Monociti plasmacitoidi/cellule dendritiche plasmacitoidi. Cellule del

© Springer-Verlag 2002
Pathologica (2002) 94:163-175
EDITORIALE
F. Facchetti · W. Vermi
Monociti plasmacitoidi/cellule dendritiche plasmacitoidi. Cellule del sistema
immunitario a ponte fra l’immunità innata e l’immunità acquisita
Plasmacytoid monocytes and dendritic cells link innate and acquired immunity
Riassunto I monociti plasmacitoidi (PM), originariamente descritti dai patologi come cellule localizzate nell’area
interfollicolare dei linfonodi umani, rappresentano una popolazione cellulare emergente nel panorama del sistema
immunitario. I PM circolano tra sangue periferico, organi
linfoidi e siti effettori dell’infiammazione, utilizzando
meccanismi di migrazione specifici; essi risultano facilmente riconoscibili sulla base delle caratteristiche morfologiche e di un fenotipo distintivo (CD3–, CD11c–,
CD14–, CD20–, CD36+, CD56–, CD68+, CD123+, BDCA2+). Recentemente, è stato dimostrato che i PM producono elevate quantità di interferone di tipo I e corrispondono alle cellule “naturalmente” produttrici di interferone
nell’organismo umano (natural interferon producing cells),
già da tempo note. In aggiunta, i PM o i loro precursori si
possono differenziare in vitro in cellule dendritiche, suggerendo una loro partecipazione nella stimolazione
T-linfoide antigene-specifica. Globalmente, questi dati
suggeriscono un rilevante ruolo dei PM nel sistema immunitario, come cellule poste a ponte fra l’immunità innata e
quella adattativa. I PM sembrano infatti essere cruciali nella patogenesi di differenti malattie umane immuno-mediate, quali infezioni virali e disordini autoimmuni, e sono
coinvolti nel controllo immunologico di alcuni tumori. Il
dibattito relativo alla linea d’origine dei PM rimane ancora irrisolto, sebbene la frequente associazione fra espansioni simil-tumorali di PM e leucemie mielo-monocitiche,
nonché la dimostrata identità citogenetica fra le due popolazioni cellulari in alcuni casi, sembrano avvalorare un più
stretto rapporto dei PM con la linea mieloide.
F. Facchetti () • W. Vermi
Servizio di Anatomia Patologica 2,
Spedali Civili, Università degli Studi di Brescia, I-25124 Brescia
e-mail: [email protected]
Tel.: +39-030-3995426
Fax: +39-030-3995053
Parole chiave Plasmacitoide • Monocita • Dendritica •
Immunità • Interferone
Key words Plasmacytoid • Monocyte • Dendritic cell •
Immunity • Interferon
Premessa
Nel 1958, Lennert identifica una nuova cellula nei linfonodi
umani che definisce “linfoblasto” [1]. Negli anni successivi,
tale cellula è oggetto di studio da parte di ematopatologi, che
ne caratterizzano estensivamente gli aspetti morfologici e fenotipici, documentano il suo coinvolgimento in alcune condizioni patologiche, senza tuttavia riuscire a svelarne in forma sostanziale le funzioni, né a identificarne definitivamente la linea di appartenenza. Ne è testimonianza la varietà di
termini che via via vengono utilizzati per identificarla, quali plasmacellula T-associata [2], cellula T plasmacitoide [3,
4], cellula plasmacitoide della zona T [5] e monocita plasmacitoide [6].
Dalla seconda metà degli anni ’90, diversi laboratori di
immunologia e di immunopatologia hanno rivolto una particolare attenzione a questa popolazione cellulare, da loro
precedentemente ignorata. I risultati di questi studi hanno
portato alla identificazione di aspetti funzionali estremamente interessanti, sintetizzabili nella capacità di produrre
alti livelli di interferone alfa e nella potenzialità differenziativa in cellule dendritiche. Il “linfoblasto” di Lennert ha
così iniziato a svelare il suo volto enigmatico e il suo possibile ruolo in diverse importanti condizioni patologiche
umane.
Nei paragrafi che seguono verranno illustrati gli
aspetti più rilevanti di questa popolazione cellulare, che
d’ora in avanti definiremo con il doppio acronimo PM
(plasmacytoid monocyte) e PDC (plasmacytoid dendritic
cell), in relazione alla terminologia correntemente utilizzata rispettivamente in ambito ematopatologico e immunologico.
164
F. Facchetti, W. Vermi: Monociti plasmacitoidi
PM/PDC: identificazione di un “nuovo” elemento cellulare nell’ambito del sistema immunitario
Nei tessuti i PM/PDC mostrano peculiari caratteristiche
morfologiche [1, 3, 7-9] e fenotipiche (Tab. 1) [6, 10-15] che
ne facilitano l’identificazione: si caratterizzano per una taglia lievemente superiore a quella di un linfocito, mostrano
citoplasma relativamente ampio e ben demarcato, eosinofilo
su preparati colorati con ematossilina-eosina e debolmente
basofilo con Giemsa. Il nucleo appare tondo o ovale, talora
indentato, centrale o lievemente eccentrico, con cromatina
finemente distribuita associata ad uno o due piccoli nucleoli (Fig. 1a, b). I PM/PDC si possono osservare sia come elementi singoli e sparsi che come aggregati nodulari: in questo caso la presenza di corpi apoptotici e di macrofagi con
corpi tingibili è tipica e l’insieme può simulare un centro
germinativo. La caratteristica ultrastrutturale che giustifica
pienamente l’attributo “plasmacitoide” è costituita da un ricco ergastoplasma, con cisterne non dilatate, distribuite parallelamente alla membrana plasmatica [7, 8, 16].
I PM/PDC sono presenti in tutti gli organi linfoidi primari e secondari. Nel timo la presenza di PM/PDC è stata
solo recentemente evidenziata; essi si localizzano prevalentemente nella midollare in stretta associazione con popolazioni di cellule dendritiche interdigitate [17, 18]. Vari Autori
hanno dimostrato la presenza di precursori di PM/PDC nel
midollo osseo, dove essi rappresentano una minima frazione
(0.8%) delle cellule non mature [19-21]. Dal midollo osseo,
i PM/PDC (o precursori) possono essere mobilizzati nel sangue periferico, utilizzando G-CSF e Flt3 [22-24]. In condi-
Tabella 1 Fenotipo dei PM/PDC
Marcatori
Cluster di differenziazione
CD1
CD2
CD3
CD4
CD5
CD7
CD8
CD10
CD11a
CD11b
CD11c
CD13
CD14
CD15
CD16
CD19
CD20
CD21
CD23
CD25
CD27
CD28
CD30
CD31
CD32
CD33
CD34
CD35
CD36 °
CD38
CD40
CD43
CD44
PM/PDC
–
– (+)1
–
+
– (+)1
– (+)1
–
–
+
–
– (+)2
– (+)2
–
– (+)3
–
–
–
–
–
–
–
–
–
+
+6
– (+)2
–
–
+
–
+
+
+
Marcatori
PM/PDC
CD45RA
CD45RB
CD45R0
CD49e
CD56
CD57
CD62L
CD64
CD65
CD68 °°
CD71
CD74
CD80
CD83
CD86
CD95
CD103
CD123 °
CD125
CD128
CDw150
CD161
CD162
CD206
CD207
CD208
CD209
+
+
Recettori per chemochine
CXCR1
CXCR2
CXCR3
CXCR4
CXCR5
–
4+ 6
– (+)1
–
4+ 4
–
–
Marcatori
CCR1
CCR2
CCR3
CCR4
CCR5
CCR6
CCR7
PM/PDC
–/+ 6
4
4+ 6
4– 6
–/+ 6
4
4+ 6
–
4 6
4+ 6
4 6
4 6
+
+
+
–
–
4–/+ 4
4–/+ 6
–
+
–
Toll-like receptor
TLR1
TLR2
TLR3
TLR4
TLR5
TLR6
TLR7
TLR8
TLR9
+
–
–
–
–
–
+
–
+
4 6
4+ 6
–
4– 6
4 6
4+ 6
–
–
4– 5
4– 5
4 5
4 5
4
4– 6
–/+ 6
4+ 6
4+ 6
–
4 6
Miscellanea
BDCA2 °
+
CLA/Heca452 °°
+
4+ 6
E-caderina
Elastasi
–
4+ 6
FceRI
HLA-ABC
+
HLADR
+
HLADP
+
HLADQ
+
Lisozima
–
LAT (linker for activation of T cells) –
Mieloperossidasi
–
TCR-AB
–
TCR-GD
–
I dati sono in primo luogo riferiti a studi in situ pubblicati [10-11, 15] e osservazioni personali non pubblicate. I marcatori seguiti dal simbolo °/°° sono particolarmente utili per l’identificazione di PM/PDC su tessuti congelati (°) o inclusi in paraffina (°°).
+, positivo; –, negativo; –/+, bassa espressione; 1 positività in una frazione (sottopopolazione?) di PM/PDC, non confermata su tessuto;
2 espressione minima, specie riscontrata dopo differenziazione in vitro; 3 positività dopo digestione con neuraminidasi; 4 di membrana
in PM/PDC circolanti, citoplasmatica in PM/PDC tissutali; 5 CD206, 207, 208 e 209 riconoscono rispettivamente antigeni di sottopopolazioni di cellule dendritiche rappresentati da recettore del mannosio, langerina, DCLAMP e DCSIGN; 6 dati riportati da Galibert [15],
ma non testati in studi in situ
F. Facchetti, W. Vermi: Monociti plasmacitoidi
a
165
b
Fig. 1a, b Aspetti morfologici dei PM/PDC in un linfonodo reattivo. Le sezioni sono colorate con ematossilina-eosina e mostrano diversi aggregati di PM/PDC (asterischi) nel parenchima linfonodale, dove è anche presente un follicolo secondario (CG); il dettaglio citologico dei PM/PDC è mostrato in b: si notino i numerosi corpi apoptotici, che sono spesso presenti negli aggregati
zioni normali, PM/PDC circolanti [19, 25-29] rappresentano
una minima percentuale delle cellule mononucleate (sempre
inferiore all’1%). La loro identificazione si basa sull’assenza di marcatori di linea cellulare specifica (lin–), quali CD3,
CD19, CD20, CD11c, CD14, CD16 e CD56, e sulla espressione di alcuni altri marcatori che ne facilitano la selezione
positiva (CD4, HLADR, ILT3, CD62L, BDCA2, CD68,
CD123). La sede naturale dei PM/PDC è rappresentata dai
linfonodi periferici, dove occupano l’area interposta ai noduli T e l’area interfollicolare. In questa sede, essi sono sempre in stretta vicinanza con le venule epitelioidi (HEV) [7,
30] e contraggono stretto contatto con diverse popolazioni
linfoidi T e B, nonché con cellule dendritiche immature e
mature (cellule dendritiche interdigitate), costantemente presenti in quelle aree. Riconoscibili in quantità molto variabili in tutti i linfonodi, i PM/PDC sono particolarmente abbondanti in quelli superficiali di individui giovani [7], specie in condizioni di iperplasia corticale e/o paracorticale;
possono essere estremamente numerosi nelle tonsille palatine e faringee, soprattutto in campioni ottenuti durante le stagioni fredde (osservazione personale). I PM/PDC sono stati
identificati anche in linfonodi fetali [19], così come nel sangue da cordone ombelicale [28, 31]. È interessante osservare che accumuli di queste cellule sono stati dimostrati in
linfonodi con vario grado di alterazione strutturale e deficit
selettivo di popolazioni B o T, in corso di varie forme di immunodeficienza primitiva [32]. Nella milza esse sono rare e
si localizzano nelle cuffie periarteriolari T-linfoidi o al confine con la zona marginale [10].
In conclusione, i PM/PDC sono una popolazione cellulare costitutiva dei tessuti linfoidi e del sangue periferico. I
dati sopracitati confermano la loro appartenenza alla linea
ematopoietica e suggeriscono un ruolo dinamico nella re-
golazione della risposta immunitaria, mediante attivo ricircolo fra sangue periferico e organi linfoidi, come indicato
dalla tipica localizzazione nell’area del “traffico” linfonodale. La presenza di PM/PDC nel sangue ombelicale e nei
linfonodi fetali suggerisce che tali cellule possono migrare
agli organi linfoidi secondari, in assenza di una risposta infiammatoria, suggerendo un loro ruolo funzionale anche in
condizioni di assenza di stimolo antigenico o comunque
“germ-free”.
Meccanismi di migrazione dal sangue periferico ai tessuti
linfoidi
Il traffico cellulare fra sangue periferico, organi linfoidi secondari e tessuti extra-linfoidi è regolato dall’espressione di
molecole di superficie, che interagiscono con i loro ligandi
espressi a livello endoteliale. I PM/PDC del sangue periferico mostrano intensa positività di membrana per L-selectina (CD62L) [19, 25], molecola critica nel reclutamento cellulare dal circolo ematico agli organi linfoidi secondari, attraverso le HEVs. Curiosamente, una volta nei tessuti
linfoidi, PM/PDC internalizzano CD62L, che perde pertanto la sua funzione recettoriale. Più recentemente, è stata
analizzata l’espressione di recettori per chemochine, molecole chiave nella migrazione leucocitaria, nei PM/PDC del
sangue periferico [14]: essi esprimono alti livelli di CCR2,
CCR5, CCR7, CXCR3 e CXCR4 e risultano debolmente
positivi per CCR4 e CXCR2. La maggior parte di questi recettori tuttavia è risultata “non funzionale” in termini di risposta migratoria verso la corrispondente chemochina, ad
eccezione di CXCR4 e, in condizioni di attivazione, di
CCR7. I PM/PDC risultano pertanto responsivi a chemo-
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F. Facchetti, W. Vermi: Monociti plasmacitoidi
chine tipicamente espresse nel microambiente linfonodale
(stromal-derived factor 1, SDF-1; ligando di CXCR4;
Epstein-Barr virus-induced molecule 1, ELC, e secondary
lymphoid organ chemokine, SLC; ligandi di CCR7). I dati
suggeriscono un homing preferenziale dei PM/PDC a livello dei linfonodi via CD62L e SDF-1/CXCR4, in condizioni indipendenti dall’infiammazione, e un trattenimento in
tale microambiente via ELC-SLC/CCR7 dopo attivazione.
Non si esclude che in condizioni patologiche alcuni recettori per chemochine vengano resi funzionalmente operativi nel reclutamento dei PM/PDC in siti infiammatori. Ai
fini di una ulteriore comprensione dei meccanismi di migrazione in vivo, si rende pertanto necessario lo studio di
espressione di tali molecole in PM/PDC direttamente negli organi linfoidi e in condizioni infiammatorie extranodali.
Produzione di interferone alfa (a-IFN)
Fig. 2 I PM/PDC producono livelli elevati di α-IFN, come dimostrato anche dalla intensa immunoreattività per tale citochina (sezione criostatica)
I dati morfologici e ultrastrutturali indicano chiaramente che
i PM/PDC sono cellule con funzione secretiva e la possibilità di purificarli e mantenerli in coltura ha permesso di sciogliere almeno in parte l’enigma sui loro prodotti di secrezione. Isolati dal sangue o dai tessuti, i PM/PDC vanno incontro rapidamente ad apoptosi; questo fenomeno è completamente bloccato dall’aggiunta di interleuchina 3 (IL3),
una citochina importante nel mantenimento della proliferazione e nell’induzione della differenziazione delle cellule
emopoietiche [33]. La sensibilità dei PM/PDC a IL3 è mediata dalla loro intensa espressione del recettore alfa di IL3
(CD123), che pertanto risulta essere la citochina chiave per
la loro sopravvivenza [34]. In vitro PM/PDC sintetizzano
elevate quantità di interferone di tipo I o interferone alfa (αIFN) (ad eccezione delle altre forme di interferone di tipo I,
quali β e ω); la secrezione di α-IFN è indotta da diversi stimoli, quali virus (HHV, HIV, adenovirus) [25, 35-38], batteri (Stafilococco aureo) [39], citochine [25], sequenze ipometilate di DNA batterico (CpG ODN) [40-43] e siero di pazienti affetti da Lupus eritematoso sistemico [44, 45]. La
sintesi di α-IFN è comprovata in vivo dalla intensa immunoreattività citoplasmatica con anticorpi anti-α-IFN (Fig. 2),
nonché dalla positività dei PM/PDC per MxA, proteina indotta da α-IFN e considerata affidabile indice della produzione degli interferoni di tipo I [46].
Sebbene l’α-IFN sia prodotto da diverse popolazioni leucocitarie, è stato dimostrato che i PM/PDC sono in assoluto
i maggiori produttori di tale citochina [25, 38, 47]. In questo modo, si è svelato un altro enigma dell’immunologia e
cioè la natura cellulare della popolazione del sangue periferico nota come natural interferon producing cells (NIPC)
[48], la cui distribuzione tissutale e le cui caratteristiche
morfologiche e fenotipiche, in vivo, sono rimaste per lungo
tempo elusive [49]. Va tuttavia sottolineato che i PM/PDC
probabilmente non costituiscono l’intera popolazione di
NIPC nell’uomo [15, 50].
L’α-IFN è una citochina chiave dell’immunità di tipo
naturale o innato, dotata di attività antivirale, anti-proliferativa e immunomodulatoria [51-53]. Nelle prime fasi di risposta a una infezione virale, α-IFN è in grado di proteggere le cellule dall’effetto citopatico virale ed attiva elementi cellulari adibiti all’immunità naturale, quali cellule
natural killer e macrofagi. La sua attività immunomodulatoria è di tipo pleiotropico e consiste nella regolazione di altre cellule (cellule dendritiche, linfociti T e B), successivamente implicate nella risposta immunologica di tipo adattativo. L’uso di α-IFN in corso di infezioni virali croniche,
quali l’epatite B e C, è spesso coronato dal successo terapeutico con eliminazione definitiva dell’agente infettivo.
Similmente, l’importanza di α-IFN come fattore anti-proliferativo è ben documentata dal suo utilizzo nella cura di diverse neoplasie [54].
È interessante notare che i PM/PDC mostrano spiccata
positività citoplasmatica per α-IFN (Fig. 2) e MxA, anche
in condizioni reattive “usuali”; poiché anche in vitro in
condizioni di non attivazione i PM/PDC esprimono elevati livelli di MxA, si può ipotizzare che nei PM/PDC esista
un livello basale di MxA costitutivo o indotto in modo autocrino via α-IFN, con finalità protettiva nei confronti di
un eventuale danno citopatico virale [47]. Recentemente è
stata individuata una proteina chiave nella regolazione della produzione di α-IFN nei PM/PDC, definita BDCA2
(blood dendritic cell antigen). BDCA2 risulta selettivamente espresso sui PM/PDC circolanti e tissutali, con una
specificità superiore ad altri marcatori [12]. Si è osservato
che l’attivazione di questo recettore con l’anticorpo specifico induce una drastica riduzione della produzione di αIFN nei PM/PDC, indotta da diversi stimoli [13]. Ciò suggerisce un ruolo chiave del ligando naturale di BDCA2,
tuttora sconosciuto, nella regolazione di produzione di αIFN in vivo.
F. Facchetti, W. Vermi: Monociti plasmacitoidi
Una nuova sottopopolazione di cellule dendritiche
Le cellule dendritiche (DCs) rappresentano la popolazione
con attività di presentazione dell’antigene più evoluta [5557]. Esse mostrano peculiari aspetti morfo-funzionali che
correlano con il loro stadio maturativo. In particolare, le
DCs immature si localizzano nelle sedi di ingresso antigenico (cellule di Langerhans intraepiteliali e cellule dendritiche interstiziali dermiche), sono caratterizzate da spiccata attività di fagocitosi e scarsa attività immunostimolatoria. Una volta incontrato l’antigene, esse migrano ai tessuti linfoidi e contemporaneamente vanno incontro a maturazione, caratterizzata da espressione di molecole co-stimolatorie (HLADR di membrana, CD80, CD83, CD86,
DCLAMP/CD208), produzione di elevate quantità di interleuchina 12 (IL12) e acquisizione di forte capacità di stimolazione dei linfociti T naive. Nell’uomo, il precursore
diretto delle cellule dendritiche tissutali è ritenuta essere
una cellula circolante a morfologia dendritica esprimente
CD11c, definita cellula dendritica mieloide (MDC) [58,
59]; inoltre, è stato possibile generare in vitro cellule dendritiche con le caratteristiche delle equivalenti popolazioni
tissutali, partendo da precursori CD34+ o CD14+ [60].
La prima dimostrazione che elementi del sangue periferico, con fenotipo simile a quello dei PM/PDC, possono differenziare in vitro in potenti cellule con funzione di antigenpresenting cells risale alla prima metà degli anni novanta
[27]. Lavori successivi hanno direttamente confermato la capacità dei PM/PDC di differenziare in DCs a seguito di diversi stimoli, quali virus, IL-3 e CD40L, CpG ODN [34, 40,
43, 47]. In particolare, le DCs ottenute da PM/PDC del sangue periferico o estratti da tonsille e timo esprimono molecole di adesione e co-stimolatorie tipiche delle DCs mature,
producono IL12 e sono in grado di stimolare i linfociti T allogenici naive [40, 43, 47]. È sulla scorta di queste osservazioni che il nuovo termine plasmacytoid dendritic cell è stato coniato per identificare questa nuova sottopopolazione di
DCs umane [47].
Esistono sostanziali differenze fra le MDC e le PDC,
che ne suggeriscono un possibile diverso ruolo funzionale e
forse una diversa origine [58]. Esse comprendono innanzi
tutto il profilo fenotipico, inclusivo di recettori per chemochine; in secondo luogo, la capacità fagocitica appare del
tutto limitata nei PM/PDC e trova in parte spiegazione nella mancata espressione di recettori specifici per la fagocitosi, quali il recettore per il mannosio e i recettori per la frazione Fc delle immunoglobuline. Profonde differenze esistono anche nell’espressione dei cosiddetti toll-like receptor (TLR), un complesso di molecole recentemente identificate e coinvolte nel riconoscimento di agenti microbici e
dei loro prodotti; infine, anche il tipo di risposta immunologica indotta da MDC e PDC sembra differente, essendo
tipicamente di tipo Th1 per le prime, alternativamente Th1
o Th2 per le seconde, a seconda delle condizioni microambientali [47, 61].
167
Se è ormai definitivamente accettato che le cellule plasmacitoidi circolanti e tissutali possano trasformarsi in vitro
in cellule dendritiche, esistono ancora aspetti controversi
sulla possibilità che tale fenomeno si realizzi in vivo. Infatti,
nei tessuti linfoidi è possibile osservare elementi CD123+
BDCA2+ a morfologia dendritica, ma essi risultano estremamente rari rispetto ai PM/PDC con tradizionale morfologia tondo-ovale ben nota ai patologi. Inoltre, la co-espressione di molecole co-stimolatorie, documentata sulle PDCs
in vitro, è riconoscibile solo in un numero molto limitato di
PM/PDC nei tessuti, ad indicarne una minima, ancorchè presente, attivazione tissutale [47] (Fig. 3). Tuttavia, al di là di
questi aspetti ancora irrisolti, se i PM/PDC che noi osserviamo nei tessuti rappresentano i precursori di una sottopopolazione funzionale di DCs, allora altre differenze sono
evidenti fra MDC e PDC. Infatti, le prime sono localizzate
nelle aree di ingresso di antigeni esogeni nei tessuti periferici, come MDC immature, e nei tessuti linfoidi, come MDC
mature (cellule dendritiche interdigitate); le seconde, al contrario, si trovano strategicamente distribuite, indipendentemente dal loro stato di attivazione, nei siti di entrata degli
antigeni nei tessuti linfoidi e di incontro di questi con i linfociti circolanti, in stretta coabitazione con linfociti T e B ricircolanti.
È possibile che le differenze descritte fra le due popolazioni di DCs riflettano un ruolo immunoregolatore diverso
per diversi stimoli, oppure indichino attività di reciproco
controllo inibitorio o stimolatorio, nell’ambito di una fine
modulazione della risposta immunitaria [35, 50].
Fig. 3 Una doppia immunofluorescenza per CD123 (rosso) e DCLAMP (verde) mostra numerosi CD123+ PM/PDC presenti in vicinanza di una venula epitelioide, anch’essa CD123 positiva; non
vi è co-espressione di DCLAMP da parte dei PM/PDC, ad indicare che, nei tessuti, tali cellule non esprimono marcatori di maturazione di cellule dendritiche. Le cellule DCLAMP positive rappresentano cellule dendritiche interdigitate
168
PM/PDC in condizioni patologiche
Uno spiccato incremento di PM/PDC nei linfonodi è osservabile in condizioni di tipo infiammatorio, quali linfoadeniti granulomatose [62] a genesi infettiva (tubercolosi,
toxoplasmosi) e non (sarcoidosi), e in peculiari condizioni
clinico-patologiche associate a linfoadenopatia, quali la
malattia di Kikuchi [63-67] e la malattia di Castleman jalino-vascolare [68, 69]. In queste due ultime forme, la ricchezza di PM/PDC assume anche un significato diagnostico istopatologico. Sempre a livello linfonodale è stata riportata la presenza di nidi di PM/PDC in associazione a
neoplasie epiteliali [70], processi linfoproliferativi [71] e
malattie mieloproliferative, queste ultime discusse più
avanti con maggiore dettaglio. In tessuti extra-nodali, i dati sulla presenza di PM/PDC sono limitati a condizioni infiammatorie della cute quali pseudolinfomi [72, 73] e, specialmente, casi di infiltrato linfocitario di Jessner [74, 75]
(vedi oltre). In tutte queste condizioni, la popolazione di
PM/PDC è stata investigata su tessuto senza l’ausilio dei
più recenti marcatori che meglio ne illustrano lo stato funzionale; allo stesso modo, mancano dati funzionali in vitro
relativi sia alla componente PM/PDC circolante che a quella tissutale. Possiamo concludere che, allo stato attuale,
possono essere suggerite solo ipotesi speculative relativamente al ruolo patogenetico dei PM/PDC nelle diverse
condizioni nelle quali vengono osservati, sebbene alcuni
modelli, qui di seguito riportati, abbiano iniziato a fornire
una chiave interpretativa.
Risposta ai patogeni: ruolo nella infezione da HIV
L’osservazione che i PM/PDC sono estremamente abbondanti nei tessuti adenoidei, soprattutto nelle stagioni invernali, quando più frequenti risultano le infezioni virali all’albero respiratorio, suggerisce un possibile ruolo nei meccanismi locali di difesa antivirale. Una prova definitiva del
ruolo dei PM/PDC nelle infezioni è recentemente emersa in
diversi studi effettuati in pazienti con infezione da HIV, nei
quali il numero dei PM/PDC circolanti e i livelli sierici di
α-IFN sono inversamente correlati con la carica virale e con
lo stadio della malattia e sono predittivi dell’evoluzione clinica, in termini di probabilità di insorgenza di infezioni da
opportunisti e sviluppo di neoplasie [76, 77]. I PM/PDC
esprimono gran parte dei recettori identificati come mediatori dell’internalizzazione dell’HIV, quali CD4, CCR5 e CXCR4 ed è stato dimostrato che i PM/PDC timici sono permissivi all’infezione produttiva del virus [37]. Abbiamo
inoltre osservato uno stretto rapporto topografico, nell’area
del traffico linfonodale, fra i PM/PDC e cellule dendritiche
esprimenti DCSIGN, una proteina legante HIV e ritenuta
chiave nel meccanismo della trasmissione intercellulare dell’infezione [78-80]. In conclusione, oltre a un ruolo antiHIV α-IFN mediato, è assai probabile che i PM/PDC tissu-
F. Facchetti, W. Vermi: Monociti plasmacitoidi
tali possano rappresentare il serbatoio naturale oppure il carrier transitorio del virus, prima della infezione definitiva dei
linfociti T CD4+.
L’attività dei PM/PDC, nei confronti di patogeni, non
sembra limitata esclusivamente ai virus. Molto recentemente, i meccanismi dell’immunità innata hanno trovato una nuova chiave interpretativa nella scoperta dei toll-like receptors
(TLR), una famiglia di recettori di membrana coinvolti nel
riconoscimento di specifiche sequenze proteiche o nucleotidiche di origine microbica, fondamentali per l’immediata e,
in molti casi, sufficiente risposta dell’ospite per limitare o
eradicare una infezione [81, 82]. I PM/PDC del sangue periferico esprimono TLR9, grazie al quale sono in grado di riconoscere sequenze di DNA batterico non metilate (CpGODN) [42, 43, 83]. L’ingaggio di TLR9 è in grado di modulare tutte le principali funzioni dei PM/PDC, quali il mantenimento della loro sopravvivenza, l’induzione selettiva della
loro maturazione e l’attivazione della produzione di IL12 e
di α-IFN, nonché l’espressione di CCR7. Questi dati indicano che i PM/PDC hanno tutte le caratteristiche per rispondere a infezioni microbiche nei confronti di gruppi di patogeni, non esclusivamente virali, che condividono affinità
molecolari.
Autoimmunità
Uno stimolo antigenico non sempre conduce ad una risposta
immunologica finalizzata all’eliminazione del patogeno. In
determinate condizioni, si può instaurare uno stato di iperattivazione immunologica con risposta di tipo autoimmunitario
nei confronti del “self ”. Il lupus eritematoso sistemico (LES)
rappresenta il prototipo di risposta immunologica abnorme,
che si traduce in malattia autoimmune con danno multiorgano. Numerose evidenze indirette e, più recentemente, dirette
suggeriscono l’esistenza di un legame patogenetico fra
PM/PDC e LES [84]. Già da tempo in letteratura è stato documentato che il siero di pazienti affetti da LES in fase attiva contiene elevati livelli di α-IFN, mentre le NIPC circolanti
sono ridotte [50, 85]. Un rapporto fra α-IFN e LES è d’altra
parte documentato dall’osservazione che la terapia cronica
con α-IFN può determinare lo sviluppo di varie manifestazioni di autoimmunità, inclusi quadri di LES [86, 87]. Più recentemente, è stato identificato un fattore circolante solubile
in pazienti con LES attivo, che è in grado di indurre attivazione dei PM/PDC, con successiva produzione di alti livelli
di α-IFN [44]. L’apparente paradosso della riduzione del numero di PM/PDC del sangue periferico [88] e dell’aumento
di α-IFN in pazienti con LES è facilmente spiegato dal reclutamento di tali cellule nei siti lesionali cutanei [89] (Fig.
4). È interessante notare come la condizione nota come infiltrato linfocitario benigno di Jessner, dove accumuli di
PM/PDC sono spesso osservabili [74, 75], rappresenti secondo alcuni Autori una variante di lupus eritematoso.
Il ruolo patogenetico giocato dai PM/PDC nel LES [84],
potrebbe avere alcune analogie con quello della malattia di
F. Facchetti, W. Vermi: Monociti plasmacitoidi
Fig. 4 Aggregato di PM/PDC nel derma, in un caso di lupus eritematoso cutaneo
Kikuchi-Fujimoto (MKF). La MKF è caratterizzata da sintomi sistemici, linfoadenopatia cervicale, leucopenia e fugaci rash cutanei. Nella maggior parte dei casi, tale condizione mostra risoluzione spontanea nell’arco di alcuni mesi;
tuttavia una percentuale minima di pazienti sviluppano un
LES conclamato [90] e diversi Autori hanno considerato la
MKF e il LES strettamente correlati [90-92]. Accumuli esuberanti di PM/PDC nei linfonodi e, occasionalmente, nella
cute rappresentano una caratteristica tipica e diagnostica della MKF [64, 66, 93]; è interessante notare che, nei rari casi
in cui sono stati analizzati linfonodi in pazienti con LES, si
sono osservate modificazioni del tutto simili alla MKF [94,
95]. Se LES e MKF rappresentano manifestazioni di uno
stesso processo, dove il comune denominatore è rappresentato dall’accumulo tissutale di PM/PDC, si può ipotizzare
che nel LES il danno d’organo divenga critico nel mantenimento di una costante produzione di α-IFN da parte dei
PM/PDC, mentre nella MKF il circuito patogenetico risulterebbe limitato ad una iniziale risposta a un ipotetico patogeno. In aggiunta, potrebbe essere interessante valutare l’eventuale differente ruolo giocato, in tali condizioni, da meccanismi naturali inibitori della sintesi di α-IFN, quali BDCA2 e ligando.
Immunità antitumorale
Lo studio della risposta immunitaria anti-tumorale, negli
anni più recenti, si è focalizzato sui meccanismi di riconoscimento di antigeni tumore-associati e sul ruolo svolto
dalle cellule presentanti l’antigene, prime fra tutte le DCs
[96]. Anche se il perfezionamento di metodi di estrazione
di DCs autologhe e della loro stimolazione ex-vivo con antigeni tumorali ha permesso l’avvio dei primi trial clinici
di immunoterapia, rimangono ancora irrisolti numerosi
quesiti sui meccanismi che in vivo rendono il naturale pro-
169
cesso di riconoscimento antigenico tumorale limitato o del
tutto inefficace. Per questo motivo, studi in situ delle popolazioni immunocompetenti appaiono importanti e necessari.
Una delle prime evidenze di un possibile ruolo dei
PM/PDC nel contesto dell’immunità antitumorale risale all’osservazione che linfonodi metastatici drenanti neoplasie
epiteliali della mammella contengono prominenti aggregati
di PM/PDC [70]. Più recentemente, Zou e coll. [97] hanno
documentato la presenza di PM/PDC in casi di carcinoma
dell’ovaio, dimostrando un loro reclutamento e coinvolgimento diretto sia nel tessuto tumorale che nel liquido ascitico. I PM/PDC, in tale contesto, esprimevano α-IFN e MxA
e risultavano attratti chemotatticamente da SDF-1 prodotto
dalle cellule neoplastiche. Tale chemochina è risultata responsabile non solo della migrazione dei PM/PDC nel sito
tumorale, ma anche della loro protezione dall’apoptosi indotta da interleuchina 10 secreta dai macrofagi intratumorali. Infine, questo studio ha evidenziato un difetto funzionale
dei PM/PDC nella stimolazione dei linfociti T isolati dal tumore, suggerendo un meccanismo di “escape tumorale”
PM/PDC indotto.
Il melanoma della cute rappresenta uno dei modelli più
analizzati dal punto di vista della risposta immunologica anti-tumorale. I PM/PDC isolati dal sangue periferico risultano in grado di stimolare una popolazione di linfociti T-citotossici specifica nei confronti di antigeni melanoma-associati e di favorirne la migrazione nel sito del tumore primitivo (osservazione personale). Uno studio parallelo in vivo
ha dimostrato che i PM/PDC sono effettivamente presenti
non solo in numero significativo nei linfonodi sentinella, ma
anche nelle lesioni primitive e nelle metastasi (osservazione
personale). In tale ambito, i PM/PDC sono associati a una
popolazione di cellule dendritiche mieloidi, con le quali si
localizzano soprattutto alla periferia dei nidi neoplastici e
condividono un fenotipo prevalentemente immaturo. In aggiunta, la produzione di α-IFN da parte di PM/PDC appare
verosimilmente limitata, come indicato dal basso numero di
cellule MxA positive osservate nel microambiente peritumorale. Infine, i linfociti T associati al tumore mostrano un
fenotipo prevalentemente di tipo naive e la produzione di interleuchina 12, indice di attivazione della popolazione di
DCs, appare molto limitata. Tutti questi dati sembrano indicare che nel microambiente tumorale esistono meccanismi
in grado di limitare la funzione immunostimolatoria dei
PM/PDC e di altre cellule dendritiche.
PM/PDC: un’origine ancora controversa
L’origine dei PM/PDC è stata a lungo dibattuta e anche i dati più recenti non hanno definitivamente risolto l’enigma se
tali cellule siano da accorpare alla linea linfoide piuttosto
che alla linea mielo-monocitica [15] (Tab. 2).
170
F. Facchetti, W. Vermi: Monociti plasmacitoidi
Tabella 2 Ipotesi ontogenetiche dei PM/PDC
Origine linfoide
Origine mielo-monocitica
PMs/PDCs esprimono bassi livelli di M-CSFR ed in coltura con MCSF non differenziano in macrofagi
PMs/PDCs generati da precursori mieloidi CD34+/M-CSFR+ in
presenza di IL3
Una frazione di PMs/PDCs esprime alti livelli di trascritti linfoidi T (pre-catena alfa del TCR) e B (Spi-B; pre-lambda).Tali cellule tuttavia non sono in grado di differenziare in linfociti T in
FTOC
Espressione di alcuni marcatori mielo-monocitici (CD31, CD36,
CD68 e CD68R, ILT3, CD123)
L’espressione ectopica di due geni Id2 e Id3 in cellule CD34+ inibisce lo sviluppo di linfociti B, T ed anche di PM/PDC, ma non di
cellule mieloidi
Espressione in vitro, oltre che di CD4, di alcuni marcatori linfoidi
(CD2, CD5,CD7) in una frazione di PM/PDC. Tale espressione non
è tuttavia dimostrabile su tessuto
Espressione transitoria di marcatori mieloidi in coltura (CD11c,
CD13, CD33)
Fenotipo “mieloide” della controparte murina dei PM/PDC umani
Identificazione di identiche anomalie citogenetiche in cellule leucemiche (leucemie mieloidi acute) e cellule dendritiche mieloidi e
plasmacitoidi circolanti.
Associazione fra malattie mieloproliferative (specie leucemie mielo-monocitiche) e accumuli patologici di PM/PDC nei linfonodi e
altri tessuti, con identificazione di identiche anomalie citogenetiche
in alcuni casi
M-CSF, monocyte-colony stimulating factor; M-CSFR, monocyte-colony stimulating factor receptor; TCR, T cell receptor; FTOC, fetal
thymus organ culture
Uno degli argomenti più suggestivi per una stretta relazione con la linea mielo-monocitica è costituito dall’osservazione di casi di malattia mieloproliferativa associata ad accumuli massivi di PM/PDC sia nei tessuti linfoidi che, occasionalmente, nel midollo osseo, milza, cute e anche nel sangue
periferico (Tab. 3) [4, 5, 98-106]. In larga parte, si tratta di
processi mieloproliferativi acuti o cronici di tipo mielo-monocitico o monocitico, insorgenti in individui anziani, che si
manifestano con linfoadenopatia ed epato-splenomegalia.
L’insorgenza di linfoadenopatia è solitamente simultanea all’identificazione della patologia mieloproliferativa. L’evoluzione della malattia è, nella maggior parte dei casi, rapidamente infausta e in genere determinata più dalla progressione dell’emopatia di base che da una espansione progressiva
dei PM/PDC tissutali o circolanti. Le ipotesi proposte per
spiegare questa curiosa associazione hanno considerato la
possibilità che l’espansione patologica di PM/PDC rappresenti una esagerata reazione alla neoplasia mieloide, oppure
che i due processi siano di natura neoplastica, ma del tutto indipendenti fra di loro, oppure infine che essi rappresentino la
differenziazione divergente di un unico processo [104]. Sul
piano morfologico, sebbene i PM/PDC osservati in queste
condizioni mostrino solo minima atipia cellulare e non presentino significativa attività proliferativa, la loro marcata
espansione nel linfonodo, spesso con estensione al tessuto
extranodale (Fig. 5) e la manifestazione di alcune aberrazioni fenotipiche ne hanno suggerito indirettamente la natura
neoplastica [10]. Più recentemente, la presenza di identiche
anomalie citogenetiche nelle due popolazioni cellulari è stata osservata in casi di mielodisplasia [107, 108] e in un caso
di leucosi acuta mieloide [106], indicando inequivocabilmente la natura neoplastica dei PM/PDC e suggerendo uno
stretto rapporto ontogenetico fra le due popolazioni tumorali. È interessante notare che Mohty e coll. hanno recente-
Fig. 5 Linfonodo, in un caso di leucemia mieloide acuta associata
a massiva espansione di PM/PDC nel linfonodo (caso 11, Tab. 3):
gli asterischi indicano i numerosi aggregati di PM/PDCV immersi
in una cellularità diffusa, rappresentata da blasti leucemici
mente dimostrato come, in diversi casi di leucosi mieloide,
anche i “normali” PM/PDC circolanti, così come le DCs di
origine mieloide, condividono con le cellule neoplastiche simili anomalie citogenetiche [109].
Una rara forma di neoplasia a cellule CD4+CD56+
CD123+ è stata recentemente descritta da Chaperot e coll.;
caratterizzata da massivo coinvolgimento midollare con lesioni nodali ed extranodali e da alti valori di cellule atipiche
circolanti, essa è stata considerata rappresentare una manifestazione leucemica di PM/PDC; il significato di questa entità
e il suo rapporto con le altre forme sopra citate di accumulo
patologico di PM/PDC in malattie mieloproliferative è tutta-
F. Facchetti, W. Vermi: Monociti plasmacitoidi
171
Tabella 3 Caratteristiche dei casi di accumulo patologico nodale ed extranodale di PM/PDC associati a processo mieloproliferativo
Caso
Pubblicazione
Età/
sesso
E
S LN
1.
Müller-Hermelink [4]
65/M
+
+
2.
Prasthofer [98]
86/M
+
+
+
–
–
–
–
CML
3.
Beiske [99]
74/M
nr
nr
+
+
–
+
–
AMML (FAB-M4)
4.
Facchetti [100]
75/M
+
+
+
–
–
–
–
CMML
Ph–
16 mesi
5.
Koo [101]
58/F
+
+
+
–
–
–
–
MFI e CML
Ph–
28 mesi
6.
Harris [5]
64/F
+
+
+
–
+
+
+
CMML
Ph–
7 anni
7.
Thomas [102]
6/F
+
+
+
–
–
–
–
CMD-NOS
nr
8.
Baddoura [103]
58/M
+
+
+
–
+
–
–
IMF >> AML
(FAB-M3)
nr
8.
Baddoura [104]
73/M
–
–
+
–
–
–
–
AmoL (M5)
nr
9.
Fontana [105]
63/F
+
+
+
–
+
–
–
CMD-NOS >>
AMML (M4)
14 mesi
10.
Facchetti [106]
24/M
+
+
–
+
+
–
–
CMML (MDS) >>
AMML (FAB-M4)
8 mesi
11.
Facchetti [106]
50/M
+
+
+
+
+
–
–
AML
7–
11 mesi
12.
Facchetti [106]
58/M
–
+
+
+
+
–
–
CMML-MP
20q–
84 mesi
13.
Facchetti [106]
65/M
–
+
–
+
+
–
–
CMML-NOS >>
AMML (FAB-M4)
2 mesi
14.
Facchetti [106]
86/M
nr
nr
nr
–
+
–
–
AmoL (FAB-M5)
3 mesi
15.
Facchetti [106]
80/M
+
+
+
+
+
–
–
MP/MDS (?) >>
AMML (FAB-M4)
43 mesi
16.
Facchetti [106]
62/F
–
–
+
–
+
–
–
AmoL (FAB-M5)
+
Localizzazioni
extranodali
di PM/PDC
CU MO ML SP
–
–
–
–
Mielopatia
associata ed
evoluzione
Citogenetica
AMML (FAB-M4)
Sopravvivenza
7 mesi
Ph– (50xy)
3 settimane
15 mesi
45,XX,der(7)
t(7;12)(p12;q11)
nr
E, epatomegalia; S, splenomegalia; LN, linfoadenopatia; CU, cute; MO, midollo osseo; ML, milza; SP, sangue periferico; AMML, leucemia acuta mielomonocitica; CML, leucemia mieloide cronica; CMML, leucemia mielomonocitica cronica; IMF, mielofibrosi idiomatica;
AML, leucemia mieloide acuta; AmoL, leucemia monocitica acuta; CMD-NOS, disordine mieloproliferativo cronico, non altrimenti definibile; MDS, mielodisplasia; nr, non rilevato
via difficile da stabilire, specie in mancanza di una documentazione istologica delle lesioni [110].
È innegabile che il problema della ontogenesi di
PM/PDC rimane ancora irrisolto. È interessante l’ipotesi recentemente proposta da Galibert [15], il quale non esclude
che la natura dei PM/PDC sia in realtà eterogenea e che tale popolazione cellulare possa avere origine da linee differenziative differenti, o rappresentare una linea differenziativa a sé stante (dendritica?), oppure ancora andare incontro
in vivo a un processo di cell-fate conversion da un citotipo
linfoide a uno mieloide [111].
Conclusioni
Le recenti acquisizioni sui PM/PDC pongono tale popolazione in una luce funzionale del tutto nuova, nell’ambito dei
tessuti linfoidi dove i patologi sono abituati a riconoscerli. Il
loro ruolo di elementi a ponte fra l’immunità di tipo innato
(specie come cellule producenti α-IFN) e l’immunità di tipo
acquisito (specie come precursori di cellule dendritiche) li
vede potenzialmente coinvolti nella prima linea di difesa
contro patogeni e neoplasie. Il rovescio della medaglia potrebbe essere costituito da condizioni di iperreattività, che
trovano nelle malattie autoimmuni il loro esempio più caratteristico. La possibilità di reclutare i PM/PDC in vivo o di
generarli da precursori in vitro, associata alla conoscenza di
meccanismi regolatori della loro funzione, apre nuove prospettive sul loro possibile impiego in terapia [112, 113].
La recente identificazione del modello murino dei
PM/PDC [36, 114] renderà possibile definire ulteriormente
le funzioni di queste cellule in sistemi in vivo. Per il patologo si aprono nuove prospettive di studio dei PM/PDC in diversi campi della patologia, che risulteranno fondamentali
per la valutazione del loro reale significato nelle malattie.
172
Ringraziamenti Gli Autori ringraziano Marco Colonna e Marina
Cella (Washington University, St Louis, MO, USA) per il continuo
stimolo nello studio dei PM/PDC, Glauco Frizzera (Cornell
University, New York, NY, USA), Giovannino Massarelli (Università di Sassari) e Pierluigi Chiodera (Clinica S. Anna, Brescia) per
il prezioso contributo di casistica, Silvana Festa e Anna Galletti per
la collaborazione tecnica.
Summary Plasmacytoid monocytes (PM), originally described by pathologists as cells occurring in the interfollicular area of human lymph nodes, are emerging cells in the
scenario of the immune system. PM normally circulate
between peripheral blood, lymphoid organs and sites of inflammation using specific migratory pathways and signalling; PM are easily recognizable on the basis of their distinctive morphology and phenotype (CD3–, CD11c–,
CD14–, CD20–, CD36+, CD56–, CD68+, CD123+, BDCA2+). Recently it has been shown that PM produce high
levels of type I interferon, thus corresponding to natural interferon-producing cells. Furthermore, PM or their precursors may differentiate in vitro towards a new subset of dendritic cells, supporting a function in antigen-dependent T
cell priming. Taken together, these data suggest PM play a
relevant role in the immune system, linking innate and acquired immunities. In fact, PM seem to be crucial in the
pathogenesis of different immune-mediated human diseases
including viral infections and autoimmune disorders, and to
be involved in the immune control of some malignant neoplasms. The issue concerning the cell lineage of PM remains unresolved, but the frequent association between a
tumoral expansion of PM and myelo-monocytic leukemia,
together with cytogenetic identity between the two cell populations identified in rare cases, corroborates the myeloid
origin of PM.
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