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Biologia e genetica

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Abbati F., Abbati M., Battaglia BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 1, 8/03/2021
BIOLOGIA E GENETICA
PRESENTAZIONE DEL CORSO
Le lezioni saranno registrate seguite poi da alcune lezioni in streaming dedicate alla discussione degli
argomenti già spiegati con la possibilità di fare domande. Le domande possono anche essere fatte
attraverso il forum creato nella pagina del corso di Dolly. Ai rappresentanti verrà dato il link del forum. In
questa pagina di dolly ci saranno il link per accedere alle video lezioni, il link per scaricare il file delle
presentazioni che la docente ci fornirà e un forum su cui fare domande.
BIOLOGIA E GENETICA DEL III MILLENNIO
In questa lezione l’obiettivo è quello di spiegare quanto è importante che un medico del terzo millennio
abbia una conoscenza approfondita della biologia e della genetica.
La biologia e la genetica del III millennio sono molto differenti da quelle del millennio precedente, infatti
queste due branche delle scienze di base, strettamente correlate alla medicina, hanno subito una
grandissima evoluzione, specialmente nell’ultimo decennio.
Come futuri medici dobbiamo avere una conoscenza di base di queste due materie che hanno grande
applicazione nelle materie specialistiche degli anni successivi
La fotografia ritrae il lavoro pubblicato su
“Nature” nel 1953 in cui Watson e Crick
mostrarono per la prima volta il modello del
DNA. Questo modello fu costruito
attraverso nozioni ed esperimenti
precedentemente svolti da altri scienziati. Il
genio di questi due ricercatori fu quello di
mettere insieme queste nozioni e costruire il
modello che è tuttora utilizzato.
INTRODUZIONE ALLA BIOLOGIA E ALLA GENETICA MODERNA
Alla fine del II millennio è stato iniziato il Progetto Genoma. Esso è stato un progetto internazionale di
ricerca, ormai concluso, che aveva lo scopo di mappare il genoma umano, ovvero descrivere la sequenza e
la posizione dei circa 20.000 geni che caratterizzano la specie umana. Quindi lo studio del genoma implica il
sequenziamento del DNA, cioè la determinazione della sequenza del DNA e anche la localizzazione
cromosomica di ogni gene.
Proprio nel febbraio 2001, pochi anni dopo l’inizio del Progetto Genoma Umano, esso si concluse. Quindi
tutto il genoma umano fu sequenziato e la localizzazione cromosomica dei geni identificata.
Questi sono i due articoli che sono usciti nel febbraio 2001
contemporaneamente nelle due importantissime riviste mediche:
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Nature e Science. Tutt’ora sono riviste multidisciplinari importanti e che comunicano come il genoma
umano sia stato interamente sequenziato.
PROGETTO GENOMA
Il Progetto Genoma si proponeva di sequenziare e determinare la localizzazione dei geni. Tuttavia una volta
completato il Progetto Genoma Umano, la scoperta della sequenza della localizzazione dei geni è stata la
premessa per poi affrontare lo studio della funzione dei geni.
È proprio attraverso la funzione dei geni, nella fisiologia, che è possibile determinare, nella patologia, quali
vie di segnalazione sono alterate e perché sono alterate attraverso le mutazioni, ovvero alterazioni del
DNA, alcune funzioni geniche.
La comprensione della funzione dei geni e di quali malattie possono derivare dalle loro alterazioni, cioè le
mutazioni, costituisce l’obiettivo finale del progetto che ovviamente non è ancora stato raggiunto.
La funzione dei geni e soprattutto le basi genetiche delle malattie non sono state ancora tutte chiarite. Si
parla non solo di disordini rari, ma anche di disordini metabolici comuni (il diabete, le malattie cardiache, il
cancro) tutti accomunati dal fatto di avere basi genetiche. Perciò non si parla solamente di malattie
genetiche classiche, monogeniche, come la sindrome di distrofia di Duchenne, ma di tutte le malattie
esistenti.
Quindi tutte le malattie hanno una base genetica e alla base di queste c’è sempre l’alterazione di uno o più
geni che vanno a influire su vie di segnalazione e causano la malattia.
Inoltre per curare una malattia è indispensabile conoscere la sua causa. Per cui ciò che i ricercatori stanno
studiando in vari ambiti è andare a capire la funzione dei geni nella fisiologia e come la loro alterazione,
attraverso le mutazioni, possa influire nella formazione o nella predisposizione a determinate malattie.
Il progetto genoma ha anche portato alla luce che:
 Lo scimpanzè e l’uomo hanno in comune circa il 99% dei geni, anche se differiscono molto in
quanto ad aspetto e comportamento.
Quindi il tipo e il numero dei geni non sono i soli responsabile del fenotipo, cioè dell’aspetto di un
organismo, ma queste differenze per esempio tra l’uomo e lo scimpanzè sono imputabili
all’espressione dei geni nei due organismi.
Come dice il genetista Boncinelli: “Non è importante quanti geni abbiamo ma è importante
quando, quanto e dove, cioè in che tessuto, questi geni sono espressi.”
Quindi tutti questi meccanismi di regolazione dell’espressione genica sono responsabili delle
differenze fenotipiche di due organismi che hanno in comune una gran parte di geni.
Si ricorda che la definizione di gene classica comporta la definizione di una porzione di DNA che codifica per
una proteina.
 Nel genoma mappato sono stati rilevati oltre ai geni codificanti per proteine, solo 1,5% del DNA,
mentre il restante 98,5% è costituito da geni non codificanti. Essi sono geni che non portano alla
produzione di una proteina. Inizialmente questi ultimi furono chiamati “DNA spazzatura o junkDNA”, ovvero DNA che non serviva a nulla perché non codificava per proteine. Successivamente si
è compreso che una grande quantità di geni non codificanti per proteine vengono trascritti in RNA.
L’RNA non viene successivamente tradotto in proteine ma riveste una grossissima importanza nei
meccanismi di regolazione dell’espressione genica, come i micro-RNA, i long non-coding RNAs e
altri.
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I geni codificanti della specie umana, che si pensava fossero tra i 100.000 e i 200.000, erano
solamente 20.000, numero esiguo se li si confronta con C. elegans (Caenorhabditis elegans), un
verme, che ne possiede 18.000, o nei confronti di una pianta che ne ha 28.000. Si pensava che il
numero di geni fosse direttamente proporzionale al ‘livello di evoluzione’ della specie, il Progetto
Genoma ha dimostrato che non è così.
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Per cui basandosi sul numero dei geni non si possono spiegare le differenze tra un organismo ed un
altro, ma solamente attraverso il tipo di geni e quanto, dove e quando sono espressi questi geni.
Riassumendo per quanto riguarda il genoma umano sono state contate:
- 3,1 miliardi di paia di basi
- 1,5% codifica per geni propriamente detti, cioè codificanti per proteine
- 99,8% della sequenza di DNA è comune nella specie umana
- 0,2% della sequenza è diverso tra individuo e individuo (circa 5 milioni di basi: circa 1 ogni 600 basi)
e questo spiega le differenze interindividuali all’interno di una stessa razza o le differenze
interrazziali.
TECNICHE POST-GENOMICHE
Con la conclusione del progetto genoma, quindi il sequenziamento di tutti i geni umani, si sono messe
appunto nuove tecniche di studio di tutto il DNA che prendono il nome di tecniche post-genomiche.
Queste tecniche permettono di sondare tutto il genoma e sono state messe appunto dopo che il genoma è
stato interamente sequenziato. Quindi lo studio a livello gene wide, ovvero di tutto il genoma, ha permesso
di potenziare la ricerca biomedica in modo eccezionale riguardo vari aspetti:
1. Patogenesi molecolare delle malattie.
Se si pensa che nel 1990, prima del Progetto Genoma, si conoscevano meno di 100 geni associati a
malattie, ora se ne conoscono varie migliaia. Per esempio per almeno 5000-6000 malattie
genetiche si conoscono i geni alterati così come per quasi tutte le forme di cancro. Ciò non significa
che si conosce il modo per curare queste malattie, ma conoscere la causa molecolare di una
malattia è il primo passo per progettare una cura per la suddetta malattia.
2. La regolazione dell’espressione genica
3. La definizione di tutto l’assetto degli RNA cellulari, detto trascrittoma, ovvero l’insieme di tutti i
trascritti del DNA in una cellula; mentre il proteoma è l’insieme di tutte le proteine tradotte in una
cellula.
4. La distribuzione qualitativa e quantitativa degli intermedi metabolici, il metaboloma.
Per cui il trascrittoma, insieme di tutti i trascritti all’interno di una cellula, è studiabile con varie metodiche:
- Sequenziamento massivo dell’RNA
- Tecniche di DNA microarrays che, con un solo esperimento, permettono di studiare l’espressione di
decine di migliaia di RNA all’interno di una popolazione cellulare. Permettono di tracciare il
cosiddetto profilo di espressione o trascrittoma che definisce il fenotipo molecolare di una cellula e
di conseguenza le sue funzioni.
Quindi l’analisi dell’espressione genica con varie tecniche quindi anche il sequenziamento, non solo il DNA
microarray, ha permesso di valutare l’espressione genetica differenziale di alcune funzioni cellulari, ad
esempio tra cellule normali e cellule patologiche. Quindi la differenza nell’espressione dei geni che guidano
la proliferazione cellulare o il differenziamento cellulare o la trasformazione, di conseguenza la
progressione tumorale, il programma pro-apoptotico, i geni coinvolti nella risposta multi-farmaci etc.
Queste tecniche di definizione del profilo di espressione genica, quindi lo studio del trascrittoma, hanno
permesso di evidenziare la diversa espressione genica e quindi la diversa attivazione di vie di segnalazione
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in una cellula normale rispetto ad una patologica. Ciò è molto importante per l’impostazione di una terapia
mirata contro la cellula patologica.
DIAGNOSTICA MOLECOLARE
L’era della post genomica ha fatto nascere anche
altre branche della medicina come la diagnostica
molecolare, la quale è una metodica per fare
diagnosi attraverso tecniche di biologia molecolare.
Prima della diagnostica per immagini e ancora prima
della diagnostica attraverso gli esami di laboratorio,
esisteva solamente la diagnostica basata sui sintomi
che il paziente riferiva al medico, la cosiddetta
semeiotica. Poi, durante il II millennio, si sono
sviluppate le tecniche di analisi dei fluidi corporei, in
particolar modo di sangue e urine, le tecniche di
diagnosi per immagini e negli ultimi decenni la
diagnostica molecolare.
Esempio di diagnostica molecolare
Si riferisce ai test genetici finalizzati all’identificazione, a livello molecolare, di mutazioni germinali, cioè
ereditati dai genitori, di geni che predispongono o al cancro, come i geni BRCA1 e 2 o MSH1 e 2, o a
malattie metaboliche, come LDLR.
I test genetici si basano sul sequenziamento dei geni sopracitati. In particolare:
 geni come BRCA1 e 2 (acronimo per Breast Cancer 1 e 2) sono dei geni la cui mutazione causa, in
una grande percentuale di casi, il carcinoma mammario ereditario e il carcinoma ovarico. E’
fortemente consigliato a chi ha in famiglia più di un parente di primo grado con uno o più di questi
tumori di avvicinarsi ai centri di diagnostica per svolgere il test che permette alle donne di essere
inserite in un percorso di follow-up molto stretto che prevede oltre alle comuni mammografie
anche risonanze magnetiche nucleari per cercare di individuare il più precocemente possibile questi
tumori o e poterli curare al meglio. Per cui mutazioni di BRCA 1 e 2 predispongono al cancro
mammario e dell’ovaio.
 Mutazioni di MSH1 e 2 predispongono per un tipo famigliare di cancro del colon. Anche in questo
caso a chi possiede in famiglia più di un parente di primo grado con cancro del colon, in questo caso
per le donne anche cancro dell’utero, pancreas etc. è consigliato fare il test per essere introdotto in
un circuito di follow-up che permetta, nel caso in cui insorga questo cancro, di essere curato il
prima possibile.
 Mutazioni di LDLR (acronimo di Recettore delle Lipoproteine Plasmatiche, LDL quelle che portano il
colesterolo ‘cattivo’, causano arteriosclerosi nelle arterie e predispongono a malattie
cardiovascolari) causano una mancata internalizzazione all’interno delle cellule di LDL che
rimangono con il colesterolo esterificato libere nel plasma. Quindi si vanno a formare le placche
arteriosclerotiche nelle arterie predisponendo l’individuo a malattie e accidenti cardiovascolari
come infarto del miocardio e ictus. Anche in questo caso, la mutazione è ereditata ed è consigliato
sapere se la si possiede attraverso lo screening genetico per sottoporsi a terapie e monitoraggio
adeguato con vari sistemi diagnostici per l’arteriosclerosi. Le malattie cardiovascolari sono la prima
causa di morte in Italia.
TERAPIA GENICA
La terapia genica è un’altra importante branca della medicina che ha fatto un passo molto in avanti con il
completamento del Progetto Genoma.
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Terapia genica significa ‘cura con i geni’ ed è finalizzata alla correzione di un difetto genetico; si tratta di una
definizione molto semplicistica. Nel caso di una malattia genetica monogenica (es: distrofia muscolare di
Duchenne o fibrosi cistica), viene individuata una mutazione in un gene il quale diventa difettoso nella
produzione della corrispondente proteina e ciò causa la genesi della malattia.
La cura per questa malattia è costituita dall’introduzione di un
gene wild-type, cioè selvatico e non mutato, all’interno della
cellula che possiede la mutazione, attraverso un vettore virale
modificato in laboratorio per non dare nessuna malattia virale.
Esso viene utilizzato solo come vettore per trasportare
all’interno della cellula questo DNA, che poi viene integrato nel
DNA della cellula e produce la proteina wild-type funzionante,
capace di esercitare la propria funzione e quindi guarire gli
individui malati.
Questo può sembrare un approccio molto diretto e semplicistico ma ci sono molti problemi tecnici, per cui
alcune malattie, come la distrofia muscolare di Duchenne, non sono ancora state curate con questa tecnica
per vari motivi tecnici. Ora forse con le nuove tecniche CRISPR e CRAS9 ci sono dei notevoli progressi ma la
terapia genica classica non è riuscita a curare alcune malattie monogeniche.
La terapia genica classica è riuscita a curare una schite, cioè una immunodeficienza severa nei bambini.
Questa patologia provoca una mancata risposta immunitaria contro gli agenti patogeni, per mancata
produzione di linfociti T. Questi bambini sono detti ‘bambini bolla’ e devono vivere costantemente sotto
una bolla di plastica in ambiente sterile perché altrimenti morirebbero di infezione in quanto fortemente
immunodepressi. Nel caso dell’ADA-SCID, causata da una mutazione sul gene ADA, cioè il gene per
l’adenosina deaminasi, la terapia genica è riuscita a trovare una cura.
L’adenosina deaminasi è un enzima coinvolto nel metabolismo delle purine, è un enzima indispensabile in
molti tipi cellulari. La sua carenza ha come effetto più grave la morte dei linfociti T, quindi una grave
immunodeficienza, la SCID.
L’introduzione del gene corretto avviene nelle cellule staminali emopoietiche, si tratta appunto di
produzione di linfociti T normali e il sistema emopoietico è interessato nella sintesi di questi. Pertanto
modificando geneticamente con un virus le cellule staminali emopoietiche ed introducendo in queste
staminali emopoietiche il gene ADA normale, si è riusciti attraverso l’infusione di queste staminali corrette a
ripristinare una emopoiesi normale in questi pazienti
che di fatto, se non curati, hanno basse aspettative di
vita.
Il primo successo si ebbe con un trial clinico su una
paziente di soli quattro anni. Da lei sono state prelevate
le cellule staminali emopoietiche, successivamente
corrette in vitro grazie ad un vettore virale che ha
infettato queste cellule correggendole e introducendo il
gene ADA normale. La rinfusione nella paziente ha
guarito la malattia perché ha potuto ripopolare, con
queste cellule corrette, il midollo osseo della paziente e
produrre linfociti T normali che hanno conferito alla
paziente immunocompetenza, ovvero la possibilità da difendersi da infezioni.
La biologia e la genetica per il medico del III millennio sono:
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Prevenzione e cura del cancro. Molte forme di cancro sono state curate anche attraverso la
chemioterapia tradizionale la quale bersaglia le cellule che all’interno dell’organismo si moltiplicano
di più attraverso inibitori della sintesi proteica, della sintesi del DNA etc. Sono sorte anche molte
terapie mirate (targeted-therapy), ovvero terapie che vengono costruite appositamente sulle
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lesioni genetiche evidenziate in una particolare malattia. Queste hanno il vantaggio di essere molto
più selettive: vanno a raggiungere direttamente il bersaglio tumorale e avere meno effetti
collaterali della chemioterapia tradizionale, la quale ne possiede moltissimi tra cui
immunosoppressione e spesso causa la morte del paziente per infezioni opportunistiche.
Prevenzione e cura di malattie genetiche, genetica prenatale (che sarà una delle parti finali del
corso) e terapia genica da sviluppare su malattie che non sono ancora state curate per motivi
tecnici
Prevenzione e cura di malattie infettive come AIDS, ma in generale tutte le malattie virali contro le
quali non possediamo molte armi
Prevenzione e cura di malattie degenerative, proprie del Sistema Nervoso Centrale, come
Parkinson e Alzheimer che ancora non sono curabili o solo parzialmente. Cura significa guarigione,
prevenzione, guarigione completa.
Per molte di queste malattie, soprattutto per quelle neurodegenerative, sono fornite terapie palliative,
ovvero terapie che per un certo periodo riescono a curare i sintomi ma ciò non significa guarire il paziente.
L’EVOLUZIONE
Le varie forme di vita sulla Terra sono correlate tra loro. Gli organismi si sono evoluti da forme di vita
primordiale.
Per quanto riguarda i doveri di un medico del III millennio sono quelli di rendersi conto che si è entrati in
una nuova era, nella quale si dispone di strumenti innovativi per rispondere a vecchie e nuove domande.
Quindi il medico ha la necessità e il dovere di mettere ogni paziente nelle condizioni di conoscere i risultati
fondamentali del progresso scientifico per poterlo comprendere e utilizzarlo nella maniera più opportuna.
Per fare ciò il medico deve conoscere i risultati fondamentali del progresso scientifico, vigilare sulla
correttezza delle informazioni trasmesse, aggiornarsi continuamente attraverso corsi di aggiornamento e la
letteratura scientifica. Per fare ciò è necessario fare riferimento unicamente alle fonti ufficiali che sono
solamente le pubblicazioni e i libri scientifici e altro materiale autorizzato.
PROGRAMMA
TESTI CONSIGLIATI
Solomon-Berg-Martin, Fondamenti di Biologia. Edizione: VII, 2017; Edises Editore
Per la consultazione:
De Leo-Fasano-Ginelli, Biologia e Genetica. Edizio e IV, 2020; Edises Editore
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CONTATTI
e-mail: [email protected]
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Lezione 1, 8/03/2021
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Lezione 1, 8/03/2021
CARATTERISTICHE DEGLI ORGANISMI VIVENTI
Le principali caratteristiche degli organismi viventi sono:
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Sono composti da cellule (procariotiche o eucariotiche), possono essere unicellulari o
pluricellulari; i procarioti possono essere unicamente unicellulari. Le dimensioni della
cellula sono microscopiche: ad esempio la
cellula uovo umana ha dimensioni di 100
micron ed è la cellula più grande del nostro
organismo; una cellula epiteliale ha un
diametro intorno ai 40 micron e le cellule
del sangue tra i 10 e i 20 micron. Gli
organismi si accrescono aumentando il
numero delle loro cellule e non la loro
dimensione: infatti le dimensioni
microscopiche delle cellule rendono
possibili gli scambi necessari con l’esterno attraverso la membrana cellulare e tra
compartimenti intracellulari. Il rapporto tra la superficie e il volume è direttamente
proporzionale alla velocità degli scambi con
l’esterno, quindi minori sono le dimensioni
cellulari maggiore sarà la velocità di scambio.
Alcune cellule modificano la loro forma al
fine di aumentare la superficie cellulare e di
conseguenza l’efficienza degli scambi.
Ricordiamo ad esempio la forma a disco
biconcavo del globulo rosso, che ha la
funzione di scambiare ossigeno e anidride
carbonica con il sangue, oppure la forma
delle cellule dell’epitelio intestinale dotate
di estroflessioni della membrana cellulare
(microvilli) al fine di assorbire i nutrienti della
dieta con maggior efficienza. La maggior parte delle cellule ha dimensioni microscopiche
anche per un’altra motivazione, ossia che le molecole/macromolecole che entrano nella
cellula devono così percorre un tragitto più breve e questo accelera le attività cellulari,
rendendole compatibili con la durata della vita della cellula stessa. Altri esempi delle
modificazioni della forma delle cellule possono essere quella dello spermatozoo o del
neurone. Tutte le cellule dei nostri tessuti derivano dalle cellule staminali di forma
essenzialmente sferica che poi modificano la loro morfologia durante il differenziamento al
fine di adeguarsi alla funzione che dovranno svolgere. Quindi ad esempio lo spermatozoo
parte da una forma sferica che viene poi fortemente modificata: si arriva ad una cellula
con un flagello, una testa e d un collo che la rende adatta a fecondare la cellula uovo. I
neuroni invece per svolgere la loro funzione hanno bisogno di connessioni intercellulari
che avvengono per mezzo di dendriti ed assone; sono avvolti da mielina (cellule della glia a
formare questa struttura) che permette la conduzione veloce dell’impulso: il nervo viene
così isolato permettendo una velocità e una efficienza nel passaggio dell’impulso molto
maggiore.
Crescono e si sviluppano
Compiono reazioni metaboliche e le regolano
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Rispondono agli stimoli; lo vedremo soprattutto per gli
organismi pluricellulari che rispondono a stimoli chimici,
luminosi o di qualsiasi altro tipo
Si riproducono: o in maniera asessuata come avviene per
alcuni organismi come, per esempio, i procarioti o altri
eucarioti unicellulari oppure sessuata per gli organismi
pluricellulari. La riproduzione sessuata è la fonte più
importante della variabilità genetica per una specie.
Hanno diversi livelli di organizzazione: atomi, molecole,
organuli, cellula, organo, apparato, organismo intero. Un
organismo di una determinata specie forma con altri individui
della stessa specie una popolazione. Alcune popolazioni che
possono convivere in uno stesso ambiente formano una
comunità, tante comunità formano un ecosistema e gli
ecosistemi formano la biosfera.
Trasmettono l’informazione da una
generazione all’altra (DNA): il DNA viene
ereditato dalla cellula madre in caso di
riproduzione asessuata oppure dai due
genitori in caso di riproduzione sessuata,
con modalità che approfondiremo. Gli
organismi hanno la possibilità di replicare il
DNA, trascrivendolo in molecole di RNA
messaggero che poi nel citoplasma verrà
decodificato, tramite il processo definito traduzione, in proteina. Le proteine poi svolgono
le funzioni all’interno della cellula. Alcuni RNA non vengono tradotti in proteine ma hanno
come unica ed importantissima funzione quella di regolare l’espressione genica. Le cellule
sono diverse tra loro perché esprimono diverse proteine: l’espressione delle proteine è
governata da numerosi fattori tra cui gli RNA non codificanti. Le cellule sono diverse tra
loro anche se hanno tutte lo stesso DNA all’interno dello stesso organismo perché
esprimono diverse proteine.
Si evolvono e si adattano all’ambiente. L’ adattamento è definito come la capacità di un
determinato organismo di sopravvivere in un dato ambiente. Si parla di selezione naturale:
solo gli organismi meglio adattati all’ambiente sopravvivono e si riproducono dando un
contributo al mantenimento della specie. Un esempio può essere la lunghezza della lingua
della rana: sono state selezionate le rane con la lingua lunga perché così possono cibarsi
degli insetti senza essere esposte particolarmente ai predatori. Oppure gli uccelli per
volare con maggiore efficienza hanno alleggerito il loro scheletro. Il mimetismo permette
in alcuni ambienti di nascondersi e dunque di sfuggire ai predatori. L’adattamento può
essere strutturale (come negli esempi precedenti),
fisiologico per alcune funzioni oppure
comportamentale come in fig 1: le zebre
posizionandosi coda-coda possono cibarsi ed
osservare l’eventuale arrivo di un predatore a 360°
essendo in due. Gli organismi viventi si evolvono
secondo la teoria dell’evoluzione che è in grado di
spiegare come le popolazioni di organismi sono
cambiate nel tempo. L’evoluzione è il concetto unificante di base di tutta la biologia, si è
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poi cercato di capire struttura, funzione e comportamento dei vari organismi e le loro
interazioni durante un lungo e continuo processo evolutivo che continua anche oggi per
quanto non sia visibile concretamente.
CLASSIFICAZIONE DEGLI ORGANISMI VIVENTI
La classificazione degli organismi viventi è binomiale: questo significa che ogni organismo vivente
ha due nomi.
La sistematica studia la diversità degli organismi e le loro differenze evolutive.
La tassonomia studia la classificazione e la nomenclatura degli organismi.
La nomenclatura binomiale, inventata dal biologo Linneo, assegna a ciascuna specie un nome
doppio:
- Il primo nome si riferisce al genere
- Il secondo alla specie
L’uomo, per esempio, è ad oggi classificato come homo sapiens (homo=genere; sapiens=specie),
prima abbiamo avuto altre specie del genere homo. Per quanto riguarda il cane abbiamo una
distinzione tra cane domestico (canis familiaris) e il lupo (canis lupus).
La specie è definita come un gruppo di organismi con struttura, funzione e comportamento simili. I
membri si possono incrociare solo tra loro perché hanno lo stesso numero di cromosomi ed hanno
un antenato comune.
Il genere raggruppa specie strettamente correlate.
Gli organismi viventi si possono raggruppare in tre domini e sei regni:
5. Due domini di procarioti: Archea
ed Eubacteria che corrispondono
ai due regni di Archeobatteri e
Eubatteri; gli Archeobatteri sono
quelli più ancestrali mentre gli
Eubatteri sono più “moderni”
perché si sono separati dagli
archeobatteri con cui hanno un
antenato comune; sono eubatteri
anche i batteri patogeni per
l’uomo, mentre gli archeobatteri
hanno addirittura una funzione di
aiuto, sono benefici per la specie
umana in determinati contesti.
6. Dominio Eukaria (a cui
appartengono gli eucarioti) che si
divide in quattro regni: Animali,
Funghi Piante e Protisti; i protisti
sono i protozoi, le alghe e le
muffe: possono essere uni o pluricellulari, alcuni di essi sono fotosintetici e quindi in grado
di fabbricarsi energia; i funghi sono divisi in lieviti, muffe e funghi: non sono mai
fotosintetici; le piante vascolarizzate (con un sistema in cui scorre la linfa) come le felci, le
conifere, le piante ed i fiori ma anche le piante non vascolarizzate come i muschi sono tutte
fotosintetiche: si producono da sole il glucosio e sono quindi indipendenti da altri
organismi per la sopravvivenza; gli animali non sono fotosintetici e quindi si nutrono di altri
organismi per trarre nutrimento, ma sono dotati della più alta specializzazione di tessuti,
organi e sistemi.
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ADATTAMENTO
Le specie si adattano ai cambiamenti ambientali: ciascun organismo è il prodotto di complesse
interazioni tra i geni dei suoi antenati (che ha ereditato) e le condizioni ambientali. Se tutti gli
organismi fossero identici mutamenti dell’ambiente farebbero estinguere l’intera specie: per
questo la variabilità genetica e fenotipica (data principalmente dalla riproduzione sessuata) è
fondamentale per la sopravvivenza della specie. Gli adattamenti ai cambiamenti ambientali sono
quindi il risultato di processi evolutivi durante i millenni e molte generazioni della specie. I membri
della popolazione diventano sempre meglio adattati all’ambiente e si modificano
progressivamente dai loro antenati.
Le tre specie di fringuelli in fig. 2 avevano un antenato comune ma in ambienti diversi hanno
sviluppato diversamente il loro becco per approvvigionarsi il cibo disponibile e quindi adattarsi al
meglio all’ambiente in cui vivevano.
Fig.1
La selezione naturale è quindi un importante meccanismo con cui l’evoluzione procede. Ogni
forma di vita esistente sulla Terra discende da forme preesistenti: l’evoluzione è alla base della
diversità che esiste tra organismi viventi sulla Terra. Questa tesi è supportata dall’evidenza del
fatto che ogni membro di una specie è diverso dall’altro (molto evidente nella specie umana, ma
vale anche per le altre specie). Nascono molti più organismi di quelli in grado di sopravvivere fino
alla riproduzione per garantire la sopravvivenza della specie: valido soprattutto per le specie non
umane in cui le cure parentali sono più scarse. La rana dei boschi, ad esempio, produce molti
embrioni per assicurarsi la continuità della specie stessa. Gli organismi competono tra loro
nell’ambiente per procurarsi le risorse in termini di cibo, luce e spazio: sopravvive e si riproduce
(ha una “fitness evolutiva”) solo chi possiede le caratteristiche vantaggiose per procurarsi le
risorse. Gli organismi che sopravvivono e si riproducono trasmettono le loro caratteristiche
vantaggiose alla loro prole. Gli individui meglio adattatati si riproducono di più e hanno quindi un
maggior successo.
Darwin quando ha elaborato la teoria della selezione naturale non conosceva però ciò che sta alla
base delle differenze tra gli organismi (caratteristiche più o meno vantaggiose): variazioni delle
sequenze del DNA. Diverse sequenze del DNA codificano per uno stesso carattere; avvengono
delle mutazioni, che non sono da intendere come negative, che poi vengono trasmesse (diverse
sequenze di DNA che conferiscono caratteristiche diverse ai membri della specie).
IL METODO SCIENTIFICO
Il metodo scientifico è quello che ogni scienziato dovrebbe applicare quando fa un’osservazione ed
esegue esperimenti per confermare un’ipotesi che ha formulato.
Il metodo scientifico comporta una serie di passaggi ordinati in cui le ipotesi (supposizioni
verificabili) vengono verificate con ulteriori osservazioni, ovvero esperimenti. I risultati dopo gli
esperimenti vengono valutati: l’ipotesi può essere confermata oppure no. Se l’ipotesi viene
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Abbati F., Abbati M., Battaglia BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 1, 8/03/2021
confermata diventa una teoria e si costruisce su di essa un principio, altrimenti l’ipotesi viene
scartata.
Le previsioni(ipotesi) possono quindi essere verificate con gli
esperimenti: un esempio di esperimento in fig3 in cui abbiamo nel
pannello (a) un gruppo sperimentale nel quale viene rimosso con
un’ansa metallica il nucleo di una ameba; l’osservazione sperimentale è
che l’ameba muore. Se non sapessimo nulla riguardo al nucleo
potremmo chiederci se l’ameba muore perché il nucleo è fondamentale
per la vita della cellula o se è stata la manipolazione meccanica dell’ansa
a danneggiare l’ameba e farla morire. A questo fine facciamo un gruppo
di controllo (b) in cui c’è la manipolazione meccanica da parte dell’ansa
metallica ma poi il nucleo viene riposizionato in sede: il risultato di
questo esperimento è che l’ameba vive. Dunque, possiamo concludere
che non è la manipolazione meccanica, ma rimozione e la mancanza del
nucleo a far morire l’ameba. Questo ovviamente è un esperimento
banale, ma mostra l’importanza di avere gruppi di controllo in cui
facciamo un trattamento che ci permette di discriminare un effetto
aspecifico (es. manipolazione meccanica) da uno specifico (es.
rimozione di un nucleo).
Dobbiamo evitare i preconcetti: le nostre ipotesi devono essere confermate dagli esperimenti,
non dobbiamo essere certi che gli esperimenti verificheranno le nostre
Fig. 2
ipotesi.
Lavorare in doppio cieco è importante, ovviamente quando possibile. Ci si organizza in
laboratorio con delle codifiche del campione di cui non conosciamo i dettagli prima dell’analisi dei
risultati. Lo sperimentatore fa l’esperimento, ma chi analizza i dati è un’altra persona. I campioni di
cui analizza i dati sono contrassegnati da un codice, che poi li ricondurrà ai risultati
dell’esperimento. In questo modo chi analizza i dati non è
condizionato dall’identità dei campioni nella sua analisi (è senza
preconcetti).
È molto importante quando si fanno esperimenti avere un
campione rappresentativo: la numerosità dei gruppi
sperimentali e di controllo. Il campione per essere
rappresentativo deve essere grande, quanto grande dipende dal
tipo di esperimento, ma almeno un triplicato va fatto in tutte le
tipologie di esperimenti (3 campioni per ogni trattamento). Gli
esperimenti devono poi essere replicati almeno 4 o 5 volte nelle
stesse condizioni e i risultati devono coincidere affinché l’ipotesi
sia verificata.
In fig.4 viene mostrato come se un campione non è
rappresentativo per un determinato tipo di esperimento o per la
verifica di una determinata ipotesi, ci si può indurre in grossi
errori. Lo sperimentatore pesca alla cieca delle palline a caso; le
palline sono all’ 80% bianche e 20% blu; lo sperimentatore pesca
una pallina sola (campionatura singola) e prende una pallina blu,
concluderà che tutte le palline siano blu. Ovviamente la
Figura 3: fig 4
conclusione è altamente scorretta perché basandosi su un solo
campione ha fatto una valutazione errata. L’attendibilità del risultato migliora facendo una
12
Abbati F., Abbati M., Battaglia BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 1, 8/03/2021
campionatura multipla: sono sufficienti ad esempio 10 palline da cui può risultare ad esempio 30%
blu e 70% bianche, dato molto più vicino alla realtà rispetto alla campionatura singola.
Le campionature singole sono da evitare; bisogna sempre operare campionature multiple.
La scienza ha limitazioni etiche: ogni scienziato ha un impegno etico riguardo alla validità dei
risultati: spesso purtroppo accade che vengano pubblicati su riviste anche prestigiose risultati
falsificati al fine di ottenere fondi ricerca o da ditte farmaceutiche. I problemi etici si presentano
poi ad esempio nello studio di cellule staminali, specialmente quelle embrionali umane; clonazione
riproduttiva e terapeutica sempre per quanto riguarda gli embrioni umani; sperimentazione
umana ed animale di nuove terapie che per l’uomo è sempre preceduta da una sperimentazione
sugli animali; applicazioni dell’ingegneria genetica: nuove tecniche di correzione, terapia genica e
gene-editing devono essere sempre applicate con la finalità di curare una malattia. Il
medico/scienziato ha il dovere di impiegare tutte le sue conoscenze e le tecniche che ha a
disposizione per scoprire nuovi meccanismi finalizzati a curare nuove malattie.
13
Biondi, Bolognese, Corghi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 2, 10/03/2021
GLI ACIDI NUCLEICI
Gli acidi nucleici trasmettono l’informazione ereditaria e determinano quali proteine devono essere
sintetizzate dalla cellula.
Il DNA costituisce i geni, ovvero il materiale ereditario della cellula, e contiene le istruzioni per sintetizzare
l’RNA (codificante, cioè RNA messaggero, e non codificante) e le proteine di tutto l’organismo.
Per quanto riguarda l’RNA:
•
•
•
Ne esistono di vari tipi (mRNA, tRNA, rRNA, snRNA che sono rispettivamente RNA messaggero, RNA
transfer, RNA ribosomiale e small nuclear RNA -il quale partecipa alla maturazione dell’RNA
all’interno del nucleo-, inoltre esistono anche altri tipi ancora di RNA non codificanti);
I vari tipi di RNA hanno funzioni diverse (l’RNA messaggero è un RNA codificante che viene
trascritto dal DNA e che porta il messaggio nel citoplasma dove viene poi tradotto, mentre gli altri
RNA sono non codificanti: il tRNA interviene nella sintesi proteica trasportando il giusto
amminoacido alla catena polipeptidica, l’rRNA invece fa parte del ribosoma);
Gli RNA sono sempre trascritti da DNA.
Figura 1
I nucleotidi (figura 1) sono formati da:
•
•
•
Uno zucchero a 5 atomi di C (Desossiribosio nel DNA, Ribosio nel RNA);
Una base azotata:
o purina (Adenina o Guanina) o
o pirimidina (Citosina, Timina -nel DNA- o Uracile -nell’RNA-);
Un gruppo fosfato legato allo zucchero.
Gli acidi nucleici sono dei polimeri di nucleotidi (figura 2):
•
•
Essi sono legati tra loro da legami covalenti P-diesterici (fosfodiesterici) che si formano tra il gruppo
fosfato attaccato allo zucchero in 5’ e lo zucchero del nucleotide adiacente in posizione 3’;
Ogni nucleotide è identificato da una sua specifica sequenza: le combinazioni delle possibili
sequenze sono infinite;
1
Biondi, Bolognese, Corghi
•
•
•
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 2, 10/03/2021
Ogni gene sul DNA ha una sua specifica sequenza che codifica per uno specifico mRNA e quindi per
una specifica proteina;
L’RNA è formato da una singola catena nucleotidica;
Il DNA è formato da una doppia catena nucleotidica.
Figura 2
Altri nucleotidi importanti per la cellula, pur senza costituire acidi nucleici, sono:
•
•
•
ATP (figura 3): adenosina+ribosio+3 gruppi fosfato; la reazione di idrolisi di un gruppo fosfato è
esoergonica (∆G=7.6 Kcal/mol);
GTP: guanina+ ribosio+ 3 gruppi fosfato, ha una funzione energetica simile a quella dell’ATP e
insieme ad esso viene utilizzato dalla cellula come fonte di energia chimica;
cAMP (figura 4): si forma dall’ATP per opera dell’enzima adenilatociclasi che lo ciclizza, è una
molecola segnalatrice, media l’effetto di alcuni ormoni (viene prodotto nel momento in cui
l’ormone si lega sulla superficie della cellula e media il segnale che questo ormone provoca al suo
interno).
Figura 4
Figura 3
2
Biondi, Bolognese, Corghi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 2, 10/03/2021
Nel legame fosfodiestereo (figura 5),
•
•
•
La base azotata è legata al C1’ del desossiribosio;
Il legame fosfodiesterico si forma tra il C3’ di uno zucchero e il C5’ dello zucchero adiacente, si
forma così un legame 3’-5’ P-diesterico;
Una singola catena nucleotidica ha una precisa direzione: l’estremità 5’ ha un C5’ legato a un
gruppo fosfato e l’estremità 3’ ha un C3’ legato ad un OH-
Figura 5
LA STRUTTURA DEL DNA
Nel 1953 Watson e Crick fornirono un modello che poteva spiegare come il DNA potesse
contemporaneamente
•
•
Portare l’informazione genetica attraverso la sua trascrizione e poi traduzione nel citoplasma;
Funzionare da stampo per la sua duplicazione, prima della duplicazione cellulare.
Il modello di Watson e Crick nacque dalla fusione di studi di altri scienziati che prima di loro fecero varie
osservazioni.
Un ruolo di primo piano lo ebbe Chargraff che esaminò, più di dieci anni prima della pubblicazione dello
studio di Watson e Crick, la composizione in basi del DNA di vari organismi sia procarioti che eucarioti.
Egli concluse che , indipendentemente dalla fonte di estrazione, il rapporto purine/pirimidine era sempre
molto vicino ad 1 (figura 6).
Da qui derivano le regole di Chargaff, che stabiliscono che nelle molecole di DNA a doppia catena, il
numero di purine deve essere uguale al numero di pirimidine (n◦A = n◦T e n◦C = n◦G).
3
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Lezione 2, 10/03/2021
Figura 6
Nel 1951-1953 R. Franklin, usando la diffrazione a raggi X, riuscì a determinare le distanze precise tra gli
atomi e i loro rapporti spaziali all’interno delle molecole.
Da questi studi emerse che il DNA ha una struttura elicoidale e presenta tre misure che si ripetono
regolarmente nella molecola:
•
•
•
0,34 nm
3,4 nm
2 nm
Mettendo insieme tutte queste informazioni, Watson e Crick costruirono il modello definitivo del DNA, in
cui:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Ciascuna molecola di DNA è costituita da 2 catene nucleotidiche avvolte tra loro in una doppia
elica;
Le basi azotate solo impilate come i pioli di una scala;
Lo scheletro zucchero-gruppo fosfato costituisce l’impalcatura esterna dell’elica, mentre le basi
azotate si appaiano all’interno;
Il periodo che si ripete ogni 0,34 nm corrisponde alla distanza tra la coppia di basi precedente e
quella successiva lungo la molecola;
Il periodo di 3,4 nm corrisponde alla misura di 10 paia di basi presenti in un giro completo
dell’elica;
Le due catene hanno direzione opposta: ciascuna estremità della doppia elica mostra un gruppo
fosfato libero al 5’ su un filamento e un OH- al 3’ libero sull’altro filamento;
Il periodo di 2 nm corrisponde alla larghezza della doppia elica dove si formano legami a idrogeno
tra G-C e A-T (ovvero le uniche combinazioni possibili per le quali la larghezza sia di 2nm). Tra G-C si
formano 3 legami ad idrogeno, tra A-T se ne formano 2 (figura 7);
La sequenza delle basi nelle due catene è complementare: la sequenza di nucleotidi di un’elica
impone una sequenza complementare nell’altra. Esempio:
La sequenza delle basi rappresenta il sistema di archiviazione che codifica per la sintesi proteica;
Una molecola di DNA è costituita da milioni di nucleotidi che codificano per migliaia di geni.
4
Biondi, Bolognese, Corghi
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Lezione 2, 10/03/2021
Figura 7
TIPI DI RNA
•
•
•
•
mRNA: codifica per le proteine;
tRNA: fungono da adattatori tra mRNA e gli amminoacidi nella sintesi proteica;
rRNA: formano parte della struttura del ribosoma e partecipano alla sintesi proteica;
snRNA, tra cui small nuclear RNA e microRNA: i primi agiscono nello splicing dell’RNA, cioè nella
maturazione del trascritto primario dell’RNA messaggero all’interno del nucleo, mentre i secondi
agiscono nella regolazione dell’espressione genica a livello post trascrizionale.
La figura 8 rappresenta il percorso dal gene
alla proteina: il DNA, trascritto poi in mRNA,
viene tradotto dal linguaggio nucleotidico a
quello amminoacidico nelle proteine.
Figura 8
5
Biondi, Bolognese, Corghi
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Lezione 2, 10/03/2021
Figura 9
La figura 9 sintetizza le varie tappe della trascrizione e della maturazione dell’mRNA.
Si può osservare una sequenza codificante preceduta dal promotore che non verrà poi trascritto in RNA,
ma ha solo il compito di regolare la trascrizione del gene a valle di questa sequenza promotrice.
L’RNA polimerasi trascrive un trascritto primario (premRNA) e aggiunge varie strutture (coda di poliadenine in 3’ e cappuccio in 5’) che hanno funzione di protezione dall’azione delle ribonucleasi, enzimi che
potrebbero distruggere il trascritto prima della traduzione.
Nel premRNA vi sono esoni, sequenze codificanti, e introni, sequenze non codificanti. Durante lo splicing
del trascritto primario, le porzioni non codificanti verranno rimosse. Alla fine della maturazione dell’mRNA,
esso può migrare nel citoplasma e iniziare la traduzione.
rRNA E RIBOSOMI
I ribosomi sono particelle ribonucleoproteiche, formate quindi da RNA e proteine. L’RNA ribosomiale viene
trascritto nel nucleolo, una zona all’interno del nucleo (attraverso strutture dette organizzatori nucleolari)
dove avviene anche l’assemblaggio con le parti proteiche sintetizzate nel citoplasma le quali entrano nel
nucleo per unirsi con la parte di RNA.
Ci sono vari tipi di ribosomi (figura 10):
•
•
quelli procariotici, più piccoli, contengono RNA 23S e 5S nella subunità maggiore che si assembla
con 31 proteine e RNA 16S nella subunità minore che si assembla con 21 proteine, formando due
subunità rispettivamente con coefficiente di sedimentazione di 50S e 30S che quando a loro volta si
assemblano formano un ribosoma di 70S;
I ribosomi eucariotici contengono principalmente due tipi di RNA:
o 28S : 5.8S e 5S, si assemblano con 50 proteine per formare la subunità maggiore (o large
subunit) di 60S;
o 18S, che si associa con 33 proteine ribosomiali formando la subunità minore di 40S.
Le due subunità assemblate hanno un peso molecolare complessivo di 80S.
6
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Figura 10
tRNA
Il tRNA si può rappresentare secondo diversi schemi (figura 11):
•
•
•
Nel modello a vediamo uno schema più dinamico;
Nel modello b vediamo un modello bidimensionale che ci illustra i siti di legame più importanti di
questa molecola, ossia l’estremità accettrice di amminoacidi, cioè l’estremità 3’-OH che lega l’AA
per essere portato nel ribosoma dove si formerà il legame peptidico, e l’anticodone, che andrà a
legarsi in modo complementare con il codone dell’mRNA e che quindi fornisce la specificità della
costruzione delle proteine in base alla sequenza dell’mRNA;
Nel modello c, più schematizzato, vediamo ben in evidenza l’anticodone con l’estremità 3’ che lega
un AA.
Figura 11
7
Biondi, Bolognese, Corghi
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Lezione 2, 10/03/2021
LA REPLICAZIONE DEL DNA
FASI DEL CICLO CELLULARE
Nella figura 12 sono schematizzate le varie fasi :
•
•
•
G1: avviene un marcato accrescimento
della cellula che sintetizza componenti
strutturali ed enzimi per la duplicazione
del DNA;
S: avvengono duplicazione del DNA e
sintesi di proteine cromosomiche;
G2: avviene la sintesi di proteine
necessarie per la mitosi;
Queste prime tre fasi sono sequenziali e
preparatorie per la divisione
•
M: avviene la segregazione dei
componenti citoplasmatici del
materiale nucleare in due cellule figlie.
Poiché le coppie di nucleotidi si appaiono in
modo complementare, ciascun filamento serve
da stampo per la sintesi del filamento opposto.
Figura 12
LA DUPLICAZIONE
Figura 13
La replicazione del DNA è semiconservativa. All’inizio
vennero proposti due meccanismi di replicazione
(figura 13), uno dei quali poi dimostrato scorretto:
•
•
Meccanismo conservativo che prevede che le
due sequenze neo sintetizzate si appaiassero
tra loro;
Meccanismo semiconservativo che prevede
l’unione del vecchio filamento,detto stampo,
con quello neosintetizzato, considerato poi
come meccanismo corretto.
8
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Lezione 2, 10/03/2021
La replicazione del DNA richiede poi un complesso molecolare (figura 14) composto da molte proteine, più
semplice nei procarioti e più complesso negli eucarioti. Questo meccanismo è formato da proteine e
enzimi che lavorano in sinergia per permettere la duplicazione.
Figura 14
Esistono varie differenze tra procarioti e eucarioti a causa dell’organizzazione diversa del DNA: nei
procarioti vi è un’unica molecola circolare di DNA a doppia catena e negli eucarioti ogni cromosoma è
costituito da una singola molecola lineare a doppio filamento.
Un presupposto fondamentale affinchè avvenga la replicazione del DNA in maniera semiconservativa è lo
svolgimento/denaturazione della doppia elica (cosi che i due filamenti possano fungere da stampo) grazie
a DNA elicasi (figura 14) le quali camminando lungo l’elica rompono i vari legamenti a H. Una volta separati
i due filamenti devono essere mantenuti tali e qui intervengono delle proteine che legano il singolo
filamento stabilizzandolo finchè non è avvenuta la copiatura. Esse si chiamano SSBP, single strand biding
proteins, cioè proteine destabilizzanti dell’elica. Quando i due filamenti si separano, in un’altra regione
della molecola adiacente alla separazione si genera un superavvolgimento. In questo caso intervengono le
topoisomerasi che tagliano il DNA e poi saldano le estremità in modo che siano liberi da superavvolgimenti
e nodi che potrebbero ostacolare lo scorrimento del meccanismo replicativo. Gli enzimi che catalizzano la
polimerizzazione dei nucleotidi sono le DNA polimerasi, che aggiungono nuovi nucleotidi solo al 3’-OH di
una catena in fase di sintesi, per cui la reazione procede sempre e solo in direzione 5’-3’.
I “mattoni” utilizzati per la costruzione di un nuovo filamento di DNA sono i nucleotidi trifosfati, in questo
caso desossinucleotidi. Nella formazione del legame fosfodiestereo vengono eliminati 2 gruppi fosfato,
quindi i desossinucleotidi vengono incorporati come monofosfati (figura 15).
Figura 15
9
Biondi, Bolognese, Corghi
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Lezione 2, 10/03/2021
La sintesi di DNA (figura 16) necessita di un RNA primer, dato che le DNA polimerasi sono in grado di
aggiungere nucleotidi all’estremità 3’-OH solo di una catena polinucleotidica che è stata presintetizzata,
cioè preesistente.
Esiste quindi un enzima, la DNA primasi, che a inizio reazione sintetizza un piccolo tratto di RNA, che si
chiama primer, nel punto di inizio della replicazione e che funziona da innesco. Successivamente la DNA
polimerasi, dopo pochi nucleotidi aggiunti (5-15), spiazza la primasi e inizia a sintetizzare il DNA a partire
dal 3’-OH. In seguito, il primer RNA verrà degradato e sostituito da DNA.
Figura 16
Per il fatto che il verso della polimerizzazione delle DNA polimerasi sia in 5’-3’, la sintesi può procedere solo
in questa direzione. La duplicazione inizia in un punto preciso della molecola, l’origine di replicazione, ed
entrambi i filamenti vengono replicati contemporaneamente all’interno di una figura a Y, chiamata forca o
forcella di replicazione (figura 17).
Figura 17
Uno dei due filamenti si allunga verso l’interno della forca di replicazione ed è chiamato leading strand o
filamento guida, mentre il filamento complementare si allunga in direzione opposta, allontanandosi dal
centro della forca di replicazione ed è chiamato lagging strand o filamento in ritardo. Il motivo della
denominazione di due filamenti sta nel fatto che, come detto più volte, le DNA polimerasi possono
aggiungere nucleotidi a partire dall’estremità 3’-OH. Quindi il filamento guida si allunga sempre verso il
centro della forca di replicazione, dove la doppia elica è denaturata e i due filamenti sono ben separati;
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Lezione 2, 10/03/2021
viceversa l’altro filamento si allunga sempre in direzione 5’-3’, in direzione opposta, e la sua replicazione
deve procedere in maniera discontinua tale per cui non viene prodotto un unico filamento ma tanti
frammenti discontinui chiamati frammenti di Okazaki, fra i quali si interpongono dei primer. Quando un
frammento di Okazaki raggiunge quello sintetizzato precedentemente, il primer di quest’ultimo viene
degradato e rimpiazzato da DNA; al termine una DNA ligasi riunisce i vari frammenti di Okazaki formando
un filamento continuo.
Per riassumere (figura 18):
la sintesi di DNA inizia in corrispondenza di una origine di replicazione. I filamenti vengono separati nel
punto di origine della replicazione, l’elica viene svolta o denaturata dalla DNA elicasi, che cammina lungo la
molecola, precedendo gli enzimi deputati alla sintesi: la DNA primasi, che sintetizza l’RNA primer, e la DNA
polimerasi, che sintetizza nuovi nucleotidi. Il mantenimento della denaturazione dell’elica è svolto dalle
proteine destabilizzanti o SSBP (simple strand binding proteins). Al termine della duplicazione si ottengono
le due molecole figlie che, per il principio dimostrato sperimentalmente della duplicazione
semiconservativa, sono formate da un filamento vecchio, che ha funzionato da stampo, e da un filamento
nuovo neosintetizzato.
Figura 18
MECCANISMI DI SINTESI A CONFRONTO
La sintesi del DNA è bidirezionale, e questo è un meccanismo necessario perché sia nei procarioti che negli
eucarioti tutto il DNA venga interamente duplicato nella fase di sintesi, che negli eucarioti è la fase S (che
dura circa mezz’ora).
Nella figura 19 si nota come dal DNA procariotico si formano due forcelle, per cui il DNA viene replicato
nelle due direzioni (nei procarioti c’è una sola origine di replicazione, sufficiente a duplicare l’intero
patrimonio genetico). Negli eucarioti invece, si formano più bolle di replicazione che poi si fondono
formando un’unica bolla più grande, di modo da accelerare la duplicazione del DNA che deve essere
correttamente ed interamente replicato in mezz’ora (figura 20).
11
Biondi, Bolognese, Corghi
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Lezione 2, 10/03/2021
Figura 19
Figura 20
TELOMERI E TELOMERASI
Negli eucarioti i cromosomi non
sono circolari ma lineari, con le
estremità libere che non
vengono completamente
replicate dalle DNA polimerasi. I
cromosomi hanno dei cappucci
terminali, i telomeri (figura 21),
che non contengono sequenze
codificanti, e che vengono
allungati dalla telomerasi, un
altro enzima. Man mano che la
cellula procede nella vita e nelle
sue continue duplicazioni,
l’efficienza della telomerasi è
sempre minore, per cui i
telomeri si accorciano sempre
di più.
Figura 21
L’accorciamento dei telomeri è un indicatore di senescenza delle cellule stesse, per cui quando i telomeri
raggiungono una lunghezza critica vengono attivate le vie che portano la cellula alla morte per apoptosi; il
processo è chiamato senescenza replicativa.
LE MUTAZIONI DEL DNA
Per mutazione si intende una modifica stabile ed ereditabile (se l’alterazione riguarda le cellule germinali)
nella sequenza nucleotidica del DNA. La frequenza con cui avvengono alterazioni a carico del DNA è molto
superiore a quella in cui queste si traducono in una mutazione stabile ed ereditabile, perché nella cellula
esistono dei sistemi di riparo del DNA, 4 in tutto, 3 a singolo filamento e 1 a doppio filamento. Questi
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Biondi, Bolognese, Corghi
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Lezione 2, 10/03/2021
sistemi vengono attivati immediatamente quando si generano delle alterazioni sul DNA a causa di diversi
fattori, come ad esempio fattori fisici con le radiazioni ionizzanti, fattori chimici o fattori endogeni come lo
stress ossidativo e la presenza quindi dei radicali liberi dell’ossigeno; tuttavia delle alterazioni del DNA
possono derivare anche dagli stessi errori che la DNA polimerasi compie durante la replicazione. Se non
esistessero questi sistemi di riparazione, la cellula accumulerebbe molto velocemente mutazioni e
andrebbe verso la trasformazione in cellula tumorale, come vedremo in seguito, o potrebbe essere
veicolata alla morte per apoptosi; in questo processo infatti, al momento della replicazione le sequenze
alterate vengono copiate come quelle normali, consentendo alla mutazione di fissarsi nelle generazioni
successive. Le mutazioni possono essere di piccole o grandi dimensioni, si parla delle prime quando una
mutazione è puntiforme, quindi interessa un singolo nucleotide o comunque pochi, mentre si parla di
grandi dimensioni quando sono interessate porzioni cromosomiche che contengono molti geni.
IL DNA MITOCONDRIALE
Il DNA mitocondriale, contenuto ovviamente nei mitocondri, è molto importante perché alterazioni geniche
dello stesso sono alla base di molte malattie genetiche, anche gravi, di cui parleremo in seguito.
Ogni cellula ha centinaia di mitocondri, ciascuno dei quali contiene da 2 a 10 copie di DNA mitocondriale,
una molecola circolare a doppio filamento. Il cromosoma mitocondriale corrisponde in dimensioni allo
0.0006% del genoma e ogni cellula contiene circa 10.000 molecole di DNA mitocondriale che in peso
rappresenta l’1% della massa totale di DNA contenuto in una cellula.
La teoria dell’endosimbiosi (figura 22) è utile a
spiegare la presenza dei mitocondri all’interno della
cellula eucariote; infatti, dato che il DNA
mitocondriale è un DNA circolare a doppio
filamento, si è pensato che in tempi antichissimi le
cellule eucariotiche ancestrali anaerobie (che non
riuscivano ad ossidare le sostanze organiche)
avessero inglobato, attraverso fagocitosi, un
procariote aerobio e che questo non fosse stato
degradato. Successivamente si sarebbe venuto a
creare un rapporto simbiotico tra le due cellule per
cui quella eucariote è diventata aerobia, come quella
di oggi, e quella procariote precedentemente
inglobata è diventata un mitocondrio. Tutto ciò è
Figura 22
anche testimoniato dal fatto che oltre ad avere un
DNA circolare a catena simile a quella dei procarioti, la
sintesi proteica che avviene nei mitocondri è attuata da ribosomi altrettanto simili a quelli procarioti.
STRUTTURA DEL DNA MITOCONDRIALE
Il mtDNA:
•
È un DNA circolare a doppio filamento;
13
Biondi, Bolognese, Corghi
•
•
•
•
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 2, 10/03/2021
Nell’uomo consta di 16.569 paia di basi e 37 geni che codificano per 13 polipeptidi necessari alla
respirazione cellulare, implicati in particolar modo nella fosforilazione ossidativa, 22tRNA e 2 rRNA
rispettivamente da 16S e 12S, simili all’RNA batterico;
Costituisce il genoma del mitocondrio, e in ognuno di essi se ne trovano circa 10 copie;
Ha un contenuto in GC (guanina-citosina) pari al 44%, superiore a quello medio del DNA nucleare,
per cui la stabilità della doppia elica è maggiore rispetto a quella presente nel nucleo per la
presenza di un maggior numero di legami a idrogeno. Inoltre, i 2 filamenti della doppia elica sono
indicati convenzionalmente con H (Heavy, quello più ricco in G) e L (Light quello più ricco in C);
Non si replica in modo sincrono con quello nucleare, cioè nella fase S, ma si può replicare in
qualsiasi fase del ciclo cellulare. Durante la divisione cellulare inoltre, le molecole di mtDNA
vengono ripartite casualmente entro le 2 cellule figlie a differenza del DNA nucleare che grazie alla
presenza del fuso mitotico viene ripartito in modo identico.
Molte proteine presenti nei mitocondri sono codificate dal DNA nucleare: si ritiene che alcune di esse
facessero parte in origine del mtDNA e durante l’evoluzione siano state trasferite nel nucleo.
In figura 23 sono citati gli
RNA ribosomiali 12S e 16S
(simili all’RNA batterico), i
geni codificati per proteine
come citocromo b, le
subunità della NADH
deidrogenasi, della
citocromo ossidasi, dell’ATP
sintasi e della citocromo
ossidasi. I segmenti in giallo
sono quei geni che
codificano per i tRNA (22 in
totale).
Figura 23
EREDITARIETA’ DEL DNA MITOCONDRIALE
Il DNA mitocondriale è ereditato per linea materna perché nello spermatozoo sono presenti 102 copie di
mtDNA, mentre nell’uovo 10⁵; inoltre i mitocondri contenuti nello sperma dei mammiferi, importanti per
dare energia necessaria al movimento del flagello e della stessa cellula, vengono distrutti dalla cellula uovo
subito dopo la fecondazione. Nel 1999 è stato dimostrato che i mitocondri dello sperma paterno
(contenenti mtDNA) vengono marcati con ubiquitina, facente parte di un sistema utilizzato dalle cellule per
segnalare le proteine che devono essere degradate e poi mandate, come anche in questo caso, ad un
sistema proteasomale (complesso multiproteico) in cui agiscono degli enzimi proteolitici che degradano i
mitocondri e li distruggono all’interno dell’embrione appena formato.
14
Biondi, Bolognese, Corghi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 2, 10/03/2021
GENI MITOCONDRIALI
Riguardo ai geni mitocondriali (37), rispetto a ciò precedentemente detto, la cosa interessante da notare è
che i mitocondri utilizzano un codice genetico diverso rispetto a quello standard; infatti i codoni di stop non
comprendono la tripletta UGA, che codifica in questo organulo per il triptofano, e sono 4 invece di 3.
Per quanto riguarda la struttura dei geni mitocondriali, questi si presentano molto simili ai procarioti, sono
cioè caratterizzati da:
•
•
Assenza di introni, per cui gran parte della sequenza è codificante (come i geni procariotici);
Ridotte dimensioni, con massimo di circa 1kilobasi (per i geni nucleari la media è di 57kb).
Quindi al pari del genoma batterico il mtDNA (figura 24) è caratterizzato da un’estrema compattazione
dell’informazione genetica (per il 93% è formato da
geni codificanti).
I geni sono trascritti con un particolare meccanismo
simile a quello dei batteri: avviene la trascrizione di
ampie regioni di mtDNA, in assenza di promotori
individuali per ciascun gene, che porta alla
formazione di trascritti multigenici.
Un unico promotore quindi è presente sia per il
filamento H che per il filamento L e regola la
trascrizione di più geni che si trovano a valle di questa
sequenza regolatrice, cioè in 3’. Conseguentemente i
singoli RNA si ottengono a seguito del taglio di queste
molecole a carico di enzimi specifici, e gli RNA
codificanti per proteine non presentano un codone di
stop ma terminano per U oppure UA.
Figura 24
TASSO DI MUTAZIONE DEL DNA MITOCONDRIALE
Dato che all’interno dei mitocondri si svolgono molti processi metabolici che portano a un aumento
notevole dei radicali dell’ossigeno, il tasso di mutazione del mtDNA è circa 10 volte maggiore di quello
nucleare; infatti una delle cause
che portano alla comparsa di
mutazioni e quindi ad una
alterazione dei nucleotidi è lo
stress ossidativo, favorito
enormemente in questi distretti
per l’attività svolta dagli stessi
organuli rispetto all’ambiente
nucleare (figura 25). Le mutazioni
a carico del DNA mitocondriale
portano, come vedremo, a
malattie che coinvolgono
purtroppo molti organi per la
maggior parte dei casi e
Figura 25
rimangono ancora oggi incurabili.
15
Cavallini, Ciardo, Muratori
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 3 15/03/2021
DA DNA A PROTEINE
In questa lezione parleremo di come dall’espressione genotipo, cioè dei geni contenuti nel DNA, si arriva al
fenotipo, cioè l’aspetto dell’organismo o della cellula.
Questo rappresenta il flusso
dell’informazione genica. Dal DNA,
l’informazione codificata dal DNA stesso
viene trasferita nell’RNA messaggero
che viene poi tradotto in proteina. Il
meccanismo tramite il quale si forma
l’RNA messaggero da uno dei due
filamenti stampo del DNA si chiama
trascrizione. L’RNA viene poi tradotto in
proteina: il linguaggio nucleotidico contenuto nell’RNA e nel DNA viene quindi tradotto nel linguaggio
amminoacidico delle proteine.
Il flusso dell’informazione è unidirezionale: il DNA può replicarsi e deve farlo prima di ogni divisione
cellulare.
Cos’è l’espressione genica? È una serie di eventi attraverso i quali l’informazione contenuta nella sequenza
di basi del DNA viene decodificata ed utilizzata per specificare la costruzione delle proteine di una cellula
che esercitano le funzioni all’interno della stessa.
Le tappe dell’espressione genica sono essenzialmente due:


Trascrizione
Traduzione
Queste sono finemente regolate a vari livelli, specialmente negli eucarioti.
Con gene codificante per proteine si intende l’intera sequenza di DNA necessaria per la sintesi di una
proteina o, nel caso di un gene non codificante, di una molecola di RNA funzionale.
Gli esoni sono le porzioni codificanti che vengono mantenute nell’RNA messaggero codificante per proteine
e per poi essere tradotti; gli introni invece sono le porzioni non codificanti che quindi vengono rimosse
durante la maturazione dell’RNA messaggero all’interno del nucleo.
RNA
Ci sono diversi tipi di RNA prodotti all’interno della cellula.





mRNAs  RNA messaggeri, codificano per proteine;
rRNAs  RNA ribosomiali, formano con le proteine ribosomiali i ribosomi;
tRNAs  RNA transfer, cooperano nella sintesi proteica perché portano l’amminoacido nella sede
della traduzione;
snRNAs  small nuclear RNAs, piccoli RNA nucleari che funzionano in una varietà di processi
all’interno del nucleo, il più importante dei quali è lo splicing, ovvero la rimozione degli introni dal
trascritto primario dell’mRNA;
snoRNAs  small nucleolar RNAs, servono per la maturazione del precursore dell’rRNA, il quale
viene trascritto esclusivamente in una zona del nucleo che si chiama nucleolo. Quindi anche gli
rRNA vengono trascritti come precursori e rimodellati per diventare rRNA maturi;
1
Cavallini, Ciardo, Muratori



BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 3 15/03/2021
miRNAs  microRNAs, sono regolatori dell’espressione genica, tipicamente negativi, vanno ad
agire bloccando la traduzione di specifici mRNA. Lunghi circa 20-23 paia di basi;
long noncoding RNAs  lunghi più di 200 basi, hanno una funzione in diversi processi cellulari, tra
cui la regolazione dell’espressione genica, l’inattivazione della seconda copia del cromosoma X
nella femmina (long noncoding Xist) e partecipano nei processi di stabilizzazione delle proteine;
circular RNAs, altri noncoding che noi non citiamo che hanno una funzione importantissima nella
regolazione dell’espressione genica.
Nella cellula eucariotica sono presenti e funzionanti tre diverse RNA polimerasi:



RNA polimerasi I  trascrive gli rRNA 5.8S, 18S e 28S;
RNA polimerasi II  trascrive tutti gli RNA codificanti (mRNA), in più snoRNAs, i miRNAs e molti
snRNAs;
RNA polimerasi III trascrive i tRNA, gli rRNA 5S, alcuni snRNAs e altri geni per piccoli RNA che non
abbiamo nominato prima.
DA GENE A PROTEINA
Uno dei due filamenti del DNA funziona da stampo per la trascrizione dell’mRNA: si forma quindi un mRNA
che è complementare a quella determinata porzione del DNA che funge da stampo. Questo mRNA, una
volta maturo, migra nel citoplasma e il suo linguaggio nucleotidico viene tradotto in linguaggio
amminoacidico delle proteine.
L’mRNA viene letto a triplette ed ognuna di esse codifica per un amminoacido; l’ordine delle triplette
sull’mRNA determina l’ordine degli amminoacidi della catena polipeptidica.
2
Cavallini, Ciardo, Muratori
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 3 15/03/2021
CODICE GENETICO
È un meccanismo universalmente adottato, è la base della
interpretazione del codice nucleotidico e della sua traduzione.
Le 4 basi del DNA funzionano come un alfabeto a 4 lettere,
combinando però le 4 lettere tra di loro non era possibile
specificare i 20-21-22 amminoacidi che erano stati trovati nelle
proteine. Si capì quindi che non era solamente la combinazione
delle 4 basi prese singolarmente che poteva specificare per i
diversi amminoacidi presenti nelle proteine delle cellule. Solo la
combinazione a 3 lettere delle 4 basi (43) permette di formare 64
“parole”, dette triplette, più che sufficienti a specificare tutti gli
amminoacidi trovati nelle proteine.
È universale, praticamente lo stesso in tutti gli organismi con
piccolissime differenze riguardo, ad esempio, i codoni di
terminazione.
Presenta un certo grado di ridondanza, detta anche degenerazione, e consiste nel fatto che alcuni
amminoacidi sono specificati da più di un codone. Questo è anche un meccanismo che ci protegge dal
cambio di amminoacido nel caso di mutazioni.
TRASCRIZIONE
Viene effettuata da RNA polimerasi che sono sempre DNA dipendenti negli eucarioti: richiedono quindi il
DNA come stampo. Solo alcuni virus hanno RNA polimerasi RNA dipendenti.
Le RNA polimerasi effettuano la sintesi in direzione 5’-3’, cioè riscono ad aggiungere nucleotidi solamente
all’estremità 3’ della molecola finchè non è completa. Utilizzano i ribonucleotidi che vengono inglobati
come trifosfati e poi durante la formazione del legame fosfodiestereo vengono liberati due fosfati; quindi
anche gli RNA sono formati da nucleuotidi monofosfati.
Come in due filamenti di DNA, anche il filamento di DNA trascritto e il filamento di RNA complementare
sono antiparalleli. Complementare significa complementarietà di base e direzione opposta dei due
filamenti: quindi l’RNA è sintetizzato in direzione 5’-3’ e il DNA stampo è letto in direzione 3’-5’
In generale abbiamo una regione del promotore, ovvero una regione che non viene trascritta ma che serve
per la regolazione della trascrizione e quindi dell’espressione del gene posto a valle del promotore stesso.
3
Cavallini, Ciardo, Muratori
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 3 15/03/2021
In figura si può vedere lo schema della trascrizione: si ha la formazione di un mRNA trascritto da uno dei
due filamenti di DNA e più a valle si ha una sequenza di terminazione.
Così come nella duplicazione del DNA, anche nella trascrizione si ha una fase di inizio e una fase di
allungamento, finchè la RNA polimerasi non arriva alla sequenza di terminazione.
STRUTTURA DELL’ mRNA
L’mRNA completo contiene più sequenze nucleotidiche di quelle che codificano la proteina, quindi anche
l’RNA maturo contiene delle sequenze non codificanti: queste non sono da confondere con gli introni che
vengono rimossi durante lo splicing. Queste sequenze sono indispensabili per la protezione rispetto
all’azione delle ribonucleasi che potrebbero degradarlo prima che venga tradotto in proteina.
All’estremità 5’ si trova una sequenza leader non codificante (in blu in figura) che contiene i siti di
riconoscimento per il ribosoma. È quindi tramite questa sequenza che l’mRNA maturo si lega all’estremità
minore del ribosoma durante le fasi d’inizio della traduzione.
Segue verso il 3’ la sequenza codificante le
proteine (verde chiaro). Alla fine di ciascuna
sequenza codificante c’è uno speciale
codone di stop, che sappiamo essere 3
diversi grazie al codice genetico, per quanto
riguarda la sintesi proteica nucleare nelle
cellule eucariotiche (quella mitocondriale è
leggermente diversa): questi codoni di stop
sono UGA, UAG, UAA, mentre il codone di
inizio è sempre AUG.
Sempre all’estremità 5’ si può osservare un
capuccio di 7-metilguanosina che protegge
questa estremità dalla degradazione.
MATURAZIONE DELL’mRNA
Dopo la trascrizione l’mRNA eucariotico richiede vari steps di maturazione nel nucleo prima di migrare nel
citoplasma.
L’aggiunta del cappuccio di 7-metilguanosina all’estremità 5’ consente anche l’attacco dei ribosomi per la
sintesi proteica, azione svolta assieme alla sequenza leader; protegge inoltre l’estremità 5’ dalla
degradazione.
L’aggiunta di una coda di poliA (poli adenina) all’estremità 3’ della molecola serve a stabilizzare l’RNA e
anche per il legame con proteine trasportatrici che veicolano l’mRNA dal nucleo al citoplasma.
Abbiamo poi il meccanismo di splicing, ovvero la rimozione degli introni e la ricucitura degli esoni: ciò porta
ad una sequenza esclusivamente codificante.
L’mRNA maturo deve poi essere trasportato nel citoplasma dove verrà tradotto. Avviene quindi un
trasporto attraverso i pori nucleari tramite il legame della coda di poliA con proteine trasportatrici.
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Cavallini, Ciardo, Muratori
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Lezione 3 15/03/2021
SPLICING
Lo splicing prevede che solo le porzioni codificanti (verde scuro) vengano mantenute nell’mRNA maturo
mentre gli introni (verde chiaro) devono essere rimossi. Nel processo di rimozione a livello molecolare
entrano in gioco i snRNAs, più precisamente i snRNP (small nuclear ribonuclear particol), ovvero le
particelle ribonucleoproteiche che contengono questi snRNAs. Gli snRNP vanno quindi ad appaiarsi alle
giunzioni di splicing.
In figura possiamo vedere l’esone in verde
scuro, l’introne in verde chiaro e come le
snRNP si appaiano nelle giunzioni di splicing sia
al 5’ che al 3’. Successivamente interagiscono a
formare una struttura chiamata spliceosoma.
Tra l’esone e l’introne in 5’ avviene il primo
taglio. Dopo il primo taglio si forma una
struttura chiamata lariat o cappio: è un ansa
chiusa in cui la porzione 3’ dell’introne va ad
interagire con la porzione 5’ dell’altro introne.
Quindi l’esone al 3’ viene tagliato, riunito con
l’esone 5’ e di fatto tutto il complesso dello
spliceosoma, comprese le ribonucleoparticelle
con gli small nuclears integrati, vengono
eliminati e successivamente degradati, mentre
le porzioni codificanti vengono ricucite insieme
ed esportate nel citoplasma per essere tradotte.
L’RNA è sempre sintetizzato in direzione 5’-3’ per la peculiarità delle RNA polimerasi che, come le DNA
polimerasi, possono aggiungere in questo caso ribonucleotidi solo al 3’ OH della molecola: di conseguenza il
DNA è letto in direzione opposta.
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Cavallini, Ciardo, Muratori
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 3 15/03/2021
FASI DELLA TRASCRIZIONE
Abbiamo tre fasi:



Inizio
Allungamento
Terminazione
INIZIO
Durante questa fase, importantissima per la regolazione
dell’espressione genica negli eucarioti, la sequenza di
DNA alla quale la RNA polimerasi si lega è chiamata
promotore. Quando l’RNA polimerasi ha riconosciuto il
corretto promotore, srotola la doppia elica ed inizia la
trascrizione.
Oltre alla presenza del promotore e della RNA
polimerasi vengono richiesti altri fattori proteici detti
fattori trascrizionali.
Il promotore non viene mai trascritto, quindi l’RNA
polimerasi si deve spostare al 3’ del promotore per
iniziare a trascrivere. Il promotore è solamente una
sequenza regolatoria.
ALLUNGAMENTO
Questa fase prevede l’allungamento della catena ribonucleotidica.
Il primo nucleotide al 5’ della molecola di RNA trattiene il gruppo trifosfato, mentre nella fase di
allungamento i due fosfati vengono rimossi nella formazione del legame fosfodiesterico e successivamente
incorporati al 3’.
TERMINAZIONE
In questa fase la RNA polimerasi riconosce un segnale di terminazione che è una sequenza nucleotidica,
una serie di specifiche sequenze di DNA sul filamento stampo e che causa il distacco dell’enzima (e altri
complessi trascrizionali) sia dal DNA stampo che dall’RNA neosintetizzato. La trascrizione si ferma e l’RNA,
non ancora maturo, si stacca dal DNA stampo e comincia ad essere modificato per la sua maturazione.
6
Cavallini, Ciardo, Muratori
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 3 15/03/2021
Prima si pensava che solo uno dei due filamenti di DNA venisse trascritto e che l’altro servisse solo a
mantenere la struttura a doppia elica mentre oggi sappiamo che ciò è sbagliato: tutti e due i filamenti di
DNA sono codificati. L’assioma che bisogna tenere presente è che solo uno dei due filamenti è trascritto per
un determinato gene. Per ogni regione codificante c’è un filamento stampo e un filamento
complementare. Ovviamente per un determinato gene solo il filamento stampo viene trascritto in mRNA:
se venisse trascritto il filamento complementare verrebbe costruita una proteina completamente diversa.
Un determinato filamento quindi può fungere da stampo per determinati geni e da filamento non trascritto
per altri. Importante da ricordare è che solo uno dei due filamenti è trascritto per un determinato gene e il
gene che codifica per una determinata proteina è posizionato sempre sullo stesso filamento stampo di DNA
REGOLAZIONE DELL’ESPRESSIONE GENICA
È un processo complicatissimo ed importantissimo alla base della
differenza fenotipica di ogni cellula ed organismo pluricellulare.
Benché tutte le cellule di un organismo pluricellulare abbiano lo
stesso DNA, ogni tipo cellulare ha la sua forma caratteristica ed
esprime funzioni specifiche perché esprime differenti proteine. Le
cellule quindi differiscono in forma e funzione poiché differiscono in
espressione genica. Importante è che solo alcune tra tutte le informazioni
genetiche vengano espresse.
Si è visto anche sperimentalmente che circa il 50% del genoma non viene
espresso in un determinato momento.
I meccanismi della regolazione dell’espressione genica si esplicano a vari
livelli:




Regolazione della trascrizione dell’mRNA: per gli eucarioti è stato per tanto tempo il meccanismo
più importante per la regolazione dell’espressione genica e lo è ancora, con la scoperta dei
microRNA, anche la regolazione della traduzione ha acquisito una grossa importanza in questi
meccanismi;
Regolazione della maturazione dell’mRNA;
Regolazione della traduzione, principalmente affidata alla regolazione negativa da parte dei
microRNA;
Regolazione della maturazione della proteina, in quanto per funzionare correttamente deve
essere modificata dopo la traduzione attraverso la costruzione di una struttura I, II, III, IV che
necessita di un giusto ripiegamento dato, ad esempio, dai ponti disolfuro, necessita di glicosilazione
ed altri processi di maturazione della proteina stessa. Quindi anche la maturazione di una proteina
rappresenta uno step della regolazione dell’espressione genica perché finché la proteina non ha la
giusta conformazione e la giusta glicosilazione non potrà mai funzionare correttamente.
7
Cavallini, Ciardo, Muratori
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 3 15/03/2021
LA REGOLAZIONE DELL’ESPRESSIONE GENICA NEI PROCARIOTI
Nei procarioti molti degli enzimi necessari a tutte le cellule sono detti housekeeping o di mantenimento,
sono codificati da geni costitutivamente espressi, cioè espressi sempre in qualunque momento della cellula
perché sono o enzimi strutturali, o enzimi necessari per il metabolismo glucidico o lipidico, etc. Altri geni la
cui espressione non è costitutiva è invece inducibile, cioè può essere indotta in seguito a particolari
condizioni, negli eucarioti per esempio mutazioni dei nutrienti presenti nell’ambiente; un esempio classico
è la variazione dei livelli di lattosio nell’ambiente con la produzione inducibile di enzimi del metabolismo del
lattosio, come E. Coli, che regola la produzione di molti suoi enzimi in modo da utilizzare in modo efficiente
le molecole organiche disponibili; se non
abbiamo lattosio nell’ambiente, E. Coli
non produce enzimi che servono per il
metabolismo del lattosio grazie a dei geni
nei procarioti funzionalmente correlati
che vengono regolati insieme all’interno
di complessi genici chiamati operoni. Un
operone è un complesso genico che
comprende geni strutturali con funzioni
correlate e sequenze di DNA vicine
responsabili del loro controllo.
Un esempio classico è la regolazione
dell’espressione genica in E. Coli; si ha
l’operone, geni strutturali come lac-Z,
lac-Y e lac-A, un promotore che
regola la trascrizione dei geni a valle,
l’operatore che è una porzione della
sequenza regolatrice dell’espressione
dei geni strutturali a valle e a monte si
ha il repressore. In assenza di lattosio,
per risparmiare energia e non
produrre enzimi perché non vi è la
presenza di un substrato, E. Coli non
produce enzimi; il gene repressore
costitutivamente, sia in presenza che
in assenza del lattosio, una proteina che si chiama proteina repressore, che va a reprimere legandosi
all’operatore la trascrizione dei geni a valle.
Quando ad esempio si aggiunge lattosio a duna coltura di E. Coli o compare lattosio nell’ambiente,
l’allolattosio (o lattosio) si va a comportare da induttore e si va a legare alla proteina repressore,
inattivandola e in questo modo non potrà più legarsi all’operatore e non potrà più reprimere l’espressione
di lac-Z, lac-Y e lac-A che sono rispettivamente beta-galattosidasi, galattosio permeasi e galattoside
transacetilasi, i tre enzimi del metabolismo del lattosio che vengono trascritti e successivamente tradotti.
Quindi si dice che il lattosio induce la trascrizione dell’intero operone.
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Cavallini, Ciardo, Muratori
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 3 15/03/2021
LA REGOLAZIONE DELLA TRASCRIZIONE NEGLI EUCARIOTI
La regolazione della trascrizione negli eucarioti è molto più complicata (non si hanno operoni): ciascun gene
eucariotico presenta specifiche sequenze di regolazione essenziali al controllo della sua espressione. Come
avevamo anticipato prima, molti degli enzimi necessari alle cellule sono detti housekeeping o di
mantenimento e sono codificati da geni costitutivamente espressi. Altri geni, la cui espressione non è
costitutiva ma inducibile, vengono espressi solo in risposta ad alterazioni ambientali o a livello di specifici
tessuti. La maggior parte dei geni degli eucarioti pluricellulari è controllata a livello trascrizionale anche se,
con la scoperta dell’azione dei microRNA, questo assioma è stato rivisto.
LA REGOLAZIONE TRASCRIZIONALE DELL’ESPRESSIONE GENICA: I FATTORI
TRASCRIZIONALI
Ora parliamo più approfonditamente della regolazione trascrizionale dell’espressione genica, quindi di come
i fattori trascrizionali interagiscano tra di loro e con le sequenze regolatorie del DNA per attivare o reprimere
l’espressione genica.
REGOLAZIONE TRASCRIZIONALE NEGLI EUCARIOTI
Negli eucarioti esiste:
- Un sito di inizio della trascrizione, cioè una coppia di basi da cui il processo inizia;
- L’RNA Polimerasi si lega ad una sequenza detta promotore, in corrispondenza della TATA Box (sequenza
ricca di Timina e Adenina), che si trova a 25-35 pb dal sito di inizio della trascrizione;
- L’RNA Polimerasi eucariotica non può legarsi al promotore prima dell’associazione con il DNA di varie
proteine dette fattori trascrizionali.
I fattori trascrizionali sono proteine che devono contenere:
- Un dominio di legame al DNA;
- Un dominio attivatore o repressore della trascrizione.
Molti fattori trascrizionali funzionano in forma di dimeri, quindi la trascrizione richiede che molte proteine si
leghino a parti diverse del promotore e interagiscono tra loro. L’apparato generale di trascrizione è un
complesso proteico che si lega alla TATA Box del promotore vicino al sito di trascrizione; questo complesso
richiesto per il legame dell’RNA Polimerasi. Purché l’RNA Polimerasi cominci in modo produttivo a trascrivere
l’RNA occorrono altri fattori che ora descriveremo.
La figura mostra l’azione dell’ormone nucleare vitamina D; questa entra passivamente nella membrana
plasmatica, si lega al suo recettore citoplasmatico VDR (Vitamine D Recector) e, assieme ad un altro recettore
detto RXR, dimerizza e migra nel nucleo andando a legarsi a specifiche sequenze di risposta alla vitamina D,
dette VDRE (Vitamine D Response Elements). In questo modo attivano la trascrizione dei geni di risposta alla
Vitamina D. Quando questo complesso si lega in corrispondenza del promotore di geni di risposta alla
Vitamina D, questi geni vengono trascritti (Attivazione della trascrizione).
9
Cavallini, Ciardo, Muratori
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 3 15/03/2021
LA REGOLAZIONE DELLA TRASCRIZIONE
La regolazione della trascrizione non richiede solamente dei legami con fattori trascrizionali, ma anche la
presenza di sequenze geniche dette enhancer o intensificatori, che aumentano la velocità di sintesi dell’RNA
(sarebbe altrimenti troppo bassa ed incompatibile con la vita).
L’enhancer può essere localizzato sia a monte (al 5’) che a valle (al 3’) del gene che deve essere trascritto,
anche ad una notevole distanza (anche a migliaia di basi dal promotore): questo perché dobbiamo
immaginare il DNA non in forma bidimensionale ma tridimensionale, ed inoltre la formazione di strutture
secondarie che permettono l’interazione di sequenze anche molto lontane tra di loro sul cromosoma.
Nella figura il gene che deve essere trascritto è a valle del complesso: abbiamo l’RNA Polimerasi che si è
legata ma ancora non trascrive, vi sono i fattori trascrizionali che si sono legati e il TATA Box.
L’enhancer si trova a monte, molto lontano ma sul DNA stesso: in questo caso la trascrizione è scarsa o nulla,
quindi non vi è l’avvio della trascrizione proprio perché l’enhancer stesso non ha interagito con il complesso
trascrizionale. Se invece ci sono delle proteine che si legano all’enhancer e permettono l’interazione tra
questo e il complesso trascrizionale attraverso un ripiegamento della doppia elica, allora il processo di
trascrizione assume un’alta velocità, l’RNA Polimerasi inizia a trascrivere con una velocità compatibile con la
vita della cellula ed ecco che la trascrizione ha inizio in modo efficiente.
La figura mostra come un enhancer riesca ad interagire con il promotore e a permettere sia il legame sia
l’attivazione dell’RNA Polimerasi.
In particolare abbiamo:
- la regione codificante con il gene che deve essere trascritto;
- il promotore con la TATA Box che ha attaccato l’RNA Polimerasi con tutti i fattori trascrizionali
specifici e generali;
- tre sequenze enhancer legate da tre attivatori (in arancione) e che, attraverso il ripiegamento della
doppia elica, vanno ad interagire con il complesso trascrizionale e permettono all’RNA Polimerasi di
iniziare a trascrivere in modo efficiente l’RNA.
10
Cavallini, Ciardo, Muratori
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 3 15/03/2021
L’ORGANIZZAZIONE CROMOSOMICA INFLUENZA L’ESPRESSIONE GENICA
Negli eucarioti pluricellulari solo una piccola parte di geni è attiva in ogni momento; alcuni dei geni inattivi
sono associati alla cromatina altamente condensata, l’eterocromatina. I geni attivi sono associati alla
cromatina più dispersa, l’eucromatina, che essendo più lassamente organizzata, è in grado di interagire con
fattori trascrizionali ed altre proteine di regolazione.
LA REGOLAZIONE POST-TRADUZIONALE DELL’ESPRESSIONE GENICA: I
microRNA
I microRNA sono piccole molecole non codificanti che regolano l’espressione di geni eucariotici a livello
traduzionale. I microRNA sono trascritti nel nucleo a partire dal DNA (come tutti gli RNA).
Tutti gli RNA (come tRNA, rRNA e mRNA) sono trascritti primari che vengono poi successivamente modificati
da enzimi e interazioni specifiche. Non fanno eccezione i microRNA che vengono trascritti dal gene che
codifica per essi come un trascritto primario, detto pri-miRNA, suddiviso in:
-
una porzione a forcina (hairpin);
una porzione complementare che si appaia;
un loop in cui non ci sono sequenze complementari;
due sequenze al 5’ e al 3’ non complementari tra di loro.
Questo pri-miRNA si lega ad un enzima, un RNAsi, che in seguito va a tagliare l’RNA da processare: prende il
nome di Drosha e produce un precursore del microRNA più corto, essendo state tagliate delle porzioni a
livello del 5’ e del 3’.
A questo punto il pre-miRNA si lega all’esportina-5 necessaria per trasportarlo nel citoplasma, dove un altro
enzima, detto Dicer, processa il pre-miRNA producendo un RNA a doppia catena (miRNA duplex): questo
verrà processato in un miRNA maturo.
Il miRNA maturo viene incorporato in un complesso ribonucleoproteico detto RISC (RNA-Induced Silencing
Complex) che contiene numerose proteine (RNAsi) che degradano specificamente quella porzione del
microRNA, identica al messaggero che deve andare a inibire. Questo perché i microRNA, prima della
traduzione, sono i protagonisti della regolazione negativa dell’espressione genica: sono quindi delle molecole
complementari ad una porzione di mRNA. Questa porzione risiede fuori dalla sequenza codificante del
messaggero (nella maggior parte dei casi nel 3’-untraslated).
11
Cavallini, Ciardo, Muratori
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 3 15/03/2021
Successivamente:
- I microRNA vanno ad appaiarsi con la regione del suo messaggero bersaglio;
- si forma un duplex tra microRNA e 3’-untraslated dell’mRNA;
- una ribonucleasi taglia e degrada il duplex e tutto il messaggero che in tal modo non potrà essere
tradotto, bloccando così l’espressione del gene.
RICAPITOLANDO: Nel RISC avviene che uno strand del microRNA complementare alla regione 3’-untraslated
di un determinato messaggero va a complementarsi con esso, causando la degradazione e la mancata
traduzione del messaggero stesso. Un solo microRNA (ne sono stati isolati più di 600) può avere tanti
messaggeri bersagli e un determinato messaggero può essere bersaglio di tanti microRNA diversi.
12
Eusebi, Dux, Rizzello
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 4 17/03/2021
SINTESI PROTEICA O TRADUZIONE
La sintesi proteica è la traduzione del linguaggio nucleotidico, contenuto negli acidi nucleici, in linguaggio
amminoacidico, contenuto nelle proteine. La traduzione è quindi la conversione di un codice a 4 basi
dell’acido nucleico ad un alfabeto di 20 aminoacidi che costituiscono le proteine.
Ciascun aminoacido prima di essere inserito nella catena polipeptidica nascente deve essere attivato da
una specifica aminoacil-tRNA sintetasi, che permette il suo legame con uno specifico tRNA (RNA transfer).
Ogni amminoacido si lega, una volta attivato, all’estremità 3’ (estremità accettrice di aminoacidi) del suo
specifico tRNA. Ogni aminoacido ha il suo tRNA specifico, questo perché ogni tRNA ha uno specifico
anticodon che va a complessarsi con il codon, l’altra
tripletta presente sull’RNA messaggero. In questa
complementarità di basi risiede la specificità della
costruzione della proteina.
Dall’unione di aminoacido e tRNA si forma il
complesso aminoacil-tRNA che è in grado di legarsi
alle sequenze codificanti dell’mRNA (nello specifico
al suo codone) così da allineare gli aminoacidi nel
giusto ordine e formare la catena polipeptidica che
viene codificata da quello specifico RNA
messaggero.
STRUTTURA TRNA E SITI DI LEGAME
-
Anticodone: tripletta che si lega in modo specifico al codone presente sull’mRNA (ansa 2)
Sito di attacco per l’amminoacido (estremità 3’, accettrice di amminoacidi)
Sito di riconoscimento per una specifica aminoacil-tRNA sintetasi che lega il corretto aminoacido
Sito d’attacco per i ribosomi (estremità 5’)
RIBOSOMI
I ribosomi sono particelle ribonucleoproteiche formate da RNA ribosomiale (rRNA) e proteine. L’rRNA
viene trascritto nel nucleolo e qui avviene anche l’assemblaggio con le proteine (sintetizzate nel
citoplasma). Ci concentriamo sui ribosomi eucariotici, in
particolare su quelli dei mammiferi. La subunità
maggiore 60S è formata dall’assemblaggio del rRNA 28S,
5.8S e 5S con 50 diverse proteine. La subunità minore
40S è formata dall’assemblaggio del rRNA 18S con 33
diverse proteine.
L’intero ribosoma eucariotico assemblato (che si
assembla solamente dopo l’inizio della traduzione) pesa
80S.
I ribosomi sono dunque le strutture che assemblano l’apparato di traduzione, o apparato biosintetico, delle
proteine.
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Il ribosoma presenta 4 siti di legame: uno per l’mRNA e 3 diversi per i tRNA. Questa struttura permette di
mantenere nel corretto orientamento sia l’mRNA stampo sia le molecole di aminoacil-tRNA e la catena
polipeptidica nascente.
I 3 siti di legame per il tRNA (illustrati in giallo nella figura) sono i
seguenti:
-
-
Sito P (peptidilico): è occupato dal tRNA che porta la
catena peptidica nascente
Sito A (aminoacilico): lega l’aminoacil-tRNA che porta
l’aminoacido successivo da inserire nella catena
polipeptidica nascente
Sito E (exit-uscita): è il punto in cui il tRNA che ha fornito
l’ultimo aminoacido, aggiunto alla catena polipeptidica,
lascia il ribosoma
L’mRNA, che passa attraverso uno spazio presente tra le due
subunità ribosomiali, viene letto e tradotto.
CODICE GENETICO
Il codone di inizio è AUG che codifica sempre per una metionina, la quale successivamente viene rimossa.
Nei mammiferi sono presenti tre codoni di stop UAA, UAG e UGA.
Nessun tRNA è complementare al codone di stop, pertanto non
arriva nessun aminoacil-tRNA a portare un aminoacido e quindi
tutto il complesso si disassembla, compreso il polipeptide
neosintetizzato che andrà poi incontro alle modificazioni posttraduzionali (glicosilazione, taglio proteolitico, ripiegamento) che
competono a quella specifica proteina.
Tutti i codoni diversi dai codoni di stop sono detti codificanti
poiché codificano per un aminoacido.
Come abbiamo già detto, il codice genetico presenta un alto
grado di ridondanza, cioè di ripetitività, detta anche
degenerazione, in quanto uno stesso aminoacido può essere
codificato da più codoni diversi. Alcuni aminoacidi sono codificati
da 4 codoni (come prolina, treonina e alanina), altri da 2 codoni
(come glutammina e asparagina). Non accade mai il processo
contrario, ovvero uno stesso codone non può mai codificare per
due aminoacidi diversi. In questo risiede la specificità della traduzione e la costruzione della corretta
proteina.
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TRADUZIONE
La sintesi proteica sui ribosomi, come la duplicazione e la trascrizione del DNA, è caratterizzata da tre fasi:
un inizio, un allungamento della catena polipeptidica ed una terminazione.
INIZIO
1. L’inizio della traduzione richiede l’intervento di fattori di inizio (sono tre nei procarioti) che si
legano alla subunità minore. Successivamente l’mRNA, in corrispondenza del codone di inizio AUG,
con la sua sequenza leader non codificante, che non viene mai tradotta, si attacca alla subunità
minore.
2. Il tRNA che porta il primo aminoacido è detto tRNA iniziatore, lega sempre la metionina che in
seguito viene rimossa. Il legame con il tRNA iniziatore provoca il rilascio di uno dei tre fattori di
inizio.
3. Il complesso di inizio è completo quando la subunità ribosomale maggiore si lega a quella minore e
vengono rilasciati i due rimanenti fattori di inizio.
L’immagine rappresenta lo schema dell’inizio della traduzione nei procarioti, più semplice ma che rispecchia
quello che avviene negli eucarioti.
ALLUNGAMENTO
L’allungamento è una fase che prevede la
ripetizione ciclica dell’aggiunta di un
nuovo aminoacido alla catena
polipeptidica nascente, e quindi la
formazione di un nuovo legame peptidico.
Nel sito P è già presente la catena
nascente, arriva un nuovo aminoacil-tRNA
che si lega al sito A, poi attraverso
consumo di energia (derivata dall’idrolisi
del GTP) si ha una traslocazione, con
formazione del legame peptidico, tra
l’ultimo aminoacido portato sul sito A e la
catena preesistente.
Successivamente la catena polipeptidica
(nel caso 3 in figura formata da 4
aminoacidi) viene trasferita sul sito A e, a
seguito di consumo di un secondo gruppo
fosfato proveniente da un altro GTP, avviene la traslocazione in direzione 3’ sull’mRNA dell’aminoacil3
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tRNA, che ora porta la catena polipeptidica, e si posiziona nel sito P. Così comincia un altro ciclo di aggiunta
di un aminoacido per volta.
La sintesi proteica, quindi, procede sempre dall’estremità amminica (NH2 terminale) all’estremità
carbossilica (COOH terminale) della catena polipeptidica.
TERMINAZIONE
La terminazione è causata da un fattore di rilascio, una proteina che riconosce il codone di stop alla fine
della sequenza. Come già detto, non c’è nessun tRNA che possa legare un codone di stop, quindi non arriva
nessun aminoacil-tRNA ad aggiungere un aminoacido. Arriva però un fattore di rilascio che si lega al sito A
del ribosoma, idrolizza il legame tra la catena polipeptidica ed il tRNA determinando il rilascio del
polipeptide dalla molecola di tRNA nel sito P. Infine tutti i componenti della macchina biosintetica
(subunità ribosomale maggiore e minore, fattore di rilascio, tRNA e mRNA) si dissociano.
Dopo la sintesi, una proteina per essere funzionante deve essere modificata attraverso l’assunzione di una
struttura secondaria, mediata dalla formazione di legami a idrogeno, come i β-foglietti o le α-eliche. La
proteina si ripiega ulteriormente a struttura terziaria, la quale è stabilizzata da legami ionici, ponti disolfuro
e legami idrofobici. Alcune proteine inoltre sono in grado di assumere anche una struttura quaternaria.
Finché la proteina non ha subito tutte le modificazioni previste per quel tipo di proteina, essa non è
funzionante.
MUTAZIONI DEL DNA
Le mutazioni consistono in alterazioni del DNA di grandi o piccole
dimensioni. Come vedremo, esse sono alla base della trasformazione
tumorale della cellula.
MUTAZIONI PUNTIFORMI (mutazioni di piccole dimensioni): comportano
l’alterazione di una singola coppia di basi (causata da sostituzione,
inserzione o delezione); colpiscono generalmente la funzionalità di un
singolo gene. Sono le seguenti:
•
Mutazione senso (Missense): la sostituzione di una base di una
tripletta provoca la sintesi di una proteina che ha un altro
aminoacido rispetto a quello selvatico (o wild type). La mutazione
di un solo aminoacido può provocare una malattia genetica o
predisporre a patologie oncologiche.
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•
Mutazione non senso (Nonsense): la sostituzione di una base porta alla formazione di un codone
di stop, pertanto viene prodotta una proteina troncata. La proteina prodotta probabilmente non è
funzionale o può essere anche una proteina oncogena, che provoca la trasformazione cellulare
perché manca di domini di regolazione presenti nella proteina selvatica o wild type.
•
Mutazione con slittamento del modulo di lettura (frameshift): causata da inserzione o delezione
di basi che modificano il frame di lettura (il raggruppamento delle triplette). Questo porta alla
sintesi di una proteina costituita da aminoacidi totalmente inappropriati, a valle della mutazione
stessa. Spesso succede che poi si forma un segnale di stop e quindi la proteina formatasi è inattiva.
ABERRAZIONI CROMOSOMICHE (mutazioni di grandi dimensioni): comportano l’alterazione di una
grande porzione di DNA; sono generalmente dovute ad errori dei meccanismi di riparazione del DNA:
questi sono meccanismi fondamentali per l’integrità genomica della cellula ma non sono infallibili.
All’interno della cellula c’è necessità costante di questi meccanismi di riparo perché le cause delle
mutazioni sono tante, sia esogene (esterne alla cellula) sia endogene. In corrispondenza di certi siti
cromosomici, chiamati siti fragili, avvengono continuamente rotture del DNA a singolo o doppio
filamento. Per cui i meccanismi di riparo del DNA devono continuamente intervenire. Tuttavia, essi a
volte non funzionano in modo adeguato e causano le aberrazioni cromosomiche.
Le aberrazioni cromosomiche sono le seguenti:
•
•
•
•
Inversioni: a seguito di una rottura di DNA, il sistema di riparo interviene saldando però con
orientamento opposto il segmento. Tutto il contenuto genico di questo segmento viene quindi
ribaltato con conseguenze catastrofiche.
Delezioni: avvengono anch’esse a seguito di
una rottura che può essere a singolo
filamento. In questo caso il meccanismo di
riparo non è in grado di recuperare il
frammento che si è staccato e salda le
estremità cromosomiche rimanenti, ma viene
perduto un tratto importante del
cromosoma.
Traslocazioni: avvengono tra due cromosomi
diversi: due rotture del DNA avvengono
contemporaneamente in due cromosomi e le
due porzioni staccatesi vengono saldate nei
due cromosomi diversi rispetto al wild type.
Si verifica uno scambio di due frammenti
cromosomici con conseguenze disastrose.
Infatti, queste traslocazioni sono spesso
oncogenetiche; possono provocare tumori
ematologici o altri tipi di tumori.
Inserzioni: una porzione di un cromosoma
viene inserita all’interno di un altro cromosoma. Anche in questo caso avviene la rottura
contemporanea di due frammenti appartenenti a due cromosomi differenti. Il meccanismo di
riparo sbaglia e inserisce una porzione cromosomica in più nel cromosoma sbagliato. La
delocalizzazione di geni ha conseguenze molto gravi, perché per esempio i geni vengono spostati
dai propri promotori e quindi vengono espressi in maniera deregolata.
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Esempio: la traslocazione t (8;14) nel linfoma di Burkitt (dove 8 e 14 sono i due cromosomi
interessati nella mutazione). Il linfoma di Burkitt è un tumore delle plasmacellule in cui si verifica
una iper-espressione (un’espressione anormalmente alta) di c-myc, un gene che regola
positivamente e quindi stimola la proliferazione cellulare.
Il gene c-myc è localizzato sul cromosoma 8 che ospita anche il promotore del gene, il quale ne
regola l’espressione. C-myc è un tipico caso di gene inducibile che quindi non viene
costitutivamente espresso, ma viene espresso solamente in risposta all’azione di fattori proteici,
detti fattori di crescita.
Il cromosoma 14 presenta la localizzazione cromosomica che codifica per le catene pesanti (heavy
chain) delle Immunoglobuline. Al contrario il locus che codifica per le catene pesanti delle
Immunoglobuline, essendo queste
costantemente prodotte, è sotto il
controllo di un promotore costitutivo,
quindi sempre attivo.
Quando c-myc viene traslocato sul
cromosoma 14, va ad essere sotto il
controllo del promotore delle catene
pesanti delle Immunoglobuline, non più un promotore inducibile da parte di fattori di crescita ma di
un promotore costitutivo sempre attivo che produce, indipendentemente dal fatto che la cellula ne
abbia bisogno o meno, continuamente proteine myc che vanno a stimolare in modo deregolato la
proliferazione.
L’aumento incontrollato della proliferazione è uno dei parametri deregolati durante la
trasformazione cellulare, insieme con la repressione dell’apoptosi e l’inibizione del
differenziamento cellulare.
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I PROCARIOTI
STRUTTURA GENERALE DI UNA CELLULA PROCARIOTICA
La cellula procariotica, principalmente rappresentata dai batteri, è una cellula diversa, meno evoluta di
quella eucariotica e diversa da essa, soprattutto dal punto di vista degli scambi genetici che possono
avvenire tra i batteri, che sono alla base di fenomeni molto importanti e di interesse medico, per esempio
la resistenza agli antibiotici.
In particolare:
•
•
•
•
•
•
Una cellula procariotica è più piccola, circa 1/10
della cellula eucariotica
Il DNA non è racchiuso nel nucleo ma sparso nel
citoplasma e non è organizzato in cromatina,
come nelle cellule eucariotiche
Non ci sono organelli delimitati da membrana
I batteri possiedono spesso una parete cellulare
di protezione, che è esterna alla membrana
plasmatica
Molte volte possiedono anche dei flagelli che
servono per la locomozione, cioè il movimento di
queste cellule
Possiede ribosomi più piccoli se confrontati a
quelli eucariotici, sono visualizzati nel citoplasma
insieme a granuli di deposito e di sostanze
nutritizie come glicogeno e lipidi.
Quella accanto è un'immagine al
microscopio elettronico a trasmissione di
una cellula procariotica, più esattamente il
batterio Escherichia coli, in fase di
divisione (si vedono infatti i due nuclei
delle future cellule figlie colorati in blu).
FORME BATTERICHE
Le forme batteriche sono essenzialmente di tre tipi:
•
•
•
Sferica, tipica dei COCCHI, possono essere in forma unicellulare, in coppia (in questo caso si
chiamano Diplococchi), possono presentarsi in catenelle (Streptococchi), o in aggregati simili a
grappoli d’uva (Stafilococchi).
Bastoncellare, quella propria dei BACILLI, che possono essere in forma unicellulare o presentarsi
uniti in catenelle.
Elicoidale rigida si chiama SPIRILLO, mentre quella elicoidale flessibile si chiama SPIROCHETA. Un
esempio di spirocheta è il Treponema pallidum, l’agente eziologico della sifilide.
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Nell’immagine A si vedono dei Cocchi, nella B i bacilli di salmonella e nell’immagine C possiamo osservare lo
spiroplasma che appartiene a uno spirillo.
RIEPILOGO STRUTTURA
Come già detto, le cellule procariotiche non hanno organuli e il citoplasma non è compartimentalizzato
come in una cellula eucariotica. Hanno:
1. dei ribosomi
2. granuli di riserva
3. gli enzimi come quelli della respirazione e della fotosintesi (nel caso i batteri siano fotosintetici)
sono organizzati nel citoplasma e nelle invaginazioni della membrana plasmatica.
PARETE BATTERICA
La parete batterica è un’altra importante caratteristica dei
procarioti. Si tratta di una struttura di protezione che la maggior
parte dei batteri presenta e che circonda la membrana plasmatica.
È una parete rigida che sostiene la cellula e impedisce che in
ambiente ipotonico questa si rigonfi troppo e scoppi, ma non
protegge la cellula in ambiente ipertonico, quindi in tale ambiente
anche i batteri con la parete muoiono. È costituita da
peptidoglicano, che è un polimero complesso formato da due tipi di
amminozuccheri legati a corti polipeptidi (in questa figura il
peptidoglicano è raffigurato in giallo).
Nel 1888 Gram, uno dei primi microbiologi, classificò i batteri,
utilizzando una colorazione con Violetto di genziana, in Gram
positivi e in Gram negativi, considerando il diverso comportamento
in seguito a trattamento con alcol. Mentre i Gram positivi
mantengono la colorazione, i Gram negativi perdono questo colore
dopo il trattamento con alcol.
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Questa colorazione differenziale dipende da una diversa composizione della parete che rende questi batteri
diversamente sensibili agli antibiotici (per esempio antibiotici beta-lattamici come la penicillina). Mentre i
batteri Gram positivi hanno uno spesso strato di peptidoglicano (in giallo) e all’interno la membrana
plasmatica, i batteri Gram negativi hanno un sottile strato di peptidoglicano, che è ricoperto da una
membrana esterna di diversa composizione rispetto alla membrana plasmatica classica (pur essendo
sempre formata da un doppio strato fosfolipidico). Quindi la parete cellulare nel caso dei Gram negativi è
formata da uno strato di peptidoglicano molto piccolo.
Alcuni antibiotici come la penicillina vanno ad inibire specificamente la sintesi di peptidoglicano, sono
quindi efficaci contro i Gram positivi, che hanno una grande porzione di peptidoglicano, ma si rivelano
inefficaci contro i Gram negativi, dove il peptidoglicano è rappresentato molto poco ed è protetto da
questa membrana esterna.
Come applicare la colorazione di Gram
All'inizio c'è una fissazione, seguita da una colorazione con Cristal violetto che colora tutti e due i tipi di
batteri, poi si utilizza il liquido di Lugol, che rende il batterio di color violetto e a questo punto si ha il
passaggio cruciale: la decolorazione con alcol, che decolora i Gram negativi ma non i Gram positivi, perché
in questi ultimi il peptidoglicano
rimane colorato anche dopo la
decolorazione con alcool. Alla
fine, si può fare una colorazione
di contrasto con fucsina o
safranina, attraverso la quale i
Gram positivi rimangono di colore
violetto mentre i Gram negativi,
precedentemente decolorati, si
colorano con un colore fucsia.
CARATTERISTICHE DEI BATTERI
−
Alcuni batteri possiedono una capsula di
polisaccaridi e proteine che circonda la
parete e che funge da protezione contro la
fagocitosi da parte dei leucociti del nostro
sistema immunitario. Per esempio, lo
Streptococcus pneumoniae, l’agente
eziologico della polmonite pneumococcica
(chiamato per questo anche pneumococco),
è patogeno solamente se possiede la
capsula. I ceppi che non presentano la
capsula di protezione quando entrano nel
nostro corpo vengono fagocitati
(principalmente dai leucociti
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−
−
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polimorfonucleati, i granulociti) e vengono uccisi prima che possano dare l'infezione, cioè la
polmonite.
I pili sono organelli di attacco che aiutano i batteri ad aderire tra loro o ad altre superfici (per
esempio anche alle cellule che vanno ad infettare). I pili sessuali intervengono inoltre nella
coniugazione batterica; furono chiamati pili sessuali perché all'inizio questa modalità di interazione
tra i batteri era stata erroneamente considerata una modalità di riproduzione. Si tratta invece di un
semplice passaggio di materiale genetico da una cellula all'altra.
I flagelli sono usati per la locomozione, non sono però costituiti dai microtubuli (7+2 come quelli
eucariotici, per esempio a livello dello spermatozoo).
DNA BATTERICO
Per quanto riguarda il DNA contenuto nei batteri, abbiamo il DNA cromosomico, costituito da una singola
molecola circolare a doppia catena che se stesa sarebbe lunga 1000 volte la cellula. Il DNA non è
organizzato in cromatina come quello eucariotico e presenta alcune (poche) proteine associate ad esso.
Nei batteri però è presente un'altra forma di DNA, i plasmidi. Molti di essi sono contenuti in un singolo
batterio, sono piccole molecole di DNA circolare a doppia catena, contengono un numero limitato di
informazioni e possono replicarsi indipendentemente da DNA genomico. Questi plasmidi codificano per
esempio per enzimi metabolici, enzimi per la resistenza agli antibiotici e si replicano indipendentemente da
DNA genomico durante la divisione cellulare, quindi possono venire ripartiti in modo casuale nelle due
cellule figlie.
In questa figura sono presenti
i due tipi di DNA batterici:
DNA cromosomico in verde e
plasmidi in rosso.
RIPRODUZIONE DEI BATTERI
La riproduzione batterica è asessuata e può avvenire:
o
per scissione binaria, come illustrato in figura, una modalità
mediante la quale una cellula si divide in due cellule figlie simili,
inizialmente più piccole che poi crescono fino ad arrivare alle
dimensioni della cellula madre. Prima della scissione avviene la
duplicazione del DNA nucleare, a questo punto si forma una
parete trasversale per accrescimento sia della parete che della
membrana plasmatica, quindi la cellula madre si divide in due
cellule figlie, ripartisce il cromosoma batterico e vengono prodotte
due cellule, che inizialmente sono più piccole della cellula madre
ma che in seguito crescono fino ad uguagliarne le dimensioni.
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o
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per gemmazione dalla cellula madre, è un'altra modalità di riproduzione di batteri molto simile alla
scissione binaria. In questo caso le cellule figlie gemmano dalla madre, quindi sono più piccole di
essa ma contengono sempre al loro interno una copia del DNA cromosomico batterico.
per frammentazione avviene per accrescimento della parete all'interno della cellula, quindi avviene
la scissione di molte cellule figlie e non è binaria ma multipla (per esempio negli actinomiceti
avviene questo tipo di riproduzione).
Un esempio di actinomiceti (Actinomyces israelii)
SCAMBI DI MATERIALE GENETICO TRA I BATTERI
È stato dimostrato che i batteri possono scambiarsi materiale genetico tra loro attraverso essenzialmente
tre modalità: la trasformazione, la trasduzione e la coniugazione.
•
TRASFORMAZIONE
La parola trasformazione non ha niente a che vedere con la trasformazione cellulare in cellule
neoplastiche: in questo caso ha a che vedere con un cambiamento di proprietà della cellula batterica.
Durante il processo di trasformazione i frammenti di DNA rilasciati da una cellula sono assunti da un'altra
cellula, la quale acquisisce quindi le proprietà codificate dai frammenti di DNA rilasciati dalla cellula che
muore.
Dunque, un batterio muore, rilascia il proprio DNA nell’ambiente e questi frammenti di DNA esogeno si
legano a proteine presenti sulla superficie di un batterio vivo, il quale incamera questi frammenti di DNA,
che vanno a ricombinare con il proprio DNA cromosomico, entrano a far parte del cromosoma batterico e
vengono espressi dalla cellula ospite. Quest’ultima acquisisce quindi nuove proprietà a seconda delle
funzioni che le vengono conferite dall’espressione di questi frammenti di DNA, cioè a seconda dei geni che
vengono integrati nella cellula ricevente.
Questo fu dimostrato nel famoso esperimento di Griffith, attraverso esperimenti su topi fatti con due ceppi
diversi di Streptococcus pneumoniae. Esistono due ceppi diversi: il ceppo R, il quale non possiede la
capsula, perciò quando viene iniettato nell’animale viene fagocitato e ucciso dal sistema immunitario e
quindi non riesce a produrre la polmonite, permettendo al topo di sopravvivere.
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Viceversa, il ceppo S è patogeno, in quanto possiede la capsula, di conseguenza “evade” il sistema
immunitario perché i leucociti del topo in questo caso non riescono a fagocitarlo e ad ucciderlo. Dunque,
esso provoca la polmonite e la
conseguente morte del topo.
Se iniettiamo nel topo cellule del
ceppo S precedentemente uccise
dal calore non succede nulla: le
cellule sono morte e non danno
polmonite, perciò il topo vive. La
prova che dimostra il meccanismo
di trasformazione si ha quando
vengono iniettate insieme sia le
cellule non patogene del ceppo R
sia le cellule patogene del ceppo
S, uccise dal calore.
Le cellule patogene del ceppo S, in
seguito alla loro morte, rilasciano
frammenti di DNA che codificano per la capsula e le cellule inizialmente non patogene del ceppo R
acquisiscono questi frammenti di DNA, li integrano nel cromosoma batterico e di conseguenza il ceppo non
patogeno R si trasforma nel ceppo patogeno S, perché codifica per la capsula.
Grazie al rilascio del gene codificante per la capsula da parte delle cellule patogene la cellula non patogena
diventa patogena e uccide il topo con la polmonite.
•
TRASDUZIONE
Trasduzione significa in gergo trasporto. I geni batterici
possono infatti essere trasportati da un batterio a un altro,
per esempio da virus, in particolare dai batteriofagi, ossia
quei virus che infettano i batteri.
Un batteriofago presenta una testa elicoidale contenente
l’acido nucleico (praticamente sempre DNA) ed è in grado di
aderire alla superficie del batterio in modo da far entrare
solamente il DNA, il quale va a ricombinare e ad integrarsi con
il cromosoma batterico.
Quando il cosiddetto profago (il DNA fagico integrato nel
batterio) diventa litico, cioè effettua il ciclo litico, il ciclo
riproduttivo dei virus, il DNA batterico viene degradato e
viene incorporato nei nuovi virioni che verranno prodotti
durante la riproduzione virale.
Può quindi succedere che alcuni virioni contengano queste
sequenze che appartengono sia al virus che inizialmente ha
infettato la cellula (qui in blu scuro) sia al batterio che è stato
infettato (in azzurro).
Se poi questi virioni ricombinanti vanno a infettare una
seconda cellula batterica, succede che i geni batterici
introdotti in questa nuova cellula vengono integrati nel suo DNA, diventano parte integrante di essa e
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vengono replicati ed espressi. Quindi un gene batterico di una prima cellula infettata può essere preso da
un virus durante la sua replicazione e trasportato attraverso esso in una seconda cellula batterica, la quale
acquisisce anche in questo caso nuove funzioni, a seconda del tipo di gene che viene acquistato.
•
CONIUGAZIONE
Il terzo tipo di scambio di materiale genetico tra batteri è la coniugazione, la quale, come accennato prima,
all’inizio venne erroneamente identificata come una modalità di
riproduzione sessuata. Tuttavia, una volta chiarito che la
riproduzione batterica può essere solo di tipo asessuato, si capì
che si trattava di uno scambio di materiale genetico.
Nella coniugazione abbiamo due cellule con polarità di
accoppiamento diverse: una cellula F+, che ha un plasmide F e
rappresenta la cellula donatrice, produce un pilo sessuale che
serve a creare una sorta di ponte con una cellula ricevente, che
in questo caso è una cellula F- perché non possiede il plasmide F.
una
In seguito, dal pilo sessuale (che è proprio un ponte
citoplasmatico) si sviluppa un ponte di coniugazione: il DNA si
replica, quindi da un singolo filamento si forma un doppio
filamento, e un filamento del plasmide passa nella cellula
ricevente dalla cellula donatrice. Quindi, al termine della
coniugazione si interrompe il ponte citoplasmatico e avremo due
cellule F positive. In questo modo la cellula F- viene convertita in
cellula F+.
A sinistra un’immagine di coniugazione batterica (con
microscopio elettronico a scansione)
Questo è particolarmente importante per un fenomeno che
purtroppo sta creando moltissimi problemi, specialmente in
ambiente ospedaliero, ovvero la resistenza agli antibiotici.
Attraverso questa modalità di scambio i batteri sono infatti in grado di trasmettersi i geni per la resistenza
agli antibiotici, cioè quei geni capaci di inattivare gli antibiotici comunemente usati (come la neomicina
fosfotransferasi, la lattamasi per inattivare la penicillina eccetera). È quindi una strategia che i batteri
hanno messo a punto per resistere agli antibiotici.
ENDOSPORE
Le endospore sono prodotte solo dai batteri più moderni, ossia gli
eubatteri, e sono delle strutture che si formano quando l'ambiente
esterno diventa sfavorevole. Il meccanismo di formazione di
endospore permette a queste cellule batteriche di diventare
dormienti. Non hanno scopo riproduttivo, come quelle delle piante, e
sopravvivono in ambienti sfavorevoli (molto secchi, caldi o al
contrario ghiacciati, oppure in condizioni di scarsità di cibo). Quando le
condizioni ritornano favorevoli, le endospore germinano e danno
origine ai batteri vitali.
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Eusebi, Dux, Rizzello
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 4 17/03/2021
Quello delle endospore è un problema che si è presentato in ambiente medico durante le prime operazioni
chirurgiche, quando non si sapeva che uno dei batteri più pericolosi, il Clostridium tetani (responsabile del
tetano), è un batterio sporigeno e forma quindi spore. La disinfezione degli strumenti chirurgici avveniva in
un unico step: si disinfettava con i disinfettanti a disposizione però non si sapeva che era necessaria una
seconda disinfezione. Infatti, gli strumenti chirurgici bolliti o scaldati ad alte temperature diventano sterili
per quanto riguarda le forme vitali dei batteri, ma per le forme sporigene è necessaria una seconda
disinfezione (la prima fa addirittura germinare le spore di Clostridium tetani). Quindi in passato c’era il
rischio di provocare il tetano nei pazienti a causa di strumenti contaminati da Clostridium tetani.
Oggi esistono molti altri sistemi di disinfezione; gli strumenti chirurgici sono quasi tutti disposable
(monouso), quindi questo problema non esiste praticamente più, però se si usano strumenti chirurgici non
disposable, cioè disinfettabili, bisogna procedere a due disinfezioni successive. La prima disinfezione è per
esempio una bollitura o un trattamento in autoclave a 120 ° e a 1 atmosfera che uccide le forme vitali dei
batteri, comprese le forme vitali del Clostridium tetani, mentre la seconda disinfezione al calore uccide le
forme vitali che sono germinate dalle spore durante la prima disinfezione.
METABOLISMO BATTERICO
I batteri possono essere:
o
o
ETEROTROFI se non riescono da soli a procurarsi le proprie sostanze nutritizie. Tra gli eterotrofi ci
sono i chemioeterotrofi, cioè quei batteri decompositori che hanno un importante ruolo biologico
e ottengono energia e carbonio dalla sostanza organica morta vegetale e animale, eliminandola.
Alcuni batteri eterotrofi sono patogeni per l’ospite (la maggior parte dei batteri patogeni sono
eterotrofi), mentre altri danno vantaggi all'ospite, ad esempio producendo vitamine. Alcuni
eterotrofi formano flora batterica intestinale e hanno un rapporto simbiotico con il nostro
organismo: si nutrono delle sostanze che noi mangiamo e in cambio producono una serie di
vitamine molto importanti che servono per il nostro organismo.
AUTOTROFI invece sono in grado di produrre da soli le proprie sostanze nutritizie. Si dividono in:
• Fotoautotrofi: i quali attraverso la fotosintesi generano il glucosio che serve per la loro
sopravvivenza;
• Chemioautotrofi: che utilizzano CO2 come fonte di carbonio (come avviene nella
fotosintesi) ma presentano come fonte di energia molecole inorganiche come NH3 ed SH2
(quindi ammoniaca e acido solforico) al posto del fotone di luce.
La maggior parte dei batteri (sia eterotrofi che autotrofi) sono aerobi, cioè necessitano di ossigeno per
sopravvivere, altri sono anaerobi facoltativi, i quali possono sopravvivere anche in assenza di ossigeno, altri
ancora sono anaerobi obbligati e quindi muoiono a contatto con l’ossigeno.
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Eusebi, Dux, Rizzello
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 4 17/03/2021
BATTERI PATOGENI
In animali e piante esiste un gran numero di batteri simbionti (come la flora batterica intestinale) che
contrastano la proliferazione di batteri patogeni che possono arrivare attraverso il sistema digerente, e
quindi l’intestino, e allo stesso tempo producono vitamine (vitamine del gruppo B e vitamina K). I batteri
patogeni possono essere anche solo opportunisti, cioè dare origine a infezioni opportunistiche, diventando
patogeni solamente se il sistema immunitario è compromesso.
Purtroppo, le infezioni opportunistiche sono un grosso problema specialmente per i malati di cancro, i quali
sono spesso immunodepressi a causa della chemioterapia e possono essere quindi vittima di tali infezioni,
che infatti sono una delle principali cause di morte di questi malati.
La microbiologia nacque alla fine del XIX secolo e Koch (si ricorda il batterio di Koch) fu il primo a
dimostrare che i batteri sono causa di malattie infettive, lavorando su Bacillus anthracis. Inoltre, fu proprio
lui a proporre le caratteristiche del batterio patogeno:
1. deve essere presente in tutti gli individui con una data malattia
2. un campione del patogeno se isolato dai malati deve poter crescere in coltura
3. quando un campione della coltura è inoculato in un animale sano causa la stessa malattia
dell'individuo da cui era stato prelevato
4. dall’animale infettato sperimentalmente si può reisolare nuovamente un batterio, ovvero l’agente
eziologico della malattia di quegli individui infettati inizialmente.
Le vie di infezione sono tante, a seconda del tipo di batterio: cibo (molti batteri si trasmettono per la
cosiddetta via oro-fecale, un classico esempio sono tutti i tipi di salmonelle), polvere, goccioline di flugge,
lesioni cutanee, trasmissione da animali (come le malattie che si chiamano zoonosi).
Le tossine batteriche si dividono in due tipi:
−
−
Le esotossine sono prodotte da alcuni batteri che le secernono e sono termolabili, cioè vengono
denaturate dal calore. Per esempio, sono le tossine del Clostridium diphteriae, che è l’agente
eziologico della difterite e del Clostridium botulinum, l’agente eziologico del botulismo
(un’infezione molto grave che provoca la paralisi flaccida dei muscoli e quindi anche dei muscoli
respiratori e porta alla morte).
Le endotossine invece sono componenti della parete dei batteri Gram negativi e quindi vengono
rilasciate solamente quando i Gram negativi muoiono. Per esempio, il lipopolisaccaride batterico o
LPS si lega ai macrofagi e stimola la risposta immunitaria, innalzando la temperatura e provocando
una forte reazione immunitaria che poi combatterà l’infezione.
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Eusebi, Dux, Rizzello
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 4 17/03/2021
UTILIZZI NELL’INDUSTRIA
I batteri (ovviamente quelli non patogeni) sono usati per molti processi industriali. Ci sono dei batteri lattici
che vengono utilizzati per la produzione di yogurt, sottaceti, ma anche salame, cioccolato e acido citrico e
altri utili per la produzione di antibiotici (nel secolo scorso furono scoperti gli antibiotici perché erano
prodotti da alcuni eucarioti, come le muffe, dal genere Bacillus o dagli attinomiceti).
I batteri sono usati dal punto di vista industriale anche per produrre proteine ricombinanti, sia vaccini che
ormoni; questo perché inizialmente le proteine ricombinanti, per esempio ormoni come GH (growth
hormone, l’ormone della crescita) o insulina, erano preparati per estrazione da cadavere. Questa
procedura però oltre ad essere molto indaginosa e molto costosa poteva anche provocare la trasmissione
di malattie dal donatore deceduto all'utilizzatore. Quindi, sono state inventate queste proteine
ricombinanti che vengono prodotte all'interno dei batteri se si fornisce loro l'informazione genetica per
produrle.
Ad esempio, nella figura è raffigurata la produzione di insulina, la quale è composta da una catena B e una
catena A. Introducendo un plasmide con il gene umano per la catena B dell’insulina si può modificare
geneticamente un batterio e fargli produrre la catena B dell’insulina in modo molto efficiente, poco costoso
e anche in un tempo brevissimo. La stessa cosa si può fare con la catena A. Successivamente catena A e
catena B vengono fatte reagire per formare il ponte disolfuro e formare l’ormone completo che può quindi
essere somministrato senza i rischi di contaminazioni da cadaveri, con possibili malattie (per esempio da
emoderivati).
Rappresentazione della produzione industriale di insulina
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Eusebi, Dux, Rizzello
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 4 17/03/2021
ARCHEA ED EUBACTERIA
I procarioti antichi si sono separati molto presto nella storia della vita nelle due linee Archea ed Eubacteria.
Degli Archea sappiamo molte cose e alcune delle loro caratteristiche, in particolare alcuni loro enzimi e
proprietà, sono state carpite come meccanismo dai biotecnologi per costruire e mettere a punto delle
tecniche biotecnologiche, che possano servire in campo medico.
CARATTERISTICHE DEGLI ARCHEA
Rispetto agli eubatteri questi batteri ancestrali mancano del peptidoglicano nella parete batterica, ragion
per cui non sono sensibili a diversi antibiotici, hanno una struttura della membrana plasmatica peculiare,
quindi non simile a quella degli eubatteri, e hanno diverse RNA polimerasi. Anche loro iniziano la traduzione
con l’amminoacido Metionina.
Soprattutto per quanto riguarda l'applicazione in biotecnologie vivono in ambienti estremi, simili alla terra
prima primordiale.
o
o
o
I batteri metanogeni vivono ad esempio nel tratto
digerente di animali (sappiamo che producono il
metano) oppure negli stagni. Sono anaerobi obbligati
e quindi sopravvivono solo in assenza di ossigeno
Gli alofili estremi vivono solo in soluzioni saline
sature e le colorano (per esempio i bacini di acqua di
mare, che sono fonte di sale)
I termofili estremi crescono solo a temperature
molto alte (molto superiore ai classici), in quanto
vivono a 45°/100 °C in sorgenti calde oppure nei
vulcani. Anche questi sono utili all'uomo, si pensi che
da una specie di termofilo estremo, il Thermus
aquaticus è stata estratta la tac polimerasi, ossia la DNA polimerasi di questi batteri, in grado di
lavorare a temperature molto alte, la quale si è dimostrata molto utile in una tecnica indispensabile
e utilizzata per moltissime applicazioni biomediche, la PCR (polymerase chain reaction).
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Iori, Ribisi, Nisi
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 5 22/03/2021
VIRUS
All’inizio del XX secolo furono scoperti degli agenti infettivi capaci di infettare animali o uccidere batteri
diversi però sia come dimensioni che come proprietà da tutti gli agenti infettivi fino ad ora studiati.
1. Passavano attraverso i filtri che trattengono i batteri, filtri con porosità di 0,2 micron.
2. Non si vedevano al microscopio ottico.
3. Non crescevano in coltura in assenza di cellule vive.
Il virus o virione, come fu successivamente chiamato, è costituito da:



Core interno contenente l’acido nucleico che può essere RNA
singolo/doppia catena o DNA singolo/doppia catena.
Capside esterno che è un rivestimento proteico costituito da
subunità che prendono il nome di capsomeri.
Membrana esterna al capside (presente solo in alcuni virus),
composta da proteine, lipidi e carboidrati. La composizione è
molto diversa da quella dei procarioti e degli eucarioti.
Le dimensioni, che giustificano la non visibilità al microscopio ottico e il passaggio attraverso i filtri, sono
submicroscopiche ovvero visibili solo al microscopio elettronico. Il diametro va da 20 a 300 nm per quelli
che infettano le cellule umane, mentre 20-500 nm per quelli che infettano anche altre specie.
I VIRUS NON POSSIEDONO CARATTERISTICHE DEGLI ESSERI VIVENTI
I virus non possono essere classificati come esseri viventi perché non ne possiedono le caratteristiche.





Non hanno una struttura cellulare.
Non possono svolgere attività metabolica autonoma, infatti, non possono sopravvivere in assenza
di cellule vive. Da soli non possono effettuare la respirazione cellulare (ossidazione delle sostanze
organiche), non sintetizzano autonomamente proteine, acido nucleico o altre molecole.
Non contengono sia DNA che RNA ma solo uno dei due tipi di acidi nucleici: double strand DNA o
single strand DNA, double strand RNA o single strand RNA.
Si riproducono ma solo nelle cellule infettate sono quindi parassiti
obbligati: forzano la cellula a replicare il loro acido nucleico
prendendo il controllo dei meccanismi di trascrizione e traduzione
della cellula ospite, la quale sintetizza le proteine virali e l’acido
nucleico che verranno poi assemblati insieme per formare il virione
completo. Il virione verrà poi espulso dalla cellula infettata per
andare ad infettare altre cellule.
Poiché non possono essere classificati in nessuno dei 3 domini è
stato istituito un comitato internazionale per la tassonomia dei
virus che raggruppa i virus sulla base di caratteristiche comuni come
il tipo di acido nucleico.
FORMA DEI VIRUS
1. Elicoidale ha un capside cilindrico cavo in cui è presente l’RNA (es.
virus del mosaico del tabacco, immagine a).
2. Poliedrica con un capside sferico (es. adenovirus, immagine b).
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Iori, Ribisi, Nisi
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 5 22/03/2021
3. Testa poliedrica + coda elicoidale con fibre della coda (es. batteriofagi che infettano solo i batteri,
immagine c).
ORIGINE DEI VIRUS
Ci sono due teorie principali:
1. Derivati da frammenti di acidi nucleici usciti da una cellula primordiale, originatisi dal DNA cellulare
come fanno i trasposoni o i plasmidi. È la teoria più accreditata perché è sia in accordo con la
specie-specificità dei virus, che infettano solo le specie strettamente correlate e sia in accordo con
il discorso che i virus esistono da dopo la comparsa delle cellule perché senza di esse non possono
sopravvivere.
2. Sono comparsi prima delle cellule, prima della divisione in 3 domini. Questa ipotesi viene scartata
perché non spiega la loro sopravvivenza in assenza di cellule.
BATTERIOFAGI
I batteriofagi sono virus che attaccano i batteri. Sono costituiti da:
acido nucleico (quasi sempre dsDNA), testa poliedrica, coda
elicoidale e fibre che si estendono dalla coda per aderire alla
superficie del batterio che infettano.
In Era pre-antibiotica erano utilizzati per combattere le infezioni
batteriche, oggi non hanno più questo scopo ma sono studiati come
antibatterici per la sicurezza degli alimenti.
CICLO RIPRODUTTIVO LITICO
Il ciclo riproduttivo dei virus è esclusivamente il ciclo riproduttivo
litico, vedremo che possono fare anche un altro ciclo che però non ha
scopo riproduttivo chiamato ciclo lisogenico. Nel ciclo litico il virus
infetta la cellula (nell’immagine è rappresentato il batteriofago che
infetta il batterio) aderendo con le fibre della coda e forza la cellula a
replicare le particelle virali ed è per questo che si chiama virus
virulento.
Fasi del ciclo litico:
1. Aggancio del batteriofago o fago alla superficie del batterio
tramite le fibre della coda
2. Penetrazione all’interno del batterio dell’acido nucleico o
dell’intero virus, solitamente entra solo il DNA fagico.
3. Replicazione e sintesi: il virus degrada il DNA della cellula
ospite e usa il suo macchinario trascrizionale e traduzionale
(le sue DNA polimerasi, RNA polimerasi, enzimi) per
sintetizzare proteine virali e replicare il suo acido nucleico.
Quindi viene replicato sia il DNA fagico e sia sintetizzate le
proteine.
4. Assemblaggio in virioni, avviene un’amplificazione
dell’infezione virale perché vediamo un numero molto
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Iori, Ribisi, Nisi
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 5 22/03/2021
superiore di virioni rispetto all’unico batteriofago che era riuscito ad infettare la cellula. Quindi i
componenti del fago si assemblano a formare nuove cellule.
5. Rilascio: i virioni vengono liberati all’esterno per lisi cellulare (classico meccanismo dei fagi) o per
gemmazione della membrana plasmatica (per i virus che infettano cellule animali). I nuovi virioni
andranno a infettare altre cellule.
La durata del ciclo riproduttivo è di circa 20 minuti - 1 ora, ci da l’idea di come le infezioni virali abbiano una
veloce evoluzione all’interno del nostro organismo.
CICLO LISOGENICO
In questa immagine è rappresentato un batteriofago che infetta un
batterio ma in questo caso compie un ciclo lisogenico ed è un virus
temperato. Una volta entrato il virus non degrada il DNA della cellula
ospite ma si integra il suo DNA nel DNA cellulare (una volta integrato si
chiama profago o provirus). In seguito, possono verificarsi le seguenti
situazioni:



I geni virali possono essere repressi per un tempo indefinito nella
cellula lisogenica
Il virus può essere riattivato in seguito a stimoli ambientali come
stress, raggi X, raggi UV e poi attuare il ciclo riproduttivo litico.
La cellula ospite può andare incontro a trasformazione tumorale
perché a seconda della posizione in cui il virus si è integrato nel
genoma (in questo caso di una cellula eucariotica) può
perturbare l’espressione genica o altri meccanismi di regolazione
genica. Questo fenomeno è chiamato mutagenesi inserzionale
ma lo approfondiremo più avanti.
Un tipico virus che infetta le cellule umane e che compie il ciclo lisogenico ed è quindi in grado di
rimanere presente all’interno delle cellule ospiti come provirus è il virus Herpes sia Hepers Simplex 1 e
2 e sia Herpes Zoster che è l’agente eziologico della varicella.
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Iori, Ribisi, Nisi
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 5 22/03/2021
HERPES SIMPLEX
Il virus Herpes Simplex è l’agente eziologico dell’herpes labiale. In una prima infezione il virus si integra nei
neuroni facciali e in seguito a stimoli di varia natura si può riattivare causando una seconda infezione che
può essere ricorrente per riattivazione del virus che compie il suo ciclo litico.
Stesso discorso lo possiamo applicare all’Herpes di tipo 2 genitale.
VARICELLA ZOSTER
La varicella zoster, responsabile della varicella nella prima infanzia (ora non più perché esiste il vaccino),
spesso rimane latente nei gangli spinali come provirus e in seguito a vari stimoli può andare in contro a
riattivazione passando dal ciclo lisogenico al ciclo litico causando Herpes Zoster o volgarmente chiamato il
fuoco di sant’Antonio. Questo accade sempre in seguito a stimoli ambientali o altre malattie virali o
indebolimento momentaneo del sistema immunitario.
VIRUS CHE INFETTANO LE CELLULE ANIMALI
I virus che infettano le cellule animali usualmente non sopravvivono per lungo tempo fuori dalle cellule
quindi si trasmettono per lo più da animale ad animale, come ad esempio HIV che si trasmette attraverso i
fluidi corporei compresi gli emoderivati.


Il tipo di proteina di aggancio determina quale cellula esso può infettare
I siti recettoriali variano da specie a specie (specie-specificità) e spesso da tessuto a tessuto
(tessuto-specificità). Quindi le cellule hanno recettori per i virus attraverso i quali i virus si
agganciano e penetrano nella cellula stessa. Un determinato virus infetta una sola specie, specie
strettamente correlate come noi e i primati, o un determinato tipo di tessuto. Per esempio, i virus
umani infettano solo cellule umane mentre il Poliovirus è tessuto-specifico.
POLIOMELITE
La poliomielite in era pre-vaccinaria era mortale o molto debilitante perché lasciava esiti importanti come
paralisi dei muscoli respiratori.
Nel 1952 Salk mise appunto un vaccino costituito da virus polio uccisi dal calore; somministrando il vaccino
a persone sane veniva stimolato il sistema immunitario che produceva anticorpi e cellule T della memoria in
modo che in una successiva esposizione al virus selvatico l’organismo fosse già immune a questo virus (il
principio di tutti i vaccini).
Nel 1962 Sabin introdusse un vaccino vivo ma attenuato che si dimostrò più efficacie nel conferire
immunità contro il poliovirus del precedente vaccino di Salk. Il poliovirus è un virus che per sua natura è
neurotropo cioè attacca le cellule nervose e produce sintomi come paralisi dei muscoli respiratori. Sabin
coltivò questo virus selvatico neurotropo in cellule di rene di scimmia e riuscì ad ottenere un ceppo di virus
mutante che non era più neurotropo ma epiteliotropo e selezionò questo virus per il vaccino. Siccome il
poliovirus segue come via di infezione un circuito oro fecale, il vaccino di sabin vivo inattivato ed
epiteliotropo fu somministrato per bocca. Una volta giunto nell’intestino infetta le cellule epiteliali
intestinali conferendo immunità perché provoca la produzione di anticorpi poliovirus. Il vaccino antipolio
rappresenta un esempio di come è possibile sfruttare il tropismo di un virus per sviluppare vaccini antivirali.
Recentemente sono state dimostrate alcune retromutazioni che hanno causato paralisi da vaccino di Sabin
in pochissimi individui e questo portò a riutilizzare il vecchio vaccino di Salk migliorato dato che
quest’ultimo non può indurre paralisi o altri sintomi neurologici essendo un virus ucciso.
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Iori, Ribisi, Nisi
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 5 22/03/2021
INFEZIONE
1. Ingresso nella cellula per penetrazione o endocitosi.
2. Replicazione e trascrizione:
Se il virus è a DNA, sintetizza le proteine e il DNA in modo simile a quello della cellula ospite.
Utilizzano una RNA polimerasi DNA-dipendente per sintetizzare l’mRNA virale e le proteine virali,
mentre utilizzano una DNA polimerasi DNA-dipendente per sintetizzare il loro genoma.
Se il virus è a RNA, alcuni usano una RNA polimerasi RNA-dipendente di cui possiedono il gene nel
loro genoma mentre altri chiamati retrovirus (come i virus dell’HIV) utilizzano una DNA polimerasi
RNA-dipendente chiamata trascrittasi inversa (codificata dal virus) per convertire il loro genoma a
RNA in DNA sintetizzando un DNA intermedio che si integra nel DNA della cellula ospite.
3. Traduzione: una volta prodotti gli mRNA virali le proteine vengono sintetizzate sui ribosomi
eucariotici e vengono assemblate in nuove particelle insieme al loro genoma.
VIRUS PRINCIPALI CHE INFETTANO C. ANIMALI
In questa immagine
sono elencati i
principali virus che
infettano le cellule
animali. Citiamo i più
importanti, tra i virus
a DNA:
 Poxvirus causa il
vaiolo che grazie alla
vaccinazione di massa
è stato eliminato.
 Herpesvirus agente
eziologico dell’herpes
labiale (herpes
simplex di tipo I) e
genitale (herpes
simplex di tipo II);
varicella e fuoco di
Sant’Antonio (virus
della varicella zoster);
mononucleosi
infettiva e linfoma di
Burkitt ovvero tumore



ai linfonodi (virus di Epstein-Barr).
Adenovirus sono circa 40 e infettano le vie respiratorio e vie intestinali, causano quindi mal di gola,
tonsilliti, congiuntiviti ecc...
Papovavirus sono gli agenti eziologici della verruca e alcune malattie degenerative del cervello e
sono anche virus oncogeni.
Parvovirus causa gastroenteriti in seguito a ingestioni di molluschi infetti e guariscono
spontaneamente come quasi tutte le malattie virali.
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Iori, Ribisi, Nisi
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 5 22/03/2021
Mentre tra i virus a RNA:






Picoronavirus causa la polio (poliomielite), epatite A, disturbi intestinali, raffreddore comune e
meningite asettica ovvero non causata dal meningococco o da un agente batterico.
Togavirus causa la rosalia.
Orthomyxovirus causa influenza nell’uomo e negli animali.
Paramyxovirus causa morbillo e parotite (prima dei vaccini queste, insieme alla rosolia, causavano
malformazione nei feti)
Rabdovirus causa la rabbia.
Coronavirus causa infezioni delle vie respiratorie come la Sars-Cov 1 e Sars-Cov 2
Sempre virus a RNA ma ad alta mortalità:





Flavivirus causa febbre gialla, epatite C.
Filovirus causa febbri emorragiche come quelle causate dall’ebola.
Bunyavirus causa encefalite di St. Luis, sindrome polmonare da hantavirus.
Reovirus causa vomito, diarrea, encefalite.
Retrovirus causa AIDS e alcuni tipi di cancro.
CORONAVIRUS
I coronavirus sono una vasta famiglia di virus noti per causare malattie che vanno dal comune raffreddore a
sindrome respiratoria mediorientale (MERS) e sindrome respiratoria acuta grave (SARS-COV1 e SARSCOV2). Sono virus RNA a filamento positivo, con aspetto simile a una corona al microscopio elettronico. I
coronavirus sono stati identificati già a metà degli anni ’60 e sono noti per infettare l’uomo e alcuni animali
inclusi uccelli e mammiferi.
Le cellule bersaglio primarie sono quelle
epiteliali del tratto respiratorio e del tratto
gastrointestinale.
Fino ad oggi sono 7 i coronavirus in grado
di infettare l’uomo. Coronavirus umani
comuni sono: HCoV-OC43 e HCoV-HKU1
(betacoronavirus), HCoV-229E e HCoVNL63 (alphacoronavirus).
La comparsa di nuovi virus patogeni per l’uomo che prima infettavano solo gli animali, è un fenomeno
conosciuto chiamato spillover o salto di specie e si pensa che possa essere alla base del nuovo coronavirus.
È un tipico virus a capside sferico, a RNA singolo filamento all’interno del CORE e presenta le proteine Spike
Glycoprotein sulla sua superficie (il bersaglio di tutti i vaccini).


31 dicembre 2019 le autorità sanitarie cinese hanno notificato, probabilmente in ritardo, un
focolaio di casi di polmonite ad eziologia sconosciuta nella città di Wuhan (provincia dell’Hubei in
Cina). Molti casi iniziali hanno riferito una esposizione al mercato di animali vivi e quindi si pensò
che l’infezione potesse aver fatto il salto di specie da animali vivi ad umani in stretto contatto con
essi; ma tutt’ora non ne abbiamo la certezza.
9 gennaio 2020 il China CDC (centro per il controllo e la prevenzione delle malattie della Cina) ha
identificato questo nuovo virus (2019-nCov) come causa eziologica di queste patologie. Le autorità
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Iori, Ribisi, Nisi
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 5 22/03/2021
sanitarie cinesi hanno confermato che il virus si trasmette da uomo a uomo e la malattia venne
chiamata Covid-19 (coronavirus disease 2019).
Alcuni link aggiornati per vedere le caratteristiche, la diffusione del virus in Europa e nel mondo:
https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2
https://www.who.int/health-topics/coronavirus
https://www.ecdc.europa.eu/en/novel-coronavirus-china
https://www.cdc.gov/coronavirus/2019-ncov/index.html
VIE DI TRASMISSIONE
Il nuovo Coronavirus si diffonde principalmente attraverso il contatto stretto con una persona malata. La
via primaria di trasmissione è rappresentata dalle goccioline del respiro delle persone infette, ad esempio
tramite:



la saliva (tramite tosse e starnuti);
contatti diretti personali;
le mani (toccando con le mani contaminate bocca, occhi o naso).
Le misure di prevenzione raccomandate sono:


precauzioni standard (mascherine e occhiali);
proteggersi dal contatto con superfici potenzialmente infette.
VACCINI ANTI COVID-19 -ITALIA
In Italia distinguiamo due classi di vaccini, a mRNA e a vettore virale. Quelli a mRNA autorizzati in questo
momento sia dall’ EMA(Agenzia Europea per i Medicinali) che dall’ AIFA(Agenzia Italiana del Farmaco) sono
il Pfizer e il Moderna.
I vaccini a mRNA contengono l’mRNA per la proteina spike presente sul SARS-CoV-2. Quindi una volta
entrato nella cellula fa produrre, alla cellula, la proteina Spike del virus che sensibilizza il nostro sistema
immunitario. Dopo questa azione l’mRNA per spike si degrada. Le proteine prodotte stimolano il sistema
immunitario a produrre anticorpi specifici, in chi si è vaccinato e viene esposto al contagio virale, gli
anticorpi bloccano così le proteine Spike e ne impediscono l’ingresso nelle cellule. Inoltre la vaccinazione
attiva le cellule T della memoria che preparano il sistema immunitario a rispondere a ulteriori esposizioni a
SARS-CoV-2. Per vedere se il vaccino ha avuto effetto si fa il dosaggio degli anticorpi.
Per quanto riguarda i vaccini a vettore virale ad oggi in italia l’unico autorizzato è AstraZeneca. Questo
vaccino è composto da un adenovirus di scimpanzè incapace di replicarsi e modificato per veicolare
l’informazione genetica destinata a produrre la proteina Spike del virus SARS-CoV-2. La tecnologia del
vettore virale utilizzata per questo vaccino è già stata testata con successo, ed è utilizzata per prevenire
altre malattie e per curare malattie genetiche con la terapia genica. Questo vettore virale è un virus
incapace di replicarsi, non infetta la cellula, e di integrarsi nel DNA della cellula; è infatti stato modificato
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Iori, Ribisi, Nisi
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 5 22/03/2021
per portare all’interno della cellula la sequenza che codifica per la proteina spike(cioè che produce l’mRNA
di spike). Il sistema immunitario si attiva contro la proteina e produce degli anticorpi che, qualora il
soggetto entrasse a contatto con il virus, lo proteggeranno dall’infezione.
VACCINI ANTI COVID-19 –UNIONE EUROPEA
Oltre a Pfizer, Moderna e Astrazeneca, l’UE ha fatto contratti con altre ditte farmaceutiche che producono:



Janssen: è a vettore adenovirale, molto simile ad astrazeneca, che codifica per la proteina
spike. È ancora in fase di autorizzazione.
CVnCov CureVac’s: è a mRNA per spike. Non ancora autorizzato.
Sanifi-GSK: contiene la proteina ricombinante spike. Non ancora autorizzato.
VACCINI ANTI COVID-19 -EXTRA EUROPEI


Coronavac (Sinovac): vaccino cinese che è basato su una versione “inattivata” del
coronavirus, questa suscita una risposta immunitaria, ma manca dell’attività replicativa e
non genera un’infezione vera e propria.
Sputnik V o Gam-Covid-vac: vaccino russo a vettore adenovirale, sono due diversi vettori
mixati all’interno del vaccino, entrambi codificano per spike.
In seguito alla vaccinazione, indipendentemente dal tipo di
vaccino, viene prodotta la proteina spike all’interno della
cellula vaccinata. Nella cellula eucariotica alcune di queste
proteine formano delle strutture a punta che migrano sulla
superfice della cellula, in forma intera o in frammenti. Queste
proteine, che derivano dalla spike virale, sono presentate
come antigeni al sistema immunitario, da cui vengono
riconosciute, il quale produce anticorpi e attiva la risposta
immunitaria T.
VIROIDI
Infettano solamente le piante, sono più piccoli di un virus, sono privi di rivestimento e proteine che
intervengono nella replicazione(polimerasi). Hanno un RNA corto (200-400 nt) non rivestito da proteine.
Es: Patate infettate da viroidi.
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Iori, Ribisi, Nisi
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 5 22/03/2021
I viroidi si trovano generalmente nel nucleo delle cellule ospiti e sembra interferiscano con la regolazione
genica.
LE MALATTIE PRIONICHE
Sono malattie causate da particelle proteiche infettive, degli agenti eziologici mai descritti fino a pochi anni
fa come agenti infettivi. Le malattie prioniche furono descritte per la prima volta negli anni ’30 con lo
scrapie, patologia mortale nelle pecore, di cui venne dimostrata la trasmissibilità intraspecifica. La pecora
colpita da scrapie ha gravi difficoltà locomotorie e osservando il cervello di queste pecore si è scoperto che
erano affette da Encefalopatia spongiforme, il cervello si mostrava con un caratteristico aspetto spugnoso
perché questa malattia causa la morte dei neuroni che vengono sostituiti da tessuto cicatriziale. Questa
malattia insorge dopo anni di incubazione, in generale è lo stesso anche per tutte le altre malattie
prioniche, in seguito a somministrazione di materiale infetto.
Negli anni ’50 viene descritta nell’uomo una patologia neurologica analoga allo scrapie, in termini di
tipologia di lesione neuronali, chiamata KURU dal nome della tribù che praticava cannibalismo mangiando
la materia cerebrale dei capi tribù che erano infetti e quindi infettavano le altre persone.
Negli anni ’70 sono stati segnalati dei casi di CJD (Creutzfeldt-Jacob Disease) in pazienti a cui veniva
somministrato GH (ormone della crescita) estratto da cadaveri.
Per la prima volta si costruì l’ipotesi che queste malattie venissero causate dall’ingestione di materiale
infetto, da un’agente eziologico ancora sconosciuto, che causava questa encefalopatia spongiforme.
Nell’82 Prusiner pubblicò sulla rivista Science un articolo in cui dimostrò che una particella infettiva proteica
causava lo scrapie nelle pecore. Il termine Prione fu attribuito quindi ad un agente infettivo non
convenzionale di natura proteica e totalmente privo di acidi nucleici, in quanto se si irradia il tessuto infetto
questo non perde la sua capacità di infettare. Significa quindi che l’agente eziologico di questa malattia non
è un virus o batterio perché gli acidi nucleici vengono distrutti dai raggi X. Inoltre è un agente eziologico di
malattie degenerative del SNC in alcuni animali.
L’acronimo Prion deriva dal termine Proteinaceus Infective Only particle ossia “particella infettiva
solamente proteica”, questo ribadisce che non contiene acidi nucleici.
TSE- ENCEFALOPATIE SPONGIFORMI TRASMISSIBILI
Sono lesioni degenerative presenti prevalentemente nei distretti encefalici, che si manifestano con
comparsa di vacuoli e perdita di materiale neuronale, conferendo al tessuto nervoso un aspetto spongioso,
e si possono trasmettere da soggetti infetti a soggetti sani. Tutte le TSE sono malattie neurodegenerative
dall’esito fatale caratterizzate da un periodo di incubazione molto lungo, per le quali attualmente non
esiste nessuna cura.
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Iori, Ribisi, Nisi
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
OSPITE
MALATTIA
PATOGENESI
Pecora
Scrapie
Infezione orizzontale
Uomo
Kuru
Infezione orizzontale (cannibalismo)
Uomo
CJD da HGH
Infezione orizzontale
Lezione 5 22/03/2021
(somministrazione di HGH estratto da ipofisi di cadavere)
Uomo
CJD Familiare
Mutazione del gene che codifica PrP
Uomo
CJD Sporadica
Mutazione del gene che codifica PrP
Bovino
BSE
Infezione orizzontale (farine proteiche da animali infetti)
Uomo
CJD Variante
Infezione orizzontale (alimentare, da animali infetti)
Felino
FSE
Infezione orizzontale (farine proteiche da animali infetti)
Uomo
GSSD
Mutazione del gene che codifica PrP
Visone
TMSE
Infezione orizzontale (farine proteiche da animali infetti)
Esempi di alcune malattie prioniche.
La patogenesi della scrapie è stata identificata con un’infezione orizzontale, ovvero la proteina infettiva è
stata introdotta attraverso l’infezione intraspecifica tra una pecora e l’altra, attraverso l’ingestione di
materiale cerebrale infetto contenuto in farine e carne. Anche il KURU è un’infezione orizzontale, deriva dal
cannibalismo.
Il CJD è un’infezione orizzontale però causata da un intervento medico, ossia somministrazione di HGH
estratto dall’ipofisi di un cadavere. Nell’uomo esistono diverse forme di CJD:

Familiare, causata dalla mutazione ereditaria del gene PrP che ha una funzione esplicata
prevalentemente nel cervello.

Sporadica, causata dalla mutazione somatica del gene PrP.

Variante, causata da un’infezione orizzontale derivante da un’ingestione alimentare di animali
infetti, principalmente carni di bovino infettate da BSE.
Le TSE nell’uomo possono essere quindi sporadiche, ereditarie (ereditate dai genitori per mutazione del
gene PrP) o acquisite (dovuta all’ingestione di alimenti infetti).
BASI MOLECOLARI DELLE TSE
La proteina prionica cellulare PrPC (cellular prion protein) codificata dall’ospite viene convertita nella forma
alternativa PrPSc (scrapie associated prion protein). PrPSc è l’agente infettivo che replica se stesso
reclutando PrPC endogena. La differenza tra queste isoforme risiede nella conformazione del monomero e
nel suo stato di aggregazione. Infatti i prioni sono isoforme patologiche di proteine normali.
10
Iori, Ribisi, Nisi
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 5 22/03/2021
in quest’immagine vediamo
come, quando una PrPC non
mutata viene a contatto con
PrPSc, viene convertita in una
molecola infettiva anch’essa.
In questo modo avviene la
propagazione della proteina
infettiva.
la conversione da PrPC a
PrPSc avviene a causa
della mutazione del
gene PRNP, la proteina
corrispondente può
modificare la sua
struttura IIa e IIIa,
divenire insolubile e
accumularsi nei tessuti
cerebrali dove causa le
TSE.
PATOGENESI DELLE MALATTIE PRIONICHE
Non è dovuta solamente all’ingestione di una proteina prionica infettiva, ma anche da mutazioni del gene
PRNP (coinvolto nel metabolismo del rame nel cervello). Queste mutazioni sono state identificate in varie
forme come la CJD. Le mutazioni a carico del gene possono essere puntiformi, cambio di un amminoacido,
inserzioni che causano la comparsa di codoni di stop; questi cambiamenti provocano un’alterazione della
struttura della PrP che causa la produzione di una proteina anormale, la PrPSc. Questa proteina anormale si
accumula nel cervello formando degli aggregati che danneggiano e distruggono le cellule nervose, la
perdita di neuroni oltre a creare dei buchi a livello del tessuto neuronale porta alla perdita progressiva delle
caratteristiche mentali e comportamentali tipiche dell’individuo.
IL SUPERAMENTO DELLA BARRIERA DI SPECIE
Si pensa che la pecora con scrapie sia stata utilizzata per creare il mangime per i bovini, ma finché il
mangime fu trattato con dei solventi durante la preparazione non ci fu nessun effetto. Negli anni ’70 però
venne abbandonato il processo di estrazione con solventi per la preparazione dei mangimi e dopo 20 anni ci
fu l’epidemia di BSE (TSE nei bovini) nel regno unito. Si capì così che i prioni sopravvivono durante la
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Iori, Ribisi, Nisi
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 5 22/03/2021
preparazione dei mangimi e infettano i bovini, infatti quando furono eliminate le farine carne per
l’alimentazione dei bovini l’epidemia fu messa sotto controllo.
Quello che non è stato dimostrato, ma che è molto probabile, è che potrebbe esserci stato un ulteriore
salto di specie tra bovino e l’uomo, attraverso l’ingestione di carne bovina infetta. Questo non è strato
dimostrato perché i casi di TSE nell’uomo sono molto rari, ad esempio i casi di CJD sono di poche decine
all’anno. Mentre dal 1990 al 2009 morirono 210 persone in europa di cui 166 sono nel regno unito per una
malattia simile alla BSE: una cariante della CJD. Successivamente il salto di specie fu confermato anche per
l’uomo perché si è visto che questa variante della CJD è causata dallo stesso prione della BSE, questo ha
messo in evidenza il potenziale zoonotico delle malattie prioniche animali.
12
Maggi, Maiolo, Loi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 6 23/03/2021
LA COMUNICAZIONE INTERCELLULARE E LA TRASDUZIONE DEL SEGNALE
In questa lezione vedremo come le cellule comunicano tra di loro e come un segnale prodotto da una
cellula raggiunga un’altra cellula e venga trasdotto, o trasportato, dalla membrana plasmatica attraverso il
citoplasma e produca degli effetti biologici.
In generale, tutte le cellule animali contengono un elaborato sistema di proteine che le rendono capaci di
rispondere ai segnali provenienti da altre cellule.
Il primo esempio di segnalazione (figura sottostante) è attraverso molecole secrete: una cellula
segnalatrice o effettrice (signaling cell) produce e secerne la molecola segnalatoria, che viene captata e
legata da un specifico recettore, cioè una proteina di membrana che la lega con alta specificità, presente
sulla cellula bersaglio (target cell).
Nel secondo esempio (figura sottostante) la segnalazione avviene attraverso molecole legate alla
membrana: la cellula segnalatrice in questo caso non produce nè secerne una molecola, ma la molecola
segnalatrice è una proteina o molecola di membrana che interagisce sempre con uno specifico recettore
sulla cellula bersaglio, scatenando, così come per il primo caso, una reazione nella cellula bersaglio che
dipende dal tipo di molecola secreta o dal tipo di signaling scatenato, che possono generare importanti
modificazioni sia a livello citoplasmatico sia a livello nucleare.
PRINCIPALI MOLECOLE SEGNALE
•
•
•
•
•
Proteine e loro derivati:
o Peptidi
o Amminoacidi singoli
Nucleotidi
Steroidi (ormoni stereoidei)
Retinoidi (acido retinoico, ossia Vitamina A) e Vitamina D
Gas disciolti (come monossido d’azoto, che interviene durante la stimolazione della reazione
infiammatoria)
1
Maggi, Maiolo, Loi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 6 23/03/2021
La cellula bersaglio risponde al segnale che le ha mandato l’altra cellula per mezzo di specifiche proteine,
che sono il recettore di membrana oppure recettori intracellulari, nel caso in cui la molecola segnalatrice
riesca ad entrare nella cellula e a legarsi ad un recettore presente nel citoplasma o addirittura nel nucleo.
In questo caso si tratta di piccole molecole lipofile, come per esempio le vitamine A e D, che entrano per
diffusione passiva e trovano il loro recettore all’interno della cellula.
Tuttavia, altre molecole proteiche non possono entrare passivamente attraverso la membrana, quindi
devono trovare i loro recettori sulla superficie della cellula bersaglio.
Il legame della molecola segnale al recettore innesca una cascata di segnalazione, un processo molto
complesso, a cascata appunto, di attivazione di varie proteine o adattatori attraverso i quali il segnale viene
trasportato (trasdotto) attraverso il citoplasma fino al nucleo, dove causa l’attivazione di specifici geni.
Quindi il segnale influisce sulla trascrizione di specifici geni e di conseguenza sulla sintesi di specifiche
proteine che sono poi responsabili dell’effetto biologico di quel particolare segnale/molecola (ormoni, altre
molecole segnale) su quella specifica cellula.
Tale effetto può essere quello di:
•
•
•
•
un aumento o una modulazione della proliferazione (moltiplicazione cellulare)
un’induzione al differenziamento, cioè maturazione cellulare
un’induzione all’apoptosi
altri effetti biologici, che dipendono, come già detto, da quello specifico segnale.
Alla trasduzione del segnale dal citoplasma al nucleo prendono parte numerose proteine:
•
•
•
•
•
chinasi o cinasi, che sono delle fosfotransferasi, dunque fosforilano, cioè trasferiscono un gruppo
fosfato su altre proteine, modificandone l’attività.
Vedremo che ci sono due tipi di chinasi: le tirosin-cinasi, che fosforilano in tirosina, e le
serin/treonin-cinasi, che fosforilano in serina o treonina;
fosfatasi, che fanno il lavoro contrario: tolgono un gruppo fosfato da una proteina;
proteine leganti il GTP;
proteine adattatrici, che funzionano come “spinotti” molecolari per trasportare questo segnale;
fattori trascrizionali, presenti nel nucleo e in grado di modificare l’espressione genica a seconda del
segnale che arriva nel nucleo.
Oltre alle proteine abbiamo:
•
•
alcuni lipidi (inositolo fosfolipidi, presenti nel foglietto interno della membrana plasmatica);
molecole chiamate secondi messaggeri: il primo messaggero è la molecola segnale che si attacca al
recettore, il secondo messaggero è quella molecola che viene attivata in seguito al legame della
molecola segnale con il suo recettore; tra questi annoveriamo Ca2+, cAMP, etc.
2
Maggi, Maiolo, Loi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 6 23/03/2021
FORME DI SIGNALING MEDIATO DA PROTEINE SECRETE
A. Segnalazione paracrina: la più frequente dal punto di vista fisiologico; la cellula
segnalatrice/effetrice che produce il segnale lo secerne nell’ambiente e le cellule bersaglio che si
trovano a poca distanza dalla cellula segnalatrice legano attraverso il loro specifico recettore la
molecola segnalatrice. Il segnale paracrino avviene classicamente all’interno di un tessuto, dove c’è
una cellula che produce un segnale e altre cellule vicine spazialmente che ne beneficiano.
B. Segnalazione sinaptica: una cellula nervosa, attraverso la secrezione dei neurotrasmettitori nello
spazio sinaptico, influisce sulla fisiologia della cellula bersaglio che, attraverso recettori specifici,
lega i neurotrasmettitori
C. Segnalazione endocrina: la cellula endocrina (c. effettrice) produce un segnale, classicamente un
ormone, che non va ad agire su cellule spazialmente vicine, ma su cellule anche molto lontane
nell’organismo.
L’ormone viene secreto nel sangue e attraverso esso trasportato fino alle cellule bersaglio che
possiedono lo specifico recettore e beneficiano o comunque reagiscono alla segnalazione ormonale
ricevuta.
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Maggi, Maiolo, Loi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 6 23/03/2021
LA SEGNALAZIONE AUTOCRINA
Classicamente, agisce sulla stessa cellula che produce il segnale.
Questo tipo di segnalazione, come vedremo, è caratteristico
delle cellule tumorali, che producono il segnale e ne
beneficiano, cioè si auto-stimolano.
In un gruppo di cellule identiche per funzione e morfologia, ogni
cellula riceve un forte segnale autocrino perché, oltre a
produrre e secernere la molecola segnalatrice, possiede anche il
recettore specifico per questa molecola, e quindi si auto-stimola
senza bisogno di stimoli esterni.
L’auto-stimolazione rende le cellule indipendenti, dal punto di
vista della regolazione presente all’interno di un tessuto, dalle
esigenze del tessuto stesso: pertanto, questa segnalazione è quasi sempre presente nelle cellule tumorali,
che si svincolano appunto dal sistema di regolazione del tessuto stesso.
AZIONE COMBINATORIA DEI SEGNALI
Su una cellula arrivano milioni di segnali ogni
secondo, però, per semplificare, diciamo che l’azione
combinatoria di varie molecole influisce su tutta la
fisiologia cellulare, quindi la sopravvivenza, il
differenziamento, la proliferazione e tutte le sue altre
funzioni.
Nello schema a fianco (molto semplificato), una
cellula che non riceve nessun segnale da parte di
fattori di crescita, ossia quei fattori proteici che
fanno crescere, moltiplicare e differenziare la cellula,
è destinata a morire per apoptosi.
Una cellula che, per esempio, riceve tre segnali (A, B,
C) sopravvive, mentre una cellula che oltre a ricevere i segnali A, B e C riceve anche i segnali D ed E può
anche modificarsi e proliferare.
I RECETTORI DI MEMBRANA
Esistono tre tipi di recettori di membrana:
1. recettori legati a canali ionici, in cui il legame con il ligando fa aprire il canale: gli ioni entrano
secondo gradiente di concentrazione (canali ionici per il sodio, calcio, potassio…);
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Maggi, Maiolo, Loi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 6 23/03/2021
2. recettori legati a proteine G, cioè proteine che legano il GTP e vengono attivate da questo legame;
3. recettori legati ad enzimi, inattivi nel loro dominio catalitico intracellulare quando non c’è nessuna
molecola segnalatrice legata, si convertono invece in recettori attivati quando il ligando si lega allo
specifico recettore e attiva l’azione catalitica dell’enzima stesso (di vario tipo a seconda dell’enzima
e soprattuto del recettore).
Gli enzimi legati ai recettori di membrana sono per la maggior parte protein cinasi: la fosforilazione, o
legame con molecole come il GTP, è un sistema che la cellula usa per attivare, disattivare, o più in generale
regolare moltissime delle sue funzioni, dei suoi enzimi e delle sue molecole.
I recettori di membrana attivati dal legame col ligando specifico fosforilano una grande varietà di proteine
intracellulari, e la fosforilazione di tali proteine può andare a influire, per esempio, sulla concentrazione di
calcio, sull’attivazione di particolari enzimi, oppure sull’espressione genica.
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Maggi, Maiolo, Loi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 6 23/03/2021
TRASDUZIONE DEL SEGNALE VIA RECETTORI LEGATI A PROTEINE G
I recettori legati a proteine G hanno sette segmenti
transmembrana, per questo detti seven-pass transmembrane
proteins, e rappresentano la più grande famiglia di recettori di
superficie.
Questi sette segmenti transmembrana, che li ancorano alla
membrana plasmatica, hanno una porzione NH2 rivolta verso
l’ambiente extracellulare che si lega alla molecola segnalatrice
che arriverà; la porzione intracellulare (COOH), come in tutti i
recettori, è la porzione segnalatrice, che si legherà con altre
molecole che trasportano il segnale all’interno della cellula a
seconda del tipo di recettore.
Le G-proteins (si chiamano così perché legano il GTP o il GDP)
esistono in due forme, ma è solo quando sono legate al GTP che
sono attive, quindi:
1.
2.
forma attiva, quando è legata al GTP;
forma inattiva, quando è legata al GDP.
STRUTTURA DELLE G-PROTEINS TRIMERICHE
Ci sono due tipi di G-proteins trimeriche, ora affrontiamo la trattazione delle proteine Gs trimeriche.
Queste sono costituite da tre diversi polipeptidi: α, β, γ.
La subunità αs lega e idrolizza il GTP e attiva l’adenilato ciclasi: è dunque la subunità funzionale del trimero.
Le subunità β e γ, invece, hanno una funzione strutturale, cioè ancorano la subunità α alla faccia interna
della membrana plasmatica.
I ligandi, cioè le molecole segnalatrici che utilizzano questi recettori (e l’AMP ciclico come secondo
messaggero), sono quelli illustrati in questa tabella: molti sono ormoni che regolano il metabolismo in vario
modo. (sul glucagone faremo uno specifico esempio)
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Maggi, Maiolo, Loi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 6 23/03/2021
MODELLO DI ATTIVAZIONE DELL’ADENILATO CICLASI
Vediamo ora come è strutturata questa via di segnalazione.
Il legame del ligando attiva l’enzima adenilato ciclasi, che converte l’ATP in AMP ciclico (cAMP).
Nella prima raffigurazione (figura sottostante) è rappresentata la situazione a riposo, in cui non c’è nessuna
molecola segnalatrice che lega il recettore: strutturalmente notiamo che il recettore è in condizione di
riposo, la proteina Gs trimerica non interagisce con il recettore, il monomero αs è inattivo perché legato al
GDP e l’adenilato ciclasi è inattivo.
Quando arriva lo specifico ormone che lega il suo specifico recettore, c’è una modificazione
conformazionale della porzione intracellulare del recettore, che espone un binding site, cioè un sito
legame, per la proteina Gs che, sfruttando la fluidità della membrana plasmatica, va a interagire con tale
porzione.
Questo legame provoca la dissociazione del GDP e l’associazione col GTP, quindi l’attivazione della subunità
αs della proteina Gs trimerica. A questo punto la subunità αs attivata si dissocia dal recettore e migra,
sempre grazie alla fluidità della membrana, verso l’adenilato ciclasi esponendo un sito di legame attivo
proprio per quest’ultima.
7
Maggi, Maiolo, Loi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 6 23/03/2021
Questo processo culmina con l’interazione della subunità αs attivata e dell’adenilato ciclasi che, a questo
punto, viene attivata e inizia a produrre tante molecole di cAMP a partire dall’ATP.
Nel frattempo, la molecola segnalatrice si è dissociata dal recettore e questo provoca il ritorno nella
situazione di riposo di tutte le componenti citate: intanto però il segnale, dal recettore, è già migrato nel
citoplasma e viene trasportato appunto da un secondo messaggero che è proprio il cAMP.
IL cAMP ATTIVA LA PKA
Facciamo ora un esempio di attivazione, da parte dell’AMP ciclico, di un enzima, la protein cinasi A o PKA.
Nella sua forma inattiva, la PKA è costituita da quattro monomeri: due subunità catalitiche associate a due
subunità regolatorie.
Quando sono associate alle subunità regolatorie, le subunità catalitiche sono inattive. Quando, per effetto
dei meccanismi visti primi, un segnale produce la formazione di molecole di cAMP, questo si lega alle
subunità regolatorie facendole dissociare dalle subunità catalitiche, che si attivano e così la PKA diventa una
cinasi attiva.
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Maggi, Maiolo, Loi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 6 23/03/2021
FUNZIONI DELLA PKA
La PKA, essendo una chinasi, catalizza il trasferimento di un fosfato dall’ATP a specifiche serine o treonine
di specifiche proteine, regolandone l’attività.
Il segnale che originariamente si è legato al recettore è l’ormone glucagone: questo porta alla produzione
di cAMP che va ad attivare la PKA, che a sua volta attiva un’altra cinasi, la fosforilasi cinasi, mediante
chiaramente l’utilizzo di ATP (per fosforilare, l’enzima deve prendere un fosfato dall’ATP);
la fosforilasi cinasi attivata da questa fosforilazione in serina-treonina va ad attivare a sua volta, a cascata,
la glicogeno fosforilasi attraverso sempre fosforilazione, la quale da luogo alla fosforolisi del glicogeno, cioè
la produzione di glucosio 1-fosfato dal deposito di glicogeno. Questo fenomeno è detto glicogenolisi.
Il glucosio 1-fosfato viene isomerizzato a glucosio 6-fosfato ed entra nella glicolisi: tutto ciò avviene ad
opera del glucagone in condizioni di digiuno, quando la glicemia, la concentrazione di zucchero nel sangue,
tende a diminuire per mancanza di nutrienti e deve essere aumentata a spese del glicogeno, che è il
deposito (più che altro epatico) di glucosio.
La glicemia deve essere sempre mantenuta a un livello più costante per far funzionare il cervello e tutti gli
altri organi, e viene pertanto innalzata, in condizioni di digiuno, dal glucagone attraverso questa via di
segnalazione che culmina con l’attivazione della glicogenolisi.
GLI INOSITOLO FOSFOLIPIDI NELLA TRASDUZIONE DEL SEGNALE
Come accennato prima, vi sono due tipi di proteine G trimeriche: ora descriviamo la via di trasduzione delle
proteine Gq trimeriche.
Queste sono molto simili come struttura alle Gs, ma non vanno ad attivare l’adenilato ciclasi, bensì un altro
enzima. Come per le Gs, la subunità funzionale è la subunità α, questa volta αq, che lega e idrolizza il GTP
attivandosi e, una volta attivata, attiva l’enzima fosfolipasi C-β.
Anche in questo caso, le subunità β e γ hanno una funzione prettamente strutturale, quindi di ancoraggio
della subunità α alla faccia interna della membrana plasmatica
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Maggi, Maiolo, Loi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 6 23/03/2021
MODELLO DI ATTIVAZIONE DELLA FOSFOLIPASI C-β
Il primo step è il medesimo: il legame della molecola segnalatrice al recettore di membrana che è legato
alla proteina G trimerica, di tipo Gq.
La subunità αq attivata porta all’attivazione dell’enzima fosfolipasi C-β, che scinde il fosfoinositolo 4,5bisfosfato (PIP2) in due molecole: diacilglicerolo e inositolo 1,4,5-trisfosfato (IP3).
Queste due molecole, una volta sintetizzate, esercitano due diverse funzioni all’interno della cellula: il
diacilglicerolo attiva un’altra protein cinasi, non la A ma la C (PKC), mentre l’IP3 stimola il rilascio di ioni Ca2+
dal reticolo endoplasmatico, deposito intracellulare di calcio nella cellula.
L’IP3
L’IP3 è una piccola molecola idrosolubile che lascia la faccia interna della membrana e diffonde rapidamente
attraverso il citosol.
Si lega a specifici canali di rilascio del calcio sulla membrana del RE, provocando l’apertura dei canali e
l’influsso del calcio dal RE al citoplasma (a riposo, cioè in assenza di questo stimolo, la concentrazione di
Ca2+ nel citoplasma è bassissima sia rispetto a quella del RE sia dell’ambiente extracellulare).
Nelle cellule muscolari, il calcio rilasciato dal reticolo sarcoplasmatico provoca la contrazione muscolare.
A seconda dunque del citotipo, si dice che questo transiente di calcio, cioè innalzamento transitorio di
calcio nel citoplasma a seguito di uno stimolo, provoca diverse reazioni.
Il calcio rilasciato si lega agli stessi canali promuovendo il rilascio di altro calcio per feed-back positivo: c’è
quindi un momento transitorio in cui, in risposta allo stimolo, la concentrazione di Ca2+ aumenta tantissimo
all’interno della cellula.
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Maggi, Maiolo, Loi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 6 23/03/2021
Il calcio attiva moltissime molecole (quasi tutte le molecole di adesione sono Ca2+-dipendenti), viene legato
nel citoplasma da molecole leganti il Ca2+, poi dopo breve tempo il segnale viene terminato attraverso le
pompe, le Ca2+-ATPasi, presenti sia sulla membrana plasmatica sia su quella del RE, così che la
concentrazione di calcio citoplasmatica venga abbassata ai livelli di riposo per trasporto attivo del Ca2+
all’interno del RE o all’esterno della cellula.
Oltre che per le Ca2+-ATPasi di membrana, l’IP3 viene inattivato anche dalle fosfatasi, che lo fosforilano,
terminando così il segnale di aumento di calcio nel citoplasma.
LA VIA DEL DIACILGLICEROLO
Il diacilglicerolo (DAG) attiva una serin-treonin chinasi (PKC), che fosforila specifiche proteine bersaglio, che
nella maggioranza dei casi portano ad un aumento dell’attività proliferativa cellulare. (per ora non ci
concentriamo particolarmente su queste via)
Per riassumere, le due branche della via degli inositolo fosfolipidi, cioè della via di segnalazione mediata da
recettori legati a proteine Gq, sono rappresentate in quest’immagine: la proteina segnale si lega al
recettore, viene attivata la subunità αq, che attiva la fosfolipasi C-β che effettua un cleavage, cioè un taglio
del PIP2, andando a formare IP3 e DAG che, rispettivamente, rilasciano il calcio dal RE o attivano la PKC.
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Maggi, Maiolo, Loi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 6 23/03/2021
TRASDUZIONE DEL SEGNALE VIA RECETTORI LEGATI AD ENZIMI
Parliamo della trasduzione del segnale via recettori legati ed enzimi.
I recettori legati ad enzimi sono, come abbiamo sempre detto, proteine transmembrana (quindi proteine di
membrana) che, come tutti i recettori, presentano una porzione extracellulare che lega il ligando (cioè la
molecola segnale) e la porzione intracellulare che in questo caso essendo un enzima ha un dominio
catalitico.
I recettori legati ad enzimi di cui parleremo sono essenzialmente recettori che servono per la trattazione
del nostro corso: i recettori dei principali fattori di crescita.
I fattori di crescita sono di fatto delle molecole proteiche che agiscono interagendo col proprio specifico
recettore su determinate cellule bersaglio, a seconda del fattore di crescita, e che fanno moltiplicare un
determinato tipo cellulare oppure lo fanno maturare, cioè differenziare.
Vediamo qui alcuni esempi:
-EGF receptor, Epitelial Growth Factor cioè il fattore di crescita epiteliale che lega le varie forme delle EGF
quindi è fondamentale per la crescita, quindi la moltiplicazione e anche il differenziamento di tutti gli
epiteli.
-NGF receptor, Nerve Growth Factor scoperto da Rita Levi Montalcini, ovvero il fattore di crescita per le
cellule nervose che stimola legandosi a questo ricettore la moltiplicazione e la maturazione delle cellule del
sistema nervoso.
-PDGF receptor, Platelet-derived Growth Factor cioè fattore di crescita prodotto dalle piastrine ma che
agisce sui fibroblasti stimolandone la proliferazione
-MCF receptor, Monosite Colony Stimulating Factor, un fattore che stimola la proliferazione delle colonie
quindi dei progenitori delle cellule indifferenziate della linea monocitaria e le fa anche differenziare cioè
maturare a monociti.
-FGF receptor, Fibroblast Growth Factor è il fattore di crescita per i fibroblasti.
-VEGF receptor, Vascular Endotelial Growth Factor è un fattore di crescita che va ad agire sulle cellule
endoteliali, le cellule che formano i vasi sanguigni, e le fa proliferare e differenziare.
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BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 6 23/03/2021
Quindi, l’attivazione di questo di questi recettori è la chiave per il mantenimento di tutti i tessuti del nostro
organismo e per un corretto equilibrio tra pool di cellule che proliferano, si moltiplicano, differenziano e
che vanno a svolgere la loro funzione specifica nei vari tessuti.
i recettori di cui tratteremo sono tutti recettori che come dominio intracitoplasmatico hanno una tirosincinasi, cioè l'enzima nella porzione intracitoplasmatica è una tirosin-cinasi, mentre, come abbiamo detto
nella prima parte della lezione sulla comunicazione cellulare, gli enzimi legati ai recettori possono essere
anche di altro tipo.
In questo caso quelli che ci interessano sono tirosin-cinasi e come vedremo possono essere recettori legati
a tirosin-cinasi o veri e propri recettori tirosin-cinasici, che hanno appunto nel loro dominio catalitico
l’enzima che è una tirosin-cinasi, cioè una fosfotrasferasi che fosforila in tirosina.
Si suddividono in sei sottofamiglie (non c'è bisogno che impariate queste sei sottofamiglie ma è necessario
che sappiate di cosa sono i recettori e a cosa servono).
Per questi tipi di molecole segnale, il legame di questi fattori di crescita con il recettore provoca la
dimerizzazione del recettore stesso; cioè il recettore, grazie all’ affinità di membrana, dimerizza con un
altro recettore dello stesso tipo e avviene la cosiddetta transfosforilazione dei domini intra citoplasmatici
su residui specifici di tirosina.
Quindi il dimero recettoriale si transfosforila, significa che una molecola di recettore fosforila l'altra grazie
appunto alll'attività tirosin-cinasica presente nella porzione intracitoplasmatica del recettore stesso.
Alcune definizioni molto importanti che riguardano soprattutto i domini di interazione proteina-proteina,
che entrano in gioco e hanno un ruolo molto importante nella trasduzione del segnale per questo tipo di
recettori e sono essenzialmente:
•
•
•
•
•
Il domino SH2: che riconosce e lega una fosfotirosina, ovvero una tirosina fosforilata.
Per quanto riguarda il recettore, per esempio, le fosfotirosine sul dominio intracitoplasmatico del
recettore, sono dei siti di legame ad alta affinità per delle proteine citoplasmatiche che contengono
un dominio SH2.
Le proteine con SH2 che si legano alla fosfotirosina del recettore vengono a loro volta fosforilate
perché il recettore ha un’attività catalitica nella sua porzione intracitoplasmatica e più esattamente
tirosin-cinasica.
Queste proteine comprendono anche proteine adattatrici e formano una catena di trasduzione,
quindi di trasporto del segnale, che appunto trasporta il segnale dalla membrana fino al nucleo.
Queste proteine adattatrici possono avere degli altri domini di interazione oltre a quello di SH2
come, per esempio, i domini SH3 e quindi permettono legame con altre proteine segnale che
contribuiscono a trasportare il segnale lungo il citoplasma fino al nucleo.
Il dominio SH3: analogamente al dominio SH2 è una porzione di una proteina che lega un dominio
ricco di prolina di un'altra proteina.
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Lezione 6 23/03/2021
Ora vedremo come si concretizzano queste interazioni in una catena di trasduzione del segnale che
coinvolge appunto l'attivazione dei recettori tirosin-cinasici.
I recettori tirosincinasici sono i recettori che possiedono un domain, una regione catalitica
intracitoplasmatica intrinseca al recettore;
Vediamo le vie di segnalazione dei recettori legati a protein-cinasi che quindi non hanno un domain
intrinseco catalitico, ma possiedono un’attività tirosincinasica dovuta al fatto di essere legati a tirosincinasi.
CATENA DI TRASDUZIONE DEL SEGNALE TRAMITE RECETTORI TIROSIN-CINASICI
1. Il legame del ligando alla porzione extracellulare del recettore provoca la transfosforilazione del
dimero e delle regioni catalitiche dei due recettori;
2. il recettore viene fosforilato in tirosina, si dice che espone una tirosina fosforilata (Tyr-P).
3. La tirosina fosforilata viene legata ad un’altra proteina che possie un domain SH2, la Grb2, un
adattatore molecolare fatto proprio come un adattatore elettrico, che connette due proteine
diverse, in questo caso il recettore oppure altre proteine che partecipano alla catena di trasduzione
del segnale;
4. Grb2 quindi ha un SH2 con cui lega la fosfotirosina, formatasi sul recettore in seguito al legame con
il ligando, ed inoltre ha due domains SH3 che legano un'altra proteina che partecipa a questa
catena che si chiama SOS;
5. SOS è una proteina scambiatrice di GTP e GDP e, quando legata a Grb2 viene attivata;
6. SOS attiva Ras che è una proteina G, però monomerica, consentendogli di legarsi al GTP;
Tutte le proteine G si chiamano così perché si attivano quando sono legate al GTP quindi il legame
di SOS a Ras fa sì che Ras si leghi al GTP e quindi che sia attivato
7. Ras, una volta attivato, causa una cascata di fosforilazioni (parte destra della figura) e che sono
fosforilazioni attivanti (in questo caso sono fosforilazioni di serina treonina), che coinvolgono una
classe di proteine chiamate MAP chinasi (MAPK)
MAP significa mytogen activated protein, cioè proteine attivate dai mitogeni sintesi, che sono
proteine che promuovono ovviamente la proliferazione cellulare così come fanno i mitogeni.
Ras attiva direttamente la prima classe di queste proteine che è chiamata MAP chinasi chinasi
chinasi o MAPKKK di cui un esempio è Raf;
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Lezione 6 23/03/2021
8. Raf attiva per fosforilazione la proteina MEK, che fa parte delle MAP chinasi chinasi o MAPKK, e che
attiva a sua volta una grande classe di proteine che si chiamano appunto MAPinasi.
9. Le MAPinasi una volta fosforilate vanno a migrare nel nucleo dove fosforilano anch’esse, essendo
chinasi, dei fattori trascrizionali come fos e jun che una volta fosforilati eterodimerizzano e vanno a
regolare la trascrizione legandosi ai promotori dei geni di risposta primaria al fattore di crescita che
si era originariamente legato al recettore.
Quindi che cosa attiveranno se, per esempio, si lega un fattore che promuovere la proliferazione delle
cellule epiteliali? Si legheranno ai promotori dei geni che causano l'entrata nel ciclo cellulare e quindi
causano l'avvio della moltiplicazione cellulare e altri geni che regolano positivamente la proliferazione
cellulare.
Quindi, questi geni a seguito di questa segnalazione specifica vengono attivati, attraverso l'attivazione del
loro specifico promotore, vengono trascritti e vengono tradotti e quindi il risultato di questa catena è che la
cellula prendere una determinata via o proliferativa o differenziativa a seconda del tipo di recettore che è
stato attivato, cioè a seconda del tipo di molecola che si è legata originariamente al recettore stesso.
La specificità di risposta della cellula dipende dalla cellula stessa, ovviamente anche dal livello
differenziativo della cellula stessa, perché una cellula staminale non reagisce allo stesso modo allo stesso
fattore di crescita rispetto a una cellula differenziata e dipende appunto dal tessuto dove si trova e da altri
segnali che la cellula riceve.
Quindi l'attivazione di Ras avviene attraverso il legame col GTP che gli viene donato da una GNRP Guanine
Nucleotide Releasing Protein, per esempio SOS.
Ras inattivo lega la GNRP e diventa attivo per il legame con GTP.
MODALITÀ DI TRASDUZIONE DEL SEGNALE DEI RECETTORI ASSOCIATI A TIROSINCINASI
Sono i recettori di quasi tutti i fattori di crescita emopoietici delle cosiddette citochine.
Questi recettori mancano di un dominio catalitico a differenza dei recettori tirosin-cinasici propriamente
detti.
In questo caso l’attività tirosincinasica viene esercitata da tirosin-cinasi associate al loro dominio
intracitoplasmatico; un esempio di queste tirosin-cinasi associate sono le proteine JAK, Jenus Associated
Kinase.
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Lezione 6 23/03/2021
Citochine di famiglie che usano questo tipo di recettore sono interleuchine che sono i fattori di crescita per
il tessuto emopoietico:
•
•
•
•
GM-CSF Granulocyte-monocyte colony-stimulating factor cioè il fattore di crescita per granulociti e
monociti che regola il differenziamento e la crescita di granulociti e monociti;
G-CSF Granulocyte colony-stimulating factor, che regola il differenziamento e la crescita di
granulociti;
ormone della crescita;
prolattina;
I recettori associati a tirosincinasi tipo II sono invece per esempio:
•
•
•
•
recettori dell'interferone alfa
recettori dell’interferone beta
recettori dell'interferone gamma
recettori dell'interleuchina 10.
Ci sono poi i recettori TNF:
•
•
•
TNF-α recettori del tumor necrosis factor, una particolare molecola che si lega appunto al suo
recettore causando l’apoptosi, stimola non la proliferazione ma la morte cellulare delle cellule alle
quali si lega.
Fas ligand lo ritroveremo come recettore di morte anche esso nell’apoptosi,
NGF never growth factor è un recettore di questo tipo che però non porta a morte la cellula ma è
presente sulle cellule nervose dove attua appunto la regolazione della crescita e del
differenziamento.
Recettori di questo tipo sono anche i recettori della superfamiglia delle immunoglobuline:
•
•
•
•
M-CSF, il monocite colony stimulating factor, che regola proliferazione e differenziamento dei
monociti;
interleuchina-1;
stem cell factor, fattore di crescita per le cellule staminali
recettori delle chemochine, che sono sempre dei fattori di crescita, di stimolazione, che
presentano multipli segmenti transmembrana.
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Lezione 6 23/03/2021
FUNZIONAMENTO VIA DI TRASDUZIONE DEL SEGNALE MEDIATA DA RECETTORI
ASSOCIATI A TIROSIN-CINASI
Questo è l'esempio classico di via di trasduzione del segnale che utilizza questo tipo di meccanismo; in
particolare questa via utilizza le JAK come proteine legate al recettore e STAT come proteina che trasporta
il segnale lungo il citoplasma fino al nucleo.
1. In questo caso il legame del ligando, quindi sempre della molecola segnale, citochina, interleuchina,
ecc.., provoca la dimerizzazione del recettore;
2. Le JAK sono legate alla porzione intracitoplasmatica, in seguito al legame della citochina abbiamo la
transfosforilazione delle porzioni intracitoplasmatiche del recettore;
La Y è il simbolo letterale della tirosina. Y legato a P significa tirosina fosforilata, quindi in seguito al
legame del ligando le JAK si attivano e attuano la loro azione catalitica che è quella di tirosin-cinasi
andando a fosforilare in tirosina la porzione intracitoplasmatica del recettore.
3. Questa tirosina fosforilata lega delle proteine che possiedono un SH2, in questo caso le proteine
STAT;
4. Una volta che STAT viene legato in queste condizioni dal recettore attivato viene fosforilato a sua
volta, quindi STAT lega la tirosina fosforilata sul recettore e a sua volta viene fosforilato.
Quindi se per esempio abbiamo due molecole di STAT che si sono legate al recettore attivato
abbiamo due molecole che possono dimerizzare tra loro perché hanno ciascuna un domain SH2 e
una tirosina fosforilata, quindi in questo modo due molecole di STAT fosforilate interagiscono tra
loro;
5. Questo omodimero, che può essere anche un eterodimero perché di proteine STAT ne esistono di
vari tipi, in generale è di fatto un fattore trascrizionale che quindi migra nel nucleo e va a legarsi a
regioni specifiche di promotori che regolano l'espressione, in questo caso, delle citochine o dei geni
di risposta a quella particolare citochina che si è legata originariamente sul recettore;
Anche in questo caso la specificità della risposta della cellula, cioè la modulazione specifica dell'espressione
genica con la trascrizione di specifici geni (genericamente CRG Cytokine-responsive gene), risiede appunto
nel legame specifico tra citochina e il suo recettore, quindi espressione dello specifico recettore, specificità
degli STAT che si legano al recettore attivato e quindi l’attivazione di particolari e specifici promotori sul
genoma che portano quindi alla trascrizione e alla traduzione di proteine che vanno a fare la funzione
dettata dal fattore di crescita, in questo caso la citochina, che si era originariamente legato alla porzione
extracitoplasmatica del recettore stesso.
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Morini, Tondi, Simonini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 7 29/03/2021
I CROMOSOMI
In questa lezione
parleremo della struttura
cromatinica del DNA
(quindi dei cromosomi),
delle fasi della mitosi e
degli eventi che le
caratterizzano e, molto
più in particolare, della
regolazione genetica della
mitosi.
Il DNA umano è lungo 3 miliardi di paia di
basi, quindi deve essere organizzato
all’interno del nucleo per non
aggrovigliarsi. Il DNA, infatti, è
impacchettato in strutture chiamate
nucleosomi, i quali funzionano come dei
piccoli rocchetti attorno ai quali il DNA si
avvolge e si struttura.
Ogni nucleosoma è formato da un nucleo
proteico, il quale è costituito da 8
molecole di istoni. Il DNA che si avvolge
attorno ad un nucleosoma è lungo circa
146 paia di basi. I nucleosomi sono
collegati tra di loro da segmenti di DNA
chiamati DNA linker, che hanno la funzione di legare un nucleosoma all’altro con una struttura molto simile
a quella in figura (sopra).
Questa struttura appena descritta è quella della cromatina interfasica (non addensata). Sappiamo, però,
che la cromatina può esistere in due diverse fasi:


La cromatina non addensata, chiamata eucromatina, attiva dal punto di vista trascrizionale
La cromatina più addensata, chiamata eterocromatina, inattiva dal punto di vista trascrizionale
Inoltre, durante la mitosi, la cromatina si condensa fino ad arrivare al suo massimo stato di condensazione,
che è il cromosoma metafasico.
Come si arriva dall’eucromatina allo stato di condensazione del cromosoma metafasico? Ci sono vari stadi
di condensazione della cromatina, mediati da eventi molecolari, che ora descriveremo:



I nucleosomi (diametro 11 nm) si associano a formare una fibra di 30 nm quando l’istone H1,
che è una molecola istonica che non fa parte del nucleosoma, si associa con il DNA linker dando
origine ai nucleosomi impacchettati.
Queste fibre di 30 nm si associano e formano grandi anse a spirale, tenute insieme dalle
proteine dell’impalcatura, che sono proteine diverse dalle proteine istoniche
Le anse interagiscono tra di loro per formare la cromatina condensata e i cromosomi metafasici
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Morini, Tondi, Simonini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 7 29/03/2021
I cromosomi cominciano ad essere visibili nella profase
mitotica: ognuno di essi si è duplicato nella precedente fase S e
consiste di una coppia di unità identiche (come si vede nella
figura dove viene rappresentato il cariotipo), chiamate
cromatidi fratelli, strettamente uniti in corrispondenza del
centromero.
I cromosomi sono presenti in coppie nelle cellule somatiche,
mentre nelle cellule germinali sono presenti in singola copia.
Nelle cellule somatiche i membri di una coppia, chiamati
cromosomi omologhi, sono simili per dimensione, forma e
posizione dei loro centromeri.
Per quanto riguarda la specie umana, il numero cromosomico è
46. I 46 cromosomi dell’uomo, quindi, costituiscono 23 diverse
coppie. È importante sapere che i cromosomi omologhi portano le informazioni per gli stessi geni,
sebbene la sequenza di geni possa non essere identica tra un omologo e l’altro (i cosiddetti alleli degli stessi
geni). I cromatidi fratelli, invece, sono perfettamente identici perché derivano da una duplicazione che
avviene durante la fase S.
La coppia di cromosomi omologhi è formata da un omologo paterno e da un omologo materno: significa
che il primo è stato ereditato dal padre e il secondo dalla madre.


Un set di cromosomi “normale” contiene un membro per ogni paio di omologhi: se una cellula
contiene 2 cromosomi di ogni tipo, si dice che possiede un corredo cromosomico diploide (2n)
(come nel cariotipo rappresentato in figura), se ne possiede 1 per tipo è invece aploide (n), così
come sono i gameti (spermatozoi e ovuli)
Per l’uomo, come abbiamo detto, il numero diploide è 46, di cui 44 (22 coppie) sono gli autosomi e
2 (1 coppia) sono i cromosomi sessuali
MITOSI E CITOCINESI
Per quanto riguarda la mitosi, quello che abbiamo studiato fino ad ora sono le fasi meccanicistiche di
questo processo. Quello che dobbiamo capire ora è come la proliferazione cellulare sia un processo
finemente controllato da un programma genetico.


Come altri meccanismi fisiologici molto importanti per la cellula, tra i quali il differenziamento e
l’apoptosi, anche il controllo dei meccanismi della proliferazione cellulare è cruciale per il
mantenimento dell’omeostasi tissutale
I processi che regolano la divisione cellulare sono
fondamentalmente simili in tutti gli eucarioti e questo
ha permesso, a chi ha scoperto i meccanismi di
regolazione genetica della proliferazione, di studiare
la proliferazione degli eucarioti superiori in eucarioti
inferiori, che sono organismi molto più semplici, come
per esempio i funghi unicellulari. Quindi è stato
possibile ricavare informazioni sui meccanismi di
proliferazione cellulare studiando organismi eucarioti
inferiori, i quali utilizzano meccanismi molto simili a
quelli che usano le cellule degli organismi eucarioti
superiori
2
Morini, Tondi, Simonini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 7 29/03/2021
LE FASI DEL CICLO CELLULARE
Le fasi del ciclo cellulare sono principalmente 4:
1. G1: marcato accrescimento della cellula, che sintetizza tutti i
componenti strutturali ed enzimatici per la duplicazione del
DNA.
2. S: duplicazione del DNA e sintesi delle proteine
cromosomiche, che sono indispensabili per l’assemblaggio
della cromatina
3. G2: sintesi di proteine necessarie per la mitosi, che è la fase
immediatamente successiva.
4. Mitosi: segregazione dei componenti citoplasmatici e del
materiale nucleare in due cellule figlie
Il ciclo cellulare è una serie ordinata di eventi o fasi che
portano alla duplicazione cellulare.
È importante ricordare che la cellula non può passare alla
fase successiva se non ha correttamente completato la fase
precedente. Per questo motivo, durante il ciclo cellulare, ci
sono dei punti di controllo che la cellula deve “superare”
per poter passare alla fase successiva.
Ora andiamo a vedere brevemente i vari eventi che
avvengono durante le fasi della mitosi.
LA PROFASE
Durante la profase mitotica avviene la
condensazione cromatinica e il disassemblaggio
del citoscheletro.
Più avanti vedremo quali sono gli eventi
molecolari che causano sia la condensazione
cromatinica che il disassemblaggio del
citoscheletro interfasico.
LA PROMETAFASE
Durante la prometafase avviene il
disassemblaggio dell’involucro nucleare (anche
questo è un fenomeno regolato geneticamente
da eventi che tratteremo più avanti) e l’attacco
dei cromosomi ai microtubuli del fuso, i quali li
trascineranno ai poli della cellula che si sta
dividendo.
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Morini, Tondi, Simonini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 7 29/03/2021
LA FORMAZIONE DEL FUSO MITOTICO
In figura sono rappresentati due tipi di microtubuli:


I microtubuli colorati in rosso, che sono i microtubuli
del cinetocore: collegano i cinetocori ai poli della
cellula che si sta dividendo
I microtubuli colorati in blu, che sono i microtubuli
polari: provengono dai poli e si sovrappongono sul
piano equatoriale
I CROMOSOMI SI ATTACCANO AI MICROTUBULI DEL
CINETOCORE
I cromosomi si attaccano ai microtubuli del cinetocore e attraverso
questi vengono trascinati, dalla metafase fino alle fasi finali della mitosi,
ai due poli della cellula in divisione.
A ciascun centromero è associato un cinetocore, che serve come punto
d’attacco per i microtubuli.
LA METAFASE
La metafase è caratterizzata dall’allineamento dei
cromosomi (che sono presenti nel loro massimo stato
di condensazione) sulla piastra metafasica.
Inoltre, i cinetocori mantengono uniti i cromatidi
fratelli di ciascun cromosoma.
L’ANAFASE
Durante l’anafase i 2 cinetocori su ogni
cromosoma si separano, e quindi i
cromatidi fratelli si separano. Inoltre,
avviene una crescente separazione tra i
due poli del fuso per allungamento dei
microtubuli polari (questo permette alla
cellula madre di allungarsi e
successivamente di dividersi in due cellule
figlie) e, viceversa, i microtubuli del
cinetocore si accorciano per trascinare i
cromosomi ai due poli opposti della
cellula in divisione.
4
Morini, Tondi, Simonini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 7 29/03/2021
LA TELOFASE
Durante la telofase, l’ultima fase della
mitosi, avvengono i seguenti eventi:





I cromosomi segregati arrivano ai
poli
I microtubuli del cinetocore, che
hanno già svolto la loro funzione di
trascinamento dei cromosomi in
corrispondenza dei nuovi nuclei
che si stanno formando delle due
cellule figlie, scompaiono
I microtubuli polari si allungano ancora
L’involucro nucleare si riforma
La cromatina, essendo già segregata ai due poli della cellula madre, si decondensa e riappaiono i
nucleoli
LA CITOCHINESI
La citochinesi o citocinesi, è un processo di
divisione del citoplasma che normalmente
segue la mitosi.
Durante la citocinesi avviene la vera e propria
divisione della cellula madre in due cellule
figlie.
Un anello contrattile preformato in
corrispondenza della zona equatoriale della
cellula madre comincia a restringersi
causando un solco di divisione fino a separare
fisicamente le due cellule figlie.
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Morini, Tondi, Simonini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 7 29/03/2021
REGOLAZIONE DEL CICLO CELLULARE
Ora descriveremo la regolazione del ciclo cellulare (regolazione genetica) da parte del tessuto. Infatti,
quando non sono presenti patologie (quindi nella fisiologia) il tessuto regola attentamente i processi
fondamentali della cellula: la moltiplicazione (cioè la proliferazione), l’apoptosi e il differenziamento
cellulare, in modo tale da avere sempre un tessuto funzionalmente attivo senza alterare l’omeostasi del
tessuto stesso.
Per parlare della regolazione genetica della proliferazione cellulare, anticipiamo che la regolazione della
progressione durante il ciclo cellulare (quindi la regolazione della proliferazione della divisione cellulare) è
affidata a protein chinasi eterodimeriche, ovvero degli eterodimeri composti da:


subunità regolativa chiamata ciclina, poiché il suo livello di espressione oscilla in modo specifico
durante le fasi del ciclo cellulare. Quindi l’espressione delle cicline è fase-specifica (ci sono cicline
del G1, cicline della S, cicline della M). Una ciclina, quindi, esercita la sua attività nella fase in cui è
espressa e poi viene rapidamente degradata.
subunità catalitica con attività chinasica (più precisamente serin-treonin-chinasica) dipendente
dall’associazione con la ciclina, quindi chiamate Cdk o Cyclin Dependent Kynase (chinasi dipendenti
dalle cicline).
La attività dei complessi eterodimerici è controllata da eventi fosforilativi e dall’associazione con proteine
regolatrici.
REGOLAZIONE DEL CICLO NEI MAMMIFERI
I primi studi sulla regolazione del ciclo cellulare nei mammiferi sono stati eseguiti su eucarioti inferiori, nei
quali una singola Cdk (che si chiama, a seconda della specie, Cdc2 o Cdc28) regola le varie fasi del ciclo
cellulare e le transizioni da una fase all’altra associandosi sequenzialmente a cicline del G1, cicline della S,
cicline della M.
Nei mammiferi (eucarioti superiori) si ha una situazione più complicata: esiste un’intera famiglia di Cdk che
regola la progressione attraverso il ciclo cellulare mediante l’associazione alle cicline delle varie fasi.
Negli eucarioti superiori, e in particolare nei mammiferi,
l’entrata nel ciclo è subordinata all’azione dei fattori di
crescita. Ciò significa che le cellule di un tessuto non sono
sempre attivamente proliferanti. Nei tessuti ci sono vari
pool, quindi degli insiemi di cellule diverse per attività
fisiologica: ci sono pool di cellule proliferanti e pool di
cellule quiescenti (che non stanno proliferando). Le
cellule quiescenti si trovano in G0, che è una fase
funzionale che non fa parte del ciclo cellulare (quindi le
cellule in G0 non sono cellule in ciclo).
Il reclutamento in ciclo, quindi l’attivazione della
proliferazione di cellule quiescenti, avviene in risposta
alla stimolazione di specifici fattori di crescita di cui
abbiamo parlato nella lezione sulla comunicazione intracellulare (Lez. 6, Pag. 12), fattori di crescita
dipendenti dal tipo di cellula come l’EGF (epidermal growth factor), l’NGF (nerve growth factor)… che
stimolano la trascrizione quindi l’espressione di geni di risposta ai fattori di crescita come le cicline D (le
prime cicline che vengono espresse per entrare in G1) e quindi l’entrata in ciclo.
6
Morini, Tondi, Simonini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 7 29/03/2021
La stimolazione di cellule quiescenti da parte di fattori di crescita induce la trascrizione, quindi l’espressione
di geni di risposta primaria, cioè i primi geni espressi in corrispondenza dell’attivazione di recettori tirosinchinasici (ad esempio recettori dell’Epidermal Growth Factor, recettori del Platelet-Derived Growth Factor)
o recettori associati a tirosin-chinasi (ad esempio recettori delle citochine, cioè di tutte le interleuchine,
fattori di crescita emopoietici).
I geni di risposta primaria sono anche fattori trascrizionali (es. myc, fos, jun), che inducono la trascrizione di
geni di risposta secondaria. Questi ultimi sono geni la cui trascrizione avviene in risposta all’attivazione
trascrizionale dei fattori trascrizionali che sono i geni di risposta primaria. Tipici geni di risposta secondaria
nell’entrata in ciclo sono i geni delle cicline D.
TRANSIZIONE G1/S
Gli elementi chiave della progressione G1 sono le
cicline D. Queste si associano a Cdk4 e Cdk6 a metà
del G1. Successivamente viene indotta la ciclina E che
si associa con Cdk2 e agisce al punto di restrizione
appena prima della transizione G1/S. Il punto di
restrizione è idealmente quel punto di G1, superato il
quale la cellula non ha più bisogno di fattori di
crescita per passare alla fase S e quindi giungere a
dividersi. Se prima del punto di restrizione vengono a
mancare i fattori di crescita la cellula si blocca in G1 e
non è capace poi di transitare nelle altre fasi e
arrivare alla fase M, cioè alla divisione.
Gli eventi che caratterizzano la progressione del G1 preparano la cellula alla fase S, quindi devono rendere
la cellula capace di far fronte agli eventi della fase sintetica.
Uno dei substrati dei complessi del G1 (Cicline E D con
Cdk associati) è RB. RB è un gene che è stato
caratterizzato inizialmente in un tumore retinico
(retinoblastoma) in cui è deregolato perché ha subito
una mutazione. RB nella forma defosforilata funziona
da repressore della proliferazione. Questo perché nella
forma defosforilata, RB sequestra un fattore
trascrizionale per la progressione G1 chiamato E2F.
Slide: RB inibisce proteine importanti per la progressione G1 e la transizione G1/S (tra cui E2F) associandosi
ad esse
E2F è un fattore trascrizionale indispensabile per l’attivazione trascrizionale degli enzimi necessari per la
duplicazione del DNA (ligasi, polimerasi, primasi…). A metà del G1 vengono attivati i complessi
eterodimerici Cdk4/6+ciclina D e Cdk2+ciclina E. A questo punto, RB viene a trovarsi in una forma
fosforilata nella quale non è più capace di sequestrare E2F che viene quindi rilasciato e va ad attivare la
trascrizione dei geni necessari per la sintesi del DNA. Così la cellula (a metà di G1) diviene pronta per
passare la transizione G1/S e quindi affrontare la fase S.
Se RB è mutato (ed inattivato) non sequestra mai E2F, per cui la proliferazione è continuamente stimolata
così come avviene nei tumori, e non è regolata dai fattori di crescita del tessuto.
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Morini, Tondi, Simonini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 7 29/03/2021
Slide: Nelle cellule normali RB viene fosforilato in tardo G1 per permettere la transizione G1/S e viene poi
defosforilato alla fine della M
TRANSIZIONE G2/M
Quando la cellula entra in S, il Cdk2 si dissocia dalla
ciclina E si associa alla ciclina A e permette la
progressione in S.
Alla fine del G2 le cicline A e B si associano con Cdk1
per formare MPF o Mitosis Promoting Factor (fattore
promuovente la mitosi). Questo è il primo
eterodimero che fu identificato e studiato come
regolatore della mitosi.
L’attività di MPF comincia alla transizione
interfase/mitosi e raggiunge il massimo in metafase ed
inizia a diminuire all’inizio dell’anafase.
REGOLAZIONE OPERATA DA MPF
MPF regola le varie fasi della mitosi attivando in un primo momento (durante la profase) gli eventi mitotici
e inattivando alla fine della mitosi (in anafase) questi stessi eventi mitotici.
I substrati di MPF sono:
• Lamina nucleare: lamina formata dalle tre lamine nucleari A, B e C, che forma un sostegno alla membrana
nucleare interna. MPF causa la depolimerizzazione di questi filamenti intermedi mediante la sua azione
fosforilante, quindi si disintegra la lamina nucleare in profase e di conseguenza si disassembla l’involucro
nucleare.
• Istone H1: mediatore della condensazione cromosomica (ma solo nella sua forma fosforilata). MPF
fosforila H1 e permette la condensazione cromatinica fino alla formazione del cromosoma metafasico.
• Proteine associate ai microtubuli, al Golgi e al RE: la fosforilazione di queste proteine favorisce la
formazione del fuso mitotico e il disassemblaggio completo del sistema membranoso citoplasmatico,
quindi tutto il traffico vescicolare in mitosi deve assolutamente cessare. Tutti i microtubuli della cellula
servono per la formazione del fuso mitotico e la cellula si concentra nella segregazione citoplasmatica e
nucleare, per cui tutti gli altri fenomeni di traffico devono cessare.
Alla fine della metafase è MPF stesso che induce la propria degradazione. CDK e MPF agiscono come chinasi
solo se associati alle cicline. In questo caso MPF, con un meccanismo che vedremo, induce la degradazione
delle cicline A e B attraverso l’attivazione di un sistema di ubiquitinazione.
I sistemi di ubiquitinazione all’interno della cellula sono dei sistemi che marcano le proteine che devono
essere degradate dalla cellula all’interno di un complesso proteosomale. Quindi MPF induce la fine della
mitosi attraverso la degradazione delle cicline A e B, attivando la ubiquitinazione di queste cicline e quindi il
loro avvio verso il complesso proteasomale.
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Morini, Tondi, Simonini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 7 29/03/2021
LA REGOLAZIONE DELLA ATTIVITÀ’ DI APC CONTROLLA LA DEGRADAZIONE DELLA
CICLINA B
In metafase abbiamo ancora un’alta attività di
MPF a causa dell’alto livello di ciclina B.
A questo punto MPF fosforila un complesso
detto APC (Anaphase Promoting Complex) che,
una volta fosforilato, causa (attraverso
variazioni enzimatiche) la poliubiquitinazione
della ciclina B (in questa figura), ma anche della
ciclina A, indirizzandola verso il proteasoma
dove viene degradata.
A questo punto viene indotta l’anafase perché
l’attività di MPF decresce gradualmente a causa
della mancata associazione con la ciclina B.
Finisce quindi la mitosi e vengono revertiti tutti
gli eventi mitotici causati da MPF:



viene riformata la lamina nucleare,
quindi si riassembla l’involucro nucleare attorno ai due nuclei delle cellule figlie;
si disassembla il fuso mitotico perché non ce n’è più bisogno, quindi i microtubuli vengono
defosforilati e riformano il citoscheletro interfasico;
vengono defosforilate tutte le proteine associate al Golgi e al RE con riformazione del sistema
membranoso citoplasmatico.
La cellula, quindi, rientra in interfase.
I PUNTI DI CONTROLLO (CHECKPOINTS) DEL CICLO CELLULARE
I punti di controllo sono punti in cui la cellula
controlla che la fase precedente sia stata
correttamente completata prima di passare alla fase
successiva.
Ci sono vari punti di controllo:


In M - la cellula viene arrestata nella sua
progressione verso la divisione, alla quale
non arriva se il fuso mitotico è
impropriamente assemblato. Ciò, infatti,
causerebbe una catastrofe genetica, cioè una
segregazione anomala dei cromosomi. La
cellula viene arrestata in M.
In G1 e in G2 – questi due checkpoint vengono attivati in conseguenza del danno al DNA grazie
all’azione di un importante regolatore della stabilità genomica (proteina p53).
Un danno al DNA (provocato da agenti chimici o fisici) viene rilevato e successivamente vengono
attivati questi checkpoint per impedire che la cellula vada in S o a dividersi con un DNA
danneggiato.
9
Morini, Tondi, Simonini

BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 7 29/03/2021
In S – questo checkpoint provoca l’arresto della cellula in S e funge da controllo per impedire che
una cellula che non abbia completato correttamente tutta la replicazione del DNA vada a dividersi.
Slide: esistono durante il ciclo dei checkpoint controls che assicurano che ogni fase del ciclo sia completata
correttamente prima dell’inizio di quella successiva.
Riassumendo:



La presenza di DNA non replicato impedisce l’entrata in M grazie all’attivazione del checkpoint
in S.
L’erroneo assemblaggio del fuso mitotico porta l’arresto in anafase (prima che la cellula si
divida).
L’arresto in G1 e in G2 delle cellule con DNA danneggiato dipende da p53.
IL RUOLO DI P53 E P21 NEI G1 E G2 CHECKPOINTS
P53 è una proteina che viene
stabilizzata (quindi aumenta la sua
emivita) all’interno della cellula
quando avviene un danno al DNA. È
essenzialmente un sensore
dell'integrità genomica perché scorre
in forma di tetramero sul DNA
evidenziando eventuali mutazioni.
Quando evidenzia delle mutazioni la
sua emivita aumenta.
P53, oltre ad essere un sensore di mutazioni, è anche un fattore trascrizionale capace di attivare la
trascrizione di particolari geni. Quando in G1 o in G2 evidenzia un danno al DNA va ad attivare
trascrizionalmente p21-CIP che è un inibitore delle attività dei complessi Cdk/cicline, quindi blocca in
questo modo il ciclo cellulare, arresta la progressione in G1 e in G2 per permettere alla cellula di riparare il
danno al DNA. Esistono 4 sistemi di riparo del DNA (3 a singolo filamento e 1 a doppio filamento) che
intervengono quando la cellula presenta mutazioni e nella maggior parte dei casi riparano il DNA in modo
corretto.
ATTIVITÀ’ ANTIPROLIFERATIVA DEL TGFβ
Esistono anche delle molecole che hanno attività antiproliferative come TGFβ (Transforming Growth Factor
Beta) che induce una serie di proteine ad attività antiproliferativa (p16, p15, p18 e p19), inibitori dei
complessi Cdk/cicline. Il TGFβ induce anche p27, un altro inibitore dell’assemblaggio dei complessi
Cdk/cicline, quindi della loro attività. Tutte queste proteine insieme a p21-CIP inibiscono la progressione
attraverso il ciclo e quindi inibiscono la proliferazione cellulare.
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Morini, Tondi, Simonini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 7 29/03/2021
Possiamo concludere che i
principali meccanismi che
attivano il controllo del ciclo
cellulare si esercitano nella fase
G1, ad opera di fattori esterni cioè
i GF o Growth Factor (fattori di
crescita) che quindi inducono
l’espressione delle cicline in G1, in
particolare le cicline D, prima del
punto di restrizione. Superato
questo punto, la cellula non ha
più bisogno di fattori di crescita
ed è geneticamente determinata
a progredire lungo le fasi
successive (S, G2 e M) fino alla
divisione (sempre che superi con
successo i vari punti di controllo
del ciclo cellulare).
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Pifferi, Tirelli, Fiorini
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 8, 31/03/2021
APOPTOSI
L’apoptosi è il meccanismo di morte cellulare programmata, la modalità fisiologica di morte cellulare. Il
nome stesso “apoptosi” deriva dal greco e significa “caduta dei petali dei fiori quando sfioriscono, caduta
delle foglie dagli alberi in autunno”, descrive quindi un fenomeno fisiologico.
Fino al 1980 si credeva che le cellule degli organismi pluricellulari fossero entità immortali; nel corso degli
anni 80 si scoprì che le cellule invece invecchiano e muoiono per apoptosi.
La morte cellulare che avviene in seguito a ipossia (mancanza di ossigeno), ischemia (mancanza di
irrorazione sanguigna), ipertermia (aumento della temperatura del tessuto), avvelenamento è detta
necrosi, una morte della cellula o di gruppi di cellule accidentale, dovuta a queste cause. Prima degli anni
80 si conosceva questa unica modalità di morte cellulare, si pensava quindi che le cellule potessero morire
per sole cause accidentali, quindi tramite la necrosi.
In quello stesso periodo, grazie allo studio di colture cellulari, si scoprì l’esistenza di un’altra causa di morte
cellulare, l’apoptosi, e che le due modalità di morte cellulare (apoptosi e necrosi) erano molto diverse dal
punto di vista morfologico e biochimico:
-
la morte per necrosi è una morte che la cellula subisce passivamente senza attivare nessun
programma genetico o metabolico.
-
la morte per apoptosi è una morte programmata che la cellula attua attivando meccanismi di
espressione genica che modificano l’espressione e la biochimica della cellula stessa.
RUOLO BIOLOGICO DELL’APOPTOSI
L’apoptosi rappresenta un meccanismo endogeno di suicidio cellulare che la cellula stessa programma ed
esegue, ben distinto dalla necrosi, che gioca un ruolo importante in una serie di processi biologici
fondamentali, quali:
-
Embriogenesi: durante l’embriogenesi c’è un forte rimaneggiamento di tessuti che devono
scomparire man mano che l’organismo raggiunge la sua maturità di organismo adulto. Durante
l’embriogenesi umana l’embrione ha le mani palmate; a un
certo punto dell’embriogenesi le pieghe interdigitali devono
scomparire, scompaiono per induzione di apoptosi nelle
cellule che le costituiscono.
-
Rimodellamento tissutale e metamorfosi: quest’ultimo è un
processo che avviene solo in alcuni animali, come gli anfibi. Il
girino deve perdere la coda per diventare adulto, la perdita
della coda avviene per apoptosi delle cellule che costituiscono
la coda stessa.
-
Turn-over cellulare: consiste nel ricambio cellulare che viene fatto periodicamente in un tessuto
per mantenerne la funzionalità. Le cellule non sono immortali e dopo una serie di duplicazione
invecchiano e muoiono; le cellule che muoiono per apoptosi all’interno di un tessuto devono essere
sostitute, altrimenti il tessuto va incontro a morte. All’interno del tessuto deve esistere un
equilibrio tra le cellule staminali che producono tutte le cellule differenziate del tessuto, le cellule
che muoiono per apoptosi, le cellule che proliferano e le cellule che si differenziano. Le cellule che
muoiono devono essere in equilibrio con tutti gli altri pool (omeostasi tissutale).
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Pifferi, Tirelli, Fiorini
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 8, 31/03/2021
-
Selezione timica: è un fenomeno che avviene all’interno del timo durante la maturazione del
sistema immunitario, qui avviene la maturazione dei linfociti T. Per apoptosi vengono eliminati quei
linfociti T che non hanno riarrangiato produttivamente il loro recettore (T cell receptor), deputato
ad interagire con tutti i possibili antigeni che l’organismo potrà incontrare. Il T cell receptor può
riarrangiarsi per effetto di un arrangiamento genico non ottimale e produrre una proteina che
reagisce anche con proteine self (del nostro organismo), sviluppando così malattie autoimmuni.
Questi linfociti T che reagiscono con il self vengono eliminati tramite apoptosi.
-
Uccisione del target nelle reazioni di citotossicità (cellule infettate da virus e cellule tumorali): i
linfociti T sono deputati all’eliminazione dall’organismo di cellule infettate da virus e cellule
tumorali con DNA mutato ecc. Il meccanismo con cui i linfociti T Killer eliminano queste cellule è
l’induzione di apoptosi.
PRINCIPALI SEGNALI CHE INFLUENZANO L’ATTIVAZIONE DELL’APOPTOSI
-
Radiazioni ionizzanti: segnali che danneggiano il DNA, radiazioni che inducono delle mutazioni sul
DNA, attivando dei pathway di controllo della stabilità genomica e di induzione di apoptosi nel caso
in cui queste mutazioni indotte da radiazioni non possano essere riparate in tempo breve.
-
Infezione da virus: tutti i virus causano apoptosi nelle cellule che infettano.
-
Fattori di crescita: la loro deprivazione provoca apoptosi. Vengono chiamati anche fattori di
sopravvivenza poichè contribuiscono a fare moltiplicare e sopravvivere le cellule.
-
Ormoni
-
Interazioni recettoriali: ad esempio interazione con recettori di morte, utilizzati dai linfociti T per
uccidere i loro bersagli.
TAPPE CRONOLOGICHE DELL’APOPTOSI
La cellula apoptotica passa attraverso una serie di stadi morfologicamente identificabili al microscopio
ottico ed elettronico.
1) Nella fase iniziale dell’apoptosi una singola cellula perde i contatti con le altre cellule del tessuto, si
rompono le interazioni intercellulari.
2) Il nucleo si condensa (picnosi), in cui avviene la condensazione della cromatina e successivamente
si frammenta (carioressi).
3) La cellula si contrae, si ha la fuoriuscita di acqua dalla cellula stessa (disidratazione del citoplasma)
e condensazione delle proteine.
4) La maggior parte degli organuli intercellulari rimane intatta (a differenza di quanto avviene nella
necrosi), ad eccezione della dilatazione del reticolo endoplasmatico e dei mitocondri. I mitocondri
durante l’apoptosi perdono la tipica forma a bastoncello per assumere una forma più sferica.
5) Verso la fase terminale della morte cellulare la membrana si increspa (ruffling) e forma delle
estroflessioni (blebbing) che si distaccano dalla cellula che va incontro a morte.
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Pifferi, Tirelli, Fiorini
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 8, 31/03/2021
6) La membrana plasmatica forma dei frammenti o corpi apoptotici che contengono porzioni di
citoplasma e porzioni di nucleo, che si distaccano dalla cellula circondati da membrana in quanto
vengono gemmati dalla membrana plasmatica stessa.
7) I frammenti o corpi apoptotici si portano nei tessuti e vengono fagocitati dai macrofagi che li
degradano completamente.
Il processo apoptotico può essere anche molto rapido, le cellule che muoiono possono scomparire
fisicamente entro alcune ore dall’attivazione del processo.
Siccome i corpi apoptotici liberati dalla cellula sono sempre circondati da membrana, l’apoptosi non porta
mai alla liberazione di prodotti cellulari all’esterno della cellula. La cellula apoptotica non causa una risposta
infiammatoria, al contrario di ciò che avviene nella necrosi, dove la cellula “scoppia” e rilascia tutto il suo
contenuto (compresi enzimi lisosomiali e citoplasmatici) all’esterno della cellula.
La finalità dell’apoptosi è quella di predisporre l’eliminazione della cellula in assenza di fuoriuscita di
materiale potenzialmente pro-infiammatorio o immunostimolante; finalità perseguita in modo
metabolicamente attivo.
L’APOPTOSI DIPENDE DA UN PROGRAMMA GENETICO
La sequenza di eventi che segnano l’innesco e la progressione del fenomeno apoptotico è soggetta ad una
regolazione molto accurata.
Si parla di apoptosi come morte cellulare programmata (PCD, Programmed Cell Death), cioè di un evento
che richiede l’innesco di un programma genetico da parte della cellula stessa.
La teoria oggi universalmente accettata è quella che il programma genetico di morte sarebbe sempre in
esecuzione se non venisse sempre contrastato da stimoli promuoventi la sopravvivenza come fattori di
crescita e fattori di sopravvivenza.
L’APOPTOSI E’ UN PROCESSO ATTIVO
L’apoptosi si può verificare a seguito della perdita di segnali trofici (segnali nutritivi per la cellula, es fattori
di crescita), che sopprimono l’espressione del programma apoptotico.
A differenza della necrosi l’apoptosi è un processo attivo, richiede energia metabolica, sintesi di RNA e
proteine.
L’innesco del fenomeno apoptotico è seguito da modificazioni della permeabilità di membrana, con uscita
rapida e selettiva di ioni ed acqua dalle cellule, che porta alla condensazione citoplasmatica e all’aumento
della densità cellulare.
La condensazione del citoplasma avviene parallelamente alla condensazione e frammentazione della
cromatina nucleare. La frammentazione del DNA avviene a livello nucleare, dopo la picnosi del nucleo, e si
verifica a livello dei siti internucleosomici, a livello del DNA linker tra un nucleosoma e l’altro. Si ha la
formazione di frammenti di DNA di lunghezza pari a multipli interi di nucleosomi (180-200 pb).
L’omeostasi tissutale tra la produzione di nuove cellule e l’eliminazione di cellule invecchiate per apoptosi è
uno degli obiettivi principali di ogni organismo cellulare.
3
Pifferi, Tirelli, Fiorini
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Lezione 8, 31/03/2021
CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE E BIOCHIMICHE DELL’APOPTOSI
DIFFERENZE TRA NECROSI E APOPTOSI (tabella riassuntiva)
Integrità della membrana plasmatica: nella necrosi si ha la perdita
dell’integrità mentre nell’apoptosi la membrana plasmatica forma i
blebs, ovvero i corpi apoptotici rivestiti da membrana, quindi la
membrana plasmatica in apoptosi rimane intatta.
L’immagine a fianco illustra come dalla cellula normale avvengano
diversi cambiamenti morfologici a seconda che la cellula vada in
necrosi (lisi completa della cellula) oppure in apoptosi (rilascio dei
corpi apoptotici e fagocitosi da parte dei macrofagi).
FRAMMENTAZIONE DEL DNA GENOMICO IN
APOPTOSI
A livello dei siti internucleosomici avviene la frammentazione del DNA, che provoca la formazione di
frammenti di DNA di lunghezza pari a multipli di nucleosomi (180-200 pb). L’enzima che provoca questa
frammentazione è il CAD (caspase activated Dnase), una DNasi che taglia a livello del DNA linker tra un
nucleosoma e l’altro. È un DNasi attivata da una caspasi, la caspasi 3. (approfondito in seguito)
Quando la cellula non è in apoptosi la DNasi (CAD) è inibita dal suo inibitore, ICAD (Inibitor of caspase
activated Dnase).
Quando l’apoptosi viene attivata, viene attivata la caspasi 3, che va a degradare l’inibitore della caspasi (la
caspasi ha come attività quella di tagliare il DNA ai siti internucleosomici).
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Pifferi, Tirelli, Fiorini
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Lezione 8, 31/03/2021
REGOLAZIONE GENETICA DELL’APOPTOSI
CRONOLGIA DEL PROCESSO APOPTOTICO
Dal punto di vista cronologico il processo di attivazione dell’apoptosi può essere suddiviso in due fasi: la
fase di induzione e la fase di esecuzione.
1. Fase di induzione è una fase reversibile e comincia nel momento in cui la cellula riceve lo stimolo
pro-apoptotico, uno stimolo che innesca nella cellula stessa il processo di morte cellulare. Gli
stimoli possono essere segnali extracellulari o segnali endogeni. In base al rapporto tra i fattori anti
e pro-apoptotici, la cellula sopravvive in caso di prevalenza dei primi o, viceversa passa alla fase 2 di
esecuzione in prevalenza dei secondi.
2. Fase di esecuzione, fase irreversibile, è determinata dall’attivazione di eventi proteolitici e
nucleolitici a cascata, programmati e che amplificano il segnale portando alle modificazioni tipiche
dell’apoptosi. Questa fase è determinata dall’attivazione di specifiche proteasi dette caspasi
(Cysteinyl aspartate-specifics proteinases), proteasi che agiscono su residui specifici delle proteine
che vanno a tagliare.
La cellula quando riceve uno stimolo apoptotico (da una radiazione ionizzante, da un virus o da alcune
sostanze farmacologiche chimiche) può avere due tipi di reazione diversi a seconda del bilancio che si crea
all’interno della cellula stessa tra fattori pro e anti-apoptotici.
Nella figura 1 si vede il caso in cui un virus o altro va
a modificare e danneggiare il DNA. La cellula cerca
inizialmente di riparare il danno con quei sistemi di
riparo del DNA essenziali per l’integrità genomica,
poi a seconda del bilancio dei fattori anti-apoptotici
(di cui il capostipite è la proteina Bcl-2) la cellula:
-
ripara il proprio danno e torna ad essere una
cellula vitale (riparata e senza cicatrici sul DNA)
-
in caso di prevalenza di espressione di fattori
pro-apoptotici attiva il programma apoptotico,
il programma di suicidio cellulare, e passa alla
fase esecutiva di apoptosi.
Figura 1
PROTEINE DELLA FAMIGLIA DI BCL-2
La famiglia di queste proteine è importante nella regolazione dell’apoptosi. I membri di questa famiglia, di
cui nomineremo solo Bcl2 e
Bax, sono proteine che
dimerizzano tra loro in modo
da formare omodimeri o
eterodimeri. In forma di
dimeri agiscono da fattori
promotori (pro-apoptotici) o
da soppressori dell’apoptosi
(anti-apoptotici).
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Pifferi, Tirelli, Fiorini
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 8, 31/03/2021
I dimeri più importanti che si possono formare sono l’omodimero Bax/Bax e l’eterodimero Bax /Bcl-2.
-
Alte concentrazioni di Bax, rispetto a Bcl-2, favoriscono la formazione dell’omodimero Bax/ Bax per
una questione stechiometrica. È dimostrato che l’omodimero Bax/Bax è pro-apoptotico e inizia la fase
esecutiva dell’apotposi;
-
Alti livelli di Bcl-2, sempre per una questione stechiometrica, portano alla formazione dell’eterodimero
Bax/Bcl-2 che invece promuove la sopravvivenza e inibisce la formazione dell’omodimero Bax/Bax
Non si conosce invece la funzione dell’omodimero Bcl-2/Bcl-2.
MECCANISMO DI INDUZIONE APOPTOTICA AD OPERA DELL’OMODIMERO BAX/BAX.
La figura sotto mostra come, dopo il ricevimento del segnale pro-apoptotico (cell death signal), la cellula
faccia un bilancio al suo interno tra i fattori anti-apoptotici (eterodimeri Bax/Bcl-2) e tra le proteine proapoptotiche (omodimedri Bax/Bax).
-
In caso che prevalgano gli eterodimeri Bcl-2/Bax abbiamo il blocco del segnale di morte cellulare: la
cellula non entra in fase esecutiva e sopravvive.
-
In caso di concentrazioni di Bax superiore a quelle di Bcl-2 si formano prevalentemente gli omodimeri
Bax/Bax che invece promuovono il segnale di morte e inducono la cellula all’entrata nella fase
esecutiva dell’apoptosi.
RUOLO DI P53 NELL’APOPTOSI
Abbiamo varie proteine oltre a quelle
della famiglia di Bax che rientrano
nella regolazione genetica
dell’apoptosi: una di queste è p53,
già incontrata parlando della
regolazione genetica del ciclo
cellulare.
P53 è una proteina di localizzazione
nucleare che partecipa al controllo
della proliferazione esercitando
un’azione inibitoria sulla divisone
cellulare.
P53, oltre ad essere il così detto
“guardiano del genoma” (un sensore
di mutazioni), è anche quella proteina che in corrispondenza del check point in G1 o in G2 del ciclo cellulare
si attiva quando si accorge di un danno al DNA (tipicamente causato da raggi gamma o dai chemioterapici)
che deve essere quindi subito riparato. P53 quindi agisce in risposta a un danno al DNA: attiva p21 e va a
bloccare la cellula nella fase in G1 o in G2, in dipendenza dal momento in cui la cellula si accorge di portare
il danno sul DNA.
In questo modo permette di riparare il danno prima della fase S (nel caso del check point sul G1) o prima
della mitosi (nel caso del check point sul G2). Nessuna cellula mutata deve arrivare a dividersi (nel caso del
check point in G2) o deve arrivare a neo-sintetizzare il DNA (nel caso del check point in G1).
6
Pifferi, Tirelli, Fiorini
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P21 è un inibitore dei complessi CDK cicline e associandosi a questi blocca la proliferazione cellulare:
inibisce la progressione della cellula in G1 o G2 e permette alla cellula di avere il tempo di riparare il danno
prima della fase S o della fase M.
Qualora il danno al DNA sia troppo grande per essere riparato, siccome il ciclo cellulare non può durare più
di mezz’ora dalla fase S e qualche ora dal G1, la cellula va in apoptosi per attivazione trascrizionale del gene
pro-apoptotico Bax da parte di p53.
In sintesi: quando vengono attivati i check point in G1 e in G2 del ciclo cellulare la cellula cerca inizialmente
di riparare il DNA; tuttavia se si accorge, attraverso il controllo di p53, che il danno non può essere riparato
in tempo ragionevole la cellula deve essere eliminata per apoptosi. Quindi p53 stesso, oltre che essere un
fattore trascrizionale capace di attivare p21, in caso di un danno irreparabile del DNA va ad attivare
trascrizionalmente Bax, portando ad una sua elevata espressione e alla formazione preferenziale degli
omodimeri Bax/Bax.
Invece se p53 è mutata o inattivata, come avviene in molti tipi di cancro, la cellula va verso l’instabilità
genetica, cioè l’accumulo di mutazioni che portano alla trasformazione tumorale.
INDUZIONE DELL’APOPTOSI
L’induzione dell’apoptosi a seconda del tipo di stimolo passa attraverso due vie principali: la via estrinseca
(sulla sinistra in figura 2) e la via intrinseca (sulla destra). Queste due vie convergono nell’attivazione della
caspasi 3, quella caspasi che va ad attivare la CAD (Caspase Activate Dnase). La CAD è la DNasi che
frammenta il DNA specificamente nei siti internucleosomici.
In sintesi: abbiamo lo stimolo pro-apoptotico, l’associazione delle proteine adattatrici, l’attivazione delle
caspasi inizatrici e l’attivazione delle caspasi effettrici (essenzialmente la caspasi 3).
Figura 2
7
Pifferi, Tirelli, Fiorini
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 8, 31/03/2021
In figura 3 abbiamo l’attivazione delle due vie:
•
La via estrinseca è attivata dal legame di alcuni ligandi a specifici recettori. In questo caso nella
figura abbiamo FAS ligando che si va a legare al suo recettore FAS-R, detto “di morte”. A seguito
del legame di FAS-L con il suo recettore, la proteina FADD (Fas-associated protein with death
domain) si associa al dominio intracitoplasmatico detto DD (death domain o dominio di morte).
Successivamente la procaspasi-8 (proproteina ancora inattiva) si lega al recettore e viene così
attivata a caspasi 8 attiva, dopo essere stata tagliata dal meccanismo di taglio proteolitico (o
clivaggio proteolitico). Si associa poi, attivandole, alle procaspasi-7, -6 e -3 e infine la caspasi 3 è la
caspasi che va ad attivare la CAD che frammenta a livello internucleosomico il DNA genomico.
•
La via intrinseca non comincia dalla membrana cellulare o dall’attivazione recettoriale ma dal
mitocondrio. Durante la fase di induzione la cellula fa un bilancio al suo interno dell’espressione dei
fattori pro-apoptotici (come Bax) e anti-apoptotici (come Bcl-2). A seconda dei dimeri che si
formano la cellula andrà incontro all’attivazione della via intrinseca o meno.
Nel caso in cui lo stimolo
apoptotico provochi
un’espressione molto
consistente di Bax si
formeranno in maggior
misura gli omodimeri proapoptotici Bax/Bax. Questi
formano dei pori
transmembrana nella
membrana mitocondriale
esterna provocando l’entrata
di soluti (quindi anche di
acqua per osmosi), il
successivo rigonfiamento del
mitocondrio, la rottura delle
creste e il rilascio del
Citocromo C dal mitocondrio
stesso. Quest’ultimo si va ad
associare ad un'altra proteina
Figura 3
detta APAF 1 che si associa a
sua volta alla procaspasi-9, la quale viene attivata per clivaggio proteolitico. La caspasi-9 infine si lega alle
caspasi intermedie 6, 7 e 8 fino all’attivazione a cascata della caspasi 3 attiva, che come prima trasloca nel
nucleo e va ad attivare CAD attraverso la degradazione proteolitica del suo inibitore.
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Pifferi, Tirelli, Fiorini
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ATTIVAZIONE DELLA VIA INTRINSECA
L’attivazione della via intrinseca può avvenire per:
-
danno genotossico, come per p53 che va ad attivare l’espressione di Bax
stress ossidativo che provoca attraverso la produzione di radicali dell’ossigeno mutazioni sul DNA e
quindi danno genotossico
attivazione oncogenica, ci sono degli oncogeni che una volta attivati possono causare apoptosi
mancanza di fattori di crescita (GFs), la così detta deprivazione fattori di crescita che manda la
cellula in apoptosi.
Come detto prima Bax in forma di omodimero viene rilocalizzato dal citoplasma, dove risiede quando la
cellula è vitale, alla membrana mitocondriale esterna dove interagisce con la cardiolipina e forma dei pori
transmembrana.
L’apertura dei pori porta alla così detta MMP (mitochondrial membrane permeabilization) e ad un
abbassamento del potenziale della membrana mitocondriale poiché entrano soluti (e acqua) che provocano
la distensione delle creste, quindi la rottura della membrana mitocondriale esterna e il rilascio di fattori
pro-apoptotici come AIF, Citocromo C e APAF1.
Citocromo C e APAF 1 attivano la caspasi 9 che a sua volta attiva la caspasi 3 con conseguente attivazione
della CAD Dnase e frammentazione del DNA.
Quindi l’omodimero Bax Bax agisce attivando la via intrinseca e provoca l’attivazione della fase esecutiva
dell’apoptosi. Come spieghiamo invece l’azione degli eterodimeri Bax/Bcl-2 nel contrastare questo
processo?
Semplicemente per una questione stechiometrica:
Alti livelli di Bcl-2 producono come effetto la sottrazione delle molecole di Bax all’omodimerizzazione BaxBax attraverso la formazione di eterodimeri Bax/Bcl-2. Inoltre Bcl-2 e altri membri anti-apoptotici della
famiglia Bcl2 contrastano l’apoptosi anche inibendo il rilascio di Citocromo C dalla membrana
mitocondriale, quindi inibendo l’attivazione della procaspasi 9 e di tutta la cascata caspasica che porta alla
fine alla frammentazione del DNA.
ATTIVAZIONE DELLA VIA ESTRINSECA
L’attivazione della via estrinseca è un’attivazione
recettoriale i cui protagonisti sono i così detti “recettori
di morte” tra cui abbiamo nominato Fas e CD95, alla cui
famiglia appartengono anche TNFR1 (Tumor necrosis
factor receptor 1) e TRAIL (TNF-related apoptosisinducing ligand). Ricordiamo che la porzione trasduttiva
funzionale di ogni recettore è quella intracitoplasmatica; in questo caso il recettore di morte a
livello citoplasmatico possiede sempre un Death
Domain (una regione di morte). Questo dominio si
associa, in caso di legame del ligando alla porzione
extracellulare, con la proteina FADD che permette
l’associazione al recettore della procaspasi-8 che viene
così tagliata e convertita nella forma attiva.
9
Pifferi, Tirelli, Fiorini
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 8, 31/03/2021
L’apoptosi Fas mediata è importante nella selezione periferica dei linfociti B e T auto-reattivi. L’apoptosi
infatti è un meccanismo fondamentale di selezione dei linfociti B e T che reagiscono con il self, ovvero che
reagiscono con le proteine dell’organismo che le ha prodotte; se questi non venissero eliminati durante la
maturazione sarebbero dannosi per l’organismo stesso. La selezione periferica dei linfociti auto-reattivi
viene quindi attuata con l’induzione di apoptosi attraverso la via estrinseca in queste cellule.
Gli altri recettori di morte sono un po' diversi ma hanno sempre:
-
un domain extracellulare, che nel caso di TNRF1 lega il TNF α
-
un domain intracellulare che possiede tre TRADD domain. È quindi un trimero (come in FADD e nel
TRAIL receptor) e ci sono tre domini intracellulari (tre TRADD domain) che si associano a tre
molecole di FADD che a loro volta si associano a tre molecole di procaspasi-8, che viene così
attivata.
Lo stesso discorso vale per l’ultimo recettore di morte che è il TRAIL receptor (illustrato a destra nella
figura 4). Una volta legato con il suo ligando TRAIL DR4 e DR5 viene attivato nella sua porzione intracitoplasmatica e attiva la caspasi 8.
L’attivazione della via estrinseca è un’attivazione che non avviene dunque, come per la via intrinseca, in
seguito al danno genotossico o alla privazione dei fattori di crescita, ma avviene quando il tessuto si
accorge che alcune cellule mutate o auto-reattive hanno perso la loro produttività o non hanno riarrangiato
i propri recettori e possono essere dannose per l’organismo. Una cellula potenzialmente dannosa per
l’organismo deve essere prontamente eliminata, in questo caso attraverso i recettori di morte e la via
estrinseca dell’apoptosi.
Figura 4
10
Zaimaj, Balbo, Zeni
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 9, 12/04/2021
LA TRASFORMAZIONE TUMORALE
I meccanismi che regolano la proliferazione, il differenziamento e l’apoptosi si possono alterare.
I MECCANISMI DI REGOLAZIONE E LE SUE ALTERAZIONI
•
•
•
La moltiplicazione cellulare è finemente regolata in base alle necessità dell’organismo in quanto:
-nell’animale giovane che deve ancora crescere l’entità della proliferazione cellulare è maggiore di
quello della morte cellulare; in questo modo l’organismo può crescere aumentando il numero di
cellule.
-nell’animale adulto la velocità di proliferazione, differenziamento e apoptosi si bilanciano
all’interno di un tessuto determinando una condizione di equilibrio (omeostasi tissutale).
I meccanismi che regolano la proliferazione, il differenziamento e l’apoptosi cellulare si possono
alterare a seguito di alterazioni o mutazioni sul DNA.
Una cellula avente una proliferazione alterata inizia a crescere e a dividersi in modo sregolato, cioè
in modo svincolato dalle necessità dell’organismo. Questo significa che anche se l’organismo non
ha necessità di quel tipo cellulare, quindi se il tessuto non stimola la cellula con specifici fattori di
crescita, la cellula comunque resta in ciclo e continua a dividersi.
Se le cellule figlie di una cellula che ha avuto un’alterazione sul DNA ereditano la capacità (cioè
ereditano la mutazione) di dividersi indipendentemente dai meccanismi di regolazione del tessuto,
si forma un clone, ovvero un insieme di cellule geneticamente identiche derivanti tutte dalla stessa
cellula iniziale che è capace di moltiplicarsi indefinitamente. La massa formata da queste cellule è
detta tumore.
TUMORI BENIGNI E MALIGNI
I tumori si distinguono in benigni e maligni.
•
Tumori benigni
La composizione cellulare del tumore benigno è rappresentata da cellule che presentano
caratteristiche morfologiche e fisiologiche simili alle cellule normali. Questo significa che sono
cellule che hanno una morfologia abbastanza simile alle cellule normali e per esempio presentano
ancora dipendenza dai fattori di crescita per la loro moltiplicazione.
Queste cellule sono immortalizzate grazie a delle mutazioni immortalizzanti, quali per esempio la
mutazione sulla telomerasi che può aumentare l’attività telomerasica e impedire che queste
cellule vadano incontro a senescenza fisiologica e successivamente in apoptosi fisiologica. La
mutazione della telomerasi è solo una delle tante mutazioni possibili.
I tumori benigni sono delimitati da una capsula fibrosa formata dai fibroblasti dell’organismo
stesso, per questo restano localizzati in situ, cioè nel luogo dove è insorto il tumore. A causa di ciò
nei tumori benigni non si formano le così dette metastasi (tumori secondari) che vanno a
diffondersi provocando la diffusione del tumore in tutto l’organismo.
Nel caso in cui insorga un tumore benigno i problemi all’organismo derivano dal fatto che questi
tumori ingrandendosi possono comprimere altri organi. Un esempio tipico è quello dei tumori
cerebrali (sia maligni, sia benigni) che possono necessitare di asportazione perché la loro crescita
causa una compressione di alcune strutture cerebrali che compromettono, a seconda della
posizione e delle aree che comprimono, alcune funzioni neurologiche provocando problemi
neurologici.
1
Zaimaj, Balbo, Zeni
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 9, 12/04/2021
Un altro effetto biologico che può dare un tumore benigno è l’eccessiva produzione ormonale e
quindi necessita di asportazione. Esempio tipico è quello del tumore ipofisario che porta ad una
produzione eccessiva, per esempio dell’ormone della crescita causando il gigantismo ipofisario.
Figura 1
•
Tumori maligni
Il tumore maligno o cancro è caratterizzato dall’essere costituito da cellule che presentano solo
alcune delle caratteristiche delle cellule da cui derivano, quindi sono proprio trasformate dal
punto di vista morfologico e non sono dipendenti da fattori di crescita per la loro proliferazione.
Queste cellule tumorali si basano, quasi sempre, su un meccanismo autocrino di
autosostentamento: esse producono il fattore di crescita e posseggono il suo recettore. Questo
loop autocrino automantiene queste cellule poiché non hanno bisogno di fattori di crescita per
moltiplicarsi perché se li producono da soli e tanto meno hanno bisogno del tessuto e della sua
regolazione.
Il tumore maligno nella maggioranza dei casi può diffondersi nell’organismo formando i tumori
secondari detti metastasi, che sono la causa di morte principale di questi pazienti.
Le cellule che compongono le metastasi sono caratterizzate da invasività e dalla capacità di
diffondere attraverso l’organismo.
Figura 2
CARATTERISTICHE DELLE CELLULE TUMORALI RISPETTO ALLE CELLULE NORMALI
•
Il rapporto nucleo/citoplasma è aumentato perché, specialmente le cellule tumorali maligne,
presentano un’attività mitotica molto alta. L’attività mitotica è correlata ad un’alta attività
trascrivente e un’alta attività assemblante i ribosomi, quindi le cellule tumorali contengono un
2
Zaimaj, Balbo, Zeni
•
•
•
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 9, 12/04/2021
nucleo molto attivo dal punto di vista trascrizionale e di assemblaggio di ribosomi per produrre le
proteine necessarie alla proliferazione.
La presenza di 2 o più grossi nucleoli è correlata all’alta attività trascrizionale nella zona nucleolare
e quindi finalizzata alla produzione di grosse quantità di ribosomi.
La velocità di divisione è aumentata.
Le strutture specializzate vengono quasi totalmente perse.
I danni che provengono da una cellula trasformata sono duplici dal fatto che la cellula trasformata ha la
capacità di invadere altri tessuti e quindi andare a metastatizzare; nello stesso tempo la cellula trasformata
perdendo le sue strutture specializzate non svolge più la funzione originaria del suo tessuto.
Riassumendo si ha un’invasione dell’organismo da parte di queste cellule e una perdita di funzionalità del
tessuto dal quale queste cellule provengono.
CLASSIFICAZIONE DEI TUMORI MALIGNI
I tumori maligni possono originarsi nella maggior parte dei tipi cellulari e si conoscono 200 forme di cancro
verso 300 tipi cellulari identificati. Si suddividono in:
•
•
Carcinomi se derivano da ectoderma ed endoderma.
Sarcomi se derivano dal mesoderma.
Tranne le leucemie che sono un tipo di sarcoma circolante nel sangue, la maggior parte degli altri
tumori sono masse solide.
ALLA MALIGNITÀ SONO ASSOCIATE ALTERAZIONI DELLE INTERAZIONI
INTERCELLULARI
La capacità di metastatizzare da parte delle cellule tumorali maligne è strettamente correlata a delle
alterazioni sia delle interazioni intracellulari, sia da alterazioni della trascrizione e quindi della produzione
di proteine che consentono a queste cellule di migrare attraverso la matrice e di penetrare nel circolo
sanguigno o linfatico e di moltiplicarsi in un sito diverso dall’origine.
Per quanto riguarda la metastatizzazione abbiamo la produzione da parte delle cellule tumorali di un
enzima, una proteasi, che si chiama attivatore del Plasminogeno (perché fu inizialmente identificato nel
processo della coagulazione del sangue) che digerisce la lamina basale favorendo la migrazione delle
cellule. Successivamente queste cellule arrivano a penetrare nel circolo sanguigno o linfatico, attraverso i
quali si diffondono nell’organismo e vanno a colonizzare (colonizzare significa moltiplicarsi in un sito
corporeo diverso da quello in cui è originato il tumore primario) prendendo connessioni con cellule di altro
tipo con le quali devono stabilire dei nuovi rapporti.
La capacità angiogenica è una caratteristica molto importante per la crescita tumorale ed è indispensabile
per la crescita del tumore stesso. Si è visto che in assenza di nuovi vasi sanguigni un tumore può accrescersi
solo fino a un diametro di 2 mm, dopodiché la parte centrale del tumore va in necrosi. Per questo le cellule
tumorali, grazie alle mutazioni che portano, producono delle sostanze che stimolano la formazione di
nuovi vasi, cioè la neoangiogenesi. Queste sostanze sono dei fattori di crescita specifici, per esempio VEGF
(Vascular Endolthelial Growth Factor), angiopoietina 1 o altre sostanze che stimolano la formazione di
nuovi vasi che vascolarizzano il tumore e gli permettono di crescere.
ALLA BASE DELLA TRASFORMAZIONE TUMORALE C’È UN’ALTERAZIONE DEL DNA
L’origine della trasformazione tumorale risiede in cause genetiche. Negli esperimenti fatti nei decenni
precedenti si era visto sperimentalmente che il DNA di cellule trasformate quando veniva introdotto in
3
Zaimaj, Balbo, Zeni
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 9, 12/04/2021
cellule normali poteva trasformarle a loro volta. Si era avuta la prima dimostrazione che alla base della
trasformazione tumorale c’è un’alterazione del DNA. Quest’alterazione può essere:
•
•
Somatica quando coinvolge solo una cellula nell’animale adulto ovvero cellule del soma. In questo
caso non viene ereditata dai figli.
Quando l’alterazione del DNA coinvolge la linea germinale (mutazione germinale), quindi cellule
uovo o spermatozoi, viene ereditata dai figli. L’organismo che origina da questo zigote mutato avrà
tutte le cellule con quella particolare mutazione e se quella mutazione predispone al cancro allora
l’organismo sarà geneticamente predisposto al cancro.
Figura 3
ONCOGENI, PROTO-ONCOGENI ED ANTI-ONCOGENI
La classificazione dei geni riguardo alla loro attività anti- o pro- oncogenica, anti- che combattono la
trasformazione o pro- che la promuovono è la seguente:
•
•
Si chiama gene oncosoppressore o tumor-suppressor gene (anti-oncogene è un termine un po’
arcaico) un gene combatte la trasformazione tumorale. Questo è un gene che ha un’attività
antiproliferativa, pro-differenziativa, pro-apoptotica o con attività di riparo del DNA. Quindi tutte
attività che combattono il cancro, il quale è caratterizzato da un’alta attività proliferativa, da una
bassa capacità differenziativa e apoptotica e da una bassa capacità riparativa del DNA. Se questo
gene viene inattivato da una mutazione si può sviluppare un tumore a causa della perdita di
funzione (loss-of-function) di questo gene che non ci può più proteggere dalla trasformazione
tumorale.
Un oncogene è un gene cellulare con un’attività contraria all’oncosoppressore che codifica per una
proteina capace di trasformare una cellula in coltura o indurre tumori in animali. L’oncogene che
non era ancora mutato si chiamava proto-oncogene. Il proto-oncogene è importante nei
meccanismi regolatori della proliferazione, del differenziamento, dell’apoptosi e quando viene
mutato si trasforma in oncogene. Quest’ultimo acquisisce la capacità di trasformare una cellula
(gain of function).
Riassumendo il cancro si può sviluppare in seguito all’espressione di oncogeni, che si attivano da protooncogeni cellulari, acquisendo una funzione che prima non avevano (funzione trasformante) oppure in
seguito alla perdita di espressione e di funzione dei geni oncosoppressori (loss-of-function).
4
Zaimaj, Balbo, Zeni
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 9, 12/04/2021
Il cancro è un processo multi-step. C’è bisogno di multiple alterazioni successive perché si sviluppi e la
cellula si trasformi. Spesso è una combinazione di gain of function di oncogeni o di loss-of-function di
oncosoppressori.
Figura 4
Nella figura 4 viene mostrato dal punto di vista grafico come avvengono le mutazioni tumorali.
Nella parte denominata “A” si può osservare una cellula normale rappresentata con una coppia di
cromosomi. Questa cellula subisce un evento mutazionale singolo che attiva un proto-oncogene ad
oncogene. Dopo la mutazione la cellula contiene una mutazione attivante; ciò significa che anche in
eterozigosi, cioè quando colpisce anche solo un allele, è capace di esercitare un’attività trasformante. In
questo esempio stimola la proliferazione cellulare.
Per quanto riguarda la loss-of-function degli oncosoppressori la situazione è un po’ più complessa. Una
cellula normale con 2 alleli normali subisce un evento mutazionale su un oncosoppressore e non manifesta
immediatamente la perdita di funzione perché ha un altro allele attivo. Solamente un secondo evento
mutazionale che inattiva il secondo allele porta alla perdita definitiva dell’oncosoppressore e quindi alla
perdita di protezione da parte di questo gene contro la trasformazione cellulare.
ONCOGENESI VIRALE
L’oncogenesi può essere virale, cioè causata da virus oncogeni. Alcuni di questi virus sono virus a RNA,
principalmente retrovirus perché si vanno a integrare nel nostro genoma e alcuni virus a DNA.
•
Virus a RNA (principalmente Retrovirus)
All’interno del gruppo dei retrovirus ritroviamo:
5
Zaimaj, Balbo, Zeni
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 9, 12/04/2021
-retrovirus oncogeni acutamente trasformanti che inducono tumori in un tempo molto breve
perché trasportano, integrato nel loro genoma, un oncogene (esempio ras) che esprimono nella
cellula infettata. Questi retrovirus hanno preso l’oncogene da un proto-oncogene cellulare del
genoma di una cellula infettata precedentemente. L’ acquisizione di un nuovo gene è avvenuta
mediante il meccanismo di trasduzione dove il gene viene trasportato da una cellula a un'altra.
Questi oncogeni quando si trovano sotto il controllo dei promotori virali sono altamente espressi.
-retrovirus oncogeni lentamente trasformanti inducono i tumori in un tempo molto più lungo
rispetto agli acutamente trasformanti. Questo perché non hanno un oncogene nel loro genoma, ma
effettuano la mutagenesi inserzionale. Questi retrovirus esercitano la loro azione trasformante,
mediante l’attivazione di proto-oncogeni cellulari, inserendosi nei loro promotori e svincolandone
l’espressione dai meccanismi regolativi cellulari. In questo caso l’inserzione di un retrovirus in un
promotore (abbiamo tanti retrovirus nel nostro DNA che non sappiamo di possedere) può
provocare la deregolazione del gene che è a valle di questo promotore inducendo un tumore.
•
Virus a DNA
I virus oncogeni a DNA non hanno oncogeni ma esercitano la loro azione trasformante tramite la
sintesi di proteine trasformanti (es: papilloma virus). Il papilloma virus è un agente infettivo che è
correlato con causa-effetto, all’insorgenza del cancro della cervice uterina. Per questo è stato
sviluppato un vaccino contro il papilloma virus per proteggere soprattutto le donne dall’insorgenza
di questo carcinoma.
Altri virus a DNA oncogeni sono i virus dell’epatite B e C che predispongono all’epatocarcinoma.
MODELLO MULTIHIND O MULTI STEP CARCINOGENESI
Affinché una cellula normale si trasformi sono necessarie
molte mutazioni sequenziali.
Affianco nella figura 5 possiamo osservare il modello del
cancro del colon.
Questo modello descrive che:
•
•
•
•
La delezione di un tumor suppressor gene, che si
chiama APC, determina la formazione di un
polipo in un epitelio intestinale normale.
Una successiva mutazione gain of function
attivante di ras determina la formazione di un
adenoma di classe II.
La delezione di DCC, che è un altro tumor
suppressor, determina la formazione di un
adenoma di classe III portando a una
progressione tumorale.
Infine, la delezione di p53 con la formazione di
un carcinoma.
p53 è uno dei più importanti tumor suppressor
che abbiamo. Una sua mutazione determina la
sua perdita di funzione.
CLASSIFICAZIONE DEI PROTO-ONCOGENI
Figura 5
6
Zaimaj, Balbo, Zeni
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 9, 12/04/2021
La classificazione dei proto-oncogeni è molto fluida perché ogni giorno ne vengono scoperti degli altri e per
questo non è ancora definitiva.
•
•
•
•
•
•
•
I Classe: Fattori di crescita.
II Classe: Recettori per Fattori di crescita.
III Classe: Trasduttori intracellulari del segnale.
IV Classe: Fattori trascrizionali.
V Classe: geni antiapoptotici.
VI Classe: Geni che controllano la proliferazione cellulare.
VII Classe: Geni del DNA Repair.
Ora andiamo ad analizzare esempi di oncogeni che si formano per
attivazione dei proto-oncogeni. Secondo la classificazione mostrata in
precedenza gli oncogeni della classe II sono i recettori per i fattori di
crescita.
Nella figura 7 viene preso in considerazione “l’Epidermal Growth Factor
Receptor” (EGFR), cioè il recettore per il fattore di crescita epidermico.
Quando non sono presenti mutazioni l’EGFR è un recettore tirosinFigura 6
cinasico, ha un’attività catalitica tirosin-cinasica intrinseca. Quando
l’Epidermal Growth Factor (EGR) si lega al recettore viene attivata la via
dei recettori tirosin-cinasici e quindi abbiamo un grado normale di divisione cellulare, perché il growth
factor deriva da cellule prodotte da tessuto normale. In seguito alla mutazione di EGFR può formarsi l’ErbB,
il quale deriva per delezione di porzioni geniche che codificano per le regioni extracellulari di EGFR che
mancano nella forma mutata. In questo caso avviene la trasduzione del segnale mitogenico anche in
assenza del ligando, quindi il recettore è sempre attivato e porta a una eccessiva divisione cellulare.
Questo è uno dei recettori mutati nel cancro della mammella sporadico.
Figura 7
7
Zaimaj, Balbo, Zeni
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 9, 12/04/2021
ONCOGENI DELLA CLASSE III-TRASDUTTORI
INTRACELLULARI
Un trasduttore intracellulare molto conosciuto è la
proteina monomerica ras che si ritrova spesso mutata nei
tumori. Una mutazione la rende incapace di dissociarsi dal
GTP perdendo l’attività GTPasica. Ras mutata è sempre
attiva, trasduce in modo continuo e non regolato il
segnale proliferativo della via ras mek chinasi. Sono state
ritrovate delle mutazioni di ras nel cancro del polmone,
del colon retto, del pancreas e della prostata.
Mutazioni che coinvolgono grosse porzioni geniche,
quindi non solo un gene, sono dei marker che
caratterizzano alcune malattie.
Nell’esempio riportato in figura la mutazione t (9;22) (tnove-ventidue) caratterizza la leucemia mieloide cronica.
In questo caso abbiamo una traslocazione reciproca tra il
Figura 8
cromosoma 9 e il cromosoma 22. Si viene a formare un
gene di fusione tra il gene ABL (a-bi-elle) (in rosso) che
era presente sul cromosoma 9 e un pezzetto del gene BCR (bi-ci-erre)
presente sul cromosoma 22, che vengono giustapposti per errori dei
meccanismi di riparazione del DNA doppio filamento. Si forma quindi
un gene di fusione Bcr/Abl (bi-si-ar-eibol) che codifica per un trascritto
di fusione, che poi viene tradotto in una proteina di fusione.
Bcr/Abl
La proteina Bcr/Abl rappresenta un agente leucemogeno importantissimo e fortissimo.
Questo è uno schema di tutte le azioni che la proteina
Bcr/Abl esercita attraverso la sua attività tirosinchinasica data dalla porzione di Abl che attiva
contemporaneamente:
•
pathways mitogeniche come Ras-mek-chinasi e
Jak/stat;
• inibisce l’apoptosi;
• altera l’espressione della funzione di integrine e
di altre molecole di adesione.
Bcr/Abl mette in atto tre azioni che potenziano la sua
azione oncogena attraverso i meccanismi che sono
descritti nello schema. Per questo motivo la mutazione Bcr/Abl rappresenta un’eccezione alla teoria della
multi-step-carcinogenesis perché da solo avendo tutte queste azioni è necessario e sufficiente, senza altre
mutazioni aggiuntive, a causare questo tipo di leucemia.
Terapia:
8
Zaimaj, Balbo, Zeni
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 9, 12/04/2021
La terapia su Bcr/Abl è stata la prima target therapy, cioè la prima terapia mirata su una mutazione ed è
tutt’ora la migliore che noi abbiamo a disposizione per curare i malati di leucemia mieloide cronica.
Che cosa succede quando Bcr/Abl è attivo all’interno di una
cellula del sangue?
Bcr/Abl si associa all’ATP (si associa perché per fosforilare serve
l’ATP), poi si associa ad un substrato che viene fosforilato. C’è
una varietà di substrati, come quelli mostrati nell’immagine
precedente, che una volta fosforilati danno il segnale per la
proliferazione cellulare, l’inibizione dell’apoptosi (quindi un
segnale di sopravvivenza). Tutto ciò ha una azione leucemogena.
Che cosa succede invece quando somministriamo ad una cellula Bcr/Abl mutata o ad un paziente che ha la
leucemia mieloide cronica il Gleevec (Imatinib), cioè la terapia mirata contro Bcr/Abl?
Imatinib si va a legare in modo irreversibile alla tasca di legame dell’ATP, cosicché l’ATP non si può più
associare. Bcr/Abl viene privato della sua attività fosforilante in tirosina perché non può più utilizzare il
fosfato dell’ATP. A questo punto anche se il substrato si associa non può venire fosforilato e quindi la
leucemia viene controllata e guarita perché le cellule che contengono Bcr/Abl muoiono.
Oncogenesi della classe IV – fattori trascrizionali
Normalmente i fattori di crescita inducono prima fos e poi myc (mic), durante la transizione dalla fase G0
alla G1. Fisiologicamente i livelli di fos decrescono dopo 30
minuti dall’induzione (vedi grafico), mentre quelli di myc
rimangono elevati per permettere la progressione durante il G1,
la transizione tra G1-S e successivamente diminuiscono. Le
corrispondenti proteine oncogene sono più stabili e quindi non
vengono degradate velocemente, il che porta ad una
stimolazione continua della proliferazione cellulare.
Un ruolo di myc si ha anche nel linfoma di Burkitt (barchit), che
è un tumore dei linfonodi causato da una traslocazione di t (8;14) (ti-otto-quattordici).
Vediamo i cromosomi:
• l’8 su cui si trova il gene myc;
• il 14 su cui si trovano i geni per le catene pesanti dell’immunoglobuline.
A seguito di una traslocazione si formano questi due cromosomi. C-myc (si-mic) viene a giustapporsi al
promotore delle catene pesanti dell’immunoglobuline.
Il gene c-myc che si trova fisiologicamente sotto al
controllo di un promotore inducibile dai fattori di
crescita viene invece a trovarsi sotto al controllo di un
promotore costitutivo sempre attivo, che è quello
delle catene pesanti dell’immunoglobuline e quindi fa
trascrivere c-myc in modo continuo e sregolato
rispetto al tessuto.
9
Zaimaj, Balbo, Zeni
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 9, 12/04/2021
Quindi c-myc, a causa di una iper-espressione, genera una proliferazione incontrollata e quindi la
formazione del linfoma di Burkitt.
Oncogeni della classe V, loro mutazioni e conseguenza di queste mutazioni sulla
trasformazione cellulare.
La classe V è la classe dei geni anti-apoptotici. La famiglia di Bcl-2 è una famiglia di geni anti-apoptotici che
codificano per proteine che omo- o etero- dimerizzano tra di loro. A seconda dell’equilibrio di omo/etero
dimerizzazione agiscono da promotori o da soppressori della morte cellulare programmata. Alte
concentrazioni di Bax rispetto a quelle di Bcl-2 favoriscono la formazione di omodimeri Bax/Bax che sono
pro-apoptotici, mentre alti livelli di Bcl-2 promuovono la formazione degli eterodimeri anti-apoptotici
Bax/Bcl-2.
Altro esempio di traslocazione che avviene nei linfomi follicolari, è la traslocazione t (14;18), dove il gene
Bcl-2 viene traslocato dal cromosoma 18 al cromosoma 14. Avviene una deregolazione dell’espressione di
Bcl-2.
Se guardiamo la figura abbiamo che bcl-2, fisiologicamente sul cromosoma 18, viene traslocato sul
cromosoma 14 nei linfomi follicolari dove viene giustapposto al
promotore del gene delle catene pesanti dell’immunoglobuline. Avviene la
stessa analoga situazione che avviene per myc. Bcl-2 si trova ad essere
sotto il controllo di un promotore costitutivo molto attivo che causa un
iper-espressione di Bcl-2 e quindi un’abolizione dell’apoptosi fisiologica.
Esempio: Le cellule che prima hanno subito un’ iper-espressione di myc e
successivamente subiscono una mutazione di Bcl-2, diventano
immortalizzate e proliferano eccessivamente portando alla formazione di
un tumore.
RB
•
•
•
È una proteina che si chiama così perché è stata isolata per la prima volta da un tumore maligno
che è il retinoblastoma ed è espressa in tutte le cellule;
È un proto-oncogene la cui mutazione provoca uno specifico tumore che è il retinoblastoma;
Contribuisce fisiologicamente alla regolazione e alla proliferazione. Questo si è visto perché la
reintroduzione del gene RB funzionale wild type in cellule tumorali di retinoblastoma causa
l’arresto della crescita.
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Zaimaj, Balbo, Zeni
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Lezione 9, 12/04/2021
Recape sul funzionamento fisiologico di RB
RB è uno dei substrati sia delle cicline D/Cdk4/6, sia delle cicline E/Cdk2. Viene fosforilato da questi
complessi. Prima di essere fosforilato funziona da inibitore della proliferazione, in quanto blocca la cellula a
metà della fase G1 sequestrando un fattore trascrizionale fondamentale per il passaggio dal G1 al S che è
E2F.
E2F è un fattore trascrizionale che serve per la
trascrizione di tutti gli enzimi necessari nella fase
sintetica del DNA. Se RB sequestra E2F, questo non può
andare ad attivare la trascrizione dei geni che servono
per la fase S e quindi degli enzimi per la duplicazione
del DNA. Finché RB è legato a E2F la cellula non può
progredire lungo la fase G1. Dopo la fosforilazione da
parte dei complessi Cdk-cicline, RB fosforilato rilascia
E2F in tardo G1 e E2F è libero di andare ad attivare la
trascrizione e a preparare la cellula per la fase S.
Nelle cellule normali RB viene fosforilato in tardo G1 per permettere la transizione G1-S e viene poi
defosforilato alla fine della M, dove ritorna in questa configurazione.
Le mutazioni di RB sono prevalentemente delle delezioni del gene che causano una perdita di funzione di
questo onco-soppressore causando il tumore maligno retinico.
P53
P53 appartiene ai geni oncosoppressori, è denominato il guardiano del genoma, perché viene stabilizzata
dal danno al DNA. P53, come tetramero, scorre sul DNA e riesce ad individuare le mutazioni. Le mutazioni
stabilizzano p53 che non viene degradata nel suo solito pathway di turnover, ma va ad attivare
trascrizionalmente la p21 che porta all’arresto in G1 o G2, dipende da dove la cellula subisce questo danno
al DNA. Questo permette ai sistemi di riparo cellulare di riparare il danno prima che la cellula giunga alla
fase M. Se il danno è troppo esteso, p53 induce apoptosi andando ad indurre l’espressione di bax formando
gli omodimeri bax/bax.
Le mutazioni di p53 sono presenti in più del 50% dei tumori umani a testimonianza dell’importanza di p53.
Quando viene persa la sua funzionalità si crea una
situazione permissiva all’accumulo di mutazione e
quindi alla trasformazione cellulare.
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Zaimaj, Balbo, Zeni
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 9, 12/04/2021
Nella figura sono rappresentate delle linee che sono gli hotspot mutazionali, cioè i punti sulla sequenza p53
dove viene più frequentemente mutata. Le mutazioni sono tantissime, più di 2000, e sono principalmente
puntiformi. Se trattiamo delle cellule bronchiali in coltura con benzopirene, che è un componente del
catrame delle sigarette, induciamo in queste cellule tra le 2000/2500 possibili mutazioni che vengono
ritrovate nei carcinomi polmonari. P53 è mutata nel 60% dei carcinomi polmonari.
Questa è un’immagine vista nella lezione sul ciclo cellulare: c’è
quello che abbiamo detto finora. P53 interviene, andando a transattivare l’espressione di p21 sia nel G1, quando la cellula subisce
un danno al DNA o nel G2 se lo subisce nel G2. Entrambi questi
checkpoint sono attivati da p53 e hanno come scopo il
permettere alla cellula di riparare un DNA mutato.
Il DNA danneggiato stabilizza la proteina p53 che va a transattivare la p21 o CIP che è un inibitore dei complessi cdk-cicline
causando l’arresto in G1 o G2.
Sindrome di Li-Fraumeni
P53 può essere mutata sia a livello somatico sia a livello germinale. Le mutazioni di p53 possono essere
ereditate causando nel nuovo organismo la sindrome di Li-Fraumeni. Questa sindrome è caratterizzata
dalla predisposizione a cancri multipli nel corso della vita, perché magari viene eredita la mutazione di un
allele e poi durante la vita l’altro allele viene inattivato livello somatico e si sviluppa il cancro.
La maggior parte delle mutazioni di p53 sono missense, quindi mutazioni che cambiano l’aminoacido e
inattivano p53, perché anche una sola mutazione cambia la conformazione della proteina inattivandola.
BRCA1 e 2
Altri oncosoppressori sono BRCA 1 e 2 (breast cancer). Il 20% dei cancri alla mammella sono familiari e tra
questi la maggior parte sono causati da mutazioni di BRCA1/2.
Sono dei tumor suppressor perché sono proteine nucleari
coinvolte nella regolazione della trascrizione e nel riparo del DNA.
Se un enzima o un cofattore di un enzima coinvolto nella sintesi
del DNA viene inattivato non abbiamo più un efficiente riparo
delle mutazioni e quindi si ha un accumulo di mutazioni.
Le mutazioni in questi due geni, prevalentemente germinali, sono
associate con l’insorgenza di cancro in giovane età (minore di 40
anni); es. cancro mammario bilaterale, carcinoma ovarico,
carcinoma della mammella maschile.
È possibile fare un test genetico per vedere lo stato mutazionale di BCRA1 e 2 e se si hanno in famiglia due
o più parenti di primo grado con questi tipi di tumore.
DNA Repair
12
Zaimaj, Balbo, Zeni
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 9, 12/04/2021
Anche in questo caso sono degli oncosoppressori. I difetti dei sistemi di riparazione del DNA permettono
l’accumulo di mutazioni e predispongono alla formazione di tumori. Su questa tabella ci soffermiamo solo
sullo xeroderma pigmentoso dove vedete:
•
•
la sensibilità dei soggetti è selettiva verso i raggi del sole e mutageni chimici;
si formano dei carcinomi della pelle e dei melanomi, perché il sistema di riparo dalle mutazioni
indotte dai raggi UV del sole è compromesso e quindi i tipici dimeri di timina che si formano per
effetto della luce
ultravioletta del sole non
vengono riparati. Questi
dimeri si accumulano e
danno origine prima ad
infiammazioni della pelle e
degli occhi che poi
degenerano in carcinomi.
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Nettis, Pollice, Sassi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 10, 14/04/2021
DOMANDE E CHIARIMENTI SUGLI ARGOMENTI TRATTATI
Domanda 1: Cos’è che scatena la trascrizione dei miRNA?
Risposta: I miRNA fanno parte di un meccanismo di regolazione post trascrizionale dell’espressione genica. La
trascrizione dei miRNA è sempre in esecuzione, anche i miRNA come tutti i geni hanno un loro promotore
ed è dalla attivazione del loro promotore che viene iniziata la trascrizione di specifici miRNA. La domanda si
può tradurre come “cos’è che scatena la trascizione del miRNA?”. Il meccanismo di attivazione genica dei
miRNA è molto complesso. Ogni miRNA ha più di un target messageriale, alcuni ne hanno 100, altri 2,
dipende dallo specifico micro RNA, raramente hanno un solo target. Uno stesso RNA messaggero può avere
vari miRNA che lo inibiscono, è un sistema che per essere analizzato ha bisogno di programmi informatici
specializzati. Non c’è una risposta univoca alla domanda, ciò che scatena la trascrizione è un complesso
sistema di regolazione dell’espressione genica che viene attivato specificamente su un determinato numero di
miRNA, quando la cellula richiede un certo tipo di controllo sulle proteine prodotte.
Domanda 2: Cosa significa che il Sars Cov 2 è un virus a filamento positivo?
Risposta: I virus a filamento positivo sono quei virus a RNA che possono essere direttamente tradotti in
proteina.Hannoun filamento diRNA5’- 3’ che può esseretradottodalsistemaditraduzionedella nostra cellula
eucariotica in proteina sui nostri ribosomi in maniera diretta.
Domanda 3: Tratteremo i meccanismi di riparazione del DNA che ha più volte nominato?
Risposta: No, li ho accennati, non sono in programma. I meccanismi di riparazione del DNA verranno
spiegati nel secondo modulo di biologia molecolare con il professor Grandi.
Domanda 4: Le lezioni saranno a distanza anche adesso che possiamo frequentare in presenza, come sarà
l’organizzazione degli orari? Possiamo rimanere in aula a vedere le lezioni registrate?
Risposta: Non ci sono ancora istruzioni operative, le prime ore delle giornate di lunedì e mercoledì potreste
non essere presenti in aula per ascoltare le lezioni registrate, dato che serve qualcuno che vigili la classe. A
breve ci daranno informazioni.
Domanda 5: A proposito del CJD lei aveva
detto che è causata da somministrazione di
HGH da cadavere. Poi ha parlato di 3 forme di
CJD: familiare, sporadica, variante. Non ho
ben capito a quale di queste tre forme
corrisponde la somministrazione di HGH.
Risposta: è un’infezione orizzontale, causata
da una procedura medica dalla
somministrazione di ormone della crescita
estratto da ipofisi di cadavere affetto in vita
dalla malattia prionica. È simile a quella data
da animali infetti, ma non è causata da
un’ingestione accidentale.
1
Nettis, Pollice, Sassi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 10, 14/04/2021
Domanda 6: Non mi è chiara la differenza tra gemmazione e frammentazione per quanto riguarda la
riproduzione batterica.
Risposta: Per quanto riguarda la gemmazione, dalla cellula madre non si formano due cellule di dimensioni
uguali come nella scissione binaria, ma si vanno a formare delle piccole cellule figlie dalla membrana
plasmatica. Nella frammentazione assistiamo ad un accrescimento multiplo, della cellula madre che avrà
precedentemente duplicato il suo patrimonio genetico, in modo che ogni cellula che origina dalla
frammentazione possa avere il suo patrimonio genetico, la membrana plasmatica e la parete.
Domanda 7: nella fase di allungamento della traduzione, il nuovo amminoacido che si è legato al sito A,
dopo l’avvenuta formazione del legame, si sposta e diventa il primo amminoacido della catena in
formazione nel sito P?
Risposta: Il nuovo amminoacido quando si sposta nel sito P diventa l’ultimo amminoacido della catena in
formazione.
Domanda 8: Durante l’analisi dell’apoptosi abbiamo parlato di come BAX interagisca con la cardiolipina
presenta sulla membrana mitocondriale esterna. Durante l’analisi del mitocondrio nel corso di citologia
però, avevamo localizzato la cardiolipina solamente nella membrana mitocondriale interna. È dunque
presente anche nella membrana esterna?
Risposta: durante le prime fasi dell’apoptosi si verifica il flip flop, un’inversione per cui la cardiolipina viene ad
essere esposta nel foglietto esterno.
Questa immagine Figura 1 mostra una statistica degli ultimi giorni in cui viene spiegato il rischio di formazione di
trombosi venosa profonda in Italia a seguito della somministrazione di vaccino Astrazeneca che risulta essere
pari allo 0.0004% . Per le donne che
assumono la pillola contraccettiva il rischio è
del 0,05-0,12%. Le persone fumatrici hanno
un rischio tra 0,15-0,2%. I malati di covid
nella seconda fase della malattia (quella più
grave) hanno un rischio di 16,5%. Anche se
siamo ancora in una fase di studio, i casi in
cui si hanno avuto trombosi dopo la
somministrazione del vaccino Astrazeneca
sono molto meno frequenti rispetto ad altre
situazioni più comuni. Bisogna valutare se
una persona che deve essere vaccinata
contemporaneamente assume la pillola
contraccettiva e fuma, bisogna considerare
l’intreccio dei fattori di rischio.
Figura 1
2
Nettis, Pollice, Sassi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 10, 14/04/2021
Domanda 9: quindi si consiglia di sospendere l’assunzione della pillola contraccettiva se si deve fare il
vaccino?
Risposta: è il vostro ginecologo che deve consigliare. Il rischio trombo embolico per chi assume la pillola
contraccettiva è valutabile nella percentuale che abbiamo visto. La sospensione deve essere fatta
(solitamente per gli interventi) da un mese a tre mesi prima. Per il vaccino attualmente non si riesce a
rispondere
Domanda 10: secondo lei c’è una correlazione tra la tipologia di vaccino (a mRNA o a vettore virale) e gli
eventuali effetti collaterali? Al momento sono ritirati AstraZeneca e Johnson&Johnson, entrambi a vettore
virale, invece di Pfizer, a mRNA, non sono stati evidenziati importanti effetti collaterali. Si tratta di una
casualità?
Risposta: questo è quello che stanno cercando di capire. Il vettore virale è un virus che porta un DNA
ricombinante, ma non sappiamo rispondere ancora. In ogni caso il rischio di contrarre una trombosi avendo
il covid19 è molto maggiore rispetto a quello dato dal vaccino.
Domanda 11: secondo la sua opinione, per persone con patologie autoimmuni è più dannoso rischiare di
prendere il covid o farei il vaccino?
Risposta: dipende dalla patologia, se è grave come lupus o artrite reumatoide, o meno gravi come la
celiachia. Credo che sia sempre più pericoloso prendere il covid, ma questo deve stabilirlo il medico curante
che conosce il caso.
Domanda 12: riguardo l’apoptosi, è bax che induce la cardiolipina sulla membrana esterna mitocondriale o
questo trasloco avviene prima dell’attacco di bax, quindi indotto da altri fattori?
Risposta: avviene in precedenza dell’attacco di bax.
Domanda 13: tornando sul tema vaccini, visto che a differenza della tecnica mRNA, l’impiego del vettore
virale è già stato sfruttato in passato per formulare dei vaccini (come l’antiinfluenzale), si sa se sono stati
osservati gli stessi effetti collaterali di Astrazeneca?
Risposta: l’antiinfluenzale è fattocon visativirali, quindi virus uccisi. I vettorivirali sono stati utilizzaticon sars cov
2 ma non essendo stata una pandemia, non è stato utilizzato su una vastità di popolazione, quindi non si
hanno dati.
INFORMAZIONI SULL’ESAME
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Nettis, Pollice, Sassi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 10, 14/04/2021
Criteri di assegnazione punteggio:
1 punto per ogni risposta esatta: individuazione deII’ unica risposta esatta come neII'es. 1, o individuazione
di tutte le possibili risposte esatte come nell’es.2 (le risposte esatte possono essere fino a 3 e
I‘individuazione di un numero inferiore di risposte esatte rispetto al numero reale equivale a risposta
sbagliata)
0 punti per ogni risposta sbagliata o non risposta
Voto Finale= n° di risposte esatte+1:
30 risposte esatte: 30/30/lode
29 risposte esatte: 30/30 e così via
Argomenti delle domande
n° 15 domande di Biologia Generale e Cellulare (prime 15 domande del test)
n° 5 domande di Genetica Formale e Molecolare (ultime 15 domande del test)
Per poter rispondere alle domande correttamente, oltre alle nozioni serve fare un ragionamento specifico:
Es, per i quiz di genetica vi verrà chiesta di calcolare con il quadrato di Punnet Ie % dei genotipi che derivano
da uno specifico incrocio. Se si tratta di malattie, dovete ovviamente conoscere il meccanismo di
trasmissione della malattia genetica in questione per poter dare una risposta corretta-nella domanda viene
nominata la malattia ma non il meccanismo di ereditarietà.
Programma di esame:
Tutto ciò che vi è stato fornito con le videolezioni ed i files relativi
Per chi ha convalide parziali:
Almeno 48h prima dell’esame deve inviarmi una copia della convalida parziale dove compare il voto. Deve
eseguire solo meta del test (o Biologia o Genetica, a seconda del tipo di convalida), ed è obbligato a finire in
30' (meta del tempo) ed inviare i risultati entro questo tempo. Il voto finale sarà la media tra il voto della
parte convalidata e quello del nuovo test.
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Nettis, Pollice, Sassi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 10, 14/04/2021
Domanda 14: il salto d’appello ci sarà anche in caso saltasse la connessione?
Risposta: non è mai capitato, se salta la connessione per uno o due minuti non c’è bisogno di recupero, se non
si ripristina la connessione in nessun modo c’è la possibilità di rifare l’esame al primo appello disponibile.
Domanda 15: ci sarà un limite di iscritti per ogni appello?
Risposta: no
Domanda 16: ci sarebbe la possibilità di esercitarci su simulazioni oppure su esami già dati in appelli
precedenti?
Risposta: a fine corso faremo un’altra sessione sull’esame dopo aver fatto gli argomenti di genetica. Vi farò vedere
dei test tipo, una simulazione vera e propria non si può fare dato che non avrete già studiato.
Domanda 17: la verbalizzazione del blocco avverrà dopo aver conseguito anche la biologia 2/2?
Risposta: si, il voto verrà verbalizzato dal prof Grandi facendo la media ponderata.
Domanda 18: per gli esercizi di genetica useremo carta e penna?
Risposta: stiamo cercando di creare un foglio digitale dove svolgere gli esercizi, in ogni caso userete il
computer.
Domanda 19: riusciremo a terminare il programma un po' prima rispetto alle ultime date di lezione?
Risposta: si bisogna terminare il programma prima, dovremmo finire massimo il 12 maggio. Poi se vogliamo
fare una lezione a parte sull’esame si farà al di fuori di queste lezioni, magari un pomeriggio.
Domanda 20: superato questo esame bisognerà subito dare anche biologia 2 oppure questo voto rimarrà
sempre valido?
Risposta: no, il voto rimane valido dal punto di vista formale.
Domanda 21: il salto d’appello vale anche se qualcuno rifiuta il voto?
Risposta: si vale anche se qualcuno rifiuta il voto.
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Nettis, Pollice, Sassi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 10, 14/04/2021
LE CELLULE STAMINALI
LE PROPRIETÀ
Una cellula staminale, a seconda della sua origine, si può chiamare embrionale, se deriva da un embrione, o
adulta, se deriva da un adulto. Le proprietà delle cellule staminali, sia embrionali che adulte, (non condivise dalle
cellule somatiche non staminali) sono principalmente queste due:
1. Poter riprodurre sé stesse e quindi mantenersi in uno stato indifferenziato: si può definire come una cellula
non matura. Tale fenomeno prende il nome di autorinnovamento o self-renewal. Questa proprietà la
devono possedere per lunghi periodi di tempo (come nello sviluppo embrionale), o in alcuni casi, per tutta la
vita dell’organismo pluricellulare: è durante tutta la vita che l’organismo ha continuamente bisogno del
rinnovamento dei propri tessuti. Autorinnovamento significa, quindi, riprodurre durante la mitosi un’altra
cellula uguale a sé stessa.
2. Deve avere la potenzialità di differenziare a cellule più mature, che successivamente differenziano in
cellule specializzate negli embrioni o nei vari tessuti dell’organismo. È quindi responsabile sia del
rinnovamento dei tessuti negli organismi dopo la nascita e sia dell’embriogenesi, cioè la formazione
dell’embrione durante lo sviluppo embrionale.
DIVISIONE
Queste due proprietà sono garantite da una divisione
mitotica peculiare che fanno le cellule staminali,
definita asimmetrica. Essa dà origine a due cellule
genotipicamente identiche alla cellula madre ma
fenotipicamente diverse tra loro. Una, infatti, è
identica alla cellula madre (generata tramite selfrenewal) in modo tale da mantenere un pool di
staminali indifferenziate che possa continuare a
rinnovare i tessuti durante tutta la vita. Mentre l’altra
cellula figlia, sarà leggermente più differenziata e, a
seconda dei fattori di crescita e di differenziamento
che incontrerà, prenderà una strada maturativa e
Figura 1
darà origine alle cellule di un determinato tessuto.
Differenziare significa, quindi, acquisire la capacità di
svolgere una determinata funzione. Quindi tutte le cellule
terminalmente differenziate derivano da cellule staminali presenti in
quel specifico tessuto, dove intraprendono un percorso differenziativo
fino allo stadio in cui acquisisce la sua forma e funzione.
Questa è una microfotografia (figura 2) a microscopio elettronico a
scansione che mi mostra le ciglia e stereociglia, nella coclea,
appartenenti ai neuroni sensoriali che formano la coclea dell’orecchio
interno. Questo è un esempio di come una cellula staminale, che è
sostanzialmente sferica, si modifichi, durante il suo percorso
differenziativo, acquisendo una forma specifica per quella funzione
che è destinata a svolgere.
Figura 2
6
Nettis, Pollice, Sassi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 10, 14/04/2021
CELLULA STAMINALE EMOPOIETICA
Se consideriamo le cellule emopoietiche, esse derivano tutte da un’unica cellula staminale, che chiamiamo
cellula staminale emopoietica. Vediamo come, durante il differenziamento, gli eritrociti e le piastrine (non tanto
i leucociti), modifichino, in modo estremo, la loro forma per poi svolgere la loro specifica funzione.
•
•
Gli eritrociti sono cellule di forma discoidale, derivanti da una cellula staminale emopoietica sferica che
differenzia terminalmente in eritrocita, espellendo il nucleo prima dell’ultima transizione differenziativa e
acquisendo una forma a disco biconcavo che è particolarmente adatta al loro ruolo funzionale: scambi
gassosi nel sangue.
I leucociti o globuli bianchi hanno più o meno una forma sferica come la staminale, ma non sono
indifferenziati. Si distinguono in:
1. Linfociti
2. Monociti
3. Macrofagi
4. Granulociti di vario tipo
Tutte queste cellule derivano dalla cellula staminale emopoietica ma differenziano in tutte queste tipologie
(elenco incompleto), svolgendo ognuno la propria funzione (I linfociti B producono gli anticorpi, quelli T hanno
un’attività citotossica così come i monociti, macrofagi e granulociti). Vedremo, in seguito, come i leucociti
modificano moltissimo la loro espressione genica, in seguito a fattori differenziativi, in modo da poter esercitare
la loro funzione specifica.
•
Le piastrine sono i primi effettori della
coagulazione del sangue: andranno a formare
un tappo piastrinico in corrispondenza delle
lesioni vascolari in modo che si fermi
l’emorragia. Esse non sono cellule (non
possiedono un nucleo) ma frammenti
citoplasmatici di un megacariocita: una cellula
polinucleata differenziata dalla cellula staminale
emopoietica che, alla fine del loro processo
differenziativo, frammenta il suo citoplasma.
Figura 3
7
Nettis, Pollice, Sassi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 10, 14/04/2021
LE PRINCIPALI CLASSI DI STEM CELLS
Esistono due principali classi di cellule staminali:
1. Embrionali (Embryonic stem cells, ES cell): sono definite come cellule che derivano dall’embrione ai primi
stadi dello sviluppo, in particolare dalla blastocisti. In particolare, la cellula staminale embrionale deriva
dalla massa interna della blastocisti allo stadio di pre-impianto nell’utero. Nell’ uomo, circa cinque giorni
post-fecondazione.
2. La cellula staminale dell’adulto: è una cellula
indifferenziata che si ritrova all’interno di un contesto
tissutale specializzato, più precisamente in strutture
che prendono il nome di nicchie staminali, dove
troviamo, quindi, le cellule staminali di quel
determinato tessuto che provvedono al rinnovamento
del tessuto stesso. Infatti queste cellule possiedono la
capacità di self-renewal per tutta la vita dell’adulto.
Inoltre, quest’ultime, sono state ritrovate, prima, nel
midollo osseo, nel sangue periferico e del cordone
ombelicale e, successivamente, in altri tessuti (cervello,
cornea, retina, polpa dentaria, fegato, pelle, vari
epiteli, nel pancreas e altri organi). Bisogna precisare
che per “adulto” si definisce un organismo nella sua
fase post-natale.
Figura 4
In generale, ogni tessuto ha bisogno di rinnovarsi:
esistono tessuti ad alta o bassa capacità di
rinnovamento ma sempre con un certo “rate” e velocità di rinnovamento che tutti i tessuti devono
possedere. Quindi, tutti i tessuti devono avere la capacità di rinnovarsi attraverso il continuo
differenziamento delle cellule staminali in cellule terminalmente differenziate che andranno a sostituire le
cellule (terminalmente) differenziate del tessuto. Quest’ultime, non essendo immortali, dopo un certo
periodo di vita, definito emivita, giungono alla senescenza replicativa per poi andare in contro ad una morte
per apoptosi.
UTILIZZO DELLE CELLULE STAMINALI NELLA MEDICINA RIGENERATIVA
Come abbiamo già detto, le cellule staminali hanno la capacità di rigenerare i tessuti e interi embrioni (nel caso
di quelle embrionali). La medicina rigenerativa è quella branca della medicina che utilizza le cellule staminali per
rigenerare delle porzioni di tessuti che sono andati persi per effetto di una malattia, per esempio, degenerativa o
per effetto di un incidente o insulto. Vediamo ora quali cellule staminali dell’adulto (ASC) sono tutt’ora,
clinicamente, utilizzate per ricostruire tessuti. Prima, però, andiamo a definire le caratteristiche di un ambiente
molto importante quest’ultime cellule.
8
Nettis, Pollice, Sassi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 10, 14/04/2021
LA NICCHIA STAMINALE
Vediamo le caratteristiche di questa struttura:
•
Dopo la nascita, le ASC risiedono in uno speciale microambiente chiamato “nicchia”, che varia in natura e
localizzazione in dipendenza dal tessuto. Per esempio, nel tessuto emopoietico sono state caratterizzate
almeno tre tipi di nicchie:
1. Osteoblastica
2. Vascolare
3. Altri tipi di nicchie costituite da cellule staminali, mesenchimali, macrofagi ecc.…
• La nicchia è anche composta da altre cellule non staminali che circondano quelle staminali, creando una rete
di segnali per il supporto della cellula staminale stessa e quindi per l’omeostasi ed il riparo tissutale.
L’omeostasi tissutale è l’equilibrio che ci deve essere all’interno di un tessuto tra i vari pool di cellule
(staminali indifferenziate, differenziate, terminalmente differenziate e cellule verso l’apoptosi), in modo tale
che il tessuto possa rimanere sempre alla sua massima efficienza.
• La nicchia protegge le cellule staminali dall’esaurimento e dalla senescenza replicativa: regola la velocità di
proliferazione delle cellule staminali stesse, spesso inducendo la quiescenza e quindi proteggendole, anche
quando non servono, dalla continua proliferazione. Nello stesso tempo, protegge l’organismo da una
proliferazione eccessiva delle cellule staminali stesse che può risultare dannosa.
• La nicchia costituisce l’unità funzionale basale del tessuto ed integra i segnali che mediano la risposta delle
cellule staminali alle necessità dell’organismo, in dipendenza dal tessuto
• La nicchia è tipicamente costituita da un tipo cellulare diverso da quello staminale, come ad esempio gli
osteoblasti nel midollo osseo.
Figura 6
9
Nettis, Pollice, Sassi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 10, 14/04/2021
Quest’ultimo esempio si riferisce alla figura
7, dove gli osteoblasti sono quelli colorati in
blu e adagiati sul periostio del midollo
osseo, mentre quelle in rosa e rosso sono le
cellule staminali emopoietiche che
aderiscono, con complessi di adesione
specifici, alle cellule della nicchia
osteoblastica (cioè gli osteoblasti). Questa
stretta adesione, quindi, fa sì che gli
osteoblasti possano influire sulla
funzionalità delle cellule staminali stesse e
determinare, attraverso le sostanze che
secernono, di cui le cellule staminali
emopoietiche hanno i recettori, la
Figura 7
6
quiescenza, la proliferazione o il
differenziamento della cellula staminale
stessa. Nel cervello, poi, ci sono altri tipi di nicchie costituite da cellule endoteliali.
LE CELLULE STAMINALI NEURALI
Come voi sapete, il tessuto nervoso è a bassa capacità di
rinnovamento. Fino a pochi anni fa si credeva che le cellule nervose
nel cervello adulto non si dividessero più e che quindi non ci fosse
nessuna possibilità di rigenerazione del tessuto cerebrale (ergo non
conteneva cellule staminali). In seguito, è stato dimostrato che nel
sistema nervoso dell’animale adulto, attraverso esperimenti
inizialmente eseguiti sui ratti, ci sono delle cellule staminali, definite
Neuron Stem cells o NSCs. Quest’ultime si dividono e differenziano
a neuroni e a tutte le cellule della glia. La cellula staminale neurale
non è una cellula utilizzata abitualmente in clinica: non è ancora una
cellula che viene utilizzata come strategia terapeutica per curare
malattie degenerative del cervello (per es. il morbo di Parkinson).
Quindi, dal punto di vista applicativo, è livello sperimentale
Figura 8
10
Nettis, Pollice, Sassi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 10, 14/04/2021
MORBO DI PARKINSON
In particolare, nel morbo di Parkinson, come vedete nella
figura 9, abbiamo la degenerazione del nucleo Nigrostriato, cioè dei neuroni che producono il
neurotrasmettitore dopamina con conseguente perdita o
diminuzione fortissima della produzione di dopamina
all’interno dell’encefalo. Quest’ultimo processo provoca,
inoltre, la perdita di molte capacità motorie e intellettuali
che, progressivamente, vengono perse nei malati di
Parkinson. Nelle prime fasi della malattia, viene utilizzato
un analogo sintetico della dopamina che viene definito
levodopa. Ma, dopo un certo periodo, i pazienti non
rispondono più a questa terapia. Quindi, sono stati
Figura 9
utilizzati diversi approcci di medicina rigenerativa per
riuscire a curare questa malattia con una terapia cellulare.
Quest’immagine (figura 10) si riferisce a due scansioni fatte in Positron Emission Tomography (PET): una tecnica
radiologica che permette di vedere le zone di un determinato tessuto più attive dal punto di vista metabolico. Il
codice colore è il seguente: le zone rosse sono quelle più attive, le zone gialle sono quelle attive in modo
intermedio, mentre le zone blu sono quelle meno attive, dal punto di vista comparativo. Partendo da sinistra,
abbiamo un’immagine di un paziente prima della chirurgia, durante la quale vengono trapiantati dei neuroni
dopaminergici isolati da un tessuto fetale. Nello stesso paziente, dopo l’intervento, viene aumentata l’attività
della zona dopaminergica, con produzione di dopamina e miglioramento dei sintomi del paziente. Questo accade
(nell’ immagine a destra) dodici mesi dopo il trapianto. Però, queste cellule, nei mesi successivi, vanno incontro
ad una degenerazione: si può dire, quindi, che questa non è una terapia cellulare definitiva per il morbo di
Parkinson. Inoltre, ora si stanno compiendo degli esperimenti sui primati, utilizzando le cellule staminali
embrionali. Ancora, però, non ci sono risultati applicabili in clinica.
Figura 20
11
Nettis, Pollice, Sassi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 10, 14/04/2021
ISTOLOGIA DELL’EPIDERMIDE
Per quanto riguarda le cellule che sono, tutt’ora, utilizzate
come terapia cellulare di routine, annoveriamo due tipi
cellulari epiteliali, in particolare le cellule dell’epidermide,
della cornea e, a parte, la cellula emopoietica. Quindi, la
terapia cellulare, volta a rigenerare tessuti per malattie o
incidenti, oggi utilizza “solamente” cellule staminali
dell’epidermide, della cornea ed emopoietiche, con ottimi
risultati.
Per quanto riguarda l’istologia dell’epidermide, bisogna
ricordarsi che lo strato basale è quello che poggia sulla lamina
basale ed è lo strato che contiene maggiormente cellule
indifferenziate.
Figura 11
LA NICCHIA STAMINALE EPITELIALE
Di conseguenza, la nicchia staminale epiteliale (in azzurro in figura
12) contiene cellule epidermiche staminali, le quali si trovano
all’interno dello strato basale, cioè tra le cellule meno differenziate
dell’epidermide. Quindi esse formano l’unità proliferativa
dell’epidermide (Epidermal proliferative Unit, EPU): composta da
una cellula staminale, circondata da almeno 10 cellule basali (in
blu in figura 12 e da immaginare tridimensionalmente) che
compensano l’esfoliazione della colonna cellulare superiore.
Esistono vari tipi di nicchie staminali che dipendono dal tipo di
tessuto.
Figura 12
LE CELLULE STAMINALI EPIDERMICHE
Le cellule staminali epidermiche sono utilizzate in terapia e, in particolare, per curare i grandi ustionati o alcune
malattie genetiche che, come l’epidermolisi bollosa, consistono in una perdita e fragilità estrema
dell’epidermide. Quindi, per quanto riguarda la cura delle ustioni, le cellule staminali epiteliali sono utilizzate per
la produzione di lembi di pelle. Inoltre, le ustioni gravi (secondo e terzo grado) che vanno ad interessare una
grande parte del corpo (2/3 circa) sono molto gravi ed espongono il paziente a morte, in quanto, a causa della
mancanza della barriera epiteliale, lo espongono sia ad infezioni opportunistiche e sia ad una fortissima
evacuazione dei liquidi corporei che sottopone i reni ad un lavoro molto intenso che sfocia in un’insufficienza
renale, anche causata dalle tossine sviluppate dalle cellule ustionate stesse.
12
Nettis, Pollice, Sassi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 10, 14/04/2021
Come si fa a
curare questi
malati con
lembi di pelle
senza incorrere
nel pericolo di
un rigetto?
Figura 13
L’epidermide è altamente
immunogenica, cioè un
tessuto che, spessissimo,
produce un rigetto anche se
istocompatibile (compatibile
come antigene di
istocompatibilità). Quindi,
alcuni studiosi, tra cui il
professore De Luca (che vi farà
lezione prossimamente),
hanno messo a punto questa
tecnica di coltura di
Figura 14
epidermide autologa, cioè
proveniente dal paziente stesso, in vitro. Praticamente si fa una biopsia in una piccola zona (bastano pochi
centimetri quadrati) non ustionata del paziente, per poi mettere il lembo (la biopsia) in un recipiente di coltura
e, in due o tre settimane, si ottengono dei lembi di epidermide che vengono poi trapiantati sul derma del
paziente stesso e vanno a rimpiazzare l’epidermide perduta con le ustioni. Tutto ciò avviene senza problemi di
rigetto poiché il lembo epidermico deriva dal paziente stesso: è un trapianto definito autologo.
Questa è la tecnica chirurgica (figura 15) con la quale i lembi
vengono cuciti, prelevati dalla coltura in vitro e applicati, sul
derma sottostante (precedentemente preparato), come un
puzzle che ricopre l’intera ustione.
Figura 15
13
Nettis, Pollice, Sassi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 10, 14/04/2021
LE CELLULE STAMINALI CORNEALI
Le cellule staminali corneali è il secondo tipo di cellule epiteliali che viene, correntemente, utilizzato in medicina
rigenerativa per rigenerare, in questo caso, la cornea. Questa non è una terapia salva vita ma è una terapia
cellulare che restituisce la vista (il nostro senso più importante). Prima di tutto, bisogna sapere dove sono
localizzate le cellule staminali nella cornea. È stato visto, infatti, come queste cellule risiedano nel limbus (zona
“l” rossa in figura 16). Queste cellule staminali corneali sono in grado di ricostruire una cornea anche in vitro.
Figura 16
•
Come viene applicata questa tecnica?
Cellule staminali corneali vengono prelevate dalla zona
del limbus e messe (servono pochi millimetri quadrati
di biopsia) in coltura, per poi andare a costruire dei
lembi di cornea (figura 17) trasparenti (com’è la cornea
realmente). Questi lembi verranno utilizzati per il
trattamento di gravi ustioni oculari.
Figura 17
14
Nettis, Pollice, Sassi
•
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 10, 14/04/2021
In quali casi vengono utilizzati questi lembi di cornea?
Guardando la figura 18, in alto a sinistra (l’immagine sotto la scritta
“before”), vediamo un occhio in cui è avvenuta la
“congiuntivalizzazione”: a seguito di un’ustione oculare (per es. calce
viva), l’occhio reagisce formando una copertura (panno) di congiuntiva
che ricopre la cornea e la pupilla conducendo, successivamente, alla
cecità. Anche questi occhi (sotto “before treatment” Patient 22,26,46)
sono molto danneggiati e praticamente ciechi.
Figura 18
•
Cosa prevede il trapianto di cellule staminali corneali?
Prevede una serie di passaggi (figura 19):
1. Prelievo nell’altro occhio (quello sano), da una piccola porzione del
limbus, di cellule staminali corneali.
2. Successivamente vengono poste in cultura per sviluppare i lembi corneali autologhi.
3. Rimozione della copertura di congiuntiva che occludeva la vista.
4. Applicazione del lembo corneale, con l’applicazione successiva dei punti di sutura.
Figura 19
Il risultato è visibile nella colonna di destra della figura 18.
HOLOCLAR
Con questo metodo di coltura di cellule corneali autologhe, la professoressa Pellegrini, che lavora al centro di
medicina rigenerativa, ha restituito la vista a più di 150 pazienti. Inoltre, questa tecnica ha portato ad un
brevetto che prende il nome di “holoclar”: è costituito dalla tecnica per rigenerare in vitro una cornea da cellule
autologhe. Nel febbraio 2015, è stato approvato dall’AIFA e dall’EMA il primo farmaco (le cellule a coltura
cellulare sono considerati farmaci e quindi regolamentate dalle stesse regole con cui vengono fabbricati in
farmaci) al mondo a base di cellule staminali della cornea. Con “holo” si intende holocloni: cellule staminali dei
tessuti epiteliali. Con “clar” indica la capacità di chiarificare la vista. L’Holoclar è stato sviluppato a Modena
grazie ad una collaborazione tra pubblico (Unimore) e privato (HOLOSTEM). “HOLOSTEM” è un’azienda
farmaceutica che tutt’ora produce cornee per trapianto, ogni giorno. Tutto ciò permette di ridare la vista a
pazienti con ustioni e lesioni da agenti chimici con una percentuale di successo superiore all’80%. Molti di questi
pazienti avevano tentato un trapianto eterologo, cioè da un donatore di cornea, ma che non aveva attecchito
per mancanza di cellule staminali.
15
Nettis, Pollice, Sassi
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 10, 14/04/2021
16
Battaglia, De Riccardis, Bandiera
Biologia e genetica (Manfredini)
lezione 11, 19/11/2021
La cellula staminale emopoietica
La cellula staminale emopoietica è stata la prima cellula staminale ad essere applicata in terapia cellulare.
La cellula staminale emopoietica ha sede nella sede dell’emopoiesi, cioè nel midollo osseo, quest’ultima al
SEM risulta non avere una forma tipica, la morfologia è (come tutte le cellule staminali) prettamente
sferica.
Nel 1957, prima ancora che si coniasse il termine di cellula staminale, coniato alla fine degli anni 80, il
dottor Thomas capì che c’era qualcosa nel midollo osseo che era capace di rigenerare l’emopoiesi in una
persona con emopoiesi inefficace per esposizione a radiazioni, o malattia. Questa sua convinzione fu
derivata da esperimenti condotti durante la Seconda Guerra Mondiale, durante i quali cercando di salvare
persone letalmente esposte a radiazioni (letalmente irradiate).
Si fecero esperimenti sui topi e si scopri che il midollo osseo di un topo sano, quando trapiantato in un
topo letalmente irradiato era in grado di ricostruire un’emopoiesi completa, quindi salvare la vita, del topo
irradiato che altrimenti sarebbe stato destinato alla morte. Varie sperimentazioni successive hanno portato
sull’uomo il primo trapianto di midollo osseo. Nel 1957 il dottor Thomas ha eseguito un Intravenous
Infusion of Bone Marrow, ovvero un trapianto di cellule derivanti dal midollo osseo di un individuo sano in
un paziente con leucemia acuta che era stato precedentemente trattato con radiazioni e chemioterapia,
questo perché nel caso della leucemia acuta, come nel caso di patologie neoplastiche del sistema
emopoietiche, il trapianto di cellule staminali emopoietiche deve essere effettuato dopo che il midollo
osseo sia svuotato dal clone neoplastico attraverso un trattamento radiante e chemioterapico. E’ la stessa
tecnica che si usa ancora oggi.
Questo fu il primo risultato positivo che segnò l’inizio di una pratica terapeutica, che utilizza le cellule
staminali emopoietiche che ancora oggi va avanti e continua a salvare milioni di persone.
Proprietà della cellula staminale emopoietica
Le proprietà delle cellule staminali emopoietiche sono le stesse descritte nella lezione scorsa cioè:
•
Capacità di self-renewal (autorinnovamento) per tutta la vita dell’organismo ovvero la capacità di
generare altre cellule uguali a sé stessa perché ogni giorno devono essere prodotte decine e decine
di miliardi di nuove cellule del sangue e quindi il tessuto emopoietico ha un’altissima capacità di
rinnovamento e ha bisogno di cellule staminali altamente efficienti che facciano molto self-renewal
•
Capacità di dare origine a progenitori multipotenti cioè a cellule leggermente più differenziate
multipotenti perché la cellula staminale emopoietica dà origine a tutte le cellule terminalmente
differenziate della linea emopoietica (leucociti, monociti, piastrine, globuli rossi, plasmacellule).
Nella figura 1 possiamo osservare l’emopoiesi
midollare quindi non si vede la genesi dei
linfociti T (avviene nel timo). Abbiamo nel
midollo osseo, all'interno di particolari
strutture, ovvero le nicchie staminali
emopoietiche vari compartimenti.
Quello mostrato è il compartimento delle
cellule staminali quiescenti che possono
essere indotte a proliferare tramite
l’attivazione della proliferazione e l’uscita da
G0, attraverso la stimolazione di alcuni fattori
di crescita come alcune interleuchine, ad
esempio SCF, ovvero lo Stem Cell Factor, e una volta in ciclo le cellule possono essere indotte
Figura 1
1
Battaglia, De Riccardis, Bandiera
Biologia e genetica (Manfredini)
lezione 11, 19/11/2021
a differenziare a progenitori, che sono le prime cellule della linea mieloide e della linea linfoide che si
formano nello step differenziativo seguente alla cellula staminale.
Quindi mentre una cellula progenitore mieloide, da origine a tutta la linea differenziativa mieloide (cioè
granulociti, monociti, piastrine ed eritrociti), il progenitore linfoide da origine, nel midollo osseo, alla linea
linfocitaria B, e nel timo alla linea linfocitaria T.
Il midollo osseo, nell’adulto, è la sede dell’emopoiesi.
È localizzato, prevalentemente, nell’osso spugnoso e nelle ossa piatte, quindi nelle ossa pelviche e nello
sterno, ma anche nelle epifisi delle ossa lunghe. La produzione del sangue avviene in piccole cavità
dell’osso, dove le cellule staminali emopoietiche sono organizzate in particolari strutture dette nicchie
staminali emopoietiche. Morfologicamente la cellula staminale emopoietica, come tutte le cellule
staminali, non è identificabile, cioè non presenta caratteristiche morfologiche che permettono di
identificarla in un’analisi morfologica del midollo osseo.
La cellula staminale emopoietica è definita funzionalmente come una cellula dotata di:
• Capacità di autorinnovamento a lungo termine (“long-term self-renewal”), per tutta la vita
dell’organismo;
• Potenzialità di ricostruire tutte le linee emopoietiche in un animale letalmente irradiato, (in un
processo chiamato engraftment, cioè. "attecchimento” delle CSE (cellule staminali emopoietiche)
trapiantate nell’ospite, che ricostruiscono tutte le linee emopoietiche). L’animale irradiato può esstere ed è
spesso anche l’uomo.
Esistono 3 diverse sorgenti tissutali di CSE:
• Midollo osseo: sede dell’emopoiesi, in cui la CSE è
concentrata dall’ 1% al 3%, che è una frazione molto
piccola delle cellule del midollo osseo, sufficiente per
garantire l’alto tasso di rinnovamento di questo tessuto.
Per il trapianto il midollo osseo contenente le CSE, oggi
viene prelevato prevalentemente dalla cresta iliaca, non
più dallo sterno; si tratta di un intervento minimamente
invasivo.
• Sangue periferico: presenta una certa quantità di cellule staminali emopoietiche circolanti, ma ad un
tasso molto minore rispetto a quello del midollo osseo (0.06%).
• Sangue del cordone ombelicale: sono presenti al momento della nascita all’1% nel sangue del cordone
ombelicale cioè il sangue della vena ombelicale e che scorre nelle vene superficiali della placenta
Oggi giorno tutte e tre le sorgenti sono utilizzate a fini di trapianto. Il sangue periferico è la fonte di cellule
staminali emopoietiche a scopo di trapianto più utilizzata. Data la scarsa frequenza di queste cellule in un
campione, il donatore sano che si sottopone al prelievo a scopi trapiantologici deve essere
precedentemente trattato con G-CSF (granulocyte-colony stimulating factor), un farmaco fattore di crescita
che stimola la mobilitazione delle cellule staminali dal midollo al sangue periferico, arrivando ad ottenere
dopo 5 giorni dal trattamento circa 1% di cellule staminali nel sangue periferico. A questo punto si potrà
prelevare al donatore una quantità di sangue non eccessiva, che si aggira sui 500 ml contenente una
quantità sufficiente di cellule staminali, per un individuo adulto, per scopi trapiantologici.
Il sangue di cordone ombelicale è già abbastanza ricco di cellule staminali, ma è limitata la quantità
estraibile dalla placenta. Si stanno sviluppando delle tecniche per riuscire ad aumentare le cellule staminali
estraibili da una placenta, che di fatto non sono sufficienti per essere trapiantate in un individuo adulto,
2
Battaglia, De Riccardis, Bandiera
Biologia e genetica (Manfredini)
lezione 11, 19/11/2021
facendole moltiplicare in vitro senza far perdere loro la staminalità che è indispensabile per la successiva
ricostruzione del midollo osseo, infatti solo le cellule staminali hanno la capacita di self-renewal e di
differenziamento e man mano che differenziano al loro tipo cellulare a cui sono destinate (“commited”), la
capacità di self-renewal si perde, insieme alla capacità di ricostruire un sistema emolinfopoietico completo.
Quindi così come avviene per i trapianti di pelle o di cornea, anche per i trapianti di sangue, nel caso di
tumori emopoietici essenzialmente, è necessario che all’interno del sangue che si trapianta, qualunque sia
la fonte utilizzata, che ci sia una sufficiente, ovvero almeno l’1% come quantità di cellule staminali
emopoietiche. E’ ovvio che il sangue del cordone ombelicale, essendo in volume abbastanza scarso anche
l’1% non è sufficiente per effettuare un trapianto in un individuo adulto.
Tipologie di trapianto
Nel caso delle cellule staminali emopoietiche distinguiamo due tipologie di trapianti:
• Il trapianto autologo, dove il paziente ed il donatore sono la stessa persona;
• Il trapianto allogenico, dove il paziente riceve le HSC da un donatore geneticamente istocompatibile e
quindi il sangue da una delle tre forme nominate proviene da un’altra persona.
Il trapianto allogenico
Essenzialmente, le indicazioni per il
trapianto allogenico sono tutte
quelle neoplasie del sistema
emopoietico (evidenziate in rosso) in
cui non ci siano altre strategie
terapeutiche possibili. Nelle
neoplasie ematologiche è essenziale
trapiantare il paziente con cellule
staminali emopoietiche sane,
provenienti da un donatore in buona
salute, che non abbiano le mutazioni
che causano le neoplasie
emopoietiche. Ovviamente il
donatore deve essere istocompatibile.
• Leucemie mieloidi acute sono molto frequenti sia nell’adulto che nell’anziano. Con la solo chemioterapia molto spesso siamo di fronte a delle recidive. Nell’anziano non è possibile effettuare il trapianto
per motivi di età e quindi nell’anziano la leucemia mieloide acuta risulta essere a prognosi infausta. Le
leucemie mieloidi acute sono generalmente curate con il trapianto allogenico di cellule staminali, a patto
che si trovi un donatore istocompatibile, tranne le leucemie mieloidi acute di tipo M 3 , o leucemia
promielocitica di tipo M3, oggi curabile tramite la somministrazione contemporanea di acido transretinoico e triossido di arsenico, che è in grado di far differenziare la leucemia promielocitica in cellule
terminalmente differenziate, infatti le leucemie mieloidi acute sono caratterizzate da un blocco
differenziativo delle cellule. Tutte le altre leucemie mieloidi acute necessitano per guarire di trapianto
allogenico.
• Leucemie linfoidi acute, abbiamo delle buone percentuali di guarigione superiori all’80%, nelle leucemie
del bambino con chemio-terapia. L’efficienza della chemioterapia, però, diminuisce all’aumentare dell’età:
superato il sesto anno di età l’efficienza non è più dimostrata, quindi si ricorre al trapianto allogenico.
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Battaglia, De Riccardis, Bandiera
Biologia e genetica (Manfredini)
lezione 11, 19/11/2021
• Linfomi (tumori ai linfonodi) maligni recidivati o resistenti (alla chemioterapia), per la cura dei linfomi la
chemioterapia è risolutiva, quando il paziente subisce una recidiva della malattia o comunque è resistente
alla chemioterapia si ricorre al trapianto allogenico.
• Leucemia mieloide cronica, è una leucemia mieloproliferativa cronica, ha un’evoluzione più lenta. Oggi i
pazienti sono trattati con una terapia mirata molto efficace con Imatinib e i suoi derivati, la terapia risulta
essere efficace, quest’ultima inoltre è mirata contro la mutazione (specifica della leucemia mieloide
cronica) di BCR-ABL, quindi non c’ è bisogno nella maggior parte dei casi di trapianti, ovviamente i pazienti
resistenti ricorrono al trapianto allogenico.
Il trapianto allogenico è indicato anche per alcune malattie non neoplastiche, come sindromi
preneoplastiche o malattie genetiche che compromettono gravemente l’emopoiesi:
• Sindromi mielodisplastiche, sono patologie pre-neoplastiche (quindi non ancora neoplastiche) di varie
origini sempre con un iperproliferazioni , con difetti della maturazione mieloide.
• Anemia aplastica severa, è una sindrome autoimmune che porta alla morte, se non curata con un
trapianto allogenico;
• Alcune emoglobinopatie ereditarie, come talassemia e anemia falciforme;
• Immunodeficienze gravi, non trattabili o non trattate con la terapia genica. Queste sindromi possono
essere trattate con successo con un trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche, quindi con una
ricostruzione di un sistema emolinfopoietico sano.
Il trapianto autologo
Il trapianto autologo è indicato nelle neoplasie emopoietiche, quando non si trova un donatore
istocompatibile, anche se spesso quest’ultimo non da un buon esito perché anche se sono state sviluppate
delle tecniche di purificazione delle cellule staminali leucemiche dalle cellule staminali emopoietiche del
paziente quando vengono reinfuse, molto spesso danno recidiva, quindi si cerca di fare il trapianto
allogenico. Le indicazioni per il trapianto autologo sono per quei tumori molto gravi per cui è necessaria
una chemioterapia molto aggressiva che mielosopprime l’attività del midollo osseo, questo è uno dei
principali effetti collaterali della chemio-terapia antitumorale. Tutti questi tumori:
• Neuroblastoma IV stadio;
• Altri tumori solidi in fase avanzata come:
-tumori cerebrali
-tumore alla mammella
-tumore a cellule germinali
• Malattie autoimmuni gravemente invalidanti: artrite reumatoide e sclerosi multipla.
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Battaglia, De Riccardis, Bandiera
Biologia e genetica (Manfredini)
lezione 11, 19/11/2021
Questi possono essere trattati con una terapia
molto aggressiva, che oltre che aggredire il
tumore aggredisce anche le cellule del midollo
osseo, perché sono cellule altamente
proliferanti, e quindi la chemio-terapia
tradizionale le va a bersagliare, così come va a
bersagliare le cellule tumorali.
In questi casi si prelevano cellule staminali
emopoietiche prima del trattamento
chemioterapico, si congelano in azoto liquido e
si reinfondono dopo o durante il trattamento
con la chemio-terapia per il tumore non
ematologico.
Quindi in questo caso si riesce a sostenere l’attività del midollo osseo, curando contemporaneamente
curando ad alte dosi di chemioterapia, tumori maligni.
La diapositiva riassume quanto detto a voce.
Processo di engraftment nel trapianto di cellule staminali emopoietiche
Solitamente i trapianti vengono fatti posizionando l’organo o il tessuto, nella posizione dell’organo o
tessuto che deve essere ricambiato. Il trapianto di cellule staminali emopoietiche, invece si fa non
direttamente nel midollo osseo ma iniettando endovena le cellule staminali emopoietiche da una vena
periferica come quelle del braccio e le proprietà delle cellule staminali emopoietiche fanno si che possano
trovare in maniera autonoma la loro sede naturale (nicchie staminali del midollo osseo), in un processo che
prende il nome di ‘homing’, per poi incominciare il processo definito ‘engraftment’ o ripopolamento
midollare, all’interno del midollo osseo stesso.
L’homing e l’engraftment delle HSC sono processi multifasici che seguono una serie di step.
La figura mostra un capillare del midollo osseo, le cellule staminali
emopoietiche una volta iniettate circolano in tutto il corpo, ma
vanno a localizzarsi prevalentemente nel midollo osseo, grazie a
specifici segnali che le richiamano verso il midollo osseo stesso,
dove devono andare a riprodursi. Il capillare in figura 2 è costituito,
come tutti i capillari, da un unico strato di cellule endoteliali. Si
tratta di un endotelio fenestrato perché le cellule endoteliali sono
più lassamente connesse tra di loro, questo è indispensabile nel
midollo osseo perché nel midollo osseo esiste un continuo traffico
dalle vene periferiche al midollo osseo e dal midollo osseo, verso la
periferia. Continuamente le cellule nuove necessarie per il nostro
Figura 2: figura 2
organismo prodotte nel midollo osseo fanno il percorso inverso cioè
escono attraverso i capillari del midollo osseo e vanno in tutto il sangue a svolgere la loro funzione.
Quindi ricapitolando questo è un capillare così detto fenestrato del midollo osseo che facilita lo scambio
delle cellule tra midollo osseo e periferia, all’interno del quale possiamo osservare scorrere le cellule
staminali emopoietiche.
1. La prima interazione che avviene tra le cellule staminali trapiantate con le cellule endoteliali dei capillari
del midollo osseo viene operata abbastanza lassamente tra P ed E-selectine, che sono espresse sulle cellule
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Battaglia, De Riccardis, Bandiera
Biologia e genetica (Manfredini)
lezione 11, 19/11/2021
endoteliali e i loro ligandi (recettori) espressi sulla superficie delle cellule staminali emopoietiche. Questa è
una prima interazione piuttosto debole che ha lo scopo di rallentare la velocità di scorrimento del sangue
delle HSC
2. Rotolamento (rolling) delle HSC sull’endotelio;
3. Adesione stabile alla parete dei vasi, necessaria affinché la cellula staminale emopoietica possa uscire
dal capillare midollare e andare nel midollo osseo ed effettuare così il processo di diapedesi mediata da
Integrine e loro ligandi, che consiste nell’infilarsi tra due cellule endoteliali modificando la loro forma e
uscire dal capillare midollare per andare poi a localizzarsi nella nicchia staminale emopoietica. Tutto ciò è
mediato da VLA-4 e LFA-1 (due integrine sulle cellule staminali) che legano rispettivamente con i loro
ligandi VCAM e ICAM sulle cellule endoteliali.
4. Fuoriuscita dai capillari midollari. Una volta che si è fermata, la cellula HSC è in grado di extravasare
modificando la sua forma, seguendo un gradiente chemiotattico. Tale gradiente chemiotattico è formato da
una molecola chiamata SDF-1 (stromal derived factor-1), prodotta dalle cellule stromali della nicchia, che
richiama le cellule staminali emopoietiche che ne possiedono il recettore CXCR4, e quindi si vanno poi a
localizzare nella nicchia stromale, emopoietica, che può essere anche osteoblastica o vascolare etc...
5. Una volta raggiunta la nicchia vascolare, osteoblastica, mesenchimale etc. le cellule staminali saranno poi
influenzate dalle cellule della nicchia, che in questo caso sono le cellule trapiantate che devono ricostruire
un intero sistema emopoietico, quindi cominceranno a proliferare e a differenziare per ricostruire nel giro
di un paio di settimane un midollo osseo completo e funzionale.
NB: I meccanismi che guidano il rolling e la diapedesi dei granulociti sono simili a quelli che regolano
l’homing delle HSC. I segnali chemiotattici sono diversi.
Le cellule staminali tumorali
Questa è la descrizione dell’altra faccia delle cellule staminali. La cellula
staminale ha un ruolo critico e indispensabile nella generazione di un
organismo pluricellulare, nel suo mantenimento e nella rigenerazione
dei suoi tessuti, ma purtroppo quando subisce delle mutazioni sia a
livello staminale, sia a livello dei progenitori diventa una “cancer stem
cell”’ ovvero una cellula staminale tumorale.
Le cellule staminali tumorali hanno la stessa capacità di autorinnovamento delle cellule staminali normali e fino ad un certo punto
mantiene anche la loro capacità differenziativa.
Derivano per mutazione delle cellule staminali o dai progenitori
normali, si auto-rinnovano e successivamente proliferano e
differenziano per creare un clone di cellule andando a formare il
tumore, che quasi sempre è una massa solida ad eccezione di un
tumore emopoietico.
Cellule staminali leucemiche
Dal punto di vista terapeutico sono importanti le cancer stem cells. Parlando di emopoiesi e di tumori
emopoietici, parliamo delle cancer stem cell, che sono le LSCs (Leukemic stem cells), cioè le cellule
staminali leucemiche. L’esistenza delle Leukemic stem cells è di enorme importanza clinica: date le loro
proprietà quali quiescenza, resistenza ai farmaci e all’induzione di apoptosi (l’induzione di apoptosi è uno
dei principali meccanismi d’azione della chemioterapia antitumorale), sono le principali responsabili del
6
Battaglia, De Riccardis, Bandiera
Biologia e genetica (Manfredini)
lezione 11, 19/11/2021
fallimento delle attuali terapie nell’eradicazione delle leucemie (frequenti soprattutto nelle leucemie
mieloidi acute).Infatti, i trattamenti terapeutici convenzionali hanno come bersaglio la progenie altamente
proliferante delle Leukemic stem cells.
La chemioterapia tradizionale, costituita da farmaci che va a inibire la sintesi del DNA e delle proteine, va a
bersagliare le cellule più proliferanti del corpo , quindi il tumore che è altamente proliferante, mentre le
cellule staminali tumorali come le LSCs, avendo un attività proliferativa più bassa della loro progenie, non
vengono quasi mai eradicate dalla chemioterapia tradizionale, quindi nel 70% dei casi di leucemia mieloide
si va incontro a recidiva della malattia, suggerendo che le attuali terapie non sono in grado di eliminare
efficacemente le cellule staminali leucemiche. Pertanto, risulta evidente la necessità di disegnare nuove
strategie terapeutiche mirate che siano in grado di eliminare le LSCs senza colpire le cellule staminali
emopoietiche normali.
Individuazione di nuove terapie mirate è ovviamente all'ordine del giorno nelle ricerche degli oncologi
molecolari, sono già state trovate e sperimentate e attualmente in terapia, però mai da sole, ma in
associazione con la chemioterapia antitumorale classica ad eccezione della leucemia mieloide cronica.
Abbiamo però un ulteriore traguardo da raggiungere che è quello di andare a eliminare non solo le cellule
tumorali, ma anche le cellule staminali tumorali che hanno delle proprietà diverse e spesso sfuggono alla
chemioterapia anche quella mirata.
Alla base del disegno di nuove strategie mirate sulle cellule staminali leucemiche ci debba essere una
caratterizzazione molecolare e funzionale molto accurata delle LSCs, per mezzo di tecniche post
genomiche che vadano, per esempio (la prof fa riferimento ad una sua ricerca) a sondare e analizzare tutto
il trascrittoma delle cellule staminali tumorali, in questo caso della leucemia mieloide cronica in modo da
poterlo comparare con il trascrittoma di cellule staminali normali e andare a evidenziare le differenze di
espressione che ci sono tra queste due popolazioni e sfruttare le espressioni differenziali di queste due
popolazioni per andare a costruire una terapia mirata sulle cellule staminali leucemiche.
In una ricerca condotta dalla Prof. Nel 2009 fu utilizzato come tecnica post-genomica i DNA-microarrays in
cui si può fare lo studio globale del profilo di espressione genica di un determinato tipo cellulare. Quindi
con un solo esperimento con questo chip possiamo ibridizzare RNA estratto dalle cellule staminali di
leucemia mieloide cronica , su un altro chip invece ibridizziamo RNA estratto da cellule staminali normali,
andiamo poi a fare l’analisi dei dati e possiamo analizzare i due trascrittomi ed evidenziare con dei
programmi bio-informatici (perché con questo tipo di analisi, andiamo ad analizzare circa 50 000 trascritti
per tipo cellulare), riusciamo a vedere l’espressione differenziale tra sano e malato, in questo caso cellule
staminali emopoietiche
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Battaglia, De Riccardis, Bandiera
Biologia e genetica (Manfredini)
lezione 11, 19/11/2021
Questa immagine è già stata vista, si
tratta della terapia mirata utilizzata nella
leucemia mieloide cronica con l’imatinib
(o Gleevec) che va a bloccare la
fosforilazione mediante BCR-ABL dei
substrati che provocano la leucemia
tramite l’imatinib (o Gleevec) che si va a
posizionare in modo irreversibile nella
tasca dell’ATP, quindi impedendo alla
BCR-ABL ,che è una tirosin-chinasi, di
fosforilare, abbiamo così una remissione
della leucemia.
Però ci sono dei casi di pazienti resistenti
all’Imatinib e quindi vi è necessità di andare ad analizzare le cellule staminali leucemiche di questa malattia
e di cercare dei nuovi bersagli terapeutici.
Analizzando e confrontando i due trascrittomi della leucemia mieloide cronica e delle cellule normali a
livello emopoietico, abbiamo riscontrato che nelle cellule leucemiche rispetto alle cellule staminali normali
sono attivati molti meccanismi di progressione tumorale, tra cui:
1)
2)
3)
Resistenza all’apoptosi
Stimolazione della formazione di nuovi vasi (angiogenesi), che in ambito emopoietico neoplastico è
importante per la disseminazione del tumore
Espressione di nuovi markers specifici della leucemia, cioè di nuove proteine espresse specificamente nelle cellule staminali leucemiche e molto meno dalle cellule staminali normali
L’immagine accanto riporta un’Itmap che mostra in colori diversi
l’espressione differenziale.
Semplificando possiamo dire che CML significa Chronic Myeloid Leukemia
e le tre corsie corrispondenti nella figura si riferiscono all’espressione
genica di tre sottopopolazioni diverse di cellule staminali leucemiche. Il
rosso significa “maggiore espressione” e il verde “minore espressione”.
Possiamo evidenziare quindi l’espressione preferenziale di alcuni markers
(che per altri tumori sono già markers tumorali come CEACAM4,
CEACAM6, AURKB o altre proteine di superficie e non) nelle cellule
staminali leucemiche rispetto alle cellule staminali emopoietiche normali.
Ciò significa che se noi costruiamo una terapia mirata su uno, due o tre di
questi markers forse possiamo essere in grado di bersagliare
specificamente le cellule staminali leucemiche senza andare a ledere le
cellule staminali normali. Tutto ciò è in sperimentazione.
Un altro lavoro fatto negli anni successivi ha evidenziato un’alterata espressione dei microRNAs nelle
cellule staminali di leucemia mieloide cronica (CML).
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Battaglia, De Riccardis, Bandiera
Biologia e genetica (Manfredini)
lezione 11, 19/11/2021
In particolare, è stato visto che l’espressione deregolata di questi miRNA (miR-29a-3p, miR-494-3p e miR660-5p) influisce sulla resistenza e sulla sensibilità agli inibitori delle tirosin-chinasi, che sono
essenzialmente Imatinib1 e sui deriati, nelle cellule staminali. Perciò anche questi potrebbero essere dei
markers da bersagliare con una terapia mirata.
Per il futuro ci si augura di comprendere sempre meglio la biologia delle
Cellule Staminali Leucemiche e la caratterizzazione dei loro marcatori e
delle loro mutazioni tramite le più avanzate tecniche di analisi a livello
trascittomico e genomico al fine di sviluppare nuove strategie
terapeutiche mirate.
Alcuni esempi
di Targeted Therapy
In figura possiamo osservare le terapie mirate che
studieremo durante il nostro corso di laure finora
identificate e che sono tutt’ora in terapia. Non sono
disegnate specificamente sulle cellule staminali però
vengono comunque utilizzate per vari tipi di tumori:
-
-
-
Imatinib, che è un inibitore enzimatico, viene
utilizzato ad esempio nella terapia contro
Bcr-Abl nella leucemia mieloide cronica.
Poi ci sono una serie di antagonisti recettoriali del recettore per l’epidermal growth factor (EGF), che è spesso mutato, iperespresso o overattivo in molti carcinomi che sono tumori epiteliali. Parliamo in questo caso di Gefitinib, Erlotinib,
Cetuximab che vediamo essere contro Her 1, una delle forme dell’EGF receptor; Trastuzumab ecc.
Infine abbiamo dei farmaci mirati contro il VEGF, quindi farmaci anti-angiogenici che impediscono
al VEGF di legarsi al proprio recettore e quindi scatenare la via di trasduzione che porta all’angiogenesi. Tutti questi farmaci sono tutt’ora attualmente utilizzati in terapia e sono in gran parte degli
anticorpi neutralizzanti recettori o ligandi.
C’è ancora molta strada da fare però possiamo affermare che la terapia mirata sulle cellule tumorali e in
particolare sulle cellule staminali tumorali è una strada in continua evoluzione e l’oncologia molecolare
rappresenta un obbiettivo da raggiungere quanto prima.
LE CELLULE STAMINALI EMBRIONALI (Embryonic Stem Cells)
Ora parliamo delle cellule staminali embrionali e delle loro applicazioni terapeutiche ancora a livello
sperimentale e delle loro proprietà.
1
L’imatinib è utilizzato nel trattamento di alcuni tipi di leucemia e di altre forme tumorali che colpiscono le cellule del
sangue. (Fonte https://www.humanitas.it/enciclopedia/principi-attivi/antineoplastici-antitumorali/imatinib/)
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Biologia e genetica (Manfredini)
lezione 11, 19/11/2021
Le cellule staminali embrionali, come già anticipato nella prima lezione su queste cellule, si possono
ottenere da un embrione allo stadio di preimpianto, cioè la blastocisti. La blastocisti contiene circa 100
cellule che sono suddivise in due tipi:
1. Cellule del trofoblasto (colorate in rosa nell’immagine) che daranno origine agli annessi embrionali, cioè alla placenta e al
cordone ombelicale;
2. Cellule della massa interna o Inner Cell Mass, ICM (colorate in
verde nell’immagine), che daranno origine a tutti i tessuti
dell’embrione, sono perciò le cellule staminali embrionali.
Se noi lasciamo crescere l’embrione in utero naturalmente si svilupperà un individuo adulto mentre se noi
rimuoviamo le cellule staminali embrionali dalla blastocisti, l’embrione muore; ma se noi mettiamo in
coltura le cellule staminali embrionali, cioè le cellule della ICM, vediamo che cominciano a proliferare,
moltiplicarsi, sopravvivono e formano anche delle linee cellulari chiamate ES cells (Embryonic stem cells).
Ø Le ES cells derivano dalla massa interna della blastocisti prima
dell’impianto nella parete uterina
Ø Sono capaci di autorinnovamento e sono cellule pluripotenti, cioè
possono dare origine alle cellule derivate da tutti e tre i foglietti embrionali
(La multipotenza invece era la capacità che abbiamo descritto per la cellula
staminale emopoietica di dare origine a multiple linee differenziative in un
tessuto differenziato).
Ø Queste cellule, una volta rimosse dalla blastocisti, possono essere
messe in vitro in una piastra a coltura con un feeder layer, cioè con
uno strato cellulare nutriente; possono essere coltivate e possono
essere stabilizzate come linea cellulare. La cosa importante è che in
vitro possono differenziare, cioè manifestare la loro capacità intrinseca della pluripotenza di differenziare in tutti i tessuti dell’organismo.
Questa capacità è importantissima in ambito di
medicina rigenerativa perché se si riesce a far
differenziare queste cellule e soprattutto a trapiantarle
in modo efficiente in un organismo in modo da
ricostruire un tessuto, ecco che riusciamo ad utilizzare
le embryonic stem cells anche in quei casi in cui le
cellule staminali dell’adulto non sono efficaci.
Potenzialità terapeutiche nell’uomo
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Biologia e genetica (Manfredini)
lezione 11, 19/11/2021
Ci sono enormi potenzialità terapeutiche delle embryonic stem cells nell’uomo che sono però attualmente
limitate da:
-
Problemi etici nell’ottenimento delle linee di ES cells. In
Italia non è infatti possibile ricavare cellule staminali
embrionali umane ed utilizzarle al fine di ricerca nemmeno da quegli embrioni sovrannumerari derivati dalla
fecondazione in vitro che vengono comunque eliminati
e buttati via. Perciò in Italia non è possibile lavorare
sulle embryonic stem cells ma curiosamente è possibile
lavorare su embryonic stem cells acquistate all’estero,
cioè di embrioni non italiani.
-
Problemi di rigetto del trapianto utilizzando le linee di ES cells perché ovviamente il trapianto allogenico deve essere istocompatibile.
Per cui è stata disegnata e sono stati fatti i primi approcci di clonazione terapeutica che prevede la
clonazione del paziente stesso e di ricavare tessuti autologhi da trapiantare nel paziente stesso
Clonazione
La clonazione essenzialmente si divide in:
§
Clonazione riproduttiva che ha lo scopo di ottenere
la nascita di un nuovo individuo vivente uguale a
quello clonato. Molti animali come sapete sono già
stati clonati, il primo della storia è stata la pecora
Dolly ma molti altri animali sono stati clonati come
topi, bovini, equini e altri. Quindi è esclusivamente finalizzata alla creazione di un clone vivente.
§
Clonazione terapeutica che ha lo scopo di produrre un embrione cioè una blastocisti per la quale si
prevede l’interruzione della vita nei primissimi stadi dello sviluppo al fine di ricavare una serie di
cellule e tessuti da trapiantare nel paziente e sostituirsi a quelle malate.
La tecnica della clonazione
La tecnica che si usa nella clonazione è illustrata nelle figure sottostanti.
Si fonda sul principio che l’oocita non fertilizzato possiede nel citoplasma alcuni fattori non ancora ben
identificati che normalmente riprogrammano il nucleo dello spermatozoo in modo da dare poi origine
all’embrione. Questo è ciò che avviene nella fecondazione naturale (illustrata nell’immagine) in cui il nucleo
dello spermatozoo entra nell’ovocita, questi fattori riprogrammano il nucleo dello spermatozoo, si ha la
fusione dei due pronuclei e la formazione dell’embrione.
La clonazione, ovvero la creazione di un individuo identico dal punto di vista genotipico derivato quindi dal
tessuto di un altro organismo, avviene per trasferimento nucleare.
11
Battaglia, De Riccardis, Bandiera
Biologia e genetica (Manfredini)
lezione 11, 19/11/2021
1. Quindi si preleva una cellula somatica (diploide) dall’organismo che si vuole clonare che fornirà il
patrimonio genetico diploide all’embrione clonato.
2. Lo spermatozoo in questo caso non interviene, ma si trasferisce il nucleo della cellula derivata
dall’animale da clonare direttamente nell’oocita dopo aver rimosso il nucleo aploide dell’oocita,
3. in seguito si dà una scossa elettrica o si eseguono particolari trattamenti che provocano l’inizio
della segmentazione.
L’embrione avrà quindi lo stesso patrimonio genetico della cellula somatica dell’animale che lo ha donato
all’inizio.
Riassumendo:
Quindi le due cellule necessarie alla clonazione
sono la cellula somatica dell’individuo che si
desidera clonare (body cell with desired genes,
cioè con il genotipo desiderato) e l’ovocita.
1. L’ovocita viene enucleato
2. Il nucleo della cellula somatica che si
vuole clonare viene trasferito nell’oocita
3. Si forma l’embrione che allo stadio di
blastocisti viene trasferito in una madre surrogata, ovvero un animale femmina che è stata precedentemente preparata con ormoni in
modo da avere un utero capace di accogliere e di far attecchire un embrione fino alla fine dell’embriogenesi.
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Biologia e genetica (Manfredini)
lezione 11, 19/11/2021
La prima clonazione di un mammifero: la pecora Dolly
Prima di Dolly ci sono stati molti invertebrati clonati, ma
il primo mammifero ad essere stato clonato fu proprio la
pecora Dolly nel 1997. Dolly fu clonata in Scozia al Roslin
Institute da Jan Wilmut.
La sua clonazione è raffigurata nell’immagine a fianco. A
sinistra vediamo la pecora da clonare e a destra la pecora
che dona l’ovocita. La pecora che risulterà da questa
tecnica avrà genotipo, e quindi fenotipo, identico alla
pecora di sinistra poiché la pecora donatrice non darà
nessun contributo genetico all’embrione in quanto la
cellula uovo verrà enucleata. Dolly fu creata da cellule
dell’epitelio mammario della pecora da clonare che sono
state messe in coltura, sono state fatte proliferare, da
queste cellule è stato preso un nucleo
che è stato inserito nella cellula uovo
enucleata proveniente dalla pecora
donatrice e, a seguito di un
trattamento di fusione, l’embrione ha
cominciato a segmentarsi ed è stato
trapiantato nella pecora portatrice, la
madre surrogata della stessa specie
della pecora donatrice. Dopo 148 giorni
(tempo normale di gestazione della
pecora) è nata Dolly, fenotipicamente
e genotipicamente identica alla pecora
che ha donato il suo patrimonio
genetico, non presenta nessuna
affinità dal punto di vista genotipico e
fenotipico né con la pecora donatrice
né con la pecora portatrice.
L’immagine mostra una trattazione più dettagliata del processo appena descritto.
Purtroppo la clonazione di Dolly ha sollevato alcuni problemi pratici, tecnici ed etici sulla clonazione.
Il 14 Febbraio 2003, 5 anni dopo la sua nascita, la pecora Dolly fu sottoposta ad eutanasia perché era
affetta da una malattia polmonare tipica delle pecore anziane e altre patologie tipiche delle pecore anziane
come l’artrosi. Non si era infatti tenuto conto del fatto che la cellula della ghiandola mammaria da cui era
stato preso il patrimonio genetico non era una cellula staminale, ma una cellula somatica che aveva i
telomeri già parzialmente accorciati quindi è giusto dire che Dolly con questo tipo di tecnica nacque già
vecchia. Perciò Dolly manifestò precocemente le malattie legate alla senescenza delle pecore e si è dovuto
ricorrere ad eutanasia precocemente.
Perciò bisogna tenere in mente che, se pensiamo ad una clonazione umana, noi non siamo pecore, bovini o
topi siamo diversi perché:
1. Innanzitutto nei primati, al contrario di ciò che avviene in pecore, vitelli e topi che sono stati clonati
facilmente, il processo di rimozione del nucleo dell’oocita causa la perdita di alcune proteine
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Battaglia, De Riccardis, Bandiera
Biologia e genetica (Manfredini)
lezione 11, 19/11/2021
associate ai centrosomi. Quindi sebbene l’iniezione del nucleo di cellule somatiche faccia iniziare la
mitosi, la formazione del fuso mitotico risulta alterata e le cellule risultanti non riescono a segregare correttamente i cromosomi. Perciò l’embrione arresta la sua divisione poiché si vengono a
creare delle aneuploidie, aberrazioni cromosomiche causate dalla scorretta segregazione dei cromosomi dovuta ad uno scorretto assemblaggio del fuso mitotico.
2. Mutazioni somatiche eventualmente presenti nel nucleo di una cellula somatica da utilizzare nella
clonazione può rappresentare un problema se si pensa di clonare un essere umano poiché può essere una mutazione che determina una malattia genetica, può essere una mutazione somatica che
predispone ad un tumore. Per cui bisogna prendere cellule altamente indifferenziate (anche per
quanto riguarda l’accorciamento dei telomeri) e cellule che abbiamo fatto poche replicazioni come
le cellule staminali. Con gli attuali sistemi di sequenziamento si può sequenziare ad esempio l’intero
genoma di una cellula che si vuole utilizzare come cellula da clonare prima della clonazione così da
evidenziare eventuali mutazioni.
3. Accorciamento precoce dei telomeri, come abbiamo già visto Dolly aveva i telomeri lunghi come
una pecora di 1 anno (80% della lunghezza normale).
Nonostante tutto, i problemi tecnici
che riguardano il generare un
embrione umano in vitro, sono stati
superati e nel 2013 è stato
pubblicato su “Cell” un lavoro sulla
clonazione dell’embrione umano
attraverso la tecnica di trasferimento
nucleare a partire da una cellula
somatica. Il lavoro è inoltre firmato
da Mitalipov, un ginecologo russo
che lavora negli Stati Uniti che dopo molti tentativi è riuscito ad ottenere una blastocisti. Nonostante i
media abbiamo talvolta pubblicizzato la nascita di un bambino, cioè di un essere umano, clonato ciò non è
mai avvenuto. Quello che è stato fatto in questo lavoro è stato clonare un essere umano fino allo stadio di
blastocisti. Successivamente lo stesso Mitalipov e altre ditte biotecnologiche hanno tentato di clonare un
essere vivente umano però finora con nessun risultato poiché le blastocisti trasferite in madri surrogate
non hanno mai attecchito. In molti paesi è vietata la clonazione umana mentre in altri (come nei paesi
orientali) non è vietata ma non è mai di fatto stato clonato un essere umano vivente.
La clonazione dell’embrione umano ha però aperto le porte alla clonazione terapeutica, cioè alla
generazione di blastocisti, che possono derivare da un paziente che ha bisogno di un particolare tessuto per
essere curato e quindi poterlo poi curare con questa terapia cellulare.
Clonazione terapeutica
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Battaglia, De Riccardis, Bandiera
Biologia e genetica (Manfredini)
lezione 11, 19/11/2021
La clonazione terapeutica è un processo attraverso il quale un embrione, una blastocisti prodotta in vitro da
uno zigote non viene piantato in utero per produrre un nuovo individuo, ma viene invece utilizzato per
produrre cellule staminali embrionali geneticamente uguali al donatore del nucleo somatico.
Il clonaggio terapeutico prevede:
1. il prelievo di un nucleo da una cellula somatica del paziente,
2. la sua riprogrammazione all’interno di un oocita enucleato prelevato da una donatrice
3. l’ottenimento di ES cells da differenziare in vitro nel citotipo necessarioal paziente (ad
esempio cellule del tessuto nervoso per la
cura dell’Alzheimer)
4. in seguito, una volta ottenuto il numero desiderato di cellule differenziate, queste vengono ritrapiantate nel paziente per curare la
malattia.
La clonazione terapeutica ha quindi lo scopo di produrre un embrione clonato dal paziente, e quindi di
produrre cellule staminali embrionali da trapiantare senza rischio di rigetto perché si tratta di trapianto
autologo.
Trials clinici
Ci sono attualmente diversi Trials di sperimentazione clinici che utilizzano le cellule staminali embrionali
umane per pazienti che non possono essere curati con le cellule staminali adulte.
v Per esempio pazienti paralizzati perché hanno avuto traumi al midollo spinale. È stato dimostrato
sperimentalmente che i ratti paralizzati trattati con oligodendrociti derivati dalle cellule staminali
embrionali umane hanno migliorato le loro condizioni. Non camminavano perfettamente ma avevano aumentato notevolmente la loro attività motoria. Nel 2009 la Geron Corporation ha arruolato
13 pazienti paralizzati e li ha trattati con un prodotto derivante dalle cellule staminali embrionali
umane per stimolare la crescita dei nervi in questi pazienti. La terapia infatti è quella di sostituire i
neuroni mancanti ma anche quella di stimolare la crescita dei nervi che sono stati troncati dall’incidente. Purtroppo ancora nessuno dei partecipanti ne ha avuto beneficio ma non ci sono stati neanche effetti avversi e questa è già una buona cosa.
v Un altro Trial sulla distrofia muscolare e l’occhio secco, che da origine alla degenerazione della Macula e quindi alla cecità, è stato iniziato nel 2012 dove gli occhi dei pazienti sono stati iniettati con
cellule della retina pigmentata non totalmente differenziate derivate da cellule staminali embrionali umane. Anche in questo caso non si hanno dati sull’efficacia ma neanche sulla tossicità di questo prodotto.
v Un’altra patologia è il diabete di tipo 1, dove la produzione di insulina viene diminuita, annullata
per degenerazione delle cellule beta del pancreas. Nel 2014 fu iniziato un trial clinico con ViaCyte
con delle cellule beta del pancreas derivate da cellule staminali embrionali umane. Ancora non sappiamo nulla della sua eventuale efficacia poiché i trial clinici richiedono anni per avere risultati significativi dal punto di vista statistico.
Perciò l’applicazione clinica è ancora discretamente lontana al giorno d’oggi. Di seguito potete trovare link
di associazioni di pazienti diabetici, affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica, affetti da Parkinson, che hanno
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Battaglia, De Riccardis, Bandiera
Biologia e genetica (Manfredini)
lezione 11, 19/11/2021
avuti accidenti vascolari cardiaci con conseguenze necrotiche a carico del miocardio e pazienti con problemi
di paralisi dovuta ad un trauma del midollo spinale.
Juvenile Diabetes Research Foundation International
Amyothroohic Lateral Sclerosis Association
American Parkinson Disease Association
The Michael J. Fox Foundation for Parkinson’s Research
American Heart Association
National Spinal Cord Injury Association
Il successo della terapia clonale sulla malattia mitocondriale genica
Un recente studio del 2016 pubblicato su Nature ci mostra come la terapia di cloning possa aiutarci a
prevenire, più che curare, una determinata malattia genetica mitocondriale.
Questo lavoro ha dimostrato che attraverso la clonazione, e quindi la fecondazione in vitro, si è potuta
prevenire una malattia genetica poiché la femmina era portatrice di una malattia genetica mitocondriale
causata da mutazioni nel DNA mitocondriale. Durante la clonazione è stato rimpiazzato, oltre al nucleo
dell’oocita, anche il citoplasma tramite una donazione di citoplasma e sono così stati cambiati i mitocondri
con altri che non riportano quella determinata mutazione.
La notizia riportava sul giornale il titolo “il bambino con tre genitori” proprio perché ha due genitori e una
seconda madre che ha donato il citoplasma dell’oocita. Questa operazione ovviamente si può fare anche
senza effettuare una clonazione vera e propria mediante una fecondazione in vitro utilizzando i gameti dei
genitori, semplicemente utilizzando il citoplasma di un oocita donato da una donatrice sana che non
possiede mitocondri con DNA mutato.
Il dilemma è clonare o non clonare? -cit. Manfredini
Dal punto di vista della clonazione umana bisogna riflettere sul fatto che la clonazione riproduttiva non dà
nessun beneficio dal punto di vista terapeutico mentre tutti gli sforzi dovrebbero essere (secondo il parere
di Rossella) concentrati sulla clonazione terapeutica che ha una prospettiva terapeutica sempre più
concreta e che sarà sempre più concreta con l’avanzamento delle tecnologie.
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Simonini, Castellazzi, Ballabeni
Biologia e Genetica (Manfredini)
Lezione 12, 21/04/2021
LA RIPRODUZIONE SESSUATA E LA MEIOSI
La riproduzione sessuata prevede l’unione di un gamete femminile e di uno maschile.
Questo fenomeno si chiama fecondazione, dà origine ad una cellula diploide, lo zigote, che crescendo e
sviluppandosi darà origine all’embrione e, successivamente, ad un nuovo organismo.
La legge fondamentale della riproduzione sessuata è che il contributo materno e paterno ai caratteri della
progenie deve essere uguale.
La meiosi riduce il numero di cromosomi, da diploide ad aploide. Quindi, nella meiosi il numero dei
cromosomi viene dimezzato.
Le principali differenze fra meiosi e mitosi sono le seguenti:
1. La meiosi comporta 2 successive divisioni nucleari e citoplasmatiche con potenziale produzione di 4
cellule; nella spermatogenesi si formano effettivamente 4 spermatozoi, mentre nell’ovogenesi solo un
ovocita maturo.
2. Il DNA e gli altri componenti cromosomici subiscono una sola duplicazione durante la fase S che
precede la prima divisione meiotica, quindi nella seconda divisione meiotica non si duplica il DNA ed è
per questo motivo che le cellule risultanti sono aploidi.
3. Ognuna delle 4 cellule prodotte dalla meiosi contiene un numero aploide di cromosomi (n), cioè solo
un esemplare della coppia di omologhi.
4. Durante la meiosi, l’informazione genetica proveniente da entrambi i genitori viene mescolata,
attraverso la segregazione cromosomica e il crossing-over.
Alla fine, ogni gamete possiede una combinazione di geni potenzialmente unica.
PRIMA DIVISIONE MEIOTICA
Ripercorriamo velocemente le
tappe della meiosi.
Durante la fase S, che precede
la prima divisione meiotica, il
DNA viene duplicato. Si parte
quindi da una cellula con un
contenuto 2n di cromosomi.
I cromosomi omologhi, nella
profase I, si appaiano formando
le tetradi e l’involucro nucleare
si frammenta.
I cromatidi fratelli rimangono
strettamente appaiati nelle
tetradi, le quali poi si allineano
sulla piastra metafasica.
Durante la profase I, i cromosomi omologhi si appaiano in senso longitudinale, come si vede in figura,
formando dei contatti che sono detti sinapsi.
1
Simonini, Castellazzi, Ballabeni
Biologia e Genetica (Manfredini)
Lezione 12, 21/04/2021
Nella figura si vedono i cromatidi
fratelli materni, che si sono duplicati
nella fase S, e parallelamente i
cromatidi fratelli paterni,
rispettivamente in rosa e in azzurro. Si
vede sotto, nella figura con un
ingrandimento maggiore, come i
cromatidi si appaino formando delle
vere e proprie sinapsi, delle giunzioni
fisiche che permettono poi un corretto
crossing-over, un corretto scambio di
geni, fra omologo paterno e omologo
materno.
Sulla destra poi si vede il complesso sinaptinemale, cioè il complesso della sinapsi, che si forma tramite
delle strutture proteiche che appaiano strettamente i due omologhi.
Nella foto in microscopia elettronica a trasmissione, sulla destra, si vede bene la giunzione fra un
cromosoma materno e quello paterno.
Abbiamo quindi detto che nella profase I si formano le tetradi. Durante la metafase I queste tetradi si
appaiano sulla piastra metafasica. Vedremo dopo in disegni che le tetradi rimangono unite nei chiasmi
(quei punti dove è avvenuto il crossing-over). Durante l’anafase I, i cromosomi omologhi si separano e
migrano ai poli opposti, mentre i cromatidi fratelli rimangono uniti tramite il loro centromero.
Da ricordare molto bene è che durante la I divisione meiotica quei cromosomi che si separano ai due poli
sono i cromosomi omologhi, mentre i cromatidi fratelli si separeranno successivamente nella II divisione
meiotica.
Durante la telofase I abbiamo i due omologhi ricombinanti (è avvenuto il crossing-over) nelle due cellule
figlie che si formano.
CROSSING-OVER
Il crossing-over è quel
processo in cui i
cromosomi omologhi,
appaiati nel complesso
sinaptinemale, si
scambiano DNA: avviene
una ricombinazione
omologa.
Il crossing-over produce nuove combinazioni di geni: i cromosomi omologhi, materni e paterni, non sono
identici, ma contengono diverse versioni degli stessi geni. La ricombinazione genetica che risulta dalla
riproduzione sessuata aumenta notevolmente la variabilità genetica tra la prole della riproduzione
sessuata. Nella tarda profase I gli omologhi continuano a rimanere associati in corrispondenza dei chiasmi
(forme a “chi”, chi ha fatto greco sa che queste X in greco sono chiamate “chi”), le regioni in cui è avvenuto
il crossing-over. Nell’immagine, vi sono sia il disegno che la corrispondente immagine al microscopio
elettronico.
2
Simonini, Castellazzi, Ballabeni
Biologia e Genetica (Manfredini)
Lezione 12, 21/04/2021
FASI DELLA PROFASE I
Le fasi della profase I sono le
seguenti:
1. Leptotene: abbiamo
l’inizio dell’assemblaggio
del complesso
sinaptinemale.
2. Zigotene: breve fase in cui
abbiamo il
completamento
dell’assemblaggio del complesso sinaptinemale.
3. Pachitene: il complesso sinaptinemale è completamente e correttamente assemblato, avviene lo
scambio fra il cromatidio fratello paterno e quello materno, ovvero il cosiddetto crossing-over.
4. Diplotene: si ha il disassemblaggio del complesso sinaptinemale.
5. Diacinesi: fase di transizione alla metafase 2 (Sbobine del Secondo Anno, Lezione 11, pagina 2).
In questo disegno si ripete quanto detto:
a. La formazione delle tetradi nella
profase I;
b. Il crossing-over fra cromatidi adiacenti
nel pachitene;
c. I cromatidi ricombinanti alla fine della
profase I, che poi si separeranno nelle
due cellule figlie.
Questa è un’immagine al microscopio elettronico a scansione raffigurante i chiasmi, evidenziati dalle tre
frecce. Rimangono evidenti per un certo periodo di tempo dopo il crossing-over.
3
Simonini, Castellazzi, Ballabeni
Biologia e Genetica (Manfredini)
Lezione 12, 21/04/2021
SECONDA DIVISIONE MEIOTICA
Nella II divisione meiotica avviene
una semplice mitosi senza una previa
duplicazione del DNA.
1. Nella profase II i cromosomi si
condensano dopo un breve
periodo di interfase, senza
duplicazione del DNA.
2. Durante la metafase II i
cromosomi si allineano lungo il
piano equatoriale.
3. Durante l’anafase II i cromatidi
fratelli ricombinanti si separano e
migrano ai poli opposti.
4. Nella telofase II si formano i
nuclei di 4 cellule diverse.
5. Avviene la citocinesi.
Le cellule aploidi che si formano alla fine della meiosi II sono 4 gameti (o spore se parliamo di piante).
COMPARAZIONE FRA MITOSI E MEIOSI
Se vogliamo comparare mitosi e meiosi
elenchiamo due fondamentali differenze:
1. Nella mitosi i cromatidi fratelli si
separano e vengono segregati ai poli
opposti della cellula in anafase: ogni
cellula figlia eredita una copia di
cromosoma paterno e una di
cromosoma materno.
2. La meiosi invece dà origine a gameti
aploidi che contengono una sola copia
di un determinato gene (paterno o
materno).
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Simonini, Castellazzi, Ballabeni
Biologia e Genetica (Manfredini)
Lezione 12, 21/04/2021
MECCANISMI DI RIASSORTIMENTO GENETICO IN MEIOSI
I due meccanismi di riassortimento genetico durante la meiosi sono:
1. La segregazione dei cromosomi omologhi paterni e materni nelle
cellule figlie. In figura si vede una rappresentazione dei possibili
gameti che si possono formare da questa ipotetica cellula germinale.
Questa distribuzione casuale dei cromosomi paterni e materni
permette la produzione di 2n possibili gameti diversi, dove n è il
numero di cromosomi della cellula diploide di partenza.
2. Un secondo meccanismo è il crossing-over, cioè lo scambio fra
cromosoma materno e cromosoma paterno che dà origine ai dei
cromosomi ricombinanti. Questi, alla fine della I divisione meiotica,
verranno ripartiti fra le due cellule figlie.
Questa è un’altra figura che
rappresenta:
1. La formazione dei
chiasmi;
2. L’anafase della meiosi I,
dove si separano ai due
poli i cromosomi
ricombinanti;
3. La metafase II, dove si
vede che all’inizio i
cromatidi fratelli sono
strettamente associati;
4. L’anafase II, in cui i
cromatidi fratelli vengono
separati e tirati dalle fibre
del fuso ai poli opposti
della cellula.
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2
3
4
5
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GAMETOGENESI
La gametogenesi maschile (spermatogenesi) comincia da una cellula
diploide (lo spermatogonio), che attraversa varie fasi, ovvero
spermatocita primario e lo spermatocita secondario (già aploide) e dà
origine a quattro gameti (spermatozoi).
La gametogenesi femminile (ovogenesi) parte da una cellula diploide
(ovogonio), che differenzia in ovocita primario (sempre diploide) e va
incontro a divisione meiotica I formando un ovocita secondario (aploide)
e con l’espulsione di un primo corpo polare.
Successivamente, il completamente della II divisione meiotica dà origine
ad una cellula uovo (aploide) ed avviene l’espulsione di un secondo
corpo polare.
A differenza della spermatogenesi, che da una cellula diploide origina 4
cellule aploidi funzionali, l’ovogenesi dà origine solo ad una cellula uovo
funzionale.
L’unione di spermatozoo e uovo durante la fecondazione dà origine ad
uno zigote ripristinando il numero diploide di cromosomi.
La meiosi avviene durante la gametogenesi. A differenza degli
spermatogoni, che si moltiplicano durante tutta la vita sessuale del
maschio, la fase moltiplicativa degli ovogoni si esaurisce durante la vita
fetale. La femmina nasce quindi già con tutti gli ovogoni nelle proprie
ovaie, già differenziati in ovociti primari arrestati al diplotene della
profase I. Questi ovociti primari completano la meiosi solo se vengono fecondati.
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PRINCIPI FONDAMENTALI DELL’EREDITARIETÀ
Le cellule eucariotiche diploidi presentano due serie di cromosomi: i cromosomi sono presenti in coppie
omologhe, formate da membri simili per dimensioni e struttura e che portano le informazioni sulle
medesime caratteristiche, cioè codificano per gli stessi caratteri (portano gli stessi geni).
Gli esseri umani possiedono 23 coppie di cromosomi, compresi quelli sessuali X e Y: i maschi sono XY e le
femmine sono XX (il cariotipo in figura è femminile).
Un organismo diploide mostra due serie di cromosomi organizzati in coppie omologhe (nella serie
cariotipica le coppie sono ordinate dalla più grande alla più piccola, con in basso a destra i cromosomi
sessuali).
Introduciamo ora il concetto di “allele”. L’allele è una versione del gene, possono essercene tanti per lo
stesso gene. Codificano sempre per la stessa caratteristica: due geni sono alleli fra di loro se codificano per
la stessa caratteristica, se occupano la stessa posizione (locus cromosomico) sui due cromosomi omologhi.
Per “versioni diverse” si intende che l’allele A (si veda esempio in figura) codifica per il colore dei capelli
scuro, mentre l’allele a (nella stessa posizione nell’altro cromosoma) codifica per il colore dei capelli chiaro.
L’allele A e l’allele a differiscono per alcuni nucleotidi, e quindi hanno una sequenza leggermente diversa.
Vediamo le definizioni più importanti per parlare di genetica:
 Gene: inteso classicamente come porzione del DNA che codifica per una proteina, ovvero elemento
genetico che partecipa alla determinazione di un carattere. A livello molecolare è definito come una
sequenza di DNA poi trascritta in una molecola di mRNA, poi tradotta in proteina.
 Allele: una di due o più forme alternative di un gene (codifica per lo stesso carattere).
 Locus: posizione specifica occupata da un allele su un cromosoma.
 Genotipo: serie di alleli posseduti da un individuo. Determina il fenotipo.
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



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Fenotipo (tratto): aspetto o manifestazione di un carattere (aspetto di un organismo, tutto ciò che
definisce un essere umano come tale).
Eterozigote: individuo che presenta due alleli differenti in corrispondenza di uno stesso locus (esempio:
gli alleli A e a come visto poco fa).
Omozigote: individuo che mostra due alleli uguali in uno stesso locus (se l’esempio in figura avesse
avuto due alleli A oppure due alleli a sarebbe stato un individuo omozigote).
Carattere: attributo o peculiarità.
Il fenotipo è definito dal genotipo, l’insieme dei nostri geni che definisce il nostro aspetto fisico, il nostro
carattere, tutte le nostre caratteristiche. Nella trattazione della parte di genetica del corso, sarà evidenziato
come il fenotipo possa anche essere influenzato, per alcuni caratteri, dall’ambiente, in modo più o meno
marcato.
Queste parole furono usate da Mendel che non sapeva ancora cosa fossero geni e DNA, ma già aveva capito
che i caratteri sono determinati da qualche peculiarità presente nei cromosomi.
GENETICA
La genetica studia i meccanismi dell’ereditarietà, quindi la trasmissione dell’informazione dai genitori ai
figli. Studia sia le similarità genetiche che la variabilità genetica, cioè le differenze tra genitori e figli o tra
gli individui di una popolazione (con una branca che si chiama genetica di popolazione).
Il genotipo è l’insieme dei geni, la costituzione genetica di un organismo, il fenotipo è l’aspetto fisico di un
organismo.
Un ibrido è il discendente di due genitori diversi. I discendenti mostrano una mescolanza di caratteri: alcuni
assomigliano ai genitori, altri presentano caratteristiche simili a quelle delle generazioni di partenza.
Mendel, con i suoi studi sulle piante di pisello, è riuscito ad individuare delle regole precise sulle modalità
con cui i caratteri dei genitori si ripresentano nella progenie.
La pianta di pisello fu scelta da Mendel
perché presentava 7 caratteri con fenotipo
facilmente distinguibile (figura a fianco):
 Colore del fiore (bianco o viola);
 Colore del seme (giallo o verde);
 Forma del seme (liscia o rugosa);
 Colore del baccello (giallo o verde);
 Forma del baccello (rigonfio o
concamerato);
 Altezza dello stelo (lungo o corto);
 Posizione dei fiori (assiale o terminale)
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DOMINANZA E RECESSEVITÀ
Introduciamo questi due concetti facendo un semplice incrocio monoibrido, cioè considerando solamente
due alleli di un solo gene.
Prendiamo come esempio il gene per l’altezza dello stelo.
Mendel osservò che, incrociando una pianta a stelo lungo e una a stelo corto (incrociò due linee pure,
omozigoti), la prima generazione filiale F1 presentava organismi tutti a stelo lungo, cioè identici ad un solo
genitore.
Incrociando gli individui della F1 si ottiene la seconda generazione filiale F2, formata da 3 piante a stelo
lungo e 1 a stelo corto.
Si ha quindi un rapporto 3:1 pe quanto riguarda le piante a stelo lungo e le piante a stelo corto tra gli
individui della F2.
Mendel definì DOMINANTE il carattere espresso nella F1 (stelo lungo) e RECESSIVO il carattere non
espresso nella F1 (stelo corto).
Quando entrambi gli alleli sono presenti in unico individuo (come in tutti gli individui della F1), il dominante
maschera il recessivo.
Grazie alle conoscenze che abbiamo oggi possiamo sapere qual è il
fondamento genotipico alla base di questi fenotipi.
La generazione parentale P è data da una pianta omozigote dominante
(TT, stelo lungo - l’allele dominante viene scritto con la lettera
maiuscola) incrociata con una pianta omozigote recessiva per il gene t
(tt, stelo corto - l’allele recessivo viene scritto con la lettera minuscola).
Dall’incrocio dei genitori si forma una generazione, la F1, tutta
eterozigote (Tt) e siccome T è dominante su t, tutti gli individui avranno
fenotipo a stelo lungo.
Gli alleli recessivi non vengono perduti, infatti ricompaiono nella F2 in
proporzioni che giustificano il rapporto fenotipico.
Come si vede nella figura a destra, il rapporto 3:1 tra i fenotipi della F2
è determinato dal fatto che dall’incrocio degli eterozigoti della F1 si
formeranno:
 25% di piante TT (omozigoti dominanti, stelo lungo);
 50% di piante Tt (eterozigoti, stelo lungo);
 25% piante tt (omozigoti recessivi, stelo corto)
Quando ci si trova davanti ad un eterozigote, in cui è evidente una
relazione di dominanza e recessività l’allele dominante si scrive per
primo in maiuscolo, mentre l’allele recessivo si scrive per secondo in
minuscolo.
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Questa evidenza portò alla formulazione della 1° LEGGE DI MENDEL o PRINCIPIO DELLA SEGREGAZIONE,
che stabilisce che prima della riproduzione sessuata i 2 alleli portati da un genitore devono essere segregati
in due gameti differenti.
Questo principio conferma che gli alleli occupano loci corrispondenti sui cromosomi omologhi che durante
la meiosi vengono segregati in gameti diversi. Questo perché i gameti sono aploidi, e quindi portano una
sola copia di ogni gene.
Nella figura a fianco, vediamo nell’immagine b i loci
genici, cioè la posizione cromosomica di ogni gene.
Nell’immagine c invece si vedono una coppia di alleli
(occupano lo stesso locus sulla coppia di cromosomi
omologhi) e una coppia di geni che non sono alleli
tra loro perché appunto occupano loci diversi su due
cromosomi omologhi.
Nell’immagine d si ha un esempio di due coppie di alleli, che codificano per lo stesso carattere. In figura, la
prima coppia in alto codifica per il colore del pelo (nero/marrone), la seconda in basso che controlla invece
la lunghezza del pelo (lungo/corto).
La segregazione degli alleli ricombinanti si verifica perché i cromosomi omologhi si separano nel corso della
meiosi e vengono segregati in gameti differenti.
INCROCIO MONOIBRIDO SULLE CAVIE
Questo esempio è simile a quello visto precedentemente per le piante di pisello, visto ora sulle cavie.
L’incrocio è monoibrido, ossia tra individui con alleli diversi per un singolo locus. In questo caso
consideriamo il gene per il colore del pelo.
Si seguono gli stessi principi, tenendo presente che l’allele dominante (espresso sia negli omozigoti che
negli eterozigoti) è B e codifica per il pelo nero mentre quello recessivo (si esprime solamente negli
omozigoti) è b e codifica per il pelo marrone.
La generazione P (gli individui che la compongono sono tutti omozigoti) è formata da una femmina a pelo
nero BB (che produce gameti B) e un maschio a pelo marrone bb (che produce gameti b).
Il sesso in questo caso non ha molta importanza. I loro rispettivi gameti saranno l’uovo B e lo spermatozoo
b. La F1 sarà tutta eterozigote Bb, con fenotipo dominante a pelo nero, poiché l’allele B maschera l’allele b.
Tramite il QUADRATO DI PUNNETT si possono calcolare le
percentuali di genotipi e fenotipi derivanti da un determinato
incrocio. Si pongono in alto i gameti femminili e sulla sinistra
quelli maschili.
Incrociando i vari punti (figura a fianco), risulterà che,
considerando due individui della F1, ¼ della progenie sarà BB, ½
sarà Bb e ¼ bb.
Il quadrato di Punnett permette di prevedere i rapporti tra i vari
discendenti di un incrocio. Può essere applicato, dal punto di
vista medico, per prevedere i rapporti tra i discendenti di un
incrocio tra individui affetti da malattie genetiche.
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Simonini, Castellazzi, Ballabeni
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Lezione 12, 21/04/2021
Per realizzare un quadrato di Punnett, i diversi tipi di gameti e le loro frequenze attese vengono
rappresentate sul lato superiore, quelli dell’altro genitore lungo il lato sinistro (nell’esempio in figura la
frequenza dei gameti è il 50%, anche se per gli spermatozoi non è così).
Nei riquadri vengono riportate le combinazioni alleliche dello zigote della F2.
Il rapporto fenotipico della generazione F2, in un incrocio monoibrido, è uguale a quello osservato nelle
piante di pisello, cioè 3:1 (animali neri - animali marroni)
INCROCIO DIIBRIDO
L’incrocio diibrido si ha tra individui con alleli diversi per due loci diversi.
Consideriamo due coppie di alleli localizzati su cromosomi non omologhi, una coppia per il colore del pelo
(B=nero, b=marrone) e una per la lunghezza del pelo (S=corto, s=lungo).
Secondo il Principio della segregazione, ogni coppia di alleli è ereditata indipendentemente, cioè durante la
meiosi segrega indipendentemente l’una dall’altra.
In figura, notiamo che il genitore sulla sinistra è genotipicamente
omozigote per i due alleli dominanti B ed S e avrà quindi pelo nero
e corto. Il genitore sulla destra invece è omozigote per i due alleli
recessivi b ed s, avrà quindi pelo marrone (bb) e lungo (ss) in
assenza di alleli dominanti.
La F1 è formata solo da individui eterozigoti per i due alleli.
Il quadrato di Punnet si forma allo stesso modo visto
precedentemente, i gameti maschili sul lato sinistro e i gameti
femminili sul lato superiore. Nei quadrati ci saranno i vari incroci
possibili.
Il rapporto risultante nella generazione F2 sarà più complicato di
quello di un incrocio monoibrido. In particolare, su 16 animali nati:
 9 saranno neri a pelo corto, cioè tutti quelli che presentano nel
loro genotipo almeno un allele B e un allele S;
 3 saranno neri a pelo lungo, cioè tutti quelli che presentano nel
genotipo almeno un allele B ma sono omozigoti recessivi per s;
 3 saranno marroni a pelo corto, cioè tutti quelli che presentano
almeno un allele S ma sono omozigoti recessivi per b;
 1 sarà marrone a pelo lungo, cioè sarà omozigote recessivo per
entrambi gli alleli.
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Simonini, Castellazzi, Ballabeni
Biologia e Genetica (Manfredini)
Lezione 12, 21/04/2021
2° LEGGE DI MENDEL o PRINCIPIO DELL’ASSORTIMENTO
INDIPENDENTE: i membri di una coppia di geni segregano
indipendentemente dai membri di un’altra coppia. Ogni
gamete contiene un unico allele per ogni locus, mentre
alleli di loci differenti sono assortiti nei gameti in modo
casuale l’uno rispetto all’altro.
La segregazione degli alleli è il risultato diretto della
separazione dei cromosomi durante la meiosi. Ciascun
gamete aploide, al momento della fecondazione fornisce
un solo cromosoma per ogni coppia di geni.
Nell’immagine a lato, è rappresentato un altro incrocio diibrido, questa volta
realizzato sui piselli. Colore e forma della generazione parentale sono diversi e il
ragionamento da seguire per ricostruire le generazioni F1 ed F2 è il medesimo
analizzato in precedenza per le cavie.
Durante la formazione dei gameti, i geni che codificano per caratteristiche differenti
si separano in modo indipendente l’uno dall’altro a causa della separazione
autonoma delle coppie omologhe di cromosomi durante la meiosi.
Tuttavia, i geni localizzati vicini tra loro sullo stesso cromosoma (geni linked) non si
assortiscono in maniera autonoma, ma si ereditano spesso insieme, segregano nello
stesso gamete.
QUADRATO DI PUNNET (video indicato dalla Prof. sulla costruzione dei quadrati di Punnett)
Il quadrato di Punnet è un metodo “grafico” per determinare il genotipo, e il fenotipo, della classe
parentale, conoscendo il genotipo dei genitori. È spesso utilizzato negli incroci con pochi caratteri in analisi,
ad esempio due o tre. Si crea una semplice tabella a doppia entrata.
In un incrocio AA x Aa, per prima cosa si riportano i gameti.
Quindi si inseriscono i gameti nella tabella.
Si determinano, per finire, i genotipi della F1.
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Bigi, Biondi, Bonacini
BIOLOGIA E GENETICA | (Manfredini)
LEZIONE 13 26/04/2021
ESTENSIONI DELLA GENETICA MENDELIANA
I GENI ASSOCIATI NON ASSORTISCONO INDIPENDENTEMENTE
I geni associati sono geni molto vicini sul cromosoma.
I geni sono disposti in maniera lineare su ciascun cromosoma.
L’assortimento indipendente non è applicabile se 2 loci sono situati non distanti sulla stessa coppia di
omologhi.
Es per due coppie di alleli rispettivamente per la forma delle ali (normali o vestigiali,cioè di tipologia
morfica che non permette il volo)e il colore del corpo(grigio o nero) di D.Melanogaster. Questi due alleli
sono situati sulla stessa coppia di omologhi: non si assortiscono indipendentemente, ma tendono ad essere
ereditati insieme: essi sono associati(linked).
Vediamo questo incrocio come viene fatto (vedi
figura). Il parentale in alto ha il colore del corpo
codificato dall’allele B che è dominante su b: il grigio è
dominante sul nero. Mentre la forma delle ali è
codificata dall’allele V e v: le ali normali sono
dominanti su quelle vestigiali. L’altro parentale
presenta genotipo recessivo per entrambi i geni.
Incrociando questi due genitori, i risultati attesi per
l’assortimento indipendente non sono quelli reali.
Cioè i risultati della progenie non rispettano
l’assortimento indipendente. Infatti queste due
coppie di alleli sono ereditati insieme.
Quando un reincrocio a due punti produce un eccesso
di discendenti di tipo parentale cioè non 575, come ci
saremmo aspettati da un assortimento indipendente,
ma rispettivamente 965 e 944( i numeri reali);siamo in
presenza di geni linked.
Quando due loci sono linked si ha un eccesso di
discendenti di tipo parentale e un difetto di fenotipo
ricombinante. Questi due alleli sono localizzati sulla
stessa coppia di cromosomi omologhi.
L’assortimento indipendente non si verifica se due loci sono situati nella stessa coppia di omologhi. Piu
sono vicini più c’è la probabilità che vengano ereditati insieme e quindi segregati nello stesso gamete.
LA MAPPATURA GENICA
Durante la meiosi (pachitogenesi) avviene la ricombinazione omologa detta crossing over tra cromosomi
omologhi che genera la gran parte della variabilità della riproduzione sessuata.
È stato dimostrato che un crossing over avviene più frequentemente tra due loci se questi sono molto
distanti sul cromosoma e al contrario se essi sono vicini. Questa proprietà è servita ai genetisti durante il
Progetto Genoma per mappare i geni sui cromosomi.
Bigi, Biondi, Bonacini
BIOLOGIA E GENETICA | (Manfredini)
LEZIONE 13 26/04/2021
La relazione esistente tra la frequenza di ricombinazione tra due loci (crossing over) e la loro distanza
lineare consente di costruire una mappa genetica del cromosoma convertendo la percentuale di
ricombinazione in unità di mappa.
Convenzione: 1% di ricombinazione tra 2 loci
corrisponde ad una distanza di 1 unità di mappa.
L ’ordine dei geni è dedotto dalla % di
ricombinazione tra ogni possibile coppia.
Es: % ricombinaz tra A e B = 5% = 5 unità mappa
% ricombinaz tra B e C = 3%=3 unità mappa
Vi sono due alternative per l’ordine lineare degli
alleli:
caso a) A-B-C cioè caso in cui la % di
ricombinazione tra A e C è 8%. In questo caso B è al
centro.
Caso b) A-C-B la % ric tra A e C è 2%. C è al centro.
Sulla base delle freq. di ricombinazione si riesce a
dedurre l’ordine dei geni e le loro distanze relative.
LA DETERMINAZIONE DEL SESSO
I mammiferi, gli uccelli e alcuni insetti hanno
cromosomi sessuali sui quali sono localizzati geni che
determinano il sesso.
Le cellule delle femmine di molte specie (es uomo)
hanno 2 cromosomi sessuali uguali(XX) mentre i
maschi hanno 1 cromosoma X e un cromosoma Y più
piccolo che è solo in parte omologo alla X.
UOMO: femmina:22 paia autosomi+ XX
maschio: 22 paia autosomi+XY
Tutti gli individui richiedono almeno un X per essere
vitali, mentre Y è il cromosoma che determina il sesso
maschile cioè su di esso sono residenti dei geni che
sono coinvolti nello sviluppo delle caratteristiche
maschili (es SRY è un gene sull’Y coinvolto nello
sviluppo dei testicoli).
Bigi, Biondi, Bonacini
BIOLOGIA E GENETICA | (Manfredini)
LEZIONE 13 26/04/2021
X e Y non sono dei veri omologhi,hanno una breve regione di omologia che consente loro di appaiarsi
durante le divisioni, ma per il resto non sono simili tra loro per forma , dimensione e costituzione genica.
L’immagine indica come sia il maschio ad essere determinante nella scelta del sesso del nascituro, in
quanto è lui che produce due tipi di gameti.
Lo spermatozoo Y ha un vantaggio competitivo : esso è piu veloce. Durante il processo della fecondazione
la velocità è una caratteristica fondamentale .
Lo spermatozoo X è più lento, ma ha una maggiore emivita nelle vie genitali femminili; è piu resistente
all’acidità che contraddistingue queste vie.
Da un punto di vista teorico: se un maschio produce 50% spermatozoi X e 50% (cosa quasi mai vera),
possiamo dire che se una coppia desidera un maschio è più probabile che si abbia un maschio se si ha un
rapporto sessuale a ridosso dell’ovulazione, cioè quando lo spermatozoo Y è più vitale e quindi arriva prima
all’ovulo.
Se si desidera una femmina è più probabile che venga concepita se il rapporto sessuale si ha qualche giorno
di distanza dal giorno dell’ovulazione, quando la maggior parte degli spermatozoi Y si sono degradati e
quelli X sono ancora vitali.
EREDITARIETÁ DEI GENI X-LINKED
Geni che non sono presenti sull’Y, ma sono sull’X ( es i geni per la percezione dei colori e per la
coagulazione del sangue o fattore ottavo) e quindi si ereditano in maniera peculiare: si parla di caratteri
legati al sesso o x-linked perché seguono la linea di trasmissione dell’X.
Un maschio, per i caratteri legati all’X è emizigote, cioe ha sempre solo 1 copia di gene x-linked.
Es: daltonismo
C=allele dominante normale cioè percezione dei colori normale; c=allele recessivo per la cecità dei colori
rosso e verde. (vedi figura)
A dx il maschio è normale perché l’unico allele che ha su X è normale (C ) e una femmina genotipicamente
eterozigote (Cc) e fenotipicamente normale. Da questo incrocio: 25% femmine normali (genotipicamente e
fenotipicamente), 25% femmine portatrici (normali solo fenotipicamente), 25% maschi normali, 25%
maschi daltonici.
A sx incrocio tra maschio daltonico e femmina portatrice/eterozigote avremo una progenie più colpita da
daltonismo. Le percentuali sono: 25% femmine portatrici, 25% femmine daltoniche, 25% maschi normali,
25% maschi daltonici.
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LEZIONE 13 26/04/2021
LA COMPENSAZIONE DEL DOSAGGIO
Una femmina normale ha due copie di ogni gene x-linked, mentre il maschio ne ha solo 1. Il meccanismo di
compensazione del dosaggio rende equivalenti le 2 dosi della femmina e la singola del maschio.
È un fenomeno esclusivamente somatico che avviene durante le prime fasi dello sviluppo( 16esimo giorno
di gestazione nell’uomo) nei tessuti germinali per una corretta gametogenesi e consiste nell’esprimere
entrambi i cromosomi X.
Questo meccanismo nei mammiferi implica l’inattivazione di uno dei due X nella femmina (lyonizzazione da
Mary Lion): durante l’interfase nel nucleo è visibile una macchia scura di cromatina condensata detta
corpo di Barr che corrisponde ad uno dei 2 X metabolicamente inattivo(cioè non attivo dal punto di vista
trascrizionale).
È un processo causale: viene spento uno dei 2 X in modo casuale. Ciò viene dimostrato grazie
all’esperimento del gatto persiano calico. L’inattivazione dell’X in questo animale è a carico di geni x-linked
che codificano sia per il pigmento nero che per quello arancio. Le chiazze bianche sono dovuti ad altri geni
che controllano il colore del pelo che non sono x-linked.
Poiché l’inattivazione dell’X è casuale il gene per il pigmento nero si esprime per alcuni cloni di cellule che
sono presenti intorno all’occhio (in questo determinato caso in figura), quello per l’arancio in altri cloni nel
corpo e in mezzo al viso e cio’ causa chiazze di cellule che esprimono pigmenti diversi.
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LEZIONE 13 26/04/2021
COME SI INATTIVA L’X
il gene XIST, localizzato in Xq13( in una regione Xic, inactivation center) espresso solo sull’X inattivo e
produce un Long non coding RNA (lncRNA), cioè un RNA più lungo del normale e non codificante)di circa
17Kb (kilo basi) nell’uomo che lega lo stesso cromosoma che lo ha prodotto (cioè l’X metabolicamente
inattivo) e ne determina un cambiamento conformazionale della cromatina ( attraverso il reclutamento di
DNA metil-transferasi, deacetilasi : la metilazione e la deacetilazione sono due meccanismi di silenziamento
dell’espressione genica ): i geni sull’X sono cosi silenziati.
Il silenziamento dell’X metabolicamente inattivo non è totale : circa il 15% dei geni sull’X sfuggono
all’inattivazione. L’esistenza di geni che non sono silenziati spiega il difetto( il fenotipo particolare) negli
individui con un numero anomalo di cromosomi X: sindrome di Turner (X0) o Klinefelter (XXY).
L’inattivazione avviene in maniera casuale ma una volta stabilita viene mantenuta nel tempo e nella vita
della cellula e quindi dell’animale.
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LEZIONE 13 26/04/2021
DOMINANZA INCOMPLETA
Ci sono dei casi in cui la dominanza non è completa. Un caso di dominanza incompleta è caratteristico del
colore del fiore della bella di notte, in cui uno degli alleli della coppia non è completamente dominante
sull’altro. Nella dominanza incompleta l’eterozigote ha un fenotipo intermedio tra i due fenotipi parentali
omozigoti e non si può parlare di allele dominante e di allele recessivo e anche il genotipo degli individui
non si scrive con una lettera grande e una lettera piccola o comunque con due lettere piccole e due lettere
grandi ma sono sempre lettere grandi. Questo significa che non esistono alleli recessivi.
In questo esempio vediamo due genitori omozigoti, uno con il
fiore rosso (R1R1) e uno con il fiore bianco (R2R2). L’incrocio
porta ad una F1 tutta eterozigote, che però non è o rossa o
bianca ma è tutta rosa nel colore del fiore. Tutti gli eterozigoti
sono rosa, quindi presentano un fenotipo intermedio tra i due
fenotipi parentali (R1R2).
Facciamo il conto sulla generazione F2: il tipico rapporto
fenotipico 3:1 non c’è più. Abbiamo un rapporto diverso in
quanto il 25% di F2 sarà di colore rosso (R1R1), il 50% sarà rosa
(R1R2, fenotipo intermedio eterozigote) e il 25% sarà bianco
(R2R2). In questo caso nessun allele è recessivo rispetto
all’altro.
CODOMINANZA
Nella codominanza gli eterozigoti presentano il fenotipo di entrambi gli omozigoti parentali: gli alleli in
codominanza si esprimono entrambi.
Un classico esempio di codominanza è quello che guida l’ereditarietà dei gruppi sanguigni A, B e 0.
I gruppi sanguigni A, B, 0 e AB sono controllati da 3
alleli in un singolo locus: IA, IB e i. Gli alleli che
presentano codominanza sono i primi due.
Il fenotipo del gruppo sanguigno A presenta come
genotipi alternativi o IAIA (omozigote) o IAi
(eterozigote in quanto i è recessivo). Sui globuli
rossi del fenotipo sanguigno A ci sono antigeni di
tipo A, mentre nel plasma avremo degli anticorpi
anti-B.
Parallelamente il gruppo sanguigno B può avere 2 genotipi alternativi: quello omozigote IBIB oppure quello
eterozigote IBi; gli antigeni sui globuli rossi saranno di tipo B mentre nel plasma ci saranno anticorpi anti-A.
Il gruppo sanguigno AB presenta la codominanza in quanto il suo genotipo è IAIB; sui globuli rossi saranno
presenti due antigeni, A e B, mentre nel sangue non ci sarà nessun anticorpo, né contro A né contro B.
Bigi, Biondi, Bonacini
BIOLOGIA E GENETICA | (Manfredini)
LEZIONE 13 26/04/2021
Il gruppo 0 invece non presenta nessun antigene di tipo A o B, ha un genotipo di tipo ii e presenta nel
plasma sia anticorpi anti-A sia anticorpi anti-B.
Queste caratteristiche definiscono la compatibilità dei gruppi sanguigni in base alla presenza nel siero di
anticorpi contro antigeni di globuli rossi A o B o entrambi.
Questa è una tabella che
spiega la compatibilità dei
gruppi sanguigni in seguito a
trasfusione di sangue. In
questo rettangolo sono
rappresentati i risultati del
test di Coombs che va ad
indagare la compatibilità di
due tipi di sangue. Quando i
due tipi di sangue sono
compatibili la gocccia si
manifesta compatta;
quando non sono
compatibili si verifica
agglutinazione, ovvero
l’interazione tra antigene presente sui globuli rossi e anticorpi presenti nel plasma, e la goccia risulta meno
omogenea e compatta. Per quanto riguarda il gruppo sanguigno A, esso è compatibile ovviamente con il
suo stesso gruppo sanguigno e con il gruppo 0. Allo stesso modo il gruppo sanguigno B è compatibile con il
gruppo B e il gruppo 0. Il gruppo AB inceve è compatibile con tutti gli altri gruppi sanguigni perché non
presenta nel plasma né anticorpi anti-A né anticorpi anti-B. Viceversa il gruppo 0 è compatibile solo con sé
stesso perché i gruppi A, B e AB causano la reazione di agglutinazione per la presenza nell’individuo di
gruppo 0 di anticorpi anti-A e di anticorpi anti-B.
Quindi per definire la codominanza in questo sistema possiamo dire che gli alleli A e B sono codominanti:
quando sono presenti nello stesso genoma si esprimono entrambi.
ALLELI MULTIPLI
Un organismo diploide può avere solo 2 alleli per un singolo locus genico, ma in una popolazione possono
essere presenti più alleli per uno stesso locus genico.
Un locus ha alleli multipli se nella popolazione esistono 3 o più alleli per quel locus. Ad esempio, nei
conigli ci sono 4 alleli per il locus che determina il colore della pelliccia: questi 4 alleli C, c ch, ch e c hanno un
rapporto di dominanza e recessività e più precisamente C domina su cch, il quale domina su ch che a sua
volta domina su c.

Un coniglio
grigio scuro può
avere 4 diversi
genotipi, ma
l’importante è
che abbia almeno
un C nel proprio
genotipo.
Bigi, Biondi, Bonacini



BIOLOGIA E GENETICA | (Manfredini)
LEZIONE 13 26/04/2021
Un coniglio cincillà può avere solo 3 genotipi, l’importante è che abbia almeno un cch e che non
abbia un C.
Il fenotipo himalaiano può avere questi due genotipi e non può avere nel suo genotipo né un C né
un cch.
Il fenotipo albino, che è la forma recessiva per eccellenza, può avere solo il fenotipo omozigote
recessivo cc.
INTERAZIONE GENICA
Andiamo a descrivere vari tipi di interazioni geniche, ad esempio nelle creste dei polli. Alleli di loci
differenti possono interagire per produrre un fenotipo. Molte coppie di alleli possono intervenire
nell’espressione di un dato carattere oppure una coppia di alleli può inibire o cambiare l’effetto di
un’altra, ad esempio nell’eredità delle creste dei polli.
L’allele R che domina su r è l’allele per la cresta a rosa ed
interagische con l’allele P per la cresta a pisello, che domina su p
(l’allele per la cresta semplice). A seconda di come queste due
coppie di alleli sono combinate nel genotipo, si presenta un
fenotipo o l’altro:
 Quando gli alleli P e R sono insieme nello stesso genotipo
producono il fenotipo cresta a noce con 4 genotipi possibili, tutti
contenenti P e R.
 La cresta a pisello si manifesta solo quando c’è un P nel
genotipo ma abbiamo solo la forma recessiva dell’allele R; essa
è determinata da 2 genotipi.
 La cresta a rosa invece si manifesta quando nel genotipo c’è
un R ma l’allele P è recessivo.
 La cresta semplice si manifesta negli omozigoti recessivi per
entrambi gli alleli.
EPISTASI
L’pistasi è una forma di interazione genica in cui la presenza di determinati alleli in un determinato locus
può impedire o mascherare l’espressione di alleli in un altro locus. In questo caso non produce un nuovo
fenotipo.
Un esempio classico è quello del colore del pelo del labrador. Esso
dipende da 2 coppie di alleli:

Una coppia che codifica per il pigmento: B, pelo nero, che
domina su b, pelo marrone

Una coppia che determina la deposizione del colore nel
pelo: E codifica per l’espressione del nero e del marrone ed e, che
è epistatico, blocca l’espressione dei geni B e b quando è in
condizione omozigote ed il pelo appare dunque giallo.
Bigi, Biondi, Bonacini
BIOLOGIA E GENETICA | (Manfredini)
LEZIONE 13 26/04/2021
Con queste nozioni siamo in grado di capire perché i labrador sono diversamente colorati e che tipo di
genotipo possono avere:



I labrador neri hanno un genotipo che contiene almeno un B e un E e non contiene e.
I cani incolori o gialli contengono nei loro genotipi il gene e in omozigosi.
Il colore marrone è determinato da un genotipo in cui non c’è un B che codifica con il nero e che
dominerebbe sul marrone e contiene almeno un E per la deposizione del pelo marrone.
PENETRANZA DI UN CARATTERE
La penetranza di un carattere è la frequenza con cui individui con un dato genotipo manifestano un
carattere a livello fenotipico. Non sempre il genotipo si manifesta a livello fenotipico, e questo vale anche
per i difetti genici. In alcune malattie ereditarie un carattere con ereditarietà dominante non si manifesta
in tutti gli individui e si nota dunque una penetranza incompleta del carattere.
La penetranza è descritta a livello di popolazione ed è una percentuale. Se un carattere si manifesta nel
60% degli eterozigoti che portano un allene dominante, come ad esempio la polidattilia, diremo che il
carattere ha una penetranza del 60%.
Le cause della penetranza incompleta sono ancora da individuare, tra queste possiamo indicare lo stile di
vita ed il background genetico.
La polidattilia nell’uomo è causata da una mutazione dominante P che si manifesta solamente in alcuni suoi
portatori. Una mutazione dominante che si dovrebbe manifestare in tutti i suoi portatori non si manifesta
nel 100% dei portatori ma solamente in una certa percentuale.
ESPRESSIVITÀ DI UN CARATTERE
L’espressività di un carattere è una caratteristica diversa dalla penetranza e significa che un carattere non
si manifesta in maniera uniforme tra gli individui con lo stesso genotipo che lo manifestano.
Un esempio è la mutazione
dominante dell’occhio Lobe in
Drosophila che genera una serie
di fenotipi: alcuni eterozigoti
hanno gli occhi composti molto
piccoli, che possono causare
cecità, mentre altri hanno occhi
più grandi con lobi pronunciati.
La mutazione lobe in drosofila ha
un’espressività variabile: il carattere grandezza dell’occhio non si manifesta in maniera uniforme tra gli
individui che lo manifestano. Il fenotipo varia da una completa assenza dell’occhio ad un occhio quasi
selvatico e dunque ad una vista praticamente normale.
L’espressività variabile è documentabile anche nei cani di razza “beagle” in quanto ognuno di questi cani
possiede l’allele SP che è responsabile del fenotipo pezzato, ma questo fenotipo si può manifestare in modo
molto evidente o poco evidente in individui con lo stesso allele. L’espressività varia da un fenotipo pezzato
molto evidente ad uno pezzato quasi inesistente in individui che hanno lo stesso genotipo.
Bigi, Biondi, Bonacini
BIOLOGIA E GENETICA | (Manfredini)
LEZIONE 13 26/04/2021
Penetranza ed espressività possono essere variabili e per alcuni caratteri ci può essere una combinazione
di penetranza ed espressività variabile. Questo da origine ad una grande varietà di fenotipi che possiamo
evidenziare in individui che hanno lo stesso genotipo per quel tipo di carattere.
EREDITÀ POLIGENICA
Si dice eredità poligenica quando esistono più coppie di geni indipendenti tra di loro che hanno effetti
simili e antiadditivi sullo stesso carattere. L’eredità poligenica è molto rappresentata nell’uomo in quanto
governa la maggior parte dei caratteri umani. Gli esempi più pregnanti nell’uomo sono la statura, la forma
del corpo e il colore della pelle.
Nell’ereditarietà del colore della pelle sono coinvolti più di 60 loci
diversi. Per semplicità prendiamo in esame solo 3 coppie di alleli A, B
e C. Le lettere maiuscole indicano alleli che manifestano dominanza
incompleta nell’espressione dell’intensità del colore della pelle. Gli
incroci tra persone con colore della pelle diverso avranno per la
maggior parte un colore della pelle intermedio tra i due genitori e si
distribuiranno attraverso questa distribuzione gaussiana.
Più lettere maiuscole saranno presenti, più il colore della pelle sarà
scuro perché gli alleli agiscono in modo additivo: AABBCC avrà il
colore della pelle più scuro, viceversa aabbcc avrà il colore più chiaro.
Se grafichiamo la generazione F2 di questo incrocio, dove sono tutti
eterozigoti, otteniamo una distribuzione normale o gaussiana dove la
maggior parte degli individui presenta un fenotipo intermedio. Solo in
una piccola percentuale si manifestano i fenotipi estremi della F1,
ovvero il molto scuro e il molto chairo.
IL FENOTIPO È INFLUENZATO DALL’AMBIENTE
Il genotipo influenza molto pesantemente il fenotipo, ma esso è anche influenzato da fattori ambientali:
individui geneticamente identici possono svilupparsi in maniera differente in ambienti differenti e questo è
stato verificato attraverso studi su gemelli separati alla nascita e cresciuti in ambienti diversi. Si è notato
che alcuni comportamenti possono cambiare, il carattere può essere diverso ma in generale si è definito
che l’influenza dell’ambiente rispetto a quella genotipica è minore.
La statura è un carattere ad ereditarietà poligenica con più di 10 loci coinvolti ed è influenzata anche da
altri fattori come lo stile di vita, la dieta e lo stato di salute che il bambino ha vissuto. Esistono delle
formule che permettono di stimare l’altezza raggiungibile da un bambino che comprendono ovviamente le
altezze dei genitori e dei nonni, ma che comunque alla fine riportano un ±8 cm che rappresenta l’influenza
dell’ambiente sull’altezza del bambino in crescita. Questo valore dipende anche dalla dieta, dallo sport che
il ragazzo pratica e dallo stato generale di salute (un bambino malnutrito che presenta patologie crescerà
meno di uno che si trova in condizioni migliori).
La norma di reazione è la varietà dei possibili fenotipi che possono svilupparsi da un unico genotipo in
diverse condizioni ambientali. Senz’altro il genotipo influenza maggiormente il fenotipo rispetto
all’ambiente, ma anche l’ambiente presenta un’influenza decisamente importante.
Colombo, Congedo, Corradini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 14 28/04/2021
IL GENOMA UMANO
I cromosomi vengono studiati attraverso la cariotipizzazione.
Citogenetica: studio dei cromosomi e del loro ruolo
nell’ereditarietà
Cariotipo: corredo cromosomico di un individuo
Analisi con software
L’analisi del cariotipo si basa sull’utilizzo di un analizzatore
di immagini computerizzato (un software) che analizza i
cromosomi metafasici delle cellule prese in esame,
mettendoli in ordine di grandezza decrescente, con i
cromosomi sessuali per ultimi (in basso a destra).
Analisi con colorante
Fino a pochi decenni fa al posto del software veniva
eseguito un bandeggio utilizzando colorazione con
Giemsa, cioè colorando in modo diverso le bande
cromosomiche per evidenziare aberrazioni cromosomiche (delezioni, traslocazioni ecc.).
Figura 1
Nelle analisi del cariotipo si esaminano i cromosomi
metafasici:
• Sfruttando il checkpoint in M, che blocca le cellule in
mitosi quando c’è un erroneo assemblaggio del fuso
mitotico, blocchiamo le cellule in metafase,
trattandole con un veleno del fuso come colchicina o
vinblastina, che vanno a disassemblare il fuso stesso.
In questa fase i cromosomi sono ben visibili.
• Successivamente si inseriscono le cellule in una
soluzione di citrato leggermente ipotonica, in modo
che i nuclei si gonfino.
• Si fissano le cellule con metanolo
• Si centrifuga il preparato
• Le cellule si gocciano su un vetrino, per osservarle al
microscopio
Figura 2
1
Colombo, Congedo, Corradini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 14 28/04/2021
Nel metodo più moderno, non si utilizzano coloranti ma delle sonde1 fluorescenti che sono specifiche per
una o più bande cromosomiche e che risultano essere più sensibili del bandeggio G.
FISH (Fluorescence in situ hybridization)
è una delle tante analisi che si possono
fare sui cromosomi con l’utilizzo delle
sonde fluorescenti, facendole ibridizzare
con cromosomi specifici. Ciò consente di
individuare singoli cromosomi, o
determinate traslocazioni (per esempio
la 9:22 nel caso di leucemia mieloide
cronica o la 15:17 nel caso di leucemia
promielocitica acuta). La fluorescenza è
quindi una tecnica più sensibile rispetto
alle colorazioni non fluorescenti.
Figura 3
CARIOTIPO MOLECOLARE
È una metodica di biologia molecolare chiamata anche microarray-Comparative Genomic Hybridization
(CMA o cariotipo molecolare), molto più sensibile delle altre, che consente di identificare anche alterazioni
submicroscopiche non visibili al microscopio (utilizzato nell’analisi del cariotipo tradizionale). Inoltre, è una
tecnica più veloce perché non c’è bisogno di coltura di amniociti (se l’analisi è prenatale) o cellule in
generale.
•
•
•
•
Il DNA di un paziente (verde), e il
DNA di controllo di una persona
normale (rosso), vengono
estratti dalle cellule e sono legati
ad un determinato fluorocromo
(verde nel caso del paziente,
rosso nel controllo).
Entrambi i DNA vengono
coibridizzati (si appaiano a
sequenze nucleotidiche
complementari) su questo array,
che contiene le sonde per tutte
le bande cromosomiche.
L’array viene poi lavato e
scannerizzato, ciò che rimane sul
Figura 4
vetrino sono solo le sonde
fluorescenti che si sono legate a determinati geni.
Le immagini vengono analizzate con opportuni programmi e ciò consente di individuare sia macro
che micro-alterazioni (es duplicazioni, delezioni ecc.), indicate dal rapporto di fluorescenza tra il
campione del paziente e del controllo (la differenza sta nel numero di copie di un determinato
gene).
1
Sonda: sequenza di DNA o RNA a singolo filamento, che opportunamente marcate si accoppiano a una seconda sequenza
nucleotidica complementare (fonte: Enciclopedia Treccani)
2
Colombo, Congedo, Corradini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 14 28/04/2021
Nonostante il cariotipo molecolare prenda questo nome, non è di fatto un’analisi del corredo cromosomico
(ne discuteremo di nuovo quando faremo la genetica prenatale, dove queste tecniche sono molto usate per
evidenziare eventuali alterazioni nel nascituro).
ALBERI GENEALOGICI O PEDIGREE
È un grafico che mostra la trasmissione dei caratteri genetici per alcune generazioni all’interno di una
famiglia. Rappresenta uno strumento molto utile per la consulenza genetica e per la clinica.
• Ogni linea orizzontale rappresenta una generazione (contrassegnata da numeri romani a lato), con
le più vecchie in alto e le più recenti in basso
• Una linea orizzontale unisce i 2 genitori, ed una verticale scende dai genitori ai figli
Per malattie di cui non si conosce la trasmissione ereditaria, si
può dedurre il meccanismo di trasmissione dall’albero
genealogico.
Nell’albero genealogico:
• I cerchi sono le femmine
• I quadrati sono i maschi
• Gli individui sani sono i simboli bianchi
• Gli individui malati sono i simboli colorati
CARATTERI AUTOSOMICI RECESSIVI
L’esempio in Figura 5 è dell’albinismo:
Se noi consideriamo nella terza generazione la femmina
albina, i suoi genitori sono entrambi fenotipicamente normali,
ciò vuol dire che l’allele dell’albinismo non può essere
dominante, perché altrimenti almeno uno dei genitori
Figura 5
sarebbe stato albino.
L’allele dell’albinismo non può nemmeno essere recessivo legato all’ X perché se lo fosse il padre sarebbe
stato albino (e la madre portatrice sana), quindi come ultima ipotesi abbiamo che l’albinismo è una malattia
autosomica recessiva, i genitori sono eterozigoti e l’allele recessivo si manifesta in omozigosi nella figlia
femmina.
In un albero genealogico, un difetto autosomico recessivo viene rivelato dalla comparsa del corrispondente
fenotipo nella progenie sia maschile che femminile di individui non affetti.
Lo studio del pedigree ha permesso di predire come sono ereditati i caratteri fenotipici che sono sotto il
controllo di un solo locus (caratteri mendeliani che se alterati causano malattie monogeniche, circa 1000
nell’uomo) e di identificare tre tipi di eredità mendeliana:
• Autosomica dominante
• Autosomica recessiva
• Recessiva legata all’X (X-linked)
3
Colombo, Congedo, Corradini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 14 28/04/2021
CARATTERI AUTOSOMICI DOMINANTI
L’esempio in figura è dell’acondroplasia (una forma di
nanismo):
In questo albero genealogico ad ogni generazione
compaiono individui malati, perché il carattere è
dominante e indipendente dal sesso, cioè il carattere
viene passato sia ai figli che alle figlie in uguale
proporzione (in questo caso dal quadrato di Punnet
emerge che il 50% dei figli sarà affetto dalla malattia).
Figura 6
ALLELI RECESSIVI LEGATI ALL’X
Malattie recessive legate all’X sono emofilia e daltonismo.
Una femmina può essere:
• Malata se ha ereditato gli alleli mutati da entrambi i genitori
• genotipicamente eterozigote e quindi fenotipicamente normale e portatrice sana, potendo quindi
trasmettere il carattere alla progenie
• genotipicamente e fenotpicamente sana.
Esempio in Figura 7, prima generazione:
da un maschio affetto e una femmina sana ci si aspetta che il 50%
dei figli maschi sarà affetto, mentre il 50% delle figlie saranno
portatrici sane (è possibile verificare ciò tramite il quadrato di
Punnet).
In seconda generazione si nota come dall’incrocio tra una
femmina portatrice (eterozigote) e un maschio normale possano
nascere:
• maschi malati
• maschi sani
• femmine portatrici
• femmine sane
Figura 7
I portatori sani si esprimono con un puntino
al centro di un cerchio bianco
Le femmine in questo caso non possono essere malate perché l’X del padre è sano.
Famiglia reale inglese
Figura 8
L’emofilia è una malattia X-linked che è stata a
lungo presente nella famiglia reale inglese
(malattia mortale a quei tempi). Dalla generazione
della regina Vittoria, che era portatrice sana di
emofilia, sono nati molti maschi affetti che sono
morti in giovane età, mentre la famiglia reale
attuale è sana perché la regina Elisabetta non
presenta l’allele mutato, quindi anche i discendenti
sono esenti dall’emofilia.
4
Colombo, Congedo, Corradini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 14 28/04/2021
L’IMPRINTING GENOMICO
Lo studio del pedigree identifica anche caratteri non mendeliani, cioè caratteri per i quali l’origine parentale
non influisce sulla loro espressione.
L’imprinting genomico si riferisce al fatto che l’espressione di alcuni geni nei mammiferi è influenzata dalla
sua origine parentale, ovvero a seconda che sia stato ereditato dal padre (imprinting paterno) o dalla
madre (imprinting materno).
Per alcuni geni l’allele paterno è sempre represso o viceversa attraverso la metilazione dei promotori di
questi geni.
Esempio:
La Sindrome di Prader-Willi (PWS) e la Sindrome di Angelman (AS) presentano entrambe come alterazioni
genetiche una delezione della regione q11-13 del cromosoma 15 ma in base a se questa mutazione si
verifichi nell’allele paterno o in quello materno si hanno patologie diverse.
PWS: è caratterizzata da bassa statura, obesità e ritardo mentale di vario grado. In questo caso la delezione
è stata ereditata dal padre (malattia autosomica dominante), mentre sul cromosoma materno (normale) è
silenziata.
AS: è caratterizzata da iperattività, accessi di riso, epilessia, movimenti muscolari incontrollati, ritardo
mentale. In questo caso la delezione viene ereditata dalla madre (malattia autosomica dominante),
mentre il cromosoma paterno (normale) viene silenziato.
Figura 9
5
Colombo, Congedo, Corradini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 14 28/04/2021
SINDROMI CROMOSOMICHE
Sono alterazioni della struttura e del numero dei cromosomi.
Poliploidia: Presenza di set cromosomici completi multipli. Nell’uomo è letale a livello embrionale, ovvero
l’embrione viene abortito nelle primissime settimane di vita (la triploidia presenta 3 copie di ogni
cromosoma).
Aneuploidia: Anomalia per la presenza di un unico cromosoma extra o per l’assenza di un cromosoma. Le
aneuploidie sono molto più frequenti della poliploidia.
• Disomia: Condizione normale
• Trisomia: un cromosoma extra (3 cromosomi di un determinato tipo)
• Monosomia: un cromosoma in meno per un determinato tipo
La percentuale di aborti spontanei nel primo trimestre di gravidanza si aggira intorno al 20%, ed è
principalmente causata da aberrazioni cromosomiche (riportate sopra).
Le aneuploidie sono causa frequente di morte prenatale e sono più tollerate quelle dei cromosomi sessuali
che quelle degli autosomi (la più famosa aneuploidia autosomica è la sindrome di Down).
La causa delle aneuploidie è una non-disgiunzione (mancata separazione dei cromosomi) meiotica durante
l’anafase della prima o della seconda divisione meiotica. Lo zigote (e quindi l’organismo) che ne deriva avrà
un numero anormale di cromosomi.
Prima divisione meiotica:
Se nel maschio abbiamo una mancata divisione meiotica dei cromosomi sessuali durante la prima divisione
meiotica, si formeranno una cellula con entrambi i cromosomi sessuali e l’altra ne sarà priva; da queste due
cellule deriveranno 2 gameti XY che se feconderanno un uovo normale daranno la sindrome di Klinefelter
XXY, mentre gli altri due gameti privi di cromosomi sessuali se feconderanno un uovo normale daranno
sindrome di Turner X0.
Figura 10
Seconda divisione meiotica:
• Se nel maschio abbiamo una mancata disgiunzione dei cromatidi dell’X nella seconda divisione
meiotica, si avranno due spermatozoi normali con un cromosoma Y, uno spermatozoo privo di
cromosomi sessuali che darà sempre sindrome di Turner e uno spermatozoo con entrambi i
cromosomi sessuali X che in caso di fecondazione di un uovo normale darà un individuo XXX.
6
Colombo, Congedo, Corradini
•
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 14 28/04/2021
Se nel maschio si verifica una mancata disgiunzione meiotica dell’Y nella seconda divisione
meiotica, avremo due spermatozoi normali con un cromosoma X, uno spermatozoo privo di
cromosomi sessuali che può dare sindrome di Turner e uno con entrambi i cromosomi Y che se
feconderà un uovo normale darà origine alla sindrome di Jacobs XYY.
Figura 11
SINDROME DI DOWN
Fenotipo: anomalie del volto, nelle palpebre, lingua molto tozza, mani e altre parti del corpo molto tozze,
vario grado di ritardo mentale. Predisposizione per neoplasie ematologiche (in particolare leucemia acuta)
e morbo di Alzheimer.
Cariotipo: 47 cromosomi (trisomia del 21)
Incidenza: 1:800 nati vivi, aumenta con l’età della madre
Se la madre ha:
-20 anni: le probabilità che nasca un bimbo Down sono 1:1105
-30 anni: la probabilità sale a 1:723
-40 anni: la probabilità è di 1:92
Questo è dovuto alla non disgiunzione nella seconda divisione meiotica, che si compie solamente quando
l’ovulo viene fecondato. Con l’innalzamento dell’età della madre la correttezza della disgiunzione meiotica
durante l’ultima divisione meiotica dell’ovulo si abbassa, quindi nelle madri anziane (che superano i 35
anni) aumenta molto la probabilità di aneuploidie.
Figura 12
SINDROME DI KLINEFELTER, XXY
Fenotipo: Maschi con testicoli piccoli (sterili), con altezza
superiore alla media, ritardo mentale
Cariotipo: 47 cromosomi (XXY)
Incidenza: 1:700 nati vivi
La presenza di almeno un cromosoma X è fondamentale per
avere un organismo vitale, mentre una dose
sovrannumeraria del cromosoma X provoca una sindrome
cromosomica (come in questo caso). Quindi l’inattivazione
dell’X (corpo di Barr) non è completa, altrimenti in caso di
sovradosaggio del cromosoma X non ci sarebbero alterazioni.
7
Colombo, Congedo, Corradini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 14 28/04/2021
SINDROME DI TURNER-X0
Fenotipo: Sono individui femminili (perché manca il
cromosoma Y) con genitali non sviluppati,
sono sterili (perché hanno delle ovaie rudimentali), sono di
bassa statura, hanno pliche cutanee caratteristiche sulla nuca,
deformità a livello della piega del gomito, numerosi nevi
cutanei su tutto il corpo.
Cariotipo: hanno un solo cromosoma X e quindi 45 cromosomi
Incidenza: 1:2500 femmine nate vive.
Terapia: Fino ad oggi queste sindromi non hanno cura, ma per
rendere queste femmine più simili alle loro coetanee si può
usare l’ormone della crescita (per farle crescere in altezza) e
ormoni sessuali femminili come estrogeni e progesterone,
prima della pubertà, per far sviluppare gli organi sessuali
secondari (ad esempio il seno). Rimangono comunque sterili.
Figura 13
SINDROME DEL TRIPLO X-47, XXX
Fenotipo: Sono femmine perché è assente il cromosoma Y. Inizialmente furono denominate “super
femmine”, ma ovviamente ogni anomalia cromosomica non porta ad un vantaggio ma uno svantaggio.
Sono femmine caratterizzate da alta statura, irregolarità mestruali, raramente ritardo mentale.
Cariotipo: 47 cromosomi (XXX)
Incidenza: 1:1000
CARIOTIPO XYY: SINDROME DI JACOBS
Figura 14
È stato chiamato cariotipo perché non dava una vera e
propria sindrome, sono maschi fertili.
Cariotipo: XYY con 47 cromosomi.
Incidenza: 1:1000.
Fenotipo: Questi maschi hanno uno sviluppo sessuale
normale, sono fertili, i sintomi prevalenti in questi
soggetti sono problemi di apprendimento a scuola,
uno sviluppo emozionale ritardato, possono avere un
livello di testosterone superiore al normale.
Si è indagato se questa dose additiva del cromosoma Y (la sindrome di Jacobs è infatti una malattia genetica
con un cromosoma Y in più) potesse portare a tendenze criminali. Furono fatti negli Stati Uniti degli studi
sulle popolazioni carcerarie per capire se il cromosoma Y in più potesse portare ad avere tendenze
criminali. Hanno esaminato il cariotipo dei detenuti per vedere se quelli che avessero compiuto i delitti più
gravi portassero questo cariotipo. In un primo momento sembrava fosse così, poi successivi studi hanno
dimostrato che non è così. Quindi i soggetti affetti da sindrome di Jacobs non hanno tendenze criminali dal
punto di vista genetico.
8
Colombo, Congedo, Corradini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 14 28/04/2021
ANOMALIE CROMOSOMICHE- SINDROME “CRI DU CHAT”
Questa è un’anomalia cromosomica che si chiama
“cri du chat” (che in francese significa pianto di
gatto) perché i bambini che portano questa
sindrome hanno un pianto simile a quello di un
gatto. Hanno una sopravvivenza estremamente
bassa.
Cariotipo: L’anomalia non è a carico di un intero
cromosoma, ma c’è una delezione del braccio corto
del cromosoma 5 (Figura 15) quindi i cromosomi
sono 46. Il cariotipo si scrive 46 del 5.
Fenotipo: Il fenotipo di questi bambini è
caratterizzato da testa più piccola del normale,
lineamenti alterati, occhi molto separati tra di loro,
naso molto allargato, pianto particolare, ritardo mentale.
Incidenza: 1:50000 nati vivi.
Figura 15
SINDROME DELL’X FRAGILE
I siti fragili sono punti dei cromatidi in cui avvengono più frequentemente delle rotture cromosomiche e
che sembrano attaccati al resto del cromosoma da sottili porzioni di DNA.
Nella sindrome dell’X fragile o FRAX, il gene coinvolto è FMR1 (Fragile
X Mental Retardation-1), che è situato sul braccio lungo del
cromosoma X e codifica per una proteina che lega e trasporta gli RNA
messaggeri dal nucleo al citoplasma.
L'alterazione responsabile di questa sindrome è l'espansione di un
tratto di DNA di questo gene in corrispondenza del sito fragile FRAXA
che quando si rompe viene poi duplicato; questo porta ad avere delle
triplette CGG ripetute molte volte. Mentre in persone normali queste
basi a livello di questo sito sono ripetute da 6 a 45 volte, nelle persone
affette dalla sindrome dell’X fragile queste triplette sono ripetute più
di 200 volte, quindi c'è un’espansione della ripetizione di queste
triplette. Questa espansione insieme ad altri fenomeni causa il
mancato funzionamento del gene FMR1, provocando un fenotipo che
è più grave nei maschi perché il gene colpito è localizzato sul
cromosoma X (i maschi ne hanno solo una copia).
Il fenotipo è visibile soprattutto a livello neurologico e va da una
leggera incapacità di concentrazione fino a grave ritardo mentale, in
dipendenza dal numero delle ripetizioni delle triplette CGG.
Figura 16
9
Colombo, Congedo, Corradini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 14 28/04/2021
MALATTIE GENETICHE CAUSATE DA MUTAZIONI PUNTIFORMI
Sono malattie genetiche che derivano da mutazioni che colpiscono una sola base o comunque un solo gene.
ANEMIA FALCIFORME
Figura 17
Alterazione genica: L’anemia falciforme è causata da una
mutazione sul gene della  globina che fa cambiare
l’amminoacido da acido glutammico (amminoacido
polare) a valina (aminoacido non polare). Il
cambiamento di un solo aminoacido in questo caso
causa un’insolubilità dell'emoglobina all'interno dei
globuli rossi, facendone assumere la forma a falce.
Questa mutazione causa quindi anche un'alterazione
della funzione della proteina perché si ha un
cambiamento della struttura primaria. Questo è un
classico esempio di malattia monogenica con mutazione di un solo gene.
Ricordiamo che anche una modificazione delle altre strutture proteiche quindi secondaria, terziaria e
quaternaria (per le proteine che ce l'hanno) per denaturazione può portare ad alterazione dell'attività
biologica della proteina causando malattie.
Nel caso dell’anemia falciforme il difetto è dovuto a una mutazione puntiforme sulla  globina e quindi
viene modificata la struttura primaria della proteina.
Trasmissione: È una malattia autosomica recessiva
Sintomi: anemia; si chiama anemia falciforme perché i globuli rossi
assumono una forma a falce e quindi vengono prematuramente
catturati dai sinusoidi della milza che li scambiano per cellule
invecchiate, quindi li sequestrano dal circolo; questo porta a una
diminuzione patologica del numero di globuli rossi e quindi anemia.
Questi globuli rossi a forma di falce possono provocare dei blocchi
del flusso sanguigno perché non passano facilmente attraverso i
capillari, non si modificano come i globuli rossi normali, e quindi
provocano aggregazioni patologiche di queste cellule falciformi che
causano interruzione del flusso sanguigno, quindi dolore e anche
mancata distribuzione dell'ossigeno ai tessuti.
Figura 18
Terapia: C'è una terapia genica attualmente in sperimentazione, si possono effettuare anche trasfusioni per
curare l’anemia e inoltre si può ricorrere all’idrossiurea che fa riesprimere le catene gamma fetali che
vengono silenziate dopo la nascita, quindi si forma l’emoglobina fetale, che comunque è meglio di una
emoglobina mutata. Ci sono ora degli ottimi tentativi di terapia genica fatta con i nuovi sistemi di gene
editing CRISPR/Cas9 proprio per l'anemia falciforme e per la riespressione delle catene gamma fetali, che
sono ora in trial clinico e sembrano dare ottimi risultati.
FENILCHETONURIA (PKU)
Trasmissione: è una malattia autosomica recessiva
Alterazione genica: è causata da una mutazione puntiforme che causa la deficienza dell’enzima
fenilalanina-idrossilasi, necessario per metabolizzare la fenilalanina a tirosina. In mancanza di questo
enzima la fenilalanina viene convertita ad acido fenil-piruvico, che è tossico per il sistema nervoso.
Sintomi: l’accumulo di acido fenil-piruvico nell'organismo può causare un danno celebrale progressivo,
causando anche ritardo mentale. Questa malattia deve essere diagnosticata il più precocemente possibile,
cioè alla nascita, grazie allo screening metabolico, per intervenire immediatamente.
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Colombo, Congedo, Corradini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 14 28/04/2021
Terapia: in caso diagnosi di PKU la terapia consiste in una dieta priva di fenilalanina: il bambino svezzato
deve seguire una dieta priva di carne, pesce, latte e derivati, pane, nocciole e tutti gli alimenti che
contengono la fenilalanina. Si tratta di una dieta molto stretta e molto difficile da seguire, quindi spesso i
bambini la seguono perché i genitori preparano loro da mangiare, ma quando diventano adolescenti spesso
sgarrano e tendono a sospendere la dieta.
È molto importante che la donna gravida segua la dieta anche se il bambino nascituro non è malato: infatti,
se la donna non segue la dieta l’acido fenil-piruvico si può accumulare nel sangue della madre e andare a
danneggiare il cervello fetale.
FIBROSI CISTICA
La fibrosi cistica è la più frequente malattia genetica nell’area caucasica.
Trasmissione: È una malattia autosomica recessiva
Alterazione genica: è dovuta ad una mutazione puntiforme del gene CF (cystic fibrosis) che codifica per la
proteina CFTR. Questa è un canale del cloro che regola anche la funzione di canali del sodio.
Incidenza: È la malattia genetica ereditaria mortale più comune nella popolazione caucasica e ha
un’incidenza di 1:2500.
Sintomi: Il malfunzionamento di un canale che regola la funzione del cloro e del sodio causa uno squilibrio
ionico a livello della membrana apicale di tutti gli epiteli secernenti (le cellule epiteliali dell’intestino, delle
vie aeree, del pancreas, delle ghiandole sudoripare, dei vasi deferenti dei maschi).
C'è quindi uno squilibrio ionico causato da un'alterazione della secrezione di ioni cloro da parte delle cellule
epiteliali. Si ha un maggiore riassorbimento di sodio e quindi di acqua per osmosi, con la produzione di
muco, o comunque di secreto, estremamente denso.
L’epitelio delle vie aeree, che produce il muco necessario per espellere contaminanti sia fisici che microbici
provenienti dall’ambiente, nei malati di fibrosi cistica secerne un muco estremamente denso. Quindi
questo epitelio non svolge correttamente la sua funzione di eliminare il pulviscolo con l’espettorato, ma
trattiene i microbi all'interno determinando delle infezioni bronchiali croniche con progressiva distruzione
del parenchima polmonare, formazione di bronchiectasie (dilatazione dei bronchi) e distruzione del
parenchima respiratorio.
La tosse diventa sempre catarrale, l’espettorato diventa
purulento e la risposta immunitaria che arriva a seguito di
questa stimolazione infiammatoria innesca un processo
patogenetico che porta alla distruzione del parenchima
funzionale del polmone; questo è il sintomo più grave a
carico del sistema respiratorio che porta alla morte.
I bambini affetti da questa malattia devono essere aiutati
ad espettorare tutti i giorni perché le vie respiratorie sono
intasate dal muco.
Terapia: la terapia è ancora in fase di sperimentazione
(come in tutte le malattie genetiche e monogeniche). Sono
in atto tentativi di terapia genica che non sono ancora
entrati nella pratica clinica.
Si può somministrare la DNAsi, perché il DNA che si libera
dalle cellule immunitarie richiamate nell’epitelio
respiratorio funziona da collante, quindi contribuisce a
intasare e a rendere il muco ancora più denso; il
trattamento con DNAsi è una terapia sintomatica che cura
questi sintomi, ma la vera cura è ancora in fase di ricerca tramite tentativi di terapia genica.
Figura 19
11
Colombo, Congedo, Corradini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 14 28/04/2021
TAY-SACHS
Trasmissione: È una malattia autosomica recessiva
Alterazione genica: mutazione puntiforme che va a colpire il gene che
codifica per l'esosaminidasi A, un enzima che degrada i gangliosidi GM2 nel
cervello. La mancanza di quest’enzima porta ad un accumulo di questo
ganglioside.
Il gene si trova in posizione 15q23 (cromosoma 15, braccio lungo, banda 23).
Sintomi: ritardo psicomotorio, ipotonia, megalencefalia (sviluppo anormale
della testa), sussulti associati a forti rumori.
I sintomi neurologici sono molto gravi e portano alla morte entro i 5 anni.
Terapia: Non ci sono purtroppo ancora cure palliative né curative.
MALATTIA DI HUNGTINTON
Trasmissione: è una malattia autosomica dominante
Alterazione genica: la mutazione è a carico della proteina
“huntingtina” (chiamata così dal suo scopritore) che si trova sul
braccio corto del cromosoma 4. Il gene normale presenta una
sequenza trinucleotidica ripetitiva CAG, che viene ripetuta da 1 a 34
volte, invece nei malati il numero di ripetizioni è molto aumentato, ad
esempio fino a 150 volte.
La malattia si manifesta tanto più precocemente quanto maggiore è il
numero delle ripetizioni di questa tripletta. Questa proteina mutata
nei neuroni si lega agli enzimi acetil-transferasi, inibendoli e inibendo
l'attivazione della trascrizione nelle cellule del cervello; la malattia alla
fine va a danneggiare i neuroni. In Figura 21 si vede che vengono persi
dei neuroni.
Figura 20
Figura 21
Sintomi: movimenti ipercinetici involontari (“corea” dal greco vuol dire danza), deterioramento delle
facoltà mentali fino a morte.
Inoltre, questa malattia si manifesta anche tardivamente dai 30 ai 40 anni, in dipendenza al numero delle
ripetizioni delle triplette, e quindi si manifesta in età fertile quando magari il soggetto ha già trasmesso la
sua malattia, che è autosomica dominante, al figlio. La malattia si manifesta nel 50% della sua progenie.
Esiste un test che permette di individuare questa mutazione.
Terapia: Finora non ci sono terapie nella pratica clinica.
IPERCOLESTEROLEMIA FAMILIARE
Trasmissione: è una malattia autosomica dominante di cui esistono due forme: quella eterozigote (meno
grave) e quella omozigote, molto più grave perché abbiamo un livello di colesterolo totale nel sangue di
circa 650-1000 mg/dl (la concentrazione di colesterolo totale normale è di 200mg/dl).
Quindi sono colesterolemie altissime soprattutto in forma di lipoproteine a bassa densità (LDL, il
cosiddetto colesterolo cattivo), che portano alla formazione di placche aterosclerotiche all'interno delle
arterie, quindi causa gravi problemi cardiocircolatori, accidenti vascolari, ictus e infarti anche in età
precoce.
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Colombo, Congedo, Corradini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Alterazione genica: varie mutazioni (mutazioni
puntiformi o piccole delezioni) a carico del
gene del recettore LDL.
In Figura 22 è possibile vedere la membrana
cellulare (linea verde) e la cellula epatica (in
basso). Il recettore delle LDL normalmente
capta il colesterolo circolante nel sangue sotto
forma di LDL e le internalizza (vengono poi
immagazzinate nel fegato).
In mancanza di funzione del recettore delle
LDL, queste rimangono circolanti nel sangue e
portano alla formazione delle placche
aterosclerotiche e ad un aumento
esponenziale del rischio cardiovascolare
specialmente negli omozigoti.
Lezione 14 28/04/2021
Figura 22
Terapia: La terapia è caratterizzata da una dieta povera di colesterolo, ma da sola non è sufficiente per
abbassare in modo efficace il rischio cardiovascolare (le malattie cardiovascolari sono la prima causa di
morte in Italia e nei paesi non del terzo mondo), quindi si assumono anche statine, che sono inibitori del
colesterolo.
In questo caso ci sono le terapie, ma il rischio cardiovascolare è sempre molto alto specialmente per gli
omozigoti, che possono essere sottoposti periodicamente all’aferesi nei centri trasfusionali, cioè una
rimozione selettiva delle LDL dal sangue (una specie di dialisi, che toglie le LDL per abbassare il loro rischio
cardiovascolare).
EMOFILIA A
Trasmissione: è una malattia recessiva
legata all'X.
Alterazione genica: la mutazione
risiede sul gene del fattore VIII della
coagulazione del sangue.
Sintomi: emorragie, anche per piccole
ferite che possono essere esterne, ma
soprattutto emorragie interne (le più
pericolose).
Terapia: La terapia è sempre stata
quella della trasfusione e la
somministrazione di fattore VIII
Figura 23
ricombinante. Per l'emofilia A sono
oggi in sperimentazione numerosi tentativi di terapia genica basati sempre sul gene editing per correggere
il genoma di questi individui che è modificato a livello del fattore VIII della coagulazione (nell’emofilia B,
invece, l’alterazione è a livello del fattore IX).
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Colombo, Congedo, Corradini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 14 28/04/2021
TERAPIA GENICA
La terapia genica è la correzione di un difetto genetico tramite la reintroduzione della proteina wild type in
una cellula che esprime una proteina mutata. È stato relativamente semplice utilizzarla per alcune malattie
genetiche emopoietiche, per esempio una forma di SCID, un’immunodeficienza molto severa. Questi
bambini bolla devono vivere sotto bolle di plastica sterili perché non hanno un sistema immunitario
funzionante. In questo caso, si ha una deficienza di ADA deaminasi.
Il primo tentativo riuscito di terapia genica fu eseguito molti anni fa su un bambino affetto da ADA-SCID
tramite il seguente metodo, tuttora usato in pratica clinica:
•
•
•
viene fatta inizialmente un’aferesi, cioè un
prelievo di sangue.
Le cellule staminali emopoietiche
contenute nel sangue del bambino
vengono corrette in vitro geneticamente
con vettori virali che portano all'interno
delle cellule il gene per la ADA deaminasi
corretto (gene wild type).
le cellule che vengono poi reinfuse nel
paziente sono in grado di ricostituire un
sistema emolinfopoietico normale e
quindi di formare un sistema immunitario
competente (questi bambini non
l’avevano mai avuto).
Figura 24
In questo modo questi bambini guariscono e possono condurre una vita normale.
14
Francolino, Gavarini, Galeotti
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
lezione 15 03/05/2021
MALATTIE GENETICHE CAUSATE DA MUTAZIONI DEL DNA
MITOCONDRIALE (mtDNA)
Il DNA mitocondriale è stato già descritto nelle precedenti lezioni.
Le principali caratteristiche del DNA mitocondriale (mtDNA), riferite alla comparsa di malattie, dovute a
mutazioni di questo, sono quattro:
•
•
•
•
POLIPLASMIA;
OMO/ETEROPLASMIA;
EFFETTO SOGLIA;
EREDITÀ MATERNA.
Ora le analizzeremo singolarmente.
POLIPLASMIA
In ogni cellula sono presenti molti mitocondri ed ogni mitocondrio contiene copie multiple del suo genoma;
per ciascuna cellula abbiamo, quindi, miglia di copie di DNA mitocondriale.
A differenza del DNA genomico, durante la divisione cellulare i mitocondri vengono distribuiti in modo
casuale alle cellule figlie e quindi la genetica mitocondriale è più simile alla genetica di popolazione (che
vedremo a breve) che a quella mendeliana (già precedentemente vista).
OMOPLASMIA ED ETEROPLASMIA
Nei tessuti normali tutte le copie di DNA mitocondriale sono identiche, di conseguenza si parla di
omoplasmia.
Nel caso di una mutazione del mtDNA questa può colpire tutte le copie (di solito non sono tutte le copie),
oppure essere presente solo in una percentuale di genomi mitocondriali; in tal caso si parla di
eteroplasmia, cioè una stessa cellula può contenere mitocondri con DNA mutato oppure con DNA
normale (e nello stesso mitocondrio ci possono essere i due tipi di DNA).
EFFETTO SOGLIA
•
•
L’espressione clinica delle mutazioni del mtDNA è determinata dalla relativa proporzione di DNA
normale wild type / (fratto) mutato in un determinato tessuto;
Effetto soglia vuol significare che è necessario un numero minimo di copie mutate per
danneggiare il metabolismo energetico di un determinato organo o tessuto (valore relativo e non
assoluto).
Francolino, Gavarini, Galeotti
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
lezione 15 03/05/2021
EREDITÀ MATERNA
Espressa dalla FIGURA 1.
Si osserva un esempio in cui una madre non ha sintomi, o ne ha di molto lievi, riferiti ad una malattia
mitocondriale.
Questa madre potrebbe avere il 20% dei mitocondri con DNA mutante.
Quali scenari si possono
generare da questa cellula
somatica?
Si può genare una cellula
uovo, al termine della
meiosi, che ha un numero
di mitocondri mutanti
dell’80% che se fecondata
da uno spermatozoo può
dar origine ad un
embrione, e quindi ad un
individuo, con una malattia
mitocondriale severa
(severe disease).
FIGURA 1
In un altro scenario, vista la casualità nella ripartizione dei mitocondri durante la divisione cellulare, si può
generare da questa cellula madre uno oocita che ha il 50% di mitocondri mutanti. In questo caso fecondata
darà origine ad embrione, e quindi ad un individuo, con una “mild disease”, ovvero una malattia
mitocondriale non severa.
L’ipotesi migliore è che questa cellula dia origine ad un oocita con solo il 20% di mitocondri mutanti. Un
oocita di questo tipo, se fecondato, potrebbe dare origine ad un individuo che non manifesta la malattia
(no disease).
Questo significa effetto soglia e ovviamente eredità materna, in quanto il contributo mitocondriale
all’embrione è esclusivamente materno.
Tutti i mitocondri dello zigote derivano dall’oocita e perciò la modalità di trasmissione delle mutazioni del
DNA mitocondriale differisce dalla trasmissione mendeliana classica.
La madre portatrice trasmette a tutta la progenie, ma solo le figlie femmine possono trasmettere la
mutazione ai loro figli.
Francolino, Gavarini, Galeotti
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
lezione 15 03/05/2021
MITOCHONDRIAL DISEASES (MALATTIE MITOCONDRIALI)
•
•
Sono note più di 40 malattie mitocondriali.
Le malattie mitocondriali sono un disordine molto grave che è molto difficile da identificare perché
possono prendere varie forme e variare (come nell’esempio ora osservato) da un grado lieve ad
uno severo.
La caratteristica principale di tutte le malattie mitocondriali è quella di avere il metabolismo energetico
danneggiato per effetto di mutazioni dei geni del DNA mitocondriale che codificano per i sistemi che
producono energia all’interno delle nostre cellule.
PROBLEMI CHE POSSONO ESSERE ASSOCIATI CON LE MALATTIE MITOCONDRIALI
Queste derivano sempre da un diminuito metabolismo energetico all’interno della cellula, e all’interno di
un tessuto di un organismo che però essendo malattie genetiche coinvolgono tutti gli organi.
Sistema di organi
Cervello
Nervi
Muscolare
Renale
Cuore
Fegato
Occhi
Orecchi
Pancreas e altre
ghiandole
Sistemici
Possibili Problemi
Ritardi di sviluppo, ritardi mentali, demenza, convulsioni, malattie
neuropsichiatriche, paralisi cerebrale, emicrania, ictus
Stanchezza neurogena, dolore neuropatico, assenza di riflessi; una serie di sintomi
che coinvolgono anche l’apparato intestinale, sudorazione assente o eccessiva, e
quindi problemi di regolazione della temperatura corporea
Stanchezza, ipotonia, crampi e dolore muscolare
Acidosi tubulare renale che risulta nella perdita di proteine nell’urina e quindi
presenza di proteine nell’urina che non riescono ad essere trattenute, di
conseguenza perdita di: magnesio, fosforo, calcio ed altri elettroliti e quindi una
alterazione dell’equilibrio elettrolitico di tutto il corpo
Difetti di conduzione cardiaca fino al blocco della conduzione e cardiomiopatie
Ipoglicemia (basso livello di zucchero nel sangue), insufficienza epatica
Perdita della vista e cecità
Perdita dell'udito e sordità
Diabete e insufficienza del pancreas esocrino (impossibilità di produrre enzimi
digestivi), insufficienza paratiroidea (basso calcio)
Impossibilità di prendere peso (a causa di questo difetto del metabolismo
energetico), quindi una crescita limitata, problemi respiratori
Francolino, Gavarini, Galeotti
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
lezione 15 03/05/2021
MalattieMITO
È un sito che comprende le malattie mitocondriali; si osservano vari tipi di malattie mitocondriali a seconda
delle mutazioni ai geni che vengono inattivati.
MUTAZIONI DEL DNA MITOCONDRIALE
Quali sono le mutazioni del mtDNA?
Essenzialmente delle mutazioni puntiformi, o che interessavano piccole porzioni del cromosoma, perché non
possono esserci, ovviamente, aberrazioni cromosomiche.
1) Sostituzioni nucleotidiche
2) A-delezioni / B-inserzioni
Francolino, Gavarini, Galeotti
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
lezione 15 03/05/2021
LEBER’S HEREDITARY OPTIC NEUROPATHY (LHON)
(Neuropatia Ottica Ereditaria di Leber)
È una neuropatia ottica che produce una progressiva perdita della
vista e cecità (come discerniamo nella FIGURA 2 non c’è più la
macula). È ad insorgenza tardiva dovuta alla morte del nervo ottico,
per cui la macula della retina scompare. Questa è determinata da
una mutazione missense che causa un cambio amminoacidico
arginina-istidina (arg-his) presente in omoplasmia nella
maggioranza dei pazienti (che hanno questa malattia) nelle
FIGURA 2
subunità ND4, ND1 ed ND6 dei complessi per la fosforilazione
ossidativa, talora anche in combinazione; la probabilità di cecità aumenta negli individui con mutazioni più
gravi o nella combinazione di mutazioni diverse.
NARP (Neurogenic muscle weakness, Ataxia and Retinite Pigmentosa)
Un’altra malattia mitocondriale.
Caratteristiche: retinite pigmentosa (come si può osservare
nella FIGURA 3), atassia (mancato coordinamento muscolare),
convulsioni, demenza, debolezza dei muscoli prossimali di
origine neurogena, neuropatia sensitiva e ritardo nello
sviluppo.
La mutazione in questo caso è sempre una mutazione
missense determinata da un cambio amminoacidico leucinaarginina (leu-arg) nell’ATPasi6; tale mutazione è sempre
presente in eteroplasmia e la gravità dei sintomi è correlata
alla percentuale del DNA mutante.
FIGURA 3
Malattia di Alzheimer
Il 5% dei malati anziani presenta la stessa
mutazione del DNA mitocondriale.
L’Alzheimer è la causa più comune di
demenza.
La malattia è “age-sensitive” (si manifesta
fondamentalmente con l’invecchiamento),
affligge circa il 3% delle persone tra i 65 e i
74 anni di età, e raggiunge una incidenza
vicino al 50% negli over 85.
Anche nella malattia di Alzheimer c’è,
quindi, una riduzione dell’apporto
energetico per mutazione del mtDNA.
FIGURA 4: raffigurata a destra una sezione
frontale di cervello normale e a sinistra una sezione frontale di cervello con Alzheimer.
FIGURA 4
Francolino, Gavarini, Galeotti
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
lezione 15 03/05/2021
TERAPIE PER MALATTIE MITOCONDRIALI
Attualmente non esistono cure per le malattie mitocondriali.
Possiamo solamente cercare di sopperire alla diminuzione del metabolismo energetico, e quindi al calo
della produzione di energia da parte dei mitocondri con alcuni trattamenti, come:
•
•
Vitamine, principalmente del gruppo B: B1, B12, vitamina C ed E;
Intermedi metabolici come: acido lipoico e coenzima Q-10.
Alcuni ricercatori stanno esaminando l'uso di farmaci per bloccare l'accumulo di acido lattico nel corpo che
è comune nelle malattie mitocondriali.
Altri stanno provando diete a bassissimo contenuto di carboidrati per ridurre il carico di lavoro per i
mitocondri.
GENETICA PRENATALE
LA CONSULENZA ED I TEST GENICI
TECNICHE DI DIAGNOSI PRENATALE
Tecniche invasive (le uniche che danno un’attendibilità quasi del 100% sul risultato):
•
•
•
•
Amniocentesi;
Villocentesi;
Funicolocentesi;
Fetoscopia.
Le tecniche di analisi che possiamo fare con queste tecniche sono:
 Tecniche di indagine molecolare;
 Tecniche citogenetiche.
Tecniche non invasive:
•
•
•
Ecografia;
Test sierologici su sangue materno (prelievo di sangue periferico);
Cellule fetali nel sangue materno.
Le tecniche non invasive, a differenza di quelle invasive che, come precedentemente detto, danno una
quasi totale sicurezza del risultato, consentono di effettuare quasi esclusivamente una valutazione
probabilistica, cioè, non permettono di identificare o di escludere direttamente le anomalie cromosomiche
ma di selezionare pazienti a basso e ad alto rischio per quella anomalia.
Qualora queste tecniche dessero un risultato positivo per una determinata anomalia, non forniscono
comunque un risultato valido per l’interruzione di gravidanza oltre il terzo mese.
Francolino, Gavarini, Galeotti
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
lezione 15 03/05/2021
TECNICHE INVASIVE
AMNIOCENTESI
Diagnosi di Sindromi cromosomiche e di spina bifida
L’amniocentesi consente la diagnosi prenatale di malattie genetiche e di altre anomalie
L’Amniocentesi, la più nota e diffusa tra le tecniche invasive, consiste nel prelievo di una ventina di millilitri
di liquido amniotico attraverso la parete addominale e fino al sacco vitellino entro il quale questo è
contenuto.
Nel liquido amniotico galleggia
il feto. Questo prelievo avviene
mediante una sonda a
ultrasuoni, è quindi un prelievo
eco-guidato, che limita, quindi,
il più possibile perturbazioni a
carico del feto.
Prima della 13°-15° settimana
l’amniocentesi non viene fatta
perché prima della 14°
settimana il liquido amniotico
non contiene abbastanza
cellule, i cosiddetti “amniociti”,
per fare una corretta
valutazione cariotipica.
Quindi si aspirano questi 20 ml,
si mettono in una provetta, si
fanno centrifugare; ne deriva
una parte solida che è cellulare
(gli amniociti) che va a
depositarsi sul fondo della
provetta e una parte superiore
liquida su cui si fanno delle
analisi biochimiche.
Gli amniociti vengono messi in coltura ed in seguito analizzati per cariotipo, o altre indagini molecolari.
L’analisi del liquido amniotico può essere fatta istantaneamente, mentre la coltura degli amniociti richiede
dalle due alle tre settimane per avere una quantità di amniociti sufficiente per fare un cariotipo.
L’analisi del liquido amniotico serve in particolar modo per dosare l’Alfafetoproteina (AFP). Se
quest’ultima è alta, depone per rischi di difetti del tubo neurale (anencefalia, spina bifida, encefalocele malformazioni dell’encefalo-, mielomeningocele).
Al termine delle due-tre settimane di coltura degli amniociti, raggiunto un numero sufficiente di questi, si
effettua l’analisi cariotipica per evidenziare eventuali anomalie dei cromosomi sessuali o degli autosomi.
Parallelamente a questa si compie un’analisi biochimica delle cellule per identificare la presenza di circa 40
disordini metabolici.
Francolino, Gavarini, Galeotti
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
lezione 15 03/05/2021
Il rischio abortivo per l’amniocentesi si aggira all’1% a causa della perturbazione della cavità uterina dovuta
al prelievo di liquido amniotico, e quindi nella potenziale induzione di contrazioni che provocano un aborto
spontaneo.
Negli ultimi anni la percentuale di aborto a seguito di amniocentesi è gradualmente diminuita
all’aumentare dell’abilità dei ginecologi che effettuano questo prelievo eco-guidato e soprattutto per le
informazioni che sono state messe a punto per la futura madre, quali: riposo per i successi due giorni al
prelievo, ecc.
L’amniocentesi, nonostante sia una metodica molto efficace, la si può effettuare solo a partire dalla 13°-15°
settimana di gestazione e fino alla 21°; quindi in un periodo della gestazione abbastanza tardivo per una
diagnosi prenatale.
Se si fa l’amniocentesi, supponiamo alla 21° settimana, la coltura richiede dalle due alle tre settimane; se si
dovessero rilevare anomalie cromosomiche e la donna esprime la volontà di ricorrere ad un aborto
terapeutico (consentito dalla legge), abbiamo un feto di ventiquattro/venticinque settimane, che con le
nuove metodologie rianimatorie può essere vitale e quindi in questo caso la madre si ritroverebbe a
partorire, diciamo ad effettuare un vero e proprio parto indotto e c’è la possibilità che nasca un neonato
vitale, che deve essere rianimato dai medici.
Una situazione spiacevole, che è eticamente non conforme, indipendentemente da altri giudizi di tipo
religioso.
A causa di questo risultato tardivo che dà per la diagnosi e stata negli ultimi anni sempre più sostituita da
un’altra tecnica invasiva che è la villocentesi.
VILLOCENTESI
La villocentesi, analogamente all’amniocentesi, è una tecnica invasiva.
A differenza
dell’amniocentesi,
tuttavia, la villocentesi
può essere eseguita più
precocemente; ciò
consente di ottenere,
quindi, una diagnosi più
rapida, senza incorrere
nelle problematiche
etiche-tecniche
pratiche
dell’amniocentesi.
Tale metodica prevede
una procedura
transaddominale per il
prelievo del campione,
che in questo caso
sono i villi coriali.
Francolino, Gavarini, Galeotti
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lezione 15 03/05/2021
Questi constano pur sempre di cellule fetali, e quindi sono analizzabili anch’essi per eventuali mutazioni o
aberrazioni cromosomiche.
Similmente all’amniocentesi, anche la villocentesi è un prelievo eco-guidato e può essere effettuato per via
cervicale, e quindi essere ancora meno invasivo.
Il prelievo dei villi coriali è in ogni modo una metodica invasiva perché va ad intaccare parte delle strutture
di supporto al feto.
In questo caso il prelievo si fa dall’11° settimana di gestazione.
Le cellule sono messe in coltura e si procede in modo analogo all’amniocentesi: si eseguono i testi
biochimici e la cariotipizzazione.
Rilevante sottolineare nuovamente che potendola effettuare a partire dall’11° settimana di gestazione si ha
una più precoce diagnosi.
FETOSCOPIA
La fetoscopia è un’ulteriore tecnica invasiva. È un esame endoscopico (come si può osservare nella FIGURA
5) che permette la visualizzazione diretta del feto all’interno dell’utero.
L’analisi del feto può avvenire sia con una sonda
endoscopica (fetoscopio) che con una sonda
ecografica, introdotte attraverso una piccola
incisione addominale (invasività della tecnica). La
sonda è utile anche per prelievi di tessuti e sangue
fetale.
FIGURA 5
L’esame è particolarmente utile per individuare
anomalie congenite del feto. Tuttavia,
comportando alcuni rischi per il nascituro, esso va
eseguito solo nel caso in cui il sospetto
diagnostico sia ben motivato.
FUNICOLOCENTESI
La funicolocentesi (nella FIGURA 5) è un’ulteriore tecnica invasiva.
Quando si consiglia questa metodica?
•
•
Ritardo nella crescita intrauterina: un importante ritardo della
crescita fetale è talvolta associato ad un’anomalia cromosomica e
può essere necessario un esame del cariotipo.
N.B. Il ritardo nella crescita uterina, e quindi l’eventuale anomalia
cromosomica, può essere diagnostica anche mediante una
amniocentesi o una villocentesi.
Diagnosi di malattie infettive: un prelievo di sangue può essere
richiesto per valutare un’eventuale trasmissione di un agente
infettivo dalla madre al bambino; oggigiorno, comunque, questo tipo
di indagini viene effettuato nella maggior parte dei casi sul liquido
amniotico.
FIGURA 6
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lezione 15 03/05/2021
TECNICHE NON INVASIVE
Diagnosi prenatali non invasive: danno un indice di probabilità che il nascituro sia affetto o meno da una
distinta anomalia.
DIAGNOSI PRENTALE TRI-TEST
Screening del siero (plasma) materno, non è quindi invasiva come le tecniche finora nominate.
Misura la concentrazione di tre marcatori del sangue:
•
•
•
Alfa feto proteina (AFP);
Estriolo non coniugato o uE3;
Gonadotropine corioniche o HCG;
È disponibile dalla 15°-20° settimana di gestazione per identificare i soggetti che presentano un aumentato
rischio per la sindrome di Down, trisomia 18 e difetti del tubo neurale.
Interpretazione dei risultati:
•
•
•
Alfa feto proteina bassa , estriolo non coniugato basso  e l’HCG alto , si ha un rischio
aumentato per la sindrome di Down.
Trisomia 18: alfa feto proteina bassa , l’estriolo non coniugato basso  e l’HCG basso .
NTD (neural tube defects): alfa feto proteina alta  (la concentrazione degli altri due marcatori non
è applicabile).
Individua il 70% dei bambini affetti da Trisomia 21 ed ha un 5% circa di falsi positivi, cioè di risposte
allarmanti ma non veritiere.
Viene definito positivo quando il rischio stimato è superiore a una probabilità su 250. Le pazienti positive ai
test (si stima circa il 10%) devono eseguire l’amniocentesi per una diagnosi definitiva.
Francolino, Gavarini, Galeotti
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LA DIAGNOSI PRENATALE POST-IMPIANTO NON INVASIVA
BI-TEST/DUO TEST
Si svolge, così come dice il nome, monitorando due parametri su sangue materno.
I due parametri sono:
•
•
BHCG;
PAPP-A, abbinato ad esame ecografico per datazione.
➢ Si esegue alla 10°-14° settimana.
➢ Aumento di HCG e diminuzione di PAPP-A abbiamo un’elevata probabilità di avere un bambino
con sindrome di Down.
➢ Attendibilità al 60%.
➢ DUO TEST combinato con l’analisi ecografica abbiamo un’attendibilità dell’80%.
DIAGNOSI PRENTALE ECOGRAFICA
La figura mostra la diagnosi prenatale ecografica chiamata Translucenza Nucale (NT) perché vengono
esaminate in particolare le pliche del collo e della nuca che sono particolarmente pronunciate nei feti con
sindrome di Down.
Si misurano anche i parametri fetali e la combinazione di tutti questi dati da un valore che, combinato con i
valori di HCG e Pap nel sangue, si rivela un indicatore di probabilità di sindrome di down e sindrome
cromosomica. Questa deve sempre essere controllata con una delle tecniche non invasive a disposizione tra
cui soprattutto villocentesi e amniocentesi.
Francolino, Gavarini, Galeotti
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lezione 15 03/05/2021
DIAGNOSI PREIMPIANTO
La diagnosi preimpianto è quella diagnosi che si
fa prima dell’impianto nell’utero
esclusivamente tramite una procedura di
fertilizzazione in vitro, nel caso in cui ci siano
malattie genetiche in famiglia e si voglia
selezionare prima dell’impianto esclusivamente
gli embrioni che non portano una mutazione o
una determinata anomalia cromosomica.
Quindi la madre viene indotta a superovulare
come in tutte le procedure di fertilizzazione in
vitro, vengono prelevati gli ovuli, fertilizzati con il
seme del compagno e poi vengono analizzati per
genetic difects.
Successivamente, solamente gli embrioni che
sono privi di questi difetti genetici, vengono
impiantati nell’utero; questo permette alla
madre, che magari è portatrice di una malattia
genetica, di avere solamente bambini sani.
La diagnosi preimpianto si effettua prelevando uno dei blastomeri (figura) allo stadio di 4/8 cellule.
È un’operazione che non influisce sul successivo
sviluppo dell’embrione.
Si procede poi analizzando il DNA di questa cellula
per rivelare eventuali malattie che possono
essere presenti in quella famiglia.
•
•
•
•
Le cellule uovo vengono fecondate in vitro
Gli ovuli fecondati vengono fatti crescere fino allo stadio di 4/8 cellule
Da ogni embrione viene prelevata una cellula che viene sottoposta a test genetici alla ricerca di
mutazioni, traslocazioni, ecc.. che oggi si fanno anche a livello molecolare (cariotipo molecolare)
In seguito vengono impiantati nell’utero solamente gli embrioni sani, privi di anomalie.
Francolino, Gavarini, Galeotti
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lezione 15 03/05/2021
Alcune delle malattie diagnosticabili
sono quelle di cui abbiamo fatto gli
esempi le scorse lezioni come:
• Anemia falciforme
• Anemie mediterranee come la
talassemia
• Emofilia A e B
• Fibrosi cistica
• Distrofie muscolari di diversi tipi
La diagnosi preimpianto era vietata
fino a poco tempo fa in Italia, oggi è
consentita.
SCREENING GENETICO E CONSULTORIO GENETICO
Lo screening genetico nei neonati è finalizzato all’individuazione precoce di malattie genetiche per
intervenire con le terapie prima possibile, soprattutto malattie genetiche che perturbano il metabolismo
come:
•
•
•
fenilchetonuria (accumulo di acido fenilpiruvico nel neonato che danneggia il cervello del
neonato)
Ipotiroidismo
Fibrosi cistica
Lo screening genetico comprende oggi più di 40 test su malattie genetiche e metaboliche che richiedono
un immediato intervento per evitare danni nel neonato che poi si aggravano in assenza di cure.
Lo screening genetico comporta il consultorio genetico rivolto ai futuri genitori per individuare degli
eventuali portatori di malattie genetiche recessive.
Esse non si manifestano nei genitori che potrebbero essere portatori eterozigoti per una qualche malattia
genetica autosomica recessiva come:
•
•
•
l’albinismo
l’epidermiolisi bollosa
altre malattie per cui i genitori sono fenotipicamente sani ma portatori di malattie
C’è quindi il 25% di probabilità che i due alleli malati si combinino nel nascituro e manifesti la malattia.
Attraverso lo studio dell’albero genealogico e le analisi cariotipiche e molecolari sui genitori, il genetista
consiglia i genitori valutando e calcolando la probabilità che questi genitori possano generare un individuo
malato o comunque con qualche anomalia.
Quindi possano scegliere di procreare, adottare o fare una diagnosi preimpianto.
Francolino, Gavarini, Galeotti
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lezione 15 03/05/2021
Lo screening genetico neonatale è uno dei più importanti programmi di medicina preventiva pubblica.
Grazie a un test effettuato con un semplice prelievo di sangue dal tallone del neonato (test di Guthrie) è
possibile identificare precocemente tre patologie:
•
•
•
Fenilchetonuria (PKU)
ipotiroidismo congenito
Fibrosi cistica
Dal 1992 questo test viene eseguito gratuitamente su tutti i neonati tra la 48° e la 72° ora di vita
direttamente dall’ospedale di nascita.
Negli ultimi anni nuove metodiche di analisi, soprattutto di sequenziamento metodico del DNA, hanno
permesso di mettere a punto un test che è in grado di diagnosticare circa 40 malattie metaboliche
congenite, ovvero quelle malattie causate dall’assenza o dalla carenza di uno degli enzimi deputati alla
produzione di energia nell’organismo.
Per ciascuna di queste malattie esiste ed è disponibile un trattamento terapeutico in grado di migliorare
tempestivamente l’aspettativa e la qualità di vita.
Nel 2016 è entrata in vigore una legge che prevede che ogni nuovo nato in Italia debba essere sottoposto
gratuitamente a poche ore dalla nascita allo screening neonatale esteso (SNE)
Finora abbiamo parlato delle malattie diagnosticabili con le tecniche prenatali, invasive e non invasive.
Ora è necessario trattare quelle tecniche non invasive che non sono però sostenute dal sistema sanitario
nazionale, tutte le tecniche finora trattate (invasive e non invasive) sono previste dal SSN e hanno alcuni
limiti, a differenza di quelle effettuabili privatamente a pagamento.
METODICHE NON INVASIVE NON COMPRESE NEL SSN:
Sono metodiche che prevedono il prelievo di sangue materno tramite le quali è possibile indagare anomalie
come trisomie e, nelle più moderne, diagnosticare oltre a mutazioni cariotipiche anche altre malattie
genetiche.
NIPT è l’acronimo di Non Invasive Prenatal Testing poiché sono appunto metodiche non invasive che
prevedono l’analisi del materiale materno.
La prima metodica è basata sul sequenziamento del DNA cell free, cioè circolante, non contenuto in cellule
e che circola nel sangue materno.
Il cell free DNA è costituito da DNA parzialmente degradato di 50-300 base pairs che circola nel sangue di
tutti gli individui, ma durante la gravidanza circola nel sangue materno sia la componente materna sia
quella proveniente dal feto.
Da tenere presente è che il bersaglio delle analisi è il
DNA del feto da analizzare per diagnosticare
eventuali anomalie ed è presente in una piccola
frazione del cell free DNA materno.
La figura illustra DNA materno molto più
rappresentato (10-20 volte di più) del DNA fetale in
una donna gravida.
Francolino, Gavarini, Galeotti
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lezione 15 03/05/2021
DA DOVE ORIGINA IL CELL FREE DNA?
È rilasciato per apoptosi da cellule della placenta nel sangue periferico e può essere captato dopo il 32°
giorno di gestazione anche se è consigliato aspettare dopo le 10 settimane (resta un periodo precoce della
gravidanza).
La presenza del cell free DNA non dipende dall’età gestazione, anche se la sua quantità ne risente.
Può essere usato anche nel terzo trimestre, due ore dopo il parto risulta invece già intracciabile ed
evidenziabile alcuna molecola di DNA circolante fetale.
Come già detto, nel sangue materno sono presenti entrambi i cell free DNA circolanti, quello materno
originante dall’apoptosi di cellule del midollo osseo, quello fetale dall’apoptosi di cellule placentali.
Il sangue materno contiene circa il 90% di cell free DNA materno e un 10% di cell free DNA fetale. Il
rapporto è quindi di 9:1.
Il sequenziamento massivamente parallelo (MPS) è usato per sequenziale il cell free DNA nel sangue
materno, e l’analisi viene svolta su entrambi i DNA materno e fetale senza isolarli.
(la prof.ssa spiega che non entra troppo nel dettaglio perché la tecnica è finalizzata all’individuazione di solo
trisomie 21 e 18 ed è stata abbastanza superata dal Prenatal safe visto successivamente).
Il sequenziamento prevede di usare un algoritmo FORTE che calcola il rischio di
trisomie 21 basandosi sull’input dato.
Si contano le sequenze cromosomiche del cromosoma 18 e del 21, presenti nel
cell free DNA considerando la frazione fetale e tenendo in considerazione l’età
della madre.
Quest’ultimo risulta essere sempre un fattore a favore della non disgiunzione
meiotica e di anomalie cromosomiche fetali.
Attraverso tale algoritmo, quindi, il sequenziamento contemporaneo del cell
free DNA fetale dentro quello materno, si riesce a calcolare il rischio di trisomie
21 o 18.
Questo porta alcuni benefici e alcune limitazioni.
Benefici:
✓ Non invasivo su sangue materno
✓ Può essere fatto in ogni momento dopo le 10 settimane di gestazione
✓ Alta correttezza per la diagnosi delle trisomie, soprattutto 21 e 18
Limitazioni:
✓ Scarsa accuratezza per altre traslocazioni o trisomie che non sono 21 e 18
✓ Identifica solo aneuploidie
✓ Test costoso
Francolino, Gavarini, Galeotti
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
lezione 15 03/05/2021
PRENATAL SAFE
È un test prenatale non invasivo che
rileva anomalie cromosomiche e gravi
malattie genetiche del feto, analizzando il
DNA fetale libero da un campione di
sangue della gestante.
Quindi, anche in questo caso l’analisi si fa
sul sangue materno e il target da
analizzare è il DNA fetale circolante in
esso.
La metodica usata è sempre il
sequenziamento massivo del DNA.
Durante la gravidanza, alcuni frammenti di DNA del feto circolano nel sangue materno e sono rilevabili a
partire dalla 5° settimana di gravidanza.
La quantità di DNA fetale circolante aumenta con l’avanzare dell’età gestazionale e dalla 10° settimana di
gestazione è sufficiente per garantire l’elevata specificità e sensibilità del test.
Ci sono vari tipi di Prenatal safe a vari livelli, illustrati nella figura.
Francolino, Gavarini, Galeotti
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lezione 15 03/05/2021
1. Il primo Karyo, versione 5 attuale, è prodotto per lo screening del cariotipo fetale di tutte le
trisomie, le anomalie come sindromi di Turner, Klinefelter, Jacobs, e altre aneuploidie
cromosomiche meno frequenti ma che portano a danni piuttosto importanti nel feto.
Il prenatal safe Karyo analizza e diagnostica tutte le anomalie più comuni e anche quelle meno
comuni, oltre a duplicazioni e delezioni segmentali.
2. Il secondo Karyo Plus, è una versione avanzata del prenatal safe Karyo, che aggiunge anche lo
studio di nuove 9 sindromi da microdelezione.
Evidenzia anche delezioni molto piccole che causano però gravi anomalie come la sindrome di
Cri-du-chat, Angelman, Prader-willi, dando un test più completo.
3. Il terzo Karyo complete, è l’unione dei due test più innovativi oggi disponibili. (ne parleremo più
avanti)
Il test prenatal safe ha una sensibilità specifica superiore al 99% e un’incidenza di falsi positivi sotto allo
0,1%.
Quindi evidenzia il 99,1% delle aneuploidie cromosomiche fetali rilevate alla nascita, raggiungendo un
livello di detection rate molto simile a quello del cariotipo fetale tradizionale (96,9%) e molecolare (99,8%)
ottenuto mediante tecniche di diagnosi prenatale invasiva.
In tabella si vedono comparate le potenzialità diagnostiche del cariotipo fetale tradizionale, del prenatal
safe Karyo e del prenatal safe Karyo Plus.
Ovviamente tutti e tre i tipi fanno analisi di ogni cromosoma, ma può rilevare fino a 7Mb solo il kayo plus
(Mb=Mega basi, non MegaByte (sorry sorry Cabri!)). Anomalie strutturali fino a 10Mb, invece, le rilevano
tutti e tre i kit.
Come invasività della procedura abbiamo che il cariotipo fetale tradizionale è ottenuto con villocentesi e
planiocentesi e quindi è invasivo, mentre gli altri due no.
Traslocazioni, duplicazioni e delezioni segmentali sono rilevate da tutti e tre i kit.
Aneuploidie a mosaico vengono rilevate solo dal cariotipo fetale tradizionale dove si visualizzano solo
guardando fisicamente i cromosomi e senza sequenziamento massivo del DNA.
I markers cromosomici di malattie sono rilevabili da tutti e tre i kit., le microdelezioni solo dal prenatal safe
Karyo Plus.
Le triploidie e il test diagnostico sicuro per l’interruzione di gravidanza solo dal cariotipo tradizionale.
Francolino, Gavarini, Galeotti
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lezione 15 03/05/2021
TRIPLOIDIA
•
•
•
•
•
La triplidia è costituita da un set apolide extra di cromosomi per un totale di 69 cromosomi nell’uomo.
La Triploidia è presente in circa l’1-13% degli aborti spontanei
L’incidenza nei nati vivi è 1:10000. È quindi molto rara e poco compatibile con la vita, ma è possibile.
Si sospetta la diagnosi quando si rileva all’ecografia un ritardo di crescita con macrocefalia, idrocefalo
(liquor extra), micrognatia (deformazione facciale), microftalmia (occhi piccoli), sindattilia (dita unite).
Nel 25% dei casi ci sono difetti del tubo neurale, onfalocele.
Altre malformazioni fetali presenti sono anomalie cardiache, ipoplasia polmonare e cisti renali.
La maggior parte dei feti con Triploidia esita in aborto spontaneo entro il primo trimestre di gravidanza,
solo 1/3 supera le 15 settimane di gestazione.
La diagnosi di completa Triploidia è considerata letale, in quanto non ci sono stati bambini sopravvissuti
oltre i 10 mesi di vita, la morte sopraggiunge per complicanze delle patologie cardiache e polmonari.
PRENATAL SAFE COMPLETE
Oltre a studiare il cariotipo fetale, permette di individuare nel feto anche gravi malattie genetiche a
trasmissione ereditaria o ad insorgenza de novo.
L’origine delle mutazioni germinali può essere anche de novo provando che si tratta del primo soggetto che
contrae la mutazione e la inizia a trasmettere.
Le malattie rilevabili più note solo quelle
mostrate in tabella, ma il test permette di
rilevare 44 malattie associate a mutazioni ex
novo a carico di 25 geni diversi.
Sono malattie che verranno studiate a
genetica medica per cui non è necessario
conoscere ora il nome ma concentrarsi
sull’importanza di avere uno strumento di
diagnosi per 44 malattie non presenti in famiglia ma che potrebbero insorgere nel nascituro per mutazione
dei geni dei genitori.
La figura mostra il
confronto del
detection rate di
anomalie
cromosomiche tra il
test prenatal safe, a
diversi livelli di
approfondimento, e il
cariotipo fetale.
Quelli in rosso sono i
vari test di prenatal
safe a diversi livelli
dal più moderno al
più antico.
Francolino, Gavarini, Galeotti
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
lezione 15 03/05/2021
Le detection rate risultano efficaci ma sempre un pochino inferiori al cariotipo tradizionale e molecolare
rappresentati in grigio e associati a tecniche invasive.
Qualora esistano rischi per il feto è indispensabile ricorrere alle tecniche invasive per confermare la
diagnosi.
I vantaggi del prenatal safe:
•
•
•
•
•
•
Semplice: prelievo di 8-10 mL di sangue materno dalla 10° settimana
Rapido: risultati in 3 gg lavorativi
Sicuro: nessun rischio di abortività
Sensibile: tecnologia che permette di rilevare con affidabilità anomalie cromosomiche anche a bassa
frazione fetale (FF:2%)
Affidabile: sensibilità >99% e falsi positivi <0.1%
Approfondito: rileva anomalie cromosomiche fetali in tutto il genoma, fornendo risultati molto simili al
cariotipo fetale ottenuto mediante diagnosi prenatale invasiva.
Risultati ottenibili:
POSITIVO
➢ Presenza di aneuploidia o alterazione cromosomica strutturale: indica che il test ha rilevato nel feto un
aneuploidia o un’alterazione cromosomica strutturale a livello di uno o più dei cromosomi investigati
➢ Tale risultato indica che il feto presenta una specifica anomalia cromosomica, ma non assicura che il
feto abbia tale condizione
➢ Il follow-up consigliato è un test di diagnosi prenatale invasiva, come la villocentesi o l’amniocentesi
➢ In nessun modo è possibile avvalersi della legge 194/78 sulla interruzione volontaria di gravidanza
senza prima aver confermato il risultato del test mediante amniocentesi o villocentesi.
NEGATIVO
▪
▪
Assenza di aneuploidia o alterazione cromosomica strutturale: indica che il test non ha rilevato alcuna
alterazione a livello dei cromosomi investigati
Tale risultato indica che il feto non presenta aneuploidie o alterazioni cromosomiche strutturali a livello
dei cromosomi investigati, ma non assicura che il feto sia sano per tali anomalie.
Quindi riassumendo:
Se si usano tecniche non invasive ci si deve accontentare di una probabilità.
Se si vuole la certezza di un risultato o negativo o positivo ci si deve affidare alle tecniche invasive come
la villocentesi o l’amniocentesi.
Maggi, Maiolo, Martini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
LEZIONE 16, 05/05/21
APPLICAZIONI DELLE CELLULE STAMINALI EPITELIALI IN MEDICINA
RIGENERATIVA – Seminario tenuto dal prof. Michele De Luca
La medicina rigenerativa si riferisce a quelle che vengono chiamate, anche dal punto di vista regolatorio,
terapie avanzate, cioè sostanzialmente farmaci innovativi che non hanno come principio attivo un
composto chimico, ma una cellula.
L’obiettivo della medicina rigenerativa è quello di rifare, rigenerare, ricreare un tessuto o un organo
distrutto. Ovviamente, in clinica, si parte sempre dai tessuti più “semplici”: ad esempio, il sangue (che è
fluido), l’epidermide (che è uno strato sostanzialmente bidimensionale, fatto da cheratinociti), in generale
comunque tessuti lontani da quelli presenti in alcuni organi complessi come cuore, fegato, polmoni…
Per la maggior parte di queste applicazioni cliniche abbiamo bisogno delle CELLULE STAMINALI.
Perché? Nel nostro corpo è presente una serie di tessuti che si rinnovano costantemente. Per fare alcuni
esempi:




L’epidermide viene interamente ricambiata ogni 2 mesi circa;
Tutto l’epitelio intestinale, che disteso in lunghezza è ben più di 7-8 metri, viene cambiato ogni
settimana: ogni giorno produciamo circa 200 grammi di cellule che vengono poi eliminate con le
feci e che fanno parte di questo rapidissimo rinnovamento;
Il sangue viene rinnovato nel giro di qualche mese;
La cornea ogni 6-8 mesi.
Le cellule alla base di questo rinnovamento tissutale sono proprio le cellule staminali: per esempio, in
assenza di una cellula staminale ematopoietica, il sangue non potrebbe rinnovarsi, così come se non
avessimo una cellula staminale epidermica, la nostra epidermide non potrebbe rinnovarsi.
CELLULE STAMINALI
1. Un primo errore comunemente commesso è quello di parlare genericamente e, a volte, impropriamente
di “cellula staminale”, quando, in realtà, le cellule staminali sono tante e la loro definizione è una
definizione funzionale, ossia legata alla funzione che esse svolgono, non alla loro entità.
Infatti, le cellule staminali differiscono l’una dall’altra per vari aspetti: ad esempio, ciascuna cellula
staminale, nei diversi tessuti, ha il suo corredo di fattori di trascrizione, ha il suo modo di proliferare, di
differenziare, di rinnovare che dipende proprio dal tessuto in cui si trova. Molte cellule staminali
possiedono anche una diversa potenza, ovvero una diversa capacità di generare diversi tipi cellulari.
Per questa ragione, è sbagliata l’idea secondo la quale, in linea generale, le cellule staminali “facciano
tutto”.


La cellula staminale che “fa tutto” è la CELLULA STAMINALE EMBRIONALE, motivo per cui viene
chiamata pluripotente in quanto dà origine a tutti i tessuti del nostro organismo, incluse le cellule
germinali. Tuttavia, tale cellula dura poco, ossia per quei 7-8 giorni che vanno dalla fecondazione
alla gastrulazione, quindi alla formazione dei tre foglietti embrionali (ectoderma, mesoderma,
endoderma).
Ciascun tessuto, al suo interno, ha una popolazione di CELLULE STAMINALI SOMATICHE (o adulte),
che sono tendenzialmente, ma non sempre, multipotenti. Nel sangue, per esempio, le cellule
staminali emopoietiche sono multipotenti, perché da esse si originano globuli bianchi, globuli rossi
ecc., così come le cellule staminali somatiche (adulte) presenti nell’intestino sono multipotenti, in
quanto sono in grado di generare le cellule epiteliali, neuroendocrine, del Panet…
1
Maggi, Maiolo, Martini

BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
LEZIONE 16, 05/05/21
Esistono poi anche CELLULE STAMINALI UNIPOTENTI, cioè talmente specializzate da essere in
grado di originare solo uno specifico epitelio (es: cellule della cornea, senza le quali non avremmo
l’epitelio corneale).
Figura 1
2. Un altro errore comune tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio degli anni 2000 era la credenza che le cellule
staminali fossero plastiche: supponendo di collocare una cellula staminale proveniente dallo stroma
midollare all’interno di un altro tessuto, si pensava che questa venisse “istruita” a produrre quel tessuto in
cui veniva impiantata.
Non è vero! Una cellula staminale non è plastica (es: una cellula staminale del sangue può produrre solo
elementi del sangue, se la mettiamo nella pelle non produce pelle).
Diverso è il concetto della riprogrammazione, cosa completamente diversa dalla plasticità.
Da alcuni lavori già nel corso degli anni ‘70, sappiamo che il nucleo di una cellula somatica (es: fibroblasto),
se inserito all’interno di una cellula uovo, può essere riprogrammato: è così che poi si è arrivati al
CLONAGGIO.
In particolare, qualche anno fa sono stati individuati i quattro fattori fondamentali, Klf4, Oct4, Sox2 e cmyc, che hanno permesso di riprogrammare le cellule, quindi farle come “ritornare indietro” e generare
così cellule pluripotenti, simili alle embrionali, chiamate CELLULE STAMINALI PLURIPOTENTI INDOTTE (iPS).
L’importanza delle iPS, dal punto di vista scientifico, non è tanto la possibilità di evitare l’uso delle cellule
embrionali per motivi etici, quanto la possibilità di ottenere queste cellule da quelle del paziente stesso.
Se noi quindi dovessimo pensare di andare in clinica generando un tessuto derivato da una cellula
staminale embrionale, dovremmo porci il problema del donatore, cioè un problema di tipo immunologico.
Questo, invece, non succede con le iPS, dal momento che vengono riprogrammate le cellule stesse del
paziente: pertanto, se, ad esempio, genero un’iPS con caratteristiche di pluripotenza di una cellula
embrionale e la faccio differenziare a un qualsiasi citotipo, quella cellula presenterà il corredo del paziente
stesso, per cui non si avranno quei problemi immunologici legati alle embrionali.
2
Maggi, Maiolo, Martini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
LEZIONE 16, 05/05/21
Delle tantissime cellule staminali esistenti (pluripotenti embrionali, multipotenti somatiche, pluripotenti
indotte, unipotenti…), in clinica abbiamo (figura 2):



Sperimentazioni cliniche in fase iniziale (I/II) di tessuti generati dalle staminali embrionali;
Sperimentazioni cliniche in fase iniziale (I/II) di tessuti generati dalle iPS (riguardanti, in molti casi,
le stesse patologie contro cui si utilizzano le embrionali, anche se le sperimentazioni con le
staminali embrionali sono molte di più di quelle con iPS);
Per quanto riguarda le cellule staminali somatiche (adulte) possiamo fare una distinzione:
 Cellule staminali ematopoietiche ed epiteliali: queste cellule staminali somatiche,
attualmente in clinica, hanno dimostrato una reale capacità di rigenerare il tessuto e
hanno aiutato a curare patologie prima non aggredibili
Perchè proprio queste cellule?
1. Perché si conosce tantissimo della loro biologia.
La medicina rigenerativa con le cellule staminali va di pari passo con la ricerca di base:
bisogna conoscere la biologia delle cellule che stiamo usando per poterle usare, per poter
chiedere loro di produrre il tessuto che devono dare;
2. Perché è stata dimostrata la loro capacità di rigenerare quel tessuto;
3. Per la possibilità di trasferirle in clinica
 Altre cellule staminali somatiche (non sono state trattate)
Esempio: nel caso in cui dovessimo rigenerare il sangue, prima di tutto, bisognerebbe effettuare la
mieloablazione per eliminare la popolazione di cellule del sangue malata (per esempio a causa di malattie
genetiche, immunodeficienze o leucemie) e poi infondere le cellule staminali al fine di far ripopolare il
midollo. Allo stesso modo, per sostituire la pelle (come nel caso dell’epidermolisi bollosa), bisogna rimuovere
la pelle malata per poi applicare quella nuova.
Molto diversa è la situazione per quanto riguarda pazienti affetti da distrofia di Duchenne: come si può
cambiare l’intera muscolatura di una persona? E così anche per altri organi, molto più complessi del sangue
e della pelle. Ecco perché le cellule staminali ematopoietiche ed epiteliali risultano le più indicate e
importanti dal punto di vista clinico.
Figura 2
3
Maggi, Maiolo, Martini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
LEZIONE 16, 05/05/21
CELLULE STAMINALI EMBRIONALI (CSE): DALLA FECONDAZIONE ASSISTITA ALLE
IMPLICAZIONI ETICHE
Figura 3
Robert Geoffrey Edwards (Premio Nobel per la Medicina nel 2010) anni fa ideò la fecondazione assistita: al
giorno d’oggi, ci sono coppie che, per una serie di motivi, non possono avere figli, pur avendo entrambi i
gameti normali.
L’idea di Edwards (figura 3) fu quella di eseguire la fecondazione in vitro: attraverso diverse procedure, si
preleva, da un lato, l’oocita dalle ovaie, dall’altro, gli spermatozoi e, con una micro-iniezione, si riesce a
fecondare la cellula uovo. Si forma così la blastocisti, che costituisce il primo stadio della formazione
dell’embrione; essa è formata da una parte esterna, il trofoblasto, ed una parte interna, l’inner cell mass,
ovvero un gruppo di cellule tutte uguali fra loro che costituiscono proprio le cellule staminali embrionali.
Dopo l’impianto avverrà la gastrulazione, quindi la formazione dei tre foglietti embrionali e lo sviluppo
successivo dell’embrione maturo.
Questo processo può essere svolto in vitro, pertanto, grazie alla fecondazione assistita, si possono
ottenere proprio le blastocisti.
In seguito, il ginecologo ne produce un certo numero (seppur non sempre la procedura vada a buon fine),
esamina al microscopio le varie blastocisti, valutando una serie di parametri, per capire quale blastocisti
può essere usata per generare una gravidanza, infine la impianta nell’utero. Soltanto dopo 5-6 settimane
dall’impianto si avrà l’embrione maturo.
NB: Nel 1978 nacque la prima bambina per fecondazione assistita
(Louise Joy Brown). Oggi i bambini che nascono per fecondazione
assistita in Italia sono intorno ai 15.000 all’anno.
Cosa ne fa il ginecologo di quelle blastocisti che non possono essere usate perché non presentano i requisiti
necessari per generare una gravidanza?
Mette queste blastocisti, definite sovrannumerarie, in un congelatore, dove saranno destinate a rimanere
per sempre, perché, da un lato, non possono essere usate per generare una gravidanza, dall’altro, non
possono nemmeno essere usate per fini di ricerca (in Italia) a causa di un articolo della Legge 40, secondo
cui queste blastocisti, in quanto esseri umani, individui, embrioni, non possono essere utilizzate per alcuna
finalità e devono, dunque, rimanere nei congelatori (ci consente solo di importarle dall’estero).
Scientificamente, però, non è vero!
4
Maggi, Maiolo, Martini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
LEZIONE 16, 05/05/21
LIMITI E PROBLEMI ETICI LEGATI ALL’USO DI CELLULE STAMINALI EMBRIONALI
L’utilizzo di queste procedure provoca una serie di problematiche etiche che
impediscono l’uso delle blastocisti per la ricerca di base, in quanto la blastocisti di
fatto costituisce la prima fase di sviluppo dell’embrione.
Figura 4: embrione
Uno dei motivi per cui non vengono usate le cellule staminali embrionali è legato
all’immaginario collettivo intorno alla parola “embrione”, dal momento che spesso si
è soliti immaginare un embrione come quello rappresentato nella figura 4: si tratta
effettivamente di un embrione di 5-6 settimane, ma, in realtà, ciò che interessa ai
ricercatori è la blastocisti (figura 5), ovvero il primo stadio di sviluppo dell’embrione,
una cosa completamente diversa!
Le cellule che compongono l’inner cell mass della blastocisti sono a tal punto
uguali fra loro che, anche se ne rimuoviamo alcune, non compiamo alcun
danno: questo vuol dire che la blastocisti NON è un individuo! Individuo,
etimologicamente, vuol dire non divisibile: se “tagliamo” un embrione o un
feto, lo uccidiamo. Con la blastocisti questo NON succede, perchè le cellule
staminali embrionali hanno in sé la pluripotenza: ciascuna di loro è in grado di
creare l’individuo.
Figura 5: blastocisti
In un esperimento (figura 6), sono state generate delle pecore tutte uguali fra di loro a partire dai singoli
blastomeri di una morula. Allo stesso modo, possiamo generare le chimere: prendendo le cellule staminali
embrionali di un topo bianco e inserendole nella blastocisti di un topo nero; ancora, rimuovendo parte di
queste cellule, esse si riformano per generare l’individuo.
Figura 6
5
Maggi, Maiolo, Martini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
LEZIONE 16, 05/05/21
Una serie di ricercatori hanno già dimostrato che le cellule staminali embrionali:




possono essere isolate, a partire sempre dalle blastocisti sovrannumerarie;
possono essere inserite in una piastra di coltura;
possono essere studiate per capire lo sviluppo dei vari tessuti (aspetto importantissimo per la
medicina rigenerativa);
possono essere indotte a generare una serie di tessuti in vitro
In sostanza, in laboratorio, a partire da una staminale embrionale, posso generare le cellule del sangue
(mesoderma), le cellule pancreatiche (endoderma), i neuroni (ectoderma)... tutte le cellule e i tessuti!
Figura 7
NB: Qual è però il problema?
Una delle obiezioni che vennero poste è che non si era mai dimostrato che tali cellule potessero essere utili
dal punto di vista clinico. Questo è stato smentito da quei Paesi in cui la ricerca sulle staminali embrionali è
permessa (non l’Italia): vediamo alcuni esempi.
CSE: AGE RELATED MACULAR DEGENERATION
Esiste una malattia che colpisce soprattutto gli ultra-60enni chiamata Age related macular degeneration
AMD (degenerazione della macula retinica legata all’età).
La macula (figura 8) è il punto di più grande concentrazione di fotorecettori, a livello della retina: si tratta di
una struttura fondamentale della retina perché ci consente di vedere tutto ciò che vediamo normalmente.
Figura 8
6
Maggi, Maiolo, Martini
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Cosa succede nella degenerazione della macula retinica?
Sebbene siano presenti diverse forme di questa patologia (umida, secca…), tuttavia l’outcome clinico è
sempre il medesimo: i pazienti cominciano a non vedere, prima nella parte centrale del campo visivo e
progressivamente anche nelle altre parti, fino a diventare ciechi.
Figura 9: degenerazione della macula retinica
Questa malattia, sebbene possa essere controllata
da alcuni farmaci, progredisce inevitabilmente,
senza che alcuna terapia possa fare effetto.
Inoltre, non esistono cellule staminali somatiche
nella retina, a differenza di altri tessuti (sangue,
pelle…), perché la retina non è caratterizzata da
quel tipo di rinnovamento.
Pertanto, l’unico modo reale per poter porre
rimedio a questa patologia è quello di usare le
pluripotenti, sia embrionali sia iPS, inducendole a
generare un epitelio retinico formato da quelle
cellule della retina che poi possono essere
impiantate per porre rimedio alla degenerazione
della macula.
Figura 10
È possibile, dunque, generare un vero
e proprio epitelio retinico derivante
dalle cellule staminali embrionali. Nella
figura 11 al centro, si vede l’epitelio
retinico umano ricostruito.
In Inghilterra stanno già utilizzando
questi lembi di epitelio retinico
generato dalle staminali embrionali in
sperimentazioni cliniche di fase I/II.
Figura 11
7
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CSE: MORBO DI PARKINSON
Questa malattia consiste nella degenerazione di una specifica e ben definita popolazione di neuroni, i
neuroni dopaminergici, collocati nella sostanza nera del cervello. Questi neuroni inviano soprattutto al
corpo striato la dopamina. Il Parkinson può essere inizialmente controllato dal punto di vista farmacologico
con la levodopa, però peggiora progressivamente.
Un gruppo di ricercatori svedesi,
molti anni fa, cominciò a ragionare
diversamente: perché non prendere
i neuroblasti dopaminergici dai feti
abortiti spontaneamente e metterli
direttamente nello striato?
Dopo tutta una serie di
sperimentazioni, si sono convinti che
il prelievo di neuroblasti non
staminali e neuroblasti
dopaminergici fetali iniettati nello
striato potesse funzionare,
cominciando così uno studio molto
complesso.
Figura 12
Infatti, è stato osservato sperimentalmente su paziente affetto dal morbo di Parkinson l’effetto del
trapianto di neuroblasti dopaminergici fetali, constatando come da una quasi infermità, egli sia riuscito a
camminare nuovamente come una persona sana, dopo solo un anno!
Chiaramente sono in corso diverse sperimentazioni, che, per essere valide, devono essere sempre
riproducibili, ma questo dato ci suggerisce già che tale sperimentazione è fattibile.
Figura 13
NB: Ci troviamo, però, di fronte ad un
problema di “approvvigionamento”, di
consenso per poter utilizzare questi feti
abortiti, oltre che limiti etici molto
grossi: infatti, per curare un paziente
affetto da Parkinson ci vorrebbero 5-6
aborti! Inoltre, non c’è una
riproducibilità vera e ci sono problemi di
conservazione (non si può pensare di
prendere tutti e 6 gli aborti
contemporaneamente). Di fatto, quindi,
manca quella standardizzazione, quella
conoscenza iniziale della biologia delle
cellule staminali.
Come si sta procedendo?
Quello che sta facendo Malin Parmar in Svezia è prendere le cellule staminali embrionali e farle
differenziare, anzichè in epitelio retinico come era successo per la retina, questa volta in neuroni
dopaminergici.
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Maggi, Maiolo, Martini
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LEZIONE 16, 05/05/21
CELLULE STAMINALI SOMATICHE
La cellula staminale ematopoietica è stata la prima staminale ad essere usata in clinica e in terapia
cellulare, nel 1957, grazie allo straordinario lavoro di Edward Donnald Thomas.
Circa 30 anni dopo (1984), un’altra cellula staminale entrò in clinica, grazie al lavoro di Howard Green, uno
dei migliori biologi cellulari del ‘900, che riuscì per primo ad isolare una cellula staminale epidermica e ad
usarla in clinica.
NB: la cellula staminale epidermica è stata la prima ad essere usata in clinica dopo coltura, ossia dopo la
ricostruzione del tessuto ex vivo, cioè in vitro.
Il lavoro di H. Green, pubblicato su The New England Journal of Medicine, trattava di due bambini,
ricoverati al Centro Ustioni di Boston, che presentavano il 90-95% di ustioni di terzo grado, pertanto, non
avevano alcuna prospettiva di vita. I bambini sono stati completamente ricoperti dalla pelle coltivata da
Green nel suo laboratorio, così che, alla fine, sono stati salvati.
ESPERIMENTO DI H. GREEN: la prima terapia cellulare con cellule staminali epidermiche
coltivate in vitro
Da un pezzo di pelle possiamo isolare delle
cellule chiamate clonogeniche (figura 14) che
hanno capacità proliferativa e che sono
situate nello strato basale dell’epidermide.
Ciascuna di queste cellule clonogeniche
genera una colonia di cellule (figura 14). Le
varie colonie createsi, ad un certo punto, si
fondono (figura 15), formando quello che
Figura 14: a sinistra, cellule clonogeniche isolate, a destra le colonie da
esse derivate
può sembrare un monolayer, ma che, in
realtà, NON lo è, perché esiste l’enzima dispasi (dispase in
inglese), in grado di staccare l’intero foglietto che si è formato
nella piastra di coltura: quello che si forma è un lembo di
epidermide ricostruito (figura 16).
Si tratta, dunque, di una procedura salvavita per migliaia di
pazienti, con un follow-up di ormai circa 30 anni.
Esempio: Quando ci si ustiona e si forma la vescica, quella parte
che si stacca dal derma e che forma la parte superiore della
vescicola è proprio l’epidermide, che in laboratorio
può essere ricostruita sia sulla plastica sia sulla
fibrina (figura 16).
Proprio questo è stato usato per la prima volta in
clinica da Howard Green.
NB: Queste cellule clonogeniche però non sono
tutte uguali. Esistono tre tipologie di cloni:



Figura 15: colonie andate incontro a fusione
Figura 16: lembi epiteliali
OLOCLONI, circa il 5% della popolazione di cellule clonogeniche che sta nella pelle -> sono le
staminali, che consentono la rigenerazione del tessuto
MEROCLONI
PARACLONI
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Maggi, Maiolo, Martini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
LEZIONE 16, 05/05/21
NB: Dei circa 7 prodotti a base di cellule staminali che sono stati formalmente approvati dagli enti
regolatori (EMA e FDA), 2 sono italiani:
1. HOLOCLAR, per la cornea;
2. STRIMVELIS, per la terapia genica dell’immunodeficienza da adenosina deaminasi
1. RIGENERAZIONE DELLE CELLULE DELLA CORNEA
L’occhio è coperto dalla cornea e dalla congiuntiva: due epiteli
diversi. La zona di confine tra cornea e congiuntiva (riquadrata nella
figura 17) si chiama limbus.
Nello strato basale del limbus ci sono le cellule staminali
dell’epitelio corneale, che formano i progenitori (le altre cellule
clonogeniche) e quelle terminalmente differenziate.
1. Quando abbiamo una moderata ustione dell’occhio che va a
Figura 17
danneggiare la cornea, ma non il limbus, si attivano queste
cellule staminali e rifanno tutto l’epitelio corneale -> il trapianto di cornea funziona per sostituire i
tessuti danneggiati
2. Se abbiamo, invece, un’ustione estesa (figura 18) che distrugge non soltanto la cornea ma anche il
limbus, si viene a formare un epitelio congiuntivale che opacifizza l’occhio; si avrà, dunque: limbal
stem cell deficiency, pannus, congiuntivalizzazione, sintomi severi e conseguente perdita della
capacità visiva -> il trapianto di cornea NON funziona perché non c’è una staminale epiteliale che
possa ricoprire il trapianto di cornea.
NB: L’unico modo, dunque, per ricostruire questi occhi è rigenerare un epitelio limbo-corneale funzionale
e fisiologico partendo dalle cellule staminali del limbus, cosa che si può fare nelle lesioni unilaterali
(perché chiaramente bisogna avere una parte di limbus da cui prelevare queste cellule) o nelle lesioni
bilaterali, a patto che si sia preservata una zona sana del limbus.
Prima di tutto, viene prelevata dall’occhio sano del paziente una biopsia di un paio di millimetri, da cui si
ricavano le cellule staminali corneali; viene poi ricostruito l’epitelio corneale su fibrina a partire dalle cellule
staminali prelevate. A questo punto, il chirurgo rimuove tutto il pannus (epitelio congiuntivale
vascolarizzato) creatosi, così da esporre lo stroma corneale sul quale viene trapiantato chirurgicamente
l’epitelio corneale ricostruito.
Figura 18: caso 2: congiuntivalizzazione – ricostruzione epitelio corneale su fibrina – prelevamento di cellula staminale dal limbus
10
Maggi, Maiolo, Martini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
LEZIONE 16, 05/05/21
PRIMA…
Figura 19a
Gli occhi, prima del trapianto della coltura corneale, risultano completamente vascolarizzati, opacificati (la
figura centrale indicata dalla freccia mostra un trapianto fallito), caratterizzati da: sintomi severi, perdita
della capacità visiva, nessun tipo di reale terapia possibile.
DOPO…
Figura 19b
Gli occhi sono rigenerati con un recupero completo della capacità visiva, grazie al trapianto di epitelio
corneale ricostruito mediante cellule staminali.
In particolare, il paziente della figura 20 ha avuto
lesioni da calce bilateralmente e ha fallito 7-8
trapianti di cornea. Vi era però una piccola zona di
limbus che era ancora intatta (riquadrata nella
figura 20), per cui è stato possibile coltivare
entrambe le cornee, con recupero della vista in
entrambi gli occhi.
Questa terapia ha portato al brevetto HOLOCLAR ed
è stata approvata nel febbraio del 2015.
Figura 20
2.TERAPIA GENICA PER L’IMMUNODEFICIENZA DA ADENOSINA DEAMINASI
Una volta che abbiamo in mano le nostre cellule e sappiamo coltivarle, trapiantarle e come far originare
loro un tessuto, ci poniamo il problema della terapia genica, ossia la correzione di un difetto genetico: è
possibile usare le staminali, oltre che per le ustioni, anche per le malattie genetiche della pelle o per le
leucemie? È quindi possibile aggredire una patologia genetica?
Il sangue è stato il primo tessuto ad essere
sperimentato.
L’immunodeficienza da adenosina
deaminasi (ADA-SCID) è una patologia
mortale nei primi mesi di vita che colpisce i
cosiddetti “bambini bolla”, i quali non hanno
il sistema immunitario, pertanto sono
costretti a vivere all’interno di una bolla e
hanno una vita breve. Oggi questi bambini
vanno a scuola e crescono.
Figura 21
11
Maggi, Maiolo, Martini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
LEZIONE 16, 05/05/21
Com’è possibile?
Il gruppo milanese che ha condotto uno specifico lavoro su questa patologia, prima di tutto, ha prelevato le
cellule staminali ematopoietiche, ha inserito al loro interno il gene corretto della adenosina deaminasi
attraverso un vettore retrovirale e ha reinfuso le cellule. Questa è, dunque, una terapia vera, salvavita,
registrata con il nome di STRIMVELIS, prodotta e distribuita da un’azienda farmaceutica che si chiama
Orchard.
Questi e altri ricercatori, con lo stesso concetto, stanno continuando a lavorare con vettori virali per fare
sperimentazioni cliniche su altre patologie, come la Leucodistrofia Metacromatica o la Sindrome di
Wilskott-Aldrich.
EPIDERMOLISI BOLLOSA
L’epidermolisi bollosa è una patologia devastante
all’origine dei cosiddetti “bambini farfalla”.
Fisiologicamente, l’epidermide è attaccata al derma
attraverso una serie di strutture che si chiamano
emidesmosomi. A livello degli emidesmosomi, i
filamenti intermedi all’interno della cellula epiteliale,
ovvero le cheratine, prendono contatto con delle
integrine (soprattutto a livello dello strato basale con
l’integrina α6β4, ma anche β1) e, attraverso il BPAG2 o
collagene XVII, vengono in contatto con una proteina
fondamentale, la laminina 5 (anche chiamata 332), un
eterotrimero formato da tre subunità, che prende poi
contatto con fibrille di ancoraggio, nel derma, formate
da collagene VII. Questo è quello che permette
all’epidermide di mantenersi ancorata al derma.
Quando i geni che codificano per queste proteine sono Figura 22
mutati, il sistema di ancoraggio dermo-epidermico va in
malora e si formano le cosiddette “blisters” (vescicole).
Esistono diverse forme di epidermolisi bollosa:



SIMPLEX: presentano mutazioni solitamente dominanti delle cheratine 5 e 14; sono, in genere, le
più gestibili da parte dei pazienti, anche perché tendono a migliorare nel corso degli anni;
GIUNZIONALE: più grave rispetto alla Simplex; nelle sue forme geneticamente più gravi causa la
morte dei bambini affetti in pochi mesi, dopo un’enorme sofferenza; nelle forme in cui presenta
una mutazione severa (forme intermediate generalized), il 40% dei bambini non raggiunge
l’adolescenza e quelli che riescono a sopravvivere sono soggetti a continue infezioni e dolori,
sviluppano bolle in tutto il corpo in seguito a minimi traumi o anche spontaneamente e carcinomi
squamo-cellulari altamente metastatizzanti che sono una delle cause di morte precoce;
DISTROFICA: più grave rispetto alla Simplex
NB: Nelle forme distrofiche, in cui il cleavage, anziché a livello della lamina basale, è più profondo (nel
derma) e la flogosi (infiammazione) e la fibrosi (anomala formazione di tessuto connettivo fibroso) sono più
profonde, l’epidermolisi bollosa può indurre anche sintattilie, cioè fusioni delle dita.
L’unica possibile terapia vera per questi pazienti è la terapia genica, cioè correggere il difetto genetico!
12
Maggi, Maiolo, Martini
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LEZIONE 16, 05/05/21
Nel 2006 è stata fatta la prima sperimentazione al mondo su questi bambini farfalla affetti da una forma
giunzionale di epidermolisi.
In un paziente, Claudio, con una forma abbastanza grave di questa patologia, sono stati isolati olocloni
(cellule staminali), insieme alle altre cellule e sono stati corretti geneticamente.
Come si può correggere geneticamente?
Se prendiamo un vettore virale, costruito per infettare una cellula, e lo modifichiamo, lasciandogli tutti gli
strumenti per attaccare la cellula, ma cambiandogli le sue informazioni genetiche per mettervi quelle
corrette (in questo caso specifico, gli introduciamo un cDNA che codifica per quella proteina “Claudioeducata”), il vettore virale attacca la cellula come se dovesse infettarla, ma, in realtà, inserisce nel genoma
della cellula ciò che a noi interessa, ossia il gene corretto. In questo modo, pertanto, andiamo a creare
lembi di pelle geneticamente modificati che portano la copia corretta del gene.
In seguito, basterà rimuovere i pezzi rimasti di pelle malata, procedere all’esfoliazione del derma e, infine,
applicare i lembi di pelle geneticamente modificati che provvederanno alla rigenerazione dell’epidermide.
Nella figura 23 è rappresentata
un’immunofluorescenza che mostra come in
Claudio la laminina 5 sia assente prima del
trapianto (in alto a sinistra), diversamente
rispetto al normale controllo in cui la laminina 5
è ben visibile, in quanto normalmente espressa
(in basso a sinistra); mentre, dopo il trapianto,
sia a livello della gamba destra sia della gamba
sinistra, la laminina 5 è normalmente espressa
(immagini a destra).
Figura 23


In particolare, grazie all’ibridazione in situ, che
va a prendere il messaggero del transgene con
una sonda specifica, deriviamo due
informazioni:
La pelle di Claudio è tutta geneticamente modificata (è transgenica);
La pelle di Claudio esprime una quantità normale di laminina 5
Dopo 15 anni di follow-up, quindi dopo una serie di rinnovamenti cellulari della pelle, questa risulta essere
sostanzialmente normale.
Nel gennaio 2007 è uscita la normativa europea EC Regulation n°1394, la quale prevede che le terapie
geniche vengano regolate come farmaci: ciò comporta che, prima di tutto, si abbia un’officina farmaceutica
che costruisce e produce farmaci in condizioni GMP1; in secondo luogo, che si abbia un iter di approvazione
per le diverse fasi di sperimentazione.
A Modena è attualmente presente un centro di Medicina Rigenerativa che ospita al suo interno un’officina
farmaceutica GMP. Infatti, assieme all’Università di Parma, nel 2008 è stata fondata HOLOSTEM, la quale si
è occupata fin da subito di sperimentazione in condizioni GMP. Solo nel 2015, tuttavia, sono state
autorizzate e registrate le terapie sulla cornea precedentemente descritte.
1
GMP: good manufacturing practice, ovvero definizione dei requisiti che devono essere soddisfatti durante le fasi di
sviluppo, produzione e controllo dei medicinali al fine di garantirne la qualità farmaceutica, nonché la sicurezza e
l’efficacia (Fonte: internet)
13
Maggi, Maiolo, Martini
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LEZIONE 16, 05/05/21
EPIDERMOLISI BOLLOSA GIUNZIONALE
Nel 2015 si è verificato un caso di epidermolisi bollosa giunzionale curato presso il
centro di Medicina Rigenerativa di Modena. Si trattava di un’epidermolisi bollosa
recessiva generalizzata legata ad una mutazione in omozigosi dell’introne 14 nel
gene LAMB3. La combinazione, però, tra questa patologia e la successiva
insorgenza di un’infezione batterica da Stafilococco aureo ha portato, anziché alla
tipica formazione di bolle cutanee in continua evoluzione, alla perdita completa
della pelle. Tali condizioni risultano, tuttavia, incompatibili con la vita, in quanto la
pelle costituisce la nostra barriera fisiologica.
Com’era possibile, allora, salvare quel paziente?
Al tempo, il centro di Medicina Rigenerativa di Modena era ancora alla prima fase
della sperimentazione riguardante la ricostruzione di lembi di pelle, quindi il
rischio di fallimento era elevato, ma, nonostante ciò, si fece carico del caso
ugualmente (figure 25-26):







Figura 24
2
È stata prelevata una biopsia di 4 cm di pelle
La pelle prelevata è stata coltivata
È stato generato circa 1 m2 di pelle geneticamente modificata
È stato preparato il letto ricevente, esponendo il derma
I lembi di pelle geneticamente modificati sono stati applicati sul
paziente
Figura 26
Già dopo 10-14 giorni si poteva osservare la rigenerazione della pelle
Dopo 1 mese la pelle risultava quasi completamente rigenerata
Figura 25
Pertanto, si trattava del primo tessuto solido ricostruito completamente su un
paziente! In particolare, la sua epidermide geneticamente modificata e
ricostruita presenta caratteristiche fondamentali, anche dal punto di vista
biologico, come la resistenza alle medicazioni (figura 27).
Tutta la pelle del paziente è, dunque, una pelle transgenica: ogni singola
biopsia e ogni singola ibridazione in situ, eseguita per verificare che ci fosse il
gene LAMB3 appositamente inserito, ha sempre dimostrato la presenza di tal
gene; così come ogni biopsia eseguita ha riportato la presenza e la normale
espressione della laminina 5 nello strato basale. Tutto è sovrapponibile alla
pelle normale.
Figura 27
NB: L’unica forte differenza riscontrata riguarda le fibre di elastina: la pelle
transgenica presenta una quantità di fibre di elastina molto inferiore rispetto
ad un normale controllo, motivo per cui la pelle del paziente risulta piuttosto
rugosa e raggrinzita, quindi meno elastica.
14
Maggi, Maiolo, Martini
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In definitiva, il paziente, entrato in ospedale in fin di vita nel giugno 2015, è uscito dal coma il 23 dicembre
2015, è stato poi dimesso dall’ospedale nel febbraio 2016 ed è potuto ritornare a scuola già da marzo 2016.
Dopo 5 anni, nel 2020, il paziente riporta:
-
Nessun blister sulla pelle geneticamente modificata
Guarigione normale delle ferite cutanee
Nessun evento avverso
Nessun tipo di dolore né prurito
Deficit di elastina
Discromia, legata ad una disomogeneità nella presenza di melanociti nei lambi di pelle ricostruita
Nessun bisogno di creme, pomate o eventuali altri supporti per la sua pelle
Cosa hanno imparato i medici da questo caso?
Secondo il modello di Chris Potten, esistono
cellule staminali quiescenti che danno
origine a progenitori transienti (di breve
durata) che, a loro volta, daranno origine a
cellule terminalmente differenziate.
La teoria di Potten fu smantellata in favore
del modello di Jones, che NON prevedeva la
presenza di alcun tipo di cellula staminale,
ma solamente di progenitori a livello dello
strato basale che davano origine a cellule
terminalmente differenziate.
Potten
Jones
Blanpain
Figura 28
Anche questa teoria fu smantellata, in quanto, secondo la teoria di Blanpain, si pensava che esistessero due
popolazioni di cellule, ovvero le cellule staminali quiescenti e le cellule staminali attivate, che danno
origine a cellule terminalmente differenziate. Questo modello risulta essere molto più simile a quello di
Chris Potten, l’unica cosa che rimaneva da capire era se esistesse una popolazione di progenitori transienti:
proprio a questa questione diede una risposta il caso esaminato.
Come? Quando abbiamo una biopsia e mettiamo le cellule in coltura, nascono delle colonie. Nel momento
in cui inseriamo i virus, questi si integrano nel genoma casualmente, pertanto, è quasi impossibile che una
cellula, la quale darà origine ad una colonia, presenti l’integrazione del virus nello stesso punto di un’altra
cellula, anch’essa in grado di dar origine ad una colonia. Per questo, quando abbiamo il 100% di cellule
clonogeniche geneticamente corrette, di cui ognuna è in grado di generare una colonia, come nel caso del
paziente precedentemente esaminato, allora tali colonie saranno
facilmente identificabili, perché è come se avessero un marcatore
specifico, diverso da cellula a cellula, che noi possiamo clonare nel
genoma; di conseguenza, risulterà immediato comprendere la derivazione
di ciascuna cellula.
Pertanto, quando viene creato un lembo di pelle geneticamente
modificato e ciascuna di queste cellule cresce, ogni colonia presenterà lo
stesso tipo di clonazione, perché deriva dalla stessa cellula founder.
Dunque, quei lembi di pelle geneticamente modificati, che vengono
applicati al paziente privo di pelle, sono un insieme di colonie diverse tra
loro, ciascuna delle quali risulta facilmente identificabile perché è come se
fosse marcata in modo diverso (figura 29).
Figura 29
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Maggi, Maiolo, Martini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
LEZIONE 16, 05/05/21
Quando, poi, viene eseguita una biopsia, è possibile riclonare quelle
stesse cellule, seguire le varie integrazioni e capire ciò che è accaduto. In
particolare, si è osservato nella pelle del paziente che, a poco a poco,
tutta la pelle viene ad essere formata soltanto da olocloni (figura 30).
Quindi, quando è stata riclonata questa cellula e sono state seguite le
diverse integrazioni, sono stati trovati olocloni, ma, in realtà, anche
merocloni e paracloni, perché derivavano tutti dagli olocloni founder.
Ne deriva che: l’epidermide umana è mantenuta tale SOLO da cellule
staminali auto-rinnovanti di lunga durata, ovvero gli olocloni, che però
sono in grado di generare progenitori transienti, ossia merocloni e
paracloni.
Figura 30
In definitiva, grazie al caso del paziente privo di pelle, è stata convalidata la teoria di Potten: abbiamo,
quindi, cellule staminali quiescenti che proliferano e che possono attivarsi, mantenendo la loro staminalità,
le quali danno origine ai progenitori transienti (durano circa 3 mesi, dopo di che vengono sostituiti).
METODO DI RICERCA SULLE CELLULE STAMINALI
In ogni caso, alla base di tutto il lavoro sulle staminali, è essenziale:
-
Conoscere in modo appropriato la cellula staminale che viene utilizzata
Definire le malattie da trattare
Utilizzare adeguati protocolli clinici: eseguire sperimentazioni in fase I, II, III, ma anche porsi delle
domande pertinenti sulle cellule che si vogliono studiare
Avere un’idea del probabile risultato ottenibile dalla sperimentazione
In caso di fallimento, ripartire con l’indagine e la sperimentazione
In caso di successo nella dimostrazione della sicurezza e dell’efficacia della sperimentazione, si può
ottenere l’approvazione
Questi passaggi corrispondono, essenzialmente, al metodo scientifico: domanda – ipotesi razionale –
esperimenti riproducibili – analisi – verifica – pubblicazione.
D’altra parte, però, esiste anche il metodo pseudo-scientifico: pregiudizio – bias cognitivo, malafede
(strategia retorica, ipotesi non controllabile, aneddoti, manipolazione) – credenza.
IL CASO STAMINA: l’anti-scienza
Per Caso Stamina s’intende l’uso di cellule staminali mesenchimali per qualsiasi cosa.
Ci troviamo di fronte ad un primo problema, ovvero la definizione di cellule staminali mesenchimali:
venivano spacciate per cellule staminali mesenchimali genericamente TUTTE le cellule stromali (fibroblasti,
adipociti…) collocate nel midollo. In realtà, però, ricercatori seri, tra i quali ricordiamo Paolo Bianco, hanno
dimostrato che la percentuale di cellule staminali vere nel midollo (ovvero quelle che hanno self-renewal e
sono in grado di generare un determinato tessuto/organo in maniera auto-rinnovante) costituisce SOLO lo
0,02% di tutte le cellule stromali e, oltretutto, tali cellule sono in grado di generare solo le cellule dell’osso.
Il “Metodo” STAMINA, fondato nel 2009, prevedeva un’infusione di cosiddette erroneamente “cellule
staminali mesenchimali” al fine di trattare un’ingente quantità di patologie diverse. In particolare,
quest’idea, assolutamente priva di fondamento medico-scientifico, era sostenuta da Davide Vannoni,
inventore del “metodo”, laureato in Lettere e autore di un libro sulla comunicazione persuasiva. Di fatto,
quindi, egli era artefice di una vera e propria truffa bloccata nel 2012, grazie all’ispezione di AIFA, ISS e NAS.
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Maggi, Maiolo, Martini
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
LEZIONE 16, 05/05/21
Ma non è finita qui, per lo meno in Italia, dove, nel 2013, i media, i VIPs e alcuni politici sono insorti,
facendo pressione sul ministero perché venisse approvato questo “Metodo” come terapia (anche se di
fatto non era una terapia!) sui bambini in gravi condizioni di salute. Queste campagne mediatiche furono
talmente tanto impattanti che indussero l’allora Ministro della Salute ad emanare un decreto che
legittimava il “Metodo stamina” per motivi etici, nonostante la sua stessa commissione avesse stabilito
che il metodo non fosse basato su alcunché di scientifico e fosse anche potenzialmente pericoloso. Persino
il Senato approvava il decreto all’unanimità. Di conseguenza, il mondo scientifico mondiale è insorto.
Nel frattempo, cade il Governo e subentra un nuovo Ministro della Salute, che, fortunatamente, ha
compreso la gravità situazione, tant’è che nel giro di due mesi (marzo-maggio 2013) ha ribaltato la
decisione alla Camera: il decreto è stato bocciato all’unanimità.
Questo episodio rappresenta il dark side della medicina rigenerativa: un’associazione a delinquere
finalizzata alla truffa aggravata, in quanto ai danni del Sistema Sanitario Nazionale, perpetrata attraverso
la somministrazione di farmaci pericolosi per la salute, l’abuso della professione medica e, tra le altre cose,
la violazione della privacy (alcuni video di minori sono stati diffusi sui social senza il consenso dei familiari).
Il Caso Stamina è un’esemplificazione dell’ANTI-SCIENZA, i cui elementi costitutivi sono il ciarlatano (Davide
Vannoni), gli interessi, il business, l’analfabetismo funzionale, il populismo (cartelloni, striscioni, manifesti),
televisione trash, giudici e politici incompetenti. Tutto questo fa parte di quello che si chiama POST-VERITÁ,
ovvero quella condizione nella quale una notizia viene percepita come vera dal pubblico sulla base di
emozioni e sensazioni, senza alcuna analisi concreta della veridicità effettiva dei fatti raccontati: è il
contrario del metodo scientifico, della scienza e della conoscenza medico-scientifica.
Lo stesso discorso può essere esteso anche per quanto riguarda gli OGM o i vaccini: si preferisce dar fede
alle credenze anziché alle verità scientificamente sperimentate.
Domanda: Nel caso in cui la limbal stem cell deficiency sia bilaterale ci sono delle possibilità di cura?
Risposta: Idealmente, la cosa migliore da fare in questo caso sarebbe ricorrere all’utilizzo di cellule staminali
pluripotenti indotte (iPS), ma si tratta di un qualcosa di altamente complesso per quanto riguarda la cornea.
Pertanto, ciò che si sta tentando di fare è sfruttare un epitelio il più simile possibile a quello corneale, ovvero
la mucosa del cavo orale. Infatti, ad esempio, le cheratine 3 e 12 sono presenti soltanto nella cornea e nella
mucosa del cavo orale. Gli impianti preliminari delle cellule della mucosa del cavo orale negli occhi offrono
risultati incoraggianti, seppur non ancora netti e definitivi.
Domanda: Al giorno d’oggi, la ricerca è limitata soprattutto per questioni etiche o economiche?
Risposta: Dipende dal Paese e dal tipo di cellula che prendiamo in considerazione. Per quanto riguarda le
cellule staminali somatiche NON sussiste alcun problema etico. Questo si pone soltanto in riferimento alle
cellule staminali embrionali, in quanto SOLO in alcuni Paesi, esistono leggi restrittive (in Italia la Legge 40)
sull’uso di tali cellule staminali. Il problema economico solleva diverse questioni: esistono iter burocratici e
d’approvazione lunghi e complessi, oltretutto i target di queste terapie sono malattie rare, quindi, tra i costi
di sviluppo e di produzione e i target piuttosto ridotti in numero, i costi complessivi diventano difficilmente
sostenibili. Proprio il problema economico è la ragione per cui nascono pseudo-terapie che prevedono la
singola infusione di cellule con lo scopo di trattare una quantità inverosimile di patologie.
Domanda: Come vede il futuro della medicina grazie all’uso di queste nuove terapie?
Risposta: La ricerca è inevitabile, non si ferma. La progressione di queste terapie avanzate sarà lenta, anche
perché alle grandi imprese non interessa particolarmente, dato che riguarda solo pochi pazienti a singola
patologia, ma, in ogni caso, queste terapie innovative prenderanno piede inevitabilmente.
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Ruggeri, Ramponi, Rovatti
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 17 10/05/2021
GENETICA DI POPOLAZIONE
Buongiorno, oggi parliamo di genetica di popolazioni, riprendiamo un attimo la teoria dell'evoluzione che in
parte avevamo già affrontato: gli organismi viventi si evolvono e la teoria dell'evoluzione proposta da
Darwin, universalmente accettata, spiega come le popolazioni di organismi sono cambiate nel tempo;
quindi, la teoria dell’evoluzione è il concetto di base unificante di tutta la biologia. Si è cercato di capire, e di
fatto si è capito molto, riguardo alla struttura, la funzione e il comportamento degli organismi e le loro
interazioni, considerandoli alla luce di un lungo e continuo processo evolutivo che tutt'oggi sta
continuando.
Nel 1859, Darwin propose la selezione naturale come meccanismo per spiegare l'evoluzione e in base a
questa teoria le forme di vita sulla terra discendono, attraverso varie modifiche, da forme preesistenti, cioè
da un comune antenato ancestrale.
Quindi l’evoluzione è alla base della diversità che esiste tra gli organismi viventi della terra, la tesi
dell’evoluzione è supportata da varie evidenze:
1. Ogni membro di una specie è diverso dall'altro
2. Nascono molti più organismi di quelli in grado di
sopravvivere fino alla riproduzione, questo vale
soprattutto non tanto per la specie umana (dove le cure
parentali sono molto importate) ma per le altre specie, in
particolare quelle che depongono le uova e che non si
occupano più di controllare e salvaguardare la prole
(come per esempio la rana dei boschi che depone milioni
e milioni di uova per assicurarsi che poi gli organismi che
nasceranno siano in numero sufficiente da supportare la
continuità della specie.
3. Gli organismi competono nell'ambiente per procurarsi le
risorse, in generale in termini di cibo, luce, spazio; quindi,
solo chi possiede caratteristiche vantaggiose in
quell'ambiente e in quel determinato momento per
procurarsi le risorse, sopravvive e si riproduce.
Ricordiamo che per la continuità della specie non è
sufficiente a sopravvivere, ma è necessario che gli
individui si riproducono cioè arrivino alla riproduzione.
4. Gli organismi che sopravvivono e si riproducono trasmettono le caratteristiche vantaggiose alla
loro progenie. Anche in questo caso gli individui meglio adattati si riproducono di più (si dice a una
migliore fitness evolutiva e di produttiva) e hanno quindi maggior successo.
Ciò che Darwin non sapeva è che le basi delle differenze tra gli organismi sono variazioni della sequenza del
DNA (non vere e proprie mutazioni, chiamiamole polimorfismi, diverse sequenze di DNA anche codificano
per gli stessi caratteri leggermente diversi) che possono essere ereditate e che forniscono la materia prima
per l'evoluzione. Quindi le cosiddette caratteristiche vantaggiose che lui ha nominato sono di fatto
codificate, come solo oggi sappiamo, da geni che possono variare in sequenza da vari alleli, come abbiamo
già descritto, che codificano per lo stesso carattere ma possono dare fenotipi leggermente diversi e posso
essere in un determinato momento più adatti o meno adatti a quel determinato ambiente.
Gli individui di fatto non evolvono nel corso della loro esistenza, i cambiamenti evolutivi vengono trasmessi
da una generazione all'altra, quindi l'evoluzione si studia a livello di popolazione.
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Ruggeri, Ramponi, Rovatti
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BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 17 10/05/2021
Popolazione: insieme di individui della stessa specie che vivono nello stesso luogo e nello stesso
periodo.
Genetica di popolazione: studia la variabilità genetica all'interno di una popolazione e delle forze
che agiscono su di essa (le forze che la fanno evolvere)
Pool genico: insieme di tutte le forme alleliche presente in una popolazione.
-
La variabilità genetica tra individui di una popolazione risiede nel il fatto che ogni individuo
possiede come sappiamo una diversa combinazione degli alleli presenti nel pool genico.
-
Frequenza genotipica: la percentuale, la proporzione di un particolare genotipo nella popolazione.
La frequenza genotipica è espressa come frazione decimale e la somma di tutte le frequenze
genotipiche all'interno di una popolazione è uguale a 1.
Nell’esempio a lato abbiamo un genotipo omozigote dominante AA, un genotipo eterozigote Aa, un
genotipo omozigote recessivo aa; considerando una
popolazione di 1000 individui e facendo l’esempio che:
gli AA siano 490, gli Aa siano 420, gli aa siano 90; le
relative frequenze genotipiche sono rispettivamente:
0,49, 0,42, 0,09. La somma di tutte le frequenze
genotipiche è uguale a 1.
-
La frequenza fenotipica è invece la proporzione di un particolare fenotipo all’interno della
popolazione, anch’essa è espressa come frazione decimale, e la somma di tutte le frequenze
fenotipiche è uguale a 1.
Dunque, se ogni genotipo corrisponde ad un fenotipo,
la frequenza genotipica e fenotipica si sovrappongono,
sono uguali; invece, se l’allele A è dominante su a, come
nell'esempio che stiamo facendo, le frequenze
fenotipiche saranno le seguenti (nella tabella è espressa
la frequenza genotipica in base al numero di individui
con un determinato genotipo, e la corrispondente
frequenza fenotipica è rappresentato in basso):
il fenotipo dominante risulterà dalla somma degli
omozigoti AA (490) e degli eterozigoti Aa (420), la
somma è quindi 910 (con frequenza fenotipica 0,91); il
fenotipo recessivo è costituito da 90 individui e quindi la frequenza fenotipica in questo caso corrisponde a
quella genotipica dell’omozigote recessivo che è 0,09.
La somma tra 0,91 e 0,09 è sempre 1.
-
frequenza allelica è definita come la percentuale di un particolare allele nella popolazione,
espressa come frazione decimale e anche in questo caso la somma di tutte le frequenze alleliche è
uguale a 1.
L’allele A è presente in numero di 1400, la frequenza allelica è uguale a 0,7.
Il numero di alleli a è 600 e la frequenza allelica è
0,3.
La somma delle frequenze alleliche è sempre 1,
la somma del numero di alleli è 2000, quindi il
numero di individui della popolazione di cui
stiamo facendo l’esempio è 1000.
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Ruggeri, Ramponi, Rovatti
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 17 10/05/2021
PRINCIPIO DI HARDY-WEINBERG
Hardy e Weinberg erano due genetisti che hanno studiato e hanno praticamente inventato la genetica di
popolazione. Hanno studiato l'evoluzione delle popolazioni nel tempo e hanno messo a punto
un’equazione, che porta il loro nome, che enuncia che in popolazioni di grandi dimensioni il processo
dell'ereditarietà non causa di per sé variazioni delle frequenze alleliche, questa però è una situazione ideale
che non si verifica mai in natura, perché in natura è inevitabile che la popolazione evolva del tempo.
L’equazione di Hardy-Weinberg ci permette di utilizzare le frequenze fenotipiche di una popolazione per
calcolare le frequenze genotipiche e alleliche attese, per esempio di un determinato genotipo o di una
determinata malattia genetica in una popolazione per individuare i portatori.
Per anticipare perché una popolazione non è mai in equilibrio genetico, cioè le frequenze genotipiche e
alleliche cambiano sempre da una generazione dall'altra, osserviamo queste condizioni che devono essere
sempre verificate nel caso dell’equilibrio genetico:
o
o
o
o
o
Una popolazione in equilibrio dovrebbe rispettare l'accoppiamento casuale tra tutti gli individui
della popolazione
popolazioni devono essere sempre molto grandi
Non devono esserci fenomeni di migrazione
Non devono esserci mutazioni
Non deve esserci selezione naturale sugli alleli esaminati
Potete concludere già da questo elenco che neanche una di queste condizioni può sussistere in una
popolazione.
Termini presenti nell’equazione di Hardy-Weinberg:
p= frequenza dell’allele dominante A
q= frequenta dell’allele recessivo a
p+q=1
Quindi p = 1 – q e allo stesso modo q = 1 – p
Se p + q = 1 allora (p + q)2 = 1
Quest’ultima equazione binomiale può essere estesa per descrivere la relazione tra le frequenze alleliche e i
genotipi presenti nella popolazione. Amplificando questa equazione otteniamo la frequenza di genotipi
presente nella prole:
p2 + 2pq + q2 = 1
p2: frequenza di AA
2pq: frequenza di Aa
q2: frequenza di aa
Grazie a quest'equazione possiamo calcolare la frequenza, per esempio degli eterozigoti (e quindi dei
portatori di una malattia per esempio autosomica recessiva) in una popolazione conoscendo la frequenza
fenotipica, cioè il numero di malati per quella malattia.
Il principio di Hardy-Weinberg permette anche di calcolare le frequenze alleliche in una data popolazione.
Questi valori (le frequenze alleliche genotipiche, fenotipiche di una popolazione) possono essere paragonati
poi agli stessi parametri della stessa popolazione dei parametri che riguardano le generazioni successive. Se
tali frequenze variano dai valori predetti dall’equazione, la popolazione si sta evolvendo e questo, come
dicevo prima, è sempre avvenuto è sempre avverrà.
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Ruggeri, Ramponi, Rovatti
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 17 10/05/2021
Osservando la figura, il pannello a dipende da quello che
abbiamo detto finora, e quindi il calcolo della frequenza degli
alleli e dei genotipi riferendosi agli alleli A e a nei gameti.
Il pannello b calcola la frequenza di ciascuno dei possibili
genotipi derivanti da questi gameti (posti sui bordi del quadrato
di Punnet). La frequenza di ciascuno dei possibili genotipi si
calcola moltiplicando le frequenze degli alieni A e “a” nelle uova
e negli spermatozoi, quindi si fanno le moltiplicazioni e si arriva
al calcolo della frequenza del genotipo corrispondente.
Ecco un'applicazione in ambito medico del principio di HardyWeinberg: la loro equazione può essere utilizzata per stimare la
percentuale della popolazione umana portatrice di un allele per
una particolare malattia ereditaria, per esempio autosomica
recessiva come la fenilchetonuria(PKU).
Sappiamo che la frequenza fenotipica della PKU negli Stati Uniti
è 1:10000, quindi q2 = 0,0001.
La frequenza allelica q = (0,0001)0,5 = 1
Conoscendo q possiamo ricavare p sottraendolo da 1, p = 1 – 0,01 = 0,99
Conoscendo sia p che q possiamo calcolare la frequenza dell’eterozigote che è 2pq:
2pq = 2 x 0,99 x 0,01 = 0,0198
Cioè circa il 2% della popolazione degli Stati Uniti è portatrice dell’allele per la PKU, ovviamente questa
equazione può essere applicata ad altre malattie genetiche.
CONDIZIONI PER L’EQUILIBRIO GENETICO
Ora analizziamo le condizioni per l’equilibrio genetico e capiamo perché non sono mai realizzabili in una
popolazione.
Prendiamo quindi in considerazione quelle condizioni che, se rispettate, portano all’equilibrio genetico:
1. Accoppiamento casuale : perché sia vera ogni individuo di ogni popolazione deve avere le stesse
probabilità di accoppiarsi con ognuno degli individui di sesso opposto, ma gli individui (della nostra
specie ma anche di altre specie) selezionano il loro partner sessuale sulla base del fenotipo quindi
tale accoppiamento è quasi sempre disatteso.
Si può avere :
•
•
Inincrocio: è un accoppiamento tra individui geneticamente simili; quindi i membri della specie più
vicini spazialmente hanno più probabilità di accoppiarsi, però l’inincrocio fa aumentare l’omozigosi
con il susseguirsi delle generazioni inincrociate.
Questo a volte fa emergere delle caratteristiche svantaggiose, come una malattia genetica
recessiva che si manifesta in omozigosi.
Quindi, a volte, l’inincrocio determina una diminuzione della Fitness, cioè della capacità relativa di
un dato genotipo di dare un contributo genetico alle generazioni successive
Accoppiamento assortativo: accoppiamento in cui gli individui selezionano i loro partner sessuali in
base al fenotipo. E’ un comportamento adottato non solo nella specie umana, ma anche in molte
specie animali.
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Ruggeri, Ramponi, Rovatti
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 17 10/05/2021
Altra condizione che dovrebbe esistere per avere equilibrio genetico di una popolazione è la seguente.
2. Popolazioni molto grandi: eventi casuali tendono ad apportare cambiamenti maggiori in una
popolazione piccola piuttosto che in una grande, per esempio c’è una maggiore probabilità di
perdere alleli rari in una popolazione piccola piuttosto che in una grande.
La produzione di cambiamenti evolutivi casuali in piccole popolazioni si chiama deriva genetica, questa
provoca cambiamenti delle frequenze alleliche di una popolazione tra generazioni successive: un allele può
essere eliminato indipendentemente dal fatto che sia vantaggioso o no, cioè che codifichi per
caratteristiche vantaggiose per l’individuo o individui di quella specie.
A causa di cambiamenti ambientali (sempre avvenuti durante la storia della terra) una popolazione può
andare incontro ad una rapida e marcata riduzione del numero dei suoi individui, questo è già successo e ha
portato molte specie all’estinzione; si dice che la popolazione passa attraverso un collo di bottiglia
genetico, durante il quale il numero degli individui di quella specie si riduce enormemente e si può così
verificare la deriva genetica dei sopravvissuti.
Per esempio considerando i ghepardi viventi tutt’ora sulla terra si è visto che sono geneticamente
abbastanza omogenei tra loro, significa che in un qualche momento temporale dell’evoluzione la
popolazione di ghepardi sulla terra ha avuto un’enorme riduzione del numero dei suoi individui, è
quindi passata per il collo di bottiglia genetico e i pochi individui rimasti si sono incrociati tra loro,
mantenendo così la specie, che risulta essere però molto omogenea geneticamente.
La deriva genetica che risulta quando un piccolo numero di individui, proveniente da una popolazione
grande, colonizza una nuova area è detta effetto del fondatore: le frequenze alleliche della nuova
popolazione (quella fondata) differiscono grandemente da quella della popolazione di origine.
Per esempio i Finlandesi, prima di divenire tali, erano popolazioni del nord Europa che andarono a
colonizzare quella che oggi è la Finlandia, distaccandosi completamente dal loro luogo di origine.
Dato che un tempo non c’erano le facilitazioni in termini di scambi e di trasporti la popolazione che
migrò rimase isolata dal resto della popolazione del nord Europa.
Questo ha portato quindi alla deriva genetica della popolazione e se si esaminano i genotipi dei
finlandesi si osserva che sono molto più omogenei tra loro rispetto a quelli della popolazione europea.
Altra condizione mai esistita e mai soddisfatta in natura è l’assenza dei fenomeni di migrazione.
3. Assenza di fenomeni di migrazione: la migrazione di individui, che possono riprodursi, tra
popolazioni causa un corrispondente movimento di alleli detto flusso genico.
Quando gli alleli si spostano da una popolazione all’altra di norma si verifica un aumento della variabilità
genetica all’interno della popolazione di destinazione.
Fenomeni di migrazione sono sempre esistiti in natura, non solo nella storia dell’uomo ma anche degli altri
animali.
4. Assenza di mutazioni (anche questa condizione mai soddisfatta): le mutazioni ereditabili, dette
“germinali”, (che colpiscono la linea germinale) determinano un aumento della variabilità
all’interno di una popolazione sulla quale agisce la selezione naturale o in positivo o negativo a
seconda delle caratteristiche acquisite.
Anche in tal caso le mutazioni degli alleli delle sequenze alleliche sono sempre avvenute e continueranno
ad avvenire.
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Ruggeri, Ramponi, Rovatti
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 17 10/05/2021
5. Selezione naturale non operante sugli alleli esaminati (anche questa condizione non rispettata): la
selezione naturale è continuamente operante, cambia le frequenze alleliche in modo da aumentare
l’adattamento dell’individuo.
Questo è il meccanismo evolutivo proposto da Darwin. Secondo la selezione naturale i membri di una
popolazione che possiedono gli adattamenti più vantaggiosi all’ambiente sono quelli che hanno più
probabilità di sopravvivere e di riprodursi. Quindi la selezione naturale porta a cambiamenti evolutivi ed
adattativi, quindi seleziona in base alle caratteristiche vantaggiose in un determinato ambiente e in un
determinato periodo, però non induce le caratteristiche vantaggiose, semplicemente le seleziona.
Esistono, inoltre, vari tipi di selezione naturale :
•
•
•
Selezione Stabilizzante
Selezione Direzionale
Selezione Diversificante
Selezione stabilizzante
Esistono vari tipi di selezione naturale, come la
selezione stabilizzante; questa è quel il processo di
selezione associato ad una popolazione ben adattata
al suo ambiente. Di fatto seleziona contro i fenotipi
estremi.
Consideriamo l’esempio dei coleotteri: in assenza di
selezione stabilizzante vi è una distribuzione normale
(gaussiana) dei fenotipi, con la stabilizzante vi è una
selezione negativa sui fenotipi estremi.
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Ruggeri, Ramponi, Rovatti
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 17 10/05/2021
Un esempio sulla specie umana è il carattere peso
corporeo dei neonati.
Il peso corporeo considerato nel grafico è in libbre,
nel picco in blu è indicato il peso corporeo medio
alla nascita (3/3,5 kg), mentre la curva rossa
esprime la percentuale di mortalità.
La selezione stabilizzante che agisce su tale
carattere seleziona positivamente i neonati con
peso medio e negativamente quelli con peso molto
inferiore o superiore alla media.
La mortalità, infatti, è più elevata per i neonati con
peso molto inferiore o superiore alla media alla
nascita.
Selezione naturale direzionale
È il processo di selezione che favorisce i fenotipi ad uno degli estremi della curva della distribuzione
normale
Per esempio, consideriamo la taglia maggiore in un determinato ambiente dei fringuelli delle Galapagos
(insieme di isole molto studiate in ambito evolutivo). Qui alcune specie di uccelli, in particolare i fringuelli, si
sono modificate morfologicamente in varie caratteristiche, come la forma del becco (già detto in
precedente lezione), ma anche in merito alla taglia a seconda dell’ambiente trovato.
La taglia maggiore, per esempio, è favorita rispetto ad una minore in alcune isole delle Galapagos.
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Ruggeri, Ramponi, Rovatti
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 17 10/05/2021
Selezione naturale diversificante
Questa è il contrario della stabilizzante; seleziona positivamente i fenotipi agli estremi della curva gaussiana
e negativamente i fenotipi al centro della curva Ga.
POLIMORFISMO GENICO
E’ un fenomeno che abbiamo già descritto con altre
parole, è la presenza in una popolazione di uno o più
alleli per un dato locus.
E’ un fenomeno molto esteso, sia nelle piante che negli
animali, sia vertebrati che invertebrati.
E’ una reazione alla sequenza in alleli che codificano
sempre per lo stesso carattere.
Può essere non dannoso, quindi codificare
semplicemente per un fenotipo leggermente diverso di
uno stesso carattere o può essere dannoso quando il
cambiamento di sequenza esprime una mutazione che
fa variare quel determinato carattere e può causare
una malattia.
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Ruggeri, Ramponi, Rovatti
BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini)
Lezione 17 10/05/2021
VANTAGGIO DELL’ETEROZIGOTE
Se ne parla quando la selezione naturale seleziona l’eterozigote (per esempio per una malattia genetica), e
quindi la variabilità genetica è mantenuta, quando questo presenta un grado di fitness maggiore di
ciascuno degli omozigoti.
Per esempio, il vantaggio selettivo degli eterozigoti per l’anemia falciforme si manifesta in determinate
regioni del globo dove la malaria è endemica (come le regioni colorate in verde in figura).
In tali regioni la frequenza dell’allele HbS (che causa l’anemia falciforme) è molto più alta che in altre
regioni del mondo. Questo perché il batterio che causa la malaria, ovvero il Plasmodium Falciparum, cresce
meglio negli eritrociti degli individui che non hanno anemia falciforme. Questi individui, infatti, muoiono
frequentemente in tali zone per malaria.
Il Plasmodium Falciparum, invece, cresce peggio e, quindi, infetta meno l’eterozigote, per la presenza
appunto dell’Emoglobina mutata negli eterozigoti affetti da anemia falciforme. Paradossalmente in tali
zone dell’africa i portatori di una malattia genetica come l’anemia falciforme, che non manifestano il
fenotipo, sono avvantaggiati dal punto di vista della fitness perché sono meno attaccati dal plasmodium
della malaria.
In omozigosi manifestano la malattia e sono contro selezionati per l’anemia falciforme. Il vantaggio degli
eterozigoti in tal caso è legato alla particolare condizione di tali zone dell’Africa.
Se trasferissimo tali eterozigoti con l’allele dell’anemia falciforme in Europa o Stati Uniti (dove la malaria
non è endemica) il vantaggio si perderebbe, è mantenuto solo in tali zone dove la malaria è endemica.
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Tolino, Tondi, Tonelli
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
lezione 18, 13/05/2021
LEZIONE CON DOMANDE
Buongiorno a tutti, siamo qui per discutere delle lezioni ormai finite, quindi sono a vostra disposizione
come d’accordo per eventuali chiarimenti e domande.
CHIARIMENTO RIGUARDO ALLA SIMULAZIONE DI LUNEDÍ
Domanda: “La simulazione d’esame di lunedì sarà proprio fatta utilizzando Smowl?”
Risposta: “No, per la simulazione d’esame di lunedì non si può usare Smowl perché è un sistema a
pagamento, non sarà una simulazione su Dolly. Non è una vera e propria simulazione, anche perché voi non
avrete finito di studiare, quindi sarà una presentazione da parte mia dei tipi di domande per ogni
argomento che abbiamo trattato con i tipi di quiz che possono capitare. Non sarà una simulazione su Dolly
e non sarà una vera e propria simulazione.”
CHIARIMENTO SU LEZIONI FUTURE
Domanda: “Visto che abbiamo finito il programma mercoledì 19 non ci sarà lezione quindi?”
Risposta: “Noi abbiamo la discussione delle domande di esame il lunedì 17. Mi riservo di chiedere alle
vostre prof di anatomia se hanno bisogno mercoledì 19 mattina nella nostra ora di lezione, ma per quanto
riguarda noi non abbiamo lezione.”
DOMANDE SUL PROGRAMMA:
o
Riferimento a PAG.10 LEZIONE 13, BIOLOGIA E GENETICA
Domanda: “Quando parliamo di eredità poligenica intendiamo caratteri additivi o anti-additivi?”
Risposta: “Vi ho fatto l’esempio del colore della pelle: in quel caso l’insieme degli alleli che vanno a
determinare il colore della pelle hanno un’azione additiva perché funziona così quel sistema, ma non
necessariamente l’eredità poligenica caratterizza i caratteri additivi o meno.
A parte gli esempi che vi ho fatto di eredità monogenica (colore dei capelli, colore degli occhi e alcune
malattie monogeniche ereditarie), tutti gli altri caratteri umani sono caratterizzati da eredità poligenica,
quindi la maggior parte.”
o
Riferimento a PAG 7-8 LEZIONE 11, BIOLOGIA E GENETICA
Domanda: “Le volevo chiedere se poteva rispiegare brevemente come funzionano i DNA microarrays
che ha citato alcune volte e non mi è chiaro”
Risposta: “Premettendo che quello che vi posso dire è solo un accenno perché non è il target del corso,
i DNA microarrays sono una tecnica di analisi del trascrittoma.
Il trascrittoma come sapete è l’insieme di tutti gli RNA trascritti da una cellula. C sono vari metodi per
studiarlo e uno è appunto quello che vi sto mostrando (Figura 1), e tra i più emergenti vi è il
sequenziamento massivo dell’RNA.
1
Tolino, Tondi, Tonelli
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
lezione 18, 13/05/2021
Per quanto riguarda quelle poche nozioni che vi ho
trasmesso sui DNA microarrays, sono una tecnica postgenomica, cioè consente di analizzare interamente tutto il
trascrittoma di una popolazione cellulare.
Come? Si utilizzano questi microarrays che sono dei chip
come quello mostrato nella figura a fianco.
Come facciamo a fare un esperimento con i DNAmicroarrays?
1. Innanzitutto dobbiamo analizzare il
trascrittoma, quindi dobbiamo estrarre l’RNA
totale dalle cellule.
2. L’RNA totale viene praticamente introdotto in
questa apertura (cerchiato in rosso
nell’immagine a lato) e va a distribuirsi in tutto l’array.
Cosa c’è nell’array e come facciamo a capire quali geni sono
espressi e quali geni non lo sono in una determinata popolazione? Figura 1
Riusciamo a capirlo perché sul micro-chip, che è un vetrino miniaturizzato, sono legate le sonde, ossia
degli oligonucleotidi, dei frammenti di nucleotidi complementari a tutti gli RNA espressi da una cellula.
Quindi ci sono i chip che servono per studiare il trascrittoma umano, quelli che servono per studiare il
trascrittoma bovino e via dicendo.
Ammettendo che questo sia un chip fatto per analizzare il trascrittoma umano, come è stato per quello
usato nell’esperimento che vi ho mostrato, su questo chip ci saranno le sonde per tutti gli RNA umani.
Quindi:
• Se nel campione che noi introduciamo è espresso un determinato RNA (in questo caso ci
riferiamo ad un RNA-messaggero, ma possiamo parlare anche di micro-RNA ecc, perchè
dipende dal tipo di chip) allora quel determinato RNA si legherà alla sua sonda complementare
sul chip. In questo caso avremo un segnale dopo l’analisi bio-informatica di positività e di
intensità di positività.
•
Nel caso in cui l’RNA della popolazione cellulare che stiamo analizzando non sia espresso in
quella popolazione non avremo nessun segnale.
Quindi questa è un’analisi comparativa, quindi nell’esempio che vi ho fatto (PAG 7-8 LEZIONE 11,
BIOLOGIA E GENETICA) andiamo a comparare il trascrittoma di due popolazioni cellulari con questa
tecnica:
• 10 campioni di staminali di leucemia mieloide cronica;
• 10 campioni di staminali normali.
Dopo l’ibridizzazione e dopo l’analisi bioinformatica riusciamo con questo sistema a vedere i geni
cosiddetti ‘differenzialmente espressi’, cioè espressi nella cellula staminale tumorale, in questo caso di
leucemia mieloide cronica, e non espressi o poco espressi nelle cellule cosiddette controparti, ossia le
stesse cellule ma normali.
2
Tolino, Tondi, Tonelli
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
lezione 18, 13/05/2021
Infatti, attraverso questa analisi siamo riusciti a
vedere che all’interno dei geni differenzialmente
espressi delle cellule di leucemia mieloide cronica
sono più espressi dei geni che codificano per
proteine che proteggono dall’apoptosi, e quindi le
cellule tumorali sono più resistenti all’apoptosi
fisiologica. Questo è un meccanismo di
progressione tumorale.
Questo risultato è stato ottenuto sulla base appunto dell’analisi dei geni differenzialmente espressi e
essi vengono poi analizzati anche a livello di pathway di segnale che vanno a costruire altri programmi
bioinformatici dei network di regolazione, i quali ci rendono l’analisi di questi big data un po’ più facile e
interpretabile.
o
Riferimento a PAG 10-11 LEZIONE 9, BIOLOGIA E GENETICA
Domanda: “Prof io avrei un dubbio riguardo la proteina RB, il suo gene è un proto-oncogene o un oncosoppressore?”
Risposta: “È un oncosoppressore ed ora vi rispiego il perché.
Il proto-oncogene è un qualsiasi gene della cellula che si chiama così perché prima di essere attivato ad
oncogene, cioè un gene che provoca il cancro, è un gene normale, importante nella regolazione della
proliferazione, nel differenziamento, nell’apoptosi; che una volta mutato viene attivato ad oncogene.
Gli oncosoppressori sono anche essi dei geni della cellula ma al contrario dei proto-oncogeni, i quali
acquisiscono una nuova funzione (gain of function) e diventano tumori genici, sono dei geni che
quando funzionano ci proteggono dal cancro perché inibiscono tutti quei meccanismi che portano alla
trasformazione cellulare.
L’esempio di RB è legato al discorso della regolazione
della proliferazione.
RB di fatto è una proteina inibitoria per quanto
riguarda la progressione del ciclo cellulare, quindi di
fatto è un oncosoppressore. RB è un
oncosoppressore perché nella sua forma non
fosforilata, come è visibile in figura, prima di metà
del G1 e prima che la cellula faccia la transizione G1S, sequestra E2F, un fattore di trascrizione che serve
per la trascrizione, quindi la produzione degli enzimi
e delle altre proteine della fase S.
Quindi, finché E2F è sequestrato da RB non c’è nessuna possibilità che vengano prodotti i costituenti
enzimatici e proteici che servono per la replicazione del Dna. Questo per il fatto che la cellula non può
passare dalla G1 alla S senza essere pronta così come per tutte le altre fasi: una cellula non può
accedere alla fase successiva se non ha completato quella precedente.
E2F deve essere in qualche modo rilasciato da RB per fare la progressione G1 e la transizione G1-S. In
effetti, come si vede dalla figura, RB viene fosforilato dai complessi Cdk4/6-Ciclina D e cdk2-Ciclina E
del G1. Una volta fosforilato, RB non è più in grado di sequestrare E2F e quindi consente alla cellula di
progredire durante l’ultima fase del G1 e quindi fare la transizione G1-S.
Quindi di fatto RB è un inibitore della proliferazione ed è uno degli oncosoppressori più noti.”
3
Tolino, Tondi, Tonelli
o
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
lezione 18, 13/05/2021
Riferimento a LEZIONE 12, BIOLOGIA E GENETICA
Domanda: “Come prima legge di Mendel intendiamo la legge della dominanza o la legge della
segregazione?”
Risposta: “Qui ci sono due interpretazioni diverse a seconda delle fonti da cui si va ad attingere:
• Alcuni fonti dicono che la prima legge di Mendel è la “Legge della dominanza e della recessività
tra gli alleli” che per Mendel era assoluta, anche se poi si è visto che non è assoluta per tutti i
caratteri; e di conseguenza “Il principio della segregazione” diventa la seconda legge e “Il
principio dell’assortimento indipendente” diventa la terza.
• Altre dicono che la prima, come vi ho spiegato io, è “Il principio della segregazione” e la
seconda è “Il principio dell’assortimento indipendente”.
Non ha una grande importanza, basta capire che cosa succede e in quali condizioni. Non vi chiedo
all’esame qual è la prima e qual è la seconda.”
o
Riferimento a PAG. 5 LEZIONE 14, BIOLOGIA E GENETICA
Domanda: “Potrebbe rispiegare brevemente l’imprinting genomico? Non ho capito perché alcuni geni
vengono espressi differenzialmente a seconda dell’origine parentale”
Risposta: “L’imprinting genomico è una questione piuttosto complessa e il corso di genetica medica
sarà quasi tutto dedicato ai geni imprintati genomicamente.
Lo studio dell’albero genealogico identifica anche caratteri non mendeliani per i quali l’origine
parentale dei geni non influisce sull’espressione. A parte questo discorso di eredità mendeliana e
caratteri non mendeliani, ci sono alcuni geni la cui espressione è influenzata dall’origine parentale.
Per la segregazione che avviene durante la meiosi nei gameti, ogni organismo futuro erediterà dai
genitori soltanto una copia di ogni gene, quindi erediterà una copia di allele paterno e una copia di
allele materno per ogni gene.
I geni imprintati genomicamente, che non sono tutti ma solo alcuni, praticamente si comportano per la
loro espressione diversamente a seconda che il gene sia di origine materna o di origine paterna, perché
per esempio per alcuni geni l’allele paterno è sempre represso. Vi ho accennato come avviene la
repressione, la quale avviene attraverso la metilazione di promotori di geni specifici che inibisce la loro
espressione.
Alla base del fatto che l’allele paterno sia sempre espresso oppure l’allele materno, c’è una metilazione
dell’allele che non viene espresso e quindi silenziato. Il meccanismo per cui viene silenziato un allele
rispetto ad un altro di fatto ancora non si conosce.
Io vi ho fatto l’esempio del caso in cui l’allele materno o l’allele paterno porti una mutazione e che la
mutazione sia differenzialmente espressa a seconda che sia ereditata dal padre o dalla madre.
Evidentemente l’allele paterno e l’allele materno in quella posizione, che nel caso delle due malattie
che vi ho nominato è relativa alla delezione della regione q11-13 del cromosoma 15, danno profili di
metilazione diversi. Di conseguenza, i geni che sono contenuti in questa regione, che si tratta di 3
bande cromosomiche e quindi non sono molti, sono metilati nei loro promotori in modo differenziale
nell’omologo materno rispetto all’omologo paterno. I geni che sono contenuti in questa regione
saranno differenzialmente espressi per questo motivo.
La mutazione in quella regione dà quindi origini a fenotipi di malattie diverse a seconda che in quella
regione (q11-13 del cromosoma 15) la mutazione sia espressa sull’omologo paterno o su quello
materno:
4
Tolino, Tondi, Tonelli
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
lezione 18, 13/05/2021
•
sindrome di Prader-Willi
(PWS): la delezione è stata
ereditata dal padre
(malattia autosomica
dominante), mentre sul
cromosoma materno
(normale) è silenziata.
•
Sindrome di Angelman
(AS): la delezione viene
ereditata dalla madre
(malattia autosomica
dominante), mentre il
cromosoma paterno
(normale) viene silenziato. I geni in quella regione sono dell’omologo materno ed esso viene
espresso e non metilato.
L’imprinting genomico è un meccanismo attraverso il quale si ha un’espressione differenziale di geni
sull’omologo paterno rispetto all’omologo materno. È un meccanismo molto complesso che sarà spiegato
meglio negli altri corsi di genetica, specialmente riguardo le malattie.”
o
Riferimento a PAG. 18-19 LEZIONE 15, BIOLOGIA E GENETICA
Domanda: “Parlando dei test genetici, riguardo ai risultati (in questo caso positivi) ha detto “questo
risultato indica che il feto presenta una specifica anomalia cromosomica ma non assicura che il feto
abbia tale condizione”. Questo è a causa della penetranza dei caratteri?”
Risposta: “Penso che tu ti riferisca ai test detti non invasivi, che non danno un risultato certo, come
quelli fatti sul sangue della madre, che possono essere sia a carico del sistema sanitario nazionale sia a
pagamento, come il Prenatal Safe Complete che vi ho mostrato.
Come mostrato nella diapositiva a lato, quando si
ottiene un risultato positivo dal Prenatal Safe
Complete che è il più avanzato, ma anche dagli altri,
ovvero da tutte le metodiche non invasive, esso indica
che il test ha individuato un’anomalia (in questo caso
un’aneuploidia o un’alterazione cromosomica perché
stiamo parlando del Complete) non assicura che il feto
abbia tali condizioni. Questa è la premessa.
La penetranza del carattere non c’entra nulla
in questo caso, ma sono la sensibilità e
l’attendibilità del test che entrano in gioco in
questo caso, perché sequenziando il
cromosoma come fanno questi sistemi non si
ha una sensibilità così alta come quella
ottenuta con il cariotipo molecolare o il
cariotipo tradizionale. Essi però devono
essere fatti essenzialmente su dei cromosomi
5
Tolino, Tondi, Tonelli
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
lezione 18, 13/05/2021
derivati dagli amniociti, che si ottengono attraverso le analisi invasive.
Quindi quello che otteniamo da tutti questi test non dipende dalla penetranza di nessun carattere ma
dipende dall’attendibilità e dalla sensibilità del test. “
(La prof ricorda l’importanza di compilare gli OPIS con cura)
o
Riferimento a PAG. 14 LEZIONE 15, BIOLOGIA E GENETICA
Domanda: “Con il termine "NIPT" intendiamo tutti i test non invasivi (anche BI/TRI-test...) o solo il cell
free DNA a pagamento?”
Risposta: “Con il termine “NIPT” si intendono tutti i test non invasivi, anche bi/tri-test, presentati nelle
diapositive precedenti. Si valutano pochi parametri, in ogni caso sono tecniche non invasive
appartenenti alla genetica prenatale. Non solo il cell free DNA è a pagamento.”
o
Domanda: “È corretto dire che la terapia mirata con Imatinib per la leucemia mieloide cronica guarisce
il paziente in modo definitivo?”
o
Risposta: “È una bella domanda. Si stanno facendo ancora intere sessioni ai congressi di ematologia sul
fatto che l’Imatinib o i suoi derivati più recenti abbiano la possibilità di guarire la leucemia mieloide
cronica in modo definitivo. È un discorso complesso che varia da paziente a paziente. In generale dopo
15 anni di terapia, visto che l’Imatinib ha comunque effetti collaterali, una frazione di pazienti lo ha
discontinuato, cioè sospeso, perché erano in remissione. I pazienti che possono almeno provare a
sospendere l’Imatinib sono coloro nella fase della malattia detta “remissione molecolare profonda”,
ciò significa che dal punto di vista ematologico sono in remissione, cioè hanno parametri ematologici
normali, e che dal punto di vista molecolare significa che nelle loro cellule (soprattutto linfociti nel
sangue circolante) vi è assenza del messaggero di fusione, cioè quello codificato da BCR-ABL. In questo
caso i pazienti possono provare a discontinuare.
Poiché però ci sono alcune cellule staminali leucemiche resistenti all’Imatinib che residuano in alcune
nicchie staminali del midollo osseo, in alcuni pazienti c’è stata una ripresa della malattia perché le
cellule staminali leucemiche a seguito della sospensione dell’Imatinib hanno ripreso la loro
proliferazione. Per cui non si può affermare che la terapia con Imatinib guarisca il paziente in modo
definitivo, ma nella maggior parte dei casi tiene a bada la malattia.
In altri casi, le cellule staminali leucemiche con un certo immunofenotipo non sono presenti in numero
tale da causare una ripresa della malattia, ma ciò dipende da paziente a paziente.”
o
Riferimento a PAG. 12 LEZIONE 6, BIOLOGIA E
GENETICA
Domanda: “Non mi è chiaro se M-CSF e NGF siano
ligandi di recettori tirosin-chinasici o di recettori
associati a Tirosin-chinasi”
Risposta: “L’NGF e l’M-CSF sono ligandi di recettori
tirosin-chinasici.”
6
Tolino, Tondi, Tonelli
o
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
lezione 18, 13/05/2021
Riferimento a PAG. 5 LEZIONE 5, BIOLOGIA E GENETICA
Domanda: “Tutti i nomi dei virus e le sigle dei fattori di crescita vanno sapute?”
Risposta: “I nomi dei virus della tabella non vanno saputi, così come per tutto il resto del programma
vanno sapute le cose riprese più volte e che hanno un’importanza funzionale o strutturale in più
processi del nostro corso (non quelle dette una volta in una diapositiva magari per spiegare un
acronimo). Ad esempio EGF ed NGF sono state citate più volte, quindi vanno sapute.”
o
Riferimento a PAG. 9 LEZIONE 17, BIOLOGIA E GENETICA
Domanda: “Quando si parla di vantaggio dell'eterozigote s'intende rispetto all'omozigote recessivo,
dominante, entrambi o dipende a seconda della malattia?”
Risposta: “Il vantaggio dell’eterozigote si intende per una determinata malattia, ma in generale per una
determinata caratteristica. Il vantaggio può essere rispetto all’omozigote recessivo, come abbiamo
visto nell’esempio dell’anemia falciforme, perché l’anemia falciforme in omozigosi è letale per cui non
ha alcun vantaggio rispetto all’eterozigote.
Rispetto ad un omozigote dominante, quindi wild type, senza alcuna mutazione, il vantaggio si ha in
alcune zone dell’Africa in cui è endemica la malaria.
Dipende quindi dalla malattia.”
o
Riferimento a PAG. 8 LEZIONE 10, BIOLOGIA E GENETICA
Domanda: “Tra i 5 giorni dopo la fecondazione, entro cui parliamo di cellule staminali embrionali e la
nascita, dopo la quale parliamo di cellule staminali adulte, ci sono cellule staminali?”
Risposta: “Le cellule staminali cominciano a formarsi dopo la prima divisione dello zigote e fino alla
blastocisti ci sono sempre cellule staminali embrionali che continuano ad esserci fino alla nascita.
Dopodiché si inizia a parlare di cellule staminali adulte, anche se sarebbe più esatto definirle cellule
staminali post-natali.
Se non ci fossero cellule staminali dopo la blastocisti, l’embrione non potrebbe svilupparsi.
Le cellule staminali embrionali alla nascita sono praticamente differenziate, quindi abbiamo le cellule
staminali adulte o post-natali. Ovviamente un embrione non può stare 9 mesi senza cellule staminali.”
o
Riferimento a PAG. 8 LEZIONE 8, BIOLOGIA E GENETICA
Domanda: “Non mi sono molto chiare le differenze tra Fas e gli altri recettori di morte per quanto
riguarda i diversi domini.”
Risposta: “Siamo nella fase estrinseca dell’apoptosi. L’attivazione della via estrinseca passa attraverso il
legame di un ligando (prodotto ad esempio dalle cellule del sistema immunitario) ad un recettore che si
trova sulla cellula bersaglio, quella che andrà in apoptosi.
7
Tolino, Tondi, Tonelli
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
lezione 18, 13/05/2021
Prendiamo ad esempio il Fas o CD95: il
Fas Ligand si lega al recettore. Tutti questi
recettori (che si trovano su tutte le
cellule) hanno in comune un death
domain che recluta e lega FADD, cioè FasAssociated Death Domain, quindi va a
legare il death domain di Fas, attraverso
un altro death domain di D che possiede
e va a legare il death domain di tutti i
recettori di morte.
FADD successivamente lega (attraverso
un altro dominio di interazione che non
nominiamo) la procaspasi 8, caspasi
iniziatrice della via estrinseca
dell’apoptosi, in tutti i recettori di morte; la procaspasi viene attivata da questo legame, inizia la cascata
caspasica e quindi l’attivazione delle caspasi esecutrici tra cui la caspasi 3 che attiva la DNAsi che
frammenta il DNA nucleare.
Tra i recettori, quindi, ci sono delle differenze strutturali ma hanno tutti in comune il death domain, il
FADD e il reclutamento della procaspasi 8.”
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Zaimaj, Zeni, Abbati Marescotti
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 19 17/05/2021
SIMULAZIONE ESAME
DOMANDE SULLA TEORIA
Sbobina scritta tenendo la prima persona della prof.
Prima di parlare delle domande tipo che ci potrebbero essere all’esame, vi chiedo se avete domande sulle
precedenti lezioni, anche sulla lezione del prof. De Luca in particolare.
Domanda: “I nomi degli esempi di targeted
therapy vanno saputi?”, riferendosi all’immagine a
fianco.
Risposta: No questi non sono da sapere, non è
necessario sapere tutti i nomi degli anticorpi per le
Targeted Therapy. Bisogna conoscere cos’è, poi gli
anticorpi specifici gli imparerete più avanti. Non
sono importanti per il primo anno di corso, non è il
target di questo corso, era solo per mostrarvi un
po’ delle terapie applicate nelle immunoterapie.
Domanda: “Per quanto riguarda le sindromi cromosomiche e le malattie genetiche, quanto dobbiamo
scendere nei particolari per l’esame?”.
Risposta: Adesso vi faccio vedere qualche esempio di domanda. Sì, bisogna scendere nei particolari, delle
malattie genetiche sia autosomiche che ereditarie, (ovviamente quelle che abbiamo fatto a lezione) dovete
sapere il meccanismo di trasmissione, quindi autosomica dominante, autosomica recessiva, legata all’X,... In
più bisogna anche conoscere bene come si generano e quali sono i sintomi e le manifestazioni delle varie
malattie, quindi per rispondere alle domande bisogna scendere nei particolari come mostrato nelle
diapositive.
Domanda: “Riguardo la lezione sulla genetica di popolazione, potrebbe rispiegare i vari tipi di selezione
naturale, perché non ho capito bene la differenza tra selezione naturale direzionale e diversificante”.
Risposta: Io non vi ho fatti molti esempi
perché per il vostro corso, il discorso
sull’evoluzione non è estremamente
importante. Nella figura a fianco sono
illustrate la selezione naturale direzionale,
pannello c, e quella diversificante,
pannello d. La selezione direzionale
favorisce i fenotipi a uno degli estremi
della curva gaussiana (nella figura ci può
essere spostandosi a destra o a sinistra). Vi
ho fatto l’esempio dei fringuelli delle
Galapagos che sono un modello per
studiare la selezione naturale durante
l’evoluzione. In questo caso il carattere fenotipico è la taglia. La selezione direzionale in certe isole ha agito
in modo da favorire, cioè da selezionare positivamente, i fringuelli di taglia maggiore (nella figura basti che
ci immaginiamo che nell’asse delle ascisse ci sia semplicemente la taglia dei fringuelli e non il colore degli
insetti) perché in quel particolare ambiente quelli di taglia minore venivano selezionati negativamente.
La selezione diversificante, come si vede dal grafico, di cui non vi ho fatto un esempio, è la selezione
1
Zaimaj, Zeni, Abbati Marescotti
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 19 17/05/2021
naturale contraria alla stabilizzante, cioè seleziona i fenotipi agli estremi della curva gaussiana. Il carattere
può sempre essere di vario tipo, comunque come vedete dalla figura sono selezionati negativamente i
soggetti che hanno espresso quel carattere in misura media.
INFORMAZIONI ESAME
Domanda: “Prof. conferma che per l’esame non sarà necessario scrivere su carta (ad esempio quadrati di
Punnet)?”.
Risposta: Confermo che per l’esame non sarà necessario scrivere su carta. Per alcuni upgrade che stanno
facendo sul sito di dolly medicina, non sono sicura che si riuscirà a scrivere su un foglio elettronico,
comunque non vi preoccupate perché in quel caso, io farò delle domande per cui non è necessario fare dei
calcoli scrivendo, saranno calcoli molto semplici da fare a mente.
Vi volevo parlare per il discorso delle convalide, perché nessuno mi ha ancora scritto, però ho visto che
siete scritti all’esame in 92, almeno qualche ora fa. Tra questi 92 c’è qualcuno che ha delle convalide?
Perché ovviamente la convalida dà diritto a svolgere solo quella parte dell’esame per cui non si ha la
convalida. Tuttavia in questo caso siccome il test sarà lo stesso per tutti, dovrò etichettare le domande
come biologia (generale o cellulare) e l’altra parte come genetica molecolare o classica (formale). Io
comunque ho bisogno di saperlo prima dell’esame, perché il tempo a disposizione per chi ha l’esame
convalidato sarà metà. Mi deve mandare l’attestato di convalida perché poi il voto finale sarà la media con
la parte che ha avuto convalidata con questa parte d’esame e inoltre dovrà sapere che cosa dovrà studiare.
Quindi manderò al più presto ai rappresentanti, un elenco in base alle presentazioni che sono caricate su
dolly nel materiale didattico, che cosa dovrà studiare chi avrà la convalida di genetica o viceversa.
Domanda: “Quanto tempo avremo a disposizione per svolgere l’esame?”.
Risposta: Io avevo già fatto la lezione sull’esame, comunque 1 ora.
Quello che vi volevo dire era che sia l’apertura del test su dolly (tutte informazioni che vi invierò quando
chiuderanno le iscrizioni, ricordarsi di iscriversi, perché bisogna fare un test di smowl e poi bisogna che voi
leggiate le istruzioni che io vi mando, i link da seguire ecc..). Comunque nelle istruzioni che vi manderò, ci
sarà scritto che l’esame dura un’ora, ammesso che abbiate tutto l’esame da svolgere, cioè che non abbiate
convalide, avrete a disposizione 60 minuti per 30 domande. Tutto questo è registrato nell’altra lezione su
dolly, quella che avevamo fatta in sincrono. 60 minuti cosa significa? L’esame comincia alle 11:30, così è
stato programmato e così deve essere per il monitoraggio di smowl e non si può cambiare. Se vi collegate
alle 11:30 avete tempo fino alle 12:30, dopodiché il quiz si chiude. Se per caso avete difficoltà di
connessione o altre difficoltà, abbiamo una finestra di 20 minuti oltre a quell’ora, che forse aumenterò a 30
minuti, poi ve lo specificherò, per cui anche se per difficoltà di connessione uno si collega alle 11:40, ha
ancora davanti 1 ora per poter finire il compito, non gli si chiude il compito alle 12:30. Però questa finestra
non può essere lasciata aperta all’infinito, quindi pensavo per il quiz come il vostro di lasciare aperta la
finestra di dolly e smowl fino alle 13:00. Comunque avrete a disposizione solo 1 ora, fa fede il momento in
cui vi collegate e iniziate a fare il quiz, da quel momento avete 1 ora, se per motivi vari vi collegate dopo,
cercate di non farlo, anche se può succedere, avrete 1 ora davanti a patto che vi colleghiate entro le 12:00.
Questo significa che alle 13:00 si chiude tutto e chi rimane a metà consegna a metà.
Queste cose saranno dettagliate proprio nella email che vi manderò su esse3, quindi dovete tenere
monitorata l’email universitaria perché è attraverso quella che vi darò tutte le istruzioni per come si
svolgerà il quiz e all’ultimo momento (10/15 minuti prima dell’esame) riceverete la password per accedere
al quiz. Quindi non so se guardate frequentemente l’email unimore, ma i giorni precedenti l’esame e il
giorno stesso dovete controllarla spesso, perché esse3 ovviamente manda le comunicazioni sulle vostre
email istituzionali.
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Zaimaj, Zeni, Abbati Marescotti
BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini)
Lezione 19 17/05/2021
SIMULAZIONE
Qui le domande non sono in ordine cronologico di come abbiamo fatto le lezioni, anche perché così non
saranno nel test. Ognuno di voi avrà un ordine diverso, perché l’organizzazione del quiz è stata impostata in
modo da rimescolare le domande e comunque sono 30 domande su tutto il programma quindi che una
domanda venga prima o dopo a seconda di come le abbiamo studiate non importa, basta che le abbiate
studiate.
Ora vi mostro il file di word con le 15 domande per mostrarvi come sarà l’esame e vi spiego quali difficoltà
potreste incontrare.
1) Lo xeroderma pigmentoso è una malattia che non abbiamo fatto, quindi era solo un esempio per
dimostrarvi come può essere una domanda su una malattia. In questo caso è una malattia tumorale e
quello che viene chiesto è da cosa è causato, da mutazioni su quale classe di geni. Vi ho lasciato una
tabella in cui c’è lo xeroderma pigmentoso ma non dovete focalizzarvi su quello. In questo caso, come
vi avevo detto, ci sono due tipi di quiz, quelli a più di una risposta e quelli a una sola risposta. Qua
chiaramente c’è solo una risposta, perché appartengono solo alla classe del DNA repair, risposta “e”
corretta. Quindi qua dobbiamo segnare solo la risposta “e”.
2) Però vi ho anche detto durante la precedente
lezione sull’esame, che le difficoltà che possono
essere incontrate in questo compito, oltre le
nozioni, sono i ragionamenti che dovete fare sulle
nozioni. Una domanda tipo la numero 2 è molto
nozionistica però può essere anche una domanda
non proprio rappresentativa, cioè ci sono delle
domande che richiedono un ragionamento ulteriore. Soprattutto lo richiedono quelle domande che
richiedono più di una risposta. Tra queste risposte la “d”, che è una risposta multipla, pone il dubbio
se la “a” e la “b” siano entrambe giuste. La risposta “e” vi interroga sul fatto che tutte le alternative
proposte siano sbagliate. Ragionamento della prof: Gli eucarioti sono suddivisi in 6 regni? No, sono 4
regni. Appartengono al dominio Archea? No, perché è un dominio dei procarioti. Comprendono i
protisti? Sì. C’è una sola risposta esatta la “c”. È ovvio che qui la risposta era abbastanza facile, però
anche lì bisogna avere studiato, sapere che entrambe le prime due erano sbagliate. Questo è un
esempio in cui sono presenti domande multiple che però non sono quelle giuste.
3) Anche questa è una domanda
abbastanza semplice, perché potete,
analizzando, escludere subito la
risposta “a” e “d” perché sono
tipiche della necrosi e non
dell’apoptosi. Quello che ci può
mettere un attimo in difficoltà sono le risposte “b” e “c”, che infatti ho messo come probabili; ma
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saranno vere tutte e due? La “b” è sicuramente vera, è una delle più importanti funzioni dell’apoptosi.
Inizia con il ruffling della membrana plasmatica? Questa se sappiamo qual è la cronologia della fase
esecutiva dell’apoptosi, non inizia con il ruffling della membrana plasmatica che è uno degli eventi
forse più tardivi, sicuramente uno tra gli eventi che non sono subito all’inizio. Il primo evento è la
formazione dei pori transmembrana ad opera degli omodimeri proapoptotici e quindi la
permeabilizzazione del mitocondrio. Permeabilizzazione che avviene sulla membrana mitocondriale
esterna si ha quindi il rigonfiamento dei mitocondri e anche il rilascio del citocromo C; ci sono molte
cose prima del ruffling che è una manifestazione della membrana che avviene successivamente.
Quindi anche in questo caso, sebbene le due risposte “b” e “c” possono sembrare vere, ragionando
bisogna arrivare a capire che la risposta “c” è sbagliata e quindi anche in questo caso ci sia solo una
risposta esatta, la “b”.
4) Dovete sempre diffidare
della vostra prof perché
potrei mettere dei nomi
che assomigliano ad altri
nomi ma non significano
la stessa cosa. Nomi
magari che abbiamo sentito nel nostro corso ma non sono pertinenti a quel tipo di domanda che
quindi sarà sbagliata. Questo è un esempio. La cellula procariotica ha il DNA racchiuso nel nucleo? No,
quindi la prima è sbagliata. Non ha organelli delimitati da membrana eccetto i ribosomi? Questo
vorrebbe dire che ha i ribosomi rivestiti da membrana e quindi è sbagliata. Possiede ribosomi più
grandi rispetto ad una cellula eucariotica? No. “Sia b che c” no perché sono sbagliate entrambe.
Quindi la risposta è la “e”, sono tutte sbagliate. Non c’è neanche una risposta giusta tra quelle
proposte.
5) Una domanda di biologia molecolare / genetica molecolare. Gli operoni, e questa è giusta perché vi
ho fatto l’esempio dell’operone del lattosio; TATA box ed enhancer non ci sono nei procarioti, “sia a
che c” quindi è sbagliata, “sono tutte esatte” è sbagliata. Anche in questo caso c’è solo una risposta
giusta, la “a”.
6) Altra domanda di
genetica molecolare.
L’estremità 5’ del
filamento di DNA o
l’estremità 3’ sono
sbagliate perché non
vi ho mai detto che comincia da una precisa estremità la replicazione; ma comincia dall’origine di
replicazione, cioè il sito in corrispondenza del quale inizia la replicazione. Quindi le prime due e anche
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la “c”, il complesso della DNA polimerasi I e dei due filamenti di DNA, sono sbagliate. La risposta
giusta è la “d”.
7) Fino ad adesso vi ho fatto degli esempi in cui c’erano risposte multiple, però c’era sempre solo una
risposta esatta, come anche in questa domanda numero 7. Questa è una domanda che riguarda la
traduzione. Il sito che porta la catena polipeptidica è il sito P, quello che porta il nuovo amminoacido è
il sito A, quindi la risposta esatta è la “d”, occupano i siti P ed A del ribosoma. Qua bisogna ricordarsi
dove si legano.
8) In questa domanda numero 8,
invece, c’è più di una risposta
esatta. Andiamo a vedere quale
possono essere queste risposte
esatte. La definizione di alleli: sono
una di 2 o più isoforme alternative
di un gene, questa sembrerebbe esatta. Occupano loci corrispondenti sui cromosomi omologhi, anche
questa sembra esatta. Sono localizzati solo negli autosomi, ovviamente no. “Sia a che b” è la risposta
corretta, anche se (riferendosi alla b) vi ho detto che X e Y non sono veri omologhi, tuttavia quando si
prendono in considerazione le coppie di alleli si prendono in esame anche i cromosomi sessuali.
L’ultima è sbagliata. Questa era anche abbastanza facile.
La prof si raccomanda di leggere attentamente tutte le risposte e considerarle tutte da un punto di vista
critico, non solo nozionistico.
9) Nel caso della domanda 9 dovremmo scrivere, se non riuscissi a darvi il foglio elettronico, come detto
prima, convertirò la domanda in una che possiate risolvere senza il foglio. Genitori normali significa
fenotipicamente normali, questo sempre, in qualunque domanda di qualunque malattia. A questo
punto per risolvere questo quiz dovete sapere come si trasmette la malattia oggetto della domanda,
in questo caso il daltonismo. Quest’ultima è una malattia legata all’X recessiva. La possibilità di
generare un figlio con determinate caratteristiche è indipendente da quale gravidanza si prende in
considerazione, la probabilità è sempre la stessa anche alla centesima gravidanza; nelle domande ci
sono queste espressioni che per chi non ha studiato potrebbero indurre in errore. Innanzitutto
dobbiamo fare un ragionamento sui genotipi dei genitori. Se il padre è normale significa che è anche
geneticamente normale, non ha il gene recessivo del daltonismo. Quindi se il bambino è affetto da
daltonismo, ed è un maschio, lo può aver ereditato solo dalla madre che sarà eterozigote, portatrice.
Se facciamo gli incroci con il quadrato di Punnet, indipendentemente dal sesso significa che bisogna
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fare la somma delle femmine e dei maschi, risulta che la possibilità di generare un figlio affetto da
daltonismo è il 25%, quella di generare un figlio non affetto da daltonismo indipendentemente dal
sesso, è data da tutto il resto quindi il 75% (risposta giusta “b”)
Quindi per risolvere i quiz di genetica, Punnet o no, voi dovete sapere, per quelle malattie che abbiamo
fatto a lezione, il meccanismo di trasmissione perché altrimenti non avrete dei risultati corretti. Perché io
nella domanda metto il nome della malattia, ma non vi metto come è trasmessa, altrimenti vi risolvo io il
quiz.
10) Questa domanda è simile a quella di prima. In questo caso però dovete considerare che la malattia ha
un meccanismo di trasmissione diverso, perché l’ipercolesterolemia familiare è autosomica
dominante e quindi avremo altri risultati. Il padre è eterozigote, però ha comunque la malattia
essendo autosomica dominante, ha un allele non funzionante, mutato. La madre è una donna con
fenotipo normale, che per una malattia autosomica dominante, se un individuo è fenotipicamente
normale significa che è anche genotipicamente normale, quindi i suoi gameti sono normali. Facciamo
gli incroci. Viene chiesta la percentuale di generare un figlio (maschi più femmine) non affetti e non
portatore. Ovviamente questo non portatore è anche qui una specie di tranello, perché non esistono
dei portatori in una malattia autosomica dominante perché si manifestano sempre questi alleli
mutati. Quindi ci chiede in sostanza un figlio non affetto. Calcoliamo dal quadrato di Punnet, qual è la
probabilità dei vari incroci. Ricordate questa frase: come succede in tutte le malattie autosomiche
dominanti, un genitore malato ha sempre la probabilità di trasmettere l’allele malato al 50% della
progenie se la intendiamo sia maschi che femmine. Quindi in questo caso la risposta è 50%. Ma
questa la potreste risolvere anche se non aveste da scrivere, perché come ho scritto nella diapositiva
dell’acondroplasia, un genitore che ha questo tipo di malattia, trasmette la malattia al 50% della
progenie.
Domanda: Se avessimo una malattia autosomica recessiva il fenotipo normale indicherebbe che un
individuo (genitore) sia sano oppure bisognerebbe considerare anche la possibilità che possa essere anche
un portatore sano?
Risposta: Esatto. Il fenotipo normale indica che l’individuo è fenotipicamente normale, ma non sappiamo
com’è il suo genotipo. Se la domanda vi chiede, nel caso di una malattia autosomica recessiva come PKU
(fenilchetonuria), due genitori normali hanno un figlio affetto da PKU, qual è la probabilità di avere un altro
figlio con fenotipo normale. Nel caso di PKU se abbiamo due genitori con fenotipo normale che generano
un figlio malato, significa che erano entrambi portatori. Quando viene scritto normale o con fenotipo
normale significa fenotipicamente normale, genotipicamente lo dovete dedurre voi dal figlio che nasce.
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11) Una donna di gruppo sanguigno AB ha un figlio con un uomo di gruppo sanguigno A, il cui padre era di
gruppo 0. Qual è la probabilità che abbiano un figlio maschio di gruppo B? La donna di gruppo
sanguigno AB sappiamo già che gameti ha, è un esempio di codominanza, ha tutti e due gli alleli sia IA
che IB. Dobbiamo capire che gameti ha il padre di questo bambino: abbiamo un uomo di gruppo A,
sappiamo che gli individui maschi e femmine (qui il sesso non c’entra) di gruppo A possono avere due
differenti genotipi: IA/IA oppure IA/i. Come facciamo a capire che genotipo ha questo uomo? Lo
capiamo facilmente perché ci dice che il padre di questo uomo era di gruppo 0. Il gruppo 0 che
genotipo ha? i/i, quindi il maschio in questo caso non può essere omozigote, ma deve avere per forza
il genotipo IA/i. Quindi facciamo gli incroci con queste informazioni, la probabilità è il 25% del calcolo.
In questo caso avete dovuto fare un ulteriore ragionamento sul genotipo del padre, perché se il padre
fosse stato IA/IA gli incroci sarebbero venuti diversamente e il risultato sarebbe stato diverso; nel caso
in cui il padre dell’ uomo fosse stato di gruppo A allora avremmo avuto la certezza che il maschio
avrebbe avuto genotipo IA/IA e avremmo proceduto in quel senso, ma il fatto che nella domanda sia
specificato che il padre dell’ uomo, cioè il nonno del futuro bambino era di gruppo 0, ci ha fatto capire
che il maschio di questo incrocio ha un genotipo eterozigote IA/i. Risposta esatta è la “b”.
Domanda: Avendo specificato figlio maschio non dovrebbe essere 12,5%, dividendo 25% per due?
Risposta: Considerando che maschi e femmine, non è così, però diciamo mediamente su una grande
popolazione dovrebbe essere così, è vero, dobbiamo dividere il 50% che ci risulterebbe dalla somma dei
maschi e delle femmine di gruppo B per due e quindi la riposta giusta è il 25%.
12) L’ imprinting genomico è un argomento piuttosto ostico che vi spiegheranno molto bene in genetica
medica, noi lo abbiamo accennato in un esempio, però questa è una domanda che siete in grado di
rispondere. Quali delle seguenti affermazioni sull’ imprinting genomico è vera? Una coppia di
cromosomi omologhi proviene dallo stesso genitore, ovviamente è assurdo, è sbagliata. Vi è
un’espressione differenziale di un gene a seconda della sua origine parentale, questa è proprio uguale
alla definizione che vi ho dato, quindi la “b” è giusta. Le patologie connesse all’ imprinting genomico si
manifestano solo in età adulta, no è sbagliata, ed è sbagliata anche la “d”, non si manifestano solo in
età prenatale, questo solo è il discriminante. Le cose che non vi ho detto o che non abbiamo detto a
lezione, anche se vi sembrano intuitivamente vere probabilmente sono sbagliate, di questo non ne
abbiamo parlato. Quindi la “e” è sbagliata perché non sono tutte sbagliate. In questo caso l’unica
risposta esatta è la “b”, ma questa è una questione abbastanza nozionistica, non bisogna fare tanti
ragionamenti, vi consiglio però di ragionare, alcune parole possono indurvi in inganno.
13) Quali tra queste affermazioni su RB (gene del retinoblastoma) sono vere? È un substrato di MPF che
viene attivato nella transizione G2/M, questa è sbagliata perché RB esercita la sua funzione nella fase
G1. Viene fosforilata ad opera dei complessi cdk/cicline per promuovere la transizione G1/S, questa è
esatta. Quando è fosforilata lega il fattore di trascrizione E2F, questa è sbagliata perché se è giusta la
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“b” allora è sbagliata la “c”: quando è fosforilato ad opera dei complessi cdk/cicline del tardo G1, ma
che all’inizio del G1, non può più legare il fattore di trascrizione E2F. Esaminiamo la risposta “d”: nella
forma defosforilata funziona da repressore della proliferazione, c’è scritta sulla diapositiva di RB però
facciamo un piccolo ragionamento; perché può essere un repressore della proliferazione? Se noi
sappiamo che se viene fosforilato ad opera dei complessi cdk/cicline promuove la transizione G1/S,
nella forma defosforilata ovviamente funziona da repressore della proliferazione, cioè da repressore
della progressione dalla G1 alla S e quindi anche la “d” è corretta, quindi dovete segnare la riposta
“e” “sia b che d”.
14) Quali tra questi eventi possono portare allo sviluppo di un tumore? Anche questi sono esempi di quiz
dove c’è più di una risposta esatta, fate particolare attenzione perché questi tipi di quiz ovviamente
non saranno contrassegnati. Ricordate che la mancata individuazione di tutte le possibili riposte
esatte dà un risultato negativo, cioè la riposta viene considerata sbagliata, quindi analizzate bene
ogni risposta se può essere presa in considerazione come una riposta esatta. Sviluppo di un tumore:
“gain of function” di un gene oncosoppressore, i geni oncosoppressori perdono la loro funzione per
“loss of function”, questa è sbagliata è anche sbagliato dire “gain of function” di un gene
oncosoppressore, il gene oncosoppressore ci protegge. “Gain of function” di un proto-oncogene,
invece è l’attivazione di un proto-oncogene in un oncogene e questo sì che è giusto. Infezione da
retrovirus oncogeni lentamente trasformanti, abbiamo visto una diapositiva tutta sui retrovirus
oncogeni e anche questa è esatta, quindi in questo caso abbiamo due riposte esatte “sia b che c” e
anche in questo caso dobbiamo segnare quella risposta che racchiude entrambe le risposte esatte
che è la “d”.
15) Il processo apoptotico è caratterizzato da:
picnosi nucleare e carioressi è esatto. Lisi
degli organelli ad opera delle caspasi:
prima di tutto gli organelli non si lisano in
apoptosi, le caspasi sono delle proteasi e
non vanno a lisare gli organelli, vanno a
degradare e tagliare delle proteine. Blebbing della membrana plasmatica sì questo è un processo che
avviene in apoptosi, quindi in questo caso abbiamo due riposte esatte che sono la “a” e la “c” e quindi
segneremo la risposta “d”.
CHIARIMENTI FINALI
Il quiz è fatto in modo che le 30 domande appaiano in modo sequenziale 6 per pagina e non si può tornare
indietro, quindi dovete rispondere alle prime 6, poi cambiare (andare) alla pagina successiva, ma non
potete tornare a rivedere le risposte precedenti e questo è un altro livello di difficoltà, però ho visto che i
vostri colleghi quando studiano riescono a superare l’esame anche con questi criteri.
Domanda: Ma se si volesse lasciar da parte una domanda per tornarci alla fine non sarebbe possibile?
Riposta: Vi ho appena spiegato che non è possibile tornarci alla fine, vi danno le pagine in modo
sequenziale e non è possibile tornare indietro.
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Domanda: Sì può cambiare una risposta se si cambia idea?
Risposta: Sì, però non avete una domanda per pagina, ne avete 6 per pagina, quindi avete tempo di
ragionare. Prima di passare ad una pagina successiva si può cambiare una risposta, però non dopo.
Domanda: Ma come mai?
Risposta: Perché io l’ho impostato così. È un anno e mezzo che sto facendo gli esami in questo modo e chi
ha studiato non ha avuto problemi a superare questi piccoli ostacoli.
Mi raccomando iscrivetevi prima del 23 che poi chiudo le iscrizioni, allora il 23 maggio scadono a
mezzanotte. Lunedì a tutti quelli iscritti manderò tutte le istruzioni per accedere al sito dove si trova il link
per l’esame e poi le istruzioni di com’è fatto il test. Poi il 27 che sarà il giorno dell’esame 10/15 minuti
prima dell’esame, sempre chi è iscritto, riceverà la password per l’accesso al quiz. Alla fine del quiz, c’è
tutto scritto nelle istruzioni, spingete invia che altrimenti non arrivano i risultati e non viene considerato
finito. L’ invio non è automatico, dovete inviare voi ma anche questo c’è scritto nelle istruzioni. Se non lo
avete già fatto da mail che vi ho inoltrato ai vostri rappresentanti, dovete scaricare SMOWL e fare quella
prova che vi chiede, vi consiglio di farlo non oltre le 48 ore prima del test; è successo l’anno scorso che la
registrazione non è andata a buon fine e l’esame è stato annullato, però se non lo fate all’ ultimo momento,
potete fare il test di verifica e quindi se ci sono problemi si può contattare lo “specialist”. I risultati saranno
elaborati nei giorni successivi, perché per il risultato di dolly lo calcola subito il sistema, però per la
validazione di SMOWL devo guardare foto per foto le vostre facce mentre fate l’esame, devo guardare i siti,
spero che non vi colleghiate, e per ogni collegamento va osservato e verrà giudicato se è una cosa
permessa o no, perché sono permessi solo i collegamenti con esami di medicina e la mail perché vi ho
mandato la password e basta. Quindi i report di SMOWL mi arriveranno 48 ore dopo e dovrò analizzare
tutti, siete in cento e quindi ci vorranno un po’ di giorni.
Domanda: il giorno 27 avremmo nelle ore di esame anche lezione di biochimica, dobbiamo avvisare il prof
che alcuni faranno l’esame?
Risposta: Mi dispiace pensavo che le lezioni fossero finite, alcuni faranno questo esame, adesso siete iscritti
in 92. Non è una cosa bella, se l’avessi saputo lo avrei fatto la settimana successiva. Non so rispondervi.
Girano anche notizie allarmanti come che se uno starnutisce si annulla l’esame o cose del genere, ma non è
vero. I motivi per i quali gli esami sono stati annullati sono:
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La telecamera disattivata per un periodo di tempo consistente, più di uno o due minuti
La registrazione non corretta su SMOWL per cui il report di SMOWL di quello studente non mi è
pervenuto. Ripeto registratevi correttamente, fate la prova anche adesso non vi costa niente,
anche se non fate l’esame al primo appello
Lo studente non si riesce a connettere, dipende dalla connessione che avete nelle vostre case o da
dove vi collegate, ovviamente è meglio che in quel momento tutti quelli che sono in casa non
guardino film su internet o cose del genere
Tenete presente che la principale causa di abbassamento del voto è quella del discorso delle domande
valutate sbagliate perché non avete trovato tutte le risposte esatte.
Domanda: solo l’emofilia A è legata all’ X recessivo?
Risposta: Sì, l’emofilia B non ha questo tipo di trasmissione, infatti noi abbiamo parlato solo dell’emofilia A
e del fattore ottavo e non dell’emofilia B e del fattore nono.
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