I Geositi della Provincia di Sondrio I Geositi della Provincia di Sondrio a cura di Livello di interesse locale regionale nazionale europeo mondiale Accessibilità facile medio difficile Valore estetico basso medio elevato Rischio compromissione naturale antropico I Geositi della Provincia di Sondrio I Geositi della Provincia di Sondrio Indice 2 Geositi della Provincia di Sondrio Premessa 4 Il territorio della Provincia di Sondrio 6 Inquadramento geografico 6 Geomorfologia 6 Geologia 9 I geositi della Provincia di Sondrio 19 Dalle “singolarità geologiche” ai “geositi”: il percorso della normativa lombarda, italiana e comunitaria 19 La gestione delle aree protette nel territorio di Sondrio 19 Il censimento geositi in ambito “Conservazione del Patrimonio Geologico Italiano” 19 I geositi nel Piano Paesaggistico Regionale della Lombardia 20 I geositi nell’ambito del PTCP di Sondrio 20 Esperienze di geoconservazione realizzate o avviate da altri enti sul territorio di Sondrio 21 Bibliografia 21 La carta geologica della Provincia di Sondrio 22 I Geositi della Provincia di Sondrio 1 - Pian dei Cavalli e Alpe Gusone 2 - Caürga del Torrente Rabbiosa 3 - Paleofrana di Cimaganda 4 - Caürga di Chiavenna 5 - Marmitte dei Giganti 6 - Cascate dell’Acquafraggia 7 - Frana di Piuro 8 - Lotteno 9 - Solco della Val Piana 10 - Cave di Riva 11 - San Giorgio 12 - Cava di Fornaci di Nuova Olonio 13 - Pian di Spagna 14 - Lago di Trona 15 - Conoide del Tartano 16 - Val di Mello e Sasso di Remenno 17 - Piramidi di Postalesio 18 - Dossi di Triangia 19 - Sasso Bianco 20 - Torbiera dell’Alpe Palù 21 - Ruinon del Curlo 22 - Parco geologico di Chiareggio 23 - Val Sissone 24 26 30 32 34 36 38 40 42 44 46 48 50 52 56 60 62 66 68 70 72 74 76 78 24 - Sentiero glaciologico del Ventina 25 - Campo Franscia e Val Brutta 26 - Valle dello Scerscen 27 - Vedretta di Scerscen Inferiore 28 - Sentiero glaciologico del Fellaria 29 - Forno fusore nella Val Venina 30 - Conglomerato di Sazzo 31 - Il “punt de sass” di Villa di Tirano 32 - Torbiera di Pian Gembro 33 - Madonna di Tirano 34 - Rupe Magna e Dosso Giroldo 35 - Cava Maffei 36 - Frana della Val Pola 37 - Paluaccio di Oga 38 - Val Viola Bormina 39 - Passo del Foscagno 40 - Passo d’Eira 41 - Cresta di Reit 42 - Piano delle Platigliole 43 - Vedretta della Miniera 44 - Ghiacciaio dei Forni 82 86 88 90 92 96 98 100 102 104 106 110 112 116 118 122 124 126 128 130 132 Glossario Crediti 134 139 Geositi della Provincia di Sondrio 3 Premessa 4 Geositi della Provincia di Sondrio La Lombardia è stata la prima regione italiana a dotarsi, ben 26 ri”, è stata comunque oggetto di iniziative di valorizzazione, tica come pochi altri in Lombardia, sul quale si è concentra- anni fa, di un elenco di aree naturali da tutelare per i valori flo- numerose e significative nonostante la loro frammentarietà: in ta per un ventennio, a partire dalla grande alluvione del 1987, ristici, faunistici e geologici che le caratterizzano. Quell’espe- proposito si possono ricordare, tra le molte, le esperienze del l’attività di indagine e di intervento di Regione Lombardia. Al rienza pionieristica si è poi tradotta in una ricca e prolungata parco geologico di Chiareggio (SO), di quello paleontologico di là degli aspetti di rigore scientifico e di corretta applicazio- attività di tutela e valorizzazione delle aree protette lombarde, di Cene (BG) e dei parchi minerari dei Piani Resinelli (LC), di ne della normativa, che necessariamente sottendono un’attivi- anche in applicazione della Legge Regionale 86 del 1983. Nel Schilpario e della Val Trompia (BS). I geositi della Provincia tà di censimento come quella qui proposta, è utile sottolinea- frattempo, la componente geologica del territorio (c.d. abiotica) di Pavia sono stati censiti e descritti in una recente pubblica- re come la geologia possa rivelarsi una chiave di lettura forte riceveva una sempre maggiore attenzione da parte della comuni- zione curata dall’Amministrazione Provinciale, mentre i geosi- per la comprensione di un territorio e quindi per la sua valo- tà scientifica e delle amministrazioni locali, con la crescente af- ti dell’Insubria saranno oggetto di valorizzazione nel quadro rizzazione, culturale e turistica. fermazione del significato e del valore della “geodiversità”, per- di un progetto europeo Interreg guidato dalla Comunità Mon- Tra i 42 geositi proposti, ritengo emblematici da questo pun- cepita come una qualità che supporta e integra la biodiversità tana Valsassina. Inoltre, proprio questo primo scorcio di 2008 to di vista i casi delle cave di pietra ollare, che da secoli con- all’interno degli ecosistemi. In concreto, la tutela della compo- ha registrato una tappa fondamentale nel percorso di valoriz- traddistinguono in positivo un settore significativo dell’eco- nente geologica del territorio si realizza attraverso l’individua- zazione della geodiversità, con l’approvazione da parte della nomia della provincia, o il caso della Val di Mello, dove la zione puntuale di una trama di elementi (“geositi”) che emer- Giunta Regionale dell’aggiornamento del Piano Paesaggistico singolarità geologica locale - legata all’onnipresenza del gra- gono per rarità, rappresentatività o esemplarità didattica e che Regionale – sezione specifica della proposta di Piano Territo- nito - ha favorito, a partire dagli anni ’70, l’assidua frequen- testimoniano, con una fisicità accompagnata da forti elemen- riale Regionale – che aggiorna e integra il Piano Territoriale tazione da parte di una comunità, quella dei “sassisti”, che si ti di conoscenza scientifica, le tappe nell’evoluzione geologica, Paesistico Regionale del 2001. La proposta approvata introdu- è spinta a ridefinire la toponomastica stessa della valle, in un climatica e biologica di un territorio; ciò è particolarmente evi- ce i geositi, censendone ben 264 sull’intero territorio regiona- atto di gioiosa riappropriazione dei luoghi che di rado è con- dente nel territorio lombardo, che è ricco di testimonianze degli le e assoggettandoli a una normativa specifica. cessa all’uomo moderno. ultimi 300 milioni d’anni di storia del nostro pianeta. Questa pubblicazione, realizzata in collaborazione con IREALP, Tale ricchezza di testimonianze geologiche, spesso poco per- rappresenta invece un compendio dei geositi della Provincia di cepita al di fuori della ristretta cerchia degli “addetti ai lavo- Sondrio, territorio meritevole di attenzione per questa tema- L’Assessore all’Urbanistica e Territorio Regione Lombardia Geositi della Provincia di Sondrio 5 Il territorio della Provincia di Sondrio Inquadramento geografico 476 d.C. Età Romana Età del ferro Età del bronzo Età del rame Neolitico Mesolitico Paleolitico P o s t g l a c i a l e Medioevo Piccola Età Glaciale 1 Optimum climatico 10.3 125 Tardiglaciale (Dryas I-III) 10 16.5 Ultimo Massimo Glaciale (Würm Auctorum) 75 Tirreniano o Eemiano 100 Glaciazioni del Pleistocene Inferiore e Medio (Günz, Mindel, Riss Auctorum) 780 PLEIST INF. Geositi della Provincia di Sondrio 1492 d.C. PLEISTOCENE MEDIO 6 Età Moderna 1000 1810 PASSATO GEOLOGICO Sulla destra il pizzo Bernina, la cima più alta della Provincia di Sondrio. II territorio tipicamente alpino della provincia di Sondrio presenta una morfologia giovanile, legata essenzialmente all'azione di modellamento esercitata dalle acque e dai ghiacciai, che hanno agito con tempi e modalità diverse. Tuttavia le principali incisioni vallive (valle dell'Adda, valle della Mera) sono probabilmente di età relativamente antica, oltre i 6 milioni d’anni (Ma), e fortemente incise dalle acque superficiali durante il Messiniano; a quel tempo, a causa del drastico abbassamento del livello marino nell’intero bacino del Mediterraneo, dovuto alla temporanea chiusura dello stretto di Gibilterra, i fiumi incisero profondamente le valli alpine, i cui fondovalle vennero a trovarsi ben al di sotto del precedente livello del mare (ricordiamo che, prima della crisi di salinità messiniana, il Mediterraneo ricopriva per intero l'attuale pianura Padana). Questi antichi processi sono testimoniati dai laghi pedemontani, come il Lario, il cui fondale raggiunge i 211 m sotto il livello del mare. La successiva ingressione marina del Pliocene 0.1 PREISTORIA Geomorfologia (5 Ma) ha "allagato" le valli principali, trasformandole in fiordi, che andavano man mano colmandosi per apporto di detriti generati dalla progressiva erosione della catena montuosa. Durante le glaciazioni quaternarie (da 870.000 fino a 10.000 anni fa) la regione alpina fu ricoperta da una spessa coltre di ghiacci e ampie lingue glaciali hanno modellato i versanti delle valli; il ghiacciaio dell'Adda è ridisceso più volte fino all’alta pianura (Brianza), erodendo e levigando le valli e trascinando con sè una gran quantità di detriti. Inoltre la decompressione sviluppatasi sui versanti in seguito al ritiro dei ghiacci dell'ultima glaciazione (Würm), ha provocato fenomeni di rilascio nei pendii, con franamenti e innesco di deformazioni gravita- PLEISTOCENE SUP. quello orobico, che presenta anche una costante esposizione a Nord. La Valchiavenna, a causa della sua orientazione quasi perpendicolare alla Valtellina, presenta un clima più mite ma più piovoso di quello valtellinese. Le condizioni climatiche e le grandi differenze di quota tra fondovalle e cime più elevate hanno chiaramente influito sullo sviluppo della vegetazione; il paesaggio valtellinese e valchiavennasco è dominato fino a quote attorno ai 600-700 m s.l.m. da boschi di latifoglie; tra queste il castagno, spesso prevalente, si spinge fino a circa 1000 m s.l.m.. A quote più elevate incominciano a comparire le conifere che diventano predominanti a partire dai 1400 m s.l.m. e si spingono, con esemplari isolati, fino ai 2300 m s.l.m.. Sui fondovalle e sui versanti meno acclivi, l'antropizzazione ha influito notevolmente sulla vegetazione, con ampi disboscamenti per ottenere prati e colture, nonché con terrazzamenti per la coltivazione della vite o di piante da frutta. Anche il netto incremento di popolazione a partire dal secolo scorso ha influito sull'equilibrio dell'ambiente: in passato i centri abitati erano situati prevalentemente sui terrazzi naturali dei versanti, più salubri del fondovalle e al sicuro da alluvioni; le bonifiche e soprattutto lo sviluppo delle attività industriali hanno portato alla rapida colonizzazione del fondovalle e soprattutto dei conoidi alluvionali, su cui oggi sorgono gran parte dei maggiori centri abitati della provincia. Attualmente il turismo è la maggior attività economica della provincia, anche se non ha del tutto cancellato l'antica vocazione agricola né ha frenato il recente sviluppo industriale; l'attività turistica ha portato ad un maggior sfruttamento, talvolta anche molto intenso, del territorio, ma si è tuttavia ben inserita nel tessuto umano e ambientale della provincia. OLOCENE te vallata, la Valtellina, nella sua porzione inferiore e centrale, è ad esempio orientata Est-Ovest, così come altre valli minori: questa orientazione è chiaramente legata a fattori tettonici, che hanno ampiamente agito in questa regione negli ultimi 25 milioni di anni. Anche l'orientazione della Valchiavenna risente della strutturazione recente del substrato che ha guidato l'azione erosiva degli agenti esogeni. La parte medio-alta della Valtellina si sviluppa invece dapprima in direzione NE-SO e quindi Nord-Sud, con varie diramazioni laterali; qui è stata preponderante l'azione erosiva dei ghiacciai, che si sono mossi su un substrato dalla struttura molto complessa. I più recenti eventi geologici hanno colmato di materiale detritico gli ampi fondovalle, sia della bassa Valtellina che della bassa Valchiavenna, che un tempo si situavano ben al di sotto del livello del mare e che oggi si ritrovano a quote comprese tra i 200 ed i 300 m s.l.m. L'attuale modellamento del territorio è legato alle condizioni climatiche. II clima della Provincia di Sondrio non è molto uniforme, a causa degli elevati dislivelli presenti; buona parte della Valtellina mostra un clima di tipo continentale, con piovosità media nella parte alta della valle, che diviene man mano più accentuata scendendo nella bassa valle, verso il Lario. Differenze climatiche si notano anche tra i vari versanti: ad esempio il versante retico è più mite e meno piovoso di STORIA La Provincia di Sondrio si situa nel Nord della Lombardia, interamente in area alpina, e copre una superficie di 3212 km2. II territorio della provincia si sviluppa lungo il corso superiore dell'Adda e dei suoi principali affluenti, che si addentrano profondamente nelle valli alpine incise nei massicci montuosi delle Alpi Retiche e delle Prealpi Orobiche; solo l'estrema porzione occidentale della provincia (versante destro della Valchiavenna) si situa nelle Alpi Lepontine. Lungo il crinale alpino, da Ovest verso Est, compaiono i massicci del Tambò (3275 m), del Suretta (3027) - Emet (3210) - Stella (3163), del Disgrazia (3678), del Bernina - Palù (con la massima quota della regione, 4050 m), dello Scalino (3323) - Canciano (3103), della Cima Redasco (3139) - Cima Piazzi (3439) e dell'Ortles (3905) - Cevedale (3764). La parte sud-occidentale della provincia è invece limitata dalle Prealpi Orobiche, le cui principali vette montuose (Massiccio Coca-Redorta-Scais) superano di poco i 3000 m. II territorio è quindi in gran parte montuoso, e ben 2255 km2 , cioè il 67% circa della superficie della provincia, è situato a quote superiori ai 1500 m s.l.m. Lo sviluppo delle principali valli della Provincia di Sondrio è in buona parte legato alla struttura ed alla complessa evoluzione tettonica del substrato roccioso, inciso poi da ghiacciai, torrenti e fiumi durante il Quaternario. La più importan- PLIOCENE 5200 MIOCENE Crisi di salinità messiniana 10000 Geositi della Provincia di Sondrio 7 tive profonde, evidenziate da contropendenze e trincee, non rare soprattutto nella media e alta Valtellina, in Val Bregaglia e Val S. Giacomo. II sistema idrografico della provincia di Sondrio è condizionato dalla presenza di due grandi bacini, quello dell'Adda (Valtellina) e quello della Mera (Valchiavenna), entrambi confluenti nell'alto Lario; fanno eccezione i piccoli bacini dello Spöl (nel Livignasco), tributario dell'Inn, e quello della Val di Lei (Madesimo), tributario del Reno. L'Adda ha un bacino di 2646 km2, la Mera di 762 km2. L'escavazione fluviale delle valli principali ha seguito in parte lineamenti strutturali ben precisi; da Tirano all'alto Lario, la Valtellina segue, nella sua porzione inferiore, l'importante Linea Insubrica, orientata Est-Ovest, mentre la Valchiavenna mostra un allineamento circa NO-SE, guidato da strutture recenti con la medesima direzione. Le valli laterali, tra cui si segnalano la Val Masino, la Valmalenco e la Val Grosina, e l'alta Valtellina, in cui l'attività dei ghiacciai quaternari ha avuto maggior intensità, hanno una morfologia maggiormente complessa, non più guidata, se non marginalmente, dalle strutture del substrato roccioso, ma fortemente condizionata dall'erosione glaciale e in seguito fluviale; fanno eccezione alcune vallate minori orientate in direzione Est-Ovest oppure in direzione NO-SE, cui si legano i maggiori sistemi di fratture della regione. Più lineare è la situazione del versante orobico, in cui le valli, e quindi l'idrografia, presentano di norma un’orientazione perpendicolare al fondovalle valtellinese. II modellamento glaciale è ben evidente in tutto il territorio provinciale; circhi e terrazzi glaciali, rocce montonate, con- 8 Geositi della Provincia di Sondrio che e soglie glaciali, valli sospese, superfici di esarazione e valli dalla caratteristica forma ad U, testimoniano l'importante azione erosiva dei ghiacciai. I resti del passaggio dei ghiacciai durante le loro fasi di espansione, come il loro ultimo progressivo ritiro, sono riconoscibili nei depositi e nei cordoni morenici, di varia età, nei depositi dei diversi terrazzi di erosione glaciale, posti a vari livelli sui versanti, e nei massi erratici, talora giganteschi, che compaiono in numerose località. Estesi sono anche i depositi fluvio-glaciali, generati dal trascinamento da parte delle acque delle grandi quantità di detrito generate dall'azione glaciale. Nelle porzioni inferiori delle valli, salvo alcune soglie glaciali, non di rado profondamente incise, la morfologia glaciale è in gran parte mascherata dalla successiva azione erosiva delle acque superficiali. Attualmente restano in tutta la provincia circa 170 ghiacciai, situati soprattutto sui versanti rivolti a Nord, comunque in fase di forte ritiro. Al di sotto o presso questi ghiacciai, non di rado compaiono depositi detritici di forma allungata, attraversati da varie ondulazioni parallele al pendio: sono i cosiddetti rock glaciers. Si tratta di detriti parzialmente o totalmente cementati da ghiaccio, che subiscono lenti movimenti di scivolamento a valle che a loro volta generano la particolare struttura ondulata. Anche la attività delle valanghe crea forme evidenti, come accumuli a forma di cono, alla base dei canaloni, in cui si sovrappongono spesso anche l'azione della gravità o delle acque. Attualmente l'erosione torrentizia è preponderante in quasi tutta la provincia; essa ha interessato e spesso reinciso le precedenti morfologie glaciali. Nelle soglie glaciali i torrenti si sono aperti la strada incidendo spesso profonde forre, non di rado guidate dai sistemi di frattura del substrato roccioso. Nelle parti basse delle valli invece la distribuzione dei corsi d'acqua è per lo più legata alla struttura tettonica del substrato; in alcuni casi si notano brusche deviazioni dell'asta torrentizia e si notano anche paleoalvei oramai inutilizzati dalle acque; questi fenomeni sono legati all'attività tettonica recente (movimenti neotettonici) e, talora, allo sviluppo di grandi frane. Meno comuni sono i casi di cattura fluviale, in genere legati anch'essi a movimenti neotettonici, come lungo il fiume Serio o l'alto corso della Mera (o Maira). L'azione delle acque, localmente piuttosto intensa, provoca erosioni sia di sponda che di fondo, che possono intaccare in misura considerevole i versanti, innescando franamenti o mobilizzazioni di zone interessate da deformazioni gravitative profonde o di paleofrane; non rari sono anche i fenomeni di erosione accelerata, che intaccano i depositi di versante o glaciali, oppure le zone dove il substrato roccioso è fortemente cataclasato. Per molte valli minori, che scendono fino alle quota del fondovalle, la morfologia è quindi oramai mutata da una forma “a U”, tipica dell'erosione glaciale, ad un profilo “a V”, dovuto all'incisione dei torrenti; al loro sbocco sul fondovalle si sono formati ampi conoidi alluvionali, come quelli che si notano sui fondovalle della Valtellina e della Valle della Mera, che sono testimoni di questa evoluzione morfologica, talora molto rapida. La diversa resistenza all'erosione del substrato e le differenti modalità di trascinamento a valle del materiale eroso, fanno sì che spesso a piccole e profonde valli corrispondano estesi conoidi (ad esempio a Ponte in Valtellina), mentre a valli più ampie e "ramificate" corrispondono conoidi spesso solo accennati (Val Grosina, etc.). I fondovalle sono occupati da imponenti quantità di materiale alluvionale, con ampi terrazzi e piane alluvionali ben sviluppate; fino ad alcuni decenni fa, l'Adda e la Mera disegnavano ampi meandri entro questi depositi e presentavano ancora intatte le loro aree di esondazione, poi in gran parte cancellate dai lavori di regimazione fluviale. Lo sfruttamento delle acque per la produzione di energia elettrica, con la costruzione di numerosi bacini artificiali, ha spesso causato importanti variazioni nella portata di numerosi torrenti e fiumi; assieme alla regimazione dei fiumi, gli interventi dell'uomo sulle acque hanno portato talora a brusche variazioni nella profondità degli acquiferi e a problemi di stabilità dei terreni sovrastanti. Geologia La struttura geologica della provincia di Sondrio è strettamente legata agli eventi che hanno portato alla formazione della catena alpina. Le Alpi hanno una lunga storia, iniziata circa 280 milioni di anni fa, quando il grande continente della Pangea (che raggruppava l'Europa, l'Africa e le Americhe) iniziò la Tipico esempio di valle “a U”, la Val di Mello. Un conoide intensamente urbanizzato, quello della valle del Bitto su cui sorge Morbegno. Geositi della Provincia di Sondrio 9 sua lenta frantumazione. Tra Europa e Africa iniziò un assottigliamento della crosta continentale che fu la causa dell'ingressione marina all'inizio del periodo Triassico (circa 250 milioni di anni fa). La trazione continua della crosta causò in seguito una rottura della stessa, con eruzione di lave che formarono una nuova crosta oceanica. Questa rottura portò alla individuazione di due nuovi continenti, o più precisamente di due distinte placche litosferiche: la paleoeuropa, a Nord, e la paleoafrica, a sud, separate dall'Oceano della Tetide Alpina che raggiunse, nella sua massima espansione, oltre 1000 km di ampiezza. A partire da circa 120 milioni di anni fa i movimenti divergenti delle due placche si invertirono, sicché paleoeuropa e paleoafrica cominciarono a convergere; la crosta oceanica della Tetide Alpina subì così un processo di subduzione al di sotto della placca paleoafricana, sul cui margine cominciò a svilupparsi una catena montuosa (detta catena eoalpina) generata dall'accatastarsi di scaglie di crosta oceanica e continentale. I moti di convergenza delle placche proseguirono fino alla completa subduzione della crosta oceanica e quindi alla collisione tra la catena eo-alpina ed il margine continentale paleoeuropeo (circa 40-50 milioni di anni fa). La collisione provocò imponenti fenomeni traslativi entro le masse rocciose; si formarono così le principali strutture delle unità che costituiscono l'attuale catena alpina: le falde di ricoprimento. La sovrapposizione delle falde di ricoprimento è l'elemento principale della struttura della catena alpina; nella Alpi Centrali le falde appartengono a due domini strutturali: il Pennidico e l'Austroalpino. Le falde pennidiche rappresentano la porzione più deformata della catena eo-alpina e corrispondono a settori completamente oceanizzati della Tetide Alpina, in una posizione intermedia tra paleoeuropa e paleoafrica. Le falde austroalpine rappresentano invece la parte più esterna dell’antico margine continentale paleoafricano. L'impilamento di queste falde ha causato un ispessimento della crosta che ha provocato nelle rocce, sottoposte a forte carico litostatico, profonde trasformazioni (metamorfismo); questo processo di trasformazione di una roccia comporta modifiche sia a livello strutturale che mineralogico. Tipiche delle rocce metamorfiche sono il netto allineamento dei minerali causato dalle pressioni orientate generate dal carico litostatico e dai movimenti traslativi delle falde. Dopo il metamorfismo, avvenuto tra 45 e 30 milioni di anni fa, e l'intrusione di plutoni granitici (30-35 milioni di anni), la parte assiale della catena ha subito un rapido sollevamento (valutato in 10-20 km) ed è retroscorsa sulle unità presenti più a sud (dominio Sudalpino) lungo la Linea Insubrica. Movimenti traslativi lungo zone di frattura a carattere fragile sono le attività tettoniche più recenti segnalate nelle Alpi Centrali; alcune di queste linee di frattura sono attive ancor oggi, come ad esempio la Linea dell'Engadina. 10 Geositi della Provincia di Sondrio Nel territorio della provincia di Sondrio sono rappresentati tre domini alpini (fig. 1); le falde Pennidiche occupano la porzione più occidentale (dalla Valmalenco alla Valchiavenna), mentre quelle Austroalpine ricoprono l'intera Valtellina, a nord della Linea Insubrica che attraversa la bassa valle da Nuova Olonio a Stazzona; il versante orobico fa invece parte del Sudalpino. Le falde Pennidiche affiorano estesamente in Valchiavenna e mostrano una strutturazione piuttosto complessa, soprattutto nella bassa valle della Mera. A Nord, la Val S. Giacomo è occupata dalla falda Tambò e dalla soprastante falda Suretta; sono entrambe costituite da grossi piastroni di gneiss, spessi circa 4-5 km, che immergono debolmente verso ENE. Le litologie principali sono costituite da paragneiss e da micascisti, spesso a granato, talora con staurolite e cianite, in cui si intercalano livelli di anfiboliti e di ortogneiss. Nella Falda Suretta è compreso anche un corpo di vulcaniti acide (da metarioliti fino a gneiss fengitici) di età permiana (Porfiroidi di Roffna); anche nella Falda Tambò è presente una grande massa di porfiroidi permiani, noti impropriamente come "Quarziti dello Spluga". Un plutone granitico varisico (Metagranito del Truzzo) è inoltre incluso negli gneiss della Falda Tambò; esso si sviluppa in senso Ovest-Est per circa 27 km, dal bacino del Truzzo fino a Vicosoprano, in Val Bregaglia. La separazione tra le falde Tambò e Suretta è marcata da una fascia di rocce quarzitiche e carbonatiche ("Zona permomesozoica dello Spluga"), originatesi da sedimenti datati a 270-180 milioni di anni; essa si sviluppa dal Passo dello Spluga e attraverso la Val Scalcoggia ed il Passo d'Avero, raggiunge Stampa. Lembi di queste rocce affiorano anche sul versante idrografico destro della Val S. Giacomo, in particolare al Pian dei Cavalli, in Val Febbraro e presso il Pizzo Quadro. Sopra i sedimenti carbonatici del Pian dei Cavalli, sul Monte Tignoso, si riconosce inoltre un elemento strutturalmente isolato (o klippe) di gneiss appartenenti alla soprastante Falda Suretta. Da Chiavenna fino a Nuova Olonio la struttura geologica è molto più complicata. Presso Chiavenna affiorano rocce basiche ed ultrabasiche ("Complesso ofiolitico di Chiavenna") che si estendono in direzione Ovest-Est fino alla Val Bondasca; sono interpretate come un lembo di mantello sotto crosta oceanica assottigliata, ora intercalata alla base della Falda Tambò. Sul versante destro della Valle della Mera, sopra Gordona, lungo la Valle della Forcola passa il limite tra la Falda Tambò e la sottostante Falda Adula, che affiora fino al Lago di Novate Mezzola; sul versante opposto, da Cappella di Pizzo fino quasi a Verceia, si estende invece il Complesso del M. Gruf, probabilmente correlabile alla Falda Adula. Entrambe queste unità sono composte in prevalenza da gneiss migmatici entro cui si intercalano numerosi lembi di anfiboliti ed ultrabasiti, in lenti o tasche, e livelli di rocce carbonatiche (marmi e calcefiri); localmente compaiono anche gneiss granulitici a saffirina, rocce formatesi all'interno della crosta terrestre a profondità di diverse decine di km e a temperature di circa 800°C. Dalla bassa Val Codera fino a Nuova Olonio si entra nella cosiddetta "zona verticalizzata meridionale", dove le rocce migmatiche (appartenenti alla Zona Bellinzona-Dascio) sono state raddrizzate e fortemente compresse tra 25 e 18 milioni di anni fa. In esse è intrusa la porzione centro occidentale del Plutone di Val Màsino-Bregaglia, composta in gran parte da quarzodioriti e tonaliti e da subordinate granodioriti. Soprattutto nella zona di Novate Mezzola si hanno grossi filoni di un granito chiaro a due miche (Granito di S. Fedelino), che si intrudono con direzioni molto varie entro le rocce migmatiche, inglobandone spesso frammenti o noduli. L'origine di questi graniti filoniani è legata a fenomeni più estesi di fusione parziale rispetto a quelli che caratterizzano la zona migmatitica. II Plutone di Val Màsino-Bregaglia, originatosi da un magma calcoalcalino, generato da fusione di mantello litosferico, si è intruso nelle unità Austroalpine e nelle falde pennidiche tra 30 e 32 milioni di anni fa. Le rocce granitoidi del Plutone di Val Màsino-Bregaglia sono rappresentate da diversi litotipi, generatisi in fasi successive durante la differenziazione magmatica: dapprima sono cristallizzati gabbri ed orneblen- diti che si rinvengono in piccole masse ai margini del plutone; seguono quindi quarzodioriti e tonaliti (il cosiddetto "Serizzo"), con tipica orientazione degli anfiboli, e quindi il vero e proprio "granito" della Val Màsino, il "Ghiandone", una granodiorite caratterizzata spesso da grossi cristalli bianchi di Kfeldspato, che definisce la parte centrale e nord-orientale del plutone. Le fasi intrusive tardive sono rappresentate da filoni e sacche di micrograniti, apliti e pegmatiti che intersecano con varie orientazioni le precedenti rocce intrusive, intrudendosi anche in quelle incassanti. L'intrusione delle rocce plutoniche di Val Màsino-Bregaglia ha causato un innalzamento termico nei litotipi incassanti dando origine ad un’aureola di contatto marcata da profonde trasformazioni delle rocce originarie. Questa aureola di contatto è ben sviluppata solo nella porzione nord-orientale del plutone, lungo la Valle di Preda Rossa, la Val Sissone e la Val Muretto. Si sono così formati marmi a silicati di calcio e/o magnesio, calcefiri, gneiss a silicati di alluminio (sillimanite, mullite, andalusite) e hornfels ultrabasici ad antofillite, enstatite, tremolite e talco; inoltre la circolazione di fluidi magmatici "caldi" ha creato in alcuni litotipi vene metasomatiche. Le rocce intrusive hanno nettamente separato le unità affioranti ai due margini, occidentale ed orientale, del plutone; Val Màsino, l’isola di granito al centro delle Alpi. Nella foto Il Pizzo Badile e il Pizzo Cengalo. Geositi della Provincia di Sondrio 11 A sinistra: contatto granito-serpentino dalla Sella di Pioda lungo la valle di Predarossa. A destra: la Valmalenco dalla Val Sissone allo sbocco sopra Sondrio. verso Est dominano in effetti la unità austroalpine, mentre il Pennidico è ristretto ad alcuni affioramenti della medio-alta Valmalenco. L'assetto strutturale della Valmalenco è caratterizzato da un’ampia antiforme che la attraversa longitudinalmente nella sua parte mediana, dove affiorano le falde più profonde. A Sud di questa antiforme le rocce hanno una giacitura subverticale, mentre a Nord le principali falde sono suborizzontali, con deboli immersioni verso Est. Lungo la Val Torreggio e la Val Lanterna affiora il nucleo dell'antiforme occupato dalla Zona Lanzada-Scermendone, un'unità pennidica correlata alla Falda Suretta, che rappresenta una zona di mélange tettonico, ossia una zona in cui – come suggerisce il nome – sono mescolate rocce di diversa provenienza. Si trovano lembi di crosta continentale (ortogneiss, paragneiss ed anfiboliti), di sedimenti marini di età mesozoica quali marmi calcitici e dolomitici, calcescisti e brecce sinsedimentarie, e di litosfera oceanica; questi ultimi sono rappresentanti da frammenti di mantello (serpentiniti ed oficarbonati), di crosta oceanica (metagabbri e prasiniti) e di copertura sedimentaria (micascisti, quarzoscisti e quarziti, talora con mineralizzazioni a man- 12 Geositi della Provincia di Sondrio ganese). Simile alla Zona Lanzada-Scermendone è la Zona Preda Rossa - Sissone, affiorante lungo il margine sud-orientale del Plutone di Val Màsino-Bregaglia. Al margine del plutone affiora inoltre, nell'alta Valmalenco, un altra unità pennidica, la Serie di Monte del Forno, costituita da una tipica sequenza ofiolitica con serpentiniti, metagabbri, anfiboliti (metabasalti) e copertura sedimentaria metapelitica (micascisti, quarzoscisti, talora con noduli a manganese e scarsi calcefiri). Al di sopra della Zona Lanzada-Scermendone si trovano le Serpentiniti della Valmalenco che coprono un’area di circa 150 km2, quasi la metà dell'intera Valmalenco. Questa unità, che forma un grosso lastrone di rocce ultrabasiche dello spessore massimo di circa 2 km, è costituita in gran parte da serpentiniti, con subordinati serpentinoscisti ed oficarbonati, che sono interpretati come un frammento di mantello litosferico oceanico. Inclusi nelle serpentiniti si trovano inoltre filoni di talco, lenti di rodingiti, livelli di cloritoscisti (la "pietra ollare") e rocce di origine idrotermale a prevalente dolomite. Le Serpentiniti della Valmalenco rappresentano la "base" su cui giaceva la crosta continentale austroalpina, rappresentata dai litotipi della Falda Margna. Quest'ultima, in realtà costituita da due singole falde ripiegate, è composta da rocce correlabili a crosta inferiore, quali metagabbri (Metagabbro di Fedoz), originati da fusione parziale del sottostante mantello, e paragneiss con relitti di granuliti e livelli di calcefiri di alto grado metamorfico (Monte Senevedo); la parte sommitale della falda è costituita da scaglie di crosta superiore, formate da paragneiss ed ortogneiss occhiadini e da metasedimenti (marmi, calcescisti e metaradiolariti), che affiorano principalmente tra il Pizzo Tremogge e la Val di Scerscen, tra la Bocchetta delle Forbici e le Cime di Musella, ai Sassi Bianchi, sotto la vetta del Pizzo Scalino, scendendo poi verso Caspoggio, e che separano la Falda Margna della soprastanti falde austroalpine Sella e Bernina. La Falda Sella è formata da rocce metapelitiche (per lo più di tipo fillonitico) e da ortogneiss occhiadini in cui si sono intruse masse gabbro-dioritiche di età varisica. La Falda Bernina, affiorante sulla cresta Piz Roseg - Pizzo Bernina - Piz Palù - Piz Varuna (con assetto tabulare) e tra la bassa Val Màsino e la Val Poschiavo (con assetto verticalizzato), è composta da paragneiss ed ortogneiss che includono plutoni di età varisica sia a composizione granitico-granodioritica che gabbro-dioritica. Nella bassa Valmalenco, tra Cagnoletti e Torre di Santa Maria, entro la Falda Bernina affiora una massa ovoidale di ortogneiss granodioritici (Gneiss del Monte Canale) testimoni di un'antica intrusione di età Sardo-Caledoniana (circa 450 milioni di anni); in questa zona sono presenti anche alcuni lembi della copertura permo-mesozoica della Falda Bernina (Monte Arcoglio, Cagnoletti, imbocco della Val di Togno). Presso Sondrio le unità austroalpine verticalizzate sono inoltre intruse dal piccolo plutone alpino di Triangia, formato da tonaliti con un nucleo granitico. La porzione più meridionale di questi gneiss austroalpini, a contatto con la Linea Insubrica, è data dai cosiddetti "Scisti del Tonale", paragneiss biotitici a granato e sillimanite con frequenti intercalazioni di anfiboliti e di metapegmatiti, con subordinate lenti di ortogneiss e di calcefiri. Gli "Scisti del Tonale" che affiorano lungo l'estremità meridionale della zona assiale alpina definiscono un lembo di crosta inferiore austro- Geositi della Provincia di Sondrio 13 alpina che ha subito processi di fusione parziale probabilmente durante l'Orogenesi Varisica. Nella media Valtellina le unità austroalpine rappresentano uno spaccato di un’intera sezione di crosta continentale. Geometricamente sotto gli "Gneiss del Monte Tonale", che rappresentano una porzione di crosta inferiore, si situa un blocco crostale intermedio rappresentato dalla Falda Grosina che affiora nella porzione più alta del versante destro della Valtellina, tra Grosio e Bormio, nonchè in Val Grosina e sul pendio destro della Val Viola; forma inoltre due klippe: uno a Nord di Fumero, in Val di Rezzalo, e l'altro attorno al Monte Vallecetta. Litologicamente la Falda Grosina è costituita da ortogneiss occhiadini, associati a gneiss biotitici minuti, talora a granato e staurolite, e a lembi di migmatiti (Migmatiti di Vernuga). La sequenza crostale superiore è data dal sistema di falde di Campo, formato da grandi scaglie composte da paragneiss e micascisti biotitici a granato, con lenti di ortogneiss, di anfiboliti e di quarziti; nella parte superiore affiorano filloniti (le cosiddette "Filladi" di Bormio e di Grosotto) che sono a contatto con i sedimenti permo-mesozoici. Entro questo basamento si trovano anche masse granitico-granodioritiche varisiche, come ad esempio sul versante sinistro dell'alta Val Federia, presso il Pizzo del Leverone ed il Monte Cotschen e nell'alta Val Viola Bormina, presso il lago di Val Viola, il Passo di Val Viola ed il Pizzo Bianco. Nella crosta austroalpina si sono intrusi (probabilmente 280-220 milioni di anni fa) plutoni basici a composizione prevalentemente gabbrica, con subordinate dioriti e granodioriti, e con rari differenziati granitici e pegmatitici. Tra questi corpi intrusivi si ricordano il Gabbro di Monte Masuccio, a Nord di Tirano, il Gabbro di Sondalo e la Diorite del Monte Serottini. L'intrusione di questi plutoni basici ha provocato un evidente metamorfismo di contatto nelle rocce incassanti, con sviluppo di hornfels a granato, biotite e sillimanite (dintorni di Sondalo e presso la frana di Val Pola); attorno al plutone del Monte Masuccio si hanno invece gneiss a grossi cristalli di andalusite. Questo magmatismo basico viene oggi interpretato come conseguenza della distensione crostale avvenuta all'inizio dell'orogenesi alpina nel Permo-Trias. Le rocce del basamento cristallino della Falda Campo sono separate dalle soprastanti falde di copertura permo-mesozoica da una linea tettonica, la Linea dello Zebrù, che dalla bassa Val Federia, attraverso il Monte Trela, arriva fino all’alta Val Zebrù. Le rocce sedimentarie hanno costituito una complessa serie di scaglie tettoniche la cui esatta delimitazione è ancor oggi oggetto di dispute tra gli studiosi. Secondo studi recenti sono individuabili almeno tre falde (Ortles, Quattervals e SCharl) accatastate l'una sull'altra, e separate da importanti livelli di scorrimento. La successione stratigrafica delle falde austroalpine è piuttosto complessa; inizia con vulcaniti (lave riodacitiche, tufi, ignimbriti, etc.) del Permiano inferiore (Formazione di Ruina) cui si sovrappongono conglomerati e arenarie, con ciottoli delle precedenti vulcaniti, attribuibili al Permiano superiore e al Trias inferiore (Formazione di Chazforà, o "Verrucano"). L'ingressione marina triassica è marcata da una successione di arenarie, siltiti, arenarie carbonatiche e dolomie (Formazione del Fuorn, Formazione di Val Pila) dell'Anisico. Seguono quindi dolomie grigie con livelli di calcari algali della Formazione di Vallatscha e dolomie gialle sottilmente stratificate (Formazione di Parai-Alba) del Ladinico, di am- biente marino poco profondo. Al di sopra compaiono i sedimenti del Gruppo di Raibl (Ladinico-Carnico) formati da dolomie, dolomie marnose, arenarie, dolomie vacuolari, livelli di brecce e di gessi che testimoniano un ambiente di deposizione di mare basso. Essi sono ricoperte dall'imponente sviluppo della Dolomia Principale, attribuita al Norico, composta da dolomie bianche o grigie, massicce, con spessori fino a 1600 m (Dolomia del Cristallo). Lateralmente la Dolomia Principale, che rappresenta un antico reef carbonatico, passa a calcari, a calcari dolomitici stratificati e raramente a dolomie gessose. La parte alta della Dolomia Principale è data da alternanze di dolomie e calcari, che fanno da passaggio ai sedimenti peli- tico-calcarei della Formazione di Kóssen del Retico (nota anche come "Formazione di Fraele" o "Calcare del Leverone"). II Giurassico Inferiore e Medio sono rappresentati da alternanze di calcari e marne con livelli di brecce (Formazione di Allgäu, Brecce di Alv), che testimoniano l'approfondimento dei bacini lungo faglie distensive. II Giurassico Medio-Superiore è caratterizzato da sedimenti pelagici di mare profondo (le radiolariti della Formazione di Blais) o da lacune di sedimentazione; al di sopra compaiono i calcari silicei, con calpionelle, radiolari e foraminiferi del Cretaceo inferiore (Formazione di Russenna; o "Calcari ad Aptici" e "Calcari a Calpionella") e da marne e calcareniti anch'esse ricche in radiolari e foraminiferi. A sinistra: la Val Zebrù. A destra: il Monte del Forno. Sotto: il Gruppo del Bernina. 14 Geositi della Provincia di Sondrio Geositi della Provincia di Sondrio 15 A Nord di Bormio, tra il Passo dello Stelvio, il Piz Umbrail ed il Monte Braulio, le falde di copertura sono sovrascorse da scaglie di basamento cristallino, attribuiti alla Falda Chavalatsch, con ortogneiss e subordinati micascisti a due miche. II terzo dominio alpino che si ritrova in provincia di Sondrio è il Sudalpino (o Alpi Meridionali) che costituisce l'intera catena orobica e che è separato dalla parte assiale della catena alpina (Pennidico ed Austroalpino) dalla Linea Insubrica. Questa linea rappresenta la superficie di sovrascorrimento delle unità pennidiche ed austroalpine sul dominio sudalpino, movimento sviluppatosi tra 25 e 18 milioni di anni fa, che ha provocato il sollevamento della porzione "alpina" di circa 15-20 km rispetto al Sudalpino. La Linea Insubrica è marcata da livelli di miloniti orientate Est-Ovest, che interessano tutte le rocce affioranti presso tale linea per oltre un chilometro in ampiezza. Il Sudalpino delle Orobie è rappresentato soprattutto dal basamento cristallino composto da gneiss e micascisti a metamorfismo pre-alpino (probabilmente varisico), che decresce da Ovest verso Est; le rocce a grado maggiore si ritrovano nella zona del Monte Legnone, dove gli gneiss a "occhi" di oligoclasio (Gneiss di Morbegno) contengono granato, staurolite e rara cianite. Sono inoltre intercalate alcune grosse lenti di ortogneiss occhiadini (Mantello, Val d'Arigna, Val del Livrio, etc.) e metatonaliti pre-varisiche (ad esempio presso Sirta). Verso Est affiorano micascisti muscovitico-cloritici, talora a granato (Scisti di Edolo); masse di filladi, a contatto tettonico con gli Gneiss di Morbegno, si incontrano inoltre tra il Passo San Marco ed il Pizzo di Tartano. In questa porzione di basamento sono inoltre riconoscibili alcuni piccoli plutoni tardo-varisici quali il Granito di Dazio ed il Granito del Monte Fioraro. Il basamento sudalpino è interessato da un sistema di linee tettoniche, trasversali rispetto alla Linea Insubrica, tra cui la più importante è senz'altro quella del Porcile, che si sviluppa da Sazzo fino all'alta Val Tartano. Questo lineamento, lungo cui si rinvengono lembi di copertura sedimentaria, consente l'affioramento ad oriente di frammenti di basamento di grado metamorfico più elevato (Gneiss di Morbegno), soprattutto lungo il crinale orobico, dall'alta Val Tartano fino alle pendici del Pizzo di Redorta; nuovamente a contatto tettonico con gli Gneiss di Morbegno vi è un lembo di rocce filladiche (Filladi di Ambria) affioranti tra il Lago di Venina ed il Pizzo di Rodes. La copertura sedimentaria sudalpina che compare lungo il crinale orobico è rappresentata esclusivamente dalla sua porzione più antica (Carbonifero Superiore - Trias Inferiore). La successione sedimentaria inizia con il "Conglomerato basale" (Carbonifero Superiore - Permiano Inferiore) costituito da ciottoli di scisti del basamento e da frammenti di quarzo, con intercalazioni arenaceo-siltose. Sopra i conglomerati si sviluppa la potente Formazione di Collio (Permiano Inferiore), che 16 Geositi della Provincia di Sondrio mostra spessori molto variabili, fino ad un massimo di 2000 m; è composta da sedimenti di ambiente continentale (argille, siltiti e arenarie, con rari livelli conglomeratici), con rari resti vegetali e impronte di tetrapodi, alternati a lave riolitico-riodacitiche, ignimbriti, tufi, tufiti e brecce vulcaniche. Seguono quindi le formazioni conglomeratiche permiane, quali il Conglomerato del Ponteranica, a ciottoli di vulcaniti misti a frammenti di scisti del basamento, ed il Verrucano Lombardo, a ciottoli di vulcaniti e di quarzo, entrambi con livelli di arenarie grigio-verdi o rossastre. L'ingressione marina, datata all’Induano (base del Triassico), è documentata dalle alternanze di marne e argilliti con subordinate arenarie del Servino. Lembi di rocce sedimentarie affiorano in scaglie lungo la Linea Insubrica, ad esempio presso Nuova Olonio e Dubino, all'imbocco della Val Màsino, a Tresivio e a Stazzona. Questi lembi sono composti da arenarie e conglomerati del Carbonifero Superiore - Permiano, da scisti sericitici con intercalazioni carbonatiche correlabili al Servino e da dolomie gialle o bianche, con livelli marnosi, del Trias Medio-Superiore. Sopra: il Gruppo del Bernina dalla vetta del Redorta, in primo piano la Cima di Scais. A sinistra: Val Viola A destra: La vetta del Pizzo Trona costituito da Verrucano Lombardo e sullo sfondo il Monte Disgrazia e il Gruppo del Bernina. Geositi della Provincia di Sondrio 17 CARTA TETTONICA DELLA PROVINCIA DI SONDRIO ED AREE ADIACENTI I geositi della Provincia di Sondrio Area chiave per l’interpretazione geologica della catena alpina, il territorio della Provincia di Sondrio (176.856 residenti stando alle rilevazioni ufficiali) è attraversato interamente dal Lineamento Periadriatico e ospita alcuni dei fenomeni franosi più estesi e pericolosi dell’intero arco alpino. La scelta di avviare il censimento sistematico dei geositi lombardi cominciando dal territorio di Sondrio deriva dall’opportunità di attingere al ricco repertorio di conoscenze raccolto dagli uffici tecnici regionali negli ultimi vent’anni, grazie alle attività di censimento dei dissesti, a partire dal 1987, e di rilevamento di quattro fogli CARG (“Bormio”, “Sondrio”, “Malonno” e “Ponte di Legno”) a partire dal 1996. I geositi descritti sono rappresentativi di un ampio spettro di discipline nell’ambito delle scienze della terra, dalla geomorfologia alla mineralogia, dalla geologia strutturale alla paleontologia. Coperture quaternarie PENNIDICO INTRUSIVI TERZIARI Flysch terziario (Cretaceo superiore-Eocene) Plutoni e masse granitoidi (Oligocene) Am = Plutone dell’Adamello; MB = Plutone di Val MasinoBregaglia; SF = Granito di S. Fedelino; Tr = Plutone di Triangia; VZ = Intrusivi della Val Zebrù AUSTROALPINO Coperture Permo-Mesozoiche (Permiano-Cretaceo) Cr = Falda Carungas; DA = Dolomiti di Arosa; DU = Falda Ducan; El = Falda Ela; Gv = Mesozoico di Grevasavals; Lw = Mesozoico di Landwasser; Me = Mesozoico di Mezzaun; MM = Mesozoico della Margna; Mu = Mesozoico del Murtiröl; Or = Falda dell’Ortles; Pa = Mesozoico del Piz Alv; Qu = Falda di Quattervals; Sa = Mesozoico del Sassalbo; Sc = Falda di S-charl; Za = Zona dell’Albula; Zs = Zona di Samedan a Falde austroalpine inferiori (Paleozoico?) Be = Falda Bernina; Er = Falda Err; Ju = Falda Julier: Ma = Falda Margna; Se = Falda Sella a) Sm = Serpentini della Valmalenco Al = Flysch dell’Arblatsch-Lenzerheide; Pr = Flysch del Prättigau; Unità ofiolitiche (Giurassico-Cretaceo) Ch = Complesso mafico-ultramafico di Chiavenna; Fo = Ofioliti di M. del Forno; Fu = Ofioliti di Furtschellas; Li = Unità di Lizun; Pl = Falda Platta Unità dei calcescisti (Giurassico-Cretaceo) Bü = Calcescisti (Bündnerschiefer) nordpennidici; Ca = Calcescisti dell’Avers Unità di mélange (Paleozoico-Eocene) Ar = Zona di Arosa; LS = Zona di Lanzada-Scermendone; Mt = Zona di Martegnas Coperture Permo-Mesozoiche (Permiano-Cretaceo inferiore) Sh = Falde dello Schams; Sp = Zona dello Spluga; TS = Trias del Suretta Falde di Basamentp (Paleozoico?) Falde austroalpine medio-superiori (Paleozoico?) Ca = Falda Campo; La = Falda Languard; Sv = Falda Sesvenna Ad = Falda Adula; BD = Zona Bellinzona-Dascio; Gf = Complesso del M. Gruf; Sm = Falda Simano; Su = Falda Suretta; Ta = Falda Tambò Falde austroalpine superiori (Paleozoico?) SUDALPINO Br = Falda del Braulio; Gr = Falda Grosina; Ot = Falda dell’Oetztal; Si = Falda Silvretta; To = Gneiss del Monte Tonale Copertura vulcano-sedimentaria sudalpina (Carbonifero superiore-Cretaceo) Basamento cristallino sudalpino (Paleozoico?) 18 Geositi della Provincia di Sondrio glio d’Europa Rec(2004)3 sulla conservazione del patrimonio geologico e delle aree di particolare interesse geologico, adottata dal Comitato dei Ministri il 5 maggio 2004. Sempre nel 2004, il D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (“Codice dei beni culturali e del paesaggio”, spesso informalmente definito “Codice Urbani”) recupera la dizione di cui all’art. 1, commi 1 e 2, L. 1497/39, riconoscendo nei beni soggetti a vincolo “manifestazioni identitarie percepibili” da assoggettare a norme di “tutela e valorizzazione” (art. 131, comma 2). La scelta regionale, esplicitata con la proposta di Piano Paesaggistico Regionale approvata dalla Giunta Regionale il 16 gennaio 2008, è comunque quella di non fare riferimento esclusivamente alle situazioni puntuali eccezionali, da iscrivere tra i Beni Paesaggistici o ambientali tutelati per legge, ma di attivare un’azione di tutela e valorizzazione dell’intero sistema dei geositi di rilevanza regionale e provinciale tramite la pianificazione paesaggistica della Regione Lombardia e delle province lombarde, come meglio specificato nel successivo paragrafo relativo a i geositi nel Piano Paesaggistico. Dalle “singolarità geologiche” ai “geositi”: il percorso della normativa lombarda, italiana e comunitaria La gestione delle aree protette nel territorio di Sondrio La normativa italiana sulla tutela dei beni geologici risale al 1939, quando la Legge 29 giugno 1939, n. 1497, introdusse la definizione di “singolarità geologica”, affiancandola a quella di “bellezza naturale” (art. 1, comma 1). Il successivo Regolamento per l’applicazione della Legge (Regio Decreto 3 giugno 1940, n. 1357) assoggettò le singolarità geologiche ad un dispositivo distinto da quello proprio delle bellezze paesaggistiche in quanto si riconobbe che “che la singolarità geologica è determinata segnatamente dal suo interesse scientifico” (art. 9, comma 2). La Lombardia è stata la prima regione italiana ad elaborare una selezione di siti di interesse geologico e naturalistico da assoggettare a norme di tutela specifica (Regione Lombardia, 1982). I “geotopi” individuati in quel primo elenco, che è andato ampliandosi negli ultimi 15 anni grazie all’attività della Direzione Generale regionale Qualità dell’Ambiente, sono stati fatti oggetto di una normativa che si collega direttamente a quella istitutiva delle riserve e monumenti naturali (L.R. 86/83). A partire dalla fine degli anni ’90 è andata affermandosi nell’uso la dizione di “geosito”: oggetto geologico ritenuto meritevole di tutela (Wimbledon) o, in una definizione più comprensiva, elemento geologico riconoscibile come bene qualora ad esso sia possibile associare un valore scientifico, ai fini della comprensione dei processi geologici in atto e/o nei termini dell’esemplarità didattica (Panizza & Piacente, 2003). I geositi trovano una posizione ben definita nella normativa comunitaria, in particolare nella Raccomandazione del Consi- A titolo di esempio del percorso normativo che in Lombardia ha portato al riconoscimento dei geotopi (ex L.R. 33/77) come aree regionali protette (L.R. 86/83) si possono citare alcune esperienze ricadenti nel territorio della Provincia di Sondrio, dove la gestione delle riserve naturali “Marmitte dei Giganti”, “Piramidi di Postalesio” e dei monumenti naturali “Cascate dell’Acqua Fraggia”, “Caürga del Torrente Rabbiosa”, è affidata agli enti locali (comuni e comunità montane). Gli enti gestori accedono ad un piano di riparto regionale annuale, sia per le spese di gestione amministrativa che per gli interventi finalizzati alla riqualificazione ambientale e alla fruizione turistica. Per le riserve naturali, che rientrano nella disciplina nazionale delle aree protette ai sensi della L. 431/85, l’ente gestore adotta un piano, con valenze sia urbanistiche che gestionali, approvato dalla Giunta Regionale. Per i monumenti naturali lo strumento operativo è rappresentato dal programma pluriennale di gestione. Riguardo alla fruizione, in queste aree regionali protette è privilegiata quella didattica e culturale. Sono previsti servizi di accompagnamento dei visitatori gestiti da associazioni convenzionate con l’ente gestore o assicurati mediante il servizio volontario di vigilanza ecologica coordinato dalle comunità montane. Ulteriori opportunità di valorizzazione dei siti della Provincia di Sondrio sono state attivate con finanziamenti sui Fondi Strutturali Obiettivo 2 e attraverso il programma di cooperazione con la Confederazione Elvetica nell’ambito Interreg IIIB Spazio Alpino ([email protected]). Geositi della Provincia di Sondrio 19 Il censimento geositi in ambito “Conservazione del Patrimonio Geologico Italiano” Nato nel 2000 sotto il coordinamento dell’APAT, il Progetto “Conservazione del Patrimonio Geologico Italiano” (CPGI) promuove studi in materia di monumenti geologici, geodiversità e siti di interesse geologico in senso lato, recuperando ed omogeneizzando i censimenti realizzati da regioni ed enti locali; l’obiettivo finale è un nuovo censimento su scala nazionale. Lo strumento principe del censimento è la Scheda Inventario, standardizzata a scala nazionale, che nella sua impostazione concettuale evidenzia alcuni aspetti rilevanti di cui si è tenuto conto anche nella realizzazione della presente guida: tra questi la necessità di evidenziare puntualmente per ciascun sito un motivo di interesse scientifico primario, a cui si associano eventuali motivi secondari; un livello territoriale di interesse (mondiale, europeo, nazionale, regionale o locale); l’eventuale rischio di compromissione e degrado, in risposta a fattori naturali o antropici. Dal 2004, nel quadro delle attività di attuazione del Progetto CARG, la Direzione Generale Territorio e Urbanistica della Regione Lombardia ha aderito al Progetto CPGI. In tale contesto è stata avviata un’indagine a tappeto che ha comportato l’invio della Scheda Inventario APAT a numerosi soggetti, distribuiti in modo il più possibile omogeneo sul territorio, e ripartiti fra uno spettro alquanto diversificato di categorie di enti, che spaziano da musei a università, da comunità montane a istituti del CNR, fino a comprendere amministrazioni locali di vario ordine. Per l’individuazione dei geositi si è tenuto conto di diverse tipologie di fonti: siti precedentemente vincolati in quanto riserve o monumenti naturali; località-tipo o stratotipi di unità litostratigrafiche validate nell’ambito del Catalogo delle Formazioni Geologiche Italiane; siti di rilevanza geologica mondiale (siti UNESCO definiti per caratteristiche naturali, GSSP); geoparchi e sentieri geologici esistenti; schede inventario compilate da soggetti individuati come referenti da Regione Lombardia; situazioni ampiamente consolidate nella conoscenza diffusa del territorio e nella letteratura, note alla Direzione Generale o segnalate per iniziativa autonoma di specialisti ed esperti; siti individuati ex novo nel corso dei rilevamenti effettuati in ambito CARG; studi e pubblicazioni di settore (es. Pellegrini et al., 2005; Pellegrini & Vercesi, 2005). I geositi nel Piano Paesaggistico Regionale della Lombardia Regione Lombardia ha recentemente provveduto all’integrazione e all’aggiornamento del Piano Territoriale Paesistico Regionale vigente dal 2001, alla luce del nuovo quadro normativo nazionale e regionale, nell’ambito della definizione della proposta di Piano Territoriale Regionale e correlato Piano Paesaggistico (Deliberazione di Giunta Regionale n. VIII/6447 del 16 gennaio 2008). Mentre la cartografia e i repertori del Piano risultano immediatamente vigenti, l’articolato normativo che lo correda sarà pienamente efficace dopo l’approvazione in Consiglio Regionale, attesa entro il 2008. Un forte elemento di novità del suddetto articolato sta nell’aver incorporato i geositi come nuova categoria di tutela e valorizzazione del territorio. L’art. 22 della normativa di Piano definisce i geositi, ne stabilisce una classificazione se- condo i motivi di interesse scientifico prevalente (mutuati dalla Scheda Inventario APAT) e, a seconda di quali siano questi motivi, li assoggetta a tre tipologie di tutela alternative. Attribuisce inoltre alle province e ai parchi, tramite i Piani Territoriali di rispettiva competenza, l’onere di perimetrare i siti individuati puntualmente nel Piano Paesaggistico Regionale e la facoltà di individuare ulteriori geositi di rilevanza locale. Nei collegati repertori e nella cartografia di Piano, che come si è detto sono immediatamente vigenti, in Lombardia si individuando 264 geositi, 34 dei quali di livello locale; in Provincia di Sondrio si individuano 44 siti, uno solo dei quali è ritenuto di livello locale. I geositi nell’ambito del PTCP di Sondrio I Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale sono strumenti di pianificazione dalla duplice valenza: essi rappresentano, ad un tempo, piani urbanistici territoriali “con finalità di salvaguardia dei valori paesistici e ambientali” e piani di tutela “nei settori della protezione della natura, della tutela dell’ambiente, delle bellezze naturali, delle acque e della difesa del suolo” (art. 57 D.Lgs. 112/1998). Strumenti di iniziativa provinciale, essi naturalmente rivestono un importante ruolo di gestione delle dinamiche territoriali e di prefigurazione di linee di sviluppo del territorio, raccordandosi alla pianificazione urbanistica comunale e alla programmazione socio-economica regionale, ma proprio la loro summenzionata valenza in termini di conservazione li rende particolarmente idonei al censimento dei geositi, alla loro delimitazione e all’apposizione di norme a loro tutela. In Lombardia, esempi in questo senso vengono dalle Province di Milano, Bergamo e Sondrio. La Provincia di Sondrio, nella bozza di PTCP attualmente in discussione, individua 21 “Aree di particolare interesse geolitologico, mineralogico e paleontologico” e un numero ben più elevato di “Aree di particolare interesse geomorfologico”, con specifiche norme di tutela. Esperienze di geoconservazione realizzate o avviate da altri enti sul territorio di Sondrio In collaborazione o in modo indipendente dall’attività degli enti locali, la sfida della geoconservazione in Lombardia è stata raccolta da una molteplicità di soggetti, in una grande varietà di forme accomunate da uno spiccato carattere settoriale su base tematica. Di seguito si elencano soltanto le principali attività compiute o in corso. CNR-IDPA. L’istituto per la Dinamica dei Processi AmbientaliSezione di Milano del CNR ha realizzato, in località Chiareggio di Chiesa Valmalenco (SO), il Parco Geologico della Valmalen- 20 Geositi della Provincia di Sondrio co: un allestimento a cielo aperto di tipi petrologici rappresentativi dell’intera Valtellina, la cui comprensione è facilitata da una serie di supporti didattici distribuiti lungo un percorso guidato ([email protected]). Università di Milano. Il Dipartimento di Scienze della Terra da tempo opera, anche in collaborazione con il Comitato Glaciologico Italiano, nello studio e nella promozione di siti di interesse glaciologico (es. Ghiacciaio dei Forni in Valfurva – SO: Casartelli et al., 1995) e geomorfologico (es. Val Viola Bormina a Valdidentro – SO; Diolaiuti et al., 2003; [email protected]). Servizio Glaciologico Lombardo. Ha attrezzato e promosso i Sentieri Glaciologici di Fellaria a Lanzada (SO) e della Ventina a Chiesa Valmalenco (SO) (http://sgl.cluster.it/NuovoSGL/ pag7.htm). Ente Speleologico Regionale Lombardo. Nell’arco di oltre 25 anni di attività ha prodotto una serie di catasti parziali delle cavità carsiche lombarde, spesso su base provinciale; alcune sintesi sono state pubblicate (es. Bini, 1981), mentre la progettazione e l’aggiornamento di un catasto regionale complessivo sono attualmente allo studio ([email protected]). La Fabbrica di Mercurio ONLUS. In collaborazione con la Direzione Generale Turismo della Regione Lombardia, è stata realizzata una serie di visite virtuali (“Lezioni di Lombardia”), una delle quali interessa la Valmalenco. Il formato degli audiovisivi, agile e divulgativo, non impedisce che esperti di riconosciuto valore offrano con competenza un inquadramento geografico, etnografico e geologico di un’area chiave per la comprensione dell’intero arco alpino (http://www.lafabbricadimercurio.org/lezionidilombardia/valmalenco_lez.htm). Bibliografia Bini A. (1981) – Le Grotte (III ed.). Regione Lombardia, 220 pp., Milano. Casartelli G., Pelfini M., Smiraglia C. (1995) – Il Ghiacciaio dei Forni in Valfurva. Sentiero glaciologico del centenario. Ed. Polaris, Sondrio. Diolaiuti G., Lombardi A., Mauri A., Pelfini M., Smiraglia C. (2003) – Il GIS per la gestione e valorizzazione turistica di aree di alta montagna. MondoGIS, lug./ ago. 2003, 39-43, Roma. Gray M. (2004) – Geodiversity – Valuing and conserving abiotic nature. John Wiley & Sons, Chichester. Heiddeger M. (1951) – Bauen Wohnen Denken. In Saggi e discorsi, Mursia, Milano. Odum E.P. (1966) – Ecologia. Zanichelli, Bologna. Panizza M. & Piacente S. (2003) – Geomorfologia culturale. Pitagora, Bologna. Pellegrini L., Boni P., Vercesi P.L., Carton A., Laureti L., Zucca F. (2005) – The Geomorphosites in Lombardy. Il Quaternario, n.s. in stampa, Torino. Pellegrini L. & Vercesi P.L. (2005) – I geositi della Provincia di Pavia. L. Ponzio & F.o Editori, 228 pp., Pavia Regione Lombardia (1982) – Biotopi e Geotopi. Natura in Lombardia, 261 pp., Milano. Sei Shōnagon (993-1000?) – Note del guanciale, 13. Mondadori, Milano. Geositi della Provincia di Sondrio 21 La carta geologica della Provincia ghiacciai laghi QUATERNARIO CONTINENTALE conoidi Depositi fluviali dei greti attuali Depositi terrazzati (Alluvium medio) Detriti di falda e frane Morenico tardo-würmiano e localmente olocenico SUBSTRATO ROCCIOSO Rocce magmatiche s.s. e intercalazioni nei basamenti cristallini Pegmatiti (intercal. nei basam. cristallini) Anfiboliti Prasiniti Marmi Peridotiti Rocce plutoniche terziarie Graniti e granodioriti Pegmatiti e apliti Quarzodioriti e tonaliti Dioriti e gabbri Rocce filoniane mesozoiche e terziarie Andesiti (“Porfiriti” Auct.) di Sondrio Alpi meridionali (Sudalpino) Dolomia Principale Calcare di Esino e “Calcare rosso” Carniola di Bovegno Servino Verrucano Lombardo Fm. di Collio Conglomerato del Ponteranica “Conglomerato basale” “Ortogneiss” e “Gneiss chiari” Auct. Paraderivati di Edolo e Ambria Quarziti “Micascisti dei Laghi” Gneiss di Morbegno etc. Rocce vulcaniche permiane Rioliti (“Porfiriti quarzifere” Auct.) Rocce plutoniche permo-carbonifere Graniti e granodioriti Dioriti e gabbri Austroalpino Fm. M. Motto/Calc. V. di Monte/”Broccatello” Fm. di Fraele/Calcare di Leverone Calcare di Quattervals D. Umbrail D. Prà Grata D. Stelvio D. Cristallo Fm. di V. Forcola, V. Lunga, M. Garone Dolomia di Wetterstein Pennidico Ridisegnata da Montrasio A. (1990) - Carta Geologica della Lombardia. Serv. Geol. Naz., Roma. 22 Geositi della Provincia di Sondrio Fm. di Val Pila Calcescisti, quarzosc. marmi ofiolitici “Arenarie variegate” Anfiboliti di M. del Forno e di S. Croce “Verrucano alpino” Prasiniti ofiolitiche Calcesc. non ofiolitiferi e Mn-quarzoscisti Marmi dolomitici e calcarei, carniole Dolomie calcari cristallini, carniole Quarziti “Ortogneiss” Auct. e gneiss migmatici Serpentini (Valmalenco, Chiavenna ecc.) Porfiroidi Oficarbonati Filladi e micascisti filladici “Ortogneiss” Auct. e gneiss migmatici Quarziti Porfiroidi Micascisti argentei della Cima Rovaia Paragneiss a due miche Paragneiss a due miche Paragneiss a due miche e sillimanite Paragneiss a due miche e sillimanite Geositi della Provincia di Sondrio 23 I Geositi della Provincia di Sondrio Livigno 40 42 41 39 43 Bormio 37 1 38 2 36 Campodolcino 44 Santa Caterina 3 4 5 6 27 28 7 Chiavenna 22 8 23 35 26 24 25 21 9 34 Sondalo Grosio 16 10 San Martino 20 11 13 Colico 33 19 17 12 Tirano 18 Chiuro 31 32 15 Sondrio Morbegno 30 29 Gerola 14 1 - Pian dei Cavalli e Alpe Gusone 12 - Cava di Fornaci di Nuova Olonio 23 - Val Sissone 34 - Rupe Magna e Dosso Giroldo 2 - Caürga del Torrente Rabbiosa 13 - Pian di Spagna 24 - Sentiero glaciologico del Ventina 35 - Cava Maffei 3 - Paleofrana di Cimaganda 14 - Lago di Trona 25 - Campo Franscia e Val Brutta 36 - Frana della Val Pola 4 - Caürga di Chiavenna 15 - Conoide del Tartano 26 - Valle dello Scerscen 37 - Paluaccio di Oga 5 - Marmitte dei Giganti 16 - Val di Mello e Sasso di Remenno 27 - Vedretta di Scerscen Inferiore 38 - Val Viola Bormina 6 - Cascate dell’Acquafraggia 17 - Piramidi di Postalesio 28 - Sentiero glaciologico del Fellaria 39 - Passo del Foscagno 7 - Frana di Piuro 18 - Dossi di Triangia 29 - Forno fusore nella Val Venina 40 - Passo d’Eira 8 - Lotteno 19 - Sasso Bianco 30 - Conglomerato di Sazzo 41 - Cresta di Reit 9 - Solco della Val Piana 20 - Torbiera dell’Alpe Palù 31 - Il “punt de sass” di Villa di Tirano 42 - Piano delle Platigliole 10 - Cave di Riva 21 - Ruinon del Curlo 32 - Torbiera di Pian Gembro 43 - Vedretta della Miniera 11 - San Giorgio 22 - Parco geologico di Chiareggio 33 - Madonna di Tirano 44 - Ghiacciaio dei Forni 1 Pian dei Cavalli e Alpe Gusone Motivo di interesse scientifico primario: geomorfologico Motivi secondari: stratigrafico strutturale petrografico paesistico idrogeologico paleoantropologico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Fedele F.G. & Wick L. (1996) - Glacial/Postaglacial transition South of Splügen Pass: environment and human activity. Il Quaternario, 9, 541-550. 26 Geositi della Provincia di Sondrio Il sito del Pian dei Cavalli, a 2200 metri in Alta Valle Spluga (Valchiavenna), coincide con un ampio altopiano carsico delimitato a Nord dalla Val Febbraro e a Sud dalla Valle Starleggia. Al centro dell’altopiano svetta la cresta del Monte Tignoso (2375 metri s.l.m.), un klippe costituito da gneiss del basamento della Falda Suretta, delimitato da contatti tettonici suborizzontali in gran parte mascherati da estese coltri di detrito di falda. Il carsismo - attività chimica dell’acqua, soprattutto su rocce calcaree, ad opera di precipitazioni rese leggermente acide dall’anidride carbonica presente nell’atmosfera - ha interessato una successione carbonatica attribuibile alla “Sinclinale dello Spluga”, la copertura sedimentaria, a metamorfismo esclusivamente alpino, della Falda Tambò (Pennidico Medio). Tra i litotipi carbonatici prevalgono marmi e marmi dolomitici bianchi o grigi, di aspetto granuloso e ruvido simile allo zucchero in zollette (“saccaroide”), e dolomie vacuolari, dette “carniole”, di colore giallo-bruno. Alla base della successione carbonatica si segnalano lenti discontinue di quarziti bianche, mentre dove le quarziti mancano si assiste ad un brusco contatto tettonico tra la successione carbonatica, spesso in facies di carniola, e i sottostanti paragneiss e micascisti, ricchi in muscovite, clorite e localmente grafite, attribuiti alla parte carbonifero-permiana della medesima “Sinclinale dello Spluga”. I paragneiss si presentano deformati, a luoghi in modo spettacolare, da pieghe isoclinali e fenomeni di trasposizione del clivaggio. Il contatto per faglia tra i paragneiss e le carniole corrisponde ad un brusco cambiamento morfologico (ai paragneiss corrispondono pendii regolari inerbiti; alla successione carbonatica piccole balze, ripide e scabre, intervallate a pianori dall’andamento irregolare) ed una ancor più drastica variazione nella circolazione idrica sotterranea. Se infatti la succes- Campodolcino A sinistra: il Buco Rosso, cavità carsica sviluppata al contatto tettonico tra carniole (sopra) e paragneiss (sotto) A destra: trasposizione di pieghe nel basamento della Falda Tambò sione carbonatica, nettamente più solubile da parte delle acque meteoriche, ospita un fitto reticolo di canali di infiltrazione che collegano tra loro grotte anche di dimensioni ragguardevoli, i paragneiss si presentano - al confronto - pressoché impermeabili, rappresentando un livello di ritenuta che in più punti costringe i canali di infiltrazione, tendenzialmente verticali, a venire a giorno correndo lungo le superfici suborizzontali del contatto tettonico. Le principali grotte ad imbocco suborizzontale, con aperture superiore al metro, non a caso si collocano alla base della successione carbonatica, appena sopra il contatto tettonico: è il caso del Buco Rosso sopra l’Alpe Gusone e della Grotta della Sabbia Bianca sopra San Sisto. In superficie l’altopiano carbonatico presenta blande forme carsiche, meglio sviluppate sul versante settentrionale del Pian dei Cavalli rispetto a quello meridiona- In basso: marmi saccaroidi nella successione mesozoica della Falda Tambò Geositi della Provincia di Sondrio 27 1 A sinistra: la piana di San Sisto, vasto anfiteatro naturale cosparso di baite nella cornice della cima del Pizzo Quadro A destra: l’imbocco di uno dei numerosi sistemi carsici del Pian dei Cavalli In basso: cartellonistica della Comunità Montana alla piana di San Sisto le del Pian Gusone: si tratta per lo più di volubili ondulazioni del terreno determinate dall’alternanza di forme positive (dossi) e negative (canyon, doline e inghiottitoi). Uno di questi ultimi, il Buco del Nido, rappresenta l’imbocco di un sistema carsico sotterraneo assai articolato e sviluppato, 4 km di lunghezza totale per 132 m di dislivello, la cui mappatura è stata realizzata dal Gruppo Grotte Novarese. Da segnalare anche i ritrovamenti archeologici di età paleolitica recente, che 28 Geositi della Provincia di Sondrio fanno di Pian dei Cavalli una delle località che meglio conservano le testimonianze dei più antichi abitanti della Val Chiavenna. Dal 1986 il Professor F. Fedele, ordinario di Antropologia all’Università di Napoli, ha infatti, condotto delle compagne archeologiche e gli scavi hanno portato alla luce tracce di insediamenti umani. Sono stati individuati 30 siti distribuiti su un’area di quasi 25 km2. Sono stati rinvenuti scarti di lavorazione di quarzo e di selce, pietre scheggiate in parte fissate su aste e ma- nici, armature di frecce. Straordinaria è stata la scoperta di focolari lungo il ciglio di una grande scarpata: come spesso accade, la presenza di grotte ha favorito l’accumulo e la conservazione di resti antropici. La facile percorribilità di suggestivi scenari alpini e la presenza di motivi di interesse ambientale piuttosto variegati hanno fatto sì che gran parte dell’area sia stata ben attrezzata in termini di segnavia e pannelli illustrativi, questi ultimi concentrati al Pian dei Cavalli. Geositi della Provincia di Sondrio 29 2 Caürga del Torrente Rabbiosa Motivo di interesse scientifico primario: geomorfologico Motivi secondari: petrografico paesistico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Altri vincoli che insistono nell’area: Monumento Naturale Studi Monumento Naturale “Caürga del Torrente Rabbiosa” - Pasquarè modificato Huber. 2003 30 Geositi della Provincia di Sondrio Il Torrente Rabbiosa, affluente di sinistra del Torrente Liro, si origina in corrispondenza del Passo dello Spluga in alta Valchiavenna e confluisce nel Fiume Mera nei pressi di Chiavenna. La val Rabbiosa, bagnata dall’omonimo torrente e ricca nella parte alta di begli esemplari di granati e tormalina, raggiunge la piana del Liro scavandosi una gola profonda tra le rocce e i depositi morenici. L’ultimo tratto montano del torrente, prima di confluire nel conoide alluvionale su cui sorge l’abitato di Campodolcino, scorre in una profonda forra detta Caürga del Torrente Rabbiosa, un profondo e suggestivo orrido che si protende alle spalle della contrada di Acero. Giungendo invece da Chiavenna, sulla statale 36, si incontrano le località di Pietra e Tini che si addossano sul versante boscoso; la vallata si allarga progressivamente, seguendo le linee dell’antica conca lacustre, per raggiungere la sua massima ampiezza intorno al ventaglio alluvionale del torrente omonimo. Il bacino del Torrente Rabbiosa è molto esteso e comprende l’ampia conca dell’Angeloga, di origine glaciale, apertasi tra il Pizzo Stella ed il Pizzo Groppera. Dal terrazzo strutturale sospeso tra gli abitati di Fraciscio, Mottala e Gualdera. Il torrente Rabbiosa confluisce all’altezza del paese di Campodolcino facendo registrare un dislivello di circa 2100 m e scavando una profonda forra che termina in prossimità del “Ponte Romano”, così chiamato localmente, ma costruito nel 1692 e consolidato nel 1927 dopo una alluvione. Il nome “Rabbiosa” trova qui conferma nell’ampiezza di un greto sassoso, irregolare, sottolineato da macchie folte di ontano, tra un imponente accumulo di detriti. La forra è caratterizzata da un canale meandriforme lungo il quale si sviluppano una fitta successione di piccole cascate e di marmitte di erosione di rilevante interesse geomorfologico e paesaggistico. Le formazioni rocciose affioranti nella Gola della Caürga appartengono alla Fal- Campodolcino da Tambò. Sono costituite prevalentemente da metapeliti ma anche da paragneiss, gneiss grigi e anfiboliti. Il sito e le litologie presenti recano con evidenza didattica le tracce delle quattro fasi deformative che hanno caratterizzato il ciclo orogenetico alpino, iniziato verso la fine dell’Era Mesozoica e che ha determinato la formazione del corrugamento alpino-himalayano. Per le caratteristiche geomorfologiche, geologiche e paesaggistiche del sito la Regione Lombardia ha istituito nel 2002 il Monumento Naturale “Caürga del Torrente Rabbiosa”. In alto: il Lago Angeloga con il Pizzo Stella sullo sfondo. Qui nasce il torrente Rabbiosa In basso a destra: la Caürga del torrente Rabbiosa, la profonda forra scavata dall’acqua In basso a sinistra: il ponte detto “romano” a Campodolcino. In realtà l’opera fu costruita nel 1692 Geositi della Provincia di Sondrio 31 3 Paleofrana di Cimaganda Il geosito si può osservare agevolmente salendo lungo la statale 36 che da Chiavenna porta al passo dello Spluga. L’antica frana (paleofrana) di Cimaganda - in Comune di San Giacomo Filippo - è una tipica rock avalanche (valanga di roccia) cioè una frana che ha interessato una consistente porzione di ammasso roccioso scivolato a valle con un movimento assimilabile a quello di una valanga nevosa. Questa grande frana, del volume stimato a circa 7,5 milioni di metri cubi, è avvenuta in due fasi differenti: una prima nel 900 a.C. caratterizzata dal franamento principale di gran parte della massa rocciosa e da uno successivo, di minor volumetria, più assimilabile a un fenomeno di crollo in massa. Interessante è notare come l’accumulo di frana, data la notevole energia, abbia risalito in parte il versante opposto e sia stato in seguito eroso dal Torrente Liro che oggi lo attraversa. Dal torrente deriva il nome dell’abitato che si incontra appena prima di Cimaganda: Lirone, un gruppo di case antiche raccolte tra gli alberi, nella protezione dei macigni. L’attuale accumulo di frana, ben evidente lungo il taglio della strada statale, è costituito da blocchi rocciosi di diversa volumetria, più fine verso la nicchia, più grossolano al piede, dove sono presenti anche massi giganteschi, con volumi superiori ai 1000 m3, tra cui sorgono le case Motivo di interesse scientifico primario: geomorfologico Motivi secondari: strutturale petrografico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Altri vincoli che insistono nell’area: Val Zerta (SIC) Ortogneiss occhiadini della Falda Tambò Agostoni S., Laffi R. & Sciesa E. (1997) - Centri Abitati Instabili della provincia di Sondrio. Pubblicazione CNR GNDCI 1580, Vertemati, Vimercate. Mazzaccola D. (1994) - La frana di Cimaganda: un meccanismo complesso e composito. Renc. Intern. Jeunes Cherch., Lausanne, 21.04.94. 140-145. 32 Geositi della Provincia di Sondrio San Giacomo Filippo Le case della frazione di Cimaganda. Il nome, cimaganda, indica il limite superiore dell’imponente muraglia detritica della frazione di Cimaganda che, come indica il toponimo, segna il limite superiore dell’imponente muraglia detritica. La nicchia, impostata lungo la bastionata rocciosa sottostante la piana di Bondeno, si situa a quota 1750 m circa, in prossimità del contatto tettonico tra due falde alpine: la Falda Tambò e la soprastante Falda Suretta. La frana interessa l’ammasso roccioso appartenente alla Falda Tambò: le litologie coinvolte sono costituite da grosse bancate di ortogneiss occhiadini che giacciono sopra paragneiss e micascisti entro cui si intercalano livelli di ortogneiss biotitici lineati. L’innesco della frana è stato favorito dalla disposizione sfavorevole dei grandi sistemi di frattura che interessano il versante idrografico sinistro della Val S. Giacomo. Vi si incrociano, infatti, quelli orientati circa NNO-SSE, legati a deformazioni gravitative di versante sviluppatesi in conseguenza al ritiro delle grandi lingue glaciali che occupavano le valli alpine durante l’era glaciale, e quelli trasversali, circa E-O. Una curiosità: i massi caduti sono stati tutti numerati e classificati e costituiscono una palestra di roccia, meta di numerosi appassionati di arrampicata. Geositi della Provincia di Sondrio 33 4 Caürga di Chiavenna Motivo di interesse scientifico primario: geominerario Motivi secondari: geomorfologico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Altri vincoli che insistono nell’area: Riserva naturale Marmitte dei giganti David M. & De Michele V. (1993) - Una cava romana di pietra ollare a Chiavenna. Osservazioni preliminari. Clavenna (Boll. Centro Studi Stor. Valchiav.) 32, 75-106. Gessner C. 1(565) - De rerum fossilium, lapidum et gemmarum genere maxime figuris et similitudinibus liber, Zurigo. Liati A., Gebauer D. & Fanning C.M. (2003) - The youngest basic oceanic magmatism in the Alps (Late Cretaceous; Chiavenna unit, Central Alps): geochronological constraints and geodinamyc significance. Contrib. Min. Petr. 146/2, 144-158. Scheuchzer J.J. (1723) - Helveticus, sive itinera per Helvetiae alpinas regiones, Annis MDCCIIMDCCXI, Zurigo. Schumtz H.U. (1976) - Der Mafitit-UltramafititKomplex zwischen Chiavenna und Val Bondasca (Provinz Sondrio, Italien; Kt. Graubünden, Schweiz). Beitr. Geol. Karte Schweiz, N.F. 149, 73. Theobald G. (1866) - Die südöstlichen Gebirge von Graubünden und dem angrenzenden Veltlin. Buchdruckerei von J.A. Pradella. Wallerius J.G. (1778) - Systema mineralogicum. 2 voll., Vienna. 34 Geositi della Provincia di Sondrio Le rupi del “Paradiso” di Chiavenna, parco geologico botanico che sovrasta la città, presentano un profondo e ampio taglio verticale detto Caürga, uno scavo artificiale legato all’estrazione della pietra ollare, varco invalicabile tra le due rocce sovrastanti utilizzato in passato per la produzione di recipienti e statue. La vena di pietra ollare della Caürga, dello spessore di circa 7 m, è stato sfruttato per 2000 anni: indagini storiche hanno testimoniato un’attività di cava già in epoca romana. D’altro canto sembra molto probabile che la pietra ollare descritta da Plinio nel 77 d.C. come “lapis viridis comensis”, sia quella estratta a Chiavenna. Durante i vari secoli di attività si calcola che siano stati estratti nella cava della Caürga circa 25.000 m3 di pietra ollare. La pietra ollare della Caürga è stata in seguito oggetto dell’attenzione di molti studiosi, quali Gessner (1565), Scheuchzer (1723), Wallerius (1778), Theobald (1866), etc., che hanno descritto nel dettaglio sia la roccia, sia i metodi di estrazione e di lavorazione. La pietra ollare è una roccia, verde o verde-grigriastra, a grana fine o finissima, tenera ma resistente, facilmente lavorabile al tornio; è costituta in gran parte da clorite o talco, con scarsi minerali accessori, spesso costituiti da carbonati, ed è classificabile di volta in volta o come cloritoscisto o come talcoscisto. La pietra ollare si rinviene in vene irregolari entro rocce ultrabasiche, generalmente lungo linee di dislocazione, o in zone in cui le ultrabasiti sono attraversate da filoni gabbrici. Si è formata durante il metamorfismo alpino, circa 37 milioni di anni di fa, entro fasce di dislocazione che interessavano lembi di rocce ultrabasiche (peridotiti) appartenenti al mantello litosferico e associate a rocce gabbriche e basaltiche, la cui età di intrusione/effusione è stimata a 93 milioni di anni (Liati et al.,2003). L’insieme di queste rocce basiche e ultrabasiche, affioranti presso Chiaven- Chiavenna In alto a destra: le rupi del Paradiso di Chiavenna presentano un profondo e ampio taglio verticale detto Caürga A sinistra: particolare del selciato che porta al Parco del Paradiso: i blocchi venivano recuperati dalla tornitura dei “lavecc”, pentole in pietra ollare na, rappresenta un lembo di litosfera oceanica (crosta oceanica e sottostante mantello) dell’antico oceano della Tetide, formatosi nel Giurassico-Cretaceo, e in seguito frammentato e in parte inglobato nelle falde che costituiscono attualmente la catena alpina. Geositi della Provincia di Sondrio 35 5 Marmitte dei Giganti Motivo di interesse scientifico primario: geomorfologico Motivi secondari: petrografico paesistico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Altri vincoli che insistono nell’area: Riserva naturale Marmitte dei giganti 36 Geositi della Provincia di Sondrio Alle spalle di Chiavenna, all’imbocco della Val Bregaglia, si trova un piccolo mondo ombroso, fatto di fitte foreste e di rocce rossastre che affiorano qua e là, interrompendo il mantello verde. Queste rocce sono completamente diverse da quelle che caratterizzano gran parte della Valchiavenna e della Val Bregaglia elvetica dove predominano gli gneiss e i graniti. Si tratta infatti, di un affioramento di rocce sensibilmente più dure, dette comunemente pietre verdi o serpentini, ma più precisamente oliviniti e anfiboliti, che sono tipiche nella non lontana Valmalenco. Il ghiacciaio, che millenni or sono ricopriva tutta la vallata, confluiva più o meno in questo punto con la grande lingua che scendeva dal valico dello Spluga. La grande massa glaciale fu costretta dalla morfologia valliva a modellare le rocce serpentinose in rilievo, lasciando i segni del suo pesante passaggio con striature e arrotondamenti inequivocabili. Contemporaneamente, sulle rocce, nei punti ove si trovavano delle piccole concavità, le acque di fusione si invorticarono e i detriti che trasportavano agirono da macina approfondendo gradualmente il buco. Altri detriti più grandi aumentarono l’efficacia dell’azione delle acque, fino a formare delle marmitte di pietra che, in certi casi, assunsero dimensioni enormi tanto da essere dette “Marmitte dei Giganti”. Si tratta di un fenomeno diffuso in tutte le Alpi e in Chiavenna ogni altro luogo dove scorra, o sia passato per lungo tempo, un corso d’acqua vorticoso. I motivi di interesse scientifico sono indubbiamente di carattere prevalentemente geomorfologico: la presenza in un’area piuttosto concentrata di tutti quegli elementi quali rocce montonate e striate, canali di erosione e di gronda, pozzi o vaschette - marmitte dei giganti - conferiscono al territorio una forte identità legata agli eventi glaciali quaternari. Le località principali dove insistono gli aspetti più scenografici sono i rilievi di Belmonte e di Sasso Dragone, dossi rocciosi le cui litologie appartengono al Complesso Ofiolitico di Chiavenna. Sul versante nord del Sasso Dragone è stato allestito un sentiero glaciologico e alcuni affioramenti di “pietra ollare” - in passato sfruttati per la produzione di olle = calici, pentole - sono stati recuperati e attrezzati ai fini didattici. La continuità dell’area con la cittadina di Chiavenna, i resti delle antiche cinte murarie e la cava o “Caürga di Chiavenna” sono motivo di ulteriore interesse culturale, paesaggistico ed etnografico del sito, che è stato riconosciuto dalla Regione Lombardia come riserva naturale regionale negli anni ottanta (DCR III/1803 del 15.11.1984). I siti rilevati e proposti per l’inventario dei geositi italiani sono compresi all’interno della riserva regionale. Particolari della riserva naturale delle Marmitte dei Giganti: assieme alle molte decine di marmitte glaciali numerose sono le rocce montonate e striate e i massi erratici che spiccano con il bianco del granito sul grigio scuro delle rocce mafiche e ultramafiche Geositi della Provincia di Sondrio 37 6 Cascate dell’ Acquafraggia Motivo di interesse scientifico primario: geomorfologico Motivi secondari: paesistico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Altri vincoli che insistono nell’area: Monumento naturale Cascate dell’Acquafraggia Studio idrogeomorfologico - Piano della Monumento Naturale “Cascate dell’Acquafraggia”. Studio GEA. 38 Geositi della Provincia di Sondrio Appena fuori Chiavenna, lungo la statale del Maloja, si incrocia Piuro e, sulla sinistra, le cascate dell’Acquafraggia. Il bacino dell’Acquafraggia è situato all’imbocco ovest della Val Bregaglia: il torrente omonimo nasce dalla Cima di Lago a 3050 metri s.l.m.. Scendendo verso il fondovalle il torrente percorre due valli sospese (ambedue a controllo strutturale), l’una sui duemila metri e l’altra sui mille metri di altitudine, forma quindi una serie di cascate di cui le più basse formano un doppio salto. Si capisce così l’origine del nome Acquafraggia, da “aqua fracta”, cioè torrente continuamente interrotto da cascate. Queste, a doppio salto e a doppio corso, sono decisamente suggestive e sono state protette da decreto regionale del 1984 e considerate Monumento Naturale. Sul finire del 1400 Leonardo da Vinci, ingegnere ducale di passaggio da Chiavenna, annotò sul “Codice Atlantico” che “su per detto fiume (Mera) si trova chadute di acqua di 400 braccia le quali fanno belvedere”, e diversi viaggiatori europei, tra il Sette e l’Ottocento, definirono le cascate dell’Acquafraggia come le più belle fra le Alpi. Geologicamente la zona è interessata dalla Falda Tambò del Pennidico medio, con gneiss biotitici, ma localmente anche muscovitici e assai lucenti, generalmente a grana fine. Nel settore botanico rilevanti sono gli ontani, l’abete bianco e la flora rupicale, tra cui rara Oplismenus undulatifolius, Erica arborea e in un suggestivo castagneto alla base delle cascate, un esteso tappeto di Allium ursinum. Va segnalata anche una felce, la Pteris cretica, che qui trova la stazione europea più settentrionale grazie alla costante nebulizzazione dell’acqua della doppia cascata. Sulle sponde del torrente, circa a quota mille, sorgono i paesi di Savogno e di Dasile, permanentemente abitati a partire dal secolo XV allorché l’aumento della popolazione, l’insalubrità e l’insicurezza delle aree planiziali spinsero ad abitare i nuclei di mezza costa. Piuro Le cascate dell’Acquafraggia a Piuro. Le cascate, a doppio salto e a doppio corso. Sono state protette da decreto regionale del 1984 e considerate monumento naturale Essi sono raggiungibili percorrendo una mulattiera formata da oltre duemila gradini, che tocca dapprima gli interessanti nuclei delle stalle dei Ronchi e dei crotti di Savogno (nel primo nucleo, di particolare rilievo il mastodontico torchio da vino). Geositi della Provincia di Sondrio 39 7 Frana di Piuro Motivo di interesse scientifico primario: geomorfologico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Casati P. (1991) – La frana di Gero e Barcone (Valsassina) del 1762. Bollettino C.A.I., 92: 59–67, Torino. Pozzi R., Sfondrini G. (1972) – Caratteri generali della franosità in Provincia di Sondrio. Pubbl. 88 CNR-Fondazione per i problemi montani dell’arco alpino. Tip Ramponi, Sondrio, 174 pp. Scaramellini G., Kahl G., Falappi G.P. (1988) – La frana di Piuro del 1618. Storia e immagini di una rovina. Associazione italo-svizzera per gli scavi di Piuro, Sondrio. Piuro Giustamente ricordata come una delle più gravi calamità geologiche che hanno colpito la Lombardia in epoca storica, la frana di Piuro è un evento ben documentato nelle sue conseguenze anagrafiche e socio-economiche, ma molto meno compreso dal punto di vista geologico. Se è assodato che l’evento provocò oltre un migliaio di vittime (le stime variano tra 1200 e 2500) e che l’antico borgo di Piuro - paese ricco e importante in virtù dell’estrazione e lavorazione della pietra ollare e del commercio della seta - fu quasi interamente sepolto da un accumulo di frana che localmente raggiunse i 60 m di spessore, è assai meno chiaro che tipo di frana possa aver causato una simile devastazione e da cosa sia stata scatenata. Partiamo dai fatti. Sul finire dell’estate del 1618 si registrarono più di dieci giorni di pioggia pressoché ininterrotta. Il 4 settembre ci fu una schiarita, e la sera stessa si scatenò la catastrofe. La frana si sviluppò sul versante orografico sinistro, presumibilmente a partire dalle pendici del Monte Conto, appartenente al massiccio Pizzo Grillo-Corna Garzone, che – oltre ad essere stato interessato in passato, a più basse quote, da una rete di gallerie per la coltivazione della pietra ollare – tuttora presenta un andamento assai accidentato e conserva alcune delle principali evidenze morfologiche diagnostiche dell’instabilità di versante: successioni irregolari di selle e scarpate, contropendenze morfologiche, grandi accumuli di detrito sciolto, impluvi rettilinei che delimitano blandi displuvi linguoidi. Queste caratteristiche potrebbero far pensare che la frana avvenne in risposta a distacchi catastrofici di ingenti volumi di roccia, che poi sarebbero precipitati, come un flusso granulare ad alta densità (rock avalanche - valanga di roccia), verso il fondovalle. Tuttavia il modello contrasta con due aspetti essenzia- li: 1) la difficoltà di individuare un’area di nicchia, 2) l’assenza di un accumulo detritico di fondovalle conservato, come è invece ancor oggi possibile osservare – ad esempio – in Valsassina per effetto della frana di Gero-Barcone del 1762 (Casati, 1991). Entrambi gli aspetti fanno pensare che le devastazioni di Piuro siano state causate da un flusso di detrito ricco d’acqua (debris flow) che, una volta esauritosi il fenomeno, avrebbe lasciato sul posto accumuli fango-sabbiosi più facilmente rimovibili, nei secoli a venire, dall’azione degli agenti atmosferici o dell’uomo stesso. Sulle cause che hanno scatenato il fenomeno, scartata l’ipotesi di un sisma (data la sostanziale inattività dell’area: v. ad es. Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani, con possibilità di interrogazione, oppure The Earthquake Engineering Online Archive – University of California at Berkeley), non sfugge a nessuno l’evidente correlazione con le abbondanti piogge dei giorni immediatamente precedenti l’evento. L’ipotesi più autorevole (Pozzi & Sfondrini, 1972, pag. 46; Archivio AVI, record n. 1200924) è perciò che la frana abbia coinvolto 1) una porzione corticale di versante (forse interessata dagli scavi estrattivi anzidetti) e 2) la soprastante coltre detritica di origine glaciale: entrambi gli elementi saturati in acqua e quindi in condizioni di equilibrio limite. Lo scenario potrebbe essere stato aggravato dal cedimento di una morena che sbarrava il laghetto del Grillo, alla sommità del Monte Conto (Scaramellini et al., 1988). Gli scavi nell’aria di frana hanno permesso il rinvenimento di monete e armi conservate presso il Museo degli Scavi di Piuro (patrocinato da un’associazione italo-svizzera e facente parte del Museo della Valchiavenna), che si può visitare su richiesta, previo accordo con il Municipio. ACQUA FORTE di MERIAN MATTHAEUS Pubblicata a Francoforte per la prima volta nel suo “Theatrum Europaeum” nel 1635 (collezione G.Lisignoli Piuro) con la rappresentazione di Piuro prima e dopo la frana che distrusse il borgo 40 Geositi della Provincia di Sondrio Geositi della Provincia di Sondrio 41 8 Lotteno Motivo di interesse scientifico primario: petrografico Motivi secondari: mineralogico geomorfologico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Tazzoli V. , Domeneghetti M.C., Mazzi F. & Cannillo E. (1995) - The crystal structure of chiavennite. European Journal of Mineralogy 7, 1339-1344. 42 Geositi della Provincia di Sondrio Prata Camportaccio Le pegmatiti sono un tipo petrografico particolarmente amato dai collezionisti di minerali per la varietà, l’abbondanza e la regolarità nella conformazione cristallina dei minerali che le costituiscono. Veri e propri “campionari naturali” di minerali rari e/o ben formati, le pegmatiti devono le loro caratteristiche alle condizioni fisico-chimiche che accompagnano la loro formazione. Esse traggono infatti origine dalla solidificazione di magmi residuali di temperatura relativamente bassa, arricchiti in fluidi ed elementi incompatibili – ossia, che durante la cristallizzazione del magma tendono a concentrarsi nel fuso. Soprattutto nei magmi acidi, l’abbondanza di fluidi (per lo più vapor d’acqua e anidride carbonica) durante le ultime tappe della cristallizzazione conferisce elevata mobilità agli ioni necessari per la costruzione dei reticoli cristallini, mentre i tempi - relativamente lunghi - di raffreddamento facilitano la loro accrezione agli originari nuclei di cristallizzazione. In questo modo, minerali molto abbondanti nelle rocce crostali, ma in genere presenti in individui di dimensioni millimetriche (es. feldspati), possono raggiungere dimensioni anche metriche; la concentrazione nei fluidi di ioni incompatibili quali rubidio, cesio, berillio, boro, fluoro e terre rare favorisce la crescita di minerali altrimenti piuttosto rari (es. berillo, tormalina) o comuni, ma non con tale abbondanza o di tali dimensioni (es. ortoclasio, muscovite). Le “Pegmatiti di Lotteno” sono un importante sistema di filoni ad andamento pressoché orizzontale, che tagliano i corpi di rocce mafiche-ultramafiche del “Complesso ofiolitico di Chiavenna”. Si tratta in realtà di apliti e micrograniti cui si associano, con minor frequenza, filoni a struttura pegmatitica. Le pegmatiti presentano una comune struttura cristallina dominata dal feldspato potassico, di colore bianco latteo, e da aggregati fibroso-raggiati (“arborescenti”) di mica. I minerali accessori presenti nelle pegmatiti comprendono berillo (anche nella varietà acquamarina), granato e rari accessori tra cui columbite, Quella del Sasso Bianco di Lotteno è una storica palestra di arrampicata, oggi meno di moda di un tempo perché presenta placche di aderenza, un genere ormai soppiantato dall’arrampicata in strapiombo di Roma accertò che era stata rinvenuta una specie nuova al mondo, poi approvata dall’IMA come nuova specie nel 1983 con il nome di chiavennite. Il minerale, rarissimo nelle Alpi, è un silicato di calcio, manganese e berillio, con acqua e ossidrili, che si presenta in sottili cristalli tabulari esagonali, traslucidi e facilmente sfaldabili fino a 2 mm di diametro, riuniti in aggregati irregolari. Talvolta costituisce strutture a feltro che rimpiazzano più o meno profondamente cristalli di berillo alterati. Non ultimo motivo di interesse, la maggior resistenza dei litotipi pegmatitici rispetto alle ultramafiti incassanti determina la formazione di falesie subverticali, altre fino ad alcuni metri, che ben si prestano all’arrampicata sportiva. In basso: un netto contrasto morfologico e cromatico accompagna il contatto tra il filone e l’incassante uraninite, gahnite, bertrandite, bavenite, milarite, aeschynite, uranmicrolite e chiavennite. Il campo filoniano interessa prevalentemente la destra idrografica della Val Schiesone, ma è ben visibile anche a Nord del displuvio, dove un canalone di frana sbocca presso la frazione Tanno di Chiavenna (località-tipo per la chiavennite). E’ proprio in quest’area, infatti, che tra il 1978 e il ‘79 furono rinvenuti alcuni frammenti di una insolita pegmatite solcata da una serie di cavità lenticolari, rivestite da nitidi cristalli. Su alcuni campioni venne osservata la presenza di esili lamelle da rosso arancio vivo a giallo, con caratteri non attribuibili ad alcun minerale conosciuto. Il Prof. Annibale Mottana dell’Università In alto: aspetto macroscopico della “Pegmatite di Lotteno” In basso: chiavennite Geositi della Provincia di Sondrio 43 9 Solco della Val Piana Motivo di interesse scientifico primario: mineralogico Motivi secondari: strutturale geomorfologico paesistico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico AA. VV. (1997) - Val Codera montagna per tutte le stagioni. Guide Natura n. 5, 112, Lyasis Ed., Stampa Polaris, Sondrio. Bedogné F., Montrasio A. & Sciesa E. (1993) - I minerali della provincia di Sondrio. Val Malenco. 275, Tipografia Bettini, Sondrio. Bonacossa A. & Rossi G. (1977) - Guida dei Monti d’Italia: Masino, Bregaglia, Disgrazia. Vol. I, 400 pp., CAI-TCI, Milano. De Michele V. (1974) - Val Codera. In: Guida mineralogica d’Italia. Ed. De Agostini, Vol. 1, 110-113, Novara. Ghizzoni S. & Mazzoleni G. (2005) - Itinerari mineralogici in Val Codera. Geol. Insubr., 316, Tipografia Bettini, Sondrio. Guastoni A. (1998) - Yugawaralite della Val Codera. Riv. Miner. Ital. 2, 59-60, Stampa tipografica Milanese, Milano. 44 Geositi della Provincia di Sondrio La presente proposta di itinerario geoturistico riguarda la Val Codera, raggiungibile dalla frazione Mezzolpiano di Novate Mezzola, al termine della strada che si stacca dalla Statale 36 risalendo la conoide (segnalata dalle indicazioni su convenzionali cartelli turistici). Ubicata presso il margine meridionale del massiccio delle Alpi Centrali, pochi km a Nord della faglia principale della catena alpina (Lineamento Periadriatico), questo luogo espone in splendide condizioni di affioramento uno dei più famosi massicci granitici di età alpina, il Plutone di Val Masino-Bregaglia, ed alcune peculiarità geologiche. Queste ne incoraggiano la visita, nonostante la difficile accessibilità conseguente alla morfologia di valle glaciale sospesa, ove non esiste attualmente alcuna strada d’accesso: già dai primi passi si fa infatti conoscenza con sentieri molto ripidi e a zig-zag su pendii scoscesi spesso lastricati con lunghe gradinate di granito. La Val Codera, nel suo medio corso, è attraversata da un evidente lineamento morfologico-strutturale che si sviluppa per oltre 20 km di lunghezza, tra il versante sinistro idrografico della Val Bregaglia e la Val Masino, in corrispondenza delle celebri sorgenti termali ed oltre, fin verso lo sbocco di quest’ultima nella Valtellina. Il segmento di maggior evidenza morfologica corrisponde ad una laterale destra, che si sviluppa come uno dei più impressionanti canyon delle Alpi Retiche: la Val Piana. Tale sottobacino corrisponde ad un solco di erosione accelerata, impostato lungo un lineamento fragile orientato circa NO-SE (denominato Linea della Val Piana). Quest’ultimo appartiene ad un sistema dovuto ad estensione e/o transtensione (apertura, più o meno combinata con movimenti di scorrimento orizzontale), dominato dalla Linea della Forcola. Tale sistema è localmente intersecato da fratture più recenti, orientate circa N-S. Ad entrambi i sistemi sono associate fasce di rocce cataclastiche, interessate da un’intensa al- Novate Mezzola In alto a sinistra: Solco della Val Piana In bassso a sinistra: Yugawaralite In alto a destra: il ponte lungo il sentiero che porta a Codera In basso a destra: le Saline Sopra: da segnalare anche i ritrovamenti archeologici di età paleolitica recente A sinistra: suggestivi scenari alpini e la presenza di motivi di interesse ambientale piuttosto Sotto: variegati hanno fatto sì che gran parte dell’ambiente estreno interesse ambientale piuttosto terazione idrotermale con formazione di minerali argillosi e zeoliti (stilbite-Ca, cabasite-Ca, laumontite e yugawaralite). La presenza dell’ultima specie citata, decisamente rara, è al momento esclusiva in tutto l’arco alpino. Secondo gli studi sperimentali, disponibili in letteratura ed effettuati sui campi di esistenza dei minerali di alterazione idrotermale, le paragenesi mineralogiche trovate in Val Piana indicano condizioni di formazione a profondità di poche centinaia di metri e temperature variabili tra circa 130 e 200 °C. Tali temperature testimoniano l’esistenza di un campo geotermico fossile, messo in luce dall’erosione. L’ambiente di formazione delle minera- lizzazioni ed il loro contesto geologico-strutturale appaiono in buon accordo con il significato, attribuito alla Linea della Forcola, di faglia di denudamento tettonico. Le aperture prodotte da questo tipo di faglie possono facilmente interferire con sistemi profondi di circolazione idrica: lo stesso processo e tipo di mineralizzazioni si osservano anche presso le fratture connesse alla Linea del Sempione (corrispettivo della Linea della Forcola, al margine occidentale del Duomo Lepontino). Questo itinerario, faticoso ma prodigo di soddisfazioni, è consigliabile ad escursionisti con un minimo di pratica di montagna, discreto allenamento fisico e abbigliamento adeguato. Geositi della Provincia di Sondrio 45 10 Cave di Riva Motivo di interesse scientifico primario: petrografico Motivi secondari: strutturale mineralogico geomorfologico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Callegari E. & Monese A. (1961) - Studio petrogenetico dei bordi di reazione metamorficometasomatici attorno a lenti ultrafemiche incluse nel granito di S. Fedelino. Rend. Soc. Min. It. 17, 147-192. 46 Geositi della Provincia di Sondrio Sopra Novate Mezzola, paese posto all’imbocco della Valchiavenna, la cornice di un fitto bosco di castagni lascia ben presto il posto a quella più severa della nuda roccia, il granito che, in questa zona, l’uomo ha piegato al suo servizio: si tratta, infatti, del San Fedelino, qualità pregiata che ha determinato, in passato, l’apertura di numerose cave. Il sentiero che sale in Val Codera è qui scavato proprio nel granito, e solo così può scavalcare la forra terminale della valle, che precipita, selvaggia, per circa 300 metri, sul fondo del Torrente Codera. La presenza di litologie granitiche ha conferito ai versanti montuosi un’asprezza e un’acclività insoliti anche per lo standard valtellinese. Una tale energia di rilievo determina una condizione di rischio diffuso rispetto a fenomeni di crollo e scivolamento in roccia, motivo per cui è stata cura della Regione Lombardia eseguire una valutazione della pericolosità del territorio anche attraverso modellazioni tridimensionali dei versanti, che permettono – ad esempio – di applicare modelli matematici di simulazione di caduta massi, o di evidenziare settori particolarmente critici sui quali è prioritario effettuare interventi di mitigazione del rischio. Le cave di Riva rappresentano un’area estrattiva oggi in fase di ridotta attività, ma rimangono un sito privilegiato per l’osservazione del Granito di San Fedelino (Novate Granit) ed i suoi rapporti con l’incassante. La località presenta un notevole interesse petrologico e mineralogico, in quanto sono stati studiati i processi metasomatici legati alla trasformazione di rocce ultrafemiche a composizione peridotitica. Tali processi hanno originato aggregati fibrosi grigioverdi di antofillite, un minerale appartenente alla famiglia degli anfiboli (Callegari & Monese 1961). In affioramento, il Granito di San Fedelino si presenta con la sua caratteristica struttura olocristallina minuta e compatta: si distingue da molti altri intrusivi alpini per la coesistenza di abbondanti biotite e muscovite, da cui la definizione di “granito a due miche”. Novate Mezzola In alto a sinistra: la cava di Riva sopra l’abitato di Novate Mezzola vista dalla Val Codera In basso a sinistra: massi granitici attraversati da sciami di filoni aplitici A destra: studio morfometrico sull’area delle Cave di Riva tramite DTM Questo carattere mineralogico è un indicatore dell’eccesso di alluminio rispetto ad un granito comune (granito di tipo A, dove “A” sta per “Andino”), fattore che a sua volta indica una probabile origine del fuso per anatessi crostale (tipica dei graniti di tipo S, dove “S” sta per “sedimentario”, dei quali il San Fedelino è considerato un esempio tipico). L’eccezionale omogeneità del granito in gran parte della sua area di affioramento ne ha fatto uno standard internazionale, adottata in molti laboratori di scienza dei materiali in Italia e all’estero, per misurare il cosiddetto coefficiente relativo di abrasione in condizioni di usura per attrito radente. Solo in prossimità dell’incassante, il granito rivela volubili giochi di intersezione con filoni bianchissimi di aplite, o ingloba inclusi ultramafici di colore scuro. In basso a destra: lembi di ultramafite incassante, inglobati nel granito Geositi della Provincia di Sondrio 47 11 San Giorgio Motivo di interesse scientifico primario: mineralogico Motivi secondari: paesistico paleoantropologico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Le pendici occidentali del grande plutone del Masino-Bregaglia sono incise da due imponenti solchi vallivi che, in direzione NE-SO, scendono dal cuore del gruppo raggiungendo le rive del Lago di Novate Mezzola. Le due valli hanno un decorso quasi parallelo, ma si differenziano notevolmente soprattutto per quanto riguarda l’ambiente naturale. A Sud la lunga e verdeggiante Valle dei Ratti offre vasti panorami ricchi di boschi e pascoli. Poco più a Nord, invece, nella interminabile Val Codera, roccia e vegetazione sembrano divedersi equamente gli spazi. L’imbocco della valle è costituito da una profondissima forra scavata da torrente nel granito vivo, con pareti alte alcune centinaia di metri. Da qui, all’altezza della località nota come “i Barach”, raggiungibile in auto da Novate Mezzola, parte una stradina che costeggia il torrente e che in pochi minuti porta all’imbocco del sentiero per il piccolo villaggio di San Giorgio Novate Mezzola di Cola che sorge invisibile sul sommo della rupe. I motivi di interesse del sito, che ripaga ampiamente la salita a tratti faticosa, sono molteplici, a cominciare dall’aspetto architettonico ed etnografico: a un passato remoto, testimoniato dall’organizzazione edilizia e, in forme più misteriose e suggestive, dai massi avelli, si sovrappone bizzarramente una modernità rappresentata dalla fermata dell’elicottero di linea nella piazza principale! San Giorgio è anche sito di interesse geomorfologico, in quanto punto panoramico di prim’ordine sulla bassa Valchiavenna ed in particolare sulla riserva naturale Pian di Spagna e Lago di Mezzola; assume una notevole importanza dal punto di vista mineralogico e petrografico, anche in quanto sede storica di attività di cava del granito (illustrata nelle strutture museali di Novate Mezzola e frazioni); infine, rappresenta un punto di sosta ideale lungo il Sentie- ro Tracciolino. Tagliato a mezza costa ad una quota costante di circa 915 m s.l.m., il Tracciolino è stato realizzato negli anni ’30 del XX Secolo come comunicazione di servizio per gli impianti idroelettrici in Valle dei Ratti e Val Codera. Le condizioni di affioramento pressoché continue, assieme alle caratteristiche di lungo ed articolato belvedere sospeso sul Piano di Chiavenna, favoriscono l’osservazione degli aspetti geologici e geomorfologici più rappresentativi di questa regione. Lungo le pareti rocciose tagliate dal Tracciolino presso San Giorgio affiorano lenti di calcefiri, nelle quali sono presenti cristalli pluricentimetrici idiomorfi di grossularia (un granato ricco di calcio e alluminio) con abito rombododecaedrico e colore aranciato, immersi nella calcite oppure nel quarzo vitreo bianco, associati talora a diopside e spinello in cristalli neri ottaedrici (Repossi, 1917). In alto: scorcio del suggestivo sentiero che conduce a San Giorgio. Sotto: il piccolo villaggio di San Giorgio sorge invisibile in una splendida conca verde A sinistra: l’avello di San Giorgio è il segno dell’antica colonizzazione della parte iniziale della Val Codera Sopra: Grossularia presente nei calcefiri di San Giorgio A sinstra: spinello Repossi E. (1917) - La bassa valle della Mera, studi petrografici e geologici. Mem. Soc. Geol. It., 8, (I-II), 1-186, Roma. 48 Geositi della Provincia di Sondrio Geositi della Provincia di Sondrio 49 Cava di Fornaci di Nuova Olonio Motivo di interesse scientifico primario: geologia strutturale Motivi secondari: stratigrafico geominerario geomorfologico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione 50 Geositi della Provincia di Sondrio L’abitato di Nuova Olonio sorge sulla statale 36 all’imbocco della Valchiavenna. Qui sono di notevole interesse le pareti di una cava solitaria e ormai in disuso realizzata per l’estrazione di pietra da calce. Si possono osservare affiorare estesamente dolomie compatte, di aspetto granuloso o brecciate, di colore grigio chiaro; più raramente di colore grigio scuro, a tessitura minuta e omogenea, che solo all’esame microscopico rivelano la presenza di piccole cavità riempite da minerali secondari. È frequente una minuta dispersione di cristalli maggiori di un millimetro di pirite ossidata. L’ammasso roccioso si presenta attraversato da numerosi sistemi di frattura, alcune delle quali riempite da vene di alabastro. La giacitura degli strati, riconoscibile solo sul lato Nord della cava, è sottolineata da giunti millimetrici di pelite rossastra: gli strati, decimetrici e planari, immergono ripidamente verso Nord e sono deformati da un minimo piegamento. La giacitura concorda con l’andamento generale della stratificazione nell’intero lembo sedimentario di Dubino-Nuova Olonio, che mediamente immerge verso Nord con inclinazione prossima ai 70°. Per pura analogia litologica l’affioramento è attribuito alla Dolomia Principale (v. carta geologica), ma in assenza di qualsiasi riscontro paleontologico conclusivo; l’attribuzione tiene conto soprattutto della vasta distribuzione areale della Dolomia Principale nei domini Sudalpino e Austroalpino. Muovendo dalla cava verso Nord per circa 50 m, in un piccolo solco percorso dalle acque di scorrimento (impluvio) che ne biseca due più grandi, si osserva il limite tra le suddette dolomie e metamorfiti alpine, ricche di biotite, staurolite e granato, attribuibili agli “Scisti del Tonale”, Austroalpino Superiore. Dal momento che le metamorfiti a Sud delle dolomie presentano un’evoluzione metamorfica del tutto diversa (picco di metamorfismo varisico in facies anfibolitica, anchimetamor- Dubino scala del versante è notevole: la faglia presenta un decorso parallelo al fondovalle, circa 500 m al di sopra della quota media della piana alluvionale dell’Adda, e la sua intersezione con il versante è delineata da un allineamento di selle e contropendenze, da considerare inattive e legate esclusivamente all’erosione differenziale dei litotipi cataclasati lungo lo specchio di faglia. A sinistra: la cava di Fornaci sopra l’abitato di Nuova Olonio. fismo alpino), il contatto tra il lembo sedimentario di Dubino-Nuova Olonio non metamorfosato durante l’Orogenesi Alpina - e le metamorfiti dell’Austroalpino Superiore, è interpretato come l’espressione in affioramento del Lineamento Periadriatico (“Linea Insubrica” o “Linea del Tonale”), la più importante faglia regionale che attraversa il tratto italiano dell’arco alpino. La faglia giustappone il Dominio Sudalpino, non metamorfosato - se non a bassissimo grado - durante l’Orogenesi Alpina, con le unità pennidiche e austroalpine, che invece registrano un metamorfismo alpino fino alla facies eclogitica (Falda Adula). Alla faglia sarebbero associati rigetti plurichilometrici sia in senso verticale, con risalita relativa del blocco settentrionale, sia in senso trascorrente destro. L’evidenza morfologica della faglia alla In basso: vista panoramica della cava: nella morfologia del versante si evidenzia (a destra) il piano di discontinuità rappresentato dalla Linea Insubrica. SUDALPINO 12 DOLOMIA PRINCIPALE (NORICO) SUCCESSIONE INFRA-E MEDIO-TRIASSICA INDIFFERENZIATA SUCCESSIONE PERMIANA (?) DI DUBINO UNITA’ METAMORFICHE AUSTROALPINE LINEAMENTO PERIADRIATICO (“LINEA INSUBRICA”) Geositi della Provincia di Sondrio 51 13 Pian di Spagna Motivo di interesse scientifico primario: geomorfologico Motivi secondari: sedimentologico naturalistico paesistico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Altri vincoli che insistono nell’area: Riserva naturale Pian di Spagna (SIC-ZPS) Agostoni S., Laffi R. & Sciesa E. (1997) – Centri Abitati Instabili della Provincia di Sondrio. Pubbl. CNR-GNDCI 1580, Arti Grafiche Vertemati, Vimercate, 59 pp. + 86 schede. 52 Geositi della Provincia di Sondrio Piano presso la confluenza dei fiumi Adda e Mera, costituito prevalentemente ed in superficie dai sedimenti alluvionali deposti da entrambi. Attualmente il delta sviluppatosi principalmente lungo la direttrice Est-Ovest del Fiume Adda separa, di fatto, il Lago di Como dal Lago di Novate Mezzola: tuttavia, in un passato nemmeno troppo remoto, la situazione geografica era ben diversa, con un Pian di Spagna molto meno sviluppato (per cui più arretrato verso Est) e con i due laghi in sostanziale continuità. Inoltre, la propaggine settentrionale del bacino lacustre si spingeva talmente a Nord da inglobare l’area dell’attuale “Pozzo di Riva”, sotto l’abitato di Novate, e lambire l’abitato di Samolaco, che deve il suo nome alla locuzione latina summus lacus (“cima del lago”). Attualmente il ruolo è stato “usurpato” (peraltro a buon diritto, vista l’evoluzione morfologica che i luoghi hanno subito nel frattempo) da Colico, il cui nome sembra richiamarsi al dialetto lombardo (co’ del lac) più che al latino. Lo scenario di un Lago di Como esteso sino a Samolaco è documentato anche dalla cartografia storica, dove il Lago di Mezzola appare ancora privo di identità separata nonostante esistesse già il forte spagnolo di Fuentes, seicentesco. Non sfugge all’osservatore attento come l’area conservi traccia della dominazione spagnola sotto forma di una teoria di toponimi riconoscibilissimi: oltre agli ovvi Pian di Spagna e Fuentes, vale la pena di ricordare come in carte pre-seicentesche il toponimo di Verceia si scrivesse “Vercella”, e sia stato presumibilmente storpiato a causa della pronuncia della “ll” spagnola. Per i suoi caratteri di naturalità floristica e faunistica, l’area del Pian di Spagna è stata anche individuata come zona umida di interesse internazionale ai sensi della Convenzione di Ramsar, come Riserva Naturale regionale (d.c.r. 1913 del 19/12/1984) e come Zona a Protezione Dubino - Piantedo In alto a sinistra: il Pian di Spagna visto da Dascio, grazioso borgo che si trova sulle rive di una diramazione meridionale del lago di Mezzola Speciale nell’ambito della Rete Natura 2000 (IT 2040022). Il paesaggio vegetale è dominato da canneti a cannuccia di palude; si segnalano inoltre boschi misti di latifoglie, ampie zone agricole adibite a pascolo o appezzamenti a mais. Il vero patrimonio della Riserva è, però, costituito dall’avifauna, sia nidificante sia, soprattutto, migratoria. Fra migratori e stanziali sono stati osservati uccelli appartenenti a 200 specie diverse, delle quali 24 acquatiche. Rispetto al perimetro della ZPS, che tutela il sistema lacustre e la piana alla base delle pareti che la cingono, è opportuno che il geosito includa anche i rilievi a Ovest del lago, alle pendici del Monte Berlinghera, ed un limitato settore a Sud dell’Adda. In particolare, includendo il Piano di Còlico, con i rilievi del Montecchio Nord e Monteggiolo, dove affiorano miloniti insubriche, il geosito offrirebbe numerosi aspetti d’interesse geomorfologico e petrografico, un percorso culturale quale la “Via Franci- In alto a destra: le propaggini settentrionali del Pian di Spagna viste dalla Valle dei Ratti In basso: il Pian di Spagna visto dal Monte Combana Geositi della Provincia di Sondrio 53 13 A sinistra: dal Pian di Spagna la visione sullo sbocco della Val Codera e della Valle dei Ratti. In alto spicca (a destra nella foto) il quadrangolare massiccio del Sasso Manduino A destra: l’insenatura di Dascio In basso a sinistra: cartina “storica” della Valtellina, dove si vede un Pian di Spagna ben più piccolo in un periodo in cui già esisteva il forte spagnolo di Fuentes In basso a destra: la foce della Mera sca” e, all’estremità meridionale, il sito storico del Forte di Fuentes, sulla sommità del Monteggiolo: entrambi sono, tra l’altro, eccellenti punti panoramici. A meno di un km dal Forte, in direzione Est presso l’attuale centro abitato di S. Agata, si trovava l’insediamento preromano di Aneunia, in seguito Olonium (infine Olonio, centro abitato definitivamente distrutto nel 1443 da un even- 54 Geositi della Provincia di Sondrio to franoso e sostituito da Nuova Olonio: Agostoni et al., 1997), oggetto di ricerche archeologiche e preziosa testimonianza del rapporto tra l’uomo ed i processi di dinamica fluviale, nel settore della confluenza Mera/Adda. Anche l’insediamento dei Crotti di Vico (Verceia), in un contesto morfologico unico in Valchiavenna, meriterebbe tutela come luogo d’interesse etnografico. Geositi della Provincia di Sondrio 55 14 Lago di Trona Motivo di interesse scientifico primario: paleontologico Motivi secondari: stratigrafico sedimentologico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Altri vincoli che insistono nell’area: Parco delle Orobie Valtellinesi Gerola Alta Il sito paleontologico è ubicato alla testata della valle di Trona, in Valgerola, pochi metri al di sotto della linea di cresta che corre dal Pizzo di Trona - il quale emerge dalle acque del Lago Rotondo, residuo delle grandi glaciazioni quaternarie che si caratterizza per non avere immissari visibili e neppure si notano ghiacciai che lo alimentano - al Passo Bocca di Trona, ad Est della Cima di Giarolo (2344 m). La strada che porta in Valgerola, la provinciale 405, percorre il versante occidentale della stessa iniziando da Morbegno e passando per numerosi paesi aggrappati ai ripidi fianchi della montagna: Rasura, Pedesina, Gerola Alta sono i più importanti, fino ad arrivare a Pescegallo. Lasciate le auto presso il piazzale della seggiovia di Pescegallo, si imbocca un sentiero che si inerpica lungo un itinerario molto suggestivo tra le aspre architetture della testata della Valgerola, in un ambiente decisamente solitario e selvaggio, sino ad arrivare al sito in oggetto, costituito da un unico livello di argilloscisti grigio-nerastri, potente circa una trentina di centimetri e con immersione a SE, un antico canale da sabbioso a siltoso. Tale livello, a forma di lente, è esposto per qualche decina di metri quadrati e risulta intercalato tra due banchi metrici di arenarie grossolane grigio-nocciola chiaro. L’alternanza argilloscisti-arenarie si ripete per molte decine di metri sia a letto che a tetto del livello fossili- In alto: lo splendido Lago Zancone dalle verdi acque In basso: le aspre forme del Pizzo di Trona sovrastano l’omonimo lago A destra: Cassinisia orobica, olotipo Il comodo sentiero che conduce sulle sponde del Lago di Trona 56 Geositi della Provincia di Sondrio Geositi della Provincia di Sondrio 57 14 Sullo sfondo la testata della Valle di Trona, dove è ubicato il sito paleontologico Il Lago Rotondo, autentica gemma della desolata conca che lo circonda. Il lago si caratterizza per non avere immissari visibili A sinistra: ricostruzione di Cassinisia orobica (da Kerp et al., 1996) A destra: esemplari di Cassinisia orobica custoditi presso il Museo di Morbegno (ritrovamento: G.Perego) fero; lo spessore degli argilloscisti risulta mediamente ridotto a qualche centimetro. Gli schemi dei rapporti stratigrafici fra le unità permiane nell’area indicano il rientro, a più livelli dei conoidi alluvionali, del Conglomerato del Ponteranica nei bacini lacustri della Formazione di Collio s.s.. Di tale rapporto è visibile un esempio lungo la dorsale a ONO dell’affioramento fossilifero. Entro una di queste modalità di deposizione dei sedimenti, che si realizza quando in tempi successivi si depongono corpi sedimentari parzialmente sovrapposti in posizione sempre più lontana rispetto alla sorgente dei sedimenti stessi, si rinvengono i resti fossili di Cassinisia orobica. I fossili si ritrovano caoticamente disposti e tra loro ammassati senza però pre- 58 Geositi della Provincia di Sondrio sentare tracce di usura per trascinamento o rotolamento. Contrariamente alla conservazione bidimensionale per compressione di tutti i macroresti vegetali sinora ritrovati nella Fm. di Collio s.l., e presenti anche in alta Val Gerola, i resti di C. orobica sono modelli tridimensionali, apparentemente non deformati, costituiti da siltiti grigiastre, a cemento carbonatico, e/o sparite. Tali modelli, privi di strutture organiche, corrispondono quasi unicamente a porzioni terminali di assi vegetativi (anche ramificati) e sono contenuti in voluminosi “mani- cotti” calcarei grigio-nerastri, che altro non sono che strutture stromatolitiche, ovvero di origine fossile, di dimensioni variabili tra 5 e 20 cm. La modalità di fossilizzazione è unica ed è stata studiata da Freytet et al. (1996). Tali resti vegetali appartengono sicuramente ad una conifera di età permiana, ma per le peculiari caratteristiche morfologiche non hanno trovato collocazione in alcun taxon di quelli tardopaleozoici conosciuti. Pertanto, sono stati proposti un genere ed una specie nuovi: Cassinisia orobica Kerp et al., 1996. Freytet P., Kerp H. & Broutin J. (1996): Permian freshwater stromatolites associated with the conifer shoots Cassinisia orobica Kerp et al. - a very peculiar type of fossilization. - Rev. Palaeobot. Palynol., 91: 85-105. Kerp H., Penati F., Brambilla G., Clement-Westerhof J.A. & Van Bergen P.F. (1996): Aspects of Permian palaeobotany and palynology. XVI. Threedimensionally preserved stromatolite-incrusted conifers from the Permian of the western Orobic Alps (northern Italy). - Rev. Palaeobot. Palynol. 91: 63-85. Geositi della Provincia di Sondrio 59 15 Conoide del Tartano Motivo di interesse scientifico primario: geomorfologico Motivi secondari: sedimentologico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione 60 Geositi della Provincia di Sondrio Il Torrente Tartano nasce dalla confluenza dei torrenti di Val Corta e Val Lunga in Val Tartano: con una corsa complessiva di 14 chilometri, distribuita su 1835 metri di dislivello, il torrente si getta nella piana di fondovalle confluendo nell’Adda poco a monte dell’abitato di Talamona, fiorente paese della Bassa Valtellina lambito dalla statate 38 dello Stelvio. La conoide che il torrente forma al suo sbocco nella piana, in corrispondenza dell’improvvisa diminuzione di pendenza, è unica in Valtellina non tanto per le sue dimensioni, non eccezionali con i suoi 190 ha = 1.9 km2, o per la sua simmetria, non perfetta, quanto per il suo elevatissimo grado di attività recente: la granulometria ciclopica dei detriti, l’ampiezza dei canali distributori attivi e la discontinuità della copertura vegetale ne fanno uno dei migliori esempi di conoide valliva attiva non solo in Lombardia, ma nell’intero arco alpino. L’ultima fase di attività parossistica della conoide ha coinciso con l’evento alluvionale del 1987, quando il considerevole trasporto solido ha provocato un innalzamento generalizzato (aggradazione) della conoide. In seguito all’evento sono stati realizzati interventi di sistemazione idraulica. Alcuni spaccati, artificiali e naturali, consentono di effettuare interessanti osservazioni sedimentologiche sull’architettura del deposito. In rari casi è possibile riconoscere un’alternanza di ghiaie grossolane e angolose, relativamente pulite data la scarsità di matrice limoso-sabbiosa, e di sabbie ciottolose con rozze laminazioni parallele; questi sedimenti si organizzano, più che in strati regolari, in lenti grossolane, compatibilmente con una dinamica alluvionale di alta energia dominata dai processi di trasporto in massa e flusso granulare. Sia in depositi relativamente antichi, esposti in spaccati trasversali, sia in depositi recentissimi esposti a piano campagna, è possibile apprezzare l’embricazione dei ciotto- Talamona A sinistra: l’estesa conoide del Tartano è uno dei migliori esempi di conoide valliva attiva nell’intero arco alpino In alto a destra: un’immagine della conoide durante l’alluvione del 1987 In basso a destra: la conoide visto dalla Colmen di Dazio li che si accavallano l’uno sull’altro nel verso della corrente e, in rari casi, veri e propri “depositi setaccio”, barre di blocchi grossolani che hanno trattenuto accumuli di ghiaia più fine, impedendone il deflusso. Dal punto di vista naturalistico-ambientale l’area presenta particolare interesse per la vegetazione forestale presente sulla conoide. I successivi spostamenti a “tergicristallo” dell’alveo attivo del torrente Tartano nel corso degli anni, hanno favorito la coesistenza di formazioni forestali a diverso grado di evoluzione, in genere sviluppate su suoli di spessore esiguo. WWF-Italia nel 1997, per le peculiarità ambientali del sito, ha proposto che esso venga tutelato come Parco Sovracomunale. In basso a sinistra: embricazioni da corrente nei ciottoli che riempiono i canali attivi Geositi della Provincia di Sondrio 61 16 Val di Mello e Sasso di Remenno Motivo di interesse scientifico primario: geomorfologico Motivi secondari: petrografico sedimentologico paesistico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Camanni E. (1998) – Nuovi Mattini. Il singolare sessantotto degli alpinisti. Vivalda, Torino. Dickinson W.R. (1985) – Interpreting provenance relations from detrital modes of sandstones. In: Zuffa, G.G. (Ed.) Provenance of arenites. Dordrecht, Reidel, NATO ASI Series, 148, 333-361. 62 Geositi della Provincia di Sondrio Una delle più classiche e belle gite che si possono fare in Valtellina, partendo da San Martino in Val Masino lungo la provinciale n. 404 che si stacca dalla statale 38 all’altezza di Ardenno, è quella che percorre la Val di Mello attraverso uno degli angoli più spettacolari di tutte le Alpi. La gita è di quelle “tutto riposo” adatte a comitive numerose e a famiglie. La Val di Mello è interamente intagliata nel plutone cenozoico del Masino-Bregaglia - Bergell Granit o Bergell Granodiorite nella letteratura in lingua tedesca - che presenta due litologie dominanti: il serizzo, una tonalite orientata a grana minuta che tende a disporsi ai margini del plutone, ed il ghiandone, una granodiorite a grossi cristalli ben definiti di feldspato potassico che occupa prevalentemente il nucleo del corpo roccioso. L’azione combinata della gravità e dell’erosione glaciale, estremamente attiva sino all’ultimo massimo glaciale (LGM, ~ 15.000 anni fa) e ormai soltanto residuale, ha conferito alla valle un aspetto quanto mai suggestivo e di grande valore scenico. Aspri dirupi, intagliati nelle nude pareti di granito, si affacciano spesso verticali sugli accumuli di frana e sulle estese coltri di detrito di versante ad essi intervallate; la larghissima spaziatura dei sistemi di fratture che interessano gli ammassi rocciosi e la tenacia dei litotipi hanno fatto sì che le frane coinvolgessero blocchi di dimensioni ciclopiche, come il Sasso Remenno. Situato in Val Masino, a circa 1.5 km a valle dell’imbocco della Val di Mello, è un unico, enorme masso con dimensioni approssimative di 100 m di lunghezza per 55 di larghezza per 35 di altezza: con i suoi circa 180.000 m3 di volume, rappresenta probabilmente il più grosso masso di frana noto nell’intero arco alpino. L’esposizione di rocce unicamente granitoidi fa sì che il detrito alluvionale sia monolitologico e che la frazione sabbiosa di questo si avvicini alla composizione dell’arkose ideale (Dickinson 1985). Val Masino A sinistra: spaccato della splendida Val di Mello e del Monte Disgrazia A destra: arrampicata sulla via Luna Nascente con vista su Cascina Piana In basso un momento della manifestazione di Melloblocco, raduno internazionale dei “sassisti”. La natura litologica della zona, caratterizzata da una roccia molto compatta ed idonea all’arrampicata in aderenza, fanno della Val di Mello una delle destinazioni più affascinanti per gli arrampicatori Geositi della Provincia di Sondrio 63 16 Precipizio degli Asteroidi Qt * Serie delle arenarie di catena collisionale Arkose “ideale” F bie di b * Sab Provenienza da catene a falde continentali Serie delle arenarie di bacino d'avampaese Sabbie attuali della Val di Mello (analisi quantitative: Giovanni Vezzoli) loc co con t Provenienza da complessi di subduzione oceanici ine nta le Sabbie quarzose cratoniche * * Ser vulc ie dell ano e sa -plu bbie ton iche Sabbie vulcanoclastiche di arco riodacitiche andesitiche L Da segnalare anche le Cascate della Val del Ferro, un suggestivo scivolo in roccia che il torrente, proveniente dalla Casera del Ferro a 1658 m s.l.m., è costretto a percorrere a precipizio, con pendenze medie del 100% - intervallate, peraltro, da tratti subverticali – ed un salto complessivo di oltre 200 m. Durante l’inverno la cascata ghiaccia e si trasforma in una difficilissima palestra di arrampicata per i rocciatori più esperti. Non ultima, tra le attrattive della valle, una suggestiva toponomastica dei picchi rocciosi - es. “Precipizio degli Asteroidi”, “Stella Marina”, “Tempio di Eden”, “Scoglio delle Metamorfosi”, “Sperone degli Gnomi” - spesso imposta non dai topografi del Regno d’Italia ma, a partire dagli anni ’70, dai numerosi free-climbers, Ivan Guerini in testa, che hanno frequentato e frequentano la valle - ribattezzata a proposito “la piccola Yosemite” - e le sue falesie (Camanni, 1998). 64 Geositi della Provincia di Sondrio Nella pagina alcune suggestive immagini della Val di Mello In alto da sinistra: aspetto macroscopico del “Ghiandone”, qui attraversato da un filone aplitico In alto: Cascate del Ferro In basso: Sasso di Remenno Geositi della Provincia di Sondrio 65 17 Piramidi di Postalesio Motivo di interesse scientifico primario: geomorfologico Motivi secondari: paesistico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Altri vincoli che insistono nell’area: Riserva naturale Piramidi di Postalesio Tuia T. (1984) Piano della riserva Naturale “Piramidi di Postalesio” - Relazione Geologico-Geomorfologica. 66 Geositi della Provincia di Sondrio Da Postalesio, comune che si trova sul versante retico mediovaltellinese fra Berbenno di Valtellina, ad Ovest, e Castione Andevenno, ad Est, una strada che si arrampica alle spalle del paese porta a uno dei maggenghi del comune, detto “il Prato”, a 743 metri, situato in una zona morenica molto interessante. Si tratta di una riserva naturale nella quale si può osservare un fenomeno geomorfologico insolito e senz’altro raro nelle nostre valli, le cosiddette “piramidi d’erosione”, denominate in questo luogo “Piramidi di Postalesio”. Il sito delle “Piramidi di Postalesio” si trova in un’area di impluvio del Torrente Caldenno, un tributario sinistro del Fiume Adda. Si tratta di una valle di origine glaciale successivamente modellata dall’azione erosiva del corso d’acqua che, grazie a particolari condizioni geologiche e climatiche, ha dato origine a questa evoluzione morfologica piuttosto rara ed interessante. Le piramidi sono strutture eleganti ricavate nel deposito glaciale dal lavoro nei secoli dei torrenti selvaggi e delle piogge che hanno consumato i materiali facilmente erodibili intorno, a esclusione di alte guglie disuguali e decorative, protette da altrettanti massi che hanno fatto da “cappello” ai sedimenti più fini sottostanti. Lo spettacolo è interessante e ha un suo fascino particolare, tanto più che queste pallide guglie si inquadrano in un paesaggio severo, profondamente trasformato e inciso dai fenomeni atmosferici. Guardando il sito più da vicino, mentre imponenti depositi morenici quaternari caratterizzano tutto il versante esposto a meridione, il bacino di erosione delle piramidi occupa una limitata area tra i 750 e 800 m s.l.m., impostato su uno dei due cordoni morenici ancora riconoscibili, il più recente dei quali si estende con orientamento NE-SO dalla località Postalesio piramidi crea inoltre un particolare microclima che permette lo sviluppo di un fitto bosco con la presenza contemporanea di specie di climi freddi (tra cui larice, abete rosso, abete bianco, pino silvestre) accanto a specie che prediligono climi più caldi. Pra’ Montesanto - dallo spiazzo pianeggiante di Pra Leone due deviazioni della strada portano rispettivamente a Ca Moroni e a Pra Montesanto - fino all’alveo del Torrente Caldenno. La posizione protetta del sito all’interno delle valle e le caratteristiche sedimentologiche del deposito hanno permesso il formarsi e il conservarsi di queste spettacolari piramidi di erosione e il sito ben si presta a descrivere la dinamica dei fenomeni erosivi. Ognuna delle sette piramidi ha una morfologia peculiare - sono rilevabili tre piramidi in via di formazione - e molti massi erratici subarrotondati, osservabili al piede del bacino di erosione, potrebbero appartenere a piramidi crollate negli ultimi decenni, la cui colonna detritica è stata velocemente dilavata. Le litologie dei massi sono prevalentemente micascisti della formazione della punta di pietra rossa, gneiss occhiadini del Dosso Cornin, membro della stessa formazione, e Gneiss del Monte Tonale. L’esistenza delle vallecole scavate tra le Il sito delle Piramidi di Postalesio. Le piramidi sono strutture eleganti ricavate nel deposito glaciale dall’azione del ruscellamento diffuso e concentrato che ha consumato i materiali facilmente erodibili intorno, a esclusione di alte guglie disuguali e decorative Geositi della Provincia di Sondrio 67 18 Dossi di Triangia Motivo di interesse scientifico primario: geologia strutturale Motivi secondari: petrografico geomorfologico paesistico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Boriani A., Bini A., Berra F., Cariboni M., Ferrario A., Mazzoccola D., Migliacci Bellante R., Ronchi A., Rossi R., Rossi S., Papani L., Sciesa E. & Tognini P. (2008) – Note Illustrative della Carta Geologica d’Italia alla scala 1:50.000 - Foglio 056 “Sondrio”. APAT-Servizio Geologico, in stampa. Venzo S., Crespi R., Schiavinato G. & Fagnani G. (1970) – Carta Geologico-petrografica delle Alpi Insubriche valtellinesi tra la Val Masino e la Val Malenco (Sondrio). Mem. Soc. It. Sc. Nat. Mus. Civ. St. Nat 19, Milano. 68 Sondrio Castione Andevenno Geositi della Provincia di Sondrio L’assolato ripiano di Triangia si sviluppa alla destra idrografica del Torrente Mallero a pochi chilometri dall’abitato di Sondrio, ad un’altitudine media di circa 500 metri. Nonostante i versanti montuosi della Valtellina abbondino sia di ripiani a mezza costa, sia di rocce montonate, la combinazione di elementi strutturali e morfologici che si osserva nei pressi di Triangia è del tutto peculiare e forse unica. Sul ripiano, di superficie approssimativa di 35 ettari, si contano fino a 12 dossi di forma allungata, alti in media una decina di metri, lunghi mediamente dai 100 ai 450 metri e larghi da 20 a 60 metri, con un’ellitticità media pari a 8. I dossi presentano anche un elevato grado di parallelismo: gli azimuth della loro direzione presentano scostamenti modestissimi dalla media di 85°N. Da un punto di vista litologico i dossi sono caratterizzati dalla prevalenza di rocce metamorfiche scarsamente foliate, i cui protoliti sono interpretabili come pegmatiti di età imprecisata e probabili porfidi permiani: questi litotipi si raggruppano in una grande amigdala tettonica (amygdala = mandorla) di forma allungata, compresa tra più classiche facies metamorfiche foliate, attribuite alle formazioni degli Scisti di Edolo e degli Scisti del Tonale. L’amigdala tettonica, non rappresentata nella classica carta geologica di Venzo et al. (1970), è stata distinta all’interno del Foglio CARG 1: 50 000 “Sondrio” (Boriani et al., 2008). Da un punto di vista strutturale il contesto è quello del Dominio Austroalpino (margine adriatico interessato da metamorfismo alpino) in una posizione assai prossimale alla Linea Insubrica, che corre con direzione E-O lungo l’avvallamento che separa i dossi dall’abitato di Triangia. Gli enormi rigetti associati alla Linea Insubrica, sia nel senso della trascorrenza destra (che vari autori stimano nell’ordine dei 30-100 km), sia in senso verticale (stimato nell’ordine dei 5-20 km sulla base dei diversi In alto a sinistra: il Castello De Piro al Grumello, meglio conosciuto come Castel Grumello, che deve il suo nome al dosso roccioso (grumo) sul quale è stato edificato. Sullo sfondo il dosso di Triangia In basso a sinistra: Paul Klee, Strade principali e secondarie, olio su tela, 1929, Colonia, Museum Ludwig. Con l’imporsi di geometrie ricorrenti, il paesaggio di Triangia evoca all’occhio del visitatore schematismi tipici dell’arte cubista e astratta In alto a destra: l’assolato ripiano di Triangia gradi metamorfici dei domini Sudalpino e Austroalpino, direttamente giustapposti), hanno determinato una marcata deformazione duttile dei litotipi, che si sono assottigliati e stirati plasticamente (un processo noto in petrologia del metamorfico come trasposizione). Il modellamento glaciale ha fatto il resto, erodendo in modo differenziale un substrato roccioso già caratterizzato da discontinuità marcate, ravvicinate e pressoché perfettamente parallele alla Linea Insubrica. Le fasce incise in modo preferenziale coinciderebbero con litotipi più erodibili per natura mineralogica e/o per grado di fratturazione. Il risultato è un paesaggio inusuale e suggestivo, dove l’imporsi di geometrie ricorrenti evoca all’occhio del visitatore schematismi tipici dell’arte cubista e astratta. Può completare l’escursione, risalendo per pochi tornanti la strada che parte da Triangia, una visita agli affioramenti del Plutone di Triangia (una massa granitoi- A destra: Triangia nella cartografia tradizionale (sopra) e CARG (sotto): in quest’ultima, le metapegmatiti hanno trovato rappresentazione distinta de di età Cenozoica, legata allo stesso magmatismo periadriatico rappresentato, con volumi ben maggiori, dai Plutoni del Masino-Bregaglia e dell’Adamello) e al piccolo Lago di Triangia. Geositi della Provincia di Sondrio 69 19 Sasso Bianco Motivo di interesse scientifico primario: geologia strutturale Motivi secondari: petrografico geomorfologico paesistico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico 70 Castione Andevenno Postalesio - Torre S. Maria Geositi della Provincia di Sondrio Come per il geosito, precedentemente descritto, del Pian dei Cavalli – Alpe Gusone, anche in questo caso i motivi di interesse e di singolarità geologica dell’area derivano dalla presenza di micro-paesaggi carsici legati all’implicazione strutturale di lenti marmoree, di estensione ettometrica, all’interno di rocce metamorfiche intensamente deformate. Le rocce in questione appartengono alle unità degli Scisti del Monte Canale (Falda Bernina, Austroalpino) e ai Micascisti di Scermedone-Ciappanico (Zona Lanzada-Scermedone, Pennidico); le lenti marmoree intercluse sono da ricondurre plausibilmente a protoliti calcarei di età mesozoica, metamorfosati durante l’Orogenesi Alpina. Il Sasso Bianco, segnalato anche come Monte Arcoglio nella cartografia IGM, si raggiunge comodamente con automezzo adeguato da Postalesio, con un ultimo “strappo” a piedi di un certo impegno fisico. Con l’automezzo si raggiunge la conca occupata dal piccolo Lago di Colina, dove un’azienda zootecnica svolge la sua attività in una cornice particolarmente bucolica. La conca, di evidente modellamento glaciale, ospita tuttora un rock glacier (ghiacciaio di roccia). I versanti che chiudono la conca verso Nord evidenziano, nella volubilità delle morfologie e dei cromatismi, come nella insistita continuità laterale degli elementi strutturali del substrato roccioso, la presenza di un sistema di pieghe interno alle metamorfiti della Falda Bernina. Risalendo verso la sommità del Sasso Bianco, si incontrano via via più frequentemente in affioramento marmi saccaroidi di colore rosato e poi bianco; i marmi rosati presentano una maggiore dispersione di ferro ossidato, vuoi per un’originaria maggiore abbondanza di minerali ferrosi nel protolito, vuoi – più plausibilmente – per una maggiore circolazione di soluzioni ossidanti in prossimità dei contatti tettonici che delimitano la lente di marmo. Giunti in cima al Sasso Bianco, ecco uno scenario di grande effetto: un pianoro carbonatico, interessato da micromorfologie carsiche, si apre verso Nord consentendo di godere di uno sguardo d’insieme di rara bellez- A destra: il Sasso Bianco, posto a cavallo tra media Valtellina e Valmalenco. La cima - resa bianca dal marmo che la forma rappresenta un ottimo osservatorio su entrambe le valli A sinistra: la presenza di marmo, interessato da fenomeni di trasposizione (in alto), determina morfologie carsiche quali campi solcati e inghiottitoi (in basso) za sul Gruppo del Disgrazia, al cui piede affiora il fronte meridionale delle Serpentiniti della Valmalenco – tanto che i bruschi passaggi morfologici e vegetazionali che si osservano in panoramica appaiono condizionati più dalla natura dei litotipi che non dall’altitudine. In corrispondenza della cima del Sasso Bianco, un piccolo cocuzzolo isolato di marmo bianco rivela l’imbocco di una cavità carsica ipogea, che non risulta sia stata ancora esplorata a fondo, e che tuttavia è diventata, come altri luoghi singolari delle montagne valtellinesi, oggetto di una leggenda. Si dice, in particolare, che da qui parta un cunicolo misterioso, che si inoltra nel cuore più segreto della montagna e scende fino a Postalesio. D’altra parte, le brusche chiusure tettoniche della lente marmorea del Sasso Bianco, che ben difficilmente potrebbe estendersi a grande profondità, rendono geologicamente insostenibile questa ipotesi. In basso: il Monte Disgrazia visto dal pianoro carsico del Sasso Bianco. In primo piano nereggiano le Serpentiniti della Valmalenco (Costone Cassandra) Geositi della Provincia di Sondrio 71 20 Torbiera dell’ Alpe Palù Motivo di interesse scientifico primario: naturalistico Motivi secondari: geomorfologico paesistico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Aceti, A.A. (2007) – La variabilità climatica nell’Olocene: studio di torbiere e di ambienti di alta quota nelle Alpi italiane. Tesi di Dottorato, Univ. di Milano, 150. ERSAF & Regione Lombardia (2004) - Carta dei suoli della Lombardia in scala 1:250.000 United States Department of Agriculture (1998) - Soil taxonomy. http://soils.usda.gov/technical/ classification/taxonomy/ 72 Geositi della Provincia di Sondrio Le torbiere d’alta quota rivestono uno straordinario valore scientifico in quanto custodiscono una registrazione millenaria di evoluzione naturale e vicissitudini socio-economiche, nonché una notevole importanza pratica in quanto la loro capacità di assorbimento dei deflussi idrici limita il rischio di dissesti conseguenti ad eventi meteoclimatici estremi. Nonostante ciò, pochi altri ambienti naturali sono stati altrettanto deturpati, vuoi per l’opportunità di ricavarne combustibili a basso rendimento e – più recentemente – terra da giardinaggio, vuoi nell’intento di estendere gli appezzamenti coltivabili tramite bonifiche (Aceti, 2007). Il sito della torbiera dell’Alpe Palù si trova sopra il Rifugio Bosio, all’Alpe Airale, nel Comune di Torre di S. Maria. Lo si può raggiungere dalla località Ciappanico, su un sentiero che raggiunge l’Alpe Piasci e prosegue sul lato destro idrografico della Val Torreggio, fino alla bellissima piana che ospita il rifugio. Si può anche optare di salire, seguendo il sentiero che costituisce la prima tappa dell’Alta Via della Valmalenco, dalla località Musci (m 1000 circa), sulla strada sterrata che da Torre sale all’Alpe di Arcoglio (seguire l’indicazione “ai rifugi”), a Pra’ Fedugno e di qui, in breve, all’Alpe Piasci, proseguendo per l’itinerario sopra descritto. Si può anche seguire la strada (nel primo tratto asfaltata, poi sterrata) sopra citata, che però è chiusa al traffico per le persone non autorizzate. Anch’essa conduce all’Alpe Piasci e quindi al Rifugio Cometti (m 1780), dal quale si sale alla Bosio in un’ora e mezza circa. Una terza ed interessante variante è quella che prevede di staccarsi da tale strada prima di raggiungere l’Alpe Piasci, salendo fino all’Alpe di Arcoglio e da qui raggiungere il rifugio in un’ora circa. Il rifugio è, infine, raggiungibile anche da Chiesa in Valmalenco, percorrendo il sentiero per l’Alpe Lago (ore 3.00): si sale verso Primolo ma, prima di raggiungere la riden- Torre di Santa Maria In alto: tipici fiori da torbiera (Eriophorum scheuchzeri) spesso associati a muschi di sfagno. A destra: sezione pedologica verticale (profilo) realizzata in una torbiera d’alta quota. te frazione, ci si stacca, seguendo le indicazioni, dalla strada asfaltata, percorrendo una comoda sterrata (chiusa però al traffico per i non autorizzati), oppure un bel sentiero che sale nel bosco; in entrambi i casi si raggiunge l’Alpe Lago di Chiesa (un dolce pianoro anticamente occupato da un lago), la si oltrepassa sul lato destro per poi proseguire verso Sud-Ovest, fino al bivio per l’Alpe Mastabia, dove il sentiero piega decisamente verso Ovest, proseguendo, in lieve pendenza, fino all’Alpe di Airale, dove, superato un ponte posato recentemente dai cacciatori, si attraversa il Torreggio per raggiungere in breve il rifugio. La foto in mezzo a destra, realizzata sul sito, mostra una sezione pedologica verticale (profilo) realizzata in una torbiera d’alta quota che può essere presa ad esempio del patrimonio pedologico presente in ambienti simili della Regione Lombardia e del contesto alpino in generale. La sezione mostra un suolo costituito in prevalenza da materiali organici (torba), classificato come hydric histosol secondo il sistema tassonomico americano (USDA, 1998). Per definizione, un istosuolo presenta almeno 40 cm di spessore, negli 80 cm sommitali, A sinistra: la Torbiera dell’Alpe Palù. di componenti organici. Questi presentano un contenuto di carbonio organico (in peso) pari al 12-18%, a seconda del contenuto di argilla presente nel suolo. Il suolo costituisce l’elemento fondamentale del sistema torbiera con rischio d’interramento presente per fattori naturali, potenzialmente amplificato dall’intervento antropico e legato anche alle variazioni climatiche. Geositi della Provincia di Sondrio 73 21 Ruinon del Curlo Motivo di interesse scientifico primario: geomorfologico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione 74 Geositi della Provincia di Sondrio Con il nome “Ruinon del Curlo” viene comunemente chiamata un’estesa area di frana della Valmalenco che interessa le località di Curada e Ponte, in Comune di Lanzada, e le frazioni di Curlo e Pedrotti in Comune di Chiesa Valmalenco. I termini Rovinajo, Rovinone e Ruinon, riportati anche dalle cartografie storiche, non lasciano dubbi sulla “vocazione” dell’asta torrentizia per lo meno da cent’anni a questa parte. La frana del Ruinon del Curlo, posta sulle pendici meridionali del Monte Motta, occupa gran parte del piccolo bacino idrografico del torrente omonimo (poco più di 0,5 km2) che si sviluppa tra le quote di 2142 metri della cima del Monte Motta e quota 1000 metri in corrispondenza della confluenza del Ruinon con il Torrente Mallero. Nei settori settentrionale e occidentale del bacino affiorano serpentiniti e serpentinoscisti, mentre nel settore orientale sono presenti potenti depositi di copertura rappresentati principalmente da depositi fluvioglaciali e morenici sui quali è impostato il terrazzo glaciale di Ponte, antica soglia glaciale della valle del Lanterna, successivamente erosa. La secolare incisione torrentizia in atto ha posto in luce la potente sequenza di depositi fluvioglaciali e glaciali - massi, blocchi, ciottoli inglobati in ghiaie, sabbie e talora argille - e depositi morenici - massi, blocchi e ciottoli immersi in una matrice fine predominante - che formano il terrazzo morenico di Ponte. Del dissesto è ben visibile, dal fondovalle, la porzione superiore frastagliata e denudata che costituisce la testata della frana con uno sviluppo altimetrico tra le quote 1800 e 1300 metri circa e una larghezza massima fino a 200 metri. Al suo interno si riconoscono incisioni minori con diverso grado di attività e di copertura vegetale che hanno generato con il tempo un caratteristico paesaggio calanchivo nel quale sono abbozzate forme simili alle piramidi di terra. Il confronto tra la cartografia attuale e quella Chiesa in Valmalenco storica ha posto in evidenza un progressivo e costante arretramento negli ultimi 100 anni delle scarpate per effetto dell’erosione provocata dalle precipitazioni: il fenomeno ora si è praticamente arrestato sul fronte settentrionale, dove è visibile il contatto dei depositi con la roccia affiorante ed è quiescente sul fianco occidentale ove sono presenti depositi fluvioglaciali molto cementati più difficilmente erodibili. Alcuni studi geologici hanno ricostruito l’ipotetica superficie del terreno precedente l’innesco del fenomeno erosivo, evidenziando che le dimensioni attuali della frana sono dovute ad un’asportazione di materiale pari ad oggi a circa 5.000.000 di metri cubi. L’ipotesi che il fenomeno si arresti una volta raggiunto il nuovo profilo d’equilibrio dell’alveo, ovvero dopo un arretramento del ciglio dell’orlo di scarpata verso Est di altri 50 metri circa, significa che possono ancora depositarsi sul conoide circa 2 o 3 milioni di metri cubi di materiale sciolto. Con- In alto: il maggengo dell’Alpe Ponte in posizione di terrazzo sulla sponda soleggiata della conca di Chiesa in Valmalenco siderando velocità medie annue di regressione del ciglio tra 0,5 e 1 metro/ anno, la fine del fenomeno avverrà forse tra 150 anni. L’asta mediana del torrente non ha subito nel tempo significative evoluzioni: essa ha forma tortuosa e stretta, confinata tra le ripide pareti spondali ove sono localmente affioranti lembi di substrato o massi di origine fluvioglaciale entro copertura quaternaria e mantiene le funzioni di canale di scorrimento delle periodiche colate detritiche. Oltre la gola stretta del canale compare a valle il conoide asimmetrico formato dall’originario scaricatore glaciale, in parte inciso e in parte ricoperto da nuovi depositi. In mezzo a queste opere compare l’imponente “pennello” costituito da un’arginatura con grossi massi a lato dei parcheggi della piscina comunale e in mezzo ai prati che venne realizzato dopo l’alluvione del 1911 a protezione e deviazione dalle colate del Ruinon e del Mallero dalle abitazioni di Vassalini. In basso: ortofoto realizzate nel 1998 (sopra) e nel 2003 (sotto) Geositi della Provincia di Sondrio 75 22 Parco geologico di Chiareggio Motivo di interesse scientifico primario: petrografico Motivi secondari: mineralogico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Altri vincoli che insistono nell’area: Disgrazia - Sissone (SIC-ZPS) Canetta N. & Montrasio A. (1996) - Chiareggio. Il sentiero glaciologico della Ventina e il parco geologico della Valmalenco. Guide Natura Lyasis, 64. 76 Geositi della Provincia di Sondrio Nella comunità scientifica che esercita la sua attività nel sempre più vasto e interdisciplinare campo delle geoscienze, è andata crescendo, negli anni, la consapevolezza degli straordinari motivi di interesse geologico della Valmalenco. Tra questi la particolare natura dei litotipi affioranti, nei quali figurano le vestigia della litosfera oceanica di quella Tetide Alpina, di età mesozoica, dalla cui chiusura si sono originate le Alpi; l’abbondanza e varietà di morfologie glaciali e gravitative, testimonianza di processi di modellamento più recenti e in molti casi ancora attivi; la straordinaria simbiosi tra natura geologica del territorio e industria umana, evidente nelle diffuse, tradizionali attività di estrazione e lavorazione delle serpentiniti e dei litotipi associati. L’opportunità di istituire la Valmalenco a paradigma geologico delle Alpi, non solo italiane, è stata evidenziata da esperti autorevoli e un primo passo in questa direzione è indubbiamente rappresentato dal Parco Geologico di Chiareggio (Canetta & Montrasio, 1996). Realizzato dal CNR-IDPA di Milano in collaborazione con il Comune di Chiesa in Valmalenco e inaugurato nel luglio 2000, è un allestimento in massima parte a cielo aperto, strutturato in modo da richiamare con discrezione e semplicità scenari familiari a chiunque frequenti la montagna (massi sparsi su un pendio, piccoli fabbricati in pietra e legno): tuttavia, è proprio attraverso questi scenari che si offre, in modo accattivante, una proposta scientifica evidente nella minuziosa classificazione dei tipi petrografici (riportata su targhette metalliche applicate a ciascun masso) e nelle scenografiche interpretazioni geologiche, proposte dai coloratissimi pannelli illustrativi custoditi nella struttura coperta. Il cosiddetto “Percorso Litografico” si snoda lungo un comodo sentiero e consente di osservare circa sessanta esemplari di roccia che sono stati divisi in tre gruppi: le rocce della crosta continentale, della crosta oceanica e Chiesa in Valmalenco In alto a sinistra: il sito di Chiareggio in Valmalenco; sullo sfondo la Val Sissone In alto a destra e in basso a sinistra: massi di rocce intrusive e metamorfiche esposte a cielo aperto In basso a destra: struttura fissa del Parco Geologico della Valmalenco di Chiareggio. Il parco è stato allestito tra il gruppo di case della Corte e il Torrente Nevasco, su un’area di quasi due ettari messa a disposizione dal Comune di Chiesa in Valmalenco le rocce intrusive terziarie (che si sono formate successivamente, durante l’orogenesi vera e propria). Il sentiero termina in corrispondenza di un terrazzo su cui sono state collocate due grandi tavole che riproducono i paesaggi visibili alle spalle dell’abitato. L’immaginazione del visitatore è guidata nella rievocazione di processi geologici molto lontani dall’esperienza attuale in quanto ambientati in massima parte in un contesto riferito ai fondali oceanici e alle profondità terrestri sottostanti: è in virtù di tali processi che si sono prodotti i tipi rocciosi attualmente dominanti in Valmalenco, e che tali litotipi sono stati esumati sino a raggiungere la loro posizione attuale, al nucleo di una delle più importanti (e meglio studiate) catene montuose al mondo. Geositi della Provincia di Sondrio 77 23 Val Sissone Motivo di interesse scientifico primario: mineralogico Motivi secondari: petrografica Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Altri vincoli che insistono nell’area: Disgrazia - Sissone (SIC-ZPS) Bedognè F., Montrasio A. & Sciesa E. (1993) - I minerali della Provincia di Sondrio: Val Malenco. Ed. Bettini, Sondrio, 275. Montrasio A. (1990) - Itinerario n° 10 - Valmalenco. In Cita M.B., Gelati R., Gregnanin A. (Eds.), Alpi e Prealpi lombarde. Guide Geologiche Regionali, BE-MA Editrice, Milano, 291. Trommsdorff V., Montrasio A., Hermann J., Müntener O., & Spillmann P. (2004) - Carta Geologica della Valmalenco. Quaderni di Geodinamica Alpina e Quaternaria 8, CNR Milano. Ottenziali L., Fossati D., Padovan N., Presbitero M., Mannucci G., Gramaccioli C.M., Scaini G. & De Michele V. (1992) - Natura in Lombardia: i minerali. Regione Lombardia, Milano. 78 Geositi della Provincia di Sondrio La Val Sissone, tributaria della Valmalenco, costituisce il letto di un antico ghiacciaio che abbracciava tutto il circo di montagne comprese fra il Monte Disgrazia a SE e la Cima di Vazzeda a NO. Il complesso intrusivo granodioritico di età cenozoica della Val Masino ha prodotto nelle formazioni incassanti di questa valle importanti effetti di contatto testimoniati da una grande varietà di minerali, spesso ben cristallizzati, ricercati per anni dagli appassionati. Per accedere alla zona dal capoluogo di Chiesa in Valmalenco si percorre la provinciale 15 che risale la valle del Torrente Mallero fino alla frazione di Chiareggio. Poco oltre Chiareggio, dove termina la strada, si prosegue lungo la mulattiera che porta al Pian del Lupo e di qui ancora fino alle baite dell’Alpe Forbesina, in abbandono e diroccate a seguito degli eventi alluvionali che le hanno colpite nel 1951 e nel 1987. Ci si trova così all’imbocco della Val Sissone, percorsa da un corso d’acqua di tipo intrecciato il cui greto, largo localmente sino a 200 metri, è ingombro di massi di dimensioni da decimetriche a metriche. I massi rappresentano un ricco campionario delle rocce esposte sui fianchi e alla testata della valle, tra le quali senz’altro prevale la tonalite orientata, nota come Serizzo. Sono tuttavia ampiamente rappresentate anche le anfiboliti e gli gneiss minuti che rappresentano la parte volumetricamente più rilevante dell’incassante, oltre a quarziti e marmi. In alta valle le anfiboliti conservano, nonostante il metamorfismo e la deformazione alpina, chiare evidenze di un’originaria struttura a pillows, cioè a cuscini, dei protoliti basaltici (Montrasio in Cita et al., 1990). Questi ultimi devono perciò essere interpretati come effusioni subacquee, presumibilmente legate all’oceanizzazione della Tetide Alpina avvenuta a partire dal Giurassico Medio. Nella maggior parte dell’area di affioramento, tuttavia, la deformazione traspositiva che ha interessato le anfiboliti durante i processi metamorfici ha completamente cancellato le strutture originarie. Le quarziti, a tessitura minuta e com- Chiesa in Valmalenco In alto: la Val Sissone vista dalla Sassa d’Entova. Da sinistra si possono ammirare il Pizzo Rachele, il Cassandra, il Monte Disgrazia, il Passo di Mello, il Monte Sissone e l’elegante profilo della Cima di Vazzeda In basso: la parete nord del Monte Disgrazia vista dal sentiero che dalla Val Sissone porta al Rifugio Del Grande Camerini A destra: vista d’insieme del greto Geositi della Provincia di Sondrio 79 23 Ponte in località “Forbicina” all’imbocco della Val Sissone Minerali e rocce della Val Sissone: da ore 12 in senso orario, marmo dolomitico; granato; berillo; epidoto var. pistacite; quarzite ad anfibolo patta, possono presentare minuti aggregati di rutilo, anatasio e scheelite, mentre i marmi, più o meno dolomitici, si presentano di aspetto granuloso e particolarmente poveri di impurezze. Sono infine più rari, ma di estremo interesse mineralogico, i tipi rocciosi di seguito elencati, che derivano essenzialmente dall’aureola di contatto e dal corteggio filoniano del corpo roccioso. Pegmatiti: contengono berillo da celeste ad azzurro carico, quarzo ialino, granato almandino, allanite, titanite, zircone verdastro o bruniccio, tormalina nera, molibdenite e rarissima columbite. Calcefiri a spinello: è caratteristico lo spinello in ottaedri di colore nero, verde o viola associato a calcite spatica e flogopite violacea o verde chiaro. Calcefiri a vesuviana e grossularia: comprendono granato (grossularia), in cristalli di dimensioni anche ragguardevoli e colore assai variabile, e vesuviana in granuli sparsi, in un una matrice di calcite spatica in cui sono dispersi aghetti di tremolite; figurano come accessori gli 80 Geositi della Provincia di Sondrio epidoti zoisite e allanite. Granatiti: domina un granato roseo (varietà hessonite) in una matrice di calcite spatica o quarzo, associato a epidoto (pistacite) in cristalli prismatici e diopside verde scuro. Epidotiti: è caratteristica la pistacite in cristalli prismatici lunghi anche parecchi centimetri, di colore verde, associata a titanite, albite e solfuri metallici (pirite, calcopirite e antimonite). Calcefiri a pirosseno: oltre al diopside e alla calcite, contengono minerali rari quali la brandisite (o clintonite: Ca (Mg, Al)3(Al3Si)O10(OH)2) e l’augite, presente nella varietà fassaite o interessata da pseudomorfismo da parte di anfiboli (c.d. uralite). Calcefiri modificati da soluzioni idrotermali: prevalgono l’idrossido di magnesio brucite e la cabasite (tettosilicato idrato, alluminoso, contenente quantità variabili dei cationi Na, K, Ca, Mg, Sr), associate ad apofillite, natrolite e prehnite. Rocce a struttura granitica: constano essenzialmente di epidoto, biotite e calcite. La testata della Val Sissone dal Bivacco Andrea Oggioni Geositi della Provincia di Sondrio 81 24 Sentiero glaciologico del Ventina Motivo di interesse scientifico primario: geomorfologico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Altri vincoli che insistono nell’area: Disgrazia - Sissone (SIC-ZPS) 82 Geositi della Provincia di Sondrio Il Ghiacciaio della Ventina si pone alla testata dell’omonima valle, nel tratto terminale dell’alta Valmalenco: è anzi proprio dalla confluenza delle Valli Ventina, Sissone e del Muretto che nasce il Torrente Mallero, immediatamente a monte dell’abitato di Chiareggio. Il sito è di notevole interesse glaciologico e naturalistico, per la presenza di un ghiacciaio che in Lombardia può vantare una delle più lunghe serie di osservazioni e misurazioni (oltre 100 anni) e che conserva intatte gran parte delle caratteristiche morfologie legate all’azione dei processi glaciali. A ciò si aggiunge il grande valore paesaggistico, accentuato dalla cornice montuosa che ospita il ghiacciaio, e l’accessibilità agevole (circa un’ora di cammino) dall’abitato di Chiareggio. Il Servizio Glaciologico Lombardo ha scelto il Ghiacciaio della Ventina per l’allestimento di un itinerario didattico-escursionistico che garantisce un’accessibilità in sicurezza al pubblico più eterogeneo. Il sentiero è intitolato a Vittorio Sella, pioniere insuperato della fotografia alpina che visse a cavallo tra l’800 e il 900. Grazie agli studi del suo contemporaneo Luigi Marson, cui è intitolato l’altro sentiero glaciologico istituito dal Servizio (Ghiacciao di Fellaria), è stato possibile ricostruire serie di misure tra le più complete dell’epoca storica: i primi rilievi per questo ghiacciaio risalgono infatti al 1897-1898. Il sentiero parte dal Rifugio Alpe Ventina, raggiungibile dalla piana di Chiareggio risalendo la Val Ventina lungo una mulattiera che passa anche dal Rifugio Augusto Porro. Il sentiero glaciologico si insinua “in punta di piedi” in alta Valle Ventina: la segnaletica e la cartellonistica sono state studiate in modo da minimizzare l’impatto visivo, in effetti pressoché nullo. Anche le poche passerelle di attraversamento sono interamente in legno e si integrano felicemente nell’ambiente naturale. Il sentiero non presenta difficoltà lungo il suo Chiesa in Valmalenco In alto a sinistra: vista sul Disgrazia e sul ghiacciaio del Ventina In alto a destra: la morena del ghiacciaio all’Alpe Zocca percorso e consente di osservare in condizioni ottimali forme glaciali attive o quiescenti. Tra queste vanno menzionate soprattutto l’ampio profilo “a U” della valle; la grande morena laterale in sinistra idrografica, denudata e interessata da dissesti superficiali di tipo calanchivo; le rocce montonate che subaffiorano lungo il tratto assiale dell’incisione valliva. Apposite targhe, affisse direttamente su alcuni grossi erratici e su pali, segnano i limiti raggiunti dalla fronte glaciale durante la “Piccola Età Glaciale” del XVII Secolo (cartello 1), a metà del XIX Secolo (cartello 2) e alla fine di questo, quando si registrò una limitata fase di crescita (cartello 3). Le fronti del XX Secolo sono marcate dai cartelli 11-15. E’ verso la fine della Piccola Età Glaciale che il ghiacciaio si estese maggiormente lungo la vallata con una differenza di quasi quattrocento metri di quota con la fronte attuale. Durante le Piccola Età Glaciale nella zona dove attualmente si trova la fronte del ghiacciaio, Sotto: l’ampio sentiero che conduce al Rifugio Gerli-Porro a un’ora di cammino da Chiareggio Geositi della Provincia di Sondrio 83 24 In alto: l’ “imbronciato” Pizzo Rachele. In basso a sinistra: il piazzale del Rifugio Gerli-Porro In basso a destra: la fronte della lingua del ghiacciaio. Il sentiero glaciologico del Ventina visto dal Torrione Porro. 84 Geositi della Provincia di Sondrio si univa alla lingua del Ventina il ghiacciaio del canalone della Vergine, che ora si può solo intravedere con la fronte sospesa nel proprio canalone quattrocento metri più in alto. Successivamente l’avanzata cessò e il ghiacciaio cominciò nuovamente a regredire verso la valle fino ad una nuova avanzata culminata al termine del 1800 che, però, non ebbe altrettanta forza. Negli ultimi cent’anni fino ad oggi il ghiacciaio è in lento ritiro, nonostante piccoli avanzamenti episodici. Conseguenza di questi continui spostamenti della fronte del ghiacciaio è il deposito di massi erratici dovuti alla diminuzione della forza di trasporto del ghiaccio stesso. Importante nella valutazione di un ghiacciaio è soprattutto lo spessore del ghiaccio con la conseguente possibile formazione di crepacci e seracchi, basti pensare che a giugno 2003 erano presenti due grossi crepacci, mentre a settembre il numero era almeno raddoppiato e il ghiacciaio si è ritirato di 20 m. Gli aumenti di temperatura di questi ultimi anni e le deboli nevicate invernali non danno un lungo futuro al ghiacciaio. Geositi della Provincia di Sondrio 85 25 Campo Franscia e Val Brutta Motivo di interesse scientifico primario: petrografico Motivi secondari: strutturale mineralogico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Bailey E.B. & McCallien W.J. (1950) - The Ankara mélange and the Anatolian thrust. Nature 166, 938-943. Trommsdorf V., Montrasio A., Hermann J., Müntener O., Spillmann P. (2004) - Carta geologica della Valmalenco, in scala 1:25.000. Quaderni di geodinamica Alpina e Quaternaria 8, Milano. 86 Geositi della Provincia di Sondrio Il territorio della Valmalenco ricade, in massima parte, nel dominio Pennidico delle Alpi (Trommsdorf et al., 2004). Nella definizione data dagli autori questo dominio paleogeografico corrisponde all’antica crosta oceanica della Tetide Alpina, un braccio di mare apertosi tra Africa ed Europa durante il Giurassico (circa 170 milioni d’anni fa) e che si è andato chiudendo a partire dall’Eocene (circa 50 milioni d’anni fa). Le associazioni litologiche di fondale oceanico comprendono rocce magmatiche di tipo intrusivo (peridotiti, gabbri, diabasi) ed effusivo (basalti), oltre alle rocce sedimentarie deposte sulla piana abissale (argille residuali e noduli ferro-manganesiferi; radiolariti, diaspri e calcari selciferi; successioni marnoso-arenacee note come flysch). La ricorrenza di tipiche associazioni cogenetiche ha portato gli autori, in particolare lo Steinmann, a descrivere le antiche successioni di fondale oceanico come sequenze ofiolitiche (da οφιοσ, “serpente”, per il colore verde variegato dei litotipi più comuni), riconoscendo al loro interno una “trinità” (Bailey & McCallien, 1950) di tipi litologici. Come abbiamo già visto, il litotipo dominante in Valmalenco è rappresentato dalle serpentiniti, note con diversi nomi merceologici ed effettive differenze petrologiche: serpentino, talco, pietra ollare. Sul lato sinistro della Val Brutta - raggiungibile passando ad Est di Chiesa Valmalenco, oltrepassando Lanzada, le sue contrade Ganda, Vetto e Tornadri e seguendo le indicazioni per Franscia - il cuore della montagna è messo a nudo dalle cave estrattive di serpentino, pietra ollare e talco. Non vediamo più i mulini che, sul greto del torrente, facevano muovere i torni utilizzati per la lavorazione dei “lavecc”, i tradizionali recipienti in pietra ollare. Proseguendo lungo questa strada, l’ultima galleria ci introduce all’ampia ed amena conca nella quale è adagiata Campo Franscia. L’importanza del villaggio era legata alle attività com- Lanzada merciali, di allevamento e di estrazione mineraria: qui si trovava il cuore del sistema delle miniere di amianto, aperte verso la fine dell’Ottocento per iniziativa di imprenditori inglesi. A sinistra: il nucleo di Franscia si estende intorno ai 1520 metri di quota nell’omonima conca, punto di confluenza delle valli dello Scerscen e di Campo Moro A destra: serpentino “reticolato” (in alto) e fibroso (in mezzo), in grandi masse intersecate da filoni rosati di rodingite (in basso) Geositi della Provincia di Sondrio 87 26 Valle dello Lanzada Scerscen Motivo di interesse scientifico primario: geomorfologico Motivi secondari: mineralogico petrografico geominerario Livello di interesse Accessibilità Valore estetico La parte superiore della Valmalenco, all’altezza dell’abitato di Chiesa, si divide in due grandi rami: alta Valmalenco, percorsa dal Torrente Màllero, ad occidente, e Val Lanterna, percorsa dal torrente omonimo, ad oriente. La Val Lanterna, a sua volta, si divide nei due rami della Valle di Scerscen, ad occidente, e nella Valle di Campomoro, ad oriente. Le due valli, percorse dai Torrenti Scerscen e Cormor (o Lanterna), convergono nella conca di Campo Franscia. La valle, o vallone, di Scerscen è stata definita “il Gran Canyon della Valmalenco”: paragone azzardato se prendiamo in considerazione le dimensioni, azzeccato, invece, se ci riferiamo alla suggestione che suscita questa grande conca di detriti alluvionali, che si stende ai piedi dei giganti della testata della valle. Imponenti fenomeni di erosione fluviale, localizzati lungo l’intero sviluppo longitudinale della gola scavata nelle serpentiniti, hanno dato luogo a morfologie caratteristiche, analoghe alle “marmitte dei giganti”; i litotipi interessati sono le ultramafiti pennidiche della Falda Margna, nelle quali sono ancora osservabili resti delle antiche miniere di amianto e cromite. Oltre ai minerali di interesse commerciale, nei marmi a silicati e nelle quarziti della successione di copertura ne sono stati rinvenuti di interesse collezionistico, tra i quali possiamo elencare la tiragalloite e la rodonite rosa. La tiragalloite, silicato di manganese e arsenico tanto strano nel nome quanto raro, ha formula Mn4AsSi3O12(OH) e – dal punto di vista della simmetria cristallina – appartiene al sistema monoclino. Nitidi cristalli, anche limpidi, di abito prismatico appiattito e color ros- so arancio, lunghi fino a 4 mm, ricchi di faccette simmetriche, i migliori rinvenuti al mondo, sono annidati nelle microcavità delle quarziti a manganese della Val di Scerscen. Anche la rodonite è minerale ricco di manganese, con formula generale (Mn, Fe, Mg, Ca) SiO3. È plausibile che le successioni di copertura di un’antica crosta oceanica, come quella rappresentata dalle serpentiniti della Falda Margna, siano costituite da sedimenti marini: una conferma viene dalla diffusa presenza di arsenico e vanadio nelle mineralizzazioni a manganese della Valle di Scerscen, a conferma dell’origine oceanica dei metasedimenti (quarziti manganesifere, marmi a silicati) che formano la copertura della Falda Margna. La Valle dello Scerscen è compresa all’interno del sito di importanza comunitaria (pSIc) ai sensi della Direttiva 92/43/CEE “Monte di Scerscen, ghiacciai di Scerscen e Monte Motta”. Altri vincoli che insistono nell’area: Monte Scerscen Ghiacciaio di Scercen Monte Motta (SIC-ZPS) A sinistra: a partire dalla sinistra è possibile ammirare la Punta Marinelli e il ghiacciaio di Caspoggio; al centro il vallone e sulla destra il ghiacciaio di Scerscen A destra: il torrente generato dal ghiacciaio di Scerscen, le sue bianche acque vanno a gettarsi nel vallone 88 Geositi della Provincia di Sondrio Geositi della Provincia di Sondrio 89 27 Vedretta di Scerscen Inferiore Motivo di interesse scientifico primario: petrografico Motivi secondari: mineralogico geomorfologico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Altri vincoli che insistono nell’area: Monte Scerscen Ghiacciaio di Scercen Monte Motta (SIC-ZPS) Tognini P. (1992) - Tra rocce e ghiaccio - le grotte dello Scerscen - Il Grottesco n. 50 - Bollettino del Gruppo Grotte Milano CAI-SEM: 5 - 13. In Valmalenco esistono tre grandi gruppi di ghiacciai: del Disgrazia, del Bernina e dello Scalino, suddivisi in varie vedrette. Il Ghiacciaio del Disgrazia è diviso in Vedretta del Disgrazia, Vedretta del Ventina, Vedretta di Sissone, Ghiacciaio della Cassandra e Ghiacciaio di Preda Rossa. Il Ghiacciaio del Bernina è diviso in Vedretta dello Scerscen inferiore e superiore, Vedretta di Caspoggio, Vedretta di Fellaria e Fellaria orientale, Altipiano di Fellaria e Vedretta di Varuna. Il Ghiacciaio dello Scalino è composto solamente dalla Vedretta dello Scalino. Tra questi elementi glaciologici e geomorfologici, di per sé tutti degni di nota, assume particolare importanza la Vedretta di Scerscen Inferiore. Questo perché il substrato roccioso della conca glaciale, denudato e modellato dall’azione meccanica esercitata dal piccolo ghiacciaio, presenta rari affioramenti di marmi triassici e di quarzoscisti giurassici con frequenti noduli manganesiferi, in particolare presso la fronte del ghiacciaio. Tutti questi tipi rocciosi, appartenenti al Dominio Pennidico, hanno subito metamorfismo alpino e traggono la loro origine da sedimenti marini di composizione carbonatica (marmi) e silicea (quarzoscisti). Anche i noduli di manganese rappresentano il prodotto della deformazione e della tra- Lanzada sformazione chimica di originali noduli ferromanganesiferi, analoghi a quelli che ancor oggi si formano in prossimità delle dorsali medio-oceaniche degli oceani di tutto il mondo, per effetto dell’attività vulcanica sottomarina e dell’idrotermalismo che caratterizzano le dorsali stesse. La presenza di litotipi carbonatici, analogamente a quanto avviene per i geositi di Pian dei Cavalli e Alpe Gusone (scheda 1) e del Piano delle Platigliole (scheda 42), favorisce fenomeni di dissoluzione localizzata del substrato roccioso secondo le modalità tipiche del carsismo. Ecco allora che la Val di Scerscen ospita l’imbocco di ben tre grotte: la prima grotta fu scoperta ma non immediatamente segnalata, nell’ormai lontano 1978, dai cacciatori fratelli Selvetti detti “Marsòol”, in occasione di una battuta di caccia al camoscio e venne chiamata appunto “Tana dei Marsòol”; la seconda, posta a quota più elevata, fu segnalata nel luglio 1986 da un appassionato ricercatore di minerali e di erbe alpine, Giovanni Bardea detto “il Veronica”(da cui il nome dato alla grotta); la terza, detta “Morgana”, nel 1990 da Paola Tognini, Mauro Inglese e altri speleologi (Tognini, 1992). Per queste grotte, che presentano cunicoli caratterizzati da un’insolita compresenza di camere ellissoidali e restringimenti, è stata ipotizzata un’origine legata non tanto ad infiltrazione di acque meteoriche, quanto a circolazione ipogea di acque termali. Il Ghiacciaio dello Scerscen è compreso all’interno del sito di importanza comunitaria (pSIc) “Monte di Scerscen, ghiacciai di Scerscen e Monte Motta “, ai sensi della Direttiva 92/43/CEE. A sinistra: il ghiacciaio di Scerscen visto dalla Punta Marinelli Al destra: il ghiacciaio di Scerscen preso dal Piz Gluschaint, in territorio elvetico. Sullo sfondo il Pizzo Malenco e il Pizzo Tramoggia. 90 Geositi della Provincia di Sondrio Geositi della Provincia di Sondrio 91 28 Sentiero glaciologico del Fellaria Motivo di interesse scientifico primario: geomorfologico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Altri vincoli che insistono nell’area: Monte Scerscen Ghiacciaio di Scercen Monte Motta (SIC-ZPS) 92 Geositi della Provincia di Sondrio Il Ghiacciaio del Fellaria, posto nell’omonimo altipiano nell’alta Valmalenco, è un sito di notevole interesse naturalistico e paesaggistico sia per la presenza di uno dei più estesi ghiacciai della Lombardia, sia per le numerose ed imponenti cime che lo circondano - Pizzo Bellavista (3895 metri s.l.m.), Pizzo Palù (3905 metri s.l.m.), Pizzo Argent (3943 metri s.l.m.) - e che ne determinano l’alimentazione. Il ghiacciaio è caratterizzato da due apparati principali, il Fellaria Est e il Fellaria Ovest, che sono stati storicamente trattati come ghiacciai distinti, ma che fino agli anni trenta si univano in un’unica lingua valliva. Il recente censimento portato a termine dalla Regione Lombardia (2003) ha inoltre evidenziato la presenza di due glacionevati, denominati Fellaria Superiore e Fellaria Centrale. Un’ipotesi basata su osservazioni condotte dal Servizio Glaciologico Lombardo sosterrebbe che i due ghiacciai Fellaria Est (altitudine media 3095 metri s.l.m) e Fellaria Ovest (altitudine media 3445 metri s.l.m) oltre alla vicina Vedret Palù, facessero parte di un unico grande apparato glaciale di tipo altipiano, con lingue radiali ad andamento molto articolato sia a causa della topografia determinata dal substrato sia per la confluenza dei vari bacini di accumulo. Il sentiero Luigi Marson è nato nel 1996, con la collaborazione del Comune di Lanzada, per avvicinare il grande pubblico allo splendido ambiente naturale in cui è inserito il ghiacciaio. Luigi Marson, studioso appassionato dell’ambiente alpino che visse a cavallo tra l’800 e il 900, fu professore del Regio Istituto Tecnico di Sondrio e con le sue esplorazioni scientifiche nelle Alpi centrali pose le basi per la moderna glaciologia. Grazie ai suoi studi, per alcuni apparati glaciali come il Fellaria e il Ventina è stato possibile ricostruire serie di misure tra le più complete dell’epoca storica: i primi rilievi per questi ghiacciai risalgono infatti al 1897-1898. Il sentiero Lanzada In alto: la lingua del Ghiacciaio di Fellaria nel 2006; in basso a destra, messe a confronto, la lingua del medesimo ghiacciaio fotografata nel 1983. Per alcuni apparati glaciali come il Fellaria e il Ventina è stato possibile ricostruire una serie di misure tra le più complete dell’epoca storica A sinistra: lungo il sentiero glaciologico del Fellaria. Il sentiero è intitolato a “Luigi Marson” studioso appassionato dell’ambiente alpino, che visse a cavallo tra l’800 e il 900 e fu professore del Regio Istituto Tecnico di Sondrio Geositi della Provincia di Sondrio 93 28 In alto a tutta pagina: il Ghiacciaio del Fellaria occidentale, sullo sfondo la parte orientale. Sulla sinistra si può osservare il Ghiacciaio di Scerscen superiore mentre al centro, coperta dalla neve, spunta la vetta del Bernina In basso: da vicino e da lontano le foto del Ghiacciaio del Fellaria occidentale 94 Geositi della Provincia di Sondrio glaciologico si articola in due percorsi che hanno origine dal Rifugio Bignami (2389 metri s.l.m): entrambi i sentieri non presentano difficoltà di percorrimento, permettono l’osservazione di evidenti forme glaciali, come l’antica morena destra del Fellaria Ovest che viene percorsa lungo il filo di cresta (percorso “A”) o interessanti punti, evidenziati da apposite targhe (percorso “B”). Vediamoli in dettaglio. Il percorso “A” ricalca quello della variante 6A dell’Alta Via della Valmalenco: dal rifugio ci si muove verso N; passato il torrentello si prosegue per prati che risalgono fino all’antica morena laterale destra del ghiacciaio (quota 2591). Da qui ci si dirige seguendo il filo di cresta verso il laghetto prospiciente il settore più occidentale del ghiacciaio. Sul filo di cresta in posizione dominante la fronte del Fellaria Ovest e il bel lago, è posto un “punto panoramico” con una targa illustrativa. L’itinerario prevede il ritorno al rifugio per il medesimo sentiero. Il percorso “B” segue lo stesso itinerario del precedente fino sotto la morena: qui si lascia a sinistra la traccia più evidente per tagliare in costa (quota 2470 circa) i prati, passando sotto una fascia rocciosa (catena), per raggiungere il margine meridionale del ripiano da cui scendono le cascate di Fellaria. Da questa posizione il sentiero entra nella piana proglaciale dove si possono osservare meravigliose rocce montonate. Il percorso - attraversato il torrente su una passerella - si snoda nella piana, andando a toccare i punti, segnalati con targhe, (punto panoramico B) utilizzati dai glaciologi per effettuare le misure nel corso degli ultimi 50 anni. Geositi della Provincia di Sondrio 95 29 Forno fusore nella Val Venina Motivo di interesse scientifico primario: geominerario Motivi secondari: strigrafico strutturale petrografico Livello di interesse Sin dall’Età del Ferro, le popolazioni dell’arco alpino si sono ingegnate per estrarre il prezioso metallo dai minerali che lo contengono, ricavandone manufatti più resistenti e taglienti rispetto a quelli realizzati in rame o bronzo. Uno dei processi più semplici per ottenere il ferro è la fusione della siderite, carbonato di ferro dalla formula chimica FeCO3. Ad alta temperatura, il ferro si separa dalla siderite per degassazione completa secondo la reazione endotermica Accessibilità energia termica 2FeCO3 Valore estetico Rischio di compromissione Altri vincoli che insistono nell’area: Parco delle Orobie Valtellinesi (SIC-ZPS) De Donatis S. & Falletti P. (1999) – The Early Triassic Servino Formation of the Monte Guglielmo area and relationships with the Servino of Trompia and Camonica Valleys (Brescian Prealps, Lombardy). Mem. Sci. Geol., 51: 91-101, Padova. De Donatis S., Riganti A. & Rodeghiero F. (1991) - Mineralizzazioni a siderite-barite nella Val Camonica meridionale (Brescia, Lombardia). Natura Bresciana, 26: 87-100, Brescia. Sciunnach D. (2005) – Servino. In: Cita M.B. et al. (Eds.), Carta Geologica d’Italia – 1: 50.000, Catalogo delle Formazioni – unità tradizionali. Quad. APAT. Ser. III 7/VI, 33-41. 96 Geositi della Provincia di Sondrio Piateda 2Fe + 2CO2 + O2 In passato, però, risultava conveniente pre-trattare il minerale estratto prima di avviarlo alla fusione, mediante una prima cottura (o arrostimento), che da carbonato lo trasformava in ossido di ferro, secondo la reazione - anch’essa endotermica - Sopra: da segnalare anche i ritrovamenti archeologici di età paleolitica recente A sinistra: suggestivi scenari alpini e la presenza di motivi di interesse ambientale piuttosto energia termica FeCO3 FeO + CO2 Questa operazione, che avveniva in presenza di ossigeno ad una temperatura inferiore al punto di fusione, aveva un triplice scopo: eliminare gli elementi volatili come anidride carbonica e acqua; rendere più facile la successiva riduzione, poiché l’eliminazione delle sostanze volatili rendeva il minerale meno compatto e più poroso; eliminare, con la combustione, eventuali tracce di zolfo. La siderite è particolarmente abbondante in un’unità litostratigrafica che, in tutta la Lombardia, rappresenta l’espressione sedimentaria del Triassico Inferiore: il Servino (Sciunnach, 2005). L’unico affioramento di una certa entità del Servino sul crinale orobico della Provincia di Sondrio è quello dell’alta Val Venina: il forno fusore assolveva la funzione di pre-trattare il minerale estratto in loco (riducendone anche il peso), prima del conferimento agli impianti di fusione. Vale la pena di osservare come anche altri distretti metallurgici di tradizione secolare, in Lombardia, si localizzino in corrispondenza di aree di affioramento del Servino. È il caso di Premana (LC), ancora oggi famosa per i numerosi laboratori artigianali in cui si producono soprattutto coltelli e forbici, o dell’alta Val Trompia (BS), dove alla tradizionale produzione di armi si è andata progressivamente affiancando quella delle rubinetterie. Studi mineralogici condotti per lo più in Val Trompia (De Donatis et al., 1991; De Donatis & Falletti, 1999) hanno evidenziato la chiara correlazione tra presenza di livelli ferriferi, di interesse economico, e stratigrafia del Servino; ciò suggerisce che la mineralizzazione (che in questi casi si chiama strata-bound) non sia da riferire principalmente a processi post-deposizionali (es. idrotermalismo, tettonica), bensì a caratteri originari del sedimento (es. concentrazione di ossidi ferrosi ad opera di agenti idraulici, quali le correnti fluviali o il moto ondoso). Il forno fusore (m. 2229 s.l.m.), attrezzato con cartellonistica esplicativa, risulta essere stato in funzione già dal XIV Secolo, e ancora attivo nella seconda metà dell’Ottocento, quando il materiale veniva portato all’altoforno di Premadio per essere fuso. Si raggiunge dall’abitato di Ambria, dove si può scegliere se risalire per la Val d’Ambria (passando dalla conca un tempo occupata dal Lago di Zappella) o per la Val Venina – tracciato più impegnativo in salita in quanto si devono superare le “Scale di Venina” prima di raggiungere l’omonimo lago. In alto: forno fusore in Val Venina. È questa un’area molto conosciuta e frequentata fin dai tempi più antichi per la cospicua presenza di giacimenti di ferro In basso: affioramento del Servino Geositi della Provincia di Sondrio 97 30 Conglomerato di Sazzo Motivo di interesse scientifico primario: sedimentologico Motivi secondari: stratigrafico strutturale petrografico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Altri vincoli che insistono nell’area: Valle d’Arigna e ghiacciaio di Pizzo di Coca (SIC) Lo sbancamento stradale nella zona di Sazzo, località in comune di Ponte in Valtellina raggiungibile da una laterale della statale 38, mette a nudo una successione di conglomerati e arenarie in strati spessi da 10 a oltre 50 cm. Prevalgono conglomerati di roccia con clasti da angolosi a subarrotondati, che danno luogo a supporto granulare pur essendo immersi in abbondante matrice arenacea. I clasti sono formati da quarzo, con dimensioni massime di 6 cm, e da frammenti litici sino ad 8 cm, di colore violaceo. Le arenarie presentano granulometria medio-grossolana e selezione moderata. L’alternanza di conglomerato e arenaria risponde a logiche di migrazione laterale d’alveo in sistemi alluvionali di tipo braided (intrecciato). L’alternanza della successione, ripidamente immergente verso Sud e a luoghi verticalizzata, è testimoniata con chiarezza dalle basi erosionali e canalizzate degli strati conglomeratici rispetto alle sottostanti arenarie. Laddove manchino queste evidenze, la stratificazione e i limiti con le metamorfiti a contatto sono riconoscibili con difficoltà a causa della sovraimposizione di un pervasivo clivaggio alpino. La posizione della successione, che forma una limitata amigdala tettonica all’interno di mas- Ponte in Valtellina In alto: aspetto macroscopico del Conglomerato di Sazzo. Si noti l’allungamento preferenziale dei ciottoli scuri In basso: passaggi granulometrici da conglomerato (canale attivo) ad arenaria (barra di meandro, argine naturale) 2m Sequenza di canale abbandonato Deposizione di sabbia in canali intrecciati attivi Sequenza di canale attivo Beltrami G., Bianchi A., Bonsignore G., Callegari E., Casati P., Crespi R., Dieni I., Gnaccolini M., Liborio G., Montrasio A., Mottana A., Ragni U., Schiavinato G., Zanettin B., (1971) - Note Illustrative della Carta Geologica d’Italia, Foglio 19, Tirano - Nuova Tecnica Grafica, Roma. Ghiaie Sabbie Limi e argille Torba Deposizione di fango in canale abbandonato se ingentissime di metamorfiti del basamento varisico orobico, rappresenta un elemento fondamentale per vincolare il tracciamento della Linea del Porcile, una faglia di importanza regionale. Più problematica è stata tradizionalmente l’attribuzione formazionale del conglomerato, che nella legenda del Foglio Geologico 1: 100.00 “Tirano” era stato incasellato nella generica indicazione di “anageniti”, mentre in Montrasio (1990) era stata preferita l’attribuzione dell’affioramento al “Conglomerato Basale”. Dal momento che, nella maggior parte delle località studiate nel Sudalpino lombardo, il “Conglomerato Basale” (unità litostratigrafica informale, tradizionalmente consolidata nell’uso) rappresenta un deposito continentale antecedente al culmine dell’evento magmatico eopermiano, e perciò del tutto o quasi del tutto privo di clasti di vulcaniti (da cui l’antica definizione di “conglomerati aporfirici” Auctorum), l’interpretazione dei litici violacei è determinante ai fini dell’attribuzione formazionale: qualora essi rappresentassero porzioni intraformazionali di siltiti viola, che spesso si presentano associate ai conglomerati aporfirici, se ne trarrebbe un’indicazione favorevole all’assegnazione al “Conglomerato Basale”, mentre una loro natura vulcanica farebbe propendere, tenuti in considerazione anche altri fattori (abbondanze relative di quarzo, litici, feldspati ed elementi di origine metamorfica quali frammenti micascistosi e miche bianche), per l’attribuzione al Verrucano Lombardo. Infatti il Verrucano Lombardo, di età permiana superiore, si depose su un articolato paesaggio continentale caratterizzato dall’erosione di ingenti masse di vulcaniti del Permiano Inferiore, delle quali contiene clasti in abbondanza. Un esame microscopico preliminare del conglomerato di Sazzo, nonostante le difficoltà legate alla presenza di un clivaggio penetrativo e di una diagenesi assai spinta che interessa i litotipi, avvalora l’ipotesi della natura vulcanica dei litici e quindi l’attribuzione al Verrucano Lombardo. Montrasio A. (1990) - Carta Geologica della Lombardia. Serv. Geol. Naz., Roma. 98 Geositi della Provincia di Sondrio Geositi della Provincia di Sondrio 99 31 Il “punt de sass” di Villa di Tirano Motivo di interesse scientifico primario: geografico Motivi secondari: paesistico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Bossich F., Carrara E. (1998) - Analisi materiche sul costrutto del “ponte in sasso” in Villa di Tirano (So). De Giovanni M. (1998) - Restauro e conservazione dell’antico ponte di Villa di Tirano (SO) - relazione tecnica. De Giovanni M., Scalco V. (2002) - Il “Ponte di sasso” dal rilievo al suo recupero, in AA.VV, Boll. Soc. Stor. Valtellinese 55. Gavazzi S. (1989) - “Ponte vecchio” di Villa di Tirano. 100 Geositi della Provincia di Sondrio Adiacente alla ferrovia che corre parallela alla Strada Statale dello Stelvio, all’altezza di Villa di Tirano, sorge un antico ponte di pietra chiamato “punt de sass”, “ponte romano” o “ponte medioevale”. La tradizione popolare gli attribuisce infatti un’antica origine, ma le fonti non permettono di datare con certezza il manufatto. La sua funzione cessò nel 1817 a seguito di un’alluvione che ebbe come conseguenza la deviazione del corso dell’Adda che comportò lavori di arginatura e l’apertura di un nuovo ponte e una nuova strada. Attualmente il ponte è quindi collocato in mezzo a dei prati, in un contesto avulso da quello originario. L’ipotesi dell’origine romana del ponte non è suffragata da alcun documento, così come non è certa la presenza in quell’epoca di una via di comunicazione a vasto raggio. Il toponimo della frazione di Stazzona, collegata dal ponte a Tirano, pare comunque riferirsi per alcuni studiosi a una Stazio romana “posto di guardia e sosta” o Stationes “luogo dove i Romani stanno a campo”. Nel suo territorio è stata tra l’altro rinvenuta, nel 1873, una lapide marmorea romana. Il primo documento che dà notizia della presenza di un ponte a Villa è della fine del XIII sec., ma non è certo si tratti del ponte in oggetto. A seguito delle incursioni dei Grigioni in Valtellina nel 1485-87 fu predisposto da Ludovico Sforza un progetto territoriale difensivo: anche le strutture di Tirano furono interessate da interventi ed è possibile quindi che la costruzione del ponte si sia inserita come un elemento del piano militare. Un ponte inoltre è citato in documenti risalenti al 1495 riguardante l’unione dei Comuni di Stazzona, Villa e Coseto. Altre menzioni in documenti del 1614 e del 1659. Alcune lapidi in pietra posizionate sopra le chiavi delle arcate datate 1683-84 indicano forse la ricostruzione di parte del manufatto, ma non si può escludere che quella sia la data di costruzione. Nel 1998 l’amministrazione comunale di Villa di Tirano ne ha appal- Villa di Tirano x 0,5 m x 0,4 m) e ben squadrate nella parte inferiore, e la perizia nella disposizione delle stesse in corsi orizzontali regolari, si rileva infatti raramente. Il rigore costruttivo fa supporre che fosse una realizzazione alla quale veniva data particolare importanza e che il ponte non avesse un ruolo periferico. Le parti restanti, in particolare i parapetti costruiti con pietrame sgrossato in modo irregolare, sembrano denunciare un intervento successivo. A seguito delle indagini materiche e geostatiche affrontate in occasione del restauro del ponte è emersa la seguente tipologia muraria: “muratura in pietrame assortito, ben sbozzata con legante di calce in buona continuità. Orditura muraria ben ordinata a blocchi lapidei di forma prismatica, tabulare a spigoli prevalentemente vivi…..petrograficamente si possono distinguere beole, gneiss e quarziti”. A sinistra: particolare del “punt de sass” a Villa di Tirano. La tradizione popolare gli attribuisce un’antica origine ma le fonti documentarie non permettono di datare con certezza il manufatto A destra: posizione del manufatto su base topografica Ortofoto + vettoriale. Si noti la notevole distanza dall’alveo attuale del Fiume Adda tato il progetto di conservazione e restauro. È stato così compiuto il recupero del manufatto e il completamento di alcune sue parti. L’impianto tipologico è storicamente ricorrente per un ponte in pietra: lungo circa 28 m, è costituito da due ampie arcate simmetriche separate da una pila centrale che, su entrambi i fronti, presenta contrafforti e speroni a sezione pressoché triangolare. All’estremità la costruzione termina con muri che si aprono rispetto alla larghezza del ponte. Le due arcate misurano 12 metri cadauna. In adiacenza alla pila centrale vi sono dei doccioni in sasso per le acque piovane. Chiavi di ferro contornano le arcate. Rispetto alle usuali caratteristiche tipologiche, dal punto di vista costruttivo il manufatto si presenta invece unico nel territorio valtellinese. L’utilizzo di pietre di dimensioni cospicue (es. 1,5 m In basso: attualmente il ponte è collocato in mezzo alla piana di fondovalle dell’Adda, in un contesto avulso da quello originario Geositi della Provincia di Sondrio 101 32 Torbiera di Pian Gembro Motivo di interesse scientifico primario: naturalistico Motivi secondari: geomorfologico paleontologico paesistico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Altri vincoli che insistono nell’area: Riserva naturale Pian Gembro (SIC) Andreis C., Pini R., Ravazzi C., Sala E., Wick L. (1999) - La torbiera di Pian di Gembro (Alpi Centrali): dinamica attuale e storia della vegetazione nell’Olocene superiore. Congresso della Società Botanica Italiana, volume degli abstracts, 18. Dal Piaz G.B. (1929) - Relazione geomorfologica sulla palude di Pian di Gembro. Relazione inedita. Gansser A. & Pantic N. (1988) - Prealpine events along the eastern Insubric Line (Tonale Line, Northern Italy). Ecl. Geol. Helv., 81, 567-577. Liborio G., Mottana A. (1969) – Lineamenti geologico petrografici del complesso metamorfico subalpino nelle Alpi Orobie orientali. Rend. Soc. It. Mineral. Petr. 25, 475-519. Pini R. (2003) - La torbiera di Pian di Gembro (1350 m, Alpi Centrali) Storia della vegetazione e del clima durante gli ultimi 16.000 anni cal. FIST Geoitalia 2003 – 4° Forum Italiano di Scienze della Terra, Bellaria, 16 – 18 settembre 2003. Volume degli abstract, 120. Zoller H., Athanasiadis N, Heitz-Weniger A (1977) - Diagramme Palü 1, Palü 2, Pian di Gembro 1973 and Pian di Gembro 1975. In: Fitze P, Suter J (eds) ALPQUA 5-12.9.1977 Schweizerische Geomorfologische Gesellschaft, Quartärkomm. SNG Zürich, 13-16. 102 Geositi della Provincia di Sondrio La torbiera di Pian Gembro occupa un’ampia sella posta allo spartiacque tra Valtellina e Valcamonica, pochi km a Nord del Passo dell’Aprica nel Comune di Villa di Tirano. Il sito indicato è una delle più grandi torbiere dell’arco alpino. I suoi depositi, che secondo Dal Piaz (1929) in alcuni settori superano i 35 m di spessore, rappresentano un importante archivio naturale della storia delle trasformazioni ambientali e climatiche verificatesi nelle Alpi Centrali a partire almeno dal Tardiglaciale. Il substrato della torbiera è costituito da rocce metamorfiche appartenenti alla Formazione degli Scisti di Edolo, unità paleozoica (Gansser & Pantic, 1988), talora attraversata da manifestazioni magmatiche quali porfiriti terziarie (Liborio e Mottana, 1969). L’origine della depressione nella quale si è impostata la torbiera di Pian di Gembro è controversa: è però molto probabile un’origine tettonica, legata alla prossimalità della Linea Insubrica. La torbiera ha dimensioni notevoli: l’asse maggiore misura oltre 2 km, quello minore è compreso tra i 250 e i 300 metri. I carotaggi eseguiti da Zoller (Università di Basilea) negli anni ’70 del secolo scorso e quelli più recenti (1998), condotti dai tecnici dell’università di Berna in collaborazione con il CNR-IDPA di Milano, hanno mostrato che la depressione del Pian di Gembro è colmata da depositi glaciali, lacustri e di torbiera. Due conoidi coalescenti dividono la torbiera in due settori: quello orientale ha un piccolo emissario, che drena verso la Valtellina; nel settore occidentale, di dimensioni maggiori, ha avuto luogo la deposizione di notevoli spessori di torba. Da un punto di vista naturalistico è di notevole interesse la contemporanea presenza di aspetti da torbiera bassa e di torbiera alta, questi ultimi di solito limitati ai bordi della torbiera. Durante il secolo scorso e fino alla fine della seconda guerra mondiale la presenza dell’uomo ha svolto un forte ruo- VIlla di Tirano lo di disturbo del paesaggio naturale della torbiera. Sfagni ed ericaceae venivano raccolti ed utilizzati come strame nelle stalle. L’attività di estrazione di torba, concentratasi prevalentemente nel settore occidentale della torbiera, ha lasciato pozze profonde fino a 2,5 m, distribuite su una superficie di circa 2,5 ha. Il carotaggio a pistone, eseguito nel 1998, ha permesso di recuperare una carota continua e indisturbata lunga circa 13 m. Su questa carota è stato condotto uno studio dei pollini ad alta risoluzione (1 campione/50 anni: Pini, 2003) che documenta la storia della vegetazione e del clima delle Alpi Centrali lungo gli ultimi 16.000 anni. Il sito è Riserva Naturale Regionale nonché Sito di Importanza Comunitaria. Nella pagina: alcuni scorci del Pian Gembro, conca pianeggiante (superficie = 126.5 ettari) che si formò in seguito al ritirarsi dei ghiacciai del Quaternario. Qui si trova una torbiera entro la quale, a causa di particolari condizioni ambientali, avviene la trasformazione dei resti vegetali in torba Geositi della Provincia di Sondrio 103 33 Madonna di Tirano Motivo di interesse scientifico primario: petrografico Motivi secondari: paesistico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Boscacci A. (1993) - Tirano e il suo santuario. Bormetti F. & Casciaro R. (2000) - Il Santuario di Tirano nella Valtellina del ‘500, Silvana ed. Garbellini G. (1995) - Il santuario della Madonna di Tirano in: Storia e arte in Valtellina, V, Nel segno del Rinascimento, ed. Poletti. Garbellini G. (2004) - La Madonna di Tirano. Cinquecento anni di devozione e storia. Notiziario della Banca Popolare di Sondrio, 96. Garbellini G. (2005) - Il portale maggiore, capolavoro d’arte ma non solo. Bollettino della diocesi di Como - Santuario della Madonna di Tirano, 1. Regione Lombardia (2001) - Santuario della Madonna di Tirano - Schedatura S.I.R.Be.C. - Carta del rischio. 104 Geositi della Provincia di Sondrio Tirano Nel luogo in cui la Madonna apparve al beato Mario degli Homodei il 29 settembre 1504 venne costruita una cappella che si rivelò subito del tutto inadeguata a contenere il numero di persone che arrivavano a Tirano richiamate dalla notizia di quell’evento miracoloso. Il 25 marzo del 1505 si pose la prima pietra presso il Ponte della Folla sul Torrente Poschiavino per la costruzione di una nuova chiesa. Una piccola iscrizione, datata 21 marzo 1506, collocata sulla porta d’accesso del lato sud dell’attuale Santuario, testimonia come i lavori vennero effettuati con molta celerità. L’edificio, caratterizzato da una pianta a tre navate, con abside semicircolare, era già terminato nel 1513 e venne consacrato nel 1528. Nei due secoli successivi subì alcune modifiche e completamenti e fu terminato nel 1703. Della torre campanaria, che ha una tipologia tipicamente romanico lombarda, non si conosce l’anno di edificazione. Si sa che venne completata nel 1578, ad eccezione del cupolino, la cui costruzione è del 1641 ad opera di Pietro Marni di Bormio. La cupola ed il sottostante tiburio vennero progettati ed eseguiti sotto la direzione dell’ingegner Pompeo Bianchi di Moltrasio tra il 1580 ed il 1584. La facciata, articolata da due cornicioni e da quattro lesene, è caratterizzata da un frontone di stile veneziano (1676) e arricchita dal portale e da finestre marmoree. E’ in marmo bianco locale estratto da una cava esistente nei pressi della frazione di Cologna, in località “Pomo” (“El Pum”), adoperato anche nella costruzione di altre parti del santuario. Venne iniziata nel 1529 e richiese alcuni anni di lavoro: sull’architrave - un blocco di serpentino - troviamo infatti la data 1534. Il cantiere relativo alla cupola ed il sottostante tiburio venne attivato, come detto, nel 1580, con provviste di materiale edile, soprattutto pietre e marmo estratto dalle cave locali, forse quella di Pomo o quella di Valdichiosa o di Grania, quest’ultima in Val Malgina nel territorio di Teglio, menzionate a proposito del completamento del campanile. I marmi per le diverse statue, sempre della Val Malgina, erano im- barcati a Colico per essere lavorati a Como. Il Santuario, a croce latina, è diviso al suo interno, in senso longitudinale, da tre navate per una lunghezza di poco più di 20 m ed una larghezza di circa 14 m. L’altare dell’Apparizione è sulla sinistra entrando dalla porta principale. L’organo è un’opera gigantesca appoggiata su otto colonne di marmo rosso di Arzo nel Canton Ticino. La grande cassa in legno fu realizzata dall’artista bresciano Giuseppe Bulgarini tra il 1608 ed il 1617. La parte più pregevole dell’organo, i tre pannelli del parapetto, venne eseguita, nel 1638, dal milanese G.B. Salmoiraghi. L’altare maggiore venne realizzato con marmi neri di Varenna intarsiati con altri marmi policromi nel 1748 da un artigiano di Clivio, G.B. Galli, al quale si devono non solo le balaustre del medesimo altare, ma anche quelle dell’altare dell’Apparizione. In sacrestia si trova un piccolo bassorilievo in marmo, nel quale è raffigurata la Vergine col Bambino, tra S. Pietro e S. Paolo ed una Pietà, opera pregevolissima del 1519, di Alessandro Della Scala. Il pavimento in marmo bianco, nero e rosso fu forse realizzato da Gregorio Solari e Stefano Carioli, artigiani ticinesi, nella seconda metà del Seicento ma alcune fonti lasciano supporre sia di epoca anteriore. E infine, nel 1904, in occasione dei 400 anni dall’Apparizione della Madonna, la ditta Beltrami di Milano eseguì le vetrate policrome che adornano la chiesa. Il santuario è stato completamente rimesso a nuovo nel 1967 con radicali lavori di restauro. Il restauro del campanile, nel 1979, ha portato alla luce un apparato decorativo bicromatico lavorato a graffito; nell’occasione è stato ricostruito anche il parapetto del terrazzino con l’impiego di marmo bianco proveniente da Lasa in Val Venosta, che dimostrò di avere le stesse caratteristiche di quello delle cave locali che non si erano potute riattivare. Durante la campagna di restauri del 1996 è stato eseguito il rifacimento della copertura in pietra naturale. Nel 1998 è stata restaurata la controfacciata e l’esterno in occasione del Giubileo del 2000. A sinistra: la facciata della Basilica di Madonna di Tirano è in marmo bianco locale, estratto da una cava esistente nei pressi della frazione di Cologna, in località “Pomo” (El Pum) In alto a destra: cave di calcare nero a Varenna (Lecco) In basso a destra: particolare dell’apparizione della Vergine al beato Mario Homodei, il 29 settembre del 1504 Pagina a fianco: emissione commemorativa di Poste Italiane per il V Centenario dell’apparizione della Madonna a Tirano, 2004 Geositi della Provincia di Sondrio 105 34 Rupe Magna e Dosso Giroldo Motivo di interesse scientifico primario: paleoantropologico Motivi secondari: petrografico geomorfologico paesistico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Il sito domina il lato sudoccidentale dell’abitato di Grosio, nei pressi del confine con Grosotto, marcato dal Torrente Roasco: dopo Grosotto la strada attraversa il ponte sul torrente, esce dalla Val Grosina e ha davanti un lungo rettilineo sullo sfondo del quale si vedono la chiesa di San Giuseppe, il campanile e le prime case di Grosio. In questo tratto pianeggiante del percorso vi sono alcuni aspetti di notevole interesse da rilevare. La posizione panoramica e molto favorevole è sottolineata dal “Castello Nuovo” dei Visconti Venosta (XIV Secolo), che in realtà poggia sui resti di un castello più antico (XI Secolo, il Castello di S. Faustino, sempre dei Venosta) e addirittura su rovine di epoca preromana. I motivi di interesse del sito derivano dall’eccezionale concomitanza di morfologie glaciali e dei segni tangibili della presenza umana in un’epoca primordiale e remota. Le morfologie glaciali, non rare in Valtellina ma in questo caso esemplari, sono rappresentate da rocce montonate: ampi dossi di roccia nuda, smussati e lisciati dall’azione erosiva di una massa glaciale in transito. Nel sito Grosio Pace D. (1972) – Petroglifi di Grosio. Tellina opuscula 2, 93 pp., 34 tavv., Artigianelli pavoniani, Milano. Pace D. (1974) – Sviluppo dell’investigazione archeologica nel sistema petroglifico di Grosio. Tellina opuscula 3, 181 pp., 65 tavv., Artigianelli pavoniani, Milano. Pace D., Simonelli M.G., Valmadre L. (1985) – Escursione nell’antichità della Valtellina: da Teglio a Grosio. Ed. Sistema Bibliotecario di Tirano, 137 pp., Tip. Poletti, Villa di Tirano. di Grosio la roccia è di natura filladica, venata di quarzite bianca, ed è in genere ricoperta da una coltre di suolo sottile e discontinua; il massimo grado di denudamento e di modellamento glaciale è raggiunto, per l’appunto, dalla suggestiva “rupe magna”, ben visibile anche dal fondovalle con un’estensione di 84 m di lunghezza per 35 m di larghezza e una posizione che le hanno valso in passato il nome di “balena”. Si tratta di una grande roccia montonata, la cui forma è stata modellata dal ghiacciaio che scorreva lentamente ma inesorabilmente su di essa trascinando enormi quanti- A sinistra e nella pagina a fianco: il “Castello Nuovo” dei Visconti Venosta (XIV Secolo), con torre maestra e merlature ghibelline Al centro: figure antropomorfe su una grande roccia a dorso di balena presso il Dosso dei Due Castelli. Denominata “Rupe Magna” per le sue grandi dimensioni, è una roccia montonata formata da micascisti levigati oltre 20.000 anni fa dall’azione del ghiaccio che scorreva su di essa, trascinando con sé una grande quantità di detriti In basso a destra: il “Castello Nuovo” durante la stagione invernale 106 Geositi della Provincia di Sondrio Geositi della Provincia di Sondrio 107 34 tà di detriti. Grandi massi dunque avanzavano sotto l’enorme peso del ghiaccio sovrastante imprimendo sulla superficie rocciosa i numerosi solchi lineari, larghi fino a uno-due cm e lunghi anche alcuni metri, ancor oggi visibili là dove la roccia è ripulita dal detrito e dalla copertura vegetale. La Rupe dunque presenta una superficie non particolarmente liscia e regolare, così che la picchiettatura dei graffiti talvolta non risulta facilmente distinguibile. Gli aspetti paleoantropologici sono ciò che rendono questo sito in qualche modo eccezionale. A partire dal 1966 (Pace, 1972, cum bibl.) è stato rinvenuto un sistema di centinaia, forse migliaia, di incisioni preistoriche, risalenti ad un’epoca compresa tra il Neolitico e il II millennio a.C. (M.G. Simonelli in Pace et al., 1985, cum bibl.). I soggetti ricorrenti, che presentano parziali analogie con quelli delle ben più celebri e celebrate incisioni rupestri della Valle Camonica, comprendono figure antropomorfe, sovente in gruppo; scene di caccia e di vita sociale, che coinvolgono guerrieri – armati di lance, tridenti, scudi ed elmi – e sacerdoti; figure geometriche simboliche o astratte, non sempre di facile interpretazione (spirali, collari, 108 Geositi della Provincia di Sondrio oggetti furciformi); cavità emisferiche descritte come cupèlle o coppèlle ottenute picchiettando la superficie rocciosa molto probabilmente con percussore litico, data la sezione generalmente semicircolare e priva di spigoli vivi che presentano; combinazioni di cupelle e di figure geometriche e antropomorfe. Sulla base delle tipologie di raffigurazione, gli studiosi ritengono di aver localizzato un luogo di culto per le popolazioni preistoriche della Valtellina (Pace, 1974). Avvalora l’ipotesi, tra le incisioni, la presenza di gruppi antropomorfi corali come i sei “danzanti” od “oranti”, uno dei quali reca in mano un oggetto anuliforme. Le incisioni, originariamente ricoperte da una cotica erbosa e arbustiva piuttosto tenace, tuttora sono state riportate alla luce solo in parte. Attualmente l’intera area è in corso di attrezzatura come “Parco delle incisioni rupestri” a cura dell’omonimo consorzio al quale partecipano la Provincia di Sondrio, la Comunità Montana Valtellina di Tirano e i Comuni di Grosio e di Grosotto per assicurare la tutela, la valorizzazione, la pubblica fruizione dei beni archeologici, etnografici ed ambientali che caratterizzano l’intera area. In alto: ancora una bella immagine del “Castello Nuovo”. Fra il 1350 e il 1375 sorse, per volere dei Visconti e con il contributo di tutta la valle, il “castrum novum”. Una nuova costruzione concepita per rispondere a mutate esigenze strategiche e non per contrapporsi o rivaleggiare col vecchio castello di S. Faustino, come supposto da alcuni studiosi. In secondo piano, la collina del Dosso Giroldo In basso: due particolari delle incisioni rupestri : figura antropomorfa e utensili agricoli Geositi della Provincia di Sondrio 109 35 Cava Maffei Motivo di interesse scientifico primario: petrografico Motivi secondari: struttirale mineralogico Livello di interesse Accessibilità Bellezza Rischio di compromissione 110 Geositi della Provincia di Sondrio Benché rappresentino, per definizione, siti di elevato impatto sulla naturalità dei luoghi e spesso coincidano con aree fortemente degradate, le cave di materiali lapidei presentano grande interesse per il geologo in quanto offrono estesi affioramenti di substrato roccioso in condizioni di ineguagliabile esposizione. La Cava Maffei di Sondalo offre un esempio emblematico di questa ambivalenza: pur rappresentando uno squarcio offensivo nei versanti fittamente boscati che sovrastano i sanatori di Sondalo, l’area si presta a interessantissime osservazioni in un ambiente “lunare”, fortemente connotato dalle attività di estrazione del quarzo. Il quarzo (SiO2) è uno dei minerali più comuni della crosta terrestre, soprattutto nella sua parte continentale, ma raramente raggiunge concentrazioni e purezza tali da risultare economicamente interessante. Trova largo impiego industriale nell’industria ceramica e chimica, nella produzione di abrasivi, nell’ottica e nella meccanica di precisione. La notevole concentrazione di quarzo nel sito della Cava Maffei è legato alla migrazione ionica che ha accompagnato i processi metamorfici, e che nella fattispecie ha consentito una raffinazione naturale del quarzo: data la distanza piuttosto limitata che tali “migrazioni” normalmente raggiungono, è tuttavia presumibile che il protolito della quarzite fosse rappresentato da un sedimento già originariamente arricchito in quarzo a causa dei processi fisici avvenuti nell’ambiente di deposizione (es. un litorale a sedimentazione sabbiosa) rispetto ai circostanti sedimenti argillosi che, sottoposti a metamorfismo, hanno dato luogo alle metapeliti dominanti nell’area (micascisti a granato). La quarzite si presenta compatta, di colore bianco e lucentezza da cerea a vitrea, tipica degli aggregati omogenei di minuti cristalli di quarzo (quarzo policristallino): questo aspetto contrasta con l’aspetto incolore e limpido del quarzo ialino (quarzo monocristallino). Le fasce di contatto tra quarzite e mi- Sondalo In alto a sinistra: il giacimento di quarzo di Sondalo è considerato tra i più importanti attualmente conosciuti in Europa In basso a sinistra: il quarzo è di elevata qualità, molto omogeneo per struttura e composizione ed esente da contaminanti. La coltivazione del minerale è in sotterraneo e il metodo adottato è il sublevel stoping. cascisti sono quelle che si prestano alle osservazioni più interessanti, in quanto testimoniano una complessa evoluzione tettonica che ha accompagnato la strutturazione della lente di quarzite; in particolare, la presenza di spettacolari brecce di quarzite che inglobano frammenti di micascisto angolosi, di dimensioni decimetriche, associate a filoni di leucogranito, suggeriscono che la quarzite sia delimitata da faglie, attive in regime fragile, che hanno assunto il ruolo di vie preferenziali per l’iniezione di modesti volumi di fusi altamente differenziati. La Cava Maffei, della cui autorizzazione è titolare un gruppo industriale con sede in provincia di Reggio Emilia, è attualmente in attività, con una produzione annua di poco inferiore alle 50.000 tonnellate di mercantile. Questo rende consigliabile, per evitare di correre rischi inutili, che la visita sia concordata preventivamente con un soggetto responsabile, che può essere rintracciato mediante contatti con il Comune di Sondalo. In basso a destra: brecce granatifere al contatto tra quarzite e metapeliti Geositi della Provincia di Sondrio 111 36 Frana della Val Pola Motivo di interesse scientifico primario: geomorfologico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Fossati D. & Mannucci G. (1989) - L’alluvione del 1987 in Valtellina e l’evento franoso della Val Pola. Documenti del Territorio 14. Agostoni S., De Andrea S., Lauzi S. & Padovan N. (1991) - Sintesi ed interpretazione dei dati di monitoraggio della Val Pola. Geologia Tecnica 3/91. Govi M. & Turrito O. (1992) - La frana della Val Pola del 1987 in Alta Valtellina. In “Frane e Territorio” (A. Vallario Ed.), Liguori Editore, Napoli. Agostoni S., Laffi R. & Sciesa E. (1997) - Centri Abitati Instabili della provincia di Sondrio. Pubblicazione CNR GNDCI 1580, Vertemati, Vimercate. Studio Paoletti - Progetto definitivo degli interventi di sistemazione idraulica nell’area interessata dalla frana della Val Pola”, Regione Lombardia. 112 Geositi della Provincia di Sondrio L’area interessata dal fenomeno franoso della Val Pola è ubicata nell’Alta Valtellina, circa a 10 km a Sud dell’abitato di Bormio. Prima che l’evento franoso del 28 luglio 1987 sconvolgesse il versante orientale del Monte Zandila ed un’estesa porzione di fondovalle del fiume Adda, la Strada Statale 38 dello Stelvio attraversava in successione gli abitati di Morignone, Sant’Antonio Morignone e Aquilone. Dal punto di vista geologico l’area circostante la frana è caratterizzata dalla presenza di unità del Dominio Austroalpino superiore: in particolare gneiss e micascisti del Cristallino di Grosina e, specificatamente in corrispondenza del coronamento di frana, paragneiss e micascisti del Cristallino del Tonale. La porzione più estesa di frana è invece occupata da gabbri e gabbrodioriti con intercalazioni di filoni aplitici e pegmatitici appartenenti al “Gabbro di Sondalo”, massa intrusiva dell’Alta Valtellina originariamente attribuita al ciclo magmatico alpino, ma attualmente ritenuta di età varisica. Negli aspetti strutturali a scala regionale l’area è compresa tra la Linea dell’Engadina - a Nord - e la Linea Insubrica - a Sud. A scala locale i lineamenti strutturali principali sono costituiti dalle faglie con direzione Est-Ovest della Val Pola e del Monte Zandila e dagli allineamenti grossomodo orientati Nord-Sud: l’intersezione tra tali piani principali di discontinuità tra loro perpendicolari ha costituito uno dei principali fattori predisponenti al crollo roccioso. La frana del luglio 1987 costituisce la naturale evoluzione di un versante che era già caratterizzato da una paleofrana e da fenomeni gravitativi attivi in un contesto di rocce intensamente fratturate. A tali fenomeni predisponenti del dissesto si aggiungono le condizioni meteorologiche precedenti il collasso. Infatti nel periodo compreso tra il 15 e il 19 luglio anche il territorio dell’Alta Valtellina ha risentito dei fenomeni meteorici che investivano la valle e la frana della Val Valdisotto Foto aerea della frana di Val Pola poco dopo il drammatico evento franoso: prima del distaccamento di materiale del 28 luglio 1987 la Strada Statale 38 dello Stelvio attraversava in successione gli abitati di Morignone, Sant’Antonio Morignone e Aquilone. Geositi della Provincia di Sondrio 113 36 Pola del 28 luglio ne costituisce l’apice. L’azione combinata delle forti piogge e dell’elevato apporto glaciale hanno determinato elevata erosione delle aste torrentizie, incremento del trasporto solido e creazione di nuovi depositi alluvionali di fondovalle allo sbocco con l’Adda. La Val Pola stessa ha subito nei tratti in quota accentuate erosioni laterali e di fondo e l’abbondante materiale trasportato ha generato allo sbocco una nuova conoide che ha prodotto nella serata del 18 luglio 1987 lo sbarramento del fiume Adda e un invaso lacustre che si è esteso a monte fino ad allagare il paese di Sant’Antonio Morignone. La settimana successiva comparivano i primi fenomeni di movimento sul versante del Monte Zandila, dapprima come crolli dalle pareti rocciose della antica paleofrana e poi come apertura di una A sinistra: il versante orientale del Monte Zandila sventrato. A destra: la frana della Val Pola come si presenta oggi dopo gli interventi realizzati per il controllo e la parziale bonifica 114 Geositi della Provincia di Sondrio fessura discontinua per circa 600 metri al piede della scarpata rocciosa in corrispondenza del piano di scivolamento dell’antica frana. Il 27 luglio la fessura assumeva un tratto più continuo e la lunghezza di 900 metri delineando una nicchia di frana che nel suo sviluppo tra quota m 2250 e m 1700 comprendeva una porzione instabile di 35 ettari che nella mattina del 28 luglio 1987 ha generato il distacco di un ammasso pari a 34 milioni di metri cubi di roccia con tipologia di scorrimento dapprima come scivolamento e successivamente come valanga di roccia. I meccanismi di crollo e di deposito del materiale di frana sono stati condizionati dalle caratteristiche dei versanti. La massa rocciosa frantumata dopo aver colmato il fondovalle è risalita sul versante opposto per 300 metri. Nella fase Un’indagine di ARPA Lombardia evidenzia un alto grado di biodiversità nel corpo di frana della Val Pola (perimetro nero) gruppo 1 gruppo 2 gruppo 3 corpo franoso aree edificate valore elevato valore alto valore medio valore modesto valore basso di ricaduta una porzione di detrito ha colpito l’area occupata dall’invaso lacustre e ha generato un’onda fangosa che è traslata verso Nord con enorme energia, ha colpito le case di Aquilone e si è arrestata circa 2000 metri a Nord del punto iniziale di impatto. Nel complesso l’area influenzata dalla frana della val Pola si è estesa linearmente per circa 4,5 km e il volume di accumulo è stato stimato in circa 40 milioni di metri cubi con spessore massimo lungo l’asse originario dell’Adda fino a 100 metri. Come effetto diretto della valanga di roccia sono stati distrutti il paese di Morignone e le frazioni di San Martino, Castellaccio e Foliano. Come effetto dell’onda di acqua, fango e detriti sono stati distrutti i paesi di Sant’Antonio Morignone, Poz e Tirindrè e parte di Aquilone. Le vittime sono state 29. Subito dopo l’alluvione sono state realizzate le principali opere strutturali sia per la regimazione del fiume Adda, sia per generale messa in sicurezza del versante collassato e dei bacini più dissestati nonché una fitta rete di monitoraggio strumentale. Geositi della Provincia di Sondrio 115 37 Paluaccio di Oga Motivo di interesse scientifico primario: naturalistico Motivi secondari: geomorfologico paesistico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Altri vincoli che insistono nell’area: Riserva naturale Paluaccio di Oga (SIC-ZPS) Dei Cas L. (2001) – La riserva naturale del Paluaccio e il Forte di Oga. Comunità Montana Alta Valtellina, 88. Guglielmin M. & Dei Cas L. (2000) – Lo studio della torbiera del “Paluaccio di Oga” (Valdisotto, SO). Un contributo alla comprensione della genesi delle deformazioni gravitative profonde e della evoluzione del glacialismo in alta Valtellina. Geol. Insubrica 5/2, 105-114. 116 Geositi della Provincia di Sondrio Il Paluaccio di Oga - dalla splendida conca di Bormio è possibile raggiungere la riserva, in Comune di Valdisotto, in pochi minuti - rappresenta un caso relativamente raro di convergenza tra motivi di interesse geologico-strutturale, geomorfologico e naturalistico, in particolare paleobotanico: quest’ultimo aspetto si può considerare prevalente in ragione delle attività estrattive che hanno interessato in passato il deposito torboso, nonché delle evidenze paleoclimatiche registrate dal deposito stesso (Dei Cas, 1999; Dei Cas & Guglielmin). La torbiera del Paluaccio di Oga si colloca a quota 1705 m s.l.m. circa, sul versante orientale del Monte Massucco. Le rocce che costituiscono il versante sono riconducibili al Dominio Austroalpino e, alle quote di interesse, sono rappresentate da rocce metamorfiche della Falda Campo (“Filladi di Bormio” Auct.). L’intero versante è caratterizzato da numerose contropendenze morfologiche, ciascuna delle quali corrisponde all’intersezione tra la superficie topografica e un piano di scivolamento gravitativo che interessa la compagine rocciosa sino in profondità. È stata proprio la diminuzione (e locale inversione) del gradiente morfologico, associato ad una di queste superfici di scivolamento, a consentire il ristagno d’acqua e la formazione delle torbiere. Di recente, il Paluaccio di Oga è stato oggetto di approfondite indagini geologiche (Guglielmin & Dei Cas, 2000) che hanno consentito di accertare la presenza di un controllo strutturale sulla contropendenza e di datare, con il metodo del radiocarbonio, l’inizio della deposizione della torba al 7500-7600 a.C.: un’età nella quale i ghiacciai vallivi legati all’Ultimo Massimo Glaciale si trovavano ormai in fase di ritiro. L’attività di estrazione della torba è stata particolarmente intensa nella prima metà del XX Secolo, anche per effetto dell’autarchia proclamata dal regime fascista: in quel periodo l’impiego prin- Valdisotto A sinistra: la torbiera di alta quota del Paluaccio di Oga, di notevole interesse floristico In alto a destra: il Forte di Oga, detto anche Forte Venini, in onore del generale valtellinese Venini, medaglia d’oro al valore cipale della torba era quello di combustibile per uso domestico e industriale, mentre attualmente prevale l’impiego florovivaistico. E’ da tenere in considerazione anche l’interesse floristico del Paluaccio, conosciuto in letteratura e testimoniato dalla presenza di specie quali la Andromeda polifolia, Vaccinum microcarpus, Empetrum nigrum, Oxycoccus quadripetalus e Drosera rotundifolia. Completa la visita al sito una scappata al suggestivo Forte Venini (meglio noto come Forte di Oga), costruito tra il 1909 e il 1914 a difesa della strada dello Stelvio e dei limitrofi passi alpini. Il forte è stato definitivamente abbandonato nel 1958 e, a partire dal 1985, parzialmente ripristinato e aperto al pubblico, tanto da diventare un’ulteriore attrattiva della Riserva Naturale Regionale. 0.00 m 0.05 Stratigrafia del carotaggio del Paluaccio di Oga 1.14 1.70 2.08 2.20 2.30 2.58 2.85 4.10 4.20 4.80 1300-1435 d.C. 570-765 d.C. 3865-3810 a.C. 4070-3930 a.C. 4155-4120 a.C. Suolo Torba Limo Argilla Sabbia 9.40 7610-7515 a.C. Ghiaia 10.00 m Legni Filladi Geositi della Provincia di Sondrio 117 38 Val Viola Bormina Motivo di interesse scientifico primario: paesistico Motivi secondari: geografico naturalistico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Altri vincoli che insistono nell’area: Val Viola Bormina Ghiacciaio di Cima dei Piazzi (SIC) Diolaiuti G., D’agata C. , Pelfini M. & Smiraglia C. (2002) - Gestione tramite gis di beni geomorfologici, glaciologici e naturalistici per la valorizzazione mediante un turismo sostenibile di aree di alta montagna. Atti workshop - Gis per la tutela e valorizzazione dei beni ambientali e storico culturali, Firenze 25 maggio 2001, Geostorie. Diolaiuti G., (2001) - Evoluzione recente dei sistemi morfodinamici nelle aree proglaciale della Val Viola (Alpi Lombarde). Memorie della società geografica italiana, vol. Lxvi, 245 - 261. Guglielmin M. & Notarpietro A. (1998): “Itinerario 17 - Val Viola Bormina. In “Alpi e Prealpi Lombarde”, guide geologiche regionali, be-ma editrice. Rossi S., Diolaiuti G., Forasacco E., Montrasi L., Pelfini M., Smiraglia C. (2003) - Evidenze geomorfologiche della più recente espansione glaciale correlabile con l’episodio freddo degli anni ’50-’70 del XX secolo sulle alpi lombarde. Risposta dei processi geomorfologici alle variazioni ambientali”, Motta & Biancotti eds., 377-396. 118 Geositi della Provincia di Sondrio La Val Viola glacializzata è localizzata alla testata della Val Viola Bormina (Valdidentro, Sondrio) e ne costituisce il settore meglio conosciuto come Val Dosdè e Val Cantone di Dosdè. In quest’area, estesa altimetricamente tra i 2000 ed i 3300 m di quota, si concentrano gli apparati glaciali del gruppo Piazzi - ad esclusione del ghiacciaio Cima de Piazzi - che rappresentano la principale risorsa idrica dell’area. Le loro acque di fusione alimentano la fitta rete di torrenti e ruscelli che attraversano le aree a pascolo ed a bosco sottostanti. Punto di partenza per questa escursione è l’abitato di Arnoga (metri 1850 circa), raggiungibile lungo la Strada Statale 301 che sale verso il Passo del Foscagno. Nei pressi dell’ampio tornante incontriamo la deviazione per la Val Viola Bormina e la seguiamo. L’ultima deviazione per la quale occorre prestare la dovuta attenzione è al km 4: seguiamo la via di destra e siamo in breve al parcheggio in località Altumeira (m 2116). Ad un certo punto del cammino una seconda strada si stacca dalla nostra e scende verso sinistra sino a raggiungere la già visibile Alpe Dosdè (m 2129) nella parte bassa della vallata, laddove corre il Torrente Bormina. Proseguendo su questo sentiero, che coincide con il Sentiero Italia, si giunge in Val Cantone di Dosdè al Bivacco Caldarini e più avanti al Rifugio Capanna Dosdè. I ghiacciai della Val Viola Bormina, tutti di tipo montano sebbene il Dosdè orientale, il più grande, sia dotato di una discreta lingua che consente al flusso glaciale di raggiungere intensità consistenti, sono attualmente in fase di intenso regresso a seguito del riscaldamento climatico in atto (- 20% di superficie dal 1992 al 1999 e – 30% di volume nello stesso periodo, fonte dei dati catasti glaciali Regione Lombardia, sit regionale). Questa contrazione areale e volumetrica è testimoniata anche dagli anfiteatri morenici recenti perfettamente conservati nelle aree proglaciali di molti dei ghiacciai del gruppo. Seb- Valdidentro In alto a sinistra: salita alla Cima di Val Viola. Sullo sfondo il Gruppo del Bernina bene le dimensioni medie degli apparati siano limitate (solo il ghiacciaio del Dosdè orientale supera il km2 di area), le morfologie glaciali ed in particolare supraglaciali (i.e.: funghi di ghiaccio o tabulae di ghiaccio, bediéres o torrenti epiglaciali, coni di ghiaccio, morene mediane, depositi crioconitici) sono ben espresse ed esemplificative di forme altrimenti presenti solo su apparati di maggiori dimensioni. L’area frontale degli apparati è soggetta, negli ultimi anni, ad un’evoluzione intensa ed accelerata. Oltre alla riduzione della lunghezza ed alla presenza di una sempre maggiore copertura detritica superficiale, sono in corso profonde modificazioni morfologiche (apertura ed ampliamento di finestre rocciose, aumento di forme da ablazione differenziale quali coni di ghiaccio e morene mediane) che evidenziano la trasformazione in atto dal sistema glaciale a quello paraglaciale. Diffuse sono anche le forme di erosione, come le rocce montonate. La bibliografia recente riporta per quest’area evidenze geomorfologiche ben conservate e ben espres- In alto a destra: la Cima del Lago di Spalmo e la Cima di Val Viola In basso: la Val Dosdè vista dalla mulattiera che sale in Val Viola Geositi della Provincia di Sondrio 119 38 In alto a sinistra: l’innevata Cima di Val Viola se che testimoniano le fasi di avanzata e regresso glaciale recenti (ultimi due secoli) permettendo così di ricostruire la storia glaciale e climatica alpina locale che è risultata altamente correlata agli eventi regionali e alpini italiani in genere. Alcuni ghiacciai dell’area sono inoltre stati oggetto di studi approfonditi e di dettaglio per quantificarne la geometria (volumi e spessori tramite prospezioni geofisiche e rilievi gps differenziali) e per valutarne le variazioni annue di lunghezza e di spessore (misura delle variazioni frontali e del bilancio di massa glaciale). I record di informazioni così acquisite presentano serie di dati estese (oltre 50 anni le variazioni frontali e 12 anni i bilanci di massa) e rappresentative delle caratteristiche e delle variazioni del glacialismo italiano. Ricerche condotte nell’ultimo decennio hanno infine evidenziato che l’area in esame non solo è esemplificativa delle forme e dei processi glaciali, ma che anche forme e processi periglaciali, gravitativi e torrentizi sono qui ben rappresentati. 120 Geositi della Provincia di Sondrio In alto a destra: veduta sulla Val Viola In basso: l’invitante strada che porta in Val Viola, adatta per passeggiate poco impegnative. Sullo sfondo svetta fiero il Corno di Dosdè Geositi della Provincia di Sondrio 121 39 Passo del Foscagno Motivo di interesse scientifico primario: geologia strutturale Motivi secondari: geomorfologico paesistico Livello di interesse Accessibilità Bellezza Rischio di compromissione Altri vincoli che insistono nell’area: Passo e Monte di Foscagno (SIC) Livigno - Valdidentro Il Passo del Foscagno è un valico alpino delle Alpi Centrali che mette in comunicazione la Valle di Livigno con la Valdidentro e la Valtellina. Il Passo si trova ad un altezza di 2291 m s.l.m. ed è raggiungibile tramite la Strada Statale 301 del Foscagno. Il passo rappresenta l’unica via che permette di raggiungere Livigno senza dover passare per la Svizzera (attraverso la Valle di Poschiavo e la Forcola di Livigno). La prima strada carrozzabile venne realizzata per motivi militari dall’Ufficio Fortificazioni di Brescia nel 1912-1914, ma per via delle sue caratteristiche era percorribile solo nei mesi estivi. Dal 1952, grazie all’impiego delle macchine spazzaneve e spargisale, è stato possibile mantenere il passo aperto anche nei mesi invernali. Prima della realizzazione della strada, il collegamento avveniva tramite una mulattiera lunga 25 km che collegava Livigno a Semogo (fraz. di Valdidentro). Al passo si trova la dogana in quanto il territorio di Livigno è una zona extradoganale. Da un punto di vista idrogeologico, il passo è lo spartiacque tra i bacini dell’Inn (e quindi del Danubio) a Nord e dell’Adda (e quindi del Po) a Sud. In prossimità del Passo affiorano filladi molto deformate con interessanti fenomeni di clivaggio. Il clivaggio delle filladi è un tipo di foliazione che si manifesta nella tendenza della roccia a sfaldarsi lungo piani paralleli. Non va confusa con la stratificazione, che è una struttura sedimentaria; in effetti è co- Il Passo del Foscagno: sullo sfondo si intravede l’edificio della dogana di frontiera tra la zona extradoganale di Livigno e la Valdidentro mune osservare che il clivaggio, la cui orientazione dipende dal campo di sforzi che interessa una roccia durante la sua storia deformativa e non dalle sue modalità di formazione originaria, può intersecare a qualsiasi angolo la stratificazione, sempre che questa si conservi nel corso del processo deformativo. A livello microstrutturale, il clivaggio delle filladi dipende dall’orientazione parallela di microscopici cristalli di forma appiattita (in genere fillosilicati). 122 Geositi della Provincia di Sondrio Geositi della Provincia di Sondrio 123 40 Passo d’ Eira Motivo di interesse scientifico primario: geologia strutturale Motivi secondari: geomorfologico paesistico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Berra F. (1994) – Stratigrafia e paleogeografia del Triassico Superiore delle Falde Ortles e Quattervals (Austroalpino Superiore) in Lombardia. Tesi di Dottorato, Univ. di Milano, 146. Pozzi R. (1965) – Schema tettonico dell’Alta Valtellina da Livigno al Gruppo dell’Ortles. Ecl. Geol. Helv. 58/1, 21-38. 124 Geositi della Provincia di Sondrio Livigno La splendida cornice naturale del Passo d’Eira, che si colloca in corrispondenza della sella morfologica tra il Mottolino e il Monte Crapené, rappresenta un punto di osservazione privilegiato su un’associazione di strutture tettoniche che affiorano estesamente sui versanti occidentali della Cima Pozzin, appartenente alla dorsale del Monte Pettini. Per quanto le rocce esposte nelle catene montuose siano comunemente deformate, in regime duttile o fragile, non è frequente osservare strutture tanto spettacolari in condizioni di esposizione naturale tanto favorevoli. La successione stratificata della Formazione di Fraele, costituita da un’alternanza ritmica di calcari, marne e argilliti, si atteggia in una serie di pieghe di estensione ettometrica, che interessano l’intero versante sovrastante i piccoli nuclei di Isola e Trepalle. Le pieghe presentano una geometria simile e appaiono marcatamente asimmetriche, con un coricamento quasi totale verso Sud-Est. Dal punto di vista strutturale, le rocce piegate in questione appartengono alla copertura sedimentaria della Falda Ortles (Berra, 1994), qui scollata dal suo basamento metamorfico lungo la Faglia della Val Zebrù, che con il suo decorso rettilineo controlla l’asse della Val Pila. E’ proprio lungo questa faglia di fondovalle che si localizza una piccola sorgente termale, in un contesto che presenta notevoli analogie con quello, ben più conosciuto, che ha dato vita al complesso dei Bagni di Bormio (v. scheda 41). Anche in questo caso, la faglia segna il contatto tra rocce sedimentarie permeabili (sovrastanti) e rocce metamorfiche pressoché impermeabili (sottostanti); le acque di precipitazione e di scioglimento delle nevi in quota possono così infiltrarsi nell’ammasso roccioso e riemergere, centinaia di metri più in basso, riscaldate dal gradiente geotermico delle rocce. La sorgente (nota come “Pisciaröla de Pila”) sgorga da una frattura aperta nella roccia affiorante e si disperde nel sottostante detrito, non prima di aver depositato una crosta di alabastro lunga diverse decine di metri e larga qualche metro; si tratta quindi di una emergenza termale di notevole interesse naturale. Il serrato piegamento della successione di Cima Pozzin è il risultato degli sconvolgimenti tettonici che hanno accompagnato la collisione continentale da cui si sono originate le Alpi. In successioni sedimentarie stratificate della crosta superiore, è ormai comunemente accettato che tali processi tettonici avvengano secondo modalità cinematiche ricorrenti, riassunte sotto il termine comprensivo di tettonica pellicolare (thin-skinned in letteratura anglosassone). Uno degli aspetti più interessanti della tettonica pellicolare è la tendenza delle successioni multistrato a separarsi nettamente in livelli più competenti (litotipi massicci, di caratteristiche omogenee per tutto lo spessore: es. calcari dolomitici di piattaforma) e livelli più deboli (litotipi sottilmente stratificati, con intercalazioni di rocce tenere come argille o gessi: es. successioni marino-marginali e/o lagunari). Sottoposta a sforzi orientati, una successione multistrato di tal fatta tenderà a concentrare quasi tutta la deformazione nei livelli deboli, che subiranno marcati effetti tettonici permettendo, al contempo, lo svincolo di piastroni competenti pressoché indisturbati. Il serrato piegamento della successione stratificata di Cima Pozzin è appunto compatibile con la concentrazione delle deformazioni nei litotipi più deboli della Formazione di Fraele, e con effetti relativamente marginali degli sforzi tettonici sulla sottostante Dolomia del Cristallo, in un tratto in cui la successione sedimentaria della Falda Ortles è forzata ad incunearsi tra il proprio basamento e la Falda Quattervals (Pozzi, 1965). Pareti del Monte Pozzin come si vedono dal Passo d’Eira L’abitato di Trepalle e sullo sfondo il Passo d’Eira. Trepalle è il centro abitato più alto d’Italia e d’Europa trovandosi a 2069 m d’altezza Geositi della Provincia di Sondrio 125 41 Cresta di Reit Motivo di interesse scientifico primario: geomorfologico Motivi secondari: stratigrafico strutturale petrografico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Altri vincoli che insistono nell’area: Parco Nazionale dello Stelvio (ZPS) Agostoni S., Laffi R. & Sciesa E. (1997) – Centri Abitati Instabili della Provincia di Sondrio. Pubbl. CNR-GNDCI 1580, Arti Graf. Vertemati, Vimercate, 59 pp. + 86 schede. Amanti M. & Cesi C. (2004) – Italian Alpine Landslides. Field Trip Guide Book P05 – 32nd IGC, Firenze. Berra F. (1994) – Stratigrafia e paleogeografia del Triassico Superiore delle Falde Ortles e Quattervals (Austroalpino superiore) in Lombardia. Tesi di Dottorato, Univ. di Milano, 146. Mortara G., Ceriani M., Laffi R., Lattini C. & Beretta E. (1994) – L’evento alluvionale del 22 luglio 1992 nella conca di Bormio in Alta Valtellina. Quad. Studi Docum. Ass. Miner. Subalpina 17, 25-33. 126 Geositi della Provincia di Sondrio Bormio - Valfurva Si tratta di un elemento strutturale e morfologico che, con la sua imponenza, caratterizza il lato nord-orientale della conca di Bormio. Con il nome “Cresta di Reit”, derivato dal toponimo locale “La Reit” (lariceto), si suole indicare l’estremità occidentale di un contrafforte roccioso, con altezza massima di 3075 m in corrispondenza della Cima di Reit, che prosegue verso Ovest per oltre 12 km, fino a comprendere il Monte Cristallo (3439 m) e le Cime di Campo (3534 m). Dal punto di vista litostratigrafico costituisce un unico, enorme affioramento di Dolomia Principale di età norica. Nonostante la dolomia si presenti stratificata in banchi metrici e plurimetrici, la vastità delle proporzioni dell’affioramento offre, da lontano, l’impressione di una stratificazione sottile. La presenza di una massa rilevante di rocce sedimentarie carbonatiche in un distretto strutturale delle Alpi dove prevalgono le rocce metamorfiche è legata ad un importante lineamento strutturale (Faglia della Val Zebrù) che giustappone, con contatto tettonico, un ampio lembo di rocce sedimentarie (Falda Ortles) al basamento metamorfico austroalpino (Falda Campo). Precedenti interpretazioni consideravano il sedimentario della Falda Ortles come la copertura del cristallino della Falda Campo e accorpavano le due unità strutturali sotto la dizione “Falda Campo-Ortles” (Berra, 1994). La dislocazione della successione carbonatica è stata facilitata dalla presenza di livelli stratigrafici costituiti da evaporiti del Carnico Superiore (gesso e, in subordine, salgemma) alla base della Dolomia Principale, in una posizione stratigrafica analoga a quella assunta dalla Formazione di San Giovanni Bianco nelle Prealpi Lombarde e dagli Strati di Raibl nelle Alpi Carniche. Questo aspetto stratigrafico e strutturale spiega le caratteristiche peculiari delle acque sulfuree dei Bagni di Bormio (Amanti & Cesi, 2004). Esse infatti sgorgano proprio all’altezza dell’anti- co sovrascorrimento, in una zona dove la circolazione idrica sotterranea è fortemente condizionata dalla presenza di reticoli di fratture che attraversano gli ammassi rocciosi e il contenuto salino delle acque risente della presenza di litotipi solubili, ricchi in solfato. Dal punto di vista morfologico, quello che rende la Cresta di Reit in qualche modo ancora più singolare è la presenza di estese coltri di detrito di falda (“ghiaioni”, in un linguaggio più familiare agli escursionisti), che si mantengono attive su estensioni e dislivelli eccezionali, fino a oltre 800 m (Agostoni et al., 1997). L’evoluzione geomorfologica del versante raggiunge picchi di intensità in corrispondenza di eventi di precipitazione di elevata intensità, l’ultimo dei quali risale al 22 luglio 1992 (Mortara et al., 1994). La conca di Bormio sul versante nord orientale è sovrastata dalla Cresta di Reit, le cui pendici sono ricoperte da un vasto bosco di pino mugo. Si noti l’enorme estensione dei ghiaioni sopra Premadio (in alto) e la stratificazione interna alla Dolomia del Cristallo (in basso) Geositi della Provincia di Sondrio 127 42 Piano delle Platigliole Motivo di interesse scientifico primario: geomorfologico Motivi secondari: naturalistico paesistico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Altri vincoli che insistono nell’area: Parco Nazionale dello Stelvio (SIC-ZPS) Bajo F., Bini A., Paganoni A., Ferrari I. & Peretti G. (1983) – Il carsismo di alta montagna in Lombardia. Riv. Mus. Sc. Nat. Bergamo 6, 27-73. Bini A. (1981) – Le Grotte. Natura in Lombardia, 224 . 128 Geositi della Provincia di Sondrio Si tratta di un altopiano di circa 1 km2 compreso nel territorio del Parco Nazionale dello Stelvio, interessante per la singolarità dei fenomeni carsici superficiali e profondi commisti a fenomeni glaciali. È uno dei piani carsici più alti d’Italia (2750 m s.l.m.) in cui sono presenti grotte occupate da piccoli ghiacciai, archi naturali di roccia, resti di grotte crollate. Dal punto di vista paesaggistico il piano delle Platigliole offre magnifici panorami su montagne e valli circostanti. Al piano si accede dal Passo dello Stelvio con la Statale 38. Si lascia l’auto e ci si addentra nel sentiero che porta al Passo delle Platigliole e in circa 1 ora di cammino si giunge all’altopiano. Da un punto di vista geomorfologico, il piano rappresenta una piccola valle sospesa sopra la Val dei Vitelli, su cui domina dall’alto di una parete di circa 150 m. Sino a tempi relativamente recenti, gran parte del piano era occupata da piccoli ghiacciai locali. Il carsismo è almeno in parte pre-glaciale (Bini, 1981) ed è testimoniato con evidenza dall’abbondanza di campi solcati e doline che costellano il piano. I litotipi carsificati possono essere riferiti alla Formazione di Fraele (Retico) e alla Dolomia del Cristallo (Norico). Le acque di ruscellamento superficiale, sia esso diffuso o concentrato, sono interamente assorbite e sembra plausibile una loro risorgenza in corrispondenza della sorgente Fontanone, in Valle del Braulio, circa 1000 m più in basso: mancano tuttavia dati sperimentali (es. analisi di traccianti) a sup- Bormio porto di questa interpretazione (Bajo et al., 1983). Localmente, l’erosione glaciale ha esumato parte dei complessi carsici profondi: resti di forre, un ponte naturale, crostoni stalagmitici e tratti di cunicoli. Sono state censite una ventina di grotte, per la maggior parte di modesto sviluppo, delle quali soltanto due (3054-3056 Lo e 3074 Lo) presentano una certa importanza, con uno sviluppo superiore ai 100 metri. Nella foto a tutta pagina si possono ammirare, sulla sinistra, il Piano delle Platigliole, mentre al centro scende la lingua del Ghiacciaio dei Vitelli. Nel secolo scorso la fronte del ghiacciaio giungeva quasi a lambire la strada dello Stelvio Geositi della Provincia di Sondrio 129 43 Vedretta della Miniera Motivo di interesse scientifico primario: petrografico Motivi secondari: strutturale mineralogico geominerario Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Altri vincoli che insistono nell’area: Parco Nazionale dello Stelvio (SIC-ZPS) Bedognè F., Montrasio A. & Sciesa, E. (2006) I minerali della medio-alta Valtellina, delle Orobie valtellinesi e della val Poschiavo. Aggiornamenti sulle altre località della provincia di Sondrio. Tip. Bettini, Sondrio, 255. Pozzi R. (1968) - La geologia del Parco Nazionale dello Stelvio. Estr. da: Il parco Nazionale dello Stelvio, 32. 130 Geositi della Provincia di Sondrio Nella parte alta della Val Zebrù esisteva una miniera di ferro, che però ormai da molto tempo è in abbandono. Il sito, indicato sulla Carta Tecnica Regionale della Lombardia in scala 1: 10 000 con il toponimo “Miniera di ferro (abbandonata)”, si posiziona a coordinate GaussBoaga approssimative 1 619 225, 5 147 450, a un’altitudine di 2700 m circa. Il giacimento si raggiunge da Valfurva, risalendo la strada di fondovalle della Val Zebrù fino alla Baita del Pastore (2159 m s.l.m.) e poi seguendo un piccolo sentiero che conduce al Passo Zebrù. Il giacimento sfruttato industrialmente era costituito da magnetite, un ossido di ferro appartenente al gruppo degli spinelli; l’attività estrattiva si è comunque mantenuta modesta. La mineralizzazione è ritenuta di origine pneumatolitica ed è associata a vistosi fenomeni di metamorfismo di contatto: il sito coincide infatti con il contatto intrusivo tra un modesto plutone di composizione dioritica e di età terziaria (al quale si associa, verso Sud-Ovest, un corteggio di filoni andesitici) e le dolomie noriche della Falda Ortles. Il contatto è sottolineato da forti contrasti cromatici tra le dolomie chiare e le masse intrusive più scure, facilmente “leggibili” in panoramica (Pozzi, 1968). Oltre alla magnetite, è presente una ricca associazione mineralogica che si articola in tre contesti litologici principali: 1) marmi a silicati: contengono azzurrite, calcopirite, clinocloro, clintonite, diopside, forsterite, granato (grossularia), lizardite, ludwigite, magnetite, malachite, molibdenite, monticellite, spinello var. pleonasto, pirrotina e vesuviana. 2) calcefiri (rocce composte da silicati di calcio e carbonati, legati agli effetti metamorfici di un’intrusione) e skarns: nei calcefiri si trovano fessure riempite da zeoliti, che si formano per effetto della circolazione di fluidi idrotermali di bassa temperatura (< 200° C). I minerali presenti in questa tipologia sono: Valfurva A sinistra: in basso il rifugio V Alpini, in posizione dominante sulla Val Zebrù, visto dalla cima del Monte Zebrù In alto a destra: una bella panoramica della Val Zebrù vista dal Monte Confinale con al centro la Vedretta della Miniera A destra: in mountain bike sulla sterrata verso la Val Zebrù In basso a destra: contatto tra diorite (scura) e dolomia (chiara) alla Vedretta della Miniera. apatite, augite var. fassaite, blenda, calcite, calcopirite, clintonite, cordierite, diopside, epidoto, ferro-attinolite, leuchtenbergite, lizardite, magnetite, montmorillonite, pirite, scapolite, spinello, titanite, vesuviana. In minerali associati alle zeoliti sono: aragonite, calcite, diopside, gismondina, laumontite, natrolite, prehnite, pumpellyite(Fe2+), scolecite e thaumasite. 3) lenti di magnetite: arsenopirite, bornite, calcopirite, clinocloro, cubanite, galena, goethite, grafite, ematite, lepidocrocite, ludwigite, magnetite, malachite, marcasite, pirite, pirrotina e valleriite. Geositi della Provincia di Sondrio 131 44 Ghiacciaio dei Forni Motivo di interesse scientifico primario: geomorfologico Motivi secondari: geografico naturalistico Livello di interesse Accessibilità Valore estetico Rischio di compromissione Altri vincoli che insistono nell’area: Parco Nazionale dello Stelvio (SIC-ZPS) Abbadessa F. (1955) - Rilievi e indagini sul Ghiacciaio dei Forni. Bollettino del comitato glaciologico italiano, serie II, 6. Cassinis R. & Carabelli E. (1954) - Misure sismiche di spessore del Ghiacciaio dei Forni. Bollettino del comitato glaciologico italiano, serie II, 11. Catasta G. & Smiraglia C. (1991) - Le valli dei Forni e di Cedec. Ricerche geomorfologiche. Quaderni del Parco Nazionale dello Stelvio, 8. Cola G. (2003) - Variazioni della lingua del Ghiacciaio dei Forni (Ortles-Cevedale, Italia) nel ventennio 1981-2002. Terra glacialis, 6. Stoppani A. (1876) - Il bel paese. Conversazioni sulle bellezze naturali. La geologia e la geografia fisica d’Italia. Agnelli. 132 Geositi della Provincia di Sondrio Valfurva E’ uno dei pochissimi ghiacciai vallivi a bacini composti delle alpi italiane (già definito di tipo himalayano) ed è il più vasto di questa tipologia sul versante meridionale delle Alpi. E’ caratterizzato da tre bacini di accumulo o di alimentazione. La lunga cresta che li delimita costituisce gran parte del classico e frequentato itinerario alpinistico noto come “traversata delle 13 cime”, dove spiccano vette come il San Matteo e il Tresero. Dai tre bacini di alimentazione si protendono altrettante lingue che, dopo una ripida discesa con imponenti seraccate, confluiscono verso 2700 m formando un ampio pianoro. Da questo si origina una lingua unitaria che, con una lunghezza di circa 1 km, scende verso Nord, segnata dagli evidenti nastri scuri delle morene mediane, sicuramente le più imponenti di tutti i ghiacciai italiani. La fronte attuale si arresta al di sopra del salto roccioso ben visibile dal vicino Rifugio Branca. La zona frontale rappresenta un’area estremamente dinamica dal punto di vista geomorfologico. La sua evoluzione è rapida ed in fase di accelerazione. Negli ultimi anni, in particolare a partire dal 2003, la fronte si è ridotta di spessore e di lunghezza, si è ricoperta di detrito, si sono formati crepacci circolari che, collassando, hanno dato origine a laghi di contatto glaciale, sono emerse finestre rocciose che si sono ampliate e hanno isolato lembi di ghiacciaio. Anche le colate di collegamento con i bacini superiori si sono ridotte. E’ ipotizzabile che nell’arco di pochi decenni la lingua sarà separata dai bacini di accumulo e si formeranno tre ghiacciai di circo isolati. Tutta la zona della fronte rappresenta uno dei migliori esempi di tutte le Alpi di transizione da un sistema glaciale a un sistema paraglaciale, caratterizzato da un intenso rimaneggiamento dei detriti glaciali da parte delle acque di fusione. Nelle aree circostanti la lingua si individuano i sistemi morenici deposti dalle fasi di espansione precedenti, in particolare quella del 1965-1985 con ben evidenti nuclei di ghiaccio, che originano fenomeni di dissesto tipo colate di fango e colate detritiche, sovrastata dall’impo- A sinistra: seraccata sul Ghiacciaio dei Forni che chiude a valle il bacino superiore del ghiacciaio. A sinistra il Palon de la Mare. A destra: un’escursione del XIX secolo In basso: il Ghiacciaio dei Forni visto dal Monte Confinale In basso a sinistra: la lingua del ghiacciaio nente morena laterale, spesso affilata, della piccola età glaciale con forme di erosione pseudocalanchive. Sul fondovalle sono evidenti anche lembi delle morene deposte durante gli anni 20 del XX secolo. Diffuse sono anche le forme di erosione, come le rocce montonate. La bibliografia, sin dai tempi di Stoppani, lo considera uno dei ghiacciai più rappresentativi delle Alpi non solo italiane. In questi ultimi anni la frequentazione di studiosi di tutta Europa ne ha fatto un sito di notevole interesse scientifico dove osservare le evidenze morfologiche fra le più chiare della deglaciazione in atto con i suoi vari processi (glaciali, torrentizi, gravitativi, periglaciali). Geositi della Provincia di Sondrio 133 Glossario PREMESSA Il presente glossario non può e non vuole essere esaustivo rispetto a tutta la terminologia tecnica adottata nel testo che precede. Per numerosi termini si rimanda alla consultazione dei seguenti testi, che offrono anche interessanti opportunità di approfondimento: Mineralogia - petrografia A.A.V.V., 1992, “I minerali - Natura in Lombardia”, Regione Lombardia, Milano. Mottana A., Crespi R., Liborio G., 1995, “Minerali e rocce”, Mondadori, Milano. Geologia strutturale - sedimentologia Roberts J.L., 2002, “Guida alle strutture geologiche”, Franco Muzzio Editore, Padova. Geomorfologia Strahler A.N. 1984, “Geografia fisica”, Piccin, Padova. Geologia generale Bosellini A., 1978, “Tettonica delle placche e geologia”, Bovolenta, Ferrara. AMIGDALA TETTONICA “truciolo” tettonico a forma di mandorla, delimitato da almeno due superfici tettoniche (es. faglie) grossolanamente parallele e a tratti coincidenti. Le dimensioni possono variare dalla scala di osservazione microscopica (< 1 mm) a quella cartografica (> 1 km). ANTIFORME piega che interessa strati rocciosi curvati con convessità verso l’alto. Se le rocce esposte al nucleo della piega risultano più antiche di quelle lungo i fianchi, l’antiforme può dirsi anticlinale. ARKOSE CATACLASATO DEFORMAZIONE TRASPOSITIVA deformazione duttile associata ad un insistito piegamento di piani presistenti nella roccia (es. stratificazione); i fianchi delle pieghe tendono ad assumere giacitura parallela e le cerniere delle pieghe stesse sono obliterate, tanto che diventa difficile riconoscere il piegamento. interessato da cataclasi, che ha subi- CROSTA OCEANICA è il basamento della maggior parte delle aree oceaniche . Si ritrova a partire dalla profondità di circa 4.000 m sotto la superficie degli oceani. to cataclasi (v.). CIRCOLAZIONE IPOGEA dicesi genericamente della circolazione idrica sotterranea, anche di tipo carsico. movimenti di massa che interessano interi versanti rocciosi per effetto della gravità; sono favoriti dalla presenza di superfici di discontinuità immergenti verso valle, che in genere intersecano i versanti con inclinazioni medie minori di quelle del versante stesso. ARKOSE IDEALE v. arkose CLASTI nelle rocce sedimentarie, rappresentano frammenti di rocce preesistenti strappati dall’erosione e trasportati nei luoghi di deposizione. DETRITO DI FALDA accumulo di detriti di rocce al piede di pareti rocciose, la cui superficie (pendio di falda) ha una pendenza tra i 26° e i 42°. CLIVAGGIO modalità di fratturazione delle rocce che si presenta come uno sciame di discontinuità planari e parallele, lungo le quali può avvenire un limitato scorrimento in regime fragile (clivaggio di frattura) o duttile (slaty cleavage, crenulation cleavage, scistosità). DETRITO DI VERSANTE materiale detritico, eroso da un versante roccioso per effetto degli agenti atmosferici e della gravità, e rideposto in accumuli di varia entità a distanza normalmente modesta dal punto di origine. Può essere attivo (es. ghiaione) o colonizzato (es. coltre di depositi boscata). COGENETICO avente un’origine (genesi) comune. DIAGENESI complesso di trasformazioni fisiche e chimiche che si verificano in un sedimento durante il seppellimento e che portano alla litificazione. di contatto l’alterazione indotta sulle rocce incassanti da un fuso magmatico intruso verso la superficie terrestre, caratterizzato da temperatura sensibilmente più alta in condizioni di basse pressioni di confinamento. Le rocce incassanti subiscono in tal modo una serie di trasformazioni fisico-chimiche legate al nuovo gradiente termico instauratosi. In base alle associazioni mineralogiche riscontrate nelle paragenesi è possibile determinare la temperatura raggiunta nelle varie aree a contorno. L’area interessata prende il nome di aureola di contatto. AZIMUTH valore angolare, misurato in senso orario, tra il CATACLASI azione di frantumazione delle rocce, generalmente per motivi tettonici in regime fragile. CIRCHI forme di modellamento glaciale d’alta quota. Corrispondono a blande cavità di forma semicircolare, intagliate nei versanti a seguito dello stazionamento di una massa di ghiaccio. CORDONI MORENICI depositi glaciali che determinano morfologie lineari, allungate o arcuate. CORONAMENTO DI FRANA BEDIÉRES rappresenta il limite, di forma normalmente arcuata, tra il versante indisturbato a monte della frana e la nicchia di distacco. Può essere interessato da evoluzione regressiva, con arretramento verso monte della nicchia di frana e coinvolgimento di nuovo materiale posto a quote normalmente più alte del coronamento stesso. CARBONATICHE CORTEGGIO FILONIANO sciame di filoni, spesso subparalleli o intersecantisi a basso angolo, che accompagna un plutone o un vulcano. Nord magnetico e una qualsiasi direzione proiettata in piano. A titolo di esempio, ad una direzione Est esatta corrisponde un azimuth di 90°; ad una direzione Sud-Ovest, sempre esatta, un azimuth di 225°. dal francese: flussi d’acqua di fusione che interessano la regione frontale («regione di ablazione») di un ghiacciaio. sono rocce sedimentarie formate da carbonati; comprendono per la maggior parte carbonato di calcio (calcare) e carbonato di calcio e magnesio (dolomia). CARSISMO si sviluppa principalmente a seguito della dissoluzione chimica delle rocce calcaree. Il processo rientra nel grande insieme delle azioni di disgregazione compiute dagli agenti esogeni a spese delle rocce affioranti sulla Geositi della Provincia di Sondrio CROSTA CONTINENTALE è la parte di crosta terrestre posta al di sotto delle aree continentali e di alcune aree coperte da acque, limitata inferiormente dalla Discontinuità di Mohorovičic’ e costituita da rocce di tipo granitico ricche in silice. arenaria ricca in feldspati che deriva dalla disgregazione di rocce granitiche. Il principale costituente dell’arkose è il quarzo, ma i feldspati devono essere presenti in quantità superiori al 25%. Le arkose sono depositi presenti usualmente in ambienti continentali, di limitata estensione, caratterizzati da una rapida erosione e da un limitato trasporto, che hanno impedito ai feldspati di essere eliminati dalla degradazione meteorica prima del loro seppellimento. L’arkose “ideale” (Dickinson, 1985) rispetta la proporzione canonica di 2 feldspati per 1 quarzo, tipica dei rapporti di abbondanza di tali minerali in un comune granito. AUREOLA DI CONTATTO si definisce metamorfismo 134 crosta terrestre. La corrosione avviene per opera delle acque meteoriche che, contenendo disciolta al loro interno una certa quantità di anidride carbonica atmosferica, intaccano la roccia calcarea, asportando in particolare il carbonato di calcio. Con il passare del tempo l’acqua piovana, talora localmente acidificata dall’azione biologica, discioglie la roccia, sia superficialmente che in profondità, infiltrandosi per vie di penetrazione spesso impostate su linee di frattura o di faglia. (DEPOSITI) CRIOCONITICI limitate concentrazioni di sedimento fine (in prevalenza limo), con spessori di qualche mm, che si raccolgono sulla superficie di un ghiacciaio; l’ablazione differenziale produce delle vaschette di lunghezza non superiore ai 20-30 cm, riempite con acque di fusione, sul cui fondo si vede raccolto il limo nerastro. DEFORMAZIONI GRAVITATIVE DI VERSANTE DISLOCAZIONE (TETTONICA) spostamento di una parte della crosta terrestre o di una massa rocciosa per effetto di forze tettoniche. DISPLUVIO LINGUOIDE elemento morfologico rilevato, che funge da spartiacque rispetto agli impluvi adiacenti, e che assume un aspetto linguoide in quanto costituito da materiali sciolti e facilmente modellabili (es. accumulo di frana). EFFUSIVO legato all’emissione in superficie di un magma, sotto forma di lava. Contrario = intrusivo (v.). ELLITTICITA’ definita come il rapporto tra la differenza tra i semiassi maggiore e minore e il semiasse maggiore dell’ellisse. (TORRENTI) EPIGLACIALI torrenti che scorrono sulla superficie di un corpo glaciale. Geositi della Provincia di Sondrio 135 EMBRICAZIONE orientazione preferenziale dei ciottoli all’interno di un deposito ghiaioso o sabbioso; i ciottoli appiattiti tendono ad accavallarsi gli uni sugli altri nel verso della corrente, per cui l’immersione dei ciottoli rispetto all’orizzontale risulta opposta al verso della corrente. ESARAZIONE è l’insieme delle opere fisiche e meccaniche di erosione da parte di un ghiacciaio sulle rocce che sono a contatto con esso. FAGLIA è una frattura (planare o curva) della roccia che mostra evidenze di movimento relativo tra le due masse rocciose da essa divise. La superficie lungo cui si è verificata la frattura si chiama superficie di faglia oppure piano di faglia. Le rocce in prossimità di una faglia risultano spesso intensamente frantumate e si parla in questo caso di rocce di faglia quali le cataclasiti o le miloniti. FALESIA costa rocciosa con pareti a picco, alte e continue. Si distinuguono falesie “morte” o inattive, separate dal mare dalla spiaggia, e falesie “vive” o attive, battute direttamente dal mare. L’aspetto delle falesie è il risultato una lunghissima evoluzione durata migliaia di anni. GLACIONEVATI corpi di ghiaccio di ridotte dimensioni, non interessati da movimento. GNEISS classe di rocce metamorfiche caratterizzate da una struttura laminare, dovuta alla disposizione dei minerali in sottili livelli paralleli. Le diverse varietà di gneiss prendono nome dalla roccia originaria da cui si sono formati (come gli gneiss granitici e gli gneiss dioritici), da un minerale di cui la roccia è eccezionalmente ricca (gneiss a biotite o a orneblenda), o ancora dalle località di provenienza. In genere lo gneiss è il risultato di un metamorfismo da carico: i cristalli della roccia, sottoposti a una forte pressione, si allineano in direzione perpendicolare a quella in cui agisce la forza di pressione, conferendo alla formazione rocciosa il tipico aspetto laminare (tessitura scistosa). Gli gneiss derivanti dal metamorfismo di particolari rocce ignee e sedimentarie (prime fra tutte quelle granitiche) sono caratterizzati da una struttura a bande evidenti, in cui il quarzo e il feldspato, che hanno un colore chiaro, si alternano livelli di minerali più scuri. GRANULOMETRIA misura della dimensione delle particelle che costituiscono una roccia, in special modo sedimentaria. IDIOMORFI dotati di forma propria; dicesi di minerali che presentano l’aspetto cristallino loro caratteristico. IDROTERMALE processo legato all’azione di fluidi ad alta temperatura. Comunemente si osserva come dai fluidi idrotermali, ricchi in elementi rari compatibili con la fase fluida, si sviluppino minerali ben formati e spesso pregiati. 136 Geositi della Provincia di Sondrio IMPLUVIO solco percorso dalle acque di scorrimento superficiale o in sublaveo. INCASSANTE dicesi della roccia entro cui viene iniettato un magma o che circondano un serbatoio magmatico, un plutone, un filone. INTRUSIVO legato alla penetrazione e al successivo raffreddamento di un magma all’interno della crosta terrestre. Contrario = effusivo (v.). KLIPPE dal tedesco, lett. scoglio, falesia, faraglione. In geologia, indica un corpo roccioso di dimensioni cartografabili, sovrascorso su un substrato di diversa posizione stratigrafica e/o strutturale e rimasto isolato per motivi tettonici e/o erosionali. LINEAMENTO PERIADRIATICO (LINEA INSUBRICA) faglia regionale, attivatasi circa 25 milioni di anni fa, che separa le Alpi in senso stretto dalle Alpi Meridionali. LITOLOGIA insieme di caratteri chimici e fisici che definiscono una roccia nei suoi vari aspetti, cioè composizione chimica e mineralogica, struttura e tessitura. LITOLOGIE CONGLOMERATICHE tipi rocciosi caratterizzati o dominati dalla presenza di ghiaie cementate. LITOTIPO tipo di roccia formato da un certo numero di minerali e/o altri elementi che lo caratterizzano, presenti in determinate proporzioni. LITOSTATICO dicesi di un carico P esercitato dalle rocce soprastanti. Cresce all’aumentare della profondità h e/o della densità delle rocce , secondo la legge di Stevino P = gh, dove g rappresenta l’accelerazione di gravità. MANTELLO in geologia e in geofisica, è uno degli involucri concentrici in cui è suddivisa la Terra. Compreso tra la crosta e il nucleo, il mantello ha uno spessore di circa 2900 km, rappresenta l’80% in volume dell’intero pianeta ed è costituito essenzialmente da rocce ultrafemiche di alta pressione ricche di ferro e di magnesio (tra cui la perovskite). La pressione al contatto mantello/nucleo esterno è pari a un milione e mezzo di atmosfere (140 GPa). MASSI AVELLI Sono monumenti funerari scavati a forma di “vasca” nell’interno di massi erratici di grandi dimensioni. Si trovano soprattutto nell’area di Como, Canton Ticino, Brianza, Valtellina, Grigioni e non vi è riscontro di questi ritrovamenti in altre aree d’Italia e d’Europa. Si ha notizia di circa 34 massi avelli censiti. Le loro caratteristiche più comuni sono: la forma regolare, “a vasca da bagno” una sorta di cuscino o gradino, su cui forse si posava la testa del defunto il bordo arrotondato per favorire l’appoggio del coperchio e evitare le infiltrazioni di acqua piovana canaletti laterali per lo scorrimento delle acque piovane una posizione spesso dominante il territorio, non di rado orientata a mezzogiorno. La datazione di questi monumenti è incerta perché nel corso dei secoli questi sepolcri furono spogliati di tutte le eventuali suppellettili custodite e i pochi ritrovamenti archeologici dei dintorni non forniscono alcun elemento interpretativo. Si ipotizza che fossero espressione dei culti funerari di quelle popolazioni “barbariche” (Goti, Franchi) che a cavallo del crollo dell’impero romano (Sec. V-VI d.C.) si stabilirono su quel territorio. Si trattava certamente di tombe di personaggi di rango (capi guerrieri, sacerdoti) ma che non ci hanno lasciato nessun documento scritto. METAMORFISMO processo di trasformazione mineralogica delle rocce, dovuto principalmente all’azione della pressione e della temperatura. MONOLITOLOGICO costituito da un unico tipo roc- cioso. del raffreddamento rapido determinato dal contatto improvviso con l’acqua di mare, l’ammasso roccioso appare suddiviso in elementi globosi, lunghi fino al alcuni dm, che assomigliano appunto a cuscini. PLACCA LITOSFERICA è una porzione di litosfera terrestre, ovvero una porzione dell’involucro più superficiale della terra costituito dalla crosta e dalla parte superiore e più rigida del mantello, caratterizzata da spessori variabili da circa 70 km per le placche di litosfera oceanica fino a 200 km per le placche di litosfera continentale, i cui limiti sono riconoscibili in quanto caratterizzati da una intensa attività vulcanica e sismica. È possibile, infatti, ricostruire la geometria delle principali placche litosferiche osservando le distribuzioni dei principali terremoti ed eruzioni nel mondo. PLUTONE corpi rocciosi di dimensioni e forma estremamente varie, costituiti da rocce ignee intruse nella crosta terrestre e solidificatesi in profondità. PROCESSO METASOMATICO con questo nome si intendono descrivere i processi di alterazione chimica delle rocce ad opera di flussi idrotermali (v.) o di altra natura. I processi metasomatici veicolati da flussi idrotermali possono avere origine da sorgenti ignee o metamorfiche. MONUMENTO NATURALE (L.R. 86/83) elemento di rilevanza ambientale e paesaggistica, con connotazione prevalentemente abiotica. Si deve segnalare il carattere fortemente regionale dell’istituto del monumento naturale, che non trova riscontro nella normativa nazionale e comunitaria ma, d’altra parte, entra a pieno titolo nella categoria delle aree protette lombarde e negli strumenti di pianificazione a scala regionale, provinciale e comunale, come anche nei Piani Territoriali di Coordinamento di Parco. PSEUDOCALANCHIVO detto dell’aspetto di ammassi rocciosi denudati e incisi da numerosi solchi disposti lungo la massima pendenza, che simulano l’aspetto dei calanchi dell’Appennino, ma che possono essere incise anche in rocce coerenti, intensamente fratturate. PAESAGGIO CALANCHIVO RADIOCARBONIO paesaggio dominato dalla presenza di calanchi, forme di denudamento erosionale dei versanti molto diffuse in Appennino. Interessano per lo più versanti a substrato argilloso. PALEOBOTANICO riferito allo studio della vegetazione del passato attraverso i fossili. PELITE (dal greco = fango, argilla) è un termine usato in geologia per definire una roccia derivata da un originario sedimento fangoso avente granulometria minore di 1/16 di mm, composto prevalentemente di minerali del gruppo delle argille. PIANA ABISSALE parte pianeggiante del fondale oceanico, al largo della scarpata e del rialzo continentale. Si attesta su una profondità media di circa 4000 m sotto il livello del mare. PILLOW dall’inglese, lett. cuscino, guanciale. In vulcanologia, indica una struttura naturale che interessa le lave, specialmente basaltiche, effuse in ambiente subacqueo. A causa isotopo radioattivo del carbonio, con peso nucleare = 14 (a differenza dei due isotopi stabili, 12C e 13C). Essendo instabile, il 14C decade con un tempo di dimezzamento pari a 5730 anni circa; poiché il suo assorbimento nei tessuti organici cessa alla morte dell’organismo assimilatore, l’inizio del decadimento coincide con la cessazione dell’attività metabolica. Il 14C consente di datare reperti di età massima attorno ai 60 000 anni fa. RISERVA NATURALE (L.R. 86/83) area naturale individuata ai fini della tutela della biodiversità, nell’esperienza lombarda può presentare una forte caratterizzazione geologica-geomorfologica. ROCCE BRECCIATE rocce suddivise in elementi grossolani, spesso angolosi, che conferiscono loro un elevato grado di permeabilità. ROCCE MONTONATE balze rocciose levigate e striate dall’azione del ghiaccio; possono essere associate in gruppi e sono comunemente sagomate secondo la direzione di movimento del ghiacciaio. Geositi della Provincia di Sondrio 137 Crediti Coordinamento generale: Referenze Fotografiche©: Regione Lombardia Direzione Generale Territorio e Urbanistica Ing. Mario Nova Dr. Roberto Laffi Grazia Aldovini: pp. 100, 101, 105 (sinistra e basso destra) TETTONICA PELLICOLARE processo deformativo che interessa i primi km della crosta superiore, sovente costituita da rocce sedimentarie, in regime prevalentemente fragile. IREALP Arch. Raffaele Raja Enrico Bonacina: p. 49 (basso destra) Coordinamento scientifico: TETTONICO relativo alla tettonica, relativo alla struttura, alla deformazione e alla dislocazione della crosta terrestre Regione Lombardia Direzione Generale Territorio e Urbanistica Dr.ssa Stefania Paoletti Dr. Enrico Sciesa Dr. Dario Sciunnach Tiziano Gandola: p. 125 (alto) SACCAROIDE detto di alcuni calcari e dolomie ricristal- TAXON in paleontologia un taxon (pl. taxa), o unità tas- lizzati, che hanno un aspetto granuloso e ruvido simile allo zucchero in grani. sonomica, è un raggruppamento di organismi reali, distinguibili morfologicamente e geneticamente da altri e riconoscibili come unità sistematica, posizionata all’interno della struttura gerarchica della classificazione linneana. SELLA elemento morfologico che si localizza al raccordo tra due rilievi. SILTOSO contenente una frazione siginificativa di silt, ossia di limo (sedimento di granulometria compresa tra 1/16 e 1/256 di mm). SUBDUZIONE è un fenomeno geologico che ha un ruolo chiave nella teoria della tettonica delle placche. Con questo termine si intende lo scorrimento di una placca litosferica sotto un’altra placca ed il suo conseguente trascinamento in profondità nel mantello, connesso alla produzione di nuova crosta oceanica nelle dorsali medio-oceaniche, la quale tenderebbe ad aumentare la superficie complessiva del pianeta; questo fenomeno avviene lungo i margini convergenti delle placche, ove la crosta oceanica viene quindi distrutta per subduzione (concetto di invariabilità del raggio terrestre). TABULAE (O FUNGHI) DI GHIACCIO costituiti da una lastra di roccia sostenuta da un gambo di ghiacciaio. Il blocco rallenta il processo di fusione del ghiaccio sottostante e, col tempo, resta sollevato rispetto al livello del ghiaccio non protetto. UNITA’ LITOSTRATIGRAFICA insieme di rocce con caratteristiche litologiche proprie ben individuabili e distinte rispetto ad altre unità rocciose. VACUOLARE relativo alla presenza di vacuoli, cioè piccole cavità che possono trovarsi all’interno di una roccia. VALLE SOSPESA si dice così una valle il cui sbocco presenta un salto terminale notevolmente verticalizzato. VEDRETTA piccolo ghiacciaio situato su un ripido pendio o in una conca. Coordinamento editoriale: Regione Lombardia Direzione Generale Territorio e Urbanistica Dr. Andrea Piccin Dr. Dario Sciunnach IREALP Dr.ssa Claudia Del Barba Contributi scientifici: Regione Lombardia Direzione Generale Territorio e Urbanistica Dr. Dario Sciunnach (schede 1, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 15, 16, 18, 19, 22, 23, 25, 26, 27, 29, 30, 34, 35, 37, 39, 40, 41, 42, 43) Dr.ssa Stefania Paoletti (schede 2, 5, 6, 17, 24, 28) Arch. Grazia Aldovini (schede 31, 33) Dr. Enrico Sciesa (schede 3, 4) Dr. Dario Fossati - Arch. Anna Rossi (raccordo con la componente paesaggistica) Università degli Studi di Milano Dip.to di Scienze della Terra “A. Desio” Dr. Guido Mazzoleni (schede 1, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13) Dr.ssa Guglielmina Diolaiuti (scheda 38) Prof. Claudio Smiraglia (scheda 44) Provincia di Sondrio - Servizio Pianificazione Territoriale Dr.ssa Susanna Lauzi (schede 21, 36) Museo Civico di Storia Naturale - Morbegno Dr. Fabio Penati (scheda 14) Università di Milano-Bicocca Dip.to di Scienze Geologiche e Geotecnologie Dr. Giovanni Vezzoli (scheda 16) ERSAF Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e alle Foreste Dr.ssa Vanna Maria Sale (scheda 20) Roberto Appiani: pp. 44 (basso), 49 (centro destra) Hans Kerp: p. 57 (basso destra) Riccardo Marchini: pp. 89, 96, 102, 103 (alto e destra), 116, 122, 123, 128, 129 Guido Mazzoleni: pp. 44 (alto), 49(alto) Lodovico Mottarella: copertina, pp. 2, 3, 4, 5, 6, 9, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 28, 30, 34, 37 (sinistra e alto), 38, 39, 42, 45, 46, 48, 52, 53, 54 (sopra), 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61 (basso destra), 62, 63, 65, 67 (basso sinistra), 68, 70, 71 (basso), 72, 76, 78, 80, 81 (basso e destra), 82, 83, 84, 85, 86, 88, 90, 91, 92, 93, 94, 95 (destra), 104 (sinistra), 106, 107, 108, 109, 115, 118, 119, 120, 121 (alto e sinistra), 125 (basso), 126, 127, 130, 131 (due sopra), 132 Stefania Paoletti: pp. 31 (basso), 67 (alto), 77, 81 (sinistra), 92 (basso sinistra), 95 (basso destra) Cesare Saibene: p. 131 (basso) Vanna Maria Sale: p. 73 (centrali) Dario Sciunnach: pp. 27, 29, 32, 33, 35, 36, 43 (alto destra e basso sinistra), 47 (basso), 50, 51, 61 (basso sinistra), 64, 69 (alto destra), 71 (alto destra), 75 (alto), 79 (basso destra), 85 (alto destra), 87 (destra), 97 (basso), 98, 99, 105 (alto), 111 Wallraf-Richartz Museum, Köln: p. 69 Le ortofotografie riprodotte (schede 20, 21, 31, 32, 35) sono su licenza TerraItaly™, marchio di proprietà del Gruppo Compagnia Generale Ripreseaeree (CGR, Parma) Progetto grafico: MOTTARELLA Studio Grafico www.mottarella.com CNR - Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali Sez. di Milano Dr.ssa Roberta Pini (scheda 32) 138 Geositi della Provincia di Sondrio Geositi della Provincia di Sondrio 139