Ian Ridpath Mitologia delle Costellazioni M U Z Z I O B I B L I O T E C A Orione, il gigante cacciatore, in piedi davanti alla sua costellazione (Lilika Papanicolaou). Ian Ridpath Mitologia delle costellazioni Franco Muzzio Editore Titolo dell'opera originale Star Tales Traduzione di Giovanna Mannino Prima edizione: ottobre 1994 ISDN 88-7021-708-6 © Ian Ridpath 1998 1988, Lutterworth Press © 1994 franco muzzio & c. editore spa Riviera Albertino Mussato 39, 35141 Padova Tutti i diritti sono riservati Indice Prefazione 1 1 Le stelle e i narratori 5 2 Le carte celesti 23 3 Le ottantotto figure del cielo 33 4 Le costellazioni obsolete 187 Glossario 207 Fonti e riferimenti 209 Indice delle stelle e delle costellazioni 213 Prefazione Quella di narrare storie è una delle più avvincenti arti umane, e nulla è di più grande ispirazione per l'immaginazione di un narratore delle stelle della notte. Questo libro di racconti delle stelle ha le sue radici in u n a serie di guide all'osservazione del cielo che ho redatto insieme al grande cartografo celeste olandese Wild Tirion. Mentre descrivevo ciascuna costellazione, mi sono ritrovato a chiedermi quali fossero le sue origini e in che m o d o gli antichi fossero arrivati alla sua personificazione mitologica. I libri di astronomia n o n contenevano risposte soddisfacenti; o n o n d a v a n o a f f a t t o indicazioni di tipo mitologico, o raccontavano storie che, ho scoperto più tardi, non erano conformi agli originali greci. Ho deciso, quindi, di scrivere io un libro sulla mitologia delle costellazioni e questa impresa si è rivelata molto affascinante. Oggetto del mio studio è stato capire come la letteratura greca e quella latina abbiano informato la nostra percezione delle costellazioni così come le conosciamo Oggi - poiché, per q u a n t o possa sembrare sorprendente, le costellazioni riconosciute dalla scienza del XX secolo sono essenzialmente quelle degli antichi Greci, frammischiate a quelle aggiunte in epoca moderna. A questo fine, sono risalito alle fonti originali greche e latine ogniqualvolta è stato possibile; i riferimenti sono riportati alla fine del libro. Anche se ho tentato di riferire le principali varianti di ciascun mito, identificandone il relativo a u t o r e dove MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI era il caso, resta inteso che non esiste un mito "esatto"; per q u a n t o riguarda alcune storie, ci sono quasi tante versioni differenti quanti sono i mitologi. Vorrei anche chiarire ciò che non si troverà in questo libro: non ho cercato di fare paragoni fra le costellazioni greche e latine e quelle immaginate da altre culture come l'egiziana, l'indù o la cinese. Per q u a n t o le differenze possano essere affascinanti, credo che una tale digressione mi avrebbe p o r t a t o t r o p p o lontano dagli scopi che mi ero prefissato. Né ho investigato molto a fondo nella confusa palude della speculazione intorno all'origine delle costellazioni; quello è compito dello storico, e, a dire il vero, è probabile che mai riusciremo a trovare risposte convincenti considerando la frammentarietà delle informazioni che abbiamo a disposizione. Poiché gli a s t r o n o m i dell'antichità vedevano ciascuna costellazione come la personificazione di un personaggio mitologico o di un animale, anziché come u n a semplice zona del cielo, che è invece la definizione che le d a n n o oggi gli astronomi topografi, mi è sembrato naturale illustrare ciascuna di esse con u n a figura tratta da una vecchia carta celeste. Queste carte celesti sono di per sé opere d'arte, f r a i tesori più eleganti che ci siano stati t r a m a n d a t i dagli astronomi del passato. Le costellazioni ci forniscono un legame molto reale con le civiltà più antiche. Esse costituiscono l'eredità che ci accomuna tutti ogni volta che osserviamo un cielo notturno. Sento di essere debitore verso molte persone per l'aiuto che mi h a n n o d a t o d u r a n t e la preparazione di questo libro. La competenza di David Dewhirst dell'Università di Cambridge è stata impagabile per q u a n t o si riferisce alla decifrazione di alcuni riferimenti poco chiari. Il mio lavoro di ricerca è stato reso più agevole anche grazie all'aiuto e all'interesse di Janet Dudley e J o h n Hutchins della biblioteca dell'Osservatorio Reale di Greenwich, e di Peter Hingley della biblioteca della Società Reale di Astronomia. Nei confronti di David Calvert dell'Osservatorio Reale di Greenwich ho un particolare debito di gratitudine perché mi ha fornito le illustrazioni delle costellazioni, fotografate dagli atlanti celesti di Bode e Flamsteed, PREFAZIONE conservati nella biblioteca dell'Osservatorio. Ringrazio inoltre George e Lena Bekerman per il loro aiuto nella traduzione dal francese. Wil Tirion mi ha fornito informazioni su due olandesi creatori di costellazioni, Keyser e de H o u t m a n . John E b d o n , direttore del Planetario di Londra, che è un fervente cultore dei greci e dell'astronomia, è stato tanto gentile da leggere il mio manoscritto e da suggerire delle correzioni. Ho anche il piacere di ringraziare l'artista greco Lilika Papanicolaou che mi ha permesso di riprodurre l'immagine a pagina ii. 1 Le stelle e i narratori Ogni notte, u n a p a r a t a di personaggi della mitologia greca gira in t o n d o nel cielo. Perseo si lancia in soccorso di A n d r o m e d a , Orione a f f r o n t a la carica del toro sbuffante, Boote raggruppa gli orsi attorno al polo, e la nave degli Argonauti salpa alla ricerca del vello d'oro. Queste leggende, insieme a tante altre, sono raffigurate nei raggruppamenti stellari che gli astronomi chiamano costellazioni. Le costellazioni sono invenzioni dell'immaginazione u m a n a , n o n già della n a t u r a . Sono un'espressione del desiderio dell'uomo di imprimere il proprio ordine nel caos apparente del cielo notturno. Per i navigatori lontani dalla terraferma o per i viaggiatori del deserto privo di sentieri, entrambi bisognosi di indicazioni, per gli agricoltori che avevano necessità di un calendario e per i pastori che volevano un orologio notturno, la divisione del cielo in gruppi di stelle riconoscibili aveva scopi pratici. Ma forse la motivazione più antica di questa esigenza fu quella di umanizzare la tremenda oscurità della notte. I nuovi adepti dell'astronomia sono presto delusi nello scoprire quanta poca, se n o n nessuna, rassomiglianza ci sia tra la maggioranza delle costellazioni e le figure di cui p o r t a n o il nome; ma aspettarsi di riscontrare questa somiglianza significa non capire quale sia il loro vero significato. Le figure delle costellazioni non devono essere prese alla lettera. Invece esse sono simboliche allegorie celesti. Il cielo stellato era u n o scher- MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI mo sul quale l'immaginazione u m a n a poteva proiettare le imprese e le personificazioni di dei, animali sacri e racconti morali. Era un libro di figure nell'epoca in cui non esisteva ancora la scrittura. Ogni sera, le stelle emergono come spiriti magici mentre il Sole discende nel suo nascondiglio notturno. La scienza del XX secolo ci dice che quelle migliaia di puntini luccicanti sparsi nel cielo non sono che palle incandescenti di gas simili al nostro Sole, immensamente lontane. La brillantezza di u n a stella nel cielo notturno dipende dalla combinazione della sua emissione di energia e della sua distanza da noi. Tanto lontane una dall'altra sono le stelle, che la luce persino di quella che ci è più vicina impiega molti anni per raggiungerci. L'occhio umano, quando scorge le fievoli scintille dei fuochi stellari, riesce a vedere aldilà di inimmaginabili abissi di spazio e di tempo. Questi fatti erano sconosciuti agli antichi greci e ai loro predecessori, ai quali dobbiamo gli schemi delle costellazioni che riconosciamo oggi. Essi non sapevano che, tranne che per poche eccezioni, le stelle delle costellazioni non sono connesse una all'altra, ma si trovano a distanze molto diverse. È solo per caso che in cielo si possono osservare forme note come la " W " di Cassiopea, il quadrato di Pegaso, il falcetto del Leone o la Croce del Sud. Il sistema delle costellazioni che usiamo oggi si è sviluppato da un elenco di quarantotto costellazioni pubblicato intorno al 150 d . C . dallo scienziato greco Tolomeo in un libro autorevole che si chiama Almagesto. Da allora, vari astronomi hanno aggiunto altre quaranta costellazioni per riempire gli spazi rimasti vuoti fra le figure di Tolomeo e per popolare la regione attorno al polo sud celeste che era sotto l'orizzonte dei greci. Ne risultano ottantotto costellazioni accettate da tutti gli astronomi in virtù di un accordo internazionale. In questo libro sono narrate le storie di queste costellazioni - e di altre ventiquattro che nel frattempo si sono dovute rassegnare a scomparire. Tolomeo n o n inventò le costellazioni che elencò. Esse esistevano già in epoca anteriore alla sua, sebbene il luogo e il m o m e n t o esatto della loro invenzione si sia perduto nelle nebbie LE STELLE E I NARRATORI del tempo. Gli antichi scrittori greci Omero ed Esiodo (c. 700 a. C.) citarono pochi r a g g r u p p a m e n t i stellari, come l'Orsa Maggiore, Orione e l'ammasso astrale delle Pleiadi (le Pleiadi erano allora considerate una costellazione a sé e non parte del Toro come avviene oggi). È dimostrato che gli sviluppi maggiori in questo campo si verificarono più a est, intorno ai fiumi Tigri ed Eufrate dove oggi c'è l'Iraq. In quel luogo vivevano i Babilonesi, che ai tempi di Omero e di Esiodo avevano un sistema ben organizzato di costellazioni dello zodiaco, la striscia di cielo attraversata dal Sole, dalla Luna e dai pianeti. Lo sappiamo grazie a un elenco di stelle scritto a caratteri cuneiformi su una tavoletta d'argilla che risale circa al 700 a. C. Gli studiosi chiamano questa lista la serie mul-Apin, dal primo nome iscritto sulla tavoletta. Le costellazioni babilonesi avevano molte somiglianze con quelle che conosciamo oggi, ma non erano completamente uguali. Da altri testi, gli storici hanno stabilito che le costellazioni note ai babilonesi avevano origini ancora più remote, che risalivano ai Sumeri del 2000 a. C. Se i Greci dei tempi di Omero e di Esiodo conoscevano lo zodiaco dei Babilonesi, essi comunque non ne fecero menzione scritta. La prima prova certa che abbiamo di un sistema esteso di costellazioni greche ci viene dall'astronomo Eudosso (c. 390 - c. 340 a. C.). Si ritiene che siano stati sacerdoti egiziani a informare Eudosso in merito alle costellazioni e che lui le abbia introdotte in Grecia, rendendo all'astronomia un contributo altamente significativo. Eudosso pubblicò le descrizioni delle costellazioni in due lavori: Enoptron (Specchio) e Phaenomena (Apparenze). E n t r a m b e queste pubblicazioni sono andate perdute, ma Phaenomena ha continuato a vivere in un poema dallo stesso nome composto da un altro greco, A r a t o (c. 315 - c. 245 a. C.). Il Phaenomena di A r a t o fornisce u n a guida completa delle costellazioni note ai Greci antichi; di conseguenza egli è un personaggio importante nel nostro studio della scienza delle costellazioni. Arato nacque a Soli in Cilicia, sulla costa meridionale di quella che oggi è la Turchia. Studiò ad Atene prima di recarsi alla MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI corte del re Antigone di Macedonia nella Grecia settentrionale. Colà, su richiesta del re, compose la versione poetica del Phaenomena di Eudosso, intorno al 275 a. C. Nel Phaenomena A r a t o identificò quarantasette costellazioni, compresa l'Acqua (oggi considerata parte dell'Acquario) e le Pleiadi. Arato diede anche il nome a sei stelle singole: Arturo, Capella (che chiamò Aix), Sirio, Procione (che formava una costellazione propria), Spiga (che chiamò Stachus) e Vendemmiatrice (che chiamò Protrygeter). Quest'ultima stella costituisce una vera e propria sorpresa, poiché, nonostante sia molto meno luminosa delle altre, fu utilizzata dai Greci nel loro calendario agricolo; infatti il giorno d'agosto in cui sorgeva all'alba era quello in cui si dava il via alle operazioni di vendemmia. Né i Greci né gli Egiziani f u r o n o i veri inventori delle costellazioni che sono descritte nel Phaenomena. La prova di quest'asserzione non si evince da documenti scritti, ma dal cielo stesso. Per quanto possa sorprendere, non è molto difficile dedurre con un accettabile grado di approssimazione q u a n d o e dove le costellazioni note a Eudosso e ad Arato furono inventate. L'indizio è dato dal fatto che Arato non descrive nessuna costellazione attorno al polo sud celeste, per la semplice ragione che questa regione del cielo era permanentemente sotto l'orizzonte dei creatori di costelìazioni. D a t o che la zona priva di costellazioni ha un raggio di circa 36 gradi, i creatori di costellazioni dovevano risiedere a circa 36° latitudine n o r d - c i o è a sud della Grecia ma a nord dell'Egitto. Un secondo indizio viene dal fatto che la zona priva di costellazioni non centrata attorno al polo sud celeste del tempo di Arato ma attorno alla sua posizione di più di 1500 anni prima di lui, circa il 2000 a. C. (La posizione del polo celeste cambia lentamente col tempo a causa dell'oscillazione della Terra sul proprio asse, un effetto noto con il nome di precessione.) Si p u ò quindi concludere che le costellazioni descritte da Arato f u r o n o inventate attorno al 2000 a. C. da un popolo che abitava vicino al 36° latitudine nord. Questa data è troppo remota per i Greci e la latitudine è LE STELLE E I NARRATORI troppo spostata a sud; la civiltà egiziana è tanto antica, ma la latitudine indicata è molto più a nord dell'Egitto. Il tempo e il luogo, però, si confanno perfettamente ai Babilonesi e ai loro antenati Sumeri che, come abbiamo già visto, avevano una ben sviluppata conoscenza dell'astronomia già nel 2000 a. C. Di conseguenza, ci sono due prove indipendenti una dall'altra che indicano i Babilonesi e i Sumeri come gli iniziatori del nostro sistema di costellazioni. Ma perché il sistema i n t r o d o t t o da E u d o s s o non fu aggiornato dai suoi creatori per quanto riguarda la diversa posizione del polo celeste? Come abbiamo visto, le costellazioni introdotte da Eudosso e descritte da Arato nel Phaenomena fanno riferimento alla posizione del polo celeste di 1500 anni prima. Ai tempi di Arato, il cambiamento di quella posizione significava che certe stelle citate nel Phaenomena adesso erano definitivamente sotto l'orizzonte se osservate da 36° latitudine nord, mentre altre non citate in esso erano nel frattempo diventate visibili. Stranamente, lo stesso Eudosso non sembra si sia preoccupato di queste anomalie, ammesso che se ne sia reso conto; ma se ne accorse il grande astronomo greco Ipparco (146 127 a. C.) che espresse comprensibili critiche. U n a nuova svolta nella storia delle costellazioni è stata operata dal professore Archie Roy dell'Università di Glasgow, che ha sostenuto che le costellazioni babilonesi devono aver raggiunto l'Egitto (e quindi Eudosso) attraverso una qualche altra civiltà; egli pensa a quella Minoica di Creta. Il professor Roy sottolinea che il Phaenomena di Arato racchiude una gran quantità di scienza nautica del tempo atmosferico che è associata all'apparizione di vari gruppi astrali. Da questa circostanza il professore deduce che i marinai consideravano le costellazioni come un sussidio per la navigazione. Un'accurata conoscenza del cielo sarebbe stata, infatti, sicuramente vitale per i naviganti, che avrebbero p o t u t o stabilire la rotta notturna in base ai punti in cui le varie stelle e le costellazioni sorgevano e tramontavano. Questi naviganti non necessariamente dovevano identificarsi con i creatori delle costellazioni. Il professor Roy conclude che i marinai in MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI Le 48 costellazioni dell'astronomo greco Tolomeo, incise su una coppia di legni da Albrecht Dürer nel 1515, uno che mostra il cielo boreale (a sinistra) e l'altro il cielo australe (a destra). Le figure sono rappresentate al rovescio, come nei globi celesti. questione erano i Minoici che abitavano a Creta e sulle isole circostanti al largo delle coste greche, compresa Thira (anche nota con il nome di Santorino). Creta si trova tra il 35° e il 36° nord, che è la latitudine giusta, e l'impero minoico era in espansione tra il 3000 e il 2000 a. C., che è la data giusta. Ciò che è ancora più importante è che i Minoici f u r o n o in contatto con i Babilonesi attraverso la Siria sin dall'inizio della loro ascesa. Di conseguenza debbono essere stati a conoscenza LE STELLE E I NARRATORI Si noti l'ampia zona vuota nel cielo australe che era sotto l'orizzonte degli inventori delle costellazioni. Le dimensioni di questa zona vuota danno un'idea della latitudine in cui gli stessi vivevano. (The National Maritime Museum, London) delle vecchie costellazioni babilonesi e p o s s o n o aver t r a s f o r m a to quel sistema stellare in un sistema utile alla navigazione. Ma la civiltà minoica fu spazzata via nel 1450 a. C. dall'eruzione di un vulcano dell'isola di Tera, circa 120 chilometri a nord di Creta. Fu u n a delle catastrofi di proporzioni più gigantesche della storia delle civiltà, la probabile origine della leggenda di Atlantide. Il professor R o y s u p p o n e che d o p o l'eruzione i superstiti minoici a b b i a n o p o r t a t o in Egitto la loro MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI conoscenza delle stelle, e che colà e nella sua forma originaria quella fu acquisita da Eudosso più di 1000 anni dopo. Mentre scrivevo questo libro sono stato a Creta. A Creta le stelle sono più basse; sembra che si possano staccare dal cielo a piene mani come grappoli d'uva dalla vite. La Via Lattea si inarca come una matassa di lana arruffata. E mentre la Terra gira non si può non notare che alcune stelle gradualmente sprofondano nel mare placido di un orizzonte mentre altre emergono dalle profondità dell'altro. La tesi del professor Roy è interessante, poiché è facile immaginare che i Minoici abbiano utilizzato il sistema stellare babilonese nel modo da lui descritto. Inoltre, molti miti celesti sono incentrati a Creta. A Creta, sulla parete del Monte Ditte che sovrasta l'altopiano Lassithi c'è la grotta dove il piccolo Zeus, il re degli dèi greci, fu, secondo la leggenda, allevato. Però, dobbiamo ammettere che non esiste prova diretta, quali dipinti murali o elenchi di stelle come quelli dei Babilonesi, che dimostri un qualche interesse minoico per l'astronomia. Quindi, per adesso, la teoria che i Minoici furono gli intermediari del nostro sistema di costellazioni non rimane altro che un'idea affascinante. Il Phaenomena di Arato fu un poema molto popolare e più tardi fu più volte tradotto in latino. Per noi la versione più utile è un adattamento in latino attribuito a Germanico Cesare (15 a. C. - 19 d. C.), poiché ha più informazioni sull'identificazione di certe costellazioni di quante non ce ne siano nell'originale di Arato. Secondo lo studioso D. B. Gain questa versione latina del Phaenomena potrebbe essere stata scritta sia da Germanico che da suo zio (e padre adottivo) Tiberio Cesare, ma in questo libro mi riferisco all'autore semplicemente come Germanico. Dopo Arato, l'altra pietra miliare nel nostro studio della scienza delle costellazioni è Eratostene (c. 276-c. 194 a. C.), cui si attribuisce un saggio che va sotto il nome di Catasterismi. Eratostene era uno scienziato e scrittore greco che lavorava ad Alessandria, sulla foce del Nilo. Il Catasterismi riporta la mitologia di quarantadue diverse costellazioni (l'ammasso delle Pleiadi è trattato individualmente), con un elenco delle stelle LE STELLE E I NARRATORI principali che compongono ciascuna figura. La versione del Catasterismi che ci è pervenuta non è che un riassunto dell'originale, redatto in data sconosciuta, e non è neanche certo che l'originale sia stato scritto dal vero Eratostene; di conseguenza solitamente ci si riferisce all'autore di Catasterismi con il termine pseudo-Eratostene. È però certa l'antichità delle sue fonti, perché spesso cita da un'opera di astronomia di Esiodo da tempo perduta (c. 700 a. C.) Un'altra importante fonte di mitologia delle costellazioni è un libro chiamato Astronomia Poetica di un autore latino di nome Igino, con ogni probabilità scritto nel II secolo d. C. N o n sappiamo chi fosse questo Igino, non conosciamo neppure il suo nome per intero - di certo non era Caio Giulio Igino, scrittore latino del I secolo a. C. Astronomia Poetica si basa sulle costellazioni elencate da Eratostene (quelle di Igino differiscono solo per l'inclusione delle Pleiadi nel Toro) ma contiene molte altre storie. Igino scrisse anche un compendio di mitologia in generale che chiamò Fabulae. D u r a n t e il Medioevo e il Rinascimento si pubblicarono molte versioni illustrate degli scritti di contenuto astronomico di Igino. Marco Manilio, un autore latino di cui non si sa praticamente nulla, scrisse un libro intitolato Astronomica verso il 15 d. C., chiaramente influenzato dal Phaenomena di Arato. Il libro di Manilio tratta più di astrologia che di astronomia, ma contiene parecchie incursioni nel campo della scienza delle costellazioni e io l'ho citato molte volte. I nomi di altri tre esperti di mitologia appaiono di frequente nelle pagine che seguono e, sebbene non siano astronomi, è indispensabile che siano presentati prima di ritornare alla storia delle costellazioni. Il più eminente fra loro è il poeta latino Ovidio (43 a. C. -17 d. C.), che riferisce molti miti famosi nel suo libro le Metamorfosi, dove tratta di trasformazioni di ogni genere, e nel Fasti, un trattato sul calendario latino. Apollodoro fu un greco che compilò un sommario quasi enciclopedico dei miti verso la fine del I secolo a.C. o nel I secolo d.C. Infine c'è lo scrittore greco Apollonio Rodio (Apollonio di Rodi) il cui Argonautica, un poema epico sul viaggio di Giasone e degli Argonauti composto MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI nel III secolo a. C., comprende molte informazioni di natura mitologica. Sono le fonti principali delle storie di questo libro. L'astronomia greca raggiunse il suo apogeo con Tolomeo (c. 100 d. C. - c. 178) che lavorò ad Alessandria, in Egitto. Verso il 150 d. C. Tolomeo scrisse un compendio della conoscenza greca in campo astronomico, generalmente noto con il suo titolo arabo Almagesto. Il suo nucleo era costituito da un catalogo di 1.022 stelle raggruppate in quarantotto costellazioni (si veda di seguito), con stime in merito alla loro grandezza che si basavano s o p r a t t u t t o sulle osservazioni compiute tre secoli prima dall'astronomo greco Ipparco. Le quarantotto costellazioni elencate dall'astronomo greco Tolomeo nel secondo secolo d. C. Andromeda Cefeo Lupo Acquario Balena Lira Aquila Corona Australe Ofiuco Altare Corona Boreale Orione Corvo Nave (oggi suddivisa Pegaso Cratere (Tazza) in Carena, Poppa, Perseo Bussola e Cigno Pesci Delfino Pesce Australe Vela) Dragone Freccia Ariete Cavallino Sagittario Auriga Eridano Scorpione Boote Cancro Gemelli Serpente Ercole Toro Cane Maggiore Idra Femmina Triangolo Boreale Cane Minore Orsa Maggiore Capricorno Leone Cassiopea Lepre Orsa Minore Centauro Bilancia Vergine Tolomeo non identificò le stelle del suo catalogo con lettere dell'alfabeto greco, come fanno gli astronomi ai giorni nostri, ma descrisse la posizione di ciascuna di esse nella figura di ogni costellazione. Per esempio "quella rossastra sull'occhio a sud" si riferisce alla stella del Toro che è oggi nota con il nome di LE STELLE E I NARRATORI Aldebaran. Qualche volta questo sistema diveniva scomodo: "Quella più a nord delle due stelle ravvicinate posta sul piccolo riparo della p o p p a " è l'espressione che Tolomeo faticò non poco a imbastire per identificare u n a stella (l'odierna Xi della Poppa) della obsoleta costellazione della Nave. La tradizione di descrivere le stelle in base alla loro posizione nell'ambito della figura di una costellazione era già stata stabilita da Eratostene e da Ipparco. È chiaro che i Greci consideravano le costellazioni non come semplici raggruppamenti di stelle ma come vere e proprie figure nel cielo. Sarebbe stato più facile identificarle se avessero dato un nome proprio a ciascuna stella, ma Tolomeo ne aggiunse solo quattro a quelle citate da Arato quattro secoli prima: Altair (che Tolomeo chiamò Aetus che significa aquila), Antares, Regolo (che chiamò Basiliscos) e Vega (che chiamò Lira, lo stesso nome della costellazione cui apparteneva). Sicuramente non si corre il rischio di esagerare q u a n d o si sottolinea l'importanza dell'influenza di Tolomeo sull'astronomia: il sistema di costellazioni che usiamo oggi è essenzialmente il suo, modificato ed esteso. I redattori di carte sia in Europa che in Arabia usarono le sue figure delle costellazioni per oltre 1.500 anni, ne è testimonianza questo brano tratto dalla prefazione del Atlas Coelestis del primo Astronomo Reale, John Flamsteed, pubblicato nel 1729. Dai tempi di Tolomeo ai nostri giorni le denominazioni che lui utilizzò sono state mantenute in uso da uomini colti e geniali di tutte le nazioni; gli Arabi hanno sempre usato i suoi nomi e le sue forme delle costellazioni; si ritrovano anche nei vecchi cataloghi latini delle stelle fisse, nel catalogo di Copernico e in quello di Tycho Brahe; lo stesso dicasi per i cataloghi pubblicati nelle lingue tedesca, italiana, spagnola, portoghese, francese e inglese. Tutte le osservazioni sia degli antichi che dei moderni utilizzavano le forme delle costellazioni e i nomi delle stelle di Tolomeo così che è indispensabile conformarsi a essi per non rendere incomprensibili le vecchie osservazioni, alterandole o allontanandoci da esse. 15 MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI Dopo Tolomeo ebbe inizio il declino dell'astronomia greca. Già nell'VIII secolo d. C. il centro dell'astronomia si era spostato da Alessandria a Baghdad dove il lavoro di Tolomeo fu tradotto in arabo e fu chiamato Almagest. Al-Sufi (903-86 d. C.), uno dei più grandi astronomi arabi (noto anche col nome di Azophi) scrisse la sua versione di Almagest che chiamò Libro delle Stelle Fisse in cui introdusse molti nomi di stelle. Secondo Paul Kunitzch, l'autorità tedesca in quanto a nomi arabi di stelle, gli Arabi beduini assegnarono nomi loro a varie stelle lucide come Aldebaran e ritennero che le stelle singole rappresentassero animali o persone. Per esempio, le stelle a noi note come Alfa e Beta di Ofiuco dagli Arabi erano viste come un pastore e il suo cane, mentre le stelle a loro vicine delineavano i contorni di un campo pieno di pecore. Alcuni di quei nomi arabi erano già vecchi di secoli e persino al-Sufi e i suoi contemporanei avevano perso le tracce dei loro significati, che rimangono tutt'oggi sconosciuti. Altri nomi usati da al-Sufi e dai suoi connazionali erano traduzione diretta delle descrizioni di Tolomeo. Per esempio, il nome Fomalhaut in arabo significa "bocca del pesce australe" che è la posizione in cui Tolomeo aveva descritto la stella in Almagest. Dal X secolo in avanti, le opere di Tolomeo furono reintrodotte in Europa in seguito alle incursioni arabo-islamiche e i libri greci furono tradotti dall'arabo in latino, la lingua della scienza di allora. Questo percorso tortuoso ci ha consegnato un sistema poliglotta di costellazioni greche indicate con nomi latini e contenenti stelle di denominazione araba. Anche se gli Arabi aumentarono il numero di nomi di stelle, il numero delle costellazioni rimase immutato. La prima estensione delle quarantotto di Tolomeo fu fatta nel 1551 in un mappamondo celeste dal grande cartografo olandese Gerardus Mercator che rappresentò Antinoo e la Chioma di Berenice come costellazioni separate, mentre, in Almagest, Tolomeo aveva menzionato questi gruppi come suddivisioni, rispettivamente, dell'Aquila e del Leone. Seguendo l'esempio di Mercator, il grande astronomo danese Tycho Brahe elencò Antinoo e la Chioma di Berenice separatamente nel suo importante catalogo LE STELLE E I NARRATORI astrale del 1602. La Chioma di Berenice è tuttora una costellazione riconosciuta, ma Antinoo da allora è stata abbandonata. Ormai l'era delle esplorazioni aveva fatto grandi passi avanti e gli astronomi navigatori rivolsero la loro attenzione alle regioni del cielo non ancora segnate sulle carte celesti, cioè quelle dell'emisfero meridionale che per gli antichi Greci era stato sotto il loro orizzonte. Tre sono i nomi che emergono in questo periodo: Petrus Plancius (1552 - 1622), un teologo e cartografo olandese, e due navigatori anch'essi olandesi: Pieter Dirkszoon Keyser (anche noto come Petrus Theodorus o Peter Theodore) e Frederick de Houtman. Sorprende che oggi tutti e tre siano poco conosciuti nonostante l'attualità dei loro contributi. Plancius ordinò a Keyser di compiere osservazioni per riempire la zona priva di costellazioni attorno al polo sud celeste. Keyser era capo pilota sulla Hollandia e più tardi sulla Mauritius, due navi di una flotta di quattro che salparono dai Paesi Bassi nel 1595 per la prima spedizione commerciale olandese nelle Indie Orientali, passando per il Madagascar. Era anche esperto di astronomia e matematica; l'autore olandese A. J. M. Wanders, nel suo volume Nel regno del sole e delle stelle, scrive che Keyser osservava dalla coffa della nave con uno strumento che gli aveva dato Plancius. Keyser mori nel settembre del 1596 mentre la flotta era a Bantam (oggi Banten, vicino alla moderna Serang, nella parte occidentale di Giava). Il suo catalogo di 135 stelle, diviso in dodici costellazioni di nuova invenzione, fu consegnato a Plancius quando la flotta ritornò in Olanda l'anno dopo. Rincresce constatare quanto poco si sappia della vita e delle altre imprese di Keyser, che, però, ha lasciato il suo segno indelebile nel cielo. Le dodici nuove costellazioni di Keyser apparvero per la prima volta in un m a p p a m o n d o di Plancius nel 1598, e di nuovo due anni dopo in uno del cartografo olandese Jodocus Hondius. La loro accettazione fu assicurata quando Johann Bayer, un astronomo tedesco, le incluse nel suo Misurazione del Cielo del 1603, l'atlante celeste più r i n o m a t o di quel tempo. Le osservazioni di Keyser furono pubblicate sotto forma di tabelle da Giovanni Keplero nelle Tavole rudolfine del 1627. 17 MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI La flotta olandese con la quale navigò Keyser era comandata dall'esploratore Cornelis de Houtman; fra i membri dell'equipaggio c'era suo fratello minore Frederick de H o u t m a n (1571 1627) che sicuramente assistette Keyser d u r a n t e le sue osservazioni. Nel corso di una seconda spedizione nel 1598 Cornelis fu ucciso e Frederick fu fatto prigioniero dal sultano di Atjeh, nella parte settentrionale di Sumatra. Frederick seppe sfruttare i suoi due anni di prigionia dedicandosi allo studio della lingua malese locale e a osservazioni astronomiche. Nel 1603, dopo il suo ritorno in Olanda, Frederick de H o u t man pubblicò le sue osservazioni come appendice al dizionario malese e malgascio che compilò. Fu uno dei contributi più inverosimili alle pubblicazioni di tipo astronomico che la storia registri. Nell'Introduzione scrisse: "Incluse ci sono anche le declinazioni di molte stelle fisse attorno al polo sud; mai viste prima d'oggi. Osservate e descritte da Frederick de H o u t m a n di Gouda". De Houtman portò il numero delle posizioni stellari misurate da Keyser da 135 a 303, sebbene 107 di queste si riferissero a stelle che Tolomeo conosceva già, in base a uno studio del suo catalogo fatto dall'astronomo inglese E. B. Knobel. In nessun caso de Houtman riconobbe a Keyser meriti per diritti di precedenza. Il catalogo delle stelle del cielo australe di de Houtman, diviso nelle stesse dodici costellazioni di Keyser, fu ulilizzato dal cartografo olandese Willem Janszoon Blaeu nei suoi mappamondi celesti dal 1603 in poi. Sia Keyser che de Houtman sono considerati gli inventori di queste dodici costellazioni meridionali, che sono riconosciute a tutt'oggi. Le dodici costellazioni introdotte fra il 1596 e il 1603 da Pieter Dirkszoon Keyser e Frederick de Houtman Apus Gru MoscaTriangolo Australe Camaleonte Idra Maschio Pavone Tucano Dorato Indiano Fenice Pesce Volante Man mano che le osservazioni astronomiche si facevano più accurate e si includevano nelle carte le stelle meno luminose, LE STELLE E I NARRATORI aumentavano le opportunità per gli innovatori di introdurre nuove costellazioni anche nella zona di cielo nota agli antichi Greci. Oltre a segnare sulla carta celeste le costellazioni australi di Keyser e di de H o u t m a n , Petrus Plancius inventò lui stesso alcune costellazioni, fra le quali la Columba (colomba), che formò con nove stelle che Tolomeo aveva identificate ed elencate intorno al Cane Maggiore; inventò anche il Monoceros (monoceronte, unicorno) e la Camelopardalis (giraffa), dai nomi inverosimilmente altisonanti, formate da stelle poco luminose che Tolomeo non aveva catalogate. Queste tre costellazioni di Plancius sono ancora oggi accettate dagli astronomi, ma le altre sue invenzioni sono divenute obsolete (si veda il capitolo quattro). Altre quattro costellazioni f u r o n o introdotte verso la fine del XVII secolo dall'astronomo polacco Johannes Hevelius (1611 87), a riempire gli spazi rimasti vuoti nel cielo boreale. F u r o n o illustrate nel suo atlante celeste dal titolo Firmamentum Sobiescianum, pubblicato postumo nel 1690. Stranamente, Hevelius insistette a compiere le sue osservazioni a occhio nudo sebbene ai suoi tempi i telescopi fossero già disponibili; molte delle sue costellazioni erano premeditatamente formate da stelle poco luminose come se volesse vantarsi della potenza della sua vista. Delle sue invenzioni, sette sono ancora accettate dagli astronomi (si veda di seguito). Le quattro che sono state scartate sono Cerberus, Mons Maenalus, Musca e Triangulum Minor. Le sette costellazioni introdotte da Johannes Hevelius nella sua carta celeste pubblicata postuma nel 1690 Cani da Caccia Leone Minore Scudo Volpe Lucertola Lince Sestante Sebbene le costellazioni del cielo boreale fossero adesso complete, rimanevano spazi vuoti nel cielo australe. Questi furono riempiti dall'astronomo francese Nicolas Louis de Lacaille (1713-62) che salpò per l'Africa nel 1750 e allestì un piccolo osservatorio a Città del Capo sotto la famosa montagna Table (Mensa), che gli fece una tale impressione da voler chiamare una 19 MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI costellazione con il suo nome, Mensa. Al Capo, dall'agosto del 1751 al luglio del 1752, Lacaille osservò le posizioni di quasi 10.000 stelle, un numero incredibile in un lasso di tempo così breve. Di ritorno in Francia nel 1754, Lacaille presentò una carta dei cieli australi all'Accademia Reale delle Scienze francese, con incluse quattordici nuove costellazioni di sua invenzione. La carta fu pubblicata nel 1756, e le nuove costellazioni di Lacaille f u r o n o rapidamente accettate dagli altri astronomi. Mentre Keyser e de H o u t m a n avevano dato alle loro costellazioni principalmente nomi di animali, Lacaille volle ricordare strumenti della scienza e dell'arte, a eccezione di Mensa, che prende il nome dalla montagna Table ai piedi della quale lui aveva portato avanti le sue osservazioni. Il suo catalogo completo, con una carta celeste revisionata, fu pubblicato con il titolo Coelum Australe Stelliferum nel 1763. In questo catalogo, Lacaille divise l'ingombrante costellazione Argo Navis, la Nave, nelle sottosezioni Carena, Poppa e Vela che ancora oggi gli astronomi usano come costellazioni separate. Mentre creò quattordici nuove costellazioni, Lacaille ne eliminò una preesistente - Robur Carolinum, la Quercia di Carlo, introdotta dall'inglese Edmond Halley nel 1678 in onore di Re Carlo II. Le quattordici costellazioni introdotte da Nicolas Louis de Lacaille nel 1754 Antlia Fornello Chimico Microscopio Cavalletto Scultore Bulino Orologio Norma Bussola Telescopio Compasso Mensa Ottante Reticolo Tutti coloro che d o p o Lacaille h a n n o m a n i p o l a t o le costellazioni l'hanno fatto senza ottenere un successo duraturo, ma in tanti hanno tentato di lasciare il loro segno nel cielo. La mania delle costellazioni era giunta all'apice nel 1801 quando l'astronomo tedesco Johann Elert Bode (1747-1826) pubblicò il suo immenso atlante celeste, Uranographia, contenente più di 100 costellazioni diverse; ma a quella data gli astronomi si erano già resi conto che le cose erano andate oltre il limite, e durante il MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI / conimi ufficiali tra le costellazioni furono fissati nel 1930 da un astronomo belga, Eugene Delporte, che aveva ricevuto l'incarico dall'Unione Intemazionale Astronomia. La carta qui riportata mostra parte del cielo boreale, che include Cassiopea e Andromeda. I confini fra le costellazioni seguono circoli di ascensione a destra (l'equivalente celeste della longitudine nel cielo) e paralleli di declinazione (l'equivalente celeste della latitudine). (Biblioteca della Royal Astronomical Society.) secolo appena iniziato questo numero fu ridotto da un processo di erosione naturale. Nel 1899 lo storico americano R. H. Allen riassunse la situazione prevalente nel suo libro Star Names and Their Meaning (I nomi delle stelle e il loro significato): "80-90 costellazioni possono considerasi oggi pù o meno ufficialmente riconosciute". Un grosso problema era costituito dal fatto che non esistevano ancora, fra i raggruppamenti stellari, confini accettati da tutti. Sin dal tempo di Bode i cartografi avevano segnato delle linee tratteggiate che serpeggiavano fra le figure delle costellazioni, ma queste erano linee di demarcazione arbitrarie che variavano da atlante ad atlante. La questione fu 21 MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI sistemata una volta per tutte da un organismo direttivo degli a s t r o n o m i , l ' I n t e r n a t i o n a l A s t r o n o m i c a l U n i o n (Unione Internazionale Astronomica). Nel corso della sua prima Assemblea Generale nel 1922, la I A U (International Astronomical Union) approvò l'elenco delle ottantotto costellazioni che coprono tutto il cielo e che usiamo oggi. Per conto della I A U un astronomo belga, Eugene Delporte (1882-1955), tracciò, ad assemblea conclusa, una lista definitiva dei confini tra queste ottantotto costellazioni. L'opera di Delporte, pubblicata nel 1930 in un libro intitolato Délimitation Scientifique des Constellations (Delimitazione scientifica delle costellazioni), costituisce un trattato internazionale sulle demarcazioni del cielo, al quale gli astronomi di tutto il m o n d o si sono conformati da quel m o m e n t o in poi. Le costellazioni sono oggi considerate non già semplici sistemi stellari ma zone del cielo chiaramente delimitate, simili alle nazioni della Terra. Tuttavia, diversamente che per la carta geografica terrestre, quella del cielo è poco probabile che muti. 2 Le carte celesti Tutti abbiamo visto carte geografiche della Terra, ma per la maggior parte della gente una carta astrale equivale a un mistero. Tuttavia esse si assomigliano molto poiché il cartografo celeste deve affrontare lo stesso problema di quello terrestre: come rappresentare una superficie curva su un foglio piatto. Le prime rappresentazioni del cielo erano in realtà delle sfere, che mostravano le costellazioni come se fossero viste da una posizione simile a quella di Dio, da dietro le stelle stesse; ciò significava che le loro forme apparivano alla rovescia se le paragoniamo a come noi le vediamo dalla Terra. Nel Museo Nazionale di Napoli c'è una statua di m a r m o di Atlante che tiene sulle spalle un m a p p a m o n d o celeste in cui le costellazioni sono così raffigurate. La scultura si chiama Farnese Atlas (Atlante Farnese), in onore del Cardinale Alessandro Farnese (poi Papa Paolo III) che l'acquistò all'inizio del XVI secolo e l'espose a Palazzo Farnese a Roma. È il m a p p a m o n d o celeste più vecchio che si conosca, in quanto gli storici ritengono che la scultura sia stata eseguita a R o m a intorno al II secolo d. C. Ancora più significativo il fatto che si suppone sia la copia di un originale greco che risale al III secolo a. C., il periodo in cui Arato scrisse il suo Phaenomena. Di conseguenza il globo che l'Atlante Farnese tiene sulle spalle rappresenta per noi l'unica possibilità di vedere le figure f o r m a t e dalle stelle come gli antichi Greci le immaginarono nel cielo. 23 MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI Le costellazioni cinesi differivano notevolmente da quelle occidentali, essendo solitamente molto più piccole e formate da stelle più deboli. Questa figura mostra una sezione del cielo boreale di una carta che si pensa risalga al 940 d. C. trovata a Tunhuang (oggi Dunhuang), nella Cina nord centrale. Fra le costellazioni che vi sono raffigurate solo la forma nota del Gran Carro è riconoscibile. Il Manoscritto Tunhuang è la carta celeste più vecchia esistente al mondo. (Per concessione della British Library (MS Stein 3326)) U n a f o r m a primitiva di carta celeste piatta fu l'astrolabio, comune presso gli Arabi del Medioevo. F a t t o solitamente di ottone, l'astrolabio era un disco sul quale erano dipinte le posizioni delle stelle brillanti per agevolare la navigazione; il principio su cui si basava è ancora presente negli strumenti di ricerca delle stelle chiamati planisferi, usati ai nostri giorni da astronomi e navigatori dilettanti. Gli astrolabi più antichi esistenti ancora oggi risalgono al nono secolo d. C., anche se ci sono testimonianze scritte che ne confermano l'esistenza anche al tempo di Tolomeo, circa nel 150 d. C. La più antica carta celeste piatta conosciuta oltre all'astro24 LE CARTE CELESTI labio è un disegno databile intorno al 940 d. C. chiamato manoscritto Tunhuang dal nome del luogo in cui venne rinvenuto; oggi si trova nel British Museum. La carta Tunhuang descrive le costellazioni della tradizione cinese, che era diversa da quelle europea e araba, quindi la maggior parte di esse è irriconoscibile. Le costellazioni cinesi erano più piccole di quelle occidentali, quindi più numerose, e ciascuna di esse solitamente consisteva di una manciata di stelle. L'astronomia cinese fu fiorente sin dal 240 a. C., quando proprio i Cinesi osservarono la Cometa di Halley. Alla fine del III secolo d. C., gli astronomi cinesi avevano già messo a punto un sistema di 283 costellazioni comprendenti 1.464 stelle. Queste costellazioni non descrivevano miti ma aspetti della vita cinese, quali Ti-wang, l'imperatore; Shang-shu, i segretari e Huan-che, gli eunuchi di corte. Questo sistema era ancora in uso quando, nel XVII secolo, i missionari Gesuiti introdussero in Cina le costellazioni occidentali. Albrecht Dürer, il grande artista tedesco, realizzò la prima carta piatta dei cieli degna di nota nel 1515; era incisa su due pezzi di legno, uno contenente lo zodiaco e tutte le costellazioni a nord di esso, l'altro le costellazioni a sud di esso, e si basava sulle stelle e le costellazioni catalogate dall'astronomo greco Tolomeo nel suo Almagest. Ai quattro angoli della carta del nord ci sono stilizzati i ritratti delle quattro autorità in campo astronomico cui Dürer si rifaceva: Arato, Tolomeo, Manilio e Azophi (AlSufi). La carta del cielo australe mostra chiaramente la zona priva di costellazioni attorno al polo sud celeste. Dürer dipinse le costellazioni alla rovescia, come erano rappresentate nei mappamondi celesti, secondo la tradizione seguita nella stesura della maggior parte delle prime carte. Le carte astrali migliorarono man m a n o che gli astronomi presero a studiare il cielo e nei dettagli più accuratamente. Il primo grande atlante stellare fu realizzato nel 1603 da Johann Bayer, un avvocato di Asburgo che aveva la passione dell'astronomia. Il suo atlante Uranometria dedicava una carta di notevoli dimensioni a ciascuna delle quarantotto costellazioni di Tolomeo e riportava le posizioni delle stelle come erano 25 MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI Una rappresentazione araba di Perseo, presa da una versione del Book of the Fixed Stars dell'astronomo arabo al-Sufi. Questo particolare manoscritto fu redatto e illustrato verso il 1009 d. C., poco dopo la morte di al-Sufi stesso. Esso contiene due illustrazioni di ciascuna costellazione, che la mostrano come appariva in cielo e anche al rovescio, come sarebbe apparsa in un globo celeste; questa tavola mostra Perseo come appare in cielo. L'eroe indossa abiti di foggia araba, e la testa di Medusa la Gorgone è di un uomo con la barba. L'oggetto punteggiato sul braccio di Perseo che brandisce la spada raffigura un ammasso stellare doppio noto agli astronomi moderni come l'Ammasso Doppio. (Per concessione della Bodleian Library (MS Marsh 144 p. 111)) 26 LE CARTE CELESTI descritte nel catalogo di Tolomeo stesso e dal grande osservatore danese Tycho Brahe, che diede la dislocazione più accurata possibile delle stelle nell'era precedente all'invenzione del telescopio; ai cieli australi che non erano inclusi nel catalogo di Tolomeo fu dedicata una carta, in cui erano rappresentate le dodici nuove costellazioni create dal navigatore olandese Pieter Dirkszoon Keyser. In tutto vi sono segnate più di 2.000 stelle, circa il doppio di quelle descritte da Dürer. Uranometria divenne tanto famoso da essere ristampato più volte nel corso del XVII secolo; le sue tavole squisitamente incise sono vere e proprie opere d'arte. L'atlante di Bayer fu importante per un altro motivo: esso Johann Bayer, un avvocato tedesco, redasse nel 1603 un atlante celeste rimasto una pietra miliare chiamato Uranometria, in cui dedicò una carta a ognuna delle 48 costellazioni greche, più una tavola alle 12 nuove costellazioni australi di Keyser e de Houtman. Le belle tavole furono incise da Alexander Mair. Qui Ercole ha in mano un ramo preso dall'albero dalle mele d'oro delle Esperidi. L'Uranometria di Bayer fu molto popolare perché era completo, artisticamente valido e introduceva il sistema di indicare le stelle con le lettere dell'alfabeto greco. (Institute of Astronomy Library, Università di Cambridge) 27 MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI introdusse il sistema di indicare le stelle brillanti con le lettere dell'alfabeto greco, sistema in vigore ancora oggi. Per esempio, la stella brillante Betelgeuse è nota anche con il nome di Alpha Orionis, che signica Alfa di Orione (si usa sempre il caso genitivo della costellazione). Siccome la misurazione della brillantezza delle stelle non era un'arte molto precisa a quei tempi, la sequenza delle lettere dell'alfabeto greco assegnata da Bayer segue solo approssimativamente la sequenza dell'intensità di brillantezza delle stelle di ciascuna costellazione. Capita, infatti, che la stella indicata con la lettera Alfa non sia la più brillante come nel caso di Orione, dove è Beta di Orione (Rigel) a esserlo. Quella dei Gemelli è un'altra costellazione in cui la stella Beta è più brillante di Alfa. Bayer non assegnò lettere greche alle costellazioni del cielo australe di Keyser, pensando forse che tale passo potesse essere prematuro. Il suo sistema di classificazione con lettere fu esteso alle costellazioni australi 160 anni più tardi dall'astronomo francese Nicolas Louis de Lacaille, nella sua carta dei cieli australi pubblicata nel 1763. Alle costellazioni del cielo boreale che furono introdotte dopo l'epoca di Bayer furono assegnate lettere greche dall'astronomo inglese Francis Baily nel catalogo stellare dell'Associazione Britannica del 1845. Pochi anni dopo la comparsa di Uranometria, l'astronomia fu rivoluzionata dall'invenzione del telescopio, che non solo rese visibili le stelle che fino a quel momento non lo erano state ma fece aumentare enormemente l'accuratezza della misurazione delle loro posizioni. Ci fu un uomo che non si fece coinvolgere da questo progresso: Johannes Hevelius, un astronomo di Danzica. Con cocciutaggine, Hevelius continuò per tutta la vita a misurare le posizioni degli astri a occhio nudo, preoccupandosi del fatto che l'uso di lenti potesse provocare distorsioni. Il catalogo di Hevelius che indicava le posizioni di oltre 1.500 stelle fu pubblicato postumo nel 1690; come accompagnamento a detto catalogo c'era un atlante chiamato Firmamentum Sobiescianum inciso da Hevelius stesso. Per le stelle australi Hevelius utilizzò le osservazioni effettuate dall'isola di Sant'Elena dall'astronomo inglese Edmond Halley, osservazioni che 28 LE CARTE CELESTI rappresentarono un passo avanti rispetto al lavoro dei due pionieri olandesi Pieter Dirkszoon Keyser e Frederick de Houtman. Firmamentum Sobiescianum ha lo svantaggio che le figure delle costellazioni sono rappresentate alla rovescia, come apparirebbero in un m a p p a m o n d o celeste; ciò rende difficile all'osservatore far coincidere il modello stellare con il cielo reale. Per questo motivo le illustrazioni di questo libro non sono tratte dalle carte di Hevelius. La rappresentazione su carta fece un ulteriore passo avanti nel XVIII secolo a opera del primo Astronomo Reale, John Flamsteed che, dall'Osservatorio di Greenwich, catalogò quasi 1000 stelle con una precisione che non aveva precedenti. Il suo catalogo astrale, Historia Coelestis Britannica fu pubblicato postumo nel 1725, seguito quattro anni più tardi da Atlas Coelestis, una collezione di 25 carte interamente basate sulle osservazioni dello stesso Flamsteed. I cieli australi più lontani, sotto l'orizzonte di Greenwich, sono tracciati in una carta piccola che descrive le dodici costellazioni di Keyser e de Houtman più il Robur Carolinum di Halley. Flamsteed fu molto attento a rappresentare le figure delle costellazioni esattamente come le aveva descritte Tolomeo. L'introduzione all'Atlas Coelestis contiene parole di disapprovazione per come le aveva rappresentate Bayer nel suo Uranometria. Avendo disegnato tutte le figure umane, tranne Boote, Andromeda e la Vergine, con le schiene rivolte verso di noi, le stelle che tutti prima di lui hanno sistemato sulla spalla, fianco, mano, gamba e piede destro, compaiono a sinistra e viceversa... di conseguenza egli rende tutte le osservazioni precedenti false o prive di senso. Nonostante si ritenga il contrario, Flamsteed non introdusse il cosiddetto sistema numerico di Flamsteed per identicare le stelle di ciascuna costellazione; ciò fu fatto nel 1783 dal francese J. J. Lalande. In un'edizione francese del catalogo di Flamsteed, 29 MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI Johannes Hevelius, un astronomo polacco del XVII .secolo, redasse un importante atlante celeste, Firmamentum Sobiescianum, pubblicato postumo nel 1690. Le tavole furono incise da Hevelius stesso che introdusse 11 nuove costellazioni, di cui sette sono ancora oggi riconosciute dagli astronomi. Il suo atlante mostrava le figure delle costellazioni al rovescio, come sarebbero apparse in un globo celeste. In questa tavola si vede Boote che tiene in mano il guinzaglio dei Cani da Caccia. (Institute of Astronomy Library, Università di Cambridge) Lalande aggiunse una colonna in cui indicò le stelle di ciascuna costellazione con numeri consecutivi secondo l'ordine in cui le aveva elencate Flamsteed, ed è questo il sistema cui gli astronomi si riferiscono q u a n d o parlano dei numeri di Flamsteed. È con il numero di Flamsteed che solitamente si fa riferimento alle stelle - per esempio, 61 del Cigno o 70 di Ofiuco - solo se non sono già identificate da u n a lettera dell'alfabeto greco. Il catalogo e l'atlante di Flamsteed stabilirono nuovi standard in astronomia, e io ho usato il suo atlante come una delle fonti delle illustrazioni di questo libro. L'altra fonte è l'atlante celeste 30 LE CARTE CELESTI Uranographia pubblicato nel 1801 dall'astronomo tedesco Johann Elert Bode, direttore dell'Osservatorio di Berlino. Quello di Bode fu il primo atlante a rappresentare tutte le stelle effettivamente visibili a occhio n u d o (cioè fino alla 6 a magnitudine). Vi sono segnate oltre 17.000 stelle, il risultato delle osservazioni di vari astronomi inclusi Flamsteed, Lacaille, Lalande e Bode stesso. Bode voleva che il suo Uranographia fosse un atlante completo - e sicuramente lo fu, poiché, oltre a tracciare su carta un numero di stelle superiore a quello di qualsiasi altro cartografo prima di lui raffigurò tante più costellazioni da superare il centinaio. L' Uranographia di Bode, il più bello degli atlanti stellari figurati vecchio stile, segnò la fine di un'era. Dal tempo di Bode in poi, gli astronomi hanno dato sempre meno importanza alle fantasiose (e di nessun significato fisico) figure delle costellazioni dei Greci, concentrandosi invece sull'esatta misurazione delle posizioni, luminosità e proprietà fisiche delle stelle. Alla fine del XIX secolo, 2.000 anni di tradizione greca avevano finalmente ceduto il passo all'approccio scientifico degli statistici e dei censitori astronomici. Nel cielo che gli antichi Greci immaginarono popolato dai loro dèi ed eroi, gli astronomi moderni hanno scoperto l'esistenza di un complesso di oggetti ugualmente fantastici cui hanno dato i nomi di giganti rosse, nane bianche, Cefeidi variabili, pulsar, quasar e buchi neri. 3 Le ottantotto figure del cielo Andromeda Forse il più durevole dei miti greci è quello di Perseo e di Andromeda, la versione originale di Giorgio e il drago. L'eroina di questa storia è la bella Andromeda, la figlia dell'inetto re etiope Cefeo e della vanitosa regina Cassiopea, dalla smisurata vanagloria. Le disgrazie di Andromeda cominciarono il giorno in cui sua madre sostenne di essere più bella persino delle Nereidi, un gruppo di ninfe marine particolarmente seducenti. Le Nereidi, offese, decisero che la vanità di Cassiopea aveva decisamente superato i limiti e chiesero a Poseidone, il dio del mare, di darle una lezione. Per punizione, Poseidone mandò un mostro terribile (alcuni dicono anche un'inondazione) a razziare le coste del territorio del re Cefeo. Sbigottito per le devastazioni, con i sudditi che reclamavano una sua reazione, l'assediato Cefeo si rivolse all'Oracolo di Ammone per trovare una via d'uscita. Gli fu detto che per quietare il mostro doveva sacrificare la sua figlia vergine. Ecco che allora l'innocente Andromeda fu incatenata a una costa rocciosa per espiare le colpe della madre, che dalla riva guardava in preda al rimorso. Secondo la leggenda questo evento si verificò sulle coste del Mediterraneo, a Joppa(Jaffa), la moderna Tel Aviv. Mentre Andromeda se ne stava incatenata 33 MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI Andromeda incatenata alla costa rocciosa, raffigurata in Uranographia di Johann Bode. alla rupe battuta dalle onde, pallida di terrore e in lacrime per la fine imminente, l'eroe Perseo, fresco dell'impresa della decapitazione di Medusa la Gorgone, capitò da quelle parti. Il suo cuore fu rapito alla vista di quella fragile bellezza in preda all'angoscia. Il poeta la tino Ovidio nel suo libro Metamorphoses ci dice che Perseo in un primo momento scambiò Andromeda per una 34 LE OTTANTOTTO FIGURE DEL CIELO statua di marmo. Ma il vento che le scompigliava i capelli e le calde lacrime che le scorrevano sulle guance gli rivelarono la sua natura umana. Perseo le chiese come si chiamava e perché era incatenata lì. Andromeda, completamente diversa dalla sua vanitosa madre, in un primo momento, per timidezza, neanche gli rispose; anche se l'attendeva una morte terribile fra le fauci bavose del mostro, avrebbe preferito, per modestia, nascondere il viso tra le mani se non le avesse avute incatenate a quella roccia. Perseo continuò a interrogarla. Alla fine, per timore che il suo silenzio potesse essere interpretato come ammissione di colpevolezza, gli raccontò la sua storia, che interruppe improvvisamente, lanciando un urlo di terrore alla vista del mostro che, avanzando fra le onde, muoveva verso di lei. Un attimo di pausa, per chiedere ai genitori di Andromeda di concedergli la mano della fanciulla, e Perseo si lanciò contro il mostro, lo uccise con la sua spada, liberò l'estasiata Andromeda fra gli applausi degli astanti e la fece sua sposa. Più tardi Andromeda gli diede sei figli, compreso Perses, progenitore dei Persiani, e Gorgofonte, padre di Tindareo, re di Sparta. Si dice che sia stata la dea greca Atena a collocare l'immagine di Andromeda fra le stelle, dove si trova tra Perseo e sua madre Cassiopea. Solo la costellazione dei Pesci la separa dal Mostro Marino, Cetus (Balena). Le carte celesti rappresentano Andromeda con le mani incatenate. La testa indicata dalla stella di 2 a grandezza Alfa di Andromeda, stella questa che un tempo la costellazione di Andromeda aveva in comune con quella di Pegaso, dove segnava il punto dell'ombelico del cavallo. Alfa di Andromeda nota con due nomi diversi, Alpheratz o Sirrah, entrambi derivanti dall'arabo al-faras, che significa "il cavallo", e surrat, che significa "ombelico". Oggi la stella appartiene solo ad Andromeda. Il punto vita indicato dalla stella Beta di Andromeda, chiamata anche Mirach, una derivazione dall'arabo al-mi'zar che significa "la guaina" o "perizoma". Il piede è segnato da Gamma di Andromeda, il cui nome è scritto sia Almach che Alamak, dall'arabo al'anaq, con riferimento alla lince del deser35 MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI to o caracal, che gli antichi Arabi visualizzavano in questa posizione. Anche con telescopi piccoli si può ammirare questa stella doppia dai contrastanti colori giallo e blu. L'oggetto più famoso della costellazione è la galassia a spirale M31, situata sul fianco destro di Andromeda, dove, sottoforma di nebulosa allungata, è visibile a occhio nudo nelle notti chiare. M31 è una nebulosa simile alla nostra Via Lattea. Distante due milioni di anni luce, la galassia di Andromeda è l'oggetto più lontano visibile a occhio nudo. Antlia La pompa ad aria Una delle costellazioni del cielo australe introdotte da Nicolas Louis Lacaille nel 1756. Nella sua carta del 1763 la chiamò Antlia Pneumatica, e la rappresentò come il tipo di pompa inventata dal fisico francese Denis Papin. Non sorprende che La pompa ad aria rappresentata in Uranographia di Johann Bode con il nome di Antlia Pneumatica. 36 LE OTTANTOTTO FIGURE DEL CIELO non ci siano leggende associate a questa costellazione, che non contiene stelle brillanti o altri oggetti degni di nota. Apus L'uccello del paradiso Una delle costellazioni meridionali introdotte dai navigatori Pieter Dirkszoon Keyser e Frederick de Houtman alla fine del Apus come appare in Uranographia di Johann Bode, dove fu anche indicato con il nome alternativo di Avis Indica, cioè uccello indiano. 37 MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI XVI secolo. Apus rappresenta un favoloso uccello del paradiso, di quelli che si trovano in Nuova Guinea. La costellazione fu rappresentata nella carta celeste di Johann Bayer del 1603 con il nome di Apis Indica. Non contiene stelle dotate di nomi, né esistono leggende associate a essa. Aquarius Il portatore d'acqua Nelle carte celesti l'Acquario è un giovanetto che versa acqua da una brocca, anche se nel suo Fasti Ovidio sostenne si trattasse di una mistura di acqua e nettare, la bevanda degli dèi. Il liquido va a finire in bocca al Pesce Australe. Ma chi è l'Acquario? La L'Acquario e la sua brocca d'acqua, da Atlas Coelestis di John Flamsteed. 38 LE OTTANTOTTO FIGURE DEL CIELO credenza più popolare lo identifica con Ganimede, che era ritenuto il più bel ragazzo esistente sulla faccia della terra. Era il figlio del re Tros, da cui Troia prese il nome. Un giorno, mentre Ganimede faceva la guardia alle pecore del padre, Zeus si invaghì del pastorello e si lanciò sulla pianura di Troia sottoforma di aquila, ghermì Ganimede e se lo portò sull'Olimpo (o, secondo un'altra versione, mandò un'aquila vera e propria a fare i1 lavoro per lui). L'Aquila è ricordata nella costellazione vicina. Secondo un'altra versione del mito, Ganimede fu prima rapito da Eos, la dea dell'aurora, che aveva una passione per i giovanetti, e solo in un secondo tempo Zeus glielo rubò. Ganimede divenne il mescitore di vino degli dèi, colui che dispensava il nettare dalla sua coppa, con grande fastidio della moglie di Zeus, Era. Robert Graves racconta che questo mito divenne molto popolare nell'antica Grecia e a Roma dove fu ritenuto un significativo avallo divino dell'omosessualità. La corruzione latina del nome Ganimede, Catemitus, diede origine alla parola "catamite", che indica un ganimede, un amasio. Mito di poca consistenza questo dell'Acquario, probabilmente a causa del fatto che i Greci hanno voluto imporre una loro storia a una costellazione di provenienza straniera. Sembra infatti che la costellazione dell'Acquario originariamente rappresentasse il dio egiziano del Nilo - ma, come dice Robert Graves, del Nilo non gliene importava molto. Germanico Cesare identifica la costellazione con Deucalione, figlio di Prometeo, uno dei pochi uomini a essere sfuggito al diluvio universale. "Deucalione versa acqua, l'elemento ostile cui una volta sfuggì, e nel farlo attira l'attenzione verso la sua piccola brocca", scrisse Germanico. Igino offre un'altra identificazione della costellazione, quella con Cecrops, uno dei primi re di Atene, visto mentre offre un sacrificio agli dèi facendo uso dell'acqua, poiché egli regnò in tempi in cui non si faceva ancora il vino. Molte delle stelle dell'Acquario hanno nomi che iniziano con "Sad". In arabo, sa'd significa "fortuna". Alfa dell'Acquario si chiama Sadalmelik, da sa'd al-malik, tradotta solitamente come "le stelle fortunate del re". Beta dell'Acquario si chiama 39 MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI Sadalsuud, da sa'd al-su'ud, che dovrebbe significare "la più fortunata delle fortunate". Gamma dell'Acquario è Sadachbia, da sa'd alakhbiya, con il possibile significato di "stelle fortunate delle tende". L'esatto significato di questi nomi è andato perduto anche presso gli Arabi, secondo quanto sostiene l'esperto tedesco di nomi di stelle, Paul Kunitzsch. Aquila L'aquila L'aquila è l'uccello del tuono dei Greci. Ci sono parecchie spiegazioni dell'esistenza di quest'aquila fra le costellazioni. L'Aquila che si lancia attraverso l 'Atlas Coelestis. La sua stella più luminosa, Altair, si trova sul collo del rapace ed è indicata con la lettera Alfa. 40 LE OTTANTOTTO FIGURE DEL CIELO Nella mitologia greca e romana, l'aquila era l'uccello di Zeus, e portava avanti e indietro la folgore che il dio adirato lanciava contro i suoi nemici. Ma l'aquila era coinvolta in storie d'amore oltre che di guerra. Secondo una di queste storie, fu quest'Aquila a rapire il bel troiano Ganimede, per farlo diventare il coppiere degli dèi. Scrittori autorevoli come il poeta latino Ovidio dicono che Zeus si trasformò in un'aquila, mentre altri sostengono che una vera aquila fu mandata da Zeus a compiere quell'impresa. Lo stesso Ganimede è rappresentato nella vicina costellazione dell'Acquario, e le carte celesti mostrano l'Aquila che piomba sull'Acquario. Cesare Germanico dice che l'aquila è posta a guardia della freccia di Eros (la costellazione vicina della Freccia) che fece innamorare Zeus. In un resoconto di Igino le costellazioni dell'aquila e del cigno sono unite. Zeus s'innamorò della dea Nemesi ma, date le resistenze di lei, si trasformò in un cigno e fece fingere ad Afrodite, trasformata in aquila, di cacciarlo. Nemesi offrì riparo al cigno in fuga, e si ritrovò fra le braccia di Zeus. A perenne ricordo di questo trucco ben riuscito, Zeus collocò le immagini del cigno e dell'aquila nel cielo. Il nome della stella più brillante della costellazione, Altair, viene dall'arabo al-nasr al-ta'ir, che significa "aquila che vola" o "rapace". Tolomeo la chiamò Aquila, con lo stesso nome della costellazione. Lo studioso tedesco Paul Kunitzsch nota che i Babilonesi e i Sumeri si riferivano ad Altair come alla stella aquila. Le stelle vicine ad Altair, Beta e Gamma dell'Aquila formano le ali spiegate dell'uccello. Queste due stelle hanno nomi propri, Alshain e Tarazed, che vengono da una traduzione persiana di una vecchia parola araba che significa "l'equilibrio". Altair forma un angolo del cosiddetto Triangolo Estivo insieme alle stelle Vega e Deneb, che si trovano rispettivamente nelle costellazioni della Lira e del Cigno. Un affascinante mito orientale raffigura le stelle dell'Aquila e quelle della Lira come due amanti separati dal fiume della Via Lattea, che riescono a incontrarsi solo un giorno all'anno quando le gazze si riuniscono a formare un ponte sul fiume celeste. 41 MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI La parte meridionale dell'Aquila fu da Tolomeo separata dal resto della costellazione per formarne una ormai obsoleta chiamata Antinoo, che in certe carte è raffigurata come un giovanetto intrappolato fra gli artigli dell'aquila (si veda il capitolo quattro). Ara L'altare Gli altari fanno spesso la loro comparsa nella leggenda greca, poiché gli eroi non facevano che offrire sacrifici agli dèi, quindi non deve sorprendere se ne troviamo uno fra le stelle. Ma questo è un altare speciale, poiché secondo Eratostene e Manilio è quello davanti al quale gli dèi pronunciarono solenni promesse di aiuto reciproco prima di intraprendere la lotta contro i Titani. Quella lotta costituì uno degli eventi più importanti della mitologia greca. A quel tempo Crono, uno dei dodici Titani, governava sull'Universo. Crono aveva privato del trono suo padre, Urano, ma c'era una profezia che diceva che a sua volta sarebbe stato deposto da uno dei suoi figli. Nel disperato tentativo di impedire alla profezia di avverarsi, Crono se li inghiottiva non appena nascevano; lo fece con Estia, Demetra, Era, Ade e Poseidone, tutti destinati a divenire dèi e dee. Venne il momento che sua moglie, Rea, non sopportò più di vedere altri suoi figli fare quella fine. Depose di nascosto l'ultimo nato, Zeus, in una grotta del Monte Ditte a Creta e al suo posto diede a Crono da inghiottire una pietra, dicendogli che era il neonato Zeus. A Creta, Zeus crebbe sano e salvo. Quando divenne adulto ritornò nel palazzo paterno e costrinse Crono a vomitare i bambini che aveva ingoiati, che si presentarono nel loro aspetto di dèi e dee belli e cresciuti. Zeus e i suoi fratelli dèi prepararono quindi un altare e su quello giurarono di spodestare il cattivo Crono e gli altri Titani. La lotta fra i Titani, guidati da Atlante sul monte Othrys e gli dèi al comando di Zeus sul Monte Olimpo, infuriò per dieci anni. 42 LE OTTANTOTTO FIGURE DEL CIELO L' Altare rappresentato Bode. con il fumo rivolto verso il basso in Uranographia di Johann Per superare la situazione di stallo, la Madre Terra (Gea) suggerì a Zeus di liberare i fratelli brutti dei Titani, che Crono aveva imprigionati nelle caverne senza luce del Tartaro, la regione più profonda del Mondo dell'Oltretomba. C'erano due gruppi di fratelli, i Centimano (giganti dalle cento mani) e i Ciclopi che avevano un solo occhio, ed entrambi volevano vendicarsi di Crono. Zeus riuscì ad arrivare nel Tartaro, liberò quelle creature mostruose e chiese loro di unirsi a lui nella lotta che infuriava nel mondo sopra di loro. Felici per la ritrovata e inattesa libertà, i Ciclopi si misero al lavoro per aiutare gli dèi. Crearono un elmo che lo rendesse invisibile per Ade, un tridente per Poseidone e, soprattutto, la folgore per Zeus. Con queste nuove armi e i loro mostruosi alleati gli dèi sgominarono i Titani. Dopo la vittoria, essi suddivisero l'Universo giocando a dadi. 43 MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI Poseidone divenne il padrone del mare, ad Ade toccò l'oltretomba, e a Zeus il cielo. Il loro altare divenne la costellazione dell'Altare che Zeus sistemò in cielo a perenne gratitudine per la loro vittoria sui Titani. I Greci consideravano l'Altare come presagio di tempeste in mare. Secondo Arato, se la costellazione dell'Altare era visibile mentre altre stelle erano coperte dalle nuvole, i marinai potevano aspettarsi burrasche da sud. Originariamente i Greci raffigurarono l'Altare con il fumo che da esso dipartiva diretto verso nord, ma a partire dall'atlante di Johann Bayer del 1603 esso è stato descritto con la parte superiore rivolta a sud. Altri atlanti rappresentano l'Altare come quello su cui il Centauro è sul punto di sacrificare il Lupo. Aries L'ariete Non deve sorprendere trovare un ariete in cielo, poiché spesso gli arieti erano sacrificati agli dèi e Zeus stesso fu qualche volta identificato con un ariete. Ma i mitografi concordano nel considerare speciale quest'Ariete, che è quello il cui vello d'oro fu l'obiettivo del viaggio di Giasone e degli Argonauti. L'ariete comparve sulla Terra nell'esatto istante in cui il Re Atamante di Boezia si accinse a sacrificare suo figlio Frisso per allontanare una carestia incombente. II re Atamante e sua moglie Nefele non erano una coppia felice, e allora Atamante si uni a Ino, figlia del Re Cadmo della vicina Tebe. A Ino non andavano a genio i figliastri, Frisso ed Elle, e organizzò una cospirazione per farli uccidere. Cominciò a bruciare il grano per impedire che ci fosse un raccolto. Quando Atamante chiese aiuto all'Oracolo di Delo, Ino corruppe i messaggeri affinché ritornassero con la risposta falsa che Frisso doveva essere sacrificato per salvare il raccolto. A malincuore, Atamante portò suo figlio in cima al Monte Lafisto, che sovrastava il suo palazzo a Orcomeno. Era sul punto di sacrificare Frisso a Zeus quando Nefele intervenne per salvare 44 LE OTTANTOTTO FIGURE DEL CIELO suo figlio, mandando giù dal cielo un ariete alato dal vello d'oro. Frisso s'arrampicò sul dorso dell'animale, dove fu raggiunto da sua sorella Elle che anche temeva per la propria vita. Volarono via in direzione est verso la Colchide, che si trovava sulla sponda orientale del Mar Nero, sotto le Montagne del Caucaso (la Georgia ex sovietica di oggi). Lungo il percorso Ella non riuscì a mantenere la presa e cadde nel canale fra l'Europa e l'Asia, i Dardanelli, che in suo ricordo i Greci chiamarono Ellesponto. Una volta raggiunta la Colchide, Frisso sacrificò l'ariete a Zeus in segno di gratitudine. Regalò il suo vello d'oro al terribile Re della Colchide, Eeta, che, in cambio, gli concesse la mano di sua figlia Calciope. Dopo la morte di Frisso il suo fantasma ritornò in Grecia per perseguitare suo cugino Pelia, che si era impadronito del trono di Iolco in Tessaglia. Il vero successore a quel trono era Giasone. Pelia promise di lasciarglielo se gli portava a casa dalla Colchide L'Ariele dal vello d'oro, da Atlas Coelestis di John Flamsteed. 45 MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI il vello d'oro. Fu questa la sfida che diede il via all'epico viaggio di Giasone e degli Argonauti. Al suo arrivo in Colchide, come prima cosa, Giasone chiese educatamente al re Eeta di dargli il vello che pendeva da una quercia in un bosco sacro, custodito da un enorme serpente sempre sveglio. Il Re Eeta non accolse la sua richiesta. Fortunatamente per il buon esito della spedizione, la figlia del re, Medea, s'innamorò di Giasone e si offrì di aiutarlo a rubare il vello. Di notte i due furtivamente si recarono nel bosco dove il vello d'oro brillava come una nuvola illuminata dal Sole nascente. Medea ammaliò il serpente così da farlo addormentare mentre Giasone portava via il vello. Secondo Apollonio Rodio, il vello era delle dimensioni della pelle di una giovane mucca, e quando Giasone se lo buttò sulle spalle quello lo coprì fino ai piedi. Il terreno prese a brillare della luce che quella lana dorata lasciava dietro di sé mentre Giasone e Medea scappavano. Quando finalmente non furono più inseguiti dalle truppe del Re Eeta, essi usarono il vello come coperta per il loro talamo. Il suo luogo di riposo finale fu il tempio di Zeus a Orcomeno, dove Giasone lo appese al suo rientro in Grecia. Nelle vecchie carte celesti l'ariete è rappresentato in posizione accucciata, ma senza ali, con la testa rivolta verso il Toro. Non è una figura che si distingue bene in cielo. Il suo tratto più evidente è una linea curva di tre stelle, che segna il punto della testa. Di queste tre stelle, Alfa dell'Ariete si chiama Hamal, dalla parola araba che significa agnello; Beta dell'Ariete è Sheratan, che in arabo vuol dire "due" di qualche cosa (forse due segni o due corna, poiché originariamente si usava sia per questa stella che per quella vicina, Gamma dell'Ariete) e Gamma dell'Ariete è Mesarthim, una curiosa rielaborazione di al-sharatan, il nome che prima aveva in comune con Beta dell'Ariete. In astronomia, l'Ariete ha molta più importanza di quanto non farebbe pensare la sua brillantezza, poiché ai tempi dei Greci conteneva il punto cardinale noto come equinozio di primavera. È questo il punto in cui il Sole attraversa l'equatore celeste da nord a sud. Ma l'equinozio di primavera non è fisso, a causa della lenta oscillazione dell'asse terrestre nota come precessione. 46 LE OTTANTOTTO FIGURE DEL CIELO Quando, intorno al 130 a. C., il grande astronomo greco Ipparco definì la posizione dell'equinozio di primavera questo punto si trovava a sud della stella Mesarthim (Gamma dell'Ariete). Fu allora fissato qui l'inizio dello zodiaco, e quindi l'equinozio di primavera fu comunemente noto come il primo punto dell'Ariete. A causa della precessione, l'equinozio di primavera si è spostato di circa 30 gradi dai tempi di Ipparco e attualmente si trova nella confinante costellazione dei Pesci. Ciò nonostante, esso viene ancora saltuariamente chiamato il primo punto dellAriete. Auriga Il cocchiere Questa notevole costellazione ha parecchie identificazioni in mitologia. L'interpretazione più comune è che si tratti di Erittonio, un leggendario re di Atene. Era figlio di Efesto, il dio del fuoco, meglio noto con il suo nome latino, Vulcano, ma fu allevato dalla dea Atena, dalla quale prese nome la città di Atene. In suo onore Erittonio istituì delle festività chiamate Panatenee. Atena insegnò a Erittonio molte cose, compreso come addomesticare i cavalli. Egli fu il primo uomo capace di attaccare quattro cavalli a un carro, a imitazione del carro del Sole che era trainato da quattro cavalli, una mossa audace che gli guadagnò l'ammirazione di Zeus e gli assicurò un posto fra le stelle. Là, Erittonio è raffigurato con le briglie in mano, forse mentre partecipa ai giochi panatenaici che spesso vinse alla guida del suo carro. Un'altra identificazione è quella che l'Auriga sia in realtà Mirtilo, il cocchiere del Re Enomao di Elide e figlio di Ermete. Il re aveva una bella figlia, Ippodamia, che era fermamente deciso a tenere con sé. Sfidava tutti gli aspiranti alla sua mano in una gara dalla quale si poteva uscire solo vincitori o condannati a morte. Gli sfidati dovevano allontanarsi a tutta velocità sui loro carri insieme a Ippodamia, ma se Enomao li raggiungeva prima che arrivassero a Corinto li uccideva. E poiché lui possedeva il 47 MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI L'Auriga che trasporta la capra e i caprettini, da Uranographia di Johann Bode. La stella lucida Capello si trova sul corpo della capra. carro più veloce di tutta la Grecia, guidato con perizia da Mirtilo, nessuno era mai sopravvissuto a quella prova. Una dozzina di corteggiatori erano già stati decapitati quando si presentò Pelopio, il bel figlio di Tantalo, a chiedere la mano di Ippodamia, la quale si innamorò di lui a prima vista e 48 LE OTTANTOTTO FIGURE DEL CIELO implorò Mirtilo di tradire il re per far vincere la gara a Pelopio. Mirtilo, lui stesso innamorato segretamente di Ippodamia, manomise i perni che tenevano le ruote attaccate al carro di Enomao. Durante l'inseguimento di Pelopio, le ruote del carro del re si staccarono ed Enomao morì. Ippodamia si ritrovò insieme a Pelopio e a Mirtilo. Pelopio, senza perdersi in cerimonie, risolse la situazione imbarazzante buttando in mare Mirtilo, che, mentre annegava, maledisse la casa del rivale. Ermete pose l'immagine di suo figlio Mirtilo nel cielo sotto forma di costellazione dell'Auriga. Un sostenitore di questa identificazione è Germanico Cesare che dice, "si può notare che non ha carro, le redini sono rotte, ed è addolorato dal fatto che Ippodamia gli sia stata portata via con l'inganno da Pelopio". Una terza ipotesi è quella che l'Auriga sia il figlio di Teseo, Ippolito, di cui s'innamorò la matrigna Fedra. Quando Ippolito la respinse, per la disperazione lei s'impiccò. Teseo bandì Ippolito da Atene. Mentre se ne andava il suo carro andò distrutto, uccidendolo. Asclepio il guaritore riportò in vita l'innocente Ippolito, impresa che gli costò la vita perché Zeus lo colpì con una folgore su richiesta di Ade, cui non andava a genio di perdere un'anima di un certo valore. L'Auriga contiene la sesta stella del cielo in ordine di grandezza, Capella, termine latino che significa capra (il nome greco era Aix). Tolomeo la descrive sulla spalla destra del cocchiere. Secondo Arato Capella rappresentava la capra Amaltea, che nutrì Zeus quando neonato fu lasciato sull'isola di Creta e che fu posta in cielo in segno di gratitudine, insieme ai due capretti che partorì mentre allattava Zeus. I capretti, solitamente conosciuti con il loro nome latino di Haedi (Eriphi in greco), sono rappresentati dalle vicine stelle Età e Zeta dell'Auriga. Una storia alternativa è quella che Amaltea fosse la ninfa che possedeva la capra. Eratostene dice che la capra era così brutta da atterrire i Titani che governavano sulla Terra a quel tempo. Quando Zeus crebbe e li sfidò per ottenere la supremazia sull'Universo, si fece un mantello con la pelle della pecora, la cui 49