“Roméo e Juiette” di Gounod: un poema d’amore in musica.
di Rosanna Di Giuseppe
In un momento in cui il teatro francese era andato alla ricerca di generi e forme operistiche
alternative al grand-opéra profondendo notevoli energie in un tipo di teatro meno grandioso,
l’istituzione del Théâtre Lyrique, nome conferito nel 1852 al Théâtre Historique di Dumas, che dal
1851 era stato destinato ad opere musicali e definito da qualcuno “il teatro dei lavoratori, delle
lavoratrici e degli artisti squattrinati”, contribuì alla definizione di un genere di opera di tipo più
intimo e borghese pure accogliendo, in particolare negli anni Sessanta, oltre ad opere con i dialoghi
parlati anche opere importanti e interamente musicate come Les Pêcheurs de perles di Bizet e
Roméo et Juliette di Gounod. Quest’ultima, concepita inizialmente con i dialoghi parlati nella
tradizione dell’opéra comique, fu data poi con i recitativi musicati al Théâtre Lyrique il 27 aprile
1867. Fa parte delle ultime opere di Gounod, dopo il successo del Faust (1859) che aveva
dimostrato le capacità lirico-drammatiche del suo autore. I librettisti Barbier e Carré approntarono
un libretto per molti versi fedele a Shakespeare includendovi una “Ouverture-Prologue, con coro” in
cui quest’ultimo, come nella tragedia, annuncia il soggetto e compiange la sorte degli amanti, e la
ballata alla “Qeen Mab”, la regina dei sogni, cantata da Mercurio nel primo atto. Essi potevano
disporre agli inizi degli anni Sessanta delle traduzioni di Benjamin Laroche (1839-’40), di quella di
Francisque Michel (1855) e soprattutto di quella di Victor Hugo che era apparsa nel 1860. I brani
più fedeli a Shakespeare del libretto derivano appunto da quest’ultima. In effetti l’interesse di
Gounod per il soggetto shakespeariano era sorto molto tempo prima in Italia, dove il musicista
aveva vinto il Prix de Rome nel 1839. Aveva lì cominciato a musicare un “Romeo e Giulietta” su
libretto italiano. Riprende a lavorarvi solo quattordici anni più tardi ritrovandosi in un luogo che lo
riporta a suggestioni italiane, a Saint Raphaël, la cui campagna gli ricorda quella romana e dove si
era rifugiato nell’aprile del 1865 per sfuggire al chiasso cittadino di Parigi e ritrovare la
concentrazione creativa. Dopo quattro mesi l’opera era sostanzialmente terminata. Vi ritornò sopra
un anno dopo per aggiungere un momento spettacolare, cioè la cerimonia nuziale tra Giulietta e
Paride, che costituisce il secondo quadro del quarto atto, assente in Shakespeare. D’altra parte
inevitabilmente il tempo della musica obbliga a tagli, omissioni, sintesi che non sempre avvengono
nel modo migliore o danno ragione delle motivazioni drammatiche. L’attenzione viene concentrata
sugli amanti negli atti II, IV e V, gli avvenimenti vengono fatti precipitare verso l’epilogo
sacrificando qualche acutezza drammatica dell’originale, e inoltre l’omissione della riconciliazione
finale delle famiglie, provoca secondo qualcuno, una riduzione della concezione complessiva. Ma
nel complesso il libretto di Barbier e Carré risulta equilibrato e uno dei più riusciti dei due librettisti.
È il lirismo della musica di Gounod che diventa la nota dominante dell’opera incentrata sui due eroi
dell’amore. I risultati migliori raggiunti dal musicista riguardano le scene d’amore che ispirano la
sua vena melodica. Laddove il dramma si allontana da questo centro di interesse, Gounod ricorre a
forme più convenzionali: ritmi stereotipati (di mazurca, valzer ecc.), ripetizioni prosodiche ecc.
(Joël Marie Fauquet). Secondo Camille Bellaigue il personaggio di Romeo si svolge musicalmente
quasi completamente nei suoi quattro duetti. Numero di duetti questo davvero eccezionale che fa di
quest’opera un esempio unico. Gounod può così ricorrere alle sue doti principali che eccellono nella
dimensione intima e cameristica e nelle sfumature, il tutto qui favorito da una dominante atmosfera
notturna. Il tema d’amore è presentato fin dall’esordio, nell’ “ouverture-prologo”, da un quartetto di
violoncelli, sarà poi ripreso nel quarto atto. È una musica che trasfonde appieno la parola
shakespeariana attingendo direttamente all’espressione del sentimento. Non manca nell’opera una
vena ironica che più che da Shakespeare giungeva a Gounod da Auber e dalla sua fusione dei
generi. Gounod si mostrò inoltre molto consapevole rispetto all’architettura di questo suo lavoro di
cui così scriveva alla moglie in una lettera del 5 maggio 1865: “il primo atto finisce brillant
(brillante), il secondo tendre e rêveur (tenero e sognante), il terzo animé e large(animato e ampio),
con i duelli e la sentenza d’esilio di Roméo, il quarto dramatique, il quinto tragique…è una bella
progressione”.Oltre alla prima versione ne esistono altre tre: due per la ripresa dell’opera all’Opéra
comique nel 1873, laddove si richiesero sostanziosi tagli di cui si interessò Bizet allora direttore
d’orchestra che operò diverse modifiche previa approvazione dell’amico Gounod da Londra, e una
per l’Opéra del 1888 che è quella rimasta maggiormente nell’uso.
L’arte di Gounod è affidata alla combinazione di melodia e armonia seguendo dettami di semplicità
e raffinatezza. L’armonia è ricercata e mobile e spesso in contrasto con la simmetria fraseologica
della melodia. Al contrario di Wagner Gounod aspira anche al riposo del discorso musicale ma,
come fa notare Roger Delage, in ogni arresto la sua armonia capta dei misteri, tutto un gioco di
ombre e di luci attraverso un labirinto di tonalità intraviste, accennate, rasentate con mille sorprese,
finché non si chiarisce la tonalità principale. Questo stile musicale si dipana attraverso l’articolato
divenire della vicenda che si distribuisce nella successione dei variegati cinque atti. Il primo si apre
sulla festa mascherata data in casa dei Capuleti introducendoci in un clima mondano e brillante con
una musica che data Secondo Impero su un vivace ritmo di mazurka di un tema presentato dagli
ottoni, lo stesso che introduce il coro danzante che invita alla leggerezza e al <<carpe diem>>
oraziano, nella migliore tradizione teatrale degli incipit festosi per i drammi dalle conclusioni più
tragiche. È in tale contesto che ci apparirà Giulietta il cui arrivo è annunciato da Tebaldo. Le viene
associato il timbro del clarinetto, come anche in Berlioz nella sua “Synphonie dramatique” per soli,
coro e orchestra incentrata sul dramma shakespeariano (1839). Ella ci viene presentata nella sua
ingenuità giovanile da cui maggior risalto assumerà l’evoluzione psicologica del personaggio che
Gounod saprà magistralmente descrivere musicalmente nello sviluppo del dramma. In quest’atto
Giulietta ha un’arietta in tempo di valzer in cui esprime alla nutrice Gertrude il desiderio di vivere
(“Je veux vivre”) senza curarsi ancora del matrimonio. È un brano leggero e virtuosistico, con i suoi
estesi vocalizzi. A Romeo è invece affidato un madrigale “Ange adorable” con cui si rivolge per la
prima volta estasiato a Giulietta, esso è preceduto da cinque misure orchestrali dal carattere tenero e
grave. La musica avvolge i due giovani in un’incantata immobilità su cui si innesta il primo delicato
duetto dell’opera su un ritmo di valzer lento. Il segreto intimismo di questo brano risalta
maggiormente al confronto con il preziosismo un po’ formale del madrigale che lo precede.
L’idillio è interrotto dall’arrivo di Tebaldo che riconosce nella voce del giovane mascherato quella
di Romeo appartenente alla famiglia rivale dei Montecchi, è qui che si inserisce la prima nota
drammatica e la consapevolezza nei due innamorati della tragica realtà che si traduce in una musica
carica di angoscia. Ma il primo atto si conclude gioiosamente, il pdre di Giulietta ordina la ripresa
del ballo, in un clima ormai presago di sventura. Il secondo atto è l’atto notturno, quello della scena
del balcone in cui i due giovani si dichiarano il loro amore. Il duetto “O nuit divine”, che segue la
cavatina di Romeo “Ah lève-toi soleil”, è uno dei brani di maggiore attrazione melodica dell’opera.
Esso è interrotto a metà dall’arrivo di Gregorio e dei suoi amici servitori dei Capuleti che cercano
nella notte il paggio di Romeo con cattive intenzioni, e ancora una volta in conclusione da Gertrude
che richiama Giulietta. Questa interruzione ci ricorda quella provocata da Brangania nel duetto
d’amore del Tristano e Isotta wagneriano. Ne deriva al duetto un grande struggimento. Il tempo
stringe e il dialogo ridiventa duo per dirsi addio mentre la ripetizione delle parole, convenzionale in
brani del genere, assume qui un carattere di litania che esprime lo struggimento del distacco. Il
primo quadro del terzo atto si svolge al chiuso, nella cella di Padre Lorenzo dove verrà celebrato in
segreto il matrimonio tra i due giovani. Gounod crea qui un’atmosfera severa, claustrale attraverso
l’uso di uno stile arcaico e contrappuntistico in sei battute di fugato a quattro voci, naturalmente
collegato alla musica religiosa. Dopodiché lo stile armonico riprende il sopravvento conservando
tuttavia un carattere severo. È molto accentuato da Gounod l’aspetto clericale di padre Lorenzo,
laddove in Shakespeare egli è principalmente uno strumento del destino più che un’ “autorità
morale”. Al suo cospetto si svolge la scena del matrimonio assente in Shakespeare. Il secondo
quadro dell’atto ci fa tornare all’aperto in una strada antistante al palazzo dei Capuleti. La
provocatoria canzone di Stefano, il paggio di Romeo (mezzosoprano en travesti come Oscar del
Ballo in maschera o Urbano degli Huguenots), “Quai fais tu, blanche tortorelle” provocherà
l’iirreparabile con lo sgorgo di rabbia e di violenza che condurranno prima all’uccisione di
Mercuzio e quindi alla vendetta da parte di Romeo che uccide Tebaldo. È il preludio della grande
scena d’insieme del finale del terzo atto a conclusione del quale il Duca di Verona condanna Romeo
all’esilio. Nel momento dei delitti riecheggia in orchestra il re minore della scena dell’uccisione del
Commendatore nel Don Giovanni di Mozart, opera prediletta di Gounod. La seconda parte del
finale è occupata da un coro di lamentazione “O jour de deuil”(O giorno di lutto) prima dell’arrivo
del Duca. Ma Romeo vuol rivedere la sua Giulietta, il quarto atto è ancora un atto che celebra il loro
amore dando luogo al terzo duetto dell’opera nella camera di Giulietta dove si svolge la notte
d’amore prima della partenza di Romeo. L’orchestra riprende l’andamento e la strumentazione del
tema dell’amore ascoltato nell’ouverture-prologo. Giulietta perdona a Romeo la morte Tebaldo e ha
luogo il duetto “Nuit d’hyménée” in cui Gounod dà il meglio di sé traducendo in musica una ricca
gamma di sfumature del sentimento. Le voci sono unite insieme a distanza di sesta fin dall’esordio
in un inno all’amore ma anche alla vita . I librettisti dell’opera e Gounod colgono da Shakespeare
l’immagine poetica della voce dell’allodola che annuncia l’alba e di quella dell’usignolo che le si
oppone, immagine che occupa la seconda parte del duetto in un’antitesi di giorno e notte
rispettivamente sfavorevole il primo e propensa la seconda agli amanti che nel Tristano e Isotta di
Wagner aveva assunto dimensione metafisica. Non a caso qualcuno ha visto in tale lavoro di
Gounod una risposta francese all’opera wagneriana la cui partitura era stata pubblicata nel 1860.
Con progressiva intensificazione si arriva al momento della separazione in cui risuona il tema
dell’amore dell’esordio. Giulietta accetta di bere la pozione prima di affrontare il matrimonio
impostole con il conte Paride. Qui vi era nella prima versione un’aria di Giulietta poi soppressa
nell’edizione dell’Opéra (1888), così come il corteo nuziale e l’Epitalamio, nella versione
dell’Opéra sono sostituiti da un balletto. Infine il tragico epilogo nel denso quinto atto che è
veramente tutto dei protagonisti. Qui la Morte e il suicidio per amore compiono la completa e
definitiva unione. L’atto è aperto da un preludio sinfonico intitolato “Il sonno di Giulietta”, la
musica riprende motivi e temi ascoltati in precedenza. Riascoltiamo sia il tema dell’amore che
quello del “delirio d’amore” presentato dall’orchestra prima della separazione degli amanti nel
quarto atto, un tema appassionato suonato in fortissimo dai violini sostenuti dagli ottoni. Avrà
quindi luogo l’ultimo straziante duetto fra i due innamorati che si ritrovano per un breve attimo di
felicità prima della tragica fine. La musica progredisce dal recitativo di Romeo che all’inizio
dell’atto cerca la tomba dell’amata, fino a sostanziarsi progressivamente di materiale tematico dei
precedenti atti quasi a compimento dell’evoluzione psicologica del dramma condotta coerentemente
nell’arco dell’opera dal musicista con acume drammatico e musicale. L’ultima parola è all’orchestra
a riprova del valore simbolico che solo la musica ha il potere di sprigionare nella maniera più
intensa.