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La Vittimologia

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martedì 28 settembre 2021
La vittimologia
Chi è la vittima?
In giurisprudenza possiamo de nire la vittima come: “La persona sica che ha
subito un pregiudizio, anche sico o mentale, so erenze psichiche, danni materiali
causati direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto
penale di uno Stato membro”. La de nizione esposta può essere riferita solo per ciò
che riguarda l’Europa, pertanto si parla di “stato membro”. In Europa in riferimento
alla vittima si può parlare di stato di diritto, cioè uno stato che da attenzione alle
pregiudiziali, agli atti violenti da un punto di vista anche psicologico nei confronti
delle proprie vittime.
LIBRO: La vittimizzazione è un processo umano che si produce in concomitanza
con una vicenda che comporta un’azione volta a creare so erenza nella persona
mediante strumenti sici, verbali, situazionali.
Tra reo e vittima è possibile osservare una dimensione sociale, relazionale (su cui si
sono focalizzati i primi studi), simbolica e comunicativa.
Danno e so erenza sono concetti strettamente connessi allo stato della vittima, sia
essa diretta o indiretta. Torto e riparazione sono de nizioni di processo, nel senso
che in un atto criminoso ci sono due attori presenti: il soggetto che ha subito un
torto e il reo che glielo ha imposto; in tal senso, la giustizia riparativa riguarda la
mediazione e il rimettere la persona in pista rispetto al danno subito.
La Criminologia
La Vittimologia è una branca di quello che de niamo un quadro maggioritario,
ovvero la Criminologia. La Criminologia nasce nel XIX sec. e si occupa per decenni
dei reati e degli autori di questi, non dando mai rilievo alla gura della vittima.
Sebbene oggi troviamo molti più riferimenti alle vittime anche nell’ambito di
congressi e convegni, il focus della criminologia in passato era solo il reo e il crimine
commesso, in quanto la domanda stessa da cui nasce tale materia era: “Come
nasce l’atto violento? Come prevenirlo?”. In tal senso possiamo a ermare che la
criminologia nasce dunque per individuare la causa del crimine e prevenirlo,
valutando le reazioni della società al crimine stesso. Progressivamente la
criminologia sviluppa un’attenzione per la vittima in quanto tale (sesso, etnia, età…)
al ne di comprendere al meglio le reali dimensioni della vittimizzazione e per
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prevenire nel modo più completo i reati verso “vittime deboli” come anziani,
bambini, donne e minoranze etniche.
Criminogenesi e criminodinamica
Per criminogenesi si intende la presenza di fattori causali stabili (con ittualità di
coppia, identità etnica, appartenenza a gruppi criminali), mentre la
criminodinamica è legata alla consumazione del reato, ed è in questo caso che il
ruolo della vittima può incidere direttamente sul veri carsi del reato stesso. La
criminodinamica dell'evento non può prescindere dai processi di attribuzione dei
signi cati e cioè da come le azioni messe in atto vengano rappresentate e
interpretate. Queste possono essere piuttosto neutre, ma possono venire ad
assumere un signi cato tale da evolversi in senso criminogeno attraverso
l'interpretazione che entrambi i protagonisti dell'evento delittuoso possono
attribuirvi.
Il ruolo svolto dalla vittima nel veri carsi di un evento delittuoso può determinarsi in
diverse prospettive di natura giuridica, piscologica e criminologica.
Da un punto di vista giuridico quando si fa riferimento alla provocazione si
considera una serie di atti intenzionali che si pre ggono lo scopo di provocare delle
conseguenze nell'azione dell'altra persona. Nella prospettiva psicologica le azioni
non sono direttamente correlate agli e etti, ma vengono ltrate dalle
rappresentazioni sia della vittima che dell'autore, l'incidenza dal punto di vista
processuale non può essere pertanto determinante, ma gli scambi comunicativi e le
interpretazioni reciproche gettano comunque luce nel chiarire non solo le
circostanze del reato, ma anche aspetti che riguardino la criminogenesi e la
criminodinamica dell'evento. Si rilevano infatti elementi che fanno parte della vita
pregressa degli agenti, della relazione esistente nella dimensione presente e
passata, ossia quegli elementi che in qualche modo hanno in uenzato il veri carsi
dell'evento delittuoso. In qualsiasi circostanza quindi il reato si con gura come un
processo comunicativo.
Gli aspetti psicologici legati alla criminogenesi e alla criminodinamica degli eventi
delittuosi coinvolge più componenti che si possono sintetizzare in:
• Aspetti preesistenti che riguardino la vittima e l'autore del reato tali da
determinare il reato stesso: si fa riferimento a tutti qui reati ove la relazione tra
vittima ed autore ricopre un ruolo determinante, ci si riferisce in particolare ai
reati commessi all'interno della famigli che si veri cano proprio perché esiste
una determinata relazione tra vittima ed autore del reato. Si tratta di vittime
“infungibili”. Nella prospettiva psicologica i delitti in ambito familiare sono la
conseguenza della disfunzionalità delle relazioni familiari che può manifestarsi
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in gravi forme di violenza, la vittimizzazione si determina pertanto a causa di
una situazione strutturale che caratterizza la famiglia abusante e incestuosa
piuttosto che di fattori contingenti e situazionali.
• Aspetti contestuali che sono presenti in una situazione e che favoriscono il
veri carsi dell'evento delittuoso: può riferirsi ai reati contro il patrimonio
facilitati da situazioni contingenti he rendono il bene di cui appropriarsi più
accessibile. La focalizzazione non è sulla personalità del delinquente o sulla
società ma su fattori inerenti il reato e sulle opportunità che si presentano per
commetterlo. La situazione favorevole e l'accessibilità del bene sono fattori
determinanti nella commissione di reati contro il patrimonio, ma anche in
questo caso non si possono escludere i fattori personali legati alla vittima e al
suo autore.
• Aspetti contestuali non preesistenti ma che intervengono successivamente
tali da modi care l'esito dell'evento: i delitti d'impeto sono dei reati in cui le
relazioni familiari sono predominanti, le condotte sono prevalentemente
violente e sono presenti tutti quegli aspetti di disfunzionalità delle relazioni
personali che caratterizzano questi delitti. Si vogliono comprendere tutte
quelle situazioni ove non interferiscano fattori preesistenti ma fattori
contingenti legati ad atteggiamenti, frasi, azioni che fanno degenerare una
situazione o un arelazione impostata in un certo modo. Tale andamento può
veri carsi ove non esista una relazione di parentela o a ettiva, ma in episodi
tra sconosciuti quando si crea una situazione di con itto con conseguente
reazione inappropriata che può degenerare in episodi di violenza.
• Azioni messe in atto e dalla vittima e dall'autore che determinano il veri carsi
dell'evento: la vittima provoca controazioni tali da sfociare in un evento
delittuoso, è il caso della provocazione vera e propria che trasforma il
potenziale autore in vittima
• Eventi nuovi e imprevisti che interferiscono nell'azione provocando una
degenerazione dell'evento stesso: può avvenire quando la reazione della
vittima crea paura nell'autore che si sente in dovere di ricorrere alla violenza
per riequilibrare la situazione con conseguenze che determinano un
cambiamento non solo degli esiti del reato ma anche un cambiamento della
de nizione di reato.
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• Scambi comunicativi distorti in grado di modi care l'esito dell’azione:
contributo della psicologia attribuzione biases cognitivi e distorsioni del
giudizio ne sono alla base.
La Vittimologia
Soltanto a partire dagli anni ’40 del ‘900 la situazione delle vittime cambia: con lo
studio sistematico delle vittime stesso nasce quella che oggi de niamo
“Vittimologia”, una scienza autonoma che sposta il focus su una prospettiva
vittimocentrica e non più orientata verso il reo (come la criminologia). I primi studi
sono in una prospettiva giuridico-penale nonostante ad oggi si è visto che la
vittimizzazione non è necessariamente legata ad un reato. In tal senso, la vittima era
studiato sempre in relazione con il reo che costituiva comunque l’interesse
maggiore. Inizialmente il ne di questa nuova materia era quello di comprendere la
dinamica dei reati, speci catamente in modo da ottenere maggiori informazioni per
la condanna e il controllo dell’autore del crimine e dei comportamenti messi in atto,
in quanto la vittima come tale è anche testimone dell’atto criminoso. Verso la ne
degli anni 80 si supera la prospettiva giuridico-penale grazie all’apporto delle
scienze psicologiche (in particolare psicologia dinamica e sociale). Il contributo delle
scienze psicologiche contribuisce ad una maggiore conoscenza della relazione della
vittima con l'autore del reato. Lo status di vittime inteso come “depositarie di
informazioni” ha fatto si che si cercasse di rispondere a domande che potevano
chiarire il ruolo della vittima all’interno del reato stesso, come per esempio chiarire
se potessero avere un ruolo da potenziali attivatrici della propria vittimizzazione. Nel
1949 lo psichiatra Frederick Wertham usò per la prima volta la parola “Victimology”,
anche se ciò non cambiava lo status in cui veniva vista la vittima stessa. Nella storia
della Vittimologia possiamo rilevare fasi distinte:
- Etiologica: riguarda speci catamente lo studio delle interazioni fra autore e
vittima, di cui la vittima vista come depositaria di informazioni per arrivare
all’autore;
- Applicativa (anni 2000): si riferisce alle necessità della vittima, ai suoi bisogni,
riconosciuta come soggetto portatore di bisogni su cui va posto il focus e
assunti.
Considerando per lungo tempo le vittime come mere depositarie di informazioni
riguardo il crimine subito, nasce uno dei concetti cardine della Vittimologia: la
vittimizzazione secondaria. Nel considerare la vittima non psicologicamente al ne
di ottenere informazioni in maniera veloce e diretta, in alcuni interrogatori così come
in alcune azioni, non veniva considerato il trauma che il soggetto in primis aveva
subito e le possibili implicazioni psicologiche a lungo e breve termine, rischiando
così di andare verso un processo de nito rivittimizzazione.
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Le scienze psicologiche forniscono allo studio della vittima strumenti teorici e
metodologici per conoscere e valutare l'impatto traumatico che l'aver subito un
reato ha sulla persona considerando anche le variabili quali l'età e il genere, ma
anche la tipologia della relazione come rapporti di lavoro o di semplice conoscenza.
Nella prospettiva psicologica la relazione tra vittima e aggressore può essere letta
secondo parametri psicoanalitici come una forma di comunicazione tra persone che
contribuisce alla costruzione di una vera e propria relazione, una relazione in cui la
vittima, pur vivendo in una situazione di so erenza comprende che non può fare a
meno del suo aggressore, ma non solo, esistono situazioni di violenza familiare che
si proiettano nel tempo o casi di soggezione lavorativa. L'identi cazione con
l'aggressore difende l'integrità dell'io ma crea il presupposto per la messa in atto di
futuri comportamenti altrettanto violenti. Fondamentale contributo allo studio della
relazione tra vittima e l'autore del reato è stato dato dalla psicologia sociale e dalla
psicologia attribuzionale, il veri carsi di un evento delittuoso è spesso determinato
dal “coe ciente di fraintendimento” nell'attribuzione di signi cato da parte di
entrambi i protagonisti. L'errata interpretazione dei fatti e il fraintendimento delle
intenzioni può produrre il veri carsi dell'evento delittuoso: alle distorsioni cognitive
(con gurano un vero e proprio interscambio comunicativo che può degenerare in un
reato, più frequentemente di natura violenta) viene attribuita una valenza causale nel
veri carsi di crimini soprattutto di natura sessuali.
Configurazione in quanto scienze applicate:
1. Investigazione criminale (vittimologia al servizio dell’indagine): vittima al servizio
dell’indagine, giudiziaria per identi care il criminale;
2. Inizio procedura penale (vittimologia applicata): vittima come testimone al
processo;
3. Valutazione del danno (vittimologia applicata): impatto del reato sulla vittima
4. Prevenzione della vittimizzazione che comporta lo studio di strumenti appositi
La teoria di Von Hentig
Fra le principali teorizzazioni della Vittimologia troviamo quella di Von Hentig (The
Criminal and hit Victims, 1948) che continente in sé alcuni concetti chiave riportati
anche nella moderna concettualizzazione della Vittimologia; la teoria di Von Hentig
ha dato un fondamento scienti co alla vittimologia e pertanto possiamo
considerarlo il fondatore scienti co della materia. Tale teoria presenta 3 concetti
chiave:
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1. Criminale-vittima: un soggetto può essere criminale o vittima a seconda delle
circostanze; per esempio un bambino abusato è sicuramente una vittima che
potrebbe in età adulta a sua volta abusare e dunque divenire criminale.
Nonostante la logicità del concetto, col passare del tempo si è deciso di
scartarlo in quanto il rischio di mostrare il reo in un’ottica giusti cazionista era
troppo alto. Ad ogni modo per il punto di vista psicologico con il quale non ci si
propone né di giusti care, né di condannare i soggetti, sicuramente il concetto
di criminale-vittima dà una valida spiegazione allo sviluppo di una condotta
criminosa e pertanto è possibile dedurre che il comportamento violento nasca a
seguito di molte circostanze: si determina in tal modo la multifattorialità del
comportamento criminoso, rispetto a Lombroso che invece valutava tale
condotta come derivante da un corredo genetico. In tal senso, l’azione criminale
viene vista in toto, scatenata sia da fattori di personalità sia da fattori ambientali
(es. contesto, esperienze traumatiche…).
2. Vittima latente: in alcune persone esisterebbe una predisposizione a diventare
vittime e in un certo senso ad attrarre il proprio aggressore. Anche questo
principio non risulta esente da critiche, in quanto la malinterpretazione è stata
confermatrice di una corrente che vede la vittima come attizzatrice della propria
vittimizzazione (“te la sei cercata”), concezione oggi ri utata dalla Vittimologia in
quanto un’aggressione non ha mai motivo di essere giusti cata, in particolare
poiché ognuno ha il diritto di esercitare la propria libertà nché questa non lede
agli altri. Al giorno d’oggi tale principio è ancora utilizzato largamente dagli
avvocati difensori del reo, in una ritualità della difesa pro-reo. Questo spiega
anche perché la vittimologia ha un ritardo storico così importante nel nascere
come disciplina: la vittima non aveva diritto e il problema di assicurare il reo alla
giustizia era un problema che riguardava il rispristinare la tranquillità sociale, ma
l’attenzione a quella che era stata la conseguenza sulla vittima non c’era.
3. Rapporto che lega la vittima al delinquente: tale rapporto può produrre una
vera e propria inversione di funzioni, con assunzione da parte della vittima del
ruolo di elemento scatenante e determinante l’evento. Von Hentig sostiene cioè
che in alcune occasioni la vittima stessa piuttosto che trarsi in salvo assume
determinati comportamenti e azioni che possano scatenare l’evento. Anche
questa terza concettualizzazione non fa altro che vittimizzare il soggetto e
dunque oscurare il ruolo base della vittima.
Il concetto di vittima latente viene ripreso e focalizzato da Ellenberg che focalizza
una relazione nevrotica pura, psicobiologica e genobiologica. Wertham analizza
soprattutto i crimini violenti, riprendendo un concetto di deumanizzazione, momento
di razionalizzazione dell’atto criminoso che consente al reo di giusti care la propria
azione (chiave sociale e non psicologica).
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La teoria di Ezzat Fattah
Secondo Ezzat Fattah (1971) nella vittima si possono individuare tre fattori speci ci
predisponenti, che oggi de niamo “vulnerabilità”, cioè che espongono in maniera
maggiore al rischio di subire un reato:
1. Bio- siologiche: ad esempio l’età, infatti un bambino ha una predisposizione
maggiore rispetto a un adulto a divenire vittima in quanto ha meno o non ha
sistemi di difesa, ma anche l’appartenenza di genere, l’etnia e lo stato sico,
come ad esempio i portatori di disabilità.
2. Sociali: ad esempio l’occupazione, le condizioni economiche e nanziare che
potrebbero comportare un reato di tipo economico o l’usura, le condizioni di
vita.
3. Psicologiche: come le deviazioni sessuali, il desiderio di appagare il bisogno
sessuale, la negligenza o l’imprudenza, tratti caratteriali e un’estrema ducia o
con denza.
Nel trattato del 1972 “La vittime est elle coupable?” Fattah si è focalizzato sul ruolo
che la vittima può avere per determinare l’esecuzione del reato. Ha attuato una
distinzione tra fattori predisponenti (di natura biopsicosociale, che si con gurano
come predisposizioni vittimogene speci che, e di fattori legati a relazioni di
carattere personale —> circostanze preesistenti che quali cano le caratteristiche
della vittima) e precipitanti (caratteristiche legate alla situazione, alle azioni e ai
comportamenti).
La teoria relazionale di Sparks
Più recentemente si è approdato a concetti espressi come rischio di erenziale e
fattori di vulnerabilità che presuppongono la rielaborazione della de nizione di
predisposizioni vittimogene speci che. Il concetto di rischio di erenziale con gura
l'applicazione di un modello fondato sull'individuazione dei fattori di rischio, più che
di predisposizioni vittimogene speci che si tratta di conoscere quali fattori
determinano la possibilità e la probabilità che le persone o gruppi di persone
possano rimanere vittime di un reato. I fattori di rischio sono comunque sempre
identi cabili in biologici, psicologici, socioeconomici e situazionali. Si possono
quindi delineare dei modelli di vittimizzazione all'interno dei quali i fattori di rischio
vanno valutati in senso di erenziale, in relazione alla probabilità che esso si veri chi,
con la nalità di elaborare strategie preventive.
Sono stati proposti modelli interpretativi più complessi e multidimensionali che
nell'analisi del processo di vittimizzazione distinguono tra fattori predisponenti
preesistenti, la tipologia della relazione tra vittima ed autore del reato, le circostanze
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contingenti che facilitano o precipitano il veri carsi dell’evento. In tale prospettiva
vengono proposte 5 articolazioni da Sparks (1982):
• Precipitazione: il comportamento della vittima incoraggia fortemente il
comportamento del delinquente;
• Facilitazione: la vittima si espone deliberatamente al rischio, inconsciamente o
per negligenza;
• Vulnerabilità: la vittima si espone al rischio a causa del suo comportamento, dei
suoi attributi o della sua posizione sociale;
• Opportunità: la vittima è un facile bersagli per il crimine;
• Attrattività: la vittima o ciò che possiede attirano l’attenzione del delinquente.
Anche nella teoria di Sparks la vittima è considerata come depositaria di tutto ciò
che caratterizza il motivo per cui è stata vittima di violenza.
Principali teorie di vittimizzazione
Wolfgang nel 1957 espone la prima teoria di vittimizzazione, grazie a uno studio
sulla fenomenologia dell’omicidio svolto a Philadelphia che ha dato il nome alla
teoria stessa: Victim-precipitation Theory (Vittima che precipita il reato). Tale teoria
venne applicata nei casi di omicidio in cui la vittima appare direttamente e
attivimente implicata nella genesi, nella dinamica e nell’esito del fatto delittuoso.
Tale concetto venne ripreso da Amir (1967) che in uno studio sulla violenza carnale
descrive quei casi in cui la vittima, realmente o secondo la percezione
dell’aggressore, ha inizialmente acconsentito alla relazione sessuale, ma si è
successivamente ritirata. In tal senso, la vittima aveva un’implicazione nel reato
dovuto a un comportamento o a un linguaggio che poteva anche solo far pensare a
un invito al rapporto sessuale, atti che una volta erano inclusi nei reati contro il
costume e la morale.
La Deviant Place Theory sostiene che non è la vittima a incoraggiare il crimine, ma
la vulnerabilità che deriva dalla residenza in aree urbane disorganizzate, con alta
frequenza di contatti con potenziali delinquenti, per cui si innalza la probabilità di
divenire vittima. Tale teoria si aggancia alla Broken Windows Theory (Wilson e
Kelling) la quale sostiene che gli ambienti degradati senza un intervento divengono
sempre più degradati. Sempre sulla stessa lunghezza d’onda, Sampson e
Castellano (1982) pongono il focus su una relazione negativa tra condizione
economica dei quartieri di un certo tipo e percentuale di crimini contro la persona.
In tal senso, l’approccio National Crime Survey (1983) era orientato sul fatto che gli
abitanti del centro città sono doppiamente coinvolti in reati violenti rispetto a coloro
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che non vivono in zone metropolitane (Dodge, 1985). Il tipo di ambiente e le
condizioni ad esso relative sono dunque fattori che aumentano il rischio di divenire
vittime di reati, che varia da città a città e che risulta particolarmente elevato per
coloro che vivono nelle capitali.
La teoria proposta da Hindelang, Gottfredson e Garofalo del 1978, Lifestyle
Theory, identi ca un modello di vittimizzazione basato sullo stile di vita, o
sull’esposizione al rischio, ovvero certi luoghi e certi momenti del giorno realizzano
un’esposizione al rischio. Secondo la Lifestyle Theory la modalità in cui viene speso
il tempo nelle attività giornaliere è una dimensione correlata alla vittimizzazione.
Altro fattore individuato sono le associazioni, cioè la frequenza con cui le persone si
trovano in associazione con altri individui più o meno inclini a commettere reati
aumenta la possibilità di rischio (ad esempio se ti accompagni a persone inclini a
commettere reati o comunque frequenti i loro stessi ambienti).
La Routine Activity Theory è stata ripresa dal modello di Cohen e Felson del 1979
e basa la propria concettualizzazione sulle modi cazioni dell’attività routinaria, in
quanto in uiscono sull’opportunità a delinquere e pertanto espongono al rischio di
vittimizzazione. Tale teoria appare centrata piuttosto sulla prospettiva dell'autore del
reato in relazione ai costi e bene ci che possono derivarne dalla commissione,
punto centrale è la possibilità di raggiungere l'obiettivo con un rischio limitato che
trova conferma in un controllo assente o almeno ridotto. “L’attività routinaria”
include qualsiasi attività ricorrente e prevalente che provvede alle necessità di base
della popolazione e degli individui qualunque sia la loro origine biologica e culturale;
tra queste lavoro, tempo libero, relazioni sociali, scuola.
A di erenza di precedenti elaborazioni teoriche, sia nella lifestyle, che nella routine
activity, il crimine viene iscritto in una dimensione spaziale e temporale ed è la
società stessa che ha in sé le opportunità a delinquere che sono potenziate da ciò
che la vittima fa e dove lo fa. La vittimizzazione non è distribuita casualmente nello
spazio e nel temo, vi sono luoghi di alto rischio e periodi di tempo di alto rischio.
Modelli di stile di vita in uenzano l'entità dell'esposizione a posti e tempi con rischi
di esposizione variabili e la prevalenza di esposizioni con altri che hanno più o meno
probabilità di commettere reati. La teoria dello stile di vita delinea alcune parole
chiave che sono esposizione al rischio in luoghi e tempi e contatto con persone che
possono commettere reati. Lifestyle theory e routinary activity theory sono simili in
quanto fondate su 4 concetti fondamentali: prossimità al crimine, esposizione al
crimine, attrazione per lo scopo, controllo.
Dagli studi di Von Hentig e Fattah, Scarcella Prandstraller, nel 2012, ricava una
classi cazione ulteriore della vittima:
1. Vittima innocente: si è trovata nel luogo sbagliato al momento sbagliato;
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2. Vittima depressa: persona disattenta che non si protegge e quindi viene colpita;
3. Vittima avida: tendente agli a ari a rischio e quindi alla tru a;
4. Vittima immotivata: soggetta a pressioni a seguito di eventi o fasi di vita;
5. Vittima molesta: subisce l’aggressione da chi la tormenta abitualmente ed è
perciò nella disponibilità dell’aggressore;
6. Vittima aggressore: subisce l’aggressione da chi aveva precedentemente
aggredito lei, una sorta di vendetta.
Gulotta nel 2000 propone una classi cazione della tipologia di vittima basata sulle
caratteristiche personali dei soggetti stessi:
1. Vittime false
- Simulatrici: invenzione deliberata del reato
- Immaginarie: invenzione inconsapevole del reato a causa di età o patologia
2. Vittime reali
- Fungibili: sostituibili in relazione al reato (es. tru e)
- Infungibili: insostituibili in relazione al reato (es. violenza domestica)
3. Vittime fungibili
- Accidentali: senza nesso causale con l’evento e con il reo (es. rapina)
- Indiscriminate: colpite a scopo dimostrativo (es. stragi)
4. Partecipanti: i comportamenti favoriscono l’evento (ATTENZIONE: questo non
signi ca colpevolizzare la vittima, si parla di percezione del rischio) con modalità
volontaria, involontaria o provocatrice.
Questa classi cazione non approfondisce la dimensione umana e relazionale.
La focalizzazione su predisposizioni vittimogene porta a una colpevolizzazione della
vittima e a una riduzione delle responsabilità dell’autore.
Al giorno d’oggi
Nel presente, si parla di vulnerabilità della vittima, cioè dell’esistenza di alcune
vittime che sono sottoposte a un rischio maggiore di essere vittimizzate a causa di
fattori biologici, psicologici, socio-economici… I soggetti che de niamo
maggiormente esposti sono quelli che presentano minori difese e pertanto
presentano fattori che predispongono a risentire maggiormente della vittimizzazione
e a sviluppare reazioni più intense. Ad ogni modo si sottolinea che la vittima NON
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concorre IN NESSUN MODO a subire un atto criminoso e dunque un processo di
vittimizzazione.
Secondo la teoria di Green il rapporto è tra esposizione al rischio e danno ove
concorrono fattori individuali e risorse personali: non sempre un alto rischio
presuppone un grave danno, come un basso rischio non necessariamente
presuppone un danno lieve. Il rapporto tra basso rischio e danno grave presuppone
maggiore vulnerabilità e viceversa.
Riproponendo ciò che sostengono Giannini e Tizzani la dimensione individuale può
essere misurata in relazione alla capacità di resistenza al trauma (resilience) e alle
emozioni intervenute dopo la commissione del crimine. Le resilienza si declina in:
• Hardness: sostegno sociale, ottimismo. È un costrutto della persona
fondamentale nelle capacità di risposta della persona ad un evento
stressante, e si divide in tre elementi di base committment (condivisione),
control (controllo) e challenge (s da). L'assenza o la presenza eccessiva di tali
elementi può decisamente compromettere il recupero della persona vittima di
un reato in condizione di stress.
• Sense of coherence: a ettività positiva, sistemi di credenza.
Se si accetta il modello fondato sul rapporto esposizione al rischio ed entità del
danno si deve considerare che la gravità del reato non sempre è proporzionale
all'impatto che produce sulla vittima. Le emozioni caratterizzano le reazioni della
vittima all'evento delittuoso e ne misurano il danno e le potenzialità di recupero: le
emozioni mediano la relazione tra individuo e ambiente ossia tra eventi e risposte
degli individui agli eventi. Le emozioni si attivano sempre in relazione ad un evento
emotigeno o antecedente emotivo: la valutazione della capacità di saperlo
fronteggiare e la valutazione dell’evento determinano la modalità della reazione.
Secondo una diversa interpretazione le emozioni constano di una fase di
eccitazione immediata e di una fase di valutazione della situazione secondo un
modello de nito bi−fattoriale. Le emozioni infatti aggiungono un nuovo tassello a
una concezione della vulnerabilità della vittima fondata sulla sua capacità di
reazione all'evento delittuoso e a come questo viene interpretato dalla vittima
stessa. La relazione emotiva dipende pertanto dall'interpretazione che la vittima
attribuisce all'evento che ha vissuto: se il reato ha minacciato l'integrità sica della
persona l'emozione prevalente sarà la paura, se invece la persona ha sperimentato
un senso di impotenza l'emozione prevalente sarà la rabbia. È con tali vissuti
personali legati alla realtà passata e presente dell’evento delittuoso che dovranno
confrontarsi gli organi di controllo sociale e le istituzioni.
La prima accezione del termine vulnerabilità fa riferimento alle caratteristiche
intrinseche alla vittima stessa, biologiche, psicologiche e sociali; si allarga poi a
considerare le circostanze contingenti e situazionali no ad arrivare alla
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considerazione del rischio: i fattori personali e sociali agiscono nell’attualità, nella
storia pregressa o nei fattori situazionali.
Il rapporto tra vulnerabilità e crimine non è necessariamente causale, un alto rischio
di vittimizzazione può provocare un basso livello di paura mentre un basso rischio di
vittimizzazione può portare un alto livello di paura del crimine. Si delinea una senso
di erenziale di vulnerabilità che dipende sia dalla tipologia di reato che dalle
circostante in cui la vittima viene a trovarsi. Le conseguenze della vittimizzazione
sono pertanto correlate alle precedenti esperienze, alla percezione del rischio e alla
vulnerabilità. In tale prospettiva la vulnerabilità non si con gura come una
componente oggettiva correlata a fattori predisponenti intesi quasi come indicatori
di una potenziale vittimizzazione futura ma va mediata dalla rappresentazione
soggettiva da parte delle potenziali vittime che può essere in uenzata anche dai
mezzi di comunicazione.
Anche rispetto alle conseguenze sulla vittima si può proporre una rilettura del ruolo
della vittima: dalla parte della vittima la risposta presuppone rabbia, ira piuttosto
che mancanza di consapevolezza e so erenza. Si delinea una nuova interpretazione
della reazione della vittima non solo al crimine, ma anche alla paura del crimine
stesso: anche in questo caso tali sentimenti sono discriminati dal signi cato che
assume il reato per la vittima anche in relazione all'età e al genere. In tal senso, reati
di maggiore gravità possono provocare indignazione minore rispetto a reati più lievi
a seconda del signi cato che la vittima vi attribuisce.
Gli aspetti interessanti di tale impostazione possono essere riassunti in:
• L'aver considerato la vulnerabilità della vittima come variabile correlata alle
rappresentazioni soggettive della vittima stessa
• L'aver evidenziato come la vulnerabilità comprenda anche la paura del
crimine da parte della vittima, non solo la minaccia reale che questo si veri chi
• L'aver scoperto il determinarsi di altre azioni emotive oltre a quelle che
normalmente vengono attribuite alla vittima come conseguenze del reato.
• Spesso la vittima non si rende conto di ciò che la minaccia o prova rabbia in
situazioni che possono essere meno gravose per la sua incolumità.
Si individua una tendenza verso uno studio della vittima che privilegia l’analisi dei
fattori di rischio di vittimizzazione considerando anche le variabili soggettive
precedentemente esposte
lunedì 4 ottobre 2021
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La Vittimologia
La vittima e i suoi bisogni
La vulnerabilità della vittima e la severità delle reazioni in uenzano i bisogni che
essa esprimerà, anche nel corso delle attività investigative.
Considerando la normativa internazionale il focus è posto sulla necessità di non
sottoporre le vittime a pressioni e adottare tutte le strategie possibili per evitare la
vittimizzazione secondaria nel corso giudiziario. In tal senso possiamo attuare una
prima distinzione:
- Vittima Primaria: coloro che hanno subito un reato o un impatto catastro co;
- Vittima secondaria: si riferisce a tutto ciò che accade dopo e che rivittimizza la
persona, cioè potenzia la vittimizzazione invece di rispondere ai bisogni e
proteggerla.
Assumendo la prospettiva vittimologica la vittimizzazione secondaria è esattamente
ciò che cerchiamo di evitare.
Nello speci co possiamo de nire la vittima primaria come un soggetto che ha
subito un grave danno in circostanze particolari e alla quale è stata indotta
so erenza, che ha subito un torto che necessita di riparazione.
La Vittimizzazione secondaria
Questo tema della vittimizzazione secondaria e della prevenzione della stessa viene
posto all’attenzione prima con un documento delle Nazioni Unite del 1985, in alcune
ri essioni fatte circa il trattare le vittime con compassione, inteso nel signi cato
inglese del termine “compassion”, cioè so rire con te, e rispetto della loro dignità.
La vittimizzazione secondaria è “una condizione di ulteriore so erenza e oltraggio
sperimentata dalla vittima in relazione ad un atteggiamento di insu ciente
attenzione, o di negligenza, da parte delle agenzie di controllo formale nella fase del
loro intervento e si manifesta nelle ulteriori conseguenze psicologiche negative che
la vittima subisce” (Rossi, 2005).
Il processo di vittimizzazione secondaria implica una recrudescenza della
condizione della vittima riconducibile alle modalità di supporto da parte delle
istituzioni, spesso connotate da incapacità di comprensione e di ascolto delle
istanze individuali che si proiettano sulla esperienza vittimizzante anche a causa di
una eccessiva routinizzazione degli interventi che in letteratura è de nita One Size
Fits All Approach.
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La posizione delle vittime nel procedimento penale viene descritta nella Decisione
Quadro del Consiglio d’Europa del 15 marzo 2001 riprende fortemente il tema
della vittimizzazione secondaria, invitando tutti i paesi membri ad uniformare agli
standard richiesti e descritti per tutti gli operatori che interagiscono con le vittime,
come forze dell’ordine e personale ospedaliero, i quali devono essere formati a
interagire con la vittima in modo da rispettarne i bisogni e trattarla con
compassione. In queste disposizioni nazionali e internazionali noi troviamo alcuni
punti cardine:
1. Tendenza a favorire una maggiore partecipazione della vittima alle
procedure penali: generalmente, infatti, nelle procedure penali la vittima viene
tenuta fuori e il processo viene condotto per lo più dagli avvocati, fatto negativo
in quanto la vittima ha sia il diritto, che il bisogno di avere giustizia e di eternare
le proprie ragioni;
2. Attenzione particolare ad evitare forme di vittimizzazione secondaria;
3. Una forte valenza di un’informazione adeguata che consenta alla vittima di
partecipare attivamente al processo;
4. Coinvolgere servizi e organizzazioni non governative: ad esempio il telefono
azzurro per i bambini o il telefono rosa per le donne, in quanto è necessario
garantire alla vittima una rete che possa garantire il suo salvataggio e il tuo
benessere.
Considerando il punto 4 possiamo assumere che il lavoro dello psicologo è un
lavoro di rete, di cui fanno parte tanto gli organi di polizia, quanto i tribunali e i centri
antiviolenza, ovvero tutte quelle gure o le organizzazioni che sono accanto alla
vittima. In tal senso, la prospettiva vittimologica pone sempre più il focus sulla
vittima stessa.
Comprendere i bisogni e soddisfarli risulta, dunque, essenziale per diminuire o
eliminare il rischio di vittimizzazione secondaria che risulta essere la conseguenza di
un trattamento insensibile e poco attento all’interno del sistema di giustizia penale.
La vittimizzazione multipla
Per vittimizzazione multipla si intende il veri carsi di più episodi di vittimizzazione
subiti da una persona o da un gruppo di persone. l’argomento può essere a rontato
da più prospettive come quella delle indagini statistiche e ri essione sociologica
(legate alla dimensione quantitativa della criminalità) e quella delle componenti
psicologiche legate al reato che riguardando soprattutto la relazione tra vittima e
autore. La vittimizzazione ripetuta può veri carsi in relazione a caratteristiche
speci che evidenziate nelle potenziali vittime che più frequentemente sono vittime
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degli stessi reati o a soggetti che vengono vittimizzati ripetutamente, ma con
diverse tipologie di reato.
La propensione alla ripetitività della vittimizzazione cambia in relazione alle diverse
tipologie di reato. Secondo Fattah, le vittime di reati intrafmiliari e sessuali tendono
a non essere sorpresi se subiscono vittimizzazioni ulteriori. Diversamene, coloro che
subiscono altri tipi di vittimizzazione, le considerano inaspettate.
L'argomento delle vittimizzazioni multiple va a rontato secondo due livelli:
1. A breve termine: ove per multivittimizzazione deve intendersi la possibilità
che un evento dannoso si veri chi più volte per la vittima, della stessa natura
o di una natura di erente
2. A lungo termine: considerando la probabilità che l'evento possa veri carsi
successivamente come conseguenza della maggiore vulnerabilità acquisita a
seguito del trauma subito.
Un ruolo fondamentale di protezione e di prevenzione a discapito di future
vittimizzazioni lo svolgono i Centri Antiviolenza o rendo accoglienza e sostegno alle
donne vittime di abuso e violenza e riducendo pertanto l'esposizione al rischio di
nuovi attacchi.
La classificazione dei bisogni
Quando parliamo di bisogni, possiamo fare riferimento a diversi tipi di
classi cazione. Tra queste una classi cazione che ha riscosso un importante
consenso è quella dell’O ce for Victims of Crime del Dipartimento di Giustizia degli
USA e che riassume così i bisogni: la vittima deve sentirsi al sicuro, deve poter
esprimere le proprie emozioni e deve sapere cosa le accadrà.
Il sapere che cosa accadrà in seguito oggi purtroppo è ancora di cile in quanto lo
stesso funzionario di polizia non è a conoscenza del dopo poiché il suo compito è
riportare al PM tutti le informazioni in modo che quest’ultimo possa prendere la
decisione che decreterà il dopo.
I bisogni delle vittime sul piano operativo
Un riassunto dei bisogni delle vittime sul piano operativo può essere ricavato dalle
indicazioni che Kilpatrick (1986) fornisce al personale investigativo, nalizzate ad
evitare la vittimizzazione secondaria:
1. È necessario trattare le vittime come esseri umani e non come una prova;
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2. Bisogna fornire sempre informazioni sull’andamento del caso e preparare le
vittime ad ogni fase del processo;
3. Fare molta attenzione ai traumi che le vittime potrebbero sperimentare;
4. Cercare di far a ancare la vittima durante il processo da quanlcuno che può
fornirgli un supporto emotivo, sia esso un familiare, un ausiliare tecnico o uno
psicologo;
5. Indagare su ogni speci ca paura o preoccupazione che la vittima potrebbe
avere in relazione al processo ed alla testimonianza, spesso per esempio si
temono delle ritorsioni;
6. Informare e consultarsi con la vittima in merito a potenziali procedure di
patteggiamento, in quanto nel sistema giudiziario italiano la mediazione del
penale è estremamente attenta e orientata al reo e non alla vittima;
7. Dare alla vittima l’opportunità di intervenire nel procedimento penale quando
possibile, cioè rispettarne i tempi, la volontà, la sensibilità;
8. Inviare le vittime che hanno necessità di aiuto per la gestione dello stress a
professionisti della salute mentale speci camente formati;
9. Esplicitare alla vittima il proprio dispiacere per l’accaduto e chiedere in quale
modo si può essere di aiuto.
La considerazione delle reazioni è una chiave che facilita il livello di comprensione e
comunicazione fra le vittime e chi entra in contatto con loro, per esempio gli
operatori sanitari e quelli delle Forze dell’Ordine, e agevola l’individuazione e la
messa a fuoco delle necessità più impellenti nelle fasi successive al fatto reato.
Quindi è utile non solo dal punto di vista della prevenzione ma anche per stabilire
contatti e caci e prendere decisioni e caci.
Le conseguenze della vittimizzazione
Dalla vittimizzazione ne consegue sicuramente un danno primario, cioè un danno
che deriva direttamente dal reato e dunque strettamente connesso alla vittima
primaria; e anche un danno secondario, cioè un danno derivante dalla risposta
formale e non alla vittimizzazione.
I vissuti tipici che la vittima riferisce a sé sono frasi che comunicano senso di colpa,
elementi di pessimismo e di disperazione, processi di self-blame (autocolpevolezza nella vittima), come conseguenza dell’essere una persona fortemente
vittimizzata e non più capace di percepirsi positivamente, bensì come colpevole
dell’aggressione subita.
In relazione ai vissuti che la vittima riferisce verso il mondo esterno possiamo
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sottolineare sentimenti di s ducia negli altri, di paranoia con conseguente essere
guardinga costantemente, costituendo una visione del mondo fortemente
depressiva e negativa, no a in uire sulla propria vita spesso causando il PTSD.
Quando parliamo di vittime facciamo riferimento a persone esposte a degli
avvenimenti stressanti e pertanto probabilmente traumatizzate. Quando parliamo di
trauma ci riferiamo nello speci co a una ferita, una lacerazione in senso lato. Il
trauma può essere sia sico (una contusione, una frattura, un’ecchimosi, tutto
quello che è un impatto sul corpo di una persona che ne determina una lacerazione)
che psicologico e la gravità è determinata dalla forza dell’impatto.
Vittimologia e società
Secondo una prospettiva sociologica il termine vittima indica un qualcosa di più
ampio, andando ad identi care non solo le vittime di reato, ma anche le vittime di
disastri naturali, stragi o epidemie. L’evento delittuoso è visto in una prospettiva
evoluzionistica, dinamica e situazionale, non unilaterale, ma processi dinamici di
interazione.
Le scuole di criminologia e sociologia della devianza spiegano il crimine secondo
prospettive che comprendono categorie come studio delle aree urbane, costruzione
sociale della devianza, tensione (vista come una reazione sociale)…
La devianza è socialmente costruita ed è un concetto relativo alle circostanze in cui
si veri ca l’atto. Uno spiraglio per la vittima si vede in teorie più recenti come:
- Teoria delle attività abituali (Cohen e Felson), in cui le abitudini di vita e le
circostanze contingenti danno vita a un rischio più alto di essere vittimizzati;
- Teoria della scelta razionale, valutazione di costi e bene ci dell’atto criminale
porta a condizioni reali sottostanti alla commissione del reato. In tal senso,
maggiore è la controllabilità sul comportamento deviante e minore sarà il senso di
insicurezza, che ci comunica la necessità di una prevenzione situazionale.
La percezione di insicurezza non è oggettiva ed è legata alla minaccia che il crimine
si veri chi (in quanto comporta una condizione perenne di vittima potenziale) e non
alla sua di usione.
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