SCIENZA E FILOSOFIA Collana diretta da Armando Massarenti Amedeo Santosuosso INTELLIGENZA ARTIFICIALE E DIRITTO Perché le tecnologie di IA sono una grande opportunità per il diritto © 2020 Mondadori Education S.p.A., Milano Tutti i diritti riservati II Sistema Qualità di Mondadori Education S.p.A. è certificato da Bureau Veritas Italia S.p.A. secondo la Norma UNI EN ISO 9001:2008 per le attività di: progettazione, realizzazione di testi scolastici e universitari, strumenti didattici multimediali e dizionari. Realizzazione editoriale Coordinamento redazionale Alessandro Mongatti Redazione Alessandro Mongatti Impaginazione Maria Rosa Saporito Progetto grafico Alfredo La Posta Progetto copertina Alfredo La Posta Prima edizione Aprile 2020 La realizzazione di un libro comporta per l’Autore e la redazione un attento lavoro di revisione e controllo sulle informazioni contenute nel testo, sull’iconogra a e sul rapporto che intercorre tra testo e immagine. Nonostante il costante perfezionamento delle procedure di controllo, sappiamo che è quasi impossibile pubblicare un libro del tutto privo di errori o refusi. Per questa ragione ringraziamo n d’ora i lettori che li vorranno indicare alla Casa Editrice. Mondadori Education Via Raffaello Lambruschini, 33 – 50134 Firenze Tel. 055.50.83.223 www.mondadorieducation.it Mail [email protected] Progetto di copertina di Alfredo La Posta. Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato speci camente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. 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Per informazioni e segnalazioni: Servizio Clienti Mondadori Education e-mail [email protected] numero verde 800 123 931 Indice Una mappa per un terreno non tracciato 1. Umano e artificiale 1. Alcuni punti per de nire il campo dell’IA 2. Dalle macchine computazionali all’IA (storia minima) 3. De nizioni di scienziati e di loso (asse semantico) 4. Una visione dell’umano: non vi è niente di arti ciale nell’IA 5. Funzionamento del cervello umano e intelligenza arti ciale generale 6. Grandi progressi, grandi questioni aperte e timori infondati 7. Qualche considerazione nale 2. Il diritto e l’intelligenza artificiale 1. IA, diritto e logica: una correlazione necessaria? Il diritto visto dall’IA 2. L’intelligenza arti ciale vista dal diritto 3. Una pletora di documenti 4. Creature arti ciali che in dati contesti possano apparire umani 5. I nostri cugini agenti di IA 3. Essere avvocato nell’era dell’intelligenza artificiale 1. La professione del consigliare e difendere 2. Saremo sostituiti da robot? L’incubo dell’avvocato (e non solo) 3. Un po’ più in profondità 4. Un avvocato/giurista interdisciplinare? 5. La predizione delle decisioni. Un’ossessione dell’avvocato? 6. Cosa ci dicono questi studi circa la predizione 7. Tre note, a mo’ di conclusione aperta 4. L’intelligenza artificiale e i giudici 1. Verrà un giorno… 2. Giustizia, istituzioni europee e intelligenza arti ciale 3. E l’intelligenza arti ciale? 4. Come decidevano, decidono e decideranno i giudici (regole e dati) 5. La motivazione delle decisioni pubbliche 6. Una proposta tra diritto e tecnologia 7. La sentenza: un aggregato temporaneo di dati 5. Blockchain e smart contract: un diritto senza avvocati, giudici e… Stato? 1. Il 10% del PIL del mondo! 2. Blockchain 3. Smart contract 4. Blockchain e smart contract 5. Contratto o soware? O entrambi? 6. Le controversie che sorgono da smart contract 7. Tra grandi possibilità e seri limiti tecnici 6. L’accademia giuridica e l’innovazione digitale 1. Un mondo sempre più piccolo e tecnologico 2. La capacità di lavorare in team interdisciplinare vale più di mere nozioni 3. L’offerta delle università 4. Il dibattito accademico sul che fare 5. Una disciplina ‘diritto della tecnologia’? 6. Un’idea del e per il diritto 7. Diritti, storicità, artificialità 1. Doppio movimento tra umani e tecnologia 2. Libertà, diritti e ambiente tecnologico (l’Internet delle cose) 3. Alcuni effetti giuridici 4. Sono necessari nuovi diritti? A right to not be measured, analysed or coached? 5. Una libertà delicata e essenziale: arte e IA 6. Scandalo al Parlamento europeo su robot e personalità giuridica 7. 8. 9. 10. 11. 12. Il modello delle società Creature di Dio e artefatti giuridici L’agente per il diritto Società commerciali e pene: chi fa schermo a chi Creature arti ciali e proprietà ontologiche Homo sapiens sapiens e i ‘suoi’ diritti 8. Il diritto molecolare: un complesso campo di ricerca 1. Una visione molecolare del diritto 2. Alcuni chiarimenti sul lessico molecolare 3. I quattro stati essenziali del diritto oggi 4. Il diritto è un insieme di ‘molecole giuridiche’ (frammentazione): primo ‘stato’ essenziale 5. Secondo ‘stato’ essenziale: il diritto non è organizzato in modo stabilmente gerarchico 6. Terzo ‘stato’ essenziale: il diritto è ampiamente digitalizzato 7. Quarto ‘stato’ essenziale: il diritto come esperienza globale è multilingue 8. La teoria molecolare in azione: interoperabilità e funzione immunitaria 9. La teoria molecolare (Mol) come complesso campo di ricerca Bibliografia generale Indice dei nomi Alla piccola Aoi, il cui sguardo e il cui sorriso mandano una luce stupenda sulle cose del mondo Una mappa per un terreno non tracciato Perché su questi argomenti ogni mattina ci si sveglia e le cose sono cambiate, bisognerebbe riscriver tutto1. Se in articoli, libri, convegni, siti web, social, aperitivi, discussioni sobrie o da bar, viene usata pervasivamente la parola intelligenza, con ad essa associato l’attributo artificiale, e se tutti lo fanno con toni ora allarmati, ora banalizzanti, ora stupiti, ora pensosi (ma non sempre informati), allora non sembrano che darsi due possibilità, o sono tutti fuori di senno oppure qualcosa che effettivamente sia intelligente, oltre che artificiale, deve esistere per davvero: l’Intelligenza Arti ciale (IA). Eppure, quello che viene appellato IA non è altro che lo sviluppo ampio, potente, talora so sticato di capacità computazionali settoriali. Niente che abbia a che fare con le entità alle quali normalmente connettiamo l’attributo di intelligenza nella nostra vita di tutti i giorni, sin da prima dell’IA. A coloro che hanno esperienza di insegnamento sarà capitato di dire che uno studente sia molto intelligente. E, a veder bene, questo ha riguardato quegli studenti che mostrano la capacità di porre a frutto le nozioni acquisite e di fare collegamenti, spaziando da un campo all’altro, talora in modo inatteso. Ricordo una studentessa di sica che allo IUSS di Pavia2, classi interdisciplinari, rispondeva molto meglio degli studenti di giurisprudenza alle questioni di diritto che ponevo loro. Oppure quella studentessa che, dopo una brillante laurea in medicina, ha conseguito il diploma IUSS con una tesi di diritto sulla possibilità della coscienza in entità arti ciali (poi reclutata per il dottorato presso un’università londinese molto prestigiosa). E potrei continuare. Bene, cosa avevano in comune Pia e Laura, e molti altri come loro. Una straordinaria capacità generale, quella per cui, a un certo punto di intelligenza umana, arrivi a dire quella persona è intelligente tanto da poter fare molto bene qualsiasi cosa in qualsiasi campo. Questa è una qualità tipicamente umana, che gli esperti di IA chiamano general purpose intelligence, e che, a oggi, non esiste in nessuna macchina in nessun angolo del mondo, benché fosse già nelle intenzioni di chi mosse i primi passi nell’intelligenza arti ciale negli anni Cinquanta del secolo scorso. Menti alacri vi stanno lavorando e certamente porteranno ad avanzamenti importanti. Ma, a voler essere semanticamente precisi, solo dal momento in cui vi saranno quegli avanzamenti saremo autorizzati a parlare effettivamente di IA, mentre no a quel momento l’uso della parola ‘intelligenza’ riferita ad artefatti tecnologici sarà un (piccolo?) abuso, un gioco di etichette. Sarebbe, in realtà, più appropriato parlare di computazione, di capacità di calcolo o capacità computazionale, e simili. Le macchine oggi, pur meravigliose, fanno cose diverse da quelle che fa un umano con la sua intelligenza, ammesso che le macchine debbano (e perché mai?) fare esattamente quello che facciamo noi umani. Perché non prendere atto che la nostra intelligenza, per straordinaria che sia (e credo che lo sia) non è l’unico tipo di intelligenza possibile, così come la nostra coscienza non è l’unico tipo di coscienza che in natura si dà? Il nostro amico ‘polpo’ ci dice molte cose circa la distribuzione e il modo di funzionamento dell’intelligenza in un sistema non accentrato come quello umano3! D’altra parte, anche nei sistemi arti ciali-umani, che andiamo costruendo, l’idea più interessante non è quella di incontrare un giorno una macchina più brava ed efficiente di noi, ma quella di un continuum di automazione intelligente. Una visione più complessa e, mi pare, più intrigante. La cosa più difficile che si trova ad affrontare chi si occupa di questi temi è la pluralità, la velocità, la mutevolezza del campo, lo stesso problema che incontrò Umberto Eco già negli anni Sessanta dello scorso secolo, quando, elevando a livello di studio teorico la cultura di massa, scoprì che «ogni mattina ci si sveglia e le cose sono cambiate». Ad essere sinceri un libro è veicolo strutturalmente inadatto a una materia così cangiante come l’IA, e chi scrive ha esitato a lungo prima di avviarsi su questa strada. Come dicono due autori, che il lettore incontrerà più avanti (WALLACH & MARCHANT, 2019), le cose saranno già superate prima che l’inchiostro della tua scrittura si sia asciugato (metafora efficace, anche se da tempo antico!). Una monogra a o un trattato o un manuale in senso tradizionale sono, quindi, mezzi obsoleti per un campo di ricerca in ebollizione. Bisogna, però, riconoscere che la necessità di punti di riferimento è e rimane forte quanto più, e proprio perché, la situazione è in rapido cambiamento. Per esempio, la blockchain può risolvere i problemi di elevato consumo di energia, come è oggi richiesto, e realizzare le sue promesse, oppure può essere costretta a ripiegare. Inoltre, l’IA può essere un’occasione per rendere il diritto, in tutte le sue forme, comunicabile ai cittadini, oppure può essere un pretesto per renderlo ancora più esoterico. Sul piano tecnico, se si riuscirà effettivamente a realizzare il computer quantistico, lo sviluppo dell’IA potrà essere straordinario, una volta superati i problemi di potenza e di sostenibilità energetica e ambientale. Queste e tante altre variabili sono in grado di delineare, anche repentinamente, scenari molto diversi, che possono rendere obsoleta una trattazione organica tradizionale. Questo lavoro è piuttosto una mappa, che può aiutare il lettore (e, in verità, ha aiutato anche l’autore) a muoversi in terreni per i quali non vi sono carte dei luoghi (uncharted, secondo l’espressione inglese di difficile traduzione). L’idea è di offrire allo studente e al lettore, di fronte a notizie allarmanti sulla tecnologia che ci divorerà e sovvertirà le regole del gioco sociale e altro ancora, uno strumento che lo aiuti a collocare quell’argomento in uno degli scenari e dei nodi presentati nei capitoli e paragra di questo volume. Gli argomenti trattati possono essere visti come una sequenza di temi, in progressivo arricchimento, che preparano la visione di quel campo di ricerca de nito dall’idea molecolare del diritto, di cui si parla nell’ultimo capitolo. Ma la sequenza può prendere le mosse dalla questione dell’insegnamento del diritto alle nuove generazioni; da lì seguire un percorso che, attraverso una ri essione sulle professioni (osservando come cambiano in relazione al resto del quadro tecnologico) e sul giudicare, conduce in ne a una nuova visione, se non a una nuova teoria, generale del diritto nell’era tecnologica. Oppure si può partire dal modo di essere avvocato, per poi evolvere negli altri settori. Oppure, in un’ottica più statocentrica, si può cominciare dal modo di impartire la giustizia. La materia trattata è davvero mobile, e i materiali presentati sono scomponibili e ricomponibili dando luogo a diverse possibili con gurazioni. Il tentativo di questo lavoro è di dar corpo a questa mobilità, senza rinunciare alla visione e al rigore teorico. Ciò vale per tutti gli argomenti trattati e, specialmente, per l’idea molecolare del diritto. Un’avvertenza è doverosa. La mia formazione non è tecnica. Ho cercato di documentarmi nel modo più accurato e ho consultato e interpellato esperti in materia di IA e computer science. È possibile, tuttavia, che vi sia qualche inesattezza, la cui responsabilità è ovviamente tutta mia e della quale chiedo scusa al lettore. Inoltre, ho cercato di non appesantire il testo con termini e spiegazioni tecniche di dettaglio, che sono agevolmente reperibili in altre fonti. Ringraziamenti La lista dei ringraziamenti sarebbe lunga, tanto quanto le numerose persone che ho incontrato e con le quali ho discusso, studiato, progettato applicazioni digitali e di IA in campo giuridico, nella mia vita di giudice e di docente universitario, in entrambi i campi impegnato nell’innovazione tecnologica. Mi limito a citare le persone più vicine, fermo restando che, inutile dire, la responsabilità nale è totalmente mia. Certamente, tra gli amici pavesi del nucleo originario del Centro di ricerca ECLT, un ringraziamento particolare va all’attuale presidente del centro, Silvia Garagna, che mi ha sempre sostenuto e consigliato, anche sul crinale tra scienze biologiche e giuridiche, dove anche in questa occasione ha mostrato grande sensibilità verso il dialogo interdisciplinare e ha contribuito a un chiarimento su un importante punto, a proposito della funzione immunitaria. Non minore riconoscenza devo ad Andrea Belvedere, che ha sempre sostenuto e dato spazio alle iniziative scienti che e didattiche in collaborazione con il Collegio Ghislieri. Riccardo Bellazzi, Lucia Sacchi e Antonio Barili (con il quale ho avuto il piacere di collaborare nel progetto Justech) sono stati i miei essenziali riferimenti ingegneristici, ai quali devo alcuni importanti chiarimenti su questioni complesse. Antonio Gelameris ha il dono della chiarezza concettuale nelle questioni che riguardano la programmazione e i linguaggi informatici, questioni che ha reso a me comprensibili: a lui devo, in particolare, il riferimento allo Unified Modeling Language. Oliver Goodenough continua a essere un interlocutore, oltre che un caro amico, e un ponte importante verso l’innovazione tecnologica e il diritto negli Stati Uniti: a lui devo, tra l’altro, la possibilità di partecipare agli incontri annuali del Gruter Institute (California), fucina incredibile di idee e di interazioni interdisciplinari. Charles Baron e Katharine Young, della Boston College Law School, hanno, quali visiting professors, ampliato l’orizzonte del mio corso pavese presso il dipartimento di giurisprudenza, grazie al programma Pavia-Boston nanziato dall’Ateneo. Negli ultimi due anni mi ha molto arricchito il lavoro quale componente della World Commission on the Ethics of Scientific Knowledge and Technology (COMEST – UNESCO), dove il confronto interdisciplinare e interculturale su IA e IoT (Internet delle cose) è stato intenso, a tratti difficile, ma molto produttivo. Devo inoltre un ringraziamento particolare a Nerina Boschiero, Presidente della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Milano, per avermi coinvolto nella progettazione di un nuovo corso di laurea magistrale in scienze giuridiche su Diritto, ICTs e Innovazione tecnologica: lavorare anco a anco su una scommessa bella, ma certo non facile, è stata un’esperienza importante di cui le sono molto grato (oltre che per i consigli sul capitolo sulla formazione accademica). Ringrazio Carlo Granelli per aver letto i capitoli sugli avvocati e sulla formazione accademica, dandomi alcuni suggerimenti che mi hanno consentito di arricchire il testo. Pietro Sirena, Dean della Law School della Bocconi, mi ha consentito di conoscere e di riportare in modo corretto le attività innovative in corso presso la sua Università. Gabriella Bottini, costante interlocutrice nell’interazione tra neuroscienze e diritto nell’ultimo decennio, mi ha dato un riscontro importante nei riferimenti alle neuroscienze, che per l’IA sono essenziali. Carlo Rossi Chauvenet mi ha fornito alcuni spunti interessanti nel capitolo dedicato agli avvocati. Ho discusso molte volte, in modo approfondito, con Paola Belloli l’ipotesi di una teoria molecolare del diritto, traendone grande giovamento. Nella mia attività di docenza e di ricerca ho avuto la fortuna e il piacere di essere contornato dagli studenti dei miei corsi pavesi, da quelli ELSA (che sono stati interlocutori importanti nelle attività internazionali), da alcuni tirocinanti presso la Corte d’appello di Milano, che hanno mostrato interesse verso il diritto e la tecnologia (penso, tra i molti, a Francesca Tripaldi, Valentina Nirso e Francesca Arrigo), e da Giulia Pinotti ed Elettra Currao, giovani studiose che hanno condiviso con me la discussione su alcuni passaggi delicati di questo volume. A Elettra devo anche il ringraziamento aggiuntivo per l’aiuto, inatteso e importantissimo, in pieno agosto, nella preparazione della bibliogra a. L’attività su diritto e nuove tecnologie ha preso negli ultimi anni, a Pavia, la forma delle Winter School su Technological Innovation and Law (TIL), che sono state rese possibili grazie alla collaborazione con Oliver Goodenough e all’apporto brillante, generoso e saggio di Maria Laura Fiorina, così come di Barbara Bottalico, riferimenti costanti nel tempo delle attività che hanno preso corpo sui temi del centro ECLT. Milano, 30 dicembre 2019 ECO 2017: il passo è tratto dalla risposta di Eco ai critici delle edizioni precedenti contenuta nella premessa «Apocalittici e integrati: la cultura italiana e le comunicazioni di massa». 2 Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. 3 GODFREY SMITH 2017. 1 1. Umano e artificiale Non vi è niente di artificiale nell’intelligenza artificiale. È ispirata da persone, è creata da persone e, cosa più importante, incide sulle persone. È uno strumento potente e si sta solo ora cominciando a capire come funzioni, e questa è una profonda responsabilità1. 1. Alcuni punti per definire il campo dell’IA L’idea di costruire macchine dotate di alcune funzioni intelligenti precede di molto la creazione del termine «intelligenza arti ciale». Al tempo stesso, le cose che rientrano nell’idea di intelligenza arti ciale sono molto più numerose dei sistemi tecnici di intelligenza arti ciale. Per avere un primo orientamento su uno dei due temi principali di questo volume («intelligenza arti ciale», mentre l’altro è il diritto, di cui si comincerà a parlare più avanti, nel secondo capitolo) bisogna immaginare un piano cartesiano nel quale sull’asse delle ascisse si distribuiscono gli sviluppi storici, anche antecedenti la creazione del termine «intelligenza arti ciale» (IA), e, su quello delle ordinate, il contenuto semantico dell’attuale espressione IA. La domanda sull’asse storico è la seguente: è lecito parlare d’intelligenza arti ciale per fatti, idee ed eventi che si collocano prima degli anni Cinquanta dello scorso secolo, quando fu coniato il termine? Qual è la novità con la creazione del termine AI? La domanda sul versante semantico apre, invece, a questioni del tipo: cosa contiene l’intelligenza arti ciale? A cosa si riferiscono gli umani che usano quel termine oggi? Pensano solo a dispositivi tecnici o a qualcosa di più ampio? E come si intersecano la linea storica e quella di indagine sul contenuto semantico? Lo scopo di questo capitolo non è quello di dare un quadro esauriente del tema scon nato umano-arti ciale, ma di fornire alcune informazioni di base su uno dei due termini che costituiscono l’oggetto di questo volume, l’IA, appunto. Senza un minimo di chiari cazione preliminare sarebbe difficile introdurre il secondo termine del discorso, e cioè il diritto. Si tratterà dell’origine delle macchine computazionali, delle de nizioni di IA date da scienziati e loso , del funzionamento del cervello umano e dell’intelligenza arti ciale generale e, in ne, dei grandi progressi, delle grandi questioni aperte e dei timori infondati. 2. Dalle macchine computazionali all’IA (storia minima) Il termine macchina computazionale (computer machine) diventa di uso sempre più frequente dagli anni Venti del secolo scorso e si riferisce a qualsiasi macchina in grado di fare il lavoro di un «computer umano», cioè qualsiasi macchina che calcoli secondo metodi efficaci, anche solo meccanici. È soltanto tra la ne degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta che le macchine computazionali diventano digitali o elettroniche e che l’espressione computer machine viene gradualmente sostituita dal semplice computer, con o senza il pre sso «elettronico» o «digitale»2. I precedenti storici vanno dall’abaco (7000 anni fa) ai primi algoritmi (sequenze precise e univoche per elaborare informazioni), no alla celebre pascalina (macchina inventata da Blaise Pascal nel 1642, capace di fare addizioni e sottrazioni) poi perfezionata da Gottfried Wilhelm von Leibniz che introdusse la moltiplicazione. Queste macchine potevano eseguire, di volta in volta, solo una delle operazioni rientranti nella loro competenza (una sola addizione, sottrazione, moltiplicazione). Quindi non erano programmabili; non potevano eseguire automaticamente un’intera combinazione di tali operazioni, secondo indicazioni fornite in anticipo3. A inizio Ottocento Charles Babbage lavorò al modello di una macchina analogica composta interamente di elementi meccanici – ruote dentate in ottone, aste, cricchetti, pignoni, ecc. I numeri erano rappresentati in sistema decimale in base alle posizioni delle ruote metalliche a dieci denti montate in colonne. Babbage esibì un piccolo modello funzionante nel 1822. Non completò mai la macchina in scala reale. Ma è solo nel 1936, all’Università di Cambridge (UK), che Alan Turing descrive una macchina digitale astratta, composta di una memoria senza limiti e di uno scanner che si muove avanti e indietro nella memoria, simbolo per simbolo, leggendo ciò che trova e scrivendo altri simboli. Le azioni dello scanner sono dettate da un programma d’istruzioni contenuto nella memoria sotto forma di simboli. Questo è il concetto di programma memorizzato di Turing, nel quale è implicita la possibilità che la macchina funzioni e modi chi il proprio programma. A Londra nel 1947, nel corso di quella che fu, per quanto è noto, la prima conferenza pubblica nella quale viene menzionata l’intelligenza dei computer, Turing disse: «Quello che vogliamo è una macchina che possa imparare dall’esperienza», aggiungendo che «la possibilità di lasciare che la macchina modi chi le proprie istruzioni fornisce il meccanismo per questo»4. Secondo Jack B. Copeland l’idea di intelligenza arti ciale non era lontana dai pensieri di Alan Turing, che descriveva sé stesso come dedicato a costruire un cervello e che in una lettera dichiara di essere «più interessato alla possibilità di produrre modelli di comportamento del cervello, che alle applicazioni pratiche della computazione»5. Si arriva così a quello che viene considerato l’atto di nascita del termine «intelligenza arti ciale» e della sua concezione moderna, e cioè il seminario di due mesi svoltosi nell’estate del 1956, su iniziativa da John McCarthy in collaborazione con Marvin Minsky, Claude Shannon e Nathaniel Rochester, e convocato su questa proposta: Proponiamo di svolgere uno studio sull’intelligenza arti ciale per due mesi, con dieci persone, durante l’estate del 1956 al Dartmouth College di Hanover, nel New Hampshire. Lo studio procederà sulla base della congettura che ogni aspetto dell’apprendimento, o qualsiasi altra caratteristica dell’intelligenza, possa in linea di principio essere descritto con precisione tale che sia possibile costruire una macchina per simularlo. Si tenterà di scoprire come costruire macchine in grado di utilizzare il linguaggio, formare astrazioni e concetti, risolvere tipi di problemi che oggi sono di esclusiva competenza degli uomini, migliorare sé stesse. Riteniamo che sia possibile ottenere un signi cativo progresso in uno o più di questi problemi dedicando un’intera estate al lavoro collettivo di un gruppo di scienziati selezionati6. Secondo Stuart Russell e Peter Norvig, autori di quello che è considerato il testo più ampio e autorevole nel campo dell’intelligenza arti ciale, il workshop di Dartmouth non portò particolari innovazioni, ma fu comunque importante per la messa a fuoco di un ambito disciplinare (quello dell’IA) capace di dar conto di ricerche e attività che non potevano rientrare in campi disciplinari preesistenti, come la teoria del controllo o la teoria delle decisioni o la matematica, e che da quel momento può considerarsi come «l’unico campo di ricerca de nito chiaramente come una branca dell’informatica e l’unica disciplina che si propone di costruire macchine che funzionano autonomamente in ambienti complessi e mutevoli»7. Seguono poi periodi di entusiasmo (1952-1969), la nascita dei sistemi basati sulla conoscenza (1969-1979), no all’IA che diventa industria (dal 1980 ad ora). Per i dettagli di questa storia si rinvia al testo di Russell e Norvig (p. 32 e ss.), mentre sulla differenza tra so o light IA e sull’uscita dal cosiddetto inverno dell’IA si rinvia al Capitolo 3 di questo volume, laddove si parla della previsione legale quantitativa. 2.1 Usare l’IA per provare a definire l’IA Uno dei più signi cativi sviluppi dell’IA negli anni 2016-2018 è stato probabilmente l’incremento degli investimenti annunciati dai governi e dalle industrie. A fronte dello stanziamento del governo italiano di 45 milioni di euro per AI e blockchain, negli USA nel 2016 sono stati stanziati 900 milioni di dollari per la ricerca e tra i 15 e i 23 milioni da investimenti privati. In Cina il Ministro delle Finanze ha previsto di investire un miliardo l’anno no al 2030. In Europa il Regno Unito ha stanziato (con il contributo di diversi stakeholders) 1,3 miliardi di dollari e si aspetta un business di circa 4 trilioni di dollari entro il 2022; la Francia 1,8 miliardi entro il 2022, a cui si sommano gli 11 miliardi da BpFrance8. Aziende come Alibaba hanno annunciato piani per investire 15 miliardi di dollari americani e il Vision Fund di SoBank sta concentrando gran parte dei suoi 100 miliardi di dollari americani di investimenti in IA9. Il numero delle pubblicazioni scienti che sull’intelligenza arti ciale è passato da 10.000 a 60.000 dal 1998 al 2017, secondo un rapporto Elsevier10. Lo stesso rapporto indica che, a livello globale, la ricerca sull’intelligenza arti ciale ha accelerato, crescendo di oltre il 12% ogni anno negli ultimi cinque anni (2013-2017), rispetto a meno del 5% nei cinque anni precedenti (2008-2012). La produzione complessiva della ricerca, a livello globale in tutte le aree tematiche connesse a IA, è cresciuta dello 0,8% ogni anno negli ultimi cinque anni (2013-2017). Dopo la Cina e gli Stati Uniti, l’India è diventata il terzo Paese più grande in termini di risultati della ricerca sull’IA, seguita da Germania e Giappone. Tuttavia, se volessimo dire esattamente quale sia l’oggetto di tutti questi investimenti di risorse e di intelligenze, saremmo in seria difficoltà. Infatti, il campo dell’IA ha molte de nizioni, ma manca di un signi cato che sia universalmente accettato: vi sono più differenze che cose in comune nel modo in cui si parla di IA nel mondo dell’educazione, della ricerca, dell’industria e dei media. Tanto che Elsevier, per redigere il suo Rapporto sull’IA, ha fatto ricorso a tecniche di IA per de nire il campo dell’IA stessa, usando IA per de nire IA11. 3. Definizioni di scienziati e di filosofi (asse semantico) Le de nizioni di IA cambiano notevolmente a seconda che provengano da scienziati o da loso . Per esempio, i già citati Russell e Norvig, che sono rispettivamente, il primo, laureato in sica con un dottorato in informatica a Stanford, e, il secondo, un computer scientist con numerosi riconoscimenti nelle maggiori università americane, si esprimono così: Il principale tema uni cante [dell’IA] è l’idea di agente intelligente. Nella nostra de nizione, l’intelligenza arti ciale è lo studio degli agenti che ricevono percezioni dall’ambiente ed eseguono azioni. Ogni agente implementa una funzione che mette in corrispondenza sequenze percettive e azioni, e il nostro scopo è presentare diverse tecniche per rappresentare tali funzioni: alcune di queste sono gli agenti reattivi, i piani catori in tempo reale e i sistemi basati sulla teoria delle decisioni. Verrà inoltre spiegato il ruolo dell’apprendimento nell’estendere il campo d’azione del progettista in territori sconosciuti e illustrato come tale ruolo rappresenti un vincolo sulla progettazione degli agenti, favorendo la rappresentazione esplicita della conoscenza e del ragionamento. La robotica e la visione non sono trattati come problemi indipendenti, ma nella loro funzione al servizio del raggiungimento degli obiettivi. Viene inoltre posto l’accento sull’importanza dell’ambiente nel determinare l’architettura di agente più appropriata12. La de nizione centrata sull’agente intelligente è interessante dal punto di vista del giurista, perché solo gli agenti sono rilevanti per il diritto (e questo è un libro su IA e diritto, Capitolo 2) e perché sono agenti anche gli avvocati, i giudici e i professori universitari che usano o sono immersi in sistemi di IA (come si vedrà nei Capitoli 3, 4 e 7). Un’interessante de nizione loso ca è, invece, offerta da Selmer Bringsjord e Naveen Sundar Govindarajulu, che così si esprimono: L’intelligenza arti ciale è il campo dedicato alla costruzione di animali arti ciali (o, almeno, creature arti ciali che in contesti appropriati appaiano essere animali) e, per molti, persone arti ciali (o, almeno, creature arti ciali che in contesti appropriati appaiano essere persone) […] le due parentesi sono indispensabili, e vale la pena notare, dal momento che alcuni ricercatori in IA e/o ingegneri sicuramente non considereranno loro stessi come tesi a costruire animali e/o persone. Nondimeno, […] alla ne dei conti gli artefatti che si intendono costruire si dice accuratamente che sono i correlati arti ciali dell’unico essere intelligente non-arti ciale che la razza umana è stata in grado di localizzare nora: e cioè, animali della varietà non umana, e noi. È vero, tuttavia, che alcuni aspirano a costruire creature arti ciali che superano di gran lunga i poteri cognitivi di ciò che la natura ha fornito13. La de nizione loso ca appare più ampia e problematica di quella tecnico scienti ca, che si può dire sia in essa inclusa. Se si prende lo spettro coperto dalle due de nizioni, una lista d’interrogativi sorge immediatamente e richiede risposta. In primo luogo, cosa fa realmente oggi, da un punto di vista tecnico, l’IA, qual è il suo principale limite e qual è la sua prospettiva. Vi è un consenso tra gli osservatori e studiosi più autorevoli sul fatto che le macchine no a oggi create, per quanto molto migliorate, non possano essere considerate realmente intelligenti, che i loro meccanismi cognitivi sono estremamente poveri rispetto a quelli umani e che il loro funzionamento consente di accumulare esperienza, senza che ciò signi chi comprensione. In effetti, l’intelligenza arti ciale ha fatto negli ultimi dieci anni enormi progressi nello sviluppo di alcuni algoritmi che hanno permesso, per esempio, l’analisi automatica delle immagini per riconoscere i volti e la visione arti ciale per la guida di auto e camion, sostiene Mark Mézard, un sico studioso delle reti neurali e direttore dell’École Normale Supérieure di Parigi. Dopo cinquant’anni di ricerche, negli ultimi due lustri l’intelligenza arti ciale ha conosciuto una rivoluzione grazie agli sviluppi delle reti neurali profonde ed è stato possibile costruire un algoritmo capace di battere il campione del mondo nel gioco del Go, nettamente più difficile degli scacchi14. Tuttavia, non si può dire che queste macchine siano intelligenti, poiché esse sono incapaci di costruire una rappresentazione del mondo o di dare vita a processi creativi15. È la comprensione di quello che esse stesse riescono a fare che appare un limite a oggi invalicabile. Roger Penrose, matematico illustre, emerito dell’Università di Oxford e vincitore del Premio Wolf assieme al suo amico e collaboratore Stephen Hawking, è molto netto. In un’intervista rilasciata in occasione dell’evento «AI for Good» (2018) tesse le lodi delle incredibili capacità di calcolo dei sistemi di IA, della loro utilità ai ni dei calcoli per la progettazione, ma è molto chiaro nel porre la distinzione tra «agire sulla base dell’esperienza», che è quella che può portare una macchina a vincere nel Go contro l’umano più esperto (come già accaduto per gli scacchi con Kasparov), e la «comprensione di quello che sta facendo». Così le macchine sviluppano abilità senza avere la conoscenza teorica di quale sia il fondamento di quelle azioni16. 4. Una visione dell’umano: non vi è niente di artificiale nell’IA Coloro i quali creano intelligenza arti ciale hanno bisogno di avere una visione, anche solo con un atto di immaginazione, dell’umanità e dell’umano. Questo signi ca che è necessario che diverse visioni, provenienti da diverse discipline e da background diversi per genere, età, etnia e cultura, concorrano tra loro. Questa ispirazione è al centro di un istituto fondato nel 2019 dall’Università di Stanford (USA), l’istituto per un’intelligenza arti ciale centrata sull’uomo (Stanford Institute for Human-Centered Arti cial Intelligence)17. Rappresentare cosa sia umano signi ca rendere visibile o manifesto lo scopo perseguito da chi lavora nella ricerca e negli investimenti e anche ciò che è invisibile, perché potrebbe essere implicito nelle tecnologie usate o costruite. Quella di Stanford non è una congregazione di scettici delle tecnologie, che cercano di imbrigliare lo sviluppo tecnico con norme ‘esterne’, etiche o giuridiche, ma piuttosto un gruppo di ricercatori di avanguardia (con collegamenti anche con Alphabet-Google), che, ai livelli più avanzati, ha sviluppato la consapevolezza di quanto grande sia la partita in corso e, perciò, la necessità di una visione globale. È interessante, poi, che la necessità di avere una visione dell’umanità (need to represent humanity) venga sollecitata da Fei-Fei Li, una scienziata che ha dedicato tutta la sua ricerca proprio alla visione computerizzata (computer vision), uno dei settori di avanguardia. Vi è come un’assonanza tra l’esperienza della catalogazione di un’enorme quantità di cose oggetto di visione e lo sviluppo della consapevolezza che la più completa lista di cose (che possano essere riconosciute da una macchina) non ci dice ancora nulla sulle relazioni tra quelle cose. È necessario, a tal ne, che si sviluppi parimenti la capacità di analisi di un insieme di dati sugli attributi delle cose e sulle relazioni tra le stesse (il latte versato nella tazza o fuori la tazza coinvolgono gli stessi oggetti, ma le relazioni sono molto diverse!) e la collaborazione di neuroscienziati ed esperti di processi cognitivi umani, che dicano come ciò accade esattamente negli uomini. Dalla visione delle cose, alle loro relazioni, a come ciò accada negli umani, alla centralità di questo passaggio nello sviluppo attuale dell’intelligenza arti ciale, alla necessità di collaborare con scienziati appartenenti a diverse discipline… è come se da tutto ciò scaturisse anche la necessità di una visione sull’uomo! Vista in questa luce risulta comprensibile l’affermazione di Fei-Fei Li (riportata in esergo) quando dice che non vi è niente di arti ciale nell’intelligenza arti ciale: «è ispirata da persone, è creata da persone e, cosa più importante, incide sulle persone. È uno strumento potente che si sta solo ora cominciando a capire come funzioni, e questa è una profonda responsabilità»18. John Etchemendy, l’altro co-direttore del centro di Stanford, enuncia così i tre principi fondamentali che guidano l’attività del centro: una scommessa che il futuro dell’IA sia ispirato dalla nostra comprensione dell’intelligenza umana; la tecnologia deve essere guidata dalla nostra comprensione di come sta in uenzando la società umana; le applicazioni di intelligenza arti ciale dovrebbero essere progettate per migliorare e aumentare ciò che gli umani possono fare. Si può dire che non vi è niente di arti ciale, nel senso di non umano, nell’IA, così come non vi è niente di arti ciale nell’energia elettrica, nel motore a vapore, nella stampa a caratteri mobili ecc., nel senso che nessuno direbbe mai ‘stampa arti ciale’, ‘elettricità arti ciale’ o simili. E allora bisognerebbe dire intelligenza delle macchine, o capacità computazionale delle macchine, piuttosto che IA. È come se per la prima volta si fosse usciti dalla fase sperimentale della computazione digitale, iniziata con Turing e poi de nita nel 1956, e si cominciasse solo ora a fare sul serio. Vi è una sorta di indicazione loso ca, per cui fare intelligenza arti ciale signi ca avere una visione sugli umani, su cosa deve essere l’umanità che vogliamo per il futuro. Si tratta di una visione fondata scienti camente, che parte dal mondo della stessa intelligenza arti ciale e da un settore come quello della visione, che è cruciale. Parte da scienziati che sollecitano una ri essione etica, una sollecitazione che tende a colmare un de cit segnalato anche nel rapporto Elsevier di cui si è parlato sopra (paragrafo 2.1). E l’etica incrocia il diritto al livello dei diritti umani, come si vedrà a partire dal Capitolo 2. La visione di Fei-Fei Li si collega con le ri essioni di Joshua Greene, quando dice che nché non capiremo meglio come funziona la cognizione umana e nché non faremo dei passi decisivi su questo piano, non faremo neanche dei passi decisivi sull’intelligenza arti ciale ‘generale’. 5. Funzionamento del cervello umano e intelligenza artificiale generale Il problema non è solo lo sviluppo di macchine più potenti, ma quello dell’architettura cognitiva. Se l’idea è quella di agente intelligente, anche se non necessariamente «creature arti ciali che in contesti appropriati appaiano come persone», è importante il modello di intelligenza che si assume come riferimento. Prima e piuttosto che imbarcarsi nella diatriba «i computer sono più o meno intelligenti degli umani», pare interessante porsi il problema: «a che punto siamo nella comprensione del funzionamento del cervello umano». Secondo Joshua Greene, professore di psicologia a Harvard, gli umani hanno una capacità il cui funzionamento non è ancora noto, e cioè la capacità di considerare tutti i tipi di idee, pur senza credere nel fatto che esse siano vere (una funzione fondamentale nella piani cazione delle azioni e nell’immaginare possibilità che ancora non esistono in realtà). Cercare di capire come gli uomini facciano ciò è un passaggio essenziale per tentare di costruire un’intelligenza arti ciale generale (artificial general intelligence)19, che è quella altrimenti chiamata human-level AI oppure strong AI (per la distinzione con la light o so AI, vedi Capitolo 3). Sostiene Greene che quello che stiamo tentando di fare è capire come i nostri cervelli siano capaci di una cognizione di alto livello. In termini tecnici si può parlare di una semantica composizionale, o di una semantica composizionale multimodale. Questo signi ca, in parole più semplici, cercare di capire come il cervello prende i concetti e li mette insieme in modo da comporre un pensiero, così che si possa leggere una frase come «il cane ha inseguito il gatto», e si capisca che essa signi ca qualcosa di diverso da «il gatto ha inseguito il cane». Gli stessi concetti sono coinvolti, «cane», «gatto», «inseguire», ma il nostro cervello è capace di mettere le cose insieme in modi diversi al ne di produrre un diverso signi cato. Molto di quello nel quale l’apprendimento automatico (machine learning) ha avuto successo è stato sul versante della percezione, riconoscendo oggetti, o quando si tratta di andare dalla visione al linguaggio, semplicemente etichettando scene che sono già familiari, così che si possa mostrare un’immagine di un cane che insegue un gatto e sia possibile che essa dica qualcosa come «cane che insegue gatto». Greene prosegue affermando: Non si può realmente comprendere qualcosa se non si prendono certe parole e le si collega signi cativamente alle cose che si possono vedere o toccare o sperimentare in modo sensoriale. Così pensare è qualcosa tra le immagini e tra le parole. […] quello che il mio laboratorio sta cercando di fare è capire come questo aspetto centrale, ma veramente poco compreso, dell’intelligenza umana funziona. Come noi combiniamo i concetti in modo da formare pensieri. Come può lo stesso pensiero essere rappresentato in termini di parole contro cose che si possono vedere o sentire con gli occhi e con le orecchie della tua mente? […] Penso che non abbiamo ancora capito il caso umano, e la mia ipotesi è che ovviamente è qualcosa che per intero sono i neuroni a fare, ma queste capacità non sono ben catturate dagli attuali modelli di reti neurali. […] Se si vuole veramente costruire un’intelligenza generale arti ciale, si deve iniziare con le conoscenze consolidate sulla cognizione, e non solo cercando di costruire qualcosa che possa, ad esempio, leggere frasi e dedurre cose da quelle frasi. Il problema è, quindi, duplice. Il cervello umano è certamente complicato e lungi dall’essere compreso20, mentre l’intelligenza arti ciale generale, che si sta cercando di replicare nelle macchine, esiste solo negli esseri umani. Ma non è etico fare sperimentazione sugli umani a questo livello. È probabile che lo sviluppo della ricerca su organoidi cerebrali (sviluppati con materiale umano ma fuori dal corpo umano) possa aprire nuove strade di ricerca. 6. Grandi progressi, grandi questioni aperte e timori infondati Il riconoscimento delle immagini è il settore nel quale vi sono stati i maggiori progressi, grazie a innovazioni algoritmiche e investimenti in infrastrutture, ad esempio, nell’hardware utilizzato per addestrare il sistema o nel soware utilizzato per connettere questo hardware. La velocità di addestramento di un algoritmo di ImageNet, a novembre 2018, è stata 16 volte maggiore rispetto a quella di giugno 2017. Il tasso di errore dell’etichettatura automatica di ImageNet è diminuito dal 28% nel 2010 a meno del 3% nel 2016, mentre le prestazioni umane, che sono il punto di riferimento, sono circa al 5% di errore. Questi dati, raccolti dall’AI Index 2018 Report21 dell’Università di Stanford, ci dicono di un settore in grandissima espansione, con risultati che superano quelli umani e che ha grandi implicazioni a livello sociale e giuridico, come possibilità di controllo delle pubbliche autorità (e non solo) su tutti i cittadini (vedi Capitolo 7). Vi sono, allo stesso tempo, questioni di grande importanza tuttora aperte, e che vengono realisticamente segnalate nello stesso Index22. Per esempio, se si vuole che l’intelligenza arti ciale aumenti l’intelligenza umana anziché sostituirla, è importante passare da ambienti nei quali le macchine sono opposte agli umani (human vs machine) a ambienti dove umano e macchina lavorano insieme. Inoltre, i sistemi di domande/risposte basati sull’intelligenza arti ciale (che sono molto utili in vari campi) non hanno la capacità di sostenere un dialogo. La profonda comprensione del linguaggio naturale è ancora una s da, così come le capacità di ragionamento del buon senso. Ancora, l’apprendimento automatico ha molto successo in molte applicazioni, poiché può scoprire correlazioni nascoste all’interno di enormi quantità di dati. Ciò consente di fare previsioni molto accurate, ma non dà informazioni circa i rapporti di causalità. Questo vuol dire che, in settori come il diritto, la strada da compiere è ancora lunga per arrivare a usi diffusi da parte di cittadini e professionisti (vedi Capitoli 3 e 4). Vi sono poi i timori di vari personaggi anche autorevoli secondo i quali le macchine supereranno gli umani. L’idea che l’intelligenza arti ciale possa signi care la ne della razza umana e che i robot possano rimpiazzare l’umanità, perché capaci di un’evoluzione più celere di quella biologica è stata espressa da Stephen Hawking in più occasioni, tra le quali una molto nota intervista alla BBC23. La preoccupazione è quella dell’avvento di macchine dotate di un’intelligenza superiore a quella umana, che possano migliorare autonomamente la loro architettura e realizzare quella che Vernor Vinge già nel 1993 aveva chiamato singularity24 (Vinge 1993) e che nel lm Transcendence (2014) con Johnny Depp e Morgan Freeman prende il nome di transcendence25. Il commento di Roger Penrose su queste posizioni è tranchant: non sono le machine di per sé ad essere pericolose, più pericoloso delle macchine è il pensiero che esse possano essere migliori di noi26. Intanto, pare utile segnalare tre ragioni che fanno ritenere infondato questo timore, almeno per un (non sappiamo quanto) lungo periodo. In primo luogo, lo sviluppo dell’apprendimento automatico (dove il soware può apprendere e migliorare sé stesso) richiede la disponibilità di una grandissima quantità di dati, che siano selezionati con l’aiuto di un umano che confermi la corretta identi cazione dell’oggetto (come, per esempio, un’automobile o un umano). E anche quando, per esempio, un sistema venisse alimentato con libri di progettazione e ingegneria delle auto, potrebbe evidenziare e riassumere le informazioni chiave, ma non potrebbe mai progettare una nuova auto. In secondo luogo, ad oggi la potenza di calcolo delle macchine non può avvicinarsi a quella di un umano. La situazione potrebbe cambiare con i computer quantistici, che non è dato prevedere quando saranno disponibili per l’uso corrente27. Intanto, è certo che, sulla base dei principi di ingegneria, «l’attuale tecnologia dei circuiti integrati che alimenta le capacità computazionali dei computer convenzionali non sarà mai in grado di replicare il cervello umano, tanto meno superarlo nelle capacità intellettuali»28. In ne, non possiamo progettare macchine che superino ciò che non comprendiamo ancora del tutto, cioè l’essere umano. La matematica computazionale, che ha alimentato gli attuali progressi dell’IA, si è avvalsa di reti neurali, ispirate al cervello umano. Ma la scienza moderna non comprende ancora no in fondo come funzioni il cervello, questione decisiva della quale si parlerà nei prossimi paragra . Una prima indicazione si può trarre da questa esposizione dei progressi, delle questioni aperte e dei timori. I progressi consentono importanti applicazioni sulle quali è necessario che si sviluppi un dibattito pubblico, mentre per il resto è bene che tecnici e scienziati vadano avanti con un dialogo non terroristico avviato con la società. In generale negli ultimi anni si è affermato un approccio IA for good. Ne sono prova McKinsey Tech for Good’: Using technology to smooth disruption and improve well-being29 oppure l’«AI for Good» Global Summit 2018, svoltosi a Ginevra (Svizzera) il 15-17 maggio 2018 e, in qualche modo, anche l’iniziativa della Stanford University di cui si è detto sopra. Sullo sfondo è sempre presente l’idea della neutralità della tecnologia e che l’IA è all’origine di gravi pericoli ma può al tempo stesso essere la soluzione30. Tess Posner indica una via diversa. Non si preoccupa solo degli algoritmi non etici o dell’IA che prende una cattiva strada, e sta forgiando un percorso diverso, che conduce in una direzione più positiva. Come CEO di AI4ALL, Tess lavora per aumentare la diversità e l’inclusione nell’intelligenza arti ciale. AI4ALL crea pipeline per talenti sottorappresentati attraverso programmi di istruzione e tutoraggio negli Stati Uniti e in Canada, che offrono agli studenti delle scuole superiori un’esposizione precoce all’IA per il bene sociale. Il suo motto è: «l’intelligenza arti ciale cambierà il mondo; chi cambierà l’intelligenza arti ciale»31. 7. Qualche considerazione finale Sulla base di questi pochi, essenziali, elementi è possibile fare alcune considerazioni. Russell e Norvig, in una delle prime pagine del loro pluricitato lavoro, affermano che «l’IA si può applicare a ogni sfera del pensiero umano: è un campo davvero universale»32. Se questo è vero, ne consegue che l’esperienza di IA fatta in un qualsiasi campo del sapere umano è, almeno potenzialmente, patrimonio condivisibile in tutti i campi, con effetti che sono (o forse non sono) facili da immaginare: un accordo musicale o un progetto di architettura o un concetto giuridico possono avere in comune la medesima struttura. Allora, si può scoprire che alcune metafore non sono soltanto un ‘prestito’ da una disciplina all’altra per guadagnare un punto di vista diverso su un campo in cui si è bloccati da vecchie assunzioni e idee, ma qualcosa che esprime che alcuni percorsi logici e conoscitivi sono condivisi. Messa in un modo diverso, l’interdisciplinarietà passerebbe dall’essere faticoso esercizio di transazioni all’essere ricerca di sostrati condivisi, che possono realmente far avanzare la conoscenza. Nel capitolo nale di questo libro, si farà ricorso a metafore come «molecole» oppure «sistema immune» per tentare una spiegazione del modo di essere del diritto oggi: sono solo metafore? Inoltre, sin dall’inizio della moderna intelligenza arti ciale è chiaro che l’interesse, piuttosto che verso la mera capacità di computazione pratica, è quello di riprodurre il funzionamento del cervello umano in macchine con capacità cognitive, che possano imparare dall’esperienza e essere in grado di modi care le proprie istruzioni, quindi macchine che si adattano e cambiano. Ciò si trova esplicitamente sia in Turing (vedi sopra, paragrafo 2), sia nel lavoro di Newell e Simon del 196133, alla cui base si poneva il vero interesse nel confronto della sequenza dei passi del ragionamento compiuto dal programma con un’analoga sequenza prodotta da soggetti umani. Ciò è all’origine di un limite conoscitivo che porta gli umani a riprodurre quella che considerano la migliore intelligenza disponibile, cioè quella umana. Ed è alla base di quell’atteggiamento inerziale che porta a usare un linguaggio antropomorfo e, quindi, ad antropomor zzare le macchine che produciamo. Visto in questa ottica, anche lo «Human Brain Project», il colossale piano di ricerca nanziato dall’Unione europea, che ha lo scopo di riprodurre in silico l’attività cerebrale, non appare altro che uno sviluppo che parrebbe inevitabile di qualcosa intravisto già molti decenni prima e che è diventato possibile (anche se pur sempre controverso) proprio per il relativo sviluppo delle capacità computazionali delle moderne macchine. Ma l’antropomor smo è capace di vendicarsi svelando i limiti (se non la pochezza) del concetto di intelligenza umana che si assume e che si proietta sulle macchine. Per esempio, è interessante che Russell e Norvig, nell’esporre l’approccio razionalista in IA e nel distinguere tra «comportamento umano» e «comportamento razionale», debbano precisare, in modo che pare un po’ imbarazzato, che «non stiamo implicando che gli esseri umani siano ‘irrazionali nel senso di emozionalmente instabili’ o siano pazzi»34. Ne emerge una visione riduttiva dell’intelligenza e della stessa razionalità umana, che sembra ignorare gli sviluppi delle ultime decadi della ricerca neuroscienti ca a proposito del ruolo delle emozioni nei processi cognitivi35. Un discorso a parte merita la coscienza nelle macchine. Anche in quel caso è necessario distinguere tra quello che è oggi tecnicamente possibile (l’opinione prevalente esclude che possa esservi oggi nelle macchine, fatta eccezione per le ricerche di Gianni Tononi e di pochi altri: vedi Capitolo 7) e l’idea di coscienza che assumiamo quando ne neghiamo la possibilità nelle macchine, e cioè l’idea della coscienza in noi animali umani. Invece, la ricerca neuroscienti ca negli animali non-umani porta a dire che la coscienza non sia di un solo tipo e che, di conseguenza, non sia misurabile su un’unica scala (come si vedrà nel Capitolo 7). Traduzione mia da Fei-Fei Li: «ere’s nothing arti cial about AI. It’s inspired by people, it’s created by people, and – most importantly – it impacts people. It is a powerful tool we are only just beginning to understand, and that is a profound responsibility»; https://www.wired.com/story/fei-feili-arti cial-intelligence-humanity/ (visitato il 28 marzo 2019). 2 COPELAND 2017. 3 SARTOR 2010, pp. 44-45. 4 L’esperienza di Babbage e i lavori di Turing del 1936 (TURING 1936) e del 1947 (TURING 1947) sono utilizzati nella ricostruzione di COPELAND 2017. 5 «More interested in the possibility of producing models of the action of the brain than in the practical applications to computing», traduzione mia dal testo riportato in COPELAND 2017. L’autore riferisce anche delle interazioni tra il progetto di Turing e quello di von Neumann (p. 12 ss). 6 RUSSELL – NORVIG 2010, p. 24. 7 RUSSELL – NORVIG 2010, p. 23. 8 CUCCHIARA 2018 nota che, al momento, i nanziamenti in Italia non sono paragonabili a quelli nei Paesi UE e nel resto del mondo. 9 Commento di Toby Walsh in SHOHAM et al. 2018, p. 65. 10 Rapporto Elsevier https://p.widencdn.net/jj2lej/ACAD-RL-AS-RE-ai-report-WEB, p. 33. 11 Elsevier Report, ArtificiaI Intelligence: How knowledge is created, transferred, and used. Trends in China, Europe, and the United States, https://p.widencdn.net/jj2lej/ACAD-RL-AS-RE-ai-report-WEB: «e AI eld has multiple de nitions, but lacks a universally agreed understanding. AI means different things to different people: there are more differences than commonalities in how AI is spoken about in education, research, industry, and the media». 12 RUSSELL – NORVIG 2010, p. viii (traduzione italiana Pearson Italia, Milano-Torino, 2010, p. XVIII). 13 Traduzione mia da BRINGSJORD – GOVINDARAJULU 2018, p. 1 e nota 1. 14 Digital intuition, in «Nature», 28 January 2016, vol. 529, 437 1 Intervista a Mark Mézard raccolta da Nuccio Ordine, apparsa su «La Lettura» 27 gennaio 2019, p. 12 (L’intelligenza artificiale? Non è intelligente). 16 Si veda l’intervista di Roger Penrose, raccolta da Charlotte Kan, in occasione del «AI for Good» Global Summit 2018, svoltosi a Ginevra (Svizzera) il 15-17 maggio 2018: https://www.youtube.com/watch?v=dpSpwzyO0vU (visitato il 23 marzo 2019). 17 Stanford Institute for Human-Centered Arti cial Intelligence, https://hai.stanford.edu/news/stanford-s-new-institute-will-unite-humanities-and-computer-sciencestudy-guide-and-develop dove si trovano le dichiarazioni dei due co-direttori, Fei-Fei Li e Etchemendy. In particolare Fei-Fei Li dichiara: «e creators of AI need to represent humanity. is requires a true diversity of thought across gender, age, and ethnicity and cultural background as well as a diverse representation from different disciplines». 18 https://www.wired.com/story/fei-fei-li-arti cial-intelligence-humanity/ (visitato il 28 marzo 2019). 19 PERRY 2019. Di seguito sono riportati alcuni passi salienti da me tradotti. 20 BERGSTEIN 2019. 21 SHOHAM et al. 2018. 22 Francesca Rossi, commento in SHOHAM et al. 2018, p. 64. Di Francesca Rossi si veda anche ROSSI 2019. 23 CELLAN-JONES 2014. Stephen Hawking warns artificial intelligence could end mankind, http://www.bbc.com/news/technology-30290540 (visitato il 26 agosto 2019). Su queste, che ho chiamato «paure trascendenti», rinvio al mio SANTOSUOSSO 2016, p. 298. Si veda anche HAWKING et al. 2014. 24 VINGE 1993. 25 Su una lunghezza d’onda simile si veda RUSSELL 2019, che assume che prima o poi le macchine riusciranno ad avere comprensione di quello che fanno. 26 Intervista di Roger Penrose, professore di Matematica presso l’Università di Oxford, raccolta da Charlotte Kan, in occasione dell’«AI for Good» Global Summit 2018, svoltosi a Ginevra (Svizzera) il 15-17 maggio 2018: https://www.youtube.com/watch?v=dpSpwzyO0vU (visitato il 23 marzo 2019). Molto critica anche MITCHELL 2019. 27 GIBNEY 2019, p. 46. 28 LANCE 2018, che illustra le tre limitazioni. 29 https://www.mckinsey.com/featured-insights/future-of-work/tech-for-good-using-technologyto-smooth-disruption-and-improve-well-being, visitato il 26 agosto 2019. 30 WALSH 2019. 31 AI Will Change the World, Who Will Change AI? Why diversity and inclusion matters di Tess Posner (https://www.youtube.com/watch?v=9zony2pjNes, visitato il 28 marzo 2019). Sulle attività di Tess Posner si veda: https://houseoeautifulbusiness.com/bio-tess-posner (visitato il 28 marzo 2019). 32 RUSSELL – NORVIG 2010, p. 3. 33 RUSSELL – NORVIG 2010, p. 6. 34 Traduzione mia dall’originale «By distinguishing between human and rational behavior, we are not suggesting that humans are ‘irrational in the sense of emotionally unstable’ or insane. One merely needs to note that we are not perfect: not all chess players are grandmasters; and, unfortunately, not everyone gets an A on the exam»: RUSSELL – NORVIG 2010, p. 2. 35 Sulla differenza tra intelligenza e pensiero razionale si veda Return to Reason: e Science of ought, numero monogra co di «Scienti c American» (ottobre 2018). 15 2. Il diritto e l’intelligenza artificiale […] but how could such reasoning apply to tasks like those a hawk tackles when swooping down to capture scurrying prey?1 1. IA, diritto e logica: una correlazione necessaria? Il diritto visto dall’IA Il diritto costituisce un ricco banco di prova e un importante campo per lo sviluppo di un’intelligenza arti ciale basata sulla logica, in particolare per quanto riguarda i modelli logici di argomentazione giuridica. Secondo un’opinione autorevole, l’attività di creazione e applicazione del diritto comporta l’elaborazione di informazioni, il prendere decisioni e la comunicazione delle stesse. A sostegno dell’importanza della logica si fa giustamente notare che il diritto è parte della società e che questo rende la logica particolarmente rilevante per il diritto, poiché esso deve essere compreso da chi è destinatario di eventuali restrizioni e la sua applicazione deve essere spiegata e giusti cata. Sono, quindi, importanti la chiarezza dei signi cati e la coerenza dei ragionamenti, e quindi l’uso appropriato della logica2. Naturalmente questo non signi ca che il diritto possa agevolmente essere rappresentato con formule matematiche o in un linguaggio formale e che, una volta fatto questo passaggio, le conseguenze giuridiche possano scaturire automaticamente per deduzione. Ciò non è possibile perché, secondo Prakken e Sartor, il diritto non è soltanto un sistema concettuale e assiomatico, ma ha obiettivi ed effetti sociali, e poi perché, anche nel caso di produzione legislativa in senso proprio, la norma viene nel tempo chiamata a essere applicata in circostanze non previste al momento della sua approvazione, senza contare le formule astratte come «buona fede», «correttezza», «abuso di segreti industriali» o del diritto in generale, o «ragionevolezza», tutte formule che richiedono di essere tradotte in norme aventi un contenuto concreto. Quindi, concludono gli autori, l’orientamento del diritto al futuro e a situazioni non previste, la tensione tra i termini generali nei quali è formulata la legge e i casi concreti ai quali va applicata, e la natura con ittuale (adversarial) delle procedure (dove ogni parte punta a convincere il giudice della giustezza della sua tesi), tutto ciò fa si che il ragionamento giuridico vada oltre il signi cato letterale delle norme di legge. È, quindi, necessario uno studio dell’argomentazione giuridica (formal and computational study of argumentation), un settore nel quale vi sono non solo da applicare le tecniche di IA, ma anche da sviluppare esperimenti e ricerche che possano rappresentare un avanzamento proprio di quelle tecniche. Evidentemente il tema è complesso e comprende numerosi pro li sia teorici, sia giuridici pratici. A livello teorico, vi è per esempio il rapporto tra linguaggio formale, visto da alcuni come lingua universale del diritto del futuro, e il perdurare del diritto espresso nei mille linguaggi naturali (vedi avanti, Capitolo 8). E si può, anche, ricordare che il fatto che la logica possa essere un utile strumento in ambito giuridico non signi ca sposare una logica monotonica, secondo la quale «se si accettano le premesse di un’inferenza conclusiva se ne debbono necessariamente accettare anche le conclusioni», mentre sono ormai prevalenti, specie in ambiti ad alta incertezza, le cosiddette logiche non monotoniche, come per esempio la defeasible logic, secondo la quale, posta una certa premessa, dalla quale discende una certa conseguenza (secondo la logica monotonica), si può accettare di dover cambiare la conclusione se una nuova informazione rivela l’erroneità dell’inferenza prima ottenuta. L’esempio divenuto classico nel campo dell’IA è il seguente: se io dico che Tweety è un uccello, l’ascoltatore deduce che Tweety può volare, ma se io poi lo informo che Tweety è un pinguino, l’inferenza evapora di conseguenza, com’è giusto che sia3. La logica è rilevante, a livello giuridico pratico, a proposito dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali e della pubblica amministrazione, dei quali si parlerà nel Capitolo 4. 1.1 Coke, Holmes e la… scurrying prey La questione dei rapporti tra diritto e logica (e quale logica) si intreccia con le tradizioni giuridiche e con gli orientamenti presenti nel dibattito sull’IA. Quanto alle tradizioni giuridiche sia sufficiente ricordare i due principali orientamenti, di tipo razionalistico e di tipo pragmatico o storico, i cui due campioni sono Sir Edward Coke, secondo il quale «reason is the life of the law, nay the common law itself is nothing else but reason», e Oliver Wendell Holmes Jr., che apre il suo volume e Common Law, con l’affermazione provocatoria «the life of the law has not been logic». Inglese il primo, americano il secondo, in pieno Seicento il primo e a ne Ottocento il secondo, sono diventati l’emblema dei due principali orientamenti circa il ruolo della razionalità nel diritto: orientamenti che segnano un discrimine che, per certi versi, è più importante di quello tra common law e civil law4. Sull’altro fronte (quello tecnologico), va ricordato il ruolo dell’approccio logicista nelle famiglie dell’IA. Nell’ambito della ricerca sull’IA sono presenti tre principali orientamenti5: un’impostazione logicista e una non-logicista. La seconda ha al suo interno un approccio simbolico, ma non logicista, e altri approcci connessionisti e neurocomputazionali. L’impostazione logicistica dell’IA, nel contesto della creazione di un agente intelligente, è stata così sintetizzata: «un agente intelligente riceve percezioni dal mondo esterno sotto forma di formule in alcuni sistemi logici (ad es. logica del primo ordine), e deduce, sulla base di queste percezioni e della sua base di conoscenze, quali azioni dovrebbero essere eseguite per garantire gli obiettivi dell’agente». Ma, se si prova ad applicare il modello di tipo logicistico non solo a set limitati di dati e decisioni, ma ad ampi settori di attività cognitiva, la complessità di calcolo diventa tale da rendere difficile da capire «come potrebbe un tale modo di ragionare applicarsi a compiti come quelli che un falco affronta quando piomba verso il basso per catturare una preda in corsa (scurrying prey)». È un po’ lo stesso tipo di domanda che si può porre ai sostenitori della tesi secondo la quale tutto il diritto è computabile, prima o poi sarà reso in linguaggio formale e il linguaggio naturale sarà soppiantato (si veda Capitolo 8). Perché il diritto è un po’ una scurrying prey! All’interno dell’approccio non logicista neurocomputazionale si collocano i ricercatori che utilizzano i network neurali arti ciali (artificial neural networks): e main distinction is between feed-forward and recurrent networks. In feed-forward networks like the one pictured immediately above, as their name suggests, links move information in one direction, and there are no cycles; recurrent networks allow for cycling back, and can become rather complicated. […] e backpropagation method for training multilayered neural networks can be translated into a sequence of repeated simple arithmetic operations on a large set of numbers6. L’aspetto interessante è che questi diversi orientamenti, per quanto presenti sin dalle origini della moderna IA e pur partendo da presupposti e impostazioni diverse l’uno dall’altro, sono sempre più spesso usati congiuntamente, in modo da essere interoperabili, ed è acquisito il concetto che, se si vogliono costruire dispositivi funzionanti in modo efficiente e conveniente, bisogna usare tutti gli approcci e le tecniche disponibili. Per esempio, è questo il tipo di impostazione seguito con l’architettura di DeepQA di Watson (IBM) e da Google DeepMind AlphaGo. Quello che forse è ancora più interessante è che questo approccio con più sistemi è alla base di quello adottato nella recente ripresa della cosiddetta IA di livello umano (human-level AI), di cui si è fatto cenno nel Capitolo 1. A questo punto sorge una domanda: una combinazione dei tre approcci può essere usata anche nel diritto? Si può adempiere all’obbligo di motivazione se si usano i neural networks? L’IA può organizzare anche attività che non appaiano spiegabili in termini razionali? L’approccio logicista tende a escluderlo, perché non è spiegabile, così come sembra escluderlo tutto quel movimento che attualmente punta sulla spiegabilità delle scelte fatte o proposte da sistemi di IA. 2. L’intelligenza artificiale vista dal diritto Ma procediamo con ordine. Il diritto è implicato con l’intelligenza arti ciale in due sensi fondamentali. Il primo riguarda il modo in cui il diritto regola o non regola, per accidente o per scelta, le varie applicazioni dell’intelligenza arti ciale. Il secondo, invece, riguarda il modo in cui è il diritto stesso a essere soggetto a trasformazioni per il fatto di esistere in una realtà sociale ampiamente tecnologizzata, e in via di ulteriore tecnologizzazione, come quella attuale. 2.1 Come cambia il diritto Il secondo pro lo (quello del diritto tecnologizzato) vede il diritto quasi in una posizione ri essiva, d’interrogazione su sé stesso, su come esso sia cambiato, stia cambiando ed è prevedibile che cambi ancora nel prossimo futuro. È un pro lo di grande complessità teorica e pratica. Cercare di capire se i vecchi sistemi di produzione di regole (nazionali, generali e astratte) funzionino in una società intrisa di tecnologia come la nostra. A un primo livello, si potrebbe pensare che il diritto debba cambiare collocazione: non essere più il diritto che dall’esterno regola i fenomeni sociali, ma un diritto coessenziale ai fenomeni stessi da regolare. Si pensi al caso della privacy by design, introdotta nel regolamento europeo sulla protezione dei dati personali (GDPR), e cioè la prescrizione secondo la quale, già in sede di progettazione, si debbano rispettare vincoli di progettazione di determinati prodotti (vedi Capitolo 7). In tal modo la norma giuridica appare coessenziale al dispositivo tecnico e al modo in cui è progettato. Rimane, ovviamente, una differenza tra il piano tecnico e quello giuridico, ma vi è una prossimità concettuale e operativa che è degna di nota e di più approfondita analisi. Qualcosa del genere accade anche per gli smart contract, dove l’ambiente tecnologico nel quale si colloca l’accordo tra le parti (nucleo essenziale per potersi parlare di un contratto) non è più ‘ambiente’ di qualcosa sorto altrove ma ‘linguaggio del contratto’ e possibilità di sua esecuzione e di far fronte alle fasi patologiche dello sviluppo della relazione economica (inadempimento, violazioni dei patti e altro ancora)7. In altri casi il rapporto tra diritto e tecnologia assume connotati anche diversi. Vi è però un momento in cui, tirando le somme di tutti questi cambiamenti, legati all’intelligenza arti ciale, ma già avviati nel corso degli ultimi decenni per effetto dei cambiamenti sociali che sono addirittura precedenti alle stesse tecnologie di tipo informatico, ci si deve chiedere come il diritto stesso stia cambiando e sia cambiato nella sua intrinseca natura e nel modo in cui può essere concepito. Qui si pone un problema teorico che riguarda la concezione stessa del diritto, cosa esso sia e come viva. A questo sarà dedicato l’intero capitolo nale di questo volume. 2.2 Regole! Regole! Ma quali? È necessario chiedersi quale debba essere la risposta alla generale invocazione di regole (il primo modo in cui si presenta l’IA allo sguardo giuridico). Quando l’UNESCO formula auspici per una regolazione internazionale, anche se di base o minima, dell’intelligenza arti ciale, formula una richiesta che appartiene al primo genere di rapporto tra intelligenza arti ciale e diritto, così come quando l’Unione Europea auspica regolamentazioni a proposito, o introduce il Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali (GDPR), che, in alcuni articoli, regola fenomeni che sono collegati alle applicazioni dell’intelligenza arti ciale. Alla stessa categoria è da ascrivere anche la dichiarazione di Zuckenberg, il quale sostiene che sia il momento che anche negli Stati Uniti venga recepita la normativa europea in materia di protezione dei dati (si veda avanti). A Singapore ci si è posti il problema della protezione dei dati personali in questi termini: A model framework for AI by Singapore’s Personal Data Protection Commission (PDPC), launched by Minister for Communications and Information S. Iswaran at Davos in January, emphasises the importance of human-centricity and transparency. In essence, the individual consumer or customer should be the focus of AI design and deployment, and decisions made by AI should be explainable and fair8. Che siano necessarie regole, e possibilmente universali, per l’intelligenza arti ciale è il mainstream del momento, tanto che qualcuno arriva a dire che «regolamentare l’intelligenza arti ciale è più urgente che affrontare il problema del global warming» perché «la dipendenza dagli algoritmi sta distruggendo la ducia dei cittadini nei loro governi e nella democrazia». L’algoritmo — un codice costruito per risolvere un problema — risente delle visioni del mondo e dei pregiudizi di chi l’ha sviluppato, ma non si può rinunciare alla cultura degli algoritmi, visto che «anche gli umani sono tutt’altro che perfetti: i magistrati in carne e ossa hanno i loro pregiudizi e l’intelligenza arti ciale diagnostica il cancro meglio di un oncologo». È necessaria però trasparenza e che chi disegna gli algoritmi sia consapevole delle conseguenze sociali9. Anche il rapporto 10 imperativi per l’Europa nell’era dell’IA e dell’automazione, pubblicato dal McKinsey Global Institute nell’ottobre 2017, richiama in più parti la necessità di un chiaro quadro normativo che consenta alle aziende del settore di svilupparsi anche oltre i con ni nazionali dei singoli Stati europei10. Per altro verso, vi sono segnali di una applicazione di sistemi sanzionatori già esistenti. Ricorda Giovanni Pitruzzella, in un articolo, tre fatti che meritano una ri essione: la decisione della Federal Trade Commission di multare Facebook per la violazione della privacy nel caso Cambridge Analytica (12 luglio), la legge approvata dall’Assemblea nazionale francese in prima lettura contro la diffusione dei discorsi d’odio su Internet (9 luglio) e le conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa davanti la Corte di giustizia dell’Unione Europea sulla responsabilità di Facebook per la diffusione di contenuti diffamatori (4 giugno)11. Gli esempi possono continuare a conferma dell’orientamento oggi prevalente nel senso di introdurre regole per l’IA. In realtà è facile a dirsi, meno facile a farsi, perché introdurre regole è tutto tranne un’operazione meramente tecnica o neutrale. Molti sono gli aspetti: cosa regolare dell’IA? Cosa regolare e cosa lasciare all’evoluzione spontanea di tecnologie ad alta velocità di trasformazione? Quale tipo di regole adottare: tecniche, professionali, etiche, giuridiche? Emesse da chi? Nei prossimi paragra viene tracciata una mappa di questi aspetti. 2.3 Cosa regolare dell’IA? In modo schematico si può dire che gli aspetti da regolare riguardano a) cosa è l’IA, b) cosa fa l’IA, c) quali effetti ha l’IA12. Nel campo di «cos’è» l’IA (ovvero set di dati, modelli e previsioni) vanno considerati i bias e la correttezza, la responsabilità e la riparabilità, la trasparenza, l’interpretabilità e la spiegabilità. Nel campo di «cosa fa» l’IA emergono i problemi della sicurezza, dell’interazione uomo-intelligenza arti ciale, dell’uso dannoso, della privacy. In ne, nel campo degli «effetti» dell’IA le questioni riguardano l’automazione, la perdita di posti di lavoro e le tendenze del lavoro, l’impatto sulla democrazia, sui diritti civili e sull’interazione uomo-uomo. La questione degli usi militari è particolarmente delicata e la meno regolata13. 2.4 L’opzione tecnologica senza interventi esterni Tim Berners-Lee, uno dei padri di Internet, sta lavorando a un progetto (Solid), che punta esattamente a ribaltare i termini tecnici del problema e che lo porta a dire: «We could end up with a really interesting world in which the privacy question is turned upside down. So there you go! is is Solid. at’s the idea»14. Nel dilemma se puntare su regole poste dall’esterno oppure sulla creatività dei cultori di Internet e sullo sviluppo tecnologico, Tim BernersLee è un chiaro esempio del secondo approccio, che cambia l’impianto del web, lo decentralizza radicalmente, e potrebbe così ridurre il potere di quei grandi soggetti economici che attentano ai diritti degli utenti della rete e dei sistemi di IA e «restituire le informazioni nelle mani degli utenti». Vi è anche chi fa notare che è troppo presto per tentare un sistema generale di regolazione dell’IA e che la trasparenza richiesta ex ante può limitare l’uso di alcune tecnologie come i neural networks, concludendo che «una saggia inattività nel porre regole è probabile che produca un miglior risultato a lungo termine rispetto a una corsa a regolare nell’ignoranza»15. Nel dilemma «regolare-non regolare», come si inserisce la mera attività di ricerca? A mio avviso la questione si pone per le «applicazioni» dell’intelligenza arti ciale, e non per la «ricerca in sé». Sappiamo bene che, in generale, e specie in questo campo, il con ne tra ricerca e applicazioni non è sempre facile da tracciare. Si pensi, tra i tanti esempi possibili, alla ricerca sulle reazioni emotive dei consumatori rispetto al modo di presentazione di alcuni prodotti nei negozi. Tuttavia, non si può non ribadire che la ricerca nel campo dell’intelligenza arti ciale gode della protezione della libertà di ricerca scienti ca, apprestata sia dalle costituzioni, in particolare quelle europee e italiana, sia da documenti internazionali, come il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, siglato a New York nel 1966 (art. 15). 2.5 Quale tipo di regole adottare: tecniche, professionali, etiche, giuridiche La scelta del tipo di regole è strettamente collegata alla natura dell’oggetto tecnico della regolazione e ha numerose e complesse sfumature. Come è stato osservato in un intervento pubblicato sulla rivista «Proceedings of the IEEE» (la rivista dell’Institute of Electrical and Electronic Engineers) la velocità dei cambiamenti è il problema cruciale, tanto che «se un sistema normativo riuscisse in qualche modo a introdurre nuove regolamentazioni per una tecnologia emergente, esse saranno probabilmente obsolete prima che l’inchiostro si asciughi sull’atto di promulgazione [by the time the ink dries on the enactment]. […] Questo porta i sistemi regolatori tradizionali a produrre nessuna regolamentazione o una cattiva regolamentazione»16. Propongono, quindi, un sistema agile che comprende, tra l’altro, l’introduzione di strumenti di so law che vengono sperimentati e poi, eventualmente, trasfusi in regole giuridiche vincolanti. Urs Gasser, giurista e direttore del Berkman Klein Center (Harvard), in un articolo scritto con Carolyn Schmitt, ricercatrice del medesimo centro, parte dalla considerazione che i sistemi di intelligenza arti ciale (AI) e le tecnologie basate su IA sono regolati da un insieme sempre più complesso di norme giuridiche, etiche, sociali e di altri tipi, che emergono da varie fonti e contribuiscono a ciò che potrebbe essere descritto un «patchwork di norme». È interessante l’attenzione sul ruolo giocato dalle norme professionali e, in particolare, l’interfaccia tra IA e ‘professione’, con un’enfasi su nuove fonti di norme che sorgono all’interno della professione stessa, come i principi aziendali e le richieste dei dipendenti17. Non manca chi propone il vecchio modello dei comitati etici. Mark Mézard non si nasconde i rischi anche gravi che queste tecnologie possono avere, come, per esempio, la creazione di un algoritmo in grado di registrare ogni nostra azione, di sorvegliare ogni istante della giornata, e propone, proprio per evitare questi usi dissennati, la creazione di comitati etici per studiare norme e leggi a tutela della libertà degli individui e nello stesso tempo tracciare limiti invalicabili nell’interesse generale dell’umanità18. A cavallo tra le norme tecniche e quelle etiche si colloca la ricerca sull’etica delle macchine (machine ethics), un campo relativamente nuovo (i cui primi lavori sono stati pubblicati meno di venti anni fa) al quale la rivista «Proceedings of the IEEE» ha dedicato un numero monogra co uscito nel marzo del 2019. La machine ethics affronta il tema di come i sistemi autonomi possono essere impregnati di valori etici: Ethical autonomous systems are needed because, inevitably, near future systems are moral agents; consider driverless cars, or medical diagnosis AIs, both of which will need to make choices with ethical consequences. is special issue includes papers that describe both implicit ethical agents, that is machines designed to avoid unethical outcomes, and explicit ethical agents: machines which either encode or learn ethics and determine actions based on those ethics. […] an ethical machine is guided by an ethical rule, or set of rules, in deciding how to act in a given situation. It follows that we are concerned here with autonomous machines: either soware AIs, or their physically embodied counterpart, robots, which determine how to respond to input without direct human control. Naturalmente vi sono implicazioni regolatorie anche per l’etica delle macchine, in quanto una governance etica è necessaria al ne di sviluppare «standards and processes that allow us to transparently and robustly assure the safety of ethical autonomous systems and hence build public trust and con dence»19. È interessante notare come il dibattito sull’etica delle macchine richiami quella prossimità tra dispositivo tecnico e regola, che si è notato sopra (paragrafo 2.1) a proposito del diritto. Anche nell’etica delle macchine il dispositivo tecnologico non solo ‘ospita’ una regola etica, ma fa vivere nella macchina un elemento disomogeneo rispetto alla mera tecnicalità, che può avere la forza di trasformare la macchina stessa. 2.6 Diritti umani ed etica Si arriva così al dilemma se optare per regole giuridiche o regole etiche. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE, in inglese Organization for Economic Co-operation and Development, OECD), a proposito della regolamentazione delle tecnologie non usa il termine «ethics», ma «human rights», perché ritiene che, se è vero che sia l’etica sia i diritti umani proteggono lo stesso insieme di valori, è anche vero che per i diritti umani già esiste un’infrastruttura giuridica ed è possibile azionare tutele giuridiche per ottenere rimedi effettivi. Per l’etica, invece, non vi è accordo su quale sia l’etica di riferimento (in presenza di una pluralità di etiche) e quale sia l’autorità che abbia titolo a prendere decisioni20. La questione dei diritti umani, in relazione all’etica, è alquanto elusiva e ricca di lost in translation. Come si vedrà nel Capitolo 7, i diritti umani (human rights) vanno a collocarsi in quella fascia alta dei diritti che in alcuni ordinamenti, come quello italiano, possono avere la forza di diritti costituzionali, e in altri quella di meri obblighi morali, che possono essere indistinguibili da posizioni etiche. Per esempio, nell’Unione Europea i diritti umani sono stati istituzionalizzati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (del cui valore giuridico si parlerà nel Capitolo 8), che raccoglie e compendia una serie di altri strumenti normativi europei, per i quali può parlarsi di giuridicizzazione dei diritti umani. Al contrario, il quadro dei diritti umani nei Paesi extra-UE si presenta molto più problematico su fronti che riguardano diritti dei minori, tortura e pena di morte, violenze perpetrate nei confronti delle donne e delle ragazze, assistenza e monitoraggio delle elezioni da parte dell’UE, campi nei quali l’UE si impegna per l’osservanza del diritto internazionale umanitario21. L’Unione Europea si è mossa con una Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo del 25.4.2018, che lancia un’iniziativa europea in tema di IA che ha tra i suoi tre obiettivi, accanto ai temi più strettamente economici e sociali, quello di assicurare un quadro etico e giuridico adeguato, basato sui valori dell’Unione e coerente con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Ciò comprende futuri orientamenti sulle norme esistenti riguardanti la responsabilità per danno da prodotti difettosi, l’analisi dettagliata delle s de emergenti e la collaborazione con i portatori di interessi, attraverso l’Alleanza europea per l’IA, per lo sviluppo di linee guida etiche riguardo all’IA22. L’8 aprile del 2019, lo High-Level Expert Group on Arti cial Intelligence dell’Unione europea ha reso pubblica la versione nale delle Linee guida etiche per un’intelligenza artificiale affidabile (Ethics Guidelines For Trustworthy AI)23. Il documento meriterebbe un’analisi approfondita per la quale non vi è spazio in questa sede. Mi limiterò, pertanto, ad alcune notazioni con un occhio particolare ai rapporti tra etica e diritto. Le linee guida hanno tre basi: una giuridica, una etica e una tecnica. Testualmente affermano: L’IA affidabile ha tre componenti, che dovrebbero essere soddisfatte durante l’intero ciclo di vita del sistema: 1. dovrebbe essere legale, cioè conforme a tutte le leggi e i regolamenti applicabili; 2. dovrebbe essere etica, garantendo l’adesione a principi e valori etici; 3. dovrebbe essere robusta, sia dal punto di vista tecnico che sociale, poiché, anche con buone intenzioni, l’IA i sistemi possono causare danni involontari. L’aspetto etico prende forma in quattro principi, che costituiscono «imperativi etici» ai quali gli operatori devono sforzarsi di aderire: i) rispetto per l’autonomia umana, ii) la prevenzione dei danni, iii) la giustizia e iv) la spiegabilità. Fatto salvo per quest’ultimo principio, che è strettamente legato all’attualità dei sistemi di IA, non è necessario essere esperti di storia della bioetica per sentire la chiara eco dei principi del Belmont Report (USA, 1974), agli albori della bioetica24. Questa volta, però, essi sono radicati nei diritti fondamentali («rooted in fundamental rights»), che il documento sembra intendere nel senso di diritti fondamentali giuridici (legal fundamental rights). Qui si apre un’interessante questione circa il modo in cui il documento stabilisce i rapporti tra diritto e etica. Le linee guida, in modo dichiarato e fedelmente al titolo, non affrontano i problemi giuridici, dando tuttavia alla dimensione giuridica un’importanza di primo ordine. Precisano, infatti, i redattori, in modo persino meticoloso, il quadro giuridico generale europeo, dai documenti di rango sostanzialmente costituzionale, no a norme ordinarie di tipo strettamente regolativo: I sistemi di IA non operano in un mondo senza leggi. A livello europeo, nazionale e internazionale un corpus normativo giuridicamente vincolante è già in vigore o è pertinente per lo sviluppo, la distribuzione e l’utilizzo dei sistemi di IA. Le fonti giuridiche pertinenti sono, a titolo esempli cativo, il diritto primario dell’UE (i trattati dell’Unione Europea e la sua Carta dei diritti fondamentali), il diritto derivato dell’UE (ad esempio il regolamento generale sulla protezione dei dati, le direttive antidiscriminazione, la direttiva macchine, la direttiva sulla responsabilità dei prodotti, il regolamento sulla libera circolazione dei dati non personali, il diritto dei consumatori e le direttive in materia di salute e sicurezza sul lavoro), ma anche i trattati ONU sui diritti umani e le convenzioni del Consiglio d’Europa (come la Convenzione europea dei diritti dell’uomo) e numerose leggi degli Stati membri dell’UE. Oltre alle norme applicabili orizzontalmente, esistono varie norme speci che per settore applicabili a particolari applicazioni di IA (ad esempio il regolamento sui dispositivi medici nel settore sanitario). Su questo tessuto normativo fondano l’etica: Crediamo in un approccio all’etica dell’IA basato sui diritti fondamentali sanciti dai trattati UE, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dal diritto internazionale in materia di diritti umani. Il rispetto dei diritti fondamentali, nel quadro della democrazia e dello Stato di diritto, costituisce la base più incoraggiante per individuare principi e valori etici astratti che possono essere resi operativi nei sistemi di IA. In un punto successivo precisano che il quadro giuridico europeo sopra descritto ha alcune norme che sono legalmente vincolanti, mentre altre riconoscono diritti a persone «in virtù del loro status morale di esseri umani, indipendentemente dalla loro forza giuridica». A questo punto viene precisato che i diritti fondamentali, se intesi come diritti legalmente riconosciuti, ricadono nel primo componente di un’IA affidabile (lawful AI), se invece intesi come «diritti di ciascuno, radicati nello status morale intrinseco degli esseri umani», essi rientrano anche nel secondo componente (ethical AI), che riguarda norme etiche che non sono necessariamente giuridicamente vincolanti. Il quadro non sembra chiarissimo. Se si vuol dire che tra i diritti fondamentali ve ne sono alcuni non riconosciuti come legal rights e che essi possono essere riconosciuti su base etica, il tutto è chiaro: no a un certo punto arriva il diritto e oltre può esservi l’etica, in attesa che il diritto arrivi, quando e se arriva. Ma, se si colloca la distinzione sul concetto di human being, tutto diventa meno chiaro, perché l’ordinamento giuridico può ben riconoscere diritti sulla base della sola qualità di essere umano, come accade in tutti i casi in cui la disposizione usa (o lascia intendere) il termine ‘individuo’ e non ‘cittadino’ (caso emblematico il diritto alla salute che la Costituzione italiana, all’art. 32, riconosce esplicitamente come diritto fondamentale dell’individuo). Ma, per altro verso, è ben possibile che cittadini e/o human beings si vedano negati diritti che, almeno secondo una certa visione etica, sono fondamentali (si pensi ai diritti per le coppie costituite da persone dello stesso sesso). In generale sembra aleggiare una visione positivistica dell’etica, che risulta inscritta nel perimetro del diritto (talora neanche di rango superiore) e che si presenta come oggettivamente e immediatamente comprensibile, perdendo di vista il patrimonio di elaborazioni sulla pluralità delle etiche, che probabilmente è la maggiore acquisizione di decenni di dibattito bioetico. La preoccupazione sembra essere quella di de nire un’etica pubblica, da affiancare strettamente al diritto positivo a mo’ di so law. Regole giuridiche sono, nalmente, quelle contenute nel Regolamento europeo sulla protezione dei dati (General Data Protection Regulation, GDPR, diventato legge in tutti i Paesi dell’Unione il 25 maggio 2018)25 e che toccano aspetti essenziali delle applicazioni di IA. Tra questi basti citare l’articolo 22, che stabilisce il diritto dell’interessato «di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la pro lazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida in modo analogo signi cativamente sulla sua persona» e l’articolo 24, che, sotto la rubrica «responsabilità del titolare del trattamento», introduce il principio di accountability, che responsabilizza maggiormente le aziende al loro interno: Tenuto conto della natura, dell’ambito di applicazione, del contesto e delle nalità del trattamento, nonché dei rischi aventi probabilità e gravità diverse per i diritti e le libertà delle persone siche, il titolare del trattamento mette in atto misure tecniche e organizzative adeguate per garantire, ed essere in grado di dimostrare, che il trattamento è effettuato conformemente al presente regolamento. Va ricordato poi l’articolo 25, che introduce la privacy by design di cui si è già parlato e si parlerà ancora nel Capitolo 7. 2.7 Chi decide sull’introduzione di regole? Le linee guida dell’High-Level Expert Group sono state criticate proprio sul punto del chi decide sulle regole per l’IA. La questione di chi abbia la legittimazione e la forza per de nire e dettare queste regole si è posta nel 2019, proprio in coincidenza con la diffusa richiesta di regole. Ha fatto scalpore l’articolo di Mark Zuckerberg, fondatore e capo di Facebook, pubblicato il 30 marzo 2019 sul Washington Post, con il tono perentorio di chi individua un problema (la necessità di nuove regole) e indica anche la strada da seguire: e Internet needs new rules. Let’s start in these four areas26. L’intervento affronta una pluralità di questioni che, oltre l’intelligenza arti ciale, riguardano anche la rete. Chiede, in generale, un ruolo più attivo dei governi e dei regolatori e, in primo luogo, sollecita un approccio più standardizzato ai contenuti violenti e offensivi, che vada oltre iniziative di singole entità, come il corpo indipendente creato da Facebook per porre reclami contro l’operato della società e la pubblicazione di un rapporto trimestrale sulla trasparenza circa l’effettiva rimozione di quei contenuti offensivi. In secondo luogo, Zuckerberg afferma che una legislazione appropriata è importante per proteggere le elezioni. In terzo luogo, la protezione della privacy e dei dati personali dovrebbe essere armonizzata a livello globale, e propone che venga adottata in tutto il mondo la legislazione europea relativa alla privacy (GDPR). In tal modo si eviterebbe anche la frammentazione di Internet a livello globale. Sono necessarie regole globali chiare su quando un’informazione può essere usata nel pubblico interesse e su come regolare nuove tecnologie come l’intelligenza arti ciale. Sollecita in ne regole conformi al principio di portabilità dei dati, nel momento in cui un cliente passa da un fornitore agli altri. Tanto attivismo e tanto zelo insospettiscono alcuni commentatori, che fanno notare che sarebbe il caso che ognuno facesse la sua parte e, quindi, che i legislatori facessero i legislatori, perché se il legislatore chiede al capo di Facebook come regolare la materia è come se chiedesse alla volpe come meglio custodire il pollaio («It’s sort of asking the foxes how best to guard the henhouse»)27. In un articolo pubblicato l’1 maggio 2019 sulla rivista «Nature», Yochai Benkler, professore di diritto e co-direttore del Berkman Klein Center for Internet – Society (Harvard University), critica l’in uenza che le industrie tecnologiche stanno esercitando per indirizzare la ricerca e la creazione di regole conformi ai loro interessi e chiede alla società di respingere questo tentativo. Benkler si riferisce esattamente alle linee guida europee, di cui si è detto sopra, e alla composizione del gruppo di esperti di alto livello, ma anche al caso del Comitato etico formato da Google e dissolto in una settimana, o al fatto che Facebook ha investito 7,5 milioni di dollari americani in un centro di etica e IA alla Technical University di Monaco di Baviera28. omas Metzinger, un losofo dell’Università di Mainz, in Germania, uno dei cinquantadue membri degli esperti di alto livello europeo, afferma che troppi degli esperti che hanno creato le linee guida provengono o erano in linea con gli interessi del settore (Microso, Facebook e Apple per tutti)29. Metzinger afferma che a un altro membro del gruppo è stato chiesto di redigere un elenco di usi dell’IA che dovrebbero essere vietati. Tale elenco comprendeva armi autonome e sistemi di valutazione sociale del governo simili a quelli in via di sviluppo in Cina. Ma Metzinger sostiene che gli alleati della tecnologia in seguito hanno convinto il gruppo più ampio che non dovrebbe essere tracciata alcuna «linea rossa» attorno agli usi dell’IA30. La questione è ormai sul tappeto e, a fronte di queste esperienze discutibili e discusse, torna interessante, anche se non priva di rischi anch’essa, la proposta di alcuni studiosi, formulata in sede di IEEE, di creare un gruppo internazionale che operi come ‘direttore di orchestra’ nell’elaborare e ipotizzare sistemi di regolazione dell’IA: […] for emerging technologies, such as AI, there would likely be a multitude of governance actors, issues, and programs, both in hard law and so law. e governance coordinating committee (GCC) would be situated outside government but would include participation by government representatives, industry, nongovernmental organizations, think tanks, and other stakeholders. It would not itself have any role in promulgating new governance instruments but rather would act as an ‘orchestra conductor’ for the instruments that have already been promulgated or proposed, analyzing how they t together (or not), where they agree (or not), and where gaps were le which perhaps needed to be addressed. e GCC would also provide a forum for dialog and debate […]31. 3. Una pletora di documenti La diffusa invocazione di regole ha preso anche la forma di una pletora di documenti, rapporti e simili che ogni entità ha ritenuto di dover elaborare a partire dalla propria esperienza e visione. Vi è così un numero crescente di rapporti e linee guida sull’IA e sull’etica – come quelli del Consiglio d’Europa, della Commissione europea, dell’Istituto di ingegneri elettrici ed elettronici (IEEE)32, dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), l’International Telecommunications Union (ITU) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) – che hanno identi cato importanti principi per la progettazione, lo sviluppo e la diffusione dell’IA, senza contare lo House of Lords report nel Regno Unito (House of Lords, 2017) e il rapporto dell’Executive Office del Presidente degli Stati Uniti (2016). In questo quadro l’UNESCO rivendica l’unicità della sua prospettiva, che è universale sia per i Paesi coinvolti sia per la sua competenza multidisciplinare. Ecco perché «l’Organizzazione può veramente fornire una piattaforma globale per il dialogo sull’etica dell’IA, riunendo Paesi sviluppati e in via di sviluppo, diverse prospettive culturali e morali, così come varie parti interessate nell’ambito pubblico e privato», come si afferma nel documento elaborato dal gruppo COMEST nella primavera 201933. Il documento UNESCO si interroga circa la natura del possibile documento normativo (dichiarazione, raccomandazione o convenzione) da sollecitare e giunge alla seguente conclusione: È non solo auspicabile ma urgente che vengano adottate misure per istituire uno strumento globale non vincolante sotto forma di raccomandazione. Una raccomandazione – considerando il suo carattere non vincolante e la sua attenzione ai principi e alle norme per la regolamentazione internazionale di ogni particolare questione – sarebbe un metodo più essibile e più adatto alla complessità delle questioni etiche sollevate dall’IA. Il documento UNESCO premette alcuni principi generali che dovrebbero ispirare lo sviluppo e le applicazioni dell’IA: rispetto dei diritti umani, inclusività, tensione verso il miglioramento della qualità della vita, autonomia degli umani (che devono avere sempre il controllo), spiegabilità e trasparenza del suo funzionamento, creare cultura e conoscenza dell’IA tra i cittadini, costruzione dei sistemi in modo tale che sia possibile attribuire la responsabilità per il loro funzionamento, rispetto dei principi democratici e informazione dei cittadini sugli aspetti di intelligence e sicurezza coinvolti dalla IA, sostenibilità ambientale dell’impatto dell’intero ciclo di produzione di IA e IT. Il documento indica poi alcune preoccupazioni etiche legate alla missione speci ca dell’UNESCO: a. Istruzione: Devono essere perseguiti una IA literacy, il pensiero critico, la resilienza sul mercato del lavoro e l’educazione dell’etica agli ingegneri. b. Scienza: l’IA deve essere introdotta in modo responsabile nella pratica scienti ca e nel processo decisionale basato su sistemi di intelligenza arti ciale, richiedendo la valutazione e il controllo umani; e bisogna evitare che siano esacerbate le disuguaglianze strutturali. c. Cultura: l’intelligenza arti ciale dovrebbe promuovere la diversità culturale, l’inclusività e la crescita dell’esperienza umana, evitando un approfondimento del divario digitale. Dovrebbe essere promosso un approccio multilingue. d. Comunicazione e informazione: l’IA dovrebbe rafforzare la libertà di espressione, l’accesso universale alle informazioni, la qualità del giornalismo e mezzi di comunicazione liberi, indipendenti e pluralistici, evitando al tempo stesso la diffusione della disinformazione. e. Pace: per contribuire alla pace, l’intelligenza arti ciale non dovrebbe mai funzionare fuori dal controllo umano. f. Africa: l’intelligenza arti ciale deve essere integrata nelle politiche e nelle strategie di sviluppo nazionali attingendo a culture, valori e conoscenze endogene al ne di sviluppare le economie africane. g. Sesso: il pregiudizio di genere dovrebbe essere evitato nello sviluppo di algoritmi, nei dataset utilizzati per il loro addestramento e nel loro uso nel processo decisionale. h. Ambiente: l’intelligenza arti ciale deve essere sviluppata in modo sostenibile tenendo conto dell’intero ciclo di produzione dell’IA e dell’IT. L’IA può essere utilizzata per il monitoraggio ambientale e la gestione dei rischi e per prevenire e mitigare le crisi ambientali34. 4. Creature artificiali che in dati contesti possano apparire umani Se vi è, o sembra esservi, un consenso universale sul fatto che gli umani devono essere al centro dello sviluppo dell’IA e se gli umani devono porre regole allo sviluppo di sistemi di IA e se «il principale tema uni cante [dell’IA] è l’idea di agente intelligente» (vedi Capitolo 1), ecco che sorge un tema tipicamente giuridico: chi sono coloro i quali agiscono come controllori o come entità controllate? Il diritto è pienamente coinvolto in quanto sistema regolatore di azioni che entità, umane o artefatti (come le società commerciali), compiono nel contesto sociale. Si tornerà più avanti sul rapporto tra umani e artefatti (Capitolo 7), ma certo quello di agente è concetto chiave anche per il diritto, proprio perché il diritto moderno regola per de nizione le azioni e non le intenzioni o i pensieri, che sono un ambito sotto la protezione di una norma cardine di tutti gli ordinamenti democratici: la libertà di pensiero e di manifestazione del pensiero (che in Italia è sotto l’art. 21 della Costituzione e, a titolo di esempio, rientra nel primo emendamento del Bill of Rights degli Stati Uniti e l’art. 11 della Carta di Nizza). Agenti intelligenti sono, quindi, per gli studiosi di IA, entità arti ciali che «ricevono percezioni dall’ambiente ed eseguono azioni» e che fanno ciò pensando e agendo razionalmente oppure umanamente35. Si può assumere questa come base per lo sviluppo del discorso e muovere verso il campo del diritto, dove abbiamo già detto che il concetto di agente non è estraneo, ma di cui al momento non sappiamo nulla. Per comprendere questo è necessario richiamare una caratteristica essenziale del diritto, almeno quello tradizionale: il diritto usa un linguaggio e lemmi che il più delle volte sono condivisi con il linguaggio naturale non giuridico e che vengono piegati a signi cati tecnici, che sono familiari solo agli addetti ai lavori. Qui di seguito viene tracciato un rapido excursus storico circa il «chi» titolare dei diritti e delle libertà (una vicenda alquanto mossa), rinviando al Capitolo 7 per una descrizione del perimetro del concetto di agente in generale e per il diritto. Le domande cruciali da un punto di vista giuridico sono, dunque, le seguenti: dove il diritto traccia il limite di un agente, che sia considerato tale dal diritto stesso (qualsiasi tipo di diritto: civile, penale, amministrativo), cioè che sia un agente in senso giuridico? Tale limite è o dovrebbe essere coincidente con quello tra cose e persone? 4.1 Una storia di schiavi, di donne e di esclusi Nelle moderne costituzioni e nelle dichiarazioni dei diritti, l’entità biologica umana era, almeno prima facie, l’indiscussa base fattuale del soggetto che la legge considerava titolare di diritti. La Dichiarazione dei Diritti della Virginia (1776) afferma che «all men are by nature equally free and independent and have certain inherent rights, of which, when they enter into a state of society, they cannot, by any compact, deprive or divest their posterity [...]»36. Il Bill of Rights degli Stati Uniti usa la parola ‘persona’ (IV e V emendamento, 1791) e afferma che «nessuno Stato priverà alcuna persona della vita, della libertà o della proprietà, senza un giusto processo di legge; e nemmeno negherà ad alcuna persona nell’ambito della sua giurisdizione l’equa protezione delle leggi» (XIV emendamento, 1868). La Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, notoriamente ispirata alla Dichiarazione d’indipendenza americana del 1776, stabilisce all’art.1 che «Les hommes naissent et demeurent libres et égaux en droits»37. La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (ONU, 1948) afferma «Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti» (art. 1). La Costituzione della Repubblica Italiana (1948) «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali» (art. 2) e recita: «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (art. 3). La legge fondamentale (Grundgesetz) della Repubblica federale tedesca (1949) inizia riconoscendo che «Die Würde des Menschen ist unantastbar» (art. 1), e, all’art. 2, recita: «Jeder hat das Recht auf die freie Entfaltung seiner Persönlichkeit, soweit er nicht die Rechte anderer verletzt und nicht gegen die verfassungsmäßige Ordnung oder das Sittengesetz verstößt». In ne l’art. 3 sottolinea «Alle Menschen sind vor dem Gesetz gleich. Männer und Frauen sind gleichberechtigt»38. Non è necessario citare altre Costituzioni per notare una cosa che appare subito evidente. Gli autori o i redattori usano molte parole diverse: «tutti gli uomini», «persona», «cittadini», «essere umano», «tutti», «nessuno», «individuale», «umani», «uomini», o più recentemente «donne». L’uso di un’espressione verbale o di un’altra non è neutrale. Il movimento dei diritti delle donne, dalle rivoluzioni inglese e francese, no alle suffragette e, in ne, negli ultimi decenni, il movimento contro le discriminazioni, mostrano come la scelta di quelle parole non fosse neutrale o, quantomeno, che non fossero state lealmente interpretate. Questo è particolarmente evidente nella storia costituzionale americana. La schiavitù e le sue conseguenze sono l’«oldest, ugliest, and most persistent American constitutional problem», dicono Robert A. Goldwin e Art Kaufman nella Prefazione del loro libro sulla schiavitù e le sue conseguenze39. Essi sottolineano come «the great American paradox is that while slavery and the race problems that followed from it are in integral part of our history, slavery and race discrimination are not part of the fundamental principles of the nation – and never had been»40. Il Compromesso dei Tre-Quinti è forse il miglior esempio di un accordo politico su una norma giuridica e sulle sottostanti entità naturali che la norma regola. Le convenzioni del 1776, che portarono alla Dichiarazione dei diritti della Virginia, chiaramente discussero la questione della schiavitù sotto il pro lo se gli schiavi fossero membri della società o no (Edmund Pendleton propose di aggiungere, dopo la parola ‘diritti’, «quando essi entrano in uno stato di società»)41. Perciò la questione si pose esattamente nei termini costituzionali di chi avesse accesso alla società e ai diritti e alle libertà, anche se l’esito della discussione fu di negarli. La Convenzione Costituzionale di Philadelphia del 1787, avendo lo scopo di evitare sia una sottorapresentanza degli Stati schiavisti del Sud (che vi sarebbe stata se si fossero contati solo i bianchi in Stati relativamente spopolati) sia una sovrarappresentanza degli Stati del Nord (più popolosi, ma solo di bianchi), raggiunse un compromesso sulla clausola del «numero federale», dando agli Stati schiavisti la possibilità di contare i loro schiavi come parte della loro popolazione, ma solo per trequinti. Perciò, si può sostenere che ogni schiavo fu considerato, in termini costituzionali, come «un essere umano in società» solo per tre-quinti42. Problemi simili sono sorti per gli Indiani e per altre minoranze, ovunque. Tutto questo è ben noto e ampiamento studiato, e conferma l’idea del losofo Isaiah Berlin secondo il quale «le nostre concezioni di libertà sono strettamente connesse alle concezioni che abbiamo su ciò che è una ‘persona’, un ‘uomo’. Basta manipolare a sufficienza la de nizione di uomo per far assumere alla libertà il signi cato che vuole il manipolatore»43. 5. I nostri cugini agenti di IA L’idea corrente secondo la quale l’azione considerata dal diritto sia per de nizione un’azione compiuta da un essere umano, o più o meno direttamente riconducibile a esseri umani, si rivela falsa. Alla ne, se si tiene conto delle peripezie dell’agente umano nel diritto e la sua non necessaria coincidenza con l’essere umano persona sica (come si vedrà in modo approfondito nel Capitolo 7), la de nizione loso ca di «creature arti ciali che in dati contesti possano apparire umani» appare meno irrealistica e provocatoria: se anche gli umani sono artefatti (frutto della storia), gli agenti di IA possono essere considerati nostri fratelli o cugini, ai quali ci legano molte cose. BRINGSJORD – GOVINDARAJULU 2018. PRAKKEN – SARTOR 2015, p. 215. 3 Si veda SARTOR 2010, pp. 302-311. 4 COKE 1628. Il passo completo è il seguente: «Reason is the life of the law, nay the common law itself is nothing else but reason. […] is legal reason est summa ratio. And therefore, if all the reason that is dispersed into so many several heads, were united into one, yet could he not make such a law as the law in England is; because by many succession of ages it had been ned and re ned by an in nite 1 2 number of grave and learned men, and by long experience grown to such a perfection, for the government of this realm, as the old rule may be justly veri ed of it, Neminem oportet esse sapientiorum legibus: No man out of his own private reason ought to be wiser than the law, which is the perfection of reason». HOLMES 1881, Lecture I. Il passo completo è il seguente: «e life of the law has not been logic: it has been experience. e felt necessities of the time, the prevalent moral and political theories, intuition of public policy, avowed or unconscious, even the prejudice which judges share with their fellow-men, have had a good deal more to do than the syllogism in determining the rules by which men should be governed». Sul realismo nel pensiero giuridico e sui limiti del razionalismo nel diritto va segnalato LEITER 2007. 5 Per la ricostruzione, in questo paragrafo, dei diversi approcci presenti nella ricerca di IA mi sono avvalso del seguente lavoro (dal quale sono tratte anche le citazioni): BRINGSJORD – GOVINDARAJULU 2018. 6 BRINGSJORD – GOVINDARAJULU 2018, pp. 35-38. Torneremo sul punto nel Capitolo 4, paragrafo 4.4. 7 Si veda il Capitolo 5 di questo volume e anche Susskind nella parte che riguarda il futuro: SUSSKIND 2017, pp. 191-192. 8 CHESTERMAN 2019. 9 GAGGI 2019, pp. 12-13. 10 McKinsey Global Institute, 10 imperatives for Europe in the age of AI and automation, October 2017: https://www.mckinsey.com/featured-insights/europe/ten-imperatives-for-europe-in-the-age-ofai-and-automation#section%204 (visitato il 9 aprile 2019). 11 PITRUZZELLA 2019. 12 Riprendo questa partizione da NALINI 2019. 13 Vedi KESSEL 2019. 14 Berkman Klein Center, e future of the decentralized web, disponibile presso https://medium.com/berkman-klein-center/the-future-of-the-decentralized-web-707915f12360, visitato il 2 agosto 2019, con interventi di Jonathan Zittrain e Tim Berners-Lee; Ethan Zuckerman, inking in Solid, in «Medium», disponibile presso https://medium.com/@EthanZ/thinking-in-solid85e4f2c974c9, visitato il 2 agosto 2019. Per una collocazione della proposta nel dibattito sul Panopticon si veda Capitolo 7. 15 REED, 2018 («Masterly inactivity in regulation is likely to achieve a better long-term solution than a rush to regulate in ignorance»). 16 WALLACH – MARCHANT 2019. Si veda anche WINFIELD – OTHERS 2019. 17 GASSER – SCHMITT 2019. 18 Intervista su «La Lettura», 27 gennaio 2019, p. 12. 19 WINFIELD – OTHERS 2019. 20 Posizione espressa dal rappresentante dell’OCSE alla «Conference On e Ethics Of Science – Technology, And Sustainable Development» (6 luglio) nel corso dell’11th (Ordinary) Session Of e World Commission On e Ethics Of Scienti c Knowledge And Technology Of Unesco (Comest), Bangkok, ailand, 2-7 July 2019. Si veda anche il documento OECD, Recommendation of the Council on Artificial Intelligence, OECD/LEGAL/0449 (22 maggio 2019). 21 Informazioni dettagliate sul sito EUR-lex, nella sezione Diritti umani. 22 COM(2018) 237 nal, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, L’intelligenza arti ciale per l’Europa {SWD(2018) 137 nal}. Disponibile presso https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/ethics-guidelinestrustworthy-ai. Una prima bozza del documento era stata pubblicata il 18 dicembre 2018 ed era stata oggetto di una consultazione aperta che ha generato feedback da oltre 500 contributori. 24 Per un esame dei concetti di explicability e explainability si veda COECKELBERGH 2019, pp. 3134. 25 Si veda anche il documento EU Completing a trusted Digital Single Market for all, disponibile presso https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/completing-trusted-digital-single-marketall, aggiornato a maggio 2018 e consultato il 16 luglio 2019. 26 https://www.washingtonpost.com/opinions/mark-zuckerberg-the-internet-needs-new-ruleslets-start-in-these-four-areas/2019/03/29/9e6f0504-521a-11e9-a3f7-78b7525a8d5f_story.html? noredirect=on–utm_term=.0a58c17039d0. Anche Keth Block, co-CEO del gigante Salesforce, intervistato da Luca Salvioli per «Nòva» de «Il Sole 24 Ore», dichiara che «è un bene se arriveranno maggiori regolamentazioni» perché il capitalismo responsabile «non è una scelta, o le aziende lo realizzeranno da sole o saranno costrette» («Il Sole 24 Ore», 1 dicembre 2019, p. 16). 27 È l’opinione di Corynne McSherry, legal director of the Electronic Frontier Foundation, in CONDLIFFE 2019. 28 BENKLER 2019. 29 In effetti la lista dei partecipanti e le affiliazioni colpiscono: si vedano a p. 48 del testo italiano. 30 SIMONITE 2019. A tale proposito va detto che le linee guida, al punto 134, prendono chiara posizione sulle LAWS affermando: «sosteniamo la risoluzione del Parlamento europeo del 12 settembre 2018 e tutti gli sforzi correlati in materia di sistemi d’arma autonomi letali». 31 WALLACH – MARCHANT 2019. 32 Molto interessante l’iniziativa di cui a https://ethicsinaction.ieee.org, visitato il 30 dicembre 2019. 33 UNESCO World Commission on the Ethics of Scienti c Knowledge and Technology (COMEST), Preliminary Study On e Technical And Legal Aspects Relating To e Desirability Of A Standard-Setting Instrument On e Ethics Of Arti cial Intelligence, Paris, 21 March 2019, available at https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000367422?posInSet=1–queryId=3cbc48e0b3bd-488e-879b-84c382cd577d. [l‘autore di questo volume, A.Santosuosso, è un membro stabile del COMEST]. 34 Il 21 novembre 2019, la 40a sessione della conferenza Generale UNESCO ha deciso all’unanimità di elaborare una bozza di Raccomandazione sull’etica dell’IA. 35 RUSSELL – NORVIG 2010, p. 5. 36 Traduzione italiana: «tutti gli uomini sono per natura ugualmente liberi e indipendenti e hanno alcuni diritti innati, di cui, entrando nello stato di società, non possono, mediante convenzione, privare o spogliare la loro posterità […]». 37 Traduzione italiana consultabile sul sito http://www.dircost.unito.it: «Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti». 38 Traduzione italiana: «La dignità umana è inviolabile» (art. 1) «Ognuno ha il diritto al libero sviluppo della propria personalità, in quanto non violi i diritti degli altri e non trasgredisca l’ordinamento costituzionale o la legge morale. Ognuno ha diritto alla vita e all’incolumità sica. La libertà della persona è inviolabile» (art.2) e «Tutti gli uomini sono uguali di fronte alla legge. Gli uomini e le donne sono equiparati nei loro diritti» (art. 3). 39 GOLDWIN – KAUFMAN 1988, p. xiii. 40 Traduzione italiana mia: «il grande paradosso americano è che mentre la schiavitù e i problemi razziali che seguirono da essa sono parte integrante della nostra storia, la schiavitù e la discriminazione razziale non fanno parte dei principi fondamentali della nazione – e mai ne hanno fatto parte». 23 WIECECK 1988; FEHRENBACHER 1988. WIECECK 1988, p. 31. 43 BERLIN 1969, p. 200. Ho affrontato questi temi in miei studi risalenti: SANTOSUOSSO 2001; SANTOSUOSSO 2002b, pp. 525-547; SANTOSUOSSO 2003 pp. 140-156. Quelle ri essioni rimangono attuali come base per la considerazione degli agenti o soggetti nel nuovo mondo delle IT. 41 42 3. Essere avvocato nell’era dell’intelligenza artificiale e challenge is not just to automate current working practises that are not efficient. e challenge is to innovate, to practise law in ways that we could not have done in the past1. 1. La professione del consigliare e difendere Questo capitolo è dedicato al modo in cui le tecnologie d’intelligenza arti ciale interagiscono con la professione di avvocato. In particolare, è dedicato a un incubo e a un’ossessione che affliggono i professionisti del diritto: l’incubo di essere sostituiti da macchine intelligenti e l’ossessione di riuscire a predire le decisioni dei giudici e dei legislatori. Sul piano generale le previsioni di Richard Susskind, nel suo Avvocati di domani (Tomorrow’s Lawyers. An Introduction to Your Future), rimangono valide e aggiornate, almeno no al 2017, anno della seconda edizione del suo visionario saggio. Molti avvocati sono destinati a essere soppiantati dai sistemi informatici e dalle macchine, anche se per ancora un decennio è possibile che trovino forme di adattamento. Avvocato inglese, professore di diritto, consulente di governi e uffici giudiziari in vari Paesi, consulente per le Information Technologies del Lord Chief Justice dal 1998, Susskind si è guadagnato una reputazione internazionale, specie nei Paesi di lingua inglese, tanto da essere de nito dall’American Bar Association (qualcosa di simile al nostro Consiglio Nazionale Forense) come l’indiscutibilmente miglior analista e persona capace di predire l’evoluzione del mercato legale. La professione del consigliare e del difendere oggi ha preso numerose sfaccettature, spesso nuove rispetto al passato. Basti pensare che se, da un lato, proseguono a ritmo elevato (recentemente molto anche in Italia) le grandi fusioni di studi legali, che nel caso più rilevante hanno raggiunto la dimensione di settecentocinquanta legali, per altro verso rimane, e sotto certi pro li cresce, il ricorso alla formula boutique, che è un modo appena un po’ esotico per dire che anche a dimensioni micro è possibile fornire un servizio di buon livello, sempre che si sfruttino le possibilità tecnologiche esistenti. A questo dilemma grande-piccolo, tuttora aperto2, va aggiunto che cresce il numero e la tipologia di attività legali che non richiedono la quali ca di avvocato. Vi sono società che organizzano l’attività legale nelle forme di un servizio, a tempo o a risultato, fornito da persone scelte dal committente all’interno di una directory (come Axiom Law) e anche piccole entità, costituite da tecnici esperti in materie specialistiche e normative di so law. Questo non vuole essere un quadro completo. È soltanto un invito alla clemenza del lettore verso le sicure mancanze che la discussione che segue sul consigliare e sul difendere inevitabilmente avrà. Il prossimo paragrafo (paragrafo 2) esamina e in buona parte sfata l’incubo secondo il quale le macchine tolgono il lavoro; il paragrafo 3 va un po’ più in profondità dei cambiamenti reali nell’attività degli studi legali; il paragrafo 4 mette a fuoco la nuova interdisciplinarietà richiesta all’avvocato oggi, il rapporto tra tecnologie di IA e informatiche, in generale, e i cambiamenti che in questo campo stanno avvenendo anche in Italia. I paragra 5 e 6 sono dedicati all’ossessione della predizione giuridica, alle tecniche disponibili e ai limiti intrinseci dell’idea di predizione. Le domande alle quali questo capitolo vuole dare risposta sono le seguenti: com’è cambiata la professione di avvocato? Quante cose un avvocato deve saper fare? E quanto del lavoro legale può essere fatto da un non avvocato? Le tecnologie informatiche e l’IA come incidono? La predizione delle decisioni dei giudici o dei parlamenti è possibile ed entro quali limiti e con quale limite di fondo? 2. Saremo sostituiti da robot? L’incubo dell’avvocato (e non solo) Chi ricorda più le code di segretari/e davanti alle cancellerie di tribunali e corti d’appello per depositare un atto o esaminare un fascicolo o altro? Ora in molti tribunali e corti italiane quelle code non esistono più. Quel lavoro, il «lavoro di cancelleria» non esiste più, soppiantato quasi integralmente dalla possibilità di compiere quelle stesse operazioni attraverso il processo civile telematico, dallo studio dell’avvocato e, nei piccoli studi, magari dallo stesso avvocato. L’evoluzione sembra essere soltanto all’inizio, se è vero che il 35% dei professionisti compie attività che paiono essere sostituibili da sistemi automatizzati3. Gli avvocati non sono i soli a essere preoccupati che il loro lavoro sia rubato da robot e sistemi di IA. È uno stato d’animo condiviso con molti altri professionisti e lavoratori, che temono la perdita di posti di lavoro per l’ingresso e l’uso sempre più esteso di tecnologie informatiche, di automazione e di IA. L’Italia è pienamente coinvolta in queste dinamiche, quale settimo Paese al mondo per densità d’impiego di robot industriali (dopo Corea del Sud, Singapore, Germania, Giappone, Danimarca e Stati Uniti)4. Alcuni dati non sembrano lasciare speranza. Se nel 2018 la quota di ore di lavoro occupata dalle macchine era del 29%, già nel 2022 è previsto che diventi del 42%, con una rapida salita no al 52% nel 20255. Sono cambiamenti importanti, se è attendibile la stima del McKinsey Global Institute, secondo la quale no a un terzo della forza lavoro americana dovrà passare a nuove occupazioni entro il 2030. Nel lavoro del futuro è chiaro che le competenze soware siano sempre più importanti, in tutti i campi. Trovare percorsi per un buon lavoro nell’economia moderna è la s da più grande, che dovrebbe essere al centro della preoccupazione dei politici, delle istituzioni universitarie (vedi Capitolo 6) e di tutti gli enti coinvolti nella formazione. Vi sono anche alcuni esperimenti interessanti, come quello della Holbertson School, fondata nel 2015 a San Francisco, che offre un programma di due anni per creare ingegneri soware. La scuola è organizzata attorno a progetti di apprendimento tra pari, con l’aiuto di mentori e senza insegnanti formali6. Uno dei motti della scuola è «imparare a imparare»: we aren’t just learning how to code. We’re learning how to learn – together. La tecnologia sta rivoluzionando il lavoro di tutti, senza risparmiare quello degli avvocati. Nell’oscillare delle previsioni circa i posti di lavoro, da quelle apocalittiche a quelle più caute, la considerazione più realistica porta a dire che, almeno nel breve periodo, è più probabile che le professioni siano trasformate dalla tecnologia digitale, piuttosto che distrutte, e che intelligenza arti ciale (IA) e robot stanno occupando i lavori più umili e ripetitivi, mentre gli umani rimangono in posizione ineliminabile. In verità è una rassicurazione limitata, e provvisoria, perché sempre di più le macchine stanno imparando a compiere attività cognitive, che entrano in diretta competizione proprio con quelle funzioni che no a poco fa si ritenevano indiscutibilmente umane7. In una competizione, organizzata tra un gruppo di venti avvocati esperti e un sistema d’intelligenza arti ciale, sul compito di esaminare i rischi contenuti in cinque accordi di non divulgazione (NDA), il sistema automatizzato ha risposto con un’accuratezza del 94%, a fronte di una media dell’85% del gruppo di umani. E anche nella velocità l’intelligenza arti ciale ha superato di gran lunga le menti legali umane, impiegando solo 26 secondi per la revisione di cinque documenti, mentre la velocità media degli avvocati umani è stata di 92 minuti (51 minuti il più veloce). Si potrà certo notare che le NDA sono testi che disciplinano aspetti limitati e, tendenzialmente, ripetitivi e che la competizione è stata organizzata dal produttore di un sistema che è venduto agli avvocati prospettando loro la possibilità di diventare lawstars8, ma, al netto degli interessi commerciali, qualcosa di vero vi deve pur essere, almeno per alcune attività. D’altra parte l’intelligenza arti ciale e l’apprendimento automatico sono già parte della nostra vita quotidiana, dalla possibilità di ordinare generi alimentari e non via Alexa a Net ix, che suggerisce un lm o un programma TV che ci potrebbe piacere, e non vi è nessuna speciale ragione per dire che il lavoro dell’avvocato debba essere escluso da questo trend. Si tratta di una modi cazione culturale e sociale di portata fuori dal comune, modi cazione che è anche spinta dai grandi interessi economici collegati, visto che secondo alcune stime il mercato globale dell’IA sta crescendo esponenzialmente, con un valore aziendale globale che è previsto passare dai 1,2 trilioni di dollari americani nel 2018 ai 3,9 trilioni di dollari nel 20229. 3. Un po’ più in profondità Il problema è in realtà complesso e non si presta a sempli cazioni. 3.1 Tecnologie abilitanti e tecnologie dirompenti In primo luogo bisogna realizzare qual è l’intensità e la natura delle modi cazioni. Torna utile a tal ne la distinzione che Susskind propone tra tecnologie abilitanti (sustaining) e dirompenti (disruptive)10, dove le prime sono quelle che sostengono e potenziano il modo in cui il lavoro dell’avvocato viene svolto, mentre le seconde sono quelle che cambiano alle fondamenta il funzionamento di uno studio legale. Un esempio della prima è il sistema computerizzato della contabilità, mentre un esempio della seconda è la macchina fotogra ca digitale, che ha superato completamente la tecnologia della stampa chimica. Nel campo dell’attività dell’avvocato sono dirompenti, perché scardinano il tradizionale rapporto con il cliente, l’automazione documentale (document automation), che consente di generare in pochi minuti bozze di documenti (come contratti, atti destinati al giudizio, lettere e altro) che prima richiedevano molto tempo11, la possibilità di essere connessi in modo continuo (tramite computer, smartphone, tablets, videoconferenze e altro) con gli strumenti e l’archivio dati del proprio studio legale, anche quando si è sicamente fuori studio, i sistemi di informazione e guida online dei cittadini con siti pubblici o privati, la possibilità per i clienti di accedere direttamente a siti di risoluzione delle liti online, senza che vi sia l’intervento di un mediatore umano (si veda Modria)12, l’analisi di grandi quantità di dati e documenti (machine learning e big data analytics, una tecnologia di IA che è appena all’inizio) e, in ne (ma si potrebbe continuare), la possibilità di dare risposte automatiche a quesiti giuridici posti con linguaggio naturale (legal question answering con IBM Watson). Anche se va detto che per gli studi legali il rischio di affidarsi esclusivamente a questi sistemi è notevole e, spesso (anche in grandi studi internazionali), il risultato ‘meccanico’ viene passato al ltro di un professionista, per evitare errori che possano dar luogo a responsabilità verso il cliente. Ma vi sono anche altri motivi. I grandi studi legali non sono stati no ad ora molto entusiasti nell’utilizzo di queste tecnologie, in quanto esse comportano un necessario ripensamento dell’organizzazione e del sistema di avanzamento di carriera all’interno degli stessi. Tra l’altro, sono proprio i più giovani, praticanti e junior lawyers, quelli che usano le nuove tecnologie. Non è un caso, allora, se molte legal startups nate di recente vedano tra i loro fondatori alcuni ex junior lawyers degli studi internazionali più affermati. Tutto il cambiamento è trainato da tre forze: la pretesa dei clienti di avere di più spendendo meno (more-for-less), la liberalizzazione della professione di avvocato e le tecnologie dell’informazione13. Da notare che sono tecnologie che implicano un alto tasso di digitalizzazione e l’uso di strumenti informatici di varia natura, che però non sempre, né necessariamente, implicano l’uso di vera e propria intelligenza arti ciale, che sarà il vero moltiplicatore di effetti e trasformatore delle attività legali, dalla professione di avvocato a quella di giudice o ricercatore. 3.2 Lavoro che va e lavoro che viene Se è vero che sicuramente alcune attività spariranno o saranno molto ridotte, come, per esempio, quelle degli addetti al data entry o, nel campo dell’avvocatura, gli addetti al lavoro di cancelleria, che ormai, nel campo civile, può essere fatto paci camente per via telematica, vi sono anche attività inedite, che proprio le nuove tecnologie rendono necessarie. Vi è chi ha censito 45 attività, nel campo della pratica legale, che no a solo qualche anno fa non esistevano, come, per esempio, quella di esperto sulle questioni legate al regolamento europeo sulla privacy (GDPR), sulla responsabilità da uso di tecnologie di IA, come gli algoritmi e i loro bias, o sull’uso di cannabis, o sul diritto di famiglia e della riproduzione con tecnologie di fertilizzazione in vitro, sui dispositivi indossabili (wearable microchips) e molte altre ancora14. Susskind cita dieci nuovi lavori legali frutto del nuovo panorama sociale e tecnologico15: – Il legal knowledge engineer, che organizza e modella enormi quantità di materiali giuridici complessi in modo che possano essere acquisiti come standard di lavoro e/o inseriti in sistemi informatici. – Intermediario tra avvocati e specialisti delle tecnologie, parlando la ‘lingua’ di entrambi i professionisti per facilitare la facilità comunicazione. – Ibrido giuridico che combina le conoscenze giuridiche con quelle del business e/o altre competenze per servire clienti sempre più specializzati. – Analista di processi giuridici, che ha l’abilità di valutare complessi incarichi di clienti e delegare compiti speci ci ai subappaltatori o ai fornitori più adatti per il completamento delle attività. – Responsabile del progetto legale, che controlla i prodotti di lavoro e la loro qualità e consegna ai clienti un pacchetto completo ‘puntuale e sottocosto’. – Scienziato di dati legali (legal data scientist16), che combina le capacità di un avvocato con quelle di un scienziato dell’informazione per analizzare le informazioni (ad esempio, identi care i modelli e le correlazioni tratte da grandi serie di dati giuridici e non). – Addetto alla ricerca e sviluppo, che sviluppa nuove tecnologie per fornire servizi di assistenza legale a una vasta gamma di clienti, ognuno dei quali ha diverse esigenze giuridiche e diversi livelli di so sticazione legale e tecnologica. – Esperto di risoluzione delle liti online (ODR practitioner), che fa affidamento sull’esperienza di mediazione, consiglia i clienti sui tribunali online e sulle pratiche avanzate di risoluzione delle controversie. – Consulente legale di gestione, che fornisce consulenza legale, operativa e servizi analitici per aiutare sia le aziende sia i clienti a determinare la logistica a lungo termine. – Legal risk manager, che incorpora le migliori pratiche da una varietà di campi, compresa la tecnologia dell’informazione e la consulenza, per identi care, valutare e monitorare i rischi legali come servizio proattivo per i clienti. È possibile che in futuro sorga un nuovo campo giuridico chiamato «diritto dell’intelligenza arti ciale», come prevede Microso. Oggi il diritto sull’IA è molto simile alla legge sulla privacy del 1998. Alcune leggi esistenti si applicano già all’IA, come le norme sulla privacy e sulla responsabilità civile, e stanno cominciando a emergere alcune nuove norme speci che, come per le auto senza conducente. Ma il diritto dell’IA non esiste come un campo distinto. Ancora non vi è nessuno che si autode nisca «avvocato di IA». Entro il 2038, è lecito ritenere che la situazione sia diversa. Non solo ci saranno avvocati che praticano il diritto dell’IA, ma tutti gli avvocati si affideranno alla stessa IA per essere assistiti nella loro pratica17. Tuttavia, la tecnologia, per importante che sia, non è tutto: Stephanie Dangel, Margaret Hagan e James Bryan Williams, che pure nel loro lavoro assumono le previsioni di Susskind come base e ne veri cano il tasso di realizzazione, fanno notare come la concentrazione sulla sola tecnologia possa oscurare bisogni di innovazione più ampi, e affermano che la tecnologia che non sia centrata sugli umani non è la soluzione. Propongono, quindi, il design thinking, che fornisce un abito mentale e i metodi che portano a una maggiore comprensione di chi sono le persone per le quali si sta facendo innovazione giuridica e quali strumenti, anche tecnologici, è bene che siano usati per innovare. I futuri avvocati devono imparare a trovare nuove vie di fare le cose18. 3.3 Una mappa dei lavori in uno studio legale Un altro modo di precisare i contorni del problema è quello di esaminare analiticamente quali sono le attività che vengono effettivamente svolte in uno studio legale. Un’interessante, e originale, Mappa delle tecnologie fondamentali nei servizi legali è stata stilata da Michelle Mahoney, direttore esecutivo dell’innovazione presso lo studio King & Wood Mallesons19. Il vantaggio principale della mappa è la vista dall’alto che fornisce delle ‘grandi’ tecnologie: come AI, blockchain e sistemi aziendali (cioè database) no a tutti gli aspetti della pratica e della gestione dei clienti, come due diligence ed e-discovery. Secondo l’autrice, è in corso una trasformazione digitale delle industrie, delle imprese e, quindi, anche delle esigenze dei clienti. Questa rivoluzione digitale si sta evolvendo a un ritmo esponenziale, piuttosto che lineare, con tecnologie che consentono la fusione di risorse siche, digitali e biologiche. 4. Un avvocato/giurista interdisciplinare? In questo paragrafo vengono messi a fuoco alcuni aspetti cruciali emersi nella precedente esposizione: a) la necessità di un avvocato/giurista interdisciplinare, b) il rapporto tra IA e ITs e c) cosa sta accadendo in Italia. 4.1 Il legal design Margaret Hagan, direttrice del Legal Design Lab presso l’Università di Stanford, sintetizza così le abilità richieste a un avvocato oggi: Noi avvocati dobbiamo imparare a lavorare in gruppi di esperti interdisciplinari. Gli avvocati e gli altri professionisti legali possono essere molto esperti circa il contenuto del diritto, ma ciò non signi ca che essi siano la persona giusta per progettare l’intervento capace di affrontare il problema o per guidare il progetto per attuare questo intervento. Piuttosto, gli avvocati devono cercare altri tipi di esperti, che hanno le competenze per affrontare adeguatamente il problema e tracciare il percorso verso la risoluzione. L’avvocato dovrebbe certamente fare parte del team interdisciplinare, prendere parte al processo di progettazione e fornire indicazioni sugli aspetti giuridici. Ma l’avvocato deve cedere una parte (anche rilevante) del processo decisionale di progettazione a designer professionisti, programmatori di computer, neuropsicologi, economisti, educatori, psicologi, esperti di interazione uomocomputer e altri specialisti che hanno maggiore familiarità con la progettazione di prodotti e servizi20. Si può essere d’accordo o meno con questa visione, che probabilmente è anche più radicale e esigente di quella di Susskind (già per i più alquanto urticante). Essa non solo richiede di acquisire nuove conoscenze e abilità, ma anche esplicitamente di rinunciare a quella centralità che l’avvocato (specie nell’attività stragiudiziale) considera il bene più prezioso e il segno della sua libertà. In effetti, lavorare in team signi ca sia mettere insieme più persone, sia conoscere e controllare alcune dinamiche tipiche di quel contesto. La Royal Society, per esempio, sollecita le decisioni in ambito scienti co prese in gruppo, perché di solito sono migliori, a patto però che siano rispettate alcune regole, che ha sintetizzato in una lista di cosa è da fare e cosa non: tra l’altro, evitare l’impatto che alcuni suoi membri in posizioni di rilievo sociale possono avere sul gruppo (per esempio, l’indipendenza può essere garantita raccogliendo le opinioni in modo anonimo), riconoscere l’esperienza e la competenza di chi la abbia effettivamente, valorizzare le informazioni nascoste perché espresse da minoranze o da persone dotate di minore autorevolezza, s dare lo status quo e le prassi standard, essere pronti ad adottare nuovi modi per affrontare problemi nuovi e a monitorare e riconoscere i pregiudizi nascosti21. La questione è molto sentita in ambito scienti co. Un editoriale della autorevole rivista scienti ca «Nature», con il titolo Accettare la sfida della scienza interdisciplinare, sostiene che affrontare le s de della società attraverso la ricerca richiede l’impegno di molte discipline. Esempio tipico è quello del cambiamento climatico, ma vale in tutti i settori, anche se si vuole affrontare il tema delle cause del disadattamento giovanile in contesto urbano e individuare le possibili risposte. Un programma del genere richiede l’intervento di discipline come l’antropologia, la sociologia, la psicologia, il diritto, l’economia no alla psichiatria, al sistema sanitario, alla progettazione urbana e allo sviluppo neurobiologico. In casi del genere i ricercatori accademici hanno bisogno di lavorare con partner non accademici per capire i bisogni della comunità politica, il contesto e le barriere strutturali e comportamentali. I ricercatori avrebbero anche bisogno di imparare come i colleghi di altre discipline affrontano questi temi e di inquadrare le questioni della ricerca in un modo reciprocamente accettabile. Essi dovrebbero anche imparare a rispettare cosa è possibile in ogni disciplina e come e quali spunti possono essere tratti. Tutto questo è essenziale, ma, conclude l’articolo di «Nature», è più facile da dire che da farsi: «all this is easier said than done, but it is essential»22. Se non è facile in ambito scienti co realizzare l’interdisciplinarità, a maggior ragione non lo è negli studi legali. Qui dovranno cambiare i modelli organizzativi e, invece di aggiungere capacità professionali (skills) a dipartimenti pre ssati, la nuova struttura organizzativa dovrebbe piuttosto essere centrata sui team di progetto (project teams), costituiti da persone che di solito lavorano in strutture diverse e che vengono aggregate per raggiungere uno speci co obiettivo. In questo modo si dà maggior peso alle capacità professionali, piuttosto che ai ruoli, alle competenze piuttosto che alle posizioni formali (job titles), con l’effetto, tra l’altro, di trasformare costi ssi in costi variabili23. Un’importante casa editrice giuridica presenta così un suo corso su legal design: La professione del legale è cambiata, rispetto a pochi anni fa. L’obiettivo dell’avvocato non è più vincere le cause, ma intercettare gli elementi di crisi e anticipare soluzioni che evitano di nire nelle maglie della giustizia. […] Il legal design è un ambito multidisciplinare che riduce la complessità della comunicazione legale, trasformando i processi e rendendola utile e comprensibile per il proprio interlocutore nale, grazie all’ausilio di elementi visuali. Il corso, attraverso le simulazioni di casi pratici condotte da esperti di diritto del web, illustra ai giuristi come rimuovere la complessità dall’esperienza nale del cliente per trasformarla in ciò che ha chiesto: soluzioni chiare e utilizzabili24. Ci si può chiedere quanti affermati o non affermati professionisti nel campo giuridico (o anche nell’accademia: vedi Capitolo 6) abbiano un tale abito mentale, tanto da preferire (pur di non cambiare) un servizio fornito da una macchina. Ma, quanto è un problema di IA e quanto un problema legato alle profonde trasformazioni che sono in corso e, ancora di più, in arrivo? Sarebbe forse più utile conoscere le dinamiche avviate da Industria 4.0 piuttosto che una lezione accademica su IA e diritto (che pure non farebbe male)? Un avvocato un po’ più aperto alla prospettiva offerta da altre discipline sarebbe in grado di dare risposte più soddisfacenti ai bisogni dei suoi clienti? Probabilmente si. 4.2 Sul rapporto tra tecnologie dell’informazione (IT) e IA Si è già visto nell’introduzione di questo volume e lo si è sottolineato più volte: l’intelligenza arti ciale è solo una parte, pur importante e in sviluppo, delle tecnologie applicabili in ambito giuridico, che sono tecnologie di tipo informatico o telematico, ma non necessariamente di IA. Per esempio, la connettività via web, l’Internet delle cose e di ogni cosa (Internet of everything), Industria 4.0, blockchain, Big Data (nel solo senso di accumulo di informazioni) non sono tecnologie di intelligenza arti ciale in senso proprio, anche se le connessioni tra i diversi campi vi sono, e sono in aumento. Si pensi come con il sistema 5G, la connessione sia incomparabilmente più veloce, l’Internet di ogni cosa ha uno sviluppo reale e ampio, i dati scambiati sono molto maggiori in quantità, la tendenza all’accumulo di grandi quantità di dati (Big Data) cresce e l’intervento su di essi di tecnologie di IA e di analisi è lo sviluppo necessario. Forse vale la pena di parlare in termini generali e comprensivi di information technologies, in modo da tenere dentro tutto. Sul versante delle professioni legali si può notare un’evoluzione abbastanza rapida e interessante. Se Susskind nella prima edizione (2013) non parla di IA, e nella seconda edizione (2016) dice che «l’idea d’intelligenza arti ciale nel diritto ha catturato l’immaginazione degli innovatori nella professione, dalle più importanti law firm no agli studenti di giurisprudenza», ma l’in uenza dell’IA sul diritto nel breve tempo è sovrastimata25, Zetterberg e Wojcik nel 2017 notano che alcuni studi legali hanno interesse verso strumenti più avanzati come artificial intelligence (AI) e natural language processing (NLP)26. A loro volta Stephanie Dangel, Margaret Hagan e James Bryan Williams spostano il problema, dicendo che sarebbe sbagliato pensare alla tecnologia come la risolutrice di tutti i problemi. Michelle Mahoney, nella sua Map of fundamental technologies in legal services, dà per scontato che l’IA sia una matrice essenziale delle attività di uno studio legale, anche se con più di una casella ancora scoperta. Probabilmente è, ancora una volta, fondata la previsione di Susskind, quando afferma che nel prossimo decennio ci sarà ancora spazio per l’utilizzo degli avvocati, che potranno trovare occupazioni alternative rispetto a quelle classiche (la lunga lista di occupazioni alternative), ma continuando a fare gli avvocati, più o meno, piuttosto che rimanere disoccupati. Mentre la rivoluzione dispiegata è attesa per le decadi successive, quando il processo informazionale e di comunicazione sarà radicalmente cambiato. L’IA corre e oggi sono ancora pochi gli avvocati che hanno abbracciato le tecnologie in grado di trasformare la loro attività professionale, come intelligenza arti ciale, machine learning, analisi predittive e blockchain. Un sondaggio 2019, Future Ready Lawyers Survey, condotta per Wolters Kluwer Legal & Regulatory da una società indipendente su 700 professionisti tra Europa e Stati Uniti (Italia compresa) in studi legali, uffici legali aziendali e società di servizi alle imprese, ha preso in esame tre aree per valutare lo stato attuale, le prossime priorità e la ‘preparazione al futuro’ degli avvocati: Se l’insieme di questi strumenti rappresenta il presente e il prossimo futuro per la professione legale, c’è una terza categoria che quando si parla di futuro farà la differenza: è quella delle tecnologie in grado di trasformare l’attività professionale, come intelligenza arti ciale, machine learning, analisi predittive e blockchain. Attualmente sono pochi, anche tra i leader, i legali che già le hanno abbracciate (meno del 24% dichiara di comprenderle bene), ma la loro crescita sarà esponenziale nei prossimi tre anni, con un uso raddoppiato intorno al 2022. A sorpresa i legali europei hanno compreso prima e meglio rispetto ai colleghi americani l’impatto positivo di queste nuove tecnologie sulla loro attività. Anche l’aspetto generazionale è rilevante: i millenial appaiono più in grado di comprenderle rispetto alla generazione X e ai baby boomer27. 4.3 Uno sguardo alle tendenze in Italia Dopo questo fugace sguardo sul dibattito nei Paesi di lingua inglese, spostiamo l’attenzione verso l’Italia, dove il panorama sta cambiando velocemente. Da un punto di vista quantitativo il 2018 è stato un anno in cui i grandi studi legali italiani hanno raggiunto un fatturato di 2380 miliardi di euro, con un incremento del 6.4% sull’anno precedente28. Anche da noi sembra che l’attitudine media degli avvocati stia cambiando verso le tecnologie informatiche. Nell’edizione 2019 di Avvocato 4.029 risulta confermata la tendenza a destinare una parte di impegno dello studio legale al settore legal tech. In più sembra che gli studi legali non solo investano ‘in’ tecnologia, ma che diventino essi stessi legal tech developers di soluzioni customizzate, anche brevettate (tanto da potersi de nire legal tech firm). Alcuni studi legali, almeno quelli di una notevole (per gli standard italiani) dimensione, progettano in casa il proprio gestionale, brevettano soware e puntano sull’intelligenza arti ciale. Sembra non esservi una ricetta unica e una strada segnata, e ciascuna law firm sta costruendo il proprio percorso con l’obiettivo di cogliere le opportunità che l’innovazione tecnologica offre per un ripensamento dei propri asset, delle proprie procedure, della propria capacità nell’offerta dei servizi – che siano tradizionali o innovativi – oltre che con obiettivi di ‘mercato’, per posizionarsi anche nel mondo digitale come partner di innovazione. Inoltre, si manifesta la tendenza – pur timida – a integrare nello studio professionalità tecnologiche. Le percentuali d’investimento sono contenute tra l’1% e il 5% dei fatturati, e riguardano sia interventi di ICT – cioè acquisto d’infrastrutture, soware, cloud – che di digital transformation (in innovazione di processi)30. Il gruppo di studi legali esaminati da Avvocato 4.0 sembra convinto che «nei prossimi due anni anche nel campo degli avvocati ci sarà uno sviluppo di sistemi di intelligenza arti ciale, soprattutto in una sua particolare applicazione: quella dei predictive modeling solutions per a) prevedere e limitare i rischi di costi (anche di reputazione) al cliente, b) individuare opportunità transactional di mercato, c) ottenere idee sul singolo caso e valutare le possibili soluzioni». Certo, no ad oggi manca in Italia un’iniziativa del tipo di quella francese, dove l’Ordine degli avvocati ha creato un incubatore che serve la crescita delle startup del diritto, con lo scopo di servire la professione e l’innovazione creando legami tangibili tra avvocati e aziende innovative31. 5. La predizione delle decisioni. Un’ossessione dell’avvocato? Nel lavoro dell’avvocato la predizione delle decisioni dei giudici è indiscutibilmente un aspetto importante. Intanto, perché non è un problema nuovo e, poi, perché ha molte facce correlate, che riguardano sempre la predizione ma non necessariamente delle decisioni giudiziarie. 5.1 Predizione e certezza del diritto L’antico, e a tratti ancora vivo, dibattito sulla certezza del diritto è, infatti, e in buona parte, innervato proprio dalla prevedibilità delle decisioni sulle controversie che sorgono tra cittadini. E in questo senso è qualcosa che va ben oltre il, pur ragionevole, interesse dell’avvocato, in quanto riguarda il funzionamento complessivo del sistema, di cui l’avvocato è parte. È singolare che in Italia la ri essione sulla predizione veda una partecipazione forse prevalente e un ruolo da protagonista da parte della magistratura32. La certezza del diritto, tema evidentemente connesso con la prevedibilità delle decisioni, ha molte facce: è un principio e un valore, in collegamento con quello di uguaglianza; vive nell’interpretazione che la dottrina e i pratici ne danno; cambia contenuto secondo l’idea di diritto che si ha, tanto che in un sistema ispirato a un’ideologia legecentrica (alla francese, per intenderci) diventa certezza della legge e, in un sistema dove maggior rilievo (istituzionale o di fatto) ha la formazione giurisprudenziale, diventa certezza dell’interpretazione/creazione giurisprudenziale del diritto e, in de nitiva, possibilità del cittadino di fare affidamento sul sistema e sulle sue istituzioni. Fenomeno quest’ultimo che si è accentuato in epoca recente a fronte della complessità dei meccanismi di produzione del diritto (di cui si dirà nell’ultimo capitolo) e dei fenomeni connessi alla globalizzazione giuridica33. Nel diritto statunitense la predizione è, sin dalla ne dell’Ottocento, dal famoso saggio di Oliver Wendell Holmes, Jr., individuata come la predizione dell’incidenza della forza pubblica attraverso lo strumento delle corti34, proprio perché il diritto è identi cato con una professione, quella dell’avvocato, che viene pagato per consigliare se valga la pena andare o resistere in giudizio o stare alla larga dai giudici, questo in società nelle quali il comando della forza pubblica è conferito in certi casi ai giudici e alle loro pronunce. La predizione è in qualche modo la risposta che l’avvocato è chiamato a dare al cliente che chiede cosa sia meglio fare. E, quindi, in quell’ambiente la predizione è storicamente predizione della decisione dei giudici. 5.2 La previsione legale quantitativa Nel corso dell’ultima decade il sorgere del fenomeno dei Big Data e lo sviluppo dell’IA cosiddetta so o light hanno rinvigorito il campo della predizione giuridica, che era prima dormiente. Daniel Martin Katz, un giovane professore dell’Università del Michigan, molto conosciuto negli USA e a livello internazionale per i suoi lavori in questo campo, individua la crisi nanziaria del 2008 come l’evento che ha fatto precipitare, anche nel campo della tecnologia dell’informazione giuridica, una situazione le cui premesse erano già mature da tempo. Già nel 2013 informatica, computazione e tecnologia hanno avviato il cambiamento di cosa signi chi sia la pratica del diritto sia «pensare come un avvocato». Da un certo punto di vista il mercato dei servizi legali è in ritardo rispetto a molti altri settori economici35. In ogni caso, è solo l’inizio. Vale la pena soffermarsi brevemente su queste due componenti dello sviluppo recente della predizione giuridica: IA cosiddetta so e Big Data. In un articolo del 2010 Steven Levy dà il benvenuto all’arrivo dell’estate dell’IA (Welcome to AI summer)36 dopo l’inverno nel quale era piombata negli anni precedenti, apparentemente non fruttiferi, durante i quali il tentativo era stato quello di emulare l’intelligenza umana: un obiettivo che si era dimostrato elusivo, sul quale alcuni scienziati avevano perso il cuore e molti altri i fondi investiti. L’estate sta nel fatto che si fanno fare alle macchine le cose che esse sanno fare: è un’intelligenza arti ciale so, perché, pur prendendo sempre a modello l’intelligenza umana, cerca di imitarne i risultati e non i processi mentali sottostanti, dei quali si ha ancora una comprensione molto limitata. Per alcuni tipi di problemi l’approccio basato sul risultato si rivela un successo. Quanto ai Big Data, i ricercatori hanno utilizzato algoritmi basati sulla probabilità per ricavare signi cati da enormi quantità di dati e hanno scoperto che non avevano bisogno di insegnare a un computer come eseguire un compito; potevano semplicemente mostrare ciò che le persone facevano e lasciare che la macchina capisse come emulare quel comportamento in circostanze simili. I sistemi di machine learning funzionano su grandi quantità di dati: ‘Big data’ refers to datasets whose size is beyond the ability of typical database soware tools to capture, store, manage, and analyze. is de nition is intentionally subjective and incorporates a moving de nition of how big a dataset needs to be in order to be considered big data – i.e., we don’t de ne big data in terms of being larger than a certain number of terabytes (thousands of gigabytes). We assume that, as technology advances over time, the size of datasets that qualify as big data will also increase. Also note that the de nition can vary by sector, depending on what kinds of soware tools are commonly available and what sizes of datasets are common in a particular industry. With those caveats, big data in many sectors today will range from a few dozen terabytes to multiple petabytes (thousands of terabytes)37. Altre de nizioni più recenti pongono l’accento sull’importanza non solo e non tanto del volume di dati, quanto della velocità di risposta, della varietà dei dati suscettibili di analisi (strutturati, non strutturati, testo e multimedia), della qualità dei dati, tra i quali la varietà incide per oltre due terzi38. In campo giuridico, l’uso dell’informatica ha portato alla creazione di grandi corpi di informazioni semi-strutturate, che rende possibile la tecnologia di previsione legale quantitativa. Questa tecnologia, nelle sue diverse varianti, è per Daniel Katz la principale innovazione in arrivo nel settore dei servizi legali. In questa prospettiva acquistano un suono diverso le domande tipiche che un cliente fa a un avvocato o che un avvocato si fa tra sé e sé: Qual è la nostra probabile esposizione? Quale sarà il costo della causa? Cosa accadrà se lasciamo questa particolare disposizione al di fuori di questo contratto? Come possiamo meglio gestire questa particolare questione legale? Sta di fatto che, generata da un modello mentale o da un so sticato algoritmo, la previsione è una componente fondamentale del lavoro degli avvocati e della guida che possono offrire ai loro clienti. Naturalmente un avvocato di lunga esperienza può fornire predizioni con alto livello di probabilità, ma, come fa notare Katz, questo tipo di competenza è molto costosa e, comunque, è soggetta ai pregiudizi più meno controllati che tutti gli umani hanno. Quando si tratta di elaborare e derivare approfondimenti da dati su larga scala o set di documenti, gli esseri umani hanno importanti limitazioni cognitive, come l’anchoring, che è il pregiudizio (bias) costituito dalla comune tendenza umana a dare una grande importanza alla prima informazione ricevuta (che diventa l’ancora) quando si tratta di prendere decisioni. O il confirmation bias che porta gli umani a sopravvalutare gli elementi fattuali che confermano l’idea iniziale e a dare minor valore a quelli che la contraddicono. In pratica, anche se un umano ha accesso a tutte le informazioni pertinenti, senza l’aiuto della tecnologia, è, in molti casi, impossibile che riesca a elaborare in modo completo tutti i dati rilevanti o potenzialmente rilevanti. Questa considerazione è il punto d’ingresso per la previsione legale quantitativa, restando chiaro che la combinazione umano+macchina dà sempre un risultato migliore di solo umano o solo macchina. Ma quali sono gli aspetti sui quali la predizione è rilevante oggi nella pratica legale? Non soltanto la decisione giudiziaria. I clienti si chiedono quali saranno i costi prevedibili, cercando di spendere meno, ma al tempo stesso si chiedono qual è la qualità professionale del proprio avvocato, in generale e rispetto al problema speci co, no alla previsione di quale sarà l’esito della controversia che si sta per iniziare. Almeno teoricamente, se ci fosse un modello tecnicamente appropriato e basato su un sufficiente numero di dati (data-driven model) per valutare i diversi aspetti del problema sottoposto al legale e le azioni possibili, esso potrebbe essere utile per i clienti consumatori e per gli stessi avvocati, i quali potrebbero basare la comunicazione con i propri clienti su dati provenienti da fonti accreditate e terze, senza trincerarsi dietro la naturale imprevedibilità di qualsiasi azione legale o basarsi su valutazioni soggettive e, di fatto, arbitrarie. Tra i settori nei quali si è sviluppata la predizione negli USA si possono ricordare le cause in materia di brevetti, o le class action in materia di frodi, prevedendo la possibilità di una transazione e il suo livello economico, o sui risultati che possono emergere in una e-discovery. 5.3 I principali lavori pubblicati di recente e le opzioni sul tappeto Le tecnologie usate per la predizione sono basate su modelli di ragionamento basati su casi o su algoritmi di machine learning, usati separatamente o in combinazione tra loro. Le tecniche di machine learning si basano sulle frequenze statistiche di alcune caratteristiche per ‘imparare’ le corrispondenze tra caratteristiche e il risultato cui si punta. Le tecniche basate sui casi sono centrate principalmente sulla comparazione tra i casi. La predizione delle decisioni dei giudici è stata al centro di ricerche sin dal 1974, con una ricerca sull’esito dei casi in materia scale. Più di recente sono stati usati sistemi di supervised machine learning, che ‘imparano’ da dati che sono stati classi cati preventivamente da umani e che, sulla base dell’allenamento su di essi, sviluppano previsioni. Il dataset di allenamento comprende un insieme di esempi ai quali è stato associato un risultato. L’algoritmo deve poi generalizzare quello che ha appreso nei dati di allenamento a situazioni impreviste, sviluppando così una previsione. Tra i tipi di algoritmi che sono stati usati vi sono gli alberi decisionali, che si sviluppano su una serie di domande cui sono assegnate risposte e che progressivamente riescono a cogliere e de nire caratteristiche sempre più di dettaglio di un caso39. Negli ultimi anni sono stati pubblicati tre lavori empirici che hanno caratteri innovativi. Essi adottano tecnologie de nibili di IA su aspetti diversi dell’esperienza giuridica: i primi due studiano le decisioni di corti accomunate dal fatto di essere di alto livello (la Corte EDU, che è una corte internazionale, e la Corte suprema federale degli USA, che è il massimo organo giudiziario federale), ma molto diverse tra loro, e il terzo studia la prevedibilità degli sviluppi legislativi in determinati settori. Li esaminiamo sommariamente qui di seguito. 5.3.1 Le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo Nel 2016 viene pubblicato uno studio sulle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo e sulla loro prevedibilità40. Gli autori analizzano 584 casi già decisi con sentenza e riguardanti le violazioni di tre articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quello secondo il quale «nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti» (art. 3), quello che riconosce il «diritto a un equo processo» (art. 6) e quello che riconosce il «diritto al rispetto della vita privata e familiare» (art. 8). Gli articoli sono stati scelti perché hanno dato luogo al maggior numero di casi di cui fosse accessibile la sentenza41. Si tratta del primo studio sistematico sulla predizione delle decisioni della Corte basandosi soltanto sul contenuto testuale (e non, per esempio, sulle attitudini dei giudici, come invece sarà nello studio USA). Questo tipo di analisi è resa più agevole perché le sentenze della Corte EDU sono strutturate secondo partizioni standard, secondo regole che la stessa Corte si è data, la cui ultima versione è del 13 novembre 200642. Secondo la Regola 74, ogni sentenza deve contenere alcuni elementi identi cativi (come il nome dei giudici e delle parti) e, per quello che rileva nello studio in esame, un resoconto della procedura seguita; i fatti del caso; una sintesi delle osservazioni delle parti; le ragioni di diritto; le disposizioni operative. La premessa principale è che i giudizi pubblicati possono essere usati per testare la possibilità di un’analisi basata sul testo per le previsioni ex ante dei risultati. Il presupposto è che ci sia abbastanza somiglianza tra (almeno) alcune parti del testo delle sentenze pubblicate e le domande presentate davanti alla Corte per cause pendenti. Gli autori, quindi, hanno utilizzato i giudizi pubblicati come sostituto del materiale cui non avevano accesso. In sintesi, l’ipotesi era la seguente: se c’è abbastanza somiglianza tra le parti di testo dei giudizi pubblicati e quello delle domande e delle memorie depositate, sarà possibile prevedere i risultati che determinate domande possono produrre. Il risultato ottenuto è di assoluto interesse, visto che raggiunge il 79%. Decisamente alto. Nella discussione, gli autori notano che il modo in cui è impostato il fatto nelle sentenze determina la decisione più di quanto non facciano le argomentazioni giuridiche. Traggono, quindi, la conclusione che l’esito dello studio, di cui gli autori ribadiscono il carattere di mero inizio, confermerebbe che tra i giudici, almeno quelli della Corte EDU, sarebbe prevalente un approccio di tipo realistico, che dà maggiore rilevanza al ‘fatto’, piuttosto che un approccio formalistico giuridico, che farebbe derivare la decisione dall’applicazione delle norme. Si tratta di un argomento interessante, che, per la parte in cui riguarda il contenuto e il ruolo della motivazione degli atti giudiziari verrà sviluppato nel Capitolo 4. Qui, e senza nulla togliere al valore dello studio, si può rilevare il carattere particolare della giurisdizione CEDU, che viene spesso tacciata di sostanzialismo, per il modo in cui imposta le sue decisioni. È una giurisdizione sovranazionale che, per la prima volta nel diritto moderno, riconosce soggettività giuridica nell’agone internazionale a persone siche che agiscono contro lo Stato al quale appartengono (mentre i soggetti del diritto internazionale moderno sono, per de nizione, gli Stati e le entità dotate di personalità giuridica pubblica). Ed è una giurisdizione che si è trovata, e si trova, a dover far vivere le disposizioni della Convenzione, che ha una struttura del tipo ‘dichiarazione dei diritti’, in oltre cinquanta Stati, dotati ognuno di un proprio ordinamento costituzionale e con forti differenze culturali e politiche43. 5.3.2 Le decisioni della Corte suprema federale degli USA Nel 2017 viene pubblicato uno studio svolto su 28.000 decisioni della Corte suprema federale degli Stati Uniti d’America44 distribuite su circa due secoli, dal 1816 al 2015, e su 240.000 voti dei giudici della Corte. Giusto per dare un’idea delle dimensioni si deve tenere conto che nell’ultima decade la Corte ha emesso 70-90 sentenze per anno (term) e una media di 700 voti dei giudici. Gli autori hanno tratto le sentenze dal database della Corte, i cui contenuti e la cui struttura sono particolarmente curati e affidabili45. Ogni caso contiene no a duecentoquaranta variabili, tra cui variabili cronologiche, circa l’origine del caso, variabili speci che dei giudici e variabili di risultato. Molte di queste variabili sono categoriali, assumendo centinaia di valori possibili; per esempio, la variabile ‘argomento’ può assumere 384 valori distinti. Nello studio gli autori si sono avvalsi di alcune classi cazioni che erano già proprie del database della Corte (SCDB), come quelle riguardanti i giudici, la sessione, la corte di origine, il nome dell’istante e della controparte e altri, nonché l’origine del caso, i contrasti e la disposizione delle corti inferiori, le ragioni della selezione del caso. Per ognuna di queste variabili gli autori hanno convertito le variabili in modo binario46. Alle variabili già disponibili presso il database della Corte gli autori hanno aggiunto altre caratteristiche, come se vi è stata discussione orale per il caso, il ‘comportamento’ di un giudice, se ci fosse o meno un riesame e la durata (tra quando il caso era stato discusso e quando la decisione è stata resa) e, in ne, il tasso di riforme e di dissenso. Gli autori si sono posti due speci che questioni di predizione: se la Corte nel suo insieme conferma o riforma lo status quo judgment e se ogni speci co giudice vota in un senso o nell’altro. Da un punto di vista tecnico hanno costruito un modello di predizione machine learning (basato sul metodo random forest47) che tiene conto sia delle decisioni della corte sia dei voti dati dai giudici. Gli autori riferiscono di avere avuto predizioni accurate al 70.2% per la decisione nale del caso e al 71.9% per il voto dei giudici. Essi rivendicano una performance migliore rispetto al livello di predizione di studi precedenti, rispetto ai quali costituisce un importante progresso per la scienza della previsione legale quantitativa e presenta una gamma di altre potenziali applicazioni. A differenza di studi precedenti, la cui attendibilità era limitata alle decisioni prese da una corte in una particolare composizione di giudicanti, il lavoro di Katz e Bommarito ha caratteristiche tali che i suoi risultati possono essere estesi a tutto il periodo di attività della corte, e non solo in una certa composizione. 5.3.3 Prevedere cosa farà il legislatore Sempre nel 2017 viene pubblicato uno studio dedicato a un aspetto diverso, e no a quel momento poco esplorato, della predizione: la predizione degli sviluppi legislativi48. Sono evidenti i motivi di interesse nel momento in cui si stanno impostando attività economiche o investimenti. Il punto di partenza è costituito dal rilievo che dei quasi 70.000 disegni di legge presentati al Congresso degli Stati Uniti dal 2001 al 2015, solo 2.513 sono stati approvati e diventati legge, circa il 4%. Con un approccio machine learning è stata formulata la previsione della probabilità che una proposta diventi legge. Per la previsione è stato assegnato un valore a ogni frase di un disegno di legge, con un modello linguistico che incorpori il vocabolario legislativo in uno spazio vettoriale ad alta dimensione e semantic-laden. Questa rappresentazione linguistica consente un’investigazione su quali parole, con la loro presenza, aumentano la probabilità che una legge su un certo argomento sia approvata. Per testare l’importanza relativa di testo e contesto, è stato confrontato il modello di testo con un modello di solo contesto, che utilizza variabili come, per esempio, se i promotori del disegno di legge sono nella maggioranza politica49. La combinazione di testo e contesto è importante per la previsione e l’analisi di sistemi complessi con esiti altamente squilibrati correlati a dati testuali. 6. Cosa ci dicono questi studi circa la predizione La predizione dei processi giuridici, legislativi o giurisdizionali su base quantitativa richiede l’adozione di tecnologie informatiche e di IA che solo negli ultimi anni hanno cominciato a essere usate su campioni di dimensioni adeguate. Alcuni problemi tecnici sono aperti. Un primo, generalissimo, riguarda il presupposto implicito di ogni predizione basata su dati del passato: è necessario, infatti, assumere che quei dati siano stabili, altrimenti la predizione è per de nizione esposta a errori importanti. E noi sappiamo che, per de nizione, quei dati non sono stabili, in quanto esposti a mutamenti di ogni tipo, legislativi, giudiziari, politici, culturali e di altro genere. Inoltre, nota Kevin Ashley, alcuni sistemi, quelli basati su casi (casebased e issue-based prediction), generano una spiegazione della previsione che è comprensibile per i professionisti del diritto e gli avvocati. Sono diverse, invece, le previsioni di machine learning (ML) basate su regolarità statistiche dei dati (data-driven), poiché le regole che l’algoritmo ML inferisce dai dati non ri ettono necessariamente le conoscenze o le competenze giuridiche esplicite: esse potrebbero non corrispondere al modo di ragionare di un esperto e ai criteri di ragionevolezza di un esperto umano50. È il problema che si pone in generale per le applicazioni Big Data, che danno all’utente risultati senza mostrare la combinazione precisa di fattori che hanno prodotto quei risultati51. Deve poi essere chiaro che gli studi esaminati non hanno scoperto quali siano le caratteristiche che in uenzano la decisione, ma piuttosto hanno attribuito un peso a quelle caratteristiche. E comunque il compito di indicare quali siano le caratteristiche legalmente rilevanti è stato svolto da umani e non da sistemi automatizzati. In sostanza, rimane aperto il problema dell’annotazione dei materiali giuridici che vanno a costituire il dataset di training dell’algoritmo: «to what extent can the features that predictive models employ be identi ed automatically in the case texts?»52. La strada che indica Ashley è la seguente: «Automatically annotating case texts with features that re ect a case’s legal merits, along with other argument-related information, makes it feasible to apply computational models of prediction and argumentation directly to legal texts»53. La predizione quantitativa è, a mio avviso, una strada promettente e importante, come spiegherò fra breve, non solo nell’ottica stretta del professionista che, per comprensibili scopi di affermazione nella competizione tra legali, desidera essere in grado di fare previsioni accurate e, quindi, più vicine alla realtà degli eventi venturi. Naturalmente vi è ancora una parte importante di strada da percorrere per passare a un livello di analisi e di previsione che si cali al livello delle corti di gradi inferiori, davanti alle quali si svolge la gran parte del lavoro di giudici e avvocati, per poter avere un’effettiva incidenza sulla professione legale. Dovranno essere studi realizzati con tecnologie speci che rispetto all’oggetto d’indagine. In altri termini, gli studi appena riportati adottano tecniche e strategie di ricerca diverse tra loro, e ciò sia a causa del loro carattere pionieristico, sia per la necessità di tarare lo strumento di ricerca rispetto all’oggetto d’indagine. Infatti, per predire è necessario avere una visione (precomprensione) dell’oggetto, e quindi un’idea del diritto (di cosa esso sia e di come si formi e trasformi), delle caratteristiche dell’istituzione che lo usa o dalla quale promana e del modo di operare, e cioè delle regole di diritto che deve seguire, del modo in cui ragionano i giudici, e altro ancora. Così, per esempio, è molto diverso lavorare su sentenze che hanno una struttura prede nita in campi, come le sentenze della Corte EDU, e le opinions della Corte suprema federale, che non hanno uno schema pre ssato e che spesso sono il risultato di un’opinione di maggioranza della Corte, di eventuali opinioni dissenzienti e di opinioni concorrenti (cioè opinioni di giudici che condividono il dispositivo nale con la maggioranza, ma che hanno raggiunto quella soluzione per vie diverse). Le opinioni dissenzienti o concorrenti sono spesso importanti perché introducono nel dibattito giuridico, anche in vista di decisioni successive, elementi e visioni giuridiche che al momento non sono condivise. Per esempio, l’opinione concorrente nel caso Skinner (1942) afferma, per la prima volta, l’esistenza di un diritto a procreare come un diritto fondamentale che lo Stato non può violare (con la legge sulla sterilizzazione eugenetica), mentre l’opinione della maggioranza, che comunque affermava la contrarietà della legge al Bill of Rights, era basata su argomenti diversi54. Certo anche le sentenze CEDU possono avere opinioni dissenzienti, che però non in ciano lo schema e le partizioni che la Corte si è autoimposta. Così come è diverso decidere in quel margine federale, molto preciso e limitato, in cui si collocano le decisioni USA, oppure avere da decidere su 50 giurisdizioni europee anche molto diverse una dall’altra (come è per la CEDU). Così come è ancora diverso essere un giudice di nomina statale oppure di nomina politica (come sono i giudici americani, nominati dal Presidente con audizione al Senato), nomina che legittima la domanda: «will the Justices vote based on the political preferences of the President who appointed them or form a coalition along other dimensions?», Ognuna di queste caratteristiche richiede strumenti d’indagine appropriati e diversi, tanto che il rilievo meramente testuale dello studio europeo potrebbe risultare non abbastanza selettivo negli USA, dove viene dato grande rilievo al pensiero del singolo giudice. Fatte tutte queste considerazioni è in ogni caso un bene che la nestra sia aperta allo studio quantitativo di come i giudici decidono, una questione che riguarda certo i bisogni di previsione degli avvocati, ma che riguarda i giudici stessi e i cittadini tutti. A come i giudici decidono è dedicato il prossimo capitolo. 7. Tre note, a mo’ di conclusione aperta Nella letteratura di lingua inglese è ormai invalso l’uso dell’espressione legal industry per riferirsi agli sviluppi organizzativi che l’avvocatura si trova a fronteggiare per effetto delle tecnologie informatiche. Vi sono persino legal technology venture create da studi legali, dove all’attività tradizionale della consulenza e assistenza legale si somma una vera e propria attività di ricerca e produzione di dispositivi tecnologici e servizi. Si veda il caso di Dentons, Next Law Labs (http://www.nextlawlabs.com/news, al quale collabora anche Daniel Katz), mentre in Italia vi è qualche esperimento su scala nettamente più piccola (vedi sopra, paragrafo 4.3). Ci si può chiedere come l’avvocatura italiana e gli avvocati italiani si possano sentire nei panni di… industriali. La quasi totalità dei lavori sull’avvocatura e le information technologies parla degli avvocati che trattano materie civili. Cosa ne è dei penalisti?55 Come reagiranno gli avvocati italiani alla informatizzazione del settore giudiziario penale, che nalmente è avviata anche in Italia? Forse bisogna distinguere per tipo di settore: il diritto penale commerciale o societario potrebbero avere dinamiche simili al diritto civile. Se si pensa agli illeciti accertati da CONSOB e Banca d’Italia, ai principi di revisione, molto lavoro di standardizzazione sarebbe possibile, sia nelle fasi istruttorie, sia nelle scelte ispettive e di controllo da parte di CONSOB e Banca d’Italia. Si può pensare che il cambiamento che l’avvocatura civile sta vivendo in Italia (nella propria organizzazione interna e in relazione al Processo civile telematico) sia poca cosa, se rapportata alla rivoluzione mentale che il Processo penale telematico richiederà agli avvocati penalisti? E cosa ne è delle donne? Il mondo delle tecnologie dell’informazione e dell’intelligenza arti ciale sembra avere poche donne coinvolte. Sarebbe interessante indagarne le ragioni. È una storia segreta, come suggerisce Clive ompson (THOMPSON 2019)? Alla base del «lavorare diversamente» proposto da Susskind vi è un concetto fondamentale, senza del quale non si riescono a cogliere i cambiamenti successivi che egli propone: il decomposing. «Decomporre» vuol dire letteralmente separare «into components or basic elements», cioè separare qualcosa nei suoi componenti o nei suoi elementi di base. Il qualcosa da decomporre o disaggregare sono le varie attività che un avvocato pone in essere nella sua attività professionale. Così, per esempio, l’attività di litigation è decomposta in document review, legal research, project management, litigation support, electronic disclosure, strategy, tactics, negotiation, advocacy. Analogamente l’attività che viene svolta nel corso di una transazione si può decomporre in sotto attività di minore (più povero) contenuto giuridico, come per esempio due diligence, legal research, negotiation, bespoke draing, document management, legal advice, risk assessment. Tutte queste attività di contenuto giuridico più povero (e, soprattutto, aventi una maggiore omogeneità interna rispetto all’attività aggregata prima della decomposizione) possono essere affidate a tecnologie automatiche o a specializzazioni che consentono di ridurre i costi e avere un risultato in tempi più rapidi (more-for-less). Ma il less è il risultato di applicazione di nuove tecnologie e nuovi modi di lavoro, che è un aspetto che apre al problema successivo della disponibilità di queste tecnologie e della scala dell’attività di uno studio legale che permette di investire quel tanto che consente di ottenere quel less. Della fragmentation del diritto si parlerà nel Capitolo 8. SUSSKIND 2017, p. 14. FRIEDMANN 2016: l’autore ripropone nel 2019 lo stesso interrogativo (https://remakinglaw rms.com/classic-is-biglaw-having-its-kodak-moment-asked-ron-friedmann/, visitato il 20 giugno 2019) ma dice di non vedere, per il momento, sul mercato una reale alternativa ai grandi studi legali (il caso Kodak è l’esempio tipico di una società con un marchio famosissimo e una quota di mercato assai importante che perde il passo dello sviluppo tecnologico – foto digitali – e fallisce). 3 Secondo una stima di McKinsey & Company ripresa in CHUI – MANYIKA – MIREMADI 2015. 4 La rilevazione, compiuta dalla International Federation of Robotics, è consultabile al sito: https://ifr.org/. 5 Dati elaborati da WORLD ECONOMIC FORUM 2018. 6 Sull’esperienza della Holbertson School si veda LOHR 2018. 7 «e most easily disrupted area of the value chain is the lower, more commoditised end of the spectrum of legal services, such as the reviewing of large amounts of documents. e adoption of technology has elevated the type of work we do and the value we provide to clients. Our people can now focus on higher-level, strategic services, rather than spending time on lower-value tasks. For young associates, due diligence type activities were considered a rite of passage. Now, with these technologies, their focus is on issues of more value to the client»: SCHNEIDER 2018. 8 LawGeex https://www.lawgeex.com/. LawGeex è uno degli sponsor del Global Legal Hackathon 2019. 9 Dati tratti da WOOD 2018. Si veda anche https://www.gartner.com/newsroom/id/3872933. 10 SUSSKIND 2017, p. 43; HONGDA et al. 2018. 11 Per esempio, Rocket Lawyer e LegalZoom. 12 https://www.tylertech.com/products/modria visitato il 22 agosto 2019. 13 SUSSKIND 2017, p. 3. 14 LAW 2050. A forum about the legal future, un’iniziativa del professore J.B. Ruhl presso la Vanderbilt University (USA), https://law2050.com/2018/10/17/45-legal-practice- elds-that-didntexist-5-years-ago-or-even-yesterday/ visitato il 19 aprile 2019. 15 SUSSKIND 2017, p. 133 [traduzione mia]. 16 Vedi CIMPANELLI 2019. 17 MICROSOFT 2018. 18 «Technology that is not human-centered will not be a solution»: DANGEL – HAGAN – WILLIAMS 2018, p. 9. 19 MAHONEY 2019. 20 HAGAN 2016 [traduzione mia]. 1 2 Royal Society, Making better decisions in groups, disponibile presso https://royalsociety.org/-/media/policy/Publications/2018/making-better-decisions-in-groups.pdf. Fondata nel 1660, la Royal Society è una istituzione accademica indipendente inglese dedicata alla promozione dell’eccellenza nella scienza. 22 NATURE | EDITORIAL, Meet the challenge of interdisciplinary science. Problems of modern society demand collaborative research. Nature 534, 589-590 (30 June 2016) doi:10.1038/534589b. 23 THOMAS 2017. 24 Presentazione del corso Giuffrè Francis Lefebvre su legal design, Maggio 2019, http://g formazione.eduplanweb.it/EduPlanWS/Download/E/E01611201905FICAT_MI_LEGAL%20DESIGN_SEDE_1.pdf? utm_source=mailup&utm_medium=email&utm_campaign=legaldesign2 visitato il 22 agosto 2019. 25 Dedicandogli il capitolo nale (SUSSKIND 2017, pp. 184-185). 26 Citato in ZETTERBERG –WOJCIK 2017. 27 PITTELLI 2019. Il rapporto può essere richiesto presso https://landinglegisway.wolterskluwer.com/2019-future-ready-lawyer-report-legal-departments-thank-you. 28 Dati stimati dal centro ricerche Legalcommunity.it e pubblicati sul «Corriere della sera», inserto «Economia» del 10/06/2019, p. 53. 29 Gli studi legali che hanno risposto a un questionario dettagliato, proposto da Altalex, sono Dentons, Hogan Lovells, Lexant, Lexia, Littler, Orrick, Rödl & Partner, Toffoletto De Luca Tamajo. 30 Claudia Morelli, Studi legali: parte la corsa all’innovazione… proprietaria I trend: gestionali customizzati, brevetti soware e intelligenza artificiale, Altalex, 25 marzo 2019, https://www.altalex.com/documents/udi-legali-gestionali-customizzati-brevetti-soware-intelligenzaarti ciale (visitato il 26 aprile 2019). 31 https://incubateur-ibp.com/ visitato il 10 giugno 2019. L’Ordine degli avvocati di Milano sta esplorando tale possibilità. Da segnalare https://sweetlegaltech.com/ che mette insieme general legal counsels di multinazionali e i rappresentanti delle aziende tecnologiche più avanzate nel mondo del legal tech per confrontarsi in workshop a porte chiuse sull’analisi di casi concreti per testare la rispondenza delle soluzioni offerte secondo un approccio partecipativo. L’obiettivo è di veri care non solo quale sia la tecnologia più adatta a risolvere l’esigenza singola dello studio legale, ma di veri care come le soluzioni tecnologiche riescano ad integrarsi tra loro e con quelle eventualmente già utilizzate all’interno dell’organizzazione. 32 La rivista «Questione Giustizia» dell’associazione di magistrati «Magistratura Democratica», dedica ampia parte del Fascicolo 4/2018 al tema «Una giustizia (im)prevedibile?», pubblicando ben diciotto contributi di notevole interesse. Tra questi mi limito a segnalare GROSSI 2018. La rivista è liberamente accessibile online. 33 Si vedano, tra i tanti, GROSSI 2014; BOBBIO 1951. 34 HOLMES 1897, p. 1. 35 KATZ 2013. 36 LEVY 2010. 37 MANYIKA et al. 2011. 38 PEEK et al. 2014. 39 Sugli studi sulla predizione legale sin dal 1974, si veda ASHLEY 2017, p. 108 ss. 40 ALETRAS et al. 2016, «Previous work on predicting judicial decisions, representing disciplinary backgrounds in political science and economics, has largely focused on the analysis and prediction of judges’ votes given non textual information, such as the nature and the gravity of the crime or the preferred policy position of each judge». 21 Il campione è selezionato secondo i seguenti criteri: «We then select an equal number of violation and non-violation cases for each particular article of the Convention. To achieve a balanced number of violation/non-violation cases, we rst count the number of cases available in each class. en, we choose all the cases in the smaller class and randomly select an equal number of cases from the larger class. is results to a total of 250, 80 and 254 cases for articles 3, 6 and 8, respectively. Finally, we extract the text under each part of the case by using regular expressions, making sure that any sections on operative provisions of the Court are excluded. In this way, we ensure that the models do not use information pertaining to the outcome of the case. We also preprocess the text by lowercasing and removing stop words (i.e., frequent words that do not carry signi cant semantic information) using the list provided by NLTK (https://raw.githubusercontent.com/nltk/nltk_data/ghpages/packages/corpora/stopwords.zip)». 42 Rule 7a – Contents of the judgment, disponibile presso https://www.echr.coe.int/documents/rules_court_eng.pdf, visitato il 4 maggio 2019. 43 Sulla particolarità della giurisdizione della Corte europea dei diritti dell’uomo e sulle sue implicazioni giuridiche generali si rinvia al Capitolo 8. 44 KATZ et al. 2017. Sul lavoro di Daniel Katz si veda anche https://www.lexpredict.com/. 45 Il database è diviso in SCDB Modern, che raccoglie materiali dal 1946, e SCDB Legacy, che contiene i dati dal 1791: vedi http://scdb.wustl.edu/ visitato il 5 maggio 2019. 46 «For each of these variables, we follow standard practice and convert the categorical variables into binary or indicator variables». 47 «Our model is based on the random forest method developed in Breiman L. Random forests. Machine Learning, 2001; 45(1):5–32. https://doi.org/10.1023/A:1010933404324]». A p. 7 rivendicano, inoltre, la superiorità della scelta tecnologica rispetto ad altre esistenti: «Random forests outperformed other common approaches including support vector machines (LibLinear, LibSVM) and feedforward arti cial neural network models such as multi-layer perceptron models implemented with Chollet F. Keras: Deep Learning library for TensorFlow and eano, Github, 2015; https://github.com/fchollet/keras». 48 NAY 2017. 49 «We predict enactment probabilistically. It’s important to make probabilistic predictions for high consequence events because even small changes in probabilities for events with extreme implications can have large expected values. Probabilities provide much more information than a simple ‘enact’ or ‘not enact’ prediction»: NAY 2017. 50 «Since an ML algorithm learns rules based on statistical regularities that may surprise humans, its rules may not necessarily seem reasonable to humans. ML predictions are data-driven. Sometimes the data contain features that, for spurious reasons such as coincidence or biased selection, happen to be associated with the outcomes of cases in a particular collection. Although the machine-induced rules may lead to accurate predictions, they do not refer to human expertise and may not be as intelligible to humans as an expert’s manually constructed rules. Since the rules the ML algorithm infers do not necessarily re ect explicit legal knowledge or expertise, they may not correspond to a human expert’s criteria of reasonableness»: ASHLEY 2017, p. 111. 51 ASHLEY 2017, p. 120 dove cita REMUS – LEVY 2015, p. 62. 52 ASHLEY 2017, p. 120, p. 125. 53 ASHLEY 2017, p. 126. 54 La Corte suprema all’unanimità dichiara incostituzionale lo Habitual Criminal Sterilization Act (Oklahoma), che prevedeva la sterilizzazione punitiva per i criminali abituali, perché vi sono «limiti alla possibilità che una maggioranza rappresentativa legislativa possa condurre esperimenti biologici a scapito della dignità e personalità e dei poteri naturali di una minoranza», mentre solo l’opinione 41 aggiuntiva di uno dei giudici parla della capacità di procreare come di un diritto fondamentale. Sull’argomento si rinvia a SANTOSUOSSO 2001, p. 97 ss. 55 Vanno segnalati alcuni contributi recenti in materia penale: PARODI – SELLAROLI 2019; GIALUZ 2019; BASILE 2019. 4. L’intelligenza artificiale e i giudici e ultimate goal of all scientific methods is reliable prediction of future events. Reliable prediction is also one of the ultimate goals of law. Successful prediction in law depends on understanding the law, understanding the facts and understanding the people, especially judges1. 1. Verrà un giorno… Al congresso IAIIL del 2017, Richard Susskind cita un passo premonitore di Reed C. Lawlor del 1963: Verrà un giorno in cui si sarà in grado di inserire un insieme di dati in una macchina che ha al suo interno precedenti, regole di diritto e regole di ragionamento e in cui la macchina sarà capace di offrire, passo dopo passo, il ragionamento attraverso il quale si può essere in grado di arrivare a una decisione. Noi potremo studiarlo e decidere se la macchina ha proposto qualcosa di giusto o sbagliato. In alcuni casi la macchina non dirà quale potrebbe essere la soluzione, ma vi è una probabilità che la risposta sia corretta, e questa probabilità è del novanta per cento2. Questo capitolo è dedicato principalmente all’IA e al mondo della giustizia e, quindi, a cosa cambia o stia cambiando nel modo in cui i giudici decidono, in casi sia civili sia penali. Le domande alle quali dà risposta sono: i giudici utilizzano tecniche di IA? Se sì, quali? E i giudici italiani? In che modo tutto ciò incide sulle decisioni dei giudici? E sulla motivazione dei loro atti? I giudici sono parte delle istituzioni dello Stato: in che modo questi problemi si pongono nella pubblica amministrazione in generale? E negli apparati di polizia? A che punto è la previsione di Lawlor? È preferibile essere giudicato da un robot o da un umano (a proposito del caso Loomis)? Un tabù è infranto (o, almeno, così sembra) il 3 e il 4 dicembre 2018, a Strasburgo, dove la Commissione europea per l’efficienza della giustizia3 del Consiglio d’Europa (CEPEJ) approva il documento European Ethical Charter on the Use of Artificial Intelligence in Judicial Systems and their environment e, così, accosta le parole ‘giudice’ e ‘intelligenza arti ciale’. D’intelligenza arti ciale e giudici si può, quindi, parlare nei 47 Paesi del Consiglio d’Europa e anche in Italia, nonostante diffuse resistenze (e qualche radicale avversione). Tra gli scopi dichiarati del documento vi è quello di accrescere la prevedibilità del modo di applicazione della legge e la coerenza delle decisioni giudiziarie. Proposito, questo, che conferma l’affermazione con la quale avevamo chiuso il capitolo precedente, dicendo che la questione della predizione delle decisioni non è solo interesse degli avvocati, ma un aspetto importante del funzionamento dell’intero sistema giuridico e della società. Soprattutto è un problema sociale unitario, che può essere guardato da più parti, avvocati, giudici, apparati amministrativi, singoli cittadini e… altri ancora. Secondo l’opinione risalente all’inizio degli anni Sessanta4 dello scorso secolo, posta in esergo di questo capitolo, una predizione affidabile dell’attività dei giudici dipende dalla comprensione scienti ca del modo in cui il diritto e i fatti incidono sui decisori rilevanti, cioè i giudici. Il documento CEPEJ si rivolge non solo ai giudici, ma anche a tutte le istituzioni incaricate di prendere decisioni nel campo legislativo e regolamentare sull’intelligenza arti ciale. Nei prossimi paragra vengono prima (paragrafo 2) esaminati i documenti e i progetti europei su intelligenza arti ciale e digitalizzazione in campo giuridico e giudiziario, con un punto nale sullo stato dell’arte in Italia. Viene poi posta la domanda se tutto ciò possa rientrare nel concetto di IA (paragrafo 3). Il paragrafo 4 risponde alla domanda come decidevano, decidono e decideranno i giudici (tra rule-based e data-driven decision making). Il paragrafo 5 è dedicato alla motivazione delle sentenze e delle decisioni pubbliche. Il paragrafo 6 contiene una proposta tra diritto e tecnologia, improntata a un realismo temperato, dove la motivazione/sentenza è de nita come «aggregato temporaneo di dati». 2. Giustizia, istituzioni europee e intelligenza artificiale Negli ultimi due anni non vi è istituzione europea, intesa in senso ampio, quindi non solo Unione Europea, ma anche Consiglio d’Europa e network dei consigli superiori delle magistrature dei singoli Paesi UE, che non abbia preso posizione circa l’uso dell’intelligenza arti ciale nell’amministrazione della giustizia. È un segno dell’attenzione verso il tema e, anche, delle preoccupazioni che sono presenti nelle nostre società, che portavano al blocco anche del solo parlare di IA associata al diritto. Qui di seguito esamino le iniziative principali e più recenti. 2.1 La Commissione europea per l’efficienza della giustizia (CEPEJ) La Carta etica europea sull’uso dell’intelligenza arti ciale nei sistemi giudiziari (European Ethical Charter on the Use of Artificial Intelligence in Judicial Systems and their environment, 2018)5 dichiara apertamente che «nel 2018, l’uso di algoritmi di intelligenza arti ciale nei sistemi giudiziari europei rimane principalmente un’iniziativa commerciale del settore privato rivolta a compagnie assicurative, dipartimenti legali, avvocati e singoli individui». Per il momento i giudici negli Stati membri del Consiglio d’Europa non sembrano fare alcun uso pratico e quotidiano di soware predittivi. Test locali e lavori accademici sono stati condotti per esplorare il potenziale di queste applicazioni, ma non sono ancora state applicate su vasta scala6. Questo è il punto di partenza realistico, che avrebbe forse consigliato un titolo meno altisonante, come Carta etica sugli usi, solo possibili o futuri, dell’intelligenza arti ciale. Il documento inoltre è basato su dati dichiaratamente scarsi e su una letteratura internazionale proveniente prevalentemente dagli USA. Rimane, alla ne, l’importanza dei principi etici enunciati in via ipotetica e per il futuro: – Principio di rispetto per i diritti fondamentali: assicurarsi che la progettazione e l’attuazione di strumenti e servizi d’intelligenza arti ciale siano compatibili con i diritti fondamentali. – Principio di non discriminazione: prevenire lo sviluppo o l’intensi cazione di qualsiasi discriminazione tra individui o gruppi d’individui. – Principio di qualità e sicurezza: nel trattamento delle decisioni giudiziarie e dei dati, utilizzare fonti certi cate e dati immateriali con modelli elaborati in modo multidisciplinare, in un ambiente tecnologico sicuro. – Principio di trasparenza, imparzialità ed equità: usare metodi di elaborazione dati accessibili e comprensibili. – Principio ‘sotto controllo utente’: preclude un approccio prescrittivo e garantisce che gli utenti siano attori informati e che abbiano il controllo delle scelte fatte. Il documento distingue, quindi, i diversi usi possibili. Alcuni vanno incoraggiati, come le tecniche di machine learning per la ricerca della giurisprudenza e la visualizzazione dei risultati, l’utilizzo di chatbots per facilitare l’accesso alla giustizia, migliorarne l’efficienza rendendo possibile, ad esempio, effettuare valutazioni quantitative e qualitative e fare proiezioni circa le risorse umane e di bilancio necessarie. Altri usi richiedono considerevoli precauzioni metodologiche, come, per esempio, il supporto alla ricerca di soluzioni transattive in cause risarcitorie sulla base di predizioni effettuate dalle compagnie assicuratrici, le soluzioni di liti con sistemi online (per i quali è importante che le parti siano informate con chiarezza) oppure l’uso di algoritmi nelle investigazioni criminali al ne di individuare dove un crimine sta per essere commesso. Altri usi richiedono ulteriori studi scienti ci, come, per esempio, la pro lazione dei giudici o la previsione delle decisione dei giudici, o che vanno presi con estrema cautela, come l’utilizzo di sistemi di pro lazione degli individui nei processi penali, che può portare a esiti discriminatori e a effetti deterministici e il rischio della cristallizzazione dei precedenti. In conclusione, il documento esprime preoccupazione che possa essere posto in pericolo il primato della legge e la sovrana discrezionalità del giudice (si vedano i paragra 5 e 6 sulla motivazione). In ne, il documento suggerisce i mezzi per monitorare questo fenomeno sotto forma di una Carta etica, sottolineando la necessità di un approccio cauto all’integrazione di questi strumenti nelle politiche pubbliche, con il coinvolgimento di tutte le parti interessate, siano esse professionisti legali, società di tecnologia legale o scienziati. Interessante la checklist nale, che consente di valutare agevolmente se i sistemi che sono introdotti rispettano i principi etici fondamentali. 2.2 Giustizia europea digitale Promuovere la giustizia digitale è il titolo di uno dei progetti principali del Network europeo dei consigli superiori della magistratura (European Network of Councils for the Judiciary, ENCJ) per gli anni 2018-2021. Quest’organizzazione, fondata a Roma nel 2004, sostenuta dalla Commissione Europea e con un ufficio permanente a Bruxelles, è aperta a istituzioni come il nostro Consiglio Superiore della Magistratura e analoghe appartenenti agli altri Stati membri dell’Unione Europea7. Il 4 maggio 2018, ad Amsterdam, il network discute di tecnologie informatiche, inclusi l’intelligenza arti ciale e il legal design thinking. Dai resoconti emerge la consapevolezza che digitale è la nuova normalità e che le corti devono seguire il resto della società, che è già ampiamente avviata su questa strada. I temi concreti in discussione sono, in verità, quelli di base, se si vuole, della digitalizzazione e dell’uso delle tecnologie informatiche (database di registrazione; automazione d’ufficio; sistemi di usso di lavoro/gestione dei casi; comunicazione digitale; siti web) e delle correlate difficoltà politiche, legislative (anche per gli effetti sulle norme procedurali), nanziarie e tecniche (governance dei progetti IT e scelte tecniche strategiche). Sono intraviste anche alcune opportunità in termini di miglioramento dell’accesso alla giustizia, e dell’imparzialità e dell’integrità, nonché l’eliminazione degli ostacoli ( sici, economici, informazione). Detto tutto questo, e apprezzata l’apertura a un mondo in cui le tecnologie informatiche sono la regola e non l’eccezione e, quindi, alla necessità di un cambio di mentalità nel guardare alle procedure («Change of mind – change the way we look at the procedure»), vi è veramente poco di intelligenza arti ciale, nel senso proprio del termine, se non qualche ri essione, più che altro speculativa, su se l’utilizzo (futuro) di tecnologie di IA sia conforme al principio del giusto processo previsto dall’art. 6 CEDU, che richiede che l’esito sia trasparente e che possa essere spiegato come si è raggiunto un certo risultato. Una questione che si rivedrà più avanti a proposito di motivazione8. L’Unione Europea ha una visione più precisa e concreta, come dimostra il Progetto di strategia in materia di giustizia elettronica 2019-2023 e il Piano d’azione 2019-2023 in materia di giustizia elettronica, che vengono qui di seguito descritti nei tratti essenziali. Progetto di strategia in materia di giustizia elettronica 2019-20239 La modalità digitale delle procedure e la comunicazione elettronica tra i soggetti coinvolti in procedimenti giudiziari sono per la Commissione Europea un elemento essenziale del funzionamento efficace del sistema giudiziario negli Stati membri. La giustizia elettronica europea è considerata un mezzo per migliorare l’accesso alla giustizia in un contesto paneuropeo e sviluppare tecnologie dell’informazione e della comunicazione. La giustizia elettronica dovrebbe contribuire allo sviluppo del mercato unico digitale, che è uno degli obiettivi dell’eGovernment10. L’obiettivo è migliorare l’accesso all’informazione nel settore della giustizia nell’Unione Europea (per esempio, EUR-Lex è stato arricchito con nuove tipologie di documenti e strumenti di ricerca). Degno di nota il richiamo alla dematerializzazione dei procedimenti giudiziali e stragiudiziali, che dovrebbe essere proseguita al ne di offrire un accesso più facile e più veloce ai tribunali e di agevolare il ricorso ai procedimenti stragiudiziali mediante l’uso di strumenti sicuri di comunicazione elettronica, segnatamente e-CODEX, in situazioni transfrontaliere. Secondo il Piano d’azione 2019-2023 in materia di giustizia elettronica11 l’intelligenza arti ciale potrebbe svolgere un ruolo importante nel settore della giustizia, in quanto potrebbe sviluppare strumenti pratici per anonimizzare o pseudoanonimizzare automaticamente le decisioni giudiziarie, rendere reperibili in modo veloce e affidabile informazioni utili. I dati giuridici possono essere utilizzati in formato Open Data per aiutare i cittadini, le imprese e le autorità giudiziarie a studiare e raccogliere dati al ne di analizzarli e contribuire alle applicazioni che utilizzano tali dati, anche avvalendosi dell’intelligenza arti ciale. Un vocabolario controllato e identi catori come ECLI (European Case Law Identifier, Identi catore europeo della giurisprudenza) potrebbero consentire di indicizzare il contenuto e agevolare il trattamento di dati e il reperimento di informazioni. L’intelligenza arti ciale può rendere possibile l’analisi di Big Data in ambito giuridico. Il piano prevede lo sviluppo di uno strumento di IA per l’analisi delle decisioni giudiziarie e lo sviluppo di applicazioni destinate all’uso da parte dei magistrati nazionali. Il portale europeo della giustizia elettronica, dal quale è possibile accedere a tutti i servizi digitali, è stato rinnovato nella veste gra ca e arricchito con pagine informative, strumenti di ricerca e moduli dinamici12. Quello delineato dall’Unione Europea è un sistema imponente e importante, che punta a essere (e in parte è già operativamente) a disposizione di ogni operatore, cittadino, avvocato, giudice o altro. I sistemi di giustizia elettronica possono essere utilizzati per facilitare il funzionamento di varie reti esistenti a livello europeo, quali la rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale e la rete giudiziaria europea in materia penale13. Vi è il limite, da non discutere qui, del carattere volontario dell’attuazione di questo orientamento da parte di ciascuno Stato membro. Tuttavia, nella misura in cui gli Stati si adeguano, la dematerializzazione dei procedimenti giudiziali e stragiudiziali e tutta la digitalizzazione, dalla pubblica amministrazione (PA) alla giustizia nei diversi settori, produce quella massa di dati che è il presupposto materiale per l’effettiva introduzione di tecnologie di AI: per ora una speranza, con un occhio ai rischi per la protezione dei dati e l’etica. 2.3 Giustizia italiana e digitalizzazione In Italia una parte notevole e crescente dell’attività giudiziaria viene svolta con modalità digitali. Ciò riguarda il processo civile telematico, che è l’espressione più avanzata, ma anche altri settori. Il processo amministrativo (PAT) è diventato telematico dall’1 gennaio 2017 per tutti i nuovi ricorsi proposti davanti ai TAR (in primo grado) e davanti al Consiglio di Stato (in secondo grado). Dal 1° gennaio 2018 il PAT è applicato anche per i ricorsi che erano stati proposti prima del 1° gennaio 2017. I depositi di atti e documenti riguardanti tali ricorsi sono quindi eseguiti in forma digitale secondo le nuove regole del PAT14. Anche nella giustizia tributaria il processo tributario telematico (PTT) è attivo dal 15 luglio 2017 su tutto il territorio nazionale. La digitalizzazione delle fasi della noti ca, del deposito del ricorso e dei documenti comporta vantaggi notevoli per tutti gli attori del processo tributario in termini di sempli cazione, trasparenza degli adempimenti processuali e di durata del contenzioso15. Il processo civile telematico (PCT) è sicuramente la realtà più estesa e di più ampia portata e rappresenta la realtà più avanzata di digitalizzazione16. È applicato, sia pure in modo quantitativamente non omogeneo sul territorio nazionale, nei tribunali e nelle corti d’appello, mentre, per quanto riguarda la Corte di Cassazione è stata nel 2018 avviata la digitalizzazione dei sistemi di cancelleria (SIC) e l’infrastruttura per avviare il processo civile telematico. Ancora non è attuato presso il giudice di pace, dove è stato esteso per ora solo l’impiego dei sistemi elettronici di gestione dei registri. Per dare un’idea della realtà del PCT, basti considerare che, anche solo in termini di accessibilità dei sistemi da parte di utenti esterni agli uffici giudiziari, il sistema telematico, che rende disponibili i servizi telematici ai professionisti e agli enti, ha registrato da gennaio 2014 a dicembre 2018 ben 32.678.329 di depositi da parte di avvocati e professionisti, con 8.600.000 depositi nel 2018. I giudici hanno depositato, sempre nello stesso periodo 2014-2018, 19.190.504 di atti (5.216.169 nel 2018), di cui 1.286.568 di sentenze e 10.164.721 di decreti e ordinanze. Le comunicazioni telematiche di cancelleria sono state (2014-2018) 72.906.104, in media 1.425.359 al mese17. Il processo penale telematico (PPT) è in una posizione più arretrata per una serie di ragioni che non è questa la sede per approfondire. Tuttavia, vi sono importanti segni di una ripresa del processo di digitalizzazione a partire dal «Portale delle Notizie di Reato, la cui diffusione (per numero di uffici di procura e per numero di fonti/tipologia di atti trasmessi) è in continuo aumento, accompagnato da interventi sempre più capillari volti alla totale integrazione, in attesa dello sviluppo del sistema unico, tra registri e gestore documentale»18, mentre sono state poste le basi in alcune realtà pilota per il usso completo di informazioni dalle Procure ai Tribunali, alle Corti d’appello e alle Procure generali. 2.4 L’importanza dell’atteggiamento mentale Un raffronto tra la realtà della digitalizzazione dell’attività giudiziaria in Italia e negli altri Paesi non è tra gli scopi di questo saggio e porterebbe via troppo spazio. Si può sinteticamente ricordare come Dory Reiling, considerata una leader della digitalizzazione a livello internazionale e chiamata a fare la relazione introduttiva al meeting di Amsterdam del Network dei Consigli Superiori, intervistata da Anne Wallace, dica che in Olanda « no a settembre 2018, oltre 2000 casi erano stati trattati [in via telematica]. Tuttavia, la procedura non è stata implementata come previsto negli altri nove tribunali di primo grado. Il motivo principale è che l’implementazione sarebbe troppo impegnativa e richiede troppe risorse»19. Quanto al Regno Unito, Richard Susskind annuncia con soddisfazione che, nalmente, dopo 34 anni di sue sollecitazioni, il 25 novembre 2015 il governo ha annunciato un investimento di oltre 700 milioni di sterline per digitalizzare integralmente le corti20. Mentre i numeri in Italia sono di ben altra entità! Alla ne, un problema cruciale è quello della forma mentis dei giudici. L’abito mentale richiesto per il lavoro giudiziario non aiuta l’innovazione. Il lavoro giudiziario è rivolto a eventi passati e implica la decisione su chi ha commesso errori in qualcosa che non è andato per il verso giusto. Innovare, invece, signi ca sperimentare e sperimentare signi ca provare, e vi sarà sempre qualcosa che non va bene. Ma se questo signi ca che è possibile essere incolpati di ciò che non è andato bene, poche persone vorranno correre questo rischio21. Alla ne il problema è quello di riuscire a cambiare l’idea che le tecnologie servano a supportare le procedure cartacee, mentre esse in realtà servono a innovare radicalmente i processi. 3. E l’intelligenza artificiale? All’esito di questo rapido excursus su cosa sta accadendo nel campo delle applicazioni tecnologiche alla giustizia in Europa e in Italia e su cosa si sta discutendo a livello europeo e italiano, si può dire che al momento, e fatta eccezione per le poche esperienze di cui si dirà più avanti e che riguardano solo il processo civile, non vi è alcuna reale applicazione di tecnologie di intelligenza arti ciale22. La discussione nei documenti esaminati è soltanto teorica, tratta talora da esperienze e pubblicazioni in altri Paesi (specie USA) e tesa a porre principi etici o giuridici per evitare la paventata rivoluzione dell’IA. Non vi è necessariamente IA nei processi di digitalizzazione, se, come spesso accade, essi sono meramente intesi a trasferire su supporto digitale le tradizionali attività cartacee o meramente intese alle comunicazioni (giudici-avvocati-cancellerie-cittadini). È bene chiarire che si può parlare di IA solo laddove la grande quantità di dati prodotti quotidianamente, in contesti e in sistemi digitalizzati, sia organizzata in un modo che consenta operazioni di big data analysis attraverso l’uso di tecniche di machine learning, al ne di estrarre informazioni da quei dati. Ciò richiede una struttura di raccolta e organizzazione di quei dati (con le loro caratteristiche di dati strutturati, non strutturati e semistrutturati, dove strutturato sta per leggibile e processabile da un computer, mentre esempio di dato non strutturato è un’immagine), cioè di magazzini di dati (big data warehouse). Il Ministero della giustizia italiano ha introdotto il datawarehouse della giustizia civile per scopi statistici e di analisi organizzativa, e ora si propone di basare lo sviluppo dei nuovi sistemi sulla condivisione dei dati e la circolarità delle informazioni: la valorizzazione del dato e della sua aggregazione si tradurrà nella progettazione, realizzazione ed evoluzione di datawarehouse sempre più performanti. La gestione del dato, nella prospettiva futura e più aderente alle attuali tecnologie deve infatti superare la dicotomia di sistemi registro-centrici o documento-centrici. In particolare, gli sviluppi in corso tendono al superamento della integrazione delle informazioni da evento con le informazioni da atto ed alla costruzione di sistemi di rappresentazione cognitiva. L’obiettivo è ottenere una piattaforma comune di informazioni, collegate tra loro ed interdipendenti le une dalle altre in una unica catena del valore del processo23. Questo è il salto oggi possibile e alle porte, con la consapevolezza che importanti esperienze sono in corso a Singapore e in Corea del Sud24 e che, da questo punto di vista l’Italia è in una posizione buona, che potrebbe diventare anche ottima, se la costruzione di data warehouse si dovesse accompagnare alla messa a diposizione dei giudici di strumenti tecnici che consentano la produzione di documenti di buona qualità informatica25. 3.1 È meglio essere giudicato da un robot o da un umano? I nodi del caso Loomis Il caso Loomis è diventato l’emblema della difficoltà di chiarezza nel dibattito sulle applicazioni di IA in ambito giudiziario. Il signor Loomis, condannato per una sparatoria in cui era coinvolta anche la polizia, si è visto aumentare la pena per rischio di recidiva in una misura che ha ritenuto eccessiva. Il difensore, intenzionato ad appellare, ha scoperto che il giudice aveva quanti cato la pena facendo ricorso a un sistema automatico chiamato COMPAS, sistema usato nelle corti americane. Il caso è giunto no alla Corte suprema del Wisconsin, che ha ritenuto che non vi fosse lesione del diritto al due process, perché l’uso del sistema COMPAS non escludeva l’obbligo del giudice di spiegare quali fattori aggiuntivi avessero portato a quella speci ca quanti cazione. Il sistema COMPAS è un sistema privato basato sulla raccolta per molti anni di dati statistici sui condannati, sui fattori di rischio presenti nei vari casi (alcolismo, droga, prostituzione e simili) e sulle recidive. Il giudice, inserendo i dati sui fattori di rischio del proprio imputato, riceve una risposta statistica che proietta sul caso in decisione i dati contenuti nel database. La questione merita di essere messa a fuoco con cura26. Se il problema è la proprietà privata del sistema COMPAS (o simili), con i conseguenti diritti di privativa che escludono di conoscere nel caso speci co la logica e il modo di funzionamento del sistema, ci si può chiedere: se (in via meramente teorica) il Ministero della giustizia italiana, invece di limitarsi a fornire computer e calcolatrici per i giudici penali, fornisse anche un sistema del genere COMPAS, sistema preventivamente conosciuto nella sua logica e architettura, discusso e approvato da ordini degli avvocati e dai giudici, sarebbe esso accettabile? Se il sistema fosse in mano pubblica e la sua architettura fosse conosciuta e condivisa dalla magistratura e dall’avvocatura, sarebbe comunque da ri utare? Se il problema sono i possibili bias del sistema (dataset e/o algoritmi applicati), essi potrebbero essere oggetto di discussione preventiva e di continuo monitoraggio applicativo, rimanendo fermo che il giudice può giusti care i fattori aggiuntivi e particolari che portano a una determinazione diversa (come ha ricordato anche la Corte suprema del Wisconsin nel caso Loomis). Se invece il problema è quello di affidarsi a un aiuto tecnologico nella condanna ci si può chiedere: dovremmo fare più affidamento su un ragionamento giuridico esclusivamente umano, nel quale possono annidarsi bias cognitivi del giudicante (coperti talora da motivazioni apparenti), piuttosto che su dati quantitativi, che possono essere ulteriormente discussi prima della sentenza nale? Detto tutto questo, contano anche le differenze culturali. Nel 2015, in occasione di un dibattito sul futuro del diritto organizzato a New York dal centro CodeX-e Stanford Center for Legal Informatics, il chairman chiese al pubblico se avessero preferito essere giudicati da un robot o da un giudice umano: l’uditorio rispose in stragrande maggioranza che avrebbe preferito un robot. Qualche mese dopo, rientrato in Italia, in un corso intensivo europeo su Neuroscience and Law, ebbi l’idea di riproporre la stessa domanda. La prima risposta della maggioranza fu un tipicamente europeo «dipende». All’ulteriore mia domanda «da cosa» furono date risposte che si possono così sintetizzare: se sono innocente, preferisco un robot (che si presume non commetta errori), mentre, se sono colpevole, preferisco un umano che, tra errori e pietas, è più probabile che mi assolva. 4. Come decidevano, decidono e decideranno i giudici (regole e dati) Se il cambiamento nel modo di decidere dei giudici si dovesse misurare sulla quantità di intelligenza arti ciale effettivamente applicata negli apparati giudiziari italiani ed europei, si dovrebbe dire che nulla è, almeno no ad oggi, cambiato. Al solito la questione è più complessa. Come si è visto nello scorso paragrafo, quello che è stato avviato, ed è sollecitato dalle istituzioni europee, è un percorso di digitalizzazione dell’attività giudiziaria, che, pur non essendo sinonimo d’intelligenza arti ciale, ne costituisce un presupposto essenziale. 4.1 Effetti della digitalizzazione A dispetto di quello che larga parte dei giudici italiani, che pure usano il sistema Consolle, pensa, depositare una sentenza attraverso quel sistema non è come usare una semplice videoscrittura. Per effetto di una digitalizzazione avanzata (che produca dati strutturati o semi strutturati) il tradizionale atto giuridico (sentenza, ordinanza, decreto, atto di citazione, comparsa, legge, provvedimento amministrativo, eccetera), una volta inserito in un ambiente informatico, subisce alcune trasformazioni importanti e correlate: in primo luogo, si delocalizza rispetto al suo autore/produttore (in quanto, anche materialmente, viene a trovarsi in un server, che può essere in un luogo remoto, rispetto all’ufficio di provenienza). In secondo luogo, si trasforma da documento compatto in aggregato di informazioni, che possono essere disaggregate e che possono popolare ulteriori aggregati di informazioni, ai quali possono contribuire soggetti diversi e in una posizione istituzionale, professionale e personale diversa. Gli elementi di questi aggregati possono persino appartenere a fonti sovranazionali, comunitarie o di altri Paesi (posto che, da un punto di vista contenutistico, non si può escludere che un caso o una fonte extranazionale sia concettualmente più prossima al caso da decidere di quanto non lo sia una fonte o un precedente nazionale: sono queste le dinamiche tipiche del diritto transnazionale)27. Sono documenti (o informazioni o dati) di questo genere quelli sui quali potranno applicarsi le tecnologie di IA e che, però, già oggi hanno prodotto alcuni cambiamenti importanti nel lavoro dei giudici: – I materiali di un fascicolo possono essere facilmente reperiti online durante lo studio della causa o la decisione (monocratica o collegiale della camera di consiglio), anche se l’ufficio di cancelleria è chiuso. – Anche nella fase della decisione in Camera di consiglio è possibile accedere, tramite uno schermo di dimensioni appropriate, a materiali della causa, a banche dati, a fonti nazionali o internazionali. – Il giudice può avere accesso ai materiali anche dalla propria abitazione o dall’estero. – Il processo si dematerializza e l’uso della carta viene eliminato o, almeno, si riduce fortemente. Nel periodo giugno 2015- marzo 2017 l’utilizzo del Processo Civile Telematico presso la Corte d’Appello di Milano ha portato, oltre a una notevole riduzione dell’arretrato, anche a una drastica riduzione del consumo di carta di circa il 38%. 4.2 Dalla grande quantità di dati a Big Data Analytics Arrivati a questo punto, cosa accadrà quando su questa massa di dati, che ogni giorno di più vengono prodotti nel processo civile e che stanno cominciando a prodursi anche nel processo penale, si applicheranno tecnologie di IA? Cioè quando su questi grandi dati si comincerà a lavorare con strumenti di big data analysis e, dunque, di machine learning? Questa realtà, ovviamente, non riguarda solo la giustizia. Alcuni elementi dell’attuale panorama tecnologico sono chiari e ampiamente descritti. Siamo nell’era della quarta rivoluzione industriale, le cui caratteristiche principali sono la connettività, l’intelligenza distribuita, l’industrializzazione di ogni processo. Gli investimenti riguardano principalmente l’infrastruttura cloud/digitale, con data center di grande capacità e comunicazioni dati ad alta velocità. Le diverse sfaccettature di tale realtà sono: a) Internet di tutto, che include il (diciamo vecchio) Internet delle cose (Internet of ings), ovvero la connessione veloce attraverso il cloud (e 5G nel prossimo futuro) di servizi, attività industriali, ospedali e tutti gli aspetti delle città intelligenti, e l’Internet delle persone (Internet of people, quando le entità connesse sono esseri umani: si veda Capitolo 7); b) l’enorme quantità di dati che producono tutte queste connessioni; c) l’analisi dei big data come mezzo per governare tutti questi dati e sfruttarli attraverso l’uso di tecnologie di apprendimento automatico, cioè l’intelligenza arti ciale e la scienza dei dati. L’analisi dei big data utilizza estensivamente metodi e strumenti di machine learning, che rendono possibile esaminare grandi quantità di dati, scoprire correlazioni nascoste e dedurre altre informazioni. L’analisi dei big data è anche utile per progettare nuovi sistemi di ragionamento e decisione automatizzati e autonomi. Si tratta di un settore in continua evoluzione. Basti citare i Real-time Analytics, strumenti di analisi che realizzano risultati in tempi molto brevi, o il motore di ricerca di Google Dataset Search28. Naturalmente anche il mondo del diritto è coinvolto. Sotto due pro li, il primo riguarda il diritto delle tecnologie, come diritto che regola le tecnologie, con riguardo alla proprietà dei dati, alla responsabilità, alla proprietà intellettuale, alla privacy, all’etica dei big data, all’etica della ricerca su Internet. Il secondo pro lo riguarda il diritto come campo esso stesso di ricerca con sistemi di analisi big data. In questo senso, il diritto è visto come un’entità tecnologizzata in cui è possibile applicare l’analisi dei big data. E naturalmente sono coinvolte anche le professioni degli avvocati e dei giudici. Il processo decisionale basato sui dati come campo di ricerca sia nei settori della scienza-tecnologia sia in quello sociale (e quindi etico e giuridico) è una possibilità che si è appena aperta e, nonostante alcune preoccupazioni diffuse, è ancora in gran parte inesplorato in profondità. Ma quello che è chiaro sin d’ora è che big data does not equal big knowledge29, almeno automaticamente. 4.3 Processi decisionali nell’era delle decisioni basate sui dati Oggi le decisioni che vengono prese nei più diversi campi sono distribuite lungo una scala che va dal processo decisionale basato su regole al ragionamento statistico no all’apprendimento automatico e all’IA vera e propria. Di fatto, il processo decisionale basato sui dati e il processo decisionale basato sulla conoscenza tradizionale (come i sistemi basati su regole) coesistono in diverse combinazioni a seconda dei campi di applicazione, delle situazioni e, in gran parte, della disponibilità di dati. Tuttavia, i due sistemi sono diversi per genere, ipotesi e ispirazione, tanto che non si può dire che questa convivenza sia semplicemente complementare. Sono allora necessari nuovi paradigmi etici e giuridici per affrontare questi aspetti? Sulla linea che va dalle decisioni basate sulle regole verso quelle basate sui dati, sorgono alcuni noti problemi: – Bias nel set di dati. La qualità e le caratteristiche del set di dati utilizzato sono essenziali: da dove provengono i dati? Come vengono raccolti e selezionati30? – Bias negli algoritmi applicati. Anche per gli algoritmi applicati si pone un problema di qualità e caratteristiche. Come affrontiamo i pregiudizi umani inerenti? Può o dovrebbe questo processo d’imitazione rimuovere i pregiudizi umani? Quali sono i pericoli di questo processo? Come può un sistema legale salvaguardare la sicurezza e la riservatezza dei dati personali necessari per addestrare tali algoritmi? Qual è l’attuale quadro giuridico? Il nuovo regolamento generale sulla protezione dei dati n. 2016/17 è uno strumento adeguato? – La spiegabilità dei risultati che l’IA ha prodotto. Ammesso che il set di dati e gli algoritmi applicati siano di qualità e caratteristiche adeguate, rimane il problema che questi processi non sempre sono spiegabili (per il rapporto tra spiegabilità e motivazione delle decisioni giuridiche si veda avanti ai paragra 5 e 6). La domanda che si può porre è la seguente: se i giudici decidono oggi seguendo le regole di diritto, con l’IA cambierà il loro modo di decidere, nel senso che le loro decisioni saranno non più prese secondo le regole, ma guidate dai dati forniti da sistemi di IA? Passeranno così da un sistema rulebased a uno data-driven? È corretta l’opposizione rule-based v. data-driven decision making? 4.4 Decisioni giuridiche A prima vista il processo decisionale giuridico, tradizionalmente basato su regole (quale che ne sia la natura), è messo in discussione da sistemi decisionali basati su analisi dei dati. Tuttavia. l’individuazione del vero problema in gioco richiede una comprensione un po’ più approfondita. È utile partire dal chiarimento di alcuni punti: – «Processo decisionale basato su dati» non è sinonimo di «decisione basata su prove», come potrebbe apparire dal tenore letterale delle parole usate. Data-driven decision making non signi ca decisione evidence based («basata su prove») in opposizione a decisioni arbitrarie: è un modo diverso di ragionare e decidere. – «Processo decisionale basato su regole» (rule-based decision-making), inoltre, non è sinonimo di «decisione presa in modo giuridico», poiché il processo decisionale basato su regole copre un campo meno ampio. Nel suo senso proprio e più rigoroso, è il modo di decidere secondo una regola scritta e chiaramente de nita. Frederick Schauer, autore di uno studio fondamentale su come giocare secondo le regole, afferma molto chiaramente che «il processo decisionale governato da regole è un sottoinsieme del processo decisionale legale, piuttosto che essere congruente con esso»31. Secondo la sua de nizione, molto esigente, se un tribunale legittimamente nominato prende una decisione secondo il criterio (pur previsto da una legge) del «miglior interesse» del bambino o del paziente, o secondo il sistema di equità o determina l’entità di una condanna penale (in cui un numero illimitato di fattori può svolgere un ruolo), quel tribunale prende sicuramente decisioni legali, che però non possono dirsi decisioni basate su regole, a causa della natura e della qualità intrinseca della norma che è stato applicata (che non è chiaramente de nita e che lascia ampi margini di ulteriore de nizione a opera proprio del giudice). – Nel campo più ampio delle decisioni giuridiche (che include quelle basate sulle regole) si incontra un’importante divisione/opposizione, come quella tra formalismo e realismo giuridico, dove il punto cruciale è quello del ruolo che le regole svolgono nella decisione: se sono il criterio e la guida per distribuire diritti e torti o sono solo una giusti cazione expost di una decisione presa secondo altre (personali, politiche, sociali, emotive e più) ragioni. Il dibattito italiano sulla motivazione risente del fatto che nel nostro Paese non ha mai avuto un riconoscimento signi cativo la scuola del realismo giuridico, molto più attiva in altri Paesi32. – Un sistema di decisione basato su dati è un sistema in cui la decisione viene presa in base a ciò che emerge dall’applicazione degli algoritmi di apprendimento automatico. Da questo punto di vista è importante la distinzione tra impostare «un problema in avanti [forward] e un problema inverso [inverse]», dove l’approccio forward – che va dal modello ai dati osservabili – è quello usato tradizionalmente in approcci sperimentali o quasi-sperimentali, mentre «l’approccio inverso è il cuore dell’apprendimento automatico», dove «si usano i dati osservabili per costruire il modello piuttosto che usare il modello per assegnare peso causale ai dati osservabili»33. In altri termini, il rapporto ipotesi-test, alla base del metodo scienti co moderno, è invertito ed è l’analisi con tecnologie machine learning di un appropriato insieme di dati a far emergere un possibile modello da poi testare. – In termini teorici, la questione della natura e dell’interpretazione dei risultati prodotti con l’uso di algoritmi è cruciale. Seguendo l’analisi della situazione proposta da Kevin Ashley (2017), «poiché un algoritmo di machine learning (ML) impara regole basate su regolarità statistiche, che possono sorprendere gli umani, le sue regole potrebbero non sembrare necessariamente ragionevoli per gli stessi umani. Le previsioni ML sono basate sui dati. A volte i dati contengono caratteristiche che, per motivi spuri, come la coincidenza o la selezione parziale, sono associati ai risultati dei casi in una particolare raccolta. Sebbene le regole indotte dalla macchina possano portare a previsioni accurate, esse non si riferiscono all’esperienza umana e potrebbero non essere così comprensibili per l’uomo come le regole costruite manualmente da un esperto. Poiché le regole che l’algoritmo ML inferisce non ri ettono necessariamente le conoscenze o le competenze giuridiche esplicite, potrebbero non corrispondere ai criteri di ragionevolezza di un esperto umano»34. In conclusione, si può dire che i sistemi decisionali basati sui dati e quelli basati su regole hanno diversi vantaggi e svantaggi. I tipici problemi delle decisioni basate sui dati sono la qualità dei dati raccolti e i modi delle loro analisi e interpretazione, tanto che qualsiasi errore e/o pregiudizio in uno dei passaggi può in uire pesantemente sulla decisione. Del tutto diversamente, il problema dei sistemi decisionali basati su regole è che basarsi su regole signi ca semplicemente che determinate regole sono state seguite, indipendentemente dalla qualità e/o dall’efficienza della decisione presa. Le combinazioni tra i due sistemi non sono agevoli e richiedono accortezze particolari. La risposta alla domanda sopra posta, circa il cambiamento che l’utilizzo di sistemi decisionali data-driven induce nel lavoro dei giudici (come di qualsiasi decisore), è che certamente vi sarà un cambiamento importante nella logica della decisione. Ciò apre a un’ulteriore domanda: come possono coesistere la natura intrinseca degli schemi emergenti dall’analisi giuridica (e la loro limitata spiegabilità) e il diritto alla spiegazione delle decisioni pubbliche, che disposizioni costituzionali fondamentali riconoscono? 5. La motivazione delle decisioni pubbliche La motivazione dei provvedimenti giurisdizionali e, in generale, delle decisioni pubbliche che riguardano speci ci individui è un punto realmente critico nelle applicazioni di tecnologie di IA al diritto. 5.1 La preoccupazione in alcuni documenti internazionali L’utilizzo di tecnologie di IA «è conforme al principio del giusto processo»? Questa è la domanda che si pone il network europeo dei consigli superiori (ENCJ) già citato sopra, richiamando l’Art. 6 CEDU, secondo il quale l’esito del processo deve essere trasparente e deve poter essere spiegato come si è raggiunto un certo risultato. Anche la Commissione europea per l’efficienza della giustizia (CEPEJ, vedi sopra) si pone problemi analoghi. In particolare, si chiede se l’utilizzo di tecniche di IA possa avere effetti quasi prescrittivi, creando una nuova forma di normatività, che potrebbe integrare la legge limitando la discrezionalità sovrana del giudice e portando, in una prospettiva a lungo termine, a una standardizzazione delle decisioni giudiziarie, che verrebbero a essere non più basate sul ragionamento caso per caso dei tribunali, ma su un puro calcolo statistico. In de nitiva, il problema è se «tali soluzioni siano compatibili con i diritti individuali sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU)», in particolare il diritto a un processo equo (il diritto a un giudice naturale stabilito dalla legge, il diritto a un tribunale indipendente e imparziale e l’uguaglianza delle armi nei procedimenti giudiziari)35. D’altra parte, anche l’art. 111 della Costituzione italiana prevede, sin dalla sua originaria formulazione, che «tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati», un aspetto importante del diritto a un giusto processo. Insomma, la motivazione delle decisioni giurisdizionali si presenta come uno dei punti più delicati, forse il più delicato, del raccordo tra IA e principi giuridici. Al punto da far ritenere impossibile o preclusivo l’utilizzo di qualsiasi sistema di IA che impedisca la spiegabilità di ogni passaggio della speci ca decisione giudiziaria come decisione dello speci co caso. Tali posizioni, e preoccupazioni, sono perfettamente comprensibili e meritano la massima attenzione (come si è visto a proposito del caso Loomis: paragrafo 3.1). Tuttavia, mi pare sia necessario, quando si pongono in luce i limiti della decisione presa con l’ausilio di tecniche di IA, che s’individui esattamente quale sia il termine di comparazione. In altri termini, bisogna spiegare cosa si presupponga a proposito di motivazione quando si esclude l’utilizzabilità di tecniche di IA nel corso di una decisione giurisdizionale: si presuppone forse che, secondo quanto previsto dalle norme vigenti e quanto praticato nelle corti, ogni passaggio delle decisioni debba essere o sia effettivamente o potenzialmente spiegato o spiegabile? La realtà presenta sfumature numerose e chiaroscuri che meritano attenzione. Il tema della motivazione è molto complesso ed è stato trattato numerose volte in dottrina. Qui di seguito faccio solo cenni ad alcuni aspetti cruciali, a proposito di quale sia la natura della motivazione e cosa ad essa si richieda, con lo scopo di proporre qualche argomento che possa contribuire a ridimensionare l’ansia da spiegabilità della decisione, che sembra pervadere alcune posizioni contrarie pregiudizialmente all’uso dell’IA nel decidere. Per esempio si può cominciare ad accettare che gli umani hanno i loro pregiudizi e un loro modo unico e non conoscibile di prendere decisioni: Non comprendiamo appieno il pensiero umano, ma accettiamo ancora i suoi errori. Se si commette un errore in un test di matematica, si potrebbe essere in grado di tornare indietro e capire dove si è veri cato l’errore e come risolverlo per la prossima volta. Ma nessuno ha idea di come il cervello stesso sia arrivato internamente alle sue conclusioni! Le neuroscienze non sono ancora a questo punto e non abbiamo grossi problemi a cavarcela senza quella conoscenza. Se vogliamo affrontare alcune delle questioni etiche e giuridiche dell’intelligenza arti ciale all’interno di settori sensibili agli errori, come l’assistenza sanitaria e la nanza, non ha davvero senso lavorare sull’interpretabilità. Si tratta più di applicare l’IA nel modo giusto36. 5.2 Alle origini della motivazione Da un punto di vista storico è una conclusione quasi universalmente accettata tra gli studiosi che non esistesse un obbligo di motivazione sia nel diritto romano, sia nel diritto antico e medio-antico, in genere, mentre l’idea di fornire una spiegazione logico razionale della decisione iniziò a far capolino col secolo dei lumi e al tramonto della visione ‘teistica’ del giudice bouche de Dieux37. Per quanto riguarda l’Italia, l’obbligo di motivazione risale alle costituzioni giacobine di ne Settecento, con funzione principalmente interna al processo a tutela dei diritti delle parti, mentre la funzione di controllo esterno del potere giudiziario era rimesso alla Corte di cassazione, cui era devoluto il controllo sulla attuazione del principio di subordinazione del giudice alla legge38. Come si è visto, in Italia è l’art. 111 della Costituzione a prevedere per la prima volta in modo esplicito in un testo di legge non ordinaria39 l’obbligo di motivazione. Ma se si volesse trovare un ricco dibattito sull’origine di tale disposizione nei lavori preparatori, il risultato sarebbe deludente e a fatica si troverebbero indicazioni circa i contorni e il contenuto dell’obbligo di motivazione. Poco se n’è parlato nei lavori preparatori e, quando lo si è fatto, è stato in considerazione di pro li del tutto particolari, come il ruolo delle giurie popolari nei processi penali. L’unico ancoraggio certo è costituito dal rinvio al principio di legalità, che, nello stabilire che «i giudici sono soggetti soltanto alla legge», pone, per un verso, un argine alle pretese di controllo del potere politico e, al tempo stesso, traccia un con ne all’interno del quale i giudici sono autorizzati a esercitare il loro potere: l’operare nei limiti della legge fonda il potere dei giudici e trova dimostrazione e conferma nell’esplicitazione dei motivi che hanno portato a una certa decisione (art. 101, comma 2 della Costituzione). D’altra parte, anche se riconosciuto in tutti gli ordinamenti affini al nostro, non sempre l’obbligo di motivazione è esplicitamente previsto nelle costituzioni o nei Bill of rights. Per esempio, la costituzione tedesca, il Grundgesetz, non ha una norma corrispondente al nostro art. 111 Cost., tanto che «la giurisprudenza della Corte costituzionale dovette far riferimento al ‘principio dello Stato di diritto’ per affermare l’obbligo di motivazione, inteso come dovere generale dei pubblici poteri»40. A livello delle carte internazionali né la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo né il Patto di New York del 1966 né la Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo contengono l’obbligo di motivazione delle decisioni giudiziali, pur prevedendo altre cautele, come la pubblicità dei processi, l’imparzialità del giudice e il giusto processo. In de nitiva si può dire che in epoca relativamente recente sia emersa una sensibilità giuridica condivisa circa l’opportunità, e in una certa misura l’obbligatorietà, che chi detiene il potere giurisdizionale, come qualsiasi altro potere, debba rendere conto delle proprie decisioni argomentandole41. Tuttavia, fermo restando il solido ancoraggio nei principi fondamentali degli ordinamenti occidentali (essenzialmente il giusto processo e il principio di legalità), l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali non ha un unico e univoco modo di essere riconosciuto e, soprattutto, di essere inteso. Si può dire sinteticamente: motivazione vi deve essere, ma cosa essa sia è ampiamente da vedere. 5.3 Profili teorici A livello dottrinario molti pro li sono stati posti in luce. Secondo la formula di più largo impiego, la motivazione è «l’espressione dell’iter logico-giuridico attraverso il quale il giudice è pervenuto alla decisione»42. In termini tecnicamente forse più precisi, e ridotta al minimo, la motivazione può essere considerata come «l’insieme degli enunciati linguistici formulati dal giudice in funzione giusti cativa delle proposizioni che adempiono a un ruolo prescrittivo (dispositivo)»43. In epoca più recente la motivazione della sentenza è stata ritenuta, sia sotto il pro lo della teoria del linguaggio, sia anche della teoria generale del diritto (debitrice, per questo aspetto, nei confronti della prima), un discorso giusti cativo, ossia «un discorso atto a far risultare, mediante ragioni, che qualcosa è giusto»44. Tuttavia, anche tali minime e comprensive de nizioni sono esposte a critiche importanti. In generale è diffusa l’idea che i motivi espressi nella sentenza siano incapaci di rispecchiare la ricchezza delle intuizioni e del lavorio logico che ha guidato il giudice alla formulazione del dispositivo. Di qui una degradazione del loro valore, ridotto alla stregua di apparato formale destinato a manifestarsi come punto di emergenza di una realtà dalle radici ben più profonde, anche se, è l’opinione di Amodio, «per le parti la motivazione costituisca tuttora una garanzia ineliminabile oggetto di costante invocazione». Vi è poi chi fa notare che «la stessa natura giuridica della motivazione non sia identi cabile al di fuori di un approccio globale del fenomeno». La motivazione, quindi, può essere indagata e considerata sotto due pro li, come segno linguistico e come fonte d’indizi. La motivazione segno riguarda l’esposizione dei motivi con i quali il giudice comunica le ragioni della decisione alle parti e al pubblico (e al giudice dell’impugnazione), mentre la motivazione come fonte di indizi allude alla sua attitudine a esprimere, oltre il suo signi cato intenzionale, altri fatti, quali lo stato psicologico, il livello culturale, le opinioni e lo stato sociale dell’autore45. Quali debbano essere i requisiti della motivazione è stato storicamente oggetto di indagine da parte della Corte di cassazione, che, investita ( no alla riforma del 2012) del controllo del rispetto dell’obbligo di motivazione da parte dei giudici, ha adottato un concetto di motivazione con signi cati assai diversi, «dalla pura e semplice esistenza gra ca dello scritto, alla presenza di proposizioni che assumano come punto di partenza certi contenuti, per giungere no alla pretesa dell’analiticità dell’accertamento o della persuasività degli enunciati del giudice»46. Un crinale interessante è costituito dalla visione della motivazione come operazione logica (o persino psicologica) e come esposizione di tutti gli elementi probatori assunti nel processo, che si riferiscono a un fatto da accertare: in altri termini come il giudice seleziona ciò che è emerso nel processo ai ni della motivazione in fatto. Nel processo civile, può valere anche per i motivi in diritto che una parte ha fatto valere e che, sia se accolti sia se rigettati, richiedono una spiegazione e risposta (vedi avanti). Si pro la così un’opposizione tra una visione della motivazione come oggetto/entità razionale in sé, i cui enunciati si giusti cano per la loro reciproca coerenza interna e in relazione ad altri enunciati teorici, che possono provenire da precedenti giudiziari e/o dalla dottrina (non necessariamente che dia conto di tutto quanto emerso nel processo), e la visione della motivazione come elaborato logico giuridico che contiene, e deve contenere, una completa analisi delle questioni, di fatto o tesi di diritto, emerse nel corso del processo (per esempio i fatti e le prove). La questione è rilevante in sede di analisi delle decisioni e loro predizione (vedi Capitolo 3). 6. Una proposta tra diritto e tecnologia Oggi ci si trova di fronte a tre tipi di difficoltà. Alle due principali tradizionali, quella incarnata dalla corrosione scettica, tipica del realismo giuridico, e quella della motivazione intesa in senso meramente formale (staccata dal processo e dalle difese delle parti), si somma l’emergere dei problemi di spiegabilità di elaborazioni eventualmente prodotte dall’uso di sistemi di intelligenza arti ciale, preoccupazione quest’ultima di cui si fanno carico i documenti internazionali citati sopra e un certo sentire diffuso. Premesso che l’idea di fare semplicemente argine all’uso di IA non ha molto senso, perché, ammesso anche che sia possibile, comunque lascerebbe sul tappeto i primi due problemi, va ricordato che le diverse tesi tradizionali riguardano e mettono in luce funzioni e aspetti diversi della motivazione, che sono rilevanti e acquistano maggior peso quando si aggiungono i problemi della spiegabilità. Alcune tesi considerano la motivazione come mero sillogismo (dalla norma astratta alla sua applicazione al caso speci co), altre come resoconto del percorso decisorio, altre come razionalizzazione a posteriori, altre come esposizione che parte dallo stato dell’arte (scopo/statement/dichiarazione di scienza). Qui di seguito esaminiamo alcuni aspetti che assumono rilievo con l’emergere del problema della spiegabilità dei risultati raggiunti con tecniche di IA. L’obiettivo è di capire se, cosa e come il problema dell’explainability aggiunga ai precedenti problemi e quali prospettive apra il possibile utilizzo di tecnologie di IA. 6.1 La motivazione come razionalizzazione a posteriori Un punto di partenza utile per la nostra indagine è costituito dalla convinzione che la motivazione non sia rappresentazione del processo decisionale. Che la motivazione non fosse o non potesse essere il «fedele resoconto» del processo attraverso il quale il giudice giunge alla decisione era chiaro già negli anni Cinquanta del Novecento, quando Calamandrei sosteneva che essa fosse «l’apologia che il giudice elabora a posteriori della decisione stessa»47. Ciò autorizza il ricorso alla distinzione tra il momento dell’esplorazione e della ricerca della soluzione (giuridica) di un caso (context of discovery) e quello della sua giusti cazione (context of justification/explanation). In termini pratici, un conto è il complesso percorso che il giudicante compie per arrivare alla decisione della lite e «un altro è il discorso giusti cativo che il medesimo costruisce, al ne di rendere conto della propria decisione»48. Una visione di questo genere è, alla ne dei conti, in linea con le previsioni normative. Sono ben noti, e regolati dalla legge, i casi di manifesta scissione tra il momento della decisione e quello della motivazione. L’art. 544 del Codice di procedura penale prevede che «qualora non sia possibile procedere alla redazione immediata dei motivi in Camera di consiglio, vi si provvede non oltre il quindicesimo giorno da quello della pronuncia» e che, «quando la stesura della motivazione è particolarmente complessa, […] il giudice […] può indicare nel dispositivo un termine più lungo». Le regole di procedura civile prevedono un’analoga possibile scissione tra momento decisorio e momento di deposito della motivazione nelle cause in materia di lavoro (art. 420 cpc), dove è prevista la lettura del dispositivo e il successivo deposito della motivazione, e in tutte le altre materie che applicano il rito del lavoro o riti a esso ispirati (come nelle impugnazioni di sanzioni CONSOB o della Banca d’Italia). In tutti questi casi, penali e civili, il giudice decide di assolvere/condannare/dichiarare/costituire o altro, e poi ha un termine per motivare quell’antecedente decisione. Si può quindi dire, a un primo livello di approssimazione, che, ben prima dell’avvento dell’IA, la motivazione non è resoconto di tutto quanto accaduto nel processo e nella fase decisoria, ma sua giusti cazione a posteriori. Questo signi ca che vi è uno iato, o un possibile disallineamento, tra motivazione e quello che un fedele resoconto potrebbe dire del percorso che ha portato a quella decisione. 6.2 Tra il pensare e lo scrivere In questo iato, che riguarda sia il tempo della stesura sia la natura stessa dell’atto-motivazione (resoconto ≠ giusti cazione), si possono inserire diversi elementi e considerazioni, di tipo sia teorico sia fattuale, cui qui di seguito si fa cenno. A livello teorico si considerino le applicazioni della defeasible logic, cioè di quella logica che supera i limiti della logica monotonica (secondo la quale il sistema giuridico è una base assiomatica, alla quale si applica una logica monotona) e che, per evitare la derivazione di conclusioni incompatibili con nuove norme prevalenti, accetta che tale base assiomatica sia modi cata corrispondentemente. Nota Giovanni Sartor, a sostegno della necessità di adottare una logica defeasible: Nel ragionamento giuridico hanno particolare importanza i precedenti. In generale, il fatto che un caso precedente P1 sia stato deciso in un certo modo fornisce una ragione per decidere nello stesso modo un nuovo caso simile C, che condivida con P1, almeno in parte, gli aspetti o fattori che hanno motivato la decisione di P1. Si tratta di una ragione defeasible, che può essere superata da ragioni in contrario. In particolare, agli argomenti che richiamano il precedente P1, si possono opporre considerazioni basate su aspetti o fattori la cui presenza o mancanza distingue il nuovo caso C da P1, argomentando che tali differenze richiederebbero una decisione diversa per C. Tali considerazioni possono essere rafforzate dal richiamo ad altro precedente P2, nel quale si sia raggiunta una decisione diversa da quella di P1, e che condivida con C la presenza di fattori assenti in P1 o l’assenza di fattori presenti in P149. Premesso che quanto detto a proposito del precedente vale, con solo lievi modi che, anche per l’applicazione di norme di legge, chiunque abbia un minimo di dimestichezza con il modo in cui si giunge a una decisione giurisdizionale non farà fatica a riconoscere in questa esposizione teorica alcune dinamiche tipiche della formazione della decisione. Lo studio preliminare della causa richiede, in una prima fase, la messa in ordine dei fatti esposti dalle parti e delle norme/teorie giuridiche che esse hanno indicato a sostegno delle domande proposte al giudicante. In questa fase il giudice ipotizza applicazioni di norme/precedenti e procede per tentativi e veri che delle priorità logico-giuridiche delle questioni e della tenuta delle ipotesi prospettate. Realizzato un sufficiente grado di chiarezza e convinzione, il giudice decide secondo un ragionamento (poi si vedrà meglio quale) che è nella sua mente, nei suoi appunti, in una bozza di sentenza, e poi, dopo aver formulato e letto il dispositivo50, fornisce il quadro completo delle motivazioni in un testo (sentenza), che rende pubblico attraverso il deposito. Ogni persona, non necessariamente un giudice, che abbia esperienza di scrivere, non dico un saggio teorico, ma anche una semplice lettera a chicchessia (amico, familiare o amministratore di condominio), sperimenta facilmente la delicatezza del passaggio dalla fase, magmatica o meditata, di formazione di un’idea di quello che si intende scrivere nella lettera e lo scrivere effettivamente una serie di enunciati che corrispondano a quell’idea, e sperimenta tutta la differenza che può intervenire tra pensare un enunciato e porlo in forma scritta. Questo accade quotidianamente ai giudici, che talora scoprono ulteriori buoni motivi della decisione presa (intuita?) sulla base dello studio preliminare e dell’esperienza e la difficoltà di porre una sequenza di parole, frasi e concetti che abbiano un fondamento logico e razionale. Può capitare che si scopra che un fatto, al quale era stato dato un peso x, in realtà ne abbia uno nettamente maggiore o minore. A quel punto la decisione può cambiare nel tipo di giusti cazione che del dispositivo si dà, che, a causa dell’emergere di elementi di fatto o di diritto che vadano in senso contrario, deve seguire una via diversa da quella immaginata inizialmente. Tutto questo, si badi bene, non è, e giustamente, oggetto di rendiconto nella motivazione. 6.3 La ricchezza caotica del contesto della ricerca Sempre a proposito di cosa possa collocarsi nell’intervallo logico temporale tra dispositivo e motivazione, ci si può chiedere se possa accadere che in questo spazio non oggetto di rendiconto si inserisca anche l’uso di tecniche di IA, in occasione di una ricerca giurisprudenziale o normativa avanzata o alla ricerca di un suggerimento argomentativo. Una volta che siano rispettati gli obblighi di motivare secondo una «razionalità di tipo ‘quasi-logico’» (di cui parla Patrizia Borsellino), correlata a criteri logico metodologici comunemente ritenuti corretti alla luce di un quadro di riferimento, anche normativo, di cui la prima cornice è rappresentata dalla Costituzione, sembra difficile negare questa possibilità. A meno che non si voglia negare l’uso in camera di consiglio di una calcolatrice, di una scoperta a posteriori di qualsiasi natura, anche di un fatto politico o una novità scienti ca, sempre che non si tratti di tecniche di cui sia esplicitamente proibito l’uso o di elementi della decisione per i quali sarebbe necessario suscitare il contraddittorio delle parti. La possibilità di raggiungere una soluzione giuridica di un caso utilizzando anche un sistema di machine learning o deep learning, che produca un risultato che i giudici fanno proprio e che, dopo averlo fatto proprio, riescono a giusti care in termini giuridici tradizionali, fa scandalo solo se si assume l’idea che la motivazione debba essere una specie di verbale di quanto accaduto nel corso del processo decisionale, che ha inizio con il primo studio della causa e che si conclude con la camera di consiglio (e anche dopo, no al deposito della motivazione). Ma, lo si è visto sopra, la motivazione processo o rendiconto del percorso e dell’andirivieni, che ogni causa un minimo complessa richiede, non è teorizzata o richiesta da nessuno. D’altra parte, anche il risultato dell’applicazione di tecnologie di IA a dataset giuridici non può essere neanche mitizzato e può rientrare in quel context of discovery, dove si fa ricorso e concorrono fonti ed elementi diversi. Tra queste vi possono essere un libro sullo scaffale dello studio del giudice, una ricerca in una banca dati messa a disposizione dell’ufficio, la memoria personale di un giudice che ricorda un lontano precedente, l’intuizione di un collega o di un judicial assistant (oggi presenti nei nostri tribunali e nelle nostre corti sotto la denominazione di tirocinanti ex art. 73) o, perché no?, i risultati di una esplorazione di un dataset con tecniche di machine learning. Questi risultati, pur potendo apparire prima facie non corrispondenti alla ragionevolezza umana (come ci ricorda Kevin Ashely: vedi sopra, ma anche alcune opinioni espresse in camera di consiglio possono non essere ragionevoli!), hanno comunque una natura che non può essere per ciò solo causa di loro esclusione dal percorso decisionale. Quei risultati possono essere l’invisibile che viene reso visibile, cioè quello che è presente nell’esperienza giuridica che ha preso la forma di quelle raccolte di dati e che noi non vediamo o perché i dati sono tanto numerosi da essere defatigante, o di fatto impossibile, una nostra esplorazione, o perché la nostra esplorazione è affetta da uno dei bias cognitivi umani (vedi sopra) che ci impediscono di vedere qualcosa che pure sarebbe sotto i nostri occhi e che, invece, un sistema automatico (che avrà altri bias, ma non i nostri) riesce a correlare. Tutto sommato, e al netto della distanza di tempo, non siamo lontani dalla visione di Norberto Bobbio: non diversamente da un artigiano che sia insieme anche un artista, questi strumenti il giurista non se li trova già pronti per l’uso davanti a sé: per usarli deve prima di tutto andarseli a cercare (e qualche volta sono lontani e nascosti), poi foggiarseli secondo lo scopo proposto, e talora anche fabbricarseli con le proprie mani51. Lo vedremo poco più avanti. Intanto quello che è importante è che il coacervo, talora disomogeneo e apparentemente disordinato, della fase di discovery, trovi il modo di prendere la forma e di metamor zzarsi in un testo ispirato a quella razionalità che Patrizia Borsellino dice di «tipo logico o ‘quasi-logico’», degno del nome «motivazione». Questa idea, però, non è condivisa da chi sostiene che la decisione/motivazione resa sulla base delle risposte date da un sistema di IA sia irrimediabilmente in ciata dalla natura di black box di quel sistema. 6.4 Scatole nere: una metafora non chiara Secondo un’idea corrente la maggior parte dei sistemi di apprendimento automatico (machine learning), e soprattutto quelli di deep learning, sono essenzialmente scatole nere (black boxes), in cui non si può davvero controllare come l’algoritmo raggiunga il risultato che raggiunge. La black box è una metafora atecnica e suggestiva, al pari di altre, come per esempio essere un ‘oracolo’52. In realtà, come si è visto per la motivazione in generale, anche la comprensione di cosa venga considerata una scatola nera richiede una chiari cazione su cosa si intenda per spiegazione. La scatola nera, infatti, si de nisce proprio in opposizione a quello che è ritenuto spiegabile o spiegato, rispetto al quale la scatola nera, per la quale conosciamo solo gli stimoli in entrata (input) e le risposte in uscita (output), si presenta come un’unità le cui operazioni interne non possono essere oggetto di indagine53. È stato fatto notare che la spiegazione può essere intesa in almeno due modi. Se si chiede a una persona perché ha fatto qualcosa (sempre che si tratti di una decisione presa con attenzione) si parte dal presupposto che la persona abbia avuto una buona ragione per aver agito in quel modo e, fondamentalmente, ci si chiede quale sia stato il ragionamento attraverso il quale quella persona ha preso quella decisione, e ci si aspetta che abbia pesato i pro e i contro e abbia scelto una linea d’azione in previsione di un risultato atteso. Se invece, ed è il secondo modo di intendere la spiegazione, ci si chiede perché qualcosa sia andato storto, si sta chiedendo una sorta di spiegazione a posteriori di un fallimento. Ad esempio, dopo un incidente d’auto, si potrebbe volere una spiegazione di cosa ha causato l’incidente. L’autista era distratto? Un’altra macchina lo ha fatto sterzare? In questo caso, più che un ragionamento, si cerca, più o meno, l’evento critico che ha causato una reazione particolare al di fuori del normale comportamento54. La spiegazione che si vorrebbe ricevere o che ci si aspetterebbe, quando si pensa all’intelligenza arti ciale, sembra essere quella del primo tipo (la ragione per la quale abbia scelto una linea d’azione sulla base di quale risultato atteso), anche se per lo più i sistemi sono simili al secondo tipo; cioè, ricevono stimoli ai quali reagiscono. Di solito, quindi, bisogna prendere atto che è più difficile capire le ragioni per le quali è stata presa una decisione particolare. In realtà, i sistemi di machine learning e di deep learning non sono scatole nere, nel senso proprio del termine, perché sono costituiti da un insieme di reazioni elementari, ciascuna delle quali sarebbe in sé spiegabile. Ma esse sono molto numerose, e quindi non facili da ricostruire da un umano, oppure, nel caso dei modelli di deep learning (o neural networks), le interazioni sono non-lineari, che signi ca non solo che non vi è un unico percorso tra input e output, ma che l’effetto di cambiare un input può dipendere dai valori di altri input. Questo rende molto difficile da concepire mentalmente cosa stia accadendo nel sistema, anche se i dettagli sono nondimeno trasparenti e del tutto disponibili per un’eventuale ispezione. La situazione si può anche rovesciare. Nelle ricerche sulla visione umana, per esempio, si sta tentando, con i sistemi di machine learning, di imitare il comportamento umano usando solo gli input e gli output. In tal caso, se considerato dal punto di vista di un sistema di machine learning, è l’umano a costituire la scatola nera55. In sintesi, si può dire che difficoltà di conoscenza e di ricostruzione delle decisioni sicuramente esistono, ma sono difficoltà materiali (come, per esempio, l’eccessiva onerosità e quindi non convenienza economica della ricostruzione) e non il risultato di chissà quale mistero del sistema. D’altra parte, non sono queste difficoltà le uniche che si incontrano nella nostra vita sociale. Un segreto industriale, per esempio, è un ostacolo giuridico alla conoscenza che può avere, che si tratti della formula della Coca Cola o del soware proprietario con il quale i giudici americani calcolano l’aumento di pena per rischio di recidiva (il caso Loomis, vedi paragrafo 3.1), effetti di blocco della conoscenza che non sono da meno. Gli esempi in ambito giuridico possono continuare. Un effetto black box è creato dal divieto, o dal non uso, della pubblicazione dell’opinione di minoranza, e quindi dissenziente, nella decisione di un collegio: l’effetto è di rendere inesplorabile il confronto di opinioni che si è sviluppato in un collegio. Così come alcuni contributi scienti ci nelle consulenze tecniche e nelle perizie. Ricordo un caso in cui una parte, che agiva in giudizio contro l’autore di una contraffazione di un brevetto, si ri utò di far accedere il consulente tecnico, nominato dal giudice, al proprio processo di fabbricazione, valutando più dannosa per sé la rivelazione delle speci che tecniche di quel processo rispetto al rischio di non fornire la prova o di non consentire l’accesso alla prova. Ancora una volta un black box giuridico e tecnico. Vi sono poi alcune prassi decisionali basate banalmente su inerzie che somigliano a scatole nere, come quando un giudice decide sulla base di una sentenza della Cassazione di cui esamina solo il dispositivo o la massima, senza prestare attenzione al caso concreto dal quale quella affermazione di diritto prende le mosse. In conclusione, le black box, nel diritto o nelle prassi, esistono, così come esistono nella medicina56 o nel pilotaggio degli aerei, come è emerso nei disastri dei Boeing 737 Max nel 2019. Si tratta di capire come gestirle e come integrare i processi decisionali. Non va, poi, sottovalutato il fatto che non tutto è negativo e che può essere importante, anche in campo giuridico, la scoperta di relazioni che prima non erano mai state considerate57. Sembra andare in questa direzione il progetto di ricerca su come decidere About, By and Together with Algorithmic Decision Making Systems (ADM), promosso dall’Hans-Bredow-Institut di Amburgo, che si propone di rispondere a domande come le seguenti: In che modo gli umani prendono decisioni sugli altri umani rispetto a come i sistemi ADM prendono le stesse decisioni sugli umani? In che modo gli esseri umani in congiunzione con i sistemi ADM prendono decisioni su altri umani? Quali sono i limiti in cui le macchine dovrebbero prendere decisioni sulle persone? E come possono gli Stati decidere se i sistemi ADM dovrebbero essere utilizzati all’interno dei sistemi di giustizia penale58. 6.5 Di cosa è fatta la motivazione di una decisione È utile, a questo punto, tornare a porsi una domanda, più profonda, se si vuole: di cosa è fatta una sentenza/motivazione, quali sono i suoi componenti, come è/deve essere organizzata al suo interno e cosa deve contenere rispetto alla totalità del materiale contenuto nel processo e nei suoi atti? La risposta più convincente è, a mio avviso, che la motivazione, sia essa penale o civile, è l’insieme degli elementi che provengono dal processo e che hanno costituito oggetto di prospettazione da parte dei difensori delle parti (o dalle parti stesse) e che il giudice pone in un proprio ordine logico giuridico. Non paia una de nizione riduttiva. Essa è l’unica in grado di rispondere alla regola che vieta al giudice di decidere oltre le richieste delle parti o al di fuori di esse (no ultra petita o extra petita59) e al principio del contraddittorio, secondo il quale il giudice che ritenga «di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio» deve assegnare alle parti un termine per poter interloquire con il deposito di memorie (Art. 101 cpc). Dal che si deduce che il giudice deve pronunciare sulle questioni proposte dalle parti60 e non può porre a fondamento61 della decisione questioni sulle quali le parti non abbiano potuto esercitare il diritto di difesa. Potrà certo, se lo ritiene, approfondire o anche sviluppare, ma a partire da una questione che sia stata oggetto d’interlocuzione. A stretto rigore si può dire che il giudice non aggiunge argomenti, ma organizza e gerarchizza quelli esistenti in modo funzionale alla decisione e che, quindi, una buona motivazione è una motivazione che rende esplicito il perché e il come, e secondo quale ordine, il giudice abbia deciso di aggregare quegli elementi giuridici: niente di più e niente di meno. Questo perché la decisione e la motivazione arrivano all’esito di un processo governato dalla regola fondamentale, non tanto e non soltanto della legalità, quanto del contraddittorio, espressione massima del diritto di difesa e del giusto processo. 7. La sentenza: un aggregato temporaneo di dati Il passo successivo è chiedersi quale sia la natura di questi elementi/argomenti giuridici che vanno a popolare la motivazione della sentenza. Essi sono norme di legge, norme costituzionali o di trattati internazionali, norme provenienti da altri ordinamenti giuridici (caso sempre più frequente, soprattutto e non solo in ambito europeo), elaborazioni dottrinarie. Tutti questi materiali, si noti, sono gli stessi e vengono tratti da fonti condivise con gli avvocati, gli studiosi dell’accademia, le amministrazioni in vista di loro decisioni o gli stessi legislatori. La differenza sta solo nel modo in cui ognuno di questi professionisti o di questi enti organizza le informazioni, modo che dipende dalle proprie nalità istituzionali e dai propri con ni deontologici. Quanto alla forma, queste informazioni sono espresse in linguaggio naturale, cioè nel linguaggio usato nella speci ca comunità di vita. Nella sentenza possono concorrere, anche coesistere, diversi linguaggi naturali, come capita talora con fonti europee quando sono espresse solo in inglese e francese62. Inoltre, in quanto contenuti giuridici inseriti in contesti informatici/digitali, essi hanno natura di dati, che possono essere strutturati, semistrutturati o non strutturati63. Si può, quindi, precisare l’affermazione di cui sopra dicendo che il giudice non aggiunge dati (argomenti), ma li organizza e gerarchizza in modo funzionale alla decisione e che, quindi, una buona motivazione è una motivazione che esplicita il perché, il come e il modo in cui il giudice abbia deciso di aggregare quei dati (elementi giuridici). Se gli elementi giuridici di cui è composta la sentenza sono dati bisogna trarne la conclusione che la sentenza (al pari con gli atti degli avvocati e delle fonti dalle quali quei dati provengono) è un aggregato di dati, che il giudice ha ricomposto e organizzato in un modo idoneo a giusti care razionalmente la sua decisione. Ecco perché la motivazione non aggiunge dati ma organizza dati in modo funzionale alla decisione, e una buona motivazione ha il compito di esplicitare il perché e il come del modo di aggregazione adottato. Tutto ciò è comune al campo civile e a quello penale, all’avvocato e al giudice, all’amministratore pubblico come al legislatore a qualsiasi livello. I loro atti sono tutti aggregati di dati scomponibili e ricomponibili in varia maniera. Uno dei risultati pratici è che le sentenze depositate in sistemi informatici (Consolle civile e penale) vanno a costituire un insieme di decisioni che, se ben organizzato in un magazzino di dati (datawarehouse), è interrogabile con ricerche per parola, come negli attuali database, o esplorabile con modalità tecniche più raffinate, come i sistemi di machine learning. È utile, però, che le sentenze (e tutti gli atti del processo, anche quelli degli avvocati) siano organizzati in modo da andare a costituire un insieme di dati (dataset) di buona qualità, poiché migliore la qualità iniziale del dato, migliore è l’esito delle operazioni di IA. Negli ultimi anni numerosi gruppi di lavoro sono stati istituiti in ambito giudiziario e numerosi (talora lunghi) documenti sono stati dedicati alla cosiddetta sinteticità degli atti. Ho sempre sostenuto che il problema non fosse la sinteticità, ma la struttura logica che sorregge l’atto e la sua organizzazione in parti adeguatamente distinte e gerarchizzate. Un atto di tal genere, che alla ne sarà anche più sintetico, è candidato a essere un atto di buona qualità nell’ottica del datawarehouse. Un datawarehouse ben organizzato e alimentato con dati di buona qualità può essere interrogato con algoritmi che possano aiutare il giudice rendendo visibili quelle informazioni che a occhio nudo non si riesce a vedere o, anche, proponendo una bozza della sentenza da scrivere e dei precedenti e delle norme applicabili, una volta che al sistema siano state fornite le coordinate spazio-temporali e di materia della questione da decidere (document builder). A quel punto al giudice resta il compito, più difficile e di più alto pregio intellettuale e professionale, di selezionare quel materiale e quella proposta di motivazione, di s darla, cambiando o precisando alcuni parametri, o alcuni elementi di fatto e di diritto che contraddicono e cambiano la consequenzialità della proposta del sistema. È probabile che si stia avvicinando «quel giorno» preconizzato da Reed C. Lawfor, con il quale abbiamo aperto il capitolo. È necessaria una visione della motivazione come creazione non isolata ma inserita in un usso di informazioni organizzate come dati, dove essa rappresenta soltanto un passaggio, per quanto di grande importanza pratica e sociale64. E qui il cerchio si chiude. La motivazione, e il suo alto valore costituzionale, non sono posti in pericolo dall’uso di tecniche di IA. L’importante è avere la giusta visione del lavoro del giudice e della funzione del diritto nelle nostre società. Di ulteriori conseguenze di questa visione si parlerà nel capitolo conclusivo. LAWLOR 1963, p. 339. Questo passo di Reed C. Lawlor è stato presentato da Richard Susskind al congresso IAIIL del 2017, http://www.iaail.org/?q=page/keynote-speeches-icail visitato il 19 agosto 2019 [traduzione mia dall’inglese]. 3 La European Commission for the Efficiency of Justice (CEPEJ) è costituita dai rappresentanti di 47 Stati membri del Consiglio di Europa. 4 LAWLOR 1963. 5 European Ethical Charter on the Use of Artificial Intelligence in Judicial Systems and their environment (Strasbourg, 3-4 December 2018), disponibile presso https://www.coe.int/en/web/cepej/european-ethical-charter-on-the-use-of-arti cial-intelligence-ai-in-judicial-systems-and-theirenvironment. 6 Il documento CEPEJ riporta con un certo scetticismo un esperimento che sarebbe stato condotto per tre mesi in due Corti d’appello francesi: «Douai and Rennes Courts of Appeal in France conducted a three-month trial in 2017 with a soware programme labelled ‘predictive’ by a panel of judges». Tra i documenti che considerano gli usi in ambito giudiziario è degno di rilievo VAN EST – GERRITSEN – KOOL 2017, pp. 42-43. 7 A patto che siano indipendenti dal potere esecutivo e legislativo, o che siano autonome e che assicurino la responsabilità nale per il sostegno del potere giudiziario nell’impartire la giustizia in modo indipendente: https://www.encj.eu/encj-guide visitato il 19 agosto 2019. 8 Le informazioni sul meeting di Amsterdam sono tratte dal Report ENCJ Digital Justice Forum https://pgwrk-websitemedia.s3.eu-west-1.amazonaws.com/production/pwk-web-encj2017p/GA%2018/Report%20ENCJ%20Digital%20Justice%20Forum%20Amsterdam%202018.pdf visitato il 10 maggio 2019. 9 https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-12794-2018-REV-3/it/pdf visitato il 10 maggio 2019. 10 Piano d’azione dell’UE per l’eGovernment 2016-2020 – Accelerare la trasformazione digitale della pubblica amministrazione. 11 http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-11724-2018-REV-4/it/pdf, visitato il 10 maggio 2019. 12 https://e-justice.europa.eu/home.do?action=home&plang=it, visitato il 12 maggio 2019. 13 Entrambe accessibili dal portale https://e-justice.europa.eu/, visitato il 12 maggio 2019. 14 https://www.giustizia-amministrativa.it/processo-amministrativo-telematico, visitato il 12 maggio 2019. L’utente ha l’opportunità, previa registrazione attraverso il portale dedicato, di accedere al sistema informativo della Giustizia Tributaria (SIGIT – PTT) e di depositare gli atti e i documenti processuali già noti cati alla controparte. Inoltre, i giudici tributari, i contribuenti, i professionisti e gli enti impositori, potranno consultare da casa o dai propri uffici il fascicolo processuale contenente tutti gli atti e documenti del contenzioso cui sono interessati. 15 https://www.giustiziatributaria.gov.it/gt/processo-tributario-telematico-ptt-sigit, visitato il 12 maggio 2019. 16 CAROLLO – REALE 2018. L’articolo riporta in modo accurato le varie fonti normative. 17 Fonte http://pst.giustizia.it/PST/resources/cms/documents/PCT_Dati_2014_2018.pdf, visitato il 12 maggio 2019. 18 Relazione del Ministero sull’amministrazione della giustizia anno 2018, resa in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2019. https://www.giustizia.it/resources/cms/documents/anno_giudiziario_2019_dog.pdf (visitato il 12 maggio 2019). Negli anni 2016-2017 il Ministero della giustizia-Direzione generale dei servizi informatici e automazione ha nanziato presso gli uffici giudiziari milanesi un progetto pilota (che ha 1 2 preso il nome Justech), coordinato dalla Corte d’appello (con delega all’autore di questo volume) per la promozione della digitalizzazione penale. Il progetto è stato rilevante non solo per i risultati raggiunti, ma anche per la modalità di collaborazione tra uffici giudiziari e istituzioni accademiche. 19 WALLACE 2019, pp. 1-3: «By September 2018, over 2000 cases had been led and dealt with. However, the procedure has not been implemented as planned in the other nine rst instance courts. e main reason given was that implementation would be too much of an effort requiring too many resources. is complexity was the result of a large number of decisions, for instance in the new procedural legislation, that made development and implementation much more difficult than rst foreseen». 20 SUSSKIND 2017, p. 105. 21 WALLACE 2019, pp. 1-3. 22 L’idea è condivisa da CUCCHIARA 2018. 23 Relazione del Ministero sull’amministrazione della giustizia anno 2018, resa in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2019: https://www.giustizia.it/resources/cms/documents/anno_giudiziario_2019_dog.pdf, visitato il 9 maggio 2019. 24 WALLACE 2019, pp. 1-3. «ere are interesting developments, such as the discussion about arti cial intelligence and what that can mean for the judiciary. I will keep writing about it on this, my own Technology for Justice blog», dice Dory Reiling: http://doryreiling.blogspot.com/2019/02/#6270147854396689119, visitato il 9 maggio 2019. 25 A livello accademico si può citare il progetto LAILA, nanziato dal Ministero dell’Università (PRIN 2019), promosso dalle Università di Pavia, Torino, Napoli e Bologna (principal investigator prof. G. Sartor). 26 Tra i vari commenti si vedano GIALUZ 2019; BASILE 2019, p. 21. Per una denuncia dei bias razziali nei sistemi di previsione di recidiva si veda ANGWIN 2016. 27 SANTOSUOSSO 2011, p. 377. 28 SAPORITI 2018; PIVA 2019. 29 WEBSTER 2019, articolo nel quale si trova il seguente interessante parallelo: «Applying the standard pantheon of data analytics and data visualization techniques to large biological datasets, and expecting to draw some meaningful biological insight from this approach, is like expecting to learn about the life of an Egyptian pharaoh by excavating his tomb with a bulldozer». 30 Si veda RICHARDSON et al. 2019. 31 SCHAUER 1991, p. 11 [traduzione mia]. 32 LEVI 1949; HOLMES 1897. 33 KATZ 2013. 34 ASHLEY 2017, p. 111 [traduzione mia]. 35 European Ethical Charter on the Use of Artificial Intelligence in Judicial Systems and their environment (Strasbourg, 3-4 December 2018), p. 27, disponibile presso https://www.coe.int/en/web/cepej/cepej-european-ethical-charter-on-the-use-of-arti cialintelligence-ai-in-judicial-systems-and-their-environment. 36 SEIF 2018. Si veda anche FORZA – MENEGON – RUMIATI 2017. 37 BISCOTTI 2012, che cita TARUFFO 1974. 38 DENTI 1987, p. 5. 39 La motivazione era già prescritta nel codice di procedura civile del 1865 e in quello del 1940, nel testo vigente no alla riforma del 2009, come le «ragioni di fatto e di diritto della decisione» (art.132, co. 2, n.4 c.p.c.). DENTI 1987. BISCOTTI 2012, p. 27. Per il potere amministrativo, oltre all’art. 41 CEDU, è degna di nota Corte Costituzionale (sentenza n. 310/2010): «L’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi è diretto a realizzare la conoscibilità, e quindi la trasparenza, dell’azione amministrativa. Esso è radicato negli artt. 97 e 113 Cost., in quanto da un lato, costituisce corollario dei principi di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione e, dall’altro, consente al destinatario del provvedimento, che ritenga lesa una propria situazione giuridica, di far valere la relativa tutela giurisdizionale». 42 DENTI 1987, p. 12. 43 AMODIO 1977, p. 199. 44 BORSELLINO 2009, pp. 141 ss. 45 AMODIO 1977, p. 184, che cita TARUFFO 1974, pp. 43-44, 50-52, 59. 46 AMODIO 1977, p. 181. 47 CALAMANDREI 1954, p. 101, citato in BISCOTTI 2012, p. 10. 48 BISCOTTI 2012, p. 11. 49 SARTOR 2015, p. 304 in particolare. L’autore così spiega un ragionamento non-monotono: «Supponiamo che Tizio abbia causato un danno a Caio, ma che Tizio fosse incapace di intendere e di volere, essendo in stato di ubriachezza. La prima delle nostre norme ci condurrebbe a ritenere che Tizio sia responsabile (passo 1), ma la seconda norma, più speci ca, fornisce un’eccezione alla prima, e quindi Tizio non sembrerebbe responsabile (passo 2). In ne, la terza norma escludendo l’applicazione della seconda (che avrebbe escluso la prima) ci conduce a ritenere che la prima si applichi e quindi che Tizio sia responsabile. Si tratta di un ragionamento non-monotono: se aggiungiamo nuove premesse (eccezioni) a una teoria giuridica T (un insieme di norme e fatti) vengono meno alcune conclusioni derivabili da T» (p. 300). 50 Ciò vale di solito nei processi penali e anche in quelli civili quando si applica il cosiddetto «rito lavoro» e simili: vedi sopra. 51 BOBBIO 1970, p. 154. 52 Che infatti non si trova in testi tecnici come quello di Russell e Norvig. La metafora dell’oracolo è usata, invece, nell’editoriale di «Nature» dopo la vittoria di Alpha GO: Digital intuition, «Nature», 28 January 2016, vol. 529, p. 437. 53 La questione è al centro anche di sviluppi tecnologici, nel senso della chiarezza, ai quali sono interessati anche nel mondo delle imprese. In effetti, deep learning ha la reputazione di essere un metodo «scatola nera». Diverse storie di successo per la costruzione di «scatole di vetro» hanno utilizzato modelli per migliorare la trasparenza e l’interpretazione. Alcuni progetti nel campo dell’intelligenza arti ciale spiegabile sono riportati in MORDE 2018. Degno di nota l’interesse degli apparati militari al tema della spiegabilità: sul punto si veda POWERS 2017. 54 CARD 2017. 55 CARD 2017, ritornando così all’origine del concetto di «black box» nella psicologia comportamentale. 56 NICHOLSON PRICE 2018. 57 HOLM 2019, pp. 26-27: l’autrice cita tra l’altro il caso di uno studio che ha impiegato un sistema di deep learning per diagnosticare la retinopatia diabetica, individuando a sorpresa una serie di altri fattori di rischio concorrenti come il sesso e l’età. 58 Il progetto è promosso dall’Hans-Bredow-Institut (un istituto indipendente e non-pro t che opera dal 1950 in collaborazione con l’Università di Amburgo): https://hans-bredowinstitut.de/en/projects/opportunities-and-limitations-of-adm-systems, visitato il 23 maggio 2019. 40 41 Codice di procedura civile, art. 112 (Corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato): «Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti». 60 Incluse le prove e il loro risultato, che non può essere ignorato in nome della pura consistenza razionale interna all’elaborato sentenza. D’altra parte, il testo attuale dell’art. 360 cpc prevede il ricorso per Cassazione «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti». 61 Altra cosa sono gli obiter dicta. 62 Il che apre al problema del multilinguismo, di cui si parlerà nel Capitolo 8. 63 Per il signi cato di questi termini si veda sopra paragrafo 3. 64 Ho presentato questi argomenti al convegno «Della motivazione degli atti civili e penali», organizzato a Milano il 3 aprile 2017 dalla Scuola Superiore della Magistratura – Ufficio decentrato di Milano. Nell’occasione ho riconosciuto il lavoro fatto sin dal 2015 con i colleghi della sezione Prima civile e Impresa della Corte da me presieduta, il gruppo di lavoro Corte/Tribunale/Ordine avvocati di Milano su La Forma dell’Atto e la relazione presentata al convegno il 19 febbraio 2016, Aula Magna, Quando il diritto incontra la tecnologia (presentazione con Cons. C. de Sapia e Avv. M.G. Monegat), il Coordinamento del progetto Justech -Ministero della giustizia-DGSIA-UNIMI-UNIPV per la promozione del sistema informatico penale presso gli uffici giudiziari di Milano (dicembre 2015dicembre 2017), la linea 3 del progetto Justech, con la collaborazione di Giulia Pinotti (studente di dottorato presso l’Università Statale di Milano) ed Elettra Currao (art. 73 presso la Corte). In data 20 giugno 2018 il Consiglio superiore della magistratura (CSM) e il Consiglio Nazionale Forense (CNF) hanno approvato Le linee guida in tema di esame preliminare delle impugnazioni e modalità stilistiche di redazione dei provvedimenti, alle quali ho contribuito (collaborando con la presidente della Corte d’appello di Milano, dott.ssa Marina Anna Tavassi) mettendo a frutto le mie precedenti, appena citate, esperienze. 59 5. Blockchain e smart contract: un diritto senza avvocati, giudici e… Stato? Proprio come ‘cloud’ significa computer di qualcun altro e ‘AI’ significa un algoritmo ottimizzato, ‘blockchain’ significa un database lento e costoso1. You can’t stop technology; the world’s going to continue to move forward. I would love to see technological productivity change the social contract and how people think […]2. 1. Il 10% del PIL del mondo! Il World Economic Forum prevede che entro il 2025, e nonostante i problemi tecnici e giuridici ad essa legati, ben il 10% del PIL del mondo sarà prodotto da attività e servizi che saranno erogati e distribuiti con le tecnologie blockchain3. L’argomento non può, dunque, essere sottovalutato ed è, quindi, giusti cato che a esso sia dedicato questo capitolo. Di qui in avanti si parlerà dunque di blockchain (modo universalmente usato per parlare della catena di blocchi o del registro distribuito) e di smart contract (contratti intelligenti). È una materia in rapidissima espansione e molto ricca di sfaccettature e aspetti teorici e pratici. Blockchain e smart contract non appartengono, a stretto rigore, al campo dell’IA. Essi hanno alcuni evidenti collegamenti con l’intelligenza arti ciale, ma sono essenzialmente legati a Internet sulle cui spalle viaggiano. Internet, si può ricordare, è formato da una pluralità di protocolli che, quando combinati, creano diversi livelli di comunicazione (uno dei quali è il ben noto TCP/IP). La tecnologia blockchain utilizza protocolli applicativi capaci sia di trasmettere dati sia di immagazzinare informazioni e di eseguire alcuni processi di computazione, in un modo che non dipende da nessun operatore centralizzato4. L’aspetto principale è, quindi, l’utilizzo di Internet, ma con due signi cative varianti: la prima, costituita dal fatto di utilizzare la rete come luogo nel quale non solo trasmettere, ma anche immagazzinare dati (cioè i blocchi concatenati) e, la seconda, di costituire un network paritario e non gerarchico, basato su un meccanismo di consenso e un meccanismo virtuale decentralizzato che gestisce e valida dati e svolge attività computazionale. I servizi centralizzati, che pure esistono in una blockchain e interagiscono con essa, operano in modo indipendente dal sottostante network paritario. In questo capitolo il paragrafo 2 fornisce alcune informazioni di base su blockchain, la sua origine, la sua natura, il rapporto con le criptovalute (come bitcoin) e con l’intelligenza arti ciale e l’Internet of ings, con un cenno ai numerosi campi nei quali questa tecnologia ha cominciato a essere applicata; il paragrafo 3 introduce gli smart contract in generale; il paragrafo 4 analizza la relazione speciale, che intercorre tra smart contract e blockchain; il paragrafo 5 apre al tema se gli smart contract siano contratto o mero soware, tema che sarà ripreso nel Capitolo 8, dove ci si occuperà di computazione e diritto; il paragrafo 6 si occupa del modo di risoluzione delle controversie che possono trarre origine da smart contract (non ha senso, infatti, ricorrere a questo mezzo tecnologico avanzato, se poi bisogna ritornare alle lentezze dei modi di soluzione giuridica delle controversie nei tribunali pubblici); il paragrafo 7 tratta delle regole che è necessario (se è necessario) adottare per blockchain e smart contract (troppe regole o poche, troppo tardi o troppo presto); in ne, il paragrafo 8 pone in luce alcuni problemi aperti per lo sviluppo di una tecnologia (blockchain) tanto promettente quanto, almeno al momento, dispendiosa di energia. Le domande alle quali dà risposta il capitolo sono le seguenti: è la blockchain una tecnologia importante quanto Internet e tale da poterla soppiantare? In quale senso uno smart contract è intelligente? Che rapporto c’è tra blockchain e IA e Internet (per esempio, un sistema di risoluzione dei con itti basato solo su un sistema automatico)? Si può fare a meno di regole, e quali? È blockchain il regno della totale ne del patto di soggezione allo Stato? 2. Blockchain È il 1991 quando Stuart Haber e Walter Scott Stornetta5 lavorano alla prima catena di blocchi protetta da crittogra a. Nel 1992 gli stessi Haber e Stornetta incorporano i markle tree (struttura schematica ad albero) alla blockchain, realizzando così un miglioramento dell’efficienza del sistema nel raccogliere più documenti in un unico blocco. Dal 1993 al 2008 la tecnologia blockchain rimane per lo più un’idea di difficile applicazione pratica, anche se vi era un chiaro potenziale. La prima blockchain viene distribuita ed elaborata nel 2008 da un gruppo di persone anonime (che, a rigore, potrebbe anche essere una sola persona) che si sono attribuite il nome di Satoshi Nakamoto. L’anno seguente è implementata come componente principale della valuta bitcoin e con la funzione di libro mastro contenente tutte le informazioni pubbliche delle transazioni. 2.1 Cosa è blockchain Letteralmente blockchain signi ca «blocchi concatenati» e, pur in mancanza di un’unica de nizione, è possibile immaginarla come una concatenazione di blocchi costituiti dall’insieme delle transazioni veri cabili, con struttura verticale o ad albero, in grado di collegare diversi nodi (formati sicamente dai server di ciascun partecipante), che vengono utilizzati dai soggetti per prendere parte alla decisione. Una delle caratteristiche fondamentali della blockchain è di essere equiparabile a un libro mastro in cui ogni operazione viene registrata nel sistema e non può essere in alcun modo cambiata, modi cata o manomessa. In realtà, più che di tecnologia sarebbe corretto parlare di un paradigma o, più in dettaglio, di un modo di interpretare un sistema ispirato alla decentralizzazione delle sue dinamiche e alla partecipazione di un numero di soggetti potenzialmente molto ampio. La grande versatilità del sistema spiega perché esistano diverse de nizioni e spiegazioni di blockchain, che dipendono anche dall’utilizzo. Secondo una prima de nizione la blockchain è un database di transazioni: «La blockchain è una tecnologia che permette la creazione e gestione di un grande database distribuito per la gestione di transazioni condivisibili tra più nodi di una rete»6. Questa de nizione valorizza la natura di database strutturato in blocchi tra loro collegati, ciascuno dei quali contiene più transazioni, che sono validate dalla rete stessa. Ogni nodo della catena è costituito sicamente dal server attraverso il quale ciascun partecipante ha accesso alla blockchain, vede, controlla e approva tutte le transazioni. Per altri, invece, la blockchain esprime al meglio l’evoluzione del concetto di ledger, ossia di «libro mastro». Prima dell’avvento della blockchain, vi erano sistemi che già consentivano lo scambio di transazioni e informazioni, ma con una logica centralizzata, nella quale tutto faceva riferimento ed era gestito da una singola unità o autorità, con la quale i soggetti avevano un rapporto di ducia. Con il concetto di decentralized ledger l’informazione si decentralizza: essa non è più custodita da un’unica unità centrale, ma si trova distribuita nelle periferie, che assumono sempre più rilevanza nella transazione. L’innovazione decisiva, però, è rappresentata dal passaggio dal concetto di decentralized ledger a quello di distributed ledger: questo è il punto che più caratterizza l’avvento della tecnologia blockchain. Il concetto di un libro mastro distribuito in copie uguali di informazioni a una moltitudine di persone (chiunque possegga una chiave criptogra ca può partecipare a una blockchain pubblica) consente l’evoluzione verso una nuova logica di governance, un contesto in cui non esiste più la possibilità che un’unità prevalga sulle altre (come le autorità centrali su quelle locali). La logica primaria diventa, invece, quella della ducia tra tutti i soggetti: il processo decisionale passa attraverso la costruzione del consenso tra tutti i partecipanti, ognuno dei quali ha le stesse informazioni degli altri. Si può concludere con le seguenti parole sdrammatizzanti e un po’ scettiche: La cosa principale che distingue una blockchain da un database normale è che ci sono regole speci che su come inserire i dati nel database. Cioè, non può entrare in con itto con altri dati che sono già nel database (coerenti), è immutabile (append-only) e i dati stessi sono bloccati su un proprietario (possessore), è replicabile e disponibile. In ne, tutti sono d’accordo su quale sia lo stato delle cose nel database (canonico) senza un ‘partito’ centrale (decentralizzato)7. 2.2 Blockchain, criptovalute e bitcoin In un primo tempo la tecnologia blockchain è stata associata alle criptovalute, come Ethereum e Ripple e, in particolare, il bitcoin. Il bitcoin ha toccato i suoi massimi storici a ne 2017, a circa ventimila dollari, e poi è sceso sotto i tremila dollari a dicembre 2018, riprendendosi poi nel 2019 con una quotazione a oltre undicimila8. La stampa economica specializzata presta molta attenzione al fenomeno: Per fare degli esempi pratici, Samsung e Htc hanno presentato degli smartphone con ‘wallet’ dedicati alle criptovalute; Facebook ha annunciato che potrebbe lanciare la sua criptovaluta per i pagamenti dall’app, mentre Fidelity vorrebbe rendere accessibili le valute digitali almeno alla clientela professionale. […] Il bitcoin capitalizza quanto Eni e Enel messe insieme, Ethereum come Unicredit o Ferrari, mentre Ripple all’incirca come Snam. Complessivamente, invece, il mercato delle monete virtuali capitalizza poco più di 250 miliardi di dollari, ovvero meno di un terzo della sola Apple o di Google, e circa un quarto di Microso. […] Inizialmente i bitcoin sono saliti alla ribalta per le loro caratteristiche di investimento altamente speculativo. Oggi, invece, la criptovaluta viene utilizzata anche negli acquisti più comuni, o addirittura per pagare un immobile o un’opera d’arte. A Rovereto, nel Trentino, esiste una vera e propria bitcoin Valley, dove è possibile fare gli acquisti più disparati: dall’ottico ai ristoranti, dal benzinaio ai bar. Addirittura ci sono alcuni esercenti che pagano lo stipendio ai loro dipendenti in criptovaluta (sul sito quibitcoin.it è possibile vedere chi accetta bitcoin). Insomma, si sta sviluppando una vera e propria moneta parallela. E lo diventerà ancora di più nel momento in cui le banche italiane, o le app di pagamenti operative sul nostro territorio, permetteranno di comprare e scambiare bitcoin9. A giugno 2019 Facebook annuncia di mettere in circolazione, sia online sia offline, una moneta digitale alternativa a quelle correnti e supportata da altre aziende: ci sono i colossi delle telecomunicazioni Vodafone e Iliad, i portali Spotify, Booking, Ebay e Uber e le società di pagamento Mastercard, Visa e PayPal […] e gestiranno lo sviluppo della rete alla base di Libra — così si chiama la criptovaluta — e il suo funzionamento. Facebook è presente nella lista con Calibra, una sussidiaria creata ad hoc per tenere separate le sue attività tradizionali dal nuovo progetto nanziario10. Ma l’idea di creare una sorta di ‘valuta globale’ gestita da un’entità con scopo di pro tto suscita numerose reazioni e il 21 agosto 2019 le agenzie di stampa diffondono la notizia che l’autorità antitrust della Commissione Ue «sta indagando su possibili pratiche anticoncorrenziali» legate all’introduzione della nuova moneta virtuale. L’iniziativa di fatto, in breve volgere di tempo, si blocca. Rimane l’interesse delle grandi aziende Google, Amazon, Apple e Facebook a introdurre forme proprie di pagamento, non tanto con l’idea di entrare in un mercato molto regolato, come quello nanziario, quanto con l’obiettivo di raccogliere ancora altri dati sui consumatori. 2.3 Blockchain, IA e IoT Le interazioni di blockchain con altre tecnologie sono ricche e interessanti. Come si è già detto, sarebbe erroneo e riduttivo associare in modo esclusivo blockchain ai bitcoin e alle criptovalute, come dimostra il suo sviluppo a livello mondiale nei settori più diversi. Se Blockchain è basata su Internet è anche vero che anche l’IA è strettamente collegata a Internet, che rappresenta in qualche modo l’ambiente comune11. Gli smart contract sono machine readeable e, quindi, possono essere usati da sistemi autonomi e IA. Sistemi di IA possono assemblare contratti standardizzati utilizzando sia clausole espresse in linguaggio naturale sia smart contract espressi direttamente in codice. Meir Dan-Cohen, nel volume Rights, Persons and Organization12, delinea uno scenario interessante: una società dotata di un sistema di IA che ricompra tutte le sue azioni, di modo che alla ne la società non abbia più un proprietario. Questo scenario, con lo sviluppo di blockchain e dell’IA, sta gradatamente diventando realistico13. Per quanto concerne, invece, la correlazione tra Internet of ings (IoT) e blockchain, IBM e Samsung hanno elaborato un sistema che prende il nome di ADEPT14 (telemetria peer-to-peer autonoma decentralizzata), nel quale una tecnologia simile alla blockchain fornisce la spina dorsale per una rete decentralizzata di IoT, funzionando come libro mastro per gestire una massiccia quantità di dispositivi. ADEPT non è l’unico progetto che ha cercato di unire la tecnologia blockchain e l’IoT, come dimostra l’esistenza di numerose startup che stanno cercando di utilizzare le potenzialità della tecnologia in combinazione con l’IoT. 2.4 La nuova pietra filosofale (altri ambiti di applicazione) La pietra losofale è «una fantasiosa composizione chimica, invano cercata dagli alchimisti, la quale avrebbe dovuto possedere straordinarie virtù, come quella di trasformare qualsiasi metallo vile in oro»15. Ecco, a leggere le cronache che riportano le più varie e mirabolanti applicazioni della blockchain sembra proprio di trovarsi di fronte alla pietra losofale. Qualcosa di vero ci deve essere se, come visto in apertura, viene stimato che il 10% del PIL mondiale nei prossimi cinque anni sarà collegato alla blockchain, così come deve esservi qualcosa di poco plausibile se si considerano i problemi tecnici e energetici che il sistema, almeno nella con gurazione attuale, ancora ha. In attesa della prossima trasformazione in oro di qualche vile metallo, qui di seguito vengono riportati alcuni dei principali campi di applicazione della blockchain, realizzati o intravisti16. A livello internazionale la blockchain ha portato grandi novità nel settore dei trasferimenti di denaro: essa rende possibile un usso di pagamento più diretto tra colui che versa e il bene ciario, anche se i soggetti della transazione si trovano oltre i con ni della propria nazione, senza bisogno di intermediari, a tariffe molto vantaggiose e a velocità quasi istantanea. Potrebbe essere una vera e propria rivoluzione nanziaria attraverso sistemi che si basano sulla blockchain e che possono risolvere problemi come il rilevamento di frodi o minacce o i furti d’identità, garantendo un alto livello di sicurezza. Un secondo settore di utilizzo è quello della cybersecurity17. Pur consistendo in un registro accessibile al pubblico, la tecnologia blockchain utilizza chiavi crittografate che consentono di veri care e inviare i dati al proprio interno, garantendo che le informazioni giungano corrette dalla fonte ai destinatari senza che vi sia il rischio d’intercettazione e manipolazione durante il procedimento di trasmissione. Goldman Sachs sostiene che la vera forza di questo sistema, de nito quasi impenetrabile, è proprio il fatto di eliminare completamente la necessità d’interventi umani, e quindi la possibilità di errore umano, di hackeraggio e di corruzione. Però, per quanto ben si sposi anche con il recente regolamento europeo sulla privacy (GDPR), la tecnologia conserva alcune criticità riguardanti, ad esempio, il fatto che i dati inseriti nella blockchain siano conservati illimitatamente nel tempo. Una terza, e non più così ipotetica, applicazione della blockchain è costituita dall’autenti cazione dei titoli e dei certi cati accademici. La Holbertson School of Soware Engineering, con sede a San Francisco, ha annunciato l’intenzione di utilizzare questa tecnologia in sede di autenticazione dei titoli rilasciati. Questa intenzione è già realtà al Massachusetts Institute of Technology (MIT), che da luglio 2018 ha avviato un progetto pilota per la certi cazione dei titoli accademici sfruttando la piattaforma blockchain. Il primato viene vantato anche dall’Università di Cagliari, che nella sessione di laurea di luglio 2018, per il corso d’informatica, ha utilizzato una piattaforma blockchain per l’autenticazione dei titoli di laurea18. Un ulteriore settore di utilizzo è quello del voto elettorale. In realtà questo ambito applicativo si sposa molto bene con le funzioni che la blockchain permette: un’attività di autenticazione dell’identità degli elettori, la conservazione dei registri in sicurezza e un’attività di spoglio e conteggio precisa e trasparente, assicurando così agli elettori che nessuna modi ca, aggiunta o cancellazione dei voti sia possibile. La blockchain è stata già utilizzata in fase di test durante le elezioni americane con il sistema denominato follow my vote19, che permette un voto online trasparente e sicuro. Lo scorso anno, poi, Visa e DocuSign hanno elaborato una relazione in cui documentano un progetto per il comparto del leasing delle vetture. Il progetto consiste nell’utilizzo di registri distribuiti, che costruiscono un sistema che culmina nella concessione di un leasing di un’auto in modo completamente autonomo e senza l’intervento di nessun operatore. L’utilizzo della blockchain, quindi, ha avuto un esito positivo anche nel settore del leasing delle autovetture e non è difficile immaginare che in un futuro si possa applicare anche per l’acquisto di un’auto con la relativa registrazione presso i registri pubblici. La tecnologia blockchain è utilizzata, anche se forse può sorprendere, nell’ambito musicale. «Billboard»20, nota rivista musicale, riporta che tre aziende stanno cercando di risolvere i problemi legati alla gestione e alla liquidazione dei diritti d’autore promuovendo il fatto che il pagamento avvenga direttamente agli artisti e l’utilizzo di smart contract per gestire automaticamente i problemi di licenza. Numerosi progetti, poi, si stanno sviluppando sul fronte delle piattaforme musicali autogestite che, attraverso registri distribuiti, permetteranno di ascoltare la musica e pagare direttamente gli autori. Altri due apparentemente sorprendenti campi di utilizzo sono quelli della pubblica amministrazione e del monitoraggio e compravendita di armi. Per quanto riguarda la pubblica amministrazione, il ramo della distribuzione degli aiuti pubblici e del welfare potrebbe essere molto sempli cato garantendo così una governance pubblica migliore e trasparente. Per quanto riguarda, invece, il secondo settore, il monitoraggio e la compravendita di armi, la startup Blockafe sta cercando di progettare un sistema blockchain-based, che dovrebbe permettere agli utenti di tracciare una pistola in tutto il mondo e di sapere se la suddetta arma ha sparato recentemente21. I casi di applicazione nei servizi di intelligence e sicurezza sono principalmente due: da una parte vi è una maggiore garanzia nella gestione e nel monitoraggio delle prove e, dall’altra, nelle indagini di polizia, un registro distribuito garantirebbe maggiore integrità e immutabilità delle prove stesse, andando così a elevare il livello di attendibilità garantito all’interno del processo. Elliptic, ad esempio, ha raccolto più di 7 milioni di euro e ha sviluppato un sistema che scansiona costantemente i registri Bitcoin in modo da poter evidenziare operazioni sospette e allertare le forze dell’ordine22. Tra le applicazioni più rilevanti è degno di nota il comunicato stampa dell’ottobre 2017 del Consiglio Nazionale del Notariato, che presenta la Notarchain: una nuova modalità di archiviazione dei dati digitali in una duplice modalità, ossia i registri diffusi (blockchain) e i registri volontari digitali. L’implementazione della blockchain all’interno del Notariato mira ad agevolare la procedura di alimentazione, gestione e tenuta dei registri pubblici immobiliari, societari e dello stato civile, tipica del lavoro del notaio quale pubblico ufficiale delegato dallo Stato. L’applicazione della tecnologia in Italia passa anche attraverso il settore alimentare: sono diversi i progetti che si avvalgono della blockchain per tracciare il percorso di liera del prodotto nito come, ad esempio, la Torrefazione Caffè San Domenico che, in collaborazione con foodchain, sta sviluppando una blockchain in grado di tracciare il percorso del caffè; altri progetti, come il Wine Blockchain EY, invece, mirano a tracciare il percorso di liera del vino, permettendo così l’autocerti cazione all’interno del processo produttivo. Tornando al settore nanziario, numerosi progetti, tra cui Marco Polo, R3, B3i e We.Trade, si avvalgono di consorzi di banche e assicurazioni, come UniCredit, Mediolanum, Banca Intesa Sanpaolo, Generali e Unipol, che promuovono lo scambio di merci con pagamenti automatici o la gestione, il monitoraggio e la protezione delle transazioni tra le PMI Europee, registrando così l’intero processo commerciale e avvalendosi, naturalmente, di forme di contratto automatizzate e digitali denominate, appunto, smart contract, di cui si parla qui di seguito23. 3. Smart contract Gli smart contract inseriti in blockchain rappresentano una piccola parte della più ampia categoria che potremmo de nire dei contratti computabili (Computable Contracts), costruiti cioè con modalità tecniche iniziali simili agli smart contract24, ma non necessariamente poggianti in blockchain. A loro volta, i contratti computazionali sono, ad oggi, una minima parte della realtà globale dei contratti. Detto questo per dare una misura del problema, è innegabile che gli smart contract siano un campo di applicazione di blockchain che coinvolge il diritto civile. Per esempio, i testamenti potrebbero avvantaggiarsi della blockchain, visto che le maggiori dispute ad essi legate riguardano proprio la prova reale e concreta della volontà del defunto. Se tutti i documenti riguardanti la proprietà e i diritti goduti dalla persona che fa testamento fossero in registri blockchain, molte controversie potrebbero essere evitate e chi è interessato alla consistenza patrimoniale del defunto potrebbe avere accesso a dati più affidabili e veri cabili rispetto a quello che consentono i sistemi attuali. Analogamente si potrebbe ragionare per i precedenti lavorativi di un candidato a un impiego: la tecnologia di registri distribuiti consentirebbe di controllare la verità delle precedenti esperienze lavorative, con grande risparmio di tempo degli addetti alle risorse umane. Recruit Technologies, in collaborazione con Ascribe.io25, ha sviluppato certi cati crittogra ci di autenticità dei titoli e dei curriculum basati proprio su una tecnologia di catene di blocchi. Quanto agli smart contract vi è da dire che non ne esiste una de nizione univoca. Sono oggi associati alla tecnologia blockchain, ma in realtà risalgono a un’esperienza studiata già dagli anni Novanta, quando si diffonde la pratica del cosiddetto «assemblaggio di documenti legali», attraverso l’utilizzo di alcuni soware utili allo scopo. Il risultato che si voleva raggiungere era di ridurre al minimo l’immissione di dati, il tempo speso per la redazione dei documenti e l’errore umano. Il soware estrae le informazioni giuridiche attraverso un questionario che viene generato dal sistema stesso, che, poi, restituisce il documento agli utenti. Con il passare del tempo sono stati utilizzati soware sempre più avanzati, no ad arrivare a parlare apertamente di ‘contratti intelligenti’26. Alla ne si può dire che oggi sotto molti pro li, gli smart contract non sono differenti dai tradizionali accordi scritti. Per eseguire uno smart contract le parti devono prima negoziare i termini del loro accordo no a quando non raggiungono una volontà comune (meeting of the minds). Una volta raggiunto l’accordo le parti ne memorizzano tutte le parti nel codice dello smart contract che è triggered da transazioni basate su blocchi rmati digitalmente27. Il concetto è stato per la prima volta discusso da Nick Szabo, scienziato informatico, studioso di diritto e crittografo, che de nisce gli smart contract come «protocolli di transazione informatizzati, che eseguono i termini di un contratto». Più precisamente, Nick Szabo suggerisce che traducendo clausole contrattuali in codici e incorporandole in hardware o soware in grado di autoapplicarle è possibile ridurre al minimo la necessità di intermediari tra le parti e il veri carsi di eccezioni dannose o accidentali28. Una seconda de nizione, più esaustiva, è stata data nel 2015 da Massimo Chiriatti che de nisce i contratti intelligenti come «protocolli per computer che facilitano, veri cano, o fanno rispettare la negoziazione o l’esecuzione di un contratto, o che evitano il bisogno di una clausola contrattuale»29. Accanto, quindi, alla garanzia di un più alto livello di sicurezza, vi è anche la riduzione della componente di costi delle transazioni contrattuali. Il carattere del contratto intelligente è rappresentato dal fatto che le parti raggiungano un accordo sulle clausole contrattuali e sui tempi sfruttando poi la logica del if-this-then-that, ossia se si veri ca un presupposto (this), allora consegue un risultato (that); per il resto il contratto intelligente ha la capacità di far rispettare le proprie clausole ed entrare in esecuzione senza il supporto di una parte esterna (si pensi, per esempio, a una clausola inserita nello smart contract stipulato tra Tizio e Caio che prevede il versamento di una somma di denaro in caso di inadempimento contrattuale: al veri carsi della condizione di inadempimento la somma pattuita a titolo di penale verrà versata automaticamente dal conto di Tizio a quello di Caio). In un secondo articolo, nel 2016, Pierangelo Soldavini torna a de nire i contratti intelligenti come contratti che funzionano in maniera molto simile ai contratti non smart, de nendoli «accordi con validità legale basati su un insieme concordato di termini e condizioni che legano diverse prestazioni di servizi»30, ma con la peculiarità di essere programmati elettronicamente e basati su registri distribuiti, come quelli disponibili grazie alla tecnologia blockchain, che permette di attivare automaticamente alcune azioni non appena si veri cano le condizioni concordate, senza necessità di veri che o procedure sia cartacee sia manuali31. 4. Blockchain e smart contract Qui di seguito è esposta una breve spiegazione di come la tecnologia blockchain si applichi a uno smart contract e di come un contratto possa materialmente assumere una forma direttamente tecnologica, diversa dal linguaggio naturale (quello nel quale ci si esprime normalmente). Il centro della struttura contrattuale è composto di tre elementi principali: account, beni di cui si dispone (assets) e contratto. Per account s’intende un indirizzo in grado di identi care una persona, un’entità o un gruppo di persone che andrà a interagire con il libro mastro in questione, il cosiddetto ledger. I beni (assets) ricomprendono sia beni materiali sia servizi, fatture e unità di valore scambiate. Più genericamente, i beni possono essere de niti come l’insieme di valori scambiati e posseduti da una o più parti, le quali possiedono la chiave crittografica che consente di dar luogo al contratto. L’ultimo requisito è rappresentato dal contratto vero e proprio, inteso come sequenza logica di azioni che media il trasferimento di valuta e dati tra le parti32. I suddetti account inviano al registro mastro aggiornamenti, che consistono in transazioni autorizzate, modi candone così lo stato. Le transazioni, prima di essere aggregate e sequenziate in un blocco, sono inviate perché siano veri cate la loro integrità e l’integrità dei dati. Tutte le transazioni sul libro mastro sono rmate digitalmente dal titolare di un account sulla rete. Il libro mastro ha tre proprietà chiave, che lo differenziano dal traffico di rete tradizionale: a) l’autenticazione, in quanto una parte malintenzionata non può mascherarsi usando l’account di una parte della transazione, se parte non è; b) l’integrità, in quanto la ricevuta della transazione non può essere modi cata dopo il fatto; c) la non malleabilità, in quanto eventuali modi che alla transazione invalideranno la rma dell’emittente, invalidando così anche la transazione. Ogni clausola viene discussa e approvata da entrambe le parti prima di essere immessa nella catena. Una volta approvata, essa viene inserita nel primo blocco e, in tale momento, subisce la trasformazione da linguaggio naturale in linguaggio crittografato in grado di essere compreso dal sistema. Le operazioni che le parti compiono sono le seguenti: immettere, attraverso le proprie chiavi crittogra che, sia le clausole che intendono inserire nel contratto sia le operazioni che il sistema svolgerà in automatico, nel caso di violazione di una delle suddette clausole. Grazie alla sequenza if/then, se il sistema registrerà l’avveramento del fatto di cui a una certa clausola (if), il contratto progredirà; se, al contrario, il contenuto della clausola sarà violato, il contratto automaticamente esperirà i rimedi previsti dalle parti stesse o dalla legge. Grazie al sistema backup non sarà possibile trovarsi nella situazione in cui una parte vanti l’esistenza di alcune clausole e l’altra parte vanti clausole diverse del medesimo contratto. Proprio come avviene per le tecnologie che si utilizzano tutti giorni, dai cellulari ai computer, anche la blockchain è dotata di un sistema di salvataggio dei dati33. Oltre al sistema di salvataggio, il contratto viene anche duplicato, in modo che, in caso di sua modi ca, sia sempre chiaro quale sia l’originale condiviso dalle parti stesse34. Una copia dell’intero registro è memorizzata su ogni dispositivo-nodo di ciascun partecipante, in modo che ogni record informativo contenga sia la copia delle transazioni e dei dati corrispondenti in un formato prestabilito, sia il blocco contenente le transazioni eseguite in ordine temporale, protetto poi da un codice Hash. Per capire tale funzionamento si può immaginare un diagramma ad albero: da un unico punto di partenza, rappresentato dall’accordo delle parti, si rami cano diverse strade, di cui una sola porta alla conclusione e alla piena esecuzione del contratto, mentre le altre sono tutte possibili rami cazioni di situazioni diverse che si possono veri care35. 5. Contratto o software? O entrambi? Il lettore che abbia avuto la pazienza di seguire queste spiegazioni si chiederà, di fronte a questo intreccio tra tecnologie soware e termini tradizionali (volontà delle parti, accordo, contenuto del contratto), se lo smart contract sia ancora un contratto (sia pure di un nuovo tipo) o sia un’entità informatica (soware, codice, network), che nulla ha del tradizionale contratto, sia nella sua struttura sia nelle forme di espressione della vincolatività per le parti sia per la possibilità di fare ricorso a un’autorità terza (tribunale?) nel caso in cui le cose non funzionino. Markus Kaulartz, che lavora per CMS (un gruppo di avvocati che opera a livello internazionale nel settore delle nuove tecnologie36) e che si autode nisce un tech lawyer37, in un intervento alla Università Humboldt su Smart contract Dispute Resolution, afferma testualmente che «uno smart contract fondamentalmente non è un contratto. È solo soware che esegue un’obbligazione sotto condizioni prede nite»; inoltre «i casi complicati, e dove sono necessarie valutazioni giuridiche, vanno trattati con tecniche di IA», mentre, «quando vi sono da valutare solo fatti e pochi argomenti giuridici», allora sono utili e necessari gli smart contract, per i cui possibili contrasti che riguardino errori di programmazione (there are always bugs!) la soluzione è l’arbitrato38. L’affermazione, al netto di un tono un po’ semplicistico per un avvocato (eseguire un’obbligazione è comunque un fatto giuridico!), ri ette la duplice apparenza dello smart contract, duplicità che si manifesta non tanto tra contratto tradizionale e soware, ma tra accordo tra parti espresso in linguaggio naturale (come è da sempre accaduto39) e accordo tra parti che è ssato in un linguaggio formale (quale è quello del codice e del soware attraverso il quale l’accordo è formalizzato nella blockchain). La questione va oltre il tema degli smart contract e delle blockchain e riguarda piuttosto il rapporto tra computazione e diritto (computation and law), che sarà trattata nel Capitolo 8. Rinviando l’esame più approfondito a quella sede, qui si può preliminarmente notare che l’affermazione secondo la quale lo smart contract non è un contratto implica e assume un’idea di contratto che è ssa nel tempo, bloccata alla sua ultima de nizione prima dell’avvento dell’IA e di Internet, mentre non bisogna mai dimenticare che il contratto (nelle tante diverse connotazioni che assume nei diversi linguaggi e culture) è probabilmente lo strumento più essibile e aperto ai cambiamenti nel tempo che la storia giuridica dell’umanità conosca. Così come l’idea che tutto il diritto sia computabile e che i linguaggi naturali siano superabili da un linguaggio formale è una sempli cazione, che pur ri ettendo un certo spirito (o entusiasmo) dei tempi, poco sembra avere a che fare con la complessità della storia (anche futura) dell’umanità. Un paio di questioni tecniche meritano, comunque, di essere affrontate subito, quella della forma del contratto cosiddetto «informatico», e quella della risoluzione delle controversie. Lo faremo nei prossimi due paragra . 5.1 Una questione di forma La questione della forma dei contratti cosiddetti «informatici» è stata affrontata più volte negli scorsi decenni dalla dottrina, con soluzioni che, in linea di massima, non appaiono utili a proposito dello sviluppo odierno delle tecnologie40. Anche a livello internazionale si è posto il problema di come de nire la forma elettronica e come trattare i connessi problemi giuridici. La Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (UNICITRAL) si è occupata di questi problemi in diversi momenti, a partire dalla raccomandazione dell’Assemblea generale, l’11 dicembre 198541. In tempi più recenti ha adottato un particolare metodo per la risoluzione dei problemi riguardanti la forma elettronica: il fuctional equivalent approach42, che consiste nell’individuare, caso per caso, la funzione della scrittura e la sua sostituibilità con la forma elettronica, secondo il principio della neutralità tecnologica (il diritto non sceglie la tecnologia che consente di implementare i principi giuridici). Il codice civile italiano, all’art. 2702, stabilisce che il requisito della forma scritta è soddisfatto quando il documento è scritto e sottoscritto dalle parti. Più di recente, un intervento legislativo, recante le modi che e le integrazioni al Codice dell’Amministrazione Digitale, prevede che il documento informatico soddis il requisito della forma scritta e che faccia piena prova: Il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del Codice civile quando vi è apposta una rma digitale, altro tipo di rma elettronica quali cata o una rma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identi cazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti ssati dall’AgID ai sensi dell’articolo 71 con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodi cabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all’autore. In tutti gli altri casi, l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodi cabilità. La data e l’ora di formazione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle Linee guida43. Secondo questa disposizione, quindi, il documento assume valore, secondo l’art. 2702 cc., anche quando il suo autore sia previamente identi cato e il processo di creazione del documento garantisca l’identità e l’immodi cabilità del documento creato. Al ne di veri care se, e come, la tecnologia di scrittura blockchain utilizzata dagli smart contract soddis i requisiti della forma previsti dal Codice Civile, è utile richiamare il sistema SPID, un sistema d’identi cazione del cittadino cui viene attribuita un’identità digitale. Si potrà, quindi, identi care informaticamente il soggetto. Ma è proprio questo sistema a consentire la tecnologia blockchain. Ciò che la blockchain è idonea a garantire è l’immodi cabilità, l’integrità e la sicurezza del documento e la riconducibilità all’autore44. 6. Le controversie che sorgono da smart contract I sostenitori della natura particolarissima e diversa degli smart contract pongono in luce tre aspetti caratterizzanti. In primo luogo, si tratta di programmi/codici determinati dagli eventi, che danno esecuzione alle regole del codice: i contratti di tipo deterministico contengono informazioni sufficienti a determinare un risultato senza bisogno di informazioni esterne (come, per esempio, un ordine di trasferimento di fondi da un portafogli a un altro a una certa data). Inoltre, e in teoria, uno smart contract non ha bisogno di intermediari, avvocati, giudici, banche, assicurazioni, in sintesi non ha bisogno di ricorrere all’autorità di una parte terza. In ne, laddove sorgano contrasti il rimedio è l’arbitrato. Tuttavia, anche l’arbitrato, per come si è venuto affermando nella prassi blockchain/smart contract, ha le sue insufficienze. Intanto perché alcune forme di arbitrato sono degli oracoli, nel senso che la soluzione è data da una votazione senza alcuna spiegazione45, e, poi, perché l’arbitrato ha alcuni suoi limiti intrinseci, come lunghezza e costi, che sono ancora più elevati se si considera che si tratta di arbitrati che, nella migliore delle ipotesi sono assimilabili agli arbitrati irrituali del diritto civile italiano. Essi hanno natura di contratti rispetto ai quali la parte interessata non ha altra scelta che avviare una procedura di esecuzione in un tribunale pubblico, affrontando gli stessi problemi che l’arbitrato intende prevenire. A quel punto che il contratto sia stato ottenuto attraverso un sistema automatico o di intelligenza arti ciale è una magra soddisfazione. Su questa realtà, e sulla considerazione che nel sistema giuridico generale il tempo e le risorse che una parte deve impiegare per ottenere l’esecuzione di un contratto sono decisamente superiori a quello impiegato per il raggiungimento dell’accordo contrattuale e la sua stesura, si basa la proposta di JUR, una giovane realtà nel campo blockchain e smart contract, che formula uno schema interessante: Grazie a blockchain, la giustizia può passare da un sistema centralizzato a uno decentralizzato, mentre gli smart contract trasformeranno un processo lento e costoso in uno che è economico, affidabile, veloce e conveniente. JUR unisce queste due tecnologie per offrire un sistema di risoluzione delle controversie su scala globale, in cui l’essere decentralizzato è il valore fondamentale per creare trasparenza, qualità e incorruttibilità. […] JUR è nato quando il CEO e co-fondatore Alessandro Palombo ha realizzato che la sostituzione dei contratti tradizionali con contratti intelligenti non era sufficiente per lo scopo di cambiare il sistema giuridico. Certo, si possono creare contratti automatizzati con smart contract, ma una decisione giudiziaria da parte di un tribunale è sempre necessaria per ottenerne l’applicazione nel vero sistema legale. Ciò signi cava che il potenziale innovativo contenuto all’interno degli smart contract veniva annullato46. Il sistema progettato da JUR distingue i diversi livelli ai quali un contratto smart è self-executing e realisticamente riconosce che, in molti casi, il contratto sarà solo parzialmente self-executing o addirittura dipenderà da valutazioni soggettive, con la conseguenza che il ricorso a un sistema di risoluzione delle liti che offra garanzie è una condizione essenziale per lo sviluppo applicativo degli smart contract. La proposta può così sintetizzarsi: a) il giudizio non è decentralizzato e prevede che uno o tre arbitri emettano una decisione scritta (gli arbitri guadagnano lo stesso importo indipendentemente dalla loro decisione); b) sulla decisione il sistema esegue una peer review decentralizzata e cieca; c) l’arbitro che viene valutato rimane anonimo; c) tre revisori, selezionati in modo casuale, valutano la decisione e guadagnano o perdono token e reputazione a seconda che votino per o contro la maggioranza; d) l’arbitro che viene valutato riceve o perde punti-reputazione in conformità con il voto dei reviewers. Secondo i proponenti, in questo modo, si crea un ecosistema che garantisce la qualità dei giudizi e la presenza di un giudice imparziale. Il tutto accade all’interno del sistema blockchain senza ricorso a autorità pubbliche. Una iniziativa del Regno Unito parte da un’analoga valutazione del sistema attuale. Secondo Sir Geoffrey Vos gli smart contract potranno nalmente decollare solo quando i partecipanti al mercato e gli investitori avranno ducia in essi. Gli investitori tradizionali devono ancora essere convinti che i loro diritti in termini giuridici possano essere tutelati quando commerciano in cryptoassets e stipulano contratti intelligenti47. Questa è la considerazione sulla quale nel Regno Unito è stata lanciata nel maggio 2019 una pubblica consultazione su blockchain e smart contract. Un assunto molto pragmatico che, pur con un’impostazione certamente statalista (se vista con gli occhi dei grandi sostenitori di queste tecnologie), ri ette la consapevolezza diffusa che il punto di equilibrio tra regolamentazioni, statali o internazionali, e blockchain sia ancora tutto da trovare. Il dilemma è stato così sintetizzato: Regolare troppo presto potrebbe fornire una valida guida ai ni di un uso legittimo della tecnologia blockchain, ma potrebbe bloccare alcuni potenziali bene ci. Regolare troppo tardi può dissuadere gli attori meno propensi al rischio dall’esplorare le blockchain a causa dell’incertezza giuridica e potrebbe contemporaneamente consentire ad alcuni socialmente discutibili aspetti della tecnologia di emergere48. Qui di seguito si riportano gli aspetti principali della regolamentazione europea e italiana. 6.1 L’Unione Europea Un documento elaborato dal Parlamento Europeo nel febbraio 2017 affronta esplicitamente il tema di come la tecnologia blockchain potrebbe cambiare le nostre vite: How blockchain technology could change our life49. È stato, poi, istituito nel febbraio 2018 un Osservatorio Europeo su blockchain al quale hanno aderito numerosi Stati, tra i quali l’Italia, che il 28 settembre 2018 è entrata a far parte della ‘blockchain partnership’ europea. L’accordo prevede un’erogazione di 300 milioni di euro che la Commissione investirà in progetti riguardanti questa tecnologia tra il 2018 e il 202050. Nel documento del Parlamento europeo vengono trattati i vari ambiti di applicazione che la tecnologia blokchain potrebbe rivoluzionare: alcuni sono già citati nei paragra precedenti, come il sistema e-voting e gli smart contract, o l’enorme potenziale che l’applicazione della tecnologia potrebbe avere sulla pubblica amministrazione; altri, invece, sono innovativi, come il contributo che potrebbe esservi nel mondo dei brevetti. I bene ci che questi settori potranno trarre dall’utilizzo della tecnologia in questione sono innumerevoli e ampiamente spiegati nel documento, ma anche confermati dalla risoluzione approvata dal Parlamento Europeo il 3 ottobre 2018 in tema di tecnologia di registro distribuito (DTL) e blockchain51. Più in particolare, la risoluzione affronta i temi dell’applicazione della tecnologia al mondo universitario e della ricerca per la certi cazione dei titoli di studio e dei titoli accademici; al diritto d’autore e al mondo della proprietà intellettuale, invitando la Commissione e la Banca centrale europea (BCE) a un’analisi puntuale dei rischi connessi alla volatilità delle criptovalute come metodo alternativo di pagamento e di trasferimento di valore. La risoluzione invita, poi, la Commissione a promuovere l’elaborazione di un’analisi approfondita sul quadro giuridico esistente nei vari Stati membri in relazione all’applicabilità dei contratti intelligenti. Un ulteriore possibile ambito di applicazione è quello delle infrastrutture, in modo da prevenire abusi di posizioni dominanti. Il documento, poi, insiste sulla maggiore trasparenza, affidabilità e razionalizzazione nel trattamento delle informazioni che la tecnologia potrebbe produrre nell’ambito del settore pubblico dell’UE; l’idea è anche di creare una rete di blockchain condivisa tra gli Stati membri, intesa a memorizzare i dati dei cittadini in modo sicuro e essibile incoraggiando, poi, uno studio più approfondito sui casi di e-voting. L’ultimo ambito trattato dalla risoluzione è la regolamentazione delle ICO (offerte iniziali di moneta), quale strumento di investimento alternativo per nanziare le piccole e medie imprese (PMI) e le start-up innovative. Più in generale, la Commissione e le autorità nazionali sono invitate ad acquisire le competenze tecniche e normative al ne di intervenire il prima possibile a livello legislativo e regolamentare dove è opportuno. L’Europa è attiva anche nel campo della giustizia. Nel Progetto di piano d’azione 2019-2023 in materia di giustizia elettronica (di cui si è parlato nel Capitolo 452) viene tra l’altro indicato l’obiettivo di esaminare i casi d’uso delle tecnologie blockchain nel settore della giustizia elettronica e di avviare uno studio per analizzare le condizioni giuridiche ed eventuali opportunità e/o ostacoli. 6.2 Italia Il Governo italiano ha manifestato un interesse nel voler trattare il tema del rapporto tra blockchain e diritto positivo. Un primo passo è stato compiuto nel Decreto legge ‘sempli cazione’, che dà una prima de nizione di DLT (distributed ledger technology). Il legislatore si ispira a un principio di non discriminazione della validità e della certezza degli atti per il solo fatto di essere stati certi cati con la tecnologia blockchain. Il testo dell’art. 8 ter è il seguente: Tecnologie basate su registri distribuiti e smart contract. 1. Si de niscono ‘tecnologie basate su registri distribuiti’ le tecnologie e i protocolli informatici che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittogra che, tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittogra a veri cabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modi cabili. 2. Si de nisce ‘smart contract’ un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti prede niti dalle stesse. Gli smart contract soddisfano il requisito della forma scritta previa identi cazione informatica delle parti interessate, attraverso un processo avente i requisiti ssati dall’Agenzia per l’Italia digitale con linee guida da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. 3. La memorizzazione di un documento informatico attraverso l’uso di tecnologie basate su registri distribuiti produce gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica di cui all’articolo 41 del regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 201453. La norma rappresenta certo un passo avanti. Ad oggi (agosto 2019), però, non sono state emanate le linee guida, che sono la parte decisiva. 7. Tra grandi possibilità e seri limiti tecnici Il futuro di blockchain e degli strumenti collegati (si pensi agli smart contract) è oggetto di valutazioni quanto mai discordanti. Si va dalla valutazione del World Economic Forum, con la quale abbiamo aperto il capitolo, che vede ben il 10% del PIL del mondo collegato alle tecnologie blockchain, al giudizio di chi considera blockchain non solo una pessima tecnologia ma anche una brutta visione per il futuro54. L’unica cosa certa sono alcuni limiti tecnologici obiettivamente esistenti. Essi riguardano, secondo autori tutt’altro che ostili, la mancanza di potenza e di velocità rispetto ad altre tecnologie: i network blockchain esistenti al momento gestiscono poche transazioni, se comparate al totale dei messaggi email o ai milioni di transazioni che quotidianamente gestiscono le società delle carte di credito, e a una velocità molto bassa. In più, il fatto che i database di blockchain siano append-only, cioè non permettono modi che (è uno dei pregi dell’idea!), comporta che ogni nuova transazione causa una crescita di tutto il network, rendendo la scalabilità del sistema molto laboriosa. Ricerche per risolvere questi problemi sono in corso e potrebbero dare frutti a breve55, E anche l’idea che blockchain sia la ne del contratto sociale e dello Stato è la seconda volta che fallisce, dopo la prima ondata di Internet56. «Just like ‘cloud’ means someone else’s computer and ‘AI’ means a tweaked algorithm, ‘blockchain’ in this context means a slow, expensive database»: SONG 2018. 2 She, Robot. A Conversation With Helen Greiner, Foreign Affairs, January/February 2015 1 «During 2017 and 2018, blockchain has received considerable hype regarding its potential to create wide-reaching impact, with proponents projecting that it could account for as much as 10% of global GDP by 2025»: World Economic Forum (in collaboration with PwC and Stanford Woods Institute for the Environment), Building Block(chain)s for a Better Planet, September 2018, p. 8. Degno di nota anche l’evento organizzato dall’OECD: OECD Global Blockchain Policy Forum. e Policy Environment for Blockchain Innovation and Adoption, 12-13 September, Paris (France) http://www.oecd.org/ nance/OECD-Global-Blockchain-Policy-Forum-2019-Agenda.pdf, visitato il 19 agosto 2019. 4 DE FILIPPI – WRIGHT 2018, pp. 46-48. 5 HABER – STORNETTA 2010. Nella ricostruzione della storia di blockchain e argomenti correlati, in questo e nei prossimi paragra 2.2, 2.4, 3, 4 e 5.1, mi avvalgo del lavoro di Francesca Arrigo, Un’evoluzione tecnologica del contratto: il caso degli smart contract e della blockchain, tesi di laurea in Giurisprudenza parzialmente pubblicata il 29 aprile 2019 in «Altalex». Ringrazio l’autrice per la sua gentile concessione. 6 BELLINI 2019. 7 SONG 2018, p. 9 [traduzione mia dall’originale inglese]. 8 PETRUCCIANI 2018. 9 PETRUCCIANI 2018. Esistono diversi modi per acquistare una criptovaluta. La via principale è quella dell’exchanger, ovvero di un cambiavalute. L’offerta del mercato è molto vasta, «ma per muoversi in sicurezza è consigliabile aprire un account su exchanger che sono regolati da normative – avvisa Menon – come Bitsmap, che è basato in Europa ed è vigilato come intermediario cambiavalute, Kracken oppure Coinbase. […] c’è anche un’app tutta italiana, Conio, che permette di acquistare e vendere Bitcoin. La società è stata fondata da Christian Miccoli e Vincenzo Di Nicola e ha come partner industriale Poste Italiane». 10 PENNISI 2019. 11 Sul rapporto tra Internet e IA si veda PASERELLA 2018. 12 MEIR 1986. 13 Secondo DE FILIPPI – WRIGHT 2018, p. 146. 14 https://www.internet4things.it/industry-4-0/blockchain-ibm-e-microso-tracciano-la-rotta-perliot-di-nuova/generazione/ (consultato il 22 luglio 2018). 15 Enciclopedia Treccani, Pietra filosofale, in http://www.treccani.it/enciclopedia/pietralosofale_%28Enciclopedia-Italiana%29/, consultato il 27 giugno 2019. 16 Per questo paragrafo rinvio al lavoro di Francesca Arrigo (vedi sopra, nota 5). 17 BOLDRINI 2018. 18 SALERNO 2018. 19 https://www.blockchain4innovation.it/brand/follow-my-vote/, visitato il 17 agosto 2019. 20 LEVINE 2018. 21 YOUNG 2017. 22 https://www.elliptic.co (consultato l’1 dicembre 2019). 23 Rivoluzione blockchain: 331 progetti nel mondo. Quali in Italia?, in «TechEconomy», 18 aprile 2018: https://www.techeconomy.it/2018/04/18/rivoluzione-blockchain-331-progetti-nel-mondoquali-italia/ visitato il 17 agosto 2019. Il «Sole 24 Ore» dell’1 dicembre 2019 (p. 9) dà notizia dell’utilizzo della blockchain per combattere la «guerra al cobalto sporco». 24 Si veda a tale proposito il progetto di un Legal Specification Protocol, promosso da Oliver Goodenough e dal Centro Codex presso l’Università di Stanford, USA: 3 https://law.stanford.edu/publications/developing-a-legal-speci cation-protocol-technologicalconsiderations-and-requirements/ visitato il 10 novembre 2019 25 Si veda l’interessante storia del gruppo berlinese Ascribe presso https://www.ascribe.io/, visitato il 18 agosto 2019. 26 DE FILIPPI – WRIGHT 2018, p. 72. 27 DE FILIPPI – WRIGHT 2018, p. 74. 28 SZABO 1997; si veda anche LEWIS 2015. 29 CHIRIATTI 2015. 30 SOLDAVINI 2016. 31 Cosa sono gli smart contract?, in «Next generation currency», https://nextgenerationcurrency.com/smart-contracts/, visitato il 18 agosto 2019. 32 https://www.adjoint.io/docs/architecture.html#components, consultato il 9 settembre 2017. 33 F. Arrigo, Un’evoluzione tecnologica del contratto: il caso degli smart contract e della blockchain, tesi di laurea in Giurisprudenza non pubblicata. 34 ROSIC 2016. 35 RUNDO – CONOCI 2017. 36 https://cms.law/en/DEU/. 37 https://cms.law/en/DEU/People/Markus-Kaulartz. 38 Smart contract is not a contract. It is soware which executes an obligation under predefined conditions, https://www.youtube.com/watch?time_continue=30&v=N4jtK4HaKfQ, visitato il 26 giugno 2019. 39 La cautela è d’obbligo a fronte degli studi di Amedeo Conte su unwritten law. Circa la possibilità di unspoken norms si veda CONTE 2011; SACCO 2007; si veda anche avanti in Capitolo 8. 40 Tra i testi di riferimento si possono ricordare FINOCCHIARO 1997; PARISI 1987, p. 21 e ss.; BORRUSO 1988, p. 257 e ss.; FRANCESCHELLI 1989, p. 228 e ss. 41 Risoluzione 40/71, United Nations Commission on International Law Yearbook, 1985, vol. XVI, Part One, United Nations Publications. 42 De nibile «Approccio funzionale equivalente» consultabile presso il Report of the Working Group on International Payments on the work of its twenty-fourth session, United Nations Commission on International Trade Law, venticinquesima sessione. 43 Decreto Legislativo 13 dicembre 2017 n. 217, di modi ca dell’art.20, comma 1-bis, del testo della legge del 2005. Per un commento si veda NICOTRA – TRAVIA 2018. 44 NICOTRA – TRAVIA 2018. 45 Per una rassegna dei sistemi esistenti si veda CAPPIELLO 2019. 46 Jur’s debut: the token of justice (JUR) is on public sale from 28th August, https://medium.com/jurio/jurs-debut-the-token-of-justice-jur-is-on-public-sale-from-28th-august-ab0ffd8cbb59, visitato il 19 agosto 2019. 47 Dalla Prefazione di Sir Geoffrey Vos, Chancellor of the High Court, al documento UK Jurisdiction Taskforce of the LawTech Delivery Panel, che ha lanciato il 9 maggio 2019 la public consultation su blockchain e smart contract (Consultation on the status of cryptoassets, distributed ledger technology and smart contracts under English private law): https://www.lawsociety.org.uk/news/stories/cryptoassets-dlt-and-smart-contracts-ukjt-consultation/, visitato il 25 giugno 2019. 48 DE FILIPPI – WRIGHT 2018, p. 57. 49 How blockchain technology could change our life: http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/IDAN/2017/581948/EPRS_IDA(2017)581948_EN.pd f, consultato l’1 settembre 2017. 50 FOTINA 2018. 51 Inserto «Novà», del «Sole24ore», Il Parlamento UE approva risoluzione sulla blockchain e le criptovalute, 7/10/2018, https://fulviosarzana.nova100.ilsole24ore.com/2018/10/07/il-parlamento-ueapprova-risoluzione-sulla-blockchain-e-le-criptovalute/, visitato il 19 agosto 2019. 52 http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-11724-2018-REV-4/it/pdf, visitato il 10 maggio 2019. 53 Testo del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (in Gazzetta Ufficiale – Serie generale – n. 290 del 14 dicembre 2018), coordinato con la legge di conversione 11 febbraio 2019, n. 12 (in questa stessa Gazzetta Ufficiale alla pag. 6), recante: «Disposizioni urgenti in materia di sostegno e sempli cazione per le imprese e per la pubblica amministrazione» (19A00934) (GU Serie Generale n.36 del 12-022019): articolo 8 ter. 54 Kai Stinchcombe, Blockchain is not only crappy technology but a bad vision for the future, 5 aprile 2018, https://medium.com/@kaistinchcombe/decentralized-and-trustless-crypto-paradise-is-actuallya-medieval-hellhole-c1ca122efdec, visitato il 10 agosto 2019. 55 Si veda LEUNG et al. 2019. Gli autori promettono un sistema su basi nuove: sicuro, scalabile e decentralizzato. Computable and Smart Contracts sono stati uno dei temi discussi al IACCM Academic Symposium on Contract and Commercial Management, svoltosi a Stanford (USA) l’8 novembre 2019. 56 Si veda DE FILIPPI – WRIGHT 2018, pp. 56-57 e p. 50. 6. L’accademia giuridica e l’innovazione digitale Are we preparing the next generation of lawyers to be more flexible, team based, technologically sophisticated, commercially astute, hybrid professionals, who are able to transcend legal and professional boundaries, and speak the language of the boardroom? […] My fear is that we are training lawyers to become 20th-century lawyers and not 21st-century lawyers1. 1. Un mondo sempre più piccolo e tecnologico Questo capitolo si occupa della distanza tra la formazione che le facoltà di giurisprudenza e le scuole giuridiche offrono agli studenti e le nuove gure di professionisti legali. Queste nuove gure stanno emergendo, e tutto lascia prevedere che emergeranno ancora di più nel futuro. All’origine di questo cambiamento vi sono lo sviluppo delle relazioni internazionali, con le accresciute occasioni di contatto tra professionisti e ordinamenti diversi, e l’innovazione digitale. Sono forze di tipo diverso, ma connesse e che si potenziano reciprocamente. Sul fatto che lo studio del diritto nelle università debba cambiare, se vuole essere al passo con l’evoluzione sociale e tecnologica, vi è una consapevolezza crescente, come testimoniano varie pubblicazioni. Per esempio, il volume di Cathy N. Davidson è dedicato a un rinnovamento non più rinviabile che metta gli studenti in grado di affrontare, una volta laureati, un mondo in rapido cambiamento. È ormai quasi storico il volume di Carel Stolker, che nel 2014 dava un quadro globale delle facoltà di giurisprudenza e della necessità di innovare l’insegnamento, così come la ricerca e i risultati perseguiti. Più di recente Alberto Alemanno e Lamin Khadar hanno posto in luce un aspetto particolare di metodologia, come l’utilizzo di legal clinics2 su particolari temi come modo per superare un insegnamento del diritto che, specie in Europa, è, a loro avviso, storicamente formalistico, dottrinario, gerarchico e passivo per gli studenti. Altre pubblicazioni, come quella di Adam Chilton e altri, puntano l’attenzione sulla qualità e sulle caratteristiche richieste al corpo docente3. Altri autori puntano la loro attenzione sul coltivare una mentalità di crescita, perché un’educazione giuridica più moderna avrebbe bisogno di una maggiore enfasi su etica, tecnologia e arti, come mezzo per stimolare l’immaginazione e incoraggiare atti di cocreazione4. Anche in Francia e in Germania sono stati pubblicati alcuni studi su come insegnare il diritto oggi. In Italia, a oggi, le ri essioni di questo genere sono rare o si riferiscono solo ad alcuni particolari settori del diritto5. Intanto, nei dipartimenti di giurisprudenza, un po’ dappertutto qualcosa ha cominciato a muoversi, con l’inserimento di alcuni nuovi corsi e di nuove metodologie, dalle simulazioni di processi (moot court) a seminari sul coding a «cliniche giuridiche», oltre alla creazione di nuovi corsi di master e centri di ricerca. In questo capitolo vengono prima (paragrafo 2) messi a fuoco i bisogni di cambiamento nell’organizzazione dell’insegnamento del diritto emersi a proposito delle nuove tecnologie, con l’interessante contributo del punto di vista di un gruppo di giovani giuristi (paragrafo 2.1); poi (paragrafo 3) viene presentata sinteticamente l’offerta delle università americane, europee e italiane, e, in ne (paragrafo 4), viene esaminato il dibattito accademico sul che fare, sotto il pro lo (paragrafo 4.1) delle partizioni disciplinari e delle implicazioni teoriche e (paragrafo 4.2) dell’interrogazione più profonda su quale idea del diritto stia emergendo (con un rinvio ai capitoli successivi). Le domande alle quali si dà risposta sono: quali sono i bisogni di formazione dei futuri giuristi oggi? Qual è il punto di vista dei diretti interessati (cioè i giovani giuristi)? Il tipo formazione che le facoltà di giurisprudenza e le scuole di diritto offrono sono adeguate ai tempi? Quali sono i termini del dibattito all’estero e in Italia? Questo dibattito riguarda se e quali nuove discipline siano da inserire o si tratta di un problema più ampio e profondo? 2. La capacità di lavorare in team interdisciplinare vale più di mere nozioni Larga parte degli autori che si sono occupati d’innovazione tecnologica e di IA in ambito giuridico si sono chiesti se il tipo di formazione che le facoltà di giurisprudenza e le scuole di diritto offrono ai giovani siano adeguate ai tempi. Il punto di partenza è l’osservazione dello scarto tra le istituzioni di formazione giuridica e i bisogni dei giovani, del mercato legale e, anche, della ricerca. Così Daniel Katz, l’autore di importanti contributi in materia di legal prediction, di cui si è parlato nel Capitolo 3, invita a prepararsi per uno sviluppo vigoroso, pena la sopravvivenza, nell’era dell’IA applicata al diritto. A suo avviso la grande transizione in corso nel mercato dei servizi legali richiede una pari grande transizione nell’educazione giuridica, visto che le law school statunitensi stanno laureando il doppio di giovani rispetto alle opportunità di lavoro che si aprono. Per Katz la formazione dovrebbe essere più adeguata alle realtà economiche del nuovo mercato del lavoro legale, che sono guidate direttamente o indirettamente dalla tecnologia. La sua proposta è che siano abbattute alcune barriere disciplinari (hothouse walls, letteralmente «muri di serra»): La Law School deve passare dalla sua predisposizione verso le arti liberali a un’operazione politecnica di ricerca e insegnamento. Dal punto di vista sia delle borse di studio sia della formazione, è il momento di prendere sul serio scienza, computazione, analisi dei dati e tecnologia. [Esiste] un’opportunità di scambio vantaggioso nel mercato dell’istruzione legale […] per un’istituzione che vada verso una Law School del MIT6. Margaret Hagan, la studiosa di Stanford che suggerisce agli avvocati di «imparare a lavorare in gruppi di esperti interdisciplinari», sollecita la formazione accademica a farsi parte attiva di questo cambiamento. Le scuole di diritto dovrebbero promuovere questo tipo di formazione interdisciplinare e insegnare come essere buoni membri di un team. Si dovrebbe andare oltre l’imparare a scrivere, ragionare e ricercare come un avvocato. Ciò non è abbastanza, perché gli avvocati devono integrare i loro approcci per risolvere i problemi con gli altri professionisti, in modo che possano collaborare con essi7. Anche Richard Susskind insiste su questa tendenza del giurista/avvocato a sviluppare sempre più doti multi e interdisciplinari, come dimostra il fatto che molti avvocati già operano come strateghi, consulenti di management, esperti di mercato o esperti di psicologia dell’organizzazione. La s da è costruire il legal hybrid (legale ibrido), a patto che sia chiaro che bisogna essere formidably schooled in quelle discipline, senza illudersi di acquistare con poca spesa nuove capacità disciplinari. Susskind premette che vi sono alcune differenze tra le law school americane, che sono graduate schools (dopo il college) e quelle inglesi ed europee, che si possono frequentare direttamente dopo le scuole superiori (undergraduate), e mette in luce le differenze tra i professori di diritto nel Regno Unito e nell’Europa continentale (dove, invece, possono fare anche la professione di avvocato) e la reciproca diffidenza che vi è, in alcuni Paesi, tra giuristi della cattedra e del foro. Alla ne denuncia la debolezza principale di scuole e facoltà di giurisprudenza, che a suo avviso è di non preparare gli studenti alla realtà dell’industria legale. Non si nasconde, però, alcune difficoltà: In molte facoltà di giurisprudenza, il diritto è insegnato come negli anni Settanta del secolo scorso, da professori che hanno poche idee o interesse nel cambiamento del mercato legale. Troppo spesso poca attenzione è prestata a fenomeni come la globalizzazione, commoditization8, tecnologia, gestione d’impresa, valutazione del rischio […] Dovremmo per questo motivo aumentare le rimesse a law school e college per includere altre discipline? C’è posto per il futuro nell’affollato curriculum di giurisprudenza?9 Anche in ambito scienti co, realizzare l’interdisciplinarietà non è facile in sé e, di fatto, è penalizzante nella ricerca di fondi di ricerca. Per risolvere le grandi s de che la società deve affrontare – energia, acqua, clima, cibo, salute – scienziati e scienziati sociali devono lavorare insieme. Ma la ricerca che trascende i con ni accademici convenzionali è più difficile da fare, revisionare, pubblicare, essere nanziata e riconosciuta ai ni della carriera10. L’esperienza dei centri di ricerca interdipartimentali nelle università italiane ri ette questa realtà, visto che il sistema di assegnazione e gestione dei fondi rimane in larga parte nelle mani dei dipartimenti, rispetto ai centri di ricerca interdisciplinari. Carol Dweck, una psicologa dell’università di Stanford, ha elaborato la nozione di mindset (che potremmo tradurre come abito mentale). Ha distinto, quindi, un fixed e un growth mindset, dove il primo (che potremmo dire ‘statico’) porta a sfruttare, piuttosto che a sviluppare, la propria intelligenza e le abilità acquisite, mentre il secondo, di crescita, porta a credere nell’idea di sviluppo costante, di recupero rispetto alle disavventure (resilienza) e a essere maggiormente in grado di cogliere i bene ci offerti dall’esperienza, anche degli altri. Il problema è che l’educazione giuridica è oggi basata sul rafforzamento di una mentalità statica11, come nota Rory Unsworth: Al ne di formare la mentalità ci dovrebbe essere una maggiore varietà di moduli alla law school, tra cui statistica e logica, sviluppo di sistemi e spiegazioni di base delle moderne tecniche di computazione, come intelligenza arti ciale, text mining, blockchain ecc. Oltre a incoraggiare una mentalità di crescita, un’educazione giuridica più moderna richiederebbe maggiore enfasi su etica, tecnologia e arti come mezzo per stimolare l’immaginazione e incoraggiare atti di co-creazione12. Cecilia Magnusson Sjöberg va un po’ più in profondità nell’analisi dei diversi bisogni13. In risposta alla diffusione dei computer a partire dagli anni Sessanta, le facoltà di diritto di tutto il mondo hanno riconosciuto l’informatica giuridica come una nuova disciplina legale emergente14. Alcune università hanno negli anni cominciato a studiare la trasformazione di aspetti di diritto sostanziale tradizionale nel nuovo ambiente digitale. Altre istituzioni si sono concentrate su aspetti metodologici associati alla progettazione, sviluppo, implementazione e gestione dei sistemi legali. Per fare un breve esempio: la creazione di un sito web ‘legalmente sicuro’ per i consumatori potrebbe richiedere non solo di comprendere no a che punto vi sia un’esigenza formale di una rma che abbia valore di conclusione di un accordo, ma anche sapere se una rma elettronica, secondo il livello di sicurezza esistente, soddis i requisiti giuridici per un valido contratto. Va notato che non solo gli studenti di giurisprudenza, ma anche quelli di tecnologia potrebbero bene ciare della consapevolezza giuridica di situazioni che si creano per effetto della digitalizzazione. Problemi analoghi si pongono per l’inquadramento giuridico dei cosiddetti smart contract (vedi Capitolo 5) o per il riconoscimento dei diritti di copyright per i soware e altro ancora. Questo ha fatto sorgere la domanda se non sia il caso di creare una partizione disciplinare autonoma chiamata IT Law: gli avvocati di oggi possono essere sorprendentemente ignoranti quando si tratta di nuove infrastrutture giuridiche riguardanti l’elaborazione automatica dei dati, la documentazione elettronica, ecc. Sfortunatamente, questo vale non solo per le generazioni precedenti, ma anche – in qualche modo sorprendentemente – per i più giovani. Ad esempio, i modelli di business indicati come soluzioni di Cloud Computing possono benissimo necessitare di una spiegazione in classe in modo da evitare fraintendimenti e illusioni di transazioni che si svolgono in uno ‘spazio esterno’ senza alcun server hardware in una posizione geogra ca ssa15. 2.1 La visione di un gruppo di giovani giuristi: Law School of the future Che cosa pensano i diretti interessati, gli studenti e quelli che hanno da poco completato gli studi, dell’insegnamento ricevuto? Non esistono, a oggi, vere e proprie indagini dedicate all’argomento. Un piccolo test, del tutto informale, è stato fatto con i partecipanti al corso intensivo Technological Innovation and Law (TIL 2019) svoltosi presso l’Università di Pavia a febbraio 201916. A questo gruppo di ventisette giovani, provenienti da diverse istituzioni italiane ed europee, è stato assegnato il compito di indicare i motivi di insoddisfazione del modo in cui hanno ricevuto l’insegnamento del diritto e di tracciare le linee di quella che, secondo la propria sensibilità, potesse essere la «Law School of the future»17. Il risultato non è un saggio sugli studi giuridici né una critica rivolta a una particolare università né il risultato dei temi dibattuti nel corso intensivo, nel quale non era stato trattato l’argomento dell’organizzazione delle facoltà di giurisprudenza. Si tratta della manifestazione di bisogni di un piccolo gruppo di giovani giuristi, che, pur non costituendo un campione in senso tecnico, era comunque signi cativo per università di provenienza (le più prestigiose università di Milano – Statale, Cattolica e Bocconi –, oltre la scuola Sant’Anna di Pisa e altre18) per livello di preparazione (selezionati in relazione ai titoli accademici ottenuti, oltre che alla motivazione) e per capacità di seguire lezioni impartite in inglese da un corpo docente proveniente da Paesi europei e dagli USA, oltre che dall’Italia, e di dialogare con docenti e colleghi in inglese. Quanto ai modi d’insegnamento sono stati rilevati problemi di metodologia (molto tradizionale), in particolare nel modo di svolgimento delle lezioni e degli esami, come l’impossibilità di seguire le lezioni via remoto e la mancanza di specializzazione. È stata lamentata anche la scarsa internazionalizzazione, l’assenza di alcuni corsi ritenuti necessari, la scarsità di contatti con il mondo del lavoro e l’assenza di un servizio efficace di avvio alla carriera. Ricca la gamma delle proposte: – Valorizzare attività come i processi simulati (moot court) e legal clinics e, in generale, adottare un approccio come quello usato nei Paesi di lingua inglese, dove gli studenti ricevono il materiale prima della lezione, in modo da poter poi concentrare il rapporto con il professore sugli aspetti più problematici e sulle criticità, in modo da agevolare l’interazione in classe, evitando gli aspetti negativi della tipica lezione frontale. Videoregistrare le lezioni e caricarle su piattaforme online. – Nei contenuti è sentito il bisogno di un approccio maggiormente pratico, dando maggior peso alla casistica giudiziaria. – Rendere obbligatori i corsi d’informatica giuridica e di programmazione base e promuovere corsi di scrittura giuridica. – Aumentare il numero di esami scritti e, in quelli orali, favorire gli esami a ‘libro aperto’. – Concentrare la maggior parte degli esami obbligatori nei primi anni di università e favorire un percorso più specializzato, scelto dallo studente, per gli ultimi due anni. – Sviluppare maggiore interdisciplinarietà (con seminari o convegni su temi dove concorrono discipline diverse) e avere un adeguato numero di crediti per insegnamenti mutuati da altri corsi di laurea (come per es. psicologia, economia ecc.) – Prevedere incentivi per accordi internazionali tra le università europee al ne di facilitare gli scambi e facilitare la partecipazione a eventi internazionali. Una maggiore offerta di corsi di lingue straniere, nella direzione dello ‘studente europeo’, in modo che sia possibile valutare concretamente la possibilità di lavorare all’estero dopo la laurea. – Promuovere un contatto reale con il mondo delle professioni forensi, con il coinvolgimento di professionisti nelle lezioni universitarie e con stage obbligatori presso studi legali e/o di consulenza. – Introdurre una smart card per l’accesso ai servizi offerti dall’università (biblioteca, mensa ecc.), compresi i servizi di tutoraggio (da ampliare) e un supporto psicologico gratuito. Queste richieste sono espressione di bisogni che meritano un’attenzione adeguata e non certo di essere irrisi (come qualche professore può essere tentato di fare), visto che sono problemi di contenuti, metodo e interazione interdisciplinare, che si possono trovare in Susskind o in Margaret Hagan o nei vari autori che sono stati richiamati in questo e in altri capitoli. Sono degni di nota, piuttosto, il respiro internazionale delle richieste (è una generazione che esprime una visione globale del diritto, anche quando parla di quello nazionale) e il modo maturo e consapevole di rapportarsi alle nuove tecnologie e all’intelligenza arti ciale. In altre parole, questo gruppo di giovani giuristi non chiede qualcosa d’altro, rispetto a ciò che è stato loro insegnato, ma qualcosa di più e di diverso nel modo di studiare, nel quale sia il collegamento con esperienze giuridiche (e non) di altri Paesi sia le tecnologie siano coessenziali. È interessante che questi giovani giuristi abbiano adottato il modello di ‘avvocato a forma di T’ (T-shaped lawyer), che è una de nizione emersa alcuni anni fa come risposta alla richiesta di un nuovo tipo di professionista legale capace di far fronte alle s de degli sviluppi tecnologici, ai cambiamenti nel mercato dei servizi legali e ai nuovi dilemmi etici in una società complessa. L’«avvocato a forma di T» si sostiene che sia in grado di far fronte a queste s de perché si basa su profonde conoscenze e abilità giuridiche, anche di tipo tradizionale, se si vuole (la colonna verticale della T), sulle quali poggia la componente orizzontale della T, che contiene una vasta gamma di altre discipline e abilità accademiche, come design thinking, data analysis, project management, business leadership, risk mangament, technology & data19. Il problema è che, appunto, l’attuale educazione giuridica non prepara sufficientemente alle competenze che si trovano nella parte orizzontale. E i giovani allievi del corso TIL 2019 non hanno mancato di rilevarlo. 3. L’offerta delle università In questo paragrafo sono riportati l’offerta di alcune principali università e alcuni sviluppi recenti. Non vi è alcuna pretesa di completezza. Sono informazioni che servono solo a dare un’idea del quadro in movimento, per poter poi discutere alcuni aspetti teorici. 3.1 Negli Stati Uniti Oliver Goodenough, uno dei leader del processo di innovazione e diritto negli Stati Uniti e Direttore del Center for Legal Innovation presso la Vermont Law School (USA), in un articolo del 2013 riferisce con stupore come al LegalTech 2013 di New York quasi nessun professore di diritto fosse presente: LegalTech è il bazar commerciale dedicato a questo nuovo modo di intendere la professione legale e, come la maggior parte dei bazar, è rumoroso, disordinato, divertente. Viene distribuita una gran quantità di gadget, dalle chiavette USB gratuite alle tazze da caffè da usare in automobile, e vi sono continuamente conferenze in programma. L’elenco dei relatori prevedeva dirigenti delle aziende in esposizione, soci e amministratori provenienti da studi legali, anche diversi giudici e pubblici ministeri, e un professore di diritto, Daniel Katz della Michigan State University. Tale sotto-rappresentazione dell’ambiente accademico è stata continua sullo sfondo dell’evento, tanto che ho incontrato solo pochi dei miei colleghi di altre Law School. Questa separazione è impressionante. Una rivoluzione basata sulla tecnologia sta capovolgendo il modo in cui l’America pratica il diritto, gestisce la pubblica amministrazione e dispensa la giustizia, e no a ora la rivoluzione è passata quasi completamente inosservata da parte di coloro che insegnano agli aspiranti giuristi20. Ecco il punto. Siamo nel 2013 a New York, mezzo mondo delle professioni giuridiche è partecipe o mostra almeno curiosità, mancano all’appello coloro i quali insegnano ai futuri giuristi. Ho avuto occasione di partecipare al LegalTech 2015 e di essere relatore in un panel dal titolo Towards e Technology-Driven Future of the Law, organizzato da CODEX Stanford, e posso confermare l’atmosfera incredibilmente vivace, a tratti improbabile per il mio occhio di giurista europeo (è possibile che fossi l’unico presente), che si respirava. Il quadro negli USA è, comunque, in forte movimento e alcune importanti università dedicano corsi e programmi esattamente a tale tema. La Stanford Law School si presenta così nella pagina iniziale del sito: «Eccellenza, innovazione e un impegno per il futuro, questa è l’eredità che la Stanford Law School lascia a ogni generazione di studenti e giuristi»21. La stessa facoltà ha un centro, CodeX – e Stanford Center for Legal Informatics, la cui ispirazione è interessante: Presso il Centro ricercatori e imprenditori progettano tecnologie per un migliore sistema giuridico. La nostra missione è creare tecnologie giuridiche che diano potere a tutte le parti del nostro sistema giuridico, e non solo alle professioni legali. Queste tecnologie giuridiche aiutano gli individui a trovare, capire e operare in modo conforme alle regole che governano le loro vite. Tali tecnologie aiutano i corpi legislativi ad analizzare le leggi proposte in base ai costi, alle sovrapposizioni e alle incoerenze e aiutano le istituzioni chiamate all’applicazione della legge ad assicurare il suo rispetto. Tutti questi progressi portano a quella che è la nuova frontiera della tecnologia giuridica, e che comporta nuovi livelli di trasparenza e maggior potere degli individui22. Alla Georgetown University, poi, viene offerto un corso su Technology, Innovation, and Law Practice e alla Vermont Law School è stato istituito un Center for Legal Innovation, mentre iniziative analoghe sono in corso ad Harvard e in altre sedi, come la Brooklyn University. Alla Vanderbilt Law School di Nashville il professore J.B. Ruhl ha promosso Law 2050, A Forum About e Legal Future, quello che il suo fondatore chiama «futurismo legale» (Legal Futurism): Il futurismo legale considera principalmente domande come: in che modo i cambiamenti climatici in uenzeranno il diritto di proprietà? In che modo la legge sulla responsabilità risponderà alla robotica e alla bioingegneria umana? In che modo sarà necessario modi care la legge sulla regolazione dell’energia per accogliere un futuro di energia rinnovabile? Il futurismo legale attinge dalle discipline non legali come la piani cazione degli scenari e la previsione dei cambiamenti per concentrarsi sulle forze sociali, economiche, tecnologiche e ambientali del futuro che metterà sotto pressione il diritto affinché cambi e aprirà nuove opportunità legali. Il futurismo legale è quindi sia teorico (come sarà il diritto nel 2050) sia pratico (come fanno gli avvocati a partecipare a quel futuro legale)23. Certo sono scuole e nomi di assoluto rilievo e il processo è avviato, ma la strada da compiere in un continente come gli USA è ancora molta. 3.2 In Europa In Europa, ma con un approccio proiettato verso tutto il mondo, è degno di nota il progetto Innovating Justice, un’iniziativa lanciata nel 2009 dallo Hague Institute for the Internationalisation of Law (HiiL), la Microjustice Initiative (MJI), la European Academy for Law and Legislation (EALL) e il Center for International Legal Cooperation (CILC). La loro ispirazione è degna di nota: «il settore della giustizia è cruciale per avere comunità sostenibili e relazioni tra comunità e individui che consentano di realizzare le loro piene capacità. Esso è un’industria in sé, nella quale ogni anno sono spesi miliardi di dollari»24. Fino a un certo punto le università hanno tardato a dare risposta ai bisogni di cui si è parlato nel paragrafo precedente. Ed è indicativo che, ancora una volta, Susskind nel 2017 debba ammettere «con animo grave» (with a heavy heart) che non vi è alcuna facoltà di giurisprudenza nel Regno Unito che abbia un centro dedicato a diritto e tecnologia o un corso dedicato al futuro dei servizi giuridici, come nelle maggiori università americane25. Tuttavia, negli ultimi anni vi sono segni di vivacità, come dimostra lo svilupparsi d’iniziative come il danese Legal Tech Lab: Law, Innovation & Technology26, che si de nisce come un gruppo interdisciplinare basato alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Copenaghen, che lavora all’intersezione di diritto, tecnologia e innovazione. Oppure il Legal Tech Lab della Goethe Universität di Francoforte sul Meno27, oppure l’incubatore di Legal Tech Labs, che ha lo scopo di fornire una piattaforma per l’innovazione tecnologica nel settore legale28 oppure il Law and Tech Lab della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Maastricht, che mira a offrire un’educazione innovativa, a produrre ricerche all’avanguardia e a costruire una creativa comunità di ricercatori, insegnanti, studenti e professionisti alle intersezioni di legge, tecnologia e scienza dei dati29. Oppure il programma LLM su Law & Technology della NOVA University di Lisbona, la cui loso a è nel motto Bridging e Gap Between Innovation and Law30. Oppure il Legal Tech Lab, un progetto interdisciplinare della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Helsinki, che ha lo scopo di sperimentare tecniche legali e di promuovere la digitalizzazione delle pratiche giuridiche. Si presenta in modo interessante l’offerta della IE Law School di Madrid31. Su questo quadro, che, pur non completo, si presenta obiettivamente molto mosso rispetto al recente passato, si possono fare due brevi considerazioni, rimandando al prossimo paragrafo una visione un po’ più ampia. In primo luogo, risulta confermata l’intensità del bisogno di cambiamento che la formazione giuridica ha e di cui si è detto nel paragrafo precedente. In secondo luogo, se queste sono le scelte linguistiche degli innovatori in campo giuridico, che usano quasi tutti la stessa formula law- tech-lab, vuol dire che l’innovazione si muove, ma siamo messi non molto bene quanto a… fantasia. 3.3 L’esperienza dell’Università di Pavia Presso l’ateneo pavese è stato istituito sin dal 2004 l’European Centre for Law, Science and New Technologies (ECLT)32, nato dalla collaborazione di accademici scienziati e giuristi, come sviluppo dell’attività avviata negli anni precedenti dall’autore di questo volume e da Carlo Alberto Redi, in collaborazione con Andrea Belvedere, Sergio Seminara e Silvia Garagna (attuale presidente). Negli stessi anni è stato istituito presso il Dipartimento di Giurisprudenza un insegnamento «Diritto scienza e nuove tecnologie» (da me tenuto). Dopo un decennio in cui è stata svolta un’intensa attività di dibattito e formazione nel campo di diritto e genetica, diritto e neuroscienze e robotica, un notevole salto in avanti è stato compiuto nel 2013, quando, grazie a un nanziamento di Fondazione CARIPLO, è stata avviata una collaborazione biennale focalizzata sull’innovazione tecnologica nel diritto, in collaborazione con Oliver Goodenough. È così che ha avuto inizio il progetto Innovating Legal Studies and Practice (ILSP), che, frutto della collaborazione tra uffici giudiziari milanesi, Ordine degli avvocati di Milano e Università degli Studi di Pavia, ha portato al primo corso internazionale su innovazione tecnologica e diritto (anno accademico 2014-2015). L’iniziativa partiva dal presupposto che non fosse più attuale l’antica opposizione tra law in action e law on the books e che era necessario un ripensamento su entrambi i fronti, poiché l’innovazione riguarda, con pari profondità, sia gli studi accademici sia il mondo delle professioni, senza che (almeno in termini generali) la dottrina possa rivendicare una condizione di superiorità o il mondo delle professioni il vantaggio del conoscere il «vero» diritto, quello praticato. Il corso, che si svolge tutto in inglese, ha poi preso la forma di Winter School o corso intensivo, che è stato replicato, sempre con aggiornamenti di contenuti e di formula, nel 2017 e nel 2019, da ultimo con la denominazione TIL 201933. Per il 2020 il corso intensivo ha il titolo Changing your Minds – TIL 2020, ispirato all’idea che è centrale l’attitudine mentale verso i problemi (mindset) rispetto ai meri aspetti tecnici. Dal 2012 l’Università di Pavia, in collaborazione con la European Association for Neuroscience and Law (EANL) ha organizzato una Law and Neuroscience Winter School (per i primi tre anni co nanziata dalla Commissione Europea), la cui ultima versione (settembre 2017), in collaborazione con il centro interdipartimentale Centre for Health Technologies (CHT), è stata focalizzata su Big Data, Neuroscience and Law. 3.4 Negli altri atenei italiani L’Università Bocconi di Milano ha un corso (in inglese) su Economics and Management of Innovation and Technology, mentre nell’ambito degli studi giuridici vi è un LL.M. in Law of Internet Technology (a.a. 2019-2020), un programma interamente dedicato al diritto applicato all’ambito digitale e dell’innovazione tecnologica, in una prospettiva internazionale. Il corso, anch’esso impartito interamente in lingua inglese, intende formare gure professionali capaci di applicare gli strumenti giuridici tradizionali ai nuovi contesti digitali e produrre soluzioni legali innovative adatte all’economia dell’informazione e della conoscenza. L’Università di Bologna offre, per l’anno accademico 2018-2019, il master universitario di I livello in «Diritto delle nuove tecnologie e Informatica giuridica», di durata annuale, in lingua italiana, che ha la nalità di fornire le conoscenze e le capacità richieste nei settori del diritto dell’informatica e delle nuove tecnologie e di formare professionisti e funzionari di enti pubblici e privati capaci di affrontare le problematiche giuridicoinformatiche sulla base di un’approfondita preparazione scienti ca, metodologica e tecnologica34. L’Università Statale di Milano attiverà un nuovo corso di laurea magistrale in scienze giuridiche, il cui titolo è Diritto e tecnologie della comunicazione e informazione (LAW & ICTS), a partire dall’anno accademico 2021-2022. Il corso viene istituito allo scopo di insegnare agli studenti come affrontare i complessi problemi giuridici (teorici e pratici) connessi con lo sviluppo e l’applicazione delle nuove tecnologie informatiche, attraverso un tipo di approccio interdisciplinare e di fornire agli studenti l’opportunità di sviluppare le competenze necessarie per identi care, comprendere, gestire e risolvere i problemi giuridici e normativi posti dai più recenti sviluppi scienti ci e dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. A tal ne, oltre a prevedere corsi obbligatori di ‘alfabetizzazione’ informatica e sistemi informativi (tecnologie per il diritto digitale), si pre gge di analizzare come la recente rivoluzione scienti ca e tecnologica stia profondamente incidendo sugli ordinamenti giuridici, tanto sul piano generale che sui singoli istituti, modi cando principi, concetti e valori degli ordinamenti giuridici contemporanei. Il corso approfondisce anche il rapporto tra scienza, tecnologia e diritto, analizzando pro li giuridici ed etici sollevati dalle nuove tecnologie in relazione alle scienze biomediche, alle neuroscienze cognitive e alla genetica. Sempre presso l’Università Statale di Milano è stato istituito nel 2017 un Centro di Ricerca Coordinato in Information Society Law (ISLC), le cui principali linee di ricerca riguardano l’informatica giuridica, gli aspetti tecnologici e della società dell’informazione che inevitabilmente interessano, oggi, la loso a del diritto, la sociologia del diritto, la deontologia, la bioetica, il diritto penale, il diritto processuale penale, il diritto del lavoro, il diritto tributario, l’economia politica e il diritto ecclesiastico35. 4. Il dibattito accademico sul che fare La questione del che fare negli studi giuridici può essere affrontata in vari modi, interrogandosi sui contenuti, sul metodo, sulle partizioni e sui raggruppamenti disciplinari, sulla concezione del diritto che si ha o sugli sbocchi professionali degli studenti. In questo paragrafo si affronteranno solo alcuni di tali aspetti: prima, alcuni problemi globali dell’insegnamento del diritto, poi, alcuni aspetti di contenuto e di discipline e, in ne, la questione teorica di cosa sia diritto oggi e nel prossimo futuro. Carel Stolker si è posto il problema dell’importanza di una visione condivisa tra i membri della professione giuridica su cosa sia l’educazione giuridica, cosa signi chi creare un buon giurista, quali debbano essere le sue caratteristiche e quali siano i contenuti e i percorsi più adatti per quel ne. La questione, già complessa in ambito nazionale, si manifesta ancora più impegnativa a uno sguardo di maggiore ampiezza. Vi è una grande diversità tra le diverse facoltà: in alcuni casi possono accedere allo studio del diritto studenti di 18 anni, mentre in altri casi, laddove la scuola di diritto viene dopo il college, l’accesso avviene a 24 anni o più; inoltre, in alcuni casi si tratta di scuole riservate a élite, che si possono permettere tasse molto alte, mentre in altri casi si tratta di facoltà molto popolari. Vi sono grandi differenze anche nella durata degli studi, che vanno dai tre anni di solito nei Paesi di common law no ai sei anni in alcuni Paesi di civil law. Diversi sono anche i criteri per l’accesso alle professioni forensi, che in alcuni Paesi richiedono esami per acquisire il titolo di avvocato, in altri casi no. Tutte queste differenze, nota Carel Stolker, rendono ogni comparazione non facile. Carel Stolker, preside della facoltà di Giurisprudenza di Leiden, in Olanda, traccia un quadro dell’insegnamento del diritto a livello globale36, notando come l’insegnamento del diritto sia tra le prime quattro discipline mai insegnate nelle università, con un numero di studenti stimato complessivamente in 3,5 milioni a livello mondiale37. È perciò difficile da capire perché mai vi sia un così scarso interesse nella ri essione sull’insegnamento e sull’apprendimento delle teorie. Se si pensa, tra i tanti temi, alla ricerca in ambito giuridico, risulta subito evidente che essa è sicuramente sotto nanziata rispetto alle discipline scienti che. L’autore riporta l’esperienza del 2013, quando il governo olandese distribuì 156 milioni di euro per la ricerca in tutte le discipline fatta eccezione per il diritto, e si dà la spiegazione che il diritto ha un focus tipicamente nazionale ed è costituito da un discorso normativo argomentativo, privo di un metodo de nito e con scarso interesse nella ricerca empirica. Inoltre, per quanto l’educazione giuridica, un po’ in tutto il mondo, non sia mai stata così legata alle facoltà di giurisprudenza quanto lo sia ora, vi è comunque una separazione tra il mondo dell’insegnamento e quello della pratica delle professioni giuridiche. Per esempio, la maggioranza dei più importanti professori di diritto nelle università americane non ha mai praticato le professioni legali. Nota ancora Stolker come, per quanto vi sia una notevole quantità di libri, articoli, siti web che sono dedicati all’educazione giuridica, la maggior parte di essi sia però orientata nazionalmente. Sono stati dedicati interi libri allo studio e insegnamento del diritto e ci sono pubblicazioni nei Paesi di lingua inglese, ma anche in Germania, Olanda e Francia. Noi possiamo aggiungere in questo caso che in Italia non risultano essere stati pubblicati libri dedicati speci camente a una ri essione degli accademici sulla loro attività di professori di diritto (fatta eccezione per alcune ri essioni settoriali, di cui si è detto sopra). Proprio da questo punto di vista è interessante il lavoro di Stolker, perché è un libro scritto da un accademico (professore di diritto e preside di facoltà), che discute sulla sua stessa professione e che è ispirato a un profondo senso di responsabilità. Ed è interessante anche perché è scritto in inglese, pur rivolgendosi a lettori principalmente di Paesi di lingua e cultura né inglese né americana. La lettura delle pagine di Stolker colpisce anche per un altro pro lo: l’autore mette in luce una serie di aspetti critici delle facoltà di giurisprudenza, ma nulla dice sulle innovazioni tecnologiche (se non l’intensi carsi dei collegamenti internazionali) né su come sia cambiato il mondo fuori dalle facoltà di Giurisprudenza, soffermandosi principalmente sui problemi interni. Dal che si può forse trarre una ulteriore ri essione: la necessità di ripensare l’insegnamento del diritto precede l’impatto della tecnologia, che ne costituisce solo (si fa per dire) un potente moltiplicatore. 5. Una disciplina ‘diritto della tecnologia’? Si è visto sopra (a proposito del contributo di Cecilia Magnusson Sjöberg) come il diritto negli ultimi decenni abbia creato alcune discipline che rispondono a speci ci problemi tecnologici, come da ultimo l’inquadramento giuridico dei cosiddetti smart contract o per il riconoscimento dei diritti di copyright per i soware e altro ancora, tanto da far sorgere la domanda se non sia il caso di creare una partizione disciplinare autonoma, chiamata IT Law. E non mancano certo i settori speci ci, se si pensa all’e-commerce e al diritto contrattuale oppure ai documenti elettronici e al relativo contenzioso, al trapianto di organi e al diritto di proprietà, e così via. D’altra parte sono decine le riviste giuridiche che rivendicano di occuparsi di questioni giuridiche e tecnologia. A ben vedere anche la forma a T delle competenze richieste dal nuovo giurista sembra andare nella stessa direzione: le nuove intersezioni del diritto con la tecnologia si collocano tutte nella barra orizzontale della T, mentre le conoscenze tradizionali sono solidamente nello stelo verticale. Un’idea del genere sembra sottesa anche ai nuovi labs sorti in molte università europee negli ultimi anni: luoghi di approfondimento di speci ci problemi. La domanda è apparentemente banale: vi è bisogno di un’autonoma disciplina o di una teoria generale del diritto e della tecnologia? I sostenitori della prima tesi fanno valere alcuni argomenti: perché dovremmo considerare ogni nuova tecnologia come un fenomeno isolato? In effetti, il campo in cui la tecnologia e le discipline giuridiche interagiscono ha una densità relativamente alta38. In termini generali, la questione è se la valutazione e la reazione a ciascuna nuova tecnologia isolatamente sia la migliore modalità per la regolamentazione tecnologica o se una prospettiva più ampia possa meglio servire l’adeguamento sociale delle nuove tecnologie e se il fatto di tenere distinte le regolamentazioni possa essere utilmente sostituito o integrato con una sorta di ‘teoria generale del diritto e della tecnologia’. Una tale teoria fornirebbe un approccio legale generalizzato all’uso e all’adozione di nuove tecnologie, speci cando linee guida per affrontare casi in cui una nuova tecnologia minaccia di destabilizzare istituti, valori e norme sociali esistenti. La domanda su una teoria generale del diritto e la tecnologia ha un’apparente giusti cazione: perché non dovremmo avere una nuova teoria del diritto – ne abbiamo già in abbondanza! - per avere un approccio migliore a uno degli aspetti più importanti della nostra vita attuale? In realtà, però, la domanda contiene una serie di questioni molto complesse, che vanno dalle normative giuridiche su problemi speci ci (come affrontare ciascuno di essi in termini giuridici pratici) alla meta sica (la tecnologia come qualcosa che ci priva di una qualità intrinseca dell’uomo). E soprattutto tale domanda presuppone un’idea della tecnologia che non pare condivisibile. L’enfasi che talora viene posta sull’impatto della tecnologia e sulla sua minaccia alle nostre vite ri ette quell’atteggiamento, chiamato eccezionalismo, secondo il quale i nuovi problemi richiedono, per de nizione, la creazione di nuove regole e principi. L’errore dell’eccezionalismo è sia storico sia concettuale. Da un punto di vista storico, considerare l’impatto della tecnologia sulla società come un nuovo problema è contrario alle prove del passato, poiché «la ri essione loso ca sulla tecnologia è vecchia quanto la stessa loso a». È iniziato nell’antica Grecia. Infatti, la tecnologia è stata, sotto diversi aspetti, al centro della speculazione loso ca sin dai tempi di Democrito, Platone e Aristotele39. Per quanto le nuove tecnologie (a volte) possano porre nuovi problemi, tuttavia ciò non implica che il rapporto tra diritto e tecnologia nel suo complesso sia un nuovo problema, né che affrontare nuovi problemi richieda per de nizione la creazione di nuove regole e principi (che è il tipico errore dell’eccezionalismo). Da un punto di vista teorico vi sono almeno due aspetti importanti da considerare. In primo luogo l’idea di eccezionalità suggerisce che la tecnologia (in generale) sia qualcosa di aggiunto alla nostra realtà sociale (e, quindi, qualcosa che possa essere evitato o il cui arrivo possa essere ritardato). In secondo luogo, anche le tecniche/tecnologie speci che sono considerate come entità isolate che vengono aggiunte a caso e richiedono quindi di essere ‘riuni cate’ in una cornice generale. A mio avviso, queste idee non tengono conto della realtà, poiché la tecnologia è già presente in tutti gli aspetti della nostra vita sociale, incluso il diritto. È già nelle nostre società, non è aggiunta a esse e, piuttosto, deriva da loro. Guardando al diritto, questo implica che anche il diritto (in termini generali) è già, per molti aspetti, un diritto della tecnologia, nella misura in cui regola qualsiasi campo (comunque de nito), e che vive negli e con gli attuali mezzi tecnologici (es. database legali sul web, sistemi esperti e altro). Pertanto, anziché parlare di come affrontare la tecnologia dovremmo ammettere di vivere in un ambiente altamente tecnologizzato, anche nell’ambito del diritto, tanto che parlare di tecnologia in sé, almeno in termini giuridici, non ha alcun senso. I recenti sviluppi tecnologici nel campo dell’informatica ubiquitaria (di cui si parlerà nel Capitolo 7) dimostrano perfettamente ciò che intendo. L’Internet delle cose (Internet of ings) è caratterizzato da sistemi e tecnologie incorporati (molti dispositivi collegati in rete sono integrati nell’ambiente), sensibili al contesto (questi dispositivi possono riconoscere le persone e il contesto situazionale), personalizzati (possono essere adattati alle esigenze dei singoli), adattivi (possono cambiare la risposta) e anticipatorio (possono anticipare i desideri senza mediazione consapevole). In questa situazione è quasi impossibile trovare qualcosa che non sia in uenzato dalla tecnologia e, paradossalmente, non c’è nulla (che non sia già tecnologizzato e quindi) che possa essere contaminato dalla tecnologia. Questo esempio offre l’opportunità di chiarire due punti: a) In termini sociali, vi è bisogno di scoprire la tecnologia con cui già viviamo (come componente delle nostre società) piuttosto che, e prima di, temere la tecnologia e lottare contro le sue prossime applicazioni. b) In termini giuridici, se il diritto in generale è diritto della tecnologia (vedi sopra), seguono almeno due conseguenze: i) il diritto non ha motivo di trattare la tecnologia in un modo diverso da qualsiasi altro oggetto sociale; ii) parlando di qualsiasi aspetto della nostra realtà giuridica potremmo scoprire anche, tra molti altri, la sua origine tecnologica (a volte nascosta). Alla ne, sono dell’opinione (come ho argomentato in altra sede) che non vi sia alcuna necessità di creare una nuova entità come una teoria generale del diritto e della tecnologia o, meglio, che le questioni dibattute a tale proposito siano un utile stimolo per una ride nizione di aspetti cruciali della teoria giuridica in termini generali. Questo non esclude l’utilità di affrontare problemi speci ci con tutto il tasso di specialismo necessario (quale diritto esprima uno smart contract e se e come debba essere regolato richiede un ne civilista!), a patto che non consideriamo gli smart contract una diavoleria arrivata da chissà dove a disturbare la quieta perfezione delle regole sul contratto. L’approccio che mi sembra più convincente è quello di Ruhl (vedi sopra), dove spiega che quello che chiama «futurismo giuridico» è sia teorico (come sarà il diritto nel 2050) sia pratico (come fanno gli avvocati a partecipare a quel futuro legale). 6. Un’idea del e per il diritto Immaginare la formazione di giovani giuristi presuppone un’idea sufficientemente chiara di cosa sia il diritto in un certo momento storico e, lo si è già notato, di quale pro lo abbiano le professioni legali. Questo, pur vero in generale, assume oggi connotati particolari a causa dei forti, e a lungo sottovalutati, cambiamenti in ambito giuridico. Negli ultimi anni qualcosa ha cominciato a muoversi, ma tutto ciò, per importante che sia, è ancora poco rispetto al cambiamento epocale che gli sviluppi tecnologici stanno imprimendo al diritto40. Dicevo che tali cambiamenti sono stati a lungo sottovalutati. Per esempio, la ssità delle partizioni disciplinari nell’accademia ha per decenni ignorato (e, quindi, non ha dato risposta a) quanto Philip Jessup descriveva già nel 1956 come transnational law, un coacervo disciplinarmente spurio, oggi diventato di uso corrente41. Tuttavia, oggi il cambiamento giuridico riguarda sia la dimensione transnazionale assunta dal diritto (di cui si parlerà nei prossimi due capitoli), sia l’uso sempre più esteso di strumenti informatici raffinati e complessi in ambito giudiziario, nelle professioni legali e anche nella ricerca. A fronte di ciò la logica prevalente nell’accademia sembra essere stata la seguente: per la formazione, che i giovani imparino il diritto ‘come si deve’ (cioè, più o meno alla maniera di sempre!), tutto il resto appartiene a teorici più o meno visionari o a pratici dell’era digitale. Tuttavia quest’atteggiamento non pare adeguato ai tempi e l’offerta formativa per i giovani giuristi dovrebbe essere concepita strutturalmente in modo consono alla nuova dimensione sovranazionale e tecnologica del diritto, cioè rifondata. A ben vedere le iniziative crescenti nelle università europee e americane tendono a sommarsi agli insegnamenti tradizionali e, pur essendo un segno importante, non rispondono alla necessità di ripensamento profondo circa cosa sia il diritto e come esso si atteggi nelle nostre società tecnologizzate. Giusto per fare un esempio, sarebbe forse il caso di fare qualche ri essione sulla distribuzione degli insegnamenti nelle nostre facoltà di giurisprudenza. Tradizionalmente il diritto romano viene insegnato al primo anno, secondo un’idea che si può far risalire al giurista francese Robert Joseph Pothier (1699-1772) e che aveva informato il Codice Napoleone e, poi, tutti i codici che a quel modello si sono ispirati: il diritto romano come bacino di tecniche cui attingere in ogni tempo e, quindi, fonte di principi generali in qualche modo metastorici. Non è questa la sede per discutere l’assunto diritto romano = Pandette di Giustiniano riordinate con criterio sistematico (à la Pothier), ma certo stride questa universalizzazione astorica del diritto romano a fronte del fatto che, per esempio, il diritto dell’Unione Europea, dal quale discende la larghissima parte delle stesse norme nazionali, sia scoperto dagli studenti soltanto al terzo o al quarto anno. Personalmente credo che il diritto romano debba essere insegnato, ma come esperienza storica di oltre tredici secoli (dal diritto romano antico a quello giustinianeo), con tutte le sue trasformazioni, da diritto di una piccola comunità locale a diritto con dimensione globale, frutto del pragmatismo della cultura romana. In un’ottica del genere, il diritto romano può essere insegnato in anni successivi, quando lo studente ha maturato una visione un po’ più ampia dell’esperienza giuridica, nazionale, transnazionale, internazionale e globale. Inoltre, se si pensa al versante tecnologico, ci si può chiedere se, visto il livello avanzato di digitalizzazione del diritto, abbia senso che l’informatica giuridica non sia un insegnamento obbligatorio oppure che, a fronte del sempre più frequente uso dei linguaggi formali in ambito giuridico (vedi avanti Capitolo 8), non si insegni il coding, cioè le tecniche di utilizzo di linguaggi formali per esprimere concetti, ragionamenti, strumenti giuridici (come i contratti) e altro. E poi vi sono tutti i problemi di metodo e di contenuto che seguono alla domanda: come si forma un giurista ibrido? In conclusione, si può dire che la massa di cambiamenti abbia raggiunto un livello critico che non ammette più sviste e sottovalutazioni, e che ogni ritardo nel riesame delle nostre idee su cosa sia diritto oggi e su quali siano le modalità delle professioni legali incrementa il debito che pratici e accademici hanno in egual misura verso i giovani giuristi42. Che cosa è in gioco? L’idea stessa di diritto e la sua natura? Una ri essione complessa e affascinante43, di cui si parlerà nei prossimi capitoli. 1 SUSSKIND 2017, p. 162: «Stiamo preparando la prossima generazione di avvocati a essere più essibili, capaci di lavorare in team, tecnologicamente so sticati, professionisti ibridi, commercialmente astuti, che siano in grado di superare i con ni legali e professionali, e parlare la lingua della sala riunione? [...] La mia paura è che stiamo addestrando gli avvocati diventare avvocati del XX secolo e non avvocati del XXI secolo» [traduzione mia]. 2 Una legal clinic è un corso nel quale, sotto la direzione di professori esperti, studenti di giurisprudenza svolgono un’esperienza pratica legale fornendo servizi a clienti (gratuitamente). La descrizione di quella di Stanford si trova presso https://law.stanford.edu/mills-legal-clinic/what-wedo/, visitato il 9 giugno 2019. 3 DAVIDSON 2017; STOLKER 2014; ALEMANNO – KHADAR 2018; CHILTON – MASUR – KYLE 2019; SCHLAG 2007. Si veda anche GANE 2016. 4 FENWICK – KAAL – VERMEULEN 2018. 5 Si vedano PASCUZZI 2015; ZACCARIA 2013; MACARIO 2018; LIPARI 2002. 6 KATZ, 2013, pp. 909-966 (in particolare pp. 965-966) (traduzione mia da «Law School needs to transition from its liberal arts predisposition to a polytechnic research and teaching operation. From both a scholarship and training perspective, it is time to get serious about science, computation, data analytics and technology. [ere is an] arbitrage opportunity in the market for legal education […] for an institution(s) [to] move toward an ‘MIT School of Law’». Nota di traduzione: il termine «arbitrage» è un false friend, perché l’arbitraggio in italiano (il deferimento a un terzo della determinazione di un elemento di un contratto) è cosa completamente diversa dall’arbitrage americano che indica l’acquisto/vendita dello stesso bene su mercati diversi dove sono praticati prezzi diversi al ne di trarne vantaggio economico («e simultaneous purchase and sale of equivalent assets or of the same asset in multiple markets in order to exploit a temporary discrepancy in prices»: American Heritage® Dictionary of the English Language, Fih Edition, 2011. Visitato il 9 giugno 2019 da https://www.thefreedictionary.com/arbitrage). 7 HAGAN 2016. Sull’importanza del lavoro interdisciplinare si veda anche MASSIMI 2018. 8 «Movement toward perfect competition; the process by which a good or service thought to be unique or superior becomes like other, similar goods and services in the eyes of the market. Commoditization is the movement toward undifferentiated competition between two or more companies offering the same good or service. is leads to lower prices»: Farlex Financial Dictionary. © 2012 (https:// nancial-dictionary.thefreedictionary.com/commoditization, consultato il 28 maggio 2019). 9 SUSSKIND 2017, p. 163 e p. 138 per il legal hybrid. 10 Why interdisciplinary research matters. Scientists must work together to save the world. Editoriale del numero speciale della rivista «Nature» dedicato all’interdisciplinarietà: «Nature» 525, 305 (17 September 2015) doi:10.1038/525305a. 11 DWECK 2007 citato in UNSWORTH 2019. 12 UNSWORTH 2019, p. 56: «In order to train mindset there should be a greater variety of modules at law school, including statistics and logic, systems development, and basic explanations of modern computing techniques such as Arti cial Intelligence, Text Mining, Distributed Ledgers etc. As well as encouraging a Growth Mindset, a more modern legal education would need greater emphasis on ethics, technology and the arts as a means of stimulating the imagination and encouraging acts of co-creation». 13 SJÖBERG 2019. 14 In materia si rinvia, per tutti, a SARTOR 2016. 15 «e lawyers of today can be surprisingly ignorant when it comes to new legal infrastructures regarding automatic data processing, electronic documentation, etc. Unfortunately, this applies not only to older generations, but also – somewhat surprisingly – to younger ones as well. For instance, business models referred to as Cloud Computing solutions may very well need an explanation in the classroom so as to avoid misunderstandings and illusions of transactions taking place in ‘outer space’ without any hardware servers in a xed geographical location», SJÖBERG 2019, p. 175, traduzione mia. 16 Il corso si è svolto su iniziativa del Centro di ricerca interdipartimentale ECLT, in collaborazione con ELSA, il Dipartimento di Giurisprudenza e altre istituzioni accademiche pavesi, e grazie a un contributo economico di Banca del Monte di Pavia. Programma e corpo docente del corso intensivo TIL 2019 sono accessibili presso https://www.unipv-lawtech.eu/ les/Schedule-TIL-2019-3febbraio.pdf e presso https://www.unipv-lawtech.eu/ les/Schedule-TIL-2019-3-febbraio.pdf (visitati il 29 maggio 2019). 17 Il dossier contenente gli elaborati, la lista dei partecipanti e le istituzioni di provenienza è disponibile presso https://www.unipv-lawtech.eu/law-school-of-the-future.html Per un commento di stampa si veda https://www.altalex.com/documents/news/2019/04/01/la-law-school-di-domani (visitati il 29 maggio 2019). 18 Leiden University, Vrije Universiteit Brussels, Universidade Nova de Lisboa, Università degli Studi di Torino, Università degli Studi di Pavia, Università degli Studi di Siena, Università degli Studi Roma Tre, Università degli Studi di Trento, LUISS Guido Carli (Roma), Università degli Studi di Palermo. 19 MAK 2017. 20 GOODENOUGH 2013, p. 847 [traduzione mia]. 21 «Excellence, innovation, and a commitment to the future – these are Stanford Law School’s legacy to each new generation of law students and lawyers»: https://www.law.stanford.edu/school. 22 Testo originale presso https://www.law.stanford.edu/school: «At CodeX – e Stanford Center for Legal Informatics, researchers and entrepreneurs design technologies for a better legal system. CodeX’s broad mission is to create legal technologies that empower all parties in our legal system and not solely the legal profession. ese legal technologies help individuals nd, understand, and comply with legal rules that govern their lives; they help law-making bodies analyze proposed laws for cost, overlap, and inconsistency; and they help enforcement authorities ensure compliance with the law. All of these advancements lead to the next frontier of legal technology, bringing new levels of legal transparency and individual empowerment». 23 Traduzione mia da https://law2050.com/about-law-2050/, visitato il 9 giugno 2019. 24 http://www.innovatingjustice.com/about. 25 SUSSKIND 2017, p. 165. 26 https://jura.ku.dk/english/digitalisationhub/research/legal-tech-lab/, visitato il 7 giugno 2019. 27 https://mkg-jura-studis.de/legal-tech-lab-frankfurt-am-main/, visitato il 7 giugno 2019. 28 http://www.legaltechlabs.com/about-us visitato il 7 giugno 2019. 29 https://www.maastrichtuniversity.nl/law-and-tech-lab, visitato il 7 giugno 2019. 30 https://landings.ie.edu/masterland-law-master-legal-tech-llm? gclid=CjwKCAjwlujnBRBlEiwAuWx4LYCzv9xZR4SbeFPxPHM7PVZKOSxG01yPnXxFyKHLcMC2B WKV8EaipxoCiwkQAvD_BwE&gclsrc=aw.ds, visitato il 7 giugno 2019. 31 https://www.ie.edu/law-school/about/our-facilities/, visitato il 17 agosto 2019. 32 Nel 2010 il Centro ha acquistato questa denominazione, che ha sostituito la precedente «European Center for Life Sciences, Health and the Courts». Nel 2015 il Centro ECLT ha stretto un rapporto di integrazione e collaborazione con il Centre for Health Technologies (CHT) presso l’università di Pavia, di cui costituisce il pilastro etico giuridico. 33 Informazioni su queste attività sono accessibili presso https://www.unipvlawtech.eu/innovation---law.html. 34 Il corso è attivato in collaborazione con il Centro Interdipartimentale di Ricerca in Storia del Diritto, Filoso a e Sociologia del Diritto e Informatica Giuridica (CIRSFID) ed è diretto da Giovanni Sartor: http://www.cirs d.unibo.it/didattica/master/master-in-diritto-delle-nuove-tecnologie-einformatica-giuridica. 35 http://islc.unimi.it/. 36 STOLKER 2014, pp. 1-39. 37 STOLKER 2014, p. 5. 38 Ho affrontato e discusso questo tema (con relativa bibliogra a) in SANTOSUOSSO 2015b, pp. 25-31. 39 SINI 2009. 40 Le considerazioni che seguono sulla situazione italiana sono tratte dal mio, purtroppo ancora attuale, SANTOSUOSSO 2013, pp. 547-558. 41 JESSUP 1956, p. 2 (sul punto si veda Capitolo 8). 42 Sul punto sia consentito rinviare a miei precedenti lavori: SANTOSUOSSO 2010; SANTOSUOSSO 2014. 43 Magistrali sono le pp. 195-207 di IRTI 2016, dove l’autore pone come centrale, per la costruzione di una teoria generale del diritto, la questione dell’idea che si ha del diritto e dello «sguardo giuridi cante». 7. Diritti, storicità, artificialità «Everybody coming out is wearing masks because you don’t know what people will do with the information», Agnes said as friends nodded in agreement. […] the group was buying single-trip train tickets with cash rather than using their stored-value electronic cash cards that forward information on travel and locations to a central repository1. 1. Doppio movimento tra umani e tecnologia Vi è un apparente doppio movimento tra umani e tecnologia. Gli umani cambiano, come hanno sempre fatto, e sono già cambiati, per effetto della tecnologia, nel loro modo di essere e nei diritti di cui sono titolari: si potrebbe dire che essi sono umani (modernamente) tecnologizzati. La tecnologia pare che diventi più umana, nel senso che è sicamente più vicina agli umani. Si è passati dalla tecnologia che è ‘presso’ di noi (nelle nostre tasche, come gli smartphone) a quella che può essere indossata ‘su’ di noi (wearable) a quella ‘integrata’ nei nostri corpi e che consente un diretto collegamento, con interfacce invisibili, tra macchine e nostri sistemi cognitivi (direct neural interface). Oggi siamo nelle fasi ‘presso’ e ‘su’ i corpi umani, mentre la fase dell’integrazione è alle porte e riguarda la prossima decade, che si prevede che proceda nella direzione di un’incrementata prossimità e accessibilità. George Church, un genetista della Harvard Medical School molto noto per i suoi studi sulla biologia di sintesi, vede la linea tra uomo e macchine divenire sfocata, sia perché le macchine acquistano un aspetto più simile all’umano, sia perché gli umani diventano più simili alle macchine2. Il progetto Neuralink, presentato da Elon Musk a San Francisco (estate 2019), va esattamente nella direzione di far convergere il cervello umano con il computer (brain-computer interface). Certo, per sua stessa ammissione l’idea di consentire alle persone di controllare il proprio smartphone o di connettersi direttamente a Internet attraverso il segnale cerebrale è lontana e richiederà molto tempo. Tuttavia i primi esperimenti si potranno fare già dal prossimo anno e riguarderanno persone paralizzate che possono così essere facilitate nei loro livelli di autonomia3. Qualcuno può obiettare che la tecnologia diventa più simile all’umano ma solo per controllarlo meglio. Il che in qualche misura è innegabile, ma è altrettanto innegabile, e lo si vedrà più avanti a proposito di IoT, che l’idea di una società che sia pervasa dal controllo esercitato in modo centralizzato non pare essere rispondente alla realtà attuale delle cose. In questo capitolo si parla di alcuni aspetti di questo doppio movimento e di quale pro lo giuridico emerga da questa immersione tecnologica degli umani, dedicando un’attenzione anche all’arte in relazione alla tecnologia: la libertà di espressione artistica in un momento in cui la tecnologia cambia la percezione del mondo. Nella seconda parte si guarderà ai diritti dal punto di vista, per così dire, delle macchine, a proposito della non esclusività umana di alcune caratteristiche, come coscienza e personalità giuridica. Il tutto intessuto dal tema ricorrente del diritto e dei diritti di fronte all’arti cialità, o, meglio, di come stiamo cambiando la nicchia ecologica nella quale viviamo come umani, tecnologizzati. Le domande alle quali si darà, in qualche modo, risposta sono: il catalogo dei diritti fondamentali della modernità è ancora valido? Cosa di questo catalogo sopravvive, e come? Come si sceglie cosa va tolto o aggiunto? Chi è intitolato ad avere diritti e soggettività giuridica? Lo sono i robot o i sistemi di intelligenza arti ciale? Cosa signi ca arti cialità nel diritto? Può un diritto ‘naturale’ regolare la presente realtà tecnologica? La coscienza è prerogativa unica degli umani? Esiste un solo tipo di coscienza? 2. Libertà, diritti e ambiente tecnologico (l’Internet delle cose) È la ne dell’Ottocento, Warren e Brandeis pubblicano sulla Harvard Law Review un articolo sul diritto alla privacy che è destinato a diventare notissimo, in verità tanto noto quanto poco letto. Infatti, contrariamente a quanto, con una certa disattenzione, gli si attribuisce, l’articolo non parla del diritto di essere lasciati soli, chiudendo la porta della propria abitazione contro le intrusioni, ma parla di diritti personali che vanno oltre il corpo del suo titolare, che attengono alle emozioni e ai sentimenti delle persone: il punto e l’occasione è dato dalla circolazione non autorizzata di ritratti di persone private, che diventano particolarmente gravi per un duplice sviluppo tecnico, la fotogra a e la diffusione di giornali a stampa. Un tema assai moderno e vicino ai problemi di oggi. 2.1 L’Internet delle cose I computer che ognuno di noi usa sono connessi a Internet perché hanno un indirizzo numerico (IP, che sta per Internet Protocol), che viene assegnato a tutti i dispositivi connessi alla rete per identi carli e consentirgli di interagire l’uno con l’altro. L’interazione ha due versanti, quello dell’accesso alla rete e quello della rete (e dei suoi siti, che con strumenti di analisi possono vedere quanti accessi vi siano stati, da quale collocazione geogra ca, con quale tipo di sistema operativo e per quanto tempo e su quali pagine, e molti altri dettagli) che può tracciare tutti gli accessi. Questo vale per qualsiasi dispositivo che abbia un IP e che consenta via web, tramite una password e un ID, anche di accedere ai cloud per i quali si è abilitati. Se si pensa che qualsiasi oggetto (cosa) può essere dotato di un IP, si comincia ad avere una prima idea di cosa sia l’Internet delle cose (IoT, Internet of ings). Il concetto originale, proposto da Kevin Ashton presso l’auto-AD Center, è il seguente: un network informatico che consente la ricerca di informazioni sugli oggetti del mondo reale per mezzo di un unico ID chiamato electronic product code (EPC) e un meccanismo di risoluzione (ONS), tramite una rete di sensori, attuatori e oggetti autonomi che interagiscono tra loro direttamente. La comunicazione da macchina a macchina (machine-to-machine, M2M) è un altro termine talvolta associato4. Gli esempi includono «oggetti inanimati come bancali, scatole contenenti beni di consumo, automobili, macchine, frigoriferi […], così come oggetti animati, come animali ed esseri umani. Queste sono le cose dell’Internet of ings – o per usare un termine più chiaro le entità d’interesse»5. 2.2 Cose e persone finite nella rete A dispetto del nome, le «entità di interesse», cioè le cose da collegare, non sono necessariamente cose/oggetti, nel loro signi cato giuridico tradizionale, come oggetto inanimato opposto all’essere umano o ad altro animale6. Inoltre, anche quando si tratta di cose/oggetti in termini tradizionali (quindi, concettualmente opposti alle persone), essi potrebbero essere in grado di elaborare informazioni, mostrando una capacità incompatibile con l’idea che le cose, a differenza degli umani, siano necessariamente passive. Nel Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612) ‘cosa’ è «nome di termine generalissimo, e si dice di tutto quel ch’è. Lat. res». Nell’italiano moderno ‘cosa’ è «il nome più indeterminato e più comprensivo della lingua italiana, col quale si indica, in modo generico, tutto quanto esiste, nella realtà o nell’immaginazione, di concreto o di astratto, di materiale o d’ideale»7, ma certo mai persona. Per trovare un essere umano come ‘cosa’ bisogna andare in ordinamenti giuridici che conoscano la schiavitù. Così, nel diritto romano lo schiavo non è soggetto di diritti, è puro punto di riferimento oggettivo, cosa appunto. Tornando all’Internet delle cose, ammesso che «connesso è bello», essere ‘cosa’ lo è molto meno e, alla ne, non risponde nemmeno alla realtà tecnologica attuale. Questo è il motivo per il quale, mentre ancora l’IoT non era (come non è anche oggi) del tutto attuato, il campo si è allargato e vi è chi ha iniziato a parlare dell’«Internet di ogni cosa» (Internet of Everything, IoE): un’idea che mette in chiaro la pari cazione tra cose e persone che l’essere connessi alla rete produce. Infatti, l’«Internet di ogni cosa» connette persone, processi, dati e cose in modo da dare valore alle connessioni a network: questa la laconica descrizione che la maggior azienda che ha coniato l’espressione Internet of Everything offre8. Andando nel dettaglio si può dire che l’IoE racchiuda in sé quattro grandi categorie che vengono così descritte9: «persone» (connettere persone signi ca dare valore alle loro scelte e a qualsiasi altro aspetto di interesse); «dati» (grandi database contenenti milioni di dati legati a preferenze d’acquisto, routine giornaliere e quant’altro); «processi» (i collegamenti a livello dei processi hanno la capacità di far arrivare un determinato comando al macchinario corretto al momento necessario); «cose» (ecco dove è nito l’Internet of ings, i dispositivi interconnessi, le ‘cose’ nella rete). Vi è da essere sicuri che questa corsa al nome più comprensivo e suggestivo (sono de nizioni spesso provenienti da aziende che vendono prodotti e servizi!) continui, com’è già accaduto con chi lancia l’Internet of inking, che vuol dire creare un sistema distribuito intelligente per infrastrutture smart10. Intanto, l’IoT o l’IoE attendono la loro piena realizzazione, che richiede la connettività veloce dei sistemi 5G. 2.3 L’Europa e l’IoT L’Internet delle cose è al centro dell’interesse delle economie sviluppate, come quelle dell’Unione Europea, e al centro della disputa sulle tecnologie 5G, lo standard di connessione che nei prossimi anni soppianterà il 4G. L’Europa dedica grande attenzione alla questione e, nella pagina del sito dell’Unione dedicato al digital single market e all’Internet of ings, proclama sinteticamente: «Internet of ings (IoT) unisce mondi sici e virtuali, creando ambienti intelligenti»11. In realtà, già dal maggio 2015 l’UE ha adottato la strategia per il mercato unico digitale, che comprende elementi che portano l’Europa ad accelerare gli sviluppi sull’Internet delle cose, in particolare, evitando la frammentazione e favorendo l’interoperabilità tra i sistemi e i network al ne di raggiungere il suo potenziale. L’IoT rappresenta il prossimo passo verso la digitalizzazione della nostra società ed economia. L’Unione, che stima un grande incremento del valore di mercato dell’IoT già nel 2020, ha anche realizzato una mappatura dei gruppi sici e virtuali di imprese, organizzazioni di ricerca e università che si occupano dell’innovazione, dello sviluppo e dell’implementazione sul mercato delle tecnologie e delle applicazioni IoT. Questo studio, reso pubblico nel 2019, dà una visione della distribuzione di queste realtà nei diversi Stati e all’interno di essi. Colpisce la sostanziale assenza dell’Italia centro-meridionale, specie se comparata alla maggiore diffusione in Spagna12. 2.4 L’Internet industriale e Industria 4.0 L’Internet industriale è quanto sopra descritto portato nel mondo dell’industria, e riguarda la possibilità di connettere più macchine intelligenti, analiticamente avanzate, e le persone al lavoro. La General Electric, già nel 2012, pre gura la fusione del sistema industriale globale, tipico della Rivoluzione industriale, con i sistemi aperti di calcolo e di comunicazione sviluppati come parte della Rivoluzione di Internet. La sua visione si basava su tre elementi: macchine intelligenti (che signi ca collegare le macchine, le strutture e le reti con sensori e controlli avanzate e applicazioni soware), analitica avanzata (che signi ca combinare il potere degli strumenti di analisi, degli algoritmi predittivi e dell’automazione, nonché delle grandi quantità di dati disponibili: big data) e lavoratori (che signi ca connettere i lavoratori all’interno del luogo di lavoro o in movimento, in qualsiasi momento per supportare operazioni più intelligenti e servizi di maggiore qualità e sicurezza)13, ancora una volta gli umani nella rete delle cose. In Europa la totale automazione e interconnessione delle produzioni (la cosiddetta «Industry 4.0») è lo strumento scelto per primo dal governo tedesco per traghettare il Paese verso la «quarta rivoluzione industriale». Dietro il nome, presentato al pubblico per la prima volta alla Fiera di Hannover del 201114, vi è l’idea di un’attività industriale caratterizzata dall’intelligenza, la connettività e la più ampia informatizzazione applicata alla produzione. Le caratteristiche essenziali sono l’interoperabilità dei sistemi, il decentramento (dare autonomia e porre intelligenza al più basso livello operativo, salvo il coordinamento necessario), l’operare in tempo reale, la virtualizzazione (una copia virtuale della fabbrica intelligente viene creata collegando i dati dei sensori con modelli virtuali della fabbrica e modelli di simulazione) e la modularità e essibilità. A settembre 2015, dopo anni di disinteresse, «Industry 4.0» fa il suo ingresso ufficiale anche nella politica italiana, in occasione del question time alla Camera (30 settembre), dove ne parlano rappresentanti dell’industria e il presidente del Consiglio dell’epoca, Matteo Renzi. A luglio 2019, dopo un avvio promettente, i nanziamenti sono calati del 43%15. Ma la legge nanziaria di ne 2019 sembra dare un nuovo slancio. Una considerazione conclusiva su IoT e IoE. Se potenzialmente tutti gli oggetti possono essere connessi e se le reti che realizzano l’IoT sono gestite da entità diverse e possono essere di diversa natura tecnica, i requisiti tecnologici fondamentali dell’IoT e IoE sono a) la capacità di gestire una grande diversità e volumi molto grandi di dispositivi connessi e b) l’utilizzo di standard di interoperabilità che garantiscano il collegamento sicuro a sistemi IoT. L’UE promuove uno spazio di numerazione IoT interoperabile per un’identi cazione di un oggetto universale, che superi i limiti geogra ci, e un sistema aperto per l’identi cazione e l’autenticazione degli oggetti, ma è evidente che questo è uno degli aspetti più delicati al centro della s da tecnologica e politica tra USA e Cina, a proposito della tecnologia 5G, che è quella in grado di garantire uno sviluppo esteso dell’IoT. Senza contare che essa richiede grandi quantità di energia e produce una altrettanto grande quantità di calore (tutti aspetti che vanno compensati con i vantaggi dei nuovi sistemi). 3. Alcuni effetti giuridici La connessione potenzialmente universale, sopra tratteggiata, richiama alla memoria un passo di Giorgio Manganelli, che amo citare per la sua straordinaria capacità visionaria: Dal momento in cui si è accorto che è impossibile non essere al centro del mondo, e che questo vale tanto per lui, quanto per ogni essere umano, o animale, o anche sasso, o alga, o batterio, egli ha dovuto accettare che due sole soluzioni sono date, a descrizione del comportamento da tenere in quella situazione. O il centro del mondo è attivo, e allora il mondo, dotato e arricchito da in niti centri, sarà in nitamente attivo; oppure dovrà essere assediato dalla totalità del mondo; più esattamente essere il bersaglio del mondo16. Il punto critico, tra essere uno degli in niti centri di questo mondo bello e affascinante e l’essere assediati dalla totalità del mondo, è la cultura, l’equilibrio affettivo ed emotivo (la riserva cognitiva di cui parlano i neuropsicologi), la condizione di salute, la forza degli anni17. Alla ne anche il lavoro cambierà, e sta già cambiando, più che sparire. E il cambiamento riguarderà gli aspetti qualitativi: Capabilities such as creativity and sensing emotions are core to the human experience and also difficult to automate. e amount of time that workers spend on activities requiring these capabilities, though, appears to be surprisingly low. Just 4 percent of the work activities across the US economy require creativity at a median human level of performance. Similarly, only 29 percent of work activities require a median human level of performance in sensing emotion18. Le emozioni sono in primo piano. Piace pensare a una società che lasci tutti liberi di essere un centro attivo che brilla per le sue idee, le sue passioni e le sue iniziative, e che, nello stesso tempo, aiuti chi non abbia quelle risorse, o le abbia perse, a recuperarle o a vivere un’esistenza comunque dignitosa19. Su questo piano il diritto e i diritti sono chiamati in gioco. Il Rathenau Instituut, L’Aia, su commissione del Parlamento europeo, ha elaborato nel 2017 un rapporto sui diritti fondamentali dell’uomo nell’era della robotica e dell’intelligenza arti ciale20. La strategia seguita è stata di passare in rassegna gli articoli della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza) e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e di veri carne la tenuta alla luce degli sviluppi tecnologici. È una prova di resistenza dei diritti nell’attuale ambiente così tanto tecnologizzato, che avevo avviato già alcuni anni prima con riferimento alla nostra Costituzione e alla Carta di Nizza e che pare utile ripresentare oggi, stante la sua perdurante attualità, nella forma di interrogativi che sorgono21. Cosa ne è, ad esempio, del domicilio inviolabile e della vita privata (art. 14 Cost. it. e art. 7 Carta Nizza), in un luogo dove ambienti privati e pubblici sono semplici unità interoperative? Cosa ne è della libertà e della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (art. 15 Cost. it.), in un luogo in cui le comunicazioni avvengono tramite sistemi, i cui contenuti sono memorizzati e sono richiamabili in qualsiasi momento? Cosa ne è della libertà di circolare e soggiornare (art. 16 Cost. it. e art. 45 Carta Nizza) o del diritto di riunirsi paci camente o del diritto di associarsi liberamente (artt. 17 e 18 Cost. it. e art. 12 Carta Nizza), se la presenza di ogni persona è rilevata da sensori che sono in grado di anticipare i movimenti, gli stati mentali e, persino, i bisogni? Cosa ne è del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero (art. 21 Cost. it. e art. 11 Carta Nizza), se, sulla base dei dati raccolti, è estratto un pro lo di ogni individuo? E, alla ne, cosa ne è della libertà personale e della sua inviolabilità (art. 13 e art. 6 Carta Nizza)? È evidente, già a prima vista, che i diritti fondamentali della modernità furono concepiti in un’epoca in cui (costituitasi, con la ne del Patriarcato, una sfera pubblica distinta da quella privata) era sicamente immaginabile un’opacità privata, che poteva essere pensata ancora come residuo, che si potrebbe dire naturale, che si manifestava per eccellenza nei luoghi di vita privata (il domicilio ne è l’esempio emblematico) o anche in pubblico (è il caso della manifestazione del pensiero), dove permane una sorta di riserva di privatezza, come è evidente nel caso in cui io cammino nella pubblica via ma ho il diritto che nessuno mi segua o pretenda di sapere dove sto andando. Inoltre, la rapida rassegna di cui sopra mostra come quel residuo oggi non esista più o possa esistere solo come deliberata costruzione o progettazione sociale. Si può, allora, concludere che, oggi, i diritti e le libertà devono non solo essere dichiarati, ma deve anche essere costruito il contesto materiale e giuridico perché essi possano esistere? E che non progettare lo spazio dei diritti e delle libertà, sarebbe come progettare una città greca senza l’agorà, perché si riuniscano a deliberare i cittadini, o una moderna capitale senza l’edi cio dell’assemblea elettiva o del governo? Un diverso modo di costruire i diritti sembra affacciarsi negli anni più recenti. Si pensi alla «protezione dei dati n dalla progettazione e protezione per impostazione prede nita» (comunemente nota come privacy by design), che impone vincoli di progettazione di determinati prodotti in modo che nel loro utilizzo siano rispettati quei diritti degli individui, che altrimenti sarebbero mere enunciazioni. L’articolo 25 del Regolamento (UE) 2016/679 stabilisce: […] il titolare del trattamento mette in atto misure tecniche e organizzative adeguate, quali la pseudonimizzazione, volte ad attuare in modo efficace i principi di protezione dei dati, quali la minimizzazione, e a integrare nel trattamento le necessarie garanzie al ne di soddisfare i requisiti del presente regolamento e tutelare i diritti degli interessati. 2. Il titolare del trattamento mette in atto misure tecniche e organizzative adeguate per garantire che siano trattati, per impostazione prede nita, solo i dati personali necessari per ogni speci ca nalità del trattamento. Tale obbligo vale per la quantità dei dati personali raccolti, la portata del trattamento, il periodo di conservazione e l’accessibilità […]22. È evidente il rovesciamento di prospettiva che questa tecnica di normazione attua. La sequenza non è più a) dichiarazione del diritto, b) sua violazione, c) reazione del titolare del diritto davanti a un’autorità di giustizia, d) ordine di cessazione della condotta dannosa o risarcimento del danno. Con la nuova tecnica il titolare del trattamento (potenziale violatore dei diritti) deve preliminarmente porre in essere misure tecniche e organizzative che rendano impossibile la violazione o ne riducano fortemente la portata. Si potrebbe dire che una tecnologia, potenzialmente lesiva, viene privata della sua offensività per via tecnica. Il diritto governa questo movimento tecnico, ma fa un (mezzo) passo indietro rispetto alla tradizionale logica violazione/reazione. Prendendo il problema per un’altra via, ci si può chiedere se alcuni diritti verso le tecnologie (ammesso che siano in qualche modo riconosciuti) possano costituire una protezione adeguata in un caso come quello degli studenti e dei manifestanti di Hong Kong contro la legge imposta dal governo cinese che modi ca le regole sull’estradizione verso la Repubblica Popolare cinese. Nella primavera-estate del 2019 essi indossano mascherine antiinquinamento, non certo per la qualità dell’aria, ma per far fronte ai raffinati e aggiornatissimi sistemi di riconoscimento facciale usati delle autorità di Pechino, e comprano biglietti di trasporto in contanti, e solo andata, per proteggersi da quelle tecnologie intelligenti che servono a far funzionare meglio i sistemi urbani (smart cities), ma che possono lasciare tracce anche di spostamenti individuali23. L’Europa fa un punto di orgoglio della legislazione europea a protezione dei dati personali. Nel discorso sullo Stato dell’unione del 2016 il presidente, Jean-Claude Junker, enfaticamente afferma: Essere europei signi ca avere diritto alla protezione dei propri dati personali mediante rigorose leggi europee. Perché agli europei non piace essere sorvolati da droni che registrano ogni loro movimento, né vogliono che le imprese tengano traccia di ogni loro clic in rete. […] Si tratta di una rigorosa normativa europea sul trattamento dei dati personali che si applica alle imprese, ovunque abbiano sede. Perché in Europa ci teniamo alla riservatezza. Si tratta di una questione di dignità umana24. La questione delle regole da applicare ai sistemi e all’uso dell’intelligenza arti ciale è stata già affrontata nei suoi termini generali (Capitolo 2), al quel si rinvia. Qui vengono esaminati alcuni aspetti particolari, come l’esigenza di ampliare il catalogo dei diritti e dei titolari dei diritti nelle situazioni in cui si pongono problemi connessi all’IA. 4. Sono necessari nuovi diritti? A right to not be measured, analysed or coached? La domanda è la seguente: sono necessari nuovi diritti se Google, Microso e Facebook continuano ad agire secondo le loro linee di azione, cioè dell’IA senza norme interne ed esterne, senza controllo e monitoraggio ravvicinato, tanto da sviluppare e vendere tecnologie che potrebbero rappresentare un rischio per i cittadini globali25? La tecnologia del riconoscimento facciale è talmente avanzata da rendere evidente la necessità di una sua regolazione. Non solo gruppi per i diritti civili, come l’American Civil Liberties Union (ACLU), hanno preso questa posizione, ma anche aziende come Microso e Amazon cominciano a riconoscere che il cambiamento è necessario. Il problema è il come. Nel rapporto commissionato dal Parlamento europeo di cui si è parlato sopra, il Rathenau Instituut propone il riconoscimento di un diritto a non essere oggetto di misurazioni, di analisi e di non essere guidato (right to not be measured, analysed or coached), come sviluppo dei tradizionali diritti alla privacy e al rispetto della vita familiare nell’epoca dell’Internet of ings e dell’intelligenza arti ciale. Tra gli esempi a sostegno della proposta, il documento riporta le dichiarazioni dell’ex ministro olandese degli affari economici e del segretario di Stato per la sicurezza e la giustizia, che, in risposta alle preoccupazioni dei consumatori in merito al tracciamento Wi-Fi da parte dei proprietari dei negozi, hanno dichiarato che le persone che non vogliono essere tracciate dovrebbero semplicemente spegnere il loro smartphone, dando così una risposta che presuppone che il diritto/potere di tracciare e rintracciare le persone sia da considerare più importante dei diritti delle persone stesse (privacy)26. Quindi, se i governi e i soggetti privati tendono a pro lare le persone (questo è il risultato delle misurazioni e delle analisi con strumenti di IA), perché non introdurre uno speci co diritto umano? È probabile che una proposta del genere, o altre simili, siano ragionevoli e giusti cate. Tuttavia, prima di muoversi in questa direzione vale la pena di interrogarsi sull’utilità di in ttire la selva dei diritti riconosciuti formalmente (e magari ignorati nella pratica) e sulla possibilità di applicare strumenti del tipo della privacy by design, che s’ispira a una logica diametralmente opposta. 4.1 Un nuovo Panopticon? Le risposte ai problemi posti dallo sviluppo tecnologico ri ettono inevitabilmente un modello di lettura della realtà che esso presuppone. Un modello interpretativo ricorrente specie negli anni passati, ma che riaffiora a ogni nuovo sviluppo tecnico, è quello del Panopticon, il progetto di carcere ideale creato dal losofo e giurista Jeremy Bentham (1791) e reso popolare da Michel Foucault nel terzo capitolo del saggio molto noto Sorvegliare e punire: Il Panopticon di Bentahm è la gura architettonica di questa composizione. Il principio è noto: alla periferia una costruzione ad anello; al centro una torre tagliata da larghe nestre che si aprono verso la faccia interna dell’anello; la costruzione periferica è divisa in celle, che occupano ciascuna tutto lo spessore della costruzione; esse hanno due nestre, una verso l’interno, corrispondente alla nestra della torre; l’altra, verso l’esterno, permette alla luce di attraversare la cella da parte a parte. Basta allora mettere un sorvegliante nella torre centrale, e in ogni cella rinchiudere un pazzo, un ammalato, un condannato, un operaio o uno scolaro. Per effetto del controluce si possono cogliere dalla torre, stagliantisi esattamente, le piccole silhouette prigioniere nelle celle della periferia27. La caratteristica di questo modello è di essere unitario e centralizzato tanto da essere eretto da Foucault a espressione del potere nella sua purezza onnivora. Sembra vedere le cose in questo modo il Rathenau Instituut, che cita il Berlin Telecom Group28, oppure un giornalista, come Pierluigi Battista, a sostegno della tesi del materializzarsi di un incubo totalitario e oppressivo (richiamando pour cause Foucault) che distrugge de nitivamente la privacy29. Tuttavia, il Panopticon come modello interpretativo dell’IoT e dell’IoE non convince. A mio avviso, sottovaluta la grande complessità e molteplicità dei sistemi che rendono possibile l’IoT o l’IoE. Essi funzionano grazie alla copresenza di network wi- privati e pubblici, appartenenti a diversi Stati e sistemi, tanto che quello dell’interoperabilità dei sistemi 5G, come si è visto sopra, è uno dei problemi maggiori e una delle difficoltà maggiori30. Uno scenario del genere mal si presta a essere spiegato attraverso un unico sorvegliante che controlla la pluralità delle nostre silhouette. D’altra parte, è interessante che l’articolo di Battista, per sostenere la sua tesi foucaltiana, deve fare una lunga lista delle entità che ci controllano: il potere politico, il potere giudiziario, il potere di polizia, il potere economico nelle mille facce che ha. Viene da dire: ma se sono in tanti a controllare, si può dire che la metafora di un occhio occulto, unico e centralizzato, come è nel modello di Bentham (divulgato da Foucault), sia la metafora giusta? È possibile anche una visione più dinamica, che valorizza come su scala globale, le nuove tecnologie abbiano aperto lo spazio a sorveglianze locali informali, reti che sono espressione di alleanze informali di una varietà di attori e che hanno il potenziale per alterare radicalmente le relazioni di potere ortodosse, sfuggendo ai controlli delle informazioni dello Stato e collegando uno sguardo locale con la comunità globale31. Sono, quindi, possibili bilanciamenti tra gli aspetti di controllo e quelli abilitanti in senso democratico proprio usando nuove tecnologie, secondo una visione, che si può mutuare da Saskia Sassen, che vede la dimensione urbana come incompleta e non monolitica, suscettibile di reazioni che non sono state previste dagli ingegneri e che sono invece frutto dei bisogni e della creatività degli abitanti, come i dimostranti di Hong Kong sembrano imostrare32. Non si può negare, comunque che alcuni dati sull’avanzamento tecnologico fanno pensare. In un documento del giugno 2019 la American Civil Libertirs Union (ACLU), storica organizzazione di tutela dei diritti civili negli Stati Uniti, ha pubblicato un documento dedicato all’IA applicata ai sistemi di sorveglianza, che è degno di nota per il tono asciutto e informativo33. Tra i tanti un dato colpisce: il tempo richiesto per allenare un sistema di IA a riconoscere immagini è crollato da giugno 2017 a novembre 2018 in modo che quello che si faceva in 60 minuti alla ne del periodo veniva fatto in meno di 5 minuti. Quali siano le conseguenze applicative è facile da immaginare34. Ma la creatività dei cultori di Internet è al lavoro, a partire dal creatore del World Wide Web, Tim Berners-Lee, che sta lavorando a un nuovo protocollo (Solid), che dovrebbe «reinventare l’ecosistema tecnologico per restituire le informazioni nelle mani degli utenti»35 attraverso una radicale decentralizzazione di Internet. Una chance di libertà o una nuova articolazione del Panopticon? Chi scrive non avrebbe dubbi, anche se niente è dato per sempre. 5. Una libertà delicata e essenziale: arte e IA A prima vista, l’IA può apparire come una minaccia per il diritto dell’autore di un’opera d’arte, in particolare gurativa. L’essere autore di un’opera, ed essere riconosciuto come tale, è un diritto fondamentale. Secondo l’articolo quindici della Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali36: «e States Parties to the present Covenant recognize the right of everyone […] to bene t from the protection of the moral and material interests resulting from any scienti c, literary or artistic production of which he is the author». Inoltre, la libertà dell’arte è uno dei diritti che le costituzioni europee del secondo dopoguerra riconoscono in modo esplicito. Per la Costituzione italiana «l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento» (art. 33). La domanda che ci si può porre è se l’IA possa essere un pericolo per tale diritto, sotto due pro li tipici di quelle tecnologie: a) la riproducibilità illimitata di ogni contenuto culturale una volta digitalizzato37; b) la possibilità di creare nuove entità artistiche utilizzando opere precedenti dello stesso autore e applicando algoritmi predittivi alle informazioni da esse tratte, in modo da ottenere un nuovo lavoro artistico, creato nello stile dell’autore. Il caso di un autentico Rembrandt nuovo di zecca (e di altri prodotti simili) è molto popolare e suggestivo38. Tuttavia, nonostante la sua autoevidenza, questo scandalo non è facile da de nire e, alla ne, non è neanche uno scandalo. Quanto all’illimitata riproducibilità, si tratta certo di un tipico effetto della digitalizzazione. Ora, pur senza giungere all’affermazione apparentemente paradossale ed eccessiva di omas Hoving, ex direttore del Metropolitan Museum di New York (secondo il quale il 40% delle opere esaminate nell’arco di quindici anni era falso39), non va sottovalutata l’idea che si afferma nel corso del XX secolo e che rovescia la centralità dell’opera prodotta rispetto all’idea ad essa sottesa. All’opposto, viene posto al centro dell’arte l’idea che l’autore ha avuto, che può poi dare luogo alla realizzazione seriale di oggetti che esprimono quella medesima idea. Questa realtà ha ri essi sui modi di accertamento dell’autenticità di opere d’arte che sono ispirate a un’idea che nega l’unicità del prodotto artistico40. La certi cazione, più che essere affidata alle insidie delle valutazioni di esperti e critici d’arte, è fatta dallo stesso autore che scrive che una certa opera proviene dal suo atelier. Si potrebbe concludere che idee come quella dell’arte seriale e simili si affermano prima e indipendentemente dall’informatica, dalla digitalizzazione e dall’IA e che queste tecnologie non aggiungono molto al fenomeno, limitandosi, semmai, ad ampli carlo. Anzi, proprio queste tecnologie (in particolare blockchain) rendono possibile una tutela dell’autore e dei suoi diritti anche nel caso di arte grandemente instabile e molto facilmente riproducibile, come la digital art (dove l’opera si materializza in un semplice le)41. Anche la creazione di autentiche opere d’arte nuove di zecca (un ossimoro, secondo l’idea tradizionale) usando algoritmi predittivi è fenomeno che, a mio avviso, non deve essere sopravvalutato. In primo luogo, perché queste opere possono essere utili strumenti di studio retrospettivo, piuttosto che prodotti artistici legati al mercato delle gallerie. In questo caso l’autore sembra scomparire, sostituito da macchine e algoritmi. Tuttavia, anche questo scandalo è probabilmente sopravvalutato. Dagli anni Sessanta del XX secolo un vasto dibattito è in corso circa il signi cato di essere ‘autore’ e quale sia il suo ruolo. Basti ricordare a tale proposito l’introduzione da parte di Julia Kristeva del concetto di intertestualità, che sottolinea le relazioni tra i testi, più che tra gli autori42 e la posizione provocatoria di Roland Barthes, che nel 1967 dichiara «la morte dell’autore». In conclusione, si può dire che l’idea di autore (e di paternità dell’opera) è in crisi da prima e indipendentemente dalle creazioni degli algoritmi e, dall’altra parte, che, se si vuole salvare il concetto di autore nella creazione di AI, si deve riconoscere che anche nella creazione, nella selezione dei criteri e nella produzione di un’opera d’arte di IA vi è, in ogni caso, un essere umano dietro. In altri termini, le creazioni d’intelligenza arti ciale dovrebbero essere considerate un altro modo di produrre oggetti (opere d’arte), che devono essere valutati per l’idea che abbiano dentro e il tipo e la qualità della realizzazione. Si delinea così un altro modo di produrre opere d’arte, frutto anche del cambiamento della percezione del mondo che la tecnologia induce, cambiamento che l’artista può cogliere e rendere visibile quello che non appare allo sguardo dei più. Il lavoro dell’artista rimane quello di rendere visibile, grazie alla sua sensibilità e con la peculiarità dei suoi mezzi espressivi, quello che è invisibile ai più43. In questo, l’intelligenza arti ciale può fare da ponte tra diversi saperi e pratiche umane: gli algoritmi che estraggono patterns e graphs da grandi dataset, contenuti che erano invisibili e non conosciuti no a quel momento e che chiedono di essere interpretati, rendono, appunto, visibile l’invisibile. Il che è in interessante assonanza con l’arte e potenzialmente, perché no?, anche con il diritto (vedi Capitolo 8). 6. Scandalo al Parlamento europeo su robot e personalità giuridica Il 16 febbraio 2017 il Parlamento europeo approva una risoluzione che rivolge alcune raccomandazioni alla Commissione a proposito delle norme di diritto civile da introdurre sulla robotica44. L’art. 59, insieme a una serie di indicazioni riprese dal dibattito giuridico e etico in materia45, tese a una più equa distribuzione del rischio per il caso in cui un robot procuri un danno, contiene un’indicazione che provoca un vero e proprio scandalo. Il punto è quello nel quale il Parlamento, tra le soluzioni giuridiche che invita la Commissione a esplorare, indica: l’istituzione di uno status giuridico speci co per i robot nel lungo termine, di modo che almeno i robot autonomi più so sticati possano essere considerati come persone elettroniche responsabili di risarcire qualsiasi danno da loro causato, nonché eventualmente il riconoscimento della personalità elettronica dei robot che prendono decisioni autonome o che interagiscono in modo indipendente con terzi. Mady Delvaux, la parlamentare europea lussemburghese che aveva redatto la risoluzione, cerca di placare i contrasti e in una comunicazione chiarisce così il punto: Sul lungo termine, determinare la responsabilità in caso di incidente diventerà probabilmente sempre più complesso perché i più so sticati robot, autonomi e dotati di autoapprendimento, saranno capaci di prendere decisioni per le quali non si può risalire a un essere umano agente. Per questi casi, la risoluzione chiede alla Commissione di valutare l’impatto di uno schema di assicurazione obbligatoria, che includa la possibile idea di dare ai robot lo status giuridico di una personalità elettronica al ne di agevolare il risarcimento delle vittime per i casi in cui una responsabilità umana non possa essere completamente attribuita. Reagisce duramente un gruppo di 156 esperti europei d’intelligenza arti ciale che considera anche la mera ipotesi che i robot abbiano lo status legale di persone elettroniche un’idea senza senso, ideologica e non pragmatica. A sostegno della loro posizione richiamano il Parere del Comitato economico e sociale europeo (CESE) sull’intelligenza artificiale – Le ricadute dell’intelligenza artificiale sul mercato unico (digitale), sulla produzione, sul consumo, sull’occupazione e sulla società (2017/C 288/01), laddove afferma: Il CESE è contrario all’introduzione di una forma di personalità giuridica per i robot o per l’IA (o i sistemi di IA), in quanto essa comporterebbe un rischio inaccettabile di azzardo morale. Dal diritto in materia di responsabilità civile deriva una funzione preventiva di correzione del comportamento, la quale potrebbe venir meno una volta che la responsabilità civile non ricade più sul costruttore perché è trasferita al robot (o al sistema di IA). Inoltre, vi è il rischio di un uso inappropriato e di abuso di uno status giuridico di questo tipo. In questo contesto, il confronto con la responsabilità limitata delle società è fuori luogo, in quanto è sempre la persona sica a essere responsabile in ultima istanza. Essi citano, inoltre, la posizione espressa dalla World Commission on the Ethics of Scienti c Knowledge and Technology (COMEST UNESCO) in un rapporto del 2017 su Robotics Ethics il cui articolo 201 (sotto il titolo Moral status dei robot) dichiara: How moral status is acquired and lost is a longstanding philosophical issue. Some philosophers believe that having moral status amounts to having certain psychological and/or biological properties. From a deontological point of view, to have moral status implies being a person, and being a person implies having rationality or the capacity for rational and moral deliberation. In so far as they are able to solve many demanding cognitive tasks on their own, robots may be said to have some form of rationality. However, it is highly counterintuitive to call them ‘persons’ as long as they do not possess some additional qualities typically associated with human persons, such as freedom of will, intentionality, self-consciousness, moral agency or a sense of personal identity. Forti di questi autorevoli precedenti i 156 esperti ritengono che from an ethical and legal perspective, creating a legal personality for a robot is inappropriate whatever the legal status model: a. A legal status for a robot can’t derive from the natural person model, since the robot would then hold human rights, such as the right to dignity, the right to its integrity, the right to remuneration or the right to citizenship, thus directly confronting the human rights. is would be in contradiction with the Charter of Fundamental Rights of the European Union and the Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms. b. e legal status for a robot can’t derive from the legal entity model, since it implies the existence of human persons behind the legal person to represent and direct it. And this is not the case for a robot. Al gruppo dei 156 si uniscono Luciano Floridi e Mariarosaria Taddeo con una breve nota, pubblicata dalla nota rivista scienti ca «Nature», con il titolo Romans would have denied robots legal personhood, nella quale sostengono che la posizione del Parlamento europeo è inconsistente perché sembra rifarsi al modello giuridico delle società, mentre proprio «le società sono costituite e condotte da umani, ai quali si possono attribuire intenzioni, piani, obiettivi e diritti e doveri giuridici». Concludono, quindi, che «l’attribuzione della personalità elettronica ai robot rischia di confondere la responsabilità morale, la responsabilità per le proprie azioni e il dover dar conto giuridicamente riguardo ai loro errori e usi impropri. I robot potrebbero essere incolpati e puniti al posto degli umani»46. 6.1 Un po’ di chiarezza tra questioni giuridiche e ontologiche Nonostante la qualità degli autori e delle istituzioni coinvolte, non mi pare che le questioni siano emerse in modo del tutto chiaro e consistente. Intanto, genera una certa confusione l’accostamento di almeno tre diversi livelli di analisi, quello etico/morale, quello strettamente giuridico e quello dei diritti umani, ciascuno dei quali è già sufficientemente complesso, sfaccettato e bisognoso di chiari cazioni. I diritti umani (human rights), per esempio, vengono richiamati, secondo quello che accade spesso nei dibattiti internazionali, per comprendere anche quelli che nel nostro ordinamento sono a pieno titolo diritti costituzionali, come il diritto all’integrità personale e i diritti di cittadinanza, o il diritto di ricevere una retribuzione (che in Italia è costituzionalizzato nell’art. 36 con riferimento alla necessità di garantire un’esistenza libera dignitosa): tutti diritti per i quali è possibile portare davanti al giudice altri cittadini o anche lo Stato stesso. Così come è possibile ricorrere al giudice nazionale o comunitario o alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) per la violazione dei diritti riconosciuti dalla European Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms (ECHR, in italiano CEDU) o, a certe condizioni, dalla Charter of Fundamental Rights of the European Union (Carta di Nizza). La conclusione è che i diritti umani, intesi come diritti costituzionali o fondamentali, anche riconosciuti da convenzioni o trattati internazionali, sono diritti pienamente giuridici (e non solo morali) e di rango superiore47. Altrettanto chiara deve essere la distinzione tra giudizio morale, o relativo allo status morale, e regole giuridiche. La posizione di COMEST circa lo status morale del robot, ritenuto incompatibile con quello di persona, è coerente e può anche essere condivisa, a patto che si precisi che i requisiti qualitativi che sono attribuiti alla persona sono quelli della sola persona umana. Dire che è controintuitivo chiamare persone i robot perché essi non hanno qualità che sono tipiche delle persone umane, presuppone, appunto, che siano persone solo gli umani. Il che può essere coerente dal punto di vista loso co, ma non vede (o relega a mera fictio: si veda avanti) la secolare esperienza umana delle persone giuridiche. La questione del tenere ferma la responsabilità del produttore quale sistema di protezione del consumatore è di grande serietà e impatto pratico. Il sistema introdotto proprio da fonti europee non può e non deve essere posto in discussione senza bilanciamenti diversi. Tuttavia, la questione va affrontata tenendo conto dell’evoluzione della produzione e delle tipologie di prodotti, che talora rende difficile l’individuazione del produttore, e non può essere esorcizzata chiudendo a ogni prospettiva di riconoscimento di soggettività giuridica ai robot. 7. Il modello delle società Più complesso, e quindi meritevole di qualche attenzione aggiuntiva, è il parallelo tra robot/IA e società con personalità giuridica, dove talora si leggono vere e proprie inesattezze. L’impossibilità di adottare il modello della società viene affermata con sfumature diverse, che vanno dalla constatazione materiale dell’imprescindibile presenza degli umani al momento della sua costituzione così come della sua vita (la società è rappresentata da umani che la dirigono anche), all’affermazione che è sempre la persona sica a essere responsabile in ultima istanza, no al rilievo ontologico secondo il quale un robot non ha quei requisiti (come intenzioni, capacità di formulare piani o di darsi obiettivi) che fanno di una persona una persona, con la connessa attribuzione di diritti e doveri. Il primo fascio di motivi può essere ricondotto all’idea corrente (ancora oggi nei manuali di diritto) secondo la quale le persone giuridiche sono una mera nzione che il diritto adotta modellandola sulla persona umana, mentre il secondo tipo di obiezione riguarda l’ontologia della persona umana e la non riproducibilità delle sue caratteristiche in un robot o un sistema di IA, che, per raffinati che siano, sono artefatti: la prova del nove costituita dalla responsabilità penale48. Nel primo caso, vi sarà da veri care la tenuta logica e storica dell’attribuzione della qualità di naturale alla persona umana e arti ciale a ogni artefatto diverso. Nel secondo, traendo vantaggio dalle conclusioni raggiunte su dall’esame del primo punto su naturale-arti ciale, si potranno affrontare anche questioni più complesse, come la responsabilità penale e la qualità ‘coscienza’ nelle macchine. 8. Creature di Dio e artefatti giuridici È un autentico pregiudizio, duro a morire, quello che brandiscono i critici del Parlamento europeo nel dire che l’unica entità degna del titolo giuridico di persona è l’essere umano, biologicamente inteso come da Dio creato. Certo, tradizionalmente anche nel diritto inglese (non dissimilmente da quello continentale) le persons sono «divided by the law into either natural persons, or arti cial. Natural persons are such as the God of nature formed us; arti cial are such as are created and devised by human laws for the purposes of society and government, which are called corporations or bodies politic»49. La questione fu affrontata da Hans Kelsen in epoca risalente, ma con una chiarezza che ancora è utile, soprattutto visto il perdurare di posizioni contrarie. La coincidenza di «individuo umano» e titolare di diritti e libertà non è un dato naturale e nasconde anche un errore concettuale. Hans Kelsen affronta in modo netto i concetti di persona giuridica e di persona sica in un noto passo della Teoria Generale del Diritto e dello Stato50. Egli critica, in primo luogo, il modo comune di de nire la «persona sica (naturale)» e l’uso di formule come «la persona sica è un essere umano, mentre la persona giuridica in senso stretto non lo è» o la persona sica è «un essere umano considerato come investito di diritti, o come soggetto a doveri». Di conseguenza l’affermazione corrente che una persona ha doveri e diritti è priva di signi cato o è una tautologia vuota, dal momento che «la persona giuridica non è un’entità separata distinta dai suoi doveri e diritti», ma solo la loro unità personi cata o – dato che doveri e diritti sono norme giuridiche – l’unità personi cata di una serie di norme giuridiche. Il passaggio successivo è costituito dalla seguente domanda: «Che cos’è che costituisce questo tipo di unità? Quand’è che un complesso di doveri e diritti, un complesso di norme giuridiche, ha questo tipo di unità?». La risposta che dà Kelsen è la seguente: dire che un particolare essere umano ha un certo dovere o diritto signi ca solo che un certo comportamento di quell’individuo è il contenuto di un dovere o un diritto. D’altra parte, le norme giuridiche considerano solo particolari azioni o omissioni e, per quanto possano essere numerose, non regolano mai l’intera esistenza dell’individuo umano: «nemmeno l’ordinamento giuridico totale determina mai l’intera esistenza di un essere umano soggetta a quell’ordinamento, né si interessa di tutte le sue funzioni mentali e corporali». Per questo motivo, quando diciamo che uno schiavo non è una persona in senso giuridico, o che non ha personalità giuridica, intendiamo che «non vi sono norme giuridiche che quali chino una sua azione giuridicamente rilevante come un dovere o un diritto». La conseguenza è che la persona esiste (giuridicamente) solo in quanto ha doveri e diritti; da parte loro, le persone non hanno alcuna esistenza. De nire la persona sica (naturale) come essere umano non è corretto, perché «uomo e persona sono non solo due concetti diversi, ma anche il risultato di due generi di considerazioni completamente diverse. L’uomo è un concetto biologico e siologico, in breve, un concetto delle scienze naturali. La persona è un concetto della giurisprudenza, dell’analisi cioè delle norme giuridiche». La risposta all’ulteriore aspetto della questione, su ciò che costituisce il tipo di unità che chiamiamo persona sica (naturale), è la seguente: «l’essere umano non è la persona sica ma, per così dire, soltanto la ‘delimitazione’ di una persona sica. Il rapporto fra una cosiddetta persona sica e l’essere umano, con il quale la prima è sovente erroneamente identi cata, consiste nel fatto che quei doveri e quei diritti, che sono compresi nel concetto di persona, si riferiscono tutti al comportamento di quell’essere umano»51. Perciò, secondo Kelsen, poiché il concetto della cosiddetta persona sica (naturale) è solo una costruzione giuridica e, come tale, totalmente differente dal concetto di uomo, la cosiddetta persona sica (naturale) è, sicuramente, una persona giuridica. La «cosiddetta persona ‘ sica’ è allora una persona ‘giuridica’ in senso ampio» (p. 96), e non ha quindi una qualità diversa da quelle che comunemente sono chiamate persone giuridiche: entrambe sono creazioni del diritto, accomunate dal carattere dell’arti cialità. In breve, i principali punti che emergono dal passo di Kelsen possono essere riassunti come segue: (a) l’essere umano, come entità biologica, è cosa diversa dalla persona sica in termini giuridici; (b) l’essere umano è il fondamento della persona sica in termini giuridici come un’unità simbolica e linguistica; (c) l’essere umano biologico è solo la delimitazione spaziale (Kelsen usa la parola compasso, tra virgolette) di una persona sica in termini giuridici; (d) l’essere umano esiste per l’ordinamento solo nella limitata parte in cui vi siano norme giuridiche che lo assumono come riferimento di diritti e doveri; (e) la persona sica in termini giuridici e la persona giuridica (cioè le società di capitali) sono entrambe creazioni giuridiche aventi in comune il carattere dell’arti cialità52. La chiari cazione di Kelsen sulle differenze tra giuridico e biologico, pur non esente da criticità e, certo, non da tutti condivisa, non mina, a mio avviso, la forza critica di questa visione e, soprattutto, l’incomparabile sua capacità esplicativa dei nuovi fenomeni di arti cialità. 9. L’agente per il diritto Si può a questo punto affrontare il tema di quali siano le caratteristiche che deve avere un’entità capace di essere agente per il diritto. Nel Capitolo 2 si è fatto un rapido cenno all’importanza del contesto storico nel de nire chi sia titolare di diritti. Qui riprendiamo l’indagine sulle qualità che la persona per il diritto dovrebbe avere. Nel suo uso corrente la parola «agente»53 ha signi cati diversi ma tutti compresi nel concetto essenziale di «causa attiva; causa efficiente»54 e include tutto ciò (e non necessariamente un umano) che sia in grado di provocare un cambiamento, cioè una sostanza, una forza naturale, un oggetto della natura, una persona/essere umano, una persona o una cosa che agisce. In anni più recenti, grazie anche agli studi dei sistemi adattativi complessi55, il concetto centrale e comprensivo non è considerato più quello di causa attiva/efficiente, ma quello di capacità di elaborare informazioni. Si può, quindi, dire che la capacità di elaborare informazioni diventi la fondamentale caratteristica di un agente e che robot, agenti soware, clouds e ogni tipo di sistema automatico (in grado di elaborare informazioni), nonostante la loro natura di cosa e non di persona sica, possano essere considerati agenti, quantomeno nel senso più ampio che abbiamo visto sopra. La ricerca scienti ca produce nuove entità con capacità di processare dati. L’ultima frontiera è la creazione in vitro di organoidi utilizzando cellule cerebrali tratte da malati di Parkinson, cellule che vengono ingegnerizzate e ritrasferite nel malato. Il nome usato è quello di organoids e minibrain: parti di materiale cerebrale con alta capacità di processare informazioni, che viene sviluppato fuori dal corpo umano. Come faceva notare alcuni anni fa Luciano Floridi: Noi non siamo immobili al centro dell’universo (rivoluzione copernicana); noi non siamo innaturalmente distinti e differenti dal resto del mondo animale (rivoluzione darwiniana) e siamo ben lungi dall’essere cartesianamente interamente trasparenti a noi stessi (rivoluzione freudiana). Noi stiamo ora lentamente accettando l’idea che potremmo non essere così nettamente diversi da altre entità e agenti informazionali e intelligenti, e da artefatti ingegnerizzati (rivoluzione di Turing)56. L’idea che gli umani siano organismi informazionali (inforgs) inseriti in un ambiente globale, il cui tratto distintivo è costituito dall’informazione (inphosfere), apre una prospettiva interessante circa il rapporto tra cose e persone, anche dal punto di vista giuridico. A questo punto l’indagine fattuale e teorica su cosa signi chi ‘agente’ si interseca con quella su cosa sia persona per il diritto, di cui si è parlato nello scorso paragrafo. Le domande cruciali diventano, dunque, le seguenti: dove il diritto traccia il limite di un agente, che sia considerato tale dal diritto stesso (qualsiasi tipo di diritto: civile, penale, amministrativo), cioè che sia un agente in senso giuridico? Tale limite è o dovrebbe essere coincidente con quello tra cose e persone? Nel campo del diritto il concetto più vicino a quello di agente sembra essere quello di individuo o di gruppo cui è consentito dal diritto di compiere atti giuridicamente rilevanti e, alla ne, di adire le vie legali, come attore o convenuto. In inglese è la parola «person» che racchiude questo ampio concetto di essere umano o di organizzazione che ha diritti e doveri. Nei Paesi di civil law si utilizzano parole e concetti diversi, come «soggetto giuridico» (italiano), «sujet de droit» (francese) e «Rechtssubjekt» (tedesco). Nella tradizione giuridica di civil law la distinzione tra persone siche e giuridiche (come le società) è complessa e non esente da incongruenze ed è su di esse che si è esercita la critica kelseniana di cui si è detto sopra. Tuttavia, tutti questi lemmi, nonostante le grandi differenze dei contesti culturali e giuridici, ricoprono lo stesso fondamentale signi cato di entità che ha diritti e doveri. E, in effetti, vi sono vari aspetti non controversi dello status giuridico delle imprese. È, per esempio, universalmente riconosciuto che una società possa avere una propria personalità giuridica e abbia suoi diritti di proprietà57. Inoltre, può avere obblighi, doveri e diritti verso altre società e altri umani. In termini generali, è ampiamente condivisa l’idea delle società di capitali come entità arti ciali che possono essere create dal diritto, e che sono trattate proprio come individui secondo la legge, avendo diritti giuridicamente tutelati, la capacità di contrarre debiti e di avere crediti, la capacità di avere e trasferire proprietà, la capacità di stipulare contratti, l’obbligo di pagare le tasse e la capacità di stare in giudizio (citare ed essere citate). I diritti e le responsabilità di una società sono indipendenti e distinti dalle persone che la possiedono o che vi investono58. Di conseguenza, le leggi civili e amministrative possono sanzionare condotte aziendali illecite, cosa che realmente accade in diversi Paesi in base alle leggi nazionali. L’enorme quantità di contenziosi davanti ai tribunali civili e amministrativi dice più di qualsiasi spiegazione teorica sulle società come agenti giuridici, sia come person (arti ciale) sia come soggetto giuridico o sujet de droit o Rechtssubjekt. 10. Società commerciali e pene: chi fa schermo a chi Resta da rispondere all’affermazione ricorrente nel dibattito sulla risoluzione del Parlamento europeo, secondo la quale è sempre la persona sica a essere responsabile in ultima istanza, anche nel caso delle società e che ciò sia vero principalmente per la responsabilità penale. Il tema della responsabilità penale delle società è diventato cruciale negli ultimi decenni a causa del preoccupante numero di illeciti ambientali, di violazione delle norme antitrust, di frodi negli alimenti e nei farmaci, di false dichiarazioni, di incidenti mortali sul lavoro, di corruzione, di intralcio alla giustizia e di criminalità nanziaria. Casi importanti, tra i tanti, sono stati, negli Stati Uniti, il caso Enron e, in Europa, il caso Parmalat (Italia). In questi e tantissimi altri casi il problema è nettamente diverso da quello paventato dai critici della Risoluzione del Parlamento europeo. A fronte della commissione di illeciti penali e amministrativi da parte dei suoi dirigenti (non per fatto personale, ma nell’interesse e secondo le direttive degli organi sociali), le società scaricano tutta la responsabilità sulla persona sica del dirigente e continuano a commettere gli stessi illeciti, pronte a scaricare nuovamente la responsabilità sul dirigente che ha preso il posto di quello sotto processo. Per continuare ad agire in questo modo le società sono pronte a pagare anche ingenti somme ai dirigenti, purché il sistema non muti. Si pensi che il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per i Dirigenti di Aziende Produttrici di Beni e Servizi (art. 15) prevede sin dal 2009 che sia a carico dell’azienda ogni responsabilità civile verso terzi per fatti commessi dal dirigente nell’esercizio delle proprie funzioni e che, ove si apra un procedimento penale a carico del dirigente e il dirigente si dimetta per quel motivo, l’azienda debba pagare, oltre al trattamento di ne rapporto, un trattamento pari all’indennità sostitutiva del preavviso spettante in caso di licenziamento, oltre una indennità supplementare al trattamento di ne rapporto pari al preavviso individuale maturato (un totale di svariate annualità di retribuzione). È proprio per questo motivo che diverse giurisdizioni hanno introdotto la responsabilità penale delle società adottando vari modelli, mentre altri sistemi non hanno avuto la determinazione per introdurre tale tipo di responsabilità59. L’obiezione tradizionale era basata sul principio del XIX secolo secondo il quale la società non può commettere reati: societas delinquere non potest. Si argomentava che la società è una nzione giuridica e che, mancando di corpo e anima, non arriva a integrare l’elemento soggettivo del reato (in inglese mens rea) e un’azione in propria persona. All’altra obiezione, che riguarda la pena carceraria, e l’impossibilità di immaginarla applicata alle società, è stato risposto facendo notare come il diritto penale abbia oggi a disposizione una vasta gamma di sanzioni diverse da quella carceraria e dotate di capacità afflittiva non inferiore. Senza alcuna pretesa di completezza, va ricordato che l’Europa affronta il tema sin dal 1988 con una Raccomandazione del Comitato del Consiglio dei Ministri della Comunità Europea che dà conto delle diverse tradizioni giuridiche europee e della difficoltà, in relazione ad esse, di concepire la responsabilità penale delle società e invita gli Stati a inserire forme di responsabilità penale delle persone giuridiche60, mentre a livello internazionale va ricordata la Convenzione penale sulla corruzione (ETS n.173), aperta alla rma a Strasburgo il 27 novembre 1998. Sono questi, insieme alla Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione dei pubblici funzionari stranieri nelle operazioni economiche internazionali, siglata a Parigi il 17 settembre 1997, i (principali) precedenti del Decreto legislativo n. 231 del 2001, che introduce nel sistema italiano forme di responsabilità (non civile) delle società per alcuni reati. Rimane il dubbio che la responsabilità penale delle società possa violare il principio dell’individualità della sanzione penale: un punto molto delicato in Italia, dove la Costituzione afferma chiaramente che «la responsabilità penale è personale», art. 27, e molto sentito dai giuristi italiani presso i quali è radicata l’idea che, a differenza degli esseri umani, le società siano solo nzioni giuridiche e che, a causa di tale inferiore status, esse non possano essere ritenute penalmente responsabili. Queste sono le ragioni principali per cui la legge italiana, al ne di non violare la norma costituzionale della personalità della pena, ha previsto solo sanzioni amministrative61. Tuttavia, bisogna notare che la Corte di Cassazione coglie esattamente il punto e, in forza di un criterio di effettività affermatosi anche nella giurisprudenza della Corte EDU, ha chiaramente affermato che, quale che sia la denominazione usata dal legislatore («forse sottaciuta per non aprire delicati con itti con i dogmi personalistici dell’imputazione criminale, di rango costituzionale, art. 27 Cost.»), le sanzioni previste dalla legge italiana hanno natura sostanziale di sanzioni penali62. Tale conclusione è molto importante perché esclude che lo schermo societario sia solo un modo di coprire le soggettività ‘umane’ retrostanti (e sempre pronte a riemergere) e conferisce a un tipico artefatto giuridico, quale la società, sostanziale capacità penale. Alla ne, sembra essere nel giusto la studiosa americana quando afferma: Similar to individuals, corporations have an identi able persona and the capacity to express moral judgments. Corporations have an identi able persona in the sense that they have a unique presence in the community, different from that of their owners or managers; they have ‘ethos’ that makes them unique and different from the individuals controlling or working for the corporations. e ethos can be derived from the corporation’s dynamic, structure, monitoring system, aims, policies, promotion of compliance with the laws, and discipline of the employees. e United States Supreme Court has decided that corporations have the capacity to express independent points of view and moral judgments, and their freedom of speech should not be abridged without a compelling state interest63. Questo rapido excursus sulla responsabilità degli enti in relazione a quelle degli umani che li hanno creati e che li dirigono, consente di dire che il dogma ottocentesco, secondo il quale la società è una mera nzione ed è sempre la persona sica a essere responsabile in ultima istanza, è ampiamente posto in discussione e in molti casi superato dalla evoluzione giuridica internazionale e anche italiana. A ben vedere, seguendo i critici della risoluzione del Parlamento europeo, non sono le società a essere schermo degli interessi umani, ma gli umani (tanto portati sugli scudi) che niscono con il fare da schermo a potenti interessi economici, irrispettosi delle esigenze sociali. Gli umani sono, così, sviliti proprio per le attenzioni di coloro i quali combattono la soggettività degli enti arti ciali in nome dell’umanità (degli uomini), mentre alla base vi sono interessi umani, troppo umani. In conclusione, l’idea corrente secondo la quale l’azione considerata dal diritto sia per de nizione un’azione compiuta da un essere umano, o più o meno direttamente riconducibile a esseri umani, è falsa, sia perché vi sono molti esempi di azioni intraprese da non-umani che sono rilevanti per il diritto, sia perché vi sono diversi esempi di azioni intraprese da esseri umani che non sono considerate dal diritto, perlomeno in relazione all’uomo che le ha compiute. 11. Creature artificiali e proprietà ontologiche Resta, a questo punto, da affrontare il rilievo ontologico secondo il quale un robot, o un sistema di IA, non ha quei requisiti (come coscienza, intenzioni, capacità di formulare piani o di darsi obiettivi) che fanno di una persona una persona nel senso generalmente accettato di ‘persona umana’, con la connessa attribuzione di diritti e doveri. Questa qualità ci riporta alla de nizione di IA che è stata discussa nel Capitolo 1: «L’intelligenza arti ciale è il campo dedicato alla costruzione di animali arti ciali (o, almeno, creature arti ciali che in contesti appropriati appaiano essere animali) e, per molti, persone arti ciali (o, almeno, creature arti ciali che in contesti appropriati appaiano essere persone)». Esaminiamo, qui di seguito, una qualità ritenuta essenziale delle persone: la coscienza. 11.1 Una questione di coscienza Il punto di collegamento tra qualità ontologiche (e biologiche) umane a proposito di coscienza e la dimensione giuridica intesa in senso lato è la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 194864 che stabilisce la piena simmetria tra l’entità che ha l’insieme dei diritti e delle libertà e l’essere umano. Tuttavia, le cose sono più complesse di quanto possa apparire ed è facile osservare che, da un lato, tale simmetria non è esistita prima della Dichiarazione del 1948 (tanto da renderla necessaria) e, dall’altro, che è lo stesso articolo 1 a riaprire immediatamente la questione quando, nella sua seconda parte, afferma: «Loro [tutti gli esseri umani, nota mia] sono dotati di ragione e coscienza»65. L’affermazione che tutti gli esseri umani «sono dotati di ragione e coscienza», presa alla lettera, sembra supporre che la ragione e la coscienza siano parte dell’essenza di tutti gli esseri umani e, quindi, costituiscano loro qualità intrinseche, senza le quali verrebbe meno il carattere dell’umanità. Se così fosse, la conseguenza sarebbe che un essere umano che manchi di quelle qualità non sia un essere umano o non sia un essere umano completo o non abbia il diritto di avere uguali dignità e diritti66. Su questa base può essere formulato un lungo elenco di ulteriori questioni su quale sia il signi cato di «ragione e coscienza», sulla possibilità della loro presenza in artefatti non umani e sullo spazio da riservare alle entità non-umane che, in ipotesi, ne abbiano un certo grado. Come si è visto nel paragrafo precedente, la questione delle società e del loro status giuridico è stata storicamente la principale palestra della teoria del diritto a proposito di entità non-umane che siano titolari di diritti e doveri. 11.2 Quattro aspetti importanti Nell’esaminare il problema bisogna tener conto di quattro aspetti essenziali. Il primo riguarda lo stato delle conoscenze in materia all’epoca della redazione della Dichiarazione universale e gli obiettivi dei suoi estensori, il secondo, i tempi di sviluppo negli anni del dibattito sulla coscienza negli umani, il terzo riguarda le scoperte neuroscienti che a proposito dell’attività mentale degli animali non umani, il quarto l’acquisizione che non esiste un solo tipo di coscienza i cui gradi possano essere misurati secondo un’unica scala, ma esistono diversi tipi di coscienza. A questi temi ho dedicato un ampio saggio67, al quale rinvio per argomentazioni di dettaglio e un completo apparato di note, mentre qui mi limito a riportare le conclusioni essenziali. Sul primo punto, quello delle idee degli estensori della Dichiarazione, è interessante notare che vi fosse disaccordo circa l’idea di indicare ragione e coscienza tra i requisiti degli umani e che per taluni essa fosse ridondante o fonte di fraintendimenti. Secondo la visione essenzialista, ad avviso di uno dei più importanti commentatori della dichiarazione, la ragione e la coscienza sono indicati come attributi dell’essere umano: averli quali ca per l’appartenenza alla famiglia umana, non averli rende questa appartenenza discutibile. Questa posizione è sostenuta da Charles Malik, secondo il quale «e First article of the Declaration on Human Rights should state those characteristics of human beings which distinguish them from animals, that is reason and conscience»68. Tuttavia, il testo fu alla ne approvato per due prevalenti ragioni: evitare un eccessivo riferimento alla cultura occidentale e porre il con ne degli animali non umani, che costituivano il limite oltre il quale l’umanità cessava di esistere. Un punto di vista che oggi si de nirebbe specista, ma che non sorprende che ci fosse all’epoca, perché la rivendicazione di diritti per gli animali risale solamente ad alcune decadi successive69 e la conoscenza scienti ca sulla percezione e le forme di coscienza negli animali non umani arriverà, anch’essa, solo più tardi. Che questa fosse la situazione del dibattito all’epoca della redazione della Dichiarazione non deve sorprendere, se si considerano i tempi di evoluzione del dibattito sulla coscienza negli umani, che è il nostro secondo punto. Robert Van Gulick, nella sua ampia e aggiornata rassegna loso ca sull’argomento, sottolinea come «nonostante la rinnovata enfasi nello spiegare le capacità cognitive come la memoria, la percezione e la comprensione del linguaggio, la coscienza sia rimasta un argomento ampiamente trascurato per molti ulteriori decenni» ed è stato solo negli anni Ottanta e Novanta del XX secolo che «c’è stata una forte ripresa della ricerca scienti ca e loso ca sulla natura e sulle basi della coscienza. Una volta che la coscienza è tornata in discussione, c’è stata una rapida proliferazione della ricerca con un’ondata di libri e articoli, nonché la creazione di riviste specializzate»70. Se questo è vero, si può essere autorizzati a dedurre che gli estensori della Dichiarazione delle Nazioni Unite, parlando di coscienza, non hanno assunto nulla di paragonabile alla ricchezza del dibattito degli anni successivi e, piuttosto, hanno condiviso le idee di buon senso (se non i luoghi comuni) sulla coscienza esistenti all’epoca. In termini di interpretazione giuridica ciò implica che l’attuale ampiezza semantica del lemma coscienza deve essere principalmente determinata facendo riferimento a concetti e idee di un’era successiva a quella degli estensori. Il problema (che di per sé è frequente nell’interpretazione delle leggi, che acquisiscono nel tempo contenuti normativi nuovi) è reso più difficile dall’incertezza nel campo loso co, dove ancora oggi le parole ‘cosciente’ e ‘coscienza’ sono usate con una varietà di signi cati e in una vasta gamma di modi senza che ve ne sia uno nettamente prevalente. Le parole ‘cosciente’ e ‘coscienza’ sembrano termini generali che coprono un’ampia varietà di fenomeni mentali e sono applicati sia a interi organismi – coscienza della creatura – sia a particolari stati e processi mentali – coscienza dello stato71. La coscienza negli animali non umani, che è il nostro terzo punto, è al centro dell’attenzione di un gruppo di eminenti studiosi e scienziati che nel 2012, presso il Churchill College, Università di Cambridge, ha preso una posizione netta contro l’idea che solamente gli umani posseggano il sostrato neurologico che genera la coscienza. In occasione della conferenza sulla coscienza negli umani e negli animali non umani alcuni di essi hanno scritto una «dichiarazione di Cambridge» che si chiude così: evidenze convergenti indicano che gli animali non umani hanno i sostrati neuroanatomico, neurochimico e neuro siologico insieme alla capacità di mostrare comportamenti intenzionali. Conseguentemente il peso delle prove indica che gli umani non sono gli unici a possedere il sostrato neurologico che genera la coscienza. Gli animali non umani, inclusi tutti i mammiferi e gli uccelli, e molte altre creature inclusi i polpi, posseggono anche questi strati neurologici72. Naturalmente non tutti gli scienziati sono d’accordo e ve ne sono alcuni eminenti che non condividono la radicalità o alcuni presupposti di questa posizione. Tuttavia, da un punto di vista etico e giuridico, non era immaginabile, solo pochi anni prima, una più forte confutazione dell’idea comune condivisa dagli estensori della dichiarazione universale. Essa, e comunque il dibattito intorno ad essa, è chiaramente connessa all’imponente sviluppo nelle ultime decadi degli studi neuroscienti ci73. Ma se la coscienza, o almeno uno stato mentale che possa rientrare nell’idea di coscienza, non è con nabile ai soli esseri umani ci si può chiedere, ed è il nostro quarto punto, se esista un solo tipo di coscienza in natura. Da un punto di vista evolutivo, la coscienza è un tratto che alcuni animali hanno. La questione è come esso sia distribuito e quali qualità abbia. Alcuni autori sostengono che la coscienza si può manifestare in un ampio spettro di gradi di ricchezza e di pienezza. In questo senso è rilevante la differenza tra le teorie della discontinuità: secondo le discontinuity theories vi è un punto particolare al quale la coscienza si è originata; le teorie della continuità (continuity theories) invece concettualizzano l’evoluzione della coscienza in termini di «una transizione graduale nella coscienza dal non riconoscibile al riconoscibile»74. Se si assume un punto di vista da discontinuità (seguendo autori come John Searle, Daniel Dennett e Giulio Tononi, che ri utano l’idea che la coscienza sia binaria: sì/no) la questione diventa quella di quali dimensioni e soglie qualitative possano consentire di distinguere differenti tipi di attività mentale75. Un recente studio sulle origini evoluzionistiche e genetiche della coscienza mette in luce le diverse traiettorie evolutive che possono essersi veri cate. Ci sarebbe una comune base genetica per la coscienza, non condivisa tra tutti i differenti sensi, ma piuttosto all’interno dei sistemi sensori individuali attraverso i gruppi di vertebrati (pesci, an bi, rettili, uccelli e mammiferi). La coscienza stessa sembra essere avanzata attraverso differenti percorsi nelle differenti linee dei vertebrati76. Inoltre, una rassegna degli studi sui cetacei mostra come statements to the effect that cetaceans are ‘remarkably intelligent’, ‘intelligent animals’ are scienti cally indefensible. ere is no evidence that warrants the assignment of a special intellectual status to the members of this mammalian order. […] cetaceans are really no different in terms of behavioral complexity and cognitive sophistication than other mammals, and likely no more so than a range of other vertebrates77. Tutto questo alimenta le teorie della discontinuità e mette in discussione il concetto di una scala unica delle facoltà mentali degli animali. Quindi, alla domanda se la coscienza sia apparsa prima negli umani o in un precedente ascendente non umano, e chi/cosa fosse quest’ascendente, si può rispondere che «la coscienza può essere apparsa molteplici volte, come il volo alare, che ha avuto evoluzioni indipendenti in insetti, uccelli, pipistrelli e pterosauri»78. 12. Homo sapiens sapiens e i ‘suoi’ diritti Alla luce di quanto esposto nei precedenti paragra , può essere sostenuta l’idea che il diritto sia un artefatto (almeno nel senso di prodotto storico) e che anche le caratteristiche (ontologiche) richieste per il riconoscimento di diritti e libertà sono artefatti, nel senso di selezione sulla base delle conoscenze scienti che e delle scelte sociali. La giusta espressione per indicare gli animali umani come entità biologica potrebbe essere homo sapiens sapiens, che è una categoria zoologica indiscussa. Dall’altro lato (quello giuridico), i diritti umani potrebbero essere meglio quali cati come «diritti di base» (basic rights), che è un’espressione più neutra, in grado di comprendere anche entità (parzialmente o totalmente) non umane e di risolvere l’apparente ossimoro di diritti umani attribuiti a entità parzialmente o totalmente arti ciali79. Per quanto possa apparire paradossale, solo un diritto arti ciale, nel senso appena detto e frutto di scelte consapevoli, può umanizzare le tecnologie di IA. In questo senso, l’IA obbliga a assumersi alcune responsabilità. È una questione di stipulazione e, come sempre in tali casi, di responsabilità degli stipulanti. Ma il punto innegabile mi sembra il seguente: se dobbiamo immaginare una società popolata da molte entità non necessariamente totalmente umane, dobbiamo adottare un approccio inclusivo (anziché l’idea di usare il diritto come difesa della società esclusiva – umana – contro macchine e alieni). Esso offre i grandi vantaggi di conoscere, comprendere e dare una cornice giuridica e sociale ai rapporti tra homo sapiens sapiens, animali non umani e entità parzialmente o totalmente tecnologizzate. Anche questo approccio è, ovviamente, discutibile. Stephen Hawking, per esempio, era tra coloro i quali pensavano che l’intelligenza arti ciale potrebbe essere un vero pericolo in un futuro non troppo lontano, perché i robot potrebbero progettare miglioramenti per sé stessi e superare in astuzia tutti noi80. Non credo sia una giusta previsione, ma, anche se lo fosse, essa costituirebbe un’ulteriore buona ragione per discutere dei diritti di base (e delle responsabilità) delle entità arti ciali. Hong Kong protesters wary of Chinese surveillance technology, June 14, 2019 (Mainichi Japan) https://mainichi.jp/english/articles/20190614/p2g/00m/0in/081000c (visitato il 14 luglio 2019). 2 CHURCH 2019. Sulla stampa su DNA si veda MELDOLESI 2012. 3 MULLIN 2017. 4 HALLER 2010. Il contenuto del paper fu presentato come un poster alla Conferenza «e Internet of ings», Tokyo, Japan, 2010: http://www.iot2010.org/. La proposta di Kevin Ashton è riportata in SARMA – BROCK – ASHTON 2000: «an informational network that allows the look-up of information about real-world objects by means of a unique ID called Electronic Product Code (EPC) and a resolution mechanism (ONS), to a network of sensors, actuators and autonomous objects interacting with each other directly. Machine-to-machine (M2M) communication is another term sometimes associated with the later», traduzione mia. 5 HALLER, 2010: «the integration of the physical world with the virtual world of the Internet. ere are physical objects one wants to be able to track, to monitor and to interact with. Examples include inanimate objects like pallets, boxes containing consumer goods, cars, machines, fridges […] as well as animate objects like animals and humans. ese are the things of the Internet of ings – or to use a clearer term, the entities of interest», traduzione mia. La distinzione tra le entità d’interesse e i dispositivi è importante, perché l’entità di interesse è un oggetto che ha un certo valore per l’osservatore, mentre il dispositivo è una componente tecnica necessaria per osservare o interagire con l’entità di interesse. 6 «An entity, an idea, or a quality perceived, known, or thought to have its own existence. [...] Law at which can be possessed or owned» (e American Heritage Dictionary, 2009, disponibile su http://www.thefreedictionary.com/). 1 http://www.accademiadellacrusca.it/it/attivita/ristampa-anastatica-vocabolario-accademicicrusca-1612. Dizionario Treccani, http://www.treccani.it/vocabolario/. 8 La rete intelligente è in grado di ascoltare, apprendere e rispondere tramite interfacce aperte per offrire maggiore sicurezza, semplicità, affidabilità e innovazione a livelli senza precedenti https://www.cisco.com/c/m/it_it/tomorrow-starts-here/ioe.html; https://www.i-scoop.eu/internet-ofthings-guide/internet-of-everything/ (consultati il 27 luglio 2019). 9 Internet of Everything: cos’è e in cosa si differenzia dall’IoT?, https://www.blog.vestudio.it/internetof-everything/, visitato il 27 luglio 2019. 10 È la proposta di «Accenture»: Infrastructure Creating Intelligent Distributed System for Smart Infrastructure, https://www.accenture.com/no-en/insight-infrastructure-internet-of-thinking, visitato il 27 luglio 2019. 11 https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/internet-of-things aggiornato al 21 giugno 2019 e consultato il 16 luglio 2019. Nel marzo 2015 la Commissione europea ha lanciato l’Alliance for Internet of ings Innovation per sostenere la creazione di un ecosistema di Internet of ings europeo innovativo e guidato dall’industria. Ciò conferma l’intenzione della Commissione europea di lavorare a stretto contatto con tutte le parti interessate e gli attori di Internet of ings verso la creazione di un mercato competitivo europeo dell’IoT e la creazione di nuovi modelli di business. Oggi l’Alliance for Internet of ings Innovation è la più grande associazione IoT europea. 12 https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/internet-of-things/clusters visitato il 20 luglio 2019. L’Unione Europea nanzia, sin dal 2009 (VII programma quadro), un progetto che ha lo scopo di incrementare la competitività europea e di promuovere una società e un’economia basate sull’informatica (IERC-European Research Cluster on the Internet of ings). Fonte: http://www.internet-of-things-research.eu/about_ierc.htm. Per i progetti su Internet of ings and Enterprise environments si veda http://cordis.europa.eu/project/rcn/95205_en.html. 13 ANNUNZIATA – EVANS 2013. 14 L’idea fu presentata al pubblico per la prima volta alla Fiera di Hannover del 2011 e ha poi preso la forma di Industry 4.0 Platform. CIOLLI 2014. Informazioni aggiornate sono presso il sito del Ministero tedesco per gli Affari Economici e per l’Energia: https://www.bmwi.de/, visitato il 29 luglio 2019. 15 DI VICO 2019, p. 41. 16 MANGANELLI 1998, p. 111. 17 COLVIN 2015, p. 192. 18 CHUI – MANYIKA – MIREMADI 2015. 19 Sarebbe d’accordo anche il buon HAJEK 1978, vol. 3, pp. 54-55. 20 VAN EST – GERRITSEN – KOOL 2017, p. 5. 21 Riprendo questa lista di interrogativi dal mio SANTOSUOSSO 2011, p. 284 (I ed.) e p. 319 (II ed.). 22 L’Articolo 25 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone siche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati), in «Gazzetta ufficiale dell’Unione europea», 4.5.2016 IT, L 119/1. 23 È il caso riportato in esergo del capitolo. Sulle proteste si veda l’ampia copertura giornalistica del «New York Times», https://www.nytimes.com/2019/06/10/world/asia/hong-kong-extraditionbill.html?module=inline. Sulle proteste di luglio e sui modi della repressione si veda https://www.nytimes.com/2019/07/21/world/asia/hong-kong-protest-police.html? nl=todaysheadlines&emc=edit_th_190722? 7 campaign_id=2&instance_id=11064&segment_id=15430&user_id=0438b7bad298a7bf8be0990f6d4 09e&regi_id=437659280722. 24 Jean-Claude Juncker, State of the European Union speech on 14 September 2016, disponibile presso https://publications.europa.eu/it/publication-detail/-/publication/c9ff4ff6-9a81-11e6-9bca01aa75ed71a1, visitato il 20 luglio 2018. 25 SPENCER 2019: l’autore considera il caso di Amazon che vende la tecnologia di riconoscimento facciale alla polizia, nel 2018, e le voci secondo le quali Google starebbe cercando di sviluppare un motore di ricerca censurato per la Cina. 26 VAN EST – GERRITSEN – KOOL 2017, p. 5. 27 FOUCAULT 1975, p. 218. 28 Usa espressamente questo termine l’International Working Group on Data Protection in Telecommunications (Berlin Telecom Group) (2013), in un Working Paper on Web Tracking and Privacy – Respect for context, transparency and control remains essential, 53rd meeting, 15-16 April 2013, Prague: «is development – while greeted and fostered by marketers and other interested parties from the broader business community, and assisted by some policymakers at the national and regional levels – holds an unprecedented risk for the privacy of all citizens in an information society. e worst case scenario is that it would turn the world as we know it into a global panopticon. e offline equivalent would be to have somebody unknown to us constantly looking over our shoulders no matter where we are (in the streets or in the seeming privacy of our homes), or what we do (watching TV, shopping online, reading newspapers, and even more intimate activities), and without knowing when he is looking, and when he isn’t». 29 BATTISTA 2019, p. 27. Una visione molto critica verso le tecnologie e preoccupata è quella di ZUBOFF 2019. 30 EMMERSON 2019: «Private Wi-Fi networks have been around for a couple of decades and this communication medium is taken for granted in business premises for in-door use. Wi-Fi 6, the nextgen standard runs faster, it improves overall network performance, but what these networks cannot do is accommodate data-centric, business-critical IoT applications. ey also have difficulty with moving assets and are not good for outdoor use. erefore there is a need for a businesscentric network that can deliver the requisite functionality and performance and LTE/4G ts the bill. In fact, it ts several bills: the different requirements of very large organisations as well as medium-to-large sized enterprises. LTE-Advanced Pro’s peak rate of 1 Gbps and latency less than 50 millisecond are state-ofthe-art gures: more than adequate for most of today’s IoT business applications. Bandwidth can be assigned in a very exible way; […] An open market for suppliers. Private LTE and, in the future 5G, networks represent a market that is driven by the communications requirements of the business community, facilitated by recent developments in the deployment of spectrum, and enabled by innovative suppliers. It encompasses new opportunities for MNOs, MVNOs, hardware and network infrastructure vendors, and many other participants in the enterprise IoT market». 31 GREEN 1999; si veda inoltre SCHNEIDER 2004. 32 Certo, chi ha fede nel Panopticon non si arrende a fronte di questi rilievi e continua a riproporlo in forme che scontano anche che possano esistere aspetti di interattività e di pluralità del potere: si veda Isidoro Re http://www.quadernidaltritempi.eu/benvenuti-nella-vera-panopticon-revolution/. 33 STANLEY 2019. 34 SHOHAM et al. 2018. 35 Berkman Klein Center, e future of the decentralized web, disponibile presso https://medium.com/berkman-klein-center/the-future-of-the-decentralized-web-707915f12360, visitato il 2 agosto 2019, con interventi di Jonathan Zittrain e Tim Berners-Lee, che conlude in questo modo: «We could end up with a really interesting world in which the privacy question is turned upside down. So there you go! is is Solid. at’s the idea»; ZUCKERMAN 2019. 36 Adottata nel 1966 dal Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, ed entrata in vigore il 3 gennaio 1976. 37 Sul punto si veda BENJAMIN 2011. 38 e Next Rembrandt, https://news.microso.com/europe/features/next-rembrandt/. 39 HOVIG 1997, p. 17. Sul tema del falso nell’arte si veda anche BELLET 2019. 40 DONATI – FERRARIO – SIMONCELLI 2018. 41 Molto interessante la ricostruzione dei modi di tutela della digital art posti in essere dal gruppo Ascribe negli ultimi anni in relazione allo sviluppo di blockchain: https://www.ascribe.io/, visitato il 18 agosto. 42 KRISTEVA 1967. 43 OBRIST 2019 (Hans Ulrich Obrist è un noto curatore e critico d’arte, ha analizzato il rapporto che intercorre tra arte e intelligenza arti ciale, il futuro della tecnologia, attingendo a una vasta gamma di progetti artistici per dimostrare le possibilità che l’intelligenza arti ciale offre per la creazione di nuove forme d’arte). 44 Norme di diritto civile sulla robotica. Risoluzione del Parlamento europeo del 16 febbraio 2017 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica (2015/2103(INL)): disponibile presso http://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-8-20170051_IT.html e consultato il 25 luglio 2019. 45 Si veda LEROUX – LABRUTO 2012; SANTOSUOSSO – BOSCARATO – CAROLEO 2012, pp. 494-516. 46 «Attributing electronic personhood to robots risks misplacing moral responsibility, causal accountability and legal liability regarding their mistakes and misuses. Robots could be blamed and punished instead of humans»: FLORIDI – TADDEO 2018 (gli autori sono membri dell’Oxford Internet Institute dell’Università di Oxford, UK). Per le altre citazioni del dibattito si veda go.nature.com/2t5mgov e go.nature, com/2wxlwg6, vistati il 2 agosto 2019. 47 Ai quali si può applicare la distinzione tra diritti costitutivi e regolativi, con attribuzione ai primi della intrinseca capacità generativa di ulteriori diritti. 48 SANTOSUOSSO – BOTTALICO 2017. 49 BLACKSTONE 1765, p. 119: «[le persone sono] divise dalla legge o in persone siche o arti ciali. Le persone siche sono tali a come Dio ci ha creati; quelle arti ciali sono tali a come vengono create e concepite dalle leggi umane ai ni della società e del governo, le quali prendono il nome di imprese o organismi politici» [traduzione mia]. 50 KELSEN 1945, pp. 93-95. L’opera è apparsa in traduzione italiana, con Prefazione di Ettore Gallo e Introduzione di Gaetano Pecora, presso l’editore ETAS. Per i riferimenti alle pagine utilizzo la quinta edizione (1966), nella ristampa del 1974, nella quale il passo sulla persona sica è alle pp. 93-96. Kelsen aveva già posto la questione nella Dottrina pura del diritto (1933). Nondimeno utilizzo la Teoria generale in quanto opera che, a causa del contatto con l’ambiente culturale americano, contiene alcuni interessanti rilievi di contesto (che ho posto in luce in altri lavori). Questo tema, di cui mi ero occupato in un risalente lavoro (SANTOSUOSSO 2002b, pp. 525-547), è stato da me ripreso anche in successive occasioni a causa della sua decisiva centralità, specie nel dibattito giuridico italiano, tuttora ancorato a modelli concettuali diversi, che, a null’altro dire, mostrano sicuramente una minore capacità esplicativa dei nuovi fenomeni sociali (si veda SANTOSUOSSO 2014, pp. 28-48). 51 Questo passaggio è stato criticato da vari autori per la sua contraddittorietà: Kelsen, che si dà l’obiettivo di formulare una teoria giuridica depurata di elementi naturalistici, nisce contraddittoriamente per assegnare all’essere umano-entità biologica il compito di delimitare, e quindi de nire, un concetto giuridico centrale, come quello di persona per il diritto. 52 SANTOSUOSSO 2002b, pp. 525-547. Molto netto sull’arti cialità del diritto è anche IRTI 2016, pp. 182-183 in particolare. 53 In questo paragrafo mi avvalgo del mio lavoro SANTOSUOSSO 2014, pp. 28-48. 54 Vi sono quattro principali insiemi di signi cato della parola agente: a) «Una forza o una sostanza che provoca un cambiamento: un agente chimico; un agente infetto» oppure «una forza naturale o un oggetto che produce o che è usato per ottenere speci ci risultati: molti insetti sono agenti di fecondazione»; b) «Colui che [presumibilmente un essere umano: nota mia] agisce o ha il potere o l’autorità di agire» o «una persona o una cosa che agisce o che ha il potere di agire»; c) «Colui che è autorizzato ad agire in rappresentanza di un altro: l’agente di uno scrittore; un agente assicurativo»; d) in linguistica, «il sostantivo o gruppo nominale che de nisce la persona o il mezzo attraverso il quale l’azione è effettuata» o «il sostantivo o gruppo nominale, che denota un essere animato che compie o provoca l’azione espressa dal verbo». (Questi signi cati sono tratti dal lemma “agent” Random House Kernerman Webster’s College Dictionary, 2010, presso https://www.thefreedictionary.com/agent, visitato il 28 dicembre 2019). 55 MILLER – PAGE 2007. Dalla vasta letteratura su questi argomenti si può trarre il concetto di agente autonomo come «un sistema complessivamente autocatalitico che eseguendo uno o più cicli di lavoro termodinamico: (1) misura variazioni utili dell’equilibrio da cui può essere estratto lavoro; (2) scopre dispositivi da agganciare a fonti di energia così che il lavoro possa essere estratto; (3) impiega il lavoro per sviluppare vincoli per estrarre ulteriore lavoro»: traduzione italiana mia da GAMBHIR et al. 2004; LIU – KAVAKLI 2018. 56 FLORIDI 2008, p. 95. 57 Anche se i diritti di proprietà aziendale possono essere considerati una s da alla concezione liberale dei diritti di proprietà: MAY 1986. TORRENTE – SCHLESINGER 2009, p. 939: la società è un «soggetto, sorto in forza del contratto sociale [tra i soci], che è dotato di una propria distinta soggettività e opera con una sua autonomia (ad es. compra, vende, diventa creditore o debitore, ecc.)». 58 http://legal-dictionary.thefreedictionary.com/corporations (visitato l’8 dicembre 2013). TORRENTE – SCHLESINGER 2009, p. 964: «caratteristica fondamentale della ‘società per azioni’ è ‘che per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio’». 59 Per uno sguardo ampio e aggiornato si veda FIORELLA, GAITO – VALENZA 2018, pp. 177196, disponibile anche presso http://www.editricesapienza.it/sites/default/ les/5816_Responsabilita_Ente_Reato_OA.pdf, visitato il 31 luglio 2019. Per una panoramica si veda DE MAGLIE 2005; POP 2006. Si veda anche BUELL 2006; NAFFINE 2003. 60 Rec(88)18 20/10/1988, Concerning liability of enterprises having legal per-sonality for offences committed in the exercise of their activities, disponibile presso https://search.coe.int/cm/Pages/result_details.aspx?ObjectID=09000016804f3d0c, consultato il 31 luglio 2019. 61 Decreto legislativo n. 231/2001. 62 Cass. Pen., Sez. III, 30 gennaio 2006 (Caso Jolly Mediterraneo), creando così quello che una parte della dottrina considera un sistema ibrido, non penale, ma con una sanzione nominata amministrativa e in itta dal giudice penale. Si veda, tra gli altri, DE SIMONE 2012, accessibile presso https://www.penalecontemporaneo.it/upload/1351253564De%20Simone%20de nitivo.pdf, visitato il 31 luglio 2019. 63 Traduzione italiana mia: «similmente agli individui, le società hanno una personalità identi cabile e la capacità di esprimere giudizi morali. Le società hanno una personalità identi cabile nel senso che esse costituiscono una presenza unica nella comunità, differente da quella dei suoi proprietari o dirigenti; esse hanno un ethos che le rende uniche e differenti dagli individui che le controllano o che lavorano per esse. L’ethos può essere rilevato dalla dinamica della società, dalla struttura, dal sistema di controllo, dagli scopi, dalle policies, dalla promozione del rispetto delle leggi e dalla disciplina dei dipendenti. La Corte Suprema degli Stati Uniti ha deciso che le società hanno la capacità di esprimere punti di vista e giudizi morali indipendenti, e che la loro libertà di espressione non deve essere compressa in mancanza di un prevalente interesse dello stato»: POP 2006. La decisione della Corte Suprema Federale degli Stati Uniti sulla libertà di parola è First National Bank Of Boston V. Bellotti, 435 U.S. 765, 787-795 (1978). Si vedano anche: FRIEDMAN 2000; BUCY 1992; LEDERMAN 2000. 64 La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo fu adottata dalla risoluzione dell’Assemblea Generale 271A nella sua terza sessione a Parigi il 10/12/1948: «Tutti gli esseri umani sono nati liberi e uguali in dignità e diritti» (articolo 1) e «A ogni individuo spettano tutti i diritti e le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna per ragioni di razza, colore, sesso, lingua, religione, opinione politica o di altro genere, origine nazionale o sociale, ricchezza, nascita o altra condizione» (articolo 2). 65 MORSINK 1999, pp. 296-302. 66 Ma così non è a una analisi dei lavori preparatori. Sul tema e sul rilievo della ragione e coscienza negli artefatti non umani rinvio a SANTOSUOSSO 2015a. 67 Mi riferisco a SANTOSUOSSO 2015a, pp. 203-237. 68 La discussioni tra gli estensori sono tratte da MORSINK 1999, pp. 296-299 (l’opera di Morsink è ancora oggi una delle più accurate ricostruzioni dei lavori preparatori della Dichiarazione). Si veda anche BEITZ 2009. All’interno dell’ampio dibattito loso co circa la coscienza nei robot è ancora interessante DENNETT 1991. 69 RYDER 1971, pp. 41-82; SINGER 1990. 70 VAN GULICK 2014, p. 6. 71 VAN GULICK 2014, p. 7 e p. 13. 72 Disponibile all’indirizzo: http://fcmconference.org/img/CambridgeDeclarationOn Consciousness.pdf. Traduzione mia dall’originale: «Convergent evidence indicates that non-human animals have the neuroanatomical, neurochemical, and neurophysiological substrates of conscious states along with the capacity to exhibit intentional behaviors. Consequently, the weight of evidence indicates that humans are not unique in possessing the neurological substrates that generate consciousness. Nonhuman animals, including all mammals and birds, and many other creatures, including octopuses, also possess these neurological substrates». 73 Commenti sono riportati in ALLEN – TRESTMAN 2014, p. 5. 74 Le differenti posizioni sono riportate in ALLEN – TRESTMAN 2014, p. 33. 75 «What graded dimensions or qualitative thresholds might be available to distinguish different kinds of minds»: si veda ALLEN – TRESTMAN 2014, p. 34. 76 FEINBERG – MALLATT 2013, p. 4. 77 MANGER 2013, pp. 664-696. 78 ALLEN – TRESTMAN 2014, p. 42. 79 Tema affrontato nel mio saggio SANTOSUOSSO 2015a. 80 Chris Matyszczyk, Stephen Hawking: AI could be a ‘real danger’, June 16, 2014, http://www.cnet.com/news/stephen-hawking-arti cial-intelligence-could-be-a-real-danger/ (visitato il 28 dicembre 2019). Per un approccio visionario si veda anche KURZWEIL 2005. L’argomento della dominanza è anche discusso in HUBBARD 2011, p. 454. 8. Il diritto molecolare: un complesso campo di ricerca La scienza, prima di essere esperimenti, misure, matematica, deduzioni rigorose, è soprattutto visioni. La scienza è attività innanzitutto visionaria. Il pensiero scientifico si nutre della capacità di ‘vedere’ le cose in modo diverso da come le vedevamo prima1. 1. Una visione molecolare del diritto Se il diritto2, qualsiasi tipo di diritto, dovunque esistente e quale che ne sia la sua fonte e la sua forma, fosse fatto di piccole molecole giuridiche e se queste piccole molecole giuridiche avessero la speciale caratteristica di connettersi-disconnettersi/aggregarsi-disaggregarsi una con le altre secondo le loro intrinseche proprietà (qualità, caratteristiche) e le contingenze dell’ambiente in cui si trovano, e se queste combinazioni di proprietà interne e di contingenze ambientali fossero varie, in continuo cambiamento e non necessariamente spiegabili in termini lineari/deterministici, allora si potrebbe dire che una spiegazione dello stato generale del diritto, e della sua dinamica, richiede una descrizione3 di come, e secondo quali limitazioni, quelle connessioni/aggregazioni a) emergono/scompaiono e b) interagiscono l’una con l’altra. Quello che viene presentato in questo capitolo è un tentativo di rendere possibile questa descrizione. Può essere inteso come lo schizzo di una «teoria molecolare del diritto» (Mol)4 o, piuttosto, come un complesso programma di ricerca, articolato in una mappa pluralistica, realistico nei suoi assunti circa lo stato attuale delle evidenze disponibili, con revisioni di alcuni concetti troppo restrittivi5. Nei capitoli precedenti sono stati affrontati diversi importanti pro li che attengono al modo di essere del diritto nella presente realtà tecnologica, pro li che in questo capitolo è utile portare a una qualche coerenza. Si pensi al rapporto tra aspetti razionalmente spiegabili nel diritto e aspetti che lo sono molto meno o che richiedono logiche diverse6, così come al rapporto tra linguaggio formale (per alcuni una lingua universale del diritto del futuro) e i tanti linguaggi naturali in cui è ancora oggi espresso il diritto, con tutte le incongruenze logiche che esso presenta. Si sono visti, nel Capitolo 2, i limiti dell’approccio logicista nella stessa intelligenza arti ciale, un approccio che non regge se applicato a tutte le attività cognitive, che richiedono una capacità di calcolo molto alta. Questo tipo di problemi pone al diritto la domanda se possa essere usata anche nel diritto una combinazione dei diversi approcci (logicisti e non), similmente a quanto accade nel mondo dell’IA. Questi aspetti sono indiscutibilmente e direttamente collegati al modo in cui può essere adempiuto l’obbligo democratico e costituzionale di motivazione degli atti giudiziari nel momento in cui si utilizzano tecniche di IA (Capitolo 4), dove ritornano in gioco i rapporti tra spiegazione della decisione, forma di razionalità (di tipo ‘logico’ o ‘quasi-logico’) e le scatole nere dei dispositivi di IA. Si è visto come la sentenza possa essere coerentemente de nita come un aggregato temporaneo di dati: qualcosa che ora è tempo di capire e spiegare meglio. L’esperienza giuridica globale, sotto l’impatto di tecnologie dirompenti (disruptive), come per esempio document automation, la risoluzione delle liti online (online dispute resolution, ODR), la capacità di analisi di grandi quantità di dati e documenti (machine learning e big data analytics, una tecnologia di IA che è appena all’inizio) e la possibilità di risposte automatiche a quesiti giuridici posti con linguaggio naturale (legal question answering), appare come una galassia in espansione, nelle cui aree periferiche non è chiaro se vi sia ancora diritto (l’horror vacui del giurista!) e, se sì, come esso possa essere concettualizzato (questioni di cui al Capitolo 3). Anche gli smart contract pongono esattamente questo tipo di problema. Uno smart contract è ancora un contratto (sia pure di un nuovo tipo) o è un’entità informatica (soware, codice, network) che nulla ha del tradizionale contratto, sia nella sua struttura sia nelle forme di espressione della vincolatività per le parti sia per la possibilità di fare ricorso a un’autorità terza nel caso in cui le cose non funzionino (Capitolo 5). È emerso, nel Capitolo 6, anche il profondo bisogno di revisione degli studi del diritto. Insegnare diritto, in generale, implica una visione di cosa il diritto sia, ma l’accademia giuridica sconta (fatte salve rare eccezioni) un ritardo nel porsi il problema nel fuoco del cambiamento attuale. Bene, in questo capitolo si cercherà di dare forma e coerenza a questo insieme di aspetti, con la consapevolezza che un mutamento, come quello appena avviato nella storia dell’umanità, richiederebbe risorse straordinarie e grande coraggio per prendere orientamenti radicali. Da queste considerazioni scaturiscono alcune domande: quali sono le principali caratteristiche del diritto, oggi e nel prevedibile futuro? Cosa signi ca che il diritto oggi si presenta frammentato, non gerarchico, digitalizzato, multilingue? Qual è il rapporto tra computazione e diritto? È computabile il diritto? Interoperabilità e reazione immunitaria nei concetti giuridici possono dare un barlume di coerenza? Cosa signi ca che la motivazione di una sentenza (o altro atto giuridico, privato o pubblico) è un aggregato temporaneo di dati? Il linguaggio formale è un’alternativa a quello naturale nel diritto? Ma ora è tempo di rimboccarsi le maniche e di mettersi al lavoro. 2. Alcuni chiarimenti sul lessico molecolare L’adozione della metafora molecolare richiede la creazione di un lessico dotato di un grado adeguato di coerenza. In questo paragrafo vi sono alcune speci cazioni. 2.1 ‘Molecole giuridiche’: a proposito di una metafora Il diritto non è costituito da molecole e le ‘molecole giuridiche’ non esistono in natura. La parola «molecola» è una metafora che vuole suggerire l’idea di una ne granularità, una caratteristica visibile del diritto, oggi. Una metafora alternativa (che ho usato in alcuni miei precedenti lavori) è ‘particelle elementari’ o, semplicemente, ‘particelle’, ma nessuna delle due ha resistito a una veri ca più stretta. Non ‘particelle’, perché le particelle non esistono neanche nella sica delle particelle, dove ‘particelle elementari’ sono particelle la cui sottostruttura non è conosciuta (in modo simile a come era in passato per gli atomi), e perché esse, usate come metafora, alluderebbero a qualcosa di troppo piccolo per il diritto7, almeno nell’ottica adottata in questo lavoro (forse potrebbero soddisfare un sostenitore della trasformazione dell’intero diritto in linguaggio formale). Al contrario una molecola è tradizionalmente de nita nel modo seguente: Molecules are made up of two or more atoms, either of the same element or of two or more different elements, joined by one or more covalent chemical bonds. According to the kineticmolecular theory, the molecules of a substance are in constant motion. e state (solid, liquid, or gaseous) in which matter appears depends on the speed and separation of the molecules in the matter. Substances differ according to the structure and composition of their molecules. A molecular compound is represented by its molecular formula; for example, water is represented by the formula H2O. A more complex structural formula is sometimes used to show the arrangement of atoms in the molecule. Molecules differ in size and molecular weight as well as in structure. In a chemical reaction between molecular substances, the molecules are oen broken apart into atoms or radicals that recombine to form other molecules [corsivo mio], i.e., other substances. In other cases, two or more molecules will combine to form a single larger molecule, or a large molecule will be broken up into several smaller molecules. Molecules can assume many shapes and sizes8. Quindi una molecola può essere più riconoscibile come un’entità giuridica, piccola e di grana ne, dotata però di un sufficiente grado di speci cazioni, da essere compatibili con un valore normativo (come ‘contratto’, ‘consenso informato’ oppure ‘contratto swap’) e rimanendo abbastanza essibili da permettere cambiamenti e combinazioni, considerato che, come si è visto sopra, in una reazione chimica «le molecole si rompono spesso in atomi o radicali che si ricombinano per formare altre molecole», una proprietà che può tornare utile nella nostra descrizione. Nell’ambiente dell’interoperabilità giuridica (vedi avanti, paragrafo 8), le molecole potrebbero avere un’ulteriore speci cazione: a) «grandi molecole» (questo potrebbe essere il caso di «consenso informato», «contratto swap» e simili), b) «molecole regolari» (come «contratto» e simili) e c) «sottomolecole», dove i componenti atomici della molecola guadagnano il primo piano (come «proibizione», «autorizzazione» e simili concetti giuridici molto nemente dettagliati, che hanno meno limiti nel collegarsi con altre entità ancora diverse nel loro genere). In conclusione, l’uso della parola «molecola» come metafora serve solo a evocare una suggestione di granularità ne nel diritto, che comporta alcune conseguenze: – Esso non implica che tutte le caratteristiche e le dinamiche del concetto chimico/ sico abbiano una precisa corrispondenza nel mondo del diritto. – Non è un modo di prendere una posizione nel dibattito scienti co sulla struttura della materia. – In un certo senso è semplicemente una metafora tratta da un concetto scienti co manipolato, che può aiutare a chiarire alcune idee e ispirazioni della Mol. Non bisogna sorprendersi di questa manipolazione. Gli aspetti non formali sono importanti anche nelle teorie scienti che: «molte componenti della struttura di una teoria, come metafore, analogie, valori e opinioni politiche hanno una natura non matematica e ‘informale’, e rimangono implicite o nascoste»9. 2.2 Qualsiasi tipo di diritto Uso la parola «diritto« nel suo senso più ampio di ‘insieme di norme’ espresse in qualsiasi modo, con parole o in qualsiasi altro modo. Per il rapporto tra norme e istituzioni si veda avanti il paragrafo 4.1.3). Riferirsi a «qualsiasi tipo di diritto» è cruciale nella prospettiva del diritto molecolare: lavorare a livello di molecole ha senso solo se il diritto molecolare è in grado di a) comprendere qualsiasi tipo di manifestazione giuridica (almeno potenzialmente) e b) dare una spiegazione che altre teorie non sono in grado di dare. Il punto è sviluppato più avanti. Lavorare a un livello micro è una necessità, similmente a quanto accade in tutte le discipline quando differenti incompatibili teorie spiegano parzialmente i fenomeni e l’unica speranza è quella di andare a un livello ancora più piccolo di granularità allo scopo di guadagnare una visione più ampia e capace di comprendere entità diverse. 2.3 Non necessariamente spiegabile in termini lineari/deterministici Il problema non è decidere se il diritto è o non è spiegabile in termini deterministici, come, ad esempio, se il diritto, tutto il diritto, sia computabile o meno. La prospettiva molecolare assume di essere in grado di comprendere ciò che è spiegabile in termini deterministici e ciò che non lo è10. È una questione di dimostrazione teorica ed empirica per mostrare questa proprietà. 2.4 Una fenomenologia del diritto oggi La Mol può essere considerata una fenomenologia del diritto oggi. Più esattamente è una fenomenologia dell’attuale stato del diritto, profondamente intrecciato con la tecnologia. Una condizione che è più evidente nei Paesi sviluppati. Questo approccio consente di esaminare attentamente le difficoltà delle teorie tradizionali del diritto nel fornire una spiegazione soddisfacente ai problemi del diritto oggi. Una precisazione preliminare va data a proposito di diritto e tecnologia. Come si è visto già nei capitoli precedenti, considerare l’impatto della tecnologia sulla società come un problema ‘nuovo’ è contrario a quanto insegna il passato, essendo la tecnologia coessenziale all’umano11. Dal punto di vista della storia della tecnologia e dell’evoluzione, la situazione è più complessa e interessanti intuizioni potrebbero venire dal concetto di costruzione di nicchia. Vale la pena citare un brano di un autore profondamente coinvolto nell’attuale dibattito sulla teoria evoluzionistica: Organisms are not passive entities, malleable at will by selection. e metabolic and behavioural activities of biological populations (to build a termite mound, to erect a dam on the river, or to pursue a cultural and technological advancement) change the ecological niches, thus in uencing the environmental resources and the selective pressures that in turn retro-act on organisms themselves. Such a process produces a recursive phenomenon, called ‘niche construction’, which according to the reformists […] is essential in evolution. Organisms actively change their environment and the environments selectively change organisms. It means that the organism is an active player who co-directs its own evolution, systematically changing the environments and thus in uencing the frame of selective pressures. If this is true, then any biological population inherits from the previous generation not only a package of genes, but also an amended ecological niche. Inheritance is then inclusive and multiple: genetic, epigenetic, ecological and cultural12. Pertanto, bisogna ammettere che viviamo in un ambiente altamente tecnologizzato e questo vale anche per il diritto, tanto che parlare di tecnologia in sé, almeno in termini giuridici, non ha alcun senso. 3. I quattro stati essenziali del diritto oggi Lo stato in cui si trova il diritto oggi, e che viene descritto qui di seguito in quattro partizioni, non è sempre il risultato dell’avvento di nuove tecnologie: la tecnologia, quindi, non è detto che in tutti i casi sia una condizione necessaria e sufficiente dello stato del diritto oggi. Spesso la tecnologia funziona piuttosto come un acceleratore di dinamiche giuridiche interne, che a causa dello sviluppo tecnologico diventano più evidenti. Nella prospettiva della teoria molecolare del diritto, i principali ‘stati’ (nel senso di ‘condizione in cui si trova’) del diritto oggi sono i quattro presentati qui di seguito: I. Il diritto è un insieme di ‘molecole giuridiche’ (frammentazione). II. Il diritto non è gerarchicamente strutturato (la gerarchia, quando esiste, non è necessariamente stabile e/o vincolante). III. Il diritto è ampiamente digitalizzato e immerso in un ambiente globale altamente tecnologico. IV. Il diritto è, e presumibilmente sarà, multilingue. 4. Il diritto è un insieme di ‘molecole giuridiche’ (frammentazione): primo ‘stato’ essenziale Guardare l’attuale realtà del diritto in tutto il mondo con la vecchia lente delle categorie giuridiche tradizionali porterebbe a scrivere un lungo elenco di eccezioni e ad aumentare il livello di frustrazione teorica. In effetti, se volgiamo lo sguardo al concetto di sovranità di Westfalia, si potrebbe concludere che qualcuno ci ha gettato nel pianeta sbagliato. Secondo il primo stato essenziale, il diritto appare come un insieme di molecole giuridiche, ognuna delle quali, alla sua scala, ha un numero di caratteristiche molto scarso. Tale status impoverito rende ogni molecola giuridica in grado di stabilire un’elevata quantità di connessioni, nello spazio e nel tempo, e di interagire con molte altre molecole, a volte anche diverse nel genere o nel modo in cui sono espresse (come è evidente per le lingue diverse). Il diritto emerge come un insieme di molecole giuridiche all’esito di un processo di frammentazione giuridica. L’essere frammentato e molecolare sono caratteristiche strettamente collegate all’essere digitalizzato (terzo ‘stato’), ma non strettamente consequenziali a esso. Infatti, la frammentazione si è manifestata (si pensi alla descrizione di Jessup, vedi Capitolo 6 e avanti) prima dello sviluppo pervasivo della tecnologia informatica e, quindi, può essere considerata una caratteristica che dal punto di vista concettuale è relativamente autonoma dalla tecnologia. La frammentazione è una condizione del diritto, che è sia a) empiricamente osservabile, sia b) spiegabile in termini teorici. Nel paragrafo qui di seguito vengono presentati alcuni elementi di questa osservazione. Nel paragrafo successivo viene presentato uno schizzo di alcuni background teorici che, anche se incapaci o non intenzionalmente in grado di dare una risposta esaustiva a quanto descritto come frammentazione, incorporano una visione dell’esperienza empirica, che è coerente con o, almeno, non in contrasto con quanto descritto come frammentazione. La frammentazione come fenomeno e i singoli frammenti, nonché la loro forma, non sono una volta per sempre. Lo stesso frammento/molecola potrebbe mostrare uno stato diverso, anche in natura, in un’ulteriore aggregazione con molecole diverse in diverse condizioni di spazio e situazione (come si è visto sopra nella descrizione chimica delle molecole). 4.1 La frammentazione come condizione empirica osservabile del diritto In questo paragrafo sono elencati diversi fenomeni osservabili empiricamente, che oggi possono essere considerati prove dello stato di frammentazione del diritto. Qui di seguito se ne riportano alcuni. Il diritto transnazionale. Già nel 1956 veniva descritta l’esistenza di a) qualcosa (azioni ed eventi) che accade oltre i limiti dei con ni nazionali e b) del diritto che regola tali azioni ed eventi al di là delle categorie legali standard. Philip Jessup coniò l’espressione ‘diritto transnazionale’ per includere «il diritto che regola azioni e eventi che trascendono le frontiere nazionali. Sono inclusi il diritto internazionale sia pubblico sia privato, così come altre norme che non rientrano in queste categorie standard»13. Bene, tale diritto (a quel tempo non concettualizzato nella dottrina giuridica) è strutturalmente in una condizione instabile, cioè la condizione di frammenti staccati dal corpo disciplinare del diritto da cui provengono (o si pensa che dovrebbero provenire), funzionanti e in attesa di collocazione. Oggi l’esistenza di ussi di standard e concetti giuridici attraverso i con ni nazionali è un fatto non più posto in discussione e al centro di una vivida discussione nella comunità internazionale di giuristi, studiosi e giudici14. L’atteggiamento verso una realtà così magmatica ha attualmente acquisito la posizione di un discrimine nel dibattito giuridico internazionale. Harold Hongju Koh sostiene che la distinzione tra nazionalisti e transnazionalisti ha sostituito negli Stati Uniti quella tradizionale tra nazionalisti (dei singoli Stati) e federalisti: e transnationalist and the nationalist philosophies differ, inasmuch as the transnationalists tend to believe in the political and economic interdependence of nations, while nationalists focus instead on preserving U.S. autonomy. e transnationalists recognize that international and domestic law are merging into a hybrid body of transnational law, while nationalists preserve a rigid division between domestic and foreign law. Transnationalists believe that domestic courts have a critical role to play in incorporating international law into domestic law, while the nationalists claim that only the political branches are authorized to domesticate international legal norms. e transnationalists argue that U.S. courts should use their interpretive powers to help develop a global legal system, while nationalists believe that courts should focus solely on the development of a U.S. legal system. And nally, transnationalists see the power of the executive branch as constrained by the concept of comity and by the institution of judicial review, while the nationalists would have federal courts give extraordinarily broad deference to executive power in matters of foreign affairs15. Parole profetiche, verrebbe da dire con il senno del poi e pensando alle politiche dell’attuale amministrazione americana. In breve, Koh sostiene (tra gli altri aspetti) che le loso e transnazionaliste e nazionaliste differiscono, in quanto i transnazionalisti tendono a credere nell’interdipendenza politica ed economica delle nazioni, mentre i nazionalisti si concentrano sulla conservazione dell’autonomia degli Stati Uniti. I diritti umani. I diritti umani sono una questione che tradizionalmente va oltre i con ni nazionali. Mentre il diritto internazionale, per sua natura originaria (si potrebbe dire), mira a proteggere i valori e gli interessi degli Stati, il diritto internazionale dei diritti umani (incluso il diritto internazionale umanitario e il diritto penale internazionale) mette sempre più alla prova i principi di base del diritto internazionale generale, tanto che «per essere accettato come diritto della comunità mondiale, il diritto internazionale generale deve ri ettere meglio i valori e gli interessi di una più ampia gamma di attori, incluso l’individuo»16. Presenterò qui di seguito solo tre esempi, rilevanti alla luce di questo lavoro. In primo luogo, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, entrata in vigore il 3 settembre 1953 «è stata il primo strumento internazionale che ha dato effettività ad alcuni dei diritti riconosciuti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e a renderli vincolanti»17. Da allora gli individui hanno diritto di chiamare in giudizio, davanti alla Corte internazionale EDU, il proprio Stato, perché responsabile della violazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione, e, di fatto, usano questo diritto con grande ampiezza18. Il ruolo dei cittadini e degli individui quali esseri umani nell’arena internazionale è una novità giuridica straordinaria, se si considera che, secondo la tradizione giuridica, i soggetti del diritto internazionale sono solo gli Stati (e organizzazioni analoghe)19. Gli Stati nazionali ora hanno il dovere di conformare la propria legislazione alle disposizioni della Convenzione e la Corte ha il compito di controllare la coerenza delle norme giuridiche nazionali interne. Questa è un’ulteriore conferma dell’instabilità del diritto nazionale. Il fatto che la Corte possa porre nel nulla un atto legislativo nazionale, isolandolo dal suo contesto e valutandolo alla luce di criteri che superano la legittima emanazione da parte degli organi costituzionali interni (la Corte ha creato un nuovo standard legale per de nire ciò che, indipendentemente dal nome, è legge nell’area dei Paesi rmatari della CEDU20) può essere considerato un caso evidente di frammentazione del diritto interno/internazionale. La Convenzione interamericana sui diritti umani (istituita nel 1979), e la relativa corte, sono ispirate a criteri simili a quelli della Corte europea, anche se esistono rilevanti differenze. I soggetti legittimati a presentare petizioni sono le persone (non è necessaria la quali ca di ‘vittima’) o gruppi di persone, e anche organizzazioni legalmente riconosciute in uno dei Paesi membri: Le decisioni rese in sede contenziosa sono vincolanti e inappellabili, salva l’ipotesi in casi eccezionali di una revisione del giudizio; l’eventuale condanna dello Stato per la presenza nell’ordinamento di una norma incompatibile con la Convenzione implica l’obbligo per lo stesso di rimuoverla ovvero modi carla per renderla coerente con la Convenzione. […] la Corte può utilizzare come parametro non solo la Convenzione, ma anche le garanzie contenute nelle norme internazionali sui diritti umani presenti negli altri trattati ‘vigenti’ negli Stati membri dell’OAS21. La Corte è un organo composto di sette membri designati dagli Stati che hanno rati cato la Convenzione ed è titolare di funzioni contenziose e di funzioni consultive. Il caso Barrios Altos contro il Perù ha segnato l’evoluzione della Corte. Esso trae origine dal «massacro di quindici civili durante un intervento da parte di membri dell’esercito peruviano e il successivo tentativo del regime di Fujimori di approvare leggi di amnistia per proteggere gli autori da azioni penali». La Corte ha ritenuto che lo Stato abbia violato la Convenzione interamericana sui diritti umani e «ha sottolineato che le leggi sull’autoamnistia provocano la mancanza di difese delle vittime di violazioni dei diritti umani e provocano l’impunità per gli autori. Di conseguenza, tali leggi contravvengono direttamente agli obiettivi e allo spirito stesso della Convenzione americana». Nel suo parere concorde, il giudice Antônio Augusto Cançado Trindade ha affermato che «nel parere consultivo della Corte interamericana dei diritti umani del 1986, la Corte ha stabilito che la parola ‘legge’, come indicato nell’articolo 30 della Convenzione, richiede che i suoi contenuti riguardino il benessere generale e che le leggi statali di amnistia, consentendo ai funzionari statali di coprire le violazioni dei diritti umani, erano direttamente contrarie al benessere generale. Pertanto, le leggi sull’amnistia non avevano validità legale secondo i principi del diritto internazionale dei diritti umani»22. Al commento sopra effettuato per la CEDU si può aggiungere che decisioni come questa contengono una valutazione penetrante del contenuto della legge e una serie di ordini di riparazione, che rendono molto forte l’ingerenza della Corte nell’ordinamento interno del singolo Stato. Sovranità nazionale come responsabilità. I fenomeni transnazionali sono comuni a tutti i campi del diritto. Nel diritto internazionale, in occasione della crisi della ex Jugoslavia, fu elaborata in ambito ONU la teoria della responsabilità degli Stati di proteggere i propri cittadini e, in caso di inadempienza, del dovere di intervento da parte della comunità internazionale23. Una proposta più recente condivide l’idea che sia necessario rinnovare il concetto di sovranità nazionale costruito intorno alle prerogative degli Stati (risalente alla pace di Westphalia), ma cerca di risolvere il problema per una via diversa, recuperando il concetto di sovranità in chiave di ‘obbligazioni sovrane’: What goes on inside a country can no longer be considered the concern of that country alone. Today’s circumstances call for an updated operating system – call it World Order 2.0 – that includes not only the rights of sovereign states but also those states’ obligations to others. Such a concept of «sovereign obligation», it is worth pointing out, differs from the notion of ‘sovereignty as responsibility’, which lies at the heart of the legal doctrine known as ‘the responsibility to protect’ [and] clearly represents a potential infringement on classic Westphalian sovereignty […]. By contrast, sovereign obligation is about what a country owes to other countries. It stems from a need to expand and adapt the traditional principles of international order for a highly interconnected world24. Alla luce di questo lavoro, entrambi gli approcci, anche se concettualmente diversi (basato il primo – duty to protect – sul valore prevalente dei diritti umani e, il secondo, su una ride nizione delle regole internazionali circa la sovranità degli Stati), implicano che la legittimità e il rispetto dell’attività nazionale potrebbero avere una doppia vita. Una ‘legittimità nazionale interna’, secondo il suo sistema giuridico, e, allo stesso tempo, una ‘illegittimità internazionale’, secondo considerazioni di fatto che l’ordine internazionale considera rilevanti. Naturalmente, si tratta di questioni molto discutibili e tale discutibilità è conferma del fenomeno della frammentazione: gli Stati nazionali sembrano porosi e l’effetto è la mancanza di stabilità e certezza delle norme giuridiche. In conclusione, questa breve carrellata mostra che molti eventi che si veri cano in ambito internazionale e una vasta bibliogra a descrivono diversi aspetti delle dinamiche transnazionali, attraversate oggi da alcune tendenze che meritano tuttavia di essere chiarite immediatamente: mi riferisco a globalizzazione (giuridica) e multilateralismo. 4.1.1 Globalizzazione e multilateralismo: fine o cambiamento Tra gli studiosi che lavorano sul transnazionalismo e la globalizzazione del diritto era senso comune che «il diritto è stato tradizionalmente la provincia dello Stato nazionale, i cui tribunali e la polizia provvedono a applicare. Al contrario, il diritto internazionale è stato relativamente debole, con scarsi poteri di applicazione effettiva. Ma la globalizzazione sta cambiando i contorni del diritto e creando nuove istituzioni e norme giuridiche globali»25. Ora la situazione sembra cambiata radicalmente e si parla apertamente di ne della globalizzazione26. La globalizzazione o non è più o sembra trasformarsi in qualcosa di diverso da quel sinonimo di ‘americanizzazione’ del mondo, di cui si è parlato no a un certo punto. Il tutto accade su uno sfondo di un ‘mondo alla rovescia’, in cui a tratti è la Cina a presentarsi come garante di globalizzazione e multilateralismo e, in molti Paesi dell’Unione Europea (Italia tra i primi!) e negli Stati Uniti, un’ondata politica pone gli interessi e la sovranità nazionali in primo piano (first) nell’agenda politica, come reazione alla globalizzazione economica e al suo impatto sulle classi medie occidentali. Due sembrano essere gli sviluppi possibili. In una prima prospettiva, sarebbe solo una questione di tempo: in pochi anni l’ondata della globalizzazione perderà de nitivamente forza e anche le istituzioni accademiche e culturali si allineeranno con la tendenza politica. A favore di questa posizione, c’è l’idea del ‘ritorno della storia’27 e vi è, anche, qualche segnale nel mondo accademico. In un’altra prospettiva, si può pensare che i fenomeni transnazionali siano così radicati nell’attuale modo di vivere e fare affari e nella tecnologia, tanto che dovrà essere l’ondata politica ad allinearsi, alla ne, con la tendenza sociale e culturale globale. In questa ottica, vi sarebbe solo la ‘ ne’ di una fase della globalizzazione, mentre il mondo rimarrà, in un modo o nell’altro, collegato più che in passato. Se s’indagano meglio alcune dinamiche economiche alla base della globalizzazione e si adotta uno sguardo di lungo periodo, potrebbero esservi pro li e possibilità diversi. L’economista Richard Baldwin parte dalla situazione in cui si trovavano le economie locali quando i trasporti, a causa della loro lentezza, rendevano necessario che il luogo del consumo delle merci fosse prossimo a quello di produzione, in modo tale che produzione e consumo erano forzosamente uniti, impacchettati. Tutta la storia successiva è la storia di progressivi spacchettamenti dei «tre costi determinati dalla distanza: i costi del trasporto di beni, del trasporto di idee e del trasporto di persone»28. Per esempio, la Rivoluzione industriale (inizio XIX secolo) ha visto un drastico ridursi dei costi di trasporto, mentre quelli della circolazione delle idee e delle persone sono rimasti molto cari. All’inizio degli anni Novanta del XX secolo ha inizio una nuova fase della globalizzazione (quella che sarebbe oggi esaurita e che, nel lessico di Baldwin, è il «secondo spacchettamento») ed è segnata dalla rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che ha ridotto drasticamente il costo di trasferimento delle idee. Nell’economia ciò «comporta la separazione delle fabbriche a livello internazionale» e, con esso, una ride nizione dei con ni internazionali della conoscenza: «Oggi i contorni della mappa della competitività sono de niti sempre più dalle reti internazionali della produzione, anziché dai con ni nazionali». A questo punto, risolto il trasferimento di beni e di idee, quello che rimane alto è il costo del trasferire persone, in quanto collegato alle retribuzioni dei manager e dei tecnici, anche se le tariffe aeree sono scese. Ma vi sono due sviluppi tecnologici che potrebbero cambiare lo scenario consentendo di separare sicamente le prestazioni di lavoro dei lavoratori: Il primo sarebbe costituito dalla creazione di strumenti in grado di sostituire efficacemente persone che si spostano da un Paese all’altro per fornire brain services. Queste tecnologie, note come ‘telepresenza’, non sono fantascienza. Esistono già ma sono molto costose. Il secondo sviluppo sarebbe costituito dalla realizzazione di strumenti in grado di sostituire efficacemente persone che si spostano da un Paese all’altro per fornire servizi manuali. Questo sistema è detto ‘telerobotica’ e prevede che un operatore diriga da un certo luogo dei robot che operano altrove. La telerobotica esiste già, ma è ancora molto costosa e i robot sono poco essibili. […] Ad esempio, ingegneri giapponesi potrebbero riparare beni strumentali in Sudafrica controllando so sticati robot da Tokyo. La posizione di Baldwin supera l’alternativa globalizzazione no/sì e ne vede piuttosto l’evoluzione sulla base dello sviluppo tecnologico. Alla ne, conferma la ne delle frontiere degli Stati nazionali, piuttosto che una loro ripresa di importanza. I loro margini di manovra rimangono ridotti e presumibilmente dovranno cambiare. A tale proposito, e ripensando alla diffusissima richiesta/manifestazione di bisogno di introdurre regole su IA e tecnologie (vedi Capitolo 2), un solo Stato, per grande che sia, difficilmente potrebbe avere questa capacità, mentre si tratta di un bisogno che può trovare risposta a livello di cooperazione tra Stati, cosa non facile nel nazionalismo trionfante di questi giorni, ma unica prospettiva realistica. Altro aspetto interessante messo in evidenza da Baldwin è l’individualizzazione delle situazioni economiche: la posizione di vincente o perdente non si distribuisce tra Stati, ma tra settori economici all’interno degli stessi Stati, no ad arrivare ai singoli lavoratori, le cui prestazioni si separano sicamente dal luogo sico in cui essi si trovano e da essi stessi, in qualche modo. Tutti questi fattori vanno nel senso della frammentazione/ricomposizione economica e sociale indotta dalle nuove tecnologie, un fenomeno che si collega e accompagna alla frammentazione giuridica. Una visione plausibile potrebbe essere che il nazionalismo oggi dilagante possa cambiare la politica (in senso protezionistico), ma non possa restituire coerenza e armonia a ordini giuridici nazionali disaggregati per effetto di fenomeni di lunga durata. La frammentazione del diritto sembra essere un fenomeno storico di lungo termine, più profondo, e in un certo senso di natura diversa, che potrebbe durare nonostante il vento soffi contro, in super cie. Alla ne non bisogna dimenticare che i cicli economici sono di solito meno lunghi di quelli politici (e geopolitici), che hanno cicli nettamente di maggiore durata. I mutamenti giuridici, a loro volta, sono più lenti di quelli geopolitici e di periodo ancora più lungo. In termini teorici è importante che una teoria giuridica si rapporti ai movimenti di questi strati meno super ciali e sia, quindi, in grado di fornire una descrizione che possa essere in grado di resistere almeno alla svolta successiva della storia. 4.2 La frammentazione del diritto come è presupposta da rilevanti teorie Lo stato di frammentazione del diritto è (direttamente o indirettamente) esplicitamente o implicitamente, tra i presupposti di parti importanti della teoria generale del diritto. Qui di seguito mi limito a fare solo alcuni richiami a importanti autori che confermano la visione sostenuta in questo lavoro29. Hans Kelsen, nei suoi scritti autobiogra ci, racconta in modo discorsivo la progressiva sua scoperta della identità tra diritto e norma e, quindi, dell’identità tra sistema giuridico e norma e, in ne, tra Stato e norma: […] il diritto è per sua natura norma, e […] ogni teoria giuridica deve presentarsi come una teoria delle norme, come una dottrina delle norme giuridiche, e, in quanto tale, come una dottrina del diritto oggettivo, cioè positivo. […] Da questa concezione ricavai il signi cato totalmente normativo, e non psicologico, del concetto di volontà proprio della teoria giuridica. Dalla convinzione che il diritto fosse necessariamente norma risultò inoltre che ogni diritto soggettivo deve essere ricondotto al diritto oggettivo, e che va quindi abolito il dualismo tra diritto soggettivo e diritto oggettivo, così dannoso alla nostra sistematica. Bisognava passare dall’opposizione tra due sistemi […] a una distinzione intrasistematica. Incontrai un’esigenza del tutto analoga nel dualismo tra diritto pubblico e diritto privato. […] La mia critica mirante alla purezza del metodo giuridico si scontrava […] soprattutto con il sincretismo di un approccio giuridico che si accostava alle norme e al loro contenuto commista a una visione sociologica o psicologica, rivolta cioè all’effettivo compimento dell’individuo e al suo realizzarsi secondo le leggi naturali. […] mi resi conto anche del terzo dualismo, ancor più signi cativo dei precedenti, che sta alla base della dottrina dominante: il dualismo tra Stato e diritto, sul quale si fondano le due dicotomie già enunciate del diritto soggettivo e oggettivo, nonché del diritto pubblico e privato. […] mi portarono all’importante concezione della necessaria unità sistematica di tutte le norme di diritto positivo presupposte come valide30. Per Kelsen esiste un solo sistema giuridico, che include nella sua unica gerarchia normativa sia il diritto interno che quello internazionale. La natura unitaria dell’universo giuridico (e il primato al suo interno del diritto internazionale) è per Kelsen un’opzione molto generale a sostegno dell’oggettività della conoscenza: presuppone una ‘ragione oggettiva universale’. In questa epistemologia dell’unità e dell’obiettività della scienza del diritto, la dimensione della soggettività statale, e persino l’individuo e i suoi diritti fondamentali, sono subordinati all’oggettività del sistema legale universale31. La posizione teorica di Kelsen implica una visione del diritto che appare uniforme e distribuita in un solo sistema. Il diritto mostra un’elevata granularità, che potrebbe essere compatibile con l’idea di entità frammentate, ma in Kelsen esse ritrovano unità all’interno di un sistema unico. Distinzioni e differenze sono intra-sistematiche. Il quadro cambia radicalmente nel diritto dell’ultimo Kelsen, quello della General eory of norms, dove viene meno il collante sistemico e la gerarchia come ordine interno. La norma si riduce ad atto di volontà32, non conoscibile razionalmente e persino non comunicabile. Questa visione è perfettamente compatibile con quella della frammentazione del diritto e, come si vedrà più avanti, con quella della assenza di gerarchia33, che è alla base della visione molecolare del diritto qui proposta. Il fatto che nel diritto si trovino, oltre alle norme, anche istituzioni il cui compito è creare il diritto (legislatori), applicarlo (giudici e apparati amministrativi) e farlo rispettare (polizia) non risponde alla domanda su quale sia la natura di quelle istituzioni e sulla base di quale entità operino: perché, se operano secondo norme e sono stati istituiti mediante atti normativi, quelle istituzioni ben possono essere particolari aggregazioni di norme, altrimenti non si saprebbe dove reperire il criterio di fondazione e di funzionamento. Né, d’altra parte, il fatto che esistano svariati tipi di norme sembra essere incompatibile con la visione del diritto, a un livello molto generale e di prima analisi, come insieme di norme. Sul rapporto tra rules e legal system (inteso come ‘insieme di norme’) è interessante la visione di Frederick Schauer, che nella sua fondamentale opera Playing by the rules (1991) coglie ulteriori interessanti sfumature. Il diritto è un sistema di regole, anche se, secondo la sua visione molto rigorosa di rule, il sistema utilizza altri strumenti che sono giuridici, ma non sono rules, come best interest e equity34. 4.3 Tre commenti su Jessup, Kelsen e Slaughter Sulla frammentazione come stato attuale del diritto si può dire che Philippe Jessup dà una descrizione dell’esistenza di entità giuridiche che sfuggono alle partizioni disciplinari classiche del diritto. È degna di nota la chiarezza della sua visione più che la sua consistenza teorica. Il diritto transnazionale è descritto come un contenitore semantico capace di comprendere parti di diritto che si trovano in una condizione di disagio nelle discipline dalle quali provengono. E anche oggi si può dire che l’approccio transnazionale costituisca una buona descrizione della gran quantità di eccezioni che si possono registrare alla tradizionale idea di Stato nazionale, che però non offre un coerente quadro concettuale per queste eccezioni. Quindi, quella di Jessup è una descrizione della realtà del diritto, che, pur molto diversa come consistenza teorica, condivide con quella di Kelsen l’abbandono delle tradizionali partizioni disciplinari e dei con ni nazionali. Ai ni di questo lavoro, Kelsen è importante per la sua concezione secondo la quale tutto è norma, indipendentemente dalle discipline e dalle categorie giuridiche (e istituzioni). Potremmo dire che Kelsen ha una concezione molecolare del diritto, a qualunque categoria esso appartenga. Tuttavia, il suo approccio è, almeno no alla Teoria generale delle norme, unitario e fortemente gerarchico, con il diritto internazionale in una posizione di primato. All’inizio del nuovo millennio, una studiosa americana di diritto internazionale elabora l’idea del transgovernmentalism per descrivere lo stato in cui versavano le istituzioni statali a fronte della globalizzazione. La proposta, sebbene controversa, aveva una forza esplicativa innegabile per quanto riguarda lo stato attuale di istituzioni, soggetti e agenzie. Tuttavia, il transgovernmentalism, che si occupava essenzialmente della disaggregazione degli Stati nazionali, ha lasciato inesplorata la disaggregazione dei sistemi giuridici, dei corpi di leggi, dell’insieme di regole e delle loro gerarchie interne. In altre parole, il passaggio che propongo va dalle istituzioni (come gli Stati nazionali) a regole e set speci ci di regole. A mio avviso, le domande cruciali sono se possiamo dire che i sistemi giuridici siano disaggregati e che cosa questo signi chi. In caso affermativo, quale sia il risultato di questo fenomeno di frammentazione (si potrebbe dire ‘cosa resta sul terreno’) e come interagiscano tra loro questi residuati (molecole?)35. In conclusione del primo ‘stato’ del diritto, come assunto dalla teoria molecolare, si può dire che ciò che è molecolare è la descrizione e l’analisi del risultato della fase distruttiva (frammentazione), dove il primo obiettivo e problema era quello di disaggregare i componenti e di mostrare l’essenziale granularità di ciò che si supponeva che fosse compatto e omogeneo. Sembra giusti cata, sia empiricamente, sia a livello teorico, la tesi che il diritto globalmente considerato possa essere descritto come un insieme di molecole giuridiche. 5. Secondo ‘stato’ essenziale: il diritto non è organizzato in modo stabilmente gerarchico Ogni atto legislativo, norma giuridica o precedente giudiziario vincolante non ha più un posto sicuro (all’interno di un Codice, Commentario o case book) e i suoi rapporti con il sistema nel suo insieme e con altre norme (più ampie o più ristrette, superiori o subordinate) diventano plurali e talora non chiari. È come se ogni disposizione, norma giuridica, articolo avesse più vite, una regolare (data dalla sua collocazione originaria nel Codice, Commentario o case book) e altre adulterine. In queste altre vite acquisiscono nuovi signi cati, nuovi contenuti normativi secondo fonti esterne di legge, indipendentemente dal fatto che si tratti di regole costituzionali, trattati sovranazionali, norme giuridiche straniere o giurisprudenza, e così via. Questi rapporti tendono a legittimarsi sul solo fatto della loro esistenza. Questo quadro sintetico è collegato alle dinamiche di frammentazione (sopra descritte), perché le seconde e terze vite sono rese possibili proprio dall’emergere di una granularità più ne del diritto, dove elementi che facevano parte di un aggregato, considerato no a ieri compatto, acquistano autonoma visibilità e vita. 5.1 Fenomenologia dell’assenza di gerarchia L’assenza di gerarchia è evidente per effetto della pluralità di fonti concorrenti nella medesima area geogra ca e su materie affini. Il caso emblematico è costituito dall’art. 53 della Carta di Nizza, per la cui descrizione mi avvalgo di mie precedenti ricerche36. La Carta di Nizza e la CEDU sono due fonti sovranazionali (sia pure a diverso titolo e ampiezza), che condividono larga parte delle previsioni e che, proprio per questo, pongono delicati problemi. Per esempio, come avvengono i travasi dall’una all’altra, visto che la CEDU impegna tutti i Paesi del Consiglio d’Europa, mentre la Carta soltanto il più ristretto gruppo dei Paesi dell’Unione Europea? E poi, visto che i cittadini dei diversi Paesi UE sono titolari dei diritti e delle libertà riconosciuti dalle loro Costituzioni nazionali e anche di quelli europei che derivano dalla Carta di Nizza, quali norme prevarranno in caso di con itto o diversità tra i due testi? Gli estensori della Carta di Nizza si sono posti il problema e hanno introdotto una speci ca clausola di salvaguardia, secondo la quale «nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti […] dalle Costituzioni degli Stati membri» (art. 53: Livello di protezione). La clausola risolve un punto fondamentale: in caso di contrasto tra Carta e Costituzioni nazionali, non prevale la fonte astrattamente di grado superiore (e cioè la Carta), ma quella che garantisce il maggiore livello di protezione, di modo che la Carta possa solo incrementare le tutele e mai limitare quelle esistenti a livello nazionale. Tuttavia, l’aver superato la gerarchia formale, e stabile, apre a una serie di problemi circa i criteri sulla base dei quali si ridisegna la nuova gerarchia e a opera di chi. Per esempio, ci si può chiedere se le disposizioni della Carta debbano essere raffrontate ai soli testi delle Costituzioni degli Stati membri o anche alle interpretazioni che delle norme costituzionali hanno dato i giudici, costituzionali e non, dei diversi Paesi. E se la risposta è affermativa, come pare ragionevole, è inevitabile rilevare che la decisione sulle limitazioni o sulla ampiezza dei diritti e delle libertà fondamentali nisca con l’essere, ancora una volta, materia di interpretazione giurisprudenziale, con le sue naturali oscillazioni. Un problema simile si era posto anche per la Convenzione di Oviedo, il cui art. 27 prevede un’analoga clausola di salvaguardia, secondo la quale nessuna disposizione della Convenzione «può essere interpretata nel senso di limitare o interferire in qualche modo con la facoltà di ciascuna parte rmataria di garantire […] una tutela più intensa di quella prevista dalla presente Convenzione». Anche in questo caso la valutazione dell’intensità della tutela è operazione concettuale di particolare complessità e i concetti di wider e di plus étendue, dei testi ufficiali inglese e francese, non potranno che essere valutati dai giudici nella loro quotidiana opera interpretativa. In entrambi i casi (per la Carta come per la Convenzione di Oviedo) non sarà sempre facile stabilire una gerarchia di ampiezza o intensità di protezioni e garanzie. Se si considera che le autorità con le quali l’individuo si confronta (e che possono porre limiti ingiusti cati a quei diritti) possono avere natura diversa, e che un conto è stabilire, per esempio, se vi siano maggiori garanzie verso un potere coercitivo di tipo sanitario (dove l’operazione è relativamente semplice, data la natura autoritaria del rapporto e il carattere verticale della relazione) e un conto è stabilire una scala gerarchica di garanzie in relazioni orizzontali o di tipo negoziale (come, per esempio, nel campo medico, nella riproduzione assistita o nei test genetici), si deve allora dedurre che la scala sulla quale si colloca una certa protezione (e quindi la sua intensità) sia inevitabilmente frutto di scelte interpretative rimesse ai giudici. In conclusione, se si esamina, alla luce delle rispettive clausole di salvaguardia, l’intreccio tra Carta di Nizza, Convenzione di Oviedo e ordinamento nazionale, e se si considera che il funzionamento di tali clausole coinvolge direttamente l’interazione tra diritto di formazione legale, sue interpretazioni giurisprudenziali e diritto di formazione giurisprudenziale, emerge come la de nizione del livello delle libertà e dei diritti individuali sia frutto di un intersecarsi particolarmente complesso di elementi, ciascuno dei quali ha, a sua volta, una notevole mobilità37. Il che comporta il venir meno di ogni gerarchia che abbia carattere di stabilità, poiché le scelte assiologiche del singolo interprete avranno capacità ordinante tra due fonti di rango costituzionale. Sulla questione della relazione tra Costituzioni nazionali e fonti normative internazionali, la dottrina ha assunto due posizioni principali38. Una teoria attribuisce alla Costituzione la supremazia su tutte le altre fonti del diritto. Altri autori ritengono che le Costituzioni nazionali e le fonti normative internazionali (come, ad esempio, la Carta diritti fondamentali dell’Unione Europea) possano interagire in maniera orizzontale e non in modo strettamente gerarchico39. Per i sostenitori di tale tesi, i diritti e le libertà fondamentali possono trovare il loro riconoscimento e la loro vincolatività nelle fonti nazionali, europee, internazionali o sopranazionali, a seconda che, nello speci co caso, garantiscano, come appena visto, un livello di maggior protezione rispetto a fonti che pure sarebbero sovraordinate secondo una scala gerarchica staticamente intesa. Il concetto è quello della gerarchia/non-gerarchia: non-gerarchia, se s’intende la gerarchia quale stabile posizione o classi cazione a un determinato livello; gerarchia, se ci si riferisce alla ratio decidendi dello speci co caso, nel quale, conformemente al criterio della maggiore protezione, la preminenza di una fonte normativa sull’altra deve essere ricostruita e affermata su un fondamento di ordine assiologico. Questo secondo tipo di ordine, o gerarchia, è speci co del caso e può essere contraddetto in un futuro caso (ove diverso o, anche uguale, se ricostruito secondo un ordine concettuale diverso, che non si può escludere che esista) oppure riconfermato in un caso simile, sempre che non vi siano dei nuovi aspetti che lo differenzino dal precedente40. In altri termini, si può dire che un ordine gerarchico, per quanto essenziale a ogni speci ca decisione (senza gerarchia non vi è neanche possibilità di ragionamento giuridico), sembra non offrire garanzie di stabilità. E anche quando un criterio appare chiaro e incontroverso (ad esempio, quello di maggiore protezione), esso deve comunque essere interpretato e applicato da una Corte in uno speci co caso. Ne deriva che le oscillazioni, che dipendono dalla concreta applicazione del principio, possono essere assai ampie. Di qui la diffusa sensazione di mancanza di stabilità del sistema, non più solo frammentato in singole molecole giuridiche, ma con molecole in costante movimento. Inutile dire che la responsabilità del singolo interprete (lo si può chiamare ‘autore’?) cresce grandemente. In un sistema digitalizzato, molecolare e non gerarchico gli strumenti e i materiali sui quali lavorano i diversi professionisti coinvolti sono gli stessi, mentre cambiano, come visto nel Capitolo 4 a proposito della motivazione, la possibilità di accesso, parziale/totale, il tipo e la nalità del contributo, e quindi di aggregazione di materiali in un certo modo (sentenza, atto di impugnazione, ricorso, articolo di dottrina o studio teorico, analisi normativa in vista di monitoraggio amministrativo o modi che legislative, e altro) e il signi cato/valore giuridico che la diversa provenienza conferisce al nuovo aggregato. Un conto è un atto legislativo, altro un parere o una sentenza. Tutto ciò rende centrale la formazione dei giovani giuristi di cui si è parlato nel Capitolo 6 in modo particolare. 5.2 Alcuni aspetti teorici La menzionata presenza simultanea di fonti legislative nazionali, internazionali e comunitarie è un ulteriore punto critico che s da i tradizionali concetti di con ni e identità nazionali. L’art. 117 della Costituzione italiana, modi cato nel 2001, mostra chiaramente, e al massimo livello costituzionale, come la stessa potestà legislativa nazionale si svolga ormai all’interno di vincoli e obblighi di origine sovranazionale: «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali» (art. 3 della Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3). Affermare il carattere non gerarchico è cosa diversa dall’affermare l’assenza di gerarchia nel ragionamento giuridico, che, anzi, ne è caratteristica essenziale. Il punto è diverso e riguarda uno degli effetti della transnazionalità. Senza bisogno di superare le giurisdizioni dei singoli Paesi e le loro prerogative, il solo fatto di collegare ogni caso giurisprudenziale o materiale legislativo a quello simile proveniente da altre realtà, da diverse fonti e lingue comporta che la composizione dei materiali giuridici (molecole giuridiche), realizzata al ne di individuare la regola di un caso e l’ordine (gerarchia) che la sostiene, potrebbero non ripresentarsi in alcun altro caso e che, pertanto, il sistema, globalmente inteso, non abbia alcuna generale e stabile gerarchia. Una delle caratteristiche di questa non gerarchia/gerarchia sta nel fatto che gli elementi che la compongono possono essere disomogenei o, meglio, sono non necessariamente omogenei. Emblematico è il caso della Carta di Nizza rispetto alle costituzioni nazionali. La Carta dichiaratamente e ufficialmente riguarda esclusivamente il diritto comunitario, mentre i giudici hanno cominciato a utilizzarla come Bill of rights di tutti gli europei in tutti i campi41. Questo ‘miracolo’ interpretativo i giudici lo hanno compiuto facendo ricorso a quella gamma di argomentazioni che sono tipiche della pratica del ragionamento giuridico. In alcuni casi si tratta di logica deduttiva stringente, mentre in altri casi si tratta di argomentazioni ad colorandum o a scopo persuasivo o obiter dicta, secondo la gamma degli interventi che il costituzionalista Norman Dorsen prospettò nell’aprire un notissimo dibattito organizzato dall’Associazione dei costituzionalisti americani e tenutosi all’American University Washington College of Law il 13 gennaio 2005. Ai due giudici della Corte suprema federale americana, Antonin Scalia e Stephen Breyer, chiamati a rappresentare visioni diverse e lontane del diritto (su un caso in cui la Corte suprema aveva richiamato fonti normative non americane), Dorsen pose, a proposito delle possibili interazioni tra elementi giuridici diversi, provenienti anche da diversi ordinamenti statali, le seguenti domande: When we talk about the use of foreign court decisions in U.S. constitutional cases, what body of foreign law are we talking about? Are we limiting this to foreign constitutional law? What about cases involving international law, such as the interpretation of treaties, including treaties to which the U.S. is party? When we talk about the use of foreign court decisions in U.S. law, do we mean them to be authority or persuasive, or rhetorical? If, for example, foreign court decisions are not understood to be precedent in U.S. constitutional cases, are they nevertheless able to strengthen the sense that U.S. assures a common moral and legal framework with the rest of the world? If this is so, is that in order to strengthen the legitimacy of a decision within the U.S., or to strengthen a decision’s legitimacy in the rest of the world?42 Questo scenario mostra diversi possibili tipi di interazione all’interno del sistema giuridico statunitense: a) interazione con il diritto costituzionale straniero; b) interpretazione di trattati internazionali o decisioni di corti straniere, con valore che può essere di ‘precedente da seguire’ (authority) oppure solo persuasivo o retorico; c) gli USA che assicurano l’esistenza di un contesto morale e giuridico condiviso con il resto del mondo. Ed è da notare come ognuna di queste interazioni cada all’interno di discipline e aree concettuali diverse, interazioni che cercano un livello di spiegazione43. Se bisogna farsi carico di un tale livello di varietà e disomogeneità normativa, si potrà allora farsi carico anche delle sfumature che vengono poste in evidenza da chi tiene ferma la differenza tra norme e istituzioni e distingue tra norme che regolano comportamenti individuali (prevedendo permessi, obbligazioni, proibizioni e diritti), norme che prevedono a quali condizioni nuove norme sono create oppure che stabiliscano chi ha il potere di decidere le controversie che riguardano norme e altro ancora44. Paolo Grossi ritiene che siano proprio le «miserie del diritto positivo [che] spingono a guardare più in alto, a un livello superiore […] di giuridicità che è diritto, ma in cui si riesce a non separare essere e dover essere, giuridicità formale e giustizia, che le correnti positivistiche avevano irrimediabilmente diviso»45. Ora, senza spingersi no a tal punto si può dire che la teoria molecolare consenta uno sguardo così ampio da comprendere tutte le varie manifestazioni di rapporto tra le molecole giuridiche. Questo secondo ‘stato’ del diritto (non gerarchia) oggi è uno sviluppo autonomo del primo ‘stato’ (essere molecolare). È autonomo, perché un sistema può essere molecolare (e anche descritto come molecolare) e, allo stesso tempo, essere unitario e gerarchico, come era nel Kelsen nella fase precedente la Teoria generale delle norme (vedi sopra). Può quindi essere condivisa l’idea che il diritto non sia un «insieme di entità stabili e astratte» e che sia permanentemente in costruzione: Se ogni atto ha natura sia di atto di creazione del diritto sia di applicazione del diritto, esso non è né l’uno né l’altro. È una sintesi di entrambi. A questa sintesi sono stati dati nomi diversi in diverse tradizioni teoriche. […] Queste varie concezioni non contano. Ciò che conta è che fare questo passo segna la ne del positivismo giuridico poiché altera fondamentalmente l’impegno ontologico della teoria giuridica. La legge non è più considerata prodotta e destinata a rimanere ferma lì. Piuttosto, il diritto è in uno stato permanente di riproduzione46. Un approccio di questo genere è in radicale contrasto con l’idea secondo la quale il diritto sia mero strumento nelle mani del potere politico. Tale idea, infatti, ha alla base un’idea strumentale del diritto, come strumento pronto per essere utilizzato dal sovrano o da qualsiasi altro potente attore sociale (anche giuristi e giudici), qualunque siano i loro scopi. Questa idea è tipica dell’impostazione positivista e oggi è tutt’altro che universalmente accettata. Il diritto non può essere considerato come una ‘cosa’ tangibile, la cui esistenza e forma siano incontrovertibili, e uno strumento manovrabile. Parlare del diritto come tecnica è, inoltre, lontano da tutti gli approcci teorici che, in opposizione a una visione positivistica rigorosa47 (cioè focalizzata solo sulla legge come atto del potere legislativo), sottolineano l’origine storica del diritto e il suo ordinarsi spontaneamente piuttosto che come mero risultato di una decisione politica48. Un diritto permanentemente in costruzione, e quindi anche defeasible49, somiglia al meccanismo della memoria, che non sta nella nostra mente come insieme di entità incastonate, ma come corpo vivo in perenne riesame e rielaborazione. 6. Terzo ‘stato’ essenziale: il diritto è ampiamente digitalizzato Il diritto si intreccia con la tecnologia in due modi fondamentali, come diritto della tecnologia, in quanto tratta qualsiasi aspetto della realtà sociale, anche quegli aspetti con una più alta densità di tecnologia (vale a dire l’informatica e l’IA: vedi Capitolo 2), e come un’entità in sé tecnologizzata, nel senso che il diritto (comunque de nito) vive con gli attuali mezzi tecnologici. Qui ci si occupa di questo secondo aspetto e principalmente delle tecnologie di intelligenza arti ciale, che caratterizzano l’attuale ambiente giuridico come un ambiente altamente tecnologizzato. La digitalizzazione non dipende (teoricamente) dalla molecolarità. Dipende piuttosto dalla tecnologia e, quindi, apre all’interazione tra tecnologia e diritto sotto un particolare pro lo. La digitalizzazione consente, in un certo senso, uno sguardo alla condizione molecolare del diritto da un diverso punto di vista, che ne conferma la molecolarità, moltiplicandola. L’essere il diritto ampiamente digitalizzato e vivere in un’era in cui parti crescenti di informazioni disponibili (anche giuridiche) sono espresse in forma digitale è sotto gli occhi di tutti ed è anche un’ipotesi fattuale del lavoro di Kevin Ashley sull’intelligenza arti ciale e l’analisi giuridica, il cui sottotitolo è signi cativamente Nuovi strumenti per la pratica legale nell’era digitale. A proposito di analogico e digitale è utile un chiarimento: In analog representation, properties of the representational medium ape (or re ect or model) properties of the represented state-of-affairs. (In obvious contrast, the strings of binary digits employed in digital representation do not represent by means of possessing some physical property – such as length – whose magnitude varies in proportion to the magnitude of the property that is being represented.) Analog representations form a diverse class. Some examples: the longer a line on a road map, the longer the road that the line represents; the greater the number of clear plastic squares in an architect’s model, the greater the number of windows in the building represented50. In termini generali, la digitalizzazione è il processo di conversione delle informazioni in un formato digitale. In questo formato, le informazioni sono organizzate in unità di dati discrete (chiamate bit) che possono essere indirizzate separatamente (di solito in gruppi a più bit chiamati byte). Questi sono i dati binari che i computer e molti dispositivi con capacità di elaborazione (come fotocamere digitali e apparecchi acustici digitali) possono elaborare. Testo e immagini possono essere digitalizzati in modo simile: uno scanner acquisisce un’immagine (che può essere un’immagine di testo) e la converte in un le di immagine (bitmap). Un programma di riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) analizza un’immagine di testo per le aree chiare e scure e identi ca ogni lettera alfabetica o cifra numerica, convertendo ciascun carattere in codice ASCII51. 6.1 La digitalizzazione come una condizione empirica osservabile del diritto Il tema affrontato in questo paragrafo è come cambia il diritto per il fatto di essere digitalizzato e immerso nell’attuale ambiente tecnologico52. Mi avvalgo, a tal ne, di quattro autori che, per il loro lavoro teorico e per l’impegno pratico nel campo, possono essere considerati rappresentativi dello scenario attuale: Oliver R. Goodenough, Kevin D. Ashley, Giovanni Sartor e Henry Prakken. 6.1.1 Tre racconti della medesima storia Oliver Goodenough, tra i leader statunitensi nell’innovazione tecnologica e il diritto, ha presentato tre stadi nel cambiamento giuridico determinato dalla tecnologia, che riprendono in parte le partizioni di Susskind viste nel Capitolo 3: «nel primo stadio, la tecnologia dà agli attuali attori umani maggiore efficienza all’interno del sistema corrente. Molte attività giuridiche possono essere compiute meglio, più velocemente e a minor costo», ma «queste nuove applicazioni hanno migliorato quello che i giuristi già facevano»53. Nella seconda fase, 2.0, «la tecnologia sostituisce un numero crescente di attori umani all’interno del sistema. L’innovazione giuridica tecnologicamente guidata comincia a diventare dirompente e non solo abilitante. Una parte della pratica del diritto viene eliminata in questa nuova fase». L’uso della codi ca predittiva (predictive coding) e altri approcci di apprendimento automatico nell’e-discovery54 e nei servizi analitici e nell’analisi dei big data ne sono esempi. Di conseguenza, si veri cano enormi cambiamenti nel mondo delle professioni legali. Tuttavia, questa modi ca «è ancora integrata nel sistema esistente. L’attuale rete di regole e di contratti in linguaggio naturale, la risoluzione delle controversie in sede giudiziaria e lo stato legislativo/regolamentare rimangono sostanzialmente intatti. La giurisprudenza si evolve, ma non cambia radicalmente», afferma Goodenough. Ora «ci si sta avvicinando rapidamente a un terzo stadio, 3.0, in cui la potenza della tecnologia computazionale per la comunicazione, la modellazione e l’esecuzione consente una riprogettazione radicale, se non una sostituzione completa, dell’attuale sistema stesso. […] Nel diritto, si scopre che il codice del computer è notevolmente migliore del linguaggio naturale come mezzo per esprimere la struttura logica di contratti, regolamenti e statuti». Goodenough esempli ca il prossimo scenario: If the United States Internal Revenue Code or its Clean Air Act were embodied in code as their original mode of enactment, a good technological parsing engine (rather than the limited biological parsing engine of a lawyer’s brain) could give advice on compliance quickly and cheaply. But, in a true 3.0 environment, both of these legal domains probably reshape themselves around somewhat different questions and outcomes. Technology can drive jurisprudence. Stated in computer code, complicated consumer credit transactions become transparent to a consumer with a good outcome ‘dashboard’, perhaps run by the US Consumer Financial Protection Bureau. Regulatory compliance could be built directly into computational objects like a ‘smart security’, which would keep track of its ownership and the applicable trading rules. Kevin Ashely, un autorevole studioso americano di intelligenza arti ciale e diritto, si occupa di temi analoghi concentrandosi, però, maggiormente sugli strumenti offerti alla pratica legale dall’intelligenza arti ciale e dall’analisi giuridica (legal analytics). Ricorda, in primo luogo, le ricerche condotte dal 1980 sulla risposta alle domande (QA), l’estrazione di informazioni (IE) e la ricerca per argomenti, che hanno portato a programmi come Watson e Debater di IBM. A suo avviso, la capacità di eseguire ragionamenti giuridici è il punto cruciale per il futuro: Programmi come Watson e Debater non eseguiranno ragionamenti giuridici. Potrebbero essere in grado di rispondere a domande giuridiche in modo super ciale, ma non potrebbero spiegare le loro risposte o elaborare argomentazioni giuridiche. Gli strumenti di analisi del testo open source su cui si basano, tuttavia, faranno una profonda differenza nello sviluppo di nuove applicazioni giuridiche. Identi cheranno le informazioni relative all’argomento in testi legali che possono trasformare l’estrazione di informazioni giuridiche in un nuovo tipo di estrazione di informazioni concettuali: estrazione di argomenti55. In Watson/Debater della IBM il sistema non risponde direttamente alla domanda. Piuttosto, le informazioni richieste su un argomento «guidano il sistema nell’identi cazione dei testi che rispondono alla domanda» in modo da trovare un documento, ammesso che esista, le cui proposizioni si riferiscono all’argomento pro o contro (pp. 166-167). Pertanto, la capacità di eseguire il ragionamento giuridico è l’obiettivo di una diversa linea di ricerca: quella dei modelli computazionali di ragionamento giuridico (LMC) e il suo sottoinsieme chiamato «modelli computazionali di argomentazione legale» (LMC), che implementano «un processo di argomentazione legale come parte del loro ragionamento» (p. 4). e newly extracted argument-related information will connect the computational models of legal reasoning (CMLRs) and argument directly with legal texts. e models can generate arguments for and against particular outcomes in problems input as texts, predict a problem’s outcome, and explain their predictions with reasons that legal professionals will recognize and can evaluate for themselves. e result will be a new kind of legal app, one that enables cognitive computing, a kind of collaborative activity between humans and computers in which each performs the kinds of intelligent activities that they can do best. […] e goal of much of the research in AI & Law has been to develop CMLRs that can make legal arguments and use them to predict outcomes of legal disputes. A CMLR is a computer program that implements a process evidencing attributes of human legal reasoning56. Tuttavia, Ashley individua il collo di bottiglia della rappresentazione della conoscenza (representation bottleneck) che «ha impedito i progressi nel contribuire alla pratica legale» e che è sostanzialmente ancora lì, anche se «i recenti sviluppi nel QA computerizzato, IE dal testo e l’estrazione di argomenti promettono di cambiare questo»: Finora, le sostanziali conoscenze giuridiche impiegate dai loro modelli computazionali hanno dovuto essere estratte manualmente da fonti giuridiche, ovvero da casi, statuti, regolamenti, contratti e altri testi che i professionisti legali utilizzano effettivamente. Cioè, gli esperti umani hanno dovuto leggere i testi legali e rappresentare parti rilevanti del loro contenuto in una forma che i modelli computazionali potevano usare. L’incapacità di collegare automaticamente i loro modelli computazionali di ragionamento giuridico direttamente ai testi legali ha limitato la capacità dei ricercatori di applicare i loro programmi nell’estrazione, previsione e decisione alle informazioni legali nel mondo reale57. Tuttavia, c’è una speranza. Analisi del testo (text analytics) o mining del testo (text mining) si riferisce alla scoperta di conoscenze che possono essere trovate negli archivi di testo. Quando i testi da analizzare sono giuridici, si può fare riferimento a ‘analisi di testi giuridici’ o più semplicemente a ‘analisi giuridica’58: Le tecniche di analisi del testo possono aprire il collo di bottiglia nell’acquisizione delle conoscenze che ha ostacolato a lungo i progressi nel campo delle applicazioni giuridiche intelligenti. Invece di affidarsi esclusivamente a tecniche manuali per rappresentare il signi cato di testi giuridici in modi che i programmi possono utilizzare, i ricercatori possono automatizzare il processo di rappresentazione della conoscenza59. In un certo senso si può dire che siamo all’inizio della storia. Le domande di Ashley sono: «possono i computer ragionare utilizzando le informazioni giuridiche tratte dai testi? Possono aiutare gli utilizzatori a formulare e veri care ipotesi giuridiche, formulare argomenti giuridici, o predire l’esito di una lite?»60 e, alla ne, la risposta che si dà è la seguente: «e answers appear to be ‘Yes!’ but a considerable amount of research remains to be done before the new legal applications can demonstrate their full potential» (p. 5). Henry Prakken, professore presso l’Università di Utrecht (NL) e Giovanni Sartor, professore presso l’Istituto universitario europeo di Firenze, partono dal presupposto che «il diritto è un campo di applicazione naturale per l’intelligenza arti ciale [e che] l’intelligenza arti ciale potrebbe essere applicata al diritto in molti modi (ad esempio, l’elaborazione del linguaggio naturale per estrarre informazioni signi cative da documenti, data mining e machine learning per estrarre tendenze e modelli da grandi corpi di precedenti)». Tuttavia, gli autori considerano semplicistica l’idea che «una volta che un testo giuridico e un insieme di fatti sono stati chiaramente rappresentati in un linguaggio formale, le conclusioni giuridiche seguiranno da tale rappresentazione come una questione di deduzione», e per diversi motivi: Il diritto non è solo un sistema concettuale o assiomatico, ma ha obiettivi sociali ed effetti sociali, che possono richiedere il superamento o la modi ca di una norma giuridica. Inoltre, i legislatori non possono mai prevedere completamente in quali circostanze la legge debba essere applicata, quindi la legislazione deve essere formulata in termini generali e astratti, come ‘dovere di diligenza’, ‘uso improprio di segreti commerciali’ o ‘intenzione’, e prevedendo categorie generali di eccezione, come ‘autodifesa’, ‘forza maggiore’ o ‘irragionevole’. Tali concetti ed eccezioni devono essere interpretati in casi concreti, che creano incertezza e spazio per il disaccordo. Ciò è rafforzato dal fatto che i casi giuridici spesso coinvolgono interessi contrastanti di parti opposte. […] Tutti questi aspetti del diritto, vale a dire il suo orientamento verso situazioni future e non completamente previste, la tensione tra le condizioni generali della legge e i particolari di un caso e le procedure giuridiche improntate alla regola del contraddittorio, fanno sì che il ragionamento giuridico vada oltre il signi cato letterale delle norme legali e comporti il ricorso a precedenti, principi, politiche e scopi61. Inoltre, per gli autori, nel ragionamento giuridico vi sono alcune attività (come derivare conseguenze legali dai fatti classi cati), in cui il modo deduttivo di ragionamento deve lasciare «spazio alle tecniche nonmonotoniche per far fronte alle eccezioni alle regole, sia statutarie sia basate su un principio e scopo, e scegliere tra regole contrastanti sulla base della gerarchia generale dei sistemi legali, con regole provenienti da fonti diverse»62. Il punto cruciale torna a essere quello visto sopra dei diversi tipi di norme e di funzioni (vedi sopra paragrafo 5.2). 6.2 Sulla coerenza di alcune teorie su computazione e diritto I tre approcci sopra riportati (Goodenough, Ashley, Prakken-Sartor), per quanto differenti sotto molti pro li, hanno alcuni punti in comune che possono consentire di tracciare una mappa del campo computazione-diritto alla luce della teoria molecolare. La tesi di Goodenough sembra essere la più radicale. Secondo il suo autore costituisce computazione qualsiasi processo che sia governato da regole e per gradi (stepwise). La teoria della computazione fornisce un mezzo per formalizzare questi processi, un po’ come l’alfabeto e la scrittura permettono la speci cazione di formulazioni linguistiche nella stampa per la conservazione e il riutilizzo in un momento successivo. Quello che può essere speci cato in un linguaggio naturale può essere frequentemente speci cato in alcuni altri modi, come il codice binario usato dai nostri computer digitali. In conclusione, le regole giuridiche, che siano contenute in contratti, leggi o decisioni giudiziarie, hanno lo stesso tipo di logica di costruzione graduale, passo dopo passo. La complessità conta ma non contraddice il punto centrale: il diritto è spesso anche computazione. La chiave di questa posizione sembra trovarsi dell’avverbio «spesso». Ma «spesso» signi ca ‘molte volte’, ‘frequentemente’, ed è chiaramente diverso da «sempre», salvo eccezioni. L’avverbio «sempre» avrebbe implicazioni nell’idea stessa di diritto e quindi nella sua ontologia, mentre «spesso» signi ca che il diritto può essere computabile e può anche non esserlo, a seconda del suo contenuto, della sua funzione o della sua posizione. «Spesso» signi ca che nell’attuale scenario tecnologico il diritto può essere rappresentato, a dispetto della sua complessità, direttamente in un soware. Naturalmente l’autore è consapevole di tutto ciò e in una nota del suo lavoro del 2015 annuncia che «determinare i con ni di questa affermazione è un progetto di ricerca di informatica giuridica, che è in corso e include il lavoro dell’autore di questo paper». In ogni caso lo scenario è concettualmente chiaro: […] when law is computation, we can represent it in soware as well. Not emulate63 it in soware, but represent its logic and process directly in the code [italics mine]. at said, in some areas of law, such as those where the processes of judicial interpretation have created not only complexity but variability and uncertainty in its speci cation, we can approach the modeling process from the other direction, using learning algorithms and other sophisticated data mining tools to look for emergent patterns that do emulate rather than replicate the process64. In conclusione, secondo Goodenough, il diritto è ‘anche’ computazione. Ciò accade ‘spesso’ e, quando accade, è possibile rappresentare la sua logica e il suo processo direttamente nel codice (e non emularlo in un soware). Ma vi sono alcune aree del diritto dove sono necessari diversi approcci, come learning algorithms e altre so sticate tecniche di data mining per osservare i modelli emergenti che emulano il processo («emergent patterns that do emulate the process»). Kevin Ashley offre un quadro sfaccettato dell’interazione tra IA e diritto, che include alcuni degli aspetti considerati da Goodenough. Se la visione di Goodenough sembra suggerire uno sviluppo lineare (ogni giorno di più saremo in grado di rappresentare nuovi contratti, leggi e decisioni giudiziarie direttamente nel codice, e, una volta che noi avremo fatto questo lavoro, l’area del «diritto uguale computazione» avrà guadagnato terreno) Ashely propone una differente visione e apre un problema di grande interesse, quello dell’isomorfismo, cioè la condizione che si veri ca quando c’è una corrispondenza individuale (uno a uno) tra le regole del modello formale (vedi avanti, 8.3) e le unità del testo in linguaggio naturale che esprimono le regole nelle fonti legali originali, come sezioni della legislazione. È facile immaginare come anche una parziale modi ca legislativa o l’intervenire di una rilevante decisione giudiziaria possano cambiare tutte le connessioni esistenti nel sistema. Una possibile risposta alle difficoltà poste dall’isomor smo potrebbe essere quella di superare la situazione attuale (in cui esistono ancora due versioni della legge, la prima rappresentata in linguaggio naturale e l’altra rappresentata nel modello formale), abbandonare radicalmente il linguaggio naturale e usare esclusivamente un linguaggio formale. Si tratta di una prospettiva a lungo termine che apre altre due domande: i. è fattibile, concepibile e desiderabile che tutto il diritto del mondo sia rappresentato in un linguaggio formale? ii. Siamo sicuri che la rappresentazione e il ragionamento formali siano uguali al ragionamento umano? E, in caso contrario, quali sono le implicazioni di tale prospettiva? Alla prima domanda (che ci riporta a quella che sembra essere la posizione Goodenough) dedicherò uno dei prossimi paragra . Circa la seconda, è interessante riportare di nuovo alcuni passaggi del lavoro di Ashley: La tecnologia non è in grado di leggere i testi nel senso in cui gli umani leggono, ma vi saranno tecniche per elaborare in modo intelligente i testi, identi cando quegli elementi che sono rilevanti per un problema e portandoli all’attenzione dell’utente in modo appropriato. Signi cativamente, le conoscenze del programma per valutare la pertinenza, cioè per identi care, classi care e presentare soluzioni o elementi candidati, vengono acquisite non principalmente manualmente ma automaticamente estraendo modelli da alcune raccolte di dati speci ci del dominio utilizzando ML65. Almeno, questo è l’obiettivo. Anche se attualmente nessuno sa esattamente come implementare il cognitive computing in ambito giuridico. Il raggiungimento di questo obiettivo è soggetto all’affrontare le s de di cui sopra, che sono sostanziali ma che tuttavia sembrano realizzabili nei prossimi anni. L’analisi del testo e l’annotazione semantica non consentiranno ai sistemi di leggere testi nel senso in cui gli umani lo fanno, almeno, no ad oggi. Perché un programma può elaborare in modo intelligente informazioni relative agli argomenti, ma non comprende gli argomenti in un senso più profondo. Prakken e Sartor sono certamente aperti all’uso dell’IA in campo giuridico, anche se considerano semplicistica l’idea che «una volta che un testo legale e un insieme di fatti siano stati chiaramente rappresentati in un linguaggio formale, le conclusioni legali seguiranno da quella rappresentazione in deduzione». La loro critica si basa sulla considerazione delle molte sfaccettature che il diritto ha, come visto sopra nel paragrafo precedente, e sulla natura non solo normativa, ma anche istituzionale del diritto e dei diversi tipi di norme giuridiche. Potremmo aggiungere la natura mutevole delle norme che, in modo simile al processo di memoria nel nostro cervello, sono in qualche modo riscritte ogni volta che vengono usate. Insomma, l’idea della totale computabilità del diritto, la convinzione che, alla ne, sarà reso in linguaggio formale che soppianterà il linguaggio naturale è insostenibile, teoricamente, e un po’ naif dal punto di vista applicativo, perché sembra dimenticare che il diritto, visto dal punto di vista degli strumenti di IA, assomiglia a quella scurrying prey, la preda sfuggente (di cui si è parlato nel Capitolo 2), che mette a dura prova le capacità di calcolo logico dei sistemi di IA. Sembra esserne consapevole chi sostiene che un giorno si potrà esprimere tutto il diritto con un linguaggio formale, ma questo linguaggio dovrà essere defeasible, cioè sovrascrivibile, in modo da permettere diverse interpretazioni giuridiche (anche inconsistenti tra loro) ma capaci di coesistere66. 6.3 Di quale diritto si sta parlando? Un passo di lato nel mondo empirico A questo punto pare necessario un chiarimento: di quale diritto parlano gli autori sopra citati? Quali sono le caratteristiche che essi presumono che il diritto abbia? In altre parole, quale sica presuppongono le loro teorie? Questo è importante perché la Mol è una fenomenologia del diritto, piuttosto che un’ontologia del diritto. Pertanto, de nire l’oggetto della ricerca anche nei suoi termini empirici è un passo cruciale. A mio avviso, un approccio quantitativo al diritto mette in luce la difficile sostenibilità di alcune idee sul diritto del futuro. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, la popolazione mondiale è attualmente di oltre 7.000 milioni di persone, con un drammatico aumento dal 1500 d.C., quando era di circa 443 milioni di persone. L’impatto sul diritto è evidente: il fatto che vi siano più individui in tutto il mondo implica che vi siano più contatti, più attività economiche, maggiore necessità di rispettare le regole, più violazioni e più contenziosi. In breve, si può supporre che l’esperienza del diritto si espanda proporzionalmente alla crescita e ai bisogni della popolazione umana. Secondo il World Justice Forum più di 1 miliardo e mezzo di persone (una su cinque in tutto il mondo) hanno bisogni legali insoddisfatti, che vanno dalle controversie sulla terra, sul debito e sui servizi pubblici di base no ai reati, violenti e piccoli, non denunciati67. Inoltre, da un punto di vista istituzionale, la comunità globale ha la sua (almeno formalmente) istituzione uni cante nelle Nazioni Unite (ONU). In effetti, l’ONU è l’istituzione giuridica mondiale più comprensiva e non c’è quasi nessun angolo al mondo che, direttamente o indirettamente, non sia coperto da un’organizzazione delle Nazioni Unite. L’ONU conta 193 Stati membri, 19 organizzazioni intergovernative invitate come osservatori e 50 organizzazioni intergovernative. Ognuno di questi Stati ha qualcosa che, al netto di tutte le differenze, funziona come un organo legislativo, una costituzione, un sistema giudiziario e di forze dell’ordine. Quindi, in tutto il mondo vi sono almeno 193 organi legislativi, 193 sistemi giudiziari e 193 forze di polizia nazionali, che, almeno cinque giorni alla settimana per 53 settimane all’anno (= 265 giorni all’anno), promulgano leggi, emettono decisioni e fanno rispettare la legge, e fanno tutto ciò usando i propri linguaggi naturali nazionali, usando carta e/o mezzi digitali, attribuendo valore a tali attività giuridiche in base ai loro speci ci sistemi giuridici e retaggi culturali. Se si pensa a tutto ciò, sorge una domanda fondamentale: quando parliamo di AI e diritto, di quale diritto stiamo parlando? Goodenough e Ashley sembrano parlare del diritto americano o del diritto espresso in lingua inglese. Signi cativamente, nel libro di Ashley la parola multilinguismo appare solo cinque volte, tre delle quali per riferirsi ad autori non statunitensi. Pertanto, potremmo dire che i modelli concettuali utilizzati da Goodenough, Ashley e Prakken-Sartor danno conto solo di una piccola parte dell’esperienza globale del diritto oggi e solo di alcuni aspetti. In conclusione, l’esperienza globale del diritto potrebbe essere descritta come distribuita in due parti principali: la prima è coperta dal diritto computazionale, che, sebbene quantitativamente limitata, sta sicuramente espandendo il suo campo di azione (anche se non ha alcuna possibilità concettuale e pratica di coprire, anche nel lontano futuro, tutta l’esperienza del diritto); il secondo, è ancora espresso in linguaggio naturale e rappresenta un campo in cui esiste la possibilità di trarre vantaggio dall’uso dell’analisi big data. Questa seconda parte si frammenta in tante parti quanti sono i linguaggi naturali utilizzati nei 193 Paesi di cui si è detto sopra: questo enorme campo è scarsamente esplorato e attende la possibilità offerta proveniente dagli strumenti digitali e dall’analisi big data. 6.4 Digitalizzazione, linguaggi naturali e formali La digitalizzazione del diritto richiede la conversione di informazioni/contenuti giuridici in un formato digitale, ovvero un linguaggio che possa essere elaborato dalle macchine. Questo è il modo in cui vengono prodotti i dati giuridici. A un primo livello, la digitalizzazione non implica alcuna decisione su questioni come il ruolo del linguaggio nel diritto, quale tipo di linguaggio, rapporto tra logica e diritto e altro (parole / discorsi / immagini e altro possono essere digitalizzati). Ad esempio, nelle fasi 1.0 e 2.0 della classi cazione adottata da Goodenough «l’attuale rete di regole e contratti in linguaggio naturale [il corsivo è mio], la risoluzione delle controversie su base giudiziaria e lo stato legislativo/regolamentare rimangono in gran parte intatti». È solo nella fase 3.0 che «risulta che il codice del computer è notevolmente migliore del linguaggio naturale»68. La gura nella pagina seguente rappresenta il rapporto tra linguaggi naturali e formali. Alcune questioni che emergono da questa rappresentazione vanno ora esaminate. È molto importante precisare cosa si intenda per «linguaggio formale» e quale sia la sua relazione con il linguaggio naturale. Secondo Stewart Shapiro e Teresa Kouri Kissel «un linguaggio formale è un insieme di stringhe de nito ricorsivamente su un alfabeto sso. Alcuni aspetti dei linguaggi formali corrispondono o hanno controparti nei linguaggi naturali»69. Esistono diversi tipi di linguaggi formali e diversi tipi di relazione tra linguaggi formali e linguaggi naturali. Gli autori tracciano uno schema interessante delle diverse idee teoriche di questa relazione: Alcuni loso affermano che le frasi dichiarative del linguaggio naturale hanno forme logiche sottostanti e che queste forme sono evidenziate da formule di un linguaggio formale. Altri autori sostengono che frasi dichiarative (riuscite) esprimano proposizioni; e le formule dei linguaggi formali mostrano in qualche modo le forme di queste proposizioni. Secondo visioni come questa, i componenti di una logica forniscono la struttura profonda sottostante il ragionamento corretto. Una parte del ragionamento in linguaggio naturale è corretta se le forme sottostanti alle frasi costituiscono un argomento valido o deducibile. [...] Un’altra opinione, sostenuta almeno in parte da Gottlob Frege e Wilhelm Leibniz, è che, poiché i linguaggi naturali sono irti di vaghezza e ambiguità, essi dovrebbero essere sostituiti da linguaggi formali. Un’opinione simile, sostenuta da W.V.O. Quine, è che un linguaggio naturale dovrebbe essere modi cato, ripulito per un serio lavoro scienti co e meta sico. […] Un linguaggio reggimentato è simile a un linguaggio formale per quanto riguarda, ad esempio, il rigore esplicitamente presentato della sua sintassi e delle sue condizioni di verità. [...] a volte le formule in un linguaggio formale sono utilizzate nel ragionamento ordinario. Ciò suggerisce che si potrebbe pensare a un linguaggio formale come a un addendum a un linguaggio naturale. […] Un’altra visione è che un linguaggio formale è un modello matematico di un linguaggio naturale all’incirca nello stesso senso in cui […] la costruzione di Bohr è un modello di atomo. In altre parole, un linguaggio formale mostra alcune caratteristiche dei linguaggi naturali70. A B C è l’informazione giuridica ed è insieme un’espressione testuale/linguistica (provision or rule) e una norma (il significato della regola). rappresenta il passaggio dal linguaggio naturale al formato digitale (linguaggio formale). rappresenta l’informazione giuridica (its process and logic) direttamente espresso nel codice e può essere C1, il risultato dell’embodiment di un’informazione giuridica che, originariamente espressa in linguaggio naturale, è stata tradotta in un linguaggio formale oppure C2, un’informazione giuridica originariamente espressa in linguaggio formale (come uno smart contract). B implica il passaggio dal linguaggio naturale a un formato digitale (emulation in software, secondo Goodenough). C + C1 implicano il passaggio dal linguaggio naturale a un linguaggio formale (che rappresenta direttamente il diritto). C + C2 è l’unico percorso che non richiede alcuna traduzione e alcuna interazione con il linguaggio naturale (sempre che si assuma che non vi sia alcuna relazione con elementi giuridici provenienti da A, B e C1). Se il quadro è di tale complessità, è lecito allora porsi alcune domande, delle quali una mi sembra decisiva. Quando le informazioni giuridiche passano dal linguaggio naturale a un linguaggio formale, qual è il contenuto della traduzione? La dichiarazione linguistica/testuale del diritto (che è normalmente de nita come ‘disposizione’ o ‘regola’) + (si deve assumere) una certa comprensione del signi cato di tale frase (cioè la ‘norma’)? Ciò sembra necessario perché senza un qualsiasi signi cato è difficile concepire una traduzione. Se è così, la domanda ulteriore è la seguente: qual è la corrispondenza della/e norma/e nel linguaggio formale, ovvero il signi cato attribuito alla regola, la sua interpretazione, che deve essere in ne applicata al caso concreto? Le norme sono gli elementi del ragionamento giuridico e sono al centro della ricerca di modelli computazionali71. Si deve presumere che la norma sia pienamente incorporata nel codice? E se, almeno in parte, non lo è, qual è la ne di un tale residuo? 6.5 Multi<natural-formal>lingualism Un’ulteriore domanda riguarda la natura delle «molecole elementari» nella teoria molecolare (vedi sopra, paragrafo 1): di cosa sono fatte? Sono dati calcolabili, sono concetti giuridici, sono disposizioni o norme? La risposta potrebbe essere che le «molecole elementari» nella prospettiva molecolare sono a) norme nella loro composizione più semplice/più povera (o, anche, aggregati di unità concettuali minime che funzionano come unità complesse) e b) sono norme che potrebbero essere espresse in linguaggio sia naturale, sia formale. La teoria molecolare ha l’ambizione di consentire l’interoperabilità72 tra le norme espresse in qualsiasi linguaggio. In questo senso, il rapporto tra linguaggi naturali e formali fa parte del problema più ampio costituito dal multilinguismo. Propongo di chiamarlo multi <naturale-formale> linguismo (multi<natural-formal>lingualism), usando un neologismo di cui qui di seguito spiego le ragioni. Nel suo uso corrente la parola «multilinguismo» si riferisce all’esistenza di diverse lingue naturali, come francese, inglese, italiano e altro. L’ipotesi implicita è che il concetto di multilinguismo sia equivalente a multi<naturale>linguismo. Come è noto, questo è un problema irrisolto nell’esperienza globale del diritto (vedi avanti paragrafo 7). Alcuni sostengono che una volta che il diritto sia rappresentato in linguaggio formale (e non semplicemente emulato in un soware), qualsiasi problema di traduzione sarà risolto. La traduzione in linguaggio formale renderebbe la legge universale. A mio avviso ci sono almeno due ragioni principali contro questa posizione: – Il linguaggio formale utilizzato nell’informatica e in computer science non è un’entità unitaria. Esistono diversi linguaggi formali che possono esprimere lo stesso concetto73. Se questo è vero (e sembra essere vero, a meno che non assumiamo che tutti i linguaggi formali siano una speci cazione provvisoria/non esclusiva e semplice del codice binario delle macchine o, in termini loso ci di una ‘unica logica giusta’) si deve ammettere che un problema di multilinguismo può esistere anche nell’ambito dei linguaggi formali. Il linguaggio UML (Unified Modeling Language)74, descrive in modo astratto concetti e operazioni che sono implementabili con gran parte dei linguaggi di programmazione (che sono essi stessi linguaggi formali). In tal senso funge da ponte tra di essi e potrebbe essere considerato un meta<formale>linguaggio che offre una soluzione al multilinguismo formale, ovvero il ‘multi<formale>linguismo’ (multi<formal>lingualism). – In ogni caso, la relazione tra linguaggi naturali e linguaggi formali pone un problema di relazione tra i due campi, quello naturale e quello formale, ognuno dei quali ha una pluralità di linguaggi al suo interno. Il neologismo multi<natural-formal>lingualism (multi<naturaleformale>linguismo) rappresenta esattamente la de nizione di un’area problematica in cui linguaggi diversi, naturali e formali, trovano un modo per essere collegati, cioè interoperare (si veda avanti). In questo paragrafo, dedicato al terzo stato essenziale del diritto (digitalizzato), è stata presa in considerazione la relazione tra informazioni/contenuti giuridici e linguaggio, almeno a un primo livello. L’idea che, una volta che il diritto sia rappresentato in un linguaggio formale, di conseguenza, qualsiasi problema di traduzione tra le lingue naturali sia risolto, è stata criticata per la sua incoerenza teorica e per l’impossibilità pratica. La conclusione raggiunta è che esiste un problema di multilinguismo anche all’interno dei linguaggi formali. Di conseguenza, la relazione tra linguaggi naturali e linguaggi formali può essere espressa nel neologismo multi<natural-formal>lingualism, che sta per la de nizione di un’area problematica in cui convivono linguaggi diversi, naturali e formali, in un modo che deve essere indagato. 7. Quarto ‘stato’ essenziale: il diritto come esperienza globale è multilingue Il quarto stato essenziale (il diritto è multilingue) è uno sviluppo autonomo del terzo stato essenziale (digitalizzato). È «autonomo» perché, anche se, in mera ipotesi, si potesse riuscire a digitalizzare/rendere computabile tutto il diritto prodotto e esistente, ciò non escluderebbe che, in qualche momento in qualche luogo, vi possa essere un processo di produzione spontanea di diritto in linguaggio naturale. Un’ipotesi altamente probabile, considerate le svariate forme di produzione del diritto. Ciò giusti cherebbe l’esistenza di una pluralità di linguaggi in cui il diritto è espresso, a meno che non si voglia immaginare un’autogenerazione codi cata universale del diritto, qualcosa che sembra molto difficile da concepire. Se il diritto non è interamente computabile (qualunque ne sia la ragione, teorica o pratico/tecnologica), il problema è il modo in cui linguaggi diversi, naturali e persino formali, interagiscono tra loro, come si vedrà avanti a proposito di interoperabilità. Questo paragrafo tratta alcuni aspetti signi cativi dell’interazione tra i linguaggi naturali e, in parte, completa il quadro delineato nel paragrafo precedente in relazione ai linguaggi formali. 7.1 Sul multilinguismo (naturale) giuridico A questo punto sorgono due domande75: la prima, come affrontare le differenze linguistiche mentre si cerca di preservare le caratteristiche delle diverse nazionalità; la seconda, come esprimere gli stessi (o simili) concetti in lingue diverse, a condizione che una cosa del genere sia effettivamente fattibile. L’incontro di due o più lingue presuppone che i diversi sistemi culturali possano incontrarsi. La lingua è solo un livello del dialogo e la convinzione, che, per risolvere il problema sia sufficiente un buon traduttore, è notoriamente semplicistica. In realtà, in una prospettiva semiotica76, i segni linguistici (cioè le parole) hanno due lati, il «signi cante» e il «signi cato». Il primo è la componente fonica della parola, mentre il secondo si riferisce al concetto mentale (diverso dal «referente», ovvero l’oggetto sico esistente nel mondo che la parola indica) dietro quelle sequenze foniche. Questo concetto è una costruzione sociale, prodotto di stipulazione. Pertanto, all’interno di un particolare sistema linguistico, il signi cato di una parola sembra essere il frutto di convenzioni che si sono sviluppate (anche inconsciamente) all’interno di quel sistema speci co77. Se questo è generalmente valido in linguistica, potrebbe speci camente (e a fortiori) essere considerato valido quando si analizza un linguaggio tecnico, appartenente a un certo dominio di conoscenza e richiede precisione nella terminologia e nell’uso (ad esempio, il diritto). Porre in dialogo il diritto espresso in due linguaggi naturali signi ca identi care i signi cati delle parole, inserirle nel loro contesto speci co, e analizzare se e come sia possibile una piena (o almeno soddisfacente) comunicazione tra signi cati/concetti tratti da sistemi diversi, cercando di ridurre al minimo il disallineamento concettuale dietro a quello terminologico. Il diritto può essere considerato, a prima vista, come una sorta di mondo fatto di parole78 in cui agiscono diverse professioni. Gli avvocati sono ben consapevoli della rilevanza dell’uso delle parole per il loro lavoro quotidiano: mentre i giudici scrivono le loro decisioni seguendo percorsi argomentativi espressi in parole, gli avvocati cercano di convincere i giudici con i loro argomenti al ne di vincere la causa. Anche il cittadino comune è abituato a gestire il diritto in un modo o nell’altro. Il multilinguismo, lo si è visto sopra, è una realtà innegabile nel nostro mondo globalizzato, con tutto il suo carico di quantità di traduzioni necessarie (ad esempio, quando un atto legislativo deve essere tradotto in una delle 23 lingue ufficiali riconosciute all’interno dell’UE) e di qualità delle stesse (dove, nella difficoltà di trovare lo stesso concetto giuridico all’interno di un altro sistema legale, a volte un nuovo concetto viene ‘trapiantato’ in un sistema diverso, con tutti i cambiamenti di signi cato che l’immersione in un contesto diverso comporta). Ma è difficile concepire un insieme condiviso di concetti, in particolare concetti giuridici, in una situazione in cui: a. concetti corrispondenti (anche diversi) non esistono necessariamente; b. nel caso del trapianto di un concetto giuridico, il cambiamento del background culturale e delle condizioni ‘ambientali’, nonché la peculiarità del sistema giuridico ricevente e il suo ‘corpo’ giuridico locale potrebbero produrre cambiamenti di signi cato imprevedibili; c. la copresenza delle situazioni descritte ai punti a. e b. potrebbe implicare che in alcuni casi la comunicazione sia del tutto impossibile; d. nel caso descritto alla lettera c., è necessario studiare la possibilità di approcci concettuali diversi che consentano la comunicazione (come l’individuazione di metaconcetti)79. La conversazione tra sistemi è effettivamente possibile e fattibile solo se si tiene conto del fatto che ogni concetto è il frutto di un precedente accordo, che può essere inconscio, dal quale ne consegue che dobbiamo scegliere cosa prendere in considerazione per costruire relazioni tra questi concetti80. Giusto per chiarire questo punto, si consideri la seguente domanda: il concetto dietro le parole «agreement», «contract», «contratto», e parole simili è lo stesso? Il problema non è nuovo. Tuttavia, non ha ancora avuto una risposta univoca (ammesso che esista) o almeno fattibile. Le conseguenze pratiche della ricerca di una simile risposta sono molteplici: ad esempio, il successo di Semantic Web in campo legale dipende fortemente dalla reale possibilità di trovare quella soluzione. Sopra, al punto d., si è fatto cenno alla possibilità di implementare nuovi strumenti concettuali. Uno di questi potrebbe essere la logica fuzzy81, che propone di esaminare i concetti cercando di indicare dove potrebbero eventualmente sovrapporsi, aprendosi a uno scenario più complesso in cui i criteri di vero e falso (logica del primo ordine) sono sostituiti da una serie di verità che possono variare da 0 a 1. 7.2 Diversità linguistiche e diversità normative Di fatto non sempre (o forse il più delle volte non) esiste l’insieme comune di valori che rende possibile la comunicazione tra diverse lingue. La necessità di relazioni concettuali tra diverse entità giuridiche non è semplicemente una questione di differenze linguistiche. In effetti, possono essere descritte tre situazioni fondamentali molto diverse, e in due di esse la lingua, di per sé, non è il punctum dolens. Le situazioni sono le seguenti: 1. Stesso sistema giuridico (o Stato) / stessa lingua. 2. Stessa lingua / Sistemi giuridici diversi. 3. Sistemi giuridici diversi / Lingue diverse. Della prima categoria possono essere forniti due esempi. Il primo riguarda l’esperienza che l’Italia ha vissuto dopo la promulgazione della Costituzione nel 1948, dopo la Seconda guerra mondiale. La Costituzione ha introdotto un nuovo quadro giuridico e nuovi principi giuridici, che hanno segnato una rottura con la strati cazione storica del sistema italiano. In primo luogo, le disposizioni di legge emanate sotto il regime fascista (o anche in precedenza) sono state sospettate di essere in contrasto con la nuova Carta costituzionale. Le difficoltà che i giudici si sono trovati a fronteggiare sono state risolte facendo ricorso all’interpretazione ‘costituzionalmente orientata’, introdotta dalla Corte costituzionale italiana al ne di dare una risposta ai problemi causati dalla coesistenza all’interno dello stesso sistema giuridico di contenuti normativi appartenenti a periodi storici diversi (potenzialmente in con itto). La norma di legge rimaneva immutata, in termini di espressione linguistica, ma il contenuto normativo veniva ad essere cambiato a causa della riformulazione della questione e del contenuto giuridico che la nuova Costituzione aveva introdotto nel sistema. L’altro esempio riguarda gli Stati Uniti. Anche il sistema giuridico americano può essere analizzato dal punto di vista transnazionale82. Infatti, mentre ogni Stato dell’unione ha il suo potere legislativo e una Costituzione separata, allo stesso tempo la Corte Suprema Federale e la magistratura sono il luogo di una sorta di dialogo continuo tra legislatori e organi giudiziari di diversi Stati e istituzioni federali. La National Conference of Commissioners on Uniform State Law (NCCUSL), istituita nel 1892, è esattamente indicativa di questa tendenza: in realtà, cerca di favorire la formazione di leggi statali uniformi che possono essere adottate dalla maggior parte degli Stati degli Stati Uniti. Naturalmente, misure legislative uniformi sono state effettivamente adottate in settori in cui era necessaria la cooperazione tra Stati, come il settore commerciale, dove la domanda di un terreno comune e di soluzioni legislative condivise è più elevata. I due esempi precedenti rendono evidente l’importanza del trasferimento di contenuti normativi, sia nel tempo (il caso della Costituzione italiana) che nello spazio (il caso degli USA). Il problema è simile in entrambi i casi: vale a dire come far sì che sistemi giuridici sostanzialmente diversi, insiemi di regole e regole speci che diverse, possano comunicare tra loro. Il rapporto tra il diritto del Regno Unito e quello degli Stati Uniti illustra la seconda categoria: anche usando la stessa lingua, nel caso l’inglese, può veri carsi un problema di comunicazione giuridica. Se si considera l’informed consent, senza dubbio le parole usate sono esattamente le stesse, ma il signi cato e la portata sono uguali? Sfumature e differenze signi cative possono essere individuate, come può aiutare a spiegare l’esistenza di un sistema sanitario nazionale nel Regno Unito. In ne, l’Unione Europea si distingue come uno dei casi più rilevanti della necessità di interazione giuridica in un contesto multilingue e si presenta come l’esempio più adatto della nostra terza categoria. All’interno del suo territorio sono riconosciute 23 lingue ufficiali, coesistono tre lingue di lavoro e vengono identi cate una sessantina di lingue indigene non ufficiali. Ciò signi ca che ogni atto legislativo o amministrativo è redatto in ventitré lingue e questo processo richiede non solo una traduzione linguistica competente, ma anche la capacità di garantire che tutti i ventitré documenti autentici siano ugualmente giuridicamente coerenti: in breve, essi devono dire qualcosa che sia corrispondente dal punto divista giuridico. Una s da considerevole. 8. La teoria molecolare in azione: interoperabilità e funzione immunitaria In una situazione come quella sin qui descritta, nella quale il diritto è frammentato, disperso, non coerente o strutturato secondo una gerarchia stabile e riconoscibile, espresso in linguaggi naturali e arti ciali e ancora multilingue, due forze sono in azione e in bilanciamento reciproco: l’«interoperabilità giuridica» e la «funzione immunitaria». Si tratta di due metafore o, meglio, di due concetti presi a prestito da altre discipline, la prima dalla tecnologia e la seconda dalla biologia, e utilizzati all’interno del campo di ricerca de nito dalla teoria molecolare, un campo che, nella sua stessa denominazione, è chiaramente ispirato a una metafora chimica, quella che porta a dire che il diritto, per essere concepito nelle sue multiformi espressioni, deve essere considerato come un insieme di molecole (vedi paragra 1 e 2). L’«interoperabilità giuridica» indica la proprietà che ogni molecola giuridica ha di aggregarsi con un potenzialmente illimitato numero di altre molecole (ma non con tutte le molecole), mentre la «funzione immunitaria» indica il limite alla capacità aggregatrice dell’«interoperabilità» ed è capace di opporsi a ulteriori aggregazioni, ponendo le condizioni perché le aggregazioni abbiano un senso e, quindi, una natura e capacità normativa. In altri termini, l’«interoperabilità giuridica» lavora come una forza che crea connessioni il cui numero è proporzionalmente inverso al signi cato che le connessioni stesse hanno (secondo una dinamica per cui maggiori le connessioni = maggiore l’entità della dissipazione di signi cato), mentre la «funzione immunitaria» tende a contenere quella dissipazione. Il bilanciamento delle due forze evita sia la mancanza di signi cato di connessioni che sono troppo deboli, e che quindi creano solo rumore, sia le limitazioni troppo strette che la «funzione immunitaria» potrebbe porre, riducendo in questo modo la capacità della teoria molecolare di spiegare anche nuovi e non previsti fenomeni. La tensione tra il grado e il tipo di interoperabilità che le molecole giuridiche sviluppano e la «funzione immunitaria» determina il grado di coerenza (e, quindi, normatività). L’«interoperabilità giuridica» e la «funzione immunitaria» continuamente con gurano e ricon gurano lo scenario giuridico globale. Qualcosa del genere richiama il dibattito in ambito linguistico tra chi sosteneva la totale arti cialità delle lingue e chi faceva valere l’esistenza di restrizioni. Ricorda Andrea Moro come negli anni Cinquanta dello scorso secolo «nacque l’idea che le lingue umane non sono affatto prive di restrizioni, ma condividono con poca variazione un unico complesso insieme di principi generali, producendo in tal modo una sorprendente costellazione di proprietà linguistiche oggi riconosciute da tutte le principali scuole di linguistica»83. Il bilanciamento che descrive Moro, tra potenzialità combinatorie illimitate (quelle che Lenneberg chiama convenzioni culturali di natura arbitraria) e l’unico complesso insieme di principi generali, sembra riecheggiare quello tra «interoperabilità giuridica» e «reazione immune». Prima di procedere ad alcune preliminari veri che applicative (a mo’ di proof of concept) è necessario precisare i due termini del bilanciamento sopra delineato: «interoperabilità giuridica» e «funzione immunitaria». 8.1 Interoperabilità giuridica (Legal Interoperability) L’interoperabilità è considerato un problema tecnico cruciale, principalmente correlato alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT). Ridotto ai minimi termini signi ca che due o più sistemi o dispositivi sono in grado di comunicare tra loro e lavorare insieme, pur essendo diversi. Sulla pagina web del Comitato europeo per i sistemi interoperabili (ECIS), uno dei gruppi EU interessati alla questione, si può leggere: Interoperability is a cornerstone of the ICT industry. In today’s networked ICT environments, devices do not function purely on their own, but must interact with other programs and devices. A device that cannot interoperate with the other products with which consumers expect it to interoperate is essentially worthless84. L’interoperabilità tecnologica è un concetto poliedrico di cui non esiste una de nizione univoca. Tuttavia, al suo interno possono essere facilmente distinte due componenti: l’interoperabilità sintattica, ovvero la capacità di sistemi diversi di comunicare tra loro e scambiare dati, e l’interoperabilità semantica, ovvero la capacità d’interpretare e utilizzare tali dati e informazioni in modo signi cativo, utile per l’utente nale. Nel contesto europeo sono stati individuati quattro differenti livelli di interoperabilità: (i) strettamente ‘tecnica’, per quanto riguarda i segnali tra dispositivi; (ii) ‘sintattica’, riferita alla capacità di scambio di dati; (iii) ‘semantica’, relativa al trattamento e all’interpretazione dei dati ricevuti; e (iv) ‘organizzativa’, che agisce inevitabilmente anche a livello politico, poiché richiede il collegamento di diverse procedure amministrative e organi istituzionali (come si è visto nel Capitolo 7, a proposito di Internet of ings e tecnologia 5G). Lo sviluppo dell’interoperabilità tra i sistemi all’interno dell’ambiente ICT sta crescendo rapidamente ed è generalmente considerato un necessario passo avanti. Palfrey e Gasser85 sostengono che ciò sia dovuto principalmente al fatto che alcuni potenziali vantaggi sono già chiari: in particolare, innovazione, concorrenza, essibilità e apertura potrebbero essere notevolmente migliorate grazie a più alti livelli di interoperabilità, pur con qualche rischio connesso (un attacco alla sicurezza può propagarsi più facilmente tra sistemi interoperabili rispetto a sistemi isolati). Il concetto di interoperabilità, a partire dal dominio puramente tecnico, ha avuto poi uno sviluppo importante come interoperabilità culturale86, tanto che anche a livello teorico si è sviluppata una crescente richiesta perché fosse applicato tra sistemi che usano differenti logiche87. A mio avviso88, l’interoperabilità può essere un utile strumento concettuale nell’attuale stato del diritto transnazionale. L’aspetto più importante (per il diritto) dell’idea di interoperabilità è che essa abbraccia l’idea di sistemi (di qualsiasi tipo, e non necessariamente omogenei) che sono caratterizzati da dimensioni e strutture diverse, si adattano tra loro e comunicano, senza, ed è questo il punto che a me pare di importanza teorica decisiva, perdere le loro peculiarità89. Questo concetto di base si presta facilmente ad essere applicato in un senso più ampio, e quindi anche al diritto. Naturalmente non mancano i problemi in ambito giuridico90. Qualcuno potrebbe obiettare che le norme giuridiche dei Paesi di civil law e di quelli di common law sono intrinsecamente diverse e, di conseguenza, non suscettibili di essere connesse. Ma è facile rispondere ricordando che il caselaw, nonostante i Paesi europei siano per lo più di tradizione di diritto civile, ha acquisito una posizione formale importante nell’attuale realtà europea. Nel preambolo della Carta dei diritti dell’UE (Carta di Nizza), le giurisprudenze della Corte di giustizia europea (CGE) e della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) sono riconosciute come fonti del diritto costituzionale dell’UE. Naturalmente, la Corte di giustizia europea e la CEDU non possono essere paragonate a nessun giudice ordinario nell’Unione, ma la chiara disposizione è sufficiente (insieme ad altri sintomi) per dire che il tabù del diritto civile è stato formalmente violato e che non vi è motivo di escludere la possibilità che l’interoperabilità giuridica possa funzionare tra norme di Paesi di civil law e di common law. Se questo è vero come sviluppo storico del diritto sarà inevitabilmente necessario adottare un punto di vista che superi la rigidità di alcune posizioni teoriche, come quella di Schauer (vedi sopra), che sembra riservare la qualità di ‘rule’ solo alla norma di origine legislativa, ben scritta e a contenuto non generale e aperto. E forse bisogna anche superare la tentazione, a fronte delle difficoltà nelle applicazioni di IA, di rifugiarsi nei sistemi di civil law, che, un bel po’ idealizzati, fornirebbero norme più chiaramente formulate. Come si è visto sopra, a proposito della Carta di Nizza o del dibattito all’American University Washington College of Law tra Antonin Scalia e Stephen Breyer, i livelli e tipi di interazioni sono vari e intercorrono tra elementi che hanno grande varietà di forza legale, legittimità e valore. La capacità dell’interoperabilità giuridica di collegare particelle giuridiche elementari frammentate, eterogenee e disperse, non ha riscontro in altri approcci e discipline, che non hanno una proprietà inclusiva così potente. Ciò di cui abbiamo bisogno ora è (a) fornire una dimostrazione di come l’interoperabilità giuridica possa funzionare e dimostrare la sua capacità attraente verso materiali giuridici dispersi, e (b) mostrare come la connessione possa essere uno strumento di lavoro e contribuire a una nuova forma di diritto. Lo faremo nel prossimo paragrafo, subito dopo avere de nito la funzione immunitaria. 8.2 Funzione immunitaria Tradizionalmente la funzione immunitaria veniva de nita come: quella di individuare le macromolecole estranee all’organismo e di attivare le difese idonee a eliminare sia queste, sia gli ‘invasori’ che le producono (virus, batteri, metazoi), come risulta chiaramente dall’osservazione che gli individui nei quali il sistema immunitario non è sufficientemente sviluppato, oppure è stato inattivato da farmaci, radiazioni o virus (per es., HIV), soccombono a molteplici infezioni dovute ad agenti diversi. Questa funzione di difesa richiede che il sistema immunitario sia in grado di distinguere le macromolecole proprie da quelle estranee91. L’immunità, così intesa, è il meccanismo attraverso il quale un organismo, concepito come qualcosa avente con ni ben de niti, difende sé stesso (self). A questo livello sono decisivi la de nizione dei componenti dell’immunità e le loro regolazioni come un sistema compiuto al suo interno. Se è possibile un’incursione di un giurista nei presupposti logici di questa visione, il mondo verrebbe a essere costituito da una serie (presumibilmente ben ordinata) di organismi, ognuno con le sue caratteristiche e i suoi con ni. Adottando quest’ordine di idee nel diritto, il risultato sarebbe quello di un sistema ben ordinato di enti giuridici, che siano concetti o istituti giuridici, oppure ontologie giuridiche (nel senso che l’informatica giuridica ha adottato). Per fare un esempio, assumendo che un diritto di credito, sorto all’interno di una relazione contrattuale, sia ontologicamente de nito dalle regole del contratto (che sono costitutive del suo self), dovremmo accettare che le regole dei diritti reali o della responsabilità extracontrattuale siano trattate come macromolecole estranee, alle quali è precluso, proprio in ragione della reazione immunitaria, l’accesso a quel diritto di credito con il quale non possono mescolarsi. La teoria immunitaria, però, negli ultimi anni si è arricchita di ulteriori aspetti ecologici di grande interesse: quando l’organismo è inteso all’interno del suo pieno contesto ecologico, i con ni rimangono custoditi, ma le demarcazioni non sono rigide, né per quanto riguarda il tempo né per le funzioni; il traffico è ammesso, per scambi che apportino bene cio. Allora se si assume un più pieno contesto ecologico, la cooperazione e relazioni benigne devono anche essere considerate. Di conseguenza, il sistema immunitario, attraverso l’attiva tolleranza di sostanze e microorganismi ‘stranieri’ conserva il suo ruolo di guardiano, ma ora al servizio del metabolismo, dello sviluppo, e, in de nitiva, dell’evoluzione dell’olobionte92. L’autore, Alfred Tauber, conclude affermando che l’insieme delle attività immunitarie appare meglio descritto non come un interruttore sì/no governato dall’individualità, ma piuttosto come un ‘reostato’, capace di modulare la risposta lungo un continuum di accettazione o ri uto. Cambiano in tal modo anche le basi dell’identità, che si espandono sulla base di relazioni che sono mediate dall’immunità, tanto che gli agenti mutano da entità indipendenti in entità collettive complesse, mentre l’individuo appare come un «multigenomic organism embedded in a complex environment». In sintesi, le funzioni immunitarie si espandono da una visione dell’organismo segregato nel suo ambiente a uno scenario relazionale che meglio si adatta allo scambio ecologico. Una concezione del genere delle funzioni immunitarie ben si combina con l’interoperabilità e, sin da subito, consente di risolvere il caso giuridico sopraccennato. Se si immagina la funzione immunitaria al lavoro insieme all’interoperabilità, allora il giurista non si meraviglierà più della commistione tra regole del contratto e regole della responsabilità extracontrattuale che la tutela esterna del diritto di credito ha generato nei nostri sistemi, perché il reostato immunitario avrà considerato una relazione benigna quella che consente che anche un diritto di credito abbia una tutela a fronte di condotte lesive poste in essere da soggetti estranei al contratto che ha originato il credito. E considerazioni analoghe si potrebbero fare per altri tentativi di concettualizzazione di nuove entità giuridiche, come la «nullità sopravvenuta» e altri esempi possibili. L’immunologia non nisce di stupirci e va ancora oltre: the immune system also responds to endogenous components, that is, to the self. In fact, a signi cant degree of autoreactivity and autoimmunity is indispensable for a healthy immune system. Immune responses such as the phagocytosis of dead cells, tissue repair and regulatory responses are in most cases responses to the self93. Il sistema immunitario, quindi, riconosce ed elimina anche parte del sé, quando riconosce la cellula vecchia o malata, da sostituire. In ambito giuridico, questa potrebbe essere la propensione alla revisione dei sistemi, eliminando ciò che è obsoleto94. Non sia tratto in inganno il lettore. Non sono espedienti da azzeccagarbugli, abili manipolatori capaci di eguagliare quadrata rotundis, ma della plasticità del diritto a fronte della evoluzione sociale. 8.3 Esempi di casi non adeguatamente spiegati La disaggregazione dei sistemi giuridici lascia sul terreno un’enorme quantità di singoli pezzi di diritto, diciamo di molecole giuridiche (vedi sopra), che, in parte indipendentemente dai loro campi giuridici di origine (pubblici o privati, costituzionali o sovranazionali, e così via), mostrano alcune proprietà speciali. La proprietà più importante è di essere in grado di lavorare sia nel proprio contesto di origine (eventualmente secondo l’intenzione di coloro che hanno introdotto quella speci ca legislazione), sia in contesti diversi, ogni volta che entrano in contatto con fonti o elementi giuridici diversi. La principale novità nell’ambiente transnazionale sembra essere non la sovversione dei vecchi sistemi giuridici nel loro insieme o la loro scomparsa, ma piuttosto la co-presenza del vecchio sistema (che funziona ancora in zone che si potrebbero dire tradizionali, come, per esempio, le regole di vicinato tra fondi) e diversi tipi di interazioni (vecchie e nuove), che corrispondono a connessioni e gerarchie di diritto diverse e instabili. L’interoperabilità giuridica, che focalizza sulle differenze piuttosto che sulle somiglianze, ha come obiettivo di mettere in contatto (e di rendere operativi) elementi che originariamente sarebbero separati a causa di alcuni disallineamenti vuoi concettuali o linguistici, vuoi territoriali o per appartenenza a differenti giurisdizioni. In pratica, l’interoperabilità giuridica è in grado di spiegare alcuni fenomeni giuridici che, per quanto, molto diversi nella loro natura, possono essere ricompresi in un unico quadro concettuale. In questo paragrafo, vengono considerati alcuni casi e problemi giuridici che le tradizionali impostazioni disciplinari hanno una particolare difficoltà a spiegare. Alcuni, già oggetto di trattazione, vengono solo richiamati, altri vengono spiegati in modo più esteso. Costituzione del Sudafrica. L’articolo 39 della Costituzione della Repubblica del Sudafrica (1996) autorizza esplicitamente i giudici a «considerare il diritto straniero» quando interpretano la Carta dei diritti. In questo caso, esiste una disposizione costituzionale (una vera novità nel panorama mondiale delle Costituzioni nazionali, una novità di cui il Sudafrica è orgoglioso) che dà la possibilità di interiorizzare una legge straniera e di cambiarne la natura, in modo che diventi un pezzo di diritto interno, a condizione che il giudice fornisca una giusti cazione per questo. La questione non è di facile concettualizzazione. Tradizionalmente il diritto straniero viene trattato come un ‘fatto’ e non come un’entità giuridica, che è in grado di interagire alla pari con le regole interne. Edward K. Cheng95 sottolinea come, per quanto la Rule 44.1 (introdotta nelle Federal Rules of Civil Procedure nel 1966) indichi ai giudici americani di considerare il diritto straniero come una questione giuridica96, i giudici sono spesso riluttanti a rispettare questa regola. In pratica, preferiscono un approccio ‘ibrido’ o per lo più continuano a fare affidamento su esperti del settore al ne di dimostrare il contenuto del diritto straniero e chiedere alle parti di adempiere al proprio onere della prova al riguardo. Il risultato, descritto da Cheng, è che in tal modo si cada in una terra di nessuno tra ‘diritto’ e ‘fatto’97. L’interoperabilità giuridica è in grado di comprendere questo fenomeno giuridico nel suo quadro concettuale: la quali cazione diritto straniero/interno oppure fatto/diritto non paralizza l’operatività consentita dall’art. 39 di cui sopra, che risolve un problema, mentre il diritto interno e quello straniero mantengono ancora il loro proprio stato. L’art. 39 rende interoperabili, ma solo per il Sudafrica, entità alle quali negli ordinamenti è formalmente precluso interagire (salvo ricorrere a espedienti di cui si dirà in relazione agli USA). Bene, è proprio in casi come questi che l’interoperabilità giuridica è in grado di riconoscere e stabilire la connessione anche se il diritto nazionale e straniero sono eterogenei come tipologia, uno avendo valore giuridico e l’altro essendo un fatto. La giusti cazione fornita dal giudice svolge la funzione immunitaria. Diritto straniero e USA. Si è ricordato sopra (a proposito delle gerarchie in ambito giuridico) il dibattito tra due notissimi giudici della Corte suprema federale americana, Antonin Scalia e Stephen Breyer, in occasione della sentenza della stessa corte che nel dichiarare la contrarietà al Bill of rights delle leggi aveva fatto ricorso alle esperienze giuridiche europee, e di come Norman Dorsen delineò i diversi possibili tipi di interazione all’interno del sistema giuridico statunitense: a) interazione con il diritto costituzionale straniero; b) interpretazione di trattati internazionali o decisioni di corti straniere, con valore che può essere di ‘precedente da seguire’ (authority) oppure solo persuasivo o retorico; c) gli USA che assicurano l’esistenza di un contesto morale e giuridico condiviso con il resto del mondo. In realtà, messa la questione in termini formali (come fece Scalia, secondo la sua nota teoria originalista), non vi è via di uscita, e il miracolo può essere compiuto facendo ricorso al valore non conclusivo di quei richiami, un valore culturale (anche retorico), che dà al giudice l’opportunità di conoscere (e di trarre spunto da) cosa colleghi di altri Paesi hanno fatto sulla stessa materia (la tesi di Breyer). L’interoperabilità suggerisce una via giuridica (e non meramente culturale) per porre in contatto elementi normativi provenienti da diversi Paesi, seguendo alcuni criteri di cui si dirà nel paragrafo nale. È ancora necessario considerare i singoli ordinamenti come scatole chiuse, la cui unica nestra è costituita dal potere legislativo? La Carta di Nizza e gli ordinamenti statali europei. Si è visto sopra come la Carta dichiaratamente e ufficialmente riguardi esclusivamente il diritto comunitario (secondo l’articolo 52 della Carta), ma sia ‘usata’ dai giudici in un modo diverso. Il sito web europeanrights.eu fornisce un monitoraggio sistematico dei materiali giudiziari, legislativi e di altro tipo relativi alla protezione dei diritti fondamentali in Europa e offre principalmente un vasto archivio di casi nazionali ed europei. Offre una sorprendente dimostrazione di come la protezione dei diritti umani nei Paesi dell’UE sia qualcosa che va oltre i valori legali e la gerarchia delle loro fonti. In pratica, i tribunali europei hanno iniziato ad applicare la Carta dei diritti fondamentali dell’UE (Carta di Nizza) come se fosse una fonte di diritto nei sistemi giuridici interni. Anche qui, o si conclude che ampia parte dei giudici europei violino i limiti dei propri poteri o si accetta l’uso retorico o argomentativo o rafforzativo del ricorso alle statuizioni della Carta. Oppure si vede in ciò un chiaro esempio di interoperabilità giuridica in atto. Esso può aiutarci a identi care tutte le sfumature nell’applicazione di tali disposizioni all’interno di diversi Stati membri, anche al di fuori dei soliti con ni della gerarchia del diritto e della razionalità prestabilita di fonti del diritto. La motivazione data dal giudice svolge la funzione immunitaria. Il diritto straniero e il caso Englaro. Nel molto noto caso italiano di Eluana Englaro, la Corte di cassazione nella sentenza decisiva fa ampio riferimento a fonti giuridiche e a casistica giudiziaria di Paesi diversi dall’Italia. Il Parlamento italiano solleva un con itto di attribuzione contro l’autorità giudiziaria, che avrebbe travalicato i limiti del proprio potere a danno del Parlamento, affermando, tra le varie questioni, che «la Cassazione, traendo spunti da ‘una congerie di richiami a soluzioni che al riguardo sarebbero state adottate in ordinamenti e sentenze straniere’ e spingendosi persino oltre i limiti ivi tracciati, avrebbe essa stessa confermato ‘l’impossibilità di reperire nel nostro ordinamento vigente una apposita disciplina legislativa’». La Corte costituzionale dichiara inammissibile la questione (ordinanza n. 334 del 2008), travolgendo anche la questione del diritto straniero nella più generale considerazione che un con itto di attribuzione nei confronti di un atto giurisdizionale non può ridursi alla prospettazione di un percorso logico-giuridico alternativo rispetto a quello censurato, giacché il con itto di attribuzione «non può essere trasformato in un atipico mezzo di gravame avverso le pronunce del giudice». Letto in controluce, la Corte dice che anche la citazione di giurisprudenza straniera non costituisce una violazione dei limiti del potere giudiziario, perché rientra nella libertà argomentativa del giudice. Ma se si considera il modo in cui in larga parte del mondo occidentale si è venuto formando il diritto di ne vita bisogna dire che la comunicazione tra elementi di ordinamenti giuridici diversi è stata di grande importanza e che pare non esauriente dal punto di vista teorico dire che si sia trattato solo di scambi culturali. La motivazione del giudice svolge, anche in questo caso, la funzione immunitaria. La Corte europea dei diritti dell’uomo e la ‘legge’ europea. La Corte EDU, sin dal leading case Sunday Times v. UK, 1979, e poi anche in altri casi, come S. and Marper v. UK, 2008, si è trovata di fronte alla difficoltà di de nire cosa fosse ‘legge’ secondo la Convenzione, mentre gli Stati aderenti hanno sistemi sia di civil law sia di common law. La questione era di grande rilevanza perché proprio la Convenzione ammette certo la possibilità di deroghe ai diritti e alle libertà dalla stessa riconosciuti, ma a patto che ciò avvenga con una ‘legge’ e che abbia determinati requisiti. I giudici di Strasburgo hanno stabilito che il termine ‘legge’ non è riferibile in senso stretto all’atto legislativo emanato dal Parlamento, ma abbraccia, indipendentemente dal nomen juris, tutte le disposizioni aventi valore o forza di legge secondo una check list di requisiti adottata dalla stessa Corte. Possono essere considerati ‘legge’ anche i documenti di tipo regolamentare, governativo, amministrativo, i precedenti, le fonti di diritto non scritto, il diritto internazionale, purché dotati dei seguenti requisiti: accessibilità pubblica, prevedibilità, chiarezza, precisione, completezza di previsioni e tassatività. Anche in questo caso, il risultato può essere considerato un caso di interoperabilità in action tra entità anche formalmente diverse: la Corte EDU ha prodotto un sistema di legittimazione di fonti inferiori equiparate a fonti superiori, ma anche di delegittimazioni di entità giuridiche che appaiono essere ‘leggi’, ma che leggi non sono secondo la check list. La check list svolge la funzione immunitaria. ‘We are still in’. L’accordo di Parigi sul clima e il ritiro degli USA. Il 1° giugno 2017 la Casa Bianca annuncia la sua intenzione di ritirarsi dall’accordo di Parigi: «per adempiere al mio solenne dovere di proteggere l’America e i suoi cittadini, gli Stati Uniti si ritireranno dall’accordo sul clima di Parigi»98. Tuttavia, una vasta parte del popolo americano sembra avere una visione diversa. Dalla sua prima pubblicazione, il 5 giugno 2017, oltre 3.700 uomini d’affari, leader di municipi, di parlamenti, di campus universitari americani, che rappresentano oltre 155 milioni di americani e 9.45 trilioni di dollari (un trilione indica mille miliardi) dell’economia degli Stati Uniti, hanno rmato la dichiarazione We Are Still In99. La lettera aperta alla comunità internazionale ha un tono solenne: We, the undersigned mayors, governors, college and university leaders, businesses, and investors are joining forces for the rst time to declare that we will continue to support climate action to meet the Paris Agreement. […] In the U.S., it is local and state governments, along with businesses, that are primarily responsible for the dramatic decrease in greenhouse gas emissions in recent years. Actions by each group will multiply and accelerate in the years ahead, no matter what policies Washington may adopt100. L’iniziativa, che continua a espandersi anche in altri importanti Paesi (da ultimo l’organizzazione similare giapponese, la Japan Climate Initiative), pone alcuni interessanti problemi. L’accordo di Parigi sul cambiamento climatico è un accordo internazionale di cui sono parti e rmatari gli Stati, come è chiaramente indicato dall’art. 20101. Iniziative come We are still in sono pure azioni politiche o hanno anche un diverso e ulteriore valore giuridico? Quando i sottoscrittori affermano che rispetteranno i limiti dell’accordo di Parigi stanno dando rilevanza internazionale a una tipica questione costituzionale interna agli USA (i limiti del potere federale)? Il problema qui è che l’accordo è stato rmato dal governo federale degli Stati Uniti, che poi ha deciso di uscire. Le istituzioni e gli attori interni, pur non avendo formalmente il potere di non uscire, comunicano alla comunità internazionale e all’ONU che, nonostante la decisione del proprio governo di rinunciare, vogliono rimanere dentro: avendo la decisione del governo di ritirarsi pieno valore giuridico, la comunicazione di essere still in potrebbe essere considerata forse l’equivalente di una nuova rma? Da questo punto di vista è anche interessante la reazione del segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, il quale dichiara che l’ONU è solo il depositario dell’accordo e che si dovranno attendere le reazioni di altri Stati. Tutto questo può portarci a dire che gli Stati Uniti si stanno disaggregando? Direi proprio di no, e che piuttosto tutta la vicenda rientri tra quei casi in cui soggetti che, secondo la concezione tradizionale, non avrebbero legittimazione come soggetti del diritto internazionale, acquistano rilevanza. È anche un segno, tra i tanti, di disallineamento del territorio dalle istituzioni statali di riferimento. Così come è un segno il «patto delle città libere» rmato dai sindaci di Bratislava, Budapest, Praga e Varsavia contro i rispettivi gorverni (di cui parlano le agenzie di stampa del 16 dicembre 2019). Questo è un ulteriore caso in cui, per dar conto di una realtà del genere, vi è bisogno di una visione del diritto che superi le partizioni nazionale/internazionale, pubblico/privato e via… separando. Solo una visione che dia evidenza ai singoli componenti la miscela del problema, indipendentemente dalla loro quali cazione di partenza, può essere in grado di raccogliere in un unico quadro una vicenda del genere. 9. La teoria molecolare (MolTh) come complesso campo di ricerca Dopo aver letto i casi riportati nel paragrafo precedente il lettore potrebbe (generosamente) dire che essi confermano la necessità di un superamento delle categorie tradizionali e di elaborare idee che siano in grado di ricomprendere vicende così diverse una dall’altra, ma potrebbe (criticamente, e a ragione) rilevare che lo strumento interoperabilità giuridica è un lo troppo tenue e impreciso per essere utilmente applicato in modo da generare non solo collegamenti, ma anche possibili soluzioni per questioni nuove. Il rilievo è meritevole di attenzione. Le dinamiche immunitarie possono dare un lume. Si deve provare a immaginare la totalità delle connessioni tra le molecole giuridiche (quale che ne sia natura e provenienza) come un grande network costituito da nodi e archi, la cui descrizione sia in grado di fornire sia (elementi per) spiegazioni, sia modelli di predizione dello sviluppo delle relazioni. La prospettiva è di notevole complessità. Alcuni criteri circa i modi di aggregazione/disaggregazione di nuovi nodi nel network molecolare possono fornire un primo indice. Qui di seguito una prima elencazione: a. Criterio quantitativo. Più frequente è il riferimento che leggi, precedenti, case-law, so law e altro fanno a una molecola giuridica o a un nucleo giuridico (insieme di molecole), maggiore è il valore (potenzialmente) giuridico che quella molecola o nucleo giuridico hanno (questo è, ad esempio, signi cativo nel caso dei riferimenti dei giudici nazionali alla Carta di Nizza). b. Criterio qualitativo. Più precisa e convincente è la spiegazione dei motivi per cui è stato selezionato (giusti cazione) un nucleo giuridico (uniforme) esterno, più forte è la scelta e maggiore è la possibilità che tale collegamento sia seguito in altri casi (si veda la forza ordinante del caso Marper v. UK, 2008, oppure le sfumature descritte da Norman Dorsen alla Washington University sui diversi modi e sul valore di riferirsi ai precedenti da altri Paesi). c. Criterio di esclusione (limiti). Nel costruire queste relazioni si dovrebbero abbandonare (come criterio di aggregazione/disaggregazione) giusti cazioni basate su distinzioni come nazionale/straniero, nazionale/internazionale (il caso We are still in), fattuale/giuridico e altre che sono non coerenti con l’approccio molecolare (quelle caratteristiche possono essere rilevate se lo scopo conoscitivo lo richiede – per esempio per sapere come si distribuisce territorialmente una certa norma –, ma non come criterio di inclusione/esclusione). Alla stessa stregua si dovrebbe abbandonare l’opposizione linguaggio naturale/linguaggio arti ciale/prodotto di IA (si veda Capitolo 4 sulla costruzione della motivazione e, sopra, il paragrafo dedicato al multilinguismo). d. La costruzione di questo network dovrà avvalersi delle tecniche più avanzate di IA (nelle più diverse forme), a partire da data warehouse102 che raccolgano grandi quantità di dati giuridici necessari per l’elaborazione machine learning. L’obiettivo è quello di costruire strumenti tecnici che siano in grado di dar conto di entità molecolari che sono così uttuanti e variabili da ricordare la scurrying prey (la preda sfuggente) che mette a prova le non comuni capacità del falco. Un network governato da questi criteri dà una visione di come il diritto del futuro sia già nato, ovviamente come embrione. Bisogna avere occhi per vederne il pro lo, pur frammentato, che comincia a essere riconoscibile103. Va colta una coerenza nuova, anche quando gli elementi vengono, come è inevitabile che sia, dal passato. Quello che conta è la mappa nella quale collocare ciò che accade, i fatti, i progetti, le visioni. L’intelligenza arti ciale è protagonista di questa mappatura, non per duplicare il diritto esistente o per rimpiazzarlo in toto, ma piuttosto per costruire regole di compatibilità. Il risultato può essere una concezione del diritto che sia relativista, pluralista e policentrica (non obiettivista, non monista e non gerarchica) dei fenomeni giuridici104. Come si diceva in apertura di questo capitolo, quella che qui viene chiamata «Teoria molecolare del diritto» (Mol) non ha i caratteri compiuti di una teoria (come insieme coerente di proposizioni veri cabili circa un fenomeno), ma vuole fornire elementi sufficienti per una prima de nizione di un campo di ricerca complesso e per il quale le forze e le competenze non saranno mai abbastanza. Il lavoro da fare è tanto e riguarda non solo la dimensione giuridica, ma anche quella civile, senza la quale non vi è tecnicismo che valga. Perché l’obiettivo è che il diritto sia per tutti: the law is for everyone, citando in modo infedele il fondatore di Internet105. 1 ROVELLI 2014, p. 31. 2 Per una posizione teorica basata su una lunga lista di ipotesi (IF), si veda EINSTEIN 1905. 3 Uso il termine «descrizione» invece di «spiegazione» perché dovremmo essere in grado di descrivere anche qualcosa che al momento non siamo in grado di spiegare: describe > explain. 4 Sul tema controverso dei requisiti di una teoria scienti ca (e anche non scienti ca) si veda WINTHER 2016. 5 Questa affermazione è tratta dal campo della teoria dell’evoluzione. Devo a Telmo Pievani questo spunto. La citazione originale è la seguente: «e result is a structure of the theory of evolution, intended as a complex research programme, more articulated in a pluralistic frame, more realistic in its assumptions about the currently available evidences, with revisions of previously too restrictive concepts (regarding the ‘universality’ of some patterns)» (PIEVANI 2016, p. 446). 6 Sulla distinzione si veda Capitolo 4, paragrafo 6.2. 7 Adotta decisamente la suggestiva metafora della sica quantistica BIN 2009, pp. 35-60. 8 e Columbia Electronic Encyclopedia, 2013, disponibile all’indirizzo https://encyclopedia2.thefreedictionary.com/molecule, visitato il 12 novembre 2017. 9 WINTHER 2016, p. 31 (traduzione mia: «many components of theory structure, such as metaphors, analogies, values, and policy views have a non-mathematical and ‘informal’ nature, and they lie implicit or hidden»). 10 Il concetto di causa nel pensiero contemporaneo ha nito per incentrarsi sull’alternanza ontologica di causalità lineare (necessità e determinismo) e causalità non-lineare o intricata (caso e indeterminismo). 11 Si veda anche Capitolo 6, paragrafo 5; SINI 2009; FRANSSEN – LOKHORST – VAN DE POEL 2010. 12 PIEVANI 2016. 13 Traduzione mia: «all law which regulates actions or events that transcend national frontiers. Both public and private international law are included, as are other rules which do not wholly t into such standard categories»: JESSUP 1956, p. 2. Si vedano anche SCOTT 2009; ZUMBANSEN 2006, pp. 738-754; BROWNSWORD 2008. 14 Da qui in avanti in questo paragrafo mi avvalgo (sviluppandole) di mie precedenti ricerche pubblicate in SANTOSUOSSO 2011b. 15 KOH 2009, pp. 313–326. 16 Così viene presentato il volume KAMMINGA – SCHEININ 2009. Si veda anche LANGFORD et al. 2013. Signi cativa la missione della corte internazioanle penale: «e International Criminal Court promises to bring to justice odious public offenders based on a worldwide criminal code, while inter-governmental cooperation increasingly brings to trial some of the most notorious international criminals», presso https://www.globalpolicy.org/globalization/globalization-of-law.html, visitato 8 agosto 2017). 17 Dal sito https://www.coe.int/en/web/human-rights-convention/the-convention-in-1950, visitato il 4 agosto 2019. 18 Informazioni sulla Corte sono disponibili presso il sito http://www.echr.coe.int/ e http://eurlex.europa.eu/. La fonte delle statistiche è European Court of Human Rights, Analysis of statistics 2016, http://www.echr.coe.int/Documents/Stats_analysis_2016_ENG.pdf. 19 Per una visione complessiva della materia si veda MAZZESCHI 2013. 20 Di cui si parlerà alla ne di questo capitolo. 21 CASSETTI 2010. 22 Il resoconto del caso e i collegamenti a tutti i materiali sono disponibili presso https://iachr.lls.edu/sites/iachr.lls.edu/ les/iachr/Cases/Barrios_Altos_v_Peru/benson_barrios_altos_ v._peru.pdf, visitato il 19 dicembre 2019. 23 Il segretario generale, Ko Annan, pose una questione cruciale all’Assembrela Generale delle Nazioni Unite: «If humanitarian intervention is, indeed, an unacceptable assault on sovereignty, how should we respond to a Rwanda, to a Srebrenica – to gross and systematic violations of human rights that affect every precept of our common humanity?»: International Commission On Intervention And State Sovereignity (2001), p. VII e VIII, disponibile presso https://idl-bncidrc.dspacedirect.org/bitstream/handle/10625/18432/IDL-18432.pdf?sequence=6&isAllowed=y, visitato il 7 agosto 2019. 24 HAASS 2017, pp. 2-9. Richard Haass è presidente del Council on Foreign Relations. 25 https://www.globalpolicy.org/globalization/globalization-of-law.html, sito del Global Policy Forum, è un osservatorio politico indipendente che controlla il lavoro delle Nazioni Unite, visitato il 5 agosto 2019. 26 PARKER 2017. 27 KING 2017. 28 BALDWIN 2016, p. 14 della traduzione in italiano (Il Mulino, 2018); le citazioni successive sono tratte dalle pp. 15-16. 29 Tra i molti autori che oggi condividono l’idea della frammentazione del diritto si veda HOLMES P. 2014, pp. 553-583. 30 LOSANO 2008, pp. 58-61; corsivi miei. Si veda anche SOMEK 2017, p. 16, «these parts of Kelsen’s project have forever set modern legal positivism against ‘common sense’». È interessante notare come autorevole dottrina contemporanea indichi proprio il venir meno di queste distinzioni come tratto caratteristico della globalizzazione del diritto: «as Twining notes, there is not much security to be had in a world where lawyers (and others) witness the erosion of dearly held distinctions such as public/private, state/nonstate, and even law/nonlaw, prompting them to contemplate ‘law’s fading coordinates’», ZUMBANSEN – DISEMBEDDED 2013. 31 È il Kelsen del Das Problem der Souveränität und die eorie des Völkerrechts, scritto durante la Prima guerra mondiale e pubblicato nel 1920, come ricostruito da ZOLO 2007. 32 KELSEN 1979; LOSANO 2008, p. XXI. Quando si cita Kelsen è essenziale ricorrere a una corretta periodizzazione. A tal ne ci si può rifare al lavoro di Stanley L. Paulson (PAULSON 1996, pp. 797-812, specialmente 797-798): «Kelsen’s early phase, critical constructivism, is evident above all in the Hauptprobleme der Stautsrechtslehre (1911) […] continues up to about 1920. e middle, classical phase, from about 1920 to 1960, comprises two crucial developments, both evident by the mid-1920s. Kelsen’s effort […] to provide something approximating a neo-Kantian foundation for the normativity thesis; the case Kelsen makes here is familiar from his theory of the basic norm. […] Kelsen adopts from his colleague, Adolf Julius Merkl, the doctrine of hierarchical structure (Stufenbaulehre) as the basis for conceptualising the legal system, a development marking the beginnings of Kelsen’s ‘dynamic’ turn, his work on a procedurally oriented theory whose elements displace many of the ‘static’ elements of the Hauptprobleme. Finally, in a late, skeptical phase, aer 1960, Kelsen throws over much of the Pure eory of Law as we know it from his middle, classical phase, defending in its place a volitional or ‘will’ theory of law». 33 ZOLO 2007, p. 8. Per un quadro interessante della frammentazione delle fonti nella esperienza costituzionale soprattutto italiana si veda BIN 2009. 34 SCHAUER 1991, pp. 10-11. 35 SLAUGHTER 2000, pp. 1103-1124. 36 SANTOSUOSSO 2011, nella seconda edizione del 2016, Capitolo 2, aggiornato da Marta Tomasi. Mie precedenti ricerche in SANTOSUOSSO – AZZINI 2010; SANTOSUOSSO 2002a, p. 809. 37 SANTOSUOSSO 2002a, p. 809 ss.; CARTABIA 2003; RUGGERI 2008, p. 11. Per le dinamiche che l’interazione tra il diritto nazionale e quello europeo crea, la descrizione di Bin è tra le più colte e interessanti: BIN 2009. 38 Sul tema e sulle diverse posizioni rinvio a SANTOSUOSSO – AZZINI 2010. 39 RUGGERI 2007, pp. 6-12. L’autore afferma che il metodo gerarchico costituisce un approccio errato per il sistema delle fonti del diritto e propone di utilizzare, anziché un approccio verticale, un approccio di tipo orizzontale. 40 SANTOSUOSSO 2002a, pp. 809-816. 41 Il sito http://www.europeanrights.eu/ (visitato il 10 agosto 2019) contiene buoni esempi di questo uso oltre i limiti giuridici della Carta. 42 SCALIA – BREYER 2005. 43 Per il ruolo che può giocare il concetto di interoperabilità giuridica, si veda avanti sub paragrafo 8. 44 PRAKKEN – SARTOR 2015, p. 215: «Law is not just a body of rules but also consists of institutions for creating (legislators), applying (judges and administrators) and enforcing (police and administrators) these rules. Also, legal norms do not exist in isolation but as elements of legal systems, where different kinds of norms exist. Certain norms directly govern individual behavior, establishing permissions, obligations, prohibitions or rights (e.g. a prohibition to smoke in school premises). Other norms establish when the conditions of a behavior-governing norm are satis ed (e.g., a norms establishing what counts as a school premise). Again other norms determine under what conditions new valid norms are created (e.g. a statute empowering a city council to regulate smoking). en there are norms which determine who should adjudicate con icts according to the existing norms (e.g., a law giving justices of peace the power to decide cases concerning the violation of smoke rules). And there are norms that confer powers to enforce norms (e.g., a regulation giving police officers the power to issue nes for the violation of smoke prohibitions)». 45 GROSSI 2003, p. 85. 46 SOMEK 2017, traduzione mia da p. 32: «If any act is, however, both law creating and law applying, it is also neither one nor the other. It is a synthesis of both. is synthesis has been given different names in different theoretical traditions. […] these various conceptions do not matter. What matters is that taking this step marks the end of legal positivism since it fundamentally alters the ontological commitment of legal theory. e law is no longer deemed to be produced and subsequently to be just there. Rather, the law is in a permanent state of reproduction». E si veda p. 4 per l’insieme di entità stabili e astratte. 47 Si veda il numero speciale e Many Fates of Legal Positivism, 1 February 2011, «German Law Journal», 12, pp. 599-826. 48 HAYEK 1978; GROSSI 2018. 49 Vedi sopra, Capitolo 4, paragrafo 6.2 e PRAKKEN – SARTOR, 2015, pp. 214-245. 50 COPELAND 2017, pp. 3-4. 51 «ASCII stands for American Standard Code for Information Interchange. Audio and video digitization uses one of many analog-to-digital conversion processes in which a continuously variable (analog) signal is changed, without altering its essential content, into a multi-level (digital) signal. e process of sampling measures the amplitude (signal strength) of an analog waveform at evenly spaced time markers and represents the samples as numerical values for input as digital data»: Margaret Rouse, Digitization, disponibile presso https://whatis.techtarget.com/de nition/digitization? vgnextfmt=print, visitato il 15 agosto 2018. 52 Si vedano anche IRTI 2016; GARAPON – LASSèGUE 2018; PAGALLO 2014. 53 GOODENOUGH 2015, pp. 3-17. 54 «e-discovery (Electronic-DISCOVERY): Relevant evidence in a court case that resides in electronic form. It includes all types of electronic les, including Web pages, email correspondence, as well as database, word processing and spreadsheet les. Compiling electronic evidence is much faster than manual coding from paper documents as has been common in the past. Meta-data such as date, from, to and type of document can be extracted automatically from electronic les in order to create an evidence database»: «e-discovery». Computer Desktop Encyclopedia. 1981-2019. e Computer Language Company Inc, https://encyclopedia2.thefreedictionary.com/e-discovery, visitato il 31 agosto 2019. 55 ASHLEY 2017, p. 3 e passim. 56 ASHLEY 2017, pp. 3-4: «CMLRs and CMLAs break down a complex human intellectual task, such as estimating the settlement value of a product liability suit or analyzing an offer and acceptance problem in a rst-year contracts course, into a set of computational steps or algorithm. e models specify how a problem is input and the type of legal result to output. In between, the model builders have constructed a computational mechanism to apply domain knowledge to perform the steps and transform the inputs to outputs». 57 «A Question-answering system searches a large text collection and nds a short phrase or sentence that precisely answers a user’s question» (PRAGER et al. 2000). «Information extraction is the problem of summarizing the essential details particular to a given document» (FREITAG 2000). A proposito di interventi manuali si veda LANCE 2018b: «In other words, Google and Bing’s search results are manually aided, corrected, and trained by over one million human beings. is distributed labor force is responsible for the reliability and integrity of the searches we conduct every day». 58 KATZ – BOMMARITO 2014, p. 5. 59 «CMLRs and CMLAs developed in the AI & Law eld will employ information extracted automatically from legal texts such as case decisions and statutes to assist humans in answering legal questions, predicting case outcomes, providing explanations, and making arguments for and against legal conclusions more effectively than existing technologies can […]. Some CMLRs and CMLAs could help advanced AI programs make intelligent use of legal sources. Certainly, the extracted information will be used to improve legal information retrieval, helping to point legal professionals more quickly to relevant information, but what more can be done? Can computers reason with the legal information extracted from texts? Can they help users to pose and test legal hypotheses, make legal arguments, or predict outcomes of legal disputes? e answers appear to be ‘Yes!’ but a considerable amount of research remains to be done before the new legal applications can demonstrate their full potential» (ASHLEY 2017, p. 5). 60 ASHLEY 2017, p. 351: «challenges that still need to be addressed in order to construct these new CCLAs. How can the computational models of case-based, rule-based, and value-based legal reasoning and argumentation be integrated with conceptual legal information retrieval? What roles do the type system and pipelined text annotators play in this integration? What kind of manual conceptual annotation of training sets of documents will be required? What will CCLAs look like? How will they help humans to frame and test legal hypotheses?». 61 PRAKKEN – SARTOR 2015, p. 215. 62 Vedi anche https://plato.stanford.edu/entries/logic-nonmonotonic/. 63 Una de nizione tratta dal dizionario online e Free Dictionary http://www.thefreedictionary.com/ è la seguente: «Computers: To imitate the function of (another system), as by modi cations to hardware or soware that allow the imitating system to accept the same data, execute the same programs, and achieve the same results as the imitated system». 64 GOODENOUGH 2015, p. 14. 65 ASHLEY 2017, p. 13. 66 ROBALDO 2017, p. 7. 67 Vedi https://worldjusticeproject.org/our-work/engagement/events/world-justice-forum, vistato il 27 dicembre 2019. 68 Si veda sopra a proprosito della posizione di Goodenough. 69 SHAPIRO – KOURI KISSEL 2018, p. 5. Traduzione mia: «a formal language is a recursively de ned set of strings on a xed alphabet. Some aspects of the formal languages correspond to, or have counterparts in, natural languages». 70 SHAPIRO – KOURI KISSEL 2018, p. 5 [Traduzione mia]». 71 Vedi ASHLEY 2017, paragrafo 6.1.1. 72 Circa «the intensifying quest for interoperability between logic-based systems using different logics», vedi BRINGSJORD – GOVINDARAJULU 2018. 73 Tra i linguaggi formali si possono ricordare Java, Scala, C++, C, Haskell, Erlang e Rust. 74 Vedi RUMBAUGH – JACOBSON – BOOCH 2005, p. 3 e ss. 75 In questo paragrafo mi avvalgo di precedenti ricerche per il cui sviluppo completo rinvio a SANTOSUOSSO – MALERBA 2014. Sul multilinguismo in ambito della UE vedi THYM 2016. 76 VOLLI 2007; DE SAUSSURE 1916. 77 Si veda anche SEARLE 1996. 78 Circa la possibilità di un diritto che non sia ‘detto’, si vedano CONTE 2011; GEIGER 1947; SACCO 2007. 79 TROPER 2012. 80 Si veda CIMIANO et al. 2010. 81 HAJEK 2010. 82 BARON 2010. 83 MORO 2016, p. 17. 84 Disponibile presso: http://www.ecis.eu/ecis-interoperability/, visitato il 12 agosto 2019. 85 PALFREY – GASSER 2012. 86 Anche PALFREY – GASSER 2012 riconoscono l’importanza dell’interoperabilità umana e istituzionale. 87 Circa «the intensifying quest for interoperability between logic-based systems using different logics», si veda BRINGSJORD – GOVINDARAJULU 2018. 88 Lo ho sostenuto in un mio precedente lavoro: SANTOSUOSSO – MALERBA 2014. Si veda anche FLORIDI 2013. 89 MURRAY – WEBB – WHEATLEY (eds.), 2019, p. 4, sostengono la necessità del ricorso alla complexity theory nella condizione attuale del diritto: «e argument for complexity is that law systems are complex systems, and to make better sense of the law we must look to the insights from complexity to develop models that explain what law is and how we should think about the very nature and purpose of law. Simply put, if a research question involves interconnectedness, systemic properties, unpredictability, porous boundaries, some element of bottom-up organisation and rapid innovations in law and regulation, we are concerned with legal complexity, and to make sense of law’s complexity, we must engage with complexity theory». L’idea che il diritto a livello mondiale possa essere considerato come un unico complex adaptive system («Complexity theory views law as an emergent, complex, self-organising system», CAS) e, alla ne, come un sistema di sistemi (System of systems) sembra non essere lontana da quella della Mol. Esistono, tuttavia, alcuni aspetti cruciali che paiono non essere risolti. Dire che il diritto sia un CAS è, evidentemente, diverso da dire che esso sia un System of systems. Se siamo in presenza di un sistema dei sistemi, bisognerebbe chiarire se questi sistemi siano omogenei o disomogenei. Nel secondo caso, che è da ritenere quello più probabile, si deve supporre che essi abbiano un qualche reciproco dialogo: su quale base? Sono le norme interne di ciascun sistema capaci di avere una diretta relazione con altre norme appartenenti ad altri sistemi? Come operano le differenze linguistiche? A queste domande ci è parso che il gioco tra interoperabilità giuridica e logica immunitaria potesse dare una risposta. Ma sono questioni evidentemente da approfondire ulteriormente. 90 Naturalmente non è la prima volta che si pongono problemi del genere in ambito giuridico. Il collegamento tra sistemi giuridici diversi è stato tradizionalmente garantito dal diritto internazionale, sia pubblico sia privato, e dal diritto comparato. 91 PERNIS 2007. 92 TAUBER 2017, p. 20. Traduzione mia dall’originale «when the organism is understood within its full ecological context, borders remain guarded, but demarcations are not rigid, neither in time nor functions; traffic is allowed, for bene cial exchanges. So assuming a fuller ecological context, cooperation and benign relationships also must be accounted for. Accordingly, the immune system, through active tolerance of ‘foreign’ substances and microorganisms, maintains its role as a gatekeeper, but now in service to the metabolism, development, and, ultimately, the evolution of the holobiont». 93 PRADEU 2019. 94 Devo questa intuizione giuridica a Silvia Garagna, biologa di straordinaria cultura e disponibilità al dialogo interdisciplinare, con la quale collaboro da molti anni all’interno del centro ECLT dell’Università di Pavia. 95 CHENG 2010, p. 1095. 96 Rule 44.1: Determining foreign law: «A party who intends to raise an issue about a foreign country’s law must give notice by a pleading or other writing. In determining foreign law, the court may consider any relevant material or source, including testimony, whether or not submitted by a party or admissible under the Federal Rules of Evidence. e court’s determination must be treated as a ruling on a question of law». 97 CHENG 2010. 98 Statement by President Trump on the Paris Climate Accord, disponibile presso https://www.whitehouse.gov/the-press-office/2017/06/01/statement-president-trump-paris-climateaccord, visitato il 16 dicembre 2019. 99 Informazioni disponibili presso il sito web http://www.wearestillin.com/ (visitato il 15 agosto 2019). Gli organizzatori precisano che We Are Still In è un network nato dal basso e sostenuto da numerosi individui e organizzazioni. La posizione della California ha origine in una concessione federale di adottare norme ambientali più rigorose. Non a caso il presidente Trump minaccia di revocare proprio quel privilegio. Ne dà notizia il NYT del 3 settembre 2019 in un articolo dal titolo White House Prepares to Revoke California’s Right to Set Tougher. 100 Open letter to the international community and parties to the Paris Agreement from U.S. state, local, and business leaders http://www.wearestillin.com/ (visitato il 15 Agosto 2019). 101 «is Agreement shall be open for signature and subject to rati cation, acceptance or approval by States and regional economic integration organizations that are Parties to the Convention». E Art. 25 «1. Each Party shall have one vote, except as provided for paragraph 2 of this Article. 2. Regional economic integration organizations, in matters within their competence, shall exercise their right to vote with a number of votes equal to the number of their member States that are Parties to this Agreement. Such an organization shall not exercise its right to vote if any of its member States exercises its right, and vice versa»: https://unfccc.int/resource/docs/2015/cop21/eng/l09r01.pdf, visitato il 16 dicembre 2019. 102 Vedi Capitolo 4. In questo contesto si possono usare i dati osservabili per costruire il modello, piuttosto che usare il modello per assegnare peso causale ai dati osservabili: vedi sopra p. 99. 103 Avevo intitolato Tracce di futuro e inerzie nell’incontro tra diritto e tecnologia il mio intervento al Convegno Internazionale «Quando il Diritto incontra la Tecnologia. When Law meets Technology», svoltosi il 19 febbraio 2016 presso il Palazzo di Giustizia di Milano. 104 Si veda ZOLO 2007. 105 Tim Berners-Lee, is is for everyone, https, https://www.youtube.com/watch? v=UMNFehJIi0E, visitato il 16 dicembre 2019. Bibliografia generale AGNOLONI – TISCORNIA 2010 Tommaso Agnoloni – Daniela Tiscornia, Extracting normative content from legal texts, MCIS 2010 Proceedings, paper 4. 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Jr., 23, 64, 99 Holmes P., 239 Hongda Q., 52 Hovig T., 196 I Irti N., 175, 206, 254 J Jacob K. Jacobson I., 270 Jessup P.C., 173, 229, 230, 242 K Kaal W., 150 Kamminga M., 232 Katz D.M., 65-67, 71, 73, 77, 99, 151-152, 159, 258 Kaufman A., 45 Kavakli M., 207 Kelsen H., 203-206, 239, 240-242, 251 Kessel J.M., 29 Khadar L., 150 King S., 236 Koh H.H., 231 Kool L., 82, 186, 191 Kouri Kissel T., 266, 268 Kristeva J., 197 Kurzweil R., 220 L Lance N., 16, 258 Langford M., 232 Lassègue J., 254 Lawlor R.C., 79, 80 Lederman E., 212 Leiter B., 24 Leung D., 147 Levi E.H., 99 Levine R., 130 Levy S., 65, 74 Lewis A., 134 Lipari N., 150 Liu C.Z., 207 Lohr S., 50 Lokhorst G.J., 227 Losano M., 240-241 M Macario F., 150 Magnusson Sjöberg C., 155, 169 Mahoney M., 56, 60 Mak E., 159 Malerba A., 271, 279 Mallatt J., 218 Manganelli G., 185-186 Manger P.R., 219 Manyika J., 49, 66, 186 Marchant G., XIII, 31, 40 Massimi M., 152 Masur J.S., 150 May L., 208 Mazzeschi R.P., 232 Meldolesi A., 178 Menegon G., 103 Miller J.H., 207 Miremadi M., 49, 186 Mitchell M., 15 Morde V., 114 Morelli C., 62 Moro A., 277 Morsink J., 214-215 Mullin E., 178 Murray J., 279 N Naffine N., 210 Nalini P., 29 Nay J.J., 73 Nicotra M., 140 Norvig P., 4-7, 17-18, 43, 113 O Obrist H.U., 197 P Pagallo U., 254 Page S.E., 207 Palfrey J., 278-279 Parisi F., 139 Parker C., 236 Parodi C., 77 Pascuzzi G., 150 Paulson S.L., 241 Peek N., 66 Pennisi M., 127 Pernis B., 281 Perry L., 12 Petrucciani G., 126 Pievani T., 222, 228 Pitruzzella G., 28 Pittelli T., 61 Piva A., 96 Pop A.I., 210, 212 Pradeu T., 283 Prakken H., 21-22, 250, 252, 254, 259, 260, 263, 265 R Reale M., 87 Redi C.A., 164 Richardson R., 97 Robaldo L., 264 Rosic A., 136 Rossi F., 14 Rovelli C., 221 Rubinstein R.A. Ruggeri A., 246-247 Rumbaugh J., 270 Rumiati R., 103 Rundo F., 137 Russell S., 4-7, 15, 17-18, 43, 113 Ryder R.D., 216 S Sacco R., 138, 272 Salerno D., 130 Santosuosso A., 15, 41, 46, 76, 94, 170, 173, 175, 187, 198, 203-204, 206, 214-245, 219, 231, 244, 246247, 271, 279-275 Saporiti R., 96 Sarma S., 180 Sartor G., 3, 21-23, 109, 155, 166, 250, 252, 254, 259, 260, 263, 265-266 Scalia A., 249, 250, 281, 286 Schauer F., 98, 242, 280 Scheinin M., 232 Schlag P., 150 Schlesinger P., 208-209 Schmitt C., 31 Schneider K.N., 51 Schneider V., 194 Scott C., 231 Scott Stornetta W., 123 Searle J.R., 218, 272 Seif G., 103 Sellaroli V., 77 Shapiro S., 266, 268 Simoncelli S., 196 Simonite T., 39 Singer P., 216 Sini C., 171, 227 Slaughter A.M., 242-243 Soldavini P., 134-135 Somek A., 240, 251 Song J., 121, 125 Spencer M.K., 190 Stanley J., 194, 241 Stolker C., 150, 167-168 Susskind R., 26, 47, 52-55, 57, 60-61, 78-79, 89, 149, 152-153, 158, 162, 254 Szabo N., 134 T Taddeo M., 200 Taruffo M., 103, 106 Tauber A., 282 omas K., 59 ompson C., 78 ym D., 271 Tomasi M., 244 Torrente A., 208-9 Travia N., 140 Trestman M., 218-219 Troper M., 273 Turing A.M., 3, 4, 11, 18, 207 U Unsworth R., 154 V van de Poel I., 227 Van Est R., 82, 186, 191 Van Gulick R., 216-217 Vermeulen E.P.M., 150 Veronesi P., 8 Vinge V., 15 Volli U., 272 W Wallace A., 89, 91 Wallach W., 31, 40 Walsh B., 5, 16 Webb T.E., 279 Webster G., 96 Wheatley S., 279 Wiececk W.M., 45-46 Win eld A.F., 31-32 Wojcik C., 60 Wood J., 51, 56 Wright A., 122, 128, 133-134, 143, 147 Y Young J., 131 Z Zaccaria A., 150 Zetterberg U., 60 Zolo D., 240-1, 293 Zuboff S., 192 Zuckerman E., 29, 194 Zumbansen P., 230, 240 Scienza e Filosofia Collana diretta da Armando Massarenti Carlo Rovelli, Che cos’è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro. Anna Meldolesi, Mai Nate. Perchè il mondo ha perso 100 milioni di donne. Giorgio Vallortigara, La mente che scodinzola. Storie di animali e di cervelli. Elena Pasquinelli, Irresistibili schermi. Fatti e misfatti della realtà virtuale. Luciano Maiani, Romeo Bassoli, A caccia del bosone di Higgs. Magneti, governi, scienziati e particelle nell’impresa scientifica del secolo. Lucio Russo, L’America dimenticata. I rapporti tra le civiltà e un errore di Tolomeo. Pier Luigi Luisi, Sull’origine della vita e della biodiversità. James R. Flynn, Osa pensare. Venti concetti per capire criticamente e apprezzare la modernità. Gilberto Corbellini, Elisabetta Sirgiovanni, Tutta colpa del cervello. Gianvito Martino, In crisi d’identità. Contro natura o contro la natura? Simon Critchley, Come smettere di vivere e iniziare a preoccuparsi. Conversazioni con Carl Cederström. Paul agard, Il cervello e il senso della vita. Carlo Scognamiglio Pasini, L’arte della ricchezza. Cesare Beccaria economista. Hilary Putnam, Che cosa è la logica. Giovanni Bignami, Andrea Sommariva, Oro dagli asteroidi e asparagi da Marte. Realtà e miti dell’esplorazione dello spazio. James R. Flynn, Destino e filosofia. Un viaggio tra le grandi domande della vita. Adrian Raine, L’anatomia della violenza. Le radici biologiche del crimine. Dominique Cardon, Che cosa sognano gli algoritmi. Le nostre vite al tempo dei big data. Sergio Giudici, Fare il punto. Una storia a ritroso della localizzazione dal GPS a Tolomeo. Lesley J. Rogers, Giorgio Vallortigara, Richard J. Andrew, Cervelli divisi. L’evoluzione della mente asimmetrica. Jack Copeland, Turing. Un pioniere dell’era dell’informazione. Lorenzo Casini, Lo Stato nell’era di Google. Frontiere e sfide globali. Vera Tripodi, Etica delle tecniche. Una filosofia per progettare il futuro. Lucio Russo, Flussi e riflussi. Indagine sull’origine di una teoria scientifica. Marc D. Hauser, Evilicious. Alle radici dell’odio e della crudeltà. Amedeo Santosuosso, Intelligenza artificiale e diritto. Perché le tecnologie di IA sono una grande opportunità per il diritto