lo sviluppo e la crisi dell `impero carolingio nel sistema feudale prof

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“LO SVILUPPO E LA CRISI DELL’IMPERO
CAROLINGIO NEL SISTEMA FEUDALE”
PROF. MARCELLO PACIFICO
Lo sviluppo e la crisi dell’impero carolingio
nel sistema feudale
Università Telematica Pegaso
Indice
1
LA SUCCESSIONE ALL’IMPERO---------------------------------------------------------------------------------------- 3
2
LE NUOVE MIGRAZIONI O INVASIONI ------------------------------------------------------------------------------ 6
3
L’EVOLUZIONE DEI RAPPORTI FEUDALI ------------------------------------------------------------------------- 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1 La successione all’impero
Carlo Magno fu un sovrano di grande fama ma il persistere di elementi di origine franca
costituirono sempre degli elementi di debolezza della sua costruzione politica; Carlo sapeva che
quello della sua successione sarebbe stato un grande problema così nell’806 divise i suoi domini tra
i tre figli senza però nominare il successore al titolo imperiale; così: al primogenito Carlo assegnò
gran parte della Francia e le terre orientali, a Ludovico (il Pio) l’Aquitania, a Pipino l’Italia e la
Baviera.
La morte prematura di Carlo e Pipino fece sì che Ludovico ereditasse il titolo e tutti i domini
dal padre.
Ludovico aveva un carattere diverso dal padre e molto più incline a ricercare in ogni aspetto
della vita anche nell’ambito del potere imperiale, un carattere sacro; di conseguenza durante il suo
regno la collaborazione tra Stato e Chiesa divenne sempre più stretta.
Anche lui si preoccupò della sua successione poiché non voleva mettere in crisi l’unità
dell’impero. Nell’817 con l’ordinatio imperii dichiarò suo erede il figlio Lotario mentre agli altri
due figli destinò il dominio su territori periferici: a Pipino l’Aquitania e la marca spagnola e a
Ludovico, detto poi il Germanico, la Baviera.
Lotario venne subito associato al governo e mandato in Italia dove iniziò ad emanare
capitolari e nell’824 impose al papato la Constitutio romana con la quale si stabiliva che il papa,
dopo essere stato eletto dal clero, avrebbe dovuto giurare fedeltà all’imperatore prima di essere
consacrato.
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Ludovico, con il suo carattere debole e poco intraprendente, non riuscì a fronteggiare le
richieste dei figli minori; seguirono tensioni e scontri che videro tutti e tre fratelli ribellarsi al padre.
Ludovico cercò di allargare la sua base di consenso concedendo nuovi benefici ai vassalli facendo
impoverire sempre di più il patrimonio del fisco.
Anche la Chiesa ebbe un comportamento ambiguo perché da un lato sanciva l’indivisibilità
del sacro impero, dall’altro però l’arcivescovo di Lione, Agobardo, affermò pubblicamente che un
imperatore non fosse stato capace di governare e garantire stabilità e pace sarebbe stato compito del
pontefice intervenire al suo posto. Premesse queste per interventi della Chiesa in campo politico.
Nell’840 Ludovico il Pio morì e la situazione precipitò a causa degli scontri tra Lotario e i
fratelli Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo (succeduto a Pipino); l’alleanza dei due fratelli ebbe
la meglio su Lotario che nell’843 fu costretto ad accettare il trattato di Verdun che sanciva la
divisione dell’impero: a Carlo il Calvo andò la parte occidentale (Neustria, Aquitania e Marca
hispanica), a Ludovico il Germanico la parte orientale (Carinzia, Baviera, Alemannia, Turingia e
Sassonia), a Lotario la parte centrale (nord Italia, Provenza, Borgogna, Lorena e Olanda) e il titolo
imperiale che però era privo di ogni validità fuori dai suoi confini.
Lotario si trovò inoltre a dover governare territori molto diversi tra loro, poco omogenei sia
culturalmente che linguisticamente; morì nell’855.
A Lotario succedette il figlio Ludovico II che morendo nell’876 lasciò il suo regno e la
corona allo zio Carlo il Calvo; poiché né Ludovico II né Carlo avevano lasciato eredi il figlio di
Ludovico il Germanico, Carlo il Grosso, poté di nuovo riunire sotto il suo controllo tutto l’impero
che aveva conquistato Carlo Magno.
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Purtroppo Carlo il Grosso non fu capace di fronteggiare le incursioni dei Normanni, gli
intrighi di corte tessuti dall’aristocrazia; il suo carattere debole lo indusse ad abdicare nell’887 e
ritirarsi in un monastero dove morì l’anno dopo.
La parte orientale con la dignità imperiale andò ad Arnolfo di Carinzia; la Francia andò al
conte di Angers, re Oddone; il regno d’Italia fu attribuito al marchese del Friuli Berengario il quale
era lontanamente imparentato con i Carolingi.
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2 Le nuove migrazioni o invasioni
La dissoluzione dell’impero sembrò veramente definitiva: ne fu colpita l’intera
organizzazione dell’impero e a tutti i livelli.
Il potere centrale non era in grado di frenare i poteri locali: i feudi e le stesse cariche erano
diventate ereditarie. Si crearono delle piccole realtà anche all’interno delle contee che sfuggirono al
controllo del conte il quale riuscì a mantenere una certa autorità solo nei territori del feudo e suoi
possedimenti privati.
L’unico mezzo che i conti avevano per dare stabilità al loro potere erano i rapporti
vassallatici ma spesso superavano i confini delle loro circoscrizioni creando tensioni con le grandi
signorie monastiche e vescovili che però tendevano ad espandersi molto , forti dell’immunità di cui
godevano.
Queste immunità creavano Stati nello Stato e causarono la nascita di signorie più o meno
ampie all’interno delle quali i titolari svolgevano tutti i compiti di un vero e proprio sovrano (potere
militare, fiscale, giudiziario, amministrativo, legislativo).
Per indicare queste nuove realtà dell’Europa tra il IX-X secolo si usa l’espressione di
«signoria bannale» (banno= potere di comando per una finalità pubblica): spesso grandi proprietari
terrieri esercitavano abusivamente i poteri di comando poiché non avevano mai ricevuto deleghe dal
re né dai suoi funzionari.
La debolezza dell’amministrazione carolingia era stata causata dal carattere rudimentale del
suo ordinamento; il sistema della terra come forma di stipendio radicava il funzionario al regno,
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cercando di sottrarlo al patrimonio regio. Tale processo tra la fine del IX secolo e l’inizio del X subì
un’accelerazione a causa delle migrazioni di nuovi popoli e delle incursioni dei Saraceni sulle coste
francesi e italiane.
La formazione dell’impero franco non aveva fermato le migrazioni dei popoli seminomadi
che continuavano a spostarsi nelle zone che non avevano ancora una sistemazione etnicoterritoriale.
Durante la seconda metà del IX secolo nell’area che si estendeva dal Baltico fino al
Mediterraneo, dalla Russia centrale fecero incursione gli Ungari; tra l’895 e l’896 di stanziarono in
Pannonia (l’attuale Ungheria) e da lì partivano per compiere incursioni predatorie sia nell’Europa
carolingia sia in Germania. In Francia (nel 937 raggiunsero Parigi) e in Italia: devastarono
Pavia(899) giungono in Campania(922) in Puglia(947); nel X secolo gli Ungari si spinsero fino in
Spagna(943) e in Belgio(954)
Le formazioni politiche nate dopo la dissoluzione dell’impero furono del tutto inadeguate a
far fronte alla minaccia di questo popolo: essi infatti non disponevano di adeguate risorse militari e
cercarono di fermarli offrendogli denaro e cercando di indirizzarli verso territori nemici.
I monasteri, privi di difese e ricchi di beni, furono i più colpiti dai saccheggi mentre le città
non subirono gravi danni poiché i nemici non sapevano organizzarsi per porre la città in assedio per
lunghi periodi.
La minaccia degli Ungari cessò quando in Germania Ottone I riorganizzò il regno di
Germania e li sconfisse in una battaglia presso Augusta (955).
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Tra il popolo ungaro, inoltre, si diffuse la religione cristiana (la conversione fu sanzionata
nel 1001 con l’incoronazione di Stefano da Papa Silvestro II) che ebbe il merito di dare una forte
limitazione alla loro spinta espansionistica.
L’Europa cristiana fu inoltre minacciata dagli attacchi dei Saraceni: questi dopo aver
completato la conquista della Sicilia nel 902 iniziarono ad attaccare e compiere razzie in tutto
l’Occidente.
Il territorio che venne letteralmente investito dalle razzie arabe fu l’Italia che pagava il
prezzo per la sua fragilità causata dalla disgregazione politica; i Saraceni furono liberi di creare
emirati a Bari e Taranto, dove costruivano insediamenti fortificati e poi da lì partivano per le loro
incursioni.
Mete preferite delle razzie erano le abbazie ricche di oggetti preziosi e le città costiere anche
se nemmeno quelle nell’entroterra dove erano al sicuro se si pensa che arrivarono a saccheggiare
Capua, Isernia e la stessa Roma nell’846.
Nelle città i Saraceni andavano alla ricerca di Giovani e donne che poi rivendevano come
schiavi nei mercato arabi.
Molte città dell’Italia meridionale per fermarli accettò di pagare pesanti tasse; solo con
molta fatica le flotte di Gaeta, Napoli e Amalfi si allearono e riuscirono a ottenere due vittorie a
Gaeta e a Ostia rispettivamente nell’846 e nell’849.
Nonostante ciò ancora molta strada gli Stati cristiani dovevano fare per sconfiggerli e ciò è
dimostrato dal fatto che ancora nel XII secolo nuclei di pirati saraceni erano attivi in tutto il
Mediterraneo.
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I Paesi dell’Europa dovettero affrontare anche la minaccia di popoli che provenivano dalla
Scandinavia e che, con le loro imbarcazioni, compivano scorrerie e razzie muovendosi in varie
direzioni: i popoli Normanni e Vichinghi.
Gruppi di Vichinghi si diressero verso la Russia, altri verso l’Islanda e la Groenlandia,
alcuni verso l’Inghilterra, l’Irlanda e la Francia e altri ancora verso il Mediterraneo.
Con le loro imbarcazioni risalivano i fiumi navigabili, costruivano insediamenti fortificati e
compivano razzie se monasteri e città non avessero accettato di versare grossi contributi in denaro.
Negli anni 859 e 860 si spinsero anche nel Mediterraneo, raggiungendo Catalogna, Provenza
e Toscana.
Lo stesso Carlo in Grosso li pagò per salvare Parigi e il suo successore, Carlo il Semplice
(893-922) concesse al loro capo Rollone un feudo (l’attuale Normandia) nel tentativo di renderli
sedentari.
I Vichinghi, in poco più di 50 anni riuscirono a costituire un vasto territorio e a dargli un
inquadramento politico e amministrativo molto stabile grazie alla fitta rete di rapporti vassallaticobeneficiari che però avevano sempre come riferimento il duca.
Un altro gruppo di Normanni, i Danesi, si era diretto in Inghilterra e anche loro rilevarono la
tendenza a trasformarsi da nomadi in sedentari; questi sul finire del IX secolo avevano conquistato
tutta la parte centrale dell’isola ma il loro dominio non fu stabile perché mancò la figura forte di un
capo com’era avvenuto in Normandia.
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3 L’evoluzione dei rapporti feudali
Gli assalti di Ungari, Saraceni e Normanni provocarono un profondo mutamento nelle
strutture politiche e sociali degli stati nati dopo la dissoluzione dell’impero carolingio.
Tali strutture ebbero come comune denominatore la difesa dei territori: vennero innalzate
fortificazioni e mura difensive che non bastarono però a far fronte alla grande mobilità dei nemici
che spesso attaccavano di sorpresa e poi si ritiravano.
Un fenomeno che si verificò in quel periodo fu quello dell’incastellamento: i grandi
proprietari terrieri, sia laici che ecclesiastici, non badavano a spese né chiedevano le licenze regie
per fortificare le loro ville o addirittura costruire nuovi castelli in grado di reggere gli assalti dei
nemici.
Un castello condizionava molto la vita e l’organizzazione di tutto il territorio; per edificarlo
infatti, il signore obbligava gli abitanti delle terre a lui assegnate a contribuire, pretendendo servizi
di guardia e militari e a svolgere lavori manuali.
Il signore diventava anche il giudice di tutti coloro che vivevano nei territori protetti dal suo
castello e si preoccupò anche di provvedere all’assistenza religiosa facendo costruire una chiesa
all’interno del castello che si configurava così come un organismo politico completo e dotato anche
di una natura pubblica .
Il potere si esercita quindi in maniera autonoma.
La presenza di un castello influenzava la sfera politica, economica e sociale di un territorio;
è importante precisare che quando si parla di castello nell’epoca medievale si devono tener presenti
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due significati: il castello come fortezza presidiata militarmente dove risiedeva il castellano con la
sua famiglia e dove la popolazione si rifugiava solo in caso di necessità; un villaggio fortificato
preesistente che viene circondato di fossato e mura difensive con all’interno la dimora fortificata del
signore.
Con la costruzione dei castelli la distribuzione della popolazione nel territorio fu molto
modificata in quanto i piccoli agglomerati sparsi cominciarono a unirsi all’ombra della fortezza per
essere meglio protetti ; ne risultò che rimasero in funzione le reti viarie che collegavano i centri
fortificati e le pievi rurali scomparvero per far posto alle parrocchie che nacquero nell’ambito
territoriale del castello.
L’Europa del X secolo non fu comunque caratterizzata dalla completa assenza di un
ordinamento pubblico che esercitasse un potere sul territorio.
La società, abbandonata a se stessa, dava vita a una moltitudine di poteri che entravano in
conflitto tra di essi e diedero vita a quel che si definisce «il secolo di ferro».
Vi erano segni di vitalità per la struttura sociale, poiché si iniziò a riorganizzare le strutture
iniziando dal basso con nuove metodologie più adeguate alla società di quel periodo: ad esempio
una famiglia poteva avere in affitto terre appartenenti a signori diversi, i domini signorili non erano
definiti e il territorio risultava perciò molto frantumato.
Anche l’istituzione del vassallaggio entrò in crisi poiché subì un profondo cambiamento di
significato: se in origine il feudo era la ricompensa per una già consolidata fedeltà adesso il
processo si era invertito, un signore doveva dare un feudo per avere in cambio la fedeltà di un
vassallo.
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Un cavaliere poteva anche prestare l’omaggio e fedeltà a più signori per ottenere più feudi e
se i due signori fossero entrati in conflitto si sarebbe schierato dalla parte del signore che gli aveva
concesso il feudo più grande; il feudo, inoltre, divenne patrimonio familiare ed ereditario.
La tendenza ad inserire il feudo nel patrimonio familiare e a considerarlo ereditario si
rafforzava grazie a provvedimenti legislativi; Solo i grandi complessi feudali riuscirono a mantenere
una struttura più o meno stabile e a far valere i propri principi.
Con il Capitolare di Quierzy, emanato da Carlo il Calvo nell’877 si stabiliva l’eredità dei
feudi maggiori, cioè di quelli concessi dal re o dall’imperatore.
“Se sarà morto un conte, il cui figlio sia con noi, nostro figlio, insieme con gli altri nostri
fedeli disponga di coloro che furono tra i più familiari e più vicini al defunto, i quali insieme con i
ministeriali della stessa contea e col vescovo amministrino la contea fino quando ciò sarà riferito a
noi. Se invero [il defunto] avrà un figlio piccolo, questo stesso insieme con i ministeriali della
contea e il vescovo, nella cui diocesi si trova, amministri la medesima contea, finché non ce ne
giunga notizia. Se invece non avrà figli, nostro figlio, insieme con i rimanenti nostri fedeli, decida
chi, insieme con i ministeriali della stessa contea con il vescovo, debba amministrare la stessa
contea, finché non arriverà la nostra decisione. E a causa di ciò nessuno si irriti se affideremo la
medesima contea a un altro, che a noi piaccia, piuttosto che a colui il quale fino ad allora la
amministrò. Ugualmente, dovrà essere fatto anche dai nostri vassalli. E vogliamo ed espressamente
ordiniamo che tanto i vescovi, quanto gli abati e i conti, o anche gli altri nostri fedeli cerchino di
applicare le stesse regole nei confronti dei loro uomini.
10. Se qualcuno dei nostri fedeli, dopo la nostra morte, […] vorrà rinunciare al mondo,
lasciando un figlio o un parente capace di servire lo stato, egli sia autorizzato a trasmettergli i suoi
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honores […]. E se vorrà vivere tranquillamente sul suo allodio, nessuno osi ostacolarlo in alcun
modo né si esiga da lui null’altro che l’impegno di difendere la patria”
Per i feudi minori concessi dai vassalli ai loro fedeli(valvassini) si attenderà la Constitutio de
feudis, emanata nel 1037 da Corrado II.
Si generò un’intensa frantumazione politica esistevano solo i complessi feudali più grandi,
che facevano capo a principi territoriali con poteri simili a quelli del re.
In Francia, ad esempio, la famiglia dei Robertingi assunse la corona con Ugo Capeto (987996) ma il potere regio si esercitava solo su una zona ristretta compresa tra la Senna e la Loira, tra
Parigi e Orléans. Mentre il resto del territorio era strutturato in tanti piccoli organismi territoriali
autonomi.
All’Europa del X secolo mancarono le risorse materiali ed intellettuali per far funzionare
delle grandi strutture organizzative e la prova è data dal fatto che oltre alla crisi dell’ordinamento
pubblico carolingio si assistette alla contemporanea crisi dell’ordinamento ecclesiastico.
Durante il regno di Carlo Magno e dei suoi immediati successori si cercò di innalzare il
livello culturale del clero, di destinare ingenti somme per l’efficiente funzionamento di chiese e
monasteri che avevano il compito di evangelizzare e aiutare i poveri.
Tra il IX e il X secolo però questa buona riforma fu abbandonata e il clero attraversò un
periodo di profonda crisi poiché i vescovi cominciarono ad occuparsi delle questioni materiali
tralasciando le attività spirituali e religiose per dedicarsi a intessere rapporti di vassallaggio.
Alcuni membri del clero arrivarono al punto di assegnare in feudo le stesse risorse della
Chiesa, interferendo nella gestione patrimoniale dei monasteri; i vescovi inoltre avevano il controllo
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su molte chiese. La legislazione canonica prevedeva che il proprietario di una chiesa avesse solo il
dovere di presentare al vescovo il chierico che lui aveva scelto ma sia le funzioni di carattere
religioso (come i programmi dell’attività pastorale- officium) sia i compiti inerenti
all’amministrazione dei beni spettavano al vescovo stesso (beneficium).
Nella realtà invece al vescovo restava poco o nulla dei vecchi compiti in quanto poteva
opporsi alla scelta dei laici solo in caso di apparente indegnità del candidato; le chiese si sentì forte
l’ingerenza dei laici, questo fenomeno si manifesto però anche a livelli più alti visto che re e
principi non esitavano a imporre propri prescelti alla guida di diocesi e abbazie per assicurarsi un
sostegno. In Italia e Germania al tempo di Ottone I alcuni vescovi vennero addirittura nominati
conti (vescovi-conti) e furono così direttamente coinvolti in affari di natura temporale.
Già Lotario, figlio di Ludovico il Pio aveva imposto al papato nell’824 la Constitutio
romana con la quale il papa eletto avrebbe giurato fedeltà all’imperatore prima di essere consacrato.
I successori di Lotario riuscirono a controllare anche il papa; Ludovico II esercitò un diretto
controllo sulla stessa elezione dei pontefici ma si scontrò con il carattere energico e deciso di
Niccolò I (858-867) il quale cercò, senza però ottenere risultati degni di nota, di far nuovamente
affermare il primato della Chiesa sui poteri temporali. Il papato era troppo debole e pressato da due
fronti: il potere imperiale da un lato e quello dell’aristocrazia romana dall’altra.
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