La polemica sul possibile nel IV secolo a.C. [Aristotele, Filone

Metalogicon (2002) XV, 1
La polemica sul possibile nel IV secolo a.C.
[Aristotele, Filone, Diodoro Crono,
Crisippo] in una interpretazione moderna
Dario Ettari
“Ci sono alcuni (ad esempio i Megarici) i quali sostengono
che c'è potenza solo quando c'è atto e che, quando non c'è atto,
non c'è neppure potenza: cosi ad esempio, chi non sta costruendo
non avrebbe, a parer loro, neppure la potenza di costruire, ma
sarebbe in possesso dì tale potenza solo colui che sta costruendo,
nel momento in cui egli sta costruendo: e ciò varrebbe anche per
le altre cose. Ma non è difficile vedere in quali assurde
conseguenze costoro vanno a cadere. A pater loro è evidente che
non ci sarà neppure un costruttore, qualora questi non stia
costruendo (in realtà, però,1'essenza di costruttore non è altro se
non l'essere-capace-di-costruire) e così anche per le altre arti.
Poiché pertanto,è impossibile possedere queste vane arti senza
averle imparate in un dato momento e senza averle acquisite, e
poiché è impossibile non possederle più senza averle perdute in un
dato momento.... allora, se si ammette che uno, quando interrompa
l'esercizio della sua arte, non avrà più in suo potere quest'arte, noi,
vedendo che egli si è poi messo, ad esempio, nuovamente a
costruire, ci chiediamo: come mai egli ha un’altra volta acquisito
il possesso dell'arte? Inoltre, se ciò che è privo di potenza è
"impossibile", allora ciò che non è generato non potrà essere
generato, e si cadrà in errore se si dirà che esiste o esisterà dà che
non ha la potenza di esistere… e di conseguenza quei
ragionamenti eliminano movimento e divenire. Chi sta in piedi
resterà sempre in piedi, e chi sta seduto resterà sempre seduto,
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giacché sarà impossibile che si alzi chi non ha la potenza di
alzarsi".1
Il passo aristotelico sopra riportato polemicamente
indirizzato contro una tesi "megarica" non meglio precisata,
mentre da un lato conferma il convincimento del suo autore circa
il sussistere di uno stadio particolare dell’essere – vale a dire
quello dell’essere-in-potenza come
divenire, movimento –
dall'altro lato offre un importante "aggancio" teorico per una
comprensione della concezione aristotelica – ed indirettamente di
quella megarica – del possibile, intorno al quale sorse nel IV
secolo a. C. un fervido dibattito i cui protagonisti possono
individuarsi appunto in Aristotele, nei Megarici (in particolare
Diodoro Crono e Filone di Megara) e nel grande stoico Crisippo,
ma la cui eco giunse fino a personaggi molto posteriori quali
Alessandro di Afrodisia, Cicerone, Boezio, che ce ne lasciano
importanti testimonianze.
Si è detto che la tesi megarica oggetto della replica dello
Stagirita è alquanto vaga, sia dal punto di vista storiografico
(dovrebbe infatti riferirsi al m o d o d i o d o r e o di concepire
il possibile, e tuttavia sembra che esistano difficoltà
cronologiche), sia dal punto di vista teorico.
Aristotele affronta infatti l'argomento sul versante
prevalentemente metafisico (e fisico), più che su quello logico,
come è comprovato dal fatto che ulteriori testi aristotelici sulla
questione si ritrovano ancora nella Metafisica.2
È comunque prassi storiografica comune attribuire appunto
a Diodoro la tesi confutata da Aristotele, tesi che è formulabile
all'incirca nei termini seguenti: possibile è soltanto c i ò c h e è
o s a r à 3 laddove viceversa ciò di cui non si dà mai il caso
avrebbe la caratteristica della impossibilità. Si potrebbe dire
1
Ar. Metaph. 1046b – 1047a.
Ar. Metaph.1019b; 1065b – 1066a.
3 Alex. Aphr. In Arist. Anal. Prior.I, 183, 34-184, Wallies, fr. 135 Doring;
Boët. In Arist. De Interpr. 234, 10 – 235, 9 Meiser, fr. 138 Doring.
2
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pertanto che quella diodorea è una concezione in certo senso a
posteriori: se p si è dato – o in qualche tempo futuro si darà - non
poteva che essere possibile, altrimenti non si sarebbe dato.
Tuttavia, sembra intuitivo rilevare che non è vero il reciproco: la
circostanza che p non si dia almeno una volta, non sembra
escludere c h e a v r e b b e p o t u t o d a r s i in condizioni
diverse. In simboli, avremo dunque:
a)
b)
◆ p ≡ ■ (p∨Fp)
◆ p ≡ ¬ ◆ ¬ (p∨Fp)
o anche
(intuitivamente: a) “è possibile che p” equivale a:
“necessariamente o p è vero o in futuro sarà vero”;
b) “è possibile che p” equivale a: “non è possibile che p non sia
vero attualmente o non lo sia in futuro”.
Diversa la tesi di (attribuita a) Filone di Megara: possibile è ciò
che ha in sé la disposizione naturale, la capacità tendenziale ad
essere (a realizzarsi), ma non necessariamente si attualizza, “viene
all'essere”; non soltanto, ma ciò indipendentemente dalla presenza
o meno dì condizioni favorevoli alla sua realizzazione.4 In
simboli,
◆ p ≡ Fp∨¬ Fp
(intuitivamente : “è possibile che p” è definibile come: “o in
futuro p sarà vero o in futuro p non sarà vero”.
Infine, la tesi di Crisippo: possibile è ciò che né è né sarà
(necessariamente vero), ossia, in contrapposizione alla tesi
diodorea e sulla falsariga di quella filoniana, non necessanamente
p ha da attualizzarsi, da realizzarsi perché possa esser giudicato
possibile, anzi, si direbbe che per Filone la possibilità di p sia
4
Cfr. nota 3. Significativo è l’esempio addotto da Alessandro d’Afrodisia: la
possibilità che un filo di paglia bruci sussiste anche nell’ipotesi che esso venga
a trovarsi in fondo al mare.
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caratterizzata essenzialmente dalla sua non-attualità o nonattualizzazione. In simboli,
a)
b)
◆ p ≡ ¬ ■ Fp
◆ p ≡ ◆ ¬ Fp
ovvero
(intuitivamente: a) “è possibile che p” è definibile come: “non
necessariamente in futuro p sarà vero; b) “è possibile che p” è
definibile come “può darsi il caso che In futuro p non sia vero”.
Riepilogando,abbiamo:
I.
(Diodoro Crono)
a)
■ p ∨Fp
b)
¬ ◆ ¬ p ∨Fp
II.
(Filone di Megara)
a)
Fp ∨ ¬ Fp
III
(Crisippo)
a)
¬ ■ Fp
b) ◆ ¬ Fp
ovvero
Se ci riferiamo all'esempio addotto da Alessandro di
Afrodisia, riportato nella Nota 4, ed al quesito ivi implicato (è
possibile che un fil di paglia che si trovi in fondo al mare bruci,
oppure no?), osserviamo che la situazione presentataci è soltanto
in apparenza univoca: in realtà si presta a più di una risposta, in
quanto nasconde più di una domanda.
Schematizzando, si potrebbe rispondere che: i. anzitutto,
dipende da come intendiamo assumere qui il concetto di
p o s s i b i l e ( d a l p u n t o d i v i s t a l o g i c o ) ; ii. in
secondo luogo la questione potrebbe essere considerata d a l
p u n t o d i v i s t a f i s i c o , se cioè sia fisicamente possibile
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che un filo di paglia bruci in fondo al mare. Ma si pone, altresì, un
ulteriore problema: che rapporto sussiste tra le due questioni?
Se infatti è indubbio (per quel che ci risulta) che per
Aristotele esiste un circuito linguaggio–essere, logica–realtà, e se
è altrettanto indubbio che nel pensiero contemporaneo tale circuito
è per lo più considerato erroneo – ed anzi, fonte di clamorosi
errori filosofici e scientifici – tuttavia è difficile non vedere come
il problema è lì, e ci interpella, comunque lo si voglia poi
risolvere.
Analizzando il quesito, proveremo a considerare, in
generale, quello che esso potrebbe voler dire, e quello che ad esso
si potrebbe rispondere, alla luce del problema che ci siamo posti.
Si può ipotizzare ad esempio, quanto al primo punto: a) che
ci si chieda se potrà mai accadere effettivamente che un filo di
paglia brucerà in fondo al mare; b) che ci si chieda se le attuali
conoscenze della fisica autorizzano o meno a ritenere che, posto
un filo di paglia in fondo al mare, questo abbia la disposizione ad
andare incontro a processi di di combustione c) che ci si chieda se,
in quanto filo di paglia (e pertanto combustibile), esso in linea di
ipotesi avrebbe comunque la potenzialità di bruciare, anche se,
date le condizioni in cui si trova non brucerà mai effettivamente.
E le risposte muterebbero, com'è ovvio, di volta in volta.
L’esempio è però, in ogni caso, per così dire, mal posto
relativamente al problema che ci sta occupando, e in quanto tale
ingannevole: così come è espresso, esso pone un problema
soltanto fisico (ammesso che sia un problema fisico), che in
quanto tale non pare interessare – almeno in modo diretto – il
logico. Non viene richiesto infatti un giudizio sul significato delle
condizioni logiche in cui è suscettibile di darsi – non darsi l'evento combustione di un filo dì paglia (rispetto alle modalità
logiche di possibilità e necessità), bensì un giudizio sul significato
delle condizioni fisiche in cui è suscettibile di verificarsi - non
verificarsi - il fenomeno combustione di un filo di paglia immerso
nell’acqua (rispetto alle leggi della fisica).
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Ed invero neppure il primo tipo di giudizio pertiene tout
court alla logica in quanto tale, nella misura in cui non riguarda un
livello puramente formale, ma rinvia In qualche modo al livello
dei fatti, dell’esperienza.
È ben noto che la logica non è chiamata a esprimersi su
verità – o su modalità – di natura fattuale, empirica, come sembra
richiedere appunto l'esempio di Alessandro di Afrodisia.
Analogamente a ciò che avviene nella logica standard, anche in
quella modale non sarebbe corretto chiedere valutazioni, ad
esempio, su
◆p
enunciato che lascia del tutto indifferente il logico in quanto tale,
il quale invece potrebbe legittimamente esser chiamato a
intervenire su
◆ p∧¬ ◆ p
Mentre infatti tocca al fisico pronunciarsi sulla circostanza
se l'evento descritto in p abbia in sé le caratteristiche empiriche
perché si dia, o non si dia, o si dia, ad esempio, con necessità, e
via dicendo, tocca invece al logico stabilire che la proposizione
espressa dal secondo enunciato presenta la caratteristica logica di
essere (sempre) falsa, nel senso che di nessun evento descritto da
detta proposizione potrà mai dirsi che esso è ad un tempo possibile
ed anche impossibile.
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