Abbati F., Abbati M., Battaglia BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 1, 8/03/2021 BIOLOGIA E GENETICA PRESENTAZIONE DEL CORSO Le lezioni saranno registrate seguite poi da alcune lezioni in streaming dedicate alla discussione degli argomenti già spiegati con la possibilità di fare domande. Le domande possono anche essere fatte attraverso il forum creato nella pagina del corso di Dolly. Ai rappresentanti verrà dato il link del forum. In questa pagina di dolly ci saranno il link per accedere alle video lezioni, il link per scaricare il file delle presentazioni che la docente ci fornirà e un forum su cui fare domande. BIOLOGIA E GENETICA DEL III MILLENNIO In questa lezione l’obiettivo è quello di spiegare quanto è importante che un medico del terzo millennio abbia una conoscenza approfondita della biologia e della genetica. La biologia e la genetica del III millennio sono molto differenti da quelle del millennio precedente, infatti queste due branche delle scienze di base, strettamente correlate alla medicina, hanno subito una grandissima evoluzione, specialmente nell’ultimo decennio. Come futuri medici dobbiamo avere una conoscenza di base di queste due materie che hanno grande applicazione nelle materie specialistiche degli anni successivi La fotografia ritrae il lavoro pubblicato su “Nature” nel 1953 in cui Watson e Crick mostrarono per la prima volta il modello del DNA. Questo modello fu costruito attraverso nozioni ed esperimenti precedentemente svolti da altri scienziati. Il genio di questi due ricercatori fu quello di mettere insieme queste nozioni e costruire il modello che è tuttora utilizzato. INTRODUZIONE ALLA BIOLOGIA E ALLA GENETICA MODERNA Alla fine del II millennio è stato iniziato il Progetto Genoma. Esso è stato un progetto internazionale di ricerca, ormai concluso, che aveva lo scopo di mappare il genoma umano, ovvero descrivere la sequenza e la posizione dei circa 20.000 geni che caratterizzano la specie umana. Quindi lo studio del genoma implica il sequenziamento del DNA, cioè la determinazione della sequenza del DNA e anche la localizzazione cromosomica di ogni gene. Proprio nel febbraio 2001, pochi anni dopo l’inizio del Progetto Genoma Umano, esso si concluse. Quindi tutto il genoma umano fu sequenziato e la localizzazione cromosomica dei geni identificata. Questi sono i due articoli che sono usciti nel febbraio 2001 contemporaneamente nelle due importantissime riviste mediche: 1 Abbati F., Abbati M., Battaglia BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 1, 8/03/2021 Nature e Science. Tutt’ora sono riviste multidisciplinari importanti e che comunicano come il genoma umano sia stato interamente sequenziato. PROGETTO GENOMA Il Progetto Genoma si proponeva di sequenziare e determinare la localizzazione dei geni. Tuttavia una volta completato il Progetto Genoma Umano, la scoperta della sequenza della localizzazione dei geni è stata la premessa per poi affrontare lo studio della funzione dei geni. È proprio attraverso la funzione dei geni, nella fisiologia, che è possibile determinare, nella patologia, quali vie di segnalazione sono alterate e perché sono alterate attraverso le mutazioni, ovvero alterazioni del DNA, alcune funzioni geniche. La comprensione della funzione dei geni e di quali malattie possono derivare dalle loro alterazioni, cioè le mutazioni, costituisce l’obiettivo finale del progetto che ovviamente non è ancora stato raggiunto. La funzione dei geni e soprattutto le basi genetiche delle malattie non sono state ancora tutte chiarite. Si parla non solo di disordini rari, ma anche di disordini metabolici comuni (il diabete, le malattie cardiache, il cancro) tutti accomunati dal fatto di avere basi genetiche. Perciò non si parla solamente di malattie genetiche classiche, monogeniche, come la sindrome di distrofia di Duchenne, ma di tutte le malattie esistenti. Quindi tutte le malattie hanno una base genetica e alla base di queste c’è sempre l’alterazione di uno o più geni che vanno a influire su vie di segnalazione e causano la malattia. Inoltre per curare una malattia è indispensabile conoscere la sua causa. Per cui ciò che i ricercatori stanno studiando in vari ambiti è andare a capire la funzione dei geni nella fisiologia e come la loro alterazione, attraverso le mutazioni, possa influire nella formazione o nella predisposizione a determinate malattie. Il progetto genoma ha anche portato alla luce che: Lo scimpanzè e l’uomo hanno in comune circa il 99% dei geni, anche se differiscono molto in quanto ad aspetto e comportamento. Quindi il tipo e il numero dei geni non sono i soli responsabile del fenotipo, cioè dell’aspetto di un organismo, ma queste differenze per esempio tra l’uomo e lo scimpanzè sono imputabili all’espressione dei geni nei due organismi. Come dice il genetista Boncinelli: “Non è importante quanti geni abbiamo ma è importante quando, quanto e dove, cioè in che tessuto, questi geni sono espressi.” Quindi tutti questi meccanismi di regolazione dell’espressione genica sono responsabili delle differenze fenotipiche di due organismi che hanno in comune una gran parte di geni. Si ricorda che la definizione di gene classica comporta la definizione di una porzione di DNA che codifica per una proteina. Nel genoma mappato sono stati rilevati oltre ai geni codificanti per proteine, solo 1,5% del DNA, mentre il restante 98,5% è costituito da geni non codificanti. Essi sono geni che non portano alla produzione di una proteina. Inizialmente questi ultimi furono chiamati “DNA spazzatura o junkDNA”, ovvero DNA che non serviva a nulla perché non codificava per proteine. Successivamente si è compreso che una grande quantità di geni non codificanti per proteine vengono trascritti in RNA. L’RNA non viene successivamente tradotto in proteine ma riveste una grossissima importanza nei meccanismi di regolazione dell’espressione genica, come i micro-RNA, i long non-coding RNAs e altri. 2 I geni codificanti della specie umana, che si pensava fossero tra i 100.000 e i 200.000, erano solamente 20.000, numero esiguo se li si confronta con C. elegans (Caenorhabditis elegans), un verme, che ne possiede 18.000, o nei confronti di una pianta che ne ha 28.000. Si pensava che il numero di geni fosse direttamente proporzionale al ‘livello di evoluzione’ della specie, il Progetto Genoma ha dimostrato che non è così. Abbati F., Abbati M., Battaglia BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 1, 8/03/2021 Per cui basandosi sul numero dei geni non si possono spiegare le differenze tra un organismo ed un altro, ma solamente attraverso il tipo di geni e quanto, dove e quando sono espressi questi geni. Riassumendo per quanto riguarda il genoma umano sono state contate: - 3,1 miliardi di paia di basi - 1,5% codifica per geni propriamente detti, cioè codificanti per proteine - 99,8% della sequenza di DNA è comune nella specie umana - 0,2% della sequenza è diverso tra individuo e individuo (circa 5 milioni di basi: circa 1 ogni 600 basi) e questo spiega le differenze interindividuali all’interno di una stessa razza o le differenze interrazziali. TECNICHE POST-GENOMICHE Con la conclusione del progetto genoma, quindi il sequenziamento di tutti i geni umani, si sono messe appunto nuove tecniche di studio di tutto il DNA che prendono il nome di tecniche post-genomiche. Queste tecniche permettono di sondare tutto il genoma e sono state messe appunto dopo che il genoma è stato interamente sequenziato. Quindi lo studio a livello gene wide, ovvero di tutto il genoma, ha permesso di potenziare la ricerca biomedica in modo eccezionale riguardo vari aspetti: 1. Patogenesi molecolare delle malattie. Se si pensa che nel 1990, prima del Progetto Genoma, si conoscevano meno di 100 geni associati a malattie, ora se ne conoscono varie migliaia. Per esempio per almeno 5000-6000 malattie genetiche si conoscono i geni alterati così come per quasi tutte le forme di cancro. Ciò non significa che si conosce il modo per curare queste malattie, ma conoscere la causa molecolare di una malattia è il primo passo per progettare una cura per la suddetta malattia. 2. La regolazione dell’espressione genica 3. La definizione di tutto l’assetto degli RNA cellulari, detto trascrittoma, ovvero l’insieme di tutti i trascritti del DNA in una cellula; mentre il proteoma è l’insieme di tutte le proteine tradotte in una cellula. 4. La distribuzione qualitativa e quantitativa degli intermedi metabolici, il metaboloma. Per cui il trascrittoma, insieme di tutti i trascritti all’interno di una cellula, è studiabile con varie metodiche: - Sequenziamento massivo dell’RNA - Tecniche di DNA microarrays che, con un solo esperimento, permettono di studiare l’espressione di decine di migliaia di RNA all’interno di una popolazione cellulare. Permettono di tracciare il cosiddetto profilo di espressione o trascrittoma che definisce il fenotipo molecolare di una cellula e di conseguenza le sue funzioni. Quindi l’analisi dell’espressione genica con varie tecniche quindi anche il sequenziamento, non solo il DNA microarray, ha permesso di valutare l’espressione genetica differenziale di alcune funzioni cellulari, ad esempio tra cellule normali e cellule patologiche. Quindi la differenza nell’espressione dei geni che guidano la proliferazione cellulare o il differenziamento cellulare o la trasformazione, di conseguenza la progressione tumorale, il programma pro-apoptotico, i geni coinvolti nella risposta multi-farmaci etc. Queste tecniche di definizione del profilo di espressione genica, quindi lo studio del trascrittoma, hanno permesso di evidenziare la diversa espressione genica e quindi la diversa attivazione di vie di segnalazione 3 Abbati F., Abbati M., Battaglia BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 1, 8/03/2021 in una cellula normale rispetto ad una patologica. Ciò è molto importante per l’impostazione di una terapia mirata contro la cellula patologica. DIAGNOSTICA MOLECOLARE L’era della post genomica ha fatto nascere anche altre branche della medicina come la diagnostica molecolare, la quale è una metodica per fare diagnosi attraverso tecniche di biologia molecolare. Prima della diagnostica per immagini e ancora prima della diagnostica attraverso gli esami di laboratorio, esisteva solamente la diagnostica basata sui sintomi che il paziente riferiva al medico, la cosiddetta semeiotica. Poi, durante il II millennio, si sono sviluppate le tecniche di analisi dei fluidi corporei, in particolar modo di sangue e urine, le tecniche di diagnosi per immagini e negli ultimi decenni la diagnostica molecolare. Esempio di diagnostica molecolare Si riferisce ai test genetici finalizzati all’identificazione, a livello molecolare, di mutazioni germinali, cioè ereditati dai genitori, di geni che predispongono o al cancro, come i geni BRCA1 e 2 o MSH1 e 2, o a malattie metaboliche, come LDLR. I test genetici si basano sul sequenziamento dei geni sopracitati. In particolare: geni come BRCA1 e 2 (acronimo per Breast Cancer 1 e 2) sono dei geni la cui mutazione causa, in una grande percentuale di casi, il carcinoma mammario ereditario e il carcinoma ovarico. E’ fortemente consigliato a chi ha in famiglia più di un parente di primo grado con uno o più di questi tumori di avvicinarsi ai centri di diagnostica per svolgere il test che permette alle donne di essere inserite in un percorso di follow-up molto stretto che prevede oltre alle comuni mammografie anche risonanze magnetiche nucleari per cercare di individuare il più precocemente possibile questi tumori o e poterli curare al meglio. Per cui mutazioni di BRCA 1 e 2 predispongono al cancro mammario e dell’ovaio. Mutazioni di MSH1 e 2 predispongono per un tipo famigliare di cancro del colon. Anche in questo caso a chi possiede in famiglia più di un parente di primo grado con cancro del colon, in questo caso per le donne anche cancro dell’utero, pancreas etc. è consigliato fare il test per essere introdotto in un circuito di follow-up che permetta, nel caso in cui insorga questo cancro, di essere curato il prima possibile. Mutazioni di LDLR (acronimo di Recettore delle Lipoproteine Plasmatiche, LDL quelle che portano il colesterolo ‘cattivo’, causano arteriosclerosi nelle arterie e predispongono a malattie cardiovascolari) causano una mancata internalizzazione all’interno delle cellule di LDL che rimangono con il colesterolo esterificato libere nel plasma. Quindi si vanno a formare le placche arteriosclerotiche nelle arterie predisponendo l’individuo a malattie e accidenti cardiovascolari come infarto del miocardio e ictus. Anche in questo caso, la mutazione è ereditata ed è consigliato sapere se la si possiede attraverso lo screening genetico per sottoporsi a terapie e monitoraggio adeguato con vari sistemi diagnostici per l’arteriosclerosi. Le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte in Italia. TERAPIA GENICA La terapia genica è un’altra importante branca della medicina che ha fatto un passo molto in avanti con il completamento del Progetto Genoma. 4 Abbati F., Abbati M., Battaglia BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 1, 8/03/2021 Terapia genica significa ‘cura con i geni’ ed è finalizzata alla correzione di un difetto genetico; si tratta di una definizione molto semplicistica. Nel caso di una malattia genetica monogenica (es: distrofia muscolare di Duchenne o fibrosi cistica), viene individuata una mutazione in un gene il quale diventa difettoso nella produzione della corrispondente proteina e ciò causa la genesi della malattia. La cura per questa malattia è costituita dall’introduzione di un gene wild-type, cioè selvatico e non mutato, all’interno della cellula che possiede la mutazione, attraverso un vettore virale modificato in laboratorio per non dare nessuna malattia virale. Esso viene utilizzato solo come vettore per trasportare all’interno della cellula questo DNA, che poi viene integrato nel DNA della cellula e produce la proteina wild-type funzionante, capace di esercitare la propria funzione e quindi guarire gli individui malati. Questo può sembrare un approccio molto diretto e semplicistico ma ci sono molti problemi tecnici, per cui alcune malattie, come la distrofia muscolare di Duchenne, non sono ancora state curate con questa tecnica per vari motivi tecnici. Ora forse con le nuove tecniche CRISPR e CRAS9 ci sono dei notevoli progressi ma la terapia genica classica non è riuscita a curare alcune malattie monogeniche. La terapia genica classica è riuscita a curare una schite, cioè una immunodeficienza severa nei bambini. Questa patologia provoca una mancata risposta immunitaria contro gli agenti patogeni, per mancata produzione di linfociti T. Questi bambini sono detti ‘bambini bolla’ e devono vivere costantemente sotto una bolla di plastica in ambiente sterile perché altrimenti morirebbero di infezione in quanto fortemente immunodepressi. Nel caso dell’ADA-SCID, causata da una mutazione sul gene ADA, cioè il gene per l’adenosina deaminasi, la terapia genica è riuscita a trovare una cura. L’adenosina deaminasi è un enzima coinvolto nel metabolismo delle purine, è un enzima indispensabile in molti tipi cellulari. La sua carenza ha come effetto più grave la morte dei linfociti T, quindi una grave immunodeficienza, la SCID. L’introduzione del gene corretto avviene nelle cellule staminali emopoietiche, si tratta appunto di produzione di linfociti T normali e il sistema emopoietico è interessato nella sintesi di questi. Pertanto modificando geneticamente con un virus le cellule staminali emopoietiche ed introducendo in queste staminali emopoietiche il gene ADA normale, si è riusciti attraverso l’infusione di queste staminali corrette a ripristinare una emopoiesi normale in questi pazienti che di fatto, se non curati, hanno basse aspettative di vita. Il primo successo si ebbe con un trial clinico su una paziente di soli quattro anni. Da lei sono state prelevate le cellule staminali emopoietiche, successivamente corrette in vitro grazie ad un vettore virale che ha infettato queste cellule correggendole e introducendo il gene ADA normale. La rinfusione nella paziente ha guarito la malattia perché ha potuto ripopolare, con queste cellule corrette, il midollo osseo della paziente e produrre linfociti T normali che hanno conferito alla paziente immunocompetenza, ovvero la possibilità da difendersi da infezioni. La biologia e la genetica per il medico del III millennio sono: 5 Prevenzione e cura del cancro. Molte forme di cancro sono state curate anche attraverso la chemioterapia tradizionale la quale bersaglia le cellule che all’interno dell’organismo si moltiplicano di più attraverso inibitori della sintesi proteica, della sintesi del DNA etc. Sono sorte anche molte terapie mirate (targeted-therapy), ovvero terapie che vengono costruite appositamente sulle Abbati F., Abbati M., Battaglia BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 1, 8/03/2021 lesioni genetiche evidenziate in una particolare malattia. Queste hanno il vantaggio di essere molto più selettive: vanno a raggiungere direttamente il bersaglio tumorale e avere meno effetti collaterali della chemioterapia tradizionale, la quale ne possiede moltissimi tra cui immunosoppressione e spesso causa la morte del paziente per infezioni opportunistiche. Prevenzione e cura di malattie genetiche, genetica prenatale (che sarà una delle parti finali del corso) e terapia genica da sviluppare su malattie che non sono ancora state curate per motivi tecnici Prevenzione e cura di malattie infettive come AIDS, ma in generale tutte le malattie virali contro le quali non possediamo molte armi Prevenzione e cura di malattie degenerative, proprie del Sistema Nervoso Centrale, come Parkinson e Alzheimer che ancora non sono curabili o solo parzialmente. Cura significa guarigione, prevenzione, guarigione completa. Per molte di queste malattie, soprattutto per quelle neurodegenerative, sono fornite terapie palliative, ovvero terapie che per un certo periodo riescono a curare i sintomi ma ciò non significa guarire il paziente. L’EVOLUZIONE Le varie forme di vita sulla Terra sono correlate tra loro. Gli organismi si sono evoluti da forme di vita primordiale. Per quanto riguarda i doveri di un medico del III millennio sono quelli di rendersi conto che si è entrati in una nuova era, nella quale si dispone di strumenti innovativi per rispondere a vecchie e nuove domande. Quindi il medico ha la necessità e il dovere di mettere ogni paziente nelle condizioni di conoscere i risultati fondamentali del progresso scientifico per poterlo comprendere e utilizzarlo nella maniera più opportuna. Per fare ciò il medico deve conoscere i risultati fondamentali del progresso scientifico, vigilare sulla correttezza delle informazioni trasmesse, aggiornarsi continuamente attraverso corsi di aggiornamento e la letteratura scientifica. Per fare ciò è necessario fare riferimento unicamente alle fonti ufficiali che sono solamente le pubblicazioni e i libri scientifici e altro materiale autorizzato. PROGRAMMA TESTI CONSIGLIATI Solomon-Berg-Martin, Fondamenti di Biologia. Edizione: VII, 2017; Edises Editore Per la consultazione: De Leo-Fasano-Ginelli, Biologia e Genetica. Edizio e IV, 2020; Edises Editore 6 Abbati F., Abbati M., Battaglia BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) CONTATTI e-mail: [email protected] 7 Lezione 1, 8/03/2021 Abbati F., Abbati M., Battaglia BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 1, 8/03/2021 CARATTERISTICHE DEGLI ORGANISMI VIVENTI Le principali caratteristiche degli organismi viventi sono: 8 Sono composti da cellule (procariotiche o eucariotiche), possono essere unicellulari o pluricellulari; i procarioti possono essere unicamente unicellulari. Le dimensioni della cellula sono microscopiche: ad esempio la cellula uovo umana ha dimensioni di 100 micron ed è la cellula più grande del nostro organismo; una cellula epiteliale ha un diametro intorno ai 40 micron e le cellule del sangue tra i 10 e i 20 micron. Gli organismi si accrescono aumentando il numero delle loro cellule e non la loro dimensione: infatti le dimensioni microscopiche delle cellule rendono possibili gli scambi necessari con l’esterno attraverso la membrana cellulare e tra compartimenti intracellulari. Il rapporto tra la superficie e il volume è direttamente proporzionale alla velocità degli scambi con l’esterno, quindi minori sono le dimensioni cellulari maggiore sarà la velocità di scambio. Alcune cellule modificano la loro forma al fine di aumentare la superficie cellulare e di conseguenza l’efficienza degli scambi. Ricordiamo ad esempio la forma a disco biconcavo del globulo rosso, che ha la funzione di scambiare ossigeno e anidride carbonica con il sangue, oppure la forma delle cellule dell’epitelio intestinale dotate di estroflessioni della membrana cellulare (microvilli) al fine di assorbire i nutrienti della dieta con maggior efficienza. La maggior parte delle cellule ha dimensioni microscopiche anche per un’altra motivazione, ossia che le molecole/macromolecole che entrano nella cellula devono così percorre un tragitto più breve e questo accelera le attività cellulari, rendendole compatibili con la durata della vita della cellula stessa. Altri esempi delle modificazioni della forma delle cellule possono essere quella dello spermatozoo o del neurone. Tutte le cellule dei nostri tessuti derivano dalle cellule staminali di forma essenzialmente sferica che poi modificano la loro morfologia durante il differenziamento al fine di adeguarsi alla funzione che dovranno svolgere. Quindi ad esempio lo spermatozoo parte da una forma sferica che viene poi fortemente modificata: si arriva ad una cellula con un flagello, una testa e d un collo che la rende adatta a fecondare la cellula uovo. I neuroni invece per svolgere la loro funzione hanno bisogno di connessioni intercellulari che avvengono per mezzo di dendriti ed assone; sono avvolti da mielina (cellule della glia a formare questa struttura) che permette la conduzione veloce dell’impulso: il nervo viene così isolato permettendo una velocità e una efficienza nel passaggio dell’impulso molto maggiore. Crescono e si sviluppano Compiono reazioni metaboliche e le regolano Abbati F., Abbati M., Battaglia BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) 9 Lezione 1, 8/03/2021 Rispondono agli stimoli; lo vedremo soprattutto per gli organismi pluricellulari che rispondono a stimoli chimici, luminosi o di qualsiasi altro tipo Si riproducono: o in maniera asessuata come avviene per alcuni organismi come, per esempio, i procarioti o altri eucarioti unicellulari oppure sessuata per gli organismi pluricellulari. La riproduzione sessuata è la fonte più importante della variabilità genetica per una specie. Hanno diversi livelli di organizzazione: atomi, molecole, organuli, cellula, organo, apparato, organismo intero. Un organismo di una determinata specie forma con altri individui della stessa specie una popolazione. Alcune popolazioni che possono convivere in uno stesso ambiente formano una comunità, tante comunità formano un ecosistema e gli ecosistemi formano la biosfera. Trasmettono l’informazione da una generazione all’altra (DNA): il DNA viene ereditato dalla cellula madre in caso di riproduzione asessuata oppure dai due genitori in caso di riproduzione sessuata, con modalità che approfondiremo. Gli organismi hanno la possibilità di replicare il DNA, trascrivendolo in molecole di RNA messaggero che poi nel citoplasma verrà decodificato, tramite il processo definito traduzione, in proteina. Le proteine poi svolgono le funzioni all’interno della cellula. Alcuni RNA non vengono tradotti in proteine ma hanno come unica ed importantissima funzione quella di regolare l’espressione genica. Le cellule sono diverse tra loro perché esprimono diverse proteine: l’espressione delle proteine è governata da numerosi fattori tra cui gli RNA non codificanti. Le cellule sono diverse tra loro anche se hanno tutte lo stesso DNA all’interno dello stesso organismo perché esprimono diverse proteine. Si evolvono e si adattano all’ambiente. L’ adattamento è definito come la capacità di un determinato organismo di sopravvivere in un dato ambiente. Si parla di selezione naturale: solo gli organismi meglio adattati all’ambiente sopravvivono e si riproducono dando un contributo al mantenimento della specie. Un esempio può essere la lunghezza della lingua della rana: sono state selezionate le rane con la lingua lunga perché così possono cibarsi degli insetti senza essere esposte particolarmente ai predatori. Oppure gli uccelli per volare con maggiore efficienza hanno alleggerito il loro scheletro. Il mimetismo permette in alcuni ambienti di nascondersi e dunque di sfuggire ai predatori. L’adattamento può essere strutturale (come negli esempi precedenti), fisiologico per alcune funzioni oppure comportamentale come in fig 1: le zebre posizionandosi coda-coda possono cibarsi ed osservare l’eventuale arrivo di un predatore a 360° essendo in due. Gli organismi viventi si evolvono secondo la teoria dell’evoluzione che è in grado di spiegare come le popolazioni di organismi sono cambiate nel tempo. L’evoluzione è il concetto unificante di base di tutta la biologia, si è Abbati F., Abbati M., Battaglia BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 1, 8/03/2021 poi cercato di capire struttura, funzione e comportamento dei vari organismi e le loro interazioni durante un lungo e continuo processo evolutivo che continua anche oggi per quanto non sia visibile concretamente. CLASSIFICAZIONE DEGLI ORGANISMI VIVENTI La classificazione degli organismi viventi è binomiale: questo significa che ogni organismo vivente ha due nomi. La sistematica studia la diversità degli organismi e le loro differenze evolutive. La tassonomia studia la classificazione e la nomenclatura degli organismi. La nomenclatura binomiale, inventata dal biologo Linneo, assegna a ciascuna specie un nome doppio: - Il primo nome si riferisce al genere - Il secondo alla specie L’uomo, per esempio, è ad oggi classificato come homo sapiens (homo=genere; sapiens=specie), prima abbiamo avuto altre specie del genere homo. Per quanto riguarda il cane abbiamo una distinzione tra cane domestico (canis familiaris) e il lupo (canis lupus). La specie è definita come un gruppo di organismi con struttura, funzione e comportamento simili. I membri si possono incrociare solo tra loro perché hanno lo stesso numero di cromosomi ed hanno un antenato comune. Il genere raggruppa specie strettamente correlate. Gli organismi viventi si possono raggruppare in tre domini e sei regni: 5. Due domini di procarioti: Archea ed Eubacteria che corrispondono ai due regni di Archeobatteri e Eubatteri; gli Archeobatteri sono quelli più ancestrali mentre gli Eubatteri sono più “moderni” perché si sono separati dagli archeobatteri con cui hanno un antenato comune; sono eubatteri anche i batteri patogeni per l’uomo, mentre gli archeobatteri hanno addirittura una funzione di aiuto, sono benefici per la specie umana in determinati contesti. 6. Dominio Eukaria (a cui appartengono gli eucarioti) che si divide in quattro regni: Animali, Funghi Piante e Protisti; i protisti sono i protozoi, le alghe e le muffe: possono essere uni o pluricellulari, alcuni di essi sono fotosintetici e quindi in grado di fabbricarsi energia; i funghi sono divisi in lieviti, muffe e funghi: non sono mai fotosintetici; le piante vascolarizzate (con un sistema in cui scorre la linfa) come le felci, le conifere, le piante ed i fiori ma anche le piante non vascolarizzate come i muschi sono tutte fotosintetiche: si producono da sole il glucosio e sono quindi indipendenti da altri organismi per la sopravvivenza; gli animali non sono fotosintetici e quindi si nutrono di altri organismi per trarre nutrimento, ma sono dotati della più alta specializzazione di tessuti, organi e sistemi. 10 Abbati F., Abbati M., Battaglia BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 1, 8/03/2021 ADATTAMENTO Le specie si adattano ai cambiamenti ambientali: ciascun organismo è il prodotto di complesse interazioni tra i geni dei suoi antenati (che ha ereditato) e le condizioni ambientali. Se tutti gli organismi fossero identici mutamenti dell’ambiente farebbero estinguere l’intera specie: per questo la variabilità genetica e fenotipica (data principalmente dalla riproduzione sessuata) è fondamentale per la sopravvivenza della specie. Gli adattamenti ai cambiamenti ambientali sono quindi il risultato di processi evolutivi durante i millenni e molte generazioni della specie. I membri della popolazione diventano sempre meglio adattati all’ambiente e si modificano progressivamente dai loro antenati. Le tre specie di fringuelli in fig. 2 avevano un antenato comune ma in ambienti diversi hanno sviluppato diversamente il loro becco per approvvigionarsi il cibo disponibile e quindi adattarsi al meglio all’ambiente in cui vivevano. Fig.1 La selezione naturale è quindi un importante meccanismo con cui l’evoluzione procede. Ogni forma di vita esistente sulla Terra discende da forme preesistenti: l’evoluzione è alla base della diversità che esiste tra organismi viventi sulla Terra. Questa tesi è supportata dall’evidenza del fatto che ogni membro di una specie è diverso dall’altro (molto evidente nella specie umana, ma vale anche per le altre specie). Nascono molti più organismi di quelli in grado di sopravvivere fino alla riproduzione per garantire la sopravvivenza della specie: valido soprattutto per le specie non umane in cui le cure parentali sono più scarse. La rana dei boschi, ad esempio, produce molti embrioni per assicurarsi la continuità della specie stessa. Gli organismi competono tra loro nell’ambiente per procurarsi le risorse in termini di cibo, luce e spazio: sopravvive e si riproduce (ha una “fitness evolutiva”) solo chi possiede le caratteristiche vantaggiose per procurarsi le risorse. Gli organismi che sopravvivono e si riproducono trasmettono le loro caratteristiche vantaggiose alla loro prole. Gli individui meglio adattatati si riproducono di più e hanno quindi un maggior successo. Darwin quando ha elaborato la teoria della selezione naturale non conosceva però ciò che sta alla base delle differenze tra gli organismi (caratteristiche più o meno vantaggiose): variazioni delle sequenze del DNA. Diverse sequenze del DNA codificano per uno stesso carattere; avvengono delle mutazioni, che non sono da intendere come negative, che poi vengono trasmesse (diverse sequenze di DNA che conferiscono caratteristiche diverse ai membri della specie). IL METODO SCIENTIFICO Il metodo scientifico è quello che ogni scienziato dovrebbe applicare quando fa un’osservazione ed esegue esperimenti per confermare un’ipotesi che ha formulato. Il metodo scientifico comporta una serie di passaggi ordinati in cui le ipotesi (supposizioni verificabili) vengono verificate con ulteriori osservazioni, ovvero esperimenti. I risultati dopo gli esperimenti vengono valutati: l’ipotesi può essere confermata oppure no. Se l’ipotesi viene 11 Abbati F., Abbati M., Battaglia BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 1, 8/03/2021 confermata diventa una teoria e si costruisce su di essa un principio, altrimenti l’ipotesi viene scartata. Le previsioni(ipotesi) possono quindi essere verificate con gli esperimenti: un esempio di esperimento in fig3 in cui abbiamo nel pannello (a) un gruppo sperimentale nel quale viene rimosso con un’ansa metallica il nucleo di una ameba; l’osservazione sperimentale è che l’ameba muore. Se non sapessimo nulla riguardo al nucleo potremmo chiederci se l’ameba muore perché il nucleo è fondamentale per la vita della cellula o se è stata la manipolazione meccanica dell’ansa a danneggiare l’ameba e farla morire. A questo fine facciamo un gruppo di controllo (b) in cui c’è la manipolazione meccanica da parte dell’ansa metallica ma poi il nucleo viene riposizionato in sede: il risultato di questo esperimento è che l’ameba vive. Dunque, possiamo concludere che non è la manipolazione meccanica, ma rimozione e la mancanza del nucleo a far morire l’ameba. Questo ovviamente è un esperimento banale, ma mostra l’importanza di avere gruppi di controllo in cui facciamo un trattamento che ci permette di discriminare un effetto aspecifico (es. manipolazione meccanica) da uno specifico (es. rimozione di un nucleo). Dobbiamo evitare i preconcetti: le nostre ipotesi devono essere confermate dagli esperimenti, non dobbiamo essere certi che gli esperimenti verificheranno le nostre Fig. 2 ipotesi. Lavorare in doppio cieco è importante, ovviamente quando possibile. Ci si organizza in laboratorio con delle codifiche del campione di cui non conosciamo i dettagli prima dell’analisi dei risultati. Lo sperimentatore fa l’esperimento, ma chi analizza i dati è un’altra persona. I campioni di cui analizza i dati sono contrassegnati da un codice, che poi li ricondurrà ai risultati dell’esperimento. In questo modo chi analizza i dati non è condizionato dall’identità dei campioni nella sua analisi (è senza preconcetti). È molto importante quando si fanno esperimenti avere un campione rappresentativo: la numerosità dei gruppi sperimentali e di controllo. Il campione per essere rappresentativo deve essere grande, quanto grande dipende dal tipo di esperimento, ma almeno un triplicato va fatto in tutte le tipologie di esperimenti (3 campioni per ogni trattamento). Gli esperimenti devono poi essere replicati almeno 4 o 5 volte nelle stesse condizioni e i risultati devono coincidere affinché l’ipotesi sia verificata. In fig.4 viene mostrato come se un campione non è rappresentativo per un determinato tipo di esperimento o per la verifica di una determinata ipotesi, ci si può indurre in grossi errori. Lo sperimentatore pesca alla cieca delle palline a caso; le palline sono all’ 80% bianche e 20% blu; lo sperimentatore pesca una pallina sola (campionatura singola) e prende una pallina blu, concluderà che tutte le palline siano blu. Ovviamente la Figura 3: fig 4 conclusione è altamente scorretta perché basandosi su un solo campione ha fatto una valutazione errata. L’attendibilità del risultato migliora facendo una 12 Abbati F., Abbati M., Battaglia BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 1, 8/03/2021 campionatura multipla: sono sufficienti ad esempio 10 palline da cui può risultare ad esempio 30% blu e 70% bianche, dato molto più vicino alla realtà rispetto alla campionatura singola. Le campionature singole sono da evitare; bisogna sempre operare campionature multiple. La scienza ha limitazioni etiche: ogni scienziato ha un impegno etico riguardo alla validità dei risultati: spesso purtroppo accade che vengano pubblicati su riviste anche prestigiose risultati falsificati al fine di ottenere fondi ricerca o da ditte farmaceutiche. I problemi etici si presentano poi ad esempio nello studio di cellule staminali, specialmente quelle embrionali umane; clonazione riproduttiva e terapeutica sempre per quanto riguarda gli embrioni umani; sperimentazione umana ed animale di nuove terapie che per l’uomo è sempre preceduta da una sperimentazione sugli animali; applicazioni dell’ingegneria genetica: nuove tecniche di correzione, terapia genica e gene-editing devono essere sempre applicate con la finalità di curare una malattia. Il medico/scienziato ha il dovere di impiegare tutte le sue conoscenze e le tecniche che ha a disposizione per scoprire nuovi meccanismi finalizzati a curare nuove malattie. 13 Biondi, Bolognese, Corghi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 2, 10/03/2021 GLI ACIDI NUCLEICI Gli acidi nucleici trasmettono l’informazione ereditaria e determinano quali proteine devono essere sintetizzate dalla cellula. Il DNA costituisce i geni, ovvero il materiale ereditario della cellula, e contiene le istruzioni per sintetizzare l’RNA (codificante, cioè RNA messaggero, e non codificante) e le proteine di tutto l’organismo. Per quanto riguarda l’RNA: • • • Ne esistono di vari tipi (mRNA, tRNA, rRNA, snRNA che sono rispettivamente RNA messaggero, RNA transfer, RNA ribosomiale e small nuclear RNA -il quale partecipa alla maturazione dell’RNA all’interno del nucleo-, inoltre esistono anche altri tipi ancora di RNA non codificanti); I vari tipi di RNA hanno funzioni diverse (l’RNA messaggero è un RNA codificante che viene trascritto dal DNA e che porta il messaggio nel citoplasma dove viene poi tradotto, mentre gli altri RNA sono non codificanti: il tRNA interviene nella sintesi proteica trasportando il giusto amminoacido alla catena polipeptidica, l’rRNA invece fa parte del ribosoma); Gli RNA sono sempre trascritti da DNA. Figura 1 I nucleotidi (figura 1) sono formati da: • • • Uno zucchero a 5 atomi di C (Desossiribosio nel DNA, Ribosio nel RNA); Una base azotata: o purina (Adenina o Guanina) o o pirimidina (Citosina, Timina -nel DNA- o Uracile -nell’RNA-); Un gruppo fosfato legato allo zucchero. Gli acidi nucleici sono dei polimeri di nucleotidi (figura 2): • • Essi sono legati tra loro da legami covalenti P-diesterici (fosfodiesterici) che si formano tra il gruppo fosfato attaccato allo zucchero in 5’ e lo zucchero del nucleotide adiacente in posizione 3’; Ogni nucleotide è identificato da una sua specifica sequenza: le combinazioni delle possibili sequenze sono infinite; 1 Biondi, Bolognese, Corghi • • • BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 2, 10/03/2021 Ogni gene sul DNA ha una sua specifica sequenza che codifica per uno specifico mRNA e quindi per una specifica proteina; L’RNA è formato da una singola catena nucleotidica; Il DNA è formato da una doppia catena nucleotidica. Figura 2 Altri nucleotidi importanti per la cellula, pur senza costituire acidi nucleici, sono: • • • ATP (figura 3): adenosina+ribosio+3 gruppi fosfato; la reazione di idrolisi di un gruppo fosfato è esoergonica (∆G=7.6 Kcal/mol); GTP: guanina+ ribosio+ 3 gruppi fosfato, ha una funzione energetica simile a quella dell’ATP e insieme ad esso viene utilizzato dalla cellula come fonte di energia chimica; cAMP (figura 4): si forma dall’ATP per opera dell’enzima adenilatociclasi che lo ciclizza, è una molecola segnalatrice, media l’effetto di alcuni ormoni (viene prodotto nel momento in cui l’ormone si lega sulla superficie della cellula e media il segnale che questo ormone provoca al suo interno). Figura 4 Figura 3 2 Biondi, Bolognese, Corghi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 2, 10/03/2021 Nel legame fosfodiestereo (figura 5), • • • La base azotata è legata al C1’ del desossiribosio; Il legame fosfodiesterico si forma tra il C3’ di uno zucchero e il C5’ dello zucchero adiacente, si forma così un legame 3’-5’ P-diesterico; Una singola catena nucleotidica ha una precisa direzione: l’estremità 5’ ha un C5’ legato a un gruppo fosfato e l’estremità 3’ ha un C3’ legato ad un OH- Figura 5 LA STRUTTURA DEL DNA Nel 1953 Watson e Crick fornirono un modello che poteva spiegare come il DNA potesse contemporaneamente • • Portare l’informazione genetica attraverso la sua trascrizione e poi traduzione nel citoplasma; Funzionare da stampo per la sua duplicazione, prima della duplicazione cellulare. Il modello di Watson e Crick nacque dalla fusione di studi di altri scienziati che prima di loro fecero varie osservazioni. Un ruolo di primo piano lo ebbe Chargraff che esaminò, più di dieci anni prima della pubblicazione dello studio di Watson e Crick, la composizione in basi del DNA di vari organismi sia procarioti che eucarioti. Egli concluse che , indipendentemente dalla fonte di estrazione, il rapporto purine/pirimidine era sempre molto vicino ad 1 (figura 6). Da qui derivano le regole di Chargaff, che stabiliscono che nelle molecole di DNA a doppia catena, il numero di purine deve essere uguale al numero di pirimidine (n◦A = n◦T e n◦C = n◦G). 3 Biondi, Bolognese, Corghi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 2, 10/03/2021 Figura 6 Nel 1951-1953 R. Franklin, usando la diffrazione a raggi X, riuscì a determinare le distanze precise tra gli atomi e i loro rapporti spaziali all’interno delle molecole. Da questi studi emerse che il DNA ha una struttura elicoidale e presenta tre misure che si ripetono regolarmente nella molecola: • • • 0,34 nm 3,4 nm 2 nm Mettendo insieme tutte queste informazioni, Watson e Crick costruirono il modello definitivo del DNA, in cui: • • • • • • • • • • Ciascuna molecola di DNA è costituita da 2 catene nucleotidiche avvolte tra loro in una doppia elica; Le basi azotate solo impilate come i pioli di una scala; Lo scheletro zucchero-gruppo fosfato costituisce l’impalcatura esterna dell’elica, mentre le basi azotate si appaiano all’interno; Il periodo che si ripete ogni 0,34 nm corrisponde alla distanza tra la coppia di basi precedente e quella successiva lungo la molecola; Il periodo di 3,4 nm corrisponde alla misura di 10 paia di basi presenti in un giro completo dell’elica; Le due catene hanno direzione opposta: ciascuna estremità della doppia elica mostra un gruppo fosfato libero al 5’ su un filamento e un OH- al 3’ libero sull’altro filamento; Il periodo di 2 nm corrisponde alla larghezza della doppia elica dove si formano legami a idrogeno tra G-C e A-T (ovvero le uniche combinazioni possibili per le quali la larghezza sia di 2nm). Tra G-C si formano 3 legami ad idrogeno, tra A-T se ne formano 2 (figura 7); La sequenza delle basi nelle due catene è complementare: la sequenza di nucleotidi di un’elica impone una sequenza complementare nell’altra. Esempio: La sequenza delle basi rappresenta il sistema di archiviazione che codifica per la sintesi proteica; Una molecola di DNA è costituita da milioni di nucleotidi che codificano per migliaia di geni. 4 Biondi, Bolognese, Corghi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 2, 10/03/2021 Figura 7 TIPI DI RNA • • • • mRNA: codifica per le proteine; tRNA: fungono da adattatori tra mRNA e gli amminoacidi nella sintesi proteica; rRNA: formano parte della struttura del ribosoma e partecipano alla sintesi proteica; snRNA, tra cui small nuclear RNA e microRNA: i primi agiscono nello splicing dell’RNA, cioè nella maturazione del trascritto primario dell’RNA messaggero all’interno del nucleo, mentre i secondi agiscono nella regolazione dell’espressione genica a livello post trascrizionale. La figura 8 rappresenta il percorso dal gene alla proteina: il DNA, trascritto poi in mRNA, viene tradotto dal linguaggio nucleotidico a quello amminoacidico nelle proteine. Figura 8 5 Biondi, Bolognese, Corghi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 2, 10/03/2021 Figura 9 La figura 9 sintetizza le varie tappe della trascrizione e della maturazione dell’mRNA. Si può osservare una sequenza codificante preceduta dal promotore che non verrà poi trascritto in RNA, ma ha solo il compito di regolare la trascrizione del gene a valle di questa sequenza promotrice. L’RNA polimerasi trascrive un trascritto primario (premRNA) e aggiunge varie strutture (coda di poliadenine in 3’ e cappuccio in 5’) che hanno funzione di protezione dall’azione delle ribonucleasi, enzimi che potrebbero distruggere il trascritto prima della traduzione. Nel premRNA vi sono esoni, sequenze codificanti, e introni, sequenze non codificanti. Durante lo splicing del trascritto primario, le porzioni non codificanti verranno rimosse. Alla fine della maturazione dell’mRNA, esso può migrare nel citoplasma e iniziare la traduzione. rRNA E RIBOSOMI I ribosomi sono particelle ribonucleoproteiche, formate quindi da RNA e proteine. L’RNA ribosomiale viene trascritto nel nucleolo, una zona all’interno del nucleo (attraverso strutture dette organizzatori nucleolari) dove avviene anche l’assemblaggio con le parti proteiche sintetizzate nel citoplasma le quali entrano nel nucleo per unirsi con la parte di RNA. Ci sono vari tipi di ribosomi (figura 10): • • quelli procariotici, più piccoli, contengono RNA 23S e 5S nella subunità maggiore che si assembla con 31 proteine e RNA 16S nella subunità minore che si assembla con 21 proteine, formando due subunità rispettivamente con coefficiente di sedimentazione di 50S e 30S che quando a loro volta si assemblano formano un ribosoma di 70S; I ribosomi eucariotici contengono principalmente due tipi di RNA: o 28S : 5.8S e 5S, si assemblano con 50 proteine per formare la subunità maggiore (o large subunit) di 60S; o 18S, che si associa con 33 proteine ribosomiali formando la subunità minore di 40S. Le due subunità assemblate hanno un peso molecolare complessivo di 80S. 6 Biondi, Bolognese, Corghi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 2, 10/03/2021 Figura 10 tRNA Il tRNA si può rappresentare secondo diversi schemi (figura 11): • • • Nel modello a vediamo uno schema più dinamico; Nel modello b vediamo un modello bidimensionale che ci illustra i siti di legame più importanti di questa molecola, ossia l’estremità accettrice di amminoacidi, cioè l’estremità 3’-OH che lega l’AA per essere portato nel ribosoma dove si formerà il legame peptidico, e l’anticodone, che andrà a legarsi in modo complementare con il codone dell’mRNA e che quindi fornisce la specificità della costruzione delle proteine in base alla sequenza dell’mRNA; Nel modello c, più schematizzato, vediamo ben in evidenza l’anticodone con l’estremità 3’ che lega un AA. Figura 11 7 Biondi, Bolognese, Corghi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 2, 10/03/2021 LA REPLICAZIONE DEL DNA FASI DEL CICLO CELLULARE Nella figura 12 sono schematizzate le varie fasi : • • • G1: avviene un marcato accrescimento della cellula che sintetizza componenti strutturali ed enzimi per la duplicazione del DNA; S: avvengono duplicazione del DNA e sintesi di proteine cromosomiche; G2: avviene la sintesi di proteine necessarie per la mitosi; Queste prime tre fasi sono sequenziali e preparatorie per la divisione • M: avviene la segregazione dei componenti citoplasmatici del materiale nucleare in due cellule figlie. Poiché le coppie di nucleotidi si appaiono in modo complementare, ciascun filamento serve da stampo per la sintesi del filamento opposto. Figura 12 LA DUPLICAZIONE Figura 13 La replicazione del DNA è semiconservativa. All’inizio vennero proposti due meccanismi di replicazione (figura 13), uno dei quali poi dimostrato scorretto: • • Meccanismo conservativo che prevede che le due sequenze neo sintetizzate si appaiassero tra loro; Meccanismo semiconservativo che prevede l’unione del vecchio filamento,detto stampo, con quello neosintetizzato, considerato poi come meccanismo corretto. 8 Biondi, Bolognese, Corghi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 2, 10/03/2021 La replicazione del DNA richiede poi un complesso molecolare (figura 14) composto da molte proteine, più semplice nei procarioti e più complesso negli eucarioti. Questo meccanismo è formato da proteine e enzimi che lavorano in sinergia per permettere la duplicazione. Figura 14 Esistono varie differenze tra procarioti e eucarioti a causa dell’organizzazione diversa del DNA: nei procarioti vi è un’unica molecola circolare di DNA a doppia catena e negli eucarioti ogni cromosoma è costituito da una singola molecola lineare a doppio filamento. Un presupposto fondamentale affinchè avvenga la replicazione del DNA in maniera semiconservativa è lo svolgimento/denaturazione della doppia elica (cosi che i due filamenti possano fungere da stampo) grazie a DNA elicasi (figura 14) le quali camminando lungo l’elica rompono i vari legamenti a H. Una volta separati i due filamenti devono essere mantenuti tali e qui intervengono delle proteine che legano il singolo filamento stabilizzandolo finchè non è avvenuta la copiatura. Esse si chiamano SSBP, single strand biding proteins, cioè proteine destabilizzanti dell’elica. Quando i due filamenti si separano, in un’altra regione della molecola adiacente alla separazione si genera un superavvolgimento. In questo caso intervengono le topoisomerasi che tagliano il DNA e poi saldano le estremità in modo che siano liberi da superavvolgimenti e nodi che potrebbero ostacolare lo scorrimento del meccanismo replicativo. Gli enzimi che catalizzano la polimerizzazione dei nucleotidi sono le DNA polimerasi, che aggiungono nuovi nucleotidi solo al 3’-OH di una catena in fase di sintesi, per cui la reazione procede sempre e solo in direzione 5’-3’. I “mattoni” utilizzati per la costruzione di un nuovo filamento di DNA sono i nucleotidi trifosfati, in questo caso desossinucleotidi. Nella formazione del legame fosfodiestereo vengono eliminati 2 gruppi fosfato, quindi i desossinucleotidi vengono incorporati come monofosfati (figura 15). Figura 15 9 Biondi, Bolognese, Corghi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 2, 10/03/2021 La sintesi di DNA (figura 16) necessita di un RNA primer, dato che le DNA polimerasi sono in grado di aggiungere nucleotidi all’estremità 3’-OH solo di una catena polinucleotidica che è stata presintetizzata, cioè preesistente. Esiste quindi un enzima, la DNA primasi, che a inizio reazione sintetizza un piccolo tratto di RNA, che si chiama primer, nel punto di inizio della replicazione e che funziona da innesco. Successivamente la DNA polimerasi, dopo pochi nucleotidi aggiunti (5-15), spiazza la primasi e inizia a sintetizzare il DNA a partire dal 3’-OH. In seguito, il primer RNA verrà degradato e sostituito da DNA. Figura 16 Per il fatto che il verso della polimerizzazione delle DNA polimerasi sia in 5’-3’, la sintesi può procedere solo in questa direzione. La duplicazione inizia in un punto preciso della molecola, l’origine di replicazione, ed entrambi i filamenti vengono replicati contemporaneamente all’interno di una figura a Y, chiamata forca o forcella di replicazione (figura 17). Figura 17 Uno dei due filamenti si allunga verso l’interno della forca di replicazione ed è chiamato leading strand o filamento guida, mentre il filamento complementare si allunga in direzione opposta, allontanandosi dal centro della forca di replicazione ed è chiamato lagging strand o filamento in ritardo. Il motivo della denominazione di due filamenti sta nel fatto che, come detto più volte, le DNA polimerasi possono aggiungere nucleotidi a partire dall’estremità 3’-OH. Quindi il filamento guida si allunga sempre verso il centro della forca di replicazione, dove la doppia elica è denaturata e i due filamenti sono ben separati; 10 Biondi, Bolognese, Corghi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 2, 10/03/2021 viceversa l’altro filamento si allunga sempre in direzione 5’-3’, in direzione opposta, e la sua replicazione deve procedere in maniera discontinua tale per cui non viene prodotto un unico filamento ma tanti frammenti discontinui chiamati frammenti di Okazaki, fra i quali si interpongono dei primer. Quando un frammento di Okazaki raggiunge quello sintetizzato precedentemente, il primer di quest’ultimo viene degradato e rimpiazzato da DNA; al termine una DNA ligasi riunisce i vari frammenti di Okazaki formando un filamento continuo. Per riassumere (figura 18): la sintesi di DNA inizia in corrispondenza di una origine di replicazione. I filamenti vengono separati nel punto di origine della replicazione, l’elica viene svolta o denaturata dalla DNA elicasi, che cammina lungo la molecola, precedendo gli enzimi deputati alla sintesi: la DNA primasi, che sintetizza l’RNA primer, e la DNA polimerasi, che sintetizza nuovi nucleotidi. Il mantenimento della denaturazione dell’elica è svolto dalle proteine destabilizzanti o SSBP (simple strand binding proteins). Al termine della duplicazione si ottengono le due molecole figlie che, per il principio dimostrato sperimentalmente della duplicazione semiconservativa, sono formate da un filamento vecchio, che ha funzionato da stampo, e da un filamento nuovo neosintetizzato. Figura 18 MECCANISMI DI SINTESI A CONFRONTO La sintesi del DNA è bidirezionale, e questo è un meccanismo necessario perché sia nei procarioti che negli eucarioti tutto il DNA venga interamente duplicato nella fase di sintesi, che negli eucarioti è la fase S (che dura circa mezz’ora). Nella figura 19 si nota come dal DNA procariotico si formano due forcelle, per cui il DNA viene replicato nelle due direzioni (nei procarioti c’è una sola origine di replicazione, sufficiente a duplicare l’intero patrimonio genetico). Negli eucarioti invece, si formano più bolle di replicazione che poi si fondono formando un’unica bolla più grande, di modo da accelerare la duplicazione del DNA che deve essere correttamente ed interamente replicato in mezz’ora (figura 20). 11 Biondi, Bolognese, Corghi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 2, 10/03/2021 Figura 19 Figura 20 TELOMERI E TELOMERASI Negli eucarioti i cromosomi non sono circolari ma lineari, con le estremità libere che non vengono completamente replicate dalle DNA polimerasi. I cromosomi hanno dei cappucci terminali, i telomeri (figura 21), che non contengono sequenze codificanti, e che vengono allungati dalla telomerasi, un altro enzima. Man mano che la cellula procede nella vita e nelle sue continue duplicazioni, l’efficienza della telomerasi è sempre minore, per cui i telomeri si accorciano sempre di più. Figura 21 L’accorciamento dei telomeri è un indicatore di senescenza delle cellule stesse, per cui quando i telomeri raggiungono una lunghezza critica vengono attivate le vie che portano la cellula alla morte per apoptosi; il processo è chiamato senescenza replicativa. LE MUTAZIONI DEL DNA Per mutazione si intende una modifica stabile ed ereditabile (se l’alterazione riguarda le cellule germinali) nella sequenza nucleotidica del DNA. La frequenza con cui avvengono alterazioni a carico del DNA è molto superiore a quella in cui queste si traducono in una mutazione stabile ed ereditabile, perché nella cellula esistono dei sistemi di riparo del DNA, 4 in tutto, 3 a singolo filamento e 1 a doppio filamento. Questi 12 Biondi, Bolognese, Corghi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 2, 10/03/2021 sistemi vengono attivati immediatamente quando si generano delle alterazioni sul DNA a causa di diversi fattori, come ad esempio fattori fisici con le radiazioni ionizzanti, fattori chimici o fattori endogeni come lo stress ossidativo e la presenza quindi dei radicali liberi dell’ossigeno; tuttavia delle alterazioni del DNA possono derivare anche dagli stessi errori che la DNA polimerasi compie durante la replicazione. Se non esistessero questi sistemi di riparazione, la cellula accumulerebbe molto velocemente mutazioni e andrebbe verso la trasformazione in cellula tumorale, come vedremo in seguito, o potrebbe essere veicolata alla morte per apoptosi; in questo processo infatti, al momento della replicazione le sequenze alterate vengono copiate come quelle normali, consentendo alla mutazione di fissarsi nelle generazioni successive. Le mutazioni possono essere di piccole o grandi dimensioni, si parla delle prime quando una mutazione è puntiforme, quindi interessa un singolo nucleotide o comunque pochi, mentre si parla di grandi dimensioni quando sono interessate porzioni cromosomiche che contengono molti geni. IL DNA MITOCONDRIALE Il DNA mitocondriale, contenuto ovviamente nei mitocondri, è molto importante perché alterazioni geniche dello stesso sono alla base di molte malattie genetiche, anche gravi, di cui parleremo in seguito. Ogni cellula ha centinaia di mitocondri, ciascuno dei quali contiene da 2 a 10 copie di DNA mitocondriale, una molecola circolare a doppio filamento. Il cromosoma mitocondriale corrisponde in dimensioni allo 0.0006% del genoma e ogni cellula contiene circa 10.000 molecole di DNA mitocondriale che in peso rappresenta l’1% della massa totale di DNA contenuto in una cellula. La teoria dell’endosimbiosi (figura 22) è utile a spiegare la presenza dei mitocondri all’interno della cellula eucariote; infatti, dato che il DNA mitocondriale è un DNA circolare a doppio filamento, si è pensato che in tempi antichissimi le cellule eucariotiche ancestrali anaerobie (che non riuscivano ad ossidare le sostanze organiche) avessero inglobato, attraverso fagocitosi, un procariote aerobio e che questo non fosse stato degradato. Successivamente si sarebbe venuto a creare un rapporto simbiotico tra le due cellule per cui quella eucariote è diventata aerobia, come quella di oggi, e quella procariote precedentemente inglobata è diventata un mitocondrio. Tutto ciò è Figura 22 anche testimoniato dal fatto che oltre ad avere un DNA circolare a catena simile a quella dei procarioti, la sintesi proteica che avviene nei mitocondri è attuata da ribosomi altrettanto simili a quelli procarioti. STRUTTURA DEL DNA MITOCONDRIALE Il mtDNA: • È un DNA circolare a doppio filamento; 13 Biondi, Bolognese, Corghi • • • • BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 2, 10/03/2021 Nell’uomo consta di 16.569 paia di basi e 37 geni che codificano per 13 polipeptidi necessari alla respirazione cellulare, implicati in particolar modo nella fosforilazione ossidativa, 22tRNA e 2 rRNA rispettivamente da 16S e 12S, simili all’RNA batterico; Costituisce il genoma del mitocondrio, e in ognuno di essi se ne trovano circa 10 copie; Ha un contenuto in GC (guanina-citosina) pari al 44%, superiore a quello medio del DNA nucleare, per cui la stabilità della doppia elica è maggiore rispetto a quella presente nel nucleo per la presenza di un maggior numero di legami a idrogeno. Inoltre, i 2 filamenti della doppia elica sono indicati convenzionalmente con H (Heavy, quello più ricco in G) e L (Light quello più ricco in C); Non si replica in modo sincrono con quello nucleare, cioè nella fase S, ma si può replicare in qualsiasi fase del ciclo cellulare. Durante la divisione cellulare inoltre, le molecole di mtDNA vengono ripartite casualmente entro le 2 cellule figlie a differenza del DNA nucleare che grazie alla presenza del fuso mitotico viene ripartito in modo identico. Molte proteine presenti nei mitocondri sono codificate dal DNA nucleare: si ritiene che alcune di esse facessero parte in origine del mtDNA e durante l’evoluzione siano state trasferite nel nucleo. In figura 23 sono citati gli RNA ribosomiali 12S e 16S (simili all’RNA batterico), i geni codificati per proteine come citocromo b, le subunità della NADH deidrogenasi, della citocromo ossidasi, dell’ATP sintasi e della citocromo ossidasi. I segmenti in giallo sono quei geni che codificano per i tRNA (22 in totale). Figura 23 EREDITARIETA’ DEL DNA MITOCONDRIALE Il DNA mitocondriale è ereditato per linea materna perché nello spermatozoo sono presenti 102 copie di mtDNA, mentre nell’uovo 10⁵; inoltre i mitocondri contenuti nello sperma dei mammiferi, importanti per dare energia necessaria al movimento del flagello e della stessa cellula, vengono distrutti dalla cellula uovo subito dopo la fecondazione. Nel 1999 è stato dimostrato che i mitocondri dello sperma paterno (contenenti mtDNA) vengono marcati con ubiquitina, facente parte di un sistema utilizzato dalle cellule per segnalare le proteine che devono essere degradate e poi mandate, come anche in questo caso, ad un sistema proteasomale (complesso multiproteico) in cui agiscono degli enzimi proteolitici che degradano i mitocondri e li distruggono all’interno dell’embrione appena formato. 14 Biondi, Bolognese, Corghi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 2, 10/03/2021 GENI MITOCONDRIALI Riguardo ai geni mitocondriali (37), rispetto a ciò precedentemente detto, la cosa interessante da notare è che i mitocondri utilizzano un codice genetico diverso rispetto a quello standard; infatti i codoni di stop non comprendono la tripletta UGA, che codifica in questo organulo per il triptofano, e sono 4 invece di 3. Per quanto riguarda la struttura dei geni mitocondriali, questi si presentano molto simili ai procarioti, sono cioè caratterizzati da: • • Assenza di introni, per cui gran parte della sequenza è codificante (come i geni procariotici); Ridotte dimensioni, con massimo di circa 1kilobasi (per i geni nucleari la media è di 57kb). Quindi al pari del genoma batterico il mtDNA (figura 24) è caratterizzato da un’estrema compattazione dell’informazione genetica (per il 93% è formato da geni codificanti). I geni sono trascritti con un particolare meccanismo simile a quello dei batteri: avviene la trascrizione di ampie regioni di mtDNA, in assenza di promotori individuali per ciascun gene, che porta alla formazione di trascritti multigenici. Un unico promotore quindi è presente sia per il filamento H che per il filamento L e regola la trascrizione di più geni che si trovano a valle di questa sequenza regolatrice, cioè in 3’. Conseguentemente i singoli RNA si ottengono a seguito del taglio di queste molecole a carico di enzimi specifici, e gli RNA codificanti per proteine non presentano un codone di stop ma terminano per U oppure UA. Figura 24 TASSO DI MUTAZIONE DEL DNA MITOCONDRIALE Dato che all’interno dei mitocondri si svolgono molti processi metabolici che portano a un aumento notevole dei radicali dell’ossigeno, il tasso di mutazione del mtDNA è circa 10 volte maggiore di quello nucleare; infatti una delle cause che portano alla comparsa di mutazioni e quindi ad una alterazione dei nucleotidi è lo stress ossidativo, favorito enormemente in questi distretti per l’attività svolta dagli stessi organuli rispetto all’ambiente nucleare (figura 25). Le mutazioni a carico del DNA mitocondriale portano, come vedremo, a malattie che coinvolgono purtroppo molti organi per la maggior parte dei casi e Figura 25 rimangono ancora oggi incurabili. 15 Cavallini, Ciardo, Muratori BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 3 15/03/2021 DA DNA A PROTEINE In questa lezione parleremo di come dall’espressione genotipo, cioè dei geni contenuti nel DNA, si arriva al fenotipo, cioè l’aspetto dell’organismo o della cellula. Questo rappresenta il flusso dell’informazione genica. Dal DNA, l’informazione codificata dal DNA stesso viene trasferita nell’RNA messaggero che viene poi tradotto in proteina. Il meccanismo tramite il quale si forma l’RNA messaggero da uno dei due filamenti stampo del DNA si chiama trascrizione. L’RNA viene poi tradotto in proteina: il linguaggio nucleotidico contenuto nell’RNA e nel DNA viene quindi tradotto nel linguaggio amminoacidico delle proteine. Il flusso dell’informazione è unidirezionale: il DNA può replicarsi e deve farlo prima di ogni divisione cellulare. Cos’è l’espressione genica? È una serie di eventi attraverso i quali l’informazione contenuta nella sequenza di basi del DNA viene decodificata ed utilizzata per specificare la costruzione delle proteine di una cellula che esercitano le funzioni all’interno della stessa. Le tappe dell’espressione genica sono essenzialmente due: Trascrizione Traduzione Queste sono finemente regolate a vari livelli, specialmente negli eucarioti. Con gene codificante per proteine si intende l’intera sequenza di DNA necessaria per la sintesi di una proteina o, nel caso di un gene non codificante, di una molecola di RNA funzionale. Gli esoni sono le porzioni codificanti che vengono mantenute nell’RNA messaggero codificante per proteine e per poi essere tradotti; gli introni invece sono le porzioni non codificanti che quindi vengono rimosse durante la maturazione dell’RNA messaggero all’interno del nucleo. RNA Ci sono diversi tipi di RNA prodotti all’interno della cellula. mRNAs RNA messaggeri, codificano per proteine; rRNAs RNA ribosomiali, formano con le proteine ribosomiali i ribosomi; tRNAs RNA transfer, cooperano nella sintesi proteica perché portano l’amminoacido nella sede della traduzione; snRNAs small nuclear RNAs, piccoli RNA nucleari che funzionano in una varietà di processi all’interno del nucleo, il più importante dei quali è lo splicing, ovvero la rimozione degli introni dal trascritto primario dell’mRNA; snoRNAs small nucleolar RNAs, servono per la maturazione del precursore dell’rRNA, il quale viene trascritto esclusivamente in una zona del nucleo che si chiama nucleolo. Quindi anche gli rRNA vengono trascritti come precursori e rimodellati per diventare rRNA maturi; 1 Cavallini, Ciardo, Muratori BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 3 15/03/2021 miRNAs microRNAs, sono regolatori dell’espressione genica, tipicamente negativi, vanno ad agire bloccando la traduzione di specifici mRNA. Lunghi circa 20-23 paia di basi; long noncoding RNAs lunghi più di 200 basi, hanno una funzione in diversi processi cellulari, tra cui la regolazione dell’espressione genica, l’inattivazione della seconda copia del cromosoma X nella femmina (long noncoding Xist) e partecipano nei processi di stabilizzazione delle proteine; circular RNAs, altri noncoding che noi non citiamo che hanno una funzione importantissima nella regolazione dell’espressione genica. Nella cellula eucariotica sono presenti e funzionanti tre diverse RNA polimerasi: RNA polimerasi I trascrive gli rRNA 5.8S, 18S e 28S; RNA polimerasi II trascrive tutti gli RNA codificanti (mRNA), in più snoRNAs, i miRNAs e molti snRNAs; RNA polimerasi III trascrive i tRNA, gli rRNA 5S, alcuni snRNAs e altri geni per piccoli RNA che non abbiamo nominato prima. DA GENE A PROTEINA Uno dei due filamenti del DNA funziona da stampo per la trascrizione dell’mRNA: si forma quindi un mRNA che è complementare a quella determinata porzione del DNA che funge da stampo. Questo mRNA, una volta maturo, migra nel citoplasma e il suo linguaggio nucleotidico viene tradotto in linguaggio amminoacidico delle proteine. L’mRNA viene letto a triplette ed ognuna di esse codifica per un amminoacido; l’ordine delle triplette sull’mRNA determina l’ordine degli amminoacidi della catena polipeptidica. 2 Cavallini, Ciardo, Muratori BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 3 15/03/2021 CODICE GENETICO È un meccanismo universalmente adottato, è la base della interpretazione del codice nucleotidico e della sua traduzione. Le 4 basi del DNA funzionano come un alfabeto a 4 lettere, combinando però le 4 lettere tra di loro non era possibile specificare i 20-21-22 amminoacidi che erano stati trovati nelle proteine. Si capì quindi che non era solamente la combinazione delle 4 basi prese singolarmente che poteva specificare per i diversi amminoacidi presenti nelle proteine delle cellule. Solo la combinazione a 3 lettere delle 4 basi (43) permette di formare 64 “parole”, dette triplette, più che sufficienti a specificare tutti gli amminoacidi trovati nelle proteine. È universale, praticamente lo stesso in tutti gli organismi con piccolissime differenze riguardo, ad esempio, i codoni di terminazione. Presenta un certo grado di ridondanza, detta anche degenerazione, e consiste nel fatto che alcuni amminoacidi sono specificati da più di un codone. Questo è anche un meccanismo che ci protegge dal cambio di amminoacido nel caso di mutazioni. TRASCRIZIONE Viene effettuata da RNA polimerasi che sono sempre DNA dipendenti negli eucarioti: richiedono quindi il DNA come stampo. Solo alcuni virus hanno RNA polimerasi RNA dipendenti. Le RNA polimerasi effettuano la sintesi in direzione 5’-3’, cioè riscono ad aggiungere nucleotidi solamente all’estremità 3’ della molecola finchè non è completa. Utilizzano i ribonucleotidi che vengono inglobati come trifosfati e poi durante la formazione del legame fosfodiestereo vengono liberati due fosfati; quindi anche gli RNA sono formati da nucleuotidi monofosfati. Come in due filamenti di DNA, anche il filamento di DNA trascritto e il filamento di RNA complementare sono antiparalleli. Complementare significa complementarietà di base e direzione opposta dei due filamenti: quindi l’RNA è sintetizzato in direzione 5’-3’ e il DNA stampo è letto in direzione 3’-5’ In generale abbiamo una regione del promotore, ovvero una regione che non viene trascritta ma che serve per la regolazione della trascrizione e quindi dell’espressione del gene posto a valle del promotore stesso. 3 Cavallini, Ciardo, Muratori BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 3 15/03/2021 In figura si può vedere lo schema della trascrizione: si ha la formazione di un mRNA trascritto da uno dei due filamenti di DNA e più a valle si ha una sequenza di terminazione. Così come nella duplicazione del DNA, anche nella trascrizione si ha una fase di inizio e una fase di allungamento, finchè la RNA polimerasi non arriva alla sequenza di terminazione. STRUTTURA DELL’ mRNA L’mRNA completo contiene più sequenze nucleotidiche di quelle che codificano la proteina, quindi anche l’RNA maturo contiene delle sequenze non codificanti: queste non sono da confondere con gli introni che vengono rimossi durante lo splicing. Queste sequenze sono indispensabili per la protezione rispetto all’azione delle ribonucleasi che potrebbero degradarlo prima che venga tradotto in proteina. All’estremità 5’ si trova una sequenza leader non codificante (in blu in figura) che contiene i siti di riconoscimento per il ribosoma. È quindi tramite questa sequenza che l’mRNA maturo si lega all’estremità minore del ribosoma durante le fasi d’inizio della traduzione. Segue verso il 3’ la sequenza codificante le proteine (verde chiaro). Alla fine di ciascuna sequenza codificante c’è uno speciale codone di stop, che sappiamo essere 3 diversi grazie al codice genetico, per quanto riguarda la sintesi proteica nucleare nelle cellule eucariotiche (quella mitocondriale è leggermente diversa): questi codoni di stop sono UGA, UAG, UAA, mentre il codone di inizio è sempre AUG. Sempre all’estremità 5’ si può osservare un capuccio di 7-metilguanosina che protegge questa estremità dalla degradazione. MATURAZIONE DELL’mRNA Dopo la trascrizione l’mRNA eucariotico richiede vari steps di maturazione nel nucleo prima di migrare nel citoplasma. L’aggiunta del cappuccio di 7-metilguanosina all’estremità 5’ consente anche l’attacco dei ribosomi per la sintesi proteica, azione svolta assieme alla sequenza leader; protegge inoltre l’estremità 5’ dalla degradazione. L’aggiunta di una coda di poliA (poli adenina) all’estremità 3’ della molecola serve a stabilizzare l’RNA e anche per il legame con proteine trasportatrici che veicolano l’mRNA dal nucleo al citoplasma. Abbiamo poi il meccanismo di splicing, ovvero la rimozione degli introni e la ricucitura degli esoni: ciò porta ad una sequenza esclusivamente codificante. L’mRNA maturo deve poi essere trasportato nel citoplasma dove verrà tradotto. Avviene quindi un trasporto attraverso i pori nucleari tramite il legame della coda di poliA con proteine trasportatrici. 4 Cavallini, Ciardo, Muratori BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 3 15/03/2021 SPLICING Lo splicing prevede che solo le porzioni codificanti (verde scuro) vengano mantenute nell’mRNA maturo mentre gli introni (verde chiaro) devono essere rimossi. Nel processo di rimozione a livello molecolare entrano in gioco i snRNAs, più precisamente i snRNP (small nuclear ribonuclear particol), ovvero le particelle ribonucleoproteiche che contengono questi snRNAs. Gli snRNP vanno quindi ad appaiarsi alle giunzioni di splicing. In figura possiamo vedere l’esone in verde scuro, l’introne in verde chiaro e come le snRNP si appaiano nelle giunzioni di splicing sia al 5’ che al 3’. Successivamente interagiscono a formare una struttura chiamata spliceosoma. Tra l’esone e l’introne in 5’ avviene il primo taglio. Dopo il primo taglio si forma una struttura chiamata lariat o cappio: è un ansa chiusa in cui la porzione 3’ dell’introne va ad interagire con la porzione 5’ dell’altro introne. Quindi l’esone al 3’ viene tagliato, riunito con l’esone 5’ e di fatto tutto il complesso dello spliceosoma, comprese le ribonucleoparticelle con gli small nuclears integrati, vengono eliminati e successivamente degradati, mentre le porzioni codificanti vengono ricucite insieme ed esportate nel citoplasma per essere tradotte. L’RNA è sempre sintetizzato in direzione 5’-3’ per la peculiarità delle RNA polimerasi che, come le DNA polimerasi, possono aggiungere in questo caso ribonucleotidi solo al 3’ OH della molecola: di conseguenza il DNA è letto in direzione opposta. 5 Cavallini, Ciardo, Muratori BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 3 15/03/2021 FASI DELLA TRASCRIZIONE Abbiamo tre fasi: Inizio Allungamento Terminazione INIZIO Durante questa fase, importantissima per la regolazione dell’espressione genica negli eucarioti, la sequenza di DNA alla quale la RNA polimerasi si lega è chiamata promotore. Quando l’RNA polimerasi ha riconosciuto il corretto promotore, srotola la doppia elica ed inizia la trascrizione. Oltre alla presenza del promotore e della RNA polimerasi vengono richiesti altri fattori proteici detti fattori trascrizionali. Il promotore non viene mai trascritto, quindi l’RNA polimerasi si deve spostare al 3’ del promotore per iniziare a trascrivere. Il promotore è solamente una sequenza regolatoria. ALLUNGAMENTO Questa fase prevede l’allungamento della catena ribonucleotidica. Il primo nucleotide al 5’ della molecola di RNA trattiene il gruppo trifosfato, mentre nella fase di allungamento i due fosfati vengono rimossi nella formazione del legame fosfodiesterico e successivamente incorporati al 3’. TERMINAZIONE In questa fase la RNA polimerasi riconosce un segnale di terminazione che è una sequenza nucleotidica, una serie di specifiche sequenze di DNA sul filamento stampo e che causa il distacco dell’enzima (e altri complessi trascrizionali) sia dal DNA stampo che dall’RNA neosintetizzato. La trascrizione si ferma e l’RNA, non ancora maturo, si stacca dal DNA stampo e comincia ad essere modificato per la sua maturazione. 6 Cavallini, Ciardo, Muratori BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 3 15/03/2021 Prima si pensava che solo uno dei due filamenti di DNA venisse trascritto e che l’altro servisse solo a mantenere la struttura a doppia elica mentre oggi sappiamo che ciò è sbagliato: tutti e due i filamenti di DNA sono codificati. L’assioma che bisogna tenere presente è che solo uno dei due filamenti è trascritto per un determinato gene. Per ogni regione codificante c’è un filamento stampo e un filamento complementare. Ovviamente per un determinato gene solo il filamento stampo viene trascritto in mRNA: se venisse trascritto il filamento complementare verrebbe costruita una proteina completamente diversa. Un determinato filamento quindi può fungere da stampo per determinati geni e da filamento non trascritto per altri. Importante da ricordare è che solo uno dei due filamenti è trascritto per un determinato gene e il gene che codifica per una determinata proteina è posizionato sempre sullo stesso filamento stampo di DNA REGOLAZIONE DELL’ESPRESSIONE GENICA È un processo complicatissimo ed importantissimo alla base della differenza fenotipica di ogni cellula ed organismo pluricellulare. Benché tutte le cellule di un organismo pluricellulare abbiano lo stesso DNA, ogni tipo cellulare ha la sua forma caratteristica ed esprime funzioni specifiche perché esprime differenti proteine. Le cellule quindi differiscono in forma e funzione poiché differiscono in espressione genica. Importante è che solo alcune tra tutte le informazioni genetiche vengano espresse. Si è visto anche sperimentalmente che circa il 50% del genoma non viene espresso in un determinato momento. I meccanismi della regolazione dell’espressione genica si esplicano a vari livelli: Regolazione della trascrizione dell’mRNA: per gli eucarioti è stato per tanto tempo il meccanismo più importante per la regolazione dell’espressione genica e lo è ancora, con la scoperta dei microRNA, anche la regolazione della traduzione ha acquisito una grossa importanza in questi meccanismi; Regolazione della maturazione dell’mRNA; Regolazione della traduzione, principalmente affidata alla regolazione negativa da parte dei microRNA; Regolazione della maturazione della proteina, in quanto per funzionare correttamente deve essere modificata dopo la traduzione attraverso la costruzione di una struttura I, II, III, IV che necessita di un giusto ripiegamento dato, ad esempio, dai ponti disolfuro, necessita di glicosilazione ed altri processi di maturazione della proteina stessa. Quindi anche la maturazione di una proteina rappresenta uno step della regolazione dell’espressione genica perché finché la proteina non ha la giusta conformazione e la giusta glicosilazione non potrà mai funzionare correttamente. 7 Cavallini, Ciardo, Muratori BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 3 15/03/2021 LA REGOLAZIONE DELL’ESPRESSIONE GENICA NEI PROCARIOTI Nei procarioti molti degli enzimi necessari a tutte le cellule sono detti housekeeping o di mantenimento, sono codificati da geni costitutivamente espressi, cioè espressi sempre in qualunque momento della cellula perché sono o enzimi strutturali, o enzimi necessari per il metabolismo glucidico o lipidico, etc. Altri geni la cui espressione non è costitutiva è invece inducibile, cioè può essere indotta in seguito a particolari condizioni, negli eucarioti per esempio mutazioni dei nutrienti presenti nell’ambiente; un esempio classico è la variazione dei livelli di lattosio nell’ambiente con la produzione inducibile di enzimi del metabolismo del lattosio, come E. Coli, che regola la produzione di molti suoi enzimi in modo da utilizzare in modo efficiente le molecole organiche disponibili; se non abbiamo lattosio nell’ambiente, E. Coli non produce enzimi che servono per il metabolismo del lattosio grazie a dei geni nei procarioti funzionalmente correlati che vengono regolati insieme all’interno di complessi genici chiamati operoni. Un operone è un complesso genico che comprende geni strutturali con funzioni correlate e sequenze di DNA vicine responsabili del loro controllo. Un esempio classico è la regolazione dell’espressione genica in E. Coli; si ha l’operone, geni strutturali come lac-Z, lac-Y e lac-A, un promotore che regola la trascrizione dei geni a valle, l’operatore che è una porzione della sequenza regolatrice dell’espressione dei geni strutturali a valle e a monte si ha il repressore. In assenza di lattosio, per risparmiare energia e non produrre enzimi perché non vi è la presenza di un substrato, E. Coli non produce enzimi; il gene repressore costitutivamente, sia in presenza che in assenza del lattosio, una proteina che si chiama proteina repressore, che va a reprimere legandosi all’operatore la trascrizione dei geni a valle. Quando ad esempio si aggiunge lattosio a duna coltura di E. Coli o compare lattosio nell’ambiente, l’allolattosio (o lattosio) si va a comportare da induttore e si va a legare alla proteina repressore, inattivandola e in questo modo non potrà più legarsi all’operatore e non potrà più reprimere l’espressione di lac-Z, lac-Y e lac-A che sono rispettivamente beta-galattosidasi, galattosio permeasi e galattoside transacetilasi, i tre enzimi del metabolismo del lattosio che vengono trascritti e successivamente tradotti. Quindi si dice che il lattosio induce la trascrizione dell’intero operone. 8 Cavallini, Ciardo, Muratori BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 3 15/03/2021 LA REGOLAZIONE DELLA TRASCRIZIONE NEGLI EUCARIOTI La regolazione della trascrizione negli eucarioti è molto più complicata (non si hanno operoni): ciascun gene eucariotico presenta specifiche sequenze di regolazione essenziali al controllo della sua espressione. Come avevamo anticipato prima, molti degli enzimi necessari alle cellule sono detti housekeeping o di mantenimento e sono codificati da geni costitutivamente espressi. Altri geni, la cui espressione non è costitutiva ma inducibile, vengono espressi solo in risposta ad alterazioni ambientali o a livello di specifici tessuti. La maggior parte dei geni degli eucarioti pluricellulari è controllata a livello trascrizionale anche se, con la scoperta dell’azione dei microRNA, questo assioma è stato rivisto. LA REGOLAZIONE TRASCRIZIONALE DELL’ESPRESSIONE GENICA: I FATTORI TRASCRIZIONALI Ora parliamo più approfonditamente della regolazione trascrizionale dell’espressione genica, quindi di come i fattori trascrizionali interagiscano tra di loro e con le sequenze regolatorie del DNA per attivare o reprimere l’espressione genica. REGOLAZIONE TRASCRIZIONALE NEGLI EUCARIOTI Negli eucarioti esiste: - Un sito di inizio della trascrizione, cioè una coppia di basi da cui il processo inizia; - L’RNA Polimerasi si lega ad una sequenza detta promotore, in corrispondenza della TATA Box (sequenza ricca di Timina e Adenina), che si trova a 25-35 pb dal sito di inizio della trascrizione; - L’RNA Polimerasi eucariotica non può legarsi al promotore prima dell’associazione con il DNA di varie proteine dette fattori trascrizionali. I fattori trascrizionali sono proteine che devono contenere: - Un dominio di legame al DNA; - Un dominio attivatore o repressore della trascrizione. Molti fattori trascrizionali funzionano in forma di dimeri, quindi la trascrizione richiede che molte proteine si leghino a parti diverse del promotore e interagiscono tra loro. L’apparato generale di trascrizione è un complesso proteico che si lega alla TATA Box del promotore vicino al sito di trascrizione; questo complesso richiesto per il legame dell’RNA Polimerasi. Purché l’RNA Polimerasi cominci in modo produttivo a trascrivere l’RNA occorrono altri fattori che ora descriveremo. La figura mostra l’azione dell’ormone nucleare vitamina D; questa entra passivamente nella membrana plasmatica, si lega al suo recettore citoplasmatico VDR (Vitamine D Recector) e, assieme ad un altro recettore detto RXR, dimerizza e migra nel nucleo andando a legarsi a specifiche sequenze di risposta alla vitamina D, dette VDRE (Vitamine D Response Elements). In questo modo attivano la trascrizione dei geni di risposta alla Vitamina D. Quando questo complesso si lega in corrispondenza del promotore di geni di risposta alla Vitamina D, questi geni vengono trascritti (Attivazione della trascrizione). 9 Cavallini, Ciardo, Muratori BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 3 15/03/2021 LA REGOLAZIONE DELLA TRASCRIZIONE La regolazione della trascrizione non richiede solamente dei legami con fattori trascrizionali, ma anche la presenza di sequenze geniche dette enhancer o intensificatori, che aumentano la velocità di sintesi dell’RNA (sarebbe altrimenti troppo bassa ed incompatibile con la vita). L’enhancer può essere localizzato sia a monte (al 5’) che a valle (al 3’) del gene che deve essere trascritto, anche ad una notevole distanza (anche a migliaia di basi dal promotore): questo perché dobbiamo immaginare il DNA non in forma bidimensionale ma tridimensionale, ed inoltre la formazione di strutture secondarie che permettono l’interazione di sequenze anche molto lontane tra di loro sul cromosoma. Nella figura il gene che deve essere trascritto è a valle del complesso: abbiamo l’RNA Polimerasi che si è legata ma ancora non trascrive, vi sono i fattori trascrizionali che si sono legati e il TATA Box. L’enhancer si trova a monte, molto lontano ma sul DNA stesso: in questo caso la trascrizione è scarsa o nulla, quindi non vi è l’avvio della trascrizione proprio perché l’enhancer stesso non ha interagito con il complesso trascrizionale. Se invece ci sono delle proteine che si legano all’enhancer e permettono l’interazione tra questo e il complesso trascrizionale attraverso un ripiegamento della doppia elica, allora il processo di trascrizione assume un’alta velocità, l’RNA Polimerasi inizia a trascrivere con una velocità compatibile con la vita della cellula ed ecco che la trascrizione ha inizio in modo efficiente. La figura mostra come un enhancer riesca ad interagire con il promotore e a permettere sia il legame sia l’attivazione dell’RNA Polimerasi. In particolare abbiamo: - la regione codificante con il gene che deve essere trascritto; - il promotore con la TATA Box che ha attaccato l’RNA Polimerasi con tutti i fattori trascrizionali specifici e generali; - tre sequenze enhancer legate da tre attivatori (in arancione) e che, attraverso il ripiegamento della doppia elica, vanno ad interagire con il complesso trascrizionale e permettono all’RNA Polimerasi di iniziare a trascrivere in modo efficiente l’RNA. 10 Cavallini, Ciardo, Muratori BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 3 15/03/2021 L’ORGANIZZAZIONE CROMOSOMICA INFLUENZA L’ESPRESSIONE GENICA Negli eucarioti pluricellulari solo una piccola parte di geni è attiva in ogni momento; alcuni dei geni inattivi sono associati alla cromatina altamente condensata, l’eterocromatina. I geni attivi sono associati alla cromatina più dispersa, l’eucromatina, che essendo più lassamente organizzata, è in grado di interagire con fattori trascrizionali ed altre proteine di regolazione. LA REGOLAZIONE POST-TRADUZIONALE DELL’ESPRESSIONE GENICA: I microRNA I microRNA sono piccole molecole non codificanti che regolano l’espressione di geni eucariotici a livello traduzionale. I microRNA sono trascritti nel nucleo a partire dal DNA (come tutti gli RNA). Tutti gli RNA (come tRNA, rRNA e mRNA) sono trascritti primari che vengono poi successivamente modificati da enzimi e interazioni specifiche. Non fanno eccezione i microRNA che vengono trascritti dal gene che codifica per essi come un trascritto primario, detto pri-miRNA, suddiviso in: - una porzione a forcina (hairpin); una porzione complementare che si appaia; un loop in cui non ci sono sequenze complementari; due sequenze al 5’ e al 3’ non complementari tra di loro. Questo pri-miRNA si lega ad un enzima, un RNAsi, che in seguito va a tagliare l’RNA da processare: prende il nome di Drosha e produce un precursore del microRNA più corto, essendo state tagliate delle porzioni a livello del 5’ e del 3’. A questo punto il pre-miRNA si lega all’esportina-5 necessaria per trasportarlo nel citoplasma, dove un altro enzima, detto Dicer, processa il pre-miRNA producendo un RNA a doppia catena (miRNA duplex): questo verrà processato in un miRNA maturo. Il miRNA maturo viene incorporato in un complesso ribonucleoproteico detto RISC (RNA-Induced Silencing Complex) che contiene numerose proteine (RNAsi) che degradano specificamente quella porzione del microRNA, identica al messaggero che deve andare a inibire. Questo perché i microRNA, prima della traduzione, sono i protagonisti della regolazione negativa dell’espressione genica: sono quindi delle molecole complementari ad una porzione di mRNA. Questa porzione risiede fuori dalla sequenza codificante del messaggero (nella maggior parte dei casi nel 3’-untraslated). 11 Cavallini, Ciardo, Muratori BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 3 15/03/2021 Successivamente: - I microRNA vanno ad appaiarsi con la regione del suo messaggero bersaglio; - si forma un duplex tra microRNA e 3’-untraslated dell’mRNA; - una ribonucleasi taglia e degrada il duplex e tutto il messaggero che in tal modo non potrà essere tradotto, bloccando così l’espressione del gene. RICAPITOLANDO: Nel RISC avviene che uno strand del microRNA complementare alla regione 3’-untraslated di un determinato messaggero va a complementarsi con esso, causando la degradazione e la mancata traduzione del messaggero stesso. Un solo microRNA (ne sono stati isolati più di 600) può avere tanti messaggeri bersagli e un determinato messaggero può essere bersaglio di tanti microRNA diversi. 12 Eusebi, Dux, Rizzello BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 4 17/03/2021 SINTESI PROTEICA O TRADUZIONE La sintesi proteica è la traduzione del linguaggio nucleotidico, contenuto negli acidi nucleici, in linguaggio amminoacidico, contenuto nelle proteine. La traduzione è quindi la conversione di un codice a 4 basi dell’acido nucleico ad un alfabeto di 20 aminoacidi che costituiscono le proteine. Ciascun aminoacido prima di essere inserito nella catena polipeptidica nascente deve essere attivato da una specifica aminoacil-tRNA sintetasi, che permette il suo legame con uno specifico tRNA (RNA transfer). Ogni amminoacido si lega, una volta attivato, all’estremità 3’ (estremità accettrice di aminoacidi) del suo specifico tRNA. Ogni aminoacido ha il suo tRNA specifico, questo perché ogni tRNA ha uno specifico anticodon che va a complessarsi con il codon, l’altra tripletta presente sull’RNA messaggero. In questa complementarità di basi risiede la specificità della costruzione della proteina. Dall’unione di aminoacido e tRNA si forma il complesso aminoacil-tRNA che è in grado di legarsi alle sequenze codificanti dell’mRNA (nello specifico al suo codone) così da allineare gli aminoacidi nel giusto ordine e formare la catena polipeptidica che viene codificata da quello specifico RNA messaggero. STRUTTURA TRNA E SITI DI LEGAME - Anticodone: tripletta che si lega in modo specifico al codone presente sull’mRNA (ansa 2) Sito di attacco per l’amminoacido (estremità 3’, accettrice di amminoacidi) Sito di riconoscimento per una specifica aminoacil-tRNA sintetasi che lega il corretto aminoacido Sito d’attacco per i ribosomi (estremità 5’) RIBOSOMI I ribosomi sono particelle ribonucleoproteiche formate da RNA ribosomiale (rRNA) e proteine. L’rRNA viene trascritto nel nucleolo e qui avviene anche l’assemblaggio con le proteine (sintetizzate nel citoplasma). Ci concentriamo sui ribosomi eucariotici, in particolare su quelli dei mammiferi. La subunità maggiore 60S è formata dall’assemblaggio del rRNA 28S, 5.8S e 5S con 50 diverse proteine. La subunità minore 40S è formata dall’assemblaggio del rRNA 18S con 33 diverse proteine. L’intero ribosoma eucariotico assemblato (che si assembla solamente dopo l’inizio della traduzione) pesa 80S. I ribosomi sono dunque le strutture che assemblano l’apparato di traduzione, o apparato biosintetico, delle proteine. 1 Eusebi, Dux, Rizzello BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 4 17/03/2021 Il ribosoma presenta 4 siti di legame: uno per l’mRNA e 3 diversi per i tRNA. Questa struttura permette di mantenere nel corretto orientamento sia l’mRNA stampo sia le molecole di aminoacil-tRNA e la catena polipeptidica nascente. I 3 siti di legame per il tRNA (illustrati in giallo nella figura) sono i seguenti: - - Sito P (peptidilico): è occupato dal tRNA che porta la catena peptidica nascente Sito A (aminoacilico): lega l’aminoacil-tRNA che porta l’aminoacido successivo da inserire nella catena polipeptidica nascente Sito E (exit-uscita): è il punto in cui il tRNA che ha fornito l’ultimo aminoacido, aggiunto alla catena polipeptidica, lascia il ribosoma L’mRNA, che passa attraverso uno spazio presente tra le due subunità ribosomiali, viene letto e tradotto. CODICE GENETICO Il codone di inizio è AUG che codifica sempre per una metionina, la quale successivamente viene rimossa. Nei mammiferi sono presenti tre codoni di stop UAA, UAG e UGA. Nessun tRNA è complementare al codone di stop, pertanto non arriva nessun aminoacil-tRNA a portare un aminoacido e quindi tutto il complesso si disassembla, compreso il polipeptide neosintetizzato che andrà poi incontro alle modificazioni posttraduzionali (glicosilazione, taglio proteolitico, ripiegamento) che competono a quella specifica proteina. Tutti i codoni diversi dai codoni di stop sono detti codificanti poiché codificano per un aminoacido. Come abbiamo già detto, il codice genetico presenta un alto grado di ridondanza, cioè di ripetitività, detta anche degenerazione, in quanto uno stesso aminoacido può essere codificato da più codoni diversi. Alcuni aminoacidi sono codificati da 4 codoni (come prolina, treonina e alanina), altri da 2 codoni (come glutammina e asparagina). Non accade mai il processo contrario, ovvero uno stesso codone non può mai codificare per due aminoacidi diversi. In questo risiede la specificità della traduzione e la costruzione della corretta proteina. 2 Eusebi, Dux, Rizzello BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 4 17/03/2021 TRADUZIONE La sintesi proteica sui ribosomi, come la duplicazione e la trascrizione del DNA, è caratterizzata da tre fasi: un inizio, un allungamento della catena polipeptidica ed una terminazione. INIZIO 1. L’inizio della traduzione richiede l’intervento di fattori di inizio (sono tre nei procarioti) che si legano alla subunità minore. Successivamente l’mRNA, in corrispondenza del codone di inizio AUG, con la sua sequenza leader non codificante, che non viene mai tradotta, si attacca alla subunità minore. 2. Il tRNA che porta il primo aminoacido è detto tRNA iniziatore, lega sempre la metionina che in seguito viene rimossa. Il legame con il tRNA iniziatore provoca il rilascio di uno dei tre fattori di inizio. 3. Il complesso di inizio è completo quando la subunità ribosomale maggiore si lega a quella minore e vengono rilasciati i due rimanenti fattori di inizio. L’immagine rappresenta lo schema dell’inizio della traduzione nei procarioti, più semplice ma che rispecchia quello che avviene negli eucarioti. ALLUNGAMENTO L’allungamento è una fase che prevede la ripetizione ciclica dell’aggiunta di un nuovo aminoacido alla catena polipeptidica nascente, e quindi la formazione di un nuovo legame peptidico. Nel sito P è già presente la catena nascente, arriva un nuovo aminoacil-tRNA che si lega al sito A, poi attraverso consumo di energia (derivata dall’idrolisi del GTP) si ha una traslocazione, con formazione del legame peptidico, tra l’ultimo aminoacido portato sul sito A e la catena preesistente. Successivamente la catena polipeptidica (nel caso 3 in figura formata da 4 aminoacidi) viene trasferita sul sito A e, a seguito di consumo di un secondo gruppo fosfato proveniente da un altro GTP, avviene la traslocazione in direzione 3’ sull’mRNA dell’aminoacil3 Eusebi, Dux, Rizzello BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 4 17/03/2021 tRNA, che ora porta la catena polipeptidica, e si posiziona nel sito P. Così comincia un altro ciclo di aggiunta di un aminoacido per volta. La sintesi proteica, quindi, procede sempre dall’estremità amminica (NH2 terminale) all’estremità carbossilica (COOH terminale) della catena polipeptidica. TERMINAZIONE La terminazione è causata da un fattore di rilascio, una proteina che riconosce il codone di stop alla fine della sequenza. Come già detto, non c’è nessun tRNA che possa legare un codone di stop, quindi non arriva nessun aminoacil-tRNA ad aggiungere un aminoacido. Arriva però un fattore di rilascio che si lega al sito A del ribosoma, idrolizza il legame tra la catena polipeptidica ed il tRNA determinando il rilascio del polipeptide dalla molecola di tRNA nel sito P. Infine tutti i componenti della macchina biosintetica (subunità ribosomale maggiore e minore, fattore di rilascio, tRNA e mRNA) si dissociano. Dopo la sintesi, una proteina per essere funzionante deve essere modificata attraverso l’assunzione di una struttura secondaria, mediata dalla formazione di legami a idrogeno, come i β-foglietti o le α-eliche. La proteina si ripiega ulteriormente a struttura terziaria, la quale è stabilizzata da legami ionici, ponti disolfuro e legami idrofobici. Alcune proteine inoltre sono in grado di assumere anche una struttura quaternaria. Finché la proteina non ha subito tutte le modificazioni previste per quel tipo di proteina, essa non è funzionante. MUTAZIONI DEL DNA Le mutazioni consistono in alterazioni del DNA di grandi o piccole dimensioni. Come vedremo, esse sono alla base della trasformazione tumorale della cellula. MUTAZIONI PUNTIFORMI (mutazioni di piccole dimensioni): comportano l’alterazione di una singola coppia di basi (causata da sostituzione, inserzione o delezione); colpiscono generalmente la funzionalità di un singolo gene. Sono le seguenti: • Mutazione senso (Missense): la sostituzione di una base di una tripletta provoca la sintesi di una proteina che ha un altro aminoacido rispetto a quello selvatico (o wild type). La mutazione di un solo aminoacido può provocare una malattia genetica o predisporre a patologie oncologiche. 4 Eusebi, Dux, Rizzello BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 4 17/03/2021 • Mutazione non senso (Nonsense): la sostituzione di una base porta alla formazione di un codone di stop, pertanto viene prodotta una proteina troncata. La proteina prodotta probabilmente non è funzionale o può essere anche una proteina oncogena, che provoca la trasformazione cellulare perché manca di domini di regolazione presenti nella proteina selvatica o wild type. • Mutazione con slittamento del modulo di lettura (frameshift): causata da inserzione o delezione di basi che modificano il frame di lettura (il raggruppamento delle triplette). Questo porta alla sintesi di una proteina costituita da aminoacidi totalmente inappropriati, a valle della mutazione stessa. Spesso succede che poi si forma un segnale di stop e quindi la proteina formatasi è inattiva. ABERRAZIONI CROMOSOMICHE (mutazioni di grandi dimensioni): comportano l’alterazione di una grande porzione di DNA; sono generalmente dovute ad errori dei meccanismi di riparazione del DNA: questi sono meccanismi fondamentali per l’integrità genomica della cellula ma non sono infallibili. All’interno della cellula c’è necessità costante di questi meccanismi di riparo perché le cause delle mutazioni sono tante, sia esogene (esterne alla cellula) sia endogene. In corrispondenza di certi siti cromosomici, chiamati siti fragili, avvengono continuamente rotture del DNA a singolo o doppio filamento. Per cui i meccanismi di riparo del DNA devono continuamente intervenire. Tuttavia, essi a volte non funzionano in modo adeguato e causano le aberrazioni cromosomiche. Le aberrazioni cromosomiche sono le seguenti: • • • • Inversioni: a seguito di una rottura di DNA, il sistema di riparo interviene saldando però con orientamento opposto il segmento. Tutto il contenuto genico di questo segmento viene quindi ribaltato con conseguenze catastrofiche. Delezioni: avvengono anch’esse a seguito di una rottura che può essere a singolo filamento. In questo caso il meccanismo di riparo non è in grado di recuperare il frammento che si è staccato e salda le estremità cromosomiche rimanenti, ma viene perduto un tratto importante del cromosoma. Traslocazioni: avvengono tra due cromosomi diversi: due rotture del DNA avvengono contemporaneamente in due cromosomi e le due porzioni staccatesi vengono saldate nei due cromosomi diversi rispetto al wild type. Si verifica uno scambio di due frammenti cromosomici con conseguenze disastrose. Infatti, queste traslocazioni sono spesso oncogenetiche; possono provocare tumori ematologici o altri tipi di tumori. Inserzioni: una porzione di un cromosoma viene inserita all’interno di un altro cromosoma. Anche in questo caso avviene la rottura contemporanea di due frammenti appartenenti a due cromosomi differenti. Il meccanismo di riparo sbaglia e inserisce una porzione cromosomica in più nel cromosoma sbagliato. La delocalizzazione di geni ha conseguenze molto gravi, perché per esempio i geni vengono spostati dai propri promotori e quindi vengono espressi in maniera deregolata. 5 Eusebi, Dux, Rizzello BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 4 17/03/2021 Esempio: la traslocazione t (8;14) nel linfoma di Burkitt (dove 8 e 14 sono i due cromosomi interessati nella mutazione). Il linfoma di Burkitt è un tumore delle plasmacellule in cui si verifica una iper-espressione (un’espressione anormalmente alta) di c-myc, un gene che regola positivamente e quindi stimola la proliferazione cellulare. Il gene c-myc è localizzato sul cromosoma 8 che ospita anche il promotore del gene, il quale ne regola l’espressione. C-myc è un tipico caso di gene inducibile che quindi non viene costitutivamente espresso, ma viene espresso solamente in risposta all’azione di fattori proteici, detti fattori di crescita. Il cromosoma 14 presenta la localizzazione cromosomica che codifica per le catene pesanti (heavy chain) delle Immunoglobuline. Al contrario il locus che codifica per le catene pesanti delle Immunoglobuline, essendo queste costantemente prodotte, è sotto il controllo di un promotore costitutivo, quindi sempre attivo. Quando c-myc viene traslocato sul cromosoma 14, va ad essere sotto il controllo del promotore delle catene pesanti delle Immunoglobuline, non più un promotore inducibile da parte di fattori di crescita ma di un promotore costitutivo sempre attivo che produce, indipendentemente dal fatto che la cellula ne abbia bisogno o meno, continuamente proteine myc che vanno a stimolare in modo deregolato la proliferazione. L’aumento incontrollato della proliferazione è uno dei parametri deregolati durante la trasformazione cellulare, insieme con la repressione dell’apoptosi e l’inibizione del differenziamento cellulare. 6 Eusebi, Dux, Rizzello BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 4 17/03/2021 I PROCARIOTI STRUTTURA GENERALE DI UNA CELLULA PROCARIOTICA La cellula procariotica, principalmente rappresentata dai batteri, è una cellula diversa, meno evoluta di quella eucariotica e diversa da essa, soprattutto dal punto di vista degli scambi genetici che possono avvenire tra i batteri, che sono alla base di fenomeni molto importanti e di interesse medico, per esempio la resistenza agli antibiotici. In particolare: • • • • • • Una cellula procariotica è più piccola, circa 1/10 della cellula eucariotica Il DNA non è racchiuso nel nucleo ma sparso nel citoplasma e non è organizzato in cromatina, come nelle cellule eucariotiche Non ci sono organelli delimitati da membrana I batteri possiedono spesso una parete cellulare di protezione, che è esterna alla membrana plasmatica Molte volte possiedono anche dei flagelli che servono per la locomozione, cioè il movimento di queste cellule Possiede ribosomi più piccoli se confrontati a quelli eucariotici, sono visualizzati nel citoplasma insieme a granuli di deposito e di sostanze nutritizie come glicogeno e lipidi. Quella accanto è un'immagine al microscopio elettronico a trasmissione di una cellula procariotica, più esattamente il batterio Escherichia coli, in fase di divisione (si vedono infatti i due nuclei delle future cellule figlie colorati in blu). FORME BATTERICHE Le forme batteriche sono essenzialmente di tre tipi: • • • Sferica, tipica dei COCCHI, possono essere in forma unicellulare, in coppia (in questo caso si chiamano Diplococchi), possono presentarsi in catenelle (Streptococchi), o in aggregati simili a grappoli d’uva (Stafilococchi). Bastoncellare, quella propria dei BACILLI, che possono essere in forma unicellulare o presentarsi uniti in catenelle. Elicoidale rigida si chiama SPIRILLO, mentre quella elicoidale flessibile si chiama SPIROCHETA. Un esempio di spirocheta è il Treponema pallidum, l’agente eziologico della sifilide. 7 Eusebi, Dux, Rizzello BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 4 17/03/2021 Nell’immagine A si vedono dei Cocchi, nella B i bacilli di salmonella e nell’immagine C possiamo osservare lo spiroplasma che appartiene a uno spirillo. RIEPILOGO STRUTTURA Come già detto, le cellule procariotiche non hanno organuli e il citoplasma non è compartimentalizzato come in una cellula eucariotica. Hanno: 1. dei ribosomi 2. granuli di riserva 3. gli enzimi come quelli della respirazione e della fotosintesi (nel caso i batteri siano fotosintetici) sono organizzati nel citoplasma e nelle invaginazioni della membrana plasmatica. PARETE BATTERICA La parete batterica è un’altra importante caratteristica dei procarioti. Si tratta di una struttura di protezione che la maggior parte dei batteri presenta e che circonda la membrana plasmatica. È una parete rigida che sostiene la cellula e impedisce che in ambiente ipotonico questa si rigonfi troppo e scoppi, ma non protegge la cellula in ambiente ipertonico, quindi in tale ambiente anche i batteri con la parete muoiono. È costituita da peptidoglicano, che è un polimero complesso formato da due tipi di amminozuccheri legati a corti polipeptidi (in questa figura il peptidoglicano è raffigurato in giallo). Nel 1888 Gram, uno dei primi microbiologi, classificò i batteri, utilizzando una colorazione con Violetto di genziana, in Gram positivi e in Gram negativi, considerando il diverso comportamento in seguito a trattamento con alcol. Mentre i Gram positivi mantengono la colorazione, i Gram negativi perdono questo colore dopo il trattamento con alcol. 8 Eusebi, Dux, Rizzello BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 4 17/03/2021 Questa colorazione differenziale dipende da una diversa composizione della parete che rende questi batteri diversamente sensibili agli antibiotici (per esempio antibiotici beta-lattamici come la penicillina). Mentre i batteri Gram positivi hanno uno spesso strato di peptidoglicano (in giallo) e all’interno la membrana plasmatica, i batteri Gram negativi hanno un sottile strato di peptidoglicano, che è ricoperto da una membrana esterna di diversa composizione rispetto alla membrana plasmatica classica (pur essendo sempre formata da un doppio strato fosfolipidico). Quindi la parete cellulare nel caso dei Gram negativi è formata da uno strato di peptidoglicano molto piccolo. Alcuni antibiotici come la penicillina vanno ad inibire specificamente la sintesi di peptidoglicano, sono quindi efficaci contro i Gram positivi, che hanno una grande porzione di peptidoglicano, ma si rivelano inefficaci contro i Gram negativi, dove il peptidoglicano è rappresentato molto poco ed è protetto da questa membrana esterna. Come applicare la colorazione di Gram All'inizio c'è una fissazione, seguita da una colorazione con Cristal violetto che colora tutti e due i tipi di batteri, poi si utilizza il liquido di Lugol, che rende il batterio di color violetto e a questo punto si ha il passaggio cruciale: la decolorazione con alcol, che decolora i Gram negativi ma non i Gram positivi, perché in questi ultimi il peptidoglicano rimane colorato anche dopo la decolorazione con alcool. Alla fine, si può fare una colorazione di contrasto con fucsina o safranina, attraverso la quale i Gram positivi rimangono di colore violetto mentre i Gram negativi, precedentemente decolorati, si colorano con un colore fucsia. CARATTERISTICHE DEI BATTERI − Alcuni batteri possiedono una capsula di polisaccaridi e proteine che circonda la parete e che funge da protezione contro la fagocitosi da parte dei leucociti del nostro sistema immunitario. Per esempio, lo Streptococcus pneumoniae, l’agente eziologico della polmonite pneumococcica (chiamato per questo anche pneumococco), è patogeno solamente se possiede la capsula. I ceppi che non presentano la capsula di protezione quando entrano nel nostro corpo vengono fagocitati (principalmente dai leucociti 9 Eusebi, Dux, Rizzello − − BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 4 17/03/2021 polimorfonucleati, i granulociti) e vengono uccisi prima che possano dare l'infezione, cioè la polmonite. I pili sono organelli di attacco che aiutano i batteri ad aderire tra loro o ad altre superfici (per esempio anche alle cellule che vanno ad infettare). I pili sessuali intervengono inoltre nella coniugazione batterica; furono chiamati pili sessuali perché all'inizio questa modalità di interazione tra i batteri era stata erroneamente considerata una modalità di riproduzione. Si tratta invece di un semplice passaggio di materiale genetico da una cellula all'altra. I flagelli sono usati per la locomozione, non sono però costituiti dai microtubuli (7+2 come quelli eucariotici, per esempio a livello dello spermatozoo). DNA BATTERICO Per quanto riguarda il DNA contenuto nei batteri, abbiamo il DNA cromosomico, costituito da una singola molecola circolare a doppia catena che se stesa sarebbe lunga 1000 volte la cellula. Il DNA non è organizzato in cromatina come quello eucariotico e presenta alcune (poche) proteine associate ad esso. Nei batteri però è presente un'altra forma di DNA, i plasmidi. Molti di essi sono contenuti in un singolo batterio, sono piccole molecole di DNA circolare a doppia catena, contengono un numero limitato di informazioni e possono replicarsi indipendentemente da DNA genomico. Questi plasmidi codificano per esempio per enzimi metabolici, enzimi per la resistenza agli antibiotici e si replicano indipendentemente da DNA genomico durante la divisione cellulare, quindi possono venire ripartiti in modo casuale nelle due cellule figlie. In questa figura sono presenti i due tipi di DNA batterici: DNA cromosomico in verde e plasmidi in rosso. RIPRODUZIONE DEI BATTERI La riproduzione batterica è asessuata e può avvenire: o per scissione binaria, come illustrato in figura, una modalità mediante la quale una cellula si divide in due cellule figlie simili, inizialmente più piccole che poi crescono fino ad arrivare alle dimensioni della cellula madre. Prima della scissione avviene la duplicazione del DNA nucleare, a questo punto si forma una parete trasversale per accrescimento sia della parete che della membrana plasmatica, quindi la cellula madre si divide in due cellule figlie, ripartisce il cromosoma batterico e vengono prodotte due cellule, che inizialmente sono più piccole della cellula madre ma che in seguito crescono fino ad uguagliarne le dimensioni. 10 Eusebi, Dux, Rizzello o o BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 4 17/03/2021 per gemmazione dalla cellula madre, è un'altra modalità di riproduzione di batteri molto simile alla scissione binaria. In questo caso le cellule figlie gemmano dalla madre, quindi sono più piccole di essa ma contengono sempre al loro interno una copia del DNA cromosomico batterico. per frammentazione avviene per accrescimento della parete all'interno della cellula, quindi avviene la scissione di molte cellule figlie e non è binaria ma multipla (per esempio negli actinomiceti avviene questo tipo di riproduzione). Un esempio di actinomiceti (Actinomyces israelii) SCAMBI DI MATERIALE GENETICO TRA I BATTERI È stato dimostrato che i batteri possono scambiarsi materiale genetico tra loro attraverso essenzialmente tre modalità: la trasformazione, la trasduzione e la coniugazione. • TRASFORMAZIONE La parola trasformazione non ha niente a che vedere con la trasformazione cellulare in cellule neoplastiche: in questo caso ha a che vedere con un cambiamento di proprietà della cellula batterica. Durante il processo di trasformazione i frammenti di DNA rilasciati da una cellula sono assunti da un'altra cellula, la quale acquisisce quindi le proprietà codificate dai frammenti di DNA rilasciati dalla cellula che muore. Dunque, un batterio muore, rilascia il proprio DNA nell’ambiente e questi frammenti di DNA esogeno si legano a proteine presenti sulla superficie di un batterio vivo, il quale incamera questi frammenti di DNA, che vanno a ricombinare con il proprio DNA cromosomico, entrano a far parte del cromosoma batterico e vengono espressi dalla cellula ospite. Quest’ultima acquisisce quindi nuove proprietà a seconda delle funzioni che le vengono conferite dall’espressione di questi frammenti di DNA, cioè a seconda dei geni che vengono integrati nella cellula ricevente. Questo fu dimostrato nel famoso esperimento di Griffith, attraverso esperimenti su topi fatti con due ceppi diversi di Streptococcus pneumoniae. Esistono due ceppi diversi: il ceppo R, il quale non possiede la capsula, perciò quando viene iniettato nell’animale viene fagocitato e ucciso dal sistema immunitario e quindi non riesce a produrre la polmonite, permettendo al topo di sopravvivere. 11 Eusebi, Dux, Rizzello BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 4 17/03/2021 Viceversa, il ceppo S è patogeno, in quanto possiede la capsula, di conseguenza “evade” il sistema immunitario perché i leucociti del topo in questo caso non riescono a fagocitarlo e ad ucciderlo. Dunque, esso provoca la polmonite e la conseguente morte del topo. Se iniettiamo nel topo cellule del ceppo S precedentemente uccise dal calore non succede nulla: le cellule sono morte e non danno polmonite, perciò il topo vive. La prova che dimostra il meccanismo di trasformazione si ha quando vengono iniettate insieme sia le cellule non patogene del ceppo R sia le cellule patogene del ceppo S, uccise dal calore. Le cellule patogene del ceppo S, in seguito alla loro morte, rilasciano frammenti di DNA che codificano per la capsula e le cellule inizialmente non patogene del ceppo R acquisiscono questi frammenti di DNA, li integrano nel cromosoma batterico e di conseguenza il ceppo non patogeno R si trasforma nel ceppo patogeno S, perché codifica per la capsula. Grazie al rilascio del gene codificante per la capsula da parte delle cellule patogene la cellula non patogena diventa patogena e uccide il topo con la polmonite. • TRASDUZIONE Trasduzione significa in gergo trasporto. I geni batterici possono infatti essere trasportati da un batterio a un altro, per esempio da virus, in particolare dai batteriofagi, ossia quei virus che infettano i batteri. Un batteriofago presenta una testa elicoidale contenente l’acido nucleico (praticamente sempre DNA) ed è in grado di aderire alla superficie del batterio in modo da far entrare solamente il DNA, il quale va a ricombinare e ad integrarsi con il cromosoma batterico. Quando il cosiddetto profago (il DNA fagico integrato nel batterio) diventa litico, cioè effettua il ciclo litico, il ciclo riproduttivo dei virus, il DNA batterico viene degradato e viene incorporato nei nuovi virioni che verranno prodotti durante la riproduzione virale. Può quindi succedere che alcuni virioni contengano queste sequenze che appartengono sia al virus che inizialmente ha infettato la cellula (qui in blu scuro) sia al batterio che è stato infettato (in azzurro). Se poi questi virioni ricombinanti vanno a infettare una seconda cellula batterica, succede che i geni batterici introdotti in questa nuova cellula vengono integrati nel suo DNA, diventano parte integrante di essa e 12 Eusebi, Dux, Rizzello BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 4 17/03/2021 vengono replicati ed espressi. Quindi un gene batterico di una prima cellula infettata può essere preso da un virus durante la sua replicazione e trasportato attraverso esso in una seconda cellula batterica, la quale acquisisce anche in questo caso nuove funzioni, a seconda del tipo di gene che viene acquistato. • CONIUGAZIONE Il terzo tipo di scambio di materiale genetico tra batteri è la coniugazione, la quale, come accennato prima, all’inizio venne erroneamente identificata come una modalità di riproduzione sessuata. Tuttavia, una volta chiarito che la riproduzione batterica può essere solo di tipo asessuato, si capì che si trattava di uno scambio di materiale genetico. Nella coniugazione abbiamo due cellule con polarità di accoppiamento diverse: una cellula F+, che ha un plasmide F e rappresenta la cellula donatrice, produce un pilo sessuale che serve a creare una sorta di ponte con una cellula ricevente, che in questo caso è una cellula F- perché non possiede il plasmide F. una In seguito, dal pilo sessuale (che è proprio un ponte citoplasmatico) si sviluppa un ponte di coniugazione: il DNA si replica, quindi da un singolo filamento si forma un doppio filamento, e un filamento del plasmide passa nella cellula ricevente dalla cellula donatrice. Quindi, al termine della coniugazione si interrompe il ponte citoplasmatico e avremo due cellule F positive. In questo modo la cellula F- viene convertita in cellula F+. A sinistra un’immagine di coniugazione batterica (con microscopio elettronico a scansione) Questo è particolarmente importante per un fenomeno che purtroppo sta creando moltissimi problemi, specialmente in ambiente ospedaliero, ovvero la resistenza agli antibiotici. Attraverso questa modalità di scambio i batteri sono infatti in grado di trasmettersi i geni per la resistenza agli antibiotici, cioè quei geni capaci di inattivare gli antibiotici comunemente usati (come la neomicina fosfotransferasi, la lattamasi per inattivare la penicillina eccetera). È quindi una strategia che i batteri hanno messo a punto per resistere agli antibiotici. ENDOSPORE Le endospore sono prodotte solo dai batteri più moderni, ossia gli eubatteri, e sono delle strutture che si formano quando l'ambiente esterno diventa sfavorevole. Il meccanismo di formazione di endospore permette a queste cellule batteriche di diventare dormienti. Non hanno scopo riproduttivo, come quelle delle piante, e sopravvivono in ambienti sfavorevoli (molto secchi, caldi o al contrario ghiacciati, oppure in condizioni di scarsità di cibo). Quando le condizioni ritornano favorevoli, le endospore germinano e danno origine ai batteri vitali. 13 Eusebi, Dux, Rizzello BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 4 17/03/2021 Quello delle endospore è un problema che si è presentato in ambiente medico durante le prime operazioni chirurgiche, quando non si sapeva che uno dei batteri più pericolosi, il Clostridium tetani (responsabile del tetano), è un batterio sporigeno e forma quindi spore. La disinfezione degli strumenti chirurgici avveniva in un unico step: si disinfettava con i disinfettanti a disposizione però non si sapeva che era necessaria una seconda disinfezione. Infatti, gli strumenti chirurgici bolliti o scaldati ad alte temperature diventano sterili per quanto riguarda le forme vitali dei batteri, ma per le forme sporigene è necessaria una seconda disinfezione (la prima fa addirittura germinare le spore di Clostridium tetani). Quindi in passato c’era il rischio di provocare il tetano nei pazienti a causa di strumenti contaminati da Clostridium tetani. Oggi esistono molti altri sistemi di disinfezione; gli strumenti chirurgici sono quasi tutti disposable (monouso), quindi questo problema non esiste praticamente più, però se si usano strumenti chirurgici non disposable, cioè disinfettabili, bisogna procedere a due disinfezioni successive. La prima disinfezione è per esempio una bollitura o un trattamento in autoclave a 120 ° e a 1 atmosfera che uccide le forme vitali dei batteri, comprese le forme vitali del Clostridium tetani, mentre la seconda disinfezione al calore uccide le forme vitali che sono germinate dalle spore durante la prima disinfezione. METABOLISMO BATTERICO I batteri possono essere: o o ETEROTROFI se non riescono da soli a procurarsi le proprie sostanze nutritizie. Tra gli eterotrofi ci sono i chemioeterotrofi, cioè quei batteri decompositori che hanno un importante ruolo biologico e ottengono energia e carbonio dalla sostanza organica morta vegetale e animale, eliminandola. Alcuni batteri eterotrofi sono patogeni per l’ospite (la maggior parte dei batteri patogeni sono eterotrofi), mentre altri danno vantaggi all'ospite, ad esempio producendo vitamine. Alcuni eterotrofi formano flora batterica intestinale e hanno un rapporto simbiotico con il nostro organismo: si nutrono delle sostanze che noi mangiamo e in cambio producono una serie di vitamine molto importanti che servono per il nostro organismo. AUTOTROFI invece sono in grado di produrre da soli le proprie sostanze nutritizie. Si dividono in: • Fotoautotrofi: i quali attraverso la fotosintesi generano il glucosio che serve per la loro sopravvivenza; • Chemioautotrofi: che utilizzano CO2 come fonte di carbonio (come avviene nella fotosintesi) ma presentano come fonte di energia molecole inorganiche come NH3 ed SH2 (quindi ammoniaca e acido solforico) al posto del fotone di luce. La maggior parte dei batteri (sia eterotrofi che autotrofi) sono aerobi, cioè necessitano di ossigeno per sopravvivere, altri sono anaerobi facoltativi, i quali possono sopravvivere anche in assenza di ossigeno, altri ancora sono anaerobi obbligati e quindi muoiono a contatto con l’ossigeno. 14 Eusebi, Dux, Rizzello BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 4 17/03/2021 BATTERI PATOGENI In animali e piante esiste un gran numero di batteri simbionti (come la flora batterica intestinale) che contrastano la proliferazione di batteri patogeni che possono arrivare attraverso il sistema digerente, e quindi l’intestino, e allo stesso tempo producono vitamine (vitamine del gruppo B e vitamina K). I batteri patogeni possono essere anche solo opportunisti, cioè dare origine a infezioni opportunistiche, diventando patogeni solamente se il sistema immunitario è compromesso. Purtroppo, le infezioni opportunistiche sono un grosso problema specialmente per i malati di cancro, i quali sono spesso immunodepressi a causa della chemioterapia e possono essere quindi vittima di tali infezioni, che infatti sono una delle principali cause di morte di questi malati. La microbiologia nacque alla fine del XIX secolo e Koch (si ricorda il batterio di Koch) fu il primo a dimostrare che i batteri sono causa di malattie infettive, lavorando su Bacillus anthracis. Inoltre, fu proprio lui a proporre le caratteristiche del batterio patogeno: 1. deve essere presente in tutti gli individui con una data malattia 2. un campione del patogeno se isolato dai malati deve poter crescere in coltura 3. quando un campione della coltura è inoculato in un animale sano causa la stessa malattia dell'individuo da cui era stato prelevato 4. dall’animale infettato sperimentalmente si può reisolare nuovamente un batterio, ovvero l’agente eziologico della malattia di quegli individui infettati inizialmente. Le vie di infezione sono tante, a seconda del tipo di batterio: cibo (molti batteri si trasmettono per la cosiddetta via oro-fecale, un classico esempio sono tutti i tipi di salmonelle), polvere, goccioline di flugge, lesioni cutanee, trasmissione da animali (come le malattie che si chiamano zoonosi). Le tossine batteriche si dividono in due tipi: − − Le esotossine sono prodotte da alcuni batteri che le secernono e sono termolabili, cioè vengono denaturate dal calore. Per esempio, sono le tossine del Clostridium diphteriae, che è l’agente eziologico della difterite e del Clostridium botulinum, l’agente eziologico del botulismo (un’infezione molto grave che provoca la paralisi flaccida dei muscoli e quindi anche dei muscoli respiratori e porta alla morte). Le endotossine invece sono componenti della parete dei batteri Gram negativi e quindi vengono rilasciate solamente quando i Gram negativi muoiono. Per esempio, il lipopolisaccaride batterico o LPS si lega ai macrofagi e stimola la risposta immunitaria, innalzando la temperatura e provocando una forte reazione immunitaria che poi combatterà l’infezione. 15 Eusebi, Dux, Rizzello BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 4 17/03/2021 UTILIZZI NELL’INDUSTRIA I batteri (ovviamente quelli non patogeni) sono usati per molti processi industriali. Ci sono dei batteri lattici che vengono utilizzati per la produzione di yogurt, sottaceti, ma anche salame, cioccolato e acido citrico e altri utili per la produzione di antibiotici (nel secolo scorso furono scoperti gli antibiotici perché erano prodotti da alcuni eucarioti, come le muffe, dal genere Bacillus o dagli attinomiceti). I batteri sono usati dal punto di vista industriale anche per produrre proteine ricombinanti, sia vaccini che ormoni; questo perché inizialmente le proteine ricombinanti, per esempio ormoni come GH (growth hormone, l’ormone della crescita) o insulina, erano preparati per estrazione da cadavere. Questa procedura però oltre ad essere molto indaginosa e molto costosa poteva anche provocare la trasmissione di malattie dal donatore deceduto all'utilizzatore. Quindi, sono state inventate queste proteine ricombinanti che vengono prodotte all'interno dei batteri se si fornisce loro l'informazione genetica per produrle. Ad esempio, nella figura è raffigurata la produzione di insulina, la quale è composta da una catena B e una catena A. Introducendo un plasmide con il gene umano per la catena B dell’insulina si può modificare geneticamente un batterio e fargli produrre la catena B dell’insulina in modo molto efficiente, poco costoso e anche in un tempo brevissimo. La stessa cosa si può fare con la catena A. Successivamente catena A e catena B vengono fatte reagire per formare il ponte disolfuro e formare l’ormone completo che può quindi essere somministrato senza i rischi di contaminazioni da cadaveri, con possibili malattie (per esempio da emoderivati). Rappresentazione della produzione industriale di insulina 16 Eusebi, Dux, Rizzello BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 4 17/03/2021 ARCHEA ED EUBACTERIA I procarioti antichi si sono separati molto presto nella storia della vita nelle due linee Archea ed Eubacteria. Degli Archea sappiamo molte cose e alcune delle loro caratteristiche, in particolare alcuni loro enzimi e proprietà, sono state carpite come meccanismo dai biotecnologi per costruire e mettere a punto delle tecniche biotecnologiche, che possano servire in campo medico. CARATTERISTICHE DEGLI ARCHEA Rispetto agli eubatteri questi batteri ancestrali mancano del peptidoglicano nella parete batterica, ragion per cui non sono sensibili a diversi antibiotici, hanno una struttura della membrana plasmatica peculiare, quindi non simile a quella degli eubatteri, e hanno diverse RNA polimerasi. Anche loro iniziano la traduzione con l’amminoacido Metionina. Soprattutto per quanto riguarda l'applicazione in biotecnologie vivono in ambienti estremi, simili alla terra prima primordiale. o o o I batteri metanogeni vivono ad esempio nel tratto digerente di animali (sappiamo che producono il metano) oppure negli stagni. Sono anaerobi obbligati e quindi sopravvivono solo in assenza di ossigeno Gli alofili estremi vivono solo in soluzioni saline sature e le colorano (per esempio i bacini di acqua di mare, che sono fonte di sale) I termofili estremi crescono solo a temperature molto alte (molto superiore ai classici), in quanto vivono a 45°/100 °C in sorgenti calde oppure nei vulcani. Anche questi sono utili all'uomo, si pensi che da una specie di termofilo estremo, il Thermus aquaticus è stata estratta la tac polimerasi, ossia la DNA polimerasi di questi batteri, in grado di lavorare a temperature molto alte, la quale si è dimostrata molto utile in una tecnica indispensabile e utilizzata per moltissime applicazioni biomediche, la PCR (polymerase chain reaction). 17 Iori, Ribisi, Nisi BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 5 22/03/2021 VIRUS All’inizio del XX secolo furono scoperti degli agenti infettivi capaci di infettare animali o uccidere batteri diversi però sia come dimensioni che come proprietà da tutti gli agenti infettivi fino ad ora studiati. 1. Passavano attraverso i filtri che trattengono i batteri, filtri con porosità di 0,2 micron. 2. Non si vedevano al microscopio ottico. 3. Non crescevano in coltura in assenza di cellule vive. Il virus o virione, come fu successivamente chiamato, è costituito da: Core interno contenente l’acido nucleico che può essere RNA singolo/doppia catena o DNA singolo/doppia catena. Capside esterno che è un rivestimento proteico costituito da subunità che prendono il nome di capsomeri. Membrana esterna al capside (presente solo in alcuni virus), composta da proteine, lipidi e carboidrati. La composizione è molto diversa da quella dei procarioti e degli eucarioti. Le dimensioni, che giustificano la non visibilità al microscopio ottico e il passaggio attraverso i filtri, sono submicroscopiche ovvero visibili solo al microscopio elettronico. Il diametro va da 20 a 300 nm per quelli che infettano le cellule umane, mentre 20-500 nm per quelli che infettano anche altre specie. I VIRUS NON POSSIEDONO CARATTERISTICHE DEGLI ESSERI VIVENTI I virus non possono essere classificati come esseri viventi perché non ne possiedono le caratteristiche. Non hanno una struttura cellulare. Non possono svolgere attività metabolica autonoma, infatti, non possono sopravvivere in assenza di cellule vive. Da soli non possono effettuare la respirazione cellulare (ossidazione delle sostanze organiche), non sintetizzano autonomamente proteine, acido nucleico o altre molecole. Non contengono sia DNA che RNA ma solo uno dei due tipi di acidi nucleici: double strand DNA o single strand DNA, double strand RNA o single strand RNA. Si riproducono ma solo nelle cellule infettate sono quindi parassiti obbligati: forzano la cellula a replicare il loro acido nucleico prendendo il controllo dei meccanismi di trascrizione e traduzione della cellula ospite, la quale sintetizza le proteine virali e l’acido nucleico che verranno poi assemblati insieme per formare il virione completo. Il virione verrà poi espulso dalla cellula infettata per andare ad infettare altre cellule. Poiché non possono essere classificati in nessuno dei 3 domini è stato istituito un comitato internazionale per la tassonomia dei virus che raggruppa i virus sulla base di caratteristiche comuni come il tipo di acido nucleico. FORMA DEI VIRUS 1. Elicoidale ha un capside cilindrico cavo in cui è presente l’RNA (es. virus del mosaico del tabacco, immagine a). 2. Poliedrica con un capside sferico (es. adenovirus, immagine b). 1 Iori, Ribisi, Nisi BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 5 22/03/2021 3. Testa poliedrica + coda elicoidale con fibre della coda (es. batteriofagi che infettano solo i batteri, immagine c). ORIGINE DEI VIRUS Ci sono due teorie principali: 1. Derivati da frammenti di acidi nucleici usciti da una cellula primordiale, originatisi dal DNA cellulare come fanno i trasposoni o i plasmidi. È la teoria più accreditata perché è sia in accordo con la specie-specificità dei virus, che infettano solo le specie strettamente correlate e sia in accordo con il discorso che i virus esistono da dopo la comparsa delle cellule perché senza di esse non possono sopravvivere. 2. Sono comparsi prima delle cellule, prima della divisione in 3 domini. Questa ipotesi viene scartata perché non spiega la loro sopravvivenza in assenza di cellule. BATTERIOFAGI I batteriofagi sono virus che attaccano i batteri. Sono costituiti da: acido nucleico (quasi sempre dsDNA), testa poliedrica, coda elicoidale e fibre che si estendono dalla coda per aderire alla superficie del batterio che infettano. In Era pre-antibiotica erano utilizzati per combattere le infezioni batteriche, oggi non hanno più questo scopo ma sono studiati come antibatterici per la sicurezza degli alimenti. CICLO RIPRODUTTIVO LITICO Il ciclo riproduttivo dei virus è esclusivamente il ciclo riproduttivo litico, vedremo che possono fare anche un altro ciclo che però non ha scopo riproduttivo chiamato ciclo lisogenico. Nel ciclo litico il virus infetta la cellula (nell’immagine è rappresentato il batteriofago che infetta il batterio) aderendo con le fibre della coda e forza la cellula a replicare le particelle virali ed è per questo che si chiama virus virulento. Fasi del ciclo litico: 1. Aggancio del batteriofago o fago alla superficie del batterio tramite le fibre della coda 2. Penetrazione all’interno del batterio dell’acido nucleico o dell’intero virus, solitamente entra solo il DNA fagico. 3. Replicazione e sintesi: il virus degrada il DNA della cellula ospite e usa il suo macchinario trascrizionale e traduzionale (le sue DNA polimerasi, RNA polimerasi, enzimi) per sintetizzare proteine virali e replicare il suo acido nucleico. Quindi viene replicato sia il DNA fagico e sia sintetizzate le proteine. 4. Assemblaggio in virioni, avviene un’amplificazione dell’infezione virale perché vediamo un numero molto 2 Iori, Ribisi, Nisi BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 5 22/03/2021 superiore di virioni rispetto all’unico batteriofago che era riuscito ad infettare la cellula. Quindi i componenti del fago si assemblano a formare nuove cellule. 5. Rilascio: i virioni vengono liberati all’esterno per lisi cellulare (classico meccanismo dei fagi) o per gemmazione della membrana plasmatica (per i virus che infettano cellule animali). I nuovi virioni andranno a infettare altre cellule. La durata del ciclo riproduttivo è di circa 20 minuti - 1 ora, ci da l’idea di come le infezioni virali abbiano una veloce evoluzione all’interno del nostro organismo. CICLO LISOGENICO In questa immagine è rappresentato un batteriofago che infetta un batterio ma in questo caso compie un ciclo lisogenico ed è un virus temperato. Una volta entrato il virus non degrada il DNA della cellula ospite ma si integra il suo DNA nel DNA cellulare (una volta integrato si chiama profago o provirus). In seguito, possono verificarsi le seguenti situazioni: I geni virali possono essere repressi per un tempo indefinito nella cellula lisogenica Il virus può essere riattivato in seguito a stimoli ambientali come stress, raggi X, raggi UV e poi attuare il ciclo riproduttivo litico. La cellula ospite può andare incontro a trasformazione tumorale perché a seconda della posizione in cui il virus si è integrato nel genoma (in questo caso di una cellula eucariotica) può perturbare l’espressione genica o altri meccanismi di regolazione genica. Questo fenomeno è chiamato mutagenesi inserzionale ma lo approfondiremo più avanti. Un tipico virus che infetta le cellule umane e che compie il ciclo lisogenico ed è quindi in grado di rimanere presente all’interno delle cellule ospiti come provirus è il virus Herpes sia Hepers Simplex 1 e 2 e sia Herpes Zoster che è l’agente eziologico della varicella. 3 Iori, Ribisi, Nisi BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 5 22/03/2021 HERPES SIMPLEX Il virus Herpes Simplex è l’agente eziologico dell’herpes labiale. In una prima infezione il virus si integra nei neuroni facciali e in seguito a stimoli di varia natura si può riattivare causando una seconda infezione che può essere ricorrente per riattivazione del virus che compie il suo ciclo litico. Stesso discorso lo possiamo applicare all’Herpes di tipo 2 genitale. VARICELLA ZOSTER La varicella zoster, responsabile della varicella nella prima infanzia (ora non più perché esiste il vaccino), spesso rimane latente nei gangli spinali come provirus e in seguito a vari stimoli può andare in contro a riattivazione passando dal ciclo lisogenico al ciclo litico causando Herpes Zoster o volgarmente chiamato il fuoco di sant’Antonio. Questo accade sempre in seguito a stimoli ambientali o altre malattie virali o indebolimento momentaneo del sistema immunitario. VIRUS CHE INFETTANO LE CELLULE ANIMALI I virus che infettano le cellule animali usualmente non sopravvivono per lungo tempo fuori dalle cellule quindi si trasmettono per lo più da animale ad animale, come ad esempio HIV che si trasmette attraverso i fluidi corporei compresi gli emoderivati. Il tipo di proteina di aggancio determina quale cellula esso può infettare I siti recettoriali variano da specie a specie (specie-specificità) e spesso da tessuto a tessuto (tessuto-specificità). Quindi le cellule hanno recettori per i virus attraverso i quali i virus si agganciano e penetrano nella cellula stessa. Un determinato virus infetta una sola specie, specie strettamente correlate come noi e i primati, o un determinato tipo di tessuto. Per esempio, i virus umani infettano solo cellule umane mentre il Poliovirus è tessuto-specifico. POLIOMELITE La poliomielite in era pre-vaccinaria era mortale o molto debilitante perché lasciava esiti importanti come paralisi dei muscoli respiratori. Nel 1952 Salk mise appunto un vaccino costituito da virus polio uccisi dal calore; somministrando il vaccino a persone sane veniva stimolato il sistema immunitario che produceva anticorpi e cellule T della memoria in modo che in una successiva esposizione al virus selvatico l’organismo fosse già immune a questo virus (il principio di tutti i vaccini). Nel 1962 Sabin introdusse un vaccino vivo ma attenuato che si dimostrò più efficacie nel conferire immunità contro il poliovirus del precedente vaccino di Salk. Il poliovirus è un virus che per sua natura è neurotropo cioè attacca le cellule nervose e produce sintomi come paralisi dei muscoli respiratori. Sabin coltivò questo virus selvatico neurotropo in cellule di rene di scimmia e riuscì ad ottenere un ceppo di virus mutante che non era più neurotropo ma epiteliotropo e selezionò questo virus per il vaccino. Siccome il poliovirus segue come via di infezione un circuito oro fecale, il vaccino di sabin vivo inattivato ed epiteliotropo fu somministrato per bocca. Una volta giunto nell’intestino infetta le cellule epiteliali intestinali conferendo immunità perché provoca la produzione di anticorpi poliovirus. Il vaccino antipolio rappresenta un esempio di come è possibile sfruttare il tropismo di un virus per sviluppare vaccini antivirali. Recentemente sono state dimostrate alcune retromutazioni che hanno causato paralisi da vaccino di Sabin in pochissimi individui e questo portò a riutilizzare il vecchio vaccino di Salk migliorato dato che quest’ultimo non può indurre paralisi o altri sintomi neurologici essendo un virus ucciso. 4 Iori, Ribisi, Nisi BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 5 22/03/2021 INFEZIONE 1. Ingresso nella cellula per penetrazione o endocitosi. 2. Replicazione e trascrizione: Se il virus è a DNA, sintetizza le proteine e il DNA in modo simile a quello della cellula ospite. Utilizzano una RNA polimerasi DNA-dipendente per sintetizzare l’mRNA virale e le proteine virali, mentre utilizzano una DNA polimerasi DNA-dipendente per sintetizzare il loro genoma. Se il virus è a RNA, alcuni usano una RNA polimerasi RNA-dipendente di cui possiedono il gene nel loro genoma mentre altri chiamati retrovirus (come i virus dell’HIV) utilizzano una DNA polimerasi RNA-dipendente chiamata trascrittasi inversa (codificata dal virus) per convertire il loro genoma a RNA in DNA sintetizzando un DNA intermedio che si integra nel DNA della cellula ospite. 3. Traduzione: una volta prodotti gli mRNA virali le proteine vengono sintetizzate sui ribosomi eucariotici e vengono assemblate in nuove particelle insieme al loro genoma. VIRUS PRINCIPALI CHE INFETTANO C. ANIMALI In questa immagine sono elencati i principali virus che infettano le cellule animali. Citiamo i più importanti, tra i virus a DNA: Poxvirus causa il vaiolo che grazie alla vaccinazione di massa è stato eliminato. Herpesvirus agente eziologico dell’herpes labiale (herpes simplex di tipo I) e genitale (herpes simplex di tipo II); varicella e fuoco di Sant’Antonio (virus della varicella zoster); mononucleosi infettiva e linfoma di Burkitt ovvero tumore ai linfonodi (virus di Epstein-Barr). Adenovirus sono circa 40 e infettano le vie respiratorio e vie intestinali, causano quindi mal di gola, tonsilliti, congiuntiviti ecc... Papovavirus sono gli agenti eziologici della verruca e alcune malattie degenerative del cervello e sono anche virus oncogeni. Parvovirus causa gastroenteriti in seguito a ingestioni di molluschi infetti e guariscono spontaneamente come quasi tutte le malattie virali. 5 Iori, Ribisi, Nisi BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 5 22/03/2021 Mentre tra i virus a RNA: Picoronavirus causa la polio (poliomielite), epatite A, disturbi intestinali, raffreddore comune e meningite asettica ovvero non causata dal meningococco o da un agente batterico. Togavirus causa la rosalia. Orthomyxovirus causa influenza nell’uomo e negli animali. Paramyxovirus causa morbillo e parotite (prima dei vaccini queste, insieme alla rosolia, causavano malformazione nei feti) Rabdovirus causa la rabbia. Coronavirus causa infezioni delle vie respiratorie come la Sars-Cov 1 e Sars-Cov 2 Sempre virus a RNA ma ad alta mortalità: Flavivirus causa febbre gialla, epatite C. Filovirus causa febbri emorragiche come quelle causate dall’ebola. Bunyavirus causa encefalite di St. Luis, sindrome polmonare da hantavirus. Reovirus causa vomito, diarrea, encefalite. Retrovirus causa AIDS e alcuni tipi di cancro. CORONAVIRUS I coronavirus sono una vasta famiglia di virus noti per causare malattie che vanno dal comune raffreddore a sindrome respiratoria mediorientale (MERS) e sindrome respiratoria acuta grave (SARS-COV1 e SARSCOV2). Sono virus RNA a filamento positivo, con aspetto simile a una corona al microscopio elettronico. I coronavirus sono stati identificati già a metà degli anni ’60 e sono noti per infettare l’uomo e alcuni animali inclusi uccelli e mammiferi. Le cellule bersaglio primarie sono quelle epiteliali del tratto respiratorio e del tratto gastrointestinale. Fino ad oggi sono 7 i coronavirus in grado di infettare l’uomo. Coronavirus umani comuni sono: HCoV-OC43 e HCoV-HKU1 (betacoronavirus), HCoV-229E e HCoVNL63 (alphacoronavirus). La comparsa di nuovi virus patogeni per l’uomo che prima infettavano solo gli animali, è un fenomeno conosciuto chiamato spillover o salto di specie e si pensa che possa essere alla base del nuovo coronavirus. È un tipico virus a capside sferico, a RNA singolo filamento all’interno del CORE e presenta le proteine Spike Glycoprotein sulla sua superficie (il bersaglio di tutti i vaccini). 31 dicembre 2019 le autorità sanitarie cinese hanno notificato, probabilmente in ritardo, un focolaio di casi di polmonite ad eziologia sconosciuta nella città di Wuhan (provincia dell’Hubei in Cina). Molti casi iniziali hanno riferito una esposizione al mercato di animali vivi e quindi si pensò che l’infezione potesse aver fatto il salto di specie da animali vivi ad umani in stretto contatto con essi; ma tutt’ora non ne abbiamo la certezza. 9 gennaio 2020 il China CDC (centro per il controllo e la prevenzione delle malattie della Cina) ha identificato questo nuovo virus (2019-nCov) come causa eziologica di queste patologie. Le autorità 6 Iori, Ribisi, Nisi BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 5 22/03/2021 sanitarie cinesi hanno confermato che il virus si trasmette da uomo a uomo e la malattia venne chiamata Covid-19 (coronavirus disease 2019). Alcuni link aggiornati per vedere le caratteristiche, la diffusione del virus in Europa e nel mondo: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2 https://www.who.int/health-topics/coronavirus https://www.ecdc.europa.eu/en/novel-coronavirus-china https://www.cdc.gov/coronavirus/2019-ncov/index.html VIE DI TRASMISSIONE Il nuovo Coronavirus si diffonde principalmente attraverso il contatto stretto con una persona malata. La via primaria di trasmissione è rappresentata dalle goccioline del respiro delle persone infette, ad esempio tramite: la saliva (tramite tosse e starnuti); contatti diretti personali; le mani (toccando con le mani contaminate bocca, occhi o naso). Le misure di prevenzione raccomandate sono: precauzioni standard (mascherine e occhiali); proteggersi dal contatto con superfici potenzialmente infette. VACCINI ANTI COVID-19 -ITALIA In Italia distinguiamo due classi di vaccini, a mRNA e a vettore virale. Quelli a mRNA autorizzati in questo momento sia dall’ EMA(Agenzia Europea per i Medicinali) che dall’ AIFA(Agenzia Italiana del Farmaco) sono il Pfizer e il Moderna. I vaccini a mRNA contengono l’mRNA per la proteina spike presente sul SARS-CoV-2. Quindi una volta entrato nella cellula fa produrre, alla cellula, la proteina Spike del virus che sensibilizza il nostro sistema immunitario. Dopo questa azione l’mRNA per spike si degrada. Le proteine prodotte stimolano il sistema immunitario a produrre anticorpi specifici, in chi si è vaccinato e viene esposto al contagio virale, gli anticorpi bloccano così le proteine Spike e ne impediscono l’ingresso nelle cellule. Inoltre la vaccinazione attiva le cellule T della memoria che preparano il sistema immunitario a rispondere a ulteriori esposizioni a SARS-CoV-2. Per vedere se il vaccino ha avuto effetto si fa il dosaggio degli anticorpi. Per quanto riguarda i vaccini a vettore virale ad oggi in italia l’unico autorizzato è AstraZeneca. Questo vaccino è composto da un adenovirus di scimpanzè incapace di replicarsi e modificato per veicolare l’informazione genetica destinata a produrre la proteina Spike del virus SARS-CoV-2. La tecnologia del vettore virale utilizzata per questo vaccino è già stata testata con successo, ed è utilizzata per prevenire altre malattie e per curare malattie genetiche con la terapia genica. Questo vettore virale è un virus incapace di replicarsi, non infetta la cellula, e di integrarsi nel DNA della cellula; è infatti stato modificato 7 Iori, Ribisi, Nisi BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 5 22/03/2021 per portare all’interno della cellula la sequenza che codifica per la proteina spike(cioè che produce l’mRNA di spike). Il sistema immunitario si attiva contro la proteina e produce degli anticorpi che, qualora il soggetto entrasse a contatto con il virus, lo proteggeranno dall’infezione. VACCINI ANTI COVID-19 –UNIONE EUROPEA Oltre a Pfizer, Moderna e Astrazeneca, l’UE ha fatto contratti con altre ditte farmaceutiche che producono: Janssen: è a vettore adenovirale, molto simile ad astrazeneca, che codifica per la proteina spike. È ancora in fase di autorizzazione. CVnCov CureVac’s: è a mRNA per spike. Non ancora autorizzato. Sanifi-GSK: contiene la proteina ricombinante spike. Non ancora autorizzato. VACCINI ANTI COVID-19 -EXTRA EUROPEI Coronavac (Sinovac): vaccino cinese che è basato su una versione “inattivata” del coronavirus, questa suscita una risposta immunitaria, ma manca dell’attività replicativa e non genera un’infezione vera e propria. Sputnik V o Gam-Covid-vac: vaccino russo a vettore adenovirale, sono due diversi vettori mixati all’interno del vaccino, entrambi codificano per spike. In seguito alla vaccinazione, indipendentemente dal tipo di vaccino, viene prodotta la proteina spike all’interno della cellula vaccinata. Nella cellula eucariotica alcune di queste proteine formano delle strutture a punta che migrano sulla superfice della cellula, in forma intera o in frammenti. Queste proteine, che derivano dalla spike virale, sono presentate come antigeni al sistema immunitario, da cui vengono riconosciute, il quale produce anticorpi e attiva la risposta immunitaria T. VIROIDI Infettano solamente le piante, sono più piccoli di un virus, sono privi di rivestimento e proteine che intervengono nella replicazione(polimerasi). Hanno un RNA corto (200-400 nt) non rivestito da proteine. Es: Patate infettate da viroidi. 8 Iori, Ribisi, Nisi BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 5 22/03/2021 I viroidi si trovano generalmente nel nucleo delle cellule ospiti e sembra interferiscano con la regolazione genica. LE MALATTIE PRIONICHE Sono malattie causate da particelle proteiche infettive, degli agenti eziologici mai descritti fino a pochi anni fa come agenti infettivi. Le malattie prioniche furono descritte per la prima volta negli anni ’30 con lo scrapie, patologia mortale nelle pecore, di cui venne dimostrata la trasmissibilità intraspecifica. La pecora colpita da scrapie ha gravi difficoltà locomotorie e osservando il cervello di queste pecore si è scoperto che erano affette da Encefalopatia spongiforme, il cervello si mostrava con un caratteristico aspetto spugnoso perché questa malattia causa la morte dei neuroni che vengono sostituiti da tessuto cicatriziale. Questa malattia insorge dopo anni di incubazione, in generale è lo stesso anche per tutte le altre malattie prioniche, in seguito a somministrazione di materiale infetto. Negli anni ’50 viene descritta nell’uomo una patologia neurologica analoga allo scrapie, in termini di tipologia di lesione neuronali, chiamata KURU dal nome della tribù che praticava cannibalismo mangiando la materia cerebrale dei capi tribù che erano infetti e quindi infettavano le altre persone. Negli anni ’70 sono stati segnalati dei casi di CJD (Creutzfeldt-Jacob Disease) in pazienti a cui veniva somministrato GH (ormone della crescita) estratto da cadaveri. Per la prima volta si costruì l’ipotesi che queste malattie venissero causate dall’ingestione di materiale infetto, da un’agente eziologico ancora sconosciuto, che causava questa encefalopatia spongiforme. Nell’82 Prusiner pubblicò sulla rivista Science un articolo in cui dimostrò che una particella infettiva proteica causava lo scrapie nelle pecore. Il termine Prione fu attribuito quindi ad un agente infettivo non convenzionale di natura proteica e totalmente privo di acidi nucleici, in quanto se si irradia il tessuto infetto questo non perde la sua capacità di infettare. Significa quindi che l’agente eziologico di questa malattia non è un virus o batterio perché gli acidi nucleici vengono distrutti dai raggi X. Inoltre è un agente eziologico di malattie degenerative del SNC in alcuni animali. L’acronimo Prion deriva dal termine Proteinaceus Infective Only particle ossia “particella infettiva solamente proteica”, questo ribadisce che non contiene acidi nucleici. TSE- ENCEFALOPATIE SPONGIFORMI TRASMISSIBILI Sono lesioni degenerative presenti prevalentemente nei distretti encefalici, che si manifestano con comparsa di vacuoli e perdita di materiale neuronale, conferendo al tessuto nervoso un aspetto spongioso, e si possono trasmettere da soggetti infetti a soggetti sani. Tutte le TSE sono malattie neurodegenerative dall’esito fatale caratterizzate da un periodo di incubazione molto lungo, per le quali attualmente non esiste nessuna cura. 9 Iori, Ribisi, Nisi BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) OSPITE MALATTIA PATOGENESI Pecora Scrapie Infezione orizzontale Uomo Kuru Infezione orizzontale (cannibalismo) Uomo CJD da HGH Infezione orizzontale Lezione 5 22/03/2021 (somministrazione di HGH estratto da ipofisi di cadavere) Uomo CJD Familiare Mutazione del gene che codifica PrP Uomo CJD Sporadica Mutazione del gene che codifica PrP Bovino BSE Infezione orizzontale (farine proteiche da animali infetti) Uomo CJD Variante Infezione orizzontale (alimentare, da animali infetti) Felino FSE Infezione orizzontale (farine proteiche da animali infetti) Uomo GSSD Mutazione del gene che codifica PrP Visone TMSE Infezione orizzontale (farine proteiche da animali infetti) Esempi di alcune malattie prioniche. La patogenesi della scrapie è stata identificata con un’infezione orizzontale, ovvero la proteina infettiva è stata introdotta attraverso l’infezione intraspecifica tra una pecora e l’altra, attraverso l’ingestione di materiale cerebrale infetto contenuto in farine e carne. Anche il KURU è un’infezione orizzontale, deriva dal cannibalismo. Il CJD è un’infezione orizzontale però causata da un intervento medico, ossia somministrazione di HGH estratto dall’ipofisi di un cadavere. Nell’uomo esistono diverse forme di CJD: Familiare, causata dalla mutazione ereditaria del gene PrP che ha una funzione esplicata prevalentemente nel cervello. Sporadica, causata dalla mutazione somatica del gene PrP. Variante, causata da un’infezione orizzontale derivante da un’ingestione alimentare di animali infetti, principalmente carni di bovino infettate da BSE. Le TSE nell’uomo possono essere quindi sporadiche, ereditarie (ereditate dai genitori per mutazione del gene PrP) o acquisite (dovuta all’ingestione di alimenti infetti). BASI MOLECOLARI DELLE TSE La proteina prionica cellulare PrPC (cellular prion protein) codificata dall’ospite viene convertita nella forma alternativa PrPSc (scrapie associated prion protein). PrPSc è l’agente infettivo che replica se stesso reclutando PrPC endogena. La differenza tra queste isoforme risiede nella conformazione del monomero e nel suo stato di aggregazione. Infatti i prioni sono isoforme patologiche di proteine normali. 10 Iori, Ribisi, Nisi BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 5 22/03/2021 in quest’immagine vediamo come, quando una PrPC non mutata viene a contatto con PrPSc, viene convertita in una molecola infettiva anch’essa. In questo modo avviene la propagazione della proteina infettiva. la conversione da PrPC a PrPSc avviene a causa della mutazione del gene PRNP, la proteina corrispondente può modificare la sua struttura IIa e IIIa, divenire insolubile e accumularsi nei tessuti cerebrali dove causa le TSE. PATOGENESI DELLE MALATTIE PRIONICHE Non è dovuta solamente all’ingestione di una proteina prionica infettiva, ma anche da mutazioni del gene PRNP (coinvolto nel metabolismo del rame nel cervello). Queste mutazioni sono state identificate in varie forme come la CJD. Le mutazioni a carico del gene possono essere puntiformi, cambio di un amminoacido, inserzioni che causano la comparsa di codoni di stop; questi cambiamenti provocano un’alterazione della struttura della PrP che causa la produzione di una proteina anormale, la PrPSc. Questa proteina anormale si accumula nel cervello formando degli aggregati che danneggiano e distruggono le cellule nervose, la perdita di neuroni oltre a creare dei buchi a livello del tessuto neuronale porta alla perdita progressiva delle caratteristiche mentali e comportamentali tipiche dell’individuo. IL SUPERAMENTO DELLA BARRIERA DI SPECIE Si pensa che la pecora con scrapie sia stata utilizzata per creare il mangime per i bovini, ma finché il mangime fu trattato con dei solventi durante la preparazione non ci fu nessun effetto. Negli anni ’70 però venne abbandonato il processo di estrazione con solventi per la preparazione dei mangimi e dopo 20 anni ci fu l’epidemia di BSE (TSE nei bovini) nel regno unito. Si capì così che i prioni sopravvivono durante la 11 Iori, Ribisi, Nisi BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 5 22/03/2021 preparazione dei mangimi e infettano i bovini, infatti quando furono eliminate le farine carne per l’alimentazione dei bovini l’epidemia fu messa sotto controllo. Quello che non è stato dimostrato, ma che è molto probabile, è che potrebbe esserci stato un ulteriore salto di specie tra bovino e l’uomo, attraverso l’ingestione di carne bovina infetta. Questo non è strato dimostrato perché i casi di TSE nell’uomo sono molto rari, ad esempio i casi di CJD sono di poche decine all’anno. Mentre dal 1990 al 2009 morirono 210 persone in europa di cui 166 sono nel regno unito per una malattia simile alla BSE: una cariante della CJD. Successivamente il salto di specie fu confermato anche per l’uomo perché si è visto che questa variante della CJD è causata dallo stesso prione della BSE, questo ha messo in evidenza il potenziale zoonotico delle malattie prioniche animali. 12 Maggi, Maiolo, Loi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 6 23/03/2021 LA COMUNICAZIONE INTERCELLULARE E LA TRASDUZIONE DEL SEGNALE In questa lezione vedremo come le cellule comunicano tra di loro e come un segnale prodotto da una cellula raggiunga un’altra cellula e venga trasdotto, o trasportato, dalla membrana plasmatica attraverso il citoplasma e produca degli effetti biologici. In generale, tutte le cellule animali contengono un elaborato sistema di proteine che le rendono capaci di rispondere ai segnali provenienti da altre cellule. Il primo esempio di segnalazione (figura sottostante) è attraverso molecole secrete: una cellula segnalatrice o effettrice (signaling cell) produce e secerne la molecola segnalatoria, che viene captata e legata da un specifico recettore, cioè una proteina di membrana che la lega con alta specificità, presente sulla cellula bersaglio (target cell). Nel secondo esempio (figura sottostante) la segnalazione avviene attraverso molecole legate alla membrana: la cellula segnalatrice in questo caso non produce nè secerne una molecola, ma la molecola segnalatrice è una proteina o molecola di membrana che interagisce sempre con uno specifico recettore sulla cellula bersaglio, scatenando, così come per il primo caso, una reazione nella cellula bersaglio che dipende dal tipo di molecola secreta o dal tipo di signaling scatenato, che possono generare importanti modificazioni sia a livello citoplasmatico sia a livello nucleare. PRINCIPALI MOLECOLE SEGNALE • • • • • Proteine e loro derivati: o Peptidi o Amminoacidi singoli Nucleotidi Steroidi (ormoni stereoidei) Retinoidi (acido retinoico, ossia Vitamina A) e Vitamina D Gas disciolti (come monossido d’azoto, che interviene durante la stimolazione della reazione infiammatoria) 1 Maggi, Maiolo, Loi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 6 23/03/2021 La cellula bersaglio risponde al segnale che le ha mandato l’altra cellula per mezzo di specifiche proteine, che sono il recettore di membrana oppure recettori intracellulari, nel caso in cui la molecola segnalatrice riesca ad entrare nella cellula e a legarsi ad un recettore presente nel citoplasma o addirittura nel nucleo. In questo caso si tratta di piccole molecole lipofile, come per esempio le vitamine A e D, che entrano per diffusione passiva e trovano il loro recettore all’interno della cellula. Tuttavia, altre molecole proteiche non possono entrare passivamente attraverso la membrana, quindi devono trovare i loro recettori sulla superficie della cellula bersaglio. Il legame della molecola segnale al recettore innesca una cascata di segnalazione, un processo molto complesso, a cascata appunto, di attivazione di varie proteine o adattatori attraverso i quali il segnale viene trasportato (trasdotto) attraverso il citoplasma fino al nucleo, dove causa l’attivazione di specifici geni. Quindi il segnale influisce sulla trascrizione di specifici geni e di conseguenza sulla sintesi di specifiche proteine che sono poi responsabili dell’effetto biologico di quel particolare segnale/molecola (ormoni, altre molecole segnale) su quella specifica cellula. Tale effetto può essere quello di: • • • • un aumento o una modulazione della proliferazione (moltiplicazione cellulare) un’induzione al differenziamento, cioè maturazione cellulare un’induzione all’apoptosi altri effetti biologici, che dipendono, come già detto, da quello specifico segnale. Alla trasduzione del segnale dal citoplasma al nucleo prendono parte numerose proteine: • • • • • chinasi o cinasi, che sono delle fosfotransferasi, dunque fosforilano, cioè trasferiscono un gruppo fosfato su altre proteine, modificandone l’attività. Vedremo che ci sono due tipi di chinasi: le tirosin-cinasi, che fosforilano in tirosina, e le serin/treonin-cinasi, che fosforilano in serina o treonina; fosfatasi, che fanno il lavoro contrario: tolgono un gruppo fosfato da una proteina; proteine leganti il GTP; proteine adattatrici, che funzionano come “spinotti” molecolari per trasportare questo segnale; fattori trascrizionali, presenti nel nucleo e in grado di modificare l’espressione genica a seconda del segnale che arriva nel nucleo. Oltre alle proteine abbiamo: • • alcuni lipidi (inositolo fosfolipidi, presenti nel foglietto interno della membrana plasmatica); molecole chiamate secondi messaggeri: il primo messaggero è la molecola segnale che si attacca al recettore, il secondo messaggero è quella molecola che viene attivata in seguito al legame della molecola segnale con il suo recettore; tra questi annoveriamo Ca2+, cAMP, etc. 2 Maggi, Maiolo, Loi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 6 23/03/2021 FORME DI SIGNALING MEDIATO DA PROTEINE SECRETE A. Segnalazione paracrina: la più frequente dal punto di vista fisiologico; la cellula segnalatrice/effetrice che produce il segnale lo secerne nell’ambiente e le cellule bersaglio che si trovano a poca distanza dalla cellula segnalatrice legano attraverso il loro specifico recettore la molecola segnalatrice. Il segnale paracrino avviene classicamente all’interno di un tessuto, dove c’è una cellula che produce un segnale e altre cellule vicine spazialmente che ne beneficiano. B. Segnalazione sinaptica: una cellula nervosa, attraverso la secrezione dei neurotrasmettitori nello spazio sinaptico, influisce sulla fisiologia della cellula bersaglio che, attraverso recettori specifici, lega i neurotrasmettitori C. Segnalazione endocrina: la cellula endocrina (c. effettrice) produce un segnale, classicamente un ormone, che non va ad agire su cellule spazialmente vicine, ma su cellule anche molto lontane nell’organismo. L’ormone viene secreto nel sangue e attraverso esso trasportato fino alle cellule bersaglio che possiedono lo specifico recettore e beneficiano o comunque reagiscono alla segnalazione ormonale ricevuta. 3 Maggi, Maiolo, Loi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 6 23/03/2021 LA SEGNALAZIONE AUTOCRINA Classicamente, agisce sulla stessa cellula che produce il segnale. Questo tipo di segnalazione, come vedremo, è caratteristico delle cellule tumorali, che producono il segnale e ne beneficiano, cioè si auto-stimolano. In un gruppo di cellule identiche per funzione e morfologia, ogni cellula riceve un forte segnale autocrino perché, oltre a produrre e secernere la molecola segnalatrice, possiede anche il recettore specifico per questa molecola, e quindi si auto-stimola senza bisogno di stimoli esterni. L’auto-stimolazione rende le cellule indipendenti, dal punto di vista della regolazione presente all’interno di un tessuto, dalle esigenze del tessuto stesso: pertanto, questa segnalazione è quasi sempre presente nelle cellule tumorali, che si svincolano appunto dal sistema di regolazione del tessuto stesso. AZIONE COMBINATORIA DEI SEGNALI Su una cellula arrivano milioni di segnali ogni secondo, però, per semplificare, diciamo che l’azione combinatoria di varie molecole influisce su tutta la fisiologia cellulare, quindi la sopravvivenza, il differenziamento, la proliferazione e tutte le sue altre funzioni. Nello schema a fianco (molto semplificato), una cellula che non riceve nessun segnale da parte di fattori di crescita, ossia quei fattori proteici che fanno crescere, moltiplicare e differenziare la cellula, è destinata a morire per apoptosi. Una cellula che, per esempio, riceve tre segnali (A, B, C) sopravvive, mentre una cellula che oltre a ricevere i segnali A, B e C riceve anche i segnali D ed E può anche modificarsi e proliferare. I RECETTORI DI MEMBRANA Esistono tre tipi di recettori di membrana: 1. recettori legati a canali ionici, in cui il legame con il ligando fa aprire il canale: gli ioni entrano secondo gradiente di concentrazione (canali ionici per il sodio, calcio, potassio…); 4 Maggi, Maiolo, Loi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 6 23/03/2021 2. recettori legati a proteine G, cioè proteine che legano il GTP e vengono attivate da questo legame; 3. recettori legati ad enzimi, inattivi nel loro dominio catalitico intracellulare quando non c’è nessuna molecola segnalatrice legata, si convertono invece in recettori attivati quando il ligando si lega allo specifico recettore e attiva l’azione catalitica dell’enzima stesso (di vario tipo a seconda dell’enzima e soprattuto del recettore). Gli enzimi legati ai recettori di membrana sono per la maggior parte protein cinasi: la fosforilazione, o legame con molecole come il GTP, è un sistema che la cellula usa per attivare, disattivare, o più in generale regolare moltissime delle sue funzioni, dei suoi enzimi e delle sue molecole. I recettori di membrana attivati dal legame col ligando specifico fosforilano una grande varietà di proteine intracellulari, e la fosforilazione di tali proteine può andare a influire, per esempio, sulla concentrazione di calcio, sull’attivazione di particolari enzimi, oppure sull’espressione genica. 5 Maggi, Maiolo, Loi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 6 23/03/2021 TRASDUZIONE DEL SEGNALE VIA RECETTORI LEGATI A PROTEINE G I recettori legati a proteine G hanno sette segmenti transmembrana, per questo detti seven-pass transmembrane proteins, e rappresentano la più grande famiglia di recettori di superficie. Questi sette segmenti transmembrana, che li ancorano alla membrana plasmatica, hanno una porzione NH2 rivolta verso l’ambiente extracellulare che si lega alla molecola segnalatrice che arriverà; la porzione intracellulare (COOH), come in tutti i recettori, è la porzione segnalatrice, che si legherà con altre molecole che trasportano il segnale all’interno della cellula a seconda del tipo di recettore. Le G-proteins (si chiamano così perché legano il GTP o il GDP) esistono in due forme, ma è solo quando sono legate al GTP che sono attive, quindi: 1. 2. forma attiva, quando è legata al GTP; forma inattiva, quando è legata al GDP. STRUTTURA DELLE G-PROTEINS TRIMERICHE Ci sono due tipi di G-proteins trimeriche, ora affrontiamo la trattazione delle proteine Gs trimeriche. Queste sono costituite da tre diversi polipeptidi: α, β, γ. La subunità αs lega e idrolizza il GTP e attiva l’adenilato ciclasi: è dunque la subunità funzionale del trimero. Le subunità β e γ, invece, hanno una funzione strutturale, cioè ancorano la subunità α alla faccia interna della membrana plasmatica. I ligandi, cioè le molecole segnalatrici che utilizzano questi recettori (e l’AMP ciclico come secondo messaggero), sono quelli illustrati in questa tabella: molti sono ormoni che regolano il metabolismo in vario modo. (sul glucagone faremo uno specifico esempio) 6 Maggi, Maiolo, Loi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 6 23/03/2021 MODELLO DI ATTIVAZIONE DELL’ADENILATO CICLASI Vediamo ora come è strutturata questa via di segnalazione. Il legame del ligando attiva l’enzima adenilato ciclasi, che converte l’ATP in AMP ciclico (cAMP). Nella prima raffigurazione (figura sottostante) è rappresentata la situazione a riposo, in cui non c’è nessuna molecola segnalatrice che lega il recettore: strutturalmente notiamo che il recettore è in condizione di riposo, la proteina Gs trimerica non interagisce con il recettore, il monomero αs è inattivo perché legato al GDP e l’adenilato ciclasi è inattivo. Quando arriva lo specifico ormone che lega il suo specifico recettore, c’è una modificazione conformazionale della porzione intracellulare del recettore, che espone un binding site, cioè un sito legame, per la proteina Gs che, sfruttando la fluidità della membrana plasmatica, va a interagire con tale porzione. Questo legame provoca la dissociazione del GDP e l’associazione col GTP, quindi l’attivazione della subunità αs della proteina Gs trimerica. A questo punto la subunità αs attivata si dissocia dal recettore e migra, sempre grazie alla fluidità della membrana, verso l’adenilato ciclasi esponendo un sito di legame attivo proprio per quest’ultima. 7 Maggi, Maiolo, Loi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 6 23/03/2021 Questo processo culmina con l’interazione della subunità αs attivata e dell’adenilato ciclasi che, a questo punto, viene attivata e inizia a produrre tante molecole di cAMP a partire dall’ATP. Nel frattempo, la molecola segnalatrice si è dissociata dal recettore e questo provoca il ritorno nella situazione di riposo di tutte le componenti citate: intanto però il segnale, dal recettore, è già migrato nel citoplasma e viene trasportato appunto da un secondo messaggero che è proprio il cAMP. IL cAMP ATTIVA LA PKA Facciamo ora un esempio di attivazione, da parte dell’AMP ciclico, di un enzima, la protein cinasi A o PKA. Nella sua forma inattiva, la PKA è costituita da quattro monomeri: due subunità catalitiche associate a due subunità regolatorie. Quando sono associate alle subunità regolatorie, le subunità catalitiche sono inattive. Quando, per effetto dei meccanismi visti primi, un segnale produce la formazione di molecole di cAMP, questo si lega alle subunità regolatorie facendole dissociare dalle subunità catalitiche, che si attivano e così la PKA diventa una cinasi attiva. 8 Maggi, Maiolo, Loi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 6 23/03/2021 FUNZIONI DELLA PKA La PKA, essendo una chinasi, catalizza il trasferimento di un fosfato dall’ATP a specifiche serine o treonine di specifiche proteine, regolandone l’attività. Il segnale che originariamente si è legato al recettore è l’ormone glucagone: questo porta alla produzione di cAMP che va ad attivare la PKA, che a sua volta attiva un’altra cinasi, la fosforilasi cinasi, mediante chiaramente l’utilizzo di ATP (per fosforilare, l’enzima deve prendere un fosfato dall’ATP); la fosforilasi cinasi attivata da questa fosforilazione in serina-treonina va ad attivare a sua volta, a cascata, la glicogeno fosforilasi attraverso sempre fosforilazione, la quale da luogo alla fosforolisi del glicogeno, cioè la produzione di glucosio 1-fosfato dal deposito di glicogeno. Questo fenomeno è detto glicogenolisi. Il glucosio 1-fosfato viene isomerizzato a glucosio 6-fosfato ed entra nella glicolisi: tutto ciò avviene ad opera del glucagone in condizioni di digiuno, quando la glicemia, la concentrazione di zucchero nel sangue, tende a diminuire per mancanza di nutrienti e deve essere aumentata a spese del glicogeno, che è il deposito (più che altro epatico) di glucosio. La glicemia deve essere sempre mantenuta a un livello più costante per far funzionare il cervello e tutti gli altri organi, e viene pertanto innalzata, in condizioni di digiuno, dal glucagone attraverso questa via di segnalazione che culmina con l’attivazione della glicogenolisi. GLI INOSITOLO FOSFOLIPIDI NELLA TRASDUZIONE DEL SEGNALE Come accennato prima, vi sono due tipi di proteine G trimeriche: ora descriviamo la via di trasduzione delle proteine Gq trimeriche. Queste sono molto simili come struttura alle Gs, ma non vanno ad attivare l’adenilato ciclasi, bensì un altro enzima. Come per le Gs, la subunità funzionale è la subunità α, questa volta αq, che lega e idrolizza il GTP attivandosi e, una volta attivata, attiva l’enzima fosfolipasi C-β. Anche in questo caso, le subunità β e γ hanno una funzione prettamente strutturale, quindi di ancoraggio della subunità α alla faccia interna della membrana plasmatica 9 Maggi, Maiolo, Loi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 6 23/03/2021 MODELLO DI ATTIVAZIONE DELLA FOSFOLIPASI C-β Il primo step è il medesimo: il legame della molecola segnalatrice al recettore di membrana che è legato alla proteina G trimerica, di tipo Gq. La subunità αq attivata porta all’attivazione dell’enzima fosfolipasi C-β, che scinde il fosfoinositolo 4,5bisfosfato (PIP2) in due molecole: diacilglicerolo e inositolo 1,4,5-trisfosfato (IP3). Queste due molecole, una volta sintetizzate, esercitano due diverse funzioni all’interno della cellula: il diacilglicerolo attiva un’altra protein cinasi, non la A ma la C (PKC), mentre l’IP3 stimola il rilascio di ioni Ca2+ dal reticolo endoplasmatico, deposito intracellulare di calcio nella cellula. L’IP3 L’IP3 è una piccola molecola idrosolubile che lascia la faccia interna della membrana e diffonde rapidamente attraverso il citosol. Si lega a specifici canali di rilascio del calcio sulla membrana del RE, provocando l’apertura dei canali e l’influsso del calcio dal RE al citoplasma (a riposo, cioè in assenza di questo stimolo, la concentrazione di Ca2+ nel citoplasma è bassissima sia rispetto a quella del RE sia dell’ambiente extracellulare). Nelle cellule muscolari, il calcio rilasciato dal reticolo sarcoplasmatico provoca la contrazione muscolare. A seconda dunque del citotipo, si dice che questo transiente di calcio, cioè innalzamento transitorio di calcio nel citoplasma a seguito di uno stimolo, provoca diverse reazioni. Il calcio rilasciato si lega agli stessi canali promuovendo il rilascio di altro calcio per feed-back positivo: c’è quindi un momento transitorio in cui, in risposta allo stimolo, la concentrazione di Ca2+ aumenta tantissimo all’interno della cellula. 10 Maggi, Maiolo, Loi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 6 23/03/2021 Il calcio attiva moltissime molecole (quasi tutte le molecole di adesione sono Ca2+-dipendenti), viene legato nel citoplasma da molecole leganti il Ca2+, poi dopo breve tempo il segnale viene terminato attraverso le pompe, le Ca2+-ATPasi, presenti sia sulla membrana plasmatica sia su quella del RE, così che la concentrazione di calcio citoplasmatica venga abbassata ai livelli di riposo per trasporto attivo del Ca2+ all’interno del RE o all’esterno della cellula. Oltre che per le Ca2+-ATPasi di membrana, l’IP3 viene inattivato anche dalle fosfatasi, che lo fosforilano, terminando così il segnale di aumento di calcio nel citoplasma. LA VIA DEL DIACILGLICEROLO Il diacilglicerolo (DAG) attiva una serin-treonin chinasi (PKC), che fosforila specifiche proteine bersaglio, che nella maggioranza dei casi portano ad un aumento dell’attività proliferativa cellulare. (per ora non ci concentriamo particolarmente su queste via) Per riassumere, le due branche della via degli inositolo fosfolipidi, cioè della via di segnalazione mediata da recettori legati a proteine Gq, sono rappresentate in quest’immagine: la proteina segnale si lega al recettore, viene attivata la subunità αq, che attiva la fosfolipasi C-β che effettua un cleavage, cioè un taglio del PIP2, andando a formare IP3 e DAG che, rispettivamente, rilasciano il calcio dal RE o attivano la PKC. 11 Maggi, Maiolo, Loi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 6 23/03/2021 TRASDUZIONE DEL SEGNALE VIA RECETTORI LEGATI AD ENZIMI Parliamo della trasduzione del segnale via recettori legati ed enzimi. I recettori legati ad enzimi sono, come abbiamo sempre detto, proteine transmembrana (quindi proteine di membrana) che, come tutti i recettori, presentano una porzione extracellulare che lega il ligando (cioè la molecola segnale) e la porzione intracellulare che in questo caso essendo un enzima ha un dominio catalitico. I recettori legati ad enzimi di cui parleremo sono essenzialmente recettori che servono per la trattazione del nostro corso: i recettori dei principali fattori di crescita. I fattori di crescita sono di fatto delle molecole proteiche che agiscono interagendo col proprio specifico recettore su determinate cellule bersaglio, a seconda del fattore di crescita, e che fanno moltiplicare un determinato tipo cellulare oppure lo fanno maturare, cioè differenziare. Vediamo qui alcuni esempi: -EGF receptor, Epitelial Growth Factor cioè il fattore di crescita epiteliale che lega le varie forme delle EGF quindi è fondamentale per la crescita, quindi la moltiplicazione e anche il differenziamento di tutti gli epiteli. -NGF receptor, Nerve Growth Factor scoperto da Rita Levi Montalcini, ovvero il fattore di crescita per le cellule nervose che stimola legandosi a questo ricettore la moltiplicazione e la maturazione delle cellule del sistema nervoso. -PDGF receptor, Platelet-derived Growth Factor cioè fattore di crescita prodotto dalle piastrine ma che agisce sui fibroblasti stimolandone la proliferazione -MCF receptor, Monosite Colony Stimulating Factor, un fattore che stimola la proliferazione delle colonie quindi dei progenitori delle cellule indifferenziate della linea monocitaria e le fa anche differenziare cioè maturare a monociti. -FGF receptor, Fibroblast Growth Factor è il fattore di crescita per i fibroblasti. -VEGF receptor, Vascular Endotelial Growth Factor è un fattore di crescita che va ad agire sulle cellule endoteliali, le cellule che formano i vasi sanguigni, e le fa proliferare e differenziare. 12 Maggi, Maiolo, Loi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 6 23/03/2021 Quindi, l’attivazione di questo di questi recettori è la chiave per il mantenimento di tutti i tessuti del nostro organismo e per un corretto equilibrio tra pool di cellule che proliferano, si moltiplicano, differenziano e che vanno a svolgere la loro funzione specifica nei vari tessuti. i recettori di cui tratteremo sono tutti recettori che come dominio intracitoplasmatico hanno una tirosincinasi, cioè l'enzima nella porzione intracitoplasmatica è una tirosin-cinasi, mentre, come abbiamo detto nella prima parte della lezione sulla comunicazione cellulare, gli enzimi legati ai recettori possono essere anche di altro tipo. In questo caso quelli che ci interessano sono tirosin-cinasi e come vedremo possono essere recettori legati a tirosin-cinasi o veri e propri recettori tirosin-cinasici, che hanno appunto nel loro dominio catalitico l’enzima che è una tirosin-cinasi, cioè una fosfotrasferasi che fosforila in tirosina. Si suddividono in sei sottofamiglie (non c'è bisogno che impariate queste sei sottofamiglie ma è necessario che sappiate di cosa sono i recettori e a cosa servono). Per questi tipi di molecole segnale, il legame di questi fattori di crescita con il recettore provoca la dimerizzazione del recettore stesso; cioè il recettore, grazie all’ affinità di membrana, dimerizza con un altro recettore dello stesso tipo e avviene la cosiddetta transfosforilazione dei domini intra citoplasmatici su residui specifici di tirosina. Quindi il dimero recettoriale si transfosforila, significa che una molecola di recettore fosforila l'altra grazie appunto alll'attività tirosin-cinasica presente nella porzione intracitoplasmatica del recettore stesso. Alcune definizioni molto importanti che riguardano soprattutto i domini di interazione proteina-proteina, che entrano in gioco e hanno un ruolo molto importante nella trasduzione del segnale per questo tipo di recettori e sono essenzialmente: • • • • • Il domino SH2: che riconosce e lega una fosfotirosina, ovvero una tirosina fosforilata. Per quanto riguarda il recettore, per esempio, le fosfotirosine sul dominio intracitoplasmatico del recettore, sono dei siti di legame ad alta affinità per delle proteine citoplasmatiche che contengono un dominio SH2. Le proteine con SH2 che si legano alla fosfotirosina del recettore vengono a loro volta fosforilate perché il recettore ha un’attività catalitica nella sua porzione intracitoplasmatica e più esattamente tirosin-cinasica. Queste proteine comprendono anche proteine adattatrici e formano una catena di trasduzione, quindi di trasporto del segnale, che appunto trasporta il segnale dalla membrana fino al nucleo. Queste proteine adattatrici possono avere degli altri domini di interazione oltre a quello di SH2 come, per esempio, i domini SH3 e quindi permettono legame con altre proteine segnale che contribuiscono a trasportare il segnale lungo il citoplasma fino al nucleo. Il dominio SH3: analogamente al dominio SH2 è una porzione di una proteina che lega un dominio ricco di prolina di un'altra proteina. 13 Maggi, Maiolo, Loi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 6 23/03/2021 Ora vedremo come si concretizzano queste interazioni in una catena di trasduzione del segnale che coinvolge appunto l'attivazione dei recettori tirosin-cinasici. I recettori tirosincinasici sono i recettori che possiedono un domain, una regione catalitica intracitoplasmatica intrinseca al recettore; Vediamo le vie di segnalazione dei recettori legati a protein-cinasi che quindi non hanno un domain intrinseco catalitico, ma possiedono un’attività tirosincinasica dovuta al fatto di essere legati a tirosincinasi. CATENA DI TRASDUZIONE DEL SEGNALE TRAMITE RECETTORI TIROSIN-CINASICI 1. Il legame del ligando alla porzione extracellulare del recettore provoca la transfosforilazione del dimero e delle regioni catalitiche dei due recettori; 2. il recettore viene fosforilato in tirosina, si dice che espone una tirosina fosforilata (Tyr-P). 3. La tirosina fosforilata viene legata ad un’altra proteina che possie un domain SH2, la Grb2, un adattatore molecolare fatto proprio come un adattatore elettrico, che connette due proteine diverse, in questo caso il recettore oppure altre proteine che partecipano alla catena di trasduzione del segnale; 4. Grb2 quindi ha un SH2 con cui lega la fosfotirosina, formatasi sul recettore in seguito al legame con il ligando, ed inoltre ha due domains SH3 che legano un'altra proteina che partecipa a questa catena che si chiama SOS; 5. SOS è una proteina scambiatrice di GTP e GDP e, quando legata a Grb2 viene attivata; 6. SOS attiva Ras che è una proteina G, però monomerica, consentendogli di legarsi al GTP; Tutte le proteine G si chiamano così perché si attivano quando sono legate al GTP quindi il legame di SOS a Ras fa sì che Ras si leghi al GTP e quindi che sia attivato 7. Ras, una volta attivato, causa una cascata di fosforilazioni (parte destra della figura) e che sono fosforilazioni attivanti (in questo caso sono fosforilazioni di serina treonina), che coinvolgono una classe di proteine chiamate MAP chinasi (MAPK) MAP significa mytogen activated protein, cioè proteine attivate dai mitogeni sintesi, che sono proteine che promuovono ovviamente la proliferazione cellulare così come fanno i mitogeni. Ras attiva direttamente la prima classe di queste proteine che è chiamata MAP chinasi chinasi chinasi o MAPKKK di cui un esempio è Raf; 14 Maggi, Maiolo, Loi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 6 23/03/2021 8. Raf attiva per fosforilazione la proteina MEK, che fa parte delle MAP chinasi chinasi o MAPKK, e che attiva a sua volta una grande classe di proteine che si chiamano appunto MAPinasi. 9. Le MAPinasi una volta fosforilate vanno a migrare nel nucleo dove fosforilano anch’esse, essendo chinasi, dei fattori trascrizionali come fos e jun che una volta fosforilati eterodimerizzano e vanno a regolare la trascrizione legandosi ai promotori dei geni di risposta primaria al fattore di crescita che si era originariamente legato al recettore. Quindi che cosa attiveranno se, per esempio, si lega un fattore che promuovere la proliferazione delle cellule epiteliali? Si legheranno ai promotori dei geni che causano l'entrata nel ciclo cellulare e quindi causano l'avvio della moltiplicazione cellulare e altri geni che regolano positivamente la proliferazione cellulare. Quindi, questi geni a seguito di questa segnalazione specifica vengono attivati, attraverso l'attivazione del loro specifico promotore, vengono trascritti e vengono tradotti e quindi il risultato di questa catena è che la cellula prendere una determinata via o proliferativa o differenziativa a seconda del tipo di recettore che è stato attivato, cioè a seconda del tipo di molecola che si è legata originariamente al recettore stesso. La specificità di risposta della cellula dipende dalla cellula stessa, ovviamente anche dal livello differenziativo della cellula stessa, perché una cellula staminale non reagisce allo stesso modo allo stesso fattore di crescita rispetto a una cellula differenziata e dipende appunto dal tessuto dove si trova e da altri segnali che la cellula riceve. Quindi l'attivazione di Ras avviene attraverso il legame col GTP che gli viene donato da una GNRP Guanine Nucleotide Releasing Protein, per esempio SOS. Ras inattivo lega la GNRP e diventa attivo per il legame con GTP. MODALITÀ DI TRASDUZIONE DEL SEGNALE DEI RECETTORI ASSOCIATI A TIROSINCINASI Sono i recettori di quasi tutti i fattori di crescita emopoietici delle cosiddette citochine. Questi recettori mancano di un dominio catalitico a differenza dei recettori tirosin-cinasici propriamente detti. In questo caso l’attività tirosincinasica viene esercitata da tirosin-cinasi associate al loro dominio intracitoplasmatico; un esempio di queste tirosin-cinasi associate sono le proteine JAK, Jenus Associated Kinase. 15 Maggi, Maiolo, Loi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 6 23/03/2021 Citochine di famiglie che usano questo tipo di recettore sono interleuchine che sono i fattori di crescita per il tessuto emopoietico: • • • • GM-CSF Granulocyte-monocyte colony-stimulating factor cioè il fattore di crescita per granulociti e monociti che regola il differenziamento e la crescita di granulociti e monociti; G-CSF Granulocyte colony-stimulating factor, che regola il differenziamento e la crescita di granulociti; ormone della crescita; prolattina; I recettori associati a tirosincinasi tipo II sono invece per esempio: • • • • recettori dell'interferone alfa recettori dell’interferone beta recettori dell'interferone gamma recettori dell'interleuchina 10. Ci sono poi i recettori TNF: • • • TNF-α recettori del tumor necrosis factor, una particolare molecola che si lega appunto al suo recettore causando l’apoptosi, stimola non la proliferazione ma la morte cellulare delle cellule alle quali si lega. Fas ligand lo ritroveremo come recettore di morte anche esso nell’apoptosi, NGF never growth factor è un recettore di questo tipo che però non porta a morte la cellula ma è presente sulle cellule nervose dove attua appunto la regolazione della crescita e del differenziamento. Recettori di questo tipo sono anche i recettori della superfamiglia delle immunoglobuline: • • • • M-CSF, il monocite colony stimulating factor, che regola proliferazione e differenziamento dei monociti; interleuchina-1; stem cell factor, fattore di crescita per le cellule staminali recettori delle chemochine, che sono sempre dei fattori di crescita, di stimolazione, che presentano multipli segmenti transmembrana. 16 Maggi, Maiolo, Loi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 6 23/03/2021 FUNZIONAMENTO VIA DI TRASDUZIONE DEL SEGNALE MEDIATA DA RECETTORI ASSOCIATI A TIROSIN-CINASI Questo è l'esempio classico di via di trasduzione del segnale che utilizza questo tipo di meccanismo; in particolare questa via utilizza le JAK come proteine legate al recettore e STAT come proteina che trasporta il segnale lungo il citoplasma fino al nucleo. 1. In questo caso il legame del ligando, quindi sempre della molecola segnale, citochina, interleuchina, ecc.., provoca la dimerizzazione del recettore; 2. Le JAK sono legate alla porzione intracitoplasmatica, in seguito al legame della citochina abbiamo la transfosforilazione delle porzioni intracitoplasmatiche del recettore; La Y è il simbolo letterale della tirosina. Y legato a P significa tirosina fosforilata, quindi in seguito al legame del ligando le JAK si attivano e attuano la loro azione catalitica che è quella di tirosin-cinasi andando a fosforilare in tirosina la porzione intracitoplasmatica del recettore. 3. Questa tirosina fosforilata lega delle proteine che possiedono un SH2, in questo caso le proteine STAT; 4. Una volta che STAT viene legato in queste condizioni dal recettore attivato viene fosforilato a sua volta, quindi STAT lega la tirosina fosforilata sul recettore e a sua volta viene fosforilato. Quindi se per esempio abbiamo due molecole di STAT che si sono legate al recettore attivato abbiamo due molecole che possono dimerizzare tra loro perché hanno ciascuna un domain SH2 e una tirosina fosforilata, quindi in questo modo due molecole di STAT fosforilate interagiscono tra loro; 5. Questo omodimero, che può essere anche un eterodimero perché di proteine STAT ne esistono di vari tipi, in generale è di fatto un fattore trascrizionale che quindi migra nel nucleo e va a legarsi a regioni specifiche di promotori che regolano l'espressione, in questo caso, delle citochine o dei geni di risposta a quella particolare citochina che si è legata originariamente sul recettore; Anche in questo caso la specificità della risposta della cellula, cioè la modulazione specifica dell'espressione genica con la trascrizione di specifici geni (genericamente CRG Cytokine-responsive gene), risiede appunto nel legame specifico tra citochina e il suo recettore, quindi espressione dello specifico recettore, specificità degli STAT che si legano al recettore attivato e quindi l’attivazione di particolari e specifici promotori sul genoma che portano quindi alla trascrizione e alla traduzione di proteine che vanno a fare la funzione dettata dal fattore di crescita, in questo caso la citochina, che si era originariamente legato alla porzione extracitoplasmatica del recettore stesso. 17 Morini, Tondi, Simonini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 7 29/03/2021 I CROMOSOMI In questa lezione parleremo della struttura cromatinica del DNA (quindi dei cromosomi), delle fasi della mitosi e degli eventi che le caratterizzano e, molto più in particolare, della regolazione genetica della mitosi. Il DNA umano è lungo 3 miliardi di paia di basi, quindi deve essere organizzato all’interno del nucleo per non aggrovigliarsi. Il DNA, infatti, è impacchettato in strutture chiamate nucleosomi, i quali funzionano come dei piccoli rocchetti attorno ai quali il DNA si avvolge e si struttura. Ogni nucleosoma è formato da un nucleo proteico, il quale è costituito da 8 molecole di istoni. Il DNA che si avvolge attorno ad un nucleosoma è lungo circa 146 paia di basi. I nucleosomi sono collegati tra di loro da segmenti di DNA chiamati DNA linker, che hanno la funzione di legare un nucleosoma all’altro con una struttura molto simile a quella in figura (sopra). Questa struttura appena descritta è quella della cromatina interfasica (non addensata). Sappiamo, però, che la cromatina può esistere in due diverse fasi: La cromatina non addensata, chiamata eucromatina, attiva dal punto di vista trascrizionale La cromatina più addensata, chiamata eterocromatina, inattiva dal punto di vista trascrizionale Inoltre, durante la mitosi, la cromatina si condensa fino ad arrivare al suo massimo stato di condensazione, che è il cromosoma metafasico. Come si arriva dall’eucromatina allo stato di condensazione del cromosoma metafasico? Ci sono vari stadi di condensazione della cromatina, mediati da eventi molecolari, che ora descriveremo: I nucleosomi (diametro 11 nm) si associano a formare una fibra di 30 nm quando l’istone H1, che è una molecola istonica che non fa parte del nucleosoma, si associa con il DNA linker dando origine ai nucleosomi impacchettati. Queste fibre di 30 nm si associano e formano grandi anse a spirale, tenute insieme dalle proteine dell’impalcatura, che sono proteine diverse dalle proteine istoniche Le anse interagiscono tra di loro per formare la cromatina condensata e i cromosomi metafasici 1 Morini, Tondi, Simonini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 7 29/03/2021 I cromosomi cominciano ad essere visibili nella profase mitotica: ognuno di essi si è duplicato nella precedente fase S e consiste di una coppia di unità identiche (come si vede nella figura dove viene rappresentato il cariotipo), chiamate cromatidi fratelli, strettamente uniti in corrispondenza del centromero. I cromosomi sono presenti in coppie nelle cellule somatiche, mentre nelle cellule germinali sono presenti in singola copia. Nelle cellule somatiche i membri di una coppia, chiamati cromosomi omologhi, sono simili per dimensione, forma e posizione dei loro centromeri. Per quanto riguarda la specie umana, il numero cromosomico è 46. I 46 cromosomi dell’uomo, quindi, costituiscono 23 diverse coppie. È importante sapere che i cromosomi omologhi portano le informazioni per gli stessi geni, sebbene la sequenza di geni possa non essere identica tra un omologo e l’altro (i cosiddetti alleli degli stessi geni). I cromatidi fratelli, invece, sono perfettamente identici perché derivano da una duplicazione che avviene durante la fase S. La coppia di cromosomi omologhi è formata da un omologo paterno e da un omologo materno: significa che il primo è stato ereditato dal padre e il secondo dalla madre. Un set di cromosomi “normale” contiene un membro per ogni paio di omologhi: se una cellula contiene 2 cromosomi di ogni tipo, si dice che possiede un corredo cromosomico diploide (2n) (come nel cariotipo rappresentato in figura), se ne possiede 1 per tipo è invece aploide (n), così come sono i gameti (spermatozoi e ovuli) Per l’uomo, come abbiamo detto, il numero diploide è 46, di cui 44 (22 coppie) sono gli autosomi e 2 (1 coppia) sono i cromosomi sessuali MITOSI E CITOCINESI Per quanto riguarda la mitosi, quello che abbiamo studiato fino ad ora sono le fasi meccanicistiche di questo processo. Quello che dobbiamo capire ora è come la proliferazione cellulare sia un processo finemente controllato da un programma genetico. Come altri meccanismi fisiologici molto importanti per la cellula, tra i quali il differenziamento e l’apoptosi, anche il controllo dei meccanismi della proliferazione cellulare è cruciale per il mantenimento dell’omeostasi tissutale I processi che regolano la divisione cellulare sono fondamentalmente simili in tutti gli eucarioti e questo ha permesso, a chi ha scoperto i meccanismi di regolazione genetica della proliferazione, di studiare la proliferazione degli eucarioti superiori in eucarioti inferiori, che sono organismi molto più semplici, come per esempio i funghi unicellulari. Quindi è stato possibile ricavare informazioni sui meccanismi di proliferazione cellulare studiando organismi eucarioti inferiori, i quali utilizzano meccanismi molto simili a quelli che usano le cellule degli organismi eucarioti superiori 2 Morini, Tondi, Simonini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 7 29/03/2021 LE FASI DEL CICLO CELLULARE Le fasi del ciclo cellulare sono principalmente 4: 1. G1: marcato accrescimento della cellula, che sintetizza tutti i componenti strutturali ed enzimatici per la duplicazione del DNA. 2. S: duplicazione del DNA e sintesi delle proteine cromosomiche, che sono indispensabili per l’assemblaggio della cromatina 3. G2: sintesi di proteine necessarie per la mitosi, che è la fase immediatamente successiva. 4. Mitosi: segregazione dei componenti citoplasmatici e del materiale nucleare in due cellule figlie Il ciclo cellulare è una serie ordinata di eventi o fasi che portano alla duplicazione cellulare. È importante ricordare che la cellula non può passare alla fase successiva se non ha correttamente completato la fase precedente. Per questo motivo, durante il ciclo cellulare, ci sono dei punti di controllo che la cellula deve “superare” per poter passare alla fase successiva. Ora andiamo a vedere brevemente i vari eventi che avvengono durante le fasi della mitosi. LA PROFASE Durante la profase mitotica avviene la condensazione cromatinica e il disassemblaggio del citoscheletro. Più avanti vedremo quali sono gli eventi molecolari che causano sia la condensazione cromatinica che il disassemblaggio del citoscheletro interfasico. LA PROMETAFASE Durante la prometafase avviene il disassemblaggio dell’involucro nucleare (anche questo è un fenomeno regolato geneticamente da eventi che tratteremo più avanti) e l’attacco dei cromosomi ai microtubuli del fuso, i quali li trascineranno ai poli della cellula che si sta dividendo. 3 Morini, Tondi, Simonini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 7 29/03/2021 LA FORMAZIONE DEL FUSO MITOTICO In figura sono rappresentati due tipi di microtubuli: I microtubuli colorati in rosso, che sono i microtubuli del cinetocore: collegano i cinetocori ai poli della cellula che si sta dividendo I microtubuli colorati in blu, che sono i microtubuli polari: provengono dai poli e si sovrappongono sul piano equatoriale I CROMOSOMI SI ATTACCANO AI MICROTUBULI DEL CINETOCORE I cromosomi si attaccano ai microtubuli del cinetocore e attraverso questi vengono trascinati, dalla metafase fino alle fasi finali della mitosi, ai due poli della cellula in divisione. A ciascun centromero è associato un cinetocore, che serve come punto d’attacco per i microtubuli. LA METAFASE La metafase è caratterizzata dall’allineamento dei cromosomi (che sono presenti nel loro massimo stato di condensazione) sulla piastra metafasica. Inoltre, i cinetocori mantengono uniti i cromatidi fratelli di ciascun cromosoma. L’ANAFASE Durante l’anafase i 2 cinetocori su ogni cromosoma si separano, e quindi i cromatidi fratelli si separano. Inoltre, avviene una crescente separazione tra i due poli del fuso per allungamento dei microtubuli polari (questo permette alla cellula madre di allungarsi e successivamente di dividersi in due cellule figlie) e, viceversa, i microtubuli del cinetocore si accorciano per trascinare i cromosomi ai due poli opposti della cellula in divisione. 4 Morini, Tondi, Simonini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 7 29/03/2021 LA TELOFASE Durante la telofase, l’ultima fase della mitosi, avvengono i seguenti eventi: I cromosomi segregati arrivano ai poli I microtubuli del cinetocore, che hanno già svolto la loro funzione di trascinamento dei cromosomi in corrispondenza dei nuovi nuclei che si stanno formando delle due cellule figlie, scompaiono I microtubuli polari si allungano ancora L’involucro nucleare si riforma La cromatina, essendo già segregata ai due poli della cellula madre, si decondensa e riappaiono i nucleoli LA CITOCHINESI La citochinesi o citocinesi, è un processo di divisione del citoplasma che normalmente segue la mitosi. Durante la citocinesi avviene la vera e propria divisione della cellula madre in due cellule figlie. Un anello contrattile preformato in corrispondenza della zona equatoriale della cellula madre comincia a restringersi causando un solco di divisione fino a separare fisicamente le due cellule figlie. 5 Morini, Tondi, Simonini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 7 29/03/2021 REGOLAZIONE DEL CICLO CELLULARE Ora descriveremo la regolazione del ciclo cellulare (regolazione genetica) da parte del tessuto. Infatti, quando non sono presenti patologie (quindi nella fisiologia) il tessuto regola attentamente i processi fondamentali della cellula: la moltiplicazione (cioè la proliferazione), l’apoptosi e il differenziamento cellulare, in modo tale da avere sempre un tessuto funzionalmente attivo senza alterare l’omeostasi del tessuto stesso. Per parlare della regolazione genetica della proliferazione cellulare, anticipiamo che la regolazione della progressione durante il ciclo cellulare (quindi la regolazione della proliferazione della divisione cellulare) è affidata a protein chinasi eterodimeriche, ovvero degli eterodimeri composti da: subunità regolativa chiamata ciclina, poiché il suo livello di espressione oscilla in modo specifico durante le fasi del ciclo cellulare. Quindi l’espressione delle cicline è fase-specifica (ci sono cicline del G1, cicline della S, cicline della M). Una ciclina, quindi, esercita la sua attività nella fase in cui è espressa e poi viene rapidamente degradata. subunità catalitica con attività chinasica (più precisamente serin-treonin-chinasica) dipendente dall’associazione con la ciclina, quindi chiamate Cdk o Cyclin Dependent Kynase (chinasi dipendenti dalle cicline). La attività dei complessi eterodimerici è controllata da eventi fosforilativi e dall’associazione con proteine regolatrici. REGOLAZIONE DEL CICLO NEI MAMMIFERI I primi studi sulla regolazione del ciclo cellulare nei mammiferi sono stati eseguiti su eucarioti inferiori, nei quali una singola Cdk (che si chiama, a seconda della specie, Cdc2 o Cdc28) regola le varie fasi del ciclo cellulare e le transizioni da una fase all’altra associandosi sequenzialmente a cicline del G1, cicline della S, cicline della M. Nei mammiferi (eucarioti superiori) si ha una situazione più complicata: esiste un’intera famiglia di Cdk che regola la progressione attraverso il ciclo cellulare mediante l’associazione alle cicline delle varie fasi. Negli eucarioti superiori, e in particolare nei mammiferi, l’entrata nel ciclo è subordinata all’azione dei fattori di crescita. Ciò significa che le cellule di un tessuto non sono sempre attivamente proliferanti. Nei tessuti ci sono vari pool, quindi degli insiemi di cellule diverse per attività fisiologica: ci sono pool di cellule proliferanti e pool di cellule quiescenti (che non stanno proliferando). Le cellule quiescenti si trovano in G0, che è una fase funzionale che non fa parte del ciclo cellulare (quindi le cellule in G0 non sono cellule in ciclo). Il reclutamento in ciclo, quindi l’attivazione della proliferazione di cellule quiescenti, avviene in risposta alla stimolazione di specifici fattori di crescita di cui abbiamo parlato nella lezione sulla comunicazione intracellulare (Lez. 6, Pag. 12), fattori di crescita dipendenti dal tipo di cellula come l’EGF (epidermal growth factor), l’NGF (nerve growth factor)… che stimolano la trascrizione quindi l’espressione di geni di risposta ai fattori di crescita come le cicline D (le prime cicline che vengono espresse per entrare in G1) e quindi l’entrata in ciclo. 6 Morini, Tondi, Simonini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 7 29/03/2021 La stimolazione di cellule quiescenti da parte di fattori di crescita induce la trascrizione, quindi l’espressione di geni di risposta primaria, cioè i primi geni espressi in corrispondenza dell’attivazione di recettori tirosinchinasici (ad esempio recettori dell’Epidermal Growth Factor, recettori del Platelet-Derived Growth Factor) o recettori associati a tirosin-chinasi (ad esempio recettori delle citochine, cioè di tutte le interleuchine, fattori di crescita emopoietici). I geni di risposta primaria sono anche fattori trascrizionali (es. myc, fos, jun), che inducono la trascrizione di geni di risposta secondaria. Questi ultimi sono geni la cui trascrizione avviene in risposta all’attivazione trascrizionale dei fattori trascrizionali che sono i geni di risposta primaria. Tipici geni di risposta secondaria nell’entrata in ciclo sono i geni delle cicline D. TRANSIZIONE G1/S Gli elementi chiave della progressione G1 sono le cicline D. Queste si associano a Cdk4 e Cdk6 a metà del G1. Successivamente viene indotta la ciclina E che si associa con Cdk2 e agisce al punto di restrizione appena prima della transizione G1/S. Il punto di restrizione è idealmente quel punto di G1, superato il quale la cellula non ha più bisogno di fattori di crescita per passare alla fase S e quindi giungere a dividersi. Se prima del punto di restrizione vengono a mancare i fattori di crescita la cellula si blocca in G1 e non è capace poi di transitare nelle altre fasi e arrivare alla fase M, cioè alla divisione. Gli eventi che caratterizzano la progressione del G1 preparano la cellula alla fase S, quindi devono rendere la cellula capace di far fronte agli eventi della fase sintetica. Uno dei substrati dei complessi del G1 (Cicline E D con Cdk associati) è RB. RB è un gene che è stato caratterizzato inizialmente in un tumore retinico (retinoblastoma) in cui è deregolato perché ha subito una mutazione. RB nella forma defosforilata funziona da repressore della proliferazione. Questo perché nella forma defosforilata, RB sequestra un fattore trascrizionale per la progressione G1 chiamato E2F. Slide: RB inibisce proteine importanti per la progressione G1 e la transizione G1/S (tra cui E2F) associandosi ad esse E2F è un fattore trascrizionale indispensabile per l’attivazione trascrizionale degli enzimi necessari per la duplicazione del DNA (ligasi, polimerasi, primasi…). A metà del G1 vengono attivati i complessi eterodimerici Cdk4/6+ciclina D e Cdk2+ciclina E. A questo punto, RB viene a trovarsi in una forma fosforilata nella quale non è più capace di sequestrare E2F che viene quindi rilasciato e va ad attivare la trascrizione dei geni necessari per la sintesi del DNA. Così la cellula (a metà di G1) diviene pronta per passare la transizione G1/S e quindi affrontare la fase S. Se RB è mutato (ed inattivato) non sequestra mai E2F, per cui la proliferazione è continuamente stimolata così come avviene nei tumori, e non è regolata dai fattori di crescita del tessuto. 7 Morini, Tondi, Simonini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 7 29/03/2021 Slide: Nelle cellule normali RB viene fosforilato in tardo G1 per permettere la transizione G1/S e viene poi defosforilato alla fine della M TRANSIZIONE G2/M Quando la cellula entra in S, il Cdk2 si dissocia dalla ciclina E si associa alla ciclina A e permette la progressione in S. Alla fine del G2 le cicline A e B si associano con Cdk1 per formare MPF o Mitosis Promoting Factor (fattore promuovente la mitosi). Questo è il primo eterodimero che fu identificato e studiato come regolatore della mitosi. L’attività di MPF comincia alla transizione interfase/mitosi e raggiunge il massimo in metafase ed inizia a diminuire all’inizio dell’anafase. REGOLAZIONE OPERATA DA MPF MPF regola le varie fasi della mitosi attivando in un primo momento (durante la profase) gli eventi mitotici e inattivando alla fine della mitosi (in anafase) questi stessi eventi mitotici. I substrati di MPF sono: • Lamina nucleare: lamina formata dalle tre lamine nucleari A, B e C, che forma un sostegno alla membrana nucleare interna. MPF causa la depolimerizzazione di questi filamenti intermedi mediante la sua azione fosforilante, quindi si disintegra la lamina nucleare in profase e di conseguenza si disassembla l’involucro nucleare. • Istone H1: mediatore della condensazione cromosomica (ma solo nella sua forma fosforilata). MPF fosforila H1 e permette la condensazione cromatinica fino alla formazione del cromosoma metafasico. • Proteine associate ai microtubuli, al Golgi e al RE: la fosforilazione di queste proteine favorisce la formazione del fuso mitotico e il disassemblaggio completo del sistema membranoso citoplasmatico, quindi tutto il traffico vescicolare in mitosi deve assolutamente cessare. Tutti i microtubuli della cellula servono per la formazione del fuso mitotico e la cellula si concentra nella segregazione citoplasmatica e nucleare, per cui tutti gli altri fenomeni di traffico devono cessare. Alla fine della metafase è MPF stesso che induce la propria degradazione. CDK e MPF agiscono come chinasi solo se associati alle cicline. In questo caso MPF, con un meccanismo che vedremo, induce la degradazione delle cicline A e B attraverso l’attivazione di un sistema di ubiquitinazione. I sistemi di ubiquitinazione all’interno della cellula sono dei sistemi che marcano le proteine che devono essere degradate dalla cellula all’interno di un complesso proteosomale. Quindi MPF induce la fine della mitosi attraverso la degradazione delle cicline A e B, attivando la ubiquitinazione di queste cicline e quindi il loro avvio verso il complesso proteasomale. 8 Morini, Tondi, Simonini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 7 29/03/2021 LA REGOLAZIONE DELLA ATTIVITÀ’ DI APC CONTROLLA LA DEGRADAZIONE DELLA CICLINA B In metafase abbiamo ancora un’alta attività di MPF a causa dell’alto livello di ciclina B. A questo punto MPF fosforila un complesso detto APC (Anaphase Promoting Complex) che, una volta fosforilato, causa (attraverso variazioni enzimatiche) la poliubiquitinazione della ciclina B (in questa figura), ma anche della ciclina A, indirizzandola verso il proteasoma dove viene degradata. A questo punto viene indotta l’anafase perché l’attività di MPF decresce gradualmente a causa della mancata associazione con la ciclina B. Finisce quindi la mitosi e vengono revertiti tutti gli eventi mitotici causati da MPF: viene riformata la lamina nucleare, quindi si riassembla l’involucro nucleare attorno ai due nuclei delle cellule figlie; si disassembla il fuso mitotico perché non ce n’è più bisogno, quindi i microtubuli vengono defosforilati e riformano il citoscheletro interfasico; vengono defosforilate tutte le proteine associate al Golgi e al RE con riformazione del sistema membranoso citoplasmatico. La cellula, quindi, rientra in interfase. I PUNTI DI CONTROLLO (CHECKPOINTS) DEL CICLO CELLULARE I punti di controllo sono punti in cui la cellula controlla che la fase precedente sia stata correttamente completata prima di passare alla fase successiva. Ci sono vari punti di controllo: In M - la cellula viene arrestata nella sua progressione verso la divisione, alla quale non arriva se il fuso mitotico è impropriamente assemblato. Ciò, infatti, causerebbe una catastrofe genetica, cioè una segregazione anomala dei cromosomi. La cellula viene arrestata in M. In G1 e in G2 – questi due checkpoint vengono attivati in conseguenza del danno al DNA grazie all’azione di un importante regolatore della stabilità genomica (proteina p53). Un danno al DNA (provocato da agenti chimici o fisici) viene rilevato e successivamente vengono attivati questi checkpoint per impedire che la cellula vada in S o a dividersi con un DNA danneggiato. 9 Morini, Tondi, Simonini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 7 29/03/2021 In S – questo checkpoint provoca l’arresto della cellula in S e funge da controllo per impedire che una cellula che non abbia completato correttamente tutta la replicazione del DNA vada a dividersi. Slide: esistono durante il ciclo dei checkpoint controls che assicurano che ogni fase del ciclo sia completata correttamente prima dell’inizio di quella successiva. Riassumendo: La presenza di DNA non replicato impedisce l’entrata in M grazie all’attivazione del checkpoint in S. L’erroneo assemblaggio del fuso mitotico porta l’arresto in anafase (prima che la cellula si divida). L’arresto in G1 e in G2 delle cellule con DNA danneggiato dipende da p53. IL RUOLO DI P53 E P21 NEI G1 E G2 CHECKPOINTS P53 è una proteina che viene stabilizzata (quindi aumenta la sua emivita) all’interno della cellula quando avviene un danno al DNA. È essenzialmente un sensore dell'integrità genomica perché scorre in forma di tetramero sul DNA evidenziando eventuali mutazioni. Quando evidenzia delle mutazioni la sua emivita aumenta. P53, oltre ad essere un sensore di mutazioni, è anche un fattore trascrizionale capace di attivare la trascrizione di particolari geni. Quando in G1 o in G2 evidenzia un danno al DNA va ad attivare trascrizionalmente p21-CIP che è un inibitore delle attività dei complessi Cdk/cicline, quindi blocca in questo modo il ciclo cellulare, arresta la progressione in G1 e in G2 per permettere alla cellula di riparare il danno al DNA. Esistono 4 sistemi di riparo del DNA (3 a singolo filamento e 1 a doppio filamento) che intervengono quando la cellula presenta mutazioni e nella maggior parte dei casi riparano il DNA in modo corretto. ATTIVITÀ’ ANTIPROLIFERATIVA DEL TGFβ Esistono anche delle molecole che hanno attività antiproliferative come TGFβ (Transforming Growth Factor Beta) che induce una serie di proteine ad attività antiproliferativa (p16, p15, p18 e p19), inibitori dei complessi Cdk/cicline. Il TGFβ induce anche p27, un altro inibitore dell’assemblaggio dei complessi Cdk/cicline, quindi della loro attività. Tutte queste proteine insieme a p21-CIP inibiscono la progressione attraverso il ciclo e quindi inibiscono la proliferazione cellulare. 10 Morini, Tondi, Simonini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 7 29/03/2021 Possiamo concludere che i principali meccanismi che attivano il controllo del ciclo cellulare si esercitano nella fase G1, ad opera di fattori esterni cioè i GF o Growth Factor (fattori di crescita) che quindi inducono l’espressione delle cicline in G1, in particolare le cicline D, prima del punto di restrizione. Superato questo punto, la cellula non ha più bisogno di fattori di crescita ed è geneticamente determinata a progredire lungo le fasi successive (S, G2 e M) fino alla divisione (sempre che superi con successo i vari punti di controllo del ciclo cellulare). 11 Pifferi, Tirelli, Fiorini BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 8, 31/03/2021 APOPTOSI L’apoptosi è il meccanismo di morte cellulare programmata, la modalità fisiologica di morte cellulare. Il nome stesso “apoptosi” deriva dal greco e significa “caduta dei petali dei fiori quando sfioriscono, caduta delle foglie dagli alberi in autunno”, descrive quindi un fenomeno fisiologico. Fino al 1980 si credeva che le cellule degli organismi pluricellulari fossero entità immortali; nel corso degli anni 80 si scoprì che le cellule invece invecchiano e muoiono per apoptosi. La morte cellulare che avviene in seguito a ipossia (mancanza di ossigeno), ischemia (mancanza di irrorazione sanguigna), ipertermia (aumento della temperatura del tessuto), avvelenamento è detta necrosi, una morte della cellula o di gruppi di cellule accidentale, dovuta a queste cause. Prima degli anni 80 si conosceva questa unica modalità di morte cellulare, si pensava quindi che le cellule potessero morire per sole cause accidentali, quindi tramite la necrosi. In quello stesso periodo, grazie allo studio di colture cellulari, si scoprì l’esistenza di un’altra causa di morte cellulare, l’apoptosi, e che le due modalità di morte cellulare (apoptosi e necrosi) erano molto diverse dal punto di vista morfologico e biochimico: - la morte per necrosi è una morte che la cellula subisce passivamente senza attivare nessun programma genetico o metabolico. - la morte per apoptosi è una morte programmata che la cellula attua attivando meccanismi di espressione genica che modificano l’espressione e la biochimica della cellula stessa. RUOLO BIOLOGICO DELL’APOPTOSI L’apoptosi rappresenta un meccanismo endogeno di suicidio cellulare che la cellula stessa programma ed esegue, ben distinto dalla necrosi, che gioca un ruolo importante in una serie di processi biologici fondamentali, quali: - Embriogenesi: durante l’embriogenesi c’è un forte rimaneggiamento di tessuti che devono scomparire man mano che l’organismo raggiunge la sua maturità di organismo adulto. Durante l’embriogenesi umana l’embrione ha le mani palmate; a un certo punto dell’embriogenesi le pieghe interdigitali devono scomparire, scompaiono per induzione di apoptosi nelle cellule che le costituiscono. - Rimodellamento tissutale e metamorfosi: quest’ultimo è un processo che avviene solo in alcuni animali, come gli anfibi. Il girino deve perdere la coda per diventare adulto, la perdita della coda avviene per apoptosi delle cellule che costituiscono la coda stessa. - Turn-over cellulare: consiste nel ricambio cellulare che viene fatto periodicamente in un tessuto per mantenerne la funzionalità. Le cellule non sono immortali e dopo una serie di duplicazione invecchiano e muoiono; le cellule che muoiono per apoptosi all’interno di un tessuto devono essere sostitute, altrimenti il tessuto va incontro a morte. All’interno del tessuto deve esistere un equilibrio tra le cellule staminali che producono tutte le cellule differenziate del tessuto, le cellule che muoiono per apoptosi, le cellule che proliferano e le cellule che si differenziano. Le cellule che muoiono devono essere in equilibrio con tutti gli altri pool (omeostasi tissutale). 1 Pifferi, Tirelli, Fiorini BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 8, 31/03/2021 - Selezione timica: è un fenomeno che avviene all’interno del timo durante la maturazione del sistema immunitario, qui avviene la maturazione dei linfociti T. Per apoptosi vengono eliminati quei linfociti T che non hanno riarrangiato produttivamente il loro recettore (T cell receptor), deputato ad interagire con tutti i possibili antigeni che l’organismo potrà incontrare. Il T cell receptor può riarrangiarsi per effetto di un arrangiamento genico non ottimale e produrre una proteina che reagisce anche con proteine self (del nostro organismo), sviluppando così malattie autoimmuni. Questi linfociti T che reagiscono con il self vengono eliminati tramite apoptosi. - Uccisione del target nelle reazioni di citotossicità (cellule infettate da virus e cellule tumorali): i linfociti T sono deputati all’eliminazione dall’organismo di cellule infettate da virus e cellule tumorali con DNA mutato ecc. Il meccanismo con cui i linfociti T Killer eliminano queste cellule è l’induzione di apoptosi. PRINCIPALI SEGNALI CHE INFLUENZANO L’ATTIVAZIONE DELL’APOPTOSI - Radiazioni ionizzanti: segnali che danneggiano il DNA, radiazioni che inducono delle mutazioni sul DNA, attivando dei pathway di controllo della stabilità genomica e di induzione di apoptosi nel caso in cui queste mutazioni indotte da radiazioni non possano essere riparate in tempo breve. - Infezione da virus: tutti i virus causano apoptosi nelle cellule che infettano. - Fattori di crescita: la loro deprivazione provoca apoptosi. Vengono chiamati anche fattori di sopravvivenza poichè contribuiscono a fare moltiplicare e sopravvivere le cellule. - Ormoni - Interazioni recettoriali: ad esempio interazione con recettori di morte, utilizzati dai linfociti T per uccidere i loro bersagli. TAPPE CRONOLOGICHE DELL’APOPTOSI La cellula apoptotica passa attraverso una serie di stadi morfologicamente identificabili al microscopio ottico ed elettronico. 1) Nella fase iniziale dell’apoptosi una singola cellula perde i contatti con le altre cellule del tessuto, si rompono le interazioni intercellulari. 2) Il nucleo si condensa (picnosi), in cui avviene la condensazione della cromatina e successivamente si frammenta (carioressi). 3) La cellula si contrae, si ha la fuoriuscita di acqua dalla cellula stessa (disidratazione del citoplasma) e condensazione delle proteine. 4) La maggior parte degli organuli intercellulari rimane intatta (a differenza di quanto avviene nella necrosi), ad eccezione della dilatazione del reticolo endoplasmatico e dei mitocondri. I mitocondri durante l’apoptosi perdono la tipica forma a bastoncello per assumere una forma più sferica. 5) Verso la fase terminale della morte cellulare la membrana si increspa (ruffling) e forma delle estroflessioni (blebbing) che si distaccano dalla cellula che va incontro a morte. 2 Pifferi, Tirelli, Fiorini BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 8, 31/03/2021 6) La membrana plasmatica forma dei frammenti o corpi apoptotici che contengono porzioni di citoplasma e porzioni di nucleo, che si distaccano dalla cellula circondati da membrana in quanto vengono gemmati dalla membrana plasmatica stessa. 7) I frammenti o corpi apoptotici si portano nei tessuti e vengono fagocitati dai macrofagi che li degradano completamente. Il processo apoptotico può essere anche molto rapido, le cellule che muoiono possono scomparire fisicamente entro alcune ore dall’attivazione del processo. Siccome i corpi apoptotici liberati dalla cellula sono sempre circondati da membrana, l’apoptosi non porta mai alla liberazione di prodotti cellulari all’esterno della cellula. La cellula apoptotica non causa una risposta infiammatoria, al contrario di ciò che avviene nella necrosi, dove la cellula “scoppia” e rilascia tutto il suo contenuto (compresi enzimi lisosomiali e citoplasmatici) all’esterno della cellula. La finalità dell’apoptosi è quella di predisporre l’eliminazione della cellula in assenza di fuoriuscita di materiale potenzialmente pro-infiammatorio o immunostimolante; finalità perseguita in modo metabolicamente attivo. L’APOPTOSI DIPENDE DA UN PROGRAMMA GENETICO La sequenza di eventi che segnano l’innesco e la progressione del fenomeno apoptotico è soggetta ad una regolazione molto accurata. Si parla di apoptosi come morte cellulare programmata (PCD, Programmed Cell Death), cioè di un evento che richiede l’innesco di un programma genetico da parte della cellula stessa. La teoria oggi universalmente accettata è quella che il programma genetico di morte sarebbe sempre in esecuzione se non venisse sempre contrastato da stimoli promuoventi la sopravvivenza come fattori di crescita e fattori di sopravvivenza. L’APOPTOSI E’ UN PROCESSO ATTIVO L’apoptosi si può verificare a seguito della perdita di segnali trofici (segnali nutritivi per la cellula, es fattori di crescita), che sopprimono l’espressione del programma apoptotico. A differenza della necrosi l’apoptosi è un processo attivo, richiede energia metabolica, sintesi di RNA e proteine. L’innesco del fenomeno apoptotico è seguito da modificazioni della permeabilità di membrana, con uscita rapida e selettiva di ioni ed acqua dalle cellule, che porta alla condensazione citoplasmatica e all’aumento della densità cellulare. La condensazione del citoplasma avviene parallelamente alla condensazione e frammentazione della cromatina nucleare. La frammentazione del DNA avviene a livello nucleare, dopo la picnosi del nucleo, e si verifica a livello dei siti internucleosomici, a livello del DNA linker tra un nucleosoma e l’altro. Si ha la formazione di frammenti di DNA di lunghezza pari a multipli interi di nucleosomi (180-200 pb). L’omeostasi tissutale tra la produzione di nuove cellule e l’eliminazione di cellule invecchiate per apoptosi è uno degli obiettivi principali di ogni organismo cellulare. 3 Pifferi, Tirelli, Fiorini BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 8, 31/03/2021 CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE E BIOCHIMICHE DELL’APOPTOSI DIFFERENZE TRA NECROSI E APOPTOSI (tabella riassuntiva) Integrità della membrana plasmatica: nella necrosi si ha la perdita dell’integrità mentre nell’apoptosi la membrana plasmatica forma i blebs, ovvero i corpi apoptotici rivestiti da membrana, quindi la membrana plasmatica in apoptosi rimane intatta. L’immagine a fianco illustra come dalla cellula normale avvengano diversi cambiamenti morfologici a seconda che la cellula vada in necrosi (lisi completa della cellula) oppure in apoptosi (rilascio dei corpi apoptotici e fagocitosi da parte dei macrofagi). FRAMMENTAZIONE DEL DNA GENOMICO IN APOPTOSI A livello dei siti internucleosomici avviene la frammentazione del DNA, che provoca la formazione di frammenti di DNA di lunghezza pari a multipli di nucleosomi (180-200 pb). L’enzima che provoca questa frammentazione è il CAD (caspase activated Dnase), una DNasi che taglia a livello del DNA linker tra un nucleosoma e l’altro. È un DNasi attivata da una caspasi, la caspasi 3. (approfondito in seguito) Quando la cellula non è in apoptosi la DNasi (CAD) è inibita dal suo inibitore, ICAD (Inibitor of caspase activated Dnase). Quando l’apoptosi viene attivata, viene attivata la caspasi 3, che va a degradare l’inibitore della caspasi (la caspasi ha come attività quella di tagliare il DNA ai siti internucleosomici). 4 Pifferi, Tirelli, Fiorini BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 8, 31/03/2021 REGOLAZIONE GENETICA DELL’APOPTOSI CRONOLGIA DEL PROCESSO APOPTOTICO Dal punto di vista cronologico il processo di attivazione dell’apoptosi può essere suddiviso in due fasi: la fase di induzione e la fase di esecuzione. 1. Fase di induzione è una fase reversibile e comincia nel momento in cui la cellula riceve lo stimolo pro-apoptotico, uno stimolo che innesca nella cellula stessa il processo di morte cellulare. Gli stimoli possono essere segnali extracellulari o segnali endogeni. In base al rapporto tra i fattori anti e pro-apoptotici, la cellula sopravvive in caso di prevalenza dei primi o, viceversa passa alla fase 2 di esecuzione in prevalenza dei secondi. 2. Fase di esecuzione, fase irreversibile, è determinata dall’attivazione di eventi proteolitici e nucleolitici a cascata, programmati e che amplificano il segnale portando alle modificazioni tipiche dell’apoptosi. Questa fase è determinata dall’attivazione di specifiche proteasi dette caspasi (Cysteinyl aspartate-specifics proteinases), proteasi che agiscono su residui specifici delle proteine che vanno a tagliare. La cellula quando riceve uno stimolo apoptotico (da una radiazione ionizzante, da un virus o da alcune sostanze farmacologiche chimiche) può avere due tipi di reazione diversi a seconda del bilancio che si crea all’interno della cellula stessa tra fattori pro e anti-apoptotici. Nella figura 1 si vede il caso in cui un virus o altro va a modificare e danneggiare il DNA. La cellula cerca inizialmente di riparare il danno con quei sistemi di riparo del DNA essenziali per l’integrità genomica, poi a seconda del bilancio dei fattori anti-apoptotici (di cui il capostipite è la proteina Bcl-2) la cellula: - ripara il proprio danno e torna ad essere una cellula vitale (riparata e senza cicatrici sul DNA) - in caso di prevalenza di espressione di fattori pro-apoptotici attiva il programma apoptotico, il programma di suicidio cellulare, e passa alla fase esecutiva di apoptosi. Figura 1 PROTEINE DELLA FAMIGLIA DI BCL-2 La famiglia di queste proteine è importante nella regolazione dell’apoptosi. I membri di questa famiglia, di cui nomineremo solo Bcl2 e Bax, sono proteine che dimerizzano tra loro in modo da formare omodimeri o eterodimeri. In forma di dimeri agiscono da fattori promotori (pro-apoptotici) o da soppressori dell’apoptosi (anti-apoptotici). 5 Pifferi, Tirelli, Fiorini BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 8, 31/03/2021 I dimeri più importanti che si possono formare sono l’omodimero Bax/Bax e l’eterodimero Bax /Bcl-2. - Alte concentrazioni di Bax, rispetto a Bcl-2, favoriscono la formazione dell’omodimero Bax/ Bax per una questione stechiometrica. È dimostrato che l’omodimero Bax/Bax è pro-apoptotico e inizia la fase esecutiva dell’apotposi; - Alti livelli di Bcl-2, sempre per una questione stechiometrica, portano alla formazione dell’eterodimero Bax/Bcl-2 che invece promuove la sopravvivenza e inibisce la formazione dell’omodimero Bax/Bax Non si conosce invece la funzione dell’omodimero Bcl-2/Bcl-2. MECCANISMO DI INDUZIONE APOPTOTICA AD OPERA DELL’OMODIMERO BAX/BAX. La figura sotto mostra come, dopo il ricevimento del segnale pro-apoptotico (cell death signal), la cellula faccia un bilancio al suo interno tra i fattori anti-apoptotici (eterodimeri Bax/Bcl-2) e tra le proteine proapoptotiche (omodimedri Bax/Bax). - In caso che prevalgano gli eterodimeri Bcl-2/Bax abbiamo il blocco del segnale di morte cellulare: la cellula non entra in fase esecutiva e sopravvive. - In caso di concentrazioni di Bax superiore a quelle di Bcl-2 si formano prevalentemente gli omodimeri Bax/Bax che invece promuovono il segnale di morte e inducono la cellula all’entrata nella fase esecutiva dell’apoptosi. RUOLO DI P53 NELL’APOPTOSI Abbiamo varie proteine oltre a quelle della famiglia di Bax che rientrano nella regolazione genetica dell’apoptosi: una di queste è p53, già incontrata parlando della regolazione genetica del ciclo cellulare. P53 è una proteina di localizzazione nucleare che partecipa al controllo della proliferazione esercitando un’azione inibitoria sulla divisone cellulare. P53, oltre ad essere il così detto “guardiano del genoma” (un sensore di mutazioni), è anche quella proteina che in corrispondenza del check point in G1 o in G2 del ciclo cellulare si attiva quando si accorge di un danno al DNA (tipicamente causato da raggi gamma o dai chemioterapici) che deve essere quindi subito riparato. P53 quindi agisce in risposta a un danno al DNA: attiva p21 e va a bloccare la cellula nella fase in G1 o in G2, in dipendenza dal momento in cui la cellula si accorge di portare il danno sul DNA. In questo modo permette di riparare il danno prima della fase S (nel caso del check point sul G1) o prima della mitosi (nel caso del check point sul G2). Nessuna cellula mutata deve arrivare a dividersi (nel caso del check point in G2) o deve arrivare a neo-sintetizzare il DNA (nel caso del check point in G1). 6 Pifferi, Tirelli, Fiorini BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 8, 31/03/2021 P21 è un inibitore dei complessi CDK cicline e associandosi a questi blocca la proliferazione cellulare: inibisce la progressione della cellula in G1 o G2 e permette alla cellula di avere il tempo di riparare il danno prima della fase S o della fase M. Qualora il danno al DNA sia troppo grande per essere riparato, siccome il ciclo cellulare non può durare più di mezz’ora dalla fase S e qualche ora dal G1, la cellula va in apoptosi per attivazione trascrizionale del gene pro-apoptotico Bax da parte di p53. In sintesi: quando vengono attivati i check point in G1 e in G2 del ciclo cellulare la cellula cerca inizialmente di riparare il DNA; tuttavia se si accorge, attraverso il controllo di p53, che il danno non può essere riparato in tempo ragionevole la cellula deve essere eliminata per apoptosi. Quindi p53 stesso, oltre che essere un fattore trascrizionale capace di attivare p21, in caso di un danno irreparabile del DNA va ad attivare trascrizionalmente Bax, portando ad una sua elevata espressione e alla formazione preferenziale degli omodimeri Bax/Bax. Invece se p53 è mutata o inattivata, come avviene in molti tipi di cancro, la cellula va verso l’instabilità genetica, cioè l’accumulo di mutazioni che portano alla trasformazione tumorale. INDUZIONE DELL’APOPTOSI L’induzione dell’apoptosi a seconda del tipo di stimolo passa attraverso due vie principali: la via estrinseca (sulla sinistra in figura 2) e la via intrinseca (sulla destra). Queste due vie convergono nell’attivazione della caspasi 3, quella caspasi che va ad attivare la CAD (Caspase Activate Dnase). La CAD è la DNasi che frammenta il DNA specificamente nei siti internucleosomici. In sintesi: abbiamo lo stimolo pro-apoptotico, l’associazione delle proteine adattatrici, l’attivazione delle caspasi inizatrici e l’attivazione delle caspasi effettrici (essenzialmente la caspasi 3). Figura 2 7 Pifferi, Tirelli, Fiorini BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 8, 31/03/2021 In figura 3 abbiamo l’attivazione delle due vie: • La via estrinseca è attivata dal legame di alcuni ligandi a specifici recettori. In questo caso nella figura abbiamo FAS ligando che si va a legare al suo recettore FAS-R, detto “di morte”. A seguito del legame di FAS-L con il suo recettore, la proteina FADD (Fas-associated protein with death domain) si associa al dominio intracitoplasmatico detto DD (death domain o dominio di morte). Successivamente la procaspasi-8 (proproteina ancora inattiva) si lega al recettore e viene così attivata a caspasi 8 attiva, dopo essere stata tagliata dal meccanismo di taglio proteolitico (o clivaggio proteolitico). Si associa poi, attivandole, alle procaspasi-7, -6 e -3 e infine la caspasi 3 è la caspasi che va ad attivare la CAD che frammenta a livello internucleosomico il DNA genomico. • La via intrinseca non comincia dalla membrana cellulare o dall’attivazione recettoriale ma dal mitocondrio. Durante la fase di induzione la cellula fa un bilancio al suo interno dell’espressione dei fattori pro-apoptotici (come Bax) e anti-apoptotici (come Bcl-2). A seconda dei dimeri che si formano la cellula andrà incontro all’attivazione della via intrinseca o meno. Nel caso in cui lo stimolo apoptotico provochi un’espressione molto consistente di Bax si formeranno in maggior misura gli omodimeri proapoptotici Bax/Bax. Questi formano dei pori transmembrana nella membrana mitocondriale esterna provocando l’entrata di soluti (quindi anche di acqua per osmosi), il successivo rigonfiamento del mitocondrio, la rottura delle creste e il rilascio del Citocromo C dal mitocondrio stesso. Quest’ultimo si va ad associare ad un'altra proteina Figura 3 detta APAF 1 che si associa a sua volta alla procaspasi-9, la quale viene attivata per clivaggio proteolitico. La caspasi-9 infine si lega alle caspasi intermedie 6, 7 e 8 fino all’attivazione a cascata della caspasi 3 attiva, che come prima trasloca nel nucleo e va ad attivare CAD attraverso la degradazione proteolitica del suo inibitore. 8 Pifferi, Tirelli, Fiorini BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 8, 31/03/2021 ATTIVAZIONE DELLA VIA INTRINSECA L’attivazione della via intrinseca può avvenire per: - danno genotossico, come per p53 che va ad attivare l’espressione di Bax stress ossidativo che provoca attraverso la produzione di radicali dell’ossigeno mutazioni sul DNA e quindi danno genotossico attivazione oncogenica, ci sono degli oncogeni che una volta attivati possono causare apoptosi mancanza di fattori di crescita (GFs), la così detta deprivazione fattori di crescita che manda la cellula in apoptosi. Come detto prima Bax in forma di omodimero viene rilocalizzato dal citoplasma, dove risiede quando la cellula è vitale, alla membrana mitocondriale esterna dove interagisce con la cardiolipina e forma dei pori transmembrana. L’apertura dei pori porta alla così detta MMP (mitochondrial membrane permeabilization) e ad un abbassamento del potenziale della membrana mitocondriale poiché entrano soluti (e acqua) che provocano la distensione delle creste, quindi la rottura della membrana mitocondriale esterna e il rilascio di fattori pro-apoptotici come AIF, Citocromo C e APAF1. Citocromo C e APAF 1 attivano la caspasi 9 che a sua volta attiva la caspasi 3 con conseguente attivazione della CAD Dnase e frammentazione del DNA. Quindi l’omodimero Bax Bax agisce attivando la via intrinseca e provoca l’attivazione della fase esecutiva dell’apoptosi. Come spieghiamo invece l’azione degli eterodimeri Bax/Bcl-2 nel contrastare questo processo? Semplicemente per una questione stechiometrica: Alti livelli di Bcl-2 producono come effetto la sottrazione delle molecole di Bax all’omodimerizzazione BaxBax attraverso la formazione di eterodimeri Bax/Bcl-2. Inoltre Bcl-2 e altri membri anti-apoptotici della famiglia Bcl2 contrastano l’apoptosi anche inibendo il rilascio di Citocromo C dalla membrana mitocondriale, quindi inibendo l’attivazione della procaspasi 9 e di tutta la cascata caspasica che porta alla fine alla frammentazione del DNA. ATTIVAZIONE DELLA VIA ESTRINSECA L’attivazione della via estrinseca è un’attivazione recettoriale i cui protagonisti sono i così detti “recettori di morte” tra cui abbiamo nominato Fas e CD95, alla cui famiglia appartengono anche TNFR1 (Tumor necrosis factor receptor 1) e TRAIL (TNF-related apoptosisinducing ligand). Ricordiamo che la porzione trasduttiva funzionale di ogni recettore è quella intracitoplasmatica; in questo caso il recettore di morte a livello citoplasmatico possiede sempre un Death Domain (una regione di morte). Questo dominio si associa, in caso di legame del ligando alla porzione extracellulare, con la proteina FADD che permette l’associazione al recettore della procaspasi-8 che viene così tagliata e convertita nella forma attiva. 9 Pifferi, Tirelli, Fiorini BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 8, 31/03/2021 L’apoptosi Fas mediata è importante nella selezione periferica dei linfociti B e T auto-reattivi. L’apoptosi infatti è un meccanismo fondamentale di selezione dei linfociti B e T che reagiscono con il self, ovvero che reagiscono con le proteine dell’organismo che le ha prodotte; se questi non venissero eliminati durante la maturazione sarebbero dannosi per l’organismo stesso. La selezione periferica dei linfociti auto-reattivi viene quindi attuata con l’induzione di apoptosi attraverso la via estrinseca in queste cellule. Gli altri recettori di morte sono un po' diversi ma hanno sempre: - un domain extracellulare, che nel caso di TNRF1 lega il TNF α - un domain intracellulare che possiede tre TRADD domain. È quindi un trimero (come in FADD e nel TRAIL receptor) e ci sono tre domini intracellulari (tre TRADD domain) che si associano a tre molecole di FADD che a loro volta si associano a tre molecole di procaspasi-8, che viene così attivata. Lo stesso discorso vale per l’ultimo recettore di morte che è il TRAIL receptor (illustrato a destra nella figura 4). Una volta legato con il suo ligando TRAIL DR4 e DR5 viene attivato nella sua porzione intracitoplasmatica e attiva la caspasi 8. L’attivazione della via estrinseca è un’attivazione che non avviene dunque, come per la via intrinseca, in seguito al danno genotossico o alla privazione dei fattori di crescita, ma avviene quando il tessuto si accorge che alcune cellule mutate o auto-reattive hanno perso la loro produttività o non hanno riarrangiato i propri recettori e possono essere dannose per l’organismo. Una cellula potenzialmente dannosa per l’organismo deve essere prontamente eliminata, in questo caso attraverso i recettori di morte e la via estrinseca dell’apoptosi. Figura 4 10 Zaimaj, Balbo, Zeni BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 9, 12/04/2021 LA TRASFORMAZIONE TUMORALE I meccanismi che regolano la proliferazione, il differenziamento e l’apoptosi si possono alterare. I MECCANISMI DI REGOLAZIONE E LE SUE ALTERAZIONI • • • La moltiplicazione cellulare è finemente regolata in base alle necessità dell’organismo in quanto: -nell’animale giovane che deve ancora crescere l’entità della proliferazione cellulare è maggiore di quello della morte cellulare; in questo modo l’organismo può crescere aumentando il numero di cellule. -nell’animale adulto la velocità di proliferazione, differenziamento e apoptosi si bilanciano all’interno di un tessuto determinando una condizione di equilibrio (omeostasi tissutale). I meccanismi che regolano la proliferazione, il differenziamento e l’apoptosi cellulare si possono alterare a seguito di alterazioni o mutazioni sul DNA. Una cellula avente una proliferazione alterata inizia a crescere e a dividersi in modo sregolato, cioè in modo svincolato dalle necessità dell’organismo. Questo significa che anche se l’organismo non ha necessità di quel tipo cellulare, quindi se il tessuto non stimola la cellula con specifici fattori di crescita, la cellula comunque resta in ciclo e continua a dividersi. Se le cellule figlie di una cellula che ha avuto un’alterazione sul DNA ereditano la capacità (cioè ereditano la mutazione) di dividersi indipendentemente dai meccanismi di regolazione del tessuto, si forma un clone, ovvero un insieme di cellule geneticamente identiche derivanti tutte dalla stessa cellula iniziale che è capace di moltiplicarsi indefinitamente. La massa formata da queste cellule è detta tumore. TUMORI BENIGNI E MALIGNI I tumori si distinguono in benigni e maligni. • Tumori benigni La composizione cellulare del tumore benigno è rappresentata da cellule che presentano caratteristiche morfologiche e fisiologiche simili alle cellule normali. Questo significa che sono cellule che hanno una morfologia abbastanza simile alle cellule normali e per esempio presentano ancora dipendenza dai fattori di crescita per la loro moltiplicazione. Queste cellule sono immortalizzate grazie a delle mutazioni immortalizzanti, quali per esempio la mutazione sulla telomerasi che può aumentare l’attività telomerasica e impedire che queste cellule vadano incontro a senescenza fisiologica e successivamente in apoptosi fisiologica. La mutazione della telomerasi è solo una delle tante mutazioni possibili. I tumori benigni sono delimitati da una capsula fibrosa formata dai fibroblasti dell’organismo stesso, per questo restano localizzati in situ, cioè nel luogo dove è insorto il tumore. A causa di ciò nei tumori benigni non si formano le così dette metastasi (tumori secondari) che vanno a diffondersi provocando la diffusione del tumore in tutto l’organismo. Nel caso in cui insorga un tumore benigno i problemi all’organismo derivano dal fatto che questi tumori ingrandendosi possono comprimere altri organi. Un esempio tipico è quello dei tumori cerebrali (sia maligni, sia benigni) che possono necessitare di asportazione perché la loro crescita causa una compressione di alcune strutture cerebrali che compromettono, a seconda della posizione e delle aree che comprimono, alcune funzioni neurologiche provocando problemi neurologici. 1 Zaimaj, Balbo, Zeni BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 9, 12/04/2021 Un altro effetto biologico che può dare un tumore benigno è l’eccessiva produzione ormonale e quindi necessita di asportazione. Esempio tipico è quello del tumore ipofisario che porta ad una produzione eccessiva, per esempio dell’ormone della crescita causando il gigantismo ipofisario. Figura 1 • Tumori maligni Il tumore maligno o cancro è caratterizzato dall’essere costituito da cellule che presentano solo alcune delle caratteristiche delle cellule da cui derivano, quindi sono proprio trasformate dal punto di vista morfologico e non sono dipendenti da fattori di crescita per la loro proliferazione. Queste cellule tumorali si basano, quasi sempre, su un meccanismo autocrino di autosostentamento: esse producono il fattore di crescita e posseggono il suo recettore. Questo loop autocrino automantiene queste cellule poiché non hanno bisogno di fattori di crescita per moltiplicarsi perché se li producono da soli e tanto meno hanno bisogno del tessuto e della sua regolazione. Il tumore maligno nella maggioranza dei casi può diffondersi nell’organismo formando i tumori secondari detti metastasi, che sono la causa di morte principale di questi pazienti. Le cellule che compongono le metastasi sono caratterizzate da invasività e dalla capacità di diffondere attraverso l’organismo. Figura 2 CARATTERISTICHE DELLE CELLULE TUMORALI RISPETTO ALLE CELLULE NORMALI • Il rapporto nucleo/citoplasma è aumentato perché, specialmente le cellule tumorali maligne, presentano un’attività mitotica molto alta. L’attività mitotica è correlata ad un’alta attività trascrivente e un’alta attività assemblante i ribosomi, quindi le cellule tumorali contengono un 2 Zaimaj, Balbo, Zeni • • • BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 9, 12/04/2021 nucleo molto attivo dal punto di vista trascrizionale e di assemblaggio di ribosomi per produrre le proteine necessarie alla proliferazione. La presenza di 2 o più grossi nucleoli è correlata all’alta attività trascrizionale nella zona nucleolare e quindi finalizzata alla produzione di grosse quantità di ribosomi. La velocità di divisione è aumentata. Le strutture specializzate vengono quasi totalmente perse. I danni che provengono da una cellula trasformata sono duplici dal fatto che la cellula trasformata ha la capacità di invadere altri tessuti e quindi andare a metastatizzare; nello stesso tempo la cellula trasformata perdendo le sue strutture specializzate non svolge più la funzione originaria del suo tessuto. Riassumendo si ha un’invasione dell’organismo da parte di queste cellule e una perdita di funzionalità del tessuto dal quale queste cellule provengono. CLASSIFICAZIONE DEI TUMORI MALIGNI I tumori maligni possono originarsi nella maggior parte dei tipi cellulari e si conoscono 200 forme di cancro verso 300 tipi cellulari identificati. Si suddividono in: • • Carcinomi se derivano da ectoderma ed endoderma. Sarcomi se derivano dal mesoderma. Tranne le leucemie che sono un tipo di sarcoma circolante nel sangue, la maggior parte degli altri tumori sono masse solide. ALLA MALIGNITÀ SONO ASSOCIATE ALTERAZIONI DELLE INTERAZIONI INTERCELLULARI La capacità di metastatizzare da parte delle cellule tumorali maligne è strettamente correlata a delle alterazioni sia delle interazioni intracellulari, sia da alterazioni della trascrizione e quindi della produzione di proteine che consentono a queste cellule di migrare attraverso la matrice e di penetrare nel circolo sanguigno o linfatico e di moltiplicarsi in un sito diverso dall’origine. Per quanto riguarda la metastatizzazione abbiamo la produzione da parte delle cellule tumorali di un enzima, una proteasi, che si chiama attivatore del Plasminogeno (perché fu inizialmente identificato nel processo della coagulazione del sangue) che digerisce la lamina basale favorendo la migrazione delle cellule. Successivamente queste cellule arrivano a penetrare nel circolo sanguigno o linfatico, attraverso i quali si diffondono nell’organismo e vanno a colonizzare (colonizzare significa moltiplicarsi in un sito corporeo diverso da quello in cui è originato il tumore primario) prendendo connessioni con cellule di altro tipo con le quali devono stabilire dei nuovi rapporti. La capacità angiogenica è una caratteristica molto importante per la crescita tumorale ed è indispensabile per la crescita del tumore stesso. Si è visto che in assenza di nuovi vasi sanguigni un tumore può accrescersi solo fino a un diametro di 2 mm, dopodiché la parte centrale del tumore va in necrosi. Per questo le cellule tumorali, grazie alle mutazioni che portano, producono delle sostanze che stimolano la formazione di nuovi vasi, cioè la neoangiogenesi. Queste sostanze sono dei fattori di crescita specifici, per esempio VEGF (Vascular Endolthelial Growth Factor), angiopoietina 1 o altre sostanze che stimolano la formazione di nuovi vasi che vascolarizzano il tumore e gli permettono di crescere. ALLA BASE DELLA TRASFORMAZIONE TUMORALE C’È UN’ALTERAZIONE DEL DNA L’origine della trasformazione tumorale risiede in cause genetiche. Negli esperimenti fatti nei decenni precedenti si era visto sperimentalmente che il DNA di cellule trasformate quando veniva introdotto in 3 Zaimaj, Balbo, Zeni BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 9, 12/04/2021 cellule normali poteva trasformarle a loro volta. Si era avuta la prima dimostrazione che alla base della trasformazione tumorale c’è un’alterazione del DNA. Quest’alterazione può essere: • • Somatica quando coinvolge solo una cellula nell’animale adulto ovvero cellule del soma. In questo caso non viene ereditata dai figli. Quando l’alterazione del DNA coinvolge la linea germinale (mutazione germinale), quindi cellule uovo o spermatozoi, viene ereditata dai figli. L’organismo che origina da questo zigote mutato avrà tutte le cellule con quella particolare mutazione e se quella mutazione predispone al cancro allora l’organismo sarà geneticamente predisposto al cancro. Figura 3 ONCOGENI, PROTO-ONCOGENI ED ANTI-ONCOGENI La classificazione dei geni riguardo alla loro attività anti- o pro- oncogenica, anti- che combattono la trasformazione o pro- che la promuovono è la seguente: • • Si chiama gene oncosoppressore o tumor-suppressor gene (anti-oncogene è un termine un po’ arcaico) un gene combatte la trasformazione tumorale. Questo è un gene che ha un’attività antiproliferativa, pro-differenziativa, pro-apoptotica o con attività di riparo del DNA. Quindi tutte attività che combattono il cancro, il quale è caratterizzato da un’alta attività proliferativa, da una bassa capacità differenziativa e apoptotica e da una bassa capacità riparativa del DNA. Se questo gene viene inattivato da una mutazione si può sviluppare un tumore a causa della perdita di funzione (loss-of-function) di questo gene che non ci può più proteggere dalla trasformazione tumorale. Un oncogene è un gene cellulare con un’attività contraria all’oncosoppressore che codifica per una proteina capace di trasformare una cellula in coltura o indurre tumori in animali. L’oncogene che non era ancora mutato si chiamava proto-oncogene. Il proto-oncogene è importante nei meccanismi regolatori della proliferazione, del differenziamento, dell’apoptosi e quando viene mutato si trasforma in oncogene. Quest’ultimo acquisisce la capacità di trasformare una cellula (gain of function). Riassumendo il cancro si può sviluppare in seguito all’espressione di oncogeni, che si attivano da protooncogeni cellulari, acquisendo una funzione che prima non avevano (funzione trasformante) oppure in seguito alla perdita di espressione e di funzione dei geni oncosoppressori (loss-of-function). 4 Zaimaj, Balbo, Zeni BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 9, 12/04/2021 Il cancro è un processo multi-step. C’è bisogno di multiple alterazioni successive perché si sviluppi e la cellula si trasformi. Spesso è una combinazione di gain of function di oncogeni o di loss-of-function di oncosoppressori. Figura 4 Nella figura 4 viene mostrato dal punto di vista grafico come avvengono le mutazioni tumorali. Nella parte denominata “A” si può osservare una cellula normale rappresentata con una coppia di cromosomi. Questa cellula subisce un evento mutazionale singolo che attiva un proto-oncogene ad oncogene. Dopo la mutazione la cellula contiene una mutazione attivante; ciò significa che anche in eterozigosi, cioè quando colpisce anche solo un allele, è capace di esercitare un’attività trasformante. In questo esempio stimola la proliferazione cellulare. Per quanto riguarda la loss-of-function degli oncosoppressori la situazione è un po’ più complessa. Una cellula normale con 2 alleli normali subisce un evento mutazionale su un oncosoppressore e non manifesta immediatamente la perdita di funzione perché ha un altro allele attivo. Solamente un secondo evento mutazionale che inattiva il secondo allele porta alla perdita definitiva dell’oncosoppressore e quindi alla perdita di protezione da parte di questo gene contro la trasformazione cellulare. ONCOGENESI VIRALE L’oncogenesi può essere virale, cioè causata da virus oncogeni. Alcuni di questi virus sono virus a RNA, principalmente retrovirus perché si vanno a integrare nel nostro genoma e alcuni virus a DNA. • Virus a RNA (principalmente Retrovirus) All’interno del gruppo dei retrovirus ritroviamo: 5 Zaimaj, Balbo, Zeni BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 9, 12/04/2021 -retrovirus oncogeni acutamente trasformanti che inducono tumori in un tempo molto breve perché trasportano, integrato nel loro genoma, un oncogene (esempio ras) che esprimono nella cellula infettata. Questi retrovirus hanno preso l’oncogene da un proto-oncogene cellulare del genoma di una cellula infettata precedentemente. L’ acquisizione di un nuovo gene è avvenuta mediante il meccanismo di trasduzione dove il gene viene trasportato da una cellula a un'altra. Questi oncogeni quando si trovano sotto il controllo dei promotori virali sono altamente espressi. -retrovirus oncogeni lentamente trasformanti inducono i tumori in un tempo molto più lungo rispetto agli acutamente trasformanti. Questo perché non hanno un oncogene nel loro genoma, ma effettuano la mutagenesi inserzionale. Questi retrovirus esercitano la loro azione trasformante, mediante l’attivazione di proto-oncogeni cellulari, inserendosi nei loro promotori e svincolandone l’espressione dai meccanismi regolativi cellulari. In questo caso l’inserzione di un retrovirus in un promotore (abbiamo tanti retrovirus nel nostro DNA che non sappiamo di possedere) può provocare la deregolazione del gene che è a valle di questo promotore inducendo un tumore. • Virus a DNA I virus oncogeni a DNA non hanno oncogeni ma esercitano la loro azione trasformante tramite la sintesi di proteine trasformanti (es: papilloma virus). Il papilloma virus è un agente infettivo che è correlato con causa-effetto, all’insorgenza del cancro della cervice uterina. Per questo è stato sviluppato un vaccino contro il papilloma virus per proteggere soprattutto le donne dall’insorgenza di questo carcinoma. Altri virus a DNA oncogeni sono i virus dell’epatite B e C che predispongono all’epatocarcinoma. MODELLO MULTIHIND O MULTI STEP CARCINOGENESI Affinché una cellula normale si trasformi sono necessarie molte mutazioni sequenziali. Affianco nella figura 5 possiamo osservare il modello del cancro del colon. Questo modello descrive che: • • • • La delezione di un tumor suppressor gene, che si chiama APC, determina la formazione di un polipo in un epitelio intestinale normale. Una successiva mutazione gain of function attivante di ras determina la formazione di un adenoma di classe II. La delezione di DCC, che è un altro tumor suppressor, determina la formazione di un adenoma di classe III portando a una progressione tumorale. Infine, la delezione di p53 con la formazione di un carcinoma. p53 è uno dei più importanti tumor suppressor che abbiamo. Una sua mutazione determina la sua perdita di funzione. CLASSIFICAZIONE DEI PROTO-ONCOGENI Figura 5 6 Zaimaj, Balbo, Zeni BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 9, 12/04/2021 La classificazione dei proto-oncogeni è molto fluida perché ogni giorno ne vengono scoperti degli altri e per questo non è ancora definitiva. • • • • • • • I Classe: Fattori di crescita. II Classe: Recettori per Fattori di crescita. III Classe: Trasduttori intracellulari del segnale. IV Classe: Fattori trascrizionali. V Classe: geni antiapoptotici. VI Classe: Geni che controllano la proliferazione cellulare. VII Classe: Geni del DNA Repair. Ora andiamo ad analizzare esempi di oncogeni che si formano per attivazione dei proto-oncogeni. Secondo la classificazione mostrata in precedenza gli oncogeni della classe II sono i recettori per i fattori di crescita. Nella figura 7 viene preso in considerazione “l’Epidermal Growth Factor Receptor” (EGFR), cioè il recettore per il fattore di crescita epidermico. Quando non sono presenti mutazioni l’EGFR è un recettore tirosinFigura 6 cinasico, ha un’attività catalitica tirosin-cinasica intrinseca. Quando l’Epidermal Growth Factor (EGR) si lega al recettore viene attivata la via dei recettori tirosin-cinasici e quindi abbiamo un grado normale di divisione cellulare, perché il growth factor deriva da cellule prodotte da tessuto normale. In seguito alla mutazione di EGFR può formarsi l’ErbB, il quale deriva per delezione di porzioni geniche che codificano per le regioni extracellulari di EGFR che mancano nella forma mutata. In questo caso avviene la trasduzione del segnale mitogenico anche in assenza del ligando, quindi il recettore è sempre attivato e porta a una eccessiva divisione cellulare. Questo è uno dei recettori mutati nel cancro della mammella sporadico. Figura 7 7 Zaimaj, Balbo, Zeni BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 9, 12/04/2021 ONCOGENI DELLA CLASSE III-TRASDUTTORI INTRACELLULARI Un trasduttore intracellulare molto conosciuto è la proteina monomerica ras che si ritrova spesso mutata nei tumori. Una mutazione la rende incapace di dissociarsi dal GTP perdendo l’attività GTPasica. Ras mutata è sempre attiva, trasduce in modo continuo e non regolato il segnale proliferativo della via ras mek chinasi. Sono state ritrovate delle mutazioni di ras nel cancro del polmone, del colon retto, del pancreas e della prostata. Mutazioni che coinvolgono grosse porzioni geniche, quindi non solo un gene, sono dei marker che caratterizzano alcune malattie. Nell’esempio riportato in figura la mutazione t (9;22) (tnove-ventidue) caratterizza la leucemia mieloide cronica. In questo caso abbiamo una traslocazione reciproca tra il Figura 8 cromosoma 9 e il cromosoma 22. Si viene a formare un gene di fusione tra il gene ABL (a-bi-elle) (in rosso) che era presente sul cromosoma 9 e un pezzetto del gene BCR (bi-ci-erre) presente sul cromosoma 22, che vengono giustapposti per errori dei meccanismi di riparazione del DNA doppio filamento. Si forma quindi un gene di fusione Bcr/Abl (bi-si-ar-eibol) che codifica per un trascritto di fusione, che poi viene tradotto in una proteina di fusione. Bcr/Abl La proteina Bcr/Abl rappresenta un agente leucemogeno importantissimo e fortissimo. Questo è uno schema di tutte le azioni che la proteina Bcr/Abl esercita attraverso la sua attività tirosinchinasica data dalla porzione di Abl che attiva contemporaneamente: • pathways mitogeniche come Ras-mek-chinasi e Jak/stat; • inibisce l’apoptosi; • altera l’espressione della funzione di integrine e di altre molecole di adesione. Bcr/Abl mette in atto tre azioni che potenziano la sua azione oncogena attraverso i meccanismi che sono descritti nello schema. Per questo motivo la mutazione Bcr/Abl rappresenta un’eccezione alla teoria della multi-step-carcinogenesis perché da solo avendo tutte queste azioni è necessario e sufficiente, senza altre mutazioni aggiuntive, a causare questo tipo di leucemia. Terapia: 8 Zaimaj, Balbo, Zeni BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 9, 12/04/2021 La terapia su Bcr/Abl è stata la prima target therapy, cioè la prima terapia mirata su una mutazione ed è tutt’ora la migliore che noi abbiamo a disposizione per curare i malati di leucemia mieloide cronica. Che cosa succede quando Bcr/Abl è attivo all’interno di una cellula del sangue? Bcr/Abl si associa all’ATP (si associa perché per fosforilare serve l’ATP), poi si associa ad un substrato che viene fosforilato. C’è una varietà di substrati, come quelli mostrati nell’immagine precedente, che una volta fosforilati danno il segnale per la proliferazione cellulare, l’inibizione dell’apoptosi (quindi un segnale di sopravvivenza). Tutto ciò ha una azione leucemogena. Che cosa succede invece quando somministriamo ad una cellula Bcr/Abl mutata o ad un paziente che ha la leucemia mieloide cronica il Gleevec (Imatinib), cioè la terapia mirata contro Bcr/Abl? Imatinib si va a legare in modo irreversibile alla tasca di legame dell’ATP, cosicché l’ATP non si può più associare. Bcr/Abl viene privato della sua attività fosforilante in tirosina perché non può più utilizzare il fosfato dell’ATP. A questo punto anche se il substrato si associa non può venire fosforilato e quindi la leucemia viene controllata e guarita perché le cellule che contengono Bcr/Abl muoiono. Oncogenesi della classe IV – fattori trascrizionali Normalmente i fattori di crescita inducono prima fos e poi myc (mic), durante la transizione dalla fase G0 alla G1. Fisiologicamente i livelli di fos decrescono dopo 30 minuti dall’induzione (vedi grafico), mentre quelli di myc rimangono elevati per permettere la progressione durante il G1, la transizione tra G1-S e successivamente diminuiscono. Le corrispondenti proteine oncogene sono più stabili e quindi non vengono degradate velocemente, il che porta ad una stimolazione continua della proliferazione cellulare. Un ruolo di myc si ha anche nel linfoma di Burkitt (barchit), che è un tumore dei linfonodi causato da una traslocazione di t (8;14) (ti-otto-quattordici). Vediamo i cromosomi: • l’8 su cui si trova il gene myc; • il 14 su cui si trovano i geni per le catene pesanti dell’immunoglobuline. A seguito di una traslocazione si formano questi due cromosomi. C-myc (si-mic) viene a giustapporsi al promotore delle catene pesanti dell’immunoglobuline. Il gene c-myc che si trova fisiologicamente sotto al controllo di un promotore inducibile dai fattori di crescita viene invece a trovarsi sotto al controllo di un promotore costitutivo sempre attivo, che è quello delle catene pesanti dell’immunoglobuline e quindi fa trascrivere c-myc in modo continuo e sregolato rispetto al tessuto. 9 Zaimaj, Balbo, Zeni BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 9, 12/04/2021 Quindi c-myc, a causa di una iper-espressione, genera una proliferazione incontrollata e quindi la formazione del linfoma di Burkitt. Oncogeni della classe V, loro mutazioni e conseguenza di queste mutazioni sulla trasformazione cellulare. La classe V è la classe dei geni anti-apoptotici. La famiglia di Bcl-2 è una famiglia di geni anti-apoptotici che codificano per proteine che omo- o etero- dimerizzano tra di loro. A seconda dell’equilibrio di omo/etero dimerizzazione agiscono da promotori o da soppressori della morte cellulare programmata. Alte concentrazioni di Bax rispetto a quelle di Bcl-2 favoriscono la formazione di omodimeri Bax/Bax che sono pro-apoptotici, mentre alti livelli di Bcl-2 promuovono la formazione degli eterodimeri anti-apoptotici Bax/Bcl-2. Altro esempio di traslocazione che avviene nei linfomi follicolari, è la traslocazione t (14;18), dove il gene Bcl-2 viene traslocato dal cromosoma 18 al cromosoma 14. Avviene una deregolazione dell’espressione di Bcl-2. Se guardiamo la figura abbiamo che bcl-2, fisiologicamente sul cromosoma 18, viene traslocato sul cromosoma 14 nei linfomi follicolari dove viene giustapposto al promotore del gene delle catene pesanti dell’immunoglobuline. Avviene la stessa analoga situazione che avviene per myc. Bcl-2 si trova ad essere sotto il controllo di un promotore costitutivo molto attivo che causa un iper-espressione di Bcl-2 e quindi un’abolizione dell’apoptosi fisiologica. Esempio: Le cellule che prima hanno subito un’ iper-espressione di myc e successivamente subiscono una mutazione di Bcl-2, diventano immortalizzate e proliferano eccessivamente portando alla formazione di un tumore. RB • • • È una proteina che si chiama così perché è stata isolata per la prima volta da un tumore maligno che è il retinoblastoma ed è espressa in tutte le cellule; È un proto-oncogene la cui mutazione provoca uno specifico tumore che è il retinoblastoma; Contribuisce fisiologicamente alla regolazione e alla proliferazione. Questo si è visto perché la reintroduzione del gene RB funzionale wild type in cellule tumorali di retinoblastoma causa l’arresto della crescita. 10 Zaimaj, Balbo, Zeni BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 9, 12/04/2021 Recape sul funzionamento fisiologico di RB RB è uno dei substrati sia delle cicline D/Cdk4/6, sia delle cicline E/Cdk2. Viene fosforilato da questi complessi. Prima di essere fosforilato funziona da inibitore della proliferazione, in quanto blocca la cellula a metà della fase G1 sequestrando un fattore trascrizionale fondamentale per il passaggio dal G1 al S che è E2F. E2F è un fattore trascrizionale che serve per la trascrizione di tutti gli enzimi necessari nella fase sintetica del DNA. Se RB sequestra E2F, questo non può andare ad attivare la trascrizione dei geni che servono per la fase S e quindi degli enzimi per la duplicazione del DNA. Finché RB è legato a E2F la cellula non può progredire lungo la fase G1. Dopo la fosforilazione da parte dei complessi Cdk-cicline, RB fosforilato rilascia E2F in tardo G1 e E2F è libero di andare ad attivare la trascrizione e a preparare la cellula per la fase S. Nelle cellule normali RB viene fosforilato in tardo G1 per permettere la transizione G1-S e viene poi defosforilato alla fine della M, dove ritorna in questa configurazione. Le mutazioni di RB sono prevalentemente delle delezioni del gene che causano una perdita di funzione di questo onco-soppressore causando il tumore maligno retinico. P53 P53 appartiene ai geni oncosoppressori, è denominato il guardiano del genoma, perché viene stabilizzata dal danno al DNA. P53, come tetramero, scorre sul DNA e riesce ad individuare le mutazioni. Le mutazioni stabilizzano p53 che non viene degradata nel suo solito pathway di turnover, ma va ad attivare trascrizionalmente la p21 che porta all’arresto in G1 o G2, dipende da dove la cellula subisce questo danno al DNA. Questo permette ai sistemi di riparo cellulare di riparare il danno prima che la cellula giunga alla fase M. Se il danno è troppo esteso, p53 induce apoptosi andando ad indurre l’espressione di bax formando gli omodimeri bax/bax. Le mutazioni di p53 sono presenti in più del 50% dei tumori umani a testimonianza dell’importanza di p53. Quando viene persa la sua funzionalità si crea una situazione permissiva all’accumulo di mutazione e quindi alla trasformazione cellulare. 11 Zaimaj, Balbo, Zeni BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 9, 12/04/2021 Nella figura sono rappresentate delle linee che sono gli hotspot mutazionali, cioè i punti sulla sequenza p53 dove viene più frequentemente mutata. Le mutazioni sono tantissime, più di 2000, e sono principalmente puntiformi. Se trattiamo delle cellule bronchiali in coltura con benzopirene, che è un componente del catrame delle sigarette, induciamo in queste cellule tra le 2000/2500 possibili mutazioni che vengono ritrovate nei carcinomi polmonari. P53 è mutata nel 60% dei carcinomi polmonari. Questa è un’immagine vista nella lezione sul ciclo cellulare: c’è quello che abbiamo detto finora. P53 interviene, andando a transattivare l’espressione di p21 sia nel G1, quando la cellula subisce un danno al DNA o nel G2 se lo subisce nel G2. Entrambi questi checkpoint sono attivati da p53 e hanno come scopo il permettere alla cellula di riparare un DNA mutato. Il DNA danneggiato stabilizza la proteina p53 che va a transattivare la p21 o CIP che è un inibitore dei complessi cdk-cicline causando l’arresto in G1 o G2. Sindrome di Li-Fraumeni P53 può essere mutata sia a livello somatico sia a livello germinale. Le mutazioni di p53 possono essere ereditate causando nel nuovo organismo la sindrome di Li-Fraumeni. Questa sindrome è caratterizzata dalla predisposizione a cancri multipli nel corso della vita, perché magari viene eredita la mutazione di un allele e poi durante la vita l’altro allele viene inattivato livello somatico e si sviluppa il cancro. La maggior parte delle mutazioni di p53 sono missense, quindi mutazioni che cambiano l’aminoacido e inattivano p53, perché anche una sola mutazione cambia la conformazione della proteina inattivandola. BRCA1 e 2 Altri oncosoppressori sono BRCA 1 e 2 (breast cancer). Il 20% dei cancri alla mammella sono familiari e tra questi la maggior parte sono causati da mutazioni di BRCA1/2. Sono dei tumor suppressor perché sono proteine nucleari coinvolte nella regolazione della trascrizione e nel riparo del DNA. Se un enzima o un cofattore di un enzima coinvolto nella sintesi del DNA viene inattivato non abbiamo più un efficiente riparo delle mutazioni e quindi si ha un accumulo di mutazioni. Le mutazioni in questi due geni, prevalentemente germinali, sono associate con l’insorgenza di cancro in giovane età (minore di 40 anni); es. cancro mammario bilaterale, carcinoma ovarico, carcinoma della mammella maschile. È possibile fare un test genetico per vedere lo stato mutazionale di BCRA1 e 2 e se si hanno in famiglia due o più parenti di primo grado con questi tipi di tumore. DNA Repair 12 Zaimaj, Balbo, Zeni BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 9, 12/04/2021 Anche in questo caso sono degli oncosoppressori. I difetti dei sistemi di riparazione del DNA permettono l’accumulo di mutazioni e predispongono alla formazione di tumori. Su questa tabella ci soffermiamo solo sullo xeroderma pigmentoso dove vedete: • • la sensibilità dei soggetti è selettiva verso i raggi del sole e mutageni chimici; si formano dei carcinomi della pelle e dei melanomi, perché il sistema di riparo dalle mutazioni indotte dai raggi UV del sole è compromesso e quindi i tipici dimeri di timina che si formano per effetto della luce ultravioletta del sole non vengono riparati. Questi dimeri si accumulano e danno origine prima ad infiammazioni della pelle e degli occhi che poi degenerano in carcinomi. 13 Nettis, Pollice, Sassi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 10, 14/04/2021 DOMANDE E CHIARIMENTI SUGLI ARGOMENTI TRATTATI Domanda 1: Cos’è che scatena la trascrizione dei miRNA? Risposta: I miRNA fanno parte di un meccanismo di regolazione post trascrizionale dell’espressione genica. La trascrizione dei miRNA è sempre in esecuzione, anche i miRNA come tutti i geni hanno un loro promotore ed è dalla attivazione del loro promotore che viene iniziata la trascrizione di specifici miRNA. La domanda si può tradurre come “cos’è che scatena la trascizione del miRNA?”. Il meccanismo di attivazione genica dei miRNA è molto complesso. Ogni miRNA ha più di un target messageriale, alcuni ne hanno 100, altri 2, dipende dallo specifico micro RNA, raramente hanno un solo target. Uno stesso RNA messaggero può avere vari miRNA che lo inibiscono, è un sistema che per essere analizzato ha bisogno di programmi informatici specializzati. Non c’è una risposta univoca alla domanda, ciò che scatena la trascrizione è un complesso sistema di regolazione dell’espressione genica che viene attivato specificamente su un determinato numero di miRNA, quando la cellula richiede un certo tipo di controllo sulle proteine prodotte. Domanda 2: Cosa significa che il Sars Cov 2 è un virus a filamento positivo? Risposta: I virus a filamento positivo sono quei virus a RNA che possono essere direttamente tradotti in proteina.Hannoun filamento diRNA5’- 3’ che può esseretradottodalsistemaditraduzionedella nostra cellula eucariotica in proteina sui nostri ribosomi in maniera diretta. Domanda 3: Tratteremo i meccanismi di riparazione del DNA che ha più volte nominato? Risposta: No, li ho accennati, non sono in programma. I meccanismi di riparazione del DNA verranno spiegati nel secondo modulo di biologia molecolare con il professor Grandi. Domanda 4: Le lezioni saranno a distanza anche adesso che possiamo frequentare in presenza, come sarà l’organizzazione degli orari? Possiamo rimanere in aula a vedere le lezioni registrate? Risposta: Non ci sono ancora istruzioni operative, le prime ore delle giornate di lunedì e mercoledì potreste non essere presenti in aula per ascoltare le lezioni registrate, dato che serve qualcuno che vigili la classe. A breve ci daranno informazioni. Domanda 5: A proposito del CJD lei aveva detto che è causata da somministrazione di HGH da cadavere. Poi ha parlato di 3 forme di CJD: familiare, sporadica, variante. Non ho ben capito a quale di queste tre forme corrisponde la somministrazione di HGH. Risposta: è un’infezione orizzontale, causata da una procedura medica dalla somministrazione di ormone della crescita estratto da ipofisi di cadavere affetto in vita dalla malattia prionica. È simile a quella data da animali infetti, ma non è causata da un’ingestione accidentale. 1 Nettis, Pollice, Sassi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 10, 14/04/2021 Domanda 6: Non mi è chiara la differenza tra gemmazione e frammentazione per quanto riguarda la riproduzione batterica. Risposta: Per quanto riguarda la gemmazione, dalla cellula madre non si formano due cellule di dimensioni uguali come nella scissione binaria, ma si vanno a formare delle piccole cellule figlie dalla membrana plasmatica. Nella frammentazione assistiamo ad un accrescimento multiplo, della cellula madre che avrà precedentemente duplicato il suo patrimonio genetico, in modo che ogni cellula che origina dalla frammentazione possa avere il suo patrimonio genetico, la membrana plasmatica e la parete. Domanda 7: nella fase di allungamento della traduzione, il nuovo amminoacido che si è legato al sito A, dopo l’avvenuta formazione del legame, si sposta e diventa il primo amminoacido della catena in formazione nel sito P? Risposta: Il nuovo amminoacido quando si sposta nel sito P diventa l’ultimo amminoacido della catena in formazione. Domanda 8: Durante l’analisi dell’apoptosi abbiamo parlato di come BAX interagisca con la cardiolipina presenta sulla membrana mitocondriale esterna. Durante l’analisi del mitocondrio nel corso di citologia però, avevamo localizzato la cardiolipina solamente nella membrana mitocondriale interna. È dunque presente anche nella membrana esterna? Risposta: durante le prime fasi dell’apoptosi si verifica il flip flop, un’inversione per cui la cardiolipina viene ad essere esposta nel foglietto esterno. Questa immagine Figura 1 mostra una statistica degli ultimi giorni in cui viene spiegato il rischio di formazione di trombosi venosa profonda in Italia a seguito della somministrazione di vaccino Astrazeneca che risulta essere pari allo 0.0004% . Per le donne che assumono la pillola contraccettiva il rischio è del 0,05-0,12%. Le persone fumatrici hanno un rischio tra 0,15-0,2%. I malati di covid nella seconda fase della malattia (quella più grave) hanno un rischio di 16,5%. Anche se siamo ancora in una fase di studio, i casi in cui si hanno avuto trombosi dopo la somministrazione del vaccino Astrazeneca sono molto meno frequenti rispetto ad altre situazioni più comuni. Bisogna valutare se una persona che deve essere vaccinata contemporaneamente assume la pillola contraccettiva e fuma, bisogna considerare l’intreccio dei fattori di rischio. Figura 1 2 Nettis, Pollice, Sassi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 10, 14/04/2021 Domanda 9: quindi si consiglia di sospendere l’assunzione della pillola contraccettiva se si deve fare il vaccino? Risposta: è il vostro ginecologo che deve consigliare. Il rischio trombo embolico per chi assume la pillola contraccettiva è valutabile nella percentuale che abbiamo visto. La sospensione deve essere fatta (solitamente per gli interventi) da un mese a tre mesi prima. Per il vaccino attualmente non si riesce a rispondere Domanda 10: secondo lei c’è una correlazione tra la tipologia di vaccino (a mRNA o a vettore virale) e gli eventuali effetti collaterali? Al momento sono ritirati AstraZeneca e Johnson&Johnson, entrambi a vettore virale, invece di Pfizer, a mRNA, non sono stati evidenziati importanti effetti collaterali. Si tratta di una casualità? Risposta: questo è quello che stanno cercando di capire. Il vettore virale è un virus che porta un DNA ricombinante, ma non sappiamo rispondere ancora. In ogni caso il rischio di contrarre una trombosi avendo il covid19 è molto maggiore rispetto a quello dato dal vaccino. Domanda 11: secondo la sua opinione, per persone con patologie autoimmuni è più dannoso rischiare di prendere il covid o farei il vaccino? Risposta: dipende dalla patologia, se è grave come lupus o artrite reumatoide, o meno gravi come la celiachia. Credo che sia sempre più pericoloso prendere il covid, ma questo deve stabilirlo il medico curante che conosce il caso. Domanda 12: riguardo l’apoptosi, è bax che induce la cardiolipina sulla membrana esterna mitocondriale o questo trasloco avviene prima dell’attacco di bax, quindi indotto da altri fattori? Risposta: avviene in precedenza dell’attacco di bax. Domanda 13: tornando sul tema vaccini, visto che a differenza della tecnica mRNA, l’impiego del vettore virale è già stato sfruttato in passato per formulare dei vaccini (come l’antiinfluenzale), si sa se sono stati osservati gli stessi effetti collaterali di Astrazeneca? Risposta: l’antiinfluenzale è fattocon visativirali, quindi virus uccisi. I vettorivirali sono stati utilizzaticon sars cov 2 ma non essendo stata una pandemia, non è stato utilizzato su una vastità di popolazione, quindi non si hanno dati. INFORMAZIONI SULL’ESAME 3 Nettis, Pollice, Sassi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 10, 14/04/2021 Criteri di assegnazione punteggio: 1 punto per ogni risposta esatta: individuazione deII’ unica risposta esatta come neII'es. 1, o individuazione di tutte le possibili risposte esatte come nell’es.2 (le risposte esatte possono essere fino a 3 e I‘individuazione di un numero inferiore di risposte esatte rispetto al numero reale equivale a risposta sbagliata) 0 punti per ogni risposta sbagliata o non risposta Voto Finale= n° di risposte esatte+1: 30 risposte esatte: 30/30/lode 29 risposte esatte: 30/30 e così via Argomenti delle domande n° 15 domande di Biologia Generale e Cellulare (prime 15 domande del test) n° 5 domande di Genetica Formale e Molecolare (ultime 15 domande del test) Per poter rispondere alle domande correttamente, oltre alle nozioni serve fare un ragionamento specifico: Es, per i quiz di genetica vi verrà chiesta di calcolare con il quadrato di Punnet Ie % dei genotipi che derivano da uno specifico incrocio. Se si tratta di malattie, dovete ovviamente conoscere il meccanismo di trasmissione della malattia genetica in questione per poter dare una risposta corretta-nella domanda viene nominata la malattia ma non il meccanismo di ereditarietà. Programma di esame: Tutto ciò che vi è stato fornito con le videolezioni ed i files relativi Per chi ha convalide parziali: Almeno 48h prima dell’esame deve inviarmi una copia della convalida parziale dove compare il voto. Deve eseguire solo meta del test (o Biologia o Genetica, a seconda del tipo di convalida), ed è obbligato a finire in 30' (meta del tempo) ed inviare i risultati entro questo tempo. Il voto finale sarà la media tra il voto della parte convalidata e quello del nuovo test. 4 Nettis, Pollice, Sassi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 10, 14/04/2021 Domanda 14: il salto d’appello ci sarà anche in caso saltasse la connessione? Risposta: non è mai capitato, se salta la connessione per uno o due minuti non c’è bisogno di recupero, se non si ripristina la connessione in nessun modo c’è la possibilità di rifare l’esame al primo appello disponibile. Domanda 15: ci sarà un limite di iscritti per ogni appello? Risposta: no Domanda 16: ci sarebbe la possibilità di esercitarci su simulazioni oppure su esami già dati in appelli precedenti? Risposta: a fine corso faremo un’altra sessione sull’esame dopo aver fatto gli argomenti di genetica. Vi farò vedere dei test tipo, una simulazione vera e propria non si può fare dato che non avrete già studiato. Domanda 17: la verbalizzazione del blocco avverrà dopo aver conseguito anche la biologia 2/2? Risposta: si, il voto verrà verbalizzato dal prof Grandi facendo la media ponderata. Domanda 18: per gli esercizi di genetica useremo carta e penna? Risposta: stiamo cercando di creare un foglio digitale dove svolgere gli esercizi, in ogni caso userete il computer. Domanda 19: riusciremo a terminare il programma un po' prima rispetto alle ultime date di lezione? Risposta: si bisogna terminare il programma prima, dovremmo finire massimo il 12 maggio. Poi se vogliamo fare una lezione a parte sull’esame si farà al di fuori di queste lezioni, magari un pomeriggio. Domanda 20: superato questo esame bisognerà subito dare anche biologia 2 oppure questo voto rimarrà sempre valido? Risposta: no, il voto rimane valido dal punto di vista formale. Domanda 21: il salto d’appello vale anche se qualcuno rifiuta il voto? Risposta: si vale anche se qualcuno rifiuta il voto. 5 Nettis, Pollice, Sassi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 10, 14/04/2021 LE CELLULE STAMINALI LE PROPRIETÀ Una cellula staminale, a seconda della sua origine, si può chiamare embrionale, se deriva da un embrione, o adulta, se deriva da un adulto. Le proprietà delle cellule staminali, sia embrionali che adulte, (non condivise dalle cellule somatiche non staminali) sono principalmente queste due: 1. Poter riprodurre sé stesse e quindi mantenersi in uno stato indifferenziato: si può definire come una cellula non matura. Tale fenomeno prende il nome di autorinnovamento o self-renewal. Questa proprietà la devono possedere per lunghi periodi di tempo (come nello sviluppo embrionale), o in alcuni casi, per tutta la vita dell’organismo pluricellulare: è durante tutta la vita che l’organismo ha continuamente bisogno del rinnovamento dei propri tessuti. Autorinnovamento significa, quindi, riprodurre durante la mitosi un’altra cellula uguale a sé stessa. 2. Deve avere la potenzialità di differenziare a cellule più mature, che successivamente differenziano in cellule specializzate negli embrioni o nei vari tessuti dell’organismo. È quindi responsabile sia del rinnovamento dei tessuti negli organismi dopo la nascita e sia dell’embriogenesi, cioè la formazione dell’embrione durante lo sviluppo embrionale. DIVISIONE Queste due proprietà sono garantite da una divisione mitotica peculiare che fanno le cellule staminali, definita asimmetrica. Essa dà origine a due cellule genotipicamente identiche alla cellula madre ma fenotipicamente diverse tra loro. Una, infatti, è identica alla cellula madre (generata tramite selfrenewal) in modo tale da mantenere un pool di staminali indifferenziate che possa continuare a rinnovare i tessuti durante tutta la vita. Mentre l’altra cellula figlia, sarà leggermente più differenziata e, a seconda dei fattori di crescita e di differenziamento che incontrerà, prenderà una strada maturativa e Figura 1 darà origine alle cellule di un determinato tessuto. Differenziare significa, quindi, acquisire la capacità di svolgere una determinata funzione. Quindi tutte le cellule terminalmente differenziate derivano da cellule staminali presenti in quel specifico tessuto, dove intraprendono un percorso differenziativo fino allo stadio in cui acquisisce la sua forma e funzione. Questa è una microfotografia (figura 2) a microscopio elettronico a scansione che mi mostra le ciglia e stereociglia, nella coclea, appartenenti ai neuroni sensoriali che formano la coclea dell’orecchio interno. Questo è un esempio di come una cellula staminale, che è sostanzialmente sferica, si modifichi, durante il suo percorso differenziativo, acquisendo una forma specifica per quella funzione che è destinata a svolgere. Figura 2 6 Nettis, Pollice, Sassi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 10, 14/04/2021 CELLULA STAMINALE EMOPOIETICA Se consideriamo le cellule emopoietiche, esse derivano tutte da un’unica cellula staminale, che chiamiamo cellula staminale emopoietica. Vediamo come, durante il differenziamento, gli eritrociti e le piastrine (non tanto i leucociti), modifichino, in modo estremo, la loro forma per poi svolgere la loro specifica funzione. • • Gli eritrociti sono cellule di forma discoidale, derivanti da una cellula staminale emopoietica sferica che differenzia terminalmente in eritrocita, espellendo il nucleo prima dell’ultima transizione differenziativa e acquisendo una forma a disco biconcavo che è particolarmente adatta al loro ruolo funzionale: scambi gassosi nel sangue. I leucociti o globuli bianchi hanno più o meno una forma sferica come la staminale, ma non sono indifferenziati. Si distinguono in: 1. Linfociti 2. Monociti 3. Macrofagi 4. Granulociti di vario tipo Tutte queste cellule derivano dalla cellula staminale emopoietica ma differenziano in tutte queste tipologie (elenco incompleto), svolgendo ognuno la propria funzione (I linfociti B producono gli anticorpi, quelli T hanno un’attività citotossica così come i monociti, macrofagi e granulociti). Vedremo, in seguito, come i leucociti modificano moltissimo la loro espressione genica, in seguito a fattori differenziativi, in modo da poter esercitare la loro funzione specifica. • Le piastrine sono i primi effettori della coagulazione del sangue: andranno a formare un tappo piastrinico in corrispondenza delle lesioni vascolari in modo che si fermi l’emorragia. Esse non sono cellule (non possiedono un nucleo) ma frammenti citoplasmatici di un megacariocita: una cellula polinucleata differenziata dalla cellula staminale emopoietica che, alla fine del loro processo differenziativo, frammenta il suo citoplasma. Figura 3 7 Nettis, Pollice, Sassi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 10, 14/04/2021 LE PRINCIPALI CLASSI DI STEM CELLS Esistono due principali classi di cellule staminali: 1. Embrionali (Embryonic stem cells, ES cell): sono definite come cellule che derivano dall’embrione ai primi stadi dello sviluppo, in particolare dalla blastocisti. In particolare, la cellula staminale embrionale deriva dalla massa interna della blastocisti allo stadio di pre-impianto nell’utero. Nell’ uomo, circa cinque giorni post-fecondazione. 2. La cellula staminale dell’adulto: è una cellula indifferenziata che si ritrova all’interno di un contesto tissutale specializzato, più precisamente in strutture che prendono il nome di nicchie staminali, dove troviamo, quindi, le cellule staminali di quel determinato tessuto che provvedono al rinnovamento del tessuto stesso. Infatti queste cellule possiedono la capacità di self-renewal per tutta la vita dell’adulto. Inoltre, quest’ultime, sono state ritrovate, prima, nel midollo osseo, nel sangue periferico e del cordone ombelicale e, successivamente, in altri tessuti (cervello, cornea, retina, polpa dentaria, fegato, pelle, vari epiteli, nel pancreas e altri organi). Bisogna precisare che per “adulto” si definisce un organismo nella sua fase post-natale. Figura 4 In generale, ogni tessuto ha bisogno di rinnovarsi: esistono tessuti ad alta o bassa capacità di rinnovamento ma sempre con un certo “rate” e velocità di rinnovamento che tutti i tessuti devono possedere. Quindi, tutti i tessuti devono avere la capacità di rinnovarsi attraverso il continuo differenziamento delle cellule staminali in cellule terminalmente differenziate che andranno a sostituire le cellule (terminalmente) differenziate del tessuto. Quest’ultime, non essendo immortali, dopo un certo periodo di vita, definito emivita, giungono alla senescenza replicativa per poi andare in contro ad una morte per apoptosi. UTILIZZO DELLE CELLULE STAMINALI NELLA MEDICINA RIGENERATIVA Come abbiamo già detto, le cellule staminali hanno la capacità di rigenerare i tessuti e interi embrioni (nel caso di quelle embrionali). La medicina rigenerativa è quella branca della medicina che utilizza le cellule staminali per rigenerare delle porzioni di tessuti che sono andati persi per effetto di una malattia, per esempio, degenerativa o per effetto di un incidente o insulto. Vediamo ora quali cellule staminali dell’adulto (ASC) sono tutt’ora, clinicamente, utilizzate per ricostruire tessuti. Prima, però, andiamo a definire le caratteristiche di un ambiente molto importante quest’ultime cellule. 8 Nettis, Pollice, Sassi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 10, 14/04/2021 LA NICCHIA STAMINALE Vediamo le caratteristiche di questa struttura: • Dopo la nascita, le ASC risiedono in uno speciale microambiente chiamato “nicchia”, che varia in natura e localizzazione in dipendenza dal tessuto. Per esempio, nel tessuto emopoietico sono state caratterizzate almeno tre tipi di nicchie: 1. Osteoblastica 2. Vascolare 3. Altri tipi di nicchie costituite da cellule staminali, mesenchimali, macrofagi ecc.… • La nicchia è anche composta da altre cellule non staminali che circondano quelle staminali, creando una rete di segnali per il supporto della cellula staminale stessa e quindi per l’omeostasi ed il riparo tissutale. L’omeostasi tissutale è l’equilibrio che ci deve essere all’interno di un tessuto tra i vari pool di cellule (staminali indifferenziate, differenziate, terminalmente differenziate e cellule verso l’apoptosi), in modo tale che il tessuto possa rimanere sempre alla sua massima efficienza. • La nicchia protegge le cellule staminali dall’esaurimento e dalla senescenza replicativa: regola la velocità di proliferazione delle cellule staminali stesse, spesso inducendo la quiescenza e quindi proteggendole, anche quando non servono, dalla continua proliferazione. Nello stesso tempo, protegge l’organismo da una proliferazione eccessiva delle cellule staminali stesse che può risultare dannosa. • La nicchia costituisce l’unità funzionale basale del tessuto ed integra i segnali che mediano la risposta delle cellule staminali alle necessità dell’organismo, in dipendenza dal tessuto • La nicchia è tipicamente costituita da un tipo cellulare diverso da quello staminale, come ad esempio gli osteoblasti nel midollo osseo. Figura 6 9 Nettis, Pollice, Sassi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 10, 14/04/2021 Quest’ultimo esempio si riferisce alla figura 7, dove gli osteoblasti sono quelli colorati in blu e adagiati sul periostio del midollo osseo, mentre quelle in rosa e rosso sono le cellule staminali emopoietiche che aderiscono, con complessi di adesione specifici, alle cellule della nicchia osteoblastica (cioè gli osteoblasti). Questa stretta adesione, quindi, fa sì che gli osteoblasti possano influire sulla funzionalità delle cellule staminali stesse e determinare, attraverso le sostanze che secernono, di cui le cellule staminali emopoietiche hanno i recettori, la Figura 7 6 quiescenza, la proliferazione o il differenziamento della cellula staminale stessa. Nel cervello, poi, ci sono altri tipi di nicchie costituite da cellule endoteliali. LE CELLULE STAMINALI NEURALI Come voi sapete, il tessuto nervoso è a bassa capacità di rinnovamento. Fino a pochi anni fa si credeva che le cellule nervose nel cervello adulto non si dividessero più e che quindi non ci fosse nessuna possibilità di rigenerazione del tessuto cerebrale (ergo non conteneva cellule staminali). In seguito, è stato dimostrato che nel sistema nervoso dell’animale adulto, attraverso esperimenti inizialmente eseguiti sui ratti, ci sono delle cellule staminali, definite Neuron Stem cells o NSCs. Quest’ultime si dividono e differenziano a neuroni e a tutte le cellule della glia. La cellula staminale neurale non è una cellula utilizzata abitualmente in clinica: non è ancora una cellula che viene utilizzata come strategia terapeutica per curare malattie degenerative del cervello (per es. il morbo di Parkinson). Quindi, dal punto di vista applicativo, è livello sperimentale Figura 8 10 Nettis, Pollice, Sassi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 10, 14/04/2021 MORBO DI PARKINSON In particolare, nel morbo di Parkinson, come vedete nella figura 9, abbiamo la degenerazione del nucleo Nigrostriato, cioè dei neuroni che producono il neurotrasmettitore dopamina con conseguente perdita o diminuzione fortissima della produzione di dopamina all’interno dell’encefalo. Quest’ultimo processo provoca, inoltre, la perdita di molte capacità motorie e intellettuali che, progressivamente, vengono perse nei malati di Parkinson. Nelle prime fasi della malattia, viene utilizzato un analogo sintetico della dopamina che viene definito levodopa. Ma, dopo un certo periodo, i pazienti non rispondono più a questa terapia. Quindi, sono stati Figura 9 utilizzati diversi approcci di medicina rigenerativa per riuscire a curare questa malattia con una terapia cellulare. Quest’immagine (figura 10) si riferisce a due scansioni fatte in Positron Emission Tomography (PET): una tecnica radiologica che permette di vedere le zone di un determinato tessuto più attive dal punto di vista metabolico. Il codice colore è il seguente: le zone rosse sono quelle più attive, le zone gialle sono quelle attive in modo intermedio, mentre le zone blu sono quelle meno attive, dal punto di vista comparativo. Partendo da sinistra, abbiamo un’immagine di un paziente prima della chirurgia, durante la quale vengono trapiantati dei neuroni dopaminergici isolati da un tessuto fetale. Nello stesso paziente, dopo l’intervento, viene aumentata l’attività della zona dopaminergica, con produzione di dopamina e miglioramento dei sintomi del paziente. Questo accade (nell’ immagine a destra) dodici mesi dopo il trapianto. Però, queste cellule, nei mesi successivi, vanno incontro ad una degenerazione: si può dire, quindi, che questa non è una terapia cellulare definitiva per il morbo di Parkinson. Inoltre, ora si stanno compiendo degli esperimenti sui primati, utilizzando le cellule staminali embrionali. Ancora, però, non ci sono risultati applicabili in clinica. Figura 20 11 Nettis, Pollice, Sassi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 10, 14/04/2021 ISTOLOGIA DELL’EPIDERMIDE Per quanto riguarda le cellule che sono, tutt’ora, utilizzate come terapia cellulare di routine, annoveriamo due tipi cellulari epiteliali, in particolare le cellule dell’epidermide, della cornea e, a parte, la cellula emopoietica. Quindi, la terapia cellulare, volta a rigenerare tessuti per malattie o incidenti, oggi utilizza “solamente” cellule staminali dell’epidermide, della cornea ed emopoietiche, con ottimi risultati. Per quanto riguarda l’istologia dell’epidermide, bisogna ricordarsi che lo strato basale è quello che poggia sulla lamina basale ed è lo strato che contiene maggiormente cellule indifferenziate. Figura 11 LA NICCHIA STAMINALE EPITELIALE Di conseguenza, la nicchia staminale epiteliale (in azzurro in figura 12) contiene cellule epidermiche staminali, le quali si trovano all’interno dello strato basale, cioè tra le cellule meno differenziate dell’epidermide. Quindi esse formano l’unità proliferativa dell’epidermide (Epidermal proliferative Unit, EPU): composta da una cellula staminale, circondata da almeno 10 cellule basali (in blu in figura 12 e da immaginare tridimensionalmente) che compensano l’esfoliazione della colonna cellulare superiore. Esistono vari tipi di nicchie staminali che dipendono dal tipo di tessuto. Figura 12 LE CELLULE STAMINALI EPIDERMICHE Le cellule staminali epidermiche sono utilizzate in terapia e, in particolare, per curare i grandi ustionati o alcune malattie genetiche che, come l’epidermolisi bollosa, consistono in una perdita e fragilità estrema dell’epidermide. Quindi, per quanto riguarda la cura delle ustioni, le cellule staminali epiteliali sono utilizzate per la produzione di lembi di pelle. Inoltre, le ustioni gravi (secondo e terzo grado) che vanno ad interessare una grande parte del corpo (2/3 circa) sono molto gravi ed espongono il paziente a morte, in quanto, a causa della mancanza della barriera epiteliale, lo espongono sia ad infezioni opportunistiche e sia ad una fortissima evacuazione dei liquidi corporei che sottopone i reni ad un lavoro molto intenso che sfocia in un’insufficienza renale, anche causata dalle tossine sviluppate dalle cellule ustionate stesse. 12 Nettis, Pollice, Sassi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 10, 14/04/2021 Come si fa a curare questi malati con lembi di pelle senza incorrere nel pericolo di un rigetto? Figura 13 L’epidermide è altamente immunogenica, cioè un tessuto che, spessissimo, produce un rigetto anche se istocompatibile (compatibile come antigene di istocompatibilità). Quindi, alcuni studiosi, tra cui il professore De Luca (che vi farà lezione prossimamente), hanno messo a punto questa tecnica di coltura di Figura 14 epidermide autologa, cioè proveniente dal paziente stesso, in vitro. Praticamente si fa una biopsia in una piccola zona (bastano pochi centimetri quadrati) non ustionata del paziente, per poi mettere il lembo (la biopsia) in un recipiente di coltura e, in due o tre settimane, si ottengono dei lembi di epidermide che vengono poi trapiantati sul derma del paziente stesso e vanno a rimpiazzare l’epidermide perduta con le ustioni. Tutto ciò avviene senza problemi di rigetto poiché il lembo epidermico deriva dal paziente stesso: è un trapianto definito autologo. Questa è la tecnica chirurgica (figura 15) con la quale i lembi vengono cuciti, prelevati dalla coltura in vitro e applicati, sul derma sottostante (precedentemente preparato), come un puzzle che ricopre l’intera ustione. Figura 15 13 Nettis, Pollice, Sassi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 10, 14/04/2021 LE CELLULE STAMINALI CORNEALI Le cellule staminali corneali è il secondo tipo di cellule epiteliali che viene, correntemente, utilizzato in medicina rigenerativa per rigenerare, in questo caso, la cornea. Questa non è una terapia salva vita ma è una terapia cellulare che restituisce la vista (il nostro senso più importante). Prima di tutto, bisogna sapere dove sono localizzate le cellule staminali nella cornea. È stato visto, infatti, come queste cellule risiedano nel limbus (zona “l” rossa in figura 16). Queste cellule staminali corneali sono in grado di ricostruire una cornea anche in vitro. Figura 16 • Come viene applicata questa tecnica? Cellule staminali corneali vengono prelevate dalla zona del limbus e messe (servono pochi millimetri quadrati di biopsia) in coltura, per poi andare a costruire dei lembi di cornea (figura 17) trasparenti (com’è la cornea realmente). Questi lembi verranno utilizzati per il trattamento di gravi ustioni oculari. Figura 17 14 Nettis, Pollice, Sassi • BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 10, 14/04/2021 In quali casi vengono utilizzati questi lembi di cornea? Guardando la figura 18, in alto a sinistra (l’immagine sotto la scritta “before”), vediamo un occhio in cui è avvenuta la “congiuntivalizzazione”: a seguito di un’ustione oculare (per es. calce viva), l’occhio reagisce formando una copertura (panno) di congiuntiva che ricopre la cornea e la pupilla conducendo, successivamente, alla cecità. Anche questi occhi (sotto “before treatment” Patient 22,26,46) sono molto danneggiati e praticamente ciechi. Figura 18 • Cosa prevede il trapianto di cellule staminali corneali? Prevede una serie di passaggi (figura 19): 1. Prelievo nell’altro occhio (quello sano), da una piccola porzione del limbus, di cellule staminali corneali. 2. Successivamente vengono poste in cultura per sviluppare i lembi corneali autologhi. 3. Rimozione della copertura di congiuntiva che occludeva la vista. 4. Applicazione del lembo corneale, con l’applicazione successiva dei punti di sutura. Figura 19 Il risultato è visibile nella colonna di destra della figura 18. HOLOCLAR Con questo metodo di coltura di cellule corneali autologhe, la professoressa Pellegrini, che lavora al centro di medicina rigenerativa, ha restituito la vista a più di 150 pazienti. Inoltre, questa tecnica ha portato ad un brevetto che prende il nome di “holoclar”: è costituito dalla tecnica per rigenerare in vitro una cornea da cellule autologhe. Nel febbraio 2015, è stato approvato dall’AIFA e dall’EMA il primo farmaco (le cellule a coltura cellulare sono considerati farmaci e quindi regolamentate dalle stesse regole con cui vengono fabbricati in farmaci) al mondo a base di cellule staminali della cornea. Con “holo” si intende holocloni: cellule staminali dei tessuti epiteliali. Con “clar” indica la capacità di chiarificare la vista. L’Holoclar è stato sviluppato a Modena grazie ad una collaborazione tra pubblico (Unimore) e privato (HOLOSTEM). “HOLOSTEM” è un’azienda farmaceutica che tutt’ora produce cornee per trapianto, ogni giorno. Tutto ciò permette di ridare la vista a pazienti con ustioni e lesioni da agenti chimici con una percentuale di successo superiore all’80%. Molti di questi pazienti avevano tentato un trapianto eterologo, cioè da un donatore di cornea, ma che non aveva attecchito per mancanza di cellule staminali. 15 Nettis, Pollice, Sassi BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 10, 14/04/2021 16 Battaglia, De Riccardis, Bandiera Biologia e genetica (Manfredini) lezione 11, 19/11/2021 La cellula staminale emopoietica La cellula staminale emopoietica è stata la prima cellula staminale ad essere applicata in terapia cellulare. La cellula staminale emopoietica ha sede nella sede dell’emopoiesi, cioè nel midollo osseo, quest’ultima al SEM risulta non avere una forma tipica, la morfologia è (come tutte le cellule staminali) prettamente sferica. Nel 1957, prima ancora che si coniasse il termine di cellula staminale, coniato alla fine degli anni 80, il dottor Thomas capì che c’era qualcosa nel midollo osseo che era capace di rigenerare l’emopoiesi in una persona con emopoiesi inefficace per esposizione a radiazioni, o malattia. Questa sua convinzione fu derivata da esperimenti condotti durante la Seconda Guerra Mondiale, durante i quali cercando di salvare persone letalmente esposte a radiazioni (letalmente irradiate). Si fecero esperimenti sui topi e si scopri che il midollo osseo di un topo sano, quando trapiantato in un topo letalmente irradiato era in grado di ricostruire un’emopoiesi completa, quindi salvare la vita, del topo irradiato che altrimenti sarebbe stato destinato alla morte. Varie sperimentazioni successive hanno portato sull’uomo il primo trapianto di midollo osseo. Nel 1957 il dottor Thomas ha eseguito un Intravenous Infusion of Bone Marrow, ovvero un trapianto di cellule derivanti dal midollo osseo di un individuo sano in un paziente con leucemia acuta che era stato precedentemente trattato con radiazioni e chemioterapia, questo perché nel caso della leucemia acuta, come nel caso di patologie neoplastiche del sistema emopoietiche, il trapianto di cellule staminali emopoietiche deve essere effettuato dopo che il midollo osseo sia svuotato dal clone neoplastico attraverso un trattamento radiante e chemioterapico. E’ la stessa tecnica che si usa ancora oggi. Questo fu il primo risultato positivo che segnò l’inizio di una pratica terapeutica, che utilizza le cellule staminali emopoietiche che ancora oggi va avanti e continua a salvare milioni di persone. Proprietà della cellula staminale emopoietica Le proprietà delle cellule staminali emopoietiche sono le stesse descritte nella lezione scorsa cioè: • Capacità di self-renewal (autorinnovamento) per tutta la vita dell’organismo ovvero la capacità di generare altre cellule uguali a sé stessa perché ogni giorno devono essere prodotte decine e decine di miliardi di nuove cellule del sangue e quindi il tessuto emopoietico ha un’altissima capacità di rinnovamento e ha bisogno di cellule staminali altamente efficienti che facciano molto self-renewal • Capacità di dare origine a progenitori multipotenti cioè a cellule leggermente più differenziate multipotenti perché la cellula staminale emopoietica dà origine a tutte le cellule terminalmente differenziate della linea emopoietica (leucociti, monociti, piastrine, globuli rossi, plasmacellule). Nella figura 1 possiamo osservare l’emopoiesi midollare quindi non si vede la genesi dei linfociti T (avviene nel timo). Abbiamo nel midollo osseo, all'interno di particolari strutture, ovvero le nicchie staminali emopoietiche vari compartimenti. Quello mostrato è il compartimento delle cellule staminali quiescenti che possono essere indotte a proliferare tramite l’attivazione della proliferazione e l’uscita da G0, attraverso la stimolazione di alcuni fattori di crescita come alcune interleuchine, ad esempio SCF, ovvero lo Stem Cell Factor, e una volta in ciclo le cellule possono essere indotte Figura 1 1 Battaglia, De Riccardis, Bandiera Biologia e genetica (Manfredini) lezione 11, 19/11/2021 a differenziare a progenitori, che sono le prime cellule della linea mieloide e della linea linfoide che si formano nello step differenziativo seguente alla cellula staminale. Quindi mentre una cellula progenitore mieloide, da origine a tutta la linea differenziativa mieloide (cioè granulociti, monociti, piastrine ed eritrociti), il progenitore linfoide da origine, nel midollo osseo, alla linea linfocitaria B, e nel timo alla linea linfocitaria T. Il midollo osseo, nell’adulto, è la sede dell’emopoiesi. È localizzato, prevalentemente, nell’osso spugnoso e nelle ossa piatte, quindi nelle ossa pelviche e nello sterno, ma anche nelle epifisi delle ossa lunghe. La produzione del sangue avviene in piccole cavità dell’osso, dove le cellule staminali emopoietiche sono organizzate in particolari strutture dette nicchie staminali emopoietiche. Morfologicamente la cellula staminale emopoietica, come tutte le cellule staminali, non è identificabile, cioè non presenta caratteristiche morfologiche che permettono di identificarla in un’analisi morfologica del midollo osseo. La cellula staminale emopoietica è definita funzionalmente come una cellula dotata di: • Capacità di autorinnovamento a lungo termine (“long-term self-renewal”), per tutta la vita dell’organismo; • Potenzialità di ricostruire tutte le linee emopoietiche in un animale letalmente irradiato, (in un processo chiamato engraftment, cioè. "attecchimento” delle CSE (cellule staminali emopoietiche) trapiantate nell’ospite, che ricostruiscono tutte le linee emopoietiche). L’animale irradiato può esstere ed è spesso anche l’uomo. Esistono 3 diverse sorgenti tissutali di CSE: • Midollo osseo: sede dell’emopoiesi, in cui la CSE è concentrata dall’ 1% al 3%, che è una frazione molto piccola delle cellule del midollo osseo, sufficiente per garantire l’alto tasso di rinnovamento di questo tessuto. Per il trapianto il midollo osseo contenente le CSE, oggi viene prelevato prevalentemente dalla cresta iliaca, non più dallo sterno; si tratta di un intervento minimamente invasivo. • Sangue periferico: presenta una certa quantità di cellule staminali emopoietiche circolanti, ma ad un tasso molto minore rispetto a quello del midollo osseo (0.06%). • Sangue del cordone ombelicale: sono presenti al momento della nascita all’1% nel sangue del cordone ombelicale cioè il sangue della vena ombelicale e che scorre nelle vene superficiali della placenta Oggi giorno tutte e tre le sorgenti sono utilizzate a fini di trapianto. Il sangue periferico è la fonte di cellule staminali emopoietiche a scopo di trapianto più utilizzata. Data la scarsa frequenza di queste cellule in un campione, il donatore sano che si sottopone al prelievo a scopi trapiantologici deve essere precedentemente trattato con G-CSF (granulocyte-colony stimulating factor), un farmaco fattore di crescita che stimola la mobilitazione delle cellule staminali dal midollo al sangue periferico, arrivando ad ottenere dopo 5 giorni dal trattamento circa 1% di cellule staminali nel sangue periferico. A questo punto si potrà prelevare al donatore una quantità di sangue non eccessiva, che si aggira sui 500 ml contenente una quantità sufficiente di cellule staminali, per un individuo adulto, per scopi trapiantologici. Il sangue di cordone ombelicale è già abbastanza ricco di cellule staminali, ma è limitata la quantità estraibile dalla placenta. Si stanno sviluppando delle tecniche per riuscire ad aumentare le cellule staminali estraibili da una placenta, che di fatto non sono sufficienti per essere trapiantate in un individuo adulto, 2 Battaglia, De Riccardis, Bandiera Biologia e genetica (Manfredini) lezione 11, 19/11/2021 facendole moltiplicare in vitro senza far perdere loro la staminalità che è indispensabile per la successiva ricostruzione del midollo osseo, infatti solo le cellule staminali hanno la capacita di self-renewal e di differenziamento e man mano che differenziano al loro tipo cellulare a cui sono destinate (“commited”), la capacità di self-renewal si perde, insieme alla capacità di ricostruire un sistema emolinfopoietico completo. Quindi così come avviene per i trapianti di pelle o di cornea, anche per i trapianti di sangue, nel caso di tumori emopoietici essenzialmente, è necessario che all’interno del sangue che si trapianta, qualunque sia la fonte utilizzata, che ci sia una sufficiente, ovvero almeno l’1% come quantità di cellule staminali emopoietiche. E’ ovvio che il sangue del cordone ombelicale, essendo in volume abbastanza scarso anche l’1% non è sufficiente per effettuare un trapianto in un individuo adulto. Tipologie di trapianto Nel caso delle cellule staminali emopoietiche distinguiamo due tipologie di trapianti: • Il trapianto autologo, dove il paziente ed il donatore sono la stessa persona; • Il trapianto allogenico, dove il paziente riceve le HSC da un donatore geneticamente istocompatibile e quindi il sangue da una delle tre forme nominate proviene da un’altra persona. Il trapianto allogenico Essenzialmente, le indicazioni per il trapianto allogenico sono tutte quelle neoplasie del sistema emopoietico (evidenziate in rosso) in cui non ci siano altre strategie terapeutiche possibili. Nelle neoplasie ematologiche è essenziale trapiantare il paziente con cellule staminali emopoietiche sane, provenienti da un donatore in buona salute, che non abbiano le mutazioni che causano le neoplasie emopoietiche. Ovviamente il donatore deve essere istocompatibile. • Leucemie mieloidi acute sono molto frequenti sia nell’adulto che nell’anziano. Con la solo chemioterapia molto spesso siamo di fronte a delle recidive. Nell’anziano non è possibile effettuare il trapianto per motivi di età e quindi nell’anziano la leucemia mieloide acuta risulta essere a prognosi infausta. Le leucemie mieloidi acute sono generalmente curate con il trapianto allogenico di cellule staminali, a patto che si trovi un donatore istocompatibile, tranne le leucemie mieloidi acute di tipo M 3 , o leucemia promielocitica di tipo M3, oggi curabile tramite la somministrazione contemporanea di acido transretinoico e triossido di arsenico, che è in grado di far differenziare la leucemia promielocitica in cellule terminalmente differenziate, infatti le leucemie mieloidi acute sono caratterizzate da un blocco differenziativo delle cellule. Tutte le altre leucemie mieloidi acute necessitano per guarire di trapianto allogenico. • Leucemie linfoidi acute, abbiamo delle buone percentuali di guarigione superiori all’80%, nelle leucemie del bambino con chemio-terapia. L’efficienza della chemioterapia, però, diminuisce all’aumentare dell’età: superato il sesto anno di età l’efficienza non è più dimostrata, quindi si ricorre al trapianto allogenico. 3 Battaglia, De Riccardis, Bandiera Biologia e genetica (Manfredini) lezione 11, 19/11/2021 • Linfomi (tumori ai linfonodi) maligni recidivati o resistenti (alla chemioterapia), per la cura dei linfomi la chemioterapia è risolutiva, quando il paziente subisce una recidiva della malattia o comunque è resistente alla chemioterapia si ricorre al trapianto allogenico. • Leucemia mieloide cronica, è una leucemia mieloproliferativa cronica, ha un’evoluzione più lenta. Oggi i pazienti sono trattati con una terapia mirata molto efficace con Imatinib e i suoi derivati, la terapia risulta essere efficace, quest’ultima inoltre è mirata contro la mutazione (specifica della leucemia mieloide cronica) di BCR-ABL, quindi non c’ è bisogno nella maggior parte dei casi di trapianti, ovviamente i pazienti resistenti ricorrono al trapianto allogenico. Il trapianto allogenico è indicato anche per alcune malattie non neoplastiche, come sindromi preneoplastiche o malattie genetiche che compromettono gravemente l’emopoiesi: • Sindromi mielodisplastiche, sono patologie pre-neoplastiche (quindi non ancora neoplastiche) di varie origini sempre con un iperproliferazioni , con difetti della maturazione mieloide. • Anemia aplastica severa, è una sindrome autoimmune che porta alla morte, se non curata con un trapianto allogenico; • Alcune emoglobinopatie ereditarie, come talassemia e anemia falciforme; • Immunodeficienze gravi, non trattabili o non trattate con la terapia genica. Queste sindromi possono essere trattate con successo con un trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche, quindi con una ricostruzione di un sistema emolinfopoietico sano. Il trapianto autologo Il trapianto autologo è indicato nelle neoplasie emopoietiche, quando non si trova un donatore istocompatibile, anche se spesso quest’ultimo non da un buon esito perché anche se sono state sviluppate delle tecniche di purificazione delle cellule staminali leucemiche dalle cellule staminali emopoietiche del paziente quando vengono reinfuse, molto spesso danno recidiva, quindi si cerca di fare il trapianto allogenico. Le indicazioni per il trapianto autologo sono per quei tumori molto gravi per cui è necessaria una chemioterapia molto aggressiva che mielosopprime l’attività del midollo osseo, questo è uno dei principali effetti collaterali della chemio-terapia antitumorale. Tutti questi tumori: • Neuroblastoma IV stadio; • Altri tumori solidi in fase avanzata come: -tumori cerebrali -tumore alla mammella -tumore a cellule germinali • Malattie autoimmuni gravemente invalidanti: artrite reumatoide e sclerosi multipla. 4 Battaglia, De Riccardis, Bandiera Biologia e genetica (Manfredini) lezione 11, 19/11/2021 Questi possono essere trattati con una terapia molto aggressiva, che oltre che aggredire il tumore aggredisce anche le cellule del midollo osseo, perché sono cellule altamente proliferanti, e quindi la chemio-terapia tradizionale le va a bersagliare, così come va a bersagliare le cellule tumorali. In questi casi si prelevano cellule staminali emopoietiche prima del trattamento chemioterapico, si congelano in azoto liquido e si reinfondono dopo o durante il trattamento con la chemio-terapia per il tumore non ematologico. Quindi in questo caso si riesce a sostenere l’attività del midollo osseo, curando contemporaneamente curando ad alte dosi di chemioterapia, tumori maligni. La diapositiva riassume quanto detto a voce. Processo di engraftment nel trapianto di cellule staminali emopoietiche Solitamente i trapianti vengono fatti posizionando l’organo o il tessuto, nella posizione dell’organo o tessuto che deve essere ricambiato. Il trapianto di cellule staminali emopoietiche, invece si fa non direttamente nel midollo osseo ma iniettando endovena le cellule staminali emopoietiche da una vena periferica come quelle del braccio e le proprietà delle cellule staminali emopoietiche fanno si che possano trovare in maniera autonoma la loro sede naturale (nicchie staminali del midollo osseo), in un processo che prende il nome di ‘homing’, per poi incominciare il processo definito ‘engraftment’ o ripopolamento midollare, all’interno del midollo osseo stesso. L’homing e l’engraftment delle HSC sono processi multifasici che seguono una serie di step. La figura mostra un capillare del midollo osseo, le cellule staminali emopoietiche una volta iniettate circolano in tutto il corpo, ma vanno a localizzarsi prevalentemente nel midollo osseo, grazie a specifici segnali che le richiamano verso il midollo osseo stesso, dove devono andare a riprodursi. Il capillare in figura 2 è costituito, come tutti i capillari, da un unico strato di cellule endoteliali. Si tratta di un endotelio fenestrato perché le cellule endoteliali sono più lassamente connesse tra di loro, questo è indispensabile nel midollo osseo perché nel midollo osseo esiste un continuo traffico dalle vene periferiche al midollo osseo e dal midollo osseo, verso la periferia. Continuamente le cellule nuove necessarie per il nostro Figura 2: figura 2 organismo prodotte nel midollo osseo fanno il percorso inverso cioè escono attraverso i capillari del midollo osseo e vanno in tutto il sangue a svolgere la loro funzione. Quindi ricapitolando questo è un capillare così detto fenestrato del midollo osseo che facilita lo scambio delle cellule tra midollo osseo e periferia, all’interno del quale possiamo osservare scorrere le cellule staminali emopoietiche. 1. La prima interazione che avviene tra le cellule staminali trapiantate con le cellule endoteliali dei capillari del midollo osseo viene operata abbastanza lassamente tra P ed E-selectine, che sono espresse sulle cellule 5 Battaglia, De Riccardis, Bandiera Biologia e genetica (Manfredini) lezione 11, 19/11/2021 endoteliali e i loro ligandi (recettori) espressi sulla superficie delle cellule staminali emopoietiche. Questa è una prima interazione piuttosto debole che ha lo scopo di rallentare la velocità di scorrimento del sangue delle HSC 2. Rotolamento (rolling) delle HSC sull’endotelio; 3. Adesione stabile alla parete dei vasi, necessaria affinché la cellula staminale emopoietica possa uscire dal capillare midollare e andare nel midollo osseo ed effettuare così il processo di diapedesi mediata da Integrine e loro ligandi, che consiste nell’infilarsi tra due cellule endoteliali modificando la loro forma e uscire dal capillare midollare per andare poi a localizzarsi nella nicchia staminale emopoietica. Tutto ciò è mediato da VLA-4 e LFA-1 (due integrine sulle cellule staminali) che legano rispettivamente con i loro ligandi VCAM e ICAM sulle cellule endoteliali. 4. Fuoriuscita dai capillari midollari. Una volta che si è fermata, la cellula HSC è in grado di extravasare modificando la sua forma, seguendo un gradiente chemiotattico. Tale gradiente chemiotattico è formato da una molecola chiamata SDF-1 (stromal derived factor-1), prodotta dalle cellule stromali della nicchia, che richiama le cellule staminali emopoietiche che ne possiedono il recettore CXCR4, e quindi si vanno poi a localizzare nella nicchia stromale, emopoietica, che può essere anche osteoblastica o vascolare etc... 5. Una volta raggiunta la nicchia vascolare, osteoblastica, mesenchimale etc. le cellule staminali saranno poi influenzate dalle cellule della nicchia, che in questo caso sono le cellule trapiantate che devono ricostruire un intero sistema emopoietico, quindi cominceranno a proliferare e a differenziare per ricostruire nel giro di un paio di settimane un midollo osseo completo e funzionale. NB: I meccanismi che guidano il rolling e la diapedesi dei granulociti sono simili a quelli che regolano l’homing delle HSC. I segnali chemiotattici sono diversi. Le cellule staminali tumorali Questa è la descrizione dell’altra faccia delle cellule staminali. La cellula staminale ha un ruolo critico e indispensabile nella generazione di un organismo pluricellulare, nel suo mantenimento e nella rigenerazione dei suoi tessuti, ma purtroppo quando subisce delle mutazioni sia a livello staminale, sia a livello dei progenitori diventa una “cancer stem cell”’ ovvero una cellula staminale tumorale. Le cellule staminali tumorali hanno la stessa capacità di autorinnovamento delle cellule staminali normali e fino ad un certo punto mantiene anche la loro capacità differenziativa. Derivano per mutazione delle cellule staminali o dai progenitori normali, si auto-rinnovano e successivamente proliferano e differenziano per creare un clone di cellule andando a formare il tumore, che quasi sempre è una massa solida ad eccezione di un tumore emopoietico. Cellule staminali leucemiche Dal punto di vista terapeutico sono importanti le cancer stem cells. Parlando di emopoiesi e di tumori emopoietici, parliamo delle cancer stem cell, che sono le LSCs (Leukemic stem cells), cioè le cellule staminali leucemiche. L’esistenza delle Leukemic stem cells è di enorme importanza clinica: date le loro proprietà quali quiescenza, resistenza ai farmaci e all’induzione di apoptosi (l’induzione di apoptosi è uno dei principali meccanismi d’azione della chemioterapia antitumorale), sono le principali responsabili del 6 Battaglia, De Riccardis, Bandiera Biologia e genetica (Manfredini) lezione 11, 19/11/2021 fallimento delle attuali terapie nell’eradicazione delle leucemie (frequenti soprattutto nelle leucemie mieloidi acute).Infatti, i trattamenti terapeutici convenzionali hanno come bersaglio la progenie altamente proliferante delle Leukemic stem cells. La chemioterapia tradizionale, costituita da farmaci che va a inibire la sintesi del DNA e delle proteine, va a bersagliare le cellule più proliferanti del corpo , quindi il tumore che è altamente proliferante, mentre le cellule staminali tumorali come le LSCs, avendo un attività proliferativa più bassa della loro progenie, non vengono quasi mai eradicate dalla chemioterapia tradizionale, quindi nel 70% dei casi di leucemia mieloide si va incontro a recidiva della malattia, suggerendo che le attuali terapie non sono in grado di eliminare efficacemente le cellule staminali leucemiche. Pertanto, risulta evidente la necessità di disegnare nuove strategie terapeutiche mirate che siano in grado di eliminare le LSCs senza colpire le cellule staminali emopoietiche normali. Individuazione di nuove terapie mirate è ovviamente all'ordine del giorno nelle ricerche degli oncologi molecolari, sono già state trovate e sperimentate e attualmente in terapia, però mai da sole, ma in associazione con la chemioterapia antitumorale classica ad eccezione della leucemia mieloide cronica. Abbiamo però un ulteriore traguardo da raggiungere che è quello di andare a eliminare non solo le cellule tumorali, ma anche le cellule staminali tumorali che hanno delle proprietà diverse e spesso sfuggono alla chemioterapia anche quella mirata. Alla base del disegno di nuove strategie mirate sulle cellule staminali leucemiche ci debba essere una caratterizzazione molecolare e funzionale molto accurata delle LSCs, per mezzo di tecniche post genomiche che vadano, per esempio (la prof fa riferimento ad una sua ricerca) a sondare e analizzare tutto il trascrittoma delle cellule staminali tumorali, in questo caso della leucemia mieloide cronica in modo da poterlo comparare con il trascrittoma di cellule staminali normali e andare a evidenziare le differenze di espressione che ci sono tra queste due popolazioni e sfruttare le espressioni differenziali di queste due popolazioni per andare a costruire una terapia mirata sulle cellule staminali leucemiche. In una ricerca condotta dalla Prof. Nel 2009 fu utilizzato come tecnica post-genomica i DNA-microarrays in cui si può fare lo studio globale del profilo di espressione genica di un determinato tipo cellulare. Quindi con un solo esperimento con questo chip possiamo ibridizzare RNA estratto dalle cellule staminali di leucemia mieloide cronica , su un altro chip invece ibridizziamo RNA estratto da cellule staminali normali, andiamo poi a fare l’analisi dei dati e possiamo analizzare i due trascrittomi ed evidenziare con dei programmi bio-informatici (perché con questo tipo di analisi, andiamo ad analizzare circa 50 000 trascritti per tipo cellulare), riusciamo a vedere l’espressione differenziale tra sano e malato, in questo caso cellule staminali emopoietiche 7 Battaglia, De Riccardis, Bandiera Biologia e genetica (Manfredini) lezione 11, 19/11/2021 Questa immagine è già stata vista, si tratta della terapia mirata utilizzata nella leucemia mieloide cronica con l’imatinib (o Gleevec) che va a bloccare la fosforilazione mediante BCR-ABL dei substrati che provocano la leucemia tramite l’imatinib (o Gleevec) che si va a posizionare in modo irreversibile nella tasca dell’ATP, quindi impedendo alla BCR-ABL ,che è una tirosin-chinasi, di fosforilare, abbiamo così una remissione della leucemia. Però ci sono dei casi di pazienti resistenti all’Imatinib e quindi vi è necessità di andare ad analizzare le cellule staminali leucemiche di questa malattia e di cercare dei nuovi bersagli terapeutici. Analizzando e confrontando i due trascrittomi della leucemia mieloide cronica e delle cellule normali a livello emopoietico, abbiamo riscontrato che nelle cellule leucemiche rispetto alle cellule staminali normali sono attivati molti meccanismi di progressione tumorale, tra cui: 1) 2) 3) Resistenza all’apoptosi Stimolazione della formazione di nuovi vasi (angiogenesi), che in ambito emopoietico neoplastico è importante per la disseminazione del tumore Espressione di nuovi markers specifici della leucemia, cioè di nuove proteine espresse specificamente nelle cellule staminali leucemiche e molto meno dalle cellule staminali normali L’immagine accanto riporta un’Itmap che mostra in colori diversi l’espressione differenziale. Semplificando possiamo dire che CML significa Chronic Myeloid Leukemia e le tre corsie corrispondenti nella figura si riferiscono all’espressione genica di tre sottopopolazioni diverse di cellule staminali leucemiche. Il rosso significa “maggiore espressione” e il verde “minore espressione”. Possiamo evidenziare quindi l’espressione preferenziale di alcuni markers (che per altri tumori sono già markers tumorali come CEACAM4, CEACAM6, AURKB o altre proteine di superficie e non) nelle cellule staminali leucemiche rispetto alle cellule staminali emopoietiche normali. Ciò significa che se noi costruiamo una terapia mirata su uno, due o tre di questi markers forse possiamo essere in grado di bersagliare specificamente le cellule staminali leucemiche senza andare a ledere le cellule staminali normali. Tutto ciò è in sperimentazione. Un altro lavoro fatto negli anni successivi ha evidenziato un’alterata espressione dei microRNAs nelle cellule staminali di leucemia mieloide cronica (CML). 8 Battaglia, De Riccardis, Bandiera Biologia e genetica (Manfredini) lezione 11, 19/11/2021 In particolare, è stato visto che l’espressione deregolata di questi miRNA (miR-29a-3p, miR-494-3p e miR660-5p) influisce sulla resistenza e sulla sensibilità agli inibitori delle tirosin-chinasi, che sono essenzialmente Imatinib1 e sui deriati, nelle cellule staminali. Perciò anche questi potrebbero essere dei markers da bersagliare con una terapia mirata. Per il futuro ci si augura di comprendere sempre meglio la biologia delle Cellule Staminali Leucemiche e la caratterizzazione dei loro marcatori e delle loro mutazioni tramite le più avanzate tecniche di analisi a livello trascittomico e genomico al fine di sviluppare nuove strategie terapeutiche mirate. Alcuni esempi di Targeted Therapy In figura possiamo osservare le terapie mirate che studieremo durante il nostro corso di laure finora identificate e che sono tutt’ora in terapia. Non sono disegnate specificamente sulle cellule staminali però vengono comunque utilizzate per vari tipi di tumori: - - - Imatinib, che è un inibitore enzimatico, viene utilizzato ad esempio nella terapia contro Bcr-Abl nella leucemia mieloide cronica. Poi ci sono una serie di antagonisti recettoriali del recettore per l’epidermal growth factor (EGF), che è spesso mutato, iperespresso o overattivo in molti carcinomi che sono tumori epiteliali. Parliamo in questo caso di Gefitinib, Erlotinib, Cetuximab che vediamo essere contro Her 1, una delle forme dell’EGF receptor; Trastuzumab ecc. Infine abbiamo dei farmaci mirati contro il VEGF, quindi farmaci anti-angiogenici che impediscono al VEGF di legarsi al proprio recettore e quindi scatenare la via di trasduzione che porta all’angiogenesi. Tutti questi farmaci sono tutt’ora attualmente utilizzati in terapia e sono in gran parte degli anticorpi neutralizzanti recettori o ligandi. C’è ancora molta strada da fare però possiamo affermare che la terapia mirata sulle cellule tumorali e in particolare sulle cellule staminali tumorali è una strada in continua evoluzione e l’oncologia molecolare rappresenta un obbiettivo da raggiungere quanto prima. LE CELLULE STAMINALI EMBRIONALI (Embryonic Stem Cells) Ora parliamo delle cellule staminali embrionali e delle loro applicazioni terapeutiche ancora a livello sperimentale e delle loro proprietà. 1 L’imatinib è utilizzato nel trattamento di alcuni tipi di leucemia e di altre forme tumorali che colpiscono le cellule del sangue. (Fonte https://www.humanitas.it/enciclopedia/principi-attivi/antineoplastici-antitumorali/imatinib/) 9 Battaglia, De Riccardis, Bandiera Biologia e genetica (Manfredini) lezione 11, 19/11/2021 Le cellule staminali embrionali, come già anticipato nella prima lezione su queste cellule, si possono ottenere da un embrione allo stadio di preimpianto, cioè la blastocisti. La blastocisti contiene circa 100 cellule che sono suddivise in due tipi: 1. Cellule del trofoblasto (colorate in rosa nell’immagine) che daranno origine agli annessi embrionali, cioè alla placenta e al cordone ombelicale; 2. Cellule della massa interna o Inner Cell Mass, ICM (colorate in verde nell’immagine), che daranno origine a tutti i tessuti dell’embrione, sono perciò le cellule staminali embrionali. Se noi lasciamo crescere l’embrione in utero naturalmente si svilupperà un individuo adulto mentre se noi rimuoviamo le cellule staminali embrionali dalla blastocisti, l’embrione muore; ma se noi mettiamo in coltura le cellule staminali embrionali, cioè le cellule della ICM, vediamo che cominciano a proliferare, moltiplicarsi, sopravvivono e formano anche delle linee cellulari chiamate ES cells (Embryonic stem cells). Ø Le ES cells derivano dalla massa interna della blastocisti prima dell’impianto nella parete uterina Ø Sono capaci di autorinnovamento e sono cellule pluripotenti, cioè possono dare origine alle cellule derivate da tutti e tre i foglietti embrionali (La multipotenza invece era la capacità che abbiamo descritto per la cellula staminale emopoietica di dare origine a multiple linee differenziative in un tessuto differenziato). Ø Queste cellule, una volta rimosse dalla blastocisti, possono essere messe in vitro in una piastra a coltura con un feeder layer, cioè con uno strato cellulare nutriente; possono essere coltivate e possono essere stabilizzate come linea cellulare. La cosa importante è che in vitro possono differenziare, cioè manifestare la loro capacità intrinseca della pluripotenza di differenziare in tutti i tessuti dell’organismo. Questa capacità è importantissima in ambito di medicina rigenerativa perché se si riesce a far differenziare queste cellule e soprattutto a trapiantarle in modo efficiente in un organismo in modo da ricostruire un tessuto, ecco che riusciamo ad utilizzare le embryonic stem cells anche in quei casi in cui le cellule staminali dell’adulto non sono efficaci. Potenzialità terapeutiche nell’uomo 10 Battaglia, De Riccardis, Bandiera Biologia e genetica (Manfredini) lezione 11, 19/11/2021 Ci sono enormi potenzialità terapeutiche delle embryonic stem cells nell’uomo che sono però attualmente limitate da: - Problemi etici nell’ottenimento delle linee di ES cells. In Italia non è infatti possibile ricavare cellule staminali embrionali umane ed utilizzarle al fine di ricerca nemmeno da quegli embrioni sovrannumerari derivati dalla fecondazione in vitro che vengono comunque eliminati e buttati via. Perciò in Italia non è possibile lavorare sulle embryonic stem cells ma curiosamente è possibile lavorare su embryonic stem cells acquistate all’estero, cioè di embrioni non italiani. - Problemi di rigetto del trapianto utilizzando le linee di ES cells perché ovviamente il trapianto allogenico deve essere istocompatibile. Per cui è stata disegnata e sono stati fatti i primi approcci di clonazione terapeutica che prevede la clonazione del paziente stesso e di ricavare tessuti autologhi da trapiantare nel paziente stesso Clonazione La clonazione essenzialmente si divide in: § Clonazione riproduttiva che ha lo scopo di ottenere la nascita di un nuovo individuo vivente uguale a quello clonato. Molti animali come sapete sono già stati clonati, il primo della storia è stata la pecora Dolly ma molti altri animali sono stati clonati come topi, bovini, equini e altri. Quindi è esclusivamente finalizzata alla creazione di un clone vivente. § Clonazione terapeutica che ha lo scopo di produrre un embrione cioè una blastocisti per la quale si prevede l’interruzione della vita nei primissimi stadi dello sviluppo al fine di ricavare una serie di cellule e tessuti da trapiantare nel paziente e sostituirsi a quelle malate. La tecnica della clonazione La tecnica che si usa nella clonazione è illustrata nelle figure sottostanti. Si fonda sul principio che l’oocita non fertilizzato possiede nel citoplasma alcuni fattori non ancora ben identificati che normalmente riprogrammano il nucleo dello spermatozoo in modo da dare poi origine all’embrione. Questo è ciò che avviene nella fecondazione naturale (illustrata nell’immagine) in cui il nucleo dello spermatozoo entra nell’ovocita, questi fattori riprogrammano il nucleo dello spermatozoo, si ha la fusione dei due pronuclei e la formazione dell’embrione. La clonazione, ovvero la creazione di un individuo identico dal punto di vista genotipico derivato quindi dal tessuto di un altro organismo, avviene per trasferimento nucleare. 11 Battaglia, De Riccardis, Bandiera Biologia e genetica (Manfredini) lezione 11, 19/11/2021 1. Quindi si preleva una cellula somatica (diploide) dall’organismo che si vuole clonare che fornirà il patrimonio genetico diploide all’embrione clonato. 2. Lo spermatozoo in questo caso non interviene, ma si trasferisce il nucleo della cellula derivata dall’animale da clonare direttamente nell’oocita dopo aver rimosso il nucleo aploide dell’oocita, 3. in seguito si dà una scossa elettrica o si eseguono particolari trattamenti che provocano l’inizio della segmentazione. L’embrione avrà quindi lo stesso patrimonio genetico della cellula somatica dell’animale che lo ha donato all’inizio. Riassumendo: Quindi le due cellule necessarie alla clonazione sono la cellula somatica dell’individuo che si desidera clonare (body cell with desired genes, cioè con il genotipo desiderato) e l’ovocita. 1. L’ovocita viene enucleato 2. Il nucleo della cellula somatica che si vuole clonare viene trasferito nell’oocita 3. Si forma l’embrione che allo stadio di blastocisti viene trasferito in una madre surrogata, ovvero un animale femmina che è stata precedentemente preparata con ormoni in modo da avere un utero capace di accogliere e di far attecchire un embrione fino alla fine dell’embriogenesi. 12 Battaglia, De Riccardis, Bandiera Biologia e genetica (Manfredini) lezione 11, 19/11/2021 La prima clonazione di un mammifero: la pecora Dolly Prima di Dolly ci sono stati molti invertebrati clonati, ma il primo mammifero ad essere stato clonato fu proprio la pecora Dolly nel 1997. Dolly fu clonata in Scozia al Roslin Institute da Jan Wilmut. La sua clonazione è raffigurata nell’immagine a fianco. A sinistra vediamo la pecora da clonare e a destra la pecora che dona l’ovocita. La pecora che risulterà da questa tecnica avrà genotipo, e quindi fenotipo, identico alla pecora di sinistra poiché la pecora donatrice non darà nessun contributo genetico all’embrione in quanto la cellula uovo verrà enucleata. Dolly fu creata da cellule dell’epitelio mammario della pecora da clonare che sono state messe in coltura, sono state fatte proliferare, da queste cellule è stato preso un nucleo che è stato inserito nella cellula uovo enucleata proveniente dalla pecora donatrice e, a seguito di un trattamento di fusione, l’embrione ha cominciato a segmentarsi ed è stato trapiantato nella pecora portatrice, la madre surrogata della stessa specie della pecora donatrice. Dopo 148 giorni (tempo normale di gestazione della pecora) è nata Dolly, fenotipicamente e genotipicamente identica alla pecora che ha donato il suo patrimonio genetico, non presenta nessuna affinità dal punto di vista genotipico e fenotipico né con la pecora donatrice né con la pecora portatrice. L’immagine mostra una trattazione più dettagliata del processo appena descritto. Purtroppo la clonazione di Dolly ha sollevato alcuni problemi pratici, tecnici ed etici sulla clonazione. Il 14 Febbraio 2003, 5 anni dopo la sua nascita, la pecora Dolly fu sottoposta ad eutanasia perché era affetta da una malattia polmonare tipica delle pecore anziane e altre patologie tipiche delle pecore anziane come l’artrosi. Non si era infatti tenuto conto del fatto che la cellula della ghiandola mammaria da cui era stato preso il patrimonio genetico non era una cellula staminale, ma una cellula somatica che aveva i telomeri già parzialmente accorciati quindi è giusto dire che Dolly con questo tipo di tecnica nacque già vecchia. Perciò Dolly manifestò precocemente le malattie legate alla senescenza delle pecore e si è dovuto ricorrere ad eutanasia precocemente. Perciò bisogna tenere in mente che, se pensiamo ad una clonazione umana, noi non siamo pecore, bovini o topi siamo diversi perché: 1. Innanzitutto nei primati, al contrario di ciò che avviene in pecore, vitelli e topi che sono stati clonati facilmente, il processo di rimozione del nucleo dell’oocita causa la perdita di alcune proteine 13 Battaglia, De Riccardis, Bandiera Biologia e genetica (Manfredini) lezione 11, 19/11/2021 associate ai centrosomi. Quindi sebbene l’iniezione del nucleo di cellule somatiche faccia iniziare la mitosi, la formazione del fuso mitotico risulta alterata e le cellule risultanti non riescono a segregare correttamente i cromosomi. Perciò l’embrione arresta la sua divisione poiché si vengono a creare delle aneuploidie, aberrazioni cromosomiche causate dalla scorretta segregazione dei cromosomi dovuta ad uno scorretto assemblaggio del fuso mitotico. 2. Mutazioni somatiche eventualmente presenti nel nucleo di una cellula somatica da utilizzare nella clonazione può rappresentare un problema se si pensa di clonare un essere umano poiché può essere una mutazione che determina una malattia genetica, può essere una mutazione somatica che predispone ad un tumore. Per cui bisogna prendere cellule altamente indifferenziate (anche per quanto riguarda l’accorciamento dei telomeri) e cellule che abbiamo fatto poche replicazioni come le cellule staminali. Con gli attuali sistemi di sequenziamento si può sequenziare ad esempio l’intero genoma di una cellula che si vuole utilizzare come cellula da clonare prima della clonazione così da evidenziare eventuali mutazioni. 3. Accorciamento precoce dei telomeri, come abbiamo già visto Dolly aveva i telomeri lunghi come una pecora di 1 anno (80% della lunghezza normale). Nonostante tutto, i problemi tecnici che riguardano il generare un embrione umano in vitro, sono stati superati e nel 2013 è stato pubblicato su “Cell” un lavoro sulla clonazione dell’embrione umano attraverso la tecnica di trasferimento nucleare a partire da una cellula somatica. Il lavoro è inoltre firmato da Mitalipov, un ginecologo russo che lavora negli Stati Uniti che dopo molti tentativi è riuscito ad ottenere una blastocisti. Nonostante i media abbiamo talvolta pubblicizzato la nascita di un bambino, cioè di un essere umano, clonato ciò non è mai avvenuto. Quello che è stato fatto in questo lavoro è stato clonare un essere umano fino allo stadio di blastocisti. Successivamente lo stesso Mitalipov e altre ditte biotecnologiche hanno tentato di clonare un essere vivente umano però finora con nessun risultato poiché le blastocisti trasferite in madri surrogate non hanno mai attecchito. In molti paesi è vietata la clonazione umana mentre in altri (come nei paesi orientali) non è vietata ma non è mai di fatto stato clonato un essere umano vivente. La clonazione dell’embrione umano ha però aperto le porte alla clonazione terapeutica, cioè alla generazione di blastocisti, che possono derivare da un paziente che ha bisogno di un particolare tessuto per essere curato e quindi poterlo poi curare con questa terapia cellulare. Clonazione terapeutica 14 Battaglia, De Riccardis, Bandiera Biologia e genetica (Manfredini) lezione 11, 19/11/2021 La clonazione terapeutica è un processo attraverso il quale un embrione, una blastocisti prodotta in vitro da uno zigote non viene piantato in utero per produrre un nuovo individuo, ma viene invece utilizzato per produrre cellule staminali embrionali geneticamente uguali al donatore del nucleo somatico. Il clonaggio terapeutico prevede: 1. il prelievo di un nucleo da una cellula somatica del paziente, 2. la sua riprogrammazione all’interno di un oocita enucleato prelevato da una donatrice 3. l’ottenimento di ES cells da differenziare in vitro nel citotipo necessarioal paziente (ad esempio cellule del tessuto nervoso per la cura dell’Alzheimer) 4. in seguito, una volta ottenuto il numero desiderato di cellule differenziate, queste vengono ritrapiantate nel paziente per curare la malattia. La clonazione terapeutica ha quindi lo scopo di produrre un embrione clonato dal paziente, e quindi di produrre cellule staminali embrionali da trapiantare senza rischio di rigetto perché si tratta di trapianto autologo. Trials clinici Ci sono attualmente diversi Trials di sperimentazione clinici che utilizzano le cellule staminali embrionali umane per pazienti che non possono essere curati con le cellule staminali adulte. v Per esempio pazienti paralizzati perché hanno avuto traumi al midollo spinale. È stato dimostrato sperimentalmente che i ratti paralizzati trattati con oligodendrociti derivati dalle cellule staminali embrionali umane hanno migliorato le loro condizioni. Non camminavano perfettamente ma avevano aumentato notevolmente la loro attività motoria. Nel 2009 la Geron Corporation ha arruolato 13 pazienti paralizzati e li ha trattati con un prodotto derivante dalle cellule staminali embrionali umane per stimolare la crescita dei nervi in questi pazienti. La terapia infatti è quella di sostituire i neuroni mancanti ma anche quella di stimolare la crescita dei nervi che sono stati troncati dall’incidente. Purtroppo ancora nessuno dei partecipanti ne ha avuto beneficio ma non ci sono stati neanche effetti avversi e questa è già una buona cosa. v Un altro Trial sulla distrofia muscolare e l’occhio secco, che da origine alla degenerazione della Macula e quindi alla cecità, è stato iniziato nel 2012 dove gli occhi dei pazienti sono stati iniettati con cellule della retina pigmentata non totalmente differenziate derivate da cellule staminali embrionali umane. Anche in questo caso non si hanno dati sull’efficacia ma neanche sulla tossicità di questo prodotto. v Un’altra patologia è il diabete di tipo 1, dove la produzione di insulina viene diminuita, annullata per degenerazione delle cellule beta del pancreas. Nel 2014 fu iniziato un trial clinico con ViaCyte con delle cellule beta del pancreas derivate da cellule staminali embrionali umane. Ancora non sappiamo nulla della sua eventuale efficacia poiché i trial clinici richiedono anni per avere risultati significativi dal punto di vista statistico. Perciò l’applicazione clinica è ancora discretamente lontana al giorno d’oggi. Di seguito potete trovare link di associazioni di pazienti diabetici, affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica, affetti da Parkinson, che hanno 15 Battaglia, De Riccardis, Bandiera Biologia e genetica (Manfredini) lezione 11, 19/11/2021 avuti accidenti vascolari cardiaci con conseguenze necrotiche a carico del miocardio e pazienti con problemi di paralisi dovuta ad un trauma del midollo spinale. Juvenile Diabetes Research Foundation International Amyothroohic Lateral Sclerosis Association American Parkinson Disease Association The Michael J. Fox Foundation for Parkinson’s Research American Heart Association National Spinal Cord Injury Association Il successo della terapia clonale sulla malattia mitocondriale genica Un recente studio del 2016 pubblicato su Nature ci mostra come la terapia di cloning possa aiutarci a prevenire, più che curare, una determinata malattia genetica mitocondriale. Questo lavoro ha dimostrato che attraverso la clonazione, e quindi la fecondazione in vitro, si è potuta prevenire una malattia genetica poiché la femmina era portatrice di una malattia genetica mitocondriale causata da mutazioni nel DNA mitocondriale. Durante la clonazione è stato rimpiazzato, oltre al nucleo dell’oocita, anche il citoplasma tramite una donazione di citoplasma e sono così stati cambiati i mitocondri con altri che non riportano quella determinata mutazione. La notizia riportava sul giornale il titolo “il bambino con tre genitori” proprio perché ha due genitori e una seconda madre che ha donato il citoplasma dell’oocita. Questa operazione ovviamente si può fare anche senza effettuare una clonazione vera e propria mediante una fecondazione in vitro utilizzando i gameti dei genitori, semplicemente utilizzando il citoplasma di un oocita donato da una donatrice sana che non possiede mitocondri con DNA mutato. Il dilemma è clonare o non clonare? -cit. Manfredini Dal punto di vista della clonazione umana bisogna riflettere sul fatto che la clonazione riproduttiva non dà nessun beneficio dal punto di vista terapeutico mentre tutti gli sforzi dovrebbero essere (secondo il parere di Rossella) concentrati sulla clonazione terapeutica che ha una prospettiva terapeutica sempre più concreta e che sarà sempre più concreta con l’avanzamento delle tecnologie. 16 Simonini, Castellazzi, Ballabeni Biologia e Genetica (Manfredini) Lezione 12, 21/04/2021 LA RIPRODUZIONE SESSUATA E LA MEIOSI La riproduzione sessuata prevede l’unione di un gamete femminile e di uno maschile. Questo fenomeno si chiama fecondazione, dà origine ad una cellula diploide, lo zigote, che crescendo e sviluppandosi darà origine all’embrione e, successivamente, ad un nuovo organismo. La legge fondamentale della riproduzione sessuata è che il contributo materno e paterno ai caratteri della progenie deve essere uguale. La meiosi riduce il numero di cromosomi, da diploide ad aploide. Quindi, nella meiosi il numero dei cromosomi viene dimezzato. Le principali differenze fra meiosi e mitosi sono le seguenti: 1. La meiosi comporta 2 successive divisioni nucleari e citoplasmatiche con potenziale produzione di 4 cellule; nella spermatogenesi si formano effettivamente 4 spermatozoi, mentre nell’ovogenesi solo un ovocita maturo. 2. Il DNA e gli altri componenti cromosomici subiscono una sola duplicazione durante la fase S che precede la prima divisione meiotica, quindi nella seconda divisione meiotica non si duplica il DNA ed è per questo motivo che le cellule risultanti sono aploidi. 3. Ognuna delle 4 cellule prodotte dalla meiosi contiene un numero aploide di cromosomi (n), cioè solo un esemplare della coppia di omologhi. 4. Durante la meiosi, l’informazione genetica proveniente da entrambi i genitori viene mescolata, attraverso la segregazione cromosomica e il crossing-over. Alla fine, ogni gamete possiede una combinazione di geni potenzialmente unica. PRIMA DIVISIONE MEIOTICA Ripercorriamo velocemente le tappe della meiosi. Durante la fase S, che precede la prima divisione meiotica, il DNA viene duplicato. Si parte quindi da una cellula con un contenuto 2n di cromosomi. I cromosomi omologhi, nella profase I, si appaiano formando le tetradi e l’involucro nucleare si frammenta. I cromatidi fratelli rimangono strettamente appaiati nelle tetradi, le quali poi si allineano sulla piastra metafasica. Durante la profase I, i cromosomi omologhi si appaiano in senso longitudinale, come si vede in figura, formando dei contatti che sono detti sinapsi. 1 Simonini, Castellazzi, Ballabeni Biologia e Genetica (Manfredini) Lezione 12, 21/04/2021 Nella figura si vedono i cromatidi fratelli materni, che si sono duplicati nella fase S, e parallelamente i cromatidi fratelli paterni, rispettivamente in rosa e in azzurro. Si vede sotto, nella figura con un ingrandimento maggiore, come i cromatidi si appaino formando delle vere e proprie sinapsi, delle giunzioni fisiche che permettono poi un corretto crossing-over, un corretto scambio di geni, fra omologo paterno e omologo materno. Sulla destra poi si vede il complesso sinaptinemale, cioè il complesso della sinapsi, che si forma tramite delle strutture proteiche che appaiano strettamente i due omologhi. Nella foto in microscopia elettronica a trasmissione, sulla destra, si vede bene la giunzione fra un cromosoma materno e quello paterno. Abbiamo quindi detto che nella profase I si formano le tetradi. Durante la metafase I queste tetradi si appaiano sulla piastra metafasica. Vedremo dopo in disegni che le tetradi rimangono unite nei chiasmi (quei punti dove è avvenuto il crossing-over). Durante l’anafase I, i cromosomi omologhi si separano e migrano ai poli opposti, mentre i cromatidi fratelli rimangono uniti tramite il loro centromero. Da ricordare molto bene è che durante la I divisione meiotica quei cromosomi che si separano ai due poli sono i cromosomi omologhi, mentre i cromatidi fratelli si separeranno successivamente nella II divisione meiotica. Durante la telofase I abbiamo i due omologhi ricombinanti (è avvenuto il crossing-over) nelle due cellule figlie che si formano. CROSSING-OVER Il crossing-over è quel processo in cui i cromosomi omologhi, appaiati nel complesso sinaptinemale, si scambiano DNA: avviene una ricombinazione omologa. Il crossing-over produce nuove combinazioni di geni: i cromosomi omologhi, materni e paterni, non sono identici, ma contengono diverse versioni degli stessi geni. La ricombinazione genetica che risulta dalla riproduzione sessuata aumenta notevolmente la variabilità genetica tra la prole della riproduzione sessuata. Nella tarda profase I gli omologhi continuano a rimanere associati in corrispondenza dei chiasmi (forme a “chi”, chi ha fatto greco sa che queste X in greco sono chiamate “chi”), le regioni in cui è avvenuto il crossing-over. Nell’immagine, vi sono sia il disegno che la corrispondente immagine al microscopio elettronico. 2 Simonini, Castellazzi, Ballabeni Biologia e Genetica (Manfredini) Lezione 12, 21/04/2021 FASI DELLA PROFASE I Le fasi della profase I sono le seguenti: 1. Leptotene: abbiamo l’inizio dell’assemblaggio del complesso sinaptinemale. 2. Zigotene: breve fase in cui abbiamo il completamento dell’assemblaggio del complesso sinaptinemale. 3. Pachitene: il complesso sinaptinemale è completamente e correttamente assemblato, avviene lo scambio fra il cromatidio fratello paterno e quello materno, ovvero il cosiddetto crossing-over. 4. Diplotene: si ha il disassemblaggio del complesso sinaptinemale. 5. Diacinesi: fase di transizione alla metafase 2 (Sbobine del Secondo Anno, Lezione 11, pagina 2). In questo disegno si ripete quanto detto: a. La formazione delle tetradi nella profase I; b. Il crossing-over fra cromatidi adiacenti nel pachitene; c. I cromatidi ricombinanti alla fine della profase I, che poi si separeranno nelle due cellule figlie. Questa è un’immagine al microscopio elettronico a scansione raffigurante i chiasmi, evidenziati dalle tre frecce. Rimangono evidenti per un certo periodo di tempo dopo il crossing-over. 3 Simonini, Castellazzi, Ballabeni Biologia e Genetica (Manfredini) Lezione 12, 21/04/2021 SECONDA DIVISIONE MEIOTICA Nella II divisione meiotica avviene una semplice mitosi senza una previa duplicazione del DNA. 1. Nella profase II i cromosomi si condensano dopo un breve periodo di interfase, senza duplicazione del DNA. 2. Durante la metafase II i cromosomi si allineano lungo il piano equatoriale. 3. Durante l’anafase II i cromatidi fratelli ricombinanti si separano e migrano ai poli opposti. 4. Nella telofase II si formano i nuclei di 4 cellule diverse. 5. Avviene la citocinesi. Le cellule aploidi che si formano alla fine della meiosi II sono 4 gameti (o spore se parliamo di piante). COMPARAZIONE FRA MITOSI E MEIOSI Se vogliamo comparare mitosi e meiosi elenchiamo due fondamentali differenze: 1. Nella mitosi i cromatidi fratelli si separano e vengono segregati ai poli opposti della cellula in anafase: ogni cellula figlia eredita una copia di cromosoma paterno e una di cromosoma materno. 2. La meiosi invece dà origine a gameti aploidi che contengono una sola copia di un determinato gene (paterno o materno). 4 Simonini, Castellazzi, Ballabeni Biologia e Genetica (Manfredini) Lezione 12, 21/04/2021 MECCANISMI DI RIASSORTIMENTO GENETICO IN MEIOSI I due meccanismi di riassortimento genetico durante la meiosi sono: 1. La segregazione dei cromosomi omologhi paterni e materni nelle cellule figlie. In figura si vede una rappresentazione dei possibili gameti che si possono formare da questa ipotetica cellula germinale. Questa distribuzione casuale dei cromosomi paterni e materni permette la produzione di 2n possibili gameti diversi, dove n è il numero di cromosomi della cellula diploide di partenza. 2. Un secondo meccanismo è il crossing-over, cioè lo scambio fra cromosoma materno e cromosoma paterno che dà origine ai dei cromosomi ricombinanti. Questi, alla fine della I divisione meiotica, verranno ripartiti fra le due cellule figlie. Questa è un’altra figura che rappresenta: 1. La formazione dei chiasmi; 2. L’anafase della meiosi I, dove si separano ai due poli i cromosomi ricombinanti; 3. La metafase II, dove si vede che all’inizio i cromatidi fratelli sono strettamente associati; 4. L’anafase II, in cui i cromatidi fratelli vengono separati e tirati dalle fibre del fuso ai poli opposti della cellula. 1 2 3 4 5 Simonini, Castellazzi, Ballabeni Biologia e Genetica (Manfredini) Lezione 12, 21/04/2021 GAMETOGENESI La gametogenesi maschile (spermatogenesi) comincia da una cellula diploide (lo spermatogonio), che attraversa varie fasi, ovvero spermatocita primario e lo spermatocita secondario (già aploide) e dà origine a quattro gameti (spermatozoi). La gametogenesi femminile (ovogenesi) parte da una cellula diploide (ovogonio), che differenzia in ovocita primario (sempre diploide) e va incontro a divisione meiotica I formando un ovocita secondario (aploide) e con l’espulsione di un primo corpo polare. Successivamente, il completamente della II divisione meiotica dà origine ad una cellula uovo (aploide) ed avviene l’espulsione di un secondo corpo polare. A differenza della spermatogenesi, che da una cellula diploide origina 4 cellule aploidi funzionali, l’ovogenesi dà origine solo ad una cellula uovo funzionale. L’unione di spermatozoo e uovo durante la fecondazione dà origine ad uno zigote ripristinando il numero diploide di cromosomi. La meiosi avviene durante la gametogenesi. A differenza degli spermatogoni, che si moltiplicano durante tutta la vita sessuale del maschio, la fase moltiplicativa degli ovogoni si esaurisce durante la vita fetale. La femmina nasce quindi già con tutti gli ovogoni nelle proprie ovaie, già differenziati in ovociti primari arrestati al diplotene della profase I. Questi ovociti primari completano la meiosi solo se vengono fecondati. 6 Simonini, Castellazzi, Ballabeni Biologia e Genetica (Manfredini) Lezione 12, 21/04/2021 PRINCIPI FONDAMENTALI DELL’EREDITARIETÀ Le cellule eucariotiche diploidi presentano due serie di cromosomi: i cromosomi sono presenti in coppie omologhe, formate da membri simili per dimensioni e struttura e che portano le informazioni sulle medesime caratteristiche, cioè codificano per gli stessi caratteri (portano gli stessi geni). Gli esseri umani possiedono 23 coppie di cromosomi, compresi quelli sessuali X e Y: i maschi sono XY e le femmine sono XX (il cariotipo in figura è femminile). Un organismo diploide mostra due serie di cromosomi organizzati in coppie omologhe (nella serie cariotipica le coppie sono ordinate dalla più grande alla più piccola, con in basso a destra i cromosomi sessuali). Introduciamo ora il concetto di “allele”. L’allele è una versione del gene, possono essercene tanti per lo stesso gene. Codificano sempre per la stessa caratteristica: due geni sono alleli fra di loro se codificano per la stessa caratteristica, se occupano la stessa posizione (locus cromosomico) sui due cromosomi omologhi. Per “versioni diverse” si intende che l’allele A (si veda esempio in figura) codifica per il colore dei capelli scuro, mentre l’allele a (nella stessa posizione nell’altro cromosoma) codifica per il colore dei capelli chiaro. L’allele A e l’allele a differiscono per alcuni nucleotidi, e quindi hanno una sequenza leggermente diversa. Vediamo le definizioni più importanti per parlare di genetica: Gene: inteso classicamente come porzione del DNA che codifica per una proteina, ovvero elemento genetico che partecipa alla determinazione di un carattere. A livello molecolare è definito come una sequenza di DNA poi trascritta in una molecola di mRNA, poi tradotta in proteina. Allele: una di due o più forme alternative di un gene (codifica per lo stesso carattere). Locus: posizione specifica occupata da un allele su un cromosoma. Genotipo: serie di alleli posseduti da un individuo. Determina il fenotipo. 7 Simonini, Castellazzi, Ballabeni Biologia e Genetica (Manfredini) Lezione 12, 21/04/2021 Fenotipo (tratto): aspetto o manifestazione di un carattere (aspetto di un organismo, tutto ciò che definisce un essere umano come tale). Eterozigote: individuo che presenta due alleli differenti in corrispondenza di uno stesso locus (esempio: gli alleli A e a come visto poco fa). Omozigote: individuo che mostra due alleli uguali in uno stesso locus (se l’esempio in figura avesse avuto due alleli A oppure due alleli a sarebbe stato un individuo omozigote). Carattere: attributo o peculiarità. Il fenotipo è definito dal genotipo, l’insieme dei nostri geni che definisce il nostro aspetto fisico, il nostro carattere, tutte le nostre caratteristiche. Nella trattazione della parte di genetica del corso, sarà evidenziato come il fenotipo possa anche essere influenzato, per alcuni caratteri, dall’ambiente, in modo più o meno marcato. Queste parole furono usate da Mendel che non sapeva ancora cosa fossero geni e DNA, ma già aveva capito che i caratteri sono determinati da qualche peculiarità presente nei cromosomi. GENETICA La genetica studia i meccanismi dell’ereditarietà, quindi la trasmissione dell’informazione dai genitori ai figli. Studia sia le similarità genetiche che la variabilità genetica, cioè le differenze tra genitori e figli o tra gli individui di una popolazione (con una branca che si chiama genetica di popolazione). Il genotipo è l’insieme dei geni, la costituzione genetica di un organismo, il fenotipo è l’aspetto fisico di un organismo. Un ibrido è il discendente di due genitori diversi. I discendenti mostrano una mescolanza di caratteri: alcuni assomigliano ai genitori, altri presentano caratteristiche simili a quelle delle generazioni di partenza. Mendel, con i suoi studi sulle piante di pisello, è riuscito ad individuare delle regole precise sulle modalità con cui i caratteri dei genitori si ripresentano nella progenie. La pianta di pisello fu scelta da Mendel perché presentava 7 caratteri con fenotipo facilmente distinguibile (figura a fianco): Colore del fiore (bianco o viola); Colore del seme (giallo o verde); Forma del seme (liscia o rugosa); Colore del baccello (giallo o verde); Forma del baccello (rigonfio o concamerato); Altezza dello stelo (lungo o corto); Posizione dei fiori (assiale o terminale) 8 Simonini, Castellazzi, Ballabeni Biologia e Genetica (Manfredini) Lezione 12, 21/04/2021 DOMINANZA E RECESSEVITÀ Introduciamo questi due concetti facendo un semplice incrocio monoibrido, cioè considerando solamente due alleli di un solo gene. Prendiamo come esempio il gene per l’altezza dello stelo. Mendel osservò che, incrociando una pianta a stelo lungo e una a stelo corto (incrociò due linee pure, omozigoti), la prima generazione filiale F1 presentava organismi tutti a stelo lungo, cioè identici ad un solo genitore. Incrociando gli individui della F1 si ottiene la seconda generazione filiale F2, formata da 3 piante a stelo lungo e 1 a stelo corto. Si ha quindi un rapporto 3:1 pe quanto riguarda le piante a stelo lungo e le piante a stelo corto tra gli individui della F2. Mendel definì DOMINANTE il carattere espresso nella F1 (stelo lungo) e RECESSIVO il carattere non espresso nella F1 (stelo corto). Quando entrambi gli alleli sono presenti in unico individuo (come in tutti gli individui della F1), il dominante maschera il recessivo. Grazie alle conoscenze che abbiamo oggi possiamo sapere qual è il fondamento genotipico alla base di questi fenotipi. La generazione parentale P è data da una pianta omozigote dominante (TT, stelo lungo - l’allele dominante viene scritto con la lettera maiuscola) incrociata con una pianta omozigote recessiva per il gene t (tt, stelo corto - l’allele recessivo viene scritto con la lettera minuscola). Dall’incrocio dei genitori si forma una generazione, la F1, tutta eterozigote (Tt) e siccome T è dominante su t, tutti gli individui avranno fenotipo a stelo lungo. Gli alleli recessivi non vengono perduti, infatti ricompaiono nella F2 in proporzioni che giustificano il rapporto fenotipico. Come si vede nella figura a destra, il rapporto 3:1 tra i fenotipi della F2 è determinato dal fatto che dall’incrocio degli eterozigoti della F1 si formeranno: 25% di piante TT (omozigoti dominanti, stelo lungo); 50% di piante Tt (eterozigoti, stelo lungo); 25% piante tt (omozigoti recessivi, stelo corto) Quando ci si trova davanti ad un eterozigote, in cui è evidente una relazione di dominanza e recessività l’allele dominante si scrive per primo in maiuscolo, mentre l’allele recessivo si scrive per secondo in minuscolo. 9 Simonini, Castellazzi, Ballabeni Biologia e Genetica (Manfredini) Lezione 12, 21/04/2021 Questa evidenza portò alla formulazione della 1° LEGGE DI MENDEL o PRINCIPIO DELLA SEGREGAZIONE, che stabilisce che prima della riproduzione sessuata i 2 alleli portati da un genitore devono essere segregati in due gameti differenti. Questo principio conferma che gli alleli occupano loci corrispondenti sui cromosomi omologhi che durante la meiosi vengono segregati in gameti diversi. Questo perché i gameti sono aploidi, e quindi portano una sola copia di ogni gene. Nella figura a fianco, vediamo nell’immagine b i loci genici, cioè la posizione cromosomica di ogni gene. Nell’immagine c invece si vedono una coppia di alleli (occupano lo stesso locus sulla coppia di cromosomi omologhi) e una coppia di geni che non sono alleli tra loro perché appunto occupano loci diversi su due cromosomi omologhi. Nell’immagine d si ha un esempio di due coppie di alleli, che codificano per lo stesso carattere. In figura, la prima coppia in alto codifica per il colore del pelo (nero/marrone), la seconda in basso che controlla invece la lunghezza del pelo (lungo/corto). La segregazione degli alleli ricombinanti si verifica perché i cromosomi omologhi si separano nel corso della meiosi e vengono segregati in gameti differenti. INCROCIO MONOIBRIDO SULLE CAVIE Questo esempio è simile a quello visto precedentemente per le piante di pisello, visto ora sulle cavie. L’incrocio è monoibrido, ossia tra individui con alleli diversi per un singolo locus. In questo caso consideriamo il gene per il colore del pelo. Si seguono gli stessi principi, tenendo presente che l’allele dominante (espresso sia negli omozigoti che negli eterozigoti) è B e codifica per il pelo nero mentre quello recessivo (si esprime solamente negli omozigoti) è b e codifica per il pelo marrone. La generazione P (gli individui che la compongono sono tutti omozigoti) è formata da una femmina a pelo nero BB (che produce gameti B) e un maschio a pelo marrone bb (che produce gameti b). Il sesso in questo caso non ha molta importanza. I loro rispettivi gameti saranno l’uovo B e lo spermatozoo b. La F1 sarà tutta eterozigote Bb, con fenotipo dominante a pelo nero, poiché l’allele B maschera l’allele b. Tramite il QUADRATO DI PUNNETT si possono calcolare le percentuali di genotipi e fenotipi derivanti da un determinato incrocio. Si pongono in alto i gameti femminili e sulla sinistra quelli maschili. Incrociando i vari punti (figura a fianco), risulterà che, considerando due individui della F1, ¼ della progenie sarà BB, ½ sarà Bb e ¼ bb. Il quadrato di Punnett permette di prevedere i rapporti tra i vari discendenti di un incrocio. Può essere applicato, dal punto di vista medico, per prevedere i rapporti tra i discendenti di un incrocio tra individui affetti da malattie genetiche. 10 Simonini, Castellazzi, Ballabeni Biologia e Genetica (Manfredini) Lezione 12, 21/04/2021 Per realizzare un quadrato di Punnett, i diversi tipi di gameti e le loro frequenze attese vengono rappresentate sul lato superiore, quelli dell’altro genitore lungo il lato sinistro (nell’esempio in figura la frequenza dei gameti è il 50%, anche se per gli spermatozoi non è così). Nei riquadri vengono riportate le combinazioni alleliche dello zigote della F2. Il rapporto fenotipico della generazione F2, in un incrocio monoibrido, è uguale a quello osservato nelle piante di pisello, cioè 3:1 (animali neri - animali marroni) INCROCIO DIIBRIDO L’incrocio diibrido si ha tra individui con alleli diversi per due loci diversi. Consideriamo due coppie di alleli localizzati su cromosomi non omologhi, una coppia per il colore del pelo (B=nero, b=marrone) e una per la lunghezza del pelo (S=corto, s=lungo). Secondo il Principio della segregazione, ogni coppia di alleli è ereditata indipendentemente, cioè durante la meiosi segrega indipendentemente l’una dall’altra. In figura, notiamo che il genitore sulla sinistra è genotipicamente omozigote per i due alleli dominanti B ed S e avrà quindi pelo nero e corto. Il genitore sulla destra invece è omozigote per i due alleli recessivi b ed s, avrà quindi pelo marrone (bb) e lungo (ss) in assenza di alleli dominanti. La F1 è formata solo da individui eterozigoti per i due alleli. Il quadrato di Punnet si forma allo stesso modo visto precedentemente, i gameti maschili sul lato sinistro e i gameti femminili sul lato superiore. Nei quadrati ci saranno i vari incroci possibili. Il rapporto risultante nella generazione F2 sarà più complicato di quello di un incrocio monoibrido. In particolare, su 16 animali nati: 9 saranno neri a pelo corto, cioè tutti quelli che presentano nel loro genotipo almeno un allele B e un allele S; 3 saranno neri a pelo lungo, cioè tutti quelli che presentano nel genotipo almeno un allele B ma sono omozigoti recessivi per s; 3 saranno marroni a pelo corto, cioè tutti quelli che presentano almeno un allele S ma sono omozigoti recessivi per b; 1 sarà marrone a pelo lungo, cioè sarà omozigote recessivo per entrambi gli alleli. 11 Simonini, Castellazzi, Ballabeni Biologia e Genetica (Manfredini) Lezione 12, 21/04/2021 2° LEGGE DI MENDEL o PRINCIPIO DELL’ASSORTIMENTO INDIPENDENTE: i membri di una coppia di geni segregano indipendentemente dai membri di un’altra coppia. Ogni gamete contiene un unico allele per ogni locus, mentre alleli di loci differenti sono assortiti nei gameti in modo casuale l’uno rispetto all’altro. La segregazione degli alleli è il risultato diretto della separazione dei cromosomi durante la meiosi. Ciascun gamete aploide, al momento della fecondazione fornisce un solo cromosoma per ogni coppia di geni. Nell’immagine a lato, è rappresentato un altro incrocio diibrido, questa volta realizzato sui piselli. Colore e forma della generazione parentale sono diversi e il ragionamento da seguire per ricostruire le generazioni F1 ed F2 è il medesimo analizzato in precedenza per le cavie. Durante la formazione dei gameti, i geni che codificano per caratteristiche differenti si separano in modo indipendente l’uno dall’altro a causa della separazione autonoma delle coppie omologhe di cromosomi durante la meiosi. Tuttavia, i geni localizzati vicini tra loro sullo stesso cromosoma (geni linked) non si assortiscono in maniera autonoma, ma si ereditano spesso insieme, segregano nello stesso gamete. QUADRATO DI PUNNET (video indicato dalla Prof. sulla costruzione dei quadrati di Punnett) Il quadrato di Punnet è un metodo “grafico” per determinare il genotipo, e il fenotipo, della classe parentale, conoscendo il genotipo dei genitori. È spesso utilizzato negli incroci con pochi caratteri in analisi, ad esempio due o tre. Si crea una semplice tabella a doppia entrata. In un incrocio AA x Aa, per prima cosa si riportano i gameti. Quindi si inseriscono i gameti nella tabella. Si determinano, per finire, i genotipi della F1. 12 Bigi, Biondi, Bonacini BIOLOGIA E GENETICA | (Manfredini) LEZIONE 13 26/04/2021 ESTENSIONI DELLA GENETICA MENDELIANA I GENI ASSOCIATI NON ASSORTISCONO INDIPENDENTEMENTE I geni associati sono geni molto vicini sul cromosoma. I geni sono disposti in maniera lineare su ciascun cromosoma. L’assortimento indipendente non è applicabile se 2 loci sono situati non distanti sulla stessa coppia di omologhi. Es per due coppie di alleli rispettivamente per la forma delle ali (normali o vestigiali,cioè di tipologia morfica che non permette il volo)e il colore del corpo(grigio o nero) di D.Melanogaster. Questi due alleli sono situati sulla stessa coppia di omologhi: non si assortiscono indipendentemente, ma tendono ad essere ereditati insieme: essi sono associati(linked). Vediamo questo incrocio come viene fatto (vedi figura). Il parentale in alto ha il colore del corpo codificato dall’allele B che è dominante su b: il grigio è dominante sul nero. Mentre la forma delle ali è codificata dall’allele V e v: le ali normali sono dominanti su quelle vestigiali. L’altro parentale presenta genotipo recessivo per entrambi i geni. Incrociando questi due genitori, i risultati attesi per l’assortimento indipendente non sono quelli reali. Cioè i risultati della progenie non rispettano l’assortimento indipendente. Infatti queste due coppie di alleli sono ereditati insieme. Quando un reincrocio a due punti produce un eccesso di discendenti di tipo parentale cioè non 575, come ci saremmo aspettati da un assortimento indipendente, ma rispettivamente 965 e 944( i numeri reali);siamo in presenza di geni linked. Quando due loci sono linked si ha un eccesso di discendenti di tipo parentale e un difetto di fenotipo ricombinante. Questi due alleli sono localizzati sulla stessa coppia di cromosomi omologhi. L’assortimento indipendente non si verifica se due loci sono situati nella stessa coppia di omologhi. Piu sono vicini più c’è la probabilità che vengano ereditati insieme e quindi segregati nello stesso gamete. LA MAPPATURA GENICA Durante la meiosi (pachitogenesi) avviene la ricombinazione omologa detta crossing over tra cromosomi omologhi che genera la gran parte della variabilità della riproduzione sessuata. È stato dimostrato che un crossing over avviene più frequentemente tra due loci se questi sono molto distanti sul cromosoma e al contrario se essi sono vicini. Questa proprietà è servita ai genetisti durante il Progetto Genoma per mappare i geni sui cromosomi. Bigi, Biondi, Bonacini BIOLOGIA E GENETICA | (Manfredini) LEZIONE 13 26/04/2021 La relazione esistente tra la frequenza di ricombinazione tra due loci (crossing over) e la loro distanza lineare consente di costruire una mappa genetica del cromosoma convertendo la percentuale di ricombinazione in unità di mappa. Convenzione: 1% di ricombinazione tra 2 loci corrisponde ad una distanza di 1 unità di mappa. L ’ordine dei geni è dedotto dalla % di ricombinazione tra ogni possibile coppia. Es: % ricombinaz tra A e B = 5% = 5 unità mappa % ricombinaz tra B e C = 3%=3 unità mappa Vi sono due alternative per l’ordine lineare degli alleli: caso a) A-B-C cioè caso in cui la % di ricombinazione tra A e C è 8%. In questo caso B è al centro. Caso b) A-C-B la % ric tra A e C è 2%. C è al centro. Sulla base delle freq. di ricombinazione si riesce a dedurre l’ordine dei geni e le loro distanze relative. LA DETERMINAZIONE DEL SESSO I mammiferi, gli uccelli e alcuni insetti hanno cromosomi sessuali sui quali sono localizzati geni che determinano il sesso. Le cellule delle femmine di molte specie (es uomo) hanno 2 cromosomi sessuali uguali(XX) mentre i maschi hanno 1 cromosoma X e un cromosoma Y più piccolo che è solo in parte omologo alla X. UOMO: femmina:22 paia autosomi+ XX maschio: 22 paia autosomi+XY Tutti gli individui richiedono almeno un X per essere vitali, mentre Y è il cromosoma che determina il sesso maschile cioè su di esso sono residenti dei geni che sono coinvolti nello sviluppo delle caratteristiche maschili (es SRY è un gene sull’Y coinvolto nello sviluppo dei testicoli). Bigi, Biondi, Bonacini BIOLOGIA E GENETICA | (Manfredini) LEZIONE 13 26/04/2021 X e Y non sono dei veri omologhi,hanno una breve regione di omologia che consente loro di appaiarsi durante le divisioni, ma per il resto non sono simili tra loro per forma , dimensione e costituzione genica. L’immagine indica come sia il maschio ad essere determinante nella scelta del sesso del nascituro, in quanto è lui che produce due tipi di gameti. Lo spermatozoo Y ha un vantaggio competitivo : esso è piu veloce. Durante il processo della fecondazione la velocità è una caratteristica fondamentale . Lo spermatozoo X è più lento, ma ha una maggiore emivita nelle vie genitali femminili; è piu resistente all’acidità che contraddistingue queste vie. Da un punto di vista teorico: se un maschio produce 50% spermatozoi X e 50% (cosa quasi mai vera), possiamo dire che se una coppia desidera un maschio è più probabile che si abbia un maschio se si ha un rapporto sessuale a ridosso dell’ovulazione, cioè quando lo spermatozoo Y è più vitale e quindi arriva prima all’ovulo. Se si desidera una femmina è più probabile che venga concepita se il rapporto sessuale si ha qualche giorno di distanza dal giorno dell’ovulazione, quando la maggior parte degli spermatozoi Y si sono degradati e quelli X sono ancora vitali. EREDITARIETÁ DEI GENI X-LINKED Geni che non sono presenti sull’Y, ma sono sull’X ( es i geni per la percezione dei colori e per la coagulazione del sangue o fattore ottavo) e quindi si ereditano in maniera peculiare: si parla di caratteri legati al sesso o x-linked perché seguono la linea di trasmissione dell’X. Un maschio, per i caratteri legati all’X è emizigote, cioe ha sempre solo 1 copia di gene x-linked. Es: daltonismo C=allele dominante normale cioè percezione dei colori normale; c=allele recessivo per la cecità dei colori rosso e verde. (vedi figura) A dx il maschio è normale perché l’unico allele che ha su X è normale (C ) e una femmina genotipicamente eterozigote (Cc) e fenotipicamente normale. Da questo incrocio: 25% femmine normali (genotipicamente e fenotipicamente), 25% femmine portatrici (normali solo fenotipicamente), 25% maschi normali, 25% maschi daltonici. A sx incrocio tra maschio daltonico e femmina portatrice/eterozigote avremo una progenie più colpita da daltonismo. Le percentuali sono: 25% femmine portatrici, 25% femmine daltoniche, 25% maschi normali, 25% maschi daltonici. Bigi, Biondi, Bonacini BIOLOGIA E GENETICA | (Manfredini) LEZIONE 13 26/04/2021 LA COMPENSAZIONE DEL DOSAGGIO Una femmina normale ha due copie di ogni gene x-linked, mentre il maschio ne ha solo 1. Il meccanismo di compensazione del dosaggio rende equivalenti le 2 dosi della femmina e la singola del maschio. È un fenomeno esclusivamente somatico che avviene durante le prime fasi dello sviluppo( 16esimo giorno di gestazione nell’uomo) nei tessuti germinali per una corretta gametogenesi e consiste nell’esprimere entrambi i cromosomi X. Questo meccanismo nei mammiferi implica l’inattivazione di uno dei due X nella femmina (lyonizzazione da Mary Lion): durante l’interfase nel nucleo è visibile una macchia scura di cromatina condensata detta corpo di Barr che corrisponde ad uno dei 2 X metabolicamente inattivo(cioè non attivo dal punto di vista trascrizionale). È un processo causale: viene spento uno dei 2 X in modo casuale. Ciò viene dimostrato grazie all’esperimento del gatto persiano calico. L’inattivazione dell’X in questo animale è a carico di geni x-linked che codificano sia per il pigmento nero che per quello arancio. Le chiazze bianche sono dovuti ad altri geni che controllano il colore del pelo che non sono x-linked. Poiché l’inattivazione dell’X è casuale il gene per il pigmento nero si esprime per alcuni cloni di cellule che sono presenti intorno all’occhio (in questo determinato caso in figura), quello per l’arancio in altri cloni nel corpo e in mezzo al viso e cio’ causa chiazze di cellule che esprimono pigmenti diversi. Bigi, Biondi, Bonacini BIOLOGIA E GENETICA | (Manfredini) LEZIONE 13 26/04/2021 COME SI INATTIVA L’X il gene XIST, localizzato in Xq13( in una regione Xic, inactivation center) espresso solo sull’X inattivo e produce un Long non coding RNA (lncRNA), cioè un RNA più lungo del normale e non codificante)di circa 17Kb (kilo basi) nell’uomo che lega lo stesso cromosoma che lo ha prodotto (cioè l’X metabolicamente inattivo) e ne determina un cambiamento conformazionale della cromatina ( attraverso il reclutamento di DNA metil-transferasi, deacetilasi : la metilazione e la deacetilazione sono due meccanismi di silenziamento dell’espressione genica ): i geni sull’X sono cosi silenziati. Il silenziamento dell’X metabolicamente inattivo non è totale : circa il 15% dei geni sull’X sfuggono all’inattivazione. L’esistenza di geni che non sono silenziati spiega il difetto( il fenotipo particolare) negli individui con un numero anomalo di cromosomi X: sindrome di Turner (X0) o Klinefelter (XXY). L’inattivazione avviene in maniera casuale ma una volta stabilita viene mantenuta nel tempo e nella vita della cellula e quindi dell’animale. Bigi, Biondi, Bonacini BIOLOGIA E GENETICA | (Manfredini) LEZIONE 13 26/04/2021 DOMINANZA INCOMPLETA Ci sono dei casi in cui la dominanza non è completa. Un caso di dominanza incompleta è caratteristico del colore del fiore della bella di notte, in cui uno degli alleli della coppia non è completamente dominante sull’altro. Nella dominanza incompleta l’eterozigote ha un fenotipo intermedio tra i due fenotipi parentali omozigoti e non si può parlare di allele dominante e di allele recessivo e anche il genotipo degli individui non si scrive con una lettera grande e una lettera piccola o comunque con due lettere piccole e due lettere grandi ma sono sempre lettere grandi. Questo significa che non esistono alleli recessivi. In questo esempio vediamo due genitori omozigoti, uno con il fiore rosso (R1R1) e uno con il fiore bianco (R2R2). L’incrocio porta ad una F1 tutta eterozigote, che però non è o rossa o bianca ma è tutta rosa nel colore del fiore. Tutti gli eterozigoti sono rosa, quindi presentano un fenotipo intermedio tra i due fenotipi parentali (R1R2). Facciamo il conto sulla generazione F2: il tipico rapporto fenotipico 3:1 non c’è più. Abbiamo un rapporto diverso in quanto il 25% di F2 sarà di colore rosso (R1R1), il 50% sarà rosa (R1R2, fenotipo intermedio eterozigote) e il 25% sarà bianco (R2R2). In questo caso nessun allele è recessivo rispetto all’altro. CODOMINANZA Nella codominanza gli eterozigoti presentano il fenotipo di entrambi gli omozigoti parentali: gli alleli in codominanza si esprimono entrambi. Un classico esempio di codominanza è quello che guida l’ereditarietà dei gruppi sanguigni A, B e 0. I gruppi sanguigni A, B, 0 e AB sono controllati da 3 alleli in un singolo locus: IA, IB e i. Gli alleli che presentano codominanza sono i primi due. Il fenotipo del gruppo sanguigno A presenta come genotipi alternativi o IAIA (omozigote) o IAi (eterozigote in quanto i è recessivo). Sui globuli rossi del fenotipo sanguigno A ci sono antigeni di tipo A, mentre nel plasma avremo degli anticorpi anti-B. Parallelamente il gruppo sanguigno B può avere 2 genotipi alternativi: quello omozigote IBIB oppure quello eterozigote IBi; gli antigeni sui globuli rossi saranno di tipo B mentre nel plasma ci saranno anticorpi anti-A. Il gruppo sanguigno AB presenta la codominanza in quanto il suo genotipo è IAIB; sui globuli rossi saranno presenti due antigeni, A e B, mentre nel sangue non ci sarà nessun anticorpo, né contro A né contro B. Bigi, Biondi, Bonacini BIOLOGIA E GENETICA | (Manfredini) LEZIONE 13 26/04/2021 Il gruppo 0 invece non presenta nessun antigene di tipo A o B, ha un genotipo di tipo ii e presenta nel plasma sia anticorpi anti-A sia anticorpi anti-B. Queste caratteristiche definiscono la compatibilità dei gruppi sanguigni in base alla presenza nel siero di anticorpi contro antigeni di globuli rossi A o B o entrambi. Questa è una tabella che spiega la compatibilità dei gruppi sanguigni in seguito a trasfusione di sangue. In questo rettangolo sono rappresentati i risultati del test di Coombs che va ad indagare la compatibilità di due tipi di sangue. Quando i due tipi di sangue sono compatibili la gocccia si manifesta compatta; quando non sono compatibili si verifica agglutinazione, ovvero l’interazione tra antigene presente sui globuli rossi e anticorpi presenti nel plasma, e la goccia risulta meno omogenea e compatta. Per quanto riguarda il gruppo sanguigno A, esso è compatibile ovviamente con il suo stesso gruppo sanguigno e con il gruppo 0. Allo stesso modo il gruppo sanguigno B è compatibile con il gruppo B e il gruppo 0. Il gruppo AB inceve è compatibile con tutti gli altri gruppi sanguigni perché non presenta nel plasma né anticorpi anti-A né anticorpi anti-B. Viceversa il gruppo 0 è compatibile solo con sé stesso perché i gruppi A, B e AB causano la reazione di agglutinazione per la presenza nell’individuo di gruppo 0 di anticorpi anti-A e di anticorpi anti-B. Quindi per definire la codominanza in questo sistema possiamo dire che gli alleli A e B sono codominanti: quando sono presenti nello stesso genoma si esprimono entrambi. ALLELI MULTIPLI Un organismo diploide può avere solo 2 alleli per un singolo locus genico, ma in una popolazione possono essere presenti più alleli per uno stesso locus genico. Un locus ha alleli multipli se nella popolazione esistono 3 o più alleli per quel locus. Ad esempio, nei conigli ci sono 4 alleli per il locus che determina il colore della pelliccia: questi 4 alleli C, c ch, ch e c hanno un rapporto di dominanza e recessività e più precisamente C domina su cch, il quale domina su ch che a sua volta domina su c. Un coniglio grigio scuro può avere 4 diversi genotipi, ma l’importante è che abbia almeno un C nel proprio genotipo. Bigi, Biondi, Bonacini BIOLOGIA E GENETICA | (Manfredini) LEZIONE 13 26/04/2021 Un coniglio cincillà può avere solo 3 genotipi, l’importante è che abbia almeno un cch e che non abbia un C. Il fenotipo himalaiano può avere questi due genotipi e non può avere nel suo genotipo né un C né un cch. Il fenotipo albino, che è la forma recessiva per eccellenza, può avere solo il fenotipo omozigote recessivo cc. INTERAZIONE GENICA Andiamo a descrivere vari tipi di interazioni geniche, ad esempio nelle creste dei polli. Alleli di loci differenti possono interagire per produrre un fenotipo. Molte coppie di alleli possono intervenire nell’espressione di un dato carattere oppure una coppia di alleli può inibire o cambiare l’effetto di un’altra, ad esempio nell’eredità delle creste dei polli. L’allele R che domina su r è l’allele per la cresta a rosa ed interagische con l’allele P per la cresta a pisello, che domina su p (l’allele per la cresta semplice). A seconda di come queste due coppie di alleli sono combinate nel genotipo, si presenta un fenotipo o l’altro: Quando gli alleli P e R sono insieme nello stesso genotipo producono il fenotipo cresta a noce con 4 genotipi possibili, tutti contenenti P e R. La cresta a pisello si manifesta solo quando c’è un P nel genotipo ma abbiamo solo la forma recessiva dell’allele R; essa è determinata da 2 genotipi. La cresta a rosa invece si manifesta quando nel genotipo c’è un R ma l’allele P è recessivo. La cresta semplice si manifesta negli omozigoti recessivi per entrambi gli alleli. EPISTASI L’pistasi è una forma di interazione genica in cui la presenza di determinati alleli in un determinato locus può impedire o mascherare l’espressione di alleli in un altro locus. In questo caso non produce un nuovo fenotipo. Un esempio classico è quello del colore del pelo del labrador. Esso dipende da 2 coppie di alleli: Una coppia che codifica per il pigmento: B, pelo nero, che domina su b, pelo marrone Una coppia che determina la deposizione del colore nel pelo: E codifica per l’espressione del nero e del marrone ed e, che è epistatico, blocca l’espressione dei geni B e b quando è in condizione omozigote ed il pelo appare dunque giallo. Bigi, Biondi, Bonacini BIOLOGIA E GENETICA | (Manfredini) LEZIONE 13 26/04/2021 Con queste nozioni siamo in grado di capire perché i labrador sono diversamente colorati e che tipo di genotipo possono avere: I labrador neri hanno un genotipo che contiene almeno un B e un E e non contiene e. I cani incolori o gialli contengono nei loro genotipi il gene e in omozigosi. Il colore marrone è determinato da un genotipo in cui non c’è un B che codifica con il nero e che dominerebbe sul marrone e contiene almeno un E per la deposizione del pelo marrone. PENETRANZA DI UN CARATTERE La penetranza di un carattere è la frequenza con cui individui con un dato genotipo manifestano un carattere a livello fenotipico. Non sempre il genotipo si manifesta a livello fenotipico, e questo vale anche per i difetti genici. In alcune malattie ereditarie un carattere con ereditarietà dominante non si manifesta in tutti gli individui e si nota dunque una penetranza incompleta del carattere. La penetranza è descritta a livello di popolazione ed è una percentuale. Se un carattere si manifesta nel 60% degli eterozigoti che portano un allene dominante, come ad esempio la polidattilia, diremo che il carattere ha una penetranza del 60%. Le cause della penetranza incompleta sono ancora da individuare, tra queste possiamo indicare lo stile di vita ed il background genetico. La polidattilia nell’uomo è causata da una mutazione dominante P che si manifesta solamente in alcuni suoi portatori. Una mutazione dominante che si dovrebbe manifestare in tutti i suoi portatori non si manifesta nel 100% dei portatori ma solamente in una certa percentuale. ESPRESSIVITÀ DI UN CARATTERE L’espressività di un carattere è una caratteristica diversa dalla penetranza e significa che un carattere non si manifesta in maniera uniforme tra gli individui con lo stesso genotipo che lo manifestano. Un esempio è la mutazione dominante dell’occhio Lobe in Drosophila che genera una serie di fenotipi: alcuni eterozigoti hanno gli occhi composti molto piccoli, che possono causare cecità, mentre altri hanno occhi più grandi con lobi pronunciati. La mutazione lobe in drosofila ha un’espressività variabile: il carattere grandezza dell’occhio non si manifesta in maniera uniforme tra gli individui che lo manifestano. Il fenotipo varia da una completa assenza dell’occhio ad un occhio quasi selvatico e dunque ad una vista praticamente normale. L’espressività variabile è documentabile anche nei cani di razza “beagle” in quanto ognuno di questi cani possiede l’allele SP che è responsabile del fenotipo pezzato, ma questo fenotipo si può manifestare in modo molto evidente o poco evidente in individui con lo stesso allele. L’espressività varia da un fenotipo pezzato molto evidente ad uno pezzato quasi inesistente in individui che hanno lo stesso genotipo. Bigi, Biondi, Bonacini BIOLOGIA E GENETICA | (Manfredini) LEZIONE 13 26/04/2021 Penetranza ed espressività possono essere variabili e per alcuni caratteri ci può essere una combinazione di penetranza ed espressività variabile. Questo da origine ad una grande varietà di fenotipi che possiamo evidenziare in individui che hanno lo stesso genotipo per quel tipo di carattere. EREDITÀ POLIGENICA Si dice eredità poligenica quando esistono più coppie di geni indipendenti tra di loro che hanno effetti simili e antiadditivi sullo stesso carattere. L’eredità poligenica è molto rappresentata nell’uomo in quanto governa la maggior parte dei caratteri umani. Gli esempi più pregnanti nell’uomo sono la statura, la forma del corpo e il colore della pelle. Nell’ereditarietà del colore della pelle sono coinvolti più di 60 loci diversi. Per semplicità prendiamo in esame solo 3 coppie di alleli A, B e C. Le lettere maiuscole indicano alleli che manifestano dominanza incompleta nell’espressione dell’intensità del colore della pelle. Gli incroci tra persone con colore della pelle diverso avranno per la maggior parte un colore della pelle intermedio tra i due genitori e si distribuiranno attraverso questa distribuzione gaussiana. Più lettere maiuscole saranno presenti, più il colore della pelle sarà scuro perché gli alleli agiscono in modo additivo: AABBCC avrà il colore della pelle più scuro, viceversa aabbcc avrà il colore più chiaro. Se grafichiamo la generazione F2 di questo incrocio, dove sono tutti eterozigoti, otteniamo una distribuzione normale o gaussiana dove la maggior parte degli individui presenta un fenotipo intermedio. Solo in una piccola percentuale si manifestano i fenotipi estremi della F1, ovvero il molto scuro e il molto chairo. IL FENOTIPO È INFLUENZATO DALL’AMBIENTE Il genotipo influenza molto pesantemente il fenotipo, ma esso è anche influenzato da fattori ambientali: individui geneticamente identici possono svilupparsi in maniera differente in ambienti differenti e questo è stato verificato attraverso studi su gemelli separati alla nascita e cresciuti in ambienti diversi. Si è notato che alcuni comportamenti possono cambiare, il carattere può essere diverso ma in generale si è definito che l’influenza dell’ambiente rispetto a quella genotipica è minore. La statura è un carattere ad ereditarietà poligenica con più di 10 loci coinvolti ed è influenzata anche da altri fattori come lo stile di vita, la dieta e lo stato di salute che il bambino ha vissuto. Esistono delle formule che permettono di stimare l’altezza raggiungibile da un bambino che comprendono ovviamente le altezze dei genitori e dei nonni, ma che comunque alla fine riportano un ±8 cm che rappresenta l’influenza dell’ambiente sull’altezza del bambino in crescita. Questo valore dipende anche dalla dieta, dallo sport che il ragazzo pratica e dallo stato generale di salute (un bambino malnutrito che presenta patologie crescerà meno di uno che si trova in condizioni migliori). La norma di reazione è la varietà dei possibili fenotipi che possono svilupparsi da un unico genotipo in diverse condizioni ambientali. Senz’altro il genotipo influenza maggiormente il fenotipo rispetto all’ambiente, ma anche l’ambiente presenta un’influenza decisamente importante. Colombo, Congedo, Corradini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 14 28/04/2021 IL GENOMA UMANO I cromosomi vengono studiati attraverso la cariotipizzazione. Citogenetica: studio dei cromosomi e del loro ruolo nell’ereditarietà Cariotipo: corredo cromosomico di un individuo Analisi con software L’analisi del cariotipo si basa sull’utilizzo di un analizzatore di immagini computerizzato (un software) che analizza i cromosomi metafasici delle cellule prese in esame, mettendoli in ordine di grandezza decrescente, con i cromosomi sessuali per ultimi (in basso a destra). Analisi con colorante Fino a pochi decenni fa al posto del software veniva eseguito un bandeggio utilizzando colorazione con Giemsa, cioè colorando in modo diverso le bande cromosomiche per evidenziare aberrazioni cromosomiche (delezioni, traslocazioni ecc.). Figura 1 Nelle analisi del cariotipo si esaminano i cromosomi metafasici: • Sfruttando il checkpoint in M, che blocca le cellule in mitosi quando c’è un erroneo assemblaggio del fuso mitotico, blocchiamo le cellule in metafase, trattandole con un veleno del fuso come colchicina o vinblastina, che vanno a disassemblare il fuso stesso. In questa fase i cromosomi sono ben visibili. • Successivamente si inseriscono le cellule in una soluzione di citrato leggermente ipotonica, in modo che i nuclei si gonfino. • Si fissano le cellule con metanolo • Si centrifuga il preparato • Le cellule si gocciano su un vetrino, per osservarle al microscopio Figura 2 1 Colombo, Congedo, Corradini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 14 28/04/2021 Nel metodo più moderno, non si utilizzano coloranti ma delle sonde1 fluorescenti che sono specifiche per una o più bande cromosomiche e che risultano essere più sensibili del bandeggio G. FISH (Fluorescence in situ hybridization) è una delle tante analisi che si possono fare sui cromosomi con l’utilizzo delle sonde fluorescenti, facendole ibridizzare con cromosomi specifici. Ciò consente di individuare singoli cromosomi, o determinate traslocazioni (per esempio la 9:22 nel caso di leucemia mieloide cronica o la 15:17 nel caso di leucemia promielocitica acuta). La fluorescenza è quindi una tecnica più sensibile rispetto alle colorazioni non fluorescenti. Figura 3 CARIOTIPO MOLECOLARE È una metodica di biologia molecolare chiamata anche microarray-Comparative Genomic Hybridization (CMA o cariotipo molecolare), molto più sensibile delle altre, che consente di identificare anche alterazioni submicroscopiche non visibili al microscopio (utilizzato nell’analisi del cariotipo tradizionale). Inoltre, è una tecnica più veloce perché non c’è bisogno di coltura di amniociti (se l’analisi è prenatale) o cellule in generale. • • • • Il DNA di un paziente (verde), e il DNA di controllo di una persona normale (rosso), vengono estratti dalle cellule e sono legati ad un determinato fluorocromo (verde nel caso del paziente, rosso nel controllo). Entrambi i DNA vengono coibridizzati (si appaiano a sequenze nucleotidiche complementari) su questo array, che contiene le sonde per tutte le bande cromosomiche. L’array viene poi lavato e scannerizzato, ciò che rimane sul Figura 4 vetrino sono solo le sonde fluorescenti che si sono legate a determinati geni. Le immagini vengono analizzate con opportuni programmi e ciò consente di individuare sia macro che micro-alterazioni (es duplicazioni, delezioni ecc.), indicate dal rapporto di fluorescenza tra il campione del paziente e del controllo (la differenza sta nel numero di copie di un determinato gene). 1 Sonda: sequenza di DNA o RNA a singolo filamento, che opportunamente marcate si accoppiano a una seconda sequenza nucleotidica complementare (fonte: Enciclopedia Treccani) 2 Colombo, Congedo, Corradini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 14 28/04/2021 Nonostante il cariotipo molecolare prenda questo nome, non è di fatto un’analisi del corredo cromosomico (ne discuteremo di nuovo quando faremo la genetica prenatale, dove queste tecniche sono molto usate per evidenziare eventuali alterazioni nel nascituro). ALBERI GENEALOGICI O PEDIGREE È un grafico che mostra la trasmissione dei caratteri genetici per alcune generazioni all’interno di una famiglia. Rappresenta uno strumento molto utile per la consulenza genetica e per la clinica. • Ogni linea orizzontale rappresenta una generazione (contrassegnata da numeri romani a lato), con le più vecchie in alto e le più recenti in basso • Una linea orizzontale unisce i 2 genitori, ed una verticale scende dai genitori ai figli Per malattie di cui non si conosce la trasmissione ereditaria, si può dedurre il meccanismo di trasmissione dall’albero genealogico. Nell’albero genealogico: • I cerchi sono le femmine • I quadrati sono i maschi • Gli individui sani sono i simboli bianchi • Gli individui malati sono i simboli colorati CARATTERI AUTOSOMICI RECESSIVI L’esempio in Figura 5 è dell’albinismo: Se noi consideriamo nella terza generazione la femmina albina, i suoi genitori sono entrambi fenotipicamente normali, ciò vuol dire che l’allele dell’albinismo non può essere dominante, perché altrimenti almeno uno dei genitori Figura 5 sarebbe stato albino. L’allele dell’albinismo non può nemmeno essere recessivo legato all’ X perché se lo fosse il padre sarebbe stato albino (e la madre portatrice sana), quindi come ultima ipotesi abbiamo che l’albinismo è una malattia autosomica recessiva, i genitori sono eterozigoti e l’allele recessivo si manifesta in omozigosi nella figlia femmina. In un albero genealogico, un difetto autosomico recessivo viene rivelato dalla comparsa del corrispondente fenotipo nella progenie sia maschile che femminile di individui non affetti. Lo studio del pedigree ha permesso di predire come sono ereditati i caratteri fenotipici che sono sotto il controllo di un solo locus (caratteri mendeliani che se alterati causano malattie monogeniche, circa 1000 nell’uomo) e di identificare tre tipi di eredità mendeliana: • Autosomica dominante • Autosomica recessiva • Recessiva legata all’X (X-linked) 3 Colombo, Congedo, Corradini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 14 28/04/2021 CARATTERI AUTOSOMICI DOMINANTI L’esempio in figura è dell’acondroplasia (una forma di nanismo): In questo albero genealogico ad ogni generazione compaiono individui malati, perché il carattere è dominante e indipendente dal sesso, cioè il carattere viene passato sia ai figli che alle figlie in uguale proporzione (in questo caso dal quadrato di Punnet emerge che il 50% dei figli sarà affetto dalla malattia). Figura 6 ALLELI RECESSIVI LEGATI ALL’X Malattie recessive legate all’X sono emofilia e daltonismo. Una femmina può essere: • Malata se ha ereditato gli alleli mutati da entrambi i genitori • genotipicamente eterozigote e quindi fenotipicamente normale e portatrice sana, potendo quindi trasmettere il carattere alla progenie • genotipicamente e fenotpicamente sana. Esempio in Figura 7, prima generazione: da un maschio affetto e una femmina sana ci si aspetta che il 50% dei figli maschi sarà affetto, mentre il 50% delle figlie saranno portatrici sane (è possibile verificare ciò tramite il quadrato di Punnet). In seconda generazione si nota come dall’incrocio tra una femmina portatrice (eterozigote) e un maschio normale possano nascere: • maschi malati • maschi sani • femmine portatrici • femmine sane Figura 7 I portatori sani si esprimono con un puntino al centro di un cerchio bianco Le femmine in questo caso non possono essere malate perché l’X del padre è sano. Famiglia reale inglese Figura 8 L’emofilia è una malattia X-linked che è stata a lungo presente nella famiglia reale inglese (malattia mortale a quei tempi). Dalla generazione della regina Vittoria, che era portatrice sana di emofilia, sono nati molti maschi affetti che sono morti in giovane età, mentre la famiglia reale attuale è sana perché la regina Elisabetta non presenta l’allele mutato, quindi anche i discendenti sono esenti dall’emofilia. 4 Colombo, Congedo, Corradini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 14 28/04/2021 L’IMPRINTING GENOMICO Lo studio del pedigree identifica anche caratteri non mendeliani, cioè caratteri per i quali l’origine parentale non influisce sulla loro espressione. L’imprinting genomico si riferisce al fatto che l’espressione di alcuni geni nei mammiferi è influenzata dalla sua origine parentale, ovvero a seconda che sia stato ereditato dal padre (imprinting paterno) o dalla madre (imprinting materno). Per alcuni geni l’allele paterno è sempre represso o viceversa attraverso la metilazione dei promotori di questi geni. Esempio: La Sindrome di Prader-Willi (PWS) e la Sindrome di Angelman (AS) presentano entrambe come alterazioni genetiche una delezione della regione q11-13 del cromosoma 15 ma in base a se questa mutazione si verifichi nell’allele paterno o in quello materno si hanno patologie diverse. PWS: è caratterizzata da bassa statura, obesità e ritardo mentale di vario grado. In questo caso la delezione è stata ereditata dal padre (malattia autosomica dominante), mentre sul cromosoma materno (normale) è silenziata. AS: è caratterizzata da iperattività, accessi di riso, epilessia, movimenti muscolari incontrollati, ritardo mentale. In questo caso la delezione viene ereditata dalla madre (malattia autosomica dominante), mentre il cromosoma paterno (normale) viene silenziato. Figura 9 5 Colombo, Congedo, Corradini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 14 28/04/2021 SINDROMI CROMOSOMICHE Sono alterazioni della struttura e del numero dei cromosomi. Poliploidia: Presenza di set cromosomici completi multipli. Nell’uomo è letale a livello embrionale, ovvero l’embrione viene abortito nelle primissime settimane di vita (la triploidia presenta 3 copie di ogni cromosoma). Aneuploidia: Anomalia per la presenza di un unico cromosoma extra o per l’assenza di un cromosoma. Le aneuploidie sono molto più frequenti della poliploidia. • Disomia: Condizione normale • Trisomia: un cromosoma extra (3 cromosomi di un determinato tipo) • Monosomia: un cromosoma in meno per un determinato tipo La percentuale di aborti spontanei nel primo trimestre di gravidanza si aggira intorno al 20%, ed è principalmente causata da aberrazioni cromosomiche (riportate sopra). Le aneuploidie sono causa frequente di morte prenatale e sono più tollerate quelle dei cromosomi sessuali che quelle degli autosomi (la più famosa aneuploidia autosomica è la sindrome di Down). La causa delle aneuploidie è una non-disgiunzione (mancata separazione dei cromosomi) meiotica durante l’anafase della prima o della seconda divisione meiotica. Lo zigote (e quindi l’organismo) che ne deriva avrà un numero anormale di cromosomi. Prima divisione meiotica: Se nel maschio abbiamo una mancata divisione meiotica dei cromosomi sessuali durante la prima divisione meiotica, si formeranno una cellula con entrambi i cromosomi sessuali e l’altra ne sarà priva; da queste due cellule deriveranno 2 gameti XY che se feconderanno un uovo normale daranno la sindrome di Klinefelter XXY, mentre gli altri due gameti privi di cromosomi sessuali se feconderanno un uovo normale daranno sindrome di Turner X0. Figura 10 Seconda divisione meiotica: • Se nel maschio abbiamo una mancata disgiunzione dei cromatidi dell’X nella seconda divisione meiotica, si avranno due spermatozoi normali con un cromosoma Y, uno spermatozoo privo di cromosomi sessuali che darà sempre sindrome di Turner e uno spermatozoo con entrambi i cromosomi sessuali X che in caso di fecondazione di un uovo normale darà un individuo XXX. 6 Colombo, Congedo, Corradini • BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 14 28/04/2021 Se nel maschio si verifica una mancata disgiunzione meiotica dell’Y nella seconda divisione meiotica, avremo due spermatozoi normali con un cromosoma X, uno spermatozoo privo di cromosomi sessuali che può dare sindrome di Turner e uno con entrambi i cromosomi Y che se feconderà un uovo normale darà origine alla sindrome di Jacobs XYY. Figura 11 SINDROME DI DOWN Fenotipo: anomalie del volto, nelle palpebre, lingua molto tozza, mani e altre parti del corpo molto tozze, vario grado di ritardo mentale. Predisposizione per neoplasie ematologiche (in particolare leucemia acuta) e morbo di Alzheimer. Cariotipo: 47 cromosomi (trisomia del 21) Incidenza: 1:800 nati vivi, aumenta con l’età della madre Se la madre ha: -20 anni: le probabilità che nasca un bimbo Down sono 1:1105 -30 anni: la probabilità sale a 1:723 -40 anni: la probabilità è di 1:92 Questo è dovuto alla non disgiunzione nella seconda divisione meiotica, che si compie solamente quando l’ovulo viene fecondato. Con l’innalzamento dell’età della madre la correttezza della disgiunzione meiotica durante l’ultima divisione meiotica dell’ovulo si abbassa, quindi nelle madri anziane (che superano i 35 anni) aumenta molto la probabilità di aneuploidie. Figura 12 SINDROME DI KLINEFELTER, XXY Fenotipo: Maschi con testicoli piccoli (sterili), con altezza superiore alla media, ritardo mentale Cariotipo: 47 cromosomi (XXY) Incidenza: 1:700 nati vivi La presenza di almeno un cromosoma X è fondamentale per avere un organismo vitale, mentre una dose sovrannumeraria del cromosoma X provoca una sindrome cromosomica (come in questo caso). Quindi l’inattivazione dell’X (corpo di Barr) non è completa, altrimenti in caso di sovradosaggio del cromosoma X non ci sarebbero alterazioni. 7 Colombo, Congedo, Corradini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 14 28/04/2021 SINDROME DI TURNER-X0 Fenotipo: Sono individui femminili (perché manca il cromosoma Y) con genitali non sviluppati, sono sterili (perché hanno delle ovaie rudimentali), sono di bassa statura, hanno pliche cutanee caratteristiche sulla nuca, deformità a livello della piega del gomito, numerosi nevi cutanei su tutto il corpo. Cariotipo: hanno un solo cromosoma X e quindi 45 cromosomi Incidenza: 1:2500 femmine nate vive. Terapia: Fino ad oggi queste sindromi non hanno cura, ma per rendere queste femmine più simili alle loro coetanee si può usare l’ormone della crescita (per farle crescere in altezza) e ormoni sessuali femminili come estrogeni e progesterone, prima della pubertà, per far sviluppare gli organi sessuali secondari (ad esempio il seno). Rimangono comunque sterili. Figura 13 SINDROME DEL TRIPLO X-47, XXX Fenotipo: Sono femmine perché è assente il cromosoma Y. Inizialmente furono denominate “super femmine”, ma ovviamente ogni anomalia cromosomica non porta ad un vantaggio ma uno svantaggio. Sono femmine caratterizzate da alta statura, irregolarità mestruali, raramente ritardo mentale. Cariotipo: 47 cromosomi (XXX) Incidenza: 1:1000 CARIOTIPO XYY: SINDROME DI JACOBS Figura 14 È stato chiamato cariotipo perché non dava una vera e propria sindrome, sono maschi fertili. Cariotipo: XYY con 47 cromosomi. Incidenza: 1:1000. Fenotipo: Questi maschi hanno uno sviluppo sessuale normale, sono fertili, i sintomi prevalenti in questi soggetti sono problemi di apprendimento a scuola, uno sviluppo emozionale ritardato, possono avere un livello di testosterone superiore al normale. Si è indagato se questa dose additiva del cromosoma Y (la sindrome di Jacobs è infatti una malattia genetica con un cromosoma Y in più) potesse portare a tendenze criminali. Furono fatti negli Stati Uniti degli studi sulle popolazioni carcerarie per capire se il cromosoma Y in più potesse portare ad avere tendenze criminali. Hanno esaminato il cariotipo dei detenuti per vedere se quelli che avessero compiuto i delitti più gravi portassero questo cariotipo. In un primo momento sembrava fosse così, poi successivi studi hanno dimostrato che non è così. Quindi i soggetti affetti da sindrome di Jacobs non hanno tendenze criminali dal punto di vista genetico. 8 Colombo, Congedo, Corradini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 14 28/04/2021 ANOMALIE CROMOSOMICHE- SINDROME “CRI DU CHAT” Questa è un’anomalia cromosomica che si chiama “cri du chat” (che in francese significa pianto di gatto) perché i bambini che portano questa sindrome hanno un pianto simile a quello di un gatto. Hanno una sopravvivenza estremamente bassa. Cariotipo: L’anomalia non è a carico di un intero cromosoma, ma c’è una delezione del braccio corto del cromosoma 5 (Figura 15) quindi i cromosomi sono 46. Il cariotipo si scrive 46 del 5. Fenotipo: Il fenotipo di questi bambini è caratterizzato da testa più piccola del normale, lineamenti alterati, occhi molto separati tra di loro, naso molto allargato, pianto particolare, ritardo mentale. Incidenza: 1:50000 nati vivi. Figura 15 SINDROME DELL’X FRAGILE I siti fragili sono punti dei cromatidi in cui avvengono più frequentemente delle rotture cromosomiche e che sembrano attaccati al resto del cromosoma da sottili porzioni di DNA. Nella sindrome dell’X fragile o FRAX, il gene coinvolto è FMR1 (Fragile X Mental Retardation-1), che è situato sul braccio lungo del cromosoma X e codifica per una proteina che lega e trasporta gli RNA messaggeri dal nucleo al citoplasma. L'alterazione responsabile di questa sindrome è l'espansione di un tratto di DNA di questo gene in corrispondenza del sito fragile FRAXA che quando si rompe viene poi duplicato; questo porta ad avere delle triplette CGG ripetute molte volte. Mentre in persone normali queste basi a livello di questo sito sono ripetute da 6 a 45 volte, nelle persone affette dalla sindrome dell’X fragile queste triplette sono ripetute più di 200 volte, quindi c'è un’espansione della ripetizione di queste triplette. Questa espansione insieme ad altri fenomeni causa il mancato funzionamento del gene FMR1, provocando un fenotipo che è più grave nei maschi perché il gene colpito è localizzato sul cromosoma X (i maschi ne hanno solo una copia). Il fenotipo è visibile soprattutto a livello neurologico e va da una leggera incapacità di concentrazione fino a grave ritardo mentale, in dipendenza dal numero delle ripetizioni delle triplette CGG. Figura 16 9 Colombo, Congedo, Corradini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 14 28/04/2021 MALATTIE GENETICHE CAUSATE DA MUTAZIONI PUNTIFORMI Sono malattie genetiche che derivano da mutazioni che colpiscono una sola base o comunque un solo gene. ANEMIA FALCIFORME Figura 17 Alterazione genica: L’anemia falciforme è causata da una mutazione sul gene della globina che fa cambiare l’amminoacido da acido glutammico (amminoacido polare) a valina (aminoacido non polare). Il cambiamento di un solo aminoacido in questo caso causa un’insolubilità dell'emoglobina all'interno dei globuli rossi, facendone assumere la forma a falce. Questa mutazione causa quindi anche un'alterazione della funzione della proteina perché si ha un cambiamento della struttura primaria. Questo è un classico esempio di malattia monogenica con mutazione di un solo gene. Ricordiamo che anche una modificazione delle altre strutture proteiche quindi secondaria, terziaria e quaternaria (per le proteine che ce l'hanno) per denaturazione può portare ad alterazione dell'attività biologica della proteina causando malattie. Nel caso dell’anemia falciforme il difetto è dovuto a una mutazione puntiforme sulla globina e quindi viene modificata la struttura primaria della proteina. Trasmissione: È una malattia autosomica recessiva Sintomi: anemia; si chiama anemia falciforme perché i globuli rossi assumono una forma a falce e quindi vengono prematuramente catturati dai sinusoidi della milza che li scambiano per cellule invecchiate, quindi li sequestrano dal circolo; questo porta a una diminuzione patologica del numero di globuli rossi e quindi anemia. Questi globuli rossi a forma di falce possono provocare dei blocchi del flusso sanguigno perché non passano facilmente attraverso i capillari, non si modificano come i globuli rossi normali, e quindi provocano aggregazioni patologiche di queste cellule falciformi che causano interruzione del flusso sanguigno, quindi dolore e anche mancata distribuzione dell'ossigeno ai tessuti. Figura 18 Terapia: C'è una terapia genica attualmente in sperimentazione, si possono effettuare anche trasfusioni per curare l’anemia e inoltre si può ricorrere all’idrossiurea che fa riesprimere le catene gamma fetali che vengono silenziate dopo la nascita, quindi si forma l’emoglobina fetale, che comunque è meglio di una emoglobina mutata. Ci sono ora degli ottimi tentativi di terapia genica fatta con i nuovi sistemi di gene editing CRISPR/Cas9 proprio per l'anemia falciforme e per la riespressione delle catene gamma fetali, che sono ora in trial clinico e sembrano dare ottimi risultati. FENILCHETONURIA (PKU) Trasmissione: è una malattia autosomica recessiva Alterazione genica: è causata da una mutazione puntiforme che causa la deficienza dell’enzima fenilalanina-idrossilasi, necessario per metabolizzare la fenilalanina a tirosina. In mancanza di questo enzima la fenilalanina viene convertita ad acido fenil-piruvico, che è tossico per il sistema nervoso. Sintomi: l’accumulo di acido fenil-piruvico nell'organismo può causare un danno celebrale progressivo, causando anche ritardo mentale. Questa malattia deve essere diagnosticata il più precocemente possibile, cioè alla nascita, grazie allo screening metabolico, per intervenire immediatamente. 10 Colombo, Congedo, Corradini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 14 28/04/2021 Terapia: in caso diagnosi di PKU la terapia consiste in una dieta priva di fenilalanina: il bambino svezzato deve seguire una dieta priva di carne, pesce, latte e derivati, pane, nocciole e tutti gli alimenti che contengono la fenilalanina. Si tratta di una dieta molto stretta e molto difficile da seguire, quindi spesso i bambini la seguono perché i genitori preparano loro da mangiare, ma quando diventano adolescenti spesso sgarrano e tendono a sospendere la dieta. È molto importante che la donna gravida segua la dieta anche se il bambino nascituro non è malato: infatti, se la donna non segue la dieta l’acido fenil-piruvico si può accumulare nel sangue della madre e andare a danneggiare il cervello fetale. FIBROSI CISTICA La fibrosi cistica è la più frequente malattia genetica nell’area caucasica. Trasmissione: È una malattia autosomica recessiva Alterazione genica: è dovuta ad una mutazione puntiforme del gene CF (cystic fibrosis) che codifica per la proteina CFTR. Questa è un canale del cloro che regola anche la funzione di canali del sodio. Incidenza: È la malattia genetica ereditaria mortale più comune nella popolazione caucasica e ha un’incidenza di 1:2500. Sintomi: Il malfunzionamento di un canale che regola la funzione del cloro e del sodio causa uno squilibrio ionico a livello della membrana apicale di tutti gli epiteli secernenti (le cellule epiteliali dell’intestino, delle vie aeree, del pancreas, delle ghiandole sudoripare, dei vasi deferenti dei maschi). C'è quindi uno squilibrio ionico causato da un'alterazione della secrezione di ioni cloro da parte delle cellule epiteliali. Si ha un maggiore riassorbimento di sodio e quindi di acqua per osmosi, con la produzione di muco, o comunque di secreto, estremamente denso. L’epitelio delle vie aeree, che produce il muco necessario per espellere contaminanti sia fisici che microbici provenienti dall’ambiente, nei malati di fibrosi cistica secerne un muco estremamente denso. Quindi questo epitelio non svolge correttamente la sua funzione di eliminare il pulviscolo con l’espettorato, ma trattiene i microbi all'interno determinando delle infezioni bronchiali croniche con progressiva distruzione del parenchima polmonare, formazione di bronchiectasie (dilatazione dei bronchi) e distruzione del parenchima respiratorio. La tosse diventa sempre catarrale, l’espettorato diventa purulento e la risposta immunitaria che arriva a seguito di questa stimolazione infiammatoria innesca un processo patogenetico che porta alla distruzione del parenchima funzionale del polmone; questo è il sintomo più grave a carico del sistema respiratorio che porta alla morte. I bambini affetti da questa malattia devono essere aiutati ad espettorare tutti i giorni perché le vie respiratorie sono intasate dal muco. Terapia: la terapia è ancora in fase di sperimentazione (come in tutte le malattie genetiche e monogeniche). Sono in atto tentativi di terapia genica che non sono ancora entrati nella pratica clinica. Si può somministrare la DNAsi, perché il DNA che si libera dalle cellule immunitarie richiamate nell’epitelio respiratorio funziona da collante, quindi contribuisce a intasare e a rendere il muco ancora più denso; il trattamento con DNAsi è una terapia sintomatica che cura questi sintomi, ma la vera cura è ancora in fase di ricerca tramite tentativi di terapia genica. Figura 19 11 Colombo, Congedo, Corradini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 14 28/04/2021 TAY-SACHS Trasmissione: È una malattia autosomica recessiva Alterazione genica: mutazione puntiforme che va a colpire il gene che codifica per l'esosaminidasi A, un enzima che degrada i gangliosidi GM2 nel cervello. La mancanza di quest’enzima porta ad un accumulo di questo ganglioside. Il gene si trova in posizione 15q23 (cromosoma 15, braccio lungo, banda 23). Sintomi: ritardo psicomotorio, ipotonia, megalencefalia (sviluppo anormale della testa), sussulti associati a forti rumori. I sintomi neurologici sono molto gravi e portano alla morte entro i 5 anni. Terapia: Non ci sono purtroppo ancora cure palliative né curative. MALATTIA DI HUNGTINTON Trasmissione: è una malattia autosomica dominante Alterazione genica: la mutazione è a carico della proteina “huntingtina” (chiamata così dal suo scopritore) che si trova sul braccio corto del cromosoma 4. Il gene normale presenta una sequenza trinucleotidica ripetitiva CAG, che viene ripetuta da 1 a 34 volte, invece nei malati il numero di ripetizioni è molto aumentato, ad esempio fino a 150 volte. La malattia si manifesta tanto più precocemente quanto maggiore è il numero delle ripetizioni di questa tripletta. Questa proteina mutata nei neuroni si lega agli enzimi acetil-transferasi, inibendoli e inibendo l'attivazione della trascrizione nelle cellule del cervello; la malattia alla fine va a danneggiare i neuroni. In Figura 21 si vede che vengono persi dei neuroni. Figura 20 Figura 21 Sintomi: movimenti ipercinetici involontari (“corea” dal greco vuol dire danza), deterioramento delle facoltà mentali fino a morte. Inoltre, questa malattia si manifesta anche tardivamente dai 30 ai 40 anni, in dipendenza al numero delle ripetizioni delle triplette, e quindi si manifesta in età fertile quando magari il soggetto ha già trasmesso la sua malattia, che è autosomica dominante, al figlio. La malattia si manifesta nel 50% della sua progenie. Esiste un test che permette di individuare questa mutazione. Terapia: Finora non ci sono terapie nella pratica clinica. IPERCOLESTEROLEMIA FAMILIARE Trasmissione: è una malattia autosomica dominante di cui esistono due forme: quella eterozigote (meno grave) e quella omozigote, molto più grave perché abbiamo un livello di colesterolo totale nel sangue di circa 650-1000 mg/dl (la concentrazione di colesterolo totale normale è di 200mg/dl). Quindi sono colesterolemie altissime soprattutto in forma di lipoproteine a bassa densità (LDL, il cosiddetto colesterolo cattivo), che portano alla formazione di placche aterosclerotiche all'interno delle arterie, quindi causa gravi problemi cardiocircolatori, accidenti vascolari, ictus e infarti anche in età precoce. 12 Colombo, Congedo, Corradini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Alterazione genica: varie mutazioni (mutazioni puntiformi o piccole delezioni) a carico del gene del recettore LDL. In Figura 22 è possibile vedere la membrana cellulare (linea verde) e la cellula epatica (in basso). Il recettore delle LDL normalmente capta il colesterolo circolante nel sangue sotto forma di LDL e le internalizza (vengono poi immagazzinate nel fegato). In mancanza di funzione del recettore delle LDL, queste rimangono circolanti nel sangue e portano alla formazione delle placche aterosclerotiche e ad un aumento esponenziale del rischio cardiovascolare specialmente negli omozigoti. Lezione 14 28/04/2021 Figura 22 Terapia: La terapia è caratterizzata da una dieta povera di colesterolo, ma da sola non è sufficiente per abbassare in modo efficace il rischio cardiovascolare (le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte in Italia e nei paesi non del terzo mondo), quindi si assumono anche statine, che sono inibitori del colesterolo. In questo caso ci sono le terapie, ma il rischio cardiovascolare è sempre molto alto specialmente per gli omozigoti, che possono essere sottoposti periodicamente all’aferesi nei centri trasfusionali, cioè una rimozione selettiva delle LDL dal sangue (una specie di dialisi, che toglie le LDL per abbassare il loro rischio cardiovascolare). EMOFILIA A Trasmissione: è una malattia recessiva legata all'X. Alterazione genica: la mutazione risiede sul gene del fattore VIII della coagulazione del sangue. Sintomi: emorragie, anche per piccole ferite che possono essere esterne, ma soprattutto emorragie interne (le più pericolose). Terapia: La terapia è sempre stata quella della trasfusione e la somministrazione di fattore VIII Figura 23 ricombinante. Per l'emofilia A sono oggi in sperimentazione numerosi tentativi di terapia genica basati sempre sul gene editing per correggere il genoma di questi individui che è modificato a livello del fattore VIII della coagulazione (nell’emofilia B, invece, l’alterazione è a livello del fattore IX). 13 Colombo, Congedo, Corradini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 14 28/04/2021 TERAPIA GENICA La terapia genica è la correzione di un difetto genetico tramite la reintroduzione della proteina wild type in una cellula che esprime una proteina mutata. È stato relativamente semplice utilizzarla per alcune malattie genetiche emopoietiche, per esempio una forma di SCID, un’immunodeficienza molto severa. Questi bambini bolla devono vivere sotto bolle di plastica sterili perché non hanno un sistema immunitario funzionante. In questo caso, si ha una deficienza di ADA deaminasi. Il primo tentativo riuscito di terapia genica fu eseguito molti anni fa su un bambino affetto da ADA-SCID tramite il seguente metodo, tuttora usato in pratica clinica: • • • viene fatta inizialmente un’aferesi, cioè un prelievo di sangue. Le cellule staminali emopoietiche contenute nel sangue del bambino vengono corrette in vitro geneticamente con vettori virali che portano all'interno delle cellule il gene per la ADA deaminasi corretto (gene wild type). le cellule che vengono poi reinfuse nel paziente sono in grado di ricostituire un sistema emolinfopoietico normale e quindi di formare un sistema immunitario competente (questi bambini non l’avevano mai avuto). Figura 24 In questo modo questi bambini guariscono e possono condurre una vita normale. 14 Francolino, Gavarini, Galeotti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) lezione 15 03/05/2021 MALATTIE GENETICHE CAUSATE DA MUTAZIONI DEL DNA MITOCONDRIALE (mtDNA) Il DNA mitocondriale è stato già descritto nelle precedenti lezioni. Le principali caratteristiche del DNA mitocondriale (mtDNA), riferite alla comparsa di malattie, dovute a mutazioni di questo, sono quattro: • • • • POLIPLASMIA; OMO/ETEROPLASMIA; EFFETTO SOGLIA; EREDITÀ MATERNA. Ora le analizzeremo singolarmente. POLIPLASMIA In ogni cellula sono presenti molti mitocondri ed ogni mitocondrio contiene copie multiple del suo genoma; per ciascuna cellula abbiamo, quindi, miglia di copie di DNA mitocondriale. A differenza del DNA genomico, durante la divisione cellulare i mitocondri vengono distribuiti in modo casuale alle cellule figlie e quindi la genetica mitocondriale è più simile alla genetica di popolazione (che vedremo a breve) che a quella mendeliana (già precedentemente vista). OMOPLASMIA ED ETEROPLASMIA Nei tessuti normali tutte le copie di DNA mitocondriale sono identiche, di conseguenza si parla di omoplasmia. Nel caso di una mutazione del mtDNA questa può colpire tutte le copie (di solito non sono tutte le copie), oppure essere presente solo in una percentuale di genomi mitocondriali; in tal caso si parla di eteroplasmia, cioè una stessa cellula può contenere mitocondri con DNA mutato oppure con DNA normale (e nello stesso mitocondrio ci possono essere i due tipi di DNA). EFFETTO SOGLIA • • L’espressione clinica delle mutazioni del mtDNA è determinata dalla relativa proporzione di DNA normale wild type / (fratto) mutato in un determinato tessuto; Effetto soglia vuol significare che è necessario un numero minimo di copie mutate per danneggiare il metabolismo energetico di un determinato organo o tessuto (valore relativo e non assoluto). Francolino, Gavarini, Galeotti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) lezione 15 03/05/2021 EREDITÀ MATERNA Espressa dalla FIGURA 1. Si osserva un esempio in cui una madre non ha sintomi, o ne ha di molto lievi, riferiti ad una malattia mitocondriale. Questa madre potrebbe avere il 20% dei mitocondri con DNA mutante. Quali scenari si possono generare da questa cellula somatica? Si può genare una cellula uovo, al termine della meiosi, che ha un numero di mitocondri mutanti dell’80% che se fecondata da uno spermatozoo può dar origine ad un embrione, e quindi ad un individuo, con una malattia mitocondriale severa (severe disease). FIGURA 1 In un altro scenario, vista la casualità nella ripartizione dei mitocondri durante la divisione cellulare, si può generare da questa cellula madre uno oocita che ha il 50% di mitocondri mutanti. In questo caso fecondata darà origine ad embrione, e quindi ad un individuo, con una “mild disease”, ovvero una malattia mitocondriale non severa. L’ipotesi migliore è che questa cellula dia origine ad un oocita con solo il 20% di mitocondri mutanti. Un oocita di questo tipo, se fecondato, potrebbe dare origine ad un individuo che non manifesta la malattia (no disease). Questo significa effetto soglia e ovviamente eredità materna, in quanto il contributo mitocondriale all’embrione è esclusivamente materno. Tutti i mitocondri dello zigote derivano dall’oocita e perciò la modalità di trasmissione delle mutazioni del DNA mitocondriale differisce dalla trasmissione mendeliana classica. La madre portatrice trasmette a tutta la progenie, ma solo le figlie femmine possono trasmettere la mutazione ai loro figli. Francolino, Gavarini, Galeotti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) lezione 15 03/05/2021 MITOCHONDRIAL DISEASES (MALATTIE MITOCONDRIALI) • • Sono note più di 40 malattie mitocondriali. Le malattie mitocondriali sono un disordine molto grave che è molto difficile da identificare perché possono prendere varie forme e variare (come nell’esempio ora osservato) da un grado lieve ad uno severo. La caratteristica principale di tutte le malattie mitocondriali è quella di avere il metabolismo energetico danneggiato per effetto di mutazioni dei geni del DNA mitocondriale che codificano per i sistemi che producono energia all’interno delle nostre cellule. PROBLEMI CHE POSSONO ESSERE ASSOCIATI CON LE MALATTIE MITOCONDRIALI Queste derivano sempre da un diminuito metabolismo energetico all’interno della cellula, e all’interno di un tessuto di un organismo che però essendo malattie genetiche coinvolgono tutti gli organi. Sistema di organi Cervello Nervi Muscolare Renale Cuore Fegato Occhi Orecchi Pancreas e altre ghiandole Sistemici Possibili Problemi Ritardi di sviluppo, ritardi mentali, demenza, convulsioni, malattie neuropsichiatriche, paralisi cerebrale, emicrania, ictus Stanchezza neurogena, dolore neuropatico, assenza di riflessi; una serie di sintomi che coinvolgono anche l’apparato intestinale, sudorazione assente o eccessiva, e quindi problemi di regolazione della temperatura corporea Stanchezza, ipotonia, crampi e dolore muscolare Acidosi tubulare renale che risulta nella perdita di proteine nell’urina e quindi presenza di proteine nell’urina che non riescono ad essere trattenute, di conseguenza perdita di: magnesio, fosforo, calcio ed altri elettroliti e quindi una alterazione dell’equilibrio elettrolitico di tutto il corpo Difetti di conduzione cardiaca fino al blocco della conduzione e cardiomiopatie Ipoglicemia (basso livello di zucchero nel sangue), insufficienza epatica Perdita della vista e cecità Perdita dell'udito e sordità Diabete e insufficienza del pancreas esocrino (impossibilità di produrre enzimi digestivi), insufficienza paratiroidea (basso calcio) Impossibilità di prendere peso (a causa di questo difetto del metabolismo energetico), quindi una crescita limitata, problemi respiratori Francolino, Gavarini, Galeotti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) lezione 15 03/05/2021 MalattieMITO È un sito che comprende le malattie mitocondriali; si osservano vari tipi di malattie mitocondriali a seconda delle mutazioni ai geni che vengono inattivati. MUTAZIONI DEL DNA MITOCONDRIALE Quali sono le mutazioni del mtDNA? Essenzialmente delle mutazioni puntiformi, o che interessavano piccole porzioni del cromosoma, perché non possono esserci, ovviamente, aberrazioni cromosomiche. 1) Sostituzioni nucleotidiche 2) A-delezioni / B-inserzioni Francolino, Gavarini, Galeotti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) lezione 15 03/05/2021 LEBER’S HEREDITARY OPTIC NEUROPATHY (LHON) (Neuropatia Ottica Ereditaria di Leber) È una neuropatia ottica che produce una progressiva perdita della vista e cecità (come discerniamo nella FIGURA 2 non c’è più la macula). È ad insorgenza tardiva dovuta alla morte del nervo ottico, per cui la macula della retina scompare. Questa è determinata da una mutazione missense che causa un cambio amminoacidico arginina-istidina (arg-his) presente in omoplasmia nella maggioranza dei pazienti (che hanno questa malattia) nelle FIGURA 2 subunità ND4, ND1 ed ND6 dei complessi per la fosforilazione ossidativa, talora anche in combinazione; la probabilità di cecità aumenta negli individui con mutazioni più gravi o nella combinazione di mutazioni diverse. NARP (Neurogenic muscle weakness, Ataxia and Retinite Pigmentosa) Un’altra malattia mitocondriale. Caratteristiche: retinite pigmentosa (come si può osservare nella FIGURA 3), atassia (mancato coordinamento muscolare), convulsioni, demenza, debolezza dei muscoli prossimali di origine neurogena, neuropatia sensitiva e ritardo nello sviluppo. La mutazione in questo caso è sempre una mutazione missense determinata da un cambio amminoacidico leucinaarginina (leu-arg) nell’ATPasi6; tale mutazione è sempre presente in eteroplasmia e la gravità dei sintomi è correlata alla percentuale del DNA mutante. FIGURA 3 Malattia di Alzheimer Il 5% dei malati anziani presenta la stessa mutazione del DNA mitocondriale. L’Alzheimer è la causa più comune di demenza. La malattia è “age-sensitive” (si manifesta fondamentalmente con l’invecchiamento), affligge circa il 3% delle persone tra i 65 e i 74 anni di età, e raggiunge una incidenza vicino al 50% negli over 85. Anche nella malattia di Alzheimer c’è, quindi, una riduzione dell’apporto energetico per mutazione del mtDNA. FIGURA 4: raffigurata a destra una sezione frontale di cervello normale e a sinistra una sezione frontale di cervello con Alzheimer. FIGURA 4 Francolino, Gavarini, Galeotti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) lezione 15 03/05/2021 TERAPIE PER MALATTIE MITOCONDRIALI Attualmente non esistono cure per le malattie mitocondriali. Possiamo solamente cercare di sopperire alla diminuzione del metabolismo energetico, e quindi al calo della produzione di energia da parte dei mitocondri con alcuni trattamenti, come: • • Vitamine, principalmente del gruppo B: B1, B12, vitamina C ed E; Intermedi metabolici come: acido lipoico e coenzima Q-10. Alcuni ricercatori stanno esaminando l'uso di farmaci per bloccare l'accumulo di acido lattico nel corpo che è comune nelle malattie mitocondriali. Altri stanno provando diete a bassissimo contenuto di carboidrati per ridurre il carico di lavoro per i mitocondri. GENETICA PRENATALE LA CONSULENZA ED I TEST GENICI TECNICHE DI DIAGNOSI PRENATALE Tecniche invasive (le uniche che danno un’attendibilità quasi del 100% sul risultato): • • • • Amniocentesi; Villocentesi; Funicolocentesi; Fetoscopia. Le tecniche di analisi che possiamo fare con queste tecniche sono: Tecniche di indagine molecolare; Tecniche citogenetiche. Tecniche non invasive: • • • Ecografia; Test sierologici su sangue materno (prelievo di sangue periferico); Cellule fetali nel sangue materno. Le tecniche non invasive, a differenza di quelle invasive che, come precedentemente detto, danno una quasi totale sicurezza del risultato, consentono di effettuare quasi esclusivamente una valutazione probabilistica, cioè, non permettono di identificare o di escludere direttamente le anomalie cromosomiche ma di selezionare pazienti a basso e ad alto rischio per quella anomalia. Qualora queste tecniche dessero un risultato positivo per una determinata anomalia, non forniscono comunque un risultato valido per l’interruzione di gravidanza oltre il terzo mese. Francolino, Gavarini, Galeotti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) lezione 15 03/05/2021 TECNICHE INVASIVE AMNIOCENTESI Diagnosi di Sindromi cromosomiche e di spina bifida L’amniocentesi consente la diagnosi prenatale di malattie genetiche e di altre anomalie L’Amniocentesi, la più nota e diffusa tra le tecniche invasive, consiste nel prelievo di una ventina di millilitri di liquido amniotico attraverso la parete addominale e fino al sacco vitellino entro il quale questo è contenuto. Nel liquido amniotico galleggia il feto. Questo prelievo avviene mediante una sonda a ultrasuoni, è quindi un prelievo eco-guidato, che limita, quindi, il più possibile perturbazioni a carico del feto. Prima della 13°-15° settimana l’amniocentesi non viene fatta perché prima della 14° settimana il liquido amniotico non contiene abbastanza cellule, i cosiddetti “amniociti”, per fare una corretta valutazione cariotipica. Quindi si aspirano questi 20 ml, si mettono in una provetta, si fanno centrifugare; ne deriva una parte solida che è cellulare (gli amniociti) che va a depositarsi sul fondo della provetta e una parte superiore liquida su cui si fanno delle analisi biochimiche. Gli amniociti vengono messi in coltura ed in seguito analizzati per cariotipo, o altre indagini molecolari. L’analisi del liquido amniotico può essere fatta istantaneamente, mentre la coltura degli amniociti richiede dalle due alle tre settimane per avere una quantità di amniociti sufficiente per fare un cariotipo. L’analisi del liquido amniotico serve in particolar modo per dosare l’Alfafetoproteina (AFP). Se quest’ultima è alta, depone per rischi di difetti del tubo neurale (anencefalia, spina bifida, encefalocele malformazioni dell’encefalo-, mielomeningocele). Al termine delle due-tre settimane di coltura degli amniociti, raggiunto un numero sufficiente di questi, si effettua l’analisi cariotipica per evidenziare eventuali anomalie dei cromosomi sessuali o degli autosomi. Parallelamente a questa si compie un’analisi biochimica delle cellule per identificare la presenza di circa 40 disordini metabolici. Francolino, Gavarini, Galeotti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) lezione 15 03/05/2021 Il rischio abortivo per l’amniocentesi si aggira all’1% a causa della perturbazione della cavità uterina dovuta al prelievo di liquido amniotico, e quindi nella potenziale induzione di contrazioni che provocano un aborto spontaneo. Negli ultimi anni la percentuale di aborto a seguito di amniocentesi è gradualmente diminuita all’aumentare dell’abilità dei ginecologi che effettuano questo prelievo eco-guidato e soprattutto per le informazioni che sono state messe a punto per la futura madre, quali: riposo per i successi due giorni al prelievo, ecc. L’amniocentesi, nonostante sia una metodica molto efficace, la si può effettuare solo a partire dalla 13°-15° settimana di gestazione e fino alla 21°; quindi in un periodo della gestazione abbastanza tardivo per una diagnosi prenatale. Se si fa l’amniocentesi, supponiamo alla 21° settimana, la coltura richiede dalle due alle tre settimane; se si dovessero rilevare anomalie cromosomiche e la donna esprime la volontà di ricorrere ad un aborto terapeutico (consentito dalla legge), abbiamo un feto di ventiquattro/venticinque settimane, che con le nuove metodologie rianimatorie può essere vitale e quindi in questo caso la madre si ritroverebbe a partorire, diciamo ad effettuare un vero e proprio parto indotto e c’è la possibilità che nasca un neonato vitale, che deve essere rianimato dai medici. Una situazione spiacevole, che è eticamente non conforme, indipendentemente da altri giudizi di tipo religioso. A causa di questo risultato tardivo che dà per la diagnosi e stata negli ultimi anni sempre più sostituita da un’altra tecnica invasiva che è la villocentesi. VILLOCENTESI La villocentesi, analogamente all’amniocentesi, è una tecnica invasiva. A differenza dell’amniocentesi, tuttavia, la villocentesi può essere eseguita più precocemente; ciò consente di ottenere, quindi, una diagnosi più rapida, senza incorrere nelle problematiche etiche-tecniche pratiche dell’amniocentesi. Tale metodica prevede una procedura transaddominale per il prelievo del campione, che in questo caso sono i villi coriali. Francolino, Gavarini, Galeotti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) lezione 15 03/05/2021 Questi constano pur sempre di cellule fetali, e quindi sono analizzabili anch’essi per eventuali mutazioni o aberrazioni cromosomiche. Similmente all’amniocentesi, anche la villocentesi è un prelievo eco-guidato e può essere effettuato per via cervicale, e quindi essere ancora meno invasivo. Il prelievo dei villi coriali è in ogni modo una metodica invasiva perché va ad intaccare parte delle strutture di supporto al feto. In questo caso il prelievo si fa dall’11° settimana di gestazione. Le cellule sono messe in coltura e si procede in modo analogo all’amniocentesi: si eseguono i testi biochimici e la cariotipizzazione. Rilevante sottolineare nuovamente che potendola effettuare a partire dall’11° settimana di gestazione si ha una più precoce diagnosi. FETOSCOPIA La fetoscopia è un’ulteriore tecnica invasiva. È un esame endoscopico (come si può osservare nella FIGURA 5) che permette la visualizzazione diretta del feto all’interno dell’utero. L’analisi del feto può avvenire sia con una sonda endoscopica (fetoscopio) che con una sonda ecografica, introdotte attraverso una piccola incisione addominale (invasività della tecnica). La sonda è utile anche per prelievi di tessuti e sangue fetale. FIGURA 5 L’esame è particolarmente utile per individuare anomalie congenite del feto. Tuttavia, comportando alcuni rischi per il nascituro, esso va eseguito solo nel caso in cui il sospetto diagnostico sia ben motivato. FUNICOLOCENTESI La funicolocentesi (nella FIGURA 5) è un’ulteriore tecnica invasiva. Quando si consiglia questa metodica? • • Ritardo nella crescita intrauterina: un importante ritardo della crescita fetale è talvolta associato ad un’anomalia cromosomica e può essere necessario un esame del cariotipo. N.B. Il ritardo nella crescita uterina, e quindi l’eventuale anomalia cromosomica, può essere diagnostica anche mediante una amniocentesi o una villocentesi. Diagnosi di malattie infettive: un prelievo di sangue può essere richiesto per valutare un’eventuale trasmissione di un agente infettivo dalla madre al bambino; oggigiorno, comunque, questo tipo di indagini viene effettuato nella maggior parte dei casi sul liquido amniotico. FIGURA 6 Francolino, Gavarini, Galeotti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) lezione 15 03/05/2021 TECNICHE NON INVASIVE Diagnosi prenatali non invasive: danno un indice di probabilità che il nascituro sia affetto o meno da una distinta anomalia. DIAGNOSI PRENTALE TRI-TEST Screening del siero (plasma) materno, non è quindi invasiva come le tecniche finora nominate. Misura la concentrazione di tre marcatori del sangue: • • • Alfa feto proteina (AFP); Estriolo non coniugato o uE3; Gonadotropine corioniche o HCG; È disponibile dalla 15°-20° settimana di gestazione per identificare i soggetti che presentano un aumentato rischio per la sindrome di Down, trisomia 18 e difetti del tubo neurale. Interpretazione dei risultati: • • • Alfa feto proteina bassa , estriolo non coniugato basso e l’HCG alto , si ha un rischio aumentato per la sindrome di Down. Trisomia 18: alfa feto proteina bassa , l’estriolo non coniugato basso e l’HCG basso . NTD (neural tube defects): alfa feto proteina alta (la concentrazione degli altri due marcatori non è applicabile). Individua il 70% dei bambini affetti da Trisomia 21 ed ha un 5% circa di falsi positivi, cioè di risposte allarmanti ma non veritiere. Viene definito positivo quando il rischio stimato è superiore a una probabilità su 250. Le pazienti positive ai test (si stima circa il 10%) devono eseguire l’amniocentesi per una diagnosi definitiva. Francolino, Gavarini, Galeotti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) lezione 15 03/05/2021 LA DIAGNOSI PRENATALE POST-IMPIANTO NON INVASIVA BI-TEST/DUO TEST Si svolge, così come dice il nome, monitorando due parametri su sangue materno. I due parametri sono: • • BHCG; PAPP-A, abbinato ad esame ecografico per datazione. ➢ Si esegue alla 10°-14° settimana. ➢ Aumento di HCG e diminuzione di PAPP-A abbiamo un’elevata probabilità di avere un bambino con sindrome di Down. ➢ Attendibilità al 60%. ➢ DUO TEST combinato con l’analisi ecografica abbiamo un’attendibilità dell’80%. DIAGNOSI PRENTALE ECOGRAFICA La figura mostra la diagnosi prenatale ecografica chiamata Translucenza Nucale (NT) perché vengono esaminate in particolare le pliche del collo e della nuca che sono particolarmente pronunciate nei feti con sindrome di Down. Si misurano anche i parametri fetali e la combinazione di tutti questi dati da un valore che, combinato con i valori di HCG e Pap nel sangue, si rivela un indicatore di probabilità di sindrome di down e sindrome cromosomica. Questa deve sempre essere controllata con una delle tecniche non invasive a disposizione tra cui soprattutto villocentesi e amniocentesi. Francolino, Gavarini, Galeotti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) lezione 15 03/05/2021 DIAGNOSI PREIMPIANTO La diagnosi preimpianto è quella diagnosi che si fa prima dell’impianto nell’utero esclusivamente tramite una procedura di fertilizzazione in vitro, nel caso in cui ci siano malattie genetiche in famiglia e si voglia selezionare prima dell’impianto esclusivamente gli embrioni che non portano una mutazione o una determinata anomalia cromosomica. Quindi la madre viene indotta a superovulare come in tutte le procedure di fertilizzazione in vitro, vengono prelevati gli ovuli, fertilizzati con il seme del compagno e poi vengono analizzati per genetic difects. Successivamente, solamente gli embrioni che sono privi di questi difetti genetici, vengono impiantati nell’utero; questo permette alla madre, che magari è portatrice di una malattia genetica, di avere solamente bambini sani. La diagnosi preimpianto si effettua prelevando uno dei blastomeri (figura) allo stadio di 4/8 cellule. È un’operazione che non influisce sul successivo sviluppo dell’embrione. Si procede poi analizzando il DNA di questa cellula per rivelare eventuali malattie che possono essere presenti in quella famiglia. • • • • Le cellule uovo vengono fecondate in vitro Gli ovuli fecondati vengono fatti crescere fino allo stadio di 4/8 cellule Da ogni embrione viene prelevata una cellula che viene sottoposta a test genetici alla ricerca di mutazioni, traslocazioni, ecc.. che oggi si fanno anche a livello molecolare (cariotipo molecolare) In seguito vengono impiantati nell’utero solamente gli embrioni sani, privi di anomalie. Francolino, Gavarini, Galeotti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) lezione 15 03/05/2021 Alcune delle malattie diagnosticabili sono quelle di cui abbiamo fatto gli esempi le scorse lezioni come: • Anemia falciforme • Anemie mediterranee come la talassemia • Emofilia A e B • Fibrosi cistica • Distrofie muscolari di diversi tipi La diagnosi preimpianto era vietata fino a poco tempo fa in Italia, oggi è consentita. SCREENING GENETICO E CONSULTORIO GENETICO Lo screening genetico nei neonati è finalizzato all’individuazione precoce di malattie genetiche per intervenire con le terapie prima possibile, soprattutto malattie genetiche che perturbano il metabolismo come: • • • fenilchetonuria (accumulo di acido fenilpiruvico nel neonato che danneggia il cervello del neonato) Ipotiroidismo Fibrosi cistica Lo screening genetico comprende oggi più di 40 test su malattie genetiche e metaboliche che richiedono un immediato intervento per evitare danni nel neonato che poi si aggravano in assenza di cure. Lo screening genetico comporta il consultorio genetico rivolto ai futuri genitori per individuare degli eventuali portatori di malattie genetiche recessive. Esse non si manifestano nei genitori che potrebbero essere portatori eterozigoti per una qualche malattia genetica autosomica recessiva come: • • • l’albinismo l’epidermiolisi bollosa altre malattie per cui i genitori sono fenotipicamente sani ma portatori di malattie C’è quindi il 25% di probabilità che i due alleli malati si combinino nel nascituro e manifesti la malattia. Attraverso lo studio dell’albero genealogico e le analisi cariotipiche e molecolari sui genitori, il genetista consiglia i genitori valutando e calcolando la probabilità che questi genitori possano generare un individuo malato o comunque con qualche anomalia. Quindi possano scegliere di procreare, adottare o fare una diagnosi preimpianto. Francolino, Gavarini, Galeotti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) lezione 15 03/05/2021 Lo screening genetico neonatale è uno dei più importanti programmi di medicina preventiva pubblica. Grazie a un test effettuato con un semplice prelievo di sangue dal tallone del neonato (test di Guthrie) è possibile identificare precocemente tre patologie: • • • Fenilchetonuria (PKU) ipotiroidismo congenito Fibrosi cistica Dal 1992 questo test viene eseguito gratuitamente su tutti i neonati tra la 48° e la 72° ora di vita direttamente dall’ospedale di nascita. Negli ultimi anni nuove metodiche di analisi, soprattutto di sequenziamento metodico del DNA, hanno permesso di mettere a punto un test che è in grado di diagnosticare circa 40 malattie metaboliche congenite, ovvero quelle malattie causate dall’assenza o dalla carenza di uno degli enzimi deputati alla produzione di energia nell’organismo. Per ciascuna di queste malattie esiste ed è disponibile un trattamento terapeutico in grado di migliorare tempestivamente l’aspettativa e la qualità di vita. Nel 2016 è entrata in vigore una legge che prevede che ogni nuovo nato in Italia debba essere sottoposto gratuitamente a poche ore dalla nascita allo screening neonatale esteso (SNE) Finora abbiamo parlato delle malattie diagnosticabili con le tecniche prenatali, invasive e non invasive. Ora è necessario trattare quelle tecniche non invasive che non sono però sostenute dal sistema sanitario nazionale, tutte le tecniche finora trattate (invasive e non invasive) sono previste dal SSN e hanno alcuni limiti, a differenza di quelle effettuabili privatamente a pagamento. METODICHE NON INVASIVE NON COMPRESE NEL SSN: Sono metodiche che prevedono il prelievo di sangue materno tramite le quali è possibile indagare anomalie come trisomie e, nelle più moderne, diagnosticare oltre a mutazioni cariotipiche anche altre malattie genetiche. NIPT è l’acronimo di Non Invasive Prenatal Testing poiché sono appunto metodiche non invasive che prevedono l’analisi del materiale materno. La prima metodica è basata sul sequenziamento del DNA cell free, cioè circolante, non contenuto in cellule e che circola nel sangue materno. Il cell free DNA è costituito da DNA parzialmente degradato di 50-300 base pairs che circola nel sangue di tutti gli individui, ma durante la gravidanza circola nel sangue materno sia la componente materna sia quella proveniente dal feto. Da tenere presente è che il bersaglio delle analisi è il DNA del feto da analizzare per diagnosticare eventuali anomalie ed è presente in una piccola frazione del cell free DNA materno. La figura illustra DNA materno molto più rappresentato (10-20 volte di più) del DNA fetale in una donna gravida. Francolino, Gavarini, Galeotti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) lezione 15 03/05/2021 DA DOVE ORIGINA IL CELL FREE DNA? È rilasciato per apoptosi da cellule della placenta nel sangue periferico e può essere captato dopo il 32° giorno di gestazione anche se è consigliato aspettare dopo le 10 settimane (resta un periodo precoce della gravidanza). La presenza del cell free DNA non dipende dall’età gestazione, anche se la sua quantità ne risente. Può essere usato anche nel terzo trimestre, due ore dopo il parto risulta invece già intracciabile ed evidenziabile alcuna molecola di DNA circolante fetale. Come già detto, nel sangue materno sono presenti entrambi i cell free DNA circolanti, quello materno originante dall’apoptosi di cellule del midollo osseo, quello fetale dall’apoptosi di cellule placentali. Il sangue materno contiene circa il 90% di cell free DNA materno e un 10% di cell free DNA fetale. Il rapporto è quindi di 9:1. Il sequenziamento massivamente parallelo (MPS) è usato per sequenziale il cell free DNA nel sangue materno, e l’analisi viene svolta su entrambi i DNA materno e fetale senza isolarli. (la prof.ssa spiega che non entra troppo nel dettaglio perché la tecnica è finalizzata all’individuazione di solo trisomie 21 e 18 ed è stata abbastanza superata dal Prenatal safe visto successivamente). Il sequenziamento prevede di usare un algoritmo FORTE che calcola il rischio di trisomie 21 basandosi sull’input dato. Si contano le sequenze cromosomiche del cromosoma 18 e del 21, presenti nel cell free DNA considerando la frazione fetale e tenendo in considerazione l’età della madre. Quest’ultimo risulta essere sempre un fattore a favore della non disgiunzione meiotica e di anomalie cromosomiche fetali. Attraverso tale algoritmo, quindi, il sequenziamento contemporaneo del cell free DNA fetale dentro quello materno, si riesce a calcolare il rischio di trisomie 21 o 18. Questo porta alcuni benefici e alcune limitazioni. Benefici: ✓ Non invasivo su sangue materno ✓ Può essere fatto in ogni momento dopo le 10 settimane di gestazione ✓ Alta correttezza per la diagnosi delle trisomie, soprattutto 21 e 18 Limitazioni: ✓ Scarsa accuratezza per altre traslocazioni o trisomie che non sono 21 e 18 ✓ Identifica solo aneuploidie ✓ Test costoso Francolino, Gavarini, Galeotti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) lezione 15 03/05/2021 PRENATAL SAFE È un test prenatale non invasivo che rileva anomalie cromosomiche e gravi malattie genetiche del feto, analizzando il DNA fetale libero da un campione di sangue della gestante. Quindi, anche in questo caso l’analisi si fa sul sangue materno e il target da analizzare è il DNA fetale circolante in esso. La metodica usata è sempre il sequenziamento massivo del DNA. Durante la gravidanza, alcuni frammenti di DNA del feto circolano nel sangue materno e sono rilevabili a partire dalla 5° settimana di gravidanza. La quantità di DNA fetale circolante aumenta con l’avanzare dell’età gestazionale e dalla 10° settimana di gestazione è sufficiente per garantire l’elevata specificità e sensibilità del test. Ci sono vari tipi di Prenatal safe a vari livelli, illustrati nella figura. Francolino, Gavarini, Galeotti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) lezione 15 03/05/2021 1. Il primo Karyo, versione 5 attuale, è prodotto per lo screening del cariotipo fetale di tutte le trisomie, le anomalie come sindromi di Turner, Klinefelter, Jacobs, e altre aneuploidie cromosomiche meno frequenti ma che portano a danni piuttosto importanti nel feto. Il prenatal safe Karyo analizza e diagnostica tutte le anomalie più comuni e anche quelle meno comuni, oltre a duplicazioni e delezioni segmentali. 2. Il secondo Karyo Plus, è una versione avanzata del prenatal safe Karyo, che aggiunge anche lo studio di nuove 9 sindromi da microdelezione. Evidenzia anche delezioni molto piccole che causano però gravi anomalie come la sindrome di Cri-du-chat, Angelman, Prader-willi, dando un test più completo. 3. Il terzo Karyo complete, è l’unione dei due test più innovativi oggi disponibili. (ne parleremo più avanti) Il test prenatal safe ha una sensibilità specifica superiore al 99% e un’incidenza di falsi positivi sotto allo 0,1%. Quindi evidenzia il 99,1% delle aneuploidie cromosomiche fetali rilevate alla nascita, raggiungendo un livello di detection rate molto simile a quello del cariotipo fetale tradizionale (96,9%) e molecolare (99,8%) ottenuto mediante tecniche di diagnosi prenatale invasiva. In tabella si vedono comparate le potenzialità diagnostiche del cariotipo fetale tradizionale, del prenatal safe Karyo e del prenatal safe Karyo Plus. Ovviamente tutti e tre i tipi fanno analisi di ogni cromosoma, ma può rilevare fino a 7Mb solo il kayo plus (Mb=Mega basi, non MegaByte (sorry sorry Cabri!)). Anomalie strutturali fino a 10Mb, invece, le rilevano tutti e tre i kit. Come invasività della procedura abbiamo che il cariotipo fetale tradizionale è ottenuto con villocentesi e planiocentesi e quindi è invasivo, mentre gli altri due no. Traslocazioni, duplicazioni e delezioni segmentali sono rilevate da tutti e tre i kit. Aneuploidie a mosaico vengono rilevate solo dal cariotipo fetale tradizionale dove si visualizzano solo guardando fisicamente i cromosomi e senza sequenziamento massivo del DNA. I markers cromosomici di malattie sono rilevabili da tutti e tre i kit., le microdelezioni solo dal prenatal safe Karyo Plus. Le triploidie e il test diagnostico sicuro per l’interruzione di gravidanza solo dal cariotipo tradizionale. Francolino, Gavarini, Galeotti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) lezione 15 03/05/2021 TRIPLOIDIA • • • • • La triplidia è costituita da un set apolide extra di cromosomi per un totale di 69 cromosomi nell’uomo. La Triploidia è presente in circa l’1-13% degli aborti spontanei L’incidenza nei nati vivi è 1:10000. È quindi molto rara e poco compatibile con la vita, ma è possibile. Si sospetta la diagnosi quando si rileva all’ecografia un ritardo di crescita con macrocefalia, idrocefalo (liquor extra), micrognatia (deformazione facciale), microftalmia (occhi piccoli), sindattilia (dita unite). Nel 25% dei casi ci sono difetti del tubo neurale, onfalocele. Altre malformazioni fetali presenti sono anomalie cardiache, ipoplasia polmonare e cisti renali. La maggior parte dei feti con Triploidia esita in aborto spontaneo entro il primo trimestre di gravidanza, solo 1/3 supera le 15 settimane di gestazione. La diagnosi di completa Triploidia è considerata letale, in quanto non ci sono stati bambini sopravvissuti oltre i 10 mesi di vita, la morte sopraggiunge per complicanze delle patologie cardiache e polmonari. PRENATAL SAFE COMPLETE Oltre a studiare il cariotipo fetale, permette di individuare nel feto anche gravi malattie genetiche a trasmissione ereditaria o ad insorgenza de novo. L’origine delle mutazioni germinali può essere anche de novo provando che si tratta del primo soggetto che contrae la mutazione e la inizia a trasmettere. Le malattie rilevabili più note solo quelle mostrate in tabella, ma il test permette di rilevare 44 malattie associate a mutazioni ex novo a carico di 25 geni diversi. Sono malattie che verranno studiate a genetica medica per cui non è necessario conoscere ora il nome ma concentrarsi sull’importanza di avere uno strumento di diagnosi per 44 malattie non presenti in famiglia ma che potrebbero insorgere nel nascituro per mutazione dei geni dei genitori. La figura mostra il confronto del detection rate di anomalie cromosomiche tra il test prenatal safe, a diversi livelli di approfondimento, e il cariotipo fetale. Quelli in rosso sono i vari test di prenatal safe a diversi livelli dal più moderno al più antico. Francolino, Gavarini, Galeotti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) lezione 15 03/05/2021 Le detection rate risultano efficaci ma sempre un pochino inferiori al cariotipo tradizionale e molecolare rappresentati in grigio e associati a tecniche invasive. Qualora esistano rischi per il feto è indispensabile ricorrere alle tecniche invasive per confermare la diagnosi. I vantaggi del prenatal safe: • • • • • • Semplice: prelievo di 8-10 mL di sangue materno dalla 10° settimana Rapido: risultati in 3 gg lavorativi Sicuro: nessun rischio di abortività Sensibile: tecnologia che permette di rilevare con affidabilità anomalie cromosomiche anche a bassa frazione fetale (FF:2%) Affidabile: sensibilità >99% e falsi positivi <0.1% Approfondito: rileva anomalie cromosomiche fetali in tutto il genoma, fornendo risultati molto simili al cariotipo fetale ottenuto mediante diagnosi prenatale invasiva. Risultati ottenibili: POSITIVO ➢ Presenza di aneuploidia o alterazione cromosomica strutturale: indica che il test ha rilevato nel feto un aneuploidia o un’alterazione cromosomica strutturale a livello di uno o più dei cromosomi investigati ➢ Tale risultato indica che il feto presenta una specifica anomalia cromosomica, ma non assicura che il feto abbia tale condizione ➢ Il follow-up consigliato è un test di diagnosi prenatale invasiva, come la villocentesi o l’amniocentesi ➢ In nessun modo è possibile avvalersi della legge 194/78 sulla interruzione volontaria di gravidanza senza prima aver confermato il risultato del test mediante amniocentesi o villocentesi. NEGATIVO ▪ ▪ Assenza di aneuploidia o alterazione cromosomica strutturale: indica che il test non ha rilevato alcuna alterazione a livello dei cromosomi investigati Tale risultato indica che il feto non presenta aneuploidie o alterazioni cromosomiche strutturali a livello dei cromosomi investigati, ma non assicura che il feto sia sano per tali anomalie. Quindi riassumendo: Se si usano tecniche non invasive ci si deve accontentare di una probabilità. Se si vuole la certezza di un risultato o negativo o positivo ci si deve affidare alle tecniche invasive come la villocentesi o l’amniocentesi. Maggi, Maiolo, Martini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) LEZIONE 16, 05/05/21 APPLICAZIONI DELLE CELLULE STAMINALI EPITELIALI IN MEDICINA RIGENERATIVA – Seminario tenuto dal prof. Michele De Luca La medicina rigenerativa si riferisce a quelle che vengono chiamate, anche dal punto di vista regolatorio, terapie avanzate, cioè sostanzialmente farmaci innovativi che non hanno come principio attivo un composto chimico, ma una cellula. L’obiettivo della medicina rigenerativa è quello di rifare, rigenerare, ricreare un tessuto o un organo distrutto. Ovviamente, in clinica, si parte sempre dai tessuti più “semplici”: ad esempio, il sangue (che è fluido), l’epidermide (che è uno strato sostanzialmente bidimensionale, fatto da cheratinociti), in generale comunque tessuti lontani da quelli presenti in alcuni organi complessi come cuore, fegato, polmoni… Per la maggior parte di queste applicazioni cliniche abbiamo bisogno delle CELLULE STAMINALI. Perché? Nel nostro corpo è presente una serie di tessuti che si rinnovano costantemente. Per fare alcuni esempi: L’epidermide viene interamente ricambiata ogni 2 mesi circa; Tutto l’epitelio intestinale, che disteso in lunghezza è ben più di 7-8 metri, viene cambiato ogni settimana: ogni giorno produciamo circa 200 grammi di cellule che vengono poi eliminate con le feci e che fanno parte di questo rapidissimo rinnovamento; Il sangue viene rinnovato nel giro di qualche mese; La cornea ogni 6-8 mesi. Le cellule alla base di questo rinnovamento tissutale sono proprio le cellule staminali: per esempio, in assenza di una cellula staminale ematopoietica, il sangue non potrebbe rinnovarsi, così come se non avessimo una cellula staminale epidermica, la nostra epidermide non potrebbe rinnovarsi. CELLULE STAMINALI 1. Un primo errore comunemente commesso è quello di parlare genericamente e, a volte, impropriamente di “cellula staminale”, quando, in realtà, le cellule staminali sono tante e la loro definizione è una definizione funzionale, ossia legata alla funzione che esse svolgono, non alla loro entità. Infatti, le cellule staminali differiscono l’una dall’altra per vari aspetti: ad esempio, ciascuna cellula staminale, nei diversi tessuti, ha il suo corredo di fattori di trascrizione, ha il suo modo di proliferare, di differenziare, di rinnovare che dipende proprio dal tessuto in cui si trova. Molte cellule staminali possiedono anche una diversa potenza, ovvero una diversa capacità di generare diversi tipi cellulari. Per questa ragione, è sbagliata l’idea secondo la quale, in linea generale, le cellule staminali “facciano tutto”. La cellula staminale che “fa tutto” è la CELLULA STAMINALE EMBRIONALE, motivo per cui viene chiamata pluripotente in quanto dà origine a tutti i tessuti del nostro organismo, incluse le cellule germinali. Tuttavia, tale cellula dura poco, ossia per quei 7-8 giorni che vanno dalla fecondazione alla gastrulazione, quindi alla formazione dei tre foglietti embrionali (ectoderma, mesoderma, endoderma). Ciascun tessuto, al suo interno, ha una popolazione di CELLULE STAMINALI SOMATICHE (o adulte), che sono tendenzialmente, ma non sempre, multipotenti. Nel sangue, per esempio, le cellule staminali emopoietiche sono multipotenti, perché da esse si originano globuli bianchi, globuli rossi ecc., così come le cellule staminali somatiche (adulte) presenti nell’intestino sono multipotenti, in quanto sono in grado di generare le cellule epiteliali, neuroendocrine, del Panet… 1 Maggi, Maiolo, Martini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) LEZIONE 16, 05/05/21 Esistono poi anche CELLULE STAMINALI UNIPOTENTI, cioè talmente specializzate da essere in grado di originare solo uno specifico epitelio (es: cellule della cornea, senza le quali non avremmo l’epitelio corneale). Figura 1 2. Un altro errore comune tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio degli anni 2000 era la credenza che le cellule staminali fossero plastiche: supponendo di collocare una cellula staminale proveniente dallo stroma midollare all’interno di un altro tessuto, si pensava che questa venisse “istruita” a produrre quel tessuto in cui veniva impiantata. Non è vero! Una cellula staminale non è plastica (es: una cellula staminale del sangue può produrre solo elementi del sangue, se la mettiamo nella pelle non produce pelle). Diverso è il concetto della riprogrammazione, cosa completamente diversa dalla plasticità. Da alcuni lavori già nel corso degli anni ‘70, sappiamo che il nucleo di una cellula somatica (es: fibroblasto), se inserito all’interno di una cellula uovo, può essere riprogrammato: è così che poi si è arrivati al CLONAGGIO. In particolare, qualche anno fa sono stati individuati i quattro fattori fondamentali, Klf4, Oct4, Sox2 e cmyc, che hanno permesso di riprogrammare le cellule, quindi farle come “ritornare indietro” e generare così cellule pluripotenti, simili alle embrionali, chiamate CELLULE STAMINALI PLURIPOTENTI INDOTTE (iPS). L’importanza delle iPS, dal punto di vista scientifico, non è tanto la possibilità di evitare l’uso delle cellule embrionali per motivi etici, quanto la possibilità di ottenere queste cellule da quelle del paziente stesso. Se noi quindi dovessimo pensare di andare in clinica generando un tessuto derivato da una cellula staminale embrionale, dovremmo porci il problema del donatore, cioè un problema di tipo immunologico. Questo, invece, non succede con le iPS, dal momento che vengono riprogrammate le cellule stesse del paziente: pertanto, se, ad esempio, genero un’iPS con caratteristiche di pluripotenza di una cellula embrionale e la faccio differenziare a un qualsiasi citotipo, quella cellula presenterà il corredo del paziente stesso, per cui non si avranno quei problemi immunologici legati alle embrionali. 2 Maggi, Maiolo, Martini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) LEZIONE 16, 05/05/21 Delle tantissime cellule staminali esistenti (pluripotenti embrionali, multipotenti somatiche, pluripotenti indotte, unipotenti…), in clinica abbiamo (figura 2): Sperimentazioni cliniche in fase iniziale (I/II) di tessuti generati dalle staminali embrionali; Sperimentazioni cliniche in fase iniziale (I/II) di tessuti generati dalle iPS (riguardanti, in molti casi, le stesse patologie contro cui si utilizzano le embrionali, anche se le sperimentazioni con le staminali embrionali sono molte di più di quelle con iPS); Per quanto riguarda le cellule staminali somatiche (adulte) possiamo fare una distinzione: Cellule staminali ematopoietiche ed epiteliali: queste cellule staminali somatiche, attualmente in clinica, hanno dimostrato una reale capacità di rigenerare il tessuto e hanno aiutato a curare patologie prima non aggredibili Perchè proprio queste cellule? 1. Perché si conosce tantissimo della loro biologia. La medicina rigenerativa con le cellule staminali va di pari passo con la ricerca di base: bisogna conoscere la biologia delle cellule che stiamo usando per poterle usare, per poter chiedere loro di produrre il tessuto che devono dare; 2. Perché è stata dimostrata la loro capacità di rigenerare quel tessuto; 3. Per la possibilità di trasferirle in clinica Altre cellule staminali somatiche (non sono state trattate) Esempio: nel caso in cui dovessimo rigenerare il sangue, prima di tutto, bisognerebbe effettuare la mieloablazione per eliminare la popolazione di cellule del sangue malata (per esempio a causa di malattie genetiche, immunodeficienze o leucemie) e poi infondere le cellule staminali al fine di far ripopolare il midollo. Allo stesso modo, per sostituire la pelle (come nel caso dell’epidermolisi bollosa), bisogna rimuovere la pelle malata per poi applicare quella nuova. Molto diversa è la situazione per quanto riguarda pazienti affetti da distrofia di Duchenne: come si può cambiare l’intera muscolatura di una persona? E così anche per altri organi, molto più complessi del sangue e della pelle. Ecco perché le cellule staminali ematopoietiche ed epiteliali risultano le più indicate e importanti dal punto di vista clinico. Figura 2 3 Maggi, Maiolo, Martini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) LEZIONE 16, 05/05/21 CELLULE STAMINALI EMBRIONALI (CSE): DALLA FECONDAZIONE ASSISTITA ALLE IMPLICAZIONI ETICHE Figura 3 Robert Geoffrey Edwards (Premio Nobel per la Medicina nel 2010) anni fa ideò la fecondazione assistita: al giorno d’oggi, ci sono coppie che, per una serie di motivi, non possono avere figli, pur avendo entrambi i gameti normali. L’idea di Edwards (figura 3) fu quella di eseguire la fecondazione in vitro: attraverso diverse procedure, si preleva, da un lato, l’oocita dalle ovaie, dall’altro, gli spermatozoi e, con una micro-iniezione, si riesce a fecondare la cellula uovo. Si forma così la blastocisti, che costituisce il primo stadio della formazione dell’embrione; essa è formata da una parte esterna, il trofoblasto, ed una parte interna, l’inner cell mass, ovvero un gruppo di cellule tutte uguali fra loro che costituiscono proprio le cellule staminali embrionali. Dopo l’impianto avverrà la gastrulazione, quindi la formazione dei tre foglietti embrionali e lo sviluppo successivo dell’embrione maturo. Questo processo può essere svolto in vitro, pertanto, grazie alla fecondazione assistita, si possono ottenere proprio le blastocisti. In seguito, il ginecologo ne produce un certo numero (seppur non sempre la procedura vada a buon fine), esamina al microscopio le varie blastocisti, valutando una serie di parametri, per capire quale blastocisti può essere usata per generare una gravidanza, infine la impianta nell’utero. Soltanto dopo 5-6 settimane dall’impianto si avrà l’embrione maturo. NB: Nel 1978 nacque la prima bambina per fecondazione assistita (Louise Joy Brown). Oggi i bambini che nascono per fecondazione assistita in Italia sono intorno ai 15.000 all’anno. Cosa ne fa il ginecologo di quelle blastocisti che non possono essere usate perché non presentano i requisiti necessari per generare una gravidanza? Mette queste blastocisti, definite sovrannumerarie, in un congelatore, dove saranno destinate a rimanere per sempre, perché, da un lato, non possono essere usate per generare una gravidanza, dall’altro, non possono nemmeno essere usate per fini di ricerca (in Italia) a causa di un articolo della Legge 40, secondo cui queste blastocisti, in quanto esseri umani, individui, embrioni, non possono essere utilizzate per alcuna finalità e devono, dunque, rimanere nei congelatori (ci consente solo di importarle dall’estero). Scientificamente, però, non è vero! 4 Maggi, Maiolo, Martini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) LEZIONE 16, 05/05/21 LIMITI E PROBLEMI ETICI LEGATI ALL’USO DI CELLULE STAMINALI EMBRIONALI L’utilizzo di queste procedure provoca una serie di problematiche etiche che impediscono l’uso delle blastocisti per la ricerca di base, in quanto la blastocisti di fatto costituisce la prima fase di sviluppo dell’embrione. Figura 4: embrione Uno dei motivi per cui non vengono usate le cellule staminali embrionali è legato all’immaginario collettivo intorno alla parola “embrione”, dal momento che spesso si è soliti immaginare un embrione come quello rappresentato nella figura 4: si tratta effettivamente di un embrione di 5-6 settimane, ma, in realtà, ciò che interessa ai ricercatori è la blastocisti (figura 5), ovvero il primo stadio di sviluppo dell’embrione, una cosa completamente diversa! Le cellule che compongono l’inner cell mass della blastocisti sono a tal punto uguali fra loro che, anche se ne rimuoviamo alcune, non compiamo alcun danno: questo vuol dire che la blastocisti NON è un individuo! Individuo, etimologicamente, vuol dire non divisibile: se “tagliamo” un embrione o un feto, lo uccidiamo. Con la blastocisti questo NON succede, perchè le cellule staminali embrionali hanno in sé la pluripotenza: ciascuna di loro è in grado di creare l’individuo. Figura 5: blastocisti In un esperimento (figura 6), sono state generate delle pecore tutte uguali fra di loro a partire dai singoli blastomeri di una morula. Allo stesso modo, possiamo generare le chimere: prendendo le cellule staminali embrionali di un topo bianco e inserendole nella blastocisti di un topo nero; ancora, rimuovendo parte di queste cellule, esse si riformano per generare l’individuo. Figura 6 5 Maggi, Maiolo, Martini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) LEZIONE 16, 05/05/21 Una serie di ricercatori hanno già dimostrato che le cellule staminali embrionali: possono essere isolate, a partire sempre dalle blastocisti sovrannumerarie; possono essere inserite in una piastra di coltura; possono essere studiate per capire lo sviluppo dei vari tessuti (aspetto importantissimo per la medicina rigenerativa); possono essere indotte a generare una serie di tessuti in vitro In sostanza, in laboratorio, a partire da una staminale embrionale, posso generare le cellule del sangue (mesoderma), le cellule pancreatiche (endoderma), i neuroni (ectoderma)... tutte le cellule e i tessuti! Figura 7 NB: Qual è però il problema? Una delle obiezioni che vennero poste è che non si era mai dimostrato che tali cellule potessero essere utili dal punto di vista clinico. Questo è stato smentito da quei Paesi in cui la ricerca sulle staminali embrionali è permessa (non l’Italia): vediamo alcuni esempi. CSE: AGE RELATED MACULAR DEGENERATION Esiste una malattia che colpisce soprattutto gli ultra-60enni chiamata Age related macular degeneration AMD (degenerazione della macula retinica legata all’età). La macula (figura 8) è il punto di più grande concentrazione di fotorecettori, a livello della retina: si tratta di una struttura fondamentale della retina perché ci consente di vedere tutto ciò che vediamo normalmente. Figura 8 6 Maggi, Maiolo, Martini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) LEZIONE 16, 05/05/21 Cosa succede nella degenerazione della macula retinica? Sebbene siano presenti diverse forme di questa patologia (umida, secca…), tuttavia l’outcome clinico è sempre il medesimo: i pazienti cominciano a non vedere, prima nella parte centrale del campo visivo e progressivamente anche nelle altre parti, fino a diventare ciechi. Figura 9: degenerazione della macula retinica Questa malattia, sebbene possa essere controllata da alcuni farmaci, progredisce inevitabilmente, senza che alcuna terapia possa fare effetto. Inoltre, non esistono cellule staminali somatiche nella retina, a differenza di altri tessuti (sangue, pelle…), perché la retina non è caratterizzata da quel tipo di rinnovamento. Pertanto, l’unico modo reale per poter porre rimedio a questa patologia è quello di usare le pluripotenti, sia embrionali sia iPS, inducendole a generare un epitelio retinico formato da quelle cellule della retina che poi possono essere impiantate per porre rimedio alla degenerazione della macula. Figura 10 È possibile, dunque, generare un vero e proprio epitelio retinico derivante dalle cellule staminali embrionali. Nella figura 11 al centro, si vede l’epitelio retinico umano ricostruito. In Inghilterra stanno già utilizzando questi lembi di epitelio retinico generato dalle staminali embrionali in sperimentazioni cliniche di fase I/II. Figura 11 7 Maggi, Maiolo, Martini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) LEZIONE 16, 05/05/21 CSE: MORBO DI PARKINSON Questa malattia consiste nella degenerazione di una specifica e ben definita popolazione di neuroni, i neuroni dopaminergici, collocati nella sostanza nera del cervello. Questi neuroni inviano soprattutto al corpo striato la dopamina. Il Parkinson può essere inizialmente controllato dal punto di vista farmacologico con la levodopa, però peggiora progressivamente. Un gruppo di ricercatori svedesi, molti anni fa, cominciò a ragionare diversamente: perché non prendere i neuroblasti dopaminergici dai feti abortiti spontaneamente e metterli direttamente nello striato? Dopo tutta una serie di sperimentazioni, si sono convinti che il prelievo di neuroblasti non staminali e neuroblasti dopaminergici fetali iniettati nello striato potesse funzionare, cominciando così uno studio molto complesso. Figura 12 Infatti, è stato osservato sperimentalmente su paziente affetto dal morbo di Parkinson l’effetto del trapianto di neuroblasti dopaminergici fetali, constatando come da una quasi infermità, egli sia riuscito a camminare nuovamente come una persona sana, dopo solo un anno! Chiaramente sono in corso diverse sperimentazioni, che, per essere valide, devono essere sempre riproducibili, ma questo dato ci suggerisce già che tale sperimentazione è fattibile. Figura 13 NB: Ci troviamo, però, di fronte ad un problema di “approvvigionamento”, di consenso per poter utilizzare questi feti abortiti, oltre che limiti etici molto grossi: infatti, per curare un paziente affetto da Parkinson ci vorrebbero 5-6 aborti! Inoltre, non c’è una riproducibilità vera e ci sono problemi di conservazione (non si può pensare di prendere tutti e 6 gli aborti contemporaneamente). Di fatto, quindi, manca quella standardizzazione, quella conoscenza iniziale della biologia delle cellule staminali. Come si sta procedendo? Quello che sta facendo Malin Parmar in Svezia è prendere le cellule staminali embrionali e farle differenziare, anzichè in epitelio retinico come era successo per la retina, questa volta in neuroni dopaminergici. 8 Maggi, Maiolo, Martini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) LEZIONE 16, 05/05/21 CELLULE STAMINALI SOMATICHE La cellula staminale ematopoietica è stata la prima staminale ad essere usata in clinica e in terapia cellulare, nel 1957, grazie allo straordinario lavoro di Edward Donnald Thomas. Circa 30 anni dopo (1984), un’altra cellula staminale entrò in clinica, grazie al lavoro di Howard Green, uno dei migliori biologi cellulari del ‘900, che riuscì per primo ad isolare una cellula staminale epidermica e ad usarla in clinica. NB: la cellula staminale epidermica è stata la prima ad essere usata in clinica dopo coltura, ossia dopo la ricostruzione del tessuto ex vivo, cioè in vitro. Il lavoro di H. Green, pubblicato su The New England Journal of Medicine, trattava di due bambini, ricoverati al Centro Ustioni di Boston, che presentavano il 90-95% di ustioni di terzo grado, pertanto, non avevano alcuna prospettiva di vita. I bambini sono stati completamente ricoperti dalla pelle coltivata da Green nel suo laboratorio, così che, alla fine, sono stati salvati. ESPERIMENTO DI H. GREEN: la prima terapia cellulare con cellule staminali epidermiche coltivate in vitro Da un pezzo di pelle possiamo isolare delle cellule chiamate clonogeniche (figura 14) che hanno capacità proliferativa e che sono situate nello strato basale dell’epidermide. Ciascuna di queste cellule clonogeniche genera una colonia di cellule (figura 14). Le varie colonie createsi, ad un certo punto, si fondono (figura 15), formando quello che Figura 14: a sinistra, cellule clonogeniche isolate, a destra le colonie da esse derivate può sembrare un monolayer, ma che, in realtà, NON lo è, perché esiste l’enzima dispasi (dispase in inglese), in grado di staccare l’intero foglietto che si è formato nella piastra di coltura: quello che si forma è un lembo di epidermide ricostruito (figura 16). Si tratta, dunque, di una procedura salvavita per migliaia di pazienti, con un follow-up di ormai circa 30 anni. Esempio: Quando ci si ustiona e si forma la vescica, quella parte che si stacca dal derma e che forma la parte superiore della vescicola è proprio l’epidermide, che in laboratorio può essere ricostruita sia sulla plastica sia sulla fibrina (figura 16). Proprio questo è stato usato per la prima volta in clinica da Howard Green. NB: Queste cellule clonogeniche però non sono tutte uguali. Esistono tre tipologie di cloni: Figura 15: colonie andate incontro a fusione Figura 16: lembi epiteliali OLOCLONI, circa il 5% della popolazione di cellule clonogeniche che sta nella pelle -> sono le staminali, che consentono la rigenerazione del tessuto MEROCLONI PARACLONI 9 Maggi, Maiolo, Martini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) LEZIONE 16, 05/05/21 NB: Dei circa 7 prodotti a base di cellule staminali che sono stati formalmente approvati dagli enti regolatori (EMA e FDA), 2 sono italiani: 1. HOLOCLAR, per la cornea; 2. STRIMVELIS, per la terapia genica dell’immunodeficienza da adenosina deaminasi 1. RIGENERAZIONE DELLE CELLULE DELLA CORNEA L’occhio è coperto dalla cornea e dalla congiuntiva: due epiteli diversi. La zona di confine tra cornea e congiuntiva (riquadrata nella figura 17) si chiama limbus. Nello strato basale del limbus ci sono le cellule staminali dell’epitelio corneale, che formano i progenitori (le altre cellule clonogeniche) e quelle terminalmente differenziate. 1. Quando abbiamo una moderata ustione dell’occhio che va a Figura 17 danneggiare la cornea, ma non il limbus, si attivano queste cellule staminali e rifanno tutto l’epitelio corneale -> il trapianto di cornea funziona per sostituire i tessuti danneggiati 2. Se abbiamo, invece, un’ustione estesa (figura 18) che distrugge non soltanto la cornea ma anche il limbus, si viene a formare un epitelio congiuntivale che opacifizza l’occhio; si avrà, dunque: limbal stem cell deficiency, pannus, congiuntivalizzazione, sintomi severi e conseguente perdita della capacità visiva -> il trapianto di cornea NON funziona perché non c’è una staminale epiteliale che possa ricoprire il trapianto di cornea. NB: L’unico modo, dunque, per ricostruire questi occhi è rigenerare un epitelio limbo-corneale funzionale e fisiologico partendo dalle cellule staminali del limbus, cosa che si può fare nelle lesioni unilaterali (perché chiaramente bisogna avere una parte di limbus da cui prelevare queste cellule) o nelle lesioni bilaterali, a patto che si sia preservata una zona sana del limbus. Prima di tutto, viene prelevata dall’occhio sano del paziente una biopsia di un paio di millimetri, da cui si ricavano le cellule staminali corneali; viene poi ricostruito l’epitelio corneale su fibrina a partire dalle cellule staminali prelevate. A questo punto, il chirurgo rimuove tutto il pannus (epitelio congiuntivale vascolarizzato) creatosi, così da esporre lo stroma corneale sul quale viene trapiantato chirurgicamente l’epitelio corneale ricostruito. Figura 18: caso 2: congiuntivalizzazione – ricostruzione epitelio corneale su fibrina – prelevamento di cellula staminale dal limbus 10 Maggi, Maiolo, Martini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) LEZIONE 16, 05/05/21 PRIMA… Figura 19a Gli occhi, prima del trapianto della coltura corneale, risultano completamente vascolarizzati, opacificati (la figura centrale indicata dalla freccia mostra un trapianto fallito), caratterizzati da: sintomi severi, perdita della capacità visiva, nessun tipo di reale terapia possibile. DOPO… Figura 19b Gli occhi sono rigenerati con un recupero completo della capacità visiva, grazie al trapianto di epitelio corneale ricostruito mediante cellule staminali. In particolare, il paziente della figura 20 ha avuto lesioni da calce bilateralmente e ha fallito 7-8 trapianti di cornea. Vi era però una piccola zona di limbus che era ancora intatta (riquadrata nella figura 20), per cui è stato possibile coltivare entrambe le cornee, con recupero della vista in entrambi gli occhi. Questa terapia ha portato al brevetto HOLOCLAR ed è stata approvata nel febbraio del 2015. Figura 20 2.TERAPIA GENICA PER L’IMMUNODEFICIENZA DA ADENOSINA DEAMINASI Una volta che abbiamo in mano le nostre cellule e sappiamo coltivarle, trapiantarle e come far originare loro un tessuto, ci poniamo il problema della terapia genica, ossia la correzione di un difetto genetico: è possibile usare le staminali, oltre che per le ustioni, anche per le malattie genetiche della pelle o per le leucemie? È quindi possibile aggredire una patologia genetica? Il sangue è stato il primo tessuto ad essere sperimentato. L’immunodeficienza da adenosina deaminasi (ADA-SCID) è una patologia mortale nei primi mesi di vita che colpisce i cosiddetti “bambini bolla”, i quali non hanno il sistema immunitario, pertanto sono costretti a vivere all’interno di una bolla e hanno una vita breve. Oggi questi bambini vanno a scuola e crescono. Figura 21 11 Maggi, Maiolo, Martini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) LEZIONE 16, 05/05/21 Com’è possibile? Il gruppo milanese che ha condotto uno specifico lavoro su questa patologia, prima di tutto, ha prelevato le cellule staminali ematopoietiche, ha inserito al loro interno il gene corretto della adenosina deaminasi attraverso un vettore retrovirale e ha reinfuso le cellule. Questa è, dunque, una terapia vera, salvavita, registrata con il nome di STRIMVELIS, prodotta e distribuita da un’azienda farmaceutica che si chiama Orchard. Questi e altri ricercatori, con lo stesso concetto, stanno continuando a lavorare con vettori virali per fare sperimentazioni cliniche su altre patologie, come la Leucodistrofia Metacromatica o la Sindrome di Wilskott-Aldrich. EPIDERMOLISI BOLLOSA L’epidermolisi bollosa è una patologia devastante all’origine dei cosiddetti “bambini farfalla”. Fisiologicamente, l’epidermide è attaccata al derma attraverso una serie di strutture che si chiamano emidesmosomi. A livello degli emidesmosomi, i filamenti intermedi all’interno della cellula epiteliale, ovvero le cheratine, prendono contatto con delle integrine (soprattutto a livello dello strato basale con l’integrina α6β4, ma anche β1) e, attraverso il BPAG2 o collagene XVII, vengono in contatto con una proteina fondamentale, la laminina 5 (anche chiamata 332), un eterotrimero formato da tre subunità, che prende poi contatto con fibrille di ancoraggio, nel derma, formate da collagene VII. Questo è quello che permette all’epidermide di mantenersi ancorata al derma. Quando i geni che codificano per queste proteine sono Figura 22 mutati, il sistema di ancoraggio dermo-epidermico va in malora e si formano le cosiddette “blisters” (vescicole). Esistono diverse forme di epidermolisi bollosa: SIMPLEX: presentano mutazioni solitamente dominanti delle cheratine 5 e 14; sono, in genere, le più gestibili da parte dei pazienti, anche perché tendono a migliorare nel corso degli anni; GIUNZIONALE: più grave rispetto alla Simplex; nelle sue forme geneticamente più gravi causa la morte dei bambini affetti in pochi mesi, dopo un’enorme sofferenza; nelle forme in cui presenta una mutazione severa (forme intermediate generalized), il 40% dei bambini non raggiunge l’adolescenza e quelli che riescono a sopravvivere sono soggetti a continue infezioni e dolori, sviluppano bolle in tutto il corpo in seguito a minimi traumi o anche spontaneamente e carcinomi squamo-cellulari altamente metastatizzanti che sono una delle cause di morte precoce; DISTROFICA: più grave rispetto alla Simplex NB: Nelle forme distrofiche, in cui il cleavage, anziché a livello della lamina basale, è più profondo (nel derma) e la flogosi (infiammazione) e la fibrosi (anomala formazione di tessuto connettivo fibroso) sono più profonde, l’epidermolisi bollosa può indurre anche sintattilie, cioè fusioni delle dita. L’unica possibile terapia vera per questi pazienti è la terapia genica, cioè correggere il difetto genetico! 12 Maggi, Maiolo, Martini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) LEZIONE 16, 05/05/21 Nel 2006 è stata fatta la prima sperimentazione al mondo su questi bambini farfalla affetti da una forma giunzionale di epidermolisi. In un paziente, Claudio, con una forma abbastanza grave di questa patologia, sono stati isolati olocloni (cellule staminali), insieme alle altre cellule e sono stati corretti geneticamente. Come si può correggere geneticamente? Se prendiamo un vettore virale, costruito per infettare una cellula, e lo modifichiamo, lasciandogli tutti gli strumenti per attaccare la cellula, ma cambiandogli le sue informazioni genetiche per mettervi quelle corrette (in questo caso specifico, gli introduciamo un cDNA che codifica per quella proteina “Claudioeducata”), il vettore virale attacca la cellula come se dovesse infettarla, ma, in realtà, inserisce nel genoma della cellula ciò che a noi interessa, ossia il gene corretto. In questo modo, pertanto, andiamo a creare lembi di pelle geneticamente modificati che portano la copia corretta del gene. In seguito, basterà rimuovere i pezzi rimasti di pelle malata, procedere all’esfoliazione del derma e, infine, applicare i lembi di pelle geneticamente modificati che provvederanno alla rigenerazione dell’epidermide. Nella figura 23 è rappresentata un’immunofluorescenza che mostra come in Claudio la laminina 5 sia assente prima del trapianto (in alto a sinistra), diversamente rispetto al normale controllo in cui la laminina 5 è ben visibile, in quanto normalmente espressa (in basso a sinistra); mentre, dopo il trapianto, sia a livello della gamba destra sia della gamba sinistra, la laminina 5 è normalmente espressa (immagini a destra). Figura 23 In particolare, grazie all’ibridazione in situ, che va a prendere il messaggero del transgene con una sonda specifica, deriviamo due informazioni: La pelle di Claudio è tutta geneticamente modificata (è transgenica); La pelle di Claudio esprime una quantità normale di laminina 5 Dopo 15 anni di follow-up, quindi dopo una serie di rinnovamenti cellulari della pelle, questa risulta essere sostanzialmente normale. Nel gennaio 2007 è uscita la normativa europea EC Regulation n°1394, la quale prevede che le terapie geniche vengano regolate come farmaci: ciò comporta che, prima di tutto, si abbia un’officina farmaceutica che costruisce e produce farmaci in condizioni GMP1; in secondo luogo, che si abbia un iter di approvazione per le diverse fasi di sperimentazione. A Modena è attualmente presente un centro di Medicina Rigenerativa che ospita al suo interno un’officina farmaceutica GMP. Infatti, assieme all’Università di Parma, nel 2008 è stata fondata HOLOSTEM, la quale si è occupata fin da subito di sperimentazione in condizioni GMP. Solo nel 2015, tuttavia, sono state autorizzate e registrate le terapie sulla cornea precedentemente descritte. 1 GMP: good manufacturing practice, ovvero definizione dei requisiti che devono essere soddisfatti durante le fasi di sviluppo, produzione e controllo dei medicinali al fine di garantirne la qualità farmaceutica, nonché la sicurezza e l’efficacia (Fonte: internet) 13 Maggi, Maiolo, Martini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) LEZIONE 16, 05/05/21 EPIDERMOLISI BOLLOSA GIUNZIONALE Nel 2015 si è verificato un caso di epidermolisi bollosa giunzionale curato presso il centro di Medicina Rigenerativa di Modena. Si trattava di un’epidermolisi bollosa recessiva generalizzata legata ad una mutazione in omozigosi dell’introne 14 nel gene LAMB3. La combinazione, però, tra questa patologia e la successiva insorgenza di un’infezione batterica da Stafilococco aureo ha portato, anziché alla tipica formazione di bolle cutanee in continua evoluzione, alla perdita completa della pelle. Tali condizioni risultano, tuttavia, incompatibili con la vita, in quanto la pelle costituisce la nostra barriera fisiologica. Com’era possibile, allora, salvare quel paziente? Al tempo, il centro di Medicina Rigenerativa di Modena era ancora alla prima fase della sperimentazione riguardante la ricostruzione di lembi di pelle, quindi il rischio di fallimento era elevato, ma, nonostante ciò, si fece carico del caso ugualmente (figure 25-26): Figura 24 2 È stata prelevata una biopsia di 4 cm di pelle La pelle prelevata è stata coltivata È stato generato circa 1 m2 di pelle geneticamente modificata È stato preparato il letto ricevente, esponendo il derma I lembi di pelle geneticamente modificati sono stati applicati sul paziente Figura 26 Già dopo 10-14 giorni si poteva osservare la rigenerazione della pelle Dopo 1 mese la pelle risultava quasi completamente rigenerata Figura 25 Pertanto, si trattava del primo tessuto solido ricostruito completamente su un paziente! In particolare, la sua epidermide geneticamente modificata e ricostruita presenta caratteristiche fondamentali, anche dal punto di vista biologico, come la resistenza alle medicazioni (figura 27). Tutta la pelle del paziente è, dunque, una pelle transgenica: ogni singola biopsia e ogni singola ibridazione in situ, eseguita per verificare che ci fosse il gene LAMB3 appositamente inserito, ha sempre dimostrato la presenza di tal gene; così come ogni biopsia eseguita ha riportato la presenza e la normale espressione della laminina 5 nello strato basale. Tutto è sovrapponibile alla pelle normale. Figura 27 NB: L’unica forte differenza riscontrata riguarda le fibre di elastina: la pelle transgenica presenta una quantità di fibre di elastina molto inferiore rispetto ad un normale controllo, motivo per cui la pelle del paziente risulta piuttosto rugosa e raggrinzita, quindi meno elastica. 14 Maggi, Maiolo, Martini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) LEZIONE 16, 05/05/21 In definitiva, il paziente, entrato in ospedale in fin di vita nel giugno 2015, è uscito dal coma il 23 dicembre 2015, è stato poi dimesso dall’ospedale nel febbraio 2016 ed è potuto ritornare a scuola già da marzo 2016. Dopo 5 anni, nel 2020, il paziente riporta: - Nessun blister sulla pelle geneticamente modificata Guarigione normale delle ferite cutanee Nessun evento avverso Nessun tipo di dolore né prurito Deficit di elastina Discromia, legata ad una disomogeneità nella presenza di melanociti nei lambi di pelle ricostruita Nessun bisogno di creme, pomate o eventuali altri supporti per la sua pelle Cosa hanno imparato i medici da questo caso? Secondo il modello di Chris Potten, esistono cellule staminali quiescenti che danno origine a progenitori transienti (di breve durata) che, a loro volta, daranno origine a cellule terminalmente differenziate. La teoria di Potten fu smantellata in favore del modello di Jones, che NON prevedeva la presenza di alcun tipo di cellula staminale, ma solamente di progenitori a livello dello strato basale che davano origine a cellule terminalmente differenziate. Potten Jones Blanpain Figura 28 Anche questa teoria fu smantellata, in quanto, secondo la teoria di Blanpain, si pensava che esistessero due popolazioni di cellule, ovvero le cellule staminali quiescenti e le cellule staminali attivate, che danno origine a cellule terminalmente differenziate. Questo modello risulta essere molto più simile a quello di Chris Potten, l’unica cosa che rimaneva da capire era se esistesse una popolazione di progenitori transienti: proprio a questa questione diede una risposta il caso esaminato. Come? Quando abbiamo una biopsia e mettiamo le cellule in coltura, nascono delle colonie. Nel momento in cui inseriamo i virus, questi si integrano nel genoma casualmente, pertanto, è quasi impossibile che una cellula, la quale darà origine ad una colonia, presenti l’integrazione del virus nello stesso punto di un’altra cellula, anch’essa in grado di dar origine ad una colonia. Per questo, quando abbiamo il 100% di cellule clonogeniche geneticamente corrette, di cui ognuna è in grado di generare una colonia, come nel caso del paziente precedentemente esaminato, allora tali colonie saranno facilmente identificabili, perché è come se avessero un marcatore specifico, diverso da cellula a cellula, che noi possiamo clonare nel genoma; di conseguenza, risulterà immediato comprendere la derivazione di ciascuna cellula. Pertanto, quando viene creato un lembo di pelle geneticamente modificato e ciascuna di queste cellule cresce, ogni colonia presenterà lo stesso tipo di clonazione, perché deriva dalla stessa cellula founder. Dunque, quei lembi di pelle geneticamente modificati, che vengono applicati al paziente privo di pelle, sono un insieme di colonie diverse tra loro, ciascuna delle quali risulta facilmente identificabile perché è come se fosse marcata in modo diverso (figura 29). Figura 29 15 Maggi, Maiolo, Martini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) LEZIONE 16, 05/05/21 Quando, poi, viene eseguita una biopsia, è possibile riclonare quelle stesse cellule, seguire le varie integrazioni e capire ciò che è accaduto. In particolare, si è osservato nella pelle del paziente che, a poco a poco, tutta la pelle viene ad essere formata soltanto da olocloni (figura 30). Quindi, quando è stata riclonata questa cellula e sono state seguite le diverse integrazioni, sono stati trovati olocloni, ma, in realtà, anche merocloni e paracloni, perché derivavano tutti dagli olocloni founder. Ne deriva che: l’epidermide umana è mantenuta tale SOLO da cellule staminali auto-rinnovanti di lunga durata, ovvero gli olocloni, che però sono in grado di generare progenitori transienti, ossia merocloni e paracloni. Figura 30 In definitiva, grazie al caso del paziente privo di pelle, è stata convalidata la teoria di Potten: abbiamo, quindi, cellule staminali quiescenti che proliferano e che possono attivarsi, mantenendo la loro staminalità, le quali danno origine ai progenitori transienti (durano circa 3 mesi, dopo di che vengono sostituiti). METODO DI RICERCA SULLE CELLULE STAMINALI In ogni caso, alla base di tutto il lavoro sulle staminali, è essenziale: - Conoscere in modo appropriato la cellula staminale che viene utilizzata Definire le malattie da trattare Utilizzare adeguati protocolli clinici: eseguire sperimentazioni in fase I, II, III, ma anche porsi delle domande pertinenti sulle cellule che si vogliono studiare Avere un’idea del probabile risultato ottenibile dalla sperimentazione In caso di fallimento, ripartire con l’indagine e la sperimentazione In caso di successo nella dimostrazione della sicurezza e dell’efficacia della sperimentazione, si può ottenere l’approvazione Questi passaggi corrispondono, essenzialmente, al metodo scientifico: domanda – ipotesi razionale – esperimenti riproducibili – analisi – verifica – pubblicazione. D’altra parte, però, esiste anche il metodo pseudo-scientifico: pregiudizio – bias cognitivo, malafede (strategia retorica, ipotesi non controllabile, aneddoti, manipolazione) – credenza. IL CASO STAMINA: l’anti-scienza Per Caso Stamina s’intende l’uso di cellule staminali mesenchimali per qualsiasi cosa. Ci troviamo di fronte ad un primo problema, ovvero la definizione di cellule staminali mesenchimali: venivano spacciate per cellule staminali mesenchimali genericamente TUTTE le cellule stromali (fibroblasti, adipociti…) collocate nel midollo. In realtà, però, ricercatori seri, tra i quali ricordiamo Paolo Bianco, hanno dimostrato che la percentuale di cellule staminali vere nel midollo (ovvero quelle che hanno self-renewal e sono in grado di generare un determinato tessuto/organo in maniera auto-rinnovante) costituisce SOLO lo 0,02% di tutte le cellule stromali e, oltretutto, tali cellule sono in grado di generare solo le cellule dell’osso. Il “Metodo” STAMINA, fondato nel 2009, prevedeva un’infusione di cosiddette erroneamente “cellule staminali mesenchimali” al fine di trattare un’ingente quantità di patologie diverse. In particolare, quest’idea, assolutamente priva di fondamento medico-scientifico, era sostenuta da Davide Vannoni, inventore del “metodo”, laureato in Lettere e autore di un libro sulla comunicazione persuasiva. Di fatto, quindi, egli era artefice di una vera e propria truffa bloccata nel 2012, grazie all’ispezione di AIFA, ISS e NAS. 16 Maggi, Maiolo, Martini BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) LEZIONE 16, 05/05/21 Ma non è finita qui, per lo meno in Italia, dove, nel 2013, i media, i VIPs e alcuni politici sono insorti, facendo pressione sul ministero perché venisse approvato questo “Metodo” come terapia (anche se di fatto non era una terapia!) sui bambini in gravi condizioni di salute. Queste campagne mediatiche furono talmente tanto impattanti che indussero l’allora Ministro della Salute ad emanare un decreto che legittimava il “Metodo stamina” per motivi etici, nonostante la sua stessa commissione avesse stabilito che il metodo non fosse basato su alcunché di scientifico e fosse anche potenzialmente pericoloso. Persino il Senato approvava il decreto all’unanimità. Di conseguenza, il mondo scientifico mondiale è insorto. Nel frattempo, cade il Governo e subentra un nuovo Ministro della Salute, che, fortunatamente, ha compreso la gravità situazione, tant’è che nel giro di due mesi (marzo-maggio 2013) ha ribaltato la decisione alla Camera: il decreto è stato bocciato all’unanimità. Questo episodio rappresenta il dark side della medicina rigenerativa: un’associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata, in quanto ai danni del Sistema Sanitario Nazionale, perpetrata attraverso la somministrazione di farmaci pericolosi per la salute, l’abuso della professione medica e, tra le altre cose, la violazione della privacy (alcuni video di minori sono stati diffusi sui social senza il consenso dei familiari). Il Caso Stamina è un’esemplificazione dell’ANTI-SCIENZA, i cui elementi costitutivi sono il ciarlatano (Davide Vannoni), gli interessi, il business, l’analfabetismo funzionale, il populismo (cartelloni, striscioni, manifesti), televisione trash, giudici e politici incompetenti. Tutto questo fa parte di quello che si chiama POST-VERITÁ, ovvero quella condizione nella quale una notizia viene percepita come vera dal pubblico sulla base di emozioni e sensazioni, senza alcuna analisi concreta della veridicità effettiva dei fatti raccontati: è il contrario del metodo scientifico, della scienza e della conoscenza medico-scientifica. Lo stesso discorso può essere esteso anche per quanto riguarda gli OGM o i vaccini: si preferisce dar fede alle credenze anziché alle verità scientificamente sperimentate. Domanda: Nel caso in cui la limbal stem cell deficiency sia bilaterale ci sono delle possibilità di cura? Risposta: Idealmente, la cosa migliore da fare in questo caso sarebbe ricorrere all’utilizzo di cellule staminali pluripotenti indotte (iPS), ma si tratta di un qualcosa di altamente complesso per quanto riguarda la cornea. Pertanto, ciò che si sta tentando di fare è sfruttare un epitelio il più simile possibile a quello corneale, ovvero la mucosa del cavo orale. Infatti, ad esempio, le cheratine 3 e 12 sono presenti soltanto nella cornea e nella mucosa del cavo orale. Gli impianti preliminari delle cellule della mucosa del cavo orale negli occhi offrono risultati incoraggianti, seppur non ancora netti e definitivi. Domanda: Al giorno d’oggi, la ricerca è limitata soprattutto per questioni etiche o economiche? Risposta: Dipende dal Paese e dal tipo di cellula che prendiamo in considerazione. Per quanto riguarda le cellule staminali somatiche NON sussiste alcun problema etico. Questo si pone soltanto in riferimento alle cellule staminali embrionali, in quanto SOLO in alcuni Paesi, esistono leggi restrittive (in Italia la Legge 40) sull’uso di tali cellule staminali. Il problema economico solleva diverse questioni: esistono iter burocratici e d’approvazione lunghi e complessi, oltretutto i target di queste terapie sono malattie rare, quindi, tra i costi di sviluppo e di produzione e i target piuttosto ridotti in numero, i costi complessivi diventano difficilmente sostenibili. Proprio il problema economico è la ragione per cui nascono pseudo-terapie che prevedono la singola infusione di cellule con lo scopo di trattare una quantità inverosimile di patologie. Domanda: Come vede il futuro della medicina grazie all’uso di queste nuove terapie? Risposta: La ricerca è inevitabile, non si ferma. La progressione di queste terapie avanzate sarà lenta, anche perché alle grandi imprese non interessa particolarmente, dato che riguarda solo pochi pazienti a singola patologia, ma, in ogni caso, queste terapie innovative prenderanno piede inevitabilmente. 17 Ruggeri, Ramponi, Rovatti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 17 10/05/2021 GENETICA DI POPOLAZIONE Buongiorno, oggi parliamo di genetica di popolazioni, riprendiamo un attimo la teoria dell'evoluzione che in parte avevamo già affrontato: gli organismi viventi si evolvono e la teoria dell'evoluzione proposta da Darwin, universalmente accettata, spiega come le popolazioni di organismi sono cambiate nel tempo; quindi, la teoria dell’evoluzione è il concetto di base unificante di tutta la biologia. Si è cercato di capire, e di fatto si è capito molto, riguardo alla struttura, la funzione e il comportamento degli organismi e le loro interazioni, considerandoli alla luce di un lungo e continuo processo evolutivo che tutt'oggi sta continuando. Nel 1859, Darwin propose la selezione naturale come meccanismo per spiegare l'evoluzione e in base a questa teoria le forme di vita sulla terra discendono, attraverso varie modifiche, da forme preesistenti, cioè da un comune antenato ancestrale. Quindi l’evoluzione è alla base della diversità che esiste tra gli organismi viventi della terra, la tesi dell’evoluzione è supportata da varie evidenze: 1. Ogni membro di una specie è diverso dall'altro 2. Nascono molti più organismi di quelli in grado di sopravvivere fino alla riproduzione, questo vale soprattutto non tanto per la specie umana (dove le cure parentali sono molto importate) ma per le altre specie, in particolare quelle che depongono le uova e che non si occupano più di controllare e salvaguardare la prole (come per esempio la rana dei boschi che depone milioni e milioni di uova per assicurarsi che poi gli organismi che nasceranno siano in numero sufficiente da supportare la continuità della specie. 3. Gli organismi competono nell'ambiente per procurarsi le risorse, in generale in termini di cibo, luce, spazio; quindi, solo chi possiede caratteristiche vantaggiose in quell'ambiente e in quel determinato momento per procurarsi le risorse, sopravvive e si riproduce. Ricordiamo che per la continuità della specie non è sufficiente a sopravvivere, ma è necessario che gli individui si riproducono cioè arrivino alla riproduzione. 4. Gli organismi che sopravvivono e si riproducono trasmettono le caratteristiche vantaggiose alla loro progenie. Anche in questo caso gli individui meglio adattati si riproducono di più (si dice a una migliore fitness evolutiva e di produttiva) e hanno quindi maggior successo. Ciò che Darwin non sapeva è che le basi delle differenze tra gli organismi sono variazioni della sequenza del DNA (non vere e proprie mutazioni, chiamiamole polimorfismi, diverse sequenze di DNA anche codificano per gli stessi caratteri leggermente diversi) che possono essere ereditate e che forniscono la materia prima per l'evoluzione. Quindi le cosiddette caratteristiche vantaggiose che lui ha nominato sono di fatto codificate, come solo oggi sappiamo, da geni che possono variare in sequenza da vari alleli, come abbiamo già descritto, che codificano per lo stesso carattere ma possono dare fenotipi leggermente diversi e posso essere in un determinato momento più adatti o meno adatti a quel determinato ambiente. Gli individui di fatto non evolvono nel corso della loro esistenza, i cambiamenti evolutivi vengono trasmessi da una generazione all'altra, quindi l'evoluzione si studia a livello di popolazione. 1 Ruggeri, Ramponi, Rovatti - BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 17 10/05/2021 Popolazione: insieme di individui della stessa specie che vivono nello stesso luogo e nello stesso periodo. Genetica di popolazione: studia la variabilità genetica all'interno di una popolazione e delle forze che agiscono su di essa (le forze che la fanno evolvere) Pool genico: insieme di tutte le forme alleliche presente in una popolazione. - La variabilità genetica tra individui di una popolazione risiede nel il fatto che ogni individuo possiede come sappiamo una diversa combinazione degli alleli presenti nel pool genico. - Frequenza genotipica: la percentuale, la proporzione di un particolare genotipo nella popolazione. La frequenza genotipica è espressa come frazione decimale e la somma di tutte le frequenze genotipiche all'interno di una popolazione è uguale a 1. Nell’esempio a lato abbiamo un genotipo omozigote dominante AA, un genotipo eterozigote Aa, un genotipo omozigote recessivo aa; considerando una popolazione di 1000 individui e facendo l’esempio che: gli AA siano 490, gli Aa siano 420, gli aa siano 90; le relative frequenze genotipiche sono rispettivamente: 0,49, 0,42, 0,09. La somma di tutte le frequenze genotipiche è uguale a 1. - La frequenza fenotipica è invece la proporzione di un particolare fenotipo all’interno della popolazione, anch’essa è espressa come frazione decimale, e la somma di tutte le frequenze fenotipiche è uguale a 1. Dunque, se ogni genotipo corrisponde ad un fenotipo, la frequenza genotipica e fenotipica si sovrappongono, sono uguali; invece, se l’allele A è dominante su a, come nell'esempio che stiamo facendo, le frequenze fenotipiche saranno le seguenti (nella tabella è espressa la frequenza genotipica in base al numero di individui con un determinato genotipo, e la corrispondente frequenza fenotipica è rappresentato in basso): il fenotipo dominante risulterà dalla somma degli omozigoti AA (490) e degli eterozigoti Aa (420), la somma è quindi 910 (con frequenza fenotipica 0,91); il fenotipo recessivo è costituito da 90 individui e quindi la frequenza fenotipica in questo caso corrisponde a quella genotipica dell’omozigote recessivo che è 0,09. La somma tra 0,91 e 0,09 è sempre 1. - frequenza allelica è definita come la percentuale di un particolare allele nella popolazione, espressa come frazione decimale e anche in questo caso la somma di tutte le frequenze alleliche è uguale a 1. L’allele A è presente in numero di 1400, la frequenza allelica è uguale a 0,7. Il numero di alleli a è 600 e la frequenza allelica è 0,3. La somma delle frequenze alleliche è sempre 1, la somma del numero di alleli è 2000, quindi il numero di individui della popolazione di cui stiamo facendo l’esempio è 1000. 2 Ruggeri, Ramponi, Rovatti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 17 10/05/2021 PRINCIPIO DI HARDY-WEINBERG Hardy e Weinberg erano due genetisti che hanno studiato e hanno praticamente inventato la genetica di popolazione. Hanno studiato l'evoluzione delle popolazioni nel tempo e hanno messo a punto un’equazione, che porta il loro nome, che enuncia che in popolazioni di grandi dimensioni il processo dell'ereditarietà non causa di per sé variazioni delle frequenze alleliche, questa però è una situazione ideale che non si verifica mai in natura, perché in natura è inevitabile che la popolazione evolva del tempo. L’equazione di Hardy-Weinberg ci permette di utilizzare le frequenze fenotipiche di una popolazione per calcolare le frequenze genotipiche e alleliche attese, per esempio di un determinato genotipo o di una determinata malattia genetica in una popolazione per individuare i portatori. Per anticipare perché una popolazione non è mai in equilibrio genetico, cioè le frequenze genotipiche e alleliche cambiano sempre da una generazione dall'altra, osserviamo queste condizioni che devono essere sempre verificate nel caso dell’equilibrio genetico: o o o o o Una popolazione in equilibrio dovrebbe rispettare l'accoppiamento casuale tra tutti gli individui della popolazione popolazioni devono essere sempre molto grandi Non devono esserci fenomeni di migrazione Non devono esserci mutazioni Non deve esserci selezione naturale sugli alleli esaminati Potete concludere già da questo elenco che neanche una di queste condizioni può sussistere in una popolazione. Termini presenti nell’equazione di Hardy-Weinberg: p= frequenza dell’allele dominante A q= frequenta dell’allele recessivo a p+q=1 Quindi p = 1 – q e allo stesso modo q = 1 – p Se p + q = 1 allora (p + q)2 = 1 Quest’ultima equazione binomiale può essere estesa per descrivere la relazione tra le frequenze alleliche e i genotipi presenti nella popolazione. Amplificando questa equazione otteniamo la frequenza di genotipi presente nella prole: p2 + 2pq + q2 = 1 p2: frequenza di AA 2pq: frequenza di Aa q2: frequenza di aa Grazie a quest'equazione possiamo calcolare la frequenza, per esempio degli eterozigoti (e quindi dei portatori di una malattia per esempio autosomica recessiva) in una popolazione conoscendo la frequenza fenotipica, cioè il numero di malati per quella malattia. Il principio di Hardy-Weinberg permette anche di calcolare le frequenze alleliche in una data popolazione. Questi valori (le frequenze alleliche genotipiche, fenotipiche di una popolazione) possono essere paragonati poi agli stessi parametri della stessa popolazione dei parametri che riguardano le generazioni successive. Se tali frequenze variano dai valori predetti dall’equazione, la popolazione si sta evolvendo e questo, come dicevo prima, è sempre avvenuto è sempre avverrà. 3 Ruggeri, Ramponi, Rovatti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 17 10/05/2021 Osservando la figura, il pannello a dipende da quello che abbiamo detto finora, e quindi il calcolo della frequenza degli alleli e dei genotipi riferendosi agli alleli A e a nei gameti. Il pannello b calcola la frequenza di ciascuno dei possibili genotipi derivanti da questi gameti (posti sui bordi del quadrato di Punnet). La frequenza di ciascuno dei possibili genotipi si calcola moltiplicando le frequenze degli alieni A e “a” nelle uova e negli spermatozoi, quindi si fanno le moltiplicazioni e si arriva al calcolo della frequenza del genotipo corrispondente. Ecco un'applicazione in ambito medico del principio di HardyWeinberg: la loro equazione può essere utilizzata per stimare la percentuale della popolazione umana portatrice di un allele per una particolare malattia ereditaria, per esempio autosomica recessiva come la fenilchetonuria(PKU). Sappiamo che la frequenza fenotipica della PKU negli Stati Uniti è 1:10000, quindi q2 = 0,0001. La frequenza allelica q = (0,0001)0,5 = 1 Conoscendo q possiamo ricavare p sottraendolo da 1, p = 1 – 0,01 = 0,99 Conoscendo sia p che q possiamo calcolare la frequenza dell’eterozigote che è 2pq: 2pq = 2 x 0,99 x 0,01 = 0,0198 Cioè circa il 2% della popolazione degli Stati Uniti è portatrice dell’allele per la PKU, ovviamente questa equazione può essere applicata ad altre malattie genetiche. CONDIZIONI PER L’EQUILIBRIO GENETICO Ora analizziamo le condizioni per l’equilibrio genetico e capiamo perché non sono mai realizzabili in una popolazione. Prendiamo quindi in considerazione quelle condizioni che, se rispettate, portano all’equilibrio genetico: 1. Accoppiamento casuale : perché sia vera ogni individuo di ogni popolazione deve avere le stesse probabilità di accoppiarsi con ognuno degli individui di sesso opposto, ma gli individui (della nostra specie ma anche di altre specie) selezionano il loro partner sessuale sulla base del fenotipo quindi tale accoppiamento è quasi sempre disatteso. Si può avere : • • Inincrocio: è un accoppiamento tra individui geneticamente simili; quindi i membri della specie più vicini spazialmente hanno più probabilità di accoppiarsi, però l’inincrocio fa aumentare l’omozigosi con il susseguirsi delle generazioni inincrociate. Questo a volte fa emergere delle caratteristiche svantaggiose, come una malattia genetica recessiva che si manifesta in omozigosi. Quindi, a volte, l’inincrocio determina una diminuzione della Fitness, cioè della capacità relativa di un dato genotipo di dare un contributo genetico alle generazioni successive Accoppiamento assortativo: accoppiamento in cui gli individui selezionano i loro partner sessuali in base al fenotipo. E’ un comportamento adottato non solo nella specie umana, ma anche in molte specie animali. 4 Ruggeri, Ramponi, Rovatti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 17 10/05/2021 Altra condizione che dovrebbe esistere per avere equilibrio genetico di una popolazione è la seguente. 2. Popolazioni molto grandi: eventi casuali tendono ad apportare cambiamenti maggiori in una popolazione piccola piuttosto che in una grande, per esempio c’è una maggiore probabilità di perdere alleli rari in una popolazione piccola piuttosto che in una grande. La produzione di cambiamenti evolutivi casuali in piccole popolazioni si chiama deriva genetica, questa provoca cambiamenti delle frequenze alleliche di una popolazione tra generazioni successive: un allele può essere eliminato indipendentemente dal fatto che sia vantaggioso o no, cioè che codifichi per caratteristiche vantaggiose per l’individuo o individui di quella specie. A causa di cambiamenti ambientali (sempre avvenuti durante la storia della terra) una popolazione può andare incontro ad una rapida e marcata riduzione del numero dei suoi individui, questo è già successo e ha portato molte specie all’estinzione; si dice che la popolazione passa attraverso un collo di bottiglia genetico, durante il quale il numero degli individui di quella specie si riduce enormemente e si può così verificare la deriva genetica dei sopravvissuti. Per esempio considerando i ghepardi viventi tutt’ora sulla terra si è visto che sono geneticamente abbastanza omogenei tra loro, significa che in un qualche momento temporale dell’evoluzione la popolazione di ghepardi sulla terra ha avuto un’enorme riduzione del numero dei suoi individui, è quindi passata per il collo di bottiglia genetico e i pochi individui rimasti si sono incrociati tra loro, mantenendo così la specie, che risulta essere però molto omogenea geneticamente. La deriva genetica che risulta quando un piccolo numero di individui, proveniente da una popolazione grande, colonizza una nuova area è detta effetto del fondatore: le frequenze alleliche della nuova popolazione (quella fondata) differiscono grandemente da quella della popolazione di origine. Per esempio i Finlandesi, prima di divenire tali, erano popolazioni del nord Europa che andarono a colonizzare quella che oggi è la Finlandia, distaccandosi completamente dal loro luogo di origine. Dato che un tempo non c’erano le facilitazioni in termini di scambi e di trasporti la popolazione che migrò rimase isolata dal resto della popolazione del nord Europa. Questo ha portato quindi alla deriva genetica della popolazione e se si esaminano i genotipi dei finlandesi si osserva che sono molto più omogenei tra loro rispetto a quelli della popolazione europea. Altra condizione mai esistita e mai soddisfatta in natura è l’assenza dei fenomeni di migrazione. 3. Assenza di fenomeni di migrazione: la migrazione di individui, che possono riprodursi, tra popolazioni causa un corrispondente movimento di alleli detto flusso genico. Quando gli alleli si spostano da una popolazione all’altra di norma si verifica un aumento della variabilità genetica all’interno della popolazione di destinazione. Fenomeni di migrazione sono sempre esistiti in natura, non solo nella storia dell’uomo ma anche degli altri animali. 4. Assenza di mutazioni (anche questa condizione mai soddisfatta): le mutazioni ereditabili, dette “germinali”, (che colpiscono la linea germinale) determinano un aumento della variabilità all’interno di una popolazione sulla quale agisce la selezione naturale o in positivo o negativo a seconda delle caratteristiche acquisite. Anche in tal caso le mutazioni degli alleli delle sequenze alleliche sono sempre avvenute e continueranno ad avvenire. 5 Ruggeri, Ramponi, Rovatti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 17 10/05/2021 5. Selezione naturale non operante sugli alleli esaminati (anche questa condizione non rispettata): la selezione naturale è continuamente operante, cambia le frequenze alleliche in modo da aumentare l’adattamento dell’individuo. Questo è il meccanismo evolutivo proposto da Darwin. Secondo la selezione naturale i membri di una popolazione che possiedono gli adattamenti più vantaggiosi all’ambiente sono quelli che hanno più probabilità di sopravvivere e di riprodursi. Quindi la selezione naturale porta a cambiamenti evolutivi ed adattativi, quindi seleziona in base alle caratteristiche vantaggiose in un determinato ambiente e in un determinato periodo, però non induce le caratteristiche vantaggiose, semplicemente le seleziona. Esistono, inoltre, vari tipi di selezione naturale : • • • Selezione Stabilizzante Selezione Direzionale Selezione Diversificante Selezione stabilizzante Esistono vari tipi di selezione naturale, come la selezione stabilizzante; questa è quel il processo di selezione associato ad una popolazione ben adattata al suo ambiente. Di fatto seleziona contro i fenotipi estremi. Consideriamo l’esempio dei coleotteri: in assenza di selezione stabilizzante vi è una distribuzione normale (gaussiana) dei fenotipi, con la stabilizzante vi è una selezione negativa sui fenotipi estremi. 6 Ruggeri, Ramponi, Rovatti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 17 10/05/2021 Un esempio sulla specie umana è il carattere peso corporeo dei neonati. Il peso corporeo considerato nel grafico è in libbre, nel picco in blu è indicato il peso corporeo medio alla nascita (3/3,5 kg), mentre la curva rossa esprime la percentuale di mortalità. La selezione stabilizzante che agisce su tale carattere seleziona positivamente i neonati con peso medio e negativamente quelli con peso molto inferiore o superiore alla media. La mortalità, infatti, è più elevata per i neonati con peso molto inferiore o superiore alla media alla nascita. Selezione naturale direzionale È il processo di selezione che favorisce i fenotipi ad uno degli estremi della curva della distribuzione normale Per esempio, consideriamo la taglia maggiore in un determinato ambiente dei fringuelli delle Galapagos (insieme di isole molto studiate in ambito evolutivo). Qui alcune specie di uccelli, in particolare i fringuelli, si sono modificate morfologicamente in varie caratteristiche, come la forma del becco (già detto in precedente lezione), ma anche in merito alla taglia a seconda dell’ambiente trovato. La taglia maggiore, per esempio, è favorita rispetto ad una minore in alcune isole delle Galapagos. 7 Ruggeri, Ramponi, Rovatti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 17 10/05/2021 Selezione naturale diversificante Questa è il contrario della stabilizzante; seleziona positivamente i fenotipi agli estremi della curva gaussiana e negativamente i fenotipi al centro della curva Ga. POLIMORFISMO GENICO E’ un fenomeno che abbiamo già descritto con altre parole, è la presenza in una popolazione di uno o più alleli per un dato locus. E’ un fenomeno molto esteso, sia nelle piante che negli animali, sia vertebrati che invertebrati. E’ una reazione alla sequenza in alleli che codificano sempre per lo stesso carattere. Può essere non dannoso, quindi codificare semplicemente per un fenotipo leggermente diverso di uno stesso carattere o può essere dannoso quando il cambiamento di sequenza esprime una mutazione che fa variare quel determinato carattere e può causare una malattia. 8 Ruggeri, Ramponi, Rovatti BIOLOGIA E GENETICA I (Manfredini) Lezione 17 10/05/2021 VANTAGGIO DELL’ETEROZIGOTE Se ne parla quando la selezione naturale seleziona l’eterozigote (per esempio per una malattia genetica), e quindi la variabilità genetica è mantenuta, quando questo presenta un grado di fitness maggiore di ciascuno degli omozigoti. Per esempio, il vantaggio selettivo degli eterozigoti per l’anemia falciforme si manifesta in determinate regioni del globo dove la malaria è endemica (come le regioni colorate in verde in figura). In tali regioni la frequenza dell’allele HbS (che causa l’anemia falciforme) è molto più alta che in altre regioni del mondo. Questo perché il batterio che causa la malaria, ovvero il Plasmodium Falciparum, cresce meglio negli eritrociti degli individui che non hanno anemia falciforme. Questi individui, infatti, muoiono frequentemente in tali zone per malaria. Il Plasmodium Falciparum, invece, cresce peggio e, quindi, infetta meno l’eterozigote, per la presenza appunto dell’Emoglobina mutata negli eterozigoti affetti da anemia falciforme. Paradossalmente in tali zone dell’africa i portatori di una malattia genetica come l’anemia falciforme, che non manifestano il fenotipo, sono avvantaggiati dal punto di vista della fitness perché sono meno attaccati dal plasmodium della malaria. In omozigosi manifestano la malattia e sono contro selezionati per l’anemia falciforme. Il vantaggio degli eterozigoti in tal caso è legato alla particolare condizione di tali zone dell’Africa. Se trasferissimo tali eterozigoti con l’allele dell’anemia falciforme in Europa o Stati Uniti (dove la malaria non è endemica) il vantaggio si perderebbe, è mantenuto solo in tali zone dove la malaria è endemica. 9 Tolino, Tondi, Tonelli BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) lezione 18, 13/05/2021 LEZIONE CON DOMANDE Buongiorno a tutti, siamo qui per discutere delle lezioni ormai finite, quindi sono a vostra disposizione come d’accordo per eventuali chiarimenti e domande. CHIARIMENTO RIGUARDO ALLA SIMULAZIONE DI LUNEDÍ Domanda: “La simulazione d’esame di lunedì sarà proprio fatta utilizzando Smowl?” Risposta: “No, per la simulazione d’esame di lunedì non si può usare Smowl perché è un sistema a pagamento, non sarà una simulazione su Dolly. Non è una vera e propria simulazione, anche perché voi non avrete finito di studiare, quindi sarà una presentazione da parte mia dei tipi di domande per ogni argomento che abbiamo trattato con i tipi di quiz che possono capitare. Non sarà una simulazione su Dolly e non sarà una vera e propria simulazione.” CHIARIMENTO SU LEZIONI FUTURE Domanda: “Visto che abbiamo finito il programma mercoledì 19 non ci sarà lezione quindi?” Risposta: “Noi abbiamo la discussione delle domande di esame il lunedì 17. Mi riservo di chiedere alle vostre prof di anatomia se hanno bisogno mercoledì 19 mattina nella nostra ora di lezione, ma per quanto riguarda noi non abbiamo lezione.” DOMANDE SUL PROGRAMMA: o Riferimento a PAG.10 LEZIONE 13, BIOLOGIA E GENETICA Domanda: “Quando parliamo di eredità poligenica intendiamo caratteri additivi o anti-additivi?” Risposta: “Vi ho fatto l’esempio del colore della pelle: in quel caso l’insieme degli alleli che vanno a determinare il colore della pelle hanno un’azione additiva perché funziona così quel sistema, ma non necessariamente l’eredità poligenica caratterizza i caratteri additivi o meno. A parte gli esempi che vi ho fatto di eredità monogenica (colore dei capelli, colore degli occhi e alcune malattie monogeniche ereditarie), tutti gli altri caratteri umani sono caratterizzati da eredità poligenica, quindi la maggior parte.” o Riferimento a PAG 7-8 LEZIONE 11, BIOLOGIA E GENETICA Domanda: “Le volevo chiedere se poteva rispiegare brevemente come funzionano i DNA microarrays che ha citato alcune volte e non mi è chiaro” Risposta: “Premettendo che quello che vi posso dire è solo un accenno perché non è il target del corso, i DNA microarrays sono una tecnica di analisi del trascrittoma. Il trascrittoma come sapete è l’insieme di tutti gli RNA trascritti da una cellula. C sono vari metodi per studiarlo e uno è appunto quello che vi sto mostrando (Figura 1), e tra i più emergenti vi è il sequenziamento massivo dell’RNA. 1 Tolino, Tondi, Tonelli BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) lezione 18, 13/05/2021 Per quanto riguarda quelle poche nozioni che vi ho trasmesso sui DNA microarrays, sono una tecnica postgenomica, cioè consente di analizzare interamente tutto il trascrittoma di una popolazione cellulare. Come? Si utilizzano questi microarrays che sono dei chip come quello mostrato nella figura a fianco. Come facciamo a fare un esperimento con i DNAmicroarrays? 1. Innanzitutto dobbiamo analizzare il trascrittoma, quindi dobbiamo estrarre l’RNA totale dalle cellule. 2. L’RNA totale viene praticamente introdotto in questa apertura (cerchiato in rosso nell’immagine a lato) e va a distribuirsi in tutto l’array. Cosa c’è nell’array e come facciamo a capire quali geni sono espressi e quali geni non lo sono in una determinata popolazione? Figura 1 Riusciamo a capirlo perché sul micro-chip, che è un vetrino miniaturizzato, sono legate le sonde, ossia degli oligonucleotidi, dei frammenti di nucleotidi complementari a tutti gli RNA espressi da una cellula. Quindi ci sono i chip che servono per studiare il trascrittoma umano, quelli che servono per studiare il trascrittoma bovino e via dicendo. Ammettendo che questo sia un chip fatto per analizzare il trascrittoma umano, come è stato per quello usato nell’esperimento che vi ho mostrato, su questo chip ci saranno le sonde per tutti gli RNA umani. Quindi: • Se nel campione che noi introduciamo è espresso un determinato RNA (in questo caso ci riferiamo ad un RNA-messaggero, ma possiamo parlare anche di micro-RNA ecc, perchè dipende dal tipo di chip) allora quel determinato RNA si legherà alla sua sonda complementare sul chip. In questo caso avremo un segnale dopo l’analisi bio-informatica di positività e di intensità di positività. • Nel caso in cui l’RNA della popolazione cellulare che stiamo analizzando non sia espresso in quella popolazione non avremo nessun segnale. Quindi questa è un’analisi comparativa, quindi nell’esempio che vi ho fatto (PAG 7-8 LEZIONE 11, BIOLOGIA E GENETICA) andiamo a comparare il trascrittoma di due popolazioni cellulari con questa tecnica: • 10 campioni di staminali di leucemia mieloide cronica; • 10 campioni di staminali normali. Dopo l’ibridizzazione e dopo l’analisi bioinformatica riusciamo con questo sistema a vedere i geni cosiddetti ‘differenzialmente espressi’, cioè espressi nella cellula staminale tumorale, in questo caso di leucemia mieloide cronica, e non espressi o poco espressi nelle cellule cosiddette controparti, ossia le stesse cellule ma normali. 2 Tolino, Tondi, Tonelli BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) lezione 18, 13/05/2021 Infatti, attraverso questa analisi siamo riusciti a vedere che all’interno dei geni differenzialmente espressi delle cellule di leucemia mieloide cronica sono più espressi dei geni che codificano per proteine che proteggono dall’apoptosi, e quindi le cellule tumorali sono più resistenti all’apoptosi fisiologica. Questo è un meccanismo di progressione tumorale. Questo risultato è stato ottenuto sulla base appunto dell’analisi dei geni differenzialmente espressi e essi vengono poi analizzati anche a livello di pathway di segnale che vanno a costruire altri programmi bioinformatici dei network di regolazione, i quali ci rendono l’analisi di questi big data un po’ più facile e interpretabile. o Riferimento a PAG 10-11 LEZIONE 9, BIOLOGIA E GENETICA Domanda: “Prof io avrei un dubbio riguardo la proteina RB, il suo gene è un proto-oncogene o un oncosoppressore?” Risposta: “È un oncosoppressore ed ora vi rispiego il perché. Il proto-oncogene è un qualsiasi gene della cellula che si chiama così perché prima di essere attivato ad oncogene, cioè un gene che provoca il cancro, è un gene normale, importante nella regolazione della proliferazione, nel differenziamento, nell’apoptosi; che una volta mutato viene attivato ad oncogene. Gli oncosoppressori sono anche essi dei geni della cellula ma al contrario dei proto-oncogeni, i quali acquisiscono una nuova funzione (gain of function) e diventano tumori genici, sono dei geni che quando funzionano ci proteggono dal cancro perché inibiscono tutti quei meccanismi che portano alla trasformazione cellulare. L’esempio di RB è legato al discorso della regolazione della proliferazione. RB di fatto è una proteina inibitoria per quanto riguarda la progressione del ciclo cellulare, quindi di fatto è un oncosoppressore. RB è un oncosoppressore perché nella sua forma non fosforilata, come è visibile in figura, prima di metà del G1 e prima che la cellula faccia la transizione G1S, sequestra E2F, un fattore di trascrizione che serve per la trascrizione, quindi la produzione degli enzimi e delle altre proteine della fase S. Quindi, finché E2F è sequestrato da RB non c’è nessuna possibilità che vengano prodotti i costituenti enzimatici e proteici che servono per la replicazione del Dna. Questo per il fatto che la cellula non può passare dalla G1 alla S senza essere pronta così come per tutte le altre fasi: una cellula non può accedere alla fase successiva se non ha completato quella precedente. E2F deve essere in qualche modo rilasciato da RB per fare la progressione G1 e la transizione G1-S. In effetti, come si vede dalla figura, RB viene fosforilato dai complessi Cdk4/6-Ciclina D e cdk2-Ciclina E del G1. Una volta fosforilato, RB non è più in grado di sequestrare E2F e quindi consente alla cellula di progredire durante l’ultima fase del G1 e quindi fare la transizione G1-S. Quindi di fatto RB è un inibitore della proliferazione ed è uno degli oncosoppressori più noti.” 3 Tolino, Tondi, Tonelli o BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) lezione 18, 13/05/2021 Riferimento a LEZIONE 12, BIOLOGIA E GENETICA Domanda: “Come prima legge di Mendel intendiamo la legge della dominanza o la legge della segregazione?” Risposta: “Qui ci sono due interpretazioni diverse a seconda delle fonti da cui si va ad attingere: • Alcuni fonti dicono che la prima legge di Mendel è la “Legge della dominanza e della recessività tra gli alleli” che per Mendel era assoluta, anche se poi si è visto che non è assoluta per tutti i caratteri; e di conseguenza “Il principio della segregazione” diventa la seconda legge e “Il principio dell’assortimento indipendente” diventa la terza. • Altre dicono che la prima, come vi ho spiegato io, è “Il principio della segregazione” e la seconda è “Il principio dell’assortimento indipendente”. Non ha una grande importanza, basta capire che cosa succede e in quali condizioni. Non vi chiedo all’esame qual è la prima e qual è la seconda.” o Riferimento a PAG. 5 LEZIONE 14, BIOLOGIA E GENETICA Domanda: “Potrebbe rispiegare brevemente l’imprinting genomico? Non ho capito perché alcuni geni vengono espressi differenzialmente a seconda dell’origine parentale” Risposta: “L’imprinting genomico è una questione piuttosto complessa e il corso di genetica medica sarà quasi tutto dedicato ai geni imprintati genomicamente. Lo studio dell’albero genealogico identifica anche caratteri non mendeliani per i quali l’origine parentale dei geni non influisce sull’espressione. A parte questo discorso di eredità mendeliana e caratteri non mendeliani, ci sono alcuni geni la cui espressione è influenzata dall’origine parentale. Per la segregazione che avviene durante la meiosi nei gameti, ogni organismo futuro erediterà dai genitori soltanto una copia di ogni gene, quindi erediterà una copia di allele paterno e una copia di allele materno per ogni gene. I geni imprintati genomicamente, che non sono tutti ma solo alcuni, praticamente si comportano per la loro espressione diversamente a seconda che il gene sia di origine materna o di origine paterna, perché per esempio per alcuni geni l’allele paterno è sempre represso. Vi ho accennato come avviene la repressione, la quale avviene attraverso la metilazione di promotori di geni specifici che inibisce la loro espressione. Alla base del fatto che l’allele paterno sia sempre espresso oppure l’allele materno, c’è una metilazione dell’allele che non viene espresso e quindi silenziato. Il meccanismo per cui viene silenziato un allele rispetto ad un altro di fatto ancora non si conosce. Io vi ho fatto l’esempio del caso in cui l’allele materno o l’allele paterno porti una mutazione e che la mutazione sia differenzialmente espressa a seconda che sia ereditata dal padre o dalla madre. Evidentemente l’allele paterno e l’allele materno in quella posizione, che nel caso delle due malattie che vi ho nominato è relativa alla delezione della regione q11-13 del cromosoma 15, danno profili di metilazione diversi. Di conseguenza, i geni che sono contenuti in questa regione, che si tratta di 3 bande cromosomiche e quindi non sono molti, sono metilati nei loro promotori in modo differenziale nell’omologo materno rispetto all’omologo paterno. I geni che sono contenuti in questa regione saranno differenzialmente espressi per questo motivo. La mutazione in quella regione dà quindi origini a fenotipi di malattie diverse a seconda che in quella regione (q11-13 del cromosoma 15) la mutazione sia espressa sull’omologo paterno o su quello materno: 4 Tolino, Tondi, Tonelli BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) lezione 18, 13/05/2021 • sindrome di Prader-Willi (PWS): la delezione è stata ereditata dal padre (malattia autosomica dominante), mentre sul cromosoma materno (normale) è silenziata. • Sindrome di Angelman (AS): la delezione viene ereditata dalla madre (malattia autosomica dominante), mentre il cromosoma paterno (normale) viene silenziato. I geni in quella regione sono dell’omologo materno ed esso viene espresso e non metilato. L’imprinting genomico è un meccanismo attraverso il quale si ha un’espressione differenziale di geni sull’omologo paterno rispetto all’omologo materno. È un meccanismo molto complesso che sarà spiegato meglio negli altri corsi di genetica, specialmente riguardo le malattie.” o Riferimento a PAG. 18-19 LEZIONE 15, BIOLOGIA E GENETICA Domanda: “Parlando dei test genetici, riguardo ai risultati (in questo caso positivi) ha detto “questo risultato indica che il feto presenta una specifica anomalia cromosomica ma non assicura che il feto abbia tale condizione”. Questo è a causa della penetranza dei caratteri?” Risposta: “Penso che tu ti riferisca ai test detti non invasivi, che non danno un risultato certo, come quelli fatti sul sangue della madre, che possono essere sia a carico del sistema sanitario nazionale sia a pagamento, come il Prenatal Safe Complete che vi ho mostrato. Come mostrato nella diapositiva a lato, quando si ottiene un risultato positivo dal Prenatal Safe Complete che è il più avanzato, ma anche dagli altri, ovvero da tutte le metodiche non invasive, esso indica che il test ha individuato un’anomalia (in questo caso un’aneuploidia o un’alterazione cromosomica perché stiamo parlando del Complete) non assicura che il feto abbia tali condizioni. Questa è la premessa. La penetranza del carattere non c’entra nulla in questo caso, ma sono la sensibilità e l’attendibilità del test che entrano in gioco in questo caso, perché sequenziando il cromosoma come fanno questi sistemi non si ha una sensibilità così alta come quella ottenuta con il cariotipo molecolare o il cariotipo tradizionale. Essi però devono essere fatti essenzialmente su dei cromosomi 5 Tolino, Tondi, Tonelli BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) lezione 18, 13/05/2021 derivati dagli amniociti, che si ottengono attraverso le analisi invasive. Quindi quello che otteniamo da tutti questi test non dipende dalla penetranza di nessun carattere ma dipende dall’attendibilità e dalla sensibilità del test. “ (La prof ricorda l’importanza di compilare gli OPIS con cura) o Riferimento a PAG. 14 LEZIONE 15, BIOLOGIA E GENETICA Domanda: “Con il termine "NIPT" intendiamo tutti i test non invasivi (anche BI/TRI-test...) o solo il cell free DNA a pagamento?” Risposta: “Con il termine “NIPT” si intendono tutti i test non invasivi, anche bi/tri-test, presentati nelle diapositive precedenti. Si valutano pochi parametri, in ogni caso sono tecniche non invasive appartenenti alla genetica prenatale. Non solo il cell free DNA è a pagamento.” o Domanda: “È corretto dire che la terapia mirata con Imatinib per la leucemia mieloide cronica guarisce il paziente in modo definitivo?” o Risposta: “È una bella domanda. Si stanno facendo ancora intere sessioni ai congressi di ematologia sul fatto che l’Imatinib o i suoi derivati più recenti abbiano la possibilità di guarire la leucemia mieloide cronica in modo definitivo. È un discorso complesso che varia da paziente a paziente. In generale dopo 15 anni di terapia, visto che l’Imatinib ha comunque effetti collaterali, una frazione di pazienti lo ha discontinuato, cioè sospeso, perché erano in remissione. I pazienti che possono almeno provare a sospendere l’Imatinib sono coloro nella fase della malattia detta “remissione molecolare profonda”, ciò significa che dal punto di vista ematologico sono in remissione, cioè hanno parametri ematologici normali, e che dal punto di vista molecolare significa che nelle loro cellule (soprattutto linfociti nel sangue circolante) vi è assenza del messaggero di fusione, cioè quello codificato da BCR-ABL. In questo caso i pazienti possono provare a discontinuare. Poiché però ci sono alcune cellule staminali leucemiche resistenti all’Imatinib che residuano in alcune nicchie staminali del midollo osseo, in alcuni pazienti c’è stata una ripresa della malattia perché le cellule staminali leucemiche a seguito della sospensione dell’Imatinib hanno ripreso la loro proliferazione. Per cui non si può affermare che la terapia con Imatinib guarisca il paziente in modo definitivo, ma nella maggior parte dei casi tiene a bada la malattia. In altri casi, le cellule staminali leucemiche con un certo immunofenotipo non sono presenti in numero tale da causare una ripresa della malattia, ma ciò dipende da paziente a paziente.” o Riferimento a PAG. 12 LEZIONE 6, BIOLOGIA E GENETICA Domanda: “Non mi è chiaro se M-CSF e NGF siano ligandi di recettori tirosin-chinasici o di recettori associati a Tirosin-chinasi” Risposta: “L’NGF e l’M-CSF sono ligandi di recettori tirosin-chinasici.” 6 Tolino, Tondi, Tonelli o BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) lezione 18, 13/05/2021 Riferimento a PAG. 5 LEZIONE 5, BIOLOGIA E GENETICA Domanda: “Tutti i nomi dei virus e le sigle dei fattori di crescita vanno sapute?” Risposta: “I nomi dei virus della tabella non vanno saputi, così come per tutto il resto del programma vanno sapute le cose riprese più volte e che hanno un’importanza funzionale o strutturale in più processi del nostro corso (non quelle dette una volta in una diapositiva magari per spiegare un acronimo). Ad esempio EGF ed NGF sono state citate più volte, quindi vanno sapute.” o Riferimento a PAG. 9 LEZIONE 17, BIOLOGIA E GENETICA Domanda: “Quando si parla di vantaggio dell'eterozigote s'intende rispetto all'omozigote recessivo, dominante, entrambi o dipende a seconda della malattia?” Risposta: “Il vantaggio dell’eterozigote si intende per una determinata malattia, ma in generale per una determinata caratteristica. Il vantaggio può essere rispetto all’omozigote recessivo, come abbiamo visto nell’esempio dell’anemia falciforme, perché l’anemia falciforme in omozigosi è letale per cui non ha alcun vantaggio rispetto all’eterozigote. Rispetto ad un omozigote dominante, quindi wild type, senza alcuna mutazione, il vantaggio si ha in alcune zone dell’Africa in cui è endemica la malaria. Dipende quindi dalla malattia.” o Riferimento a PAG. 8 LEZIONE 10, BIOLOGIA E GENETICA Domanda: “Tra i 5 giorni dopo la fecondazione, entro cui parliamo di cellule staminali embrionali e la nascita, dopo la quale parliamo di cellule staminali adulte, ci sono cellule staminali?” Risposta: “Le cellule staminali cominciano a formarsi dopo la prima divisione dello zigote e fino alla blastocisti ci sono sempre cellule staminali embrionali che continuano ad esserci fino alla nascita. Dopodiché si inizia a parlare di cellule staminali adulte, anche se sarebbe più esatto definirle cellule staminali post-natali. Se non ci fossero cellule staminali dopo la blastocisti, l’embrione non potrebbe svilupparsi. Le cellule staminali embrionali alla nascita sono praticamente differenziate, quindi abbiamo le cellule staminali adulte o post-natali. Ovviamente un embrione non può stare 9 mesi senza cellule staminali.” o Riferimento a PAG. 8 LEZIONE 8, BIOLOGIA E GENETICA Domanda: “Non mi sono molto chiare le differenze tra Fas e gli altri recettori di morte per quanto riguarda i diversi domini.” Risposta: “Siamo nella fase estrinseca dell’apoptosi. L’attivazione della via estrinseca passa attraverso il legame di un ligando (prodotto ad esempio dalle cellule del sistema immunitario) ad un recettore che si trova sulla cellula bersaglio, quella che andrà in apoptosi. 7 Tolino, Tondi, Tonelli BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) lezione 18, 13/05/2021 Prendiamo ad esempio il Fas o CD95: il Fas Ligand si lega al recettore. Tutti questi recettori (che si trovano su tutte le cellule) hanno in comune un death domain che recluta e lega FADD, cioè FasAssociated Death Domain, quindi va a legare il death domain di Fas, attraverso un altro death domain di D che possiede e va a legare il death domain di tutti i recettori di morte. FADD successivamente lega (attraverso un altro dominio di interazione che non nominiamo) la procaspasi 8, caspasi iniziatrice della via estrinseca dell’apoptosi, in tutti i recettori di morte; la procaspasi viene attivata da questo legame, inizia la cascata caspasica e quindi l’attivazione delle caspasi esecutrici tra cui la caspasi 3 che attiva la DNAsi che frammenta il DNA nucleare. Tra i recettori, quindi, ci sono delle differenze strutturali ma hanno tutti in comune il death domain, il FADD e il reclutamento della procaspasi 8.” 8 Zaimaj, Zeni, Abbati Marescotti BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 19 17/05/2021 SIMULAZIONE ESAME DOMANDE SULLA TEORIA Sbobina scritta tenendo la prima persona della prof. Prima di parlare delle domande tipo che ci potrebbero essere all’esame, vi chiedo se avete domande sulle precedenti lezioni, anche sulla lezione del prof. De Luca in particolare. Domanda: “I nomi degli esempi di targeted therapy vanno saputi?”, riferendosi all’immagine a fianco. Risposta: No questi non sono da sapere, non è necessario sapere tutti i nomi degli anticorpi per le Targeted Therapy. Bisogna conoscere cos’è, poi gli anticorpi specifici gli imparerete più avanti. Non sono importanti per il primo anno di corso, non è il target di questo corso, era solo per mostrarvi un po’ delle terapie applicate nelle immunoterapie. Domanda: “Per quanto riguarda le sindromi cromosomiche e le malattie genetiche, quanto dobbiamo scendere nei particolari per l’esame?”. Risposta: Adesso vi faccio vedere qualche esempio di domanda. Sì, bisogna scendere nei particolari, delle malattie genetiche sia autosomiche che ereditarie, (ovviamente quelle che abbiamo fatto a lezione) dovete sapere il meccanismo di trasmissione, quindi autosomica dominante, autosomica recessiva, legata all’X,... In più bisogna anche conoscere bene come si generano e quali sono i sintomi e le manifestazioni delle varie malattie, quindi per rispondere alle domande bisogna scendere nei particolari come mostrato nelle diapositive. Domanda: “Riguardo la lezione sulla genetica di popolazione, potrebbe rispiegare i vari tipi di selezione naturale, perché non ho capito bene la differenza tra selezione naturale direzionale e diversificante”. Risposta: Io non vi ho fatti molti esempi perché per il vostro corso, il discorso sull’evoluzione non è estremamente importante. Nella figura a fianco sono illustrate la selezione naturale direzionale, pannello c, e quella diversificante, pannello d. La selezione direzionale favorisce i fenotipi a uno degli estremi della curva gaussiana (nella figura ci può essere spostandosi a destra o a sinistra). Vi ho fatto l’esempio dei fringuelli delle Galapagos che sono un modello per studiare la selezione naturale durante l’evoluzione. In questo caso il carattere fenotipico è la taglia. La selezione direzionale in certe isole ha agito in modo da favorire, cioè da selezionare positivamente, i fringuelli di taglia maggiore (nella figura basti che ci immaginiamo che nell’asse delle ascisse ci sia semplicemente la taglia dei fringuelli e non il colore degli insetti) perché in quel particolare ambiente quelli di taglia minore venivano selezionati negativamente. La selezione diversificante, come si vede dal grafico, di cui non vi ho fatto un esempio, è la selezione 1 Zaimaj, Zeni, Abbati Marescotti BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 19 17/05/2021 naturale contraria alla stabilizzante, cioè seleziona i fenotipi agli estremi della curva gaussiana. Il carattere può sempre essere di vario tipo, comunque come vedete dalla figura sono selezionati negativamente i soggetti che hanno espresso quel carattere in misura media. INFORMAZIONI ESAME Domanda: “Prof. conferma che per l’esame non sarà necessario scrivere su carta (ad esempio quadrati di Punnet)?”. Risposta: Confermo che per l’esame non sarà necessario scrivere su carta. Per alcuni upgrade che stanno facendo sul sito di dolly medicina, non sono sicura che si riuscirà a scrivere su un foglio elettronico, comunque non vi preoccupate perché in quel caso, io farò delle domande per cui non è necessario fare dei calcoli scrivendo, saranno calcoli molto semplici da fare a mente. Vi volevo parlare per il discorso delle convalide, perché nessuno mi ha ancora scritto, però ho visto che siete scritti all’esame in 92, almeno qualche ora fa. Tra questi 92 c’è qualcuno che ha delle convalide? Perché ovviamente la convalida dà diritto a svolgere solo quella parte dell’esame per cui non si ha la convalida. Tuttavia in questo caso siccome il test sarà lo stesso per tutti, dovrò etichettare le domande come biologia (generale o cellulare) e l’altra parte come genetica molecolare o classica (formale). Io comunque ho bisogno di saperlo prima dell’esame, perché il tempo a disposizione per chi ha l’esame convalidato sarà metà. Mi deve mandare l’attestato di convalida perché poi il voto finale sarà la media con la parte che ha avuto convalidata con questa parte d’esame e inoltre dovrà sapere che cosa dovrà studiare. Quindi manderò al più presto ai rappresentanti, un elenco in base alle presentazioni che sono caricate su dolly nel materiale didattico, che cosa dovrà studiare chi avrà la convalida di genetica o viceversa. Domanda: “Quanto tempo avremo a disposizione per svolgere l’esame?”. Risposta: Io avevo già fatto la lezione sull’esame, comunque 1 ora. Quello che vi volevo dire era che sia l’apertura del test su dolly (tutte informazioni che vi invierò quando chiuderanno le iscrizioni, ricordarsi di iscriversi, perché bisogna fare un test di smowl e poi bisogna che voi leggiate le istruzioni che io vi mando, i link da seguire ecc..). Comunque nelle istruzioni che vi manderò, ci sarà scritto che l’esame dura un’ora, ammesso che abbiate tutto l’esame da svolgere, cioè che non abbiate convalide, avrete a disposizione 60 minuti per 30 domande. Tutto questo è registrato nell’altra lezione su dolly, quella che avevamo fatta in sincrono. 60 minuti cosa significa? L’esame comincia alle 11:30, così è stato programmato e così deve essere per il monitoraggio di smowl e non si può cambiare. Se vi collegate alle 11:30 avete tempo fino alle 12:30, dopodiché il quiz si chiude. Se per caso avete difficoltà di connessione o altre difficoltà, abbiamo una finestra di 20 minuti oltre a quell’ora, che forse aumenterò a 30 minuti, poi ve lo specificherò, per cui anche se per difficoltà di connessione uno si collega alle 11:40, ha ancora davanti 1 ora per poter finire il compito, non gli si chiude il compito alle 12:30. Però questa finestra non può essere lasciata aperta all’infinito, quindi pensavo per il quiz come il vostro di lasciare aperta la finestra di dolly e smowl fino alle 13:00. Comunque avrete a disposizione solo 1 ora, fa fede il momento in cui vi collegate e iniziate a fare il quiz, da quel momento avete 1 ora, se per motivi vari vi collegate dopo, cercate di non farlo, anche se può succedere, avrete 1 ora davanti a patto che vi colleghiate entro le 12:00. Questo significa che alle 13:00 si chiude tutto e chi rimane a metà consegna a metà. Queste cose saranno dettagliate proprio nella email che vi manderò su esse3, quindi dovete tenere monitorata l’email universitaria perché è attraverso quella che vi darò tutte le istruzioni per come si svolgerà il quiz e all’ultimo momento (10/15 minuti prima dell’esame) riceverete la password per accedere al quiz. Quindi non so se guardate frequentemente l’email unimore, ma i giorni precedenti l’esame e il giorno stesso dovete controllarla spesso, perché esse3 ovviamente manda le comunicazioni sulle vostre email istituzionali. 2 Zaimaj, Zeni, Abbati Marescotti BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 19 17/05/2021 SIMULAZIONE Qui le domande non sono in ordine cronologico di come abbiamo fatto le lezioni, anche perché così non saranno nel test. Ognuno di voi avrà un ordine diverso, perché l’organizzazione del quiz è stata impostata in modo da rimescolare le domande e comunque sono 30 domande su tutto il programma quindi che una domanda venga prima o dopo a seconda di come le abbiamo studiate non importa, basta che le abbiate studiate. Ora vi mostro il file di word con le 15 domande per mostrarvi come sarà l’esame e vi spiego quali difficoltà potreste incontrare. 1) Lo xeroderma pigmentoso è una malattia che non abbiamo fatto, quindi era solo un esempio per dimostrarvi come può essere una domanda su una malattia. In questo caso è una malattia tumorale e quello che viene chiesto è da cosa è causato, da mutazioni su quale classe di geni. Vi ho lasciato una tabella in cui c’è lo xeroderma pigmentoso ma non dovete focalizzarvi su quello. In questo caso, come vi avevo detto, ci sono due tipi di quiz, quelli a più di una risposta e quelli a una sola risposta. Qua chiaramente c’è solo una risposta, perché appartengono solo alla classe del DNA repair, risposta “e” corretta. Quindi qua dobbiamo segnare solo la risposta “e”. 2) Però vi ho anche detto durante la precedente lezione sull’esame, che le difficoltà che possono essere incontrate in questo compito, oltre le nozioni, sono i ragionamenti che dovete fare sulle nozioni. Una domanda tipo la numero 2 è molto nozionistica però può essere anche una domanda non proprio rappresentativa, cioè ci sono delle domande che richiedono un ragionamento ulteriore. Soprattutto lo richiedono quelle domande che richiedono più di una risposta. Tra queste risposte la “d”, che è una risposta multipla, pone il dubbio se la “a” e la “b” siano entrambe giuste. La risposta “e” vi interroga sul fatto che tutte le alternative proposte siano sbagliate. Ragionamento della prof: Gli eucarioti sono suddivisi in 6 regni? No, sono 4 regni. Appartengono al dominio Archea? No, perché è un dominio dei procarioti. Comprendono i protisti? Sì. C’è una sola risposta esatta la “c”. È ovvio che qui la risposta era abbastanza facile, però anche lì bisogna avere studiato, sapere che entrambe le prime due erano sbagliate. Questo è un esempio in cui sono presenti domande multiple che però non sono quelle giuste. 3) Anche questa è una domanda abbastanza semplice, perché potete, analizzando, escludere subito la risposta “a” e “d” perché sono tipiche della necrosi e non dell’apoptosi. Quello che ci può mettere un attimo in difficoltà sono le risposte “b” e “c”, che infatti ho messo come probabili; ma 3 Zaimaj, Zeni, Abbati Marescotti BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 19 17/05/2021 saranno vere tutte e due? La “b” è sicuramente vera, è una delle più importanti funzioni dell’apoptosi. Inizia con il ruffling della membrana plasmatica? Questa se sappiamo qual è la cronologia della fase esecutiva dell’apoptosi, non inizia con il ruffling della membrana plasmatica che è uno degli eventi forse più tardivi, sicuramente uno tra gli eventi che non sono subito all’inizio. Il primo evento è la formazione dei pori transmembrana ad opera degli omodimeri proapoptotici e quindi la permeabilizzazione del mitocondrio. Permeabilizzazione che avviene sulla membrana mitocondriale esterna si ha quindi il rigonfiamento dei mitocondri e anche il rilascio del citocromo C; ci sono molte cose prima del ruffling che è una manifestazione della membrana che avviene successivamente. Quindi anche in questo caso, sebbene le due risposte “b” e “c” possono sembrare vere, ragionando bisogna arrivare a capire che la risposta “c” è sbagliata e quindi anche in questo caso ci sia solo una risposta esatta, la “b”. 4) Dovete sempre diffidare della vostra prof perché potrei mettere dei nomi che assomigliano ad altri nomi ma non significano la stessa cosa. Nomi magari che abbiamo sentito nel nostro corso ma non sono pertinenti a quel tipo di domanda che quindi sarà sbagliata. Questo è un esempio. La cellula procariotica ha il DNA racchiuso nel nucleo? No, quindi la prima è sbagliata. Non ha organelli delimitati da membrana eccetto i ribosomi? Questo vorrebbe dire che ha i ribosomi rivestiti da membrana e quindi è sbagliata. Possiede ribosomi più grandi rispetto ad una cellula eucariotica? No. “Sia b che c” no perché sono sbagliate entrambe. Quindi la risposta è la “e”, sono tutte sbagliate. Non c’è neanche una risposta giusta tra quelle proposte. 5) Una domanda di biologia molecolare / genetica molecolare. Gli operoni, e questa è giusta perché vi ho fatto l’esempio dell’operone del lattosio; TATA box ed enhancer non ci sono nei procarioti, “sia a che c” quindi è sbagliata, “sono tutte esatte” è sbagliata. Anche in questo caso c’è solo una risposta giusta, la “a”. 6) Altra domanda di genetica molecolare. L’estremità 5’ del filamento di DNA o l’estremità 3’ sono sbagliate perché non vi ho mai detto che comincia da una precisa estremità la replicazione; ma comincia dall’origine di replicazione, cioè il sito in corrispondenza del quale inizia la replicazione. Quindi le prime due e anche 4 Zaimaj, Zeni, Abbati Marescotti BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 19 17/05/2021 la “c”, il complesso della DNA polimerasi I e dei due filamenti di DNA, sono sbagliate. La risposta giusta è la “d”. 7) Fino ad adesso vi ho fatto degli esempi in cui c’erano risposte multiple, però c’era sempre solo una risposta esatta, come anche in questa domanda numero 7. Questa è una domanda che riguarda la traduzione. Il sito che porta la catena polipeptidica è il sito P, quello che porta il nuovo amminoacido è il sito A, quindi la risposta esatta è la “d”, occupano i siti P ed A del ribosoma. Qua bisogna ricordarsi dove si legano. 8) In questa domanda numero 8, invece, c’è più di una risposta esatta. Andiamo a vedere quale possono essere queste risposte esatte. La definizione di alleli: sono una di 2 o più isoforme alternative di un gene, questa sembrerebbe esatta. Occupano loci corrispondenti sui cromosomi omologhi, anche questa sembra esatta. Sono localizzati solo negli autosomi, ovviamente no. “Sia a che b” è la risposta corretta, anche se (riferendosi alla b) vi ho detto che X e Y non sono veri omologhi, tuttavia quando si prendono in considerazione le coppie di alleli si prendono in esame anche i cromosomi sessuali. L’ultima è sbagliata. Questa era anche abbastanza facile. La prof si raccomanda di leggere attentamente tutte le risposte e considerarle tutte da un punto di vista critico, non solo nozionistico. 9) Nel caso della domanda 9 dovremmo scrivere, se non riuscissi a darvi il foglio elettronico, come detto prima, convertirò la domanda in una che possiate risolvere senza il foglio. Genitori normali significa fenotipicamente normali, questo sempre, in qualunque domanda di qualunque malattia. A questo punto per risolvere questo quiz dovete sapere come si trasmette la malattia oggetto della domanda, in questo caso il daltonismo. Quest’ultima è una malattia legata all’X recessiva. La possibilità di generare un figlio con determinate caratteristiche è indipendente da quale gravidanza si prende in considerazione, la probabilità è sempre la stessa anche alla centesima gravidanza; nelle domande ci sono queste espressioni che per chi non ha studiato potrebbero indurre in errore. Innanzitutto dobbiamo fare un ragionamento sui genotipi dei genitori. Se il padre è normale significa che è anche geneticamente normale, non ha il gene recessivo del daltonismo. Quindi se il bambino è affetto da daltonismo, ed è un maschio, lo può aver ereditato solo dalla madre che sarà eterozigote, portatrice. Se facciamo gli incroci con il quadrato di Punnet, indipendentemente dal sesso significa che bisogna 5 Zaimaj, Zeni, Abbati Marescotti BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 19 17/05/2021 fare la somma delle femmine e dei maschi, risulta che la possibilità di generare un figlio affetto da daltonismo è il 25%, quella di generare un figlio non affetto da daltonismo indipendentemente dal sesso, è data da tutto il resto quindi il 75% (risposta giusta “b”) Quindi per risolvere i quiz di genetica, Punnet o no, voi dovete sapere, per quelle malattie che abbiamo fatto a lezione, il meccanismo di trasmissione perché altrimenti non avrete dei risultati corretti. Perché io nella domanda metto il nome della malattia, ma non vi metto come è trasmessa, altrimenti vi risolvo io il quiz. 10) Questa domanda è simile a quella di prima. In questo caso però dovete considerare che la malattia ha un meccanismo di trasmissione diverso, perché l’ipercolesterolemia familiare è autosomica dominante e quindi avremo altri risultati. Il padre è eterozigote, però ha comunque la malattia essendo autosomica dominante, ha un allele non funzionante, mutato. La madre è una donna con fenotipo normale, che per una malattia autosomica dominante, se un individuo è fenotipicamente normale significa che è anche genotipicamente normale, quindi i suoi gameti sono normali. Facciamo gli incroci. Viene chiesta la percentuale di generare un figlio (maschi più femmine) non affetti e non portatore. Ovviamente questo non portatore è anche qui una specie di tranello, perché non esistono dei portatori in una malattia autosomica dominante perché si manifestano sempre questi alleli mutati. Quindi ci chiede in sostanza un figlio non affetto. Calcoliamo dal quadrato di Punnet, qual è la probabilità dei vari incroci. Ricordate questa frase: come succede in tutte le malattie autosomiche dominanti, un genitore malato ha sempre la probabilità di trasmettere l’allele malato al 50% della progenie se la intendiamo sia maschi che femmine. Quindi in questo caso la risposta è 50%. Ma questa la potreste risolvere anche se non aveste da scrivere, perché come ho scritto nella diapositiva dell’acondroplasia, un genitore che ha questo tipo di malattia, trasmette la malattia al 50% della progenie. Domanda: Se avessimo una malattia autosomica recessiva il fenotipo normale indicherebbe che un individuo (genitore) sia sano oppure bisognerebbe considerare anche la possibilità che possa essere anche un portatore sano? Risposta: Esatto. Il fenotipo normale indica che l’individuo è fenotipicamente normale, ma non sappiamo com’è il suo genotipo. Se la domanda vi chiede, nel caso di una malattia autosomica recessiva come PKU (fenilchetonuria), due genitori normali hanno un figlio affetto da PKU, qual è la probabilità di avere un altro figlio con fenotipo normale. Nel caso di PKU se abbiamo due genitori con fenotipo normale che generano un figlio malato, significa che erano entrambi portatori. Quando viene scritto normale o con fenotipo normale significa fenotipicamente normale, genotipicamente lo dovete dedurre voi dal figlio che nasce. 6 Zaimaj, Zeni, Abbati Marescotti BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 19 17/05/2021 11) Una donna di gruppo sanguigno AB ha un figlio con un uomo di gruppo sanguigno A, il cui padre era di gruppo 0. Qual è la probabilità che abbiano un figlio maschio di gruppo B? La donna di gruppo sanguigno AB sappiamo già che gameti ha, è un esempio di codominanza, ha tutti e due gli alleli sia IA che IB. Dobbiamo capire che gameti ha il padre di questo bambino: abbiamo un uomo di gruppo A, sappiamo che gli individui maschi e femmine (qui il sesso non c’entra) di gruppo A possono avere due differenti genotipi: IA/IA oppure IA/i. Come facciamo a capire che genotipo ha questo uomo? Lo capiamo facilmente perché ci dice che il padre di questo uomo era di gruppo 0. Il gruppo 0 che genotipo ha? i/i, quindi il maschio in questo caso non può essere omozigote, ma deve avere per forza il genotipo IA/i. Quindi facciamo gli incroci con queste informazioni, la probabilità è il 25% del calcolo. In questo caso avete dovuto fare un ulteriore ragionamento sul genotipo del padre, perché se il padre fosse stato IA/IA gli incroci sarebbero venuti diversamente e il risultato sarebbe stato diverso; nel caso in cui il padre dell’ uomo fosse stato di gruppo A allora avremmo avuto la certezza che il maschio avrebbe avuto genotipo IA/IA e avremmo proceduto in quel senso, ma il fatto che nella domanda sia specificato che il padre dell’ uomo, cioè il nonno del futuro bambino era di gruppo 0, ci ha fatto capire che il maschio di questo incrocio ha un genotipo eterozigote IA/i. Risposta esatta è la “b”. Domanda: Avendo specificato figlio maschio non dovrebbe essere 12,5%, dividendo 25% per due? Risposta: Considerando che maschi e femmine, non è così, però diciamo mediamente su una grande popolazione dovrebbe essere così, è vero, dobbiamo dividere il 50% che ci risulterebbe dalla somma dei maschi e delle femmine di gruppo B per due e quindi la riposta giusta è il 25%. 12) L’ imprinting genomico è un argomento piuttosto ostico che vi spiegheranno molto bene in genetica medica, noi lo abbiamo accennato in un esempio, però questa è una domanda che siete in grado di rispondere. Quali delle seguenti affermazioni sull’ imprinting genomico è vera? Una coppia di cromosomi omologhi proviene dallo stesso genitore, ovviamente è assurdo, è sbagliata. Vi è un’espressione differenziale di un gene a seconda della sua origine parentale, questa è proprio uguale alla definizione che vi ho dato, quindi la “b” è giusta. Le patologie connesse all’ imprinting genomico si manifestano solo in età adulta, no è sbagliata, ed è sbagliata anche la “d”, non si manifestano solo in età prenatale, questo solo è il discriminante. Le cose che non vi ho detto o che non abbiamo detto a lezione, anche se vi sembrano intuitivamente vere probabilmente sono sbagliate, di questo non ne abbiamo parlato. Quindi la “e” è sbagliata perché non sono tutte sbagliate. In questo caso l’unica risposta esatta è la “b”, ma questa è una questione abbastanza nozionistica, non bisogna fare tanti ragionamenti, vi consiglio però di ragionare, alcune parole possono indurvi in inganno. 13) Quali tra queste affermazioni su RB (gene del retinoblastoma) sono vere? È un substrato di MPF che viene attivato nella transizione G2/M, questa è sbagliata perché RB esercita la sua funzione nella fase G1. Viene fosforilata ad opera dei complessi cdk/cicline per promuovere la transizione G1/S, questa è esatta. Quando è fosforilata lega il fattore di trascrizione E2F, questa è sbagliata perché se è giusta la 7 Zaimaj, Zeni, Abbati Marescotti BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 19 17/05/2021 “b” allora è sbagliata la “c”: quando è fosforilato ad opera dei complessi cdk/cicline del tardo G1, ma che all’inizio del G1, non può più legare il fattore di trascrizione E2F. Esaminiamo la risposta “d”: nella forma defosforilata funziona da repressore della proliferazione, c’è scritta sulla diapositiva di RB però facciamo un piccolo ragionamento; perché può essere un repressore della proliferazione? Se noi sappiamo che se viene fosforilato ad opera dei complessi cdk/cicline promuove la transizione G1/S, nella forma defosforilata ovviamente funziona da repressore della proliferazione, cioè da repressore della progressione dalla G1 alla S e quindi anche la “d” è corretta, quindi dovete segnare la riposta “e” “sia b che d”. 14) Quali tra questi eventi possono portare allo sviluppo di un tumore? Anche questi sono esempi di quiz dove c’è più di una risposta esatta, fate particolare attenzione perché questi tipi di quiz ovviamente non saranno contrassegnati. Ricordate che la mancata individuazione di tutte le possibili riposte esatte dà un risultato negativo, cioè la riposta viene considerata sbagliata, quindi analizzate bene ogni risposta se può essere presa in considerazione come una riposta esatta. Sviluppo di un tumore: “gain of function” di un gene oncosoppressore, i geni oncosoppressori perdono la loro funzione per “loss of function”, questa è sbagliata è anche sbagliato dire “gain of function” di un gene oncosoppressore, il gene oncosoppressore ci protegge. “Gain of function” di un proto-oncogene, invece è l’attivazione di un proto-oncogene in un oncogene e questo sì che è giusto. Infezione da retrovirus oncogeni lentamente trasformanti, abbiamo visto una diapositiva tutta sui retrovirus oncogeni e anche questa è esatta, quindi in questo caso abbiamo due riposte esatte “sia b che c” e anche in questo caso dobbiamo segnare quella risposta che racchiude entrambe le risposte esatte che è la “d”. 15) Il processo apoptotico è caratterizzato da: picnosi nucleare e carioressi è esatto. Lisi degli organelli ad opera delle caspasi: prima di tutto gli organelli non si lisano in apoptosi, le caspasi sono delle proteasi e non vanno a lisare gli organelli, vanno a degradare e tagliare delle proteine. Blebbing della membrana plasmatica sì questo è un processo che avviene in apoptosi, quindi in questo caso abbiamo due riposte esatte che sono la “a” e la “c” e quindi segneremo la risposta “d”. CHIARIMENTI FINALI Il quiz è fatto in modo che le 30 domande appaiano in modo sequenziale 6 per pagina e non si può tornare indietro, quindi dovete rispondere alle prime 6, poi cambiare (andare) alla pagina successiva, ma non potete tornare a rivedere le risposte precedenti e questo è un altro livello di difficoltà, però ho visto che i vostri colleghi quando studiano riescono a superare l’esame anche con questi criteri. Domanda: Ma se si volesse lasciar da parte una domanda per tornarci alla fine non sarebbe possibile? Riposta: Vi ho appena spiegato che non è possibile tornarci alla fine, vi danno le pagine in modo sequenziale e non è possibile tornare indietro. 8 Zaimaj, Zeni, Abbati Marescotti BIOLOGIA E GENETICA (Manfredini) Lezione 19 17/05/2021 Domanda: Sì può cambiare una risposta se si cambia idea? Risposta: Sì, però non avete una domanda per pagina, ne avete 6 per pagina, quindi avete tempo di ragionare. Prima di passare ad una pagina successiva si può cambiare una risposta, però non dopo. Domanda: Ma come mai? Risposta: Perché io l’ho impostato così. È un anno e mezzo che sto facendo gli esami in questo modo e chi ha studiato non ha avuto problemi a superare questi piccoli ostacoli. Mi raccomando iscrivetevi prima del 23 che poi chiudo le iscrizioni, allora il 23 maggio scadono a mezzanotte. Lunedì a tutti quelli iscritti manderò tutte le istruzioni per accedere al sito dove si trova il link per l’esame e poi le istruzioni di com’è fatto il test. Poi il 27 che sarà il giorno dell’esame 10/15 minuti prima dell’esame, sempre chi è iscritto, riceverà la password per l’accesso al quiz. Alla fine del quiz, c’è tutto scritto nelle istruzioni, spingete invia che altrimenti non arrivano i risultati e non viene considerato finito. L’ invio non è automatico, dovete inviare voi ma anche questo c’è scritto nelle istruzioni. Se non lo avete già fatto da mail che vi ho inoltrato ai vostri rappresentanti, dovete scaricare SMOWL e fare quella prova che vi chiede, vi consiglio di farlo non oltre le 48 ore prima del test; è successo l’anno scorso che la registrazione non è andata a buon fine e l’esame è stato annullato, però se non lo fate all’ ultimo momento, potete fare il test di verifica e quindi se ci sono problemi si può contattare lo “specialist”. I risultati saranno elaborati nei giorni successivi, perché per il risultato di dolly lo calcola subito il sistema, però per la validazione di SMOWL devo guardare foto per foto le vostre facce mentre fate l’esame, devo guardare i siti, spero che non vi colleghiate, e per ogni collegamento va osservato e verrà giudicato se è una cosa permessa o no, perché sono permessi solo i collegamenti con esami di medicina e la mail perché vi ho mandato la password e basta. Quindi i report di SMOWL mi arriveranno 48 ore dopo e dovrò analizzare tutti, siete in cento e quindi ci vorranno un po’ di giorni. Domanda: il giorno 27 avremmo nelle ore di esame anche lezione di biochimica, dobbiamo avvisare il prof che alcuni faranno l’esame? Risposta: Mi dispiace pensavo che le lezioni fossero finite, alcuni faranno questo esame, adesso siete iscritti in 92. Non è una cosa bella, se l’avessi saputo lo avrei fatto la settimana successiva. Non so rispondervi. Girano anche notizie allarmanti come che se uno starnutisce si annulla l’esame o cose del genere, ma non è vero. I motivi per i quali gli esami sono stati annullati sono: • • • La telecamera disattivata per un periodo di tempo consistente, più di uno o due minuti La registrazione non corretta su SMOWL per cui il report di SMOWL di quello studente non mi è pervenuto. Ripeto registratevi correttamente, fate la prova anche adesso non vi costa niente, anche se non fate l’esame al primo appello Lo studente non si riesce a connettere, dipende dalla connessione che avete nelle vostre case o da dove vi collegate, ovviamente è meglio che in quel momento tutti quelli che sono in casa non guardino film su internet o cose del genere Tenete presente che la principale causa di abbassamento del voto è quella del discorso delle domande valutate sbagliate perché non avete trovato tutte le risposte esatte. Domanda: solo l’emofilia A è legata all’ X recessivo? Risposta: Sì, l’emofilia B non ha questo tipo di trasmissione, infatti noi abbiamo parlato solo dell’emofilia A e del fattore ottavo e non dell’emofilia B e del fattore nono. 9