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I LIMIT DEL MERCATO

I LIMIT DEL MERCATO – RIASSUNTO
CAPITOLO 1: il XIX secolo ha visto un protratta espansione del sistema capitalistico. Il commercio
internazionale prosperava; la produzione di beni e servizi aumentò. In Europa occidentale e in America la
prosperità commerciale iniziò a crescere. La competizione tra imprenditori portò ad una straordinaria
dinamica di progresso tecnologico (ferrovie, elettricità ecc.). Negli anni Trenta fece il suo ingresso la Grande
depressione. In molti paesi i livelli di prosperità crollarono in modo drammatico e la disoccupazione
esplose, causando un collasso dei sistemi democratici tale da condurli infine alla più terribile guerra della
storia. Negli Stati Uniti Roosevelt lanciò il suo New Deal, un programma governativo che mirava a salvare
l’economia attraverso investimenti pubblici su larga scala. In molti paesi il governo divenne l’istituzione
nelle cui mani passarono tutta una serie di decisioni di investimento che precedentemente erano in mano
ai mercati. Dopo la Seconda guerra mondiale la crescita riprese. Il motore della crescita fu dunque
rappresentato dagli investimenti statali. Il fallimento del mercato portò i governi a sviluppare sistemi di
protezione sociale di difesa delle milioni di persone che si trovavano disoccupate, ammalate o disabili.
Nello stesso periodo aumentarono in modo significativo anche le tasse sui redditi più elevati. Tutto questo
entrava in collisione con i fondamenti del pensiero del mercato, secondo cui le persone di successo danno
un contributo essenziale alla prosperità materiale collettiva.
Teoria dello sgocciolamento (trickle down): i poveri di un paese traggono beneficio dalle iniziative
economiche di quei pochi che accumulano grandi fortune. Dopo la Grande depressione questa teoria venne
rigettata.
A partire dagli anni Settanta divenne sempre più chiaro che le economie controllate dallo Stato stavano
raggiungendo i loro limiti. Le compagnie e i settori nazionalizzati subivano grandi perdite che venivano
sanate attraverso le tasse. Le economie controllate dallo stato non erano in grado di creare prosperità
materiale. Il problema stava nella necessità di emanare ad un numero incalcolabile di compagnie istruzioni
che dicessero loro cosa e quanto esse dovevano fabbricare, da chi comprare ecc. Un modello organizzativo
di questa tipo va incontro a due problemi:
1)
Il primo è legato all’informazione: doveva essere disponibile a livello centrale l’informazione
relativa a tutte le opzioni e i metodi di produzione. Si tratta di una mole di dati enorme. Si è
dimostrato impossibile tenere aggiornate tutte queste informazioni.
2) Un secondo problema è che il modello economico della pianificazione centralizzata forniva troppi
pochi incentivi. Le persone facevano solo quello che gli veniva chiesto e nient’altro. La mancanza di
sperimentazione di nuovi prodotti o nuovi metodi che ne derivava ebbe l’effetto di un forte
ristagno tecnologico.
Il fallimento della gestione statale dell’economia portò ad un movimento di liberalizzazione proveniente
dall’America e dal Regno Unito che racchiuse nella sua presa gran parte del mondo. Ovunque i mercati si
riaprirono nuovamente. I governi privatizzarono le aziende pubbliche; i servizi che erano stati nazionalizzati
nel corso dei pochi decenni precedenti venivano di nuovo privatizzati. Il commercio mondiale venne
liberalizzato, ponendo così le basi per un’enorme globalizzazione dell’economia. XIX secolo = trionfo del
sistema di mercato.
L’ascesa del sistema di mercato si è manifestata anche in un altro modo: i meccanismi e i principi di
mercato si sono insinuati in aree della società dalle quali in precedenza erano stati tenuti fuori. Anche
all’interno delle imprese private ha avuto luogo una rivoluzione. Da quel momento in poi le imprese sono
state sempre più indotte a seguire i principi del mercato anche al loro interno. Il mercato trionfava ovunque
ed estendeva la sua azione radiosa. Fu in quel momento che arrivò la crisi del 2008! Ci sono dei limiti
all’estensione dei limiti del mercato. Il mercato va ripetutamente a sbattere contro dei limiti. A quel punto
torna in campo lo Stato e la gestione e il controllo politico riacquistano importanza. È come se il mercato e
lo Stato fossero presi in una battaglia perpetua, tentando di mandarsi al tappeto l’un l’altro e riuscendo
ogni volta a battere l’avversario.
CAPITOLO 2: Da dove viene il successo del capitalismo? È tutto dovuto al suo carattere decentralizzato.
Non c’è nessuno che dica ai consumatori cosa debbano fare, sono autonomi. Ciò nonostante, tutte le azioni
sono tra loro coordinate in mercati nei quali la domanda viene portata a confrontarsi con l’offerta di beni e
servizi. Se vi è una domanda maggiore rispetto all’offerta , i prezzi aumentano; prezzi più elevati portano i
consumatori a comprare di meno mentre incoraggiano le aziende a produrre di più. Questo meccanismo di
autoregolazione consente di soddisfare la domanda del consumatore. Nel momento in cui i nuovi prodotti
prendono piede, gli imprenditori possono fare maggiori profitti.
XVII secolo, Adam Smith, mano invisibile: capace di assicurare che gli sforzi delle imprese nel promuovere i
propri interessi portassero automaticamente a promuovere il benessere generale. Tale intuizione è stata
rivoluzionata, affermando di fatto che l’interesse collettivo viene soddisfatto al meglio quando ognuno si
sforza di soddisfare il proprio interesse.
I limiti di un sistema di mercato sono legati al fatto che la relazione fra la razionalità individuale e quella
collettiva si può recidere. Tale connessione si rompe quando la ricerca del proprio interesse individuale da
parte di milioni di persone non conduce ad una situazione percepita da tutti come ottimale. Ci possono
essere diversi tipi di situazione che raggrupperemo in due categorie:
1) Quella dei limiti esterni. Le decisioni di un individuo hanno spesso un impatto positivo o negativo su
altre persone, impatto che però l’individuo non prende in considerazione. Un mercato non tiene in
considerazione queste esternalità perché in questo sistema gli attori non vengono ricompensati per
farlo. La razionalità individuale non coincide con quella collettiva.
2) Quella dei limiti interni. Ci sono situazioni che producono una frattura tra la razionalità individuale e
quella collettiva. Il sistema di libero mercato fa appello alla razionalità individuale. Tale sistema si
basa quindi su un’immagine dell’umanità che gli economisti denominano Homo oeconomicus, che
viene applicata a individui che valutano continuamente ciò che più a loro conviene.
Daniel Kahneman ha sviluppato l’idea che all’interno del nostro cervello siano in funzione due
diversi sistemi:
A) Il Sistema 1 è legato al comportamento emotivo e intuitivo ed è il più antico in termini evoluti.
Questo governa le emozioni.
B) Il Sistema 2 è la parte della mente umana razionale e calcolatrice. È il sistema che ci porta a
soppesare ciò che è meglio per il nostro benessere.
A differenza del Sistema 1 che ci può condurre a decisioni molto rapide, il Sistema 2 è lento. I due
sistemi sono tra loro connessi ed è quindi necessario che trovino un equilibro. Demasio ha
dimostrato che se le persone lavorano utilizzando solo il sistema razionale, senza generare alcuna
emozione, esse tendono a prendere cattive decisioni.
Limiti interni del mercato: il mercato chiama in causa principalmente il Sistema 2 razionale che è dentro
ognuno di noi. Il fatto che il mercato utilizzi quasi esclusivamente il Sistema 2 produce un conflitto interiore
negli individui.
Problema distributivo: in un sistema di puro mercato viene retribuita solamente la prestazione individuale.
Le persone che non possono fornire delle prestazioni vengono essenzialmente lasciate morire. Il sistema di
mercato è indifferente a tali esiti. Chiamiamo questi limiti interno perché la pressione del mercato a fare
appello al nostro lato razionale e a spegnere l’interruttore delle nostre emozioni, non ci rende felici. Il
sistema di mercato non porta quindi necessariamente alla maggiore felicità possibile per tutti.
CAPITOLO 3: limiti esterni del capitalismo.
1) Primo limite esterno: l’ambiente naturale. Il sistema di libero mercato non possiede alcun
meccanismo capace di ridurre automaticamente costi esterni. La conseguenza è che la razionalità
individuale crea una irrazionalità collettiva. Quello che è buono per me risulta essere cattivo per
molti altri. Quello che è razionale a livello individuale non è necessariamente razionale per la
comunità nella sua interezza.
Come si possono stabilire i confini? Il governo è costituito da persone che hanno accesso a
informazioni frammentarie circa le dimensioni dei danni. Le autorità politiche sono inoltre
influenzate da chi ha provocato i danni oltre che dalle persone che li hanno subiti. Votano
entrambe le parti. Il governo dovrà agire, ma lo farà in modo altalenante. Però possiamo essere
certi che lo farà, perché più estese sono le esternalità, maggiori saranno le pressioni di coloro che
subiscono i danni per tentare di porre fine a questi costi esterni. Il governo sarà obbligato a porre
un freno a chi genera i costi esterni.
Paradosso: maggiore è il successo del sistema di mercato nella sua espansione e nella sua capacità
di creare progresso materiale, maggiore sarà la possibilità che il sistema arrivi a scontrarsi con limiti
stabiliti dallo stato. Il mercato mostra tendenze autodistruttive!
Esempi: il riscaldamento globale e l’ottimismo tecnologico (pp. 34-39)
2) Secondo limite esterno: i mercati finanziari. Con la crisi bancaria del 2008 il sistema ha raggiunto
rapidamente i suoi limiti. Se non ci fossero stati i governi a salvare le banche, adesso in molti paesi
non avremmo più alcun sistema di mercato. Gli investitori desiderosi di ottenere dei tassi di
rendimento elevati, devono raccogliere più informazioni possibili. I mercati finanziari sono quindi
efficienti in quanto garantiscono che i risparmi finanziari si dirigano verso quelle aziende e quei
progetti che hanno le migliori chance di successo futuro. In questa visione idealizzata, inoltre, i
mercati sono stabili. Gli investitori tengono sotto controllo il comportamento di chi utilizza i loro
soldi. In sostanza, il sistema finanziario si autoregola.
Il fattore che più ha inciso nella crisi del 2008 è stato che la teoria non prendeva in considerazione
le esternalità generate dai mercati finanziari.
Esempi: gli effetti gregge nei mercati finanziari, l’effetto dei rischi esterni nel sistema bancario,
espansione e crolli nel capitalismo.
Fonti di esternalità sono: le previsioni e i rischi.
3) Terzo limite esterno: i beni pubblici. Si tratta di beni dei quali beneficiano tutti e sui quali nessuno
può esercitare un diritto privati di proprietà. I diritti di proprietà dei beni pubblici sono collettivi e
questo fatto comporta che nessun membro di tale collettività possa essere escluso dal suo utilizzo.
Il sistema di mercato non possiede nessuno meccanismo di creazione di beni pubblici. Per poter
comprare un bene pubblico, un gruppo di persone deve prendere una decisione comune. Una
decisione collettiva di questo tipo è difficile da raggiungere volontariamente, a causa di quello che
gli economisti chiamano il problema del free rider.
Free rider: si basa su una contribuzione volontaria, ma così facendo molte persone faranno finta di
essere contrarie al solo fine di evitare di pagare contando però sul fatto di poter comunque
utilizzare il bene pubblico. La conseguenza è che le persone disposte a pagare saranno troppe
poche e quindi il bene pubblico non vedrà mai luce (sottostante esternalità).
L’espansione dei mercati ha un doppio effetto: porta sia ad accrescere i danni pubblici che a ridurre
i beni pubblici (pp.49-50).
CAPITOLO 4: i limiti interni del capitalismo. Vedremo in che modo il mercato alimenta la tensione tra il
Sistema 1 ed il Sistema 2, portando così al divario tra il benessere individuale e quello collettivo.
1) Primo divario: mercato e distribuzione. Esempio del pane: ci son due gruppi, il primo compra il
pane a 2€ o più perché gli dà più valore; il gruppo 2 non compra il pane a 2€ perché meno valore, o
forse perché non possono permetterselo?--> il mercato non lo può sapere.
Il gruppo 1 è composto da persone che sono soggette sia al Sistema 1 che al Sistema 2. Il Sistema 1
regola le nostre emozioni, compreso il nostro senso di giustizia. Ci sono individui nel gruppo 1 che
saranno infelici perché questo risultato contravviene al loro senso di giustizia. Alcuni potrebbero
anche arrivare a condividere il proprio pane con i poveri. Il limite interno del libero mercato viene
in questo caso raggiunto perché anche una parte degli individui del gruppo 1 risultano essere
infelici.
2) Secondo divario: motivazione intrinseca ed estrinseca. Il concetto di motivazione intrinseca significa
che le persone sono motivate a impegnarsi nel loro lavoro perché trovano gratificazione. È l’attività
in sé che dà senso alle loro vite. Con motivazione estrinseca, invece, si intendono quelle persone
che compiono degli sforzi con il solo obiettivo della retribuzione finanziaria, il fatto di essere
ricompensati motiva la persona a porre in essa lo stesso sforzo. Nella realtà le due motivazioni sono
spesso fuse insieme.
Il sistema della retribuzione del lavoro, che si basa sulla motivazione estrinseca, implica che il
sistema di libero mercato fa appello principalmente al Sistema 2, razionale e calcolatore.
Ora la questione è se l’estensione del dominio del libero mercato produca o meno la progressiva
predominanza della motivazione estrinseca a spese di quella intrinseca. Ci sono due scuole di
pensiero che si sono espresse su questa questione:
A) Non economisti: il crescente dominio del mercato sopprime la motivazione intrinseca e
costringe sempre di più gli individui a focalizzarsi esclusivamente sugli incentivi economici.
B) Economisti: il trionfo del mercato non conduce necessariamente alla soppressione della
motivazione intrinseca. Secondo Kenneth Arrow in un sistema di mercato possono coesistere
entrambe le motivazioni.
Non c’è quindi contraddizione tra il sistema di mercato e la motivazione intrinseca. La motivazione
estrinseca non va per forza di cose a detrimento della motivazione intrinseca.
3) Terzo divario: competizione e cooperazione. Molto importante la competizione in quanto è essa
che obbliga le imprese a tenere bassi i prezzi. In assenza della concorrenza le imprese non
esiterebbero ad alzare i prezzi.
Ronald Coase: le transizioni di mercato comportano dei costi di transizione: il compratore e il
venditore devono potersi trovare e poi fidarsi l’uno dell’altro; occorre stilare dei contratti e valutare
la qualità dei beni e dei servizi oggetto della transizione. Le compagnie sono quindi organizzate in
modo tale da svolgere autonomamente al proprio interno una parte di queste transizioni. Coase
presuppone che la cooperazione sia sempre il risultato di decisioni razionali da parte degli individui.
L’ascesa del libero mercato non necessariamente genera uno squilibrio nella relazione tra
cooperazione e competizione all’interno di un’azienda.
CAPITOLO 5: l’utopia dell’autoregolazione dei sistemi di mercato. Esistono tre possibili meccanismi di
autoregolazione interna:
1) Il primo riguarda la capacità dei mercati di internalizzare i costi esterni.
Se ci fosse un mercato correttamente funzionante per l’aria e per l’acqua su cui ognuno ha i diritti
di proprietà, allora non esisterebbe alcun problema ambientale. Questo però è estremamente
teorico. Come potremmo stabilire questi diritti di proprietà? In definitiva non possono che essere
delle istituzioni esterne al mercato che dovranno stabilire e far rispettare questi diritti di proprietà
e tutto ciò non può provenire che dallo stato. Il parlamento dovrà sancire il diritto di proprietà ed il
tribunale e le forze dell’ordine dovranno far rispettare tali diritti.
2) Il secondo è legato alla tecnologia: per quanto detto sopra nel punto 1 il progresso tecnologico
potrebbe venire in soccorso. Si tratta di una visione molto ottimistica del futuro: le tecnologie ci
salveranno dal crollo. Occorre un lungo lasso di tempo tra lo sviluppo di una nuova tecnologia e la
sua applicazione in ampi settori dell’economia.
L’ingresso di nuove tecnologie va incontro a nuove resistenze:
- Resistenze psicologiche
- Resistenze economiche
3) Il terzo è legato agli effetti di saturazione. Il capitalismo potrebbe raggiungere uno stato di
autoregolazione interna che spingerebbe le persone a soddisfare le proprie esigenze emotive e
spirituali. Skidelsky (padre e figlio) hanno ipotizzato che quello che rende le persone felici è la vita
buona; noi possiamo essere felici solo se conduciamo una vita buona in cui siamo in grado di
svilupparci integralmente come esseri umani. Queste attività sono possibili solo se sono già stati
soddisfatti i nostri bisogni materiali. Una volta che questo si verifica le esigenze non materiali
diventano la priorità. Il capitalismo porta automaticamente alla saturazione di beni materiali ed è
pertanto capace di autoregolarsi.
La promessa che il capitalismo porta alla soddisfazione delle esigenze materiali non è stata ancora
compiuta e questo a causa di due fenomeni:
A) Le dinamiche del capitalismo si basano sulla continua ricerca di nuovi prodotti
B) Anche se gli europei e gli americani si convertissero in massa alla soddisfazione dei bisogni non
materiali, questo non fermerebbe il resto del mondo dal rincorrere il progresso materiale.
Il sognio di Kuznets: egli stabilì che il capitalismo possiede una legge che garantisce che all’aumentare della
ricchezza di un paese la disuguaglianza tra i redditi diminuisce. La curva di Kuznets contrastava l’idea
marxista per cui il capitalismo avrebbe portato ad una crescente disuguaglianza. Secondo Kuznets un
meccanismo autoregolativo avrebbe garantito che il capitalismo non avrebbe portato agli esiti rivoluzionari
predetti da Marx. Anche la visione di Kuznets sembra essere solamente un bel sogno basata sul periodo
storico.
Nel sistema capitalistico non esiste alcun meccanismo autoregolativo capace di ridurre la disuguaglianza di
reddito e di evitare che il sistema vada violentemente a sbattere contro i suoi limiti.
CAPITOLO 6: chi può salvare il mercato dalla distruzione? La questione è se vi siano dei meccanismi al di
fuori dei mercati che possano frenare la tendenza distruttiva ed evitare così il crollo. In linea di principio
questo è possibile grazie allo stato. Lo stato ha un ruolo da giocare in tre ambiti:
1)
Affrontare le esternalità: Pigou ha sostenuto che se un’azienda genera dei costi esterni emettendo
sostanze nocive, lo stato dovrebbe stabilire la dimensione di questi costi e imporli all’azienda
tramite l’imposizione di oneri fiscali. Inoltre egli distingueva tra esternalità negative che provocano
danni che devono essere affrontati dallo stato mediante la tassazione, ed esternalità positive. Le
tassazioni rappresentano un metodo indiretto, le restrizioni quantitative un metodo diretto.
2) Fornire beni pubblici: spesso non vi è alcun consenso rispetto a quali e quanti beni pubblici siano
necessari. Ogni decisione di realizzare nuovi beni pubblici produce degli effetti collaterali. Abbiamo
quindi bisogno di un governo forte che si in grado di resistere alla pressione di questi gruppi di
interesse.
3) La redistribuzione: al fine di rendere il sistema di mercato socialmente tollerabile e per evitare che
l’insoddisfazione si trasformi in violenta reazione, è necessaria un’istituzione al di fuori del mercato
che redistribuisca i redditi. Il mercato non lo farà autonomamente.
Aspetto paradossale: è lo stato che può salvare il sistema di mercato da sé stesso redistribuendo il
reddito e la ricchezza.
Lo stato dovrà tassare i redditi e i patrimoni più elevati più pesantemente di quanto viene fatto
adesso.
Troppa uguaglianza non fa bene alla crescita economica. Ma neanche troppa disuguaglianza fa
bene, in quanto innesca dei meccanismi che mettono gravemente in pericolo la crescita economica.
Il meccanismo in virtù del quale i paesi con una maggiore uguaglianza fra i redditi sperimentano in
genere una crescita maggiore è legato agli effetti socialmente e politicamente stabilizzanti di una
maggiore uguaglianza.
CAPITOLO 7: i limiti esterni dello stato. Il compito fondamentale dei governi è quello di promuovere
l’interesse collettivo là dove il mercato non è in grado di farlo. È infatti nei casi di ampie divergenze tra gli
interessi collettivi e quelli individuale che lo stato ha il dovere di agire. Se un’azienda inquina, al fine di
difendere l’interesse collettivo lo stato dovrà imporre una tassa. Gli interessi privati (manager, azionisti,
dipendenti) si organizzeranno per persuadere i politi a non aumentare le tasse ambientali. Gli interessi dei
privati entrano in conflitto con quelli della collettività, e sarà il governo a doverli soppesare. Comito molto
difficile per due ragioni:
1) Problema dell’informazione. È molto difficile stabilire scientificamente le dimensioni del danno
legato all’inquinamento, l’informazione finirà quasi inevitabilmente per essere manipolata.
2) Asimmetria nella capacità dei diversi gruppi di interesse di organizzare e intraprender azioni
collettive.
I governi devono quindi mediare tra gli interessi della maggioranza e quelli della minoranza. In molti paesi a
vincere è la minoranza. I politici vengono corrotti dalle aziende inquinanti, con la conseguenza di non
sviluppare alcun meccanismo capace di porre un freno alle loro emissioni dannose. I governi difendono
sistematicamente gli interessi capitalistici. I politici difendono apertamente i capitalistici. Si crea così una
simbiosi tra lo stato ed il capitale.
Acemoglu e Robinson distinguono tra sistemi politici inclusivi ed esclusivi.
A) Sistemi politici inclusivi: basati sullo stato di diritti, cioè sul governo delle leggi
B) Sistemi politici esclusivi: sistemi chiusi, in cui una piccola élite prende sia le decisioni politiche sia
quelle economiche e si appropria di una larga fetta del surplus economico. Il problema di questo
sistema è che il divario tra l’interesse individuale e quello collettivo diventa eccessivamente ampio.
Paradosso: per salvaguardare il capitalismo è necessaria la democrazia. Le istituzioni democratiche rendono
possibile identificare rapidamente l’interesse collettivo; in questo modo le istituzioni democratiche portano
maggiore stabilità. (pp. 97-98)
CAPITOLO 8: i limiti interni dello stato. L’insoddisfazione di molte persone crea per lo stato l’opportunità di
colmare il gap emotivo lasciato dal libero mercato e di focalizzarsi sul Sistema 1. L’impulso ad una equa
distribuzione cercherà di trovare espressione nello stato. I responsabili politici traducono questa spinta in
politiche di redistribuzione del reddito. Gli stati sono quindi i meccanismi attraverso i quali le nostre
emozioni possono trovare espressione. Il mercato si appella al Sistema 2 mentre lo stato al Sistema 1. Il
mercato fa appello al Sistema 2 per una ragione: la scelta sbagliata del consumatore viene immediatamente
punita, egli ha pertanto dei forti incentivi a confrontarsi in mood razionale con il budget limitato che ha la
possibilità di spendere. Questo focalizzarsi sui rispettivi sistemi genera la focalizzazione sui problemi di
efficienza da parte del mercato e sui problemi distributivi da parte dello stato.
Le persone possiedono un forte senso di giustizia e quindi piace punire l’ingiustizia, anche se per farlo
devono pagare un costo finanziario. Il nostro senso di equità è profondamente radicato e nel sistema di
mercato esso subisce spesso degli affronti.
Primo limite: redistribuzione a spese dell’efficienza. Troppa redistribuzione porta a perdite economiche. Se
vogliamo maggiore uguaglianza ne dobbiamo pagare il prezzo sottoforma di riduzione della crescita
economica. Maggiore uguaglianza significa perdita di prosperità ed efficienza. Il trade-off tra efficienza ed
uguaglianza rappresenta un limite importante alla politica di redistribuzione. Maggiore uguaglianza porta a
maggiore stabilità, aumentando così l’efficienza, ma troppa uguaglianza diminuisce l’efficienza.
Lo stato può proseguire nella politica redistributiva solo fino a quando la prosperità materiale non ne viene
danneggiata. Nel caso questa soglia venisse superata gli stati raggiungerebbero i loro limiti, e vi sarebbe
buone possibilità che il loro ruolo nell’economica venga risospinto indietro.
Secondo limite: equilibro tra Sistema 1 e Sistema 2. Lo stato che fa appello al Sistema 1 e si concentra sui
problemi di redistribuzione si scontra con le esigenze di sviluppare anche il Sistema 2, il quale consente agli
individui di stabilire ciò che è bene o male per loro stessi.
La previdenza sociale è stata sviluppata in risposta alla natura cieca del sistema di mercato. Il libero
mercato è indifferente alla disuguaglianza e va avanti come se niente fosse e questo va conto il nostro
senso di giustizia. La previdenza sociale è un termine con cui gli economisti intendo che ogni volta che ci
assicuriamo contro un particolare rischio, la nostra vigilanza rispetto a tale rischio tenderà a ridursi.
L’assicurazione contro la disoccupazione può portare il disoccupato a cercare lavoro meno intensamente.
Quando un comportamento comprensibile e razionale di questo tipo diventa eccessivamente diffuso i
sistemi di protezione sociale possono andare incontro ai propri limiti. L’assistenza sociale esiste perché la
disuguaglianza e la povertà offendono il nostro senso di giustizia; al tempo stesso è sempre un senso di
giustizia che pone dei limiti agli eccessi dell’assistenza sociale.
CAPITOLO 9: chi comanda, lo stato o il mercato? Alcuni studiosi sostenevano che ci fosse una forma di
gerarchia tra stato e mercato.
A) Secondo i fondamentalisti del mercato, immaginando questa gerarchia sotto forma di piramide, il
sistema di mercato costituisce la base in cui il valore economico viene prodotto. Questo valore
rende poi possibile mantenere il settore pubblico. Senza mercato non potrebbe esistere alcuno
stato. Il settore pubblico in certo senso è parassitario in quanto succhia risorse dal settore privato.
Gli uomini d’affari tendono a pensare al settore di mercato come produttivo e al settore pubblico
come improduttivo.
B) Secondo i fondamentalisti dello stato la gerarchia va in senso diametralmente opposto. Lo stato
rende possibile stabilire e far rispettare i diritti di proprietà. Senza lo stato di diritto che può essere
garantito solo da un governo, un sistema di mercato stabile è impossibile. Nell’ottica di questa
concezione il settore pubblico non è meno produttivo di quello del mercato.
Queste visioni gerarchie sono sbagliate in quanto entrambe raccontano solo parte di ciò che avviene. È vero
che senza stato non è possibile alcun sistema di mercato. Ma è anche vero che l’espansione del settore
pubblico è possibile soltanto in presenza di un produttivo settore di mercato. Entrambi i settori hanno
bisogno l’uno dell’altro.
Dibattito sul costo: costi del lavoro elevati non portano necessariamente a problemi e che potrebbero anzi
rappresentare un vantaggio. Alti costi del lavoro sono la conseguenza di un’elevata pressione fiscale sotto
forma di tasse sul reddito personale e di contributo previdenziali. Il carico fiscale deve essere ridotto al fine
di garantire la futura sostenibilità delle imprese. Gli alti costi del lavoro sono interpretati anche come il
risultato dell’elevata produttività. La crescita della produttività genera un fenomeno importante:
l’innalzamento dei salari. Un salario elevato è una ricompensa per la competenza, il sapere e l’impegno. La
crescita della produttività porta inevitabilmente alla perdita di posti di lavoro. Gli alti salari non sono un
ostacolo all’elevata competitività, ma la promuovono.
CAPITOLO 10: ascesa e caduta del capitalismo: ciclica o lineare? Due tipi di teorie:
A) Teorie lineari: teorie che predicevano che il capitalismo sarebbe scomparso e sarebbe stato
sostituito in via permanente da una qualche forma di controllo dello stato sull’economia.
B) Teoria ciclica: predice che il capitalismo è soggetto ad un’ascesa ed una caduta seguita poi da una
resurrezione, che a sua volta porta ad un’ascesa e ad una caduta, ad infinitum.
Altre teorie lineari della morte del capitalismo: il capitalismo sarebbe scomparso e sarebbe stato sepolto
per sempre.
A) Rosa Luxemburg sosteneva che nelle società capitalistiche si verificasse una mancanza di crescita di
consumi e che questa fosse di per sé una conseguenza dello sfruttamento e dei bassi salari dei
lavoratori. La rivoluzione sarebbe quindi diventata inevitabile.
B) Lenin pensava che nei paesi capitalistici che lottavano fra loro per trovare uno sbocco per i loro
prodotti, avrebbero tentato di ampliare i propri mercati attraverso l’espansione coloniale. In tal
modo il capitalismo avrebbe inevitabilmente condotto all’imperialismo e alla guerra.
C) Joseph Schumpeter affermava l’ostilità degli intellettuali nei confronti di un sistema di mercato
decentralizzato. Come il sistema di mercato funziona in maniera decentralizzata, portando a un
certo punto equilibrio tra la domanda e l’offerta, riuscendo a fare ciò in assenza di un intelletto
centrale che guidi questa ricerca dell’equilibrio. Il capitalismo sarebbe quindi un sistema che non ha
bisogno di essere guidato a livello centralizzato. In un sistema di mercato gli intellettuali possono
quindi essere messi da parte. Questo è il motivo secondo Schumpeter per cui gli intellettuali sono
ostili al capitalismo.
Karl Polanyi: una delle caratteristiche fondamentali del sistema predetto da lui è che esso mercifica
qualsiasi cosa, rendendola scambiabile sui mercati. Il lavoro diventa una merce. Di conseguenza, il sistema
di mercato trasferisce il controllo della sopravvivenza degli esseri umani a forse astratte ed impersonali. I
soggetti che non sono abbastanza forti soccombono.
I meccanismi distruttivi dei processi di autoregolazione conducono inevitabilmente allo sviluppo di contromovimenti. La convinzione di Polanyi era che questi meccanismi protettivi avrebbero distrutto il sistema di
mercato, in quanto ne avrebbero minato la flessibilità. Di conseguenza, il sistema di mercato smetterà di
produrre il miglior risultato possibile per tutti, non essendo più possibile affidarsi ad esso per produrre
crescita ed innovazione.
Il problema ancora una volta è che Polanyi vedeva la sua previsione del declino finale del capitalismo nel
contesto di un’evoluzione storica lineare.
CAPITOLO 11: in questo capitolo vedremo perché questo mutamento del regime monetario ha reso più
difficile per i governi nazioni intervenire per stabilizzare il sistema di mercato. Per colmare questo gap è
aumentato il potere dei mercati finanziari.
La moneta viene gestita da una banca centrale comune; questo significa che i singoli governi perdono il
controllo sulla moneta e ciò ha numerose implicazioni. I governi dei paesi, all’interno di un’unione
monetaria, devono emettere il loro debito in una moneta sulla quale non hanno alcun controllo. I governi
non possono offrire alcuna garanzia, ai detentori di titoli di stato, circa il fatto che al momento della
scadenza vi potranno essere soldi disponibili per rimborsarli. Questo contrasta con la situazione dei governi
nei paesi che possiedono la propria moneta (es. Gran Bretagna). Non vi è alcun limite alla quantità di
sterline che la Banca D’Inghilterra è in grado di creare. Il governo britannico può offrire una garanzia di
ferro.
In un’unione monetaria i governi sono vulnerabili ai movimenti dettati dalla paura e dal panico che nascono
sui mercati finanziari. I mercati finanziari possono spingere i governi ad una crisi di liquidità che li obbliga a
prendere misure di riduzione radicali della spesa pubblica.
Invenzione degli stabilizzatori automatici: quando un paese entra in recessione, il bilancio va
automaticamente in rosso, a causa della diminuzione delle entrate fiscali e dell’aumento delle spese per gli
ammortizzatori sociali. → proprietà riequilibrante= si assicura la permanenza del livello del potere
d’acquisto nell’economia.
In un’unione monetaria questo stabilizzatore viene eliminato. I movimenti ciclici diventano più profondi,
generando enormi impoverimenti.
L’eurozona ha un problema strutturale: essa ha gravemente indebolito i governi nazionali di fronte ai
mercati finanziari. Ciò porta a una pericolosa supremazia di questi ultimi. Come possiamo uscire da questa
situazione salvando non solo l’eurozona ma anche il mercato stesso?
1) Il ruolo della BCE come meccanismo di sostegno degli stati nazionali deve essere rafforzato
2) Dobbiamo creare un governo a livello di eurozona che si faccia carico delle responsabilità degli stati
nazionali adesso indeboliti.
È quindi necessario che la BCE si assuma il compito svolto dalle banche centrali nazionali in America e Gran
Bretagna. La BCE dovrebbe essere disposta ad acquistare i titoli di debito dei governi quando i mercati
vanno nel panico.
Esistono solo due modi per risolvere il problema della debolezza strutturale:
A) Cerare un governo europeo, legittimato da un parlamento europeo. Un governo di questo tipo avrà
anche il potere di obbligare la banca centrale a fornirgli supporto finanziario. Questa soluzione
trasformerebbe l’Europa in uno stato federale.
B) Ritorno alle valute nazionali: questa soluzione emergerà automaticamente, dal momento che molti
paesi finiranno per respingere un sistema in cui le decisioni vitali vengono prese da mercati anonimi
ed inaffidabili e da amministrati non eletti da nessuno.
CAPITOLO 12: il mondo Piketty. Il punto di partenza dell’analisi di Piketty è lo sviluppo di lungo periodo
della quantità di capitale presente nelle economie del mondo occidentale. Capitale significa l’insieme dei
beni e dei servizi utilizzati come fattori di produzione che vengono impiegati per produrre nuovi beni e
nuovi servizi. I componenti più importanti sono la terra, le risorse naturali, le infrastrutture, i macchinari
ecc. La sua analisi si basa due paesi che sono la Francia e la Gran Bretagna. In entrambi in paesi la
produzione maggiore del capitale è quella del capitale privato. In questo periodo il capitale pubblico è
trascurabile, questo perché Piketty opera con il concetto di capitale netto. Quali sono le cause di sviluppo di
capitale? → il rendimento del capitale (r) è maggiore della crescita dell’economia (g), concetto che si
esprime nella formula r > g. qual è in significato di r > g? → se il tasso di rendimento del capitale (r ) è
maggiore della crescita del Pil (g), questo significa che il capitale manifesta la tendenza a crescere più
velocemente del Pil. Egli pensa che r continuerà a crescere, mentre le prospettive di g sono tutt’altro che
rosee.
Secondo Piketty stiamo tornando ad una situazione in cui la ricchezza viene determinata prima di tutto
dalla famiglia in cui una persona nasce piuttosto che dai risultati individuali. È necessario mettere una tassa
sula ricchezza che vada a colpire maggiormente i rentier. È importante assicurarsi che le fortune
spaventosamente grandi non aumentino più.
Le critiche a Piketty:
A) Financial Times: afferma che Piketty ha compiuto degli errori troppo grandi che lo hanno portato a
sovrastimare la disuguaglianza nel Regno Unito; il suo intero lavoro era costruito su fondamenta
fragili→ critiche esagerate!
B) È stato criticato per quanto riguarda le sue previsioni circa lo sviluppo futuro di r e di g nel mondo.
Egli offre buoni argomenti a favore delle sue previsioni ma come sempre sono suscettibili di
obiezioni. Molti economisti sosterranno che il tasso di rendimento non continuerà ad aumentare
per sempre. I risultati delle ricerche di Piketty ci dicono che la caduta dei rendimenti è minore in
proporzione all’aumento della quantità del capitale stesso.