Problemi di regolazione emotiva e disagio nell

Problemi di regolazione emotiva e disagio nell’arco di vita
a cura di Roberta Casadio
Il concetto di disregolazione è strettamente legato a quello di regolazione, intesa come normalità del
meccanismo di funzionamento del corpo umano, la cui “stabilità interna” è dovuta alla costante e dinamica
regolazione delle attività di cervello-mente-corpo-ambiente.
Il processo che porta alla mancata regolazione emotiva inizia quasi sempre dalla formazione dei legami di
attaccamento insicuri, disorientanti o disorganizzati che provocano l’apprendimento da parte del bambino di
strategie di regolazione emotiva non adattive nel lungo periodo e la formazione di strutture e funzioni
celebrali regolatorie deficitarie. Tali strutture assolvono le funzioni tra le quali la costituzione del
temperamento, della regolazione degli affetti e dell’auto-organizzazione (Aitken & Traverthen, 1997).
Quando questo equilibrio interno (omeostasi) subisce un’alterazione nel meccanismo
di regolazione dell’insieme o di una delle funzioni fisiologiche, si parla di disregolazione
Qualora poi a causa di tali deficit delle funzioni regolatorie, si sviluppi una grave situazione di disagio, ne
risulterebbe che non solo tale esperienza influisce ulteriormente sul senso di autostima del soggetto e sulle
sue risorse di coping1 già compromesse, ma lo farebbe anche sul cervello e sul funzionamento cognitivo,
rendendo il recupero del benessere ancor più difficile (Segal, Williams, Teasdale, & Gemar, 1996).
L’interazione tra figura di riferimento o di attaccamento ed infante è di fondamentale importanza nello
sviluppo del bambino. Una relazione calda e accogliente, dove la figura di attaccamento è emotivamente
disponibile e responsiva (attaccamento sicuro: Crittenden) aiuta il bambino ad evitare stati emotivi estremi e
prolungati, ed esso comprenderà attraverso l’esperienza che gli stati di stress e arousal possono essere
moderati e riparati. Questo porta all’acquisizione del senso di controllo e di prevedibilità, poiché si
cominciano a fare delle connessioni causali stabili tra domanda e risposta adeguata offerta dal caregiver
(Gable & Isabella, 1992). Diversamente, quando la figura di riferimento del bambino si mostra
emotivamente inaccessibile e incoerente reagendo alle espressioni emotive e allo stress del neonato in modo
inappropriato, tale mancanza compromette la regolazione dell’arousal2. Si parla generalmente di
disregolazione emotiva come probabile esito di una la relazione della diade che non permette al bambino di
alimentare la propria autostima, generando disagi e deficit che possono alterare il meccanismo di regolazione
delle funzioni fisiologiche ed evolvere, se persistenti, verso forme di psicopatologia (Kopp, 1989). E’
possibile dire che un bambino che è stato esposto ad ostilità da parte del caregiver, il quale non accoglie e
regola i suoi stati di stress, si senta rigettato e arrabbiato. Tali sentimenti a loro volta saranno espressi nella
relazione con la figura di attaccamento, risultando in una continua spirale che porta ad un sempre più alto
livello di distress e iper-arousal prolungato nel bambino. Sebbene egli possa adottare delle strategie per
mantenere una relazione con il caregiver (es. pattern di attaccamento insicuro evitante o ambivalente), si
verifica un fallimento nella possibilità del bambino di fare esperienza di se stesso come abile nel regolare i
propri stati interni negativi in modo effettivo. In base a tali esperienze precoci di apprendimento con la figura
di attaccamento, si sviluppano dei Modelli Operativi Interni coerenti, in questo caso dove il mondo è visto
come incapace di rispondere ai propri bisogni e dove ci si rappresenta come non meritevoli di attenzione e
cure da parte della figura di riferimento. Sarebbe ragionevole ritenere a questo punto che i sentimenti di
rabbia e tristezza siano facilmente attivati ed che tali soggetti possano sviluppare deficit nella
implementazione di un repertorio efficace e adattivo di strategie di regolazione delle emozioni, il ché
contribuisce a confermare il loro senso di inefficacia.
1
2
capacità di fronteggiamento di una situazione avversa
attivazione fisiologica, aumento dei livelli di cortisolo
Questa prospettiva è coerente con la letteratura che mostra l’importanza di esperienze avverse nella prima
infanzia nello sviluppo di disagio psichico in età adulta.
Studi suggeriscono dei fattori di rischio comuni a diversi disturbi. Questi includono, traumi, perdite e abusi
(Liotti, 1999), reattività allo stress, disfunzioni celebrali (Gillberg, Gillberg, & Groth, 19899), attaccamento
insicuro ad alto indice o disorganizzato (Ijzendoorn, Schuengel, & Bakermans-Kranenburg, 1999), elevata
sensibilità alle emozioni espresse (Brown, Birley, & Wing, 1972) e conflitto intrafamigliare (Davies e
Cummings, 1994).
Questi fattori di rischio hanno in comune l’effetto di produrre alti livelli di arousal e interferiscono con lo
sviluppo si strategie per regolare questo stato.
Un esempio di quanto detto proviene dagli studi di etologia sugli effetti di una inadeguata regolazione
diadica tra il piccolo e madre in una popolazione di scimmie reso. I risultati mostravano che i piccoli di
scimmia che avevano riscontrato risposte incoerenti e inadeguate alle proprie richieste emotive mettevano in
atto successivamente comportamenti insolitamente impulsivi, insensibili ed esageratamente aggressivi nelle
interazioni con gli altri membri del gruppo (Suomi, 2003).
Nella sua iniziale formulazione Bowlby indicava chiaramente che un attaccamento insicuro poteva essere
visto come fattore di vulnerabiltà a forme di psicopatologia in età più avanzata. Studi trasversali hanno
confermato tale intuizione dimostrato una significativa quantità maggiore di attaccamento insicuro in
popolazioni cliniche e “a rischio” (Goldberg, 1993). Più di recente, alcune ricerche di Gross (1998) mettono
in luce, grazie al supporto di tecnologie provenienti dalle neuroscienze, come esista uno stretto legame tra
modulazione emotiva e regolazione delle emozioni: se si istruiscono i soggetti a inibire le espressioni facciali
(soppressione) mentre stanno guardando alcune scene disgustose di un film, questa inibizione comporta un
incremento dell’arousal . Per contro, altri studi rilevano gli effetti di meccanismi di reapparaisal3 sulla
regolazione emotiva: se si istruiscono i soggetti a rimanere distaccati nei confronti di materiale emotivo,
aumenta l’espressività emotivo ma non l’arousal: in questo senso possiamo pensare che le due forme di
regolazione delle emozioni, comportino effetti differenti; è solo l’ultima, infatti, quella che non implica, sul
lungo periodo costi elevati per la salute fisica e psicologica, mentre sopprimere l’espressione delle emozioni
comporterebbe rischi maggiori (Putnam & Silk, 2005).
Gli studi sulla regolazione emotiva dei soggetti affetti da disturbo borderline di personalità dimostrano
l’importanza di questa distinzione tra diverse forme della regolazione emotiva; infatti per questa popolazione
le emozioni risultano particolarmente difficili da regolare. I principali problemi che questi soggetti
incontrano riguardano proprio l’aspetto della modulazione emotiva che, risultando deficitaria e cronicamente
compromessa, impedisce loro di usare in maniera efficace le strategie di regolazione: essendo vittime di
un’eccessiva attivazione emotiva e fisiologica, tali soggetti incontrano serie difficoltà ad usare quelle
strategie che consentirebbero di modulare la risposta emotiva e smorzare i correlati fisiologici ad essa
associati. Lo stato di stress cronico che ne deriva alimenta l’uso di strategie di regolazione dello stato
emotivo disfunzionali quali quelle di natura autolesiva. L’esempio appena citato illustra quindi come la
regolazione emotiva non sia qualcosa che subentra dopo l’esposizione ad uno stimolo emotivo, bensì
costituisca un processo che esiste prima e/o durante la risposta emotiva stress (Putnam & Silk, 2005).
Anche i disturbi definiti internalizzati costituiscono un valido esempio di compromessa regolazione emotiva:
essi comprendono in maniera prevalente i disturbi dell’ansia e dell’umore e rappresentano un caso
emblematico di specifica modalità di regolazione emotiva atipica che può comportare uno sviluppo
psicopatologico (Bradley, 2000). Le aree della disregolazione che risultano più implicate sono quelle relative
alle modalità di coping e alla regolazione dei fattori neurobiologici coinvolti nella risposta allo stress. I
bambini a rischio d’insorgenza di sintomi internalizzati adottano strategie di coping improntate alla
3
Riapprendimento cognitivo (è una strategia di regolazione emotiva)
repressione dell’emotività negativa, al ritiro, all’uso ridotto del supporto sociale e all’idealizzazione di
relazioni affettive problematiche. L’interiorizzazione della rabbia e dell’ostilità sarebbe così alla base dello
sviluppo sintomatico.
Stress, trauma, dissociazione e disconnessione
L’esposizione a stress acuto o cronico (es. una storia di traumi, abusi o perdite) può essere associata
a diversi disturbi, inclusi disturbi d’ansia, dell’umore, dell’alimentazione, della condotta, e di personalità
(Kessler, Davis, & Kendler, 1997). Recenti studi di neuropsicologia condotti su individui affetti da
psicopatologia confermano l’impatto di tali traumi nel produrre prolungati stati di iper-arousal, che a loro
volta conducono a cambiamenti a livello neuronale e biochimico, che portano il bambino a non regolare
efficacemente il proprio stato emotivo e a reagire in modi maleadattivi alle richieste ambientali (Pollak,
2005). I danni al sistema dopaminergico all’interno dell’amigdala basolaterale possono infatti compromettere
l’abilità di un soggetto nel valutare e regolare gli stimoli emotivi, portando a risposte comportamentali
inappropriate in situazioni di incertezza. Tali evidenze suggeriscono che i meccanismi dopaminergici
possono compromettere il funzionamento della corteccia orbitofrontale durante lo stress, con il risultato che
le risposte comportamentali sono mediate maggiormente dai nuclei sottocorticali piuttosto che dalla corteccia
prefrontale.
Va sottolineato che gli effetti traumatici di una prolungata esposizione ad uno o più stressors, provocano
deficit non solo in una specifica regione celebrale. Le alterazioni riguardano uno o più centri in una o più
aree celebrali, e questo dato è in linea con l’assunto che le funzioni neuroanatomiche e i sistemi fisiologici
siano interattivi e integrati (Anda e colleghi, 2006).
Lazarus e Folkman (1984) definiscono lo stress come la condizione derivante dall’interazione di variabili
ambientali e individuali, le quali vengono mediate da variabili di tipo cognitivo. Quindi lo stress viene
concettualizzato dagli autori come qualcosa di dinamico, a carattere relazionale. Con tale concetto si
sottolinea la componente soggettiva dell’evento stressante, ovvero che l’elemento fondamentale che
determina l’entità della reazione emozionale-fisiologica è la valutazione cognitiva che l’individuo compie
del suddetto evento stressante. In altre parole, nessun evento esistenziale significativo può essere considerato
aprioristicamente patogenetico e, allo stesso tempo, ogni evento suscettibile di produrre una reazione
emozionale potrebbe essere definito come avvenimento stressante. Weinstock (1977), sostiene che “lo stress
cronico, inevitabile o incontrollato, può portare all’indebolimento dei normali meccanismi di regolazione
producendo un’iperattività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e del sistema nervoso simpatico che potrebbe
portare a un ansia eccessiva, sentimenti di disperazione e insuccesso, e a disperazione”. Infatti, la reazione di
allarme dovuta all’attivazione del Sistema Nervoso Simpatico alle esperienze di stress se persistente può
causare esiti negativi che si riflettono sullo stato di salute (Kiecolt-Glaser, 2000). In questa prospettiva, la
reazione fisiologica alle esperienze di stress è meglio compresa in termini di una fase acuta di risposta, che
può evolvere in un funzionamento immunitario compromesso causato dall’effetto tossico degli ormoni dello
stress rilasciati in circolo. Questi esiti sono particolarmente evidenti quando si parla di trauma che altera le
interazioni tra Sistema nervoso, Sistema Endocrino e Sistema immunitario.
Per Trauma generalmente si intende un evento sconvolgente, a volte improvviso, insostenibile,
imprevedibile ed inevitabile che sconvolge la vita dell’individuo rendendolo impotente. Il presente sembra
annullarsi in continuo “prima” e “dopo” in cui il soggetto legge se stesso, gli altri ed il mondo. Il significato
psichico del trauma nel tempo e nelle relazioni dipende dalle risorse precedenti e attuali, interne ed esterne. Il
trauma non è reversibile, ma se non viene integrato tramite la storicizzazione e la narrazione, esso può essere
dimenticato, rimosso, può costituire un nucleo irrisolto, senza tuttavia scomparire ed evidenziarsi in
particolari momenti di vita in cui il contesto spingerà a rievocarlo. L’emergere di sintomi successivi
all’evento traumatico è visto come il risultato della “inabilità del soggetto di elaborare l’evento che ha
sopraffatto le sue capacità di fronteggiamento”. Questa reazione è moderata da una varietà di fattori inclusi
la natura del trauma, preparazione all’evento, supporto sociale dopo l’evento, e fattori di vulnerabilità
individuali. Le reazioni acute all’evento solitamente includono ansia, panico, freezing, agitazione,
confusione, dissociazione, numbing, e flashbacks (Solomon, Laor, & McFarlane, 1996). L’effetto di un
trauma precoce sembra incidere sulle dimensioni dell’ippocampo, struttura rilevante nella regolazione dello
stress (Schmahl e colleghi, 2003), sulla qualità della laterizzazione emisferica (Schiffer, Teicher,
Papanicolaou, 1995) e sulla sensibilizzazione dell’asse ipotaliamico-pituario-surrenalico, che comporta
un’alterata iper-reattività fisiologica e una stato di regolazione emotiva ipervigilante e ansioso.
Particolari tipi di trauma sono i maltrattamenti, spesso subiti da parte delle stesse persone che dovrebbero
assicurare la protezione del bambino, e come tali, particolarmente incidenti su tutto quanto l’equilibrio
personale e relazionale del minore (Emiliani e Simonelli, 1997; Mrazek, 1996). Il trauma precoce colpisce
alcuni sistemi chiave per la regolazione come la memoria, l’emozione e l’apprendimento. I bambini
traumatizzati, abusati, maltrattati sviluppano sentimenti di disistima di sé, colpa, paura e vergogna, si
difendono dall’esposizione al dolore con difese di evitamento che possono divenire patologiche nella
“sindrome da stress post-traumatico” (Cicchetti e Carlson, 1989) o cronicizzarsi con gravi conseguenze sullo
sviluppo della personalità. Le popolazioni che hanno subito abusi, di natura psicologica, fisica o sessuale,
attestano quindi una stretta relazione fra deficit ai livelli del funzionamento psicobiologico, relazionale e
sociale della regolazione emotiva. L'esposizione a un grave trauma può provocare modificazioni cerebrali
capaci di indurre anche a distanza di anni reazioni spropositate di fronte a gesti innocui, anche in persone che
non soffrano o abbiano sofferto, in seguito all'evento, di Disturbo da Stress Post-traumatico. Lo afferma una
ricerca svolta da psicologi del Weill Medical College della Cornell University. Secondo quanto hanno
scoperto i ricercatori, il trovarsi coinvolte in una situazione traumatica può avere effetti di lungo termine sul
cervello e sul comportamento di persone che non manifestino al momento sintomi clinici rilevabili, effetti
che possono aumentare la suscettibilità a successivi problemi di salute mentale. Nell'esperimento, i
ricercatori hanno sottoposto un gruppo di persone a risonanza magnetica funzionale mentre venivano
mostrate loro fotografie di facce serene e spaventate, così da monitorare il livello di attività delle diverse aree
cerebrali e in particolare dell'amigdala, il centro che presiede alla valutazione dell'intensità emotiva e
concorre alla formazione della memoria emotiva. Il campione dei soggetti traumatizzati era costituito da
persone che al momento dell'attacco terroristico dell'11 settembre 2001 si trovavano a non più di tre
chilometri dalle torri gemelle, mentre il gruppo di controllo era formato da persone che all'epoca vivevano a
400 chilometri da Manhattan e che si erano trasferite a New York solo successivamente. Dall'esame delle
risonanze è risultato che, di fronte al pur ridotto stimolo visivo rappresentato dai volti impauriti, nei soggetti
"traumatizzati" (anche in quelli non soffrivano di PTSD4, depressione o ansia) si manifestava un livello di
attività dell'amigdala notevolmente superiore a quello presente nel gruppo di controllo.
Il trauma per definizione produce un’azione di disconnessione e dis-integrazione, ovverosia, è dissociante.
Per dissociazione si intende la perdita della capacità della mente di integrare alcune sue funzioni superiori
(Dutra e colleghi, 2009). Questa concezione deriva direttamente dal concetto di dèsagrègation
(disgregazione) cognato da Pierre Janet all’inizio del secolo per intendere un deficit di integrazione che
comporta una frammentazione mentale su diversi livelli, causata da un cedimento strutturale indotto dalle
emozioni violente provocate dalle esperienze traumatiche (van der Hart e Dorahy, 2006). Secondo Janet,
infatti la mente consiste in un’organizzazione gerarchica di diverse funzioni che, proprio come per la
prospettiva evoluzionistica, integra livelli più complessi in coordinazione tra loro. Ogni livello superiore
modula e si coordina con quelli inferiori dove ai livelli più alti troviamo le rappresentazioni che la mente fa
di se stessa, come le metacognizioni e le funzioni di mentalizzazione (Fonagy e colleghi, 2002; Liotti e
Prunetti, 2010).
Alcune recenti teorie ipotizzano che le esperienze traumatiche, uniscono alle usuali reazioni alla paura di
attacco e fuga attivate e sostenute dall’attivazione simpatica adrenergica, una risposta vagale
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Post Traumatic Stress Disorder
troncoencefalica evolutasi con lo scopo di offrire protezione di fronte a condizioni estreme dalle quali non è
possibile fuggire (Liotti e Farina, 2011). L’attivazione di questa risposta vagale provoca l’immobilità
cataplettica e la disattivazione delle connessioni cerebrali superiori al fine di proteggere l’individuo da un
inevitabile dolore tramite uno stato di morte apparente (Porges, 1997). L’attivazione di questo sistema di
difesa, provocherebbe la disconnessione tra i diversi livelli funzionali mentali impedendo l’integrazione
dell’evento traumatico nella vita psichica dell’individuo (Shore, 2009). Il potere dis-integrante
dell’esperienza traumatica è la difficoltà di dare ad essa un significato unitario e coerente. L’esperienza
traumatica, poiché dissociante, non riesce a essere collocata nel sistema ordinato di memorie, e non riesce ad
integrarsi con le altre informazioni intaccando il senso di sé e la propria identità.
Tali processi possono essere implicati nei Disturbi Dissociativi, oppure possono presentarsi in misura
variabile in quasi tutti gli altri quadri psicodiagnostici compromettendone la prognosi (Rufer e colleghi,
2006; Sar e colleghi, 2004). Una vasta e crescente letteratura indica che i sintomi dissociativi sono correlati a
esperienze traumatiche di tipo relazionale che avvengono durante l’infanzia e per le quali sono stati proposti
diversi termini come trauma dello sviluppo (Carlson e colleghi, 2009; Lanius e colleghi, 2010a) o trauma
complesso (Schore, 2009). Studi clinici dimostrano infatti che l’effetto delle esperienze traumatiche infantili
si produce per lo più a livello delle funzioni mentali che normalmente trovano il loro completo sviluppo
dopo la nascita e vengono promosse dalle esperienze relazionali di cura e protezione durante l’infanzia (Bob
e Svetlak, 2010). Alcune caratteristiche dell’ambiente materno possano infatti incidere sulla qualità della
regolazione emotiva infantile. Alcuni dati provenienti dalla ricerca psico-biologica suggeriscono infatti che
gli effetti di un trauma precoce sullo sviluppo del cervello possono essere duraturi e documentabili,
attestando come gli eventi psicosociali legati alla comunicazione famigliare possono provocare alterazioni
permanenti nel cervello e influire in tal modo sui meccanismi regolatori di base delle emozioni (Gabbard,
2006).
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