazia, del Bernina e
dello Scalino, suddivisi in varie vedrette. Il Ghiacciaio del Disgrazia è diviso in
Vedretta del Disgrazia, Vedretta del Ventina, Vedretta di Sissone, Ghiacciaio della Cassandra e Ghiacciaio di Preda Rossa. Il Ghiacciaio del Bernina è diviso in
Vedretta dello Scerscen inferiore e superiore, Vedretta di Caspoggio, Vedretta di
Fellaria e Fellaria orientale, Altipiano di
Fellaria e Vedretta di Varuna. Il Ghiacciaio dello Scalino è composto solamente dalla Vedretta dello Scalino.
Tra questi elementi glaciologici e geomorfologici, di per sé tutti degni di
nota, assume particolare importanza
la Vedretta di Scerscen Inferiore. Questo perché il substrato roccioso della conca glaciale, denudato e modellato dall’azione meccanica esercitata dal
piccolo ghiacciaio, presenta rari affioramenti di marmi triassici e di quarzoscisti
giurassici con frequenti noduli manganesiferi, in particolare presso la fronte
del ghiacciaio. Tutti questi tipi rocciosi, appartenenti al Dominio Pennidico, hanno subito metamorfismo alpino
e traggono la loro origine da sedimenti marini di composizione carbonatica
(marmi) e silicea (quarzoscisti). Anche
i noduli di manganese rappresentano il
prodotto della deformazione e della tra-
Lanzada
sformazione chimica di originali noduli ferromanganesiferi, analoghi a quelli
che ancor oggi si formano in prossimità
delle dorsali medio-oceaniche degli oceani di tutto il mondo, per effetto dell’attività vulcanica sottomarina e dell’idrotermalismo che caratterizzano le dorsali
stesse.
La presenza di litotipi carbonatici, analogamente a quanto avviene per i geositi di Pian dei Cavalli e Alpe Gusone
(scheda 1) e del Piano delle Platigliole
(scheda 42), favorisce fenomeni di dissoluzione localizzata del substrato roccioso secondo le modalità tipiche del
carsismo. Ecco allora che la Val di Scerscen ospita l’imbocco di ben tre grotte:
la prima grotta fu scoperta ma non immediatamente segnalata, nell’ormai lontano 1978, dai cacciatori fratelli Selvetti detti “Marsòol”, in occasione di una
battuta di caccia al camoscio e venne
chiamata appunto “Tana dei Marsòol”;
la seconda, posta a quota più elevata,
fu segnalata nel luglio 1986 da un appassionato ricercatore di minerali e di
erbe alpine, Giovanni Bardea detto “il
Veronica”(da cui il nome dato alla grotta); la terza, detta “Morgana”, nel 1990
da Paola Tognini, Mauro Inglese e altri speleologi (Tognini, 1992). Per queste grotte, che presentano cunicoli caratterizzati da un’insolita compresenza
di camere ellissoidali e restringimenti,
è stata ipotizzata un’origine legata non
tanto ad infiltrazione di acque meteoriche, quanto a circolazione ipogea di acque termali.
Il Ghiacciaio dello Scerscen è compreso all’interno del sito di importanza comunitaria (pSIc) “Monte di Scerscen,
ghiacciai di Scerscen e Monte Motta “,
ai sensi della Direttiva 92/43/CEE.
A sinistra: il ghiacciaio
di Scerscen visto dalla
Punta Marinelli
Al destra: il ghiacciaio
di Scerscen preso
dal Piz Gluschaint,
in territorio elvetico.
Sullo sfondo il Pizzo
Malenco e il Pizzo
Tramoggia.
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Geositi della Provincia di Sondrio
Geositi della Provincia di Sondrio
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Sentiero glaciologico
del
Fellaria
Motivo di interesse
scientifico primario:
geomorfologico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Monte Scerscen
Ghiacciaio di Scercen
Monte Motta (SIC-ZPS)
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Geositi della Provincia di Sondrio
Il Ghiacciaio del Fellaria, posto nell’omonimo altipiano nell’alta Valmalenco, è
un sito di notevole interesse naturalistico e paesaggistico sia per la presenza di
uno dei più estesi ghiacciai della Lombardia, sia per le numerose ed imponenti cime che lo circondano - Pizzo Bellavista (3895 metri s.l.m.), Pizzo Palù
(3905 metri s.l.m.), Pizzo Argent (3943
metri s.l.m.) - e che ne determinano
l’alimentazione. Il ghiacciaio è caratterizzato da due apparati principali, il Fellaria Est e il Fellaria Ovest, che sono stati storicamente trattati come ghiacciai
distinti, ma che fino agli anni trenta si
univano in un’unica lingua valliva. Il recente censimento portato a termine dalla Regione Lombardia (2003) ha inoltre
evidenziato la presenza di due glacionevati, denominati Fellaria Superiore e
Fellaria Centrale.
Un’ipotesi basata su osservazioni condotte dal Servizio Glaciologico Lombardo sosterrebbe che i due ghiacciai Fellaria Est (altitudine media 3095 metri
s.l.m) e Fellaria Ovest (altitudine media
3445 metri s.l.m) oltre alla vicina Vedret
Palù, facessero parte di un unico grande
apparato glaciale di tipo altipiano, con
lingue radiali ad andamento molto articolato sia a causa della topografia determinata dal substrato sia per la confluenza dei vari bacini di accumulo. Il
sentiero Luigi Marson è nato nel 1996,
con la collaborazione del Comune di
Lanzada, per avvicinare il grande pubblico allo splendido ambiente naturale
in cui è inserito il ghiacciaio. Luigi Marson, studioso appassionato dell’ambiente alpino che visse a cavallo tra l’800 e
il 900, fu professore del Regio Istituto
Tecnico di Sondrio e con le sue esplorazioni scientifiche nelle Alpi centrali
pose le basi per la moderna glaciologia.
Grazie ai suoi studi, per alcuni apparati glaciali come il Fellaria e il Ventina è
stato possibile ricostruire serie di misure tra le più complete dell’epoca storica: i primi rilievi per questi ghiacciai risalgono infatti al 1897-1898. Il sentiero
Lanzada
In alto: la lingua
del Ghiacciaio di
Fellaria nel 2006;
in basso a destra,
messe a confronto, la
lingua del medesimo
ghiacciaio fotografata
nel 1983. Per alcuni
apparati glaciali come
il Fellaria e il Ventina
è stato possibile
ricostruire una serie
di misure tra le più
complete dell’epoca
storica
A sinistra: lungo il
sentiero glaciologico
del Fellaria. Il sentiero
è intitolato a “Luigi
Marson” studioso
appassionato
dell’ambiente alpino,
che visse a cavallo
tra l’800 e il 900 e fu
professore del Regio
Istituto Tecnico di
Sondrio
Geositi della Provincia di Sondrio
93
28
In alto a tutta pagina:
il Ghiacciaio del
Fellaria occidentale,
sullo sfondo la
parte orientale.
Sulla sinistra si può
osservare il Ghiacciaio
di Scerscen superiore
mentre al centro,
coperta dalla neve,
spunta la vetta del
Bernina
In basso: da vicino e
da lontano le foto del
Ghiacciaio del Fellaria
occidentale
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Geositi della Provincia di Sondrio
glaciologico si articola in due percorsi
che hanno origine dal Rifugio Bignami
(2389 metri s.l.m): entrambi i sentieri non presentano difficoltà di percorrimento, permettono l’osservazione di
evidenti forme glaciali, come l’antica
morena destra del Fellaria Ovest che viene percorsa lungo il filo di cresta (percorso “A”) o interessanti punti, evidenziati da apposite targhe (percorso “B”).
Vediamoli in dettaglio. Il percorso “A”
ricalca quello della variante 6A dell’Alta Via della Valmalenco: dal rifugio ci
si muove verso N; passato il torrentello si prosegue per prati che risalgono
fino all’antica morena laterale destra del
ghiacciaio (quota 2591). Da qui ci si dirige seguendo il filo di cresta verso il
laghetto prospiciente il settore più occidentale del ghiacciaio. Sul filo di cresta in posizione dominante la fronte del
Fellaria Ovest e il bel lago, è posto un
“punto panoramico” con una targa illustrativa. L’itinerario prevede il ritorno al
rifugio per il medesimo sentiero. Il percorso “B” segue lo stesso itinerario del
precedente fino sotto la morena: qui si
lascia a sinistra la traccia più evidente
per tagliare in costa (quota 2470 circa)
i prati, passando sotto una fascia rocciosa (catena), per raggiungere il margine meridionale del ripiano da cui scendono le cascate di Fellaria. Da questa
posizione il sentiero entra nella piana
proglaciale dove si possono osservare
meravigliose rocce montonate. Il percorso - attraversato il torrente su una
passerella - si snoda nella piana, andando a toccare i punti, segnalati con targhe, (punto panoramico B) utilizzati dai
glaciologi per effettuare le misure nel
corso degli ultimi 50 anni.
Geositi della Provincia di Sondrio
95
29
Forno fusore
nella
Val Venina
Motivo di interesse
scientifico primario:
geominerario
Motivi secondari:
strigrafico
strutturale
petrografico
Livello di interesse
Sin dall’Età del Ferro, le popolazioni
dell’arco alpino si sono ingegnate per
estrarre il prezioso metallo dai minerali che lo contengono, ricavandone manufatti più resistenti e taglienti rispetto a quelli realizzati in rame o bronzo.
Uno dei processi più semplici per ottenere il ferro è la fusione della siderite,
carbonato di ferro dalla formula chimica FeCO3. Ad alta temperatura, il ferro
si separa dalla siderite per degassazione completa secondo la reazione endotermica
Accessibilità
energia termica
2FeCO3
Valore estetico
Rischio di compromissione
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Parco delle Orobie
Valtellinesi (SIC-ZPS)
De Donatis S. & Falletti P. (1999) – The Early Triassic Servino Formation of the Monte Guglielmo area
and relationships with the Servino of Trompia and
Camonica Valleys (Brescian Prealps, Lombardy).
Mem. Sci. Geol., 51: 91-101, Padova.
De Donatis S., Riganti A. & Rodeghiero F. (1991)
- Mineralizzazioni a siderite-barite nella Val Camonica meridionale (Brescia, Lombardia). Natura Bresciana, 26: 87-100, Brescia.
Sciunnach D. (2005) – Servino. In: Cita M.B. et
al. (Eds.), Carta Geologica d’Italia – 1: 50.000, Catalogo delle Formazioni – unità tradizionali. Quad.
APAT. Ser. III 7/VI, 33-41.
96
Geositi della Provincia di Sondrio
Piateda
2Fe + 2CO2 + O2
In passato, però, risultava conveniente
pre-trattare il minerale estratto prima di
avviarlo alla fusione, mediante una prima cottura (o arrostimento), che da carbonato lo trasformava in ossido di ferro,
secondo la reazione - anch’essa endotermica -
Sopra: da segnalare
anche i ritrovamenti
archeologici di età
paleolitica recente
A sinistra: suggestivi
scenari alpini e la
presenza di motivi di
interesse ambientale
piuttosto
energia termica
FeCO3
FeO + CO2
Questa operazione, che avveniva in presenza di ossigeno ad una temperatura inferiore al punto di fusione, aveva
un triplice scopo: eliminare gli elementi volatili come anidride carbonica e
acqua; rendere più facile la successiva riduzione, poiché l’eliminazione delle sostanze volatili rendeva il minerale
meno compatto e più poroso; eliminare, con la combustione, eventuali tracce di zolfo.
La siderite è particolarmente abbondante in un’unità litostratigrafica che, in
tutta la Lombardia, rappresenta l’espressione sedimentaria del Triassico Inferiore: il Servino (Sciunnach, 2005). L’unico
affioramento di una certa entità del Servino sul crinale orobico della Provincia
di Sondrio è quello dell’alta Val Venina:
il forno fusore assolveva la funzione di
pre-trattare il minerale estratto in loco
(riducendone anche il peso), prima del
conferimento agli impianti di fusione.
Vale la pena di osservare come anche
altri distretti metallurgici di tradizione
secolare, in Lombardia, si localizzino in
corrispondenza di aree di affioramento
del Servino. È il caso di Premana (LC),
ancora oggi famosa per i numerosi laboratori artigianali in cui si producono
soprattutto coltelli e forbici, o dell’alta Val Trompia (BS), dove alla tradizionale produzione di armi si è andata progressivamente affiancando quella delle
rubinetterie.
Studi mineralogici condotti per lo più in
Val Trompia (De Donatis et al., 1991; De
Donatis & Falletti, 1999) hanno evidenziato la chiara correlazione tra presenza
di livelli ferriferi, di interesse economico, e stratigrafia del Servino; ciò suggerisce che la mineralizzazione (che in
questi casi si chiama strata-bound) non
sia da riferire principalmente a processi
post-deposizionali (es. idrotermalismo,
tettonica), bensì a caratteri originari del
sedimento (es. concentrazione di ossidi
ferrosi ad opera di agenti idraulici, quali
le correnti fluviali o il moto ondoso).
Il forno fusore (m. 2229 s.l.m.), attrezzato con cartellonistica esplicativa, risulta essere stato in funzione già dal
XIV Secolo, e ancora attivo nella seconda metà dell’Ottocento, quando il materiale veniva portato all’altoforno di
Premadio per essere fuso. Si raggiunge dall’abitato di Ambria, dove si può
scegliere se risalire per la Val d’Ambria
(passando dalla conca un tempo occupata dal Lago di Zappella) o per la Val
Venina – tracciato più impegnativo in
salita in quanto si devono superare le
“Scale di Venina” prima di raggiungere
l’omonimo lago.
In alto: forno fusore in Val
Venina. È questa un’area
molto conosciuta e
frequentata fin dai tempi
più antichi per la cospicua
presenza di giacimenti
di ferro
In basso: affioramento del
Servino
Geositi della Provincia di Sondrio
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30
Conglomerato
di
Sazzo
Motivo di interesse
scientifico primario:
sedimentologico
Motivi secondari:
stratigrafico
strutturale
petrografico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Valle d’Arigna e ghiacciaio
di Pizzo di Coca (SIC)
Lo sbancamento stradale nella zona di
Sazzo, località in comune di Ponte in
Valtellina raggiungibile da una laterale
della statale 38, mette a nudo una successione di conglomerati e arenarie in
strati spessi da 10 a oltre 50 cm. Prevalgono conglomerati di roccia con clasti
da angolosi a subarrotondati, che danno
luogo a supporto granulare pur essendo immersi in abbondante matrice arenacea. I clasti sono formati da quarzo,
con dimensioni massime di 6 cm, e da
frammenti litici sino ad 8 cm, di colore
violaceo. Le arenarie presentano granulometria medio-grossolana e selezione
moderata. L’alternanza di conglomerato e arenaria risponde a logiche di migrazione laterale d’alveo in sistemi alluvionali di tipo braided (intrecciato).
L’alternanza della successione, ripidamente immergente verso Sud e a luoghi
verticalizzata, è testimoniata con chiarezza dalle basi erosionali e canalizzate degli strati conglomeratici rispetto
alle sottostanti arenarie. Laddove manchino queste evidenze, la stratificazione
e i limiti con le metamorfiti a contatto
sono riconoscibili con difficoltà a causa della sovraimposizione di un pervasivo clivaggio alpino. La posizione della successione, che forma una limitata
amigdala tettonica all’interno di mas-
Ponte in Valtellina
In alto: aspetto
macroscopico del
Conglomerato di Sazzo.
Si noti l’allungamento
preferenziale dei
ciottoli scuri
In basso: passaggi
granulometrici da
conglomerato (canale
attivo) ad arenaria
(barra di meandro,
argine naturale)
2m
Sequenza
di canale
abbandonato
Deposizione
di sabbia
in canali
intrecciati attivi
Sequenza
di canale
attivo
Beltrami G., Bianchi A., Bonsignore G., Callegari
E., Casati P., Crespi R., Dieni I., Gnaccolini M., Liborio G., Montrasio A., Mottana A., Ragni U., Schiavinato G., Zanettin B., (1971) - Note Illustrative della
Carta Geologica d’Italia, Foglio 19, Tirano - Nuova
Tecnica Grafica, Roma.
Ghiaie
Sabbie
Limi e
argille
Torba
Deposizione
di fango
in canale
abbandonato
se ingentissime di metamorfiti del basamento varisico orobico, rappresenta
un elemento fondamentale per vincolare
il tracciamento della Linea del Porcile,
una faglia di importanza regionale. Più
problematica è stata tradizionalmente l’attribuzione formazionale del conglomerato, che nella legenda del Foglio
Geologico 1: 100.00 “Tirano” era stato
incasellato nella generica indicazione di
“anageniti”, mentre in Montrasio (1990)
era stata preferita l’attribuzione dell’affioramento al “Conglomerato Basale”. Dal
momento che, nella maggior parte delle località studiate nel Sudalpino lombardo, il “Conglomerato Basale” (unità
litostratigrafica informale, tradizionalmente consolidata nell’uso) rappresenta un deposito continentale antecedente al culmine dell’evento magmatico
eopermiano, e perciò del tutto o quasi
del tutto privo di clasti di vulcaniti (da
cui l’antica definizione di “conglomerati
aporfirici” Auctorum), l’interpretazione
dei litici violacei è determinante ai fini
dell’attribuzione formazionale: qualora essi rappresentassero porzioni intraformazionali di siltiti viola, che spesso
si presentano associate ai conglomerati
aporfirici, se ne trarrebbe un’indicazione
favorevole all’assegnazione al “Conglomerato Basale”, mentre una loro natura vulcanica farebbe propendere, tenuti in considerazione anche altri fattori
(abbondanze relative di quarzo, litici,
feldspati ed elementi di origine metamorfica quali frammenti micascistosi
e miche bianche), per l’attribuzione al
Verrucano Lombardo. Infatti il Verrucano Lombardo, di età permiana superiore, si depose su un articolato paesaggio
continentale caratterizzato dall’erosione
di ingenti masse di vulcaniti del Permiano Inferiore, delle quali contiene clasti
in abbondanza. Un esame microscopico
preliminare del conglomerato di Sazzo,
nonostante le difficoltà legate alla presenza di un clivaggio penetrativo e di
una diagenesi assai spinta che interessa
i litotipi, avvalora l’ipotesi della natura
vulcanica dei litici e quindi l’attribuzione al Verrucano Lombardo.
Montrasio A. (1990) - Carta Geologica della Lombardia. Serv. Geol. Naz., Roma.
98
Geositi della Provincia di Sondrio
Geositi della Provincia di Sondrio
99
31
Il “punt de sass”
di
Villa di Tirano
Motivo di interesse
scientifico primario:
geografico
Motivi secondari:
paesistico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Bossich F., Carrara E. (1998) - Analisi materiche
sul costrutto del “ponte in sasso” in Villa di Tirano
(So).
De Giovanni M. (1998) - Restauro e conservazione dell’antico ponte di Villa di Tirano (SO) - relazione tecnica.
De Giovanni M., Scalco V. (2002) - Il “Ponte di
sasso” dal rilievo al suo recupero, in AA.VV, Boll.
Soc. Stor. Valtellinese 55.
Gavazzi S. (1989) - “Ponte vecchio” di Villa di
Tirano.
100
Geositi della Provincia di Sondrio
Adiacente alla ferrovia che corre parallela alla Strada Statale dello Stelvio, all’altezza di Villa di Tirano, sorge un antico ponte di pietra chiamato “punt de
sass”, “ponte romano” o “ponte medioevale”. La tradizione popolare gli attribuisce infatti un’antica origine, ma le fonti non permettono di datare con certezza
il manufatto. La sua funzione cessò nel
1817 a seguito di un’alluvione che ebbe
come conseguenza la deviazione del corso dell’Adda che comportò lavori di arginatura e l’apertura di un nuovo ponte
e una nuova strada. Attualmente il ponte è quindi collocato in mezzo a dei prati, in un contesto avulso da quello originario. L’ipotesi dell’origine romana del
ponte non è suffragata da alcun documento, così come non è certa la presenza in quell’epoca di una via di comunicazione a vasto raggio. Il toponimo della
frazione di Stazzona, collegata dal ponte a Tirano, pare comunque riferirsi per
alcuni studiosi a una Stazio romana “posto di guardia e sosta” o Stationes “luogo dove i Romani stanno a campo”. Nel
suo territorio è stata tra l’altro rinvenuta, nel 1873, una lapide marmorea romana. Il primo documento che dà notizia della presenza di un ponte a Villa è
della fine del XIII sec., ma non è certo
si tratti del ponte in oggetto. A seguito
delle incursioni dei Grigioni in Valtellina
nel 1485-87 fu predisposto da Ludovico
Sforza un progetto territoriale difensivo: anche le strutture di Tirano furono
interessate da interventi ed è possibile quindi che la costruzione del ponte
si sia inserita come un elemento del piano militare. Un ponte inoltre è citato in
documenti risalenti al 1495 riguardante
l’unione dei Comuni di Stazzona, Villa e
Coseto. Altre menzioni in documenti del
1614 e del 1659. Alcune lapidi in pietra posizionate sopra le chiavi delle arcate datate 1683-84 indicano forse la ricostruzione di parte del manufatto, ma non
si può escludere che quella sia la data di
costruzione. Nel 1998 l’amministrazione
comunale di Villa di Tirano ne ha appal-
Villa di Tirano
x 0,5 m x 0,4 m) e ben squadrate nella
parte inferiore, e la perizia nella disposizione delle stesse in corsi orizzontali regolari, si rileva infatti raramente. Il rigore costruttivo fa supporre che fosse una
realizzazione alla quale veniva data particolare importanza e che il ponte non
avesse un ruolo periferico. Le parti restanti, in particolare i parapetti costruiti
con pietrame sgrossato in modo irregolare, sembrano denunciare un intervento
successivo. A seguito delle indagini materiche e geostatiche affrontate in occasione del restauro del ponte è emersa
la seguente tipologia muraria: “muratura in pietrame assortito, ben sbozzata
con legante di calce in buona continuità. Orditura muraria ben ordinata a blocchi lapidei di forma prismatica, tabulare
a spigoli prevalentemente vivi…..petrograficamente si possono distinguere beole, gneiss e quarziti”.
A sinistra: particolare del “punt
de sass” a Villa di Tirano. La
tradizione popolare gli attribuisce
un’antica origine ma le fonti
documentarie non permettono di
datare con certezza il manufatto
A destra: posizione del manufatto
su base topografica Ortofoto +
vettoriale. Si noti la notevole
distanza dall’alveo attuale del
Fiume Adda
tato il progetto di conservazione e restauro. È stato così compiuto il recupero del manufatto e il completamento di
alcune sue parti. L’impianto tipologico è
storicamente ricorrente per un ponte in
pietra: lungo circa 28 m, è costituito da
due ampie arcate simmetriche separate
da una pila centrale che, su entrambi i
fronti, presenta contrafforti e speroni a
sezione pressoché triangolare. All’estremità la costruzione termina con muri che
si aprono rispetto alla larghezza del ponte. Le due arcate misurano 12 metri cadauna. In adiacenza alla pila centrale vi
sono dei doccioni in sasso per le acque
piovane. Chiavi di ferro contornano le arcate. Rispetto alle usuali caratteristiche
tipologiche, dal punto di vista costruttivo il manufatto si presenta invece unico nel territorio valtellinese. L’utilizzo di
pietre di dimensioni cospicue (es. 1,5 m
In basso: attualmente il ponte
è collocato in mezzo alla piana
di fondovalle dell’Adda, in
un contesto avulso da quello
originario
Geositi della Provincia di Sondrio
101
32
Torbiera
di
Pian Gembro
Motivo di interesse
scientifico primario:
naturalistico
Motivi secondari:
geomorfologico
paleontologico
paesistico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Riserva naturale
Pian Gembro (SIC)
Andreis C., Pini R., Ravazzi C., Sala E., Wick L.
(1999) - La torbiera di Pian di Gembro (Alpi Centrali): dinamica attuale e storia della vegetazione
nell’Olocene superiore. Congresso della Società
Botanica Italiana, volume degli abstracts, 18.
Dal Piaz G.B. (1929) - Relazione geomorfologica
sulla palude di Pian di Gembro. Relazione inedita.
Gansser A. & Pantic N. (1988) - Prealpine events
along the eastern Insubric Line (Tonale Line, Northern Italy). Ecl. Geol. Helv., 81, 567-577.
Liborio G., Mottana A. (1969) – Lineamenti geologico petrografici del complesso metamorfico
subalpino nelle Alpi Orobie orientali. Rend. Soc. It.
Mineral. Petr. 25, 475-519.
Pini R. (2003) - La torbiera di Pian di Gembro
(1350 m, Alpi Centrali) Storia della vegetazione e
del clima durante gli ultimi 16.000 anni cal. FIST
Geoitalia 2003 – 4° Forum Italiano di Scienze della
Terra, Bellaria, 16 – 18 settembre 2003. Volume
degli abstract, 120.
Zoller H., Athanasiadis N, Heitz-Weniger A (1977)
- Diagramme Palü 1, Palü 2, Pian di Gembro 1973
and Pian di Gembro 1975. In: Fitze P, Suter J (eds)
ALPQUA 5-12.9.1977
Schweizerische Geomorfologische Gesellschaft,
Quartärkomm. SNG Zürich, 13-16.
102
Geositi della Provincia di Sondrio
La torbiera di Pian Gembro occupa
un’ampia sella posta allo spartiacque
tra Valtellina e Valcamonica, pochi km
a Nord del Passo dell’Aprica nel Comune
di Villa di Tirano. Il sito indicato è una
delle più grandi torbiere dell’arco alpino. I suoi depositi, che secondo Dal Piaz
(1929) in alcuni settori superano i 35
m di spessore, rappresentano un importante archivio naturale della storia delle
trasformazioni ambientali e climatiche
verificatesi nelle Alpi Centrali a partire
almeno dal Tardiglaciale.
Il substrato della torbiera è costituito da rocce metamorfiche appartenenti alla Formazione degli Scisti di Edolo, unità paleozoica (Gansser & Pantic,
1988), talora attraversata da manifestazioni magmatiche quali porfiriti terziarie (Liborio e Mottana, 1969). L’origine della depressione nella quale si è
impostata la torbiera di Pian di Gembro
è controversa: è però molto probabile
un’origine tettonica, legata alla prossimalità della Linea Insubrica. La torbiera ha dimensioni notevoli: l’asse maggiore misura oltre 2 km, quello minore
è compreso tra i 250 e i 300 metri. I
carotaggi eseguiti da Zoller (Università di Basilea) negli anni ’70 del secolo
scorso e quelli più recenti (1998), condotti dai tecnici dell’università di Berna in collaborazione con il CNR-IDPA di
Milano, hanno mostrato che la depressione del Pian di Gembro è colmata da
depositi glaciali, lacustri e di torbiera.
Due conoidi coalescenti dividono la torbiera in due settori: quello orientale ha
un piccolo emissario, che drena verso
la Valtellina; nel settore occidentale, di
dimensioni maggiori, ha avuto luogo la
deposizione di notevoli spessori di torba. Da un punto di vista naturalistico è
di notevole interesse la contemporanea
presenza di aspetti da torbiera bassa e
di torbiera alta, questi ultimi di solito limitati ai bordi della torbiera. Durante il secolo scorso e fino alla fine
della seconda guerra mondiale la presenza dell’uomo ha svolto un forte ruo-
VIlla di Tirano
lo di disturbo del paesaggio naturale
della torbiera. Sfagni ed ericaceae venivano raccolti ed utilizzati come strame nelle stalle. L’attività di estrazione
di torba, concentratasi prevalentemente nel settore occidentale della torbiera, ha lasciato pozze profonde fino a 2,5
m, distribuite su una superficie di circa
2,5 ha. Il carotaggio a pistone, eseguito nel 1998, ha permesso di recuperare
una carota continua e indisturbata lunga circa 13 m. Su questa carota è stato
condotto uno studio dei pollini ad alta
risoluzione (1 campione/50 anni: Pini,
2003) che documenta la storia della vegetazione e del clima delle Alpi Centrali lungo gli ultimi 16.000 anni. Il sito è
Riserva Naturale Regionale nonché Sito
di Importanza Comunitaria.
Nella pagina: alcuni scorci
del Pian Gembro, conca
pianeggiante (superficie =
126.5 ettari) che si formò
in seguito al ritirarsi dei
ghiacciai del Quaternario. Qui
si trova una torbiera entro la
quale, a causa di particolari
condizioni ambientali, avviene
la trasformazione dei resti
vegetali in torba
Geositi della Provincia di Sondrio
103
33
Madonna
di
Tirano
Motivo di interesse
scientifico primario:
petrografico
Motivi secondari:
paesistico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Boscacci A. (1993) - Tirano e il suo santuario.
Bormetti F. & Casciaro R. (2000) - Il Santuario di
Tirano nella Valtellina del ‘500, Silvana ed.
Garbellini G. (1995) - Il santuario della Madonna
di Tirano in: Storia e arte in Valtellina, V, Nel segno
del Rinascimento, ed. Poletti.
Garbellini G. (2004) - La Madonna di Tirano.
Cinquecento anni di devozione e storia. Notiziario
della Banca Popolare di Sondrio, 96.
Garbellini G. (2005) - Il portale maggiore, capolavoro d’arte ma non solo. Bollettino della diocesi di
Como - Santuario della Madonna di Tirano, 1.
Regione Lombardia (2001) - Santuario della Madonna di Tirano - Schedatura S.I.R.Be.C. - Carta
del rischio.
104
Geositi della Provincia di Sondrio
Tirano
Nel luogo in cui la Madonna apparve al
beato Mario degli Homodei il 29 settembre 1504 venne costruita una cappella che si rivelò subito del tutto inadeguata a contenere il numero di persone
che arrivavano a Tirano richiamate dalla notizia di quell’evento miracoloso.
Il 25 marzo del 1505 si pose la prima
pietra presso il Ponte della Folla sul Torrente Poschiavino per la costruzione di
una nuova chiesa. Una piccola iscrizione, datata 21 marzo 1506, collocata sulla porta d’accesso del lato sud dell’attuale Santuario, testimonia come i lavori
vennero effettuati con molta celerità.
L’edificio, caratterizzato da una pianta a
tre navate, con abside semicircolare, era
già terminato nel 1513 e venne consacrato nel 1528. Nei due secoli successivi
subì alcune modifiche e completamenti e fu terminato nel 1703. Della torre
campanaria, che ha una tipologia tipicamente romanico lombarda, non si conosce l’anno di edificazione. Si sa che
venne completata nel 1578, ad eccezione del cupolino, la cui costruzione è del
1641 ad opera di Pietro Marni di Bormio. La cupola ed il sottostante tiburio vennero progettati ed eseguiti sotto
la direzione dell’ingegner Pompeo Bianchi di Moltrasio tra il 1580 ed il 1584.
La facciata, articolata da due cornicioni
e da quattro lesene, è caratterizzata da
un frontone di stile veneziano (1676) e
arricchita dal portale e da finestre marmoree. E’ in marmo bianco locale estratto da una cava esistente nei pressi della
frazione di Cologna, in località “Pomo”
(“El Pum”), adoperato anche nella costruzione di altre parti del santuario.
Venne iniziata nel 1529 e richiese alcuni anni di lavoro: sull’architrave - un
blocco di serpentino - troviamo infatti la data 1534. Il cantiere relativo alla
cupola ed il sottostante tiburio venne attivato, come detto, nel 1580, con
provviste di materiale edile, soprattutto
pietre e marmo estratto dalle cave locali, forse quella di Pomo o quella di Valdichiosa o di Grania, quest’ultima in Val
Malgina nel territorio di Teglio, menzionate a proposito del completamento del
campanile. I marmi per le diverse statue, sempre della Val Malgina, erano im-
barcati a Colico per essere lavorati a
Como. Il Santuario, a croce latina, è diviso al suo interno, in senso longitudinale, da tre navate per una lunghezza
di poco più di 20 m ed una larghezza
di circa 14 m. L’altare dell’Apparizione è
sulla sinistra entrando dalla porta principale. L’organo è un’opera gigantesca
appoggiata su otto colonne di marmo
rosso di Arzo nel Canton Ticino. La grande cassa in legno fu realizzata dall’artista bresciano Giuseppe Bulgarini tra il
1608 ed il 1617. La parte più pregevole dell’organo, i tre pannelli del parapetto, venne eseguita, nel 1638, dal milanese G.B. Salmoiraghi. L’altare maggiore
venne realizzato con marmi neri di Varenna intarsiati con altri marmi policromi nel 1748 da un artigiano di Clivio,
G.B. Galli, al quale si devono non solo le
balaustre del medesimo altare, ma anche quelle dell’altare dell’Apparizione.
In sacrestia si trova un piccolo bassorilievo in marmo, nel quale è raffigurata
la Vergine col Bambino, tra S. Pietro e S.
Paolo ed una Pietà, opera pregevolissima del 1519, di Alessandro Della Scala.
Il pavimento in marmo bianco, nero e
rosso fu forse realizzato da Gregorio Solari e Stefano Carioli, artigiani ticinesi,
nella seconda metà del Seicento ma alcune fonti lasciano supporre sia di epoca anteriore. E infine, nel 1904, in occasione dei 400 anni dall’Apparizione della
Madonna, la ditta Beltrami di Milano
eseguì le vetrate policrome che adornano la chiesa. Il santuario è stato completamente rimesso a nuovo nel 1967
con radicali lavori di restauro. Il restauro del campanile, nel 1979, ha portato
alla luce un apparato decorativo bicromatico lavorato a graffito; nell’occasione è stato ricostruito anche il parapetto
del terrazzino con l’impiego di marmo
bianco proveniente da Lasa in Val Venosta, che dimostrò di avere le stesse
caratteristiche di quello delle cave locali che non si erano potute riattivare. Durante la campagna di restauri del
1996 è stato eseguito il rifacimento
della copertura in pietra naturale. Nel
1998 è stata restaurata la controfacciata e l’esterno in occasione del Giubileo
del 2000.
A sinistra: la facciata della
Basilica di Madonna di
Tirano è in marmo bianco
locale, estratto da una
cava esistente nei pressi
della frazione di Cologna,
in località “Pomo” (El Pum)
In alto a destra: cave di
calcare nero a Varenna
(Lecco)
In basso a destra:
particolare
dell’apparizione della
Vergine al beato Mario
Homodei, il 29 settembre
del 1504
Pagina a fianco: emissione
commemorativa di Poste
Italiane per il V Centenario
dell’apparizione della
Madonna a Tirano, 2004
Geositi della Provincia di Sondrio
105
34
Rupe Magna
e
Dosso Giroldo
Motivo di interesse
scientifico primario:
paleoantropologico
Motivi secondari:
petrografico
geomorfologico
paesistico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Il sito domina il lato sudoccidentale
dell’abitato di Grosio, nei pressi del confine con Grosotto, marcato dal Torrente Roasco: dopo Grosotto la strada attraversa il ponte sul torrente, esce dalla
Val Grosina e ha davanti un lungo rettilineo sullo sfondo del quale si vedono la
chiesa di San Giuseppe, il campanile e
le prime case di Grosio. In questo tratto
pianeggiante del percorso vi sono alcuni
aspetti di notevole interesse da rilevare.
La posizione panoramica e molto favorevole è sottolineata dal “Castello Nuovo”
dei Visconti Venosta (XIV Secolo), che
in realtà poggia sui resti di un castello più antico (XI Secolo, il Castello di
S. Faustino, sempre dei Venosta) e addirittura su rovine di epoca preromana.
I motivi di interesse del sito derivano
dall’eccezionale concomitanza di morfologie glaciali e dei segni tangibili della presenza umana in un’epoca primordiale e remota. Le morfologie glaciali,
non rare in Valtellina ma in questo caso
esemplari, sono rappresentate da rocce
montonate: ampi dossi di roccia nuda,
smussati e lisciati dall’azione erosiva di
una massa glaciale in transito. Nel sito
Grosio
Pace D. (1972) – Petroglifi di Grosio. Tellina opuscula 2, 93 pp., 34 tavv., Artigianelli pavoniani,
Milano.
Pace D. (1974) – Sviluppo dell’investigazione
archeologica nel sistema petroglifico di Grosio.
Tellina opuscula 3, 181 pp., 65 tavv., Artigianelli
pavoniani, Milano.
Pace D., Simonelli M.G., Valmadre L. (1985) –
Escursione nell’antichità della Valtellina: da Teglio
a Grosio. Ed. Sistema Bibliotecario di Tirano, 137
pp., Tip. Poletti, Villa di Tirano.
di Grosio la roccia è di natura filladica,
venata di quarzite bianca, ed è in genere ricoperta da una coltre di suolo sottile e discontinua; il massimo grado di
denudamento e di modellamento glaciale è raggiunto, per l’appunto, dalla suggestiva “rupe magna”, ben visibile anche dal fondovalle con un’estensione di
84 m di lunghezza per 35 m di larghezza e una posizione che le hanno valso in
passato il nome di “balena”. Si tratta di
una grande roccia montonata, la cui forma è stata modellata dal ghiacciaio che
scorreva lentamente ma inesorabilmente su di essa trascinando enormi quanti-
A sinistra e nella pagina a
fianco: il “Castello Nuovo”
dei Visconti Venosta (XIV
Secolo), con torre maestra e
merlature ghibelline
Al centro: figure
antropomorfe su una
grande roccia a dorso di
balena presso il Dosso dei
Due Castelli. Denominata
“Rupe Magna” per le sue
grandi dimensioni, è una
roccia montonata formata
da micascisti levigati oltre
20.000 anni fa dall’azione
del ghiaccio che scorreva
su di essa, trascinando con
sé una grande quantità di
detriti
In basso a destra: il “Castello
Nuovo” durante la stagione
invernale
106
Geositi della Provincia di Sondrio
Geositi della Provincia di Sondrio
107
34
tà di detriti. Grandi massi dunque avanzavano sotto l’enorme peso del ghiaccio
sovrastante imprimendo sulla superficie
rocciosa i numerosi solchi lineari, larghi
fino a uno-due cm e lunghi anche alcuni
metri, ancor oggi visibili là dove la roccia è ripulita dal detrito e dalla copertura vegetale. La Rupe dunque presenta
una superficie non particolarmente liscia
e regolare, così che la picchiettatura dei
graffiti talvolta non risulta facilmente
distinguibile. Gli aspetti paleoantropologici sono ciò che rendono questo sito
in qualche modo eccezionale. A partire
dal 1966 (Pace, 1972, cum bibl.) è stato
rinvenuto un sistema di centinaia, forse
migliaia, di incisioni preistoriche, risalenti ad un’epoca compresa tra il Neolitico e il II millennio a.C. (M.G. Simonelli
in Pace et al., 1985, cum bibl.). I soggetti ricorrenti, che presentano parziali analogie con quelli delle ben più celebri e celebrate incisioni rupestri della
Valle Camonica, comprendono figure antropomorfe, sovente in gruppo; scene di
caccia e di vita sociale, che coinvolgono
guerrieri – armati di lance, tridenti, scudi ed elmi – e sacerdoti; figure geometriche simboliche o astratte, non sempre
di facile interpretazione (spirali, collari,
108
Geositi della Provincia di Sondrio
oggetti furciformi); cavità emisferiche
descritte come cupèlle o coppèlle ottenute picchiettando la superficie rocciosa
molto probabilmente con percussore litico, data la sezione generalmente semicircolare e priva di spigoli vivi che presentano; combinazioni di cupelle e di
figure geometriche e antropomorfe. Sulla base delle tipologie di raffigurazione,
gli studiosi ritengono di aver localizzato un luogo di culto per le popolazioni preistoriche della Valtellina (Pace,
1974). Avvalora l’ipotesi, tra le incisioni, la presenza di gruppi antropomorfi
corali come i sei “danzanti” od “oranti”,
uno dei quali reca in mano un oggetto
anuliforme. Le incisioni, originariamente ricoperte da una cotica erbosa e arbustiva piuttosto tenace, tuttora sono
state riportate alla luce solo in parte.
Attualmente l’intera area è in corso di
attrezzatura come “Parco delle incisioni rupestri” a cura dell’omonimo consorzio al quale partecipano la Provincia di
Sondrio, la Comunità Montana Valtellina
di Tirano e i Comuni di Grosio e di Grosotto per assicurare la tutela, la valorizzazione, la pubblica fruizione dei beni
archeologici, etnografici ed ambientali
che caratterizzano l’intera area.
In alto: ancora una
bella immagine del
“Castello Nuovo”.
Fra il 1350 e il 1375
sorse, per volere
dei Visconti e con il
contributo di tutta
la valle, il “castrum
novum”. Una nuova
costruzione concepita
per rispondere a
mutate esigenze
strategiche e non
per contrapporsi
o rivaleggiare col
vecchio castello di
S. Faustino, come
supposto da alcuni
studiosi. In secondo
piano, la collina del
Dosso Giroldo
In basso: due
particolari delle
incisioni rupestri :
figura antropomorfa
e utensili agricoli
Geositi della Provincia di Sondrio
109
35
Cava Maffei
Motivo di interesse
scientifico primario:
petrografico
Motivi secondari:
struttirale
mineralogico
Livello di interesse
Accessibilità
Bellezza
Rischio di compromissione
110
Geositi della Provincia di Sondrio
Benché rappresentino, per definizione,
siti di elevato impatto sulla naturalità
dei luoghi e spesso coincidano con aree
fortemente degradate, le cave di materiali lapidei presentano grande interesse per il geologo in quanto offrono estesi affioramenti di substrato roccioso in
condizioni di ineguagliabile esposizione. La Cava Maffei di Sondalo offre un
esempio emblematico di questa ambivalenza: pur rappresentando uno squarcio
offensivo nei versanti fittamente boscati che sovrastano i sanatori di Sondalo, l’area si presta a interessantissime
osservazioni in un ambiente “lunare”,
fortemente connotato dalle attività di
estrazione del quarzo.
Il quarzo (SiO2) è uno dei minerali più
comuni della crosta terrestre, soprattutto nella sua parte continentale, ma raramente raggiunge concentrazioni e purezza tali da risultare economicamente
interessante. Trova largo impiego industriale nell’industria ceramica e chimica, nella produzione di abrasivi, nell’ottica e nella meccanica di precisione. La
notevole concentrazione di quarzo nel
sito della Cava Maffei è legato alla migrazione ionica che ha accompagnato i
processi metamorfici, e che nella fattispecie ha consentito una raffinazione naturale del quarzo: data la distanza
piuttosto limitata che tali “migrazioni” normalmente raggiungono, è tuttavia presumibile che il protolito della
quarzite fosse rappresentato da un sedimento già originariamente arricchito
in quarzo a causa dei processi fisici avvenuti nell’ambiente di deposizione (es.
un litorale a sedimentazione sabbiosa)
rispetto ai circostanti sedimenti argillosi che, sottoposti a metamorfismo, hanno dato luogo alle metapeliti dominanti
nell’area (micascisti a granato).
La quarzite si presenta compatta, di colore bianco e lucentezza da cerea a vitrea, tipica degli aggregati omogenei di
minuti cristalli di quarzo (quarzo policristallino): questo aspetto contrasta con l’aspetto incolore e limpido del
quarzo ialino (quarzo monocristallino).
Le fasce di contatto tra quarzite e mi-
Sondalo
In alto a sinistra:
il giacimento di quarzo di
Sondalo è considerato tra i
più importanti attualmente
conosciuti in Europa
In basso a sinistra: il quarzo
è di elevata qualità, molto
omogeneo per struttura e
composizione ed esente da
contaminanti.
La coltivazione del minerale
è in sotterraneo e il metodo
adottato è il sublevel
stoping.
cascisti sono quelle che si prestano alle
osservazioni più interessanti, in quanto testimoniano una complessa evoluzione tettonica che ha accompagnato
la strutturazione della lente di quarzite; in particolare, la presenza di spettacolari brecce di quarzite che inglobano frammenti di micascisto angolosi, di
dimensioni decimetriche, associate a filoni di leucogranito, suggeriscono che
la quarzite sia delimitata da faglie, attive in regime fragile, che hanno assunto
il ruolo di vie preferenziali per l’iniezione di modesti volumi di fusi altamente
differenziati.
La Cava Maffei, della cui autorizzazione
è titolare un gruppo industriale con sede
in provincia di Reggio Emilia, è attualmente in attività, con una produzione
annua di poco inferiore alle 50.000 tonnellate di mercantile. Questo rende consigliabile, per evitare di correre rischi
inutili, che la visita sia concordata preventivamente con un soggetto responsabile, che può essere rintracciato mediante contatti con il Comune di Sondalo.
In basso a destra: brecce
granatifere al contatto tra
quarzite e metapeliti
Geositi della Provincia di Sondrio
111
36
Frana
della
Val Pola
Motivo di interesse
scientifico primario:
geomorfologico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Fossati D. & Mannucci G. (1989) - L’alluvione del
1987 in Valtellina e l’evento franoso della Val Pola.
Documenti del Territorio 14.
Agostoni S., De Andrea S., Lauzi S. & Padovan N.
(1991) - Sintesi ed interpretazione dei dati di monitoraggio della Val Pola. Geologia Tecnica 3/91.
Govi M. & Turrito O. (1992) - La frana della Val
Pola del 1987 in Alta Valtellina. In “Frane e Territorio” (A. Vallario Ed.), Liguori Editore, Napoli.
Agostoni S., Laffi R. & Sciesa E. (1997) - Centri
Abitati Instabili della provincia di Sondrio. Pubblicazione CNR GNDCI 1580, Vertemati, Vimercate.
Studio Paoletti - Progetto definitivo degli interventi di sistemazione idraulica nell’area interessata
dalla frana della Val Pola”, Regione Lombardia.
112
Geositi della Provincia di Sondrio
L’area interessata dal fenomeno franoso della Val Pola è ubicata nell’Alta Valtellina, circa a 10 km a Sud dell’abitato
di Bormio. Prima che l’evento franoso del
28 luglio 1987 sconvolgesse il versante
orientale del Monte Zandila ed un’estesa
porzione di fondovalle del fiume Adda, la
Strada Statale 38 dello Stelvio attraversava in successione gli abitati di Morignone, Sant’Antonio Morignone e Aquilone.
Dal punto di vista geologico l’area circostante la frana è caratterizzata dalla
presenza di unità del Dominio Austroalpino superiore: in particolare gneiss
e micascisti del Cristallino di Grosina
e, specificatamente in corrispondenza
del coronamento di frana, paragneiss
e micascisti del Cristallino del Tonale. La porzione più estesa di frana è invece occupata da gabbri e gabbrodioriti con intercalazioni di filoni aplitici e
pegmatitici appartenenti al “Gabbro di
Sondalo”, massa intrusiva dell’Alta Valtellina originariamente attribuita al ciclo magmatico alpino, ma attualmente
ritenuta di età varisica.
Negli aspetti strutturali a scala regionale l’area è compresa tra la Linea dell’Engadina - a Nord - e la Linea Insubrica - a
Sud. A scala locale i lineamenti strutturali principali sono costituiti dalle faglie con direzione Est-Ovest della Val
Pola e del Monte Zandila e dagli allineamenti grossomodo orientati Nord-Sud:
l’intersezione tra tali piani principali di
discontinuità tra loro perpendicolari ha
costituito uno dei principali fattori predisponenti al crollo roccioso. La frana
del luglio 1987 costituisce la naturale
evoluzione di un versante che era già
caratterizzato da una paleofrana e da fenomeni gravitativi attivi in un contesto
di rocce intensamente fratturate.
A tali fenomeni predisponenti del dissesto si aggiungono le condizioni meteorologiche precedenti il collasso. Infatti
nel periodo compreso tra il 15 e il 19 luglio anche il territorio dell’Alta Valtellina
ha risentito dei fenomeni meteorici che
investivano la valle e la frana della Val
Valdisotto
Foto aerea della frana di Val
Pola poco dopo il drammatico
evento franoso: prima del
distaccamento di materiale
del 28 luglio 1987 la Strada
Statale 38 dello Stelvio
attraversava in successione
gli abitati di Morignone,
Sant’Antonio Morignone e
Aquilone.
Geositi della Provincia di Sondrio
113
36
Pola del 28 luglio ne costituisce l’apice. L’azione combinata delle forti piogge e dell’elevato apporto glaciale hanno determinato elevata erosione delle
aste torrentizie, incremento del trasporto solido e creazione di nuovi depositi
alluvionali di fondovalle allo sbocco con
l’Adda. La Val Pola stessa ha subito nei
tratti in quota accentuate erosioni laterali e di fondo e l’abbondante materiale
trasportato ha generato allo sbocco una
nuova conoide che ha prodotto nella serata del 18 luglio 1987 lo sbarramento
del fiume Adda e un invaso lacustre che
si è esteso a monte fino ad allagare il
paese di Sant’Antonio Morignone.
La settimana successiva comparivano i
primi fenomeni di movimento sul versante del Monte Zandila, dapprima come
crolli dalle pareti rocciose della antica
paleofrana e poi come apertura di una
A sinistra: il versante
orientale del Monte
Zandila sventrato.
A destra: la frana
della Val Pola come
si presenta oggi
dopo gli interventi
realizzati per il
controllo e la parziale
bonifica
114
Geositi della Provincia di Sondrio
fessura discontinua per circa 600 metri
al piede della scarpata rocciosa in corrispondenza del piano di scivolamento
dell’antica frana. Il 27 luglio la fessura assumeva un tratto più continuo e la
lunghezza di 900 metri delineando una
nicchia di frana che nel suo sviluppo tra
quota m 2250 e m 1700 comprendeva
una porzione instabile di 35 ettari che
nella mattina del 28 luglio 1987 ha generato il distacco di un ammasso pari a
34 milioni di metri cubi di roccia con tipologia di scorrimento dapprima come
scivolamento e successivamente come
valanga di roccia. I meccanismi di crollo e di deposito del materiale di frana
sono stati condizionati dalle caratteristiche dei versanti.
La massa rocciosa frantumata dopo aver
colmato il fondovalle è risalita sul versante opposto per 300 metri. Nella fase
Un’indagine
di ARPA Lombardia
evidenzia un alto
grado di biodiversità
nel corpo di frana
della Val Pola
(perimetro nero)
gruppo 1
gruppo 2
gruppo 3
corpo franoso
aree edificate
valore elevato
valore alto
valore medio
valore modesto
valore basso
di ricaduta una porzione di detrito ha
colpito l’area occupata dall’invaso lacustre e ha generato un’onda fangosa che
è traslata verso Nord con enorme energia, ha colpito le case di Aquilone e si
è arrestata circa 2000 metri a Nord del
punto iniziale di impatto. Nel complesso l’area influenzata dalla frana della val
Pola si è estesa linearmente per circa
4,5 km e il volume di accumulo è stato
stimato in circa 40 milioni di metri cubi
con spessore massimo lungo l’asse originario dell’Adda fino a 100 metri. Come
effetto diretto della valanga di roccia
sono stati distrutti il paese di Morignone e le frazioni di San Martino, Castellaccio e Foliano. Come effetto dell’onda
di acqua, fango e detriti sono stati distrutti i paesi di Sant’Antonio Morignone, Poz e Tirindrè e parte di Aquilone. Le
vittime sono state 29. Subito dopo l’alluvione sono state realizzate le principali opere strutturali sia per la regimazione del fiume Adda, sia per generale
messa in sicurezza del versante collassato e dei bacini più dissestati nonché
una fitta rete di monitoraggio strumentale.
Geositi della Provincia di Sondrio
115
37
Paluaccio
di
Oga
Motivo di interesse
scientifico primario:
naturalistico
Motivi secondari:
geomorfologico
paesistico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Riserva naturale
Paluaccio di Oga (SIC-ZPS)
Dei Cas L. (2001) – La riserva naturale del Paluaccio e il Forte di Oga. Comunità Montana Alta
Valtellina, 88.
Guglielmin M. & Dei Cas L. (2000) – Lo studio
della torbiera del “Paluaccio di Oga” (Valdisotto,
SO). Un contributo alla comprensione della genesi delle deformazioni gravitative profonde e della
evoluzione del glacialismo in alta Valtellina. Geol.
Insubrica 5/2, 105-114.
116
Geositi della Provincia di Sondrio
Il Paluaccio di Oga - dalla splendida conca di Bormio è possibile raggiungere la
riserva, in Comune di Valdisotto, in pochi minuti - rappresenta un caso relativamente raro di convergenza tra motivi
di interesse geologico-strutturale, geomorfologico e naturalistico, in particolare paleobotanico: quest’ultimo aspetto
si può considerare prevalente in ragione
delle attività estrattive che hanno interessato in passato il deposito torboso,
nonché delle evidenze paleoclimatiche
registrate dal deposito stesso (Dei Cas,
1999; Dei Cas & Guglielmin).
La torbiera del Paluaccio di Oga si colloca a quota 1705 m s.l.m. circa, sul versante orientale del Monte Massucco.
Le rocce che costituiscono il versante sono riconducibili al Dominio Austroalpino e, alle quote di interesse,
sono rappresentate da rocce metamorfiche della Falda Campo (“Filladi di Bormio” Auct.). L’intero versante è caratterizzato da numerose contropendenze
morfologiche, ciascuna delle quali corrisponde all’intersezione tra la superficie
topografica e un piano di scivolamento gravitativo che interessa la compagine rocciosa sino in profondità. È stata
proprio la diminuzione (e locale inversione) del gradiente morfologico, associato ad una di queste superfici di
scivolamento, a consentire il ristagno
d’acqua e la formazione delle torbiere.
Di recente, il Paluaccio di Oga è stato
oggetto di approfondite indagini geologiche (Guglielmin & Dei Cas, 2000) che
hanno consentito di accertare la presenza di un controllo strutturale sulla
contropendenza e di datare, con il metodo del radiocarbonio, l’inizio della deposizione della torba al 7500-7600 a.C.:
un’età nella quale i ghiacciai vallivi legati all’Ultimo Massimo Glaciale si trovavano ormai in fase di ritiro.
L’attività di estrazione della torba è stata particolarmente intensa nella prima
metà del XX Secolo, anche per effetto
dell’autarchia proclamata dal regime fascista: in quel periodo l’impiego prin-
Valdisotto
A sinistra: la torbiera
di alta quota del
Paluaccio di Oga, di
notevole interesse
floristico
In alto a destra: il
Forte di Oga, detto
anche Forte Venini,
in onore del generale
valtellinese Venini,
medaglia d’oro al
valore
cipale della torba era quello di combustibile per uso domestico e industriale,
mentre attualmente prevale l’impiego
florovivaistico.
E’ da tenere in considerazione anche
l’interesse floristico del Paluaccio, conosciuto in letteratura e testimoniato dalla presenza di specie quali la Andromeda
polifolia, Vaccinum microcarpus, Empetrum nigrum, Oxycoccus quadripetalus e
Drosera rotundifolia.
Completa la visita al sito una scappata
al suggestivo Forte Venini (meglio noto
come Forte di Oga), costruito tra il 1909
e il 1914 a difesa della strada dello Stelvio e dei limitrofi passi alpini. Il forte è
stato definitivamente abbandonato nel
1958 e, a partire dal 1985, parzialmente
ripristinato e aperto al pubblico, tanto
da diventare un’ulteriore attrattiva della
Riserva Naturale Regionale.
0.00 m
0.05
Stratigrafia del
carotaggio del
Paluaccio di Oga
1.14
1.70
2.08
2.20
2.30
2.58
2.85
4.10
4.20
4.80
1300-1435 d.C.
570-765 d.C.
3865-3810 a.C.
4070-3930 a.C.
4155-4120 a.C.
Suolo
Torba
Limo
Argilla
Sabbia
9.40
7610-7515 a.C.
Ghiaia
10.00 m
Legni
Filladi
Geositi della Provincia di Sondrio
117
38
Val Viola
Bormina
Motivo di interesse
scientifico primario:
paesistico
Motivi secondari:
geografico
naturalistico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Val Viola Bormina
Ghiacciaio di Cima dei
Piazzi (SIC)
Diolaiuti G., D’agata C. , Pelfini M. & Smiraglia
C. (2002) - Gestione tramite gis di beni geomorfologici, glaciologici e naturalistici per la valorizzazione mediante un turismo sostenibile di aree di alta
montagna. Atti workshop - Gis per la tutela e valorizzazione dei beni ambientali e storico culturali,
Firenze 25 maggio 2001, Geostorie.
Diolaiuti G., (2001) - Evoluzione recente dei sistemi morfodinamici nelle aree proglaciale della
Val Viola (Alpi Lombarde). Memorie della società
geografica italiana, vol. Lxvi, 245 - 261.
Guglielmin M. & Notarpietro A. (1998): “Itinerario 17 - Val Viola Bormina. In “Alpi e Prealpi
Lombarde”, guide geologiche regionali, be-ma
editrice.
Rossi S., Diolaiuti G., Forasacco E., Montrasi L.,
Pelfini M., Smiraglia C. (2003) - Evidenze geomorfologiche della più recente espansione glaciale correlabile con l’episodio freddo degli anni ’50-’70 del
XX secolo sulle alpi lombarde. Risposta dei processi
geomorfologici alle variazioni ambientali”, Motta
& Biancotti eds., 377-396.
118
Geositi della Provincia di Sondrio
La Val Viola glacializzata è localizzata alla testata della Val Viola Bormina (Valdidentro, Sondrio) e ne costituisce il settore meglio conosciuto come
Val Dosdè e Val Cantone di Dosdè. In
quest’area, estesa altimetricamente tra i
2000 ed i 3300 m di quota, si concentrano gli apparati glaciali del gruppo Piazzi - ad esclusione del ghiacciaio Cima de
Piazzi - che rappresentano la principale
risorsa idrica dell’area. Le loro acque di
fusione alimentano la fitta rete di torrenti e ruscelli che attraversano le aree a
pascolo ed a bosco sottostanti. Punto di
partenza per questa escursione è l’abitato di Arnoga (metri 1850 circa), raggiungibile lungo la Strada Statale 301
che sale verso il Passo del Foscagno. Nei
pressi dell’ampio tornante incontriamo
la deviazione per la Val Viola Bormina e
la seguiamo. L’ultima deviazione per la
quale occorre prestare la dovuta attenzione è al km 4: seguiamo la via di destra e siamo in breve al parcheggio in
località Altumeira (m 2116). Ad un certo punto del cammino una seconda strada si stacca dalla nostra e scende verso
sinistra sino a raggiungere la già visibile Alpe Dosdè (m 2129) nella parte bassa della vallata, laddove corre il Torrente
Bormina. Proseguendo su questo sentiero, che coincide con il Sentiero Italia, si
giunge in Val Cantone di Dosdè al Bivacco Caldarini e più avanti al Rifugio Capanna Dosdè. I ghiacciai della Val Viola
Bormina, tutti di tipo montano sebbene
il Dosdè orientale, il più grande, sia dotato di una discreta lingua che consente al flusso glaciale di raggiungere intensità consistenti, sono attualmente in
fase di intenso regresso a seguito del riscaldamento climatico in atto (- 20% di
superficie dal 1992 al 1999 e – 30% di
volume nello stesso periodo, fonte dei
dati catasti glaciali Regione Lombardia,
sit regionale). Questa contrazione areale
e volumetrica è testimoniata anche dagli anfiteatri morenici recenti perfettamente conservati nelle aree proglaciali
di molti dei ghiacciai del gruppo. Seb-
Valdidentro
In alto a sinistra: salita
alla Cima di Val Viola.
Sullo sfondo il Gruppo del
Bernina
bene le dimensioni medie degli apparati siano limitate (solo il ghiacciaio del
Dosdè orientale supera il km2 di area),
le morfologie glaciali ed in particolare
supraglaciali (i.e.: funghi di ghiaccio o
tabulae di ghiaccio, bediéres o torrenti epiglaciali, coni di ghiaccio, morene mediane, depositi crioconitici) sono
ben espresse ed esemplificative di forme altrimenti presenti solo su apparati di maggiori dimensioni. L’area frontale degli apparati è soggetta, negli ultimi
anni, ad un’evoluzione intensa ed accelerata. Oltre alla riduzione della lunghezza ed alla presenza di una sempre
maggiore copertura detritica superficiale, sono in corso profonde modificazioni
morfologiche (apertura ed ampliamento
di finestre rocciose, aumento di forme
da ablazione differenziale quali coni di
ghiaccio e morene mediane) che evidenziano la trasformazione in atto dal sistema glaciale a quello paraglaciale. Diffuse
sono anche le forme di erosione, come le
rocce montonate. La bibliografia recente
riporta per quest’area evidenze geomorfologiche ben conservate e ben espres-
In alto a destra: la Cima
del Lago di Spalmo e la
Cima di Val Viola
In basso: la Val Dosdè
vista dalla mulattiera che
sale in Val Viola
Geositi della Provincia di Sondrio
119
38
In alto a sinistra:
l’innevata Cima di Val
Viola
se che testimoniano le fasi di avanzata e
regresso glaciale recenti (ultimi due secoli) permettendo così di ricostruire la
storia glaciale e climatica alpina locale
che è risultata altamente correlata agli
eventi regionali e alpini italiani in genere. Alcuni ghiacciai dell’area sono inoltre stati oggetto di studi approfonditi e
di dettaglio per quantificarne la geometria (volumi e spessori tramite prospezioni geofisiche e rilievi gps differenziali) e per valutarne le variazioni annue di
lunghezza e di spessore (misura delle variazioni frontali e del bilancio di massa
glaciale). I record di informazioni così
acquisite presentano serie di dati estese
(oltre 50 anni le variazioni frontali e 12
anni i bilanci di massa) e rappresentative delle caratteristiche e delle variazioni del glacialismo italiano. Ricerche condotte nell’ultimo decennio hanno infine
evidenziato che l’area in esame non solo
è esemplificativa delle forme e dei processi glaciali, ma che anche forme e processi periglaciali, gravitativi e torrentizi
sono qui ben rappresentati.
120
Geositi della Provincia di Sondrio
In alto a destra:
veduta sulla Val Viola
In basso: l’invitante
strada che porta in
Val Viola, adatta per
passeggiate poco
impegnative. Sullo
sfondo svetta fiero il
Corno di Dosdè
Geositi della Provincia di Sondrio
121
39
Passo
del
Foscagno
Motivo di interesse
scientifico primario:
geologia strutturale
Motivi secondari:
geomorfologico
paesistico
Livello di interesse
Accessibilità
Bellezza
Rischio di compromissione
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Passo e Monte di Foscagno
(SIC)
Livigno - Valdidentro
Il Passo del Foscagno è un valico alpino
delle Alpi Centrali che mette in comunicazione la Valle di Livigno con la Valdidentro e la Valtellina. Il Passo si trova
ad un altezza di 2291 m s.l.m. ed è raggiungibile tramite la Strada Statale 301
del Foscagno. Il passo rappresenta l’unica via che permette di raggiungere Livigno senza dover passare per la Svizzera (attraverso la Valle di Poschiavo e la
Forcola di Livigno).
La prima strada carrozzabile venne realizzata per motivi militari dall’Ufficio
Fortificazioni di Brescia nel 1912-1914,
ma per via delle sue caratteristiche era
percorribile solo nei mesi estivi. Dal
1952, grazie all’impiego delle macchine
spazzaneve e spargisale, è stato possibile mantenere il passo aperto anche nei
mesi invernali. Prima della realizzazione della strada, il collegamento avveniva tramite una mulattiera lunga 25 km
che collegava Livigno a Semogo (fraz. di
Valdidentro). Al passo si trova la dogana
in quanto il territorio di Livigno è una
zona extradoganale.
Da un punto di vista idrogeologico,
il passo è lo spartiacque tra i bacini
dell’Inn (e quindi del Danubio) a Nord e
dell’Adda (e quindi del Po) a Sud.
In prossimità del Passo affiorano filladi molto deformate con interessanti fenomeni di clivaggio. Il clivaggio delle filladi è un tipo di foliazione che si
manifesta nella tendenza della roccia a
sfaldarsi lungo piani paralleli. Non va
confusa con la stratificazione, che è una
struttura sedimentaria; in effetti è co-
Il Passo del Foscagno:
sullo sfondo si
intravede l’edificio
della dogana di
frontiera tra la
zona extradoganale
di Livigno e la
Valdidentro
mune osservare che il clivaggio, la cui
orientazione dipende dal campo di sforzi che interessa una roccia durante la
sua storia deformativa e non dalle sue
modalità di formazione originaria, può
intersecare a qualsiasi angolo la stratificazione, sempre che questa si conservi
nel corso del processo deformativo. A livello microstrutturale, il clivaggio delle
filladi dipende dall’orientazione parallela di microscopici cristalli di forma appiattita (in genere fillosilicati).
122
Geositi della Provincia di Sondrio
Geositi della Provincia di Sondrio
123
40
Passo
d’
Eira
Motivo di interesse
scientifico primario:
geologia strutturale
Motivi secondari:
geomorfologico
paesistico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Berra F. (1994) – Stratigrafia e paleogeografia del
Triassico Superiore delle Falde Ortles e Quattervals
(Austroalpino Superiore) in Lombardia. Tesi di Dottorato, Univ. di Milano, 146.
Pozzi R. (1965) – Schema tettonico dell’Alta Valtellina da Livigno al Gruppo dell’Ortles. Ecl. Geol.
Helv. 58/1, 21-38.
124
Geositi della Provincia di Sondrio
Livigno
La splendida cornice naturale del Passo
d’Eira, che si colloca in corrispondenza
della sella morfologica tra il Mottolino e
il Monte Crapené, rappresenta un punto
di osservazione privilegiato su un’associazione di strutture tettoniche che affiorano estesamente sui versanti occidentali della Cima Pozzin, appartenente
alla dorsale del Monte Pettini. Per quanto le rocce esposte nelle catene montuose siano comunemente deformate, in
regime duttile o fragile, non è frequente osservare strutture tanto spettacolari in condizioni di esposizione naturale
tanto favorevoli. La successione stratificata della Formazione di Fraele, costituita da un’alternanza ritmica di calcari,
marne e argilliti, si atteggia in una serie di pieghe di estensione ettometrica,
che interessano l’intero versante sovrastante i piccoli nuclei di Isola e Trepalle.
Le pieghe presentano una geometria simile e appaiono marcatamente asimmetriche, con un coricamento quasi totale
verso Sud-Est. Dal punto di vista strutturale, le rocce piegate in questione appartengono alla copertura sedimentaria della Falda Ortles (Berra, 1994), qui
scollata dal suo basamento metamorfico
lungo la Faglia della Val Zebrù, che con
il suo decorso rettilineo controlla l’asse
della Val Pila.
E’ proprio lungo questa faglia di fondovalle che si localizza una piccola sorgente termale, in un contesto che presenta notevoli analogie con quello, ben
più conosciuto, che ha dato vita al complesso dei Bagni di Bormio (v. scheda
41). Anche in questo caso, la faglia segna il contatto tra rocce sedimentarie
permeabili (sovrastanti) e rocce metamorfiche pressoché impermeabili (sottostanti); le acque di precipitazione e di
scioglimento delle nevi in quota possono così infiltrarsi nell’ammasso roccioso e riemergere, centinaia di metri più
in basso, riscaldate dal gradiente geotermico delle rocce. La sorgente (nota
come “Pisciaröla de Pila”) sgorga da una
frattura aperta nella roccia affiorante e
si disperde nel sottostante detrito, non
prima di aver depositato una crosta di
alabastro lunga diverse decine di metri
e larga qualche metro; si tratta quindi di
una emergenza termale di notevole interesse naturale.
Il serrato piegamento della successione
di Cima Pozzin è il risultato degli sconvolgimenti tettonici che hanno accompagnato la collisione continentale da
cui si sono originate le Alpi. In successioni sedimentarie stratificate della
crosta superiore, è ormai comunemente accettato che tali processi tettonici
avvengano secondo modalità cinematiche ricorrenti, riassunte sotto il termine comprensivo di tettonica pellicolare
(thin-skinned in letteratura anglosassone). Uno degli aspetti più interessanti
della tettonica pellicolare è la tendenza
delle successioni multistrato a separarsi
nettamente in livelli più competenti (litotipi massicci, di caratteristiche omogenee per tutto lo spessore: es. calcari dolomitici di piattaforma) e livelli
più deboli (litotipi sottilmente stratificati, con intercalazioni di rocce tenere
come argille o gessi: es. successioni marino-marginali e/o lagunari). Sottoposta a sforzi orientati, una successione
multistrato di tal fatta tenderà a concentrare quasi tutta la deformazione nei
livelli deboli, che subiranno marcati effetti tettonici permettendo, al contempo, lo svincolo di piastroni competenti
pressoché indisturbati. Il serrato piegamento della successione stratificata di
Cima Pozzin è appunto compatibile con
la concentrazione delle deformazioni nei
litotipi più deboli della Formazione di
Fraele, e con effetti relativamente marginali degli sforzi tettonici sulla sottostante Dolomia del Cristallo, in un tratto
in cui la successione sedimentaria della
Falda Ortles è forzata ad incunearsi tra
il proprio basamento e la Falda Quattervals (Pozzi, 1965).
Pareti del Monte Pozzin come
si vedono dal Passo d’Eira
L’abitato di Trepalle e sullo
sfondo il Passo d’Eira.
Trepalle è il centro abitato
più alto d’Italia e d’Europa
trovandosi a 2069 m d’altezza
Geositi della Provincia di Sondrio
125
41
Cresta
di
Reit
Motivo di interesse
scientifico primario:
geomorfologico
Motivi secondari:
stratigrafico
strutturale
petrografico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Parco Nazionale dello
Stelvio (ZPS)
Agostoni S., Laffi R. & Sciesa E. (1997) – Centri
Abitati Instabili della Provincia di Sondrio. Pubbl.
CNR-GNDCI 1580, Arti Graf. Vertemati, Vimercate,
59 pp. + 86 schede.
Amanti M. & Cesi C. (2004) – Italian Alpine
Landslides. Field Trip Guide Book P05 – 32nd IGC,
Firenze.
Berra F. (1994) – Stratigrafia e paleogeografia del
Triassico Superiore delle Falde Ortles e Quattervals
(Austroalpino superiore) in Lombardia. Tesi di Dottorato, Univ. di Milano, 146.
Mortara G., Ceriani M., Laffi R., Lattini C. & Beretta E. (1994) – L’evento alluvionale del 22 luglio
1992 nella conca di Bormio in Alta Valtellina. Quad.
Studi Docum. Ass. Miner. Subalpina 17, 25-33.
126
Geositi della Provincia di Sondrio
Bormio - Valfurva
Si tratta di un elemento strutturale e
morfologico che, con la sua imponenza,
caratterizza il lato nord-orientale della
conca di Bormio. Con il nome “Cresta di
Reit”, derivato dal toponimo locale “La
Reit” (lariceto), si suole indicare l’estremità occidentale di un contrafforte roccioso, con altezza massima di 3075 m in
corrispondenza della Cima di Reit, che
prosegue verso Ovest per oltre 12 km,
fino a comprendere il Monte Cristallo
(3439 m) e le Cime di Campo (3534 m).
Dal punto di vista litostratigrafico costituisce un unico, enorme affioramento di
Dolomia Principale di età norica. Nonostante la dolomia si presenti stratificata
in banchi metrici e plurimetrici, la vastità delle proporzioni dell’affioramento
offre, da lontano, l’impressione di una
stratificazione sottile.
La presenza di una massa rilevante di
rocce sedimentarie carbonatiche in un
distretto strutturale delle Alpi dove prevalgono le rocce metamorfiche è legata
ad un importante lineamento strutturale (Faglia della Val Zebrù) che giustappone, con contatto tettonico, un ampio
lembo di rocce sedimentarie (Falda Ortles) al basamento metamorfico austroalpino (Falda Campo). Precedenti interpretazioni consideravano il sedimentario
della Falda Ortles come la copertura del
cristallino della Falda Campo e accorpavano le due unità strutturali sotto
la dizione “Falda Campo-Ortles” (Berra, 1994). La dislocazione della successione carbonatica è stata facilitata dalla
presenza di livelli stratigrafici costituiti
da evaporiti del Carnico Superiore (gesso e, in subordine, salgemma) alla base
della Dolomia Principale, in una posizione stratigrafica analoga a quella assunta
dalla Formazione di San Giovanni Bianco nelle Prealpi Lombarde e dagli Strati
di Raibl nelle Alpi Carniche.
Questo aspetto stratigrafico e strutturale spiega le caratteristiche peculiari
delle acque sulfuree dei Bagni di Bormio (Amanti & Cesi, 2004). Esse infatti sgorgano proprio all’altezza dell’anti-
co sovrascorrimento, in una zona dove
la circolazione idrica sotterranea è fortemente condizionata dalla presenza di
reticoli di fratture che attraversano gli
ammassi rocciosi e il contenuto salino
delle acque risente della presenza di litotipi solubili, ricchi in solfato.
Dal punto di vista morfologico, quello che rende la Cresta di Reit in qualche modo ancora più singolare è la presenza di estese coltri di detrito di falda
(“ghiaioni”, in un linguaggio più familiare agli escursionisti), che si mantengono attive su estensioni e dislivelli eccezionali, fino a oltre 800 m (Agostoni
et al., 1997). L’evoluzione geomorfologica del versante raggiunge picchi di intensità in corrispondenza di eventi di
precipitazione di elevata intensità, l’ultimo dei quali risale al 22 luglio 1992
(Mortara et al., 1994).
La conca di Bormio sul
versante nord orientale è
sovrastata dalla Cresta di
Reit, le cui pendici sono
ricoperte da un vasto
bosco di pino mugo. Si noti
l’enorme estensione dei
ghiaioni sopra Premadio
(in alto) e la stratificazione
interna alla Dolomia del
Cristallo (in basso)
Geositi della Provincia di Sondrio
127
42
Piano
delle
Platigliole
Motivo di interesse
scientifico primario:
geomorfologico
Motivi secondari:
naturalistico
paesistico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Parco Nazionale dello
Stelvio (SIC-ZPS)
Bajo F., Bini A., Paganoni A., Ferrari I. & Peretti G.
(1983) – Il carsismo di alta montagna in Lombardia.
Riv. Mus. Sc. Nat. Bergamo 6, 27-73.
Bini A. (1981) – Le Grotte. Natura in Lombardia,
224 .
128
Geositi della Provincia di Sondrio
Si tratta di un altopiano di circa 1 km2
compreso nel territorio del Parco Nazionale dello Stelvio, interessante per la
singolarità dei fenomeni carsici superficiali e profondi commisti a fenomeni
glaciali. È uno dei piani carsici più alti
d’Italia (2750 m s.l.m.) in cui sono presenti grotte occupate da piccoli ghiacciai, archi naturali di roccia, resti di
grotte crollate. Dal punto di vista paesaggistico il piano delle Platigliole offre
magnifici panorami su montagne e valli
circostanti. Al piano si accede dal Passo dello Stelvio con la Statale 38. Si lascia l’auto e ci si addentra nel sentiero
che porta al Passo delle Platigliole e in
circa 1 ora di cammino si giunge all’altopiano.
Da un punto di vista geomorfologico, il
piano rappresenta una piccola valle sospesa sopra la Val dei Vitelli, su cui domina dall’alto di una parete di circa 150
m. Sino a tempi relativamente recenti, gran parte del piano era occupata da
piccoli ghiacciai locali. Il carsismo è almeno in parte pre-glaciale (Bini, 1981)
ed è testimoniato con evidenza dall’abbondanza di campi solcati e doline che
costellano il piano. I litotipi carsificati
possono essere riferiti alla Formazione
di Fraele (Retico) e alla Dolomia del Cristallo (Norico). Le acque di ruscellamento superficiale, sia esso diffuso o concentrato, sono interamente assorbite e
sembra plausibile una loro risorgenza in
corrispondenza della sorgente Fontanone, in Valle del Braulio, circa 1000 m più
in basso: mancano tuttavia dati sperimentali (es. analisi di traccianti) a sup-
Bormio
porto di questa interpretazione (Bajo et
al., 1983).
Localmente, l’erosione glaciale ha esumato parte dei complessi carsici profondi: resti di forre, un ponte naturale,
crostoni stalagmitici e tratti di cunicoli. Sono state censite una ventina di
grotte, per la maggior parte di modesto sviluppo, delle quali soltanto due
(3054-3056 Lo e 3074 Lo) presentano
una certa importanza, con uno sviluppo
superiore ai 100 metri.
Nella foto a tutta
pagina si possono
ammirare, sulla
sinistra, il Piano delle
Platigliole, mentre
al centro scende la
lingua del Ghiacciaio
dei Vitelli. Nel secolo
scorso la fronte del
ghiacciaio giungeva
quasi a lambire la
strada dello Stelvio
Geositi della Provincia di Sondrio
129
43
Vedretta
della Miniera
Motivo di interesse
scientifico primario:
petrografico
Motivi secondari:
strutturale
mineralogico
geominerario
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Parco Nazionale dello
Stelvio (SIC-ZPS)
Bedognè F., Montrasio A. & Sciesa, E. (2006) I minerali della medio-alta Valtellina, delle Orobie
valtellinesi e della val Poschiavo. Aggiornamenti
sulle altre località della provincia di Sondrio. Tip.
Bettini, Sondrio, 255.
Pozzi R. (1968) - La geologia del Parco Nazionale dello Stelvio. Estr. da: Il parco Nazionale dello
Stelvio, 32.
130
Geositi della Provincia di Sondrio
Nella parte alta della Val Zebrù esisteva
una miniera di ferro, che però ormai da
molto tempo è in abbandono. Il sito, indicato sulla Carta Tecnica Regionale della Lombardia in scala 1: 10 000 con il
toponimo “Miniera di ferro (abbandonata)”, si posiziona a coordinate GaussBoaga approssimative 1 619 225, 5 147
450, a un’altitudine di 2700 m circa. Il
giacimento si raggiunge da Valfurva, risalendo la strada di fondovalle della Val
Zebrù fino alla Baita del Pastore (2159
m s.l.m.) e poi seguendo un piccolo sentiero che conduce al Passo Zebrù.
Il giacimento sfruttato industrialmente era costituito da magnetite, un ossido di ferro appartenente al gruppo degli
spinelli; l’attività estrattiva si è comunque mantenuta modesta. La mineralizzazione è ritenuta di origine pneumatolitica ed è associata a vistosi fenomeni
di metamorfismo di contatto: il sito
coincide infatti con il contatto intrusivo
tra un modesto plutone di composizione dioritica e di età terziaria (al quale si
associa, verso Sud-Ovest, un corteggio
di filoni andesitici) e le dolomie noriche
della Falda Ortles. Il contatto è sottolineato da forti contrasti cromatici tra le
dolomie chiare e le masse intrusive più
scure, facilmente “leggibili” in panoramica (Pozzi, 1968).
Oltre alla magnetite, è presente una ricca associazione mineralogica che si articola in tre contesti litologici principali:
1) marmi a silicati: contengono azzurrite, calcopirite, clinocloro, clintonite, diopside, forsterite, granato (grossularia), lizardite, ludwigite, magnetite,
malachite, molibdenite, monticellite,
spinello var. pleonasto, pirrotina e vesuviana.
2) calcefiri (rocce composte da silicati
di calcio e carbonati, legati agli effetti
metamorfici di un’intrusione) e skarns:
nei calcefiri si trovano fessure riempite da zeoliti, che si formano per effetto della circolazione di fluidi idrotermali
di bassa temperatura (< 200° C). I minerali presenti in questa tipologia sono:
Valfurva
A sinistra: in basso
il rifugio V Alpini, in
posizione dominante
sulla Val Zebrù, visto
dalla cima del Monte
Zebrù
In alto a destra: una
bella panoramica
della Val Zebrù vista
dal Monte Confinale
con al centro la
Vedretta della Miniera
A destra: in mountain
bike sulla sterrata
verso la Val Zebrù
In basso a destra:
contatto tra diorite
(scura) e dolomia
(chiara) alla Vedretta
della Miniera.
apatite, augite var. fassaite, blenda,
calcite, calcopirite, clintonite, cordierite, diopside, epidoto, ferro-attinolite,
leuchtenbergite, lizardite, magnetite,
montmorillonite, pirite, scapolite, spinello, titanite, vesuviana. In minerali associati alle zeoliti sono: aragonite,
calcite, diopside, gismondina, laumontite, natrolite, prehnite, pumpellyite(Fe2+), scolecite e thaumasite.
3) lenti di magnetite: arsenopirite, bornite, calcopirite, clinocloro, cubanite,
galena, goethite, grafite, ematite, lepidocrocite, ludwigite, magnetite, malachite, marcasite, pirite, pirrotina e valleriite.
Geositi della Provincia di Sondrio
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44
Ghiacciaio
dei Forni
Motivo di interesse
scientifico primario:
geomorfologico
Motivi secondari:
geografico
naturalistico
Livello di interesse
Accessibilità
Valore estetico
Rischio di compromissione
Altri vincoli che insistono
nell’area:
Parco Nazionale dello
Stelvio (SIC-ZPS)
Abbadessa F. (1955) - Rilievi e indagini sul Ghiacciaio dei Forni. Bollettino del comitato glaciologico
italiano, serie II, 6.
Cassinis R. & Carabelli E. (1954) - Misure sismiche
di spessore del Ghiacciaio dei Forni. Bollettino del
comitato glaciologico italiano, serie II, 11.
Catasta G. & Smiraglia C. (1991) - Le valli dei Forni e di Cedec. Ricerche geomorfologiche. Quaderni
del Parco Nazionale dello Stelvio, 8.
Cola G. (2003) - Variazioni della lingua del Ghiacciaio dei Forni (Ortles-Cevedale, Italia) nel ventennio 1981-2002. Terra glacialis, 6.
Stoppani A. (1876) - Il bel paese. Conversazioni
sulle bellezze naturali. La geologia e la geografia
fisica d’Italia. Agnelli.
132
Geositi della Provincia di Sondrio
Valfurva
E’ uno dei pochissimi ghiacciai vallivi a
bacini composti delle alpi italiane (già
definito di tipo himalayano) ed è il più
vasto di questa tipologia sul versante
meridionale delle Alpi. E’ caratterizzato da tre bacini di accumulo o di alimentazione. La lunga cresta che li delimita costituisce gran parte del classico
e frequentato itinerario alpinistico noto
come “traversata delle 13 cime”, dove
spiccano vette come il San Matteo e il
Tresero. Dai tre bacini di alimentazione si protendono altrettante lingue che,
dopo una ripida discesa con imponenti seraccate, confluiscono verso 2700
m formando un ampio pianoro. Da questo si origina una lingua unitaria che,
con una lunghezza di circa 1 km, scende
verso Nord, segnata dagli evidenti nastri
scuri delle morene mediane, sicuramente le più imponenti di tutti i ghiacciai
italiani. La fronte attuale si arresta al di
sopra del salto roccioso ben visibile dal
vicino Rifugio Branca. La zona frontale
rappresenta un’area estremamente dinamica dal punto di vista geomorfologico.
La sua evoluzione è rapida ed in fase di
accelerazione. Negli ultimi anni, in particolare a partire dal 2003, la fronte si è
ridotta di spessore e di lunghezza, si è
ricoperta di detrito, si sono formati crepacci circolari che, collassando, hanno
dato origine a laghi di contatto glaciale, sono emerse finestre rocciose che si
sono ampliate e hanno isolato lembi di
ghiacciaio. Anche le colate di collegamento con i bacini superiori si sono ridotte. E’ ipotizzabile che nell’arco di pochi decenni la lingua sarà separata dai
bacini di accumulo e si formeranno tre
ghiacciai di circo isolati. Tutta la zona
della fronte rappresenta uno dei migliori esempi di tutte le Alpi di transizione da un sistema glaciale a un sistema
paraglaciale, caratterizzato da un intenso rimaneggiamento dei detriti glaciali da parte delle acque di fusione. Nelle
aree circostanti la lingua si individuano i sistemi morenici deposti dalle fasi
di espansione precedenti, in particolare
quella del 1965-1985 con ben evidenti
nuclei di ghiaccio, che originano fenomeni di dissesto tipo colate di fango e
colate detritiche, sovrastata dall’impo-
A sinistra: seraccata
sul Ghiacciaio dei Forni
che chiude a valle il
bacino superiore del
ghiacciaio. A sinistra il
Palon de la Mare.
A destra: un’escursione
del XIX secolo
In basso: il Ghiacciaio
dei Forni visto dal
Monte Confinale
In basso a sinistra: la
lingua del ghiacciaio
nente morena laterale, spesso affilata,
della piccola età glaciale con forme di
erosione pseudocalanchive. Sul fondovalle sono evidenti anche lembi delle
morene deposte durante gli anni 20 del
XX secolo. Diffuse sono anche le forme
di erosione, come le rocce montonate.
La bibliografia, sin dai tempi di Stoppani, lo considera uno dei ghiacciai più
rappresentativi delle Alpi non solo italiane. In questi ultimi anni la frequentazione di studiosi di tutta Europa ne
ha fatto un sito di notevole interesse
scientifico dove osservare le evidenze
morfologiche fra le più chiare della deglaciazione in atto con i suoi vari processi (glaciali, torrentizi, gravitativi,
periglaciali).
Geositi della Provincia di Sondrio
133
Glossario
PREMESSA
Il presente glossario non può e non vuole essere esaustivo rispetto a tutta la terminologia tecnica adottata nel testo che
precede. Per numerosi termini si rimanda alla consultazione
dei seguenti testi, che offrono anche interessanti opportunità di approfondimento:
Mineralogia - petrografia
A.A.V.V., 1992, “I minerali - Natura in Lombardia”, Regione
Lombardia, Milano.
Mottana A., Crespi R., Liborio G., 1995, “Minerali e rocce”,
Mondadori, Milano.
Geologia strutturale - sedimentologia
Roberts J.L., 2002, “Guida alle strutture geologiche”, Franco
Muzzio Editore, Padova.
Geomorfologia
Strahler A.N. 1984, “Geografia fisica”, Piccin, Padova.
Geologia generale
Bosellini A., 1978, “Tettonica delle placche e geologia”, Bovolenta, Ferrara.
AMIGDALA TETTONICA “truciolo” tettonico a forma di mandorla, delimitato da almeno due superfici tettoniche
(es. faglie) grossolanamente parallele e a tratti coincidenti. Le
dimensioni possono variare dalla scala di osservazione microscopica (< 1 mm) a quella cartografica (> 1 km).
ANTIFORME piega che interessa strati rocciosi curvati
con convessità verso l’alto. Se le rocce esposte al nucleo della piega risultano più antiche di quelle lungo i fianchi, l’antiforme può dirsi anticlinale.
ARKOSE
CATACLASATO
DEFORMAZIONE TRASPOSITIVA deformazione
duttile associata ad un insistito piegamento di piani presistenti nella roccia (es. stratificazione); i fianchi delle pieghe
tendono ad assumere giacitura parallela e le cerniere delle pieghe stesse sono obliterate, tanto che diventa difficile riconoscere il piegamento.
interessato da cataclasi, che ha subi-
CROSTA OCEANICA è il basamento della maggior parte delle aree oceaniche . Si ritrova a partire dalla profondità di
circa 4.000 m sotto la superficie degli oceani.
to cataclasi (v.).
CIRCOLAZIONE IPOGEA dicesi genericamente della
circolazione idrica sotterranea, anche di tipo carsico.
movimenti di massa che interessano interi versanti rocciosi
per effetto della gravità; sono favoriti dalla presenza di superfici di discontinuità immergenti verso valle, che in genere
intersecano i versanti con inclinazioni medie minori di quelle del versante stesso.
ARKOSE IDEALE v. arkose
CLASTI nelle rocce sedimentarie, rappresentano frammenti di rocce preesistenti strappati dall’erosione e trasportati nei
luoghi di deposizione.
DETRITO DI FALDA accumulo di detriti di rocce al piede di pareti rocciose, la cui superficie (pendio di falda) ha una
pendenza tra i 26° e i 42°.
CLIVAGGIO modalità di fratturazione delle rocce che si
presenta come uno sciame di discontinuità planari e parallele,
lungo le quali può avvenire un limitato scorrimento in regime
fragile (clivaggio di frattura) o duttile (slaty cleavage, crenulation cleavage, scistosità).
DETRITO DI VERSANTE materiale detritico, eroso da
un versante roccioso per effetto degli agenti atmosferici e della gravità, e rideposto in accumuli di varia entità a distanza
normalmente modesta dal punto di origine. Può essere attivo
(es. ghiaione) o colonizzato (es. coltre di depositi boscata).
COGENETICO avente un’origine (genesi) comune.
DIAGENESI complesso di trasformazioni fisiche e chimiche che si verificano in un sedimento durante il seppellimento e che portano alla litificazione.
di contatto l’alterazione indotta sulle rocce incassanti da un
fuso magmatico intruso verso la superficie terrestre, caratterizzato da temperatura sensibilmente più alta in condizioni
di basse pressioni di confinamento. Le rocce incassanti subiscono in tal modo una serie di trasformazioni fisico-chimiche legate al nuovo gradiente termico instauratosi. In base
alle associazioni mineralogiche riscontrate nelle paragenesi
è possibile determinare la temperatura raggiunta nelle varie
aree a contorno. L’area interessata prende il nome di aureola di contatto.
AZIMUTH valore angolare, misurato in senso orario, tra il
CATACLASI azione di frantumazione delle rocce, generalmente per motivi tettonici in regime fragile.
CIRCHI forme di modellamento glaciale d’alta quota. Corrispondono a blande cavità di forma semicircolare, intagliate nei versanti a seguito dello stazionamento di una massa
di ghiaccio.
CORDONI MORENICI depositi glaciali che determinano morfologie lineari, allungate o arcuate.
CORONAMENTO DI FRANA
BEDIÉRES
rappresenta il limite,
di forma normalmente arcuata, tra il versante indisturbato a
monte della frana e la nicchia di distacco. Può essere interessato da evoluzione regressiva, con arretramento verso monte
della nicchia di frana e coinvolgimento di nuovo materiale posto a quote normalmente più alte del coronamento stesso.
CARBONATICHE
CORTEGGIO FILONIANO sciame di filoni, spesso
subparalleli o intersecantisi a basso angolo, che accompagna
un plutone o un vulcano.
Nord magnetico e una qualsiasi direzione proiettata in piano.
A titolo di esempio, ad una direzione Est esatta corrisponde
un azimuth di 90°; ad una direzione Sud-Ovest, sempre esatta, un azimuth di 225°.
dal francese: flussi d’acqua di fusione che interessano la regione frontale («regione di ablazione») di un
ghiacciaio.
sono rocce sedimentarie formate da
carbonati; comprendono per la maggior parte carbonato di
calcio (calcare) e carbonato di calcio e magnesio (dolomia).
CARSISMO si sviluppa principalmente a seguito della
dissoluzione chimica delle rocce calcaree. Il processo rientra nel grande insieme delle azioni di disgregazione compiute dagli agenti esogeni a spese delle rocce affioranti sulla
Geositi della Provincia di Sondrio
CROSTA CONTINENTALE è la parte di crosta terrestre posta al di sotto delle aree continentali e di alcune
aree coperte da acque, limitata inferiormente dalla Discontinuità di Mohorovičic’ e costituita da rocce di tipo granitico ricche in silice.
arenaria ricca in feldspati che deriva dalla disgregazione di rocce granitiche. Il principale costituente
dell’arkose è il quarzo, ma i feldspati devono essere presenti
in quantità superiori al 25%. Le arkose sono depositi presenti usualmente in ambienti continentali, di limitata estensione,
caratterizzati da una rapida erosione e da un limitato trasporto, che hanno impedito ai feldspati di essere eliminati dalla
degradazione meteorica prima del loro seppellimento. L’arkose
“ideale” (Dickinson, 1985) rispetta la proporzione canonica di
2 feldspati per 1 quarzo, tipica dei rapporti di abbondanza di
tali minerali in un comune granito.
AUREOLA DI CONTATTO si definisce metamorfismo
134
crosta terrestre. La corrosione avviene per opera delle acque meteoriche che, contenendo disciolta al loro interno una
certa quantità di anidride carbonica atmosferica, intaccano la roccia calcarea, asportando in particolare il carbonato di calcio. Con il passare del tempo l’acqua piovana, talora localmente acidificata dall’azione biologica, discioglie la
roccia, sia superficialmente che in profondità, infiltrandosi per vie di penetrazione spesso impostate su linee di frattura o di faglia.
(DEPOSITI) CRIOCONITICI
limitate concentrazioni
di sedimento fine (in prevalenza limo), con spessori di qualche mm, che si raccolgono sulla superficie di un ghiacciaio;
l’ablazione differenziale produce delle vaschette di lunghezza
non superiore ai 20-30 cm, riempite con acque di fusione, sul
cui fondo si vede raccolto il limo nerastro.
DEFORMAZIONI GRAVITATIVE DI VERSANTE
DISLOCAZIONE (TETTONICA) spostamento di una
parte della crosta terrestre o di una massa rocciosa per effetto di forze tettoniche.
DISPLUVIO LINGUOIDE elemento morfologico rilevato, che funge da spartiacque rispetto agli impluvi adiacenti, e
che assume un aspetto linguoide in quanto costituito da materiali sciolti e facilmente modellabili (es. accumulo di frana).
EFFUSIVO legato all’emissione in superficie di un magma,
sotto forma di lava. Contrario = intrusivo (v.).
ELLITTICITA’ definita come il rapporto tra la differenza tra
i semiassi maggiore e minore e il semiasse maggiore dell’ellisse.
(TORRENTI) EPIGLACIALI torrenti che scorrono sulla
superficie di un corpo glaciale.
Geositi della Provincia di Sondrio
135
EMBRICAZIONE orientazione preferenziale dei ciottoli all’interno di un deposito ghiaioso o sabbioso; i ciottoli
appiattiti tendono ad accavallarsi gli uni sugli altri nel verso della corrente, per cui l’immersione dei ciottoli rispetto
all’orizzontale risulta opposta al verso della corrente.
ESARAZIONE è l’insieme delle opere fisiche e meccaniche di erosione da parte di un ghiacciaio sulle rocce che sono
a contatto con esso.
FAGLIA
è una frattura (planare o curva) della roccia che
mostra evidenze di movimento relativo tra le due masse rocciose da essa divise. La superficie lungo cui si è verificata la
frattura si chiama superficie di faglia oppure piano di faglia.
Le rocce in prossimità di una faglia risultano spesso intensamente frantumate e si parla in questo caso di rocce di faglia
quali le cataclasiti o le miloniti.
FALESIA costa rocciosa con pareti a picco, alte e continue.
Si distinuguono falesie “morte” o inattive, separate dal mare
dalla spiaggia, e falesie “vive” o attive, battute direttamente
dal mare. L’aspetto delle falesie è il risultato una lunghissima
evoluzione durata migliaia di anni.
GLACIONEVATI corpi di ghiaccio di ridotte dimensioni,
non interessati da movimento.
GNEISS classe di rocce metamorfiche caratterizzate da una
struttura laminare, dovuta alla disposizione dei minerali in
sottili livelli paralleli. Le diverse varietà di gneiss prendono
nome dalla roccia originaria da cui si sono formati (come gli
gneiss granitici e gli gneiss dioritici), da un minerale di cui la
roccia è eccezionalmente ricca (gneiss a biotite o a orneblenda), o ancora dalle località di provenienza. In genere lo gneiss
è il risultato di un metamorfismo da carico: i cristalli della roccia, sottoposti a una forte pressione, si allineano in direzione perpendicolare a quella in cui agisce la forza di pressione,
conferendo alla formazione rocciosa il tipico aspetto laminare
(tessitura scistosa). Gli gneiss derivanti dal metamorfismo di
particolari rocce ignee e sedimentarie (prime fra tutte quelle
granitiche) sono caratterizzati da una struttura a bande evidenti, in cui il quarzo e il feldspato, che hanno un colore chiaro, si alternano livelli di minerali più scuri.
GRANULOMETRIA misura della dimensione delle particelle che costituiscono una roccia, in special modo sedimentaria.
IDIOMORFI dotati di forma propria; dicesi di minerali che
presentano l’aspetto cristallino loro caratteristico.
IDROTERMALE
processo legato all’azione di fluidi ad
alta temperatura. Comunemente si osserva come dai fluidi
idrotermali, ricchi in elementi rari compatibili con la fase fluida, si sviluppino minerali ben formati e spesso pregiati.
136
Geositi della Provincia di Sondrio
IMPLUVIO solco percorso dalle acque di scorrimento superficiale o in sublaveo.
INCASSANTE dicesi della roccia entro cui viene iniettato un magma o che circondano un serbatoio magmatico, un
plutone, un filone.
INTRUSIVO legato alla penetrazione e al successivo raffreddamento di un magma all’interno della crosta terrestre.
Contrario = effusivo (v.).
KLIPPE dal tedesco, lett. scoglio, falesia, faraglione. In geologia, indica un corpo roccioso di dimensioni cartografabili, sovrascorso su un substrato di diversa posizione stratigrafica e/o strutturale e rimasto isolato per motivi tettonici e/o
erosionali.
LINEAMENTO PERIADRIATICO (LINEA INSUBRICA) faglia regionale, attivatasi circa 25 milioni di anni
fa, che separa le Alpi in senso stretto dalle Alpi Meridionali.
LITOLOGIA insieme di caratteri chimici e fisici che definiscono una roccia nei suoi vari aspetti, cioè composizione chimica e mineralogica, struttura e tessitura.
LITOLOGIE CONGLOMERATICHE tipi rocciosi caratterizzati o dominati dalla presenza di ghiaie cementate.
LITOTIPO tipo di roccia formato da un certo numero di minerali e/o altri elementi che lo caratterizzano, presenti in determinate proporzioni.
LITOSTATICO dicesi di un carico P esercitato dalle rocce
soprastanti. Cresce all’aumentare della profondità h e/o della densità delle rocce , secondo la legge di Stevino P = gh,
dove g rappresenta l’accelerazione di gravità.
MANTELLO in geologia e in geofisica, è uno degli involucri concentrici in cui è suddivisa la Terra. Compreso tra la crosta e il nucleo, il mantello ha uno spessore di circa 2900 km,
rappresenta l’80% in volume dell’intero pianeta ed è costituito essenzialmente da rocce ultrafemiche di alta pressione ricche di ferro e di magnesio (tra cui la perovskite). La pressione al contatto mantello/nucleo esterno è pari a un milione e
mezzo di atmosfere (140 GPa).
MASSI AVELLI Sono monumenti funerari scavati a forma
di “vasca” nell’interno di massi erratici di grandi dimensioni.
Si trovano soprattutto nell’area di Como, Canton Ticino, Brianza, Valtellina, Grigioni e non vi è riscontro di questi ritrovamenti in altre aree d’Italia e d’Europa. Si ha notizia di circa 34
massi avelli censiti. Le loro caratteristiche più comuni sono:
la forma regolare, “a vasca da bagno”
una sorta di cuscino o gradino, su cui forse si posava la testa del defunto
il bordo arrotondato per favorire l’appoggio del coperchio e
evitare le infiltrazioni di acqua piovana
canaletti laterali per lo scorrimento delle acque piovane
una posizione spesso dominante il territorio, non di rado
orientata a mezzogiorno.
La datazione di questi monumenti è incerta perché nel corso
dei secoli questi sepolcri furono spogliati di tutte le eventuali
suppellettili custodite e i pochi ritrovamenti archeologici dei
dintorni non forniscono alcun elemento interpretativo. Si ipotizza che fossero espressione dei culti funerari di quelle popolazioni “barbariche” (Goti, Franchi) che a cavallo del crollo
dell’impero romano (Sec. V-VI d.C.) si stabilirono su quel territorio. Si trattava certamente di tombe di personaggi di rango
(capi guerrieri, sacerdoti) ma che non ci hanno lasciato nessun documento scritto.
METAMORFISMO processo di trasformazione mineralogica delle rocce, dovuto principalmente all’azione della pressione e della temperatura.
MONOLITOLOGICO
costituito da un unico tipo roc-
cioso.
del raffreddamento rapido determinato dal contatto improvviso con l’acqua di mare, l’ammasso roccioso appare suddiviso
in elementi globosi, lunghi fino al alcuni dm, che assomigliano appunto a cuscini.
PLACCA LITOSFERICA è una porzione di litosfera terrestre, ovvero una porzione dell’involucro più superficiale della terra costituito dalla crosta e dalla parte superiore e più rigida del mantello, caratterizzata da spessori variabili da circa
70 km per le placche di litosfera oceanica fino a 200 km per
le placche di litosfera continentale, i cui limiti sono riconoscibili in quanto caratterizzati da una intensa attività vulcanica e sismica.
È possibile, infatti, ricostruire la geometria delle principali
placche litosferiche osservando le distribuzioni dei principali
terremoti ed eruzioni nel mondo.
PLUTONE
corpi rocciosi di dimensioni e forma estremamente varie, costituiti da rocce ignee intruse nella crosta terrestre e solidificatesi in profondità.
PROCESSO METASOMATICO con questo nome si
intendono descrivere i processi di alterazione chimica delle
rocce ad opera di flussi idrotermali (v.) o di altra natura. I processi metasomatici veicolati da flussi idrotermali possono avere origine da sorgenti ignee o metamorfiche.
MONUMENTO NATURALE (L.R. 86/83) elemento di rilevanza ambientale e paesaggistica, con connotazione
prevalentemente abiotica. Si deve segnalare il carattere fortemente regionale dell’istituto del monumento naturale, che non
trova riscontro nella normativa nazionale e comunitaria ma,
d’altra parte, entra a pieno titolo nella categoria delle aree
protette lombarde e negli strumenti di pianificazione a scala
regionale, provinciale e comunale, come anche nei Piani Territoriali di Coordinamento di Parco.
PSEUDOCALANCHIVO detto dell’aspetto di ammassi rocciosi denudati e incisi da numerosi solchi disposti lungo la massima pendenza, che simulano l’aspetto dei calanchi
dell’Appennino, ma che possono essere incise anche in rocce
coerenti, intensamente fratturate.
PAESAGGIO CALANCHIVO
RADIOCARBONIO
paesaggio dominato
dalla presenza di calanchi, forme di denudamento erosionale dei versanti molto diffuse in Appennino. Interessano per lo
più versanti a substrato argilloso.
PALEOBOTANICO riferito allo studio della vegetazione
del passato attraverso i fossili.
PELITE (dal greco = fango, argilla) è un termine usato in
geologia per definire una roccia derivata da un originario sedimento fangoso avente granulometria minore di 1/16 di mm,
composto prevalentemente di minerali del gruppo delle argille.
PIANA ABISSALE parte pianeggiante del fondale oceanico, al largo della scarpata e del rialzo continentale. Si attesta su una profondità media di circa 4000 m sotto il livello del mare.
PILLOW dall’inglese, lett. cuscino, guanciale. In vulcanologia, indica una struttura naturale che interessa le lave, specialmente basaltiche, effuse in ambiente subacqueo. A causa
isotopo radioattivo del carbonio,
con peso nucleare = 14 (a differenza dei due isotopi stabili, 12C e 13C). Essendo instabile, il 14C decade con un tempo di
dimezzamento pari a 5730 anni circa; poiché il suo assorbimento nei tessuti organici cessa alla morte dell’organismo assimilatore, l’inizio del decadimento coincide con la cessazione dell’attività metabolica. Il 14C consente di datare reperti di
età massima attorno ai 60 000 anni fa.
RISERVA NATURALE (L.R. 86/83) area naturale individuata ai fini della tutela della biodiversità, nell’esperienza
lombarda può presentare una forte caratterizzazione geologica-geomorfologica.
ROCCE BRECCIATE rocce suddivise in elementi grossolani, spesso angolosi, che conferiscono loro un elevato grado di permeabilità.
ROCCE MONTONATE balze rocciose levigate e striate dall’azione del ghiaccio; possono essere associate in gruppi e sono comunemente sagomate secondo la direzione di movimento del ghiacciaio.
Geositi della Provincia di Sondrio
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Crediti
Coordinamento generale:
Referenze Fotografiche©:
Regione Lombardia
Direzione Generale Territorio e Urbanistica
Ing. Mario Nova
Dr. Roberto Laffi
Grazia Aldovini:
pp. 100, 101, 105 (sinistra e basso destra)
TETTONICA PELLICOLARE processo deformativo che
interessa i primi km della crosta superiore, sovente costituita
da rocce sedimentarie, in regime prevalentemente fragile.
IREALP
Arch. Raffaele Raja
Enrico Bonacina:
p. 49 (basso destra)
Coordinamento scientifico:
TETTONICO relativo alla tettonica, relativo alla struttura, alla deformazione e alla dislocazione della crosta terrestre
Regione Lombardia
Direzione Generale Territorio e Urbanistica
Dr.ssa Stefania Paoletti
Dr. Enrico Sciesa
Dr. Dario Sciunnach
Tiziano Gandola:
p. 125 (alto)
SACCAROIDE detto di alcuni calcari e dolomie ricristal-
TAXON in paleontologia un taxon (pl. taxa), o unità tas-
lizzati, che hanno un aspetto granuloso e ruvido simile allo
zucchero in grani.
sonomica, è un raggruppamento di organismi reali, distinguibili morfologicamente e geneticamente da altri e riconoscibili
come unità sistematica, posizionata all’interno della struttura
gerarchica della classificazione linneana.
SELLA
elemento morfologico che si localizza al raccordo
tra due rilievi.
SILTOSO contenente una frazione siginificativa di silt, ossia di limo (sedimento di granulometria compresa tra 1/16 e
1/256 di mm).
SUBDUZIONE
è un fenomeno geologico che ha un ruolo chiave nella teoria della tettonica delle placche. Con questo termine si intende lo scorrimento di una placca litosferica sotto un’altra placca ed il suo conseguente trascinamento
in profondità nel mantello, connesso alla produzione di nuova
crosta oceanica nelle dorsali medio-oceaniche, la quale tenderebbe ad aumentare la superficie complessiva del pianeta;
questo fenomeno avviene lungo i margini convergenti delle
placche, ove la crosta oceanica viene quindi distrutta per subduzione (concetto di invariabilità del raggio terrestre).
TABULAE (O FUNGHI) DI GHIACCIO costituiti
da una lastra di roccia sostenuta da un gambo di ghiacciaio. Il
blocco rallenta il processo di fusione del ghiaccio sottostante e, col tempo, resta sollevato rispetto al livello del ghiaccio non protetto.
UNITA’ LITOSTRATIGRAFICA insieme di rocce con
caratteristiche litologiche proprie ben individuabili e distinte
rispetto ad altre unità rocciose.
VACUOLARE relativo alla presenza di vacuoli, cioè piccole cavità che possono trovarsi all’interno di una roccia.
VALLE SOSPESA si dice così una valle il cui sbocco presenta un salto terminale notevolmente verticalizzato.
VEDRETTA
piccolo ghiacciaio situato su un ripido pendio o in una conca.
Coordinamento editoriale:
Regione Lombardia
Direzione Generale Territorio e Urbanistica
Dr. Andrea Piccin
Dr. Dario Sciunnach
IREALP
Dr.ssa Claudia Del Barba
Contributi scientifici:
Regione Lombardia
Direzione Generale Territorio e Urbanistica
Dr. Dario Sciunnach (schede 1, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 15, 16,
18, 19, 22, 23, 25, 26, 27, 29, 30, 34, 35, 37, 39, 40, 41,
42, 43)
Dr.ssa Stefania Paoletti (schede 2, 5, 6, 17, 24, 28)
Arch. Grazia Aldovini (schede 31, 33)
Dr. Enrico Sciesa (schede 3, 4)
Dr. Dario Fossati - Arch. Anna Rossi (raccordo con la componente paesaggistica)
Università degli Studi di Milano
Dip.to di Scienze della Terra “A. Desio”
Dr. Guido Mazzoleni (schede 1, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13)
Dr.ssa Guglielmina Diolaiuti (scheda 38)
Prof. Claudio Smiraglia (scheda 44)
Provincia di Sondrio - Servizio Pianificazione Territoriale
Dr.ssa Susanna Lauzi (schede 21, 36)
Museo Civico di Storia Naturale - Morbegno
Dr. Fabio Penati (scheda 14)
Università di Milano-Bicocca
Dip.to di Scienze Geologiche e Geotecnologie
Dr. Giovanni Vezzoli (scheda 16)
ERSAF
Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e alle Foreste
Dr.ssa Vanna Maria Sale (scheda 20)
Roberto Appiani:
pp. 44 (basso), 49 (centro destra)
Hans Kerp:
p. 57 (basso destra)
Riccardo Marchini:
pp. 89, 96, 102, 103 (alto e destra), 116, 122, 123, 128, 129
Guido Mazzoleni:
pp. 44 (alto), 49(alto)
Lodovico Mottarella:
copertina, pp. 2, 3, 4, 5, 6, 9, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 28,
30, 34, 37 (sinistra e alto), 38, 39, 42, 45, 46, 48, 52, 53,
54 (sopra), 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61 (basso destra), 62, 63,
65, 67 (basso sinistra), 68, 70, 71 (basso), 72, 76, 78, 80,
81 (basso e destra), 82, 83, 84, 85, 86, 88, 90, 91, 92, 93,
94, 95 (destra), 104 (sinistra), 106, 107, 108, 109, 115, 118,
119, 120, 121 (alto e sinistra), 125 (basso), 126, 127, 130,
131 (due sopra), 132
Stefania Paoletti:
pp. 31 (basso), 67 (alto), 77, 81 (sinistra), 92 (basso sinistra), 95 (basso destra)
Cesare Saibene:
p. 131 (basso)
Vanna Maria Sale:
p. 73 (centrali)
Dario Sciunnach:
pp. 27, 29, 32, 33, 35, 36, 43 (alto destra e basso sinistra),
47 (basso), 50, 51, 61 (basso sinistra), 64, 69 (alto destra),
71 (alto destra), 75 (alto), 79 (basso destra), 85 (alto destra),
87 (destra), 97 (basso), 98, 99, 105 (alto), 111
Wallraf-Richartz Museum, Köln:
p. 69
Le ortofotografie riprodotte (schede 20, 21, 31, 32, 35) sono
su licenza TerraItaly™, marchio di proprietà del Gruppo Compagnia Generale Ripreseaeree (CGR, Parma)
Progetto grafico:
MOTTARELLA Studio Grafico
www.mottarella.com
CNR - Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali
Sez. di Milano
Dr.ssa Roberta Pini (scheda 32)
138
Geositi della Provincia di Sondrio
Geositi della Provincia di Sondrio
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