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Gerusalemme liberata

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Gerusalemme liberata
(cap.XII 51-69)
51.
Poi, come un lupo silenzioso torna nel bosco dopo aver compiuto un misfatto nell'oscurità, e lascia
le vie consuete, così lei se ne andava col favore della confusione e del buio. Solo Tancredi si
accorge di lei; egli è sopraggiunto qui poco prima, quando lei ha ucciso Arimone: l'ha vista e l'ha
tenuta d'occhio, iniziando a seguirla.
52.
Vuole sfidarla a duello: pensa che sia un uomo con cui possa degnamente misurare il proprio
valore. Lei sta girando intorno alla collina montuosa [il colle di Sion, dove sorge Gerusalemme]
verso un'altra porta in cui poter entrare. Lui la segue con impeto, per cui molto prima di
raggiungerla le sue armi risuonano al punto che lei si volta e grida: «Tu, che corri in tal modo,
cosa porti?» Lui risponde: «Guerra e morte».
53.
Lei disse: «Avrai guerra e morte, non rifiuto di dartela se la cerchi», e attende ferma. Tancredi,
che ha visto il suo nemico a piedi, non vuole usare il cavallo e smonta. Entrambi impugnano la
spada acuminata e aguzzano l'orgoglio, accendono l'ira; e vanno a scontrarsi in modo simile a due
tori, gelosi e ardenti d'ira.
54.
Gesta così memorabili sarebbero degne di svolgersi alla luce del sole, in un teatro pieno. O notte,
che hai rinchiuso nel suo seno profondo e oscuro e nell'oblio un fatto così grande, accetta che io lo
tragga [dal buio] e lo spieghi e tramandi in piena luce alle età future. Possa la loro fama
sopravvivere, e insieme alla loro gloria continui a risplendere anche l'alta memoria della tua
oscurità.
55.
Costoro non vogliono schivare i colpi, né pararli, né ritrarsi, né la destrezza ha una parte in questo
duello. Non danno i colpi finti, pieni, scarsi: il buio e il furore non danno loro modo di usare l'arte
del duello. Si sentono le spade urtarsi in modo orribile al centro della lama, e il piede non lascia la
sua orma [i due restano saldi]; il piede è sempre fermo e la mano è sempre in movimento, e i colpi
di taglio o di punta non scendono mai a vuoto o invano.
56.
La vergogna [di essere stati colpiti] irrita lo sdegno per vendicarsi e la vendetta rinnova poi la
vergogna; per cui al ferire e alla fretta si aggiungono sempre nuovi stimoli e nuove cause. Lo
scontro si fa di momento in momento più ravvicinato e ristretto e non è più possibile usare la
spada: si colpiscono con le else, e cozzano insieme con gli elmi e gli scudi, crudeli e spietati.
57.
Il cavaliere stringe per tre volte a sé la donna con le braccia robuste, ed altrettante volte lei si
scioglie da quelle strette vigorose, che sono proprie di un nemico e non di un amante. Tornano a
incrociare le spade ed entrambi le bagnano [col sangue] di molte ferite; e alla fine entrambi si
ritirano stanchi e stremati, e respirano dopo una lunga fatica.
58.
Si guardano a vicenda e ognuno appoggia il peso del suo corpo dissanguato sull'elsa della spada.
Ormai si spegne raggio dell'ultima stella [Venere], al primo albeggiare nel cielo d'oriente. Tancredi
vede che il sangue versato dal suo nemico è più abbondante, mentre lui non è ferito in modo
altrettanto grave. Ne gode e ne insuperbisce. Oh quanto è folle la nostra mente, che viene esaltata
da ogni vento di fortuna!
59.
Misero, di cosa ti rallegri? Oh, quanto sarà triste il tuo trionfo e quanto infelice il tuo vanto! I tuoi
occhi pagheranno (sempre che sopravvivi) con un mare di pianto ogni goccia di quel sangue. Così,
tacendo e osservandosi, questi guerrieri insanguinati riposarono qualche tempo. Alla fine Tancredi
ruppe il silenzio e parlò, per far sì che l'altro rivelasse il suo nome:
60.
«È una sfortuna per noi che sia speso tanto valore qui, dove è coperto dal silenzio. Ma poiché una
sorte avversa ci nega la lode e il pubblico degno delle nostre gesta, io ti prego (se in una battaglia
le preghiere hanno spazio) di rivelarmi il tuo nome e la tua condizione, affinché io sappia, vinto o
vincitore, chi onori la mia morte o la mia vittoria».
61.
La feroce guerriera risponde: «Invano mi chiedi quello che di solito non rivelo. Ma chiunque io sia,
tu vedi di fronte a te uno dei due che ha incendiato la grande torre». Tancredi a quelle parole arse
di sdegno e riprese: «L'hai detto nel momento sbagliato; le tue parole e ciò che taci, barbaro
scortese, mi incitano/i allo stesso modo alla vendetta».
62.
Nei loro cuori torna l'ira e li trasporta, anche se deboli, allo scontro. Oh che battaglia feroce, dove
ormai non ci sono più né l'arte del combattimento né la forza, e dove, invece, combatte il furore di
entrambi! Oh quale apertura sanguinosa e spaziosa [quale ferita] provoca l'una e l'altra spada,
ovunque vada a segno, nell'armatura e nelle carni! E se la vita non ne esce ancora, è lo sdegno
che la tiene salda al petto.
63.
Proprio come l'alto mar Egeo, dopo che l'Aquilone o il Noto, che prima l'hanno gonfiato e mosso,
hanno smesso di soffiare, non si acquieta subito, ma conserva ancora il suono e il moto delle onde
grosse e agitate, così, anche se ai due guerrieri manca col sangue versato quel vigore che mosse
le braccia ai primi colpi, essi conservano ancora il primo impeto e, spinti da quello, vanno ad
aggiungere danno a danno.
64.
Ma ecco che ormai è giunta l'ora fatale che deve porre fine alla vita di Clorinda. Tancredi spinge
nel suo bel seno la spada di punta, che vi si immerge e beve avidamente il sangue; e le riempie la
veste (che, ricamata di bell'oro, stringeva tenera e lieve le sue mammelle) di un caldo fiume [di
sangue]. Lei si sente morire e il piede, debole e non più saldo, le viene meno.
65.
Tancredi persegue la vittoria e incalza e preme minacciando la vergine trafitta. Lei, mentre cadeva,
muovendo la voce afflitta, disse le sue ultime parole; parole che le vengono dettate da un nuovo
spirito, uno spirito di fede, di carità, di speranza: virtù che Dio adesso le infonde e, se in vita fu
infedele, la vuole sua ancella [cristiana] nella morte.
66.
«Amico, hai vinto: io ti perdono... perdonami anche tu, non al corpo che non teme nulla, ma
all'anima; orsù, prega per lei e donami il battesimo che lavi ogni mia colpa». In queste parole
languide risuona qualcosa di lacrimevole e dolce, che gli scende al cuore e smorza ogni sdegno, e
spinge e invoglia i suoi occhi a piangere.
67.
Poco lontano da qui, in un fianco del monte, scaturiva mormorando un piccolo ruscello. Egli vi
accorse e riempì l'elmo nella fonte, e poi tornò triste al suo grande e pio dovere [di battezzare
Clorinda]. Si sentì tremare la mano, mentre sciolse e scoprì la fronte della donna che ancora non
riconosceva. La vide e la riconobbe, restando ammutolito e impietrito. Ah cosa vide, chi riconobbe!
68.
Non morì subito, poiché in quel momento raccolse tutte le sue virtù e le mise a sostegno del cuore,
e soffocando la sua pena si volse a dare la vita con l'acqua [del battesimo] a colei che aveva
ucciso con la spada. Mentre lui disse le sacre formule del battesimo, lei si dipinse di gioia e sorrise;
e mentre moriva in modo lieto e foriero di una nuova vita, sembrava dire: «Si apre il cielo, io vado
in pace».
69.
Il suo volto bianco è cosparso di un bel pallore, come ai gigli sarebbero miste delle viole, e fissa gli
occhi al cielo, e questo e il sole sembrano rivolti a lei per pietà; e alzando la mano nuda e fredda
verso il cavaliere, gli fa un gesto di pace al posto delle parole. Con questo aspetto la bella donna
muore, e sembra che dorma.
ANALISI DEL TESTO
Il duello tra Tancredi e Clorinda è il cuore dell'episodio ed avviene in maniera fortuita nel buio della
notte, senza nessuno che assista alle gesta valorose dei due guerrieri: la situazione è tragica e
paradossale poiché Tancredi ignora di lottare contro la donna che ama (Clorinda indossa
un'armatura nera diversa dal solito, per nascondersi nell'oscurità dato che aveva dato fuoco a
parte del campo dei cristiani) e lo scontro diventa quasi una rappresentazione stravolta dell'atto
amoroso, sottolineato da alcuni dettagli (i due sono paragonati a "duo tori gelosi e d’ira ardenti",
Tancredi abbraccia tre volte la donna nel combattimento corpo a corpo). Clorinda viene presentata
nella sua natura femminile solo alla fine, quando è ormai ferita a morte (la spada affonda "nel bel
sen", le mammelle sono strette da una veste "d’or vago trapunta", la donna è definita "trafitta
vergine"), mentre il suo atteggiamento cambia radicalmente e, se prima era stato improntato
all'ira, ora per ispirazione divina è incline al perdono e alla pace. La trasformazione di Clorinda
avviene in una prospettiva religiosa e nella sua conversione finale ha una parte essenziale
Tancredi, che la battezza dandole la vita eterna dopo averla uccisa e restando poi steso accanto a
lei, moribondo per le ferite ricevute e la pena.
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