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Riassunto Le vie della modernità (Aurelio Musi)

Capitolo 1
1 Mondo nuovo
Fin dal primo '400 ci sono i presupposti per le esplorazioni transoceaniche. Spagna e Portogallo hanno fattori che preparano il
terreno alle esplorazioni come quelli economico-organizzativi, tecnologici e lo sviluppo della teoria e strumenti geografici. Il
Portogallo conta sulla disponibilità di capitali di mercanti italiani. Ma anche in Andalusia sorgono fondazioni commerciali. A metà
XV secolo è pronta la base tecnologica per l’esplorazione: la caravella che può navigare lontano dalle coste e rimanere in mare
più a lungo. C’è lo sviluppo della teoria e delle tecniche geografiche. Viene vista la mappa tolemaica del mondo che mostra che le
navi possono navigare tranquillamente tra l’Africa e le Indie (Malesia, Indie orientali, China). La Spagna possiede la bussola.
L’espansione portoghese: nella seconda metà del 400 volevano circumnavigare l’Africa per raggiungere l’oceano Indiano e l’Asia
e controllare il traffico delle spezie. 1445 avevano scoperto Capo Verde. Negli anni 70 esplorano la Guinea, attraversano il Congo,
raggiungono l’Africa sudoccidentale. Nel 1487 Bartolomeo Diaz doppia la punta mediorientale del continente che prende il nome
di Capo di Buona Speranza. L’esplorazione africana consentì di sfruttare risorse quali gli schiavi, l’oro della Guinea, l’avorio, il
cotone, lo zucchero, il pepe di Madera. Per giustificare la conquista delle terre e l’assoggettamento delle popolazioni africane i
giuristi inventarono la formula terra nullius, cioè una terra non sottoposta a nessuna signoria, abitata da selvaggi senza
ordinamento né leggi civili. Di qui la possibilità di imporre la signoria portoghese. L’impero portoghese aveva due limiti: difficoltà
di gestire le risorse commerciali e coloniali e la dipendenza dai mercanti stranieri, soprattutto italiani.
L’espansione spagnola: prima di Colombo ci fu l’occupazione castigliana delle Canarie che fu portata a termine tra il 1477 e il 79,
anno del trattato di Alcaçovas tra Spagna e Portogallo: il Portogallo riconosceva i diritti castigliani sulle Canarie e la Spagna
riconosceva i diritti portoghesi sulle altre isole dell’Atlantico e sulle coste africane a sud di capo Bojador. Il principio che
giustificava l’occupazione dei territori era la fede, la guerra contro gli infedeli. Il Portogallo era riuscito grazie a Giovanni II (148195) a rafforzare l’autorità statale, a reprimere le spinte della grande nobiltà, a sfruttare le risorse d’oltremare. L’interesse
portoghese era orientato verso l’India mentre la Spagna voleva completare la Reconquista.
2. Cristoforo Colombo
Colombo: nel 1479 si stabilisce in Portogallo. Il suo progetto è raggiungere le indie orientali partendo dalle coste atlantiche
dell’Europa. Le mappe medievali e dei geografi arabi, le ricerche di Paolo Toscanelli i miti e le fantasie delle terre sconosciute
oltreoceano sono i presupposti per il suo progetto. Presenta il progetto a Giovanni II, re del Portogallo ma la risposta è negativa.
Il sovrano non crede alla fondatezza del progetto e non vuole investire energie al di fuori della strategia africana. Si rivolge allora
ai Reyes Catolicos: nel 1486, per le ristrettezze finanziarie e gli impegni della corona, la risposta è negativa. Nel 1491 la risposta è
invece positiva. 17 aprile 1492 la Capitolazione di Santa Fè concede a Colombo il titolo di ammiraglio, viceré e governatore delle
terre eventualmente scoperte ma rivendica allo stato la legittimità della spedizione. 1492 è l’anno anche del completamento
della Reconquista. La prima spedizione è effettuata con 3 caravelle: la Nina, la pinta e la Santa Maria. 12 ottobre 1492 Colombo
avvista la terra. Crede di essere arrivato in Cina o Giappone ma in realtà è a Guanhani, isola delle Bahamas. La seconda
spedizione è di proporzioni più grandi: 1500 uomini (tra cui cavalieri che non avevano titoli nobiliari, borghesi, artigiani,
contadini), 17 navi. In comune avevano il miraggio dell’oro. Colombo torna a casa con un carico di schiavi. 1498: terza spedizione
con sole 6 navi e torna con oro, perle e preziosi. Raggiunse il Messico, le coste dell’America latina. A Santo Domingo, disordini,
violenze, epidemie rendono difficile l’amministrazione di Colombo. Nel 1500 è inviato in catene in Spagna accusato di corruzione.
Isabella lo libera e gli affida un’ultima spedizione nel 1502: costeggia le Honduras ma arenatosi deve ritornare in Spagna dove
muore nel 1506. Occorreva legittimare la conquista e definire le conquiste spagnole e quelle portoghesi. 1493 c’è la bolla inter
cetera, papa Alessandro VI Borgia assegna alla corona di Castiglia ogni isola o terra ferma scoperta o ancora da scoprire a ovest
e a est di una linea stabilita e tracciata dall’artico o polo nord all’antartico o polo sud. Era quindi la legittimazione
dell’occupazione e il via libera per le occupazioni future. Il Portogallo non accettava la divisione sancita dalla bolla papale 1494
trattato di Tordesillas definiva le zone di influenza di Spagna e Portogallo: l’oceano era diviso da una linea immaginaria situata a
370 leghe a occidente delle isole di Capo Verde; alla sua destra c’era la colonizzazione portoghese, alla sinistra quella spagnola.
3. Vasco de Gama
Vasco de Gama nel 1497 doppia il capo di Buona speranza, attraversa l’Africa orientale e raggiunge un anno dopo Calicut. Torna
con un carico di nuove spezie. Nel 1500-501 Cabral, compie una seconda spedizione a Calicut, e lambisce per caso, le coste del
Brasile. Nel 1510 il Portogallo conquista Goa e Malacca. Tra il 1519 e il 1522 Magellano, navigatore portoghese al servizio della
Spagna, raggiunge le Filippine. All’inizio del 500 l’impero portoghese ha 3 nuclei:
1. le colonie agricole degli arcipelaghi dell’atlantico (Madera, Capo verde, Azzorre)
2. in Africa dalla Sierra Leone al Congo, la cui risorsa sono gli schiavi
3. l’Estado da India che si estende nell’Oceano Indiano dal basso Mozambico fino a Ceylon e alla costa cinese.
La risorsa portoghese più importante è il commercio delle spezie. Dal 1521-30 vi è la conquista del Brasile e lo sfruttamento delle
piantagioni di zucchero. Dopo le conquiste caraibiche della Giamaica, Portorico e Cuba, la Castiglia rimpiazza il Portogallo nella
fornitura d’oro in Europa. Successivamente gli spagnoli esplorano Panama e lo Yucatan e nel 1519 avviene la spedizione in
Messico da parte di Cortés: in cui distruggono la civiltà degli Aztechi. Nel 1522 Pizarro e Almagro attaccano l’impero Inca in Peru
con stragi e sterminio della popolazione e negli stessi anni vengono conquistate lo Yucatan, Guatemala, Salvador, Honduras, Cile,
Bolivia.
4. Licenza reale per i conquistatori del '400
Il primo problema che la colonizzazione pone è l’organizzazione della conquista, l’individuazione di un equilibrio tra il
riconoscimento del potere statale sui territori d’oltremare e la soddisfazione delle aspettative dei conquistadores. Il primo
strumento di rapporto tra la Corona spagnola e i conquistatori fu la licenza reale: in cambio di investimenti e servizi per la
Corona, l’impresario riceveva titoli, privilegi, autorizzazioni commerciali fino al titolo di adelantado che conferiva il diritto di
signoria, un potere amministrativo e militare. Un tentativo di giustificare la conquista è il requerimiento: in base ad esso gli indios
dovevano riconoscere il papa come signore del mondo e il re di Castiglia come suo vicario. Solo dopo questa accettazione gli
indigeni potevano essere riconosciuti come leali vassalli. Non funzionò perché gli indigeni non potevano capire questi concetti di
una cultura lontana e quindi fu utilizzata la forza per imporsi su di loro. Lo strumento più importante della colonizzazione fu
l’encomienda: era una concessione temporanea fatta dalla corona ai singoli soggetti, di diritti di signoria su terre, città, castelli,
villaggi, tuttavia l’assegnazione non comportava nessun titolo di proprietà.
Capitolo 2
1 Il concetto di Rinascimento
Al rinascimento era attribuita una forte carica di modernità in contrapposizione al medioevo. Si afferma l’uomo in quanto
individuo. Rappresenta un’epoca di trasformazioni che investono intensità e ritmi di sviluppo in gran parte dell’Europa. 3 tappe:
l’origine nel XIV secolo, la maturità tra il XV e la prima metà del XVI e lo stadio finale nella seconda metà del XVI. Ha origini
italiane e dura circa due secoli e mezzo. Nella fase della sua maturità sono individuabili.
- Mutamenti culturali che investono visioni del mondo, mentalità, comportamenti. Il passaggio determinante è il passaggio
dall’universalismo medievale alla nuova concezione dell’individuo e alla celebrazione dell’opera dell’uomo nel mondo. Vi è un
ritorno all’antico. Il mondo classico diventa una guida per la vita pratica.
- Mutamenti nella struttura politica fanno dello stato la nuova forma di organizzazione politica interna e internazionale. Il
sistema europeo degli stati è il nuovo sistema di rapporti con l’occidente.
- Mutamenti nell’economia e nella società. C’è la rivoluzione dei prezzi. Si hanno diverse velocità delle economie europee e la
formazione di economie centrale e di economie fortemente dipendenti.
2 Gli stati moderni e le nuove forme della vita politica
Quasi tutti gli stati europei hanno un’organizzazione politica simile. Al vertice c’è il sovrano, titolare del potere che proviene
direttamente da Dio, giudice supremo e legislatore. È assistito da un Consiglio del Re. Un insieme di organismi amministra i
diversi settori dello stato e da essi dipendono le istituzioni periferiche. Si costituiscono rappresentanze diplomatiche stabili negli
stati esteri. Questo tipo di stato è chiamato MODERNO perché ha elementi nuovi rispetto alle organizzazioni politiche medievali:
tasse imposte in modo più o meno uniforme su tutto il territorio statale; esercito professionale; burocrazia più o meno
permanente; sistema di leggi valido sull’intero territorio; divisione tra la proprietà o titolarità del potere spettante al sovrano e il
suo esercizio affidato all’amministrazione. Questi caratteri sono la risposta organizzativa degli stati ai problemi più importanti
come le guerre, le esigenze finanziarie, il controllo di grandi territori che non può essere affidato alle forze limitate dei sovrani.
Ma il potere legislativo, esecutivo e giurisdizionale non sono ancora distinti. I confini tra pubblico e privato sono ancora confusi e
non è ancora affermata la nozione di stato impersonale. La chiesa e la nobiltà feudale hanno tribunali separati da quelli dello
stato che impongono tasse ecc… La formula “stato del Rinascimento” (Chabod) ha i seguenti caratteri:
- Distacco della sovranità da vecchie basi popolari e territoriali
- Invadenza del potere centralizzato nella vita civile tramite il fisco e il diritto
- Molteplicità delle giurisdizioni
È una fase di passaggio, una tendenza, da vecchi a nuovi equilibri politici “stato moderno” e “Stato del Rinascimento” indicano un
organizzazione del potere diversa da quella medievale. “Stato nazionale” indica entità politiche corrispondenti a insiemi
etnicamente e geograficamente omogenei e riguarda solo Spagna, Inghilterra e Francia che riuscirono ad attuare un livello
superiore di unificazione nazionale.
L’Europa degli stati tra la fine del '400 e il primo '500: Francia
Con la sconfitta di Carlo il temerario, la conquista della Borgogna da parte di Luigi XI e l’annessione della Provenza si compie
l’unificazione geopolitica della Francia. Il potere regale ha ancora alcune caratteristiche feudali: il re è a capo di una gerarchia di
vassalli, conserva l’idea di un legame personale e contrattuale con la nazione. Tutte le province hanno un sistema di
rappresentanza autonomo. Tutti i decreti legislativi sono redatti in nome del re e si riferiscono al diritto pubblico:
amministrazione, giustizia e finanza. Al vertice c’è il Consiglio del Re, formato da grandi dignitari, dai pari, dagli ufficiali della
Corona. Durante il regno di Francesco I lo strumento reale di governo sarà il consiglio degli affari (segreto ristretto, solo pochi
consiglieri intimi del re). Il sovrano riunisce i consiglieri che deliberano le questioni da lui presentate. Il consiglio del re è un
organismo di origine medievale e diventa l’istituto centrale dello stato. Come si trasforma il consiglio dei re? Nel medioevo i
consiglieri erano legati al re da un rapporto personale. Un sistema gerarchico di controllo collegava il vertice del consiglio, il
cancelliere, agli ufficiali fiscali e giudiziari delle province, divise in distretti amministrativi detti baillages. I funzionari esercitavano
nei bailliages poteri equiparabili alla stessa regalità e subirono una specializzazione: esattori, luogotenenti, capitani generali. I
caratteri che connoteranno il sistema moderno di amministrazione francese: specializzazione delle funzioni, formazione di un
corpo di funzionari, creazione di un ramo esecutivo dipendente dal sovrano. Il Consiglio si articola in:
- Sezione di Stato con competenze di natura politica
- Consiglio des parties con competenze giudiziarie
- Consiglio delle finanze
Nel 1547ci fu la creazione di 4 segretari del re responsabili dei 4 dipartimenti in cui era diviso il regno. Al progetto di
centralizzazione della monarchia francese corrisponde la tendenza dei ceti a sviluppare una forte resistenza. Questo si manifesta
negli Stati generali cioè nell’assemblea dei rappresentanti dell’intera comunità francese: clero, nobiltà, città, corti sovrane, enti
religiosi e terzo stato. I Parlamenti esercitano il più forte potere di rappresentanza e resistenza. Sono la maggior istituzione
giudiziaria e hanno la funzione di registrare le ordinanze reali (possono bloccarle se le giudicano imperfette). C’è una natura
conflittuale tra re e parlamenti.
L’Europa degli stati tra la fine del '400 e il primo '500: Inghilterra
Grazie a Enrico VII Tudor la monarchia inglese comprendente anche il Galles e parte dell’Irlanda riesce ad affermare la sua
autorità. Enrico VII combatte i poteri residui dei grandi feudatari istituendo la Camera Stellata: una specie di tribunale
straordinario per le cause contro le famiglie feudali ribelli. Enrico VIII (1530-42) fa una vera rivoluzione del governo: il centro
dell’amministrazione è assunta dal primo segretario e dal Consiglio Privato; si afferma la supremazia dell’Ufficio dello Scacchiere;
sopprime ineguaglianze costituzionali e speciali privilegi nel paese. È Cromwell l’artefice e cerca di concentrare il potere nello
stato.
Lo Stato del Rinascimento in Inghilterra è il superamento di un “movimento ad altalena” (Hill, storico) cioè: quando il re era
debole il governo era più burocratico e sotto l’egemonia dei baroni, quando era forte era invece in mano alla corte. Nel XVI secolo
questo ciclo si interrompe e tutto il governo diventa un governo nazionale, del re. Il sistema politico si fonda su un equilibrio fra
esigenze della monarchia centralizzata e interessi di varia natura. Ci sono due Camere: la Camera dei Lord che rappresenta la
grande nobiltà e la Camera dei Comuni che rappresenta la piccola nobiltà terriera (gentry) e ceti non nobili, coltivatori diretti. La
funzione legislativa è riconosciuta al Parlamento. C’è un autogoverno delle Contee affidato agli sceriffi, nobili, giudici di pace,
personaggi legati agli interessi del territorio. La teoria dei due corpi del re: un corpo naturale e mortale e un corpo politico,
incorruttibile e non soggetto all’invecchiamento. Nel secondo corpo che passa da un re all’altro c’è l’essenza della sovranità.
L’Europa degli stati tra la fine del '400 e il primo '500: Spagna
In seguito alla Reconquista cristiana che si completa con l’annessione del Regno di Granada nel 1492, a Ferdinando e Isabella
furono concessi i titoli onorifici di Reyes Catolicos. Si compie anche in Spagna un processo di ristrutturazione amministrativa
fondato su una molteplicità di consigli ed è articolato così:
- Consigli di Stato e di Guerra, della Santa Sede e Suprema Inquisizione, che si estendono in tutta la monarchia e assistono il
sovrano nella politica estera e religiosa.
- Consigli di Castiglia, d’Aragona, delle Indie, d’Italia, di Portogallo e delle Fiandre che sono consigli territoriali di governo.
- Consiglio d’Azienda che si occupa di aspetti dell’amministrazione interna della Corona di Castiglia. Organo più importante dal
punto di vista finanziario.
L’Europa degli stati tra la fine del '400 e il primo '500: Russia
Ivan III (1464-1505) liberò la Russia dai Mongoli e la unificò. La tendenza al controllo e alla centralizzazione statale passò
attraverso la tappa della sottomissione alla monarchia dei principi autonomi e dei boiari, dominatori di un territorio enorme,
attraverso l’unificazione religiosa del cristianesimo ortodosso e una concessione assoluta del potere che negava l’esistenza di
leggi al di sopra del sovrano. Lo zar si sentiva erede dell’impero romano d’oriente ‘L’ideale di Ivan era un’autocrazia ortodossa
cristiana, benedetta dalla divina provvidenza. Però lo zar doveva far fronte a opposizioni dell’antica nobiltà feudale, i boiari e ai
problemi derivanti dall’enorme estensione del territorio. Dalla metà del XVI comincia ad agire un nuovo organismo
rappresentativo: gli zemskie sobory formati da rappresentanti del clero, piccola nobiltà, ceti mercantili e artigiani. Poi lo zar crea
organismi rappresentativi locali e affida alla piccola nobiltà funzioni di amministrazione della giustizia e di polizia e favorisce
nelle province la creazione di autorità elette. Per contrastare la potenza dei boiari, Ivan III e Ivan IV il Terribile (1547-84)
distribuirono la terra alla nobiltà di servizio cioè la piccola nobiltà al seguito dello zar. Viene concessa ai nobili un’ampia zona
equivalente alla metà dell’intero territorio e costituì con loro una forza militare autonoma. Il rafforzamento del potere centrale
russo corrispose all’indebolimento dell’aristocrazia boiara.
L’Europa degli stati tra la fine del '400 e il primo '500: Germania
Nel XVI secolo non esiste come entità politica unitaria. Lo sviluppo statuale ha avuto luogo su due piani:
1. Dell’impero: ha perso i tre requisiti medievali della sacralità, universalità e continuità. L’Impero è affidato agli Asburgo.
Massimiliano possiede per diritto feudale l’Austria e dopo il matrimonio con Maria di Borgogna, le Fiandre. Il sistema politico
mostra la sua debolezza costituzionale. I domini ereditari dei principi tedeschi e le città libere sono coinvolti in un processo di
formazione dello stato moderno. Ci sono nuovi istituti per l’esercizio del potere come la Cancelleria, il Consiglio per la Giustizia e
la Camera per le finanze. L’impero non ha strumenti militari, finanziari e politici capaci di applicare le decisioni dell’assemblea
degli elettori, dell’aristocrazia e delle città imperiali. È quindi scarso il potere che l’imperatore riesce ad esercitare.
2. Statuale (quello degli stati territoriali): quello degli stati territoriali. Il processo di formazione dello stato è condizionato dal
rapporto tra il principe e i ceti. La costituzione per ceti è una struttura politica dualistica: da un lato il Consiglio del signore
territoriale, dall’altro la Dieta, organismo rappresentativo dei ceti. I ceti hanno poteri più ampi e hanno alternativamente
appoggiato e contenuto il potere del principe sul piano centrale ma indebolito sul piano locale. Nella seconda fase sono stati
partner del principe nella formazione dello stato.
La conquista dell’impero ottomano nel '400
1453 con la conquista di Costantinopoli inizia la seconda fase dell’espansione turca. In meno di un secolo conquisteranno parte
dei Balcani, la Moldavia, Siria, Egitto, Belgrado, Rodi, Buda sottrarranno Kaffa ai genovesi, sottometteranno la Crimea e
assedieranno Vienna. A metà del 500 con Solimano I è il più potente impero del mondo. Alla fine del secolo è in declino.
Fondamenti interni del sistema turco
1. La base del dispotismo del sovrano è nel rapporto tra il sultano e le fonti di ricchezza del regno: non c’è la proprietà privata
della terra. Il sultano sfrutta come possedimenti imperiali ogni fonte di ricchezza.
2. Ci sono 2 istituzioni parallele: l’istituzione di governo e quella religiosa musulmana. Non c’è separazione tra chiesa e stato. Il
personale dell’amministrazione civile e militare è reclutato tra schiavi cristiani. Il controllo del sistema spettava alla casta
sacerdotale degli Ulema, i teologi musulmani.
3. Non esiste il feudalesimo. I cavalieri ricevono terra in cambio del servizio militare. Non possono trasmettere ereditariamente le
terre.
4. Non si persegue nessun tentativo di unificazione delle diverse etnie e di centralizzazione
3 Nascita dello stato moderno nel XV secolo
Lo stato moderno è una nuova forma di organizzazione politica che caratterizza il sistema dei rapporti in Europa tra il XV e XVII
secolo. La sua origine è nella crisi degli ordinamenti medievali. Nel caso italiano le signorie sono il passaggio fondamentale verso
lo stato moderno. La fase intermedia è costituita dalla progressiva centralizzazione del potere, la fase matura dall’età
dell’assolutismo della seconda metà del XVII secolo. Quasi tutti gli stati europei nel corso del XVI secolo hanno caratteri simili:
una tendenziale concentrazione del potere e divisione tra titolarità del potere spettante al sovrano e l’effettivo esercizio affidato
all’amministrazione pubblica, tendenziale unificazione del territorio e delimitazione dei confini, protezione del territorio
all’interno e all’esterno, unificazione legislativa, giudiziaria e fiscale del paese. Il principio fondamentale che distingue stato
moderno da medievale è l’unicità della funzione sovrana: deve conquistarsi piena autonomia, deve essere divisa, deve poter
contare su una forza e una base di unicità indipendente.
4 La rivoluzione dei prezzi del '500
Alla metà del 500 il prezzo delle merci è sensibilmente aumentato rispetto ai primi anni del secolo. La rivoluzione dei prezzi è
associata alla scoperta del nuovo mondo e all’afflusso in Europa dei grandi stock di metalli preziosi. È collegato anche
all’evoluzione demografica. Cambia il rapporto tra la domanda e l’offerta dei beni. L’aumento della popolazione spinge ad
allargare le aree coltivabili e ad applicare maggiori capitali nell’economia agricola. La campagna è la base di tutta la produzione
perché la maggior parte della popolazione vive fuori dai centri urbani. Una parte della popolazione comincia a muoversi e
nascono città con nuove funzioni, centri di traffici finanziari e internazionali, sedi delle burocrazie statali. La prima voce dei
consumi sono i cereali. In Inghilterra in Germania, Francia e Italia si sviluppa il fenomeno della recinzione e si afferma la proprietà
individuale. Cambia anche il paesaggio agrario con l’introduzione di nuove colture. Si sviluppa anche la domanda di prodotti
industriali, produzione di articoli siderurgici e metallurgici, sviluppo dell’attività mineraria, sfruttamento del patrimonio boschivo,
manifatture tessili, incremento dell’attività edilizia. A sollecitare la domanda è il nuovo stato, per lo sviluppo delle sue funzioni
pubbliche, per la politica degli armamenti e delle grandi opere edilizie. C’è una diversa organizzazione del lavoro che convive con
quella precedente. È un’industria rurale in cui emergono la figura del mercante in possesso di capitali e dei mezzi di produzione e
la figura dei salariati che svolgono il lavoro a domicilio nella campagna. Si sviluppa l’organizzazione dei grandi complessi
industriali legati all’attività degli armamenti e all’astrazione dei metalli. La figura che emerge è il mercante imprenditore e
operatore finanziario che utilizza gli strumenti offerti dal credito. L’attività creditizia si intensifica per la complessità del
commercio internazionale, l’accelerazione dell’attività manifatturiera e la crescita delle esigenze finanziarie degli stati.
5 Gerarchie sociali e del potere tra '400 e '500
Terra, commercio, esercizio delle professioni civili, pubblica amministrazione sono i settori da cui si trae ricchezza, prestigio e
potere tra 400 e 500. Il sistema feudale prevale nell’Europa orientale dove vige la servitù della gleba. I circuiti del commercio
sono differenziati: dai mercati locali a quelli regionali, a quelli a lunga distanza, dalle piccole fiere alle grandi fiere, in cui gli
uomini d’affari mobilitano risorse finanziarie e usano la lettera di cambio, e le tecniche cambiarie più sofisticate. Dal potere
pubblico ai privati si fa ricorso agli avvocati. La fonte del diritto è Dio. Il clero è il primo ordine perché chiesa e religione sono il
fondamento della società non ancora secolarizzata. Al secondo posto c’è l’aristocrazia depositaria degli antichi valori della
dignità militare e nobiltà di sangue. Al terzo posto c’è chi non può vantare di nessun stato privilegiato, il terzo stato. Nel
Rinascimento ci sono anche grandi opere della pittura, scultura, architettura ma anche libri moderni: Orlando Furioso, Il principe,
Utopia, elogio alla pazzia, la Gioconda.
Capitolo 3
1 Il sistema degli Stati italiani nel '400-'500
Alla fine del 400 ci sono 3 potenze: Spagna, Francia e impero ottomano. Hanno una politica espansionista e usano strumenti
come guerre, matrimoni e alleanze diplomatiche per aumentare la propria potenza. (Francia: matrimonio tra Carlo VIII e Anna di
Bretagna prepara l’annessione del ducato di Bretagna; Spagna: Ferdinando il Cattolico con Isabella di Castiglia e la reconquista;
impero ottomano con la caduta di Costantinopoli). L’Italia con la PACE di LODI (1454) definisce il proprio spazio politico. Si ha una
politica di equilibrio tra le varie regioni. La morte di Lorenzo il Magnifico e Papa Innocenzo (1492), e l’espansionismo francese
accelerarono la crisi di fine secolo. Tre fasi della politica italiana tra metà 400 e metà 500
1. Dalla pace di Lodi alla discesa di Carlo VIII
2. La penisola durante le guerre d’Italia è totalmente dipendente dagli interessi di Francia e Spagna
3. Con la pace Cateau-Cambresis entra nei secoli bui dell’egemonia spagnola.
Nei primi decenni del 500 il predominio sull’Italia equivale al predominio in Europa; le poste in gioco sono
2: Milano e il Regno di Napoli, quest’ultimo, conteso tra Francia e Spagna è importante per la posizione strategica nel
mediterraneo e le risorse finanziarie del Mezzogiorno. Milano e Napoli nel sistema degli stati italiani sono anche punti deboli non
potendo contare né su una dinastia né su una signoria locale radicata da secoli né su una struttura politica e aristocratica e
oligarchica. I punti forti nel sistema degli stati italiani ma non abbastanza per realizzare una supremazia sugli altri stati e non
paragonabili con le altre potenze europee erano: il ducato di Savoia (fondamento la dinastia), lo stato della Chiesa (fondato sul
diritto divino); Firenze (grande tradizione politica cittadina), Venezia (unica struttura statale efficiente). Nessuno di questi stati
poteva realizzare una supremazia riconosciuta e dotata di consenso. Permaneva quindi un divario tra l’Italia e le grandi potenze
europee nella disponibilità di strumenti politici e militari. Era la politica dell’equilibrio l’unica linea che consentiva all’Italia di
giocare un ruolo sulla scena europea. Strumento importante nella politica degli stati italiani erano le leghe, promosse quasi
sempre da uno dei punti di riferimento più importanti per ogni azione politica nella penisola: Venezia e Stato della Chiesa.
2 La spedizione di Carlo VIII e la fine dell’indipendenza del regno di Napoli
La spedizione di Carlo VIII (1483-98) in Italia fu rapida e facile. Fu Favorita da un principe italiano, Ludovico Sforza detto il Moro:
nel Ducato di Milano, dopo l’uccisione di Galeazzo Maria Sforza, i poteri furono assunti dal figlio Gian Galeazzo ma di fatto
governò lo zio Ludovico Sforza che nel 1494 fece assassinare il nipote e si proclamò duca. Il governo di Ludovico era instabile a
causa: della non legittimità del suo potere e quindi le tensioni provocate dalle spinte legittimiste; le mire degli Aragonesi sul
ducato (Gian Galeazzo aveva sposato la figlia del re di Napoli, Ferrante d’Aragona); la necessità del Moro di stringere un’alleanza
con il sovrano di una potenza straniera anche per consolidare il suo potere di principe territoriale nell’area padana. Per questo e
per far fronte alla minaccia aragonese, il Moro chiamò in soccorso Carlo VIII e lo invitò a far valere aspirazioni angioine sul regno
di Napoli. Carlo VIII si garantì la neutralità dell’Inghilterra e della Spagna (con la concessione di due passi pirenaici) e dell’impero
asburgico (con la rinuncia di Carlo ai feudi imperiali della Franca Contea e dell’Artois). L’identità del paese come nazione patria
era completamente assente, anzi c’era una forte fazione aristocratica filofrancese e anti aragonese.
Carlo VIII poteva contare sull’apparato militare più sviluppato d’Europa. Nell’agosto 1494 Carlo VIII era ad Asti. Poi i francesi
entrarono a Firenze. Piero de Medici, successore di Lorenzo il magnifico con un atteggiamento di soggezione di fronte a Carlo
provocò la ribellione dei fiorentini che lo cacciarono e proclamarono la repubblica. Poi Carlo entra a Roma. A Napoli, dopo la
morte di Ferrante d’Aragona nel 1494, il figlio Alfonso aveva provveduto a contrastare i progetti francesi di invasione. Nel 1495
Alfonso abdicava a favore del figlio Ferdinando. All’inizio del 1495 Carlo entra a Napoli con l’appoggio dei patrizi napoletani e dei
baroni feudali. Il sovrano francese ebbe poco tempo per svolgere a Napoli una vera e propria azione di governo. A Venezia nello
stesso anno fu firmata un’alleanza antifrancese da Venezia, Ludovico il Moro, papa Alessandro VI, Massimiliano d’Asburgo,
Ferdinando II d’Aragona (che era dovuto fuggire da Napoli) e i Re Cattolici. Nel luglio del 1495 Ferdinando II d’Aragona riacquistò
il Regno di Napoli. Poi a ottobre morì. Erede al trono era lo zio Federico. 1497 c’è una tregua tra Francia, Spagna e stati italiani.
1498 Carlo morì. Il successore, Luigi XII d’Orleans nel 1499 conquistò Milano grazie agli accordi stabiliti con Venezia e papa
Alessandro VI Borgia. 1500 col trattato di Granada ci fu un’intesa tra Francia e Spagna e il Regno di Napoli fu spartito tra le due.
La metà settentrionale, inclusa la capitale a Luigi XII e l’altra metà a Ferdinando il Cattolico. Ma gli interessi spagnoli e quelli
francesi non potevano convivere e l’equilibrio era quindi precario. Inoltre per Ferdinando, Napoli era troppo importante.
1503 il regno di Napoli fu interamente conquistato dalle truppe italo spagnole. Era l’inizio di una lunga dominazione straniera nel
mezzogiorno durata sino al 1707.
3 Savonarola e Borgia al potere
Dopo la cacciata dei medici da Firenze viene costituita la repubblica e la funzione di leader viene svolta dal frate dominicano
Girolamo Savonarola (1452-98). Dotato di una forte personalità carismatica, era spinto da una fede profonda a teorizzare una
renovatio cristiana e combattere contro la politica temporale dei papi, governanti immorali e corrotti. Aspirava a una Teocrazia,
a una vita umile e il distacco dalle cose materiali. Disprezzava i valori mondani e fece bruciare beni di lusso e tesori d’arte. Aveva
trasferito i valori cristiani dell’uguaglianza e della fratellanza anche nel campo politico. Abolì le imposte, fondò un Monte di pietà
per l’assistenza ai più bisognosi Si organizzarono però anche gruppi di opposizione che volevano la restaurazione dei Medici e gli
Arrabbiati e volevano un sistema di potere aristocratico. Venne scomunicato dal papa e dopo una sommossa venne impiccato nel
1498. Tra il 1499 e il 1503 Cesare Borgia è al centro della politica. Il suo progetto ambizioso era di eliminare le piccole signorie
locali insediate in un vasto territorio compreso tra Toscana, Romagna e Marche, di annetterle allo stato della chiesa, conquistare
la Toscana e di creare un vasto complesso politico nell’Italia centrale sotto le apparenze di una restaurazione del dominio
pontificio. Riuscì a realizzare solo la prima parte. Tra il 1499 e il 1502 conquistò la Romagna ma non riuscì annetterla
formalmente allo stato della chiesa come si era prefissato perché non poteva più contare sull‘appoggio di papa Alessandro VI in
quanto morì nel 1503. Il nuovo papa Giulio II era nemico dei Borgia. Per conquistarsi i voti gli aveva promesso lo stato di
Romagna ma non mantenuta. Viene poi costretto a fuggire in Spagna.
4 Francesi e spagnoli nella penisola nel '500
Giulio II sviluppò una politica estera aggressiva e promosse il consolidamento della monarchia papale. La repubblica di Venezia
attuò una politica espansionistica verso lo stato della chiesa e occupò Faenza, Cesena e Rimini. Così Giulio promosse la lega di
Cambrai (1508) in funzione anti veneziana insieme a Luigi XII, Massimiliano D’Asburgo e Ferdinando il Cattolico e sconfissero
l’esercito veneziano ad Agnadello (1509).
Venezia si riprese facendo leva su una serie di paci separate con gli avversari e sul fatto che gli alleati di Cambrai erano diversi tra
loro. Il problema politico fondamentale tornava ad essere la supremazia francese nell’Italia settentrionale. Giulio II creò una lega
antifrancese con Ferdinando, la confederazione svizzera e Venezia (lega santa). Nella battaglia di Ravenna (1512) i francesi
vinsero le truppe della lega ma in altri scontri furono ripetutamente battuti. Così furono costretti a lasciare Pavia, Genova,
Bologna e infine la stessa Milano in cui venne insediato come duca Ercole Massimiliano Sforza, figlio di Ludovico il Moro. Intanto
a Firenze tornarono i medici. Con l’aiuto di Venezia Francesco I successo a Luigi XII sconfisse a Marignano nel 1515 gli svizzeri e le
truppe milanesi. La rioccupazione francese di Milano e della Lombardia sancì per alcuni anni la divisione dell’Italia in due sfere
d’influenza: quella francese al nord e quella spagnola al sud.
5 L’impero di Carlo V
Linee della politica di Massimiliano I d’Asburgo (imperatore dal 1508): si sposò con Maria di Borgogna e quindi ereditò le Fiandre;
fece sposare il figlio Filippo con Giovanna la Pazza, figlia di Ferdinando e Isabella. Per la politica estera gli insuccessi superarono i
successi come per esempio in Ungheria e con la confederazione svizzera che si rese indipendente dall’impero. Tuttavia la
strategia matrimoniale e le conseguenze mutarono nel 500 lo scenario politico mondiale. Da Filippo e Giovanna nacque Carlo che
nel 1506 diventa erede delle Fiandre, degli stati ereditari di casa d’Austria, dei regni d’Aragona e di Castiglia, delle loro
dipendenze e domini. Nel 1516 alla morte di Ferdinando il cattolico, Carlo era proclamato re di Spagna; nel 1519 era incoronato
imperatore ad Aquis Grana. La Spagna inizialmente non accetta una nuova condizione di dipendenza da una dinastia nuova
come gli Asburgo. Dopo alcune rivolte Carlo V riuscì a ristabilire l’autorità della corona in Spagna e a consolidare la monarchia
asburgica nei domini italiani: Regno di Napoli, Sicilia e Sardegna.
Il decennio 1520-30 ci fu un’elaborazione della linea politica per la parte spagnola dell’impero, nella ricerca di un punto di
equilibrio tra 2 esigenze: l’affermazione dell’autorità della monarchia e la ricerca di alleanze con i ceti sociali dei singoli regni. La
politica di Carlo V si muoveva in una linea di continuità con quella di Ferdinando e contemplava la partecipazione alla contesa per
l’Italia e per il predominio europeo e il contenimento del pericolo turco. Su questo fronte furono importanti la presa di Tripoli
(1510) e quella di Tunisi (1535) che garantirono anche la sicurezza del regno di Napoli. Carlo era stato il candidato naturale ma
anche il più contrastato alla corona imperiale. Per ottenere l’appoggio dei principi tedeschi Carlo dovette concedere loro la
conferma di tutti i loro diritti; il diritto alla consultazione per definire le linee di politica estera; il divieto di imporre nuove tasse. Di
li a poco proprio la Germania avrebbe costituito la spina nel fianco del sovrano asburgico e messo in crisi il sogno di una
monarchia universale fondata sull’unità cristiana e la pace religiosa. Per concludere si può parlare di un impero a base
quadrangolare: le fiandre, gli stati germanici, l’Italia settentrionale e la Spagna. Il cuore di Carlo V è il centro Europa.
6 Dalla battaglia di Pavia del 1525 alla pace di Cateau-Cambresis
1525: Francesco I sconfitto e catturato a Pavia deve rinunciare a Milano. Al termine di un anno di prigionia Francesco firma la
pace con Carlo V. Subito promuove una nuova alleanza (lega di Cognac) in cui riesce a coinvolgere Inghilterra, Venezia, Milano,
Genova, Firenze e il papa Clemente VII. Dopo qualche vittoria nel milanese la lega è sconfitta dai Lanzichenecchi (le truppe
mercenarie di Carlo V reclutate in Germania e sensibili alla predicazione luterana). Carlo V vuole impartire una lezione a
Clemente VII. Così nel 1527 I lanzichenecchi compiono il sacco di Roma (saccheggiano Roma) che rappresenta un attacco al cuore
della cristianità e alimenta la paura di uno scontro tra luterani e cattolici. In realtà l’obiettivo di Carlo V è politico: spezzare
l’equilibrio politico che regge il sistema di alleanze tra gli stati italiani; spingere questi stati al riconoscimento dell’egemonia
spagnola in Italia.
1528: Genova si sgancia dall’alleanza con Francesco I ed entra nell’orbita asburgica finanziando lo stato sovranazionale di Carlo
V, le sue imprese militari e la sua politica; il primo risultato tangibile è il fallimento del tentativo francese di invadere il Regno di
Napoli.
1529: anche papa Clemente VII in seguito agli accordi di Barcellona entra nell’orbita spagnola per poter decidere con
l’imperatore la ridefinizione degli assetti politici italiani: la decisione più importante è la restaurazione dei Medici a Firenze. Con il
ritorno di Alessandro De Medici, nipote del pontefice, inizia per Firenze la fase del principato dinastico.
1529: pace di Cambrai detta delle due dame perché stipulata da Luisa di Savoia madre di Francesco I e Margherita d’Austria, zia
di Carlo V e stabilisce il seguente assetto: Milano, Napoli e Asti sotto il dominio di Carlo V, il Piemonte sabaudo occupato dai
francesi, Genova nell’orbita spagnola.
1530: Carlo incoronato re d’Italia e imperatore del sacro romano impero: quasi tutti gli stati minori in Italia riconoscono il
predominio spagnolo. Francesco I attua una politica di riarmo e stipula 2 sconcertanti alleanze: la prima con i turchi di Solimano I
il Magnifico; la seconda con i principi luterani della Germania
1535: riprendono le ostilità tra Francia e Spagna
1544: pace di Crepy: non modifica la situazione ma il successore di Clemente VII, Paolo III Farnese (1534-49) ottiene per il figlio il
ducato di Parma e Piacenza. Il successore di Francesco I, Enrico II continua la politica diplomatica e militare del padre, riesce a
occupare nella Lorena i Tre Vescovadi di Metz, Toul e Verdun.
1555: Carlo V è costretto a firmare la pace di Augusta. Carlo V abdica e divide i suoi stati tra il figlio Filippo II (area spagnola,
Paesi bassi, domini italiani) e il fratello Ferdinando I (area austriaca e corona imperiale) ma entrambi gli avvenimenti non
favoriscono Enrico II.
1557 Enrico II perde l’ultimo territorio italiano rimastogli, il Piemonte. Emanuele Filiberto di Savoia sconfigge a San Quintino
l’esercito francese.
1559: firmata la pace a Cateau Cambresis considerata come la sanzione della vittoria della Spagna e della sconfitta della Francia.
Punti principali: Preponderanza spagnola in Italia. La Spagna conserva il ducato di Milano, la Sicilia, il Regno di Napoli, e la
Sardegna e ottiene lo Stato dei Presidi (Orbetello, Porto Ercole, Porto Santo Stefano, Talamone, Piombino, Isola d’Elba). Savoia,
Piemonte e Nizza a Emanuele Filiberto; la repubblica di Genova ottiene la Corsica dalla Francia e diventa la più importante
finanziatrice della corona spagnola. La repubblica di Venezia alleata della Spagna ma conserva una sua autonomia e ha un ruolo
decisivo nella lotta contro i turchi. Il ducato d Toscana ottiene Siena ed è indipendente; ducato di Parma e Piacenza a Ottavio
Farnese, sposo della figlia di Carlo V. Ducato di Modena e Reggio e ducato di Ferrara sotto gli Estensi; ducato di Mantova sotto i
Gonzaga; stato della chiesa legato a Madrid per i problemi legati alla riforma protestante; solo il marchesato di Saluzzo è
controllato militarmente dalla Francia. L’integrità degli stati nazionali. La tendenza, formalizzata da Cateau Cambresis è quella
della ricerca di confini territoriali sicuri. La fine dell’idea dell’impero universale. Nel 1559 Filippo II lascia le Fiandre e torna in
Castiglia e questo simboleggia la fine del sogno imperiale di Carlo V e segna una svolta.
7 L’Italia dopo le conquiste spagnole: un territorio particolare
Le differenze nell’Italia del particolarismo sono profonde
- Differenza tra stati indipendenti e non indipendenti, quindi integrati in un complesso politico più vasto come la corona spagnola
(Milano, Regno di Napoli, Sicilia, Sardegna e Presidi)
- Differenza tra stati a base cittadina, allargatisi poi a dimensione regionale (Venezia, Genova, Firenze, Milano) e stati monarchici
con una forte impronta feudale (ducato di Savoia, stato della chiesa, Regno di Napoli)
- Differenza tra le forme di governo: repubbliche o principati. Le repubbliche di Genova, Venezia, Lucca e Siena e le esperienze
repubblicane fiorentine.
Capitolo 4
1 La riforma protestante
Fu un movimento europeo che coinvolse non solo la parte centrosettentrionale del vecchio continente, ma anche la parte
orientale e persino paesi fortemente cattolici come Francia, Spagna e Italia. Fu un moto di reazione alla corruzione del clero, agli
abusi ecclesiastici, alla sostanza e alle manifestazioni del potere temporale dei papi, al commercio delle indulgenze. I promotori
di questo movimento furono in maggioranza uomini di chiesa: Martin Lutero era un monaco agostiniano, Zwingli era un
sacerdote e Calvino si avviò presto verso la carriera ecclesiastica. La riforma nacque dunque dentro l’istituzione ecclesiastica. Si
avvertiva il bisogno di una lettura autentica delle sacre scritture e di una reformatio, di una renovatio che risolvesse la crisi
d’identità religiosa sia attraverso un ritorno alle fonti originali del Cristianesimo, sia attraverso una prospettiva di riforma
morale.
2 Martin Lutero
Lutero (1483-1546) vestì l’abito monacale nell’ordine degli agostiniani. Non ha lasciato un’opera nella quale si possono rilevare i
fondamenti della sua dottrina. Il problema intorno a cui si arrovella il monaco è la giustizia di Dio. Parte dalla distanza tra la
santità di Dio e la sua volontà, e la condizione umana macchiata dal peccato originale. La conseguenza è l’assoluta dipendenza
dell’uomo da Dio e l’inutilità di tutte le azioni e opere buone compiute dall’uomo. Le Sacre Scritture, l’esperienza mistica e la
tradizione spingono Lutero verso una soluzione del problema: l’uomo è peccatore nella sua condizione originaria e nella sua vita
quotidiana ma giusto nella fede di Dio e nella speranza di potersi salvare tramite l’annullamento nella sua volontà. Il principio
della giustificazione mediante la fede è il cardine della dottrina luterana. 1517 - Lutero scrive le 95 tesi di Wittemberg. Vengono
affisse alle porte della chiesa del castello di Wittemberg Gli elementi importanti delle tesi che ebbero una straordinaria diffusione
sono i motivi della differenza tra la teologia cattolica e la teologia luterana e l’efficacia dello stile polemico e popolare. Ebbero
fortuna grazie alla diffusione della stampa. In esse vi è la critica alla pratica delle indulgenze (inducono a essere sicuri di sé e
mettere in pericolo la salvezza) e inizia a incrinarsi la dottrina della mediazione ecclesiastica. Tra la fine 1517 e l’inizio del 1518 le
tesi sono stampate in molte città della Germania, della Svizzera e di altre parti d’Europa: la loro risonanza è enorme. Gli scritti più
importanti dal 1519 in poi sono “Alla nobiltà cristiana di nazione tedesca”, un forte appello ai principi e all’aristocrazia che fa
leva sulle esigenze di riorganizzare la chiesa su base locali; “la cattività babilonese della chiesa” in cui si nega valori e sacramenti
al di fuori del battesimo e dell’eucarestia; “della libertà del cristiano” in cui è rivendicato il libero esame delle sacre scritture ed è
negato il valore delle buone azioni ai fini della salvezza. In queste 3 opere sono contenuti i 2 cardini della riforma luterana: la fine
della mediazione ecclesiastica e il principio del sacerdotio universale. Lutero contesta al papato la prerogativa di essere
depositario della vera e unica interpretazione delle sacre scritture. Non c’è più bisogno della mediazione tra Dio e l’uomo. La
nuova dottrina dei sacramenti: Lutero elimina quei sacramenti che presuppongono la mediazione ecclesiastica e ripropone
solamente il battesimo che dona la grazia attraverso la fede e l’eucarestia in quanto memoria del sacrificio della croce.
1520 - papa Leone X con la bolla Exsurge Dominae condanna 41 proposizioni di Lutero minacciandone la scomunica se entro 60
giorni non ritratta ma egli brucia la bolla in piazza Wittenberg.
1521 - una bolla del papa Leone X pronuncia la scomunica. Intanto la dottrina luterana si diffonde in vaste aree della Germania:
tutte le gerarchie e i ceti sociali ne sono coinvolti grazie alla semplicità e alla duttilità del messaggio luterano. Tra il 1519 e il 1520
i fondamenti della riforma incontrano straordinaria fortuna, l’intervento dell’attività ecclesiastica non è più sufficiente ma ha
bisogno del supporto dell’autorità politica.
1521: si riunisce la dieta di Worms alla presenza dell’imperatore Carlo V, dell’inquisitore della Germania Alberto di Magonza, dei
Nunzi pontifici. Ma l’alleanza tra potere secolare e potere ecclesiastico per la repressione del riformatore non raggiunge il suo
fine. L’esito è debole per la Roma: il frate viene messo al bando la dottrina è condannata come eretica.
Tra il 1521 e il 1522 c’è un’importante traduzione di Lutero e del nuovo testamento. In quegli anni vi è anche la sistematizzazione
della dottrina a opera di Filippo Melantone denominato l’ombra di Lutero
3 Le due alternative alla crisi religiosa del '500: Erasmo e Lutero
1524: Erasmo da Rotterdam pubblica l’opera “de libero arbitrio”
1525: Lutero replica con lo scritto “De Servo arbitrio”
È il segno di una radicale diversità tra ragione e fede. Il pensiero di Erasmo è un originale fusione tra umanesimo e Cristianesimo.
Erasmo difende il libero arbitrio e il primato della volontà dell’uomo nella sua capacità di fare il bene e di evitare il male. È
l’esaltazione della religione naturale e i suoi fondamenti sono: l’unità e la pacificazione cristiana attraverso la tolleranza, il
dubbio sistematico come metodo intellettuale, il primato della volontà dell’uomo nella sua capacità di fare il bene ed evitare il
male. Il Servo arbitrio di Lutero è all’opposto l’esaltazione della religione soprannaturale e l’assoluta impotenza della volontà
umana. I suoi fondamenti sono: l’assoluta certezza delle sacre scritture; la certezza della salvezza attraverso la fede; l’impotenza
della volontà umana; la totale divergenza tra fede e ragione. Si configurano quindi due vie alternative alla crisi religiosa del 500:
la prima, quella di Erasmo, fondata su una religione ragionevole, su un equilibrio fra la grazia e la volontà umana, a cui è
concessa la libertà di scegliere il bene e rifiutare il male; la seconda, quella di Lutero, fondata tra la distanza tra Dio e l’uomo, il
primo assoluto e incondizionato, il secondo condizionato e dipendente da Dio. Inoltre per Erasmo le critiche agli abusi ecclesiastici
non possono porre il cristiano fuori della chiesa, che resta l’unica depositaria della parola divina: la riforma deve essere interna
alle istituzioni ecclesiastiche. Il movimento erasmiano rappresentò un originale modo di vivere e superare la crisi religiosa del 500
e contribuì alla genesi e allo sviluppo di una riforma cattolica.
4 Riforma e rivoluzione: la guerra dei contadini del '500
Lutero non è un rivoluzionario ma gli è sempre interessata la riforma della vita interiore. Parlando del luteranesimo bisogna tener
conto del contesto di forte conflittualità sociale e politica della Germania del primo 500. I livelli di questa conflittualità sono
diversi: i contrasti tra il principe elettore Federico di Sassonia e l’arcivescovo di Magdeburgo sulla questione delle indulgenze:
Federico non tollera che il denaro dei suoi sudditi vada a finire a Magdeburgo e che l’arcivescovo gli tolga potere e giurisdizione.
Altri principi territoriali si oppongono al potere temporale della chiesa di Roma. La predicazione luterana investe come un ciclone
tutti gli strati sociali: l’aspettativa della reformatio si congiunge con le aspirazioni dei ceti a trasformare i rapporti esistenti.
Quello che esplode nella Germania di questi anni è un insieme di conflitti che però hanno un punto in comune: l’intreccio forte tra
il rinnovamento dello spirito religioso, promosso da Lutero, e il programma di riforma politica. L’altro elemento comune è il
risultato che quei conflitti hanno conseguito: il rafforzamento dei principati territoriali, cioè la statalizzazione della riforma in
Germania.
La rivolta dei cavalieri: la grande nobiltà ha accresciuto molti poteri e giurisdizioni e ha emarginato la piccola nobiltà dei
cavalieri. Influenzati dalle idee luterane i cavalieri accentuano la spinta alla rivolta contro la chiesa di Roma, i beni del clero e
vagheggiano la formazione di una Germania imperiale libera dal potere del papa, fondata sul primato della forza politica dei
cavalieri e sulla fine del potere della grande feudalità laica ed ecclesiastica. I cavalieri si coalizzano contro l’arcivescovo di Treviri,
per loro espressione della sintesi tra potere feudale e potere ecclesiastico. Ma i principi protestanti si schierano con l’arcivescovo
di Treviri e sconfiggono i cavalieri. La grande feudalità e i principati territoriali escono vincitori.
La guerra dei contadini 1524 - 1525: fin dai primi anni 20, alcuni seguaci di Lutero più radiali come Muntzer e Carlostadio
sottolineano un’altra possibile direzione del movimento di riforma: il ritorno all’ideale evangelico dell’organizzazione comunitaria
dei fedeli, alle fonti della chiesa primitiva, al modello della povertà ecclesiale e dell’abolizione delle disuguaglianze sociali. Su
questa base si formano comunità di fedeli, soprattutto operai e minatori, che parteciperanno alle rivolte tra il 1524 e il 1525. Alle
origini delle ribellioni popolari è la situazione sociale nelle campagne tedesche sulle quali gravano il potere signorile, il dominio
della feudalità, la limitazione dei diritti dei vassalli. I soggetti sociali di quella che è stata chiamata guerra dei contadini non sono
solo i contadini ma anche gli abitanti delle città soggette ai principi territoriali, i cittadini esclusi dagli uffici e i minatori. Si può
anche definire infatti, la rivolta dell’uomo comune. Gli obbiettivi sono di abbattere la particolare struttura per ceti, formare una
federazione di leghe su base corporativa, ispirate al vangelo, al bene comune, all’amore cristiano e fraterno, sottrarre
prerogative politiche alla nobiltà, espropriare ecclesiastici e religiosi. Il programma è formulato esplicitamente nei 12 articoli di
Memmingen, il manifesto politico della lega di Sveva. I 12 articoli contengono una denuncia agli abusi feudali e una richiesta di
modifica dell’ordinamento signorile, fondata sulla riduzione delle prestazioni in denaro, l’abolizione della servitù,
l’amministrazione della giustizia. Poi c’è la richiesta di sottrazione del potere alla chiesa attraverso l’elezione diretta del parroco.
Il vangelo dovrebbe essere la norma di diritto che presiede tutto il sistema di rapporti nella comunità. Riguardo a questi fatti
Lutero interviene due volte: nel primo intervento “l’Esortazione alla pace”, egli cerca di mediare tra contadini e signori: ai primi
dice di non abusare del nome dei cristiani e che il Vangelo condanna qualsiasi forma di ribellione e quindi devono obbedienza ai
re; ai signori dice di non abusare dei loro poteri giurisdizionali. Ma sotto l’effetto delle violenze e degli orrori della guerra Lutero
interviene una seconda volta più decisamente contro i ribelli nello scritto “Contro le Masnade rapaci e assassine dei contadini”.
L’accentuazione più forte del 1525 è dovuta al fatto che Lutero si senta al centro di 2 spinte diverse: i principi, i nobili e i borghesi,
suoi seguaci in conflitto con Roma; gli estremisti che rischiano di compromettere tutto il successo del movimento. La repressione
si abbatte violentissima. I principi seguono alla lettera i consigli di Lutero. Dopo alcuni successi iniziali gli eserciti contadini sono
sconfitti. Finisce nel 1525 la riforma come movimento popolare. Trionfa la riforma dei principi in Germania.
5 Zwingly e Calvino
Zwingly (1484-1531) promuove la riforma delle comunità nei territori della Confederazione svizzera. Era un sacerdote e aveva
studiato Lutero. Cerca sostegno alla sua riforma soprattutto nelle istituzioni politiche cittadine; stringe un’alleanza con le
autorità locali per il successo della riforma. Proprio a Zurigo essa si presenta con caratteri originali: provvedimenti e nuove
istituzioni dimostrano che qui il connubio tra politica e religione è assai stretto. Per esempio nel 1524 vengono abolite alle chiese
immagini e reliquie, nel 1525 viene abolita la messa in latino; viene abolito il servizio mercenario; è istituito il tribunale
matrimoniale e dei costumi, il più antico ordinamento giuridico del protestantesimo. La riforma di Zwingly deve fare i conti coi
cantoni centrali da un lato, più fedeli al cattolicesimo, dall’altro con l’ala più radicale della riforma promossa da Zwigli che è
rappresentata dagli anabattisti (così chiamati perché predicano il battesimo degli adulti), che esigono una rigida disciplina
comunitaria e una chiesa libera da ogni rapporto con l’autorità civile. Zwingli deve liberarsi di questi ultimi per consolidare la sua
riforma. Così i circoli anabattisti zurighesi sono perseguitati e in parte distrutti. Zwingli perde la vita in uno scontro con i cantoni
cattolici a Kappel.
Calvino: 1509 - 1564 : principi della riforma predicata da Zwingli confluiscono nell’esperienza religiosa del riformatore francese
Calvino. Il progetto che più gli sta a cuore è quello della nuova organizzazione della chiesa su basi politico-comunitarie. A Ginevra
Calvino realizza un modello di riforma caratterizzato da una forte compenetrazione tra religione, politica e istituzioni locali. I
fondamenti teologici del calvinismo: l’essenza della chiesa sta nella rivelazione della parola divina attraverso le sacre scritture.
Come Lutero anche Calvino abolisce la mediazione del clero. A differenza di Lutero però Calvino accentua la dipendenza assoluta
dell’uomo da Dio attraverso la dottrina della predestinazione. Per lui la chiesa è un grande e importante organismo che mette in
comunione il credente con Cristo. Nel modello calvinista l’ordinamento ecclesiastico comprende 4 istituzioni: i pastori che
predicano e amministrano i sacramenti, i dottori, deputati dell’insegnamento, i diaconi che sovrintendono all’esistenza e gli
anziani che si occupano della disciplina comunitaria. Anche per Calvino come per Lutero le opere non possono essere un mezzo
per raggiungere la salvezza della vita eterna. Su questo terreno Calvino comunque si distacca notevolmente da Lutero: le opere
sono indispensabili come segno dell’elezione divina, della predestinazione (in quanto Dio non crea tutti gli uomini nella stessa
condizione ma destina gli uni alla vita eterna, gli altri all’eterna dannazione). Tutta l’attività dell’uomo è impregnata di spirito
religioso che contribuisce a svolgere nel migliore dei modi possibili le azioni del fedele nel mondo: dalla sua professione ai suoi
affari alla produzione al commercio tutta l’attività umana deve essere vissuta dal calvinista come realizzazione della vocazione. Il
trinomio città, lavoro e professione è esaltato nella concezione calvinista. Emerge così la differenza tra Lutero e Calvino: per
Lutero credo ergo sum cioè l’identità del cristiano è nella fede; per Calvino ago ergo credo (opero perciò ho fede) cioè l’identità
del cristiano è nella corrispondenza delle sue opere all’elezione divina. Il calvinismo si irradia da Ginevra verso la Germania, i
Paesi Bassi, la Scozia, la Polonia, l’Ungheria, la Transilvania. Questa confessione religiosa sarà destinata a un grande successo
presso i gruppi sociali urbani proprio grazie alla funzione positiva assegnata al lavoro produttivo e all’attività professionale
vissuta con spirito religioso.
6 Carlo V e il protestantesimo della Germania
La questione protestante accompagna Carlo V per tutta la durata del suo impero. Possiamo distinguere 4 fasi:
1- 2 anni dopo le 95 tesi Carlo V giura la costituzione imperiale: nessuno può essere messo al bando dall’impero senza processo.
Lutero aveva guadagnato grandi consensi presso i principi territoriali. Carlo V ha bisogno dell’alleanza con i principi territoriali e
con le città imperiali della Germania per la sua strategia verso il Mediterraneo contro i turchi e verso l’Italia dove è in guerra
contro i francesi. Il primo sviluppo del luteranesimo in Germania vede Carlo V impegnato da un lato a non radicalizzare il conflitto
con i principi territoriali, dall’altro a difendere comunque la pax cristiana dalle eresie. 1521 editto di Worms è il risultato di questo
compromesso: Lutero è condannato come eretico ma la definitiva assoluzione della questione è rinviata alla convocazione del
concilio ecumenico della chiesa. Carlo V vuole sia temporeggiare che fare pressione sul papato per ottenere una riforma interna
alla chiesa collegata al disegno dell’impero universale.
2- Compresa tra il 1525 e 1530 e coincide con il periodo dell’organizzazione politica della riforma in Germania. A conclusione
della guerra dei contadini (1525) i principi cattolici della Germania meridionale stringono un’alleanza contro i principi luterani
che a loro volta un anno dopo stabiliscono un’analoga intesa. La prima e la seconda dieta imperiale di Spira (1526 e 29)
congelano la situazione e proibiscono ogni innovazione in materia di fede prima del concilio. Gli stati luterani protestano (da qui il
nome protestanti) e formano un’ulteriore alleanza difensiva. La Germania è ormai spaccata in 2 fronti. Un tentativo di
pacificazione tra l’imperatore e i protestanti è rappresentato dalla dieta di Augusta (1530). La dieta si conclude con delle
deliberazioni severissime assunte in assenza dei rappresentanti protestanti le quali dimostrano la volontà dell’imperatore e dei
principi cattolici di colpire duramente l’eresia ma anche la percezione della difficoltà di procedere lungo la linea di una pura
logica repressiva nei confronti dei protestanti.
3- Dalla dieta di Augusta emergono: la fine del sogno di conciliazione sia interno al movimento protestante sia interno al
movimento cattolico; l’articolazione del protestantesimo in 3 diverse confessioni facenti capo a Lutero, Zinali e Calvino; la
divisione religiosa della Germania. 1531: nasce la lega di Smalcalda che diventa il centro delle forze antiasburgiche e stringe
relazioni con Francia e Inghilterra. L’imperatore deve pensare all’invasione dei turchi in Ungheria, ai suoi possedimenti spagnoli
in Italia e non può permettersi quindi di aprire un conflitto di vaste proporzioni con gli stati protestanti della Germania. Quindi
proibisce ogni ricorso alla forza per questioni di fede e religione sino alla convocazione del concilio che, intanto è continuamente
rinviato. 1542: dieta di Spira: i protestanti chiedono all’imperatore il riconoscimento ufficiale della loro posizione ed a esso
condizionano gli aiuti militari e finanziari contro i turchi. La crisi è ormai alle porte.
4- 1546: scoppia la guerra tra la lega di Smancalda e l’imperatore. Le truppe imperiali sono battute. Carlo V è sconfitto insieme
dai protestanti, dai turchi e dai francesi che occupano nella Lorena Metz, Toul e Verdun. 1555: Carlo V è costretto a firmare la
pace di augusta che stabilisce il principio del cuius regio, eius religio. È ammessa la libera scelta confessionale solo per gli stati
imperiali e per i loro principi, non per i sudditi che devono sottostare al principio “un solo signore, una sola religione”. Hanno
diritto ad emigrare se non accettano la religione del principe. Il protestantesimo era accettato come parte integrante dell’impero
tedesco e i principi protestanti vi erano ammessi con gli stessi diritti dei principi cattolici.
7 La Riforma: area luterana
Il quadro dello sviluppo territoriale della riforma nell’Europa verso la metà del 500 è caratterizzato dalle 2 grandi aree di
diffusione luterana e calvinista, dall’area della chiesa anglicana e dai movimenti e gruppi ereticali. AREA LUTERANA comprende:
-Germania centrosettentrionale - nord Europa - ampie zone dell’Europa orientale - le coste baltiche - Prussia: il gran maestro
Alberto di Brandeburgo trasformò il territorio in un ducato laico ereditario e vi stabilì la riforma. - Danimarca e Svezia: lo scarso
radicamento del Cristianesimo favorì la riforma dei sovrani che deposero i vescovi e incamerarono i beni ecclesiastici - Austria: la
nobiltà restava in massima parte fedele al cattolicesimo - Paesi baltici e Europa orientale: non furono insensibili alla penetrazione
del luteranesimo - Ungheria: penetrarono gli scritti di Lutero ma vi era una pluralità di confessioni. Ebbe successo comunque
l’azione di riconquista della chiesa cattolica
Area calvinista
- città svizzere – Olanda - Palatinato e basso Reno in Germania - Scozia - Francia: la riforma aveva fatto la sua apparizione sin
dagli anni 20 del 500. La stessa sorella del re Francesco I, Margherita di Navarra, si convertì al luteranesimo. L’alleanza di
Francesco I con i luterani tedeschi contro l’imperatore e il conseguente allentamento della repressione contro il protestantesimo
ne permisero un’enorme diffusione in tutta la Francia. Soprattutto nella nuova versione calvinista la riforma incontrò ampi
consensi in quasi tutti i ceti sociali e a metà del 500 si erano formate molte comunità. Il movimento religioso calvinista, diffuso
tra l’alta nobiltà, si avviava a diventare partito politico e ad alimentare la guerra civile nella seconda metà del 500.
Area della Chiesa Anglicana
Enrico VIII in un primo momento aveva condannato gli scritti di Lutero e questo gli aveva fruttato il titolo onorifico di difensore
della fede attribuitogli dal papa. Il re aveva avuto 5 figli femmine da Caterina d’ Aragona; il desiderio di avere un erede maschio e
la passione per una dama di corte, Anna Bolena, spinsero il re a chiedere l’annullamento del suo matrimonio. Le ragioni addotte
dal sovrano erano che egli non avrebbe potuto sposare Caterina perché era stata sposata con suo fratello Arturo ma Caterina
sosteneva che Arturo era morto a 14 anni e il matrimonio non era stato consumato. Al conseguente processo la regina si appellò
al papa. Carlo V, nipote di Caterina prese le sue difese di fronte a papa Clemente VII. Condizionato dal gioco delle pressioni,
Clemente non si decideva ad emetter la sentenza. Si preparava lo scisma. Le ragioni risalivano alla seconda metà del 400 in
quanto il sovrano inglese era considerato l’unica fonte di diritto sia nella sfera temporale che spirituale. Enrico VIII codificò solo
questa tendenza. L’arcivescovo di Canterbury dichiarò nullo il matrimonio di Enrico VIII (già segretamente sposato con Anna
Bolena) e la scomunica di Clemente VII non servì a niente. 1534: l’atto di supremazia conferì a Enrico VIII il titolo di unico e
supremo capo della chiesa anglicana: cadeva la distinzione tra sovranità temporale e spirituale; era abolita la giurisdizione
papale in quanto il re era la fonte sia della giurisdizione temporale che di quella spirituale. Grazie al primo ministro Thomas
Cromwell furono promosse riforme economiche, conseguenza dell’atto: confisca dei beni di conventi e istituzioni religiose;
l’incameramento tra i beni dei re di tutte le decime pontificie. La politica economica trova il consenso di ceti sociali diversi. Enrico
VIII aveva promosso più che una riforma religiosa una riforma politico-costituzionale. La dottrina cattolica aveva intaccato solo il
primato pontificio, il che non era poco ma non era comunque l’adesione al luteranesimo. La vera riforma in materia teologica fu
opera di Edoardo VI (1547-53). Il “libro della preghiera comune” riconosceva due soli sacramenti, battesimo e eucarestia,
sopprimeva il carattere sacrificale della messa e aboliva il celibato ecclesiastico. Inoltre incamerò i beni dei vescovi. Il
protestantesimo si avviava ad adottare il modello calvinista in materia teologica e attraverso la professione di fede ufficiale
diventava religione di stato. Anche la Scozia aderì al calvinismo mentre l’Irlanda rimase cattolica.
Capitolo 5
1 Controriforma e riforma cattolica
Il termine controriforma indicava l’azione con la quale un territorio veniva ricondotto con la forza alla confessione cattolica:
ricattolicizzazione. Indica poi quel movimento interno alla chiesa cattolica che ebbe il suo culmine nel concilio di Trento. Il
concetto di controriforma ha un triplice significato:
- la repressione antiprotestante
- Il consolidamento dei dogmi e delle strutture ecclesiastiche
- la riorganizzazione interna della chiesa cattolica
Si tratta di una reazione complessa e a più livelli dei poteri che si opponevano al protestantesimo. Questi poteri sono 4:
- i re di Spagna che avevano stabilito un’alleanza con il pontefice e che avevano bisogno dell’aiuto della chiesa per far rispettare
in tutto il loro vasto impero l’obbedienza al sovrano.
- la chiesa che, rotta l’unità religiosa aveva bisogno di consolidare la gerarchia e di ripristinare la sua autorevolezza. In
quest’opera di restaurazione la chiesa non poteva fare a meno della monarchia spagnola, l’unica in grado di mantenere un
potente esercito e di aiutare il papa sul piano finanziario
- teologi e cultura accademica cattolica
- quarto potere i gesuiti, nuovo ordine religioso.
Attraverso l’uso del concetto “riforma cattolica” l’accento batte non più sulla reazione al protestantesimo ma sul rinnovamento
religioso che investe la chiesa nel tardo 400. Ci si riferisce soprattutto al movimento della devotio moderna, dei cenacoli e dei
gruppi erasmiani, all’intensa attività assistenziale tramite la creazione degli ospedali ma anche alla nuova religiosità promossa
dal concilio di Trento.
La storiografia moderna ha superato la divisione tra i due concetti e preferisce connetterli. Controriforma e riforma cattolica sono
due tendenze del cattolicesimo convergenti verso una sua più decisa affermazione. Si parla di controriforma per il periodo che va
dal 1580 (papato di Sisto V) al 1640: il periodo cioè della repressione della riforma protestante e di tutte le spinte di
rinnovamento interno al cattolicesimo. In sostanza per controriforma si intende soprattutto: il processo di cristallizzazione delle
confessioni religiose tra metà 500 e metà 600; il nuovo sistema giuridico della chiesa cattolica con il papa al culmine; la prassi
pastorale, tendente alla riconquista delle masse; la teologia tridentina, la forte carica riformatrice di cui la chiesa diede prova.
Inoltre si intendono gli abusi, gli eccessi e l’intolleranza che caratterizzarono spesso l’uso dei nuovi apparati controriformistici
della chiesa.
2 Il concilio di Trento
Per Carlo V il rinvio di tutta la questione luterana al concilio rispondeva all’esigenza di collegare la riforma della chiesa al sogno
dell’impero universale. Per il papato il ricorso al concilio era visto come la definizione solenne di una riforma della disciplina e dei
costumi, di una risposta adeguata al dilagare dello scisma protestante. Il primo papa che ebbe la piena consapevolezza della
gravità della situazione fu Adriano VI che rese attiva la presenza cattolico-romana alla dieta di Norimberga: qui presentò
numerosi progetti di riforma dell’istituzione ecclesiastica che furono poi ripresi durante il concilio di Trento. Il suo successore,
Clemente VII (di casa Medici) temeva la convocazione di un concilio per il rischio che potesse essere messa in discussione
l’autorità papale. Fu il pontefice Paolo III Farnese che si rese meglio conto della situazione critica vissuta dalla chiesa di Roma.
Infatti nel 1530 nella dieta di augusta era stata sancita la divisione religiosa della Germania. Proprio in questi anni Carlo V
cercava di rinviare al concilio la definizione delle questioni di fede e di religione. Paolo III lo convocava di continuo fin dal 1536,
poi ne 1537, nel 38, nel 42. Ma il concilio si aprì a Trento solo nel 1545 quando la chiesa di Roma era in una crisi profonda. Il
concilio si proponeva 3 obbiettivi:
- Recuperare i territori protestanti; realizzato solo in parte
- Arginare l’eresia
- Riaffermare il primato papale in una chiesa cattolica riformata.
Pienamente raggiunti dal concilio di Trento dalla chiesa post-tridentina.
Tre fasi del Concilio di Trento
Si può dividere il concilio di Trento in 3 fasi:
1- Tra il 1545 e il 1547: le delibere conciliari riguardano soprattutto le questioni teologiche. I decreti relativi a tale materia furono
5 e si riferirono ai punti che erano stati oggetto della riforma di Lutero: l’origine della fede; la verità delle sacre scritture stabilita
dall’autorità pontificia; il peccato originale; la giustificazione e i sacramenti. Questa prima fase fu segnata dalla dialettica tra 2
modi diversi di concepire la riforma della chiesa: il papa la intendeva come sbarramento dell’eresia protestante, Carlo V come
ultimo tentativo di pacificazione religiosa. La dura sconfitta inflitta da Carlo V alla lega dei principi luterana (1547) parve segnare
un punto a favore della chiesa cattolica ma l’ingresso dell’Inghilterra nell’orbita protestante, dopo la morte di Enrico VIII e
l’affermazione della chiesa anglicana furono un duro colpo per il papato. Il concilio che dal 1547 al 50 fu paralizzato anche per un
conflitto al suo interno sulla questione della sede in quanto Paolo III voleva trasferirla a Bologna.
2- Tra il 1551 e il 1552. Il successore di Paolo III, Giulio III riapre il concilio. In questa seconda fase vi fu la partecipazione ma poco
significativa dei protestanti. La ripresa del conflitto tra l’imperatore e Enrico II indusse a chiudere dopo poco più di un anno
quest’altra fase. L’unico intervento di rilievo fu a proposito dell’eucarestia in quanto venne ribadito il dogma della
transustanziazione. Con Paolo IV la controriforma intesa come offensiva contro l’eresia e riforma disciplinare del clero, entra
nella sua fase più acuta: gran parte degli strumenti di attuazione di questo modello controriformisti furono approntati da Paolo
IV al di fuori del concilio.
3- Tra il 1562 e il 1563: Pio IV decise di riconvocare il concilio. Fu perfezionato il progetto di definizione dottrinale e disciplinare
della chiesa cattolica. La più ardua questione era l’origine del potere episcopale sulla quale si scontravano 2 tendenze: chi
attribuiva solo al papa la fonte del potere dei vescovi o chi ne faceva discendere l’autorità dal sovrano statale (francesi, spagnoli
e imperatore). A Trento fu stabilita una via intermedia: i vescovi dipendevano dal papa ma avevano l’obbligo della residenza e la
corresponsabilità era definita su mandato divino. Il concilio di Trento pervenne a conclusioni importantissime che influenzarono
non solo la vita della chiesa e delle comunità cattoliche tra la seconda metà del 500 e la prima metà del 600 ma anche il rapporto
tra poteri religiosi e poteri civili. I livelli principali su cui operò il concilio furono 4:
- L’ordinamento della materia dogmatica e sacramentale
- L’affermazione decisa della giurisdizione ecclesiastica e l’allargamento della sua sfera d’influenza
- La disciplina del clero
- L’organizzazione delle forme, della pietà e della religiosità popolare.
Gran parte di queste materie furono, nei decenni successivi a Trento, oggetto di numerosi interventi pontifici, attraverso le bolle
di attuazione dei decreti conciliari. Da questo punto di vista il concilio non si concluse nel 1563 ma si protrasse oltre nel tempo.
Pio IV e poi Pio V contribuirono a definire la materia del rapporto tra chiesa e stato. Le due dimensioni della sovranità papale
(quella ecclesiastica e quella del potere temporale, trovavano una loro nuova traduzione nel Tridentino e soprattutto nella bolla
In cena domini, oggetto di scontro tra il papato e gli stati che non potevano accettare la tendenza della chiesa a estendere a
dismisura la sua giurisdizione e interferire nelle competenze statali. Con il concilio di Trento veniva affermandosi un modello di
stato della chiesa non dissimile sul piano di organizzazione e della logica amministrativa interna da altri stati europei
contemporanei.
3 Le istituzioni della controriforma
Sono il complesso di strumenti predisposti dal capo della chiesa cattolica romana per far fronte a compiti e funzioni di
prevenzione e repressione delle eresie. Il papa va accentuando una doppia fisionomia: pontefice e capo di una cristianità scossa
dallo scisma e sovrano di uno stato, lo Stato pontificio alle prese con problemi di natura politica. Alla funzione di prevenzione e
repressione dell’eresia doveva assolvere la congregazione del sant’uffizio dell’inquisizione istituito nel 1542. La bolla istitutiva
promulgata da Paolo III Farnese deputava alcuni cardinali commissari inquisitori generali per la custodia della fede e dava loro
facoltà di indagare contro tutti coloro che deviano dalla fede cattolica o sono comunque sospetti di eresia, i loro seguaci e
difensori. E dopo aver indagato di procedere e punire i colpevoli o sospetti col carcere e continuare la procedura contro di loro
sino alla sentenza finale nonché di confiscare i beni dei condannati alla pena capitale. Ai sei cardinali inquisitori veniva affidata la
piena giurisdizione nei confronti di laici ed ecclesiastici. Fu sotto Paolo IV che l’inquisizione romana dispiegò tutti i suoi poteri e
utilizzò tutte le armi a sua disposizione. Paolo IV fece smantellare tutti i cenacoli che si richiamavano a esigenze di rinnovamento
religioso interno alla chiesa cattolica. Incisivo fu l’intervento di Paolo IV per il controllo sociale e culturale dell’ortodossia
cattolica. Nel 1559 fu istituito l’indice dei libri proibiti il quale distribuiva gli autori in 3 classi: quelli totalmente condannati, quelli
condannati per una singola opera e poi gli scritti anonimi. Ebbero inizio i roghi dei libri proibiti. Il distacco della vita intellettuale e
religiosa italiana da quella europea fu notevole: fra gli stati italiani si ebbe il massimo di collaborazione con lo stato pontificio.
Milano, Firenze, Napoli e Venezia si affrettarono a stampare e pubblicare l’indice dei libri proibiti.
4 Gli ordini religiosi e la riconquista delle anime
Un altro terreno d’intervento del concilio fu quello della formazione del clero. Tra le denunce di Lutero c’era stata anche quella
dell’ignoranza dei sacerdoti sull’intera materia religiosa. Era urgente educare e istruire gli ecclesiastici anche per evitare
deviazioni dall’ortodossia. Vennero istituiti i seminari. L’obbiettivo più importante della chiesa post-tridentina fu la riconquista
delle anime: le milizie della controriforma furono gli ordini religiosi. Questi si impegnarono a combattere l’eresia, a rafforzare
l’autorità della chiesa di Roma e a consolidare la sua presenza nella vita quotidiana delle popolazioni. L’ordine della
controriforma che seppe meglio interpretare lo spirito della chiesa cattolica del suo tempo fu quello dei gesuiti della compagnia
di Gesù, fondati da Ignazio di Loyola che apparteneva alla nobiltà basca. Le attività dell’ordine e il suo campo d’influenza furono
enormi. La presenza dei gesuiti si segnalò in primo luogo nei paesi in lingua tedesca ma poi anche in Polonia, Ungheria, Francia,
Spagna e Italia. I gesuiti realizzarono una specie di connubio tra controriforma e umanesimo. L’umanesimo fu in realtà
depotenziato della sua carica critica e del suo ideale supremo (l’esaltazione dell’uomo nelle sue capacità cognitive) e fu inteso
solo come strumento al servizio di un altro ideale, l’assoluta obbedienza all’autorità del pontefice in tutti i campi del sapere.
L’istruzione era uno dei primi campi d’intervento dei gesuiti nell’opera di riconquista delle anime. I collegi dei gesuiti, all’origine
sede della formazione dei membri dell’ordine, divennero poi vere e proprie scuole in cui andarono preparandosi le classi dirigenti
delle città e degli stati europei. Il livello della cultura trasmessa nei collegi gesuiti era il più elevato dell’Europa del tempo. Il
secondo terreno di intervento dei gesuiti fu l’iniziativa missionaria a vastissimo raggio: si dispiegò non solo nell’Europa cattolicoromana ma anche nelle terre d’oltremare abitate dagli infedeli. Fu soprattutto l’impero portoghese a favorire la presenza dei
gesuiti nelle colonie. I gesuiti erano presenti: in Brasile, India, Giappone, Cina e nell’America spagnola.
Capitolo 6
1 Filippo II e l’egemonia spagnola in Europa
Carlo V aveva diviso i suoi domini ereditari in due parti: la prima (Austria, Regni di Boemia e di Ungheria) a suo fratello
Ferdinando d’Asburgo eletto imperatore nel 1558, la seconda (Spagna, Milano, Napoli, Sicilia e Sardegna, Franca Contea, Paesi
Bassi e possedimenti americani) al figlio Filippo II. Carlo abdicò i suoi domini ereditari del ramo spagnolo a Filippo II nel 1556 e
morì nel 1558. Protagonisti della scena politica internazionale in quegli anni erano l’impero asburgico e l’impero ottomano. La
Spagna tra il 1520 e il 1570 era diventata la potenza principale in Europa. Per 4 motivi:
- Con la conquista del nuovo mondo la Spagna poté accedere con facilità a nuove fonti di ricchezza e sfruttarle a basso costo
- Notevole apertura di credito verso la corona da parte dei grandi banchieri privati
- La Spagna poteva contare su una realtà politica di base relativamente unificata, sul prestigio della sovranità monarchica, sulla
fondamentale unità religiosa non scossa dallo scisma protestante
- Poteva contare su un esercito bene attrezzato e addestrato.
Questi fattori ebbero un peso notevole nel momento in cui Filippo II divenne re di Spagna. Carlo V e Filippo II erano due
personalità molto diverse. Filippo era per cultura, sensibilità e valori profondamente spagnolo. Era privo di attitudini militari ma
seppe capire che per governare il suo vasto impero occorreva una corte, una fissa dimora e un apparato di funzionari. Fu il re
della controriforma ma anche l’artefice dello stato moderno spagnolo. Filippo II ereditava un impero insidiato da molti pericoli. Il
primo era l’eterogeneità dei titoli originari di appartenenza alla corona spagnola: domini ereditari, paesi conquistati
militarmente, formazioni storiche autonome con una loro civiltà e cultura politica altamente sviluppate, le terre del nuovo
mondo. Il secondo pericolo erano le differenze interne alla stessa Spagna. C’erano poi tutti i rischi connessi alla collocazione
geopolitica dei domini spagnoli ma il più grave pericolo per tutta l’Europa mediterranea era quello turco e fu la prima questione
internazionale che Filippo si trovò di fronte.
2 La Spagna da Carlo V a Filippo II
Si possono distinguere 3 fasi nel regno di Filippo II (1556-98). La prima tra il 1559 e il 1565, la seconda tra
il 1565 e il 1580, la terza tra il 1580 e il 1598. Fino al 1559 le linee ispiratrici della politica della politica di Filippo II sono quelle
paterne; una politica sancita anche dalle strategie matrimoniali. Nel 1543 Filippo aveva sposato Maria Emanuela di Portogallo,
morta 2 anni dopo. Nel 1554 sposò la regina inglese Maria Tudor. Con la morte di Maria tudor nel 1558 la situazione inglese
cambiava radicalmente: l’ascesa di Elisabetta avrebbe definitivamente compromesso l’alleanza anglospagnola. Alla vigila della
pace di Cateau-Cambresis, Filippo sposava la francese Elisabetta di Valois. Il 1559, anno del trasferimento di Filippo dalle Fiandre
in Castiglia, dove è anche stabilita la corte, è quasi una data simbolo:segna il passaggio da un impero su base fiamminga a uno
su base spagnola, fondato soprattutto sull’affluenza delle ricchezze dal nuovo mondo. Segna anche la fine dell’idea dell’impero
universale vagheggiata da Carlo V e il primato di un nuovo sistema politico con al centro la Spagna, o meglio la Castiglia. La
Spagna era in forte espansione demografica e la risorsa più importante del paese era la lana che veniva largamente esportata.
Ma la Spagna era costretta a importare manufatti. Carattere corporativo della manifattura tessile, carenze di artigiani
specializzati, bassa qualità dei prodotti, gia collocavano la Spagna a metà del 500 in una posizione di svantaggio rispetto ad altri
protagonisti del mercato internazionale. Quindi nel passaggio da Carlo V a Filippo II si annunciavano i sintomi dello squilibri tra la
potenza politica dell’impero e la crescita economica della Spagna. L’afflusso dei metalli preziosi americani contribuì allo sviluppo
della potenza politica spagnola ma la sua incidenza sull’accumulazione del capitale e sullo sviluppo economico della Spagna fu
insignificante se non addirittura negativa. I motivi sono molteplici. I grandi mercanti banchieri che controllavano il flusso di
metalli preziosi e il commercio internazionale del denaro e dei beni erano stranieri: prima tedeschi, poi fiamminghi e genovesi. La
finanza privata, attraverso prestiti a breve termine e ad altro interesse, imponeva alla finanza pubblica spagnola, alle prese con
un aumento del fabbisogno di denaro per le imprese militari e per il mantenimento dell’impero, un rapporto sempre più stretto di
dipendenza e i protagonisti della finanza privata erano le grandi compagnie e società economiche straniere, in particolare i
genovesi. Un altro fattore è l’assenza di una politica economica in supporto allo sfruttamento delle miniere americane,
all’incremento della popolazione, all’ascesa dei prezzi. Le decisioni in materia di politica economica aggravarono lo squilibrio tra
popolazione e risorse. La Spagna che Filippo II ereditava non aveva vissuto l’ondata di rinnovamento e di fermenti culturali e
sociali promossi dalla riforma protestante. Era stata tuttavia interessata soprattutto all’influenza di Erasmo da Rotterdam e Juan
de Valdes. La controriforma operata da Filippo attraverso l’istituzione dell’inquisizione e dell’indice dei libri proibiti fu motivata
da esigenze di controllo religioso ma anche politico e sociale. La Spagna della controriforma fu anche un sistema di valori: al suo
vertice il sentimento del nesso inscindibile tra una sola religione, un solo re, la purezza della stirpe (la limpieza de sangre). Fu così
che nei primi anni del regno di Filippo II furono perseguitati e espulsi i conversos, cioè i mussulmani e ebrei convertiti al
cristianesimo. La limpieza de sangre era l’ossessione di Filippo II: il sovrano pensava che tutte le eresie della Germania,d ella
Francia e della Spagna fossero state diffuse dai discendenti degli ebrei.
3 Prima fase della strategia politica di Filippo II
La prima fase del regno di Filippo (1559-65) si può sintetizzare con l’attributo di rey prudente. Il primo pericolo che deve
affrontare è quello turco. Lo stato ottomano si estendeva dal mar rosso e dalle coste meridionali del mediterraneo sino alle porte
di Vienna. Solimano I il magnifico era l’artefice della sua potenza. All’epilogo del suo sultanato l’impero da lui creato cominciava
a scricchiolare soprattutto per ragioni interne. La forza dei turchi restava grande per la potenza militare, marittima e terrestre.
Inoltre i regni barbareschi del nordafrica acquistavano potenza e insidiavano i paesi iberici del mediterraneo: Marocco, Algeria e
Regno di Tripoli. Filippo decise di attaccare i turchi sia perché dopo Cateau – cambresis a guardia del Mediterraneo restava solo
la flotta spagnola, sia per la crisi interna all’organizzazione sociale e politica ottomana. Ma egli ignorava la reale consistenza
della forza marittima dei turchi. Così a Gerba nel 1560 la flotta spagnola fu sconfitta. Grazie a un imponente iniziativa di
ricostruzione navale, dopo Gerba, la Spagna riusci a bloccare la flotta turca che aveva assalito Malta nel 1565. Ma con la ritirata
da Malta il pericolo turco non spariva in quanto il sultano accelerava le costruzioni navali e alimentava il sentimento di rivincita
degli ottomani.
4 La seconda fase della strategia politica di Filippo II: tra Paesi bassi e mediterraneo 1565-1580
PAESI BASSI: intorno 1565 Filippo veniva richiamato verso la parte nordeuropea dei suoi domini in quanto i Paesi Bassi erano in
ebollizione. La diffusione del Calvinismo aveva incrinato la pace e l’unità religiosa e alimentato la nascita di una nuova cultura
politica tra nobili, artigiani e mercanti in cui sentimenti nazionalistici, aspirazioni all’indipendenza dallo straniero e lotta al
cattolicesimo, formavano una miscela capace di fornire i presupposti per fermenti e rivolte contro la dominazione spagnola.
Inoltre si stava incrinando l’alleanza tra la monarchia spagnola e l’aristocrazia dei Paesi Bassi, gelosa delle sue prerogative e
della sua autonomia. Durante la prima fase di regno di Filippo II, alla sua corte il governo dei Paesi Bassi fu oggetto di un
dibattito acceso. Si formarono due partiti: il primo capeggiato dal principe d’Eboli, vagheggiava un’organizzazione politica
imperiale, rispettosa delle autonomie e delle costituzioni politiche dei diversi paesi che componevano il mosaico asburgico; il
secondo, capeggiato dal duca d’Alba, spingeva verso la repressione di tutti i fermenti autonomistici e prefigurava un modello
molto centralizzato dell’impero. Alcuni gruppi aristocratici dei Paesi Bassi erano legati al partito del principe d’Ebole: era quella
parte dell’aristocrazia che sosteneva ancora il governo spagnolo nelle Fiandre ma era contrario alla via della repressione
controriformistica. Un’altra parte però, che aveva il suo leader il Guglielmo d’Orange, intimamente simpatizzante delle idee
protestanti, si scontrò con il governatore di Filippo, facendolo allontanare nel 1564. Nel 1566 Filippo, scegliendo la via
dell’accentramento repressivo, mando il duca d’Alba a governare con il pugno di ferro i Paesi Bassi. La repressione fu dura e
discriminata. La linea del duca d’Alba provocò la fine dell’alleanza fra la monarchia spagnola e una parte dell’aristocrazia dei
Paesi Bassi: Guglielmo d’Orange divenne il leader della resistenza. Le province settentrionali si opposero al dominio della Spagna
e nel 1576 dopo il saccheggio di Anversa, a opera dell’esercito di Filippo II, anche le province meridionali, si unirono a quelle
settentrionali (unione sancita con la pacificazione di Gand) in funzione antispagnola. Ma l’unione tra olandesi valloni durò poco
in quanto gli interessi tra le due società erano diversi in quanto la prima era nella sua maggioranza protestante, la seconda di
religione cattolica. Filippo II inviò suo fratello Giovanni d’Austria nei Paesi Bassi, ma fu il suo successore, Alessandro Farnese che
riuscì a recuperare la parte meridionale dei Paesi Bassi alla fedeltà asburgica. Nel 1579 i Paesi Bassi si spaccarono: a Utrecht
nasceva la repubblica delle province unite, decisa a separarsi dalla Spagna, ad Arras tutta l’area meridionale cattolica sanciva il
ritorno sotto la sovranità di Filippo II. La guerra delle province unite contro la Spagna si prolungò ancora per diversi decenni.
MEDITERRANEO: i turchi, dopo Malta, avevano promosso una politica di intenso riarmo marittimo, infatti attaccarono Cipro,
possesso veneziano e assediarono Famagosta. Questi 2 eventi indussero la Spagna. I veneziani, e il pontefice Pio V a fondare la
“lega santa”: il trattato prevedeva la creazione di una flotta di circa 300 navi, la liberazione del mediterraneo orientale dalla
minaccia turca, la presa di Tunisi. Venezia difese Famagosta ma i turchi riuscirono conquistarla. La flotta della lega santa si
ricompose dopo questa sconfitta. Il 7 ottobre 1571 si svolgeva nelle acque di Lepanto lo scontro memorabile tra la flotta
ottomana e quella cristiana. Fu una delle più sanguinose battaglie navali della storia. La vittoria della flotta cristiana fu dovuta
anche alla superiorità dell’artiglieria europea che facilitò l’abbordaggio delle navi ottomane. La vittoria di Lepanto ebbe
un’enorme risonanza presso i contemporanei anche per l’uso propagandistico che se ne fece nel mondo cristiano. Dopo, la lega
santa si sfasciò. Venezia preferì trattare una pace separata con i turchi, rinunciando a Cipro. Solo nel 1574 la Spagna si impegnò
in nordafrica, cercando di riconquistare Tunisi. Dopo questa data, il sultano Murad III lasciava il Mediterraneo preoccupato dal
conflitto con la Persia. L’accordo tra Filippo II e il sultano Murad III fu provocato dalla necessità della Spagna di un maggiore
impegno nei Paesi Bassi e per l’intervento militare in Portogallo. Inoltre vi era la necessità per i turchi di affrontare con maggiori
forze il nemico persiano.
5 La terza fase della strategia politica di Filippo II: l’imperialismo attivo
L’afflusso massiccio di metalli preziosi dalle americhe, la crisi della potenza ottomana, lo spostamento del baricentro
internazionale verso l’Atlantico, inducevano il sovrano a una politica di intervento attivo rivolta a progetti espansionistici prima
verso le aree più vicine, poi verso la stessa Inghilterra e Francia. PORTOGALLO: il re del Portogallo, Sebastiano di Braganza nel
1578 si impegnava in una spedizione contro il potente sultanato del Marocco ma la potenza militare portoghese era fragile.
Sebastiano fu sconfitto e morì in battaglia. Non aveva successori. Filippo II aveva contratto il suo primo matrimonio con Maria
Emanuela di Portogallo. Rivendicava quindi i titoli per la successione. Tra i ceti portoghesi, soprattutto quelli mercantili,
l’integrazione nell’impero spagnolo non era malvista. Così quando le truppe di Filippo II comandate dal duca d’Alba occuparono il
Portogallo incontrarono una debolissima resistenza che fu immediatamente repressa. 1580: annessione del Portogallo, che
significava l’acquisizione di un vasto impero coloniale e un importante osservatorio sull’ Oceano Atlantico. L’integrazione politica
ed economica non ci fu. Ai portoghesi fu concessa una sostanziale autonomia istituzionale e restarono separati anche i domini
coloniali della Spagna e del Portogallo. I mercanti e gli uomini d’affari portoghesi non trassero quindi i vantaggi sperati
dall’unione.
INGHILTERRA: la penetrazione cattolica dei gesuiti, la presenza in Inghilterra dell’ex regina di Scozia Maria Stuart che aveva
dovuto abbandonare il suo paese divenuto calvinista e cercava di organizzare il fronte antiprotestante contro la regina
Elisabetta, la lotta del pontefice contro la chiesa anglicana, spingevano Filippo a progettare l’invasione dell’Inghilterra. Filippo
poteva rendersi interprete di una vasta coalizione di interessi comprendente il papa, il partito cattolico inglese, il partito dei Guisa
in Francia e, avanzando legittime pretese al trono inglese in quanto marito di Maria Tudor, portare la guerra in Inghilterra. Ma
egli sottovalutava la forza navale e militare dell’Inghilterra e le reazioni che la semplice minaccia dell’invasione avrebbero
provocato nella società inglese. Ma anche la flotta spagnola era potente e fu chiamata l’invincibile armata. A fornire il supporto
alla flotta dovevano essere le truppe dei Paesi Bassi comandate da Alessandro Farnese che sarebbero dovute intervenire dopo
l’invasione dell’armata. Nel 1588 l’armata partì da Lisbona, entrò nella Manica e si scontrò con le navi inglesi. La superiorità della
marina da guerra di Elisabetta fu dovuta soprattutto alla superiorità dell’artiglieria inglese (tattiche pag.135). Alla fine del 1588
dell’invincibile armata restavano poco più di 50 navi. La sconfitta rappresentò l’arresto delle mire espansionistiche della Spagna e
la fine dei sogni di restaurazione cattolica in Inghilterra e Olanda. Inoltre era l’affermazione dell’Inghilterra come grande potenza
marittima. Anche il tentativo spagnolo di intervenire in Francia contro Enrico IV non gioverà a Filippo II. Così in meno di 20 anni la
Spagna vedeva frustrato l’imperialismo attivo. Cominciava una crisi di egemonia. La Spagna aveva dovuto affrontare costi molti
elevati sia per l’invincibile armata che per l’intervento nelle guerre di religione francesi. Questo avveniva in coincidenza con la
crisi economica e finanziaria della Castiglia. I grandi imperi, quello turco e quello degli Asburgo, attraversano una fase di blocco
della loro espansione. Francia, Inghilterra e Olanda sono in ascesa. Essi sono stati mediani per dimensione e per collocazione
geopolitica: non hanno i problemi dell’estensione degli imperi e sono situati al centro dell’Europa.
6 Il sistema imperiale spagnolo
Uno degli obbiettivi primari che si propose Filippo II fu quello di governare il suo impero sovranazionale con un’organizzazione del
potere statale più articolata rispetto al passato. La centralizzazione politico-amministrativa era indispensabile ma un organismo
così composito non poteva neanche essere governato con regole e procedure uniformi e non poteva essere amministrato solo dal
personale e dai funzionari del paese dominante. Gli unici principi e vincoli unitari tra le diverse parti dell’impero erano la figura
del sovrano, la forza della dinastia asburgica, la fedeltà al potere regio, che traeva la sua fonte di legittimità da Dio. Filippo II era
sempre assente dagli altri regni che non fossero la Castiglia; così affidava a vicerè o governatori compiti politico amministrativi
ampi, ma non tali da configurare una frantumazione della sovranità che doveva rimanere indivisa. Si può parlare di sistema
imperiale spagnolo e in questa definizione i concetti chiave sono 2: impero e sistema. Impero è da intendersi in senso politico
come una costruzione sovrastatale e sovranazionale unica nell’Europa del tempo. Il concetto di sistema, unito a quello di impero
qualifica la formazione politica spagnola e si articola nei seguenti aspetti:
- L’unità dinastica è l’elemento di aggregazione di questa composita formazione politica.
- Il governo e la struttura interna di ogni stato devono porsi il problema delle relazioni con il sistema imperiale di Filippo e tutte le
alleanze internazionali degli stati sono condizionate da esso. Nell’idea di sistema imperiale entra anche la relazione tra l’unità
della linea politica della monarchia e le diverse traduzioni realizzate nei domini spagnoli. La linea politica della monarchia di
Filippo è il risultato della sintesi tra le disposizioni valide per l’intero complesso dinastico e i compromessi con le situazioni
particolari e differenti di ciascun territorio. Fino al termine del regno di Filippo, la regione guida del sistema imperiale è la
Castiglia. Il sistema amministrativo di Filippo: c’era una divisione tra consigli dipartimentali (la suprema inquisizione, il consiglio
d’azienda che si occupava delle finanze dell’impero, i consigli di stato e di guerra), organi di consultazione del sovrano su alcune
materie e funzioni specifiche di governo interessanti tutta la monarchia e i consigli territoriali che riguardavano il governo di
singole parti della monarchia. Per cercare di far fronte alle lentezze burocratiche dei consigli e alla difficoltà di controllarne gli
equilibri interni, Filippo cercò di favorire lo sviluppo dei segretari del re, organi di mediazione tra il sovrano e il consiglio. Inoltre
egli operò una razionalizzazione normativa e una centralizzazione delle funzioni soprattutto nel settore finanziario.
7 La nascita dell’Olanda
1579: le 7 province settentrionali dei Paesi Bassi formano l’unione di Utrecht
1581 assumono il nome di Repubblica delle Province Unite in seguito mutato in Olanda, la provincia più importante. La Spagna
non rinunciò però così presto a questi domini: combatté ancora molto per mare e per terra e solo nel 1648, alla fine della guerra
dei 30anni giunse al riconoscimento ufficiale dell’indipendenza olandese. Verso la fine del XVI secolo l’Olanda era un paese
emergente destinato a giocare un ruolo di primo piano nella vita storica europea ed extraeuropea. Fra la fine del 500 e la prima
metà del 600 i tre elementi nella storia delle province unite che avrebbero addirittura contribuito a creare nella sensibilità
intellettuale europea il mito d’Olanda furono:
- Il modello politico istituzionale: dopo l’atto di rinuncia politico istituzionale di Filippo II nel 1581, la sovranità passò alla
comunità delle province unite. Sul piano costituzionale formavano una federazione repubblicana con centralizzazione dei poteri
militari e decentramento di quelli civili. Le scelte militari e internazionali; le scelte in materia di tassazione, di guerra e di pace
erano condizionate dall’unanimità dei voti dei rappresentanti delle 7 province che avevano tutti lo stesso peso. La politica interna
era invece affidata alle province. L’unione di Utrecht del 1579, il documento costituzionale di base della repubblica, stabiliva che
ogni provincia doveva conservare privilegi, libertà, immunità particolari, diritti e statuti. Dopo l’atto di rinuncia di Filippo II, gli
stati provinciali, che inviavano i loro delegati alle istituzioni centrali, furono i garanti dell’autonomia del territorio e assorbirono
gran parte delle prerogative della sovranità, prima appartenenti al re cattolico. L’assemblea degli stati provinciali era composta
da 2 corpi, quello ella nobiltà e quello elle città. Alla base di questo sistema istituzionale c’erano i consigli delle città con poteri
locali enormi. Il vertice del sistema era rappresentato dallo STATOLDER che comandava l’esercito e presiedeva la federazione e
dal gran pensionario, responsabile della politica interna ed estera. La prima carica fu per quasi un secolo monopolio della
famiglia d’Orange. Quello olandese non era un sistema democratico perché il potere dalla base al vertice erano monopolio di
poche famigli aristocratiche. Tuttavia la vivacità del tessuto sociale, la presenza di ricche borghesie urbane, la partecipazione
politica assai intensa nelle istituzioni rappresentative contribuirono a limitare il potere dello Statole e a far fallire i tentativi degli
Orange di trasformare la repubblica in principato. L’originalità del sistema federativo olandese sta nel fatto che esso favorì la
partecipazione diretta delle popolazioni alla vita politica del paese anche grazie alla pratica delle petizioni (mezzo di
comunicazione per chiunque volesse richiedere e ottenere qualcosa da un corpo ammin);
- La potenza commerciale: questo paese a causa della scarsa produttività del suolo rispetto al fabbisogno reale della popolazione
era “condannato al commercio”. a fine 500 l’Olanda aveva una flotta di 11000 navi;
- Sviluppo artistico e culturale: in Olanda c’era una cultura, una sensibilità, uno spirito religioso (calvinista) tendenti a esaltare i
valori del lavoro, del risparmio e della produttività. L’Olanda divenne l’isola della tolleranza.
8 La formazione della potenza inglese nel '500-'600
Tra il primo 500 e la metà del 600 l’Inghilterra ha subito trasformazioni profonde. All’inizio è un paese cattolico, si stacca dal
papa per volontà del suo sovrano, vive la penetrazione della riforma protestante, istituisce un’altra confessione religiosa, un’altra
chiesa, quella anglicana ma a metà 600 il panorama dei gruppi religiosi inglesi è assai ricco in quanto ci sono cattolici, puritani,
quaccheri, presbiteriani. All’inizio l’Inghilterra è un’isola semisconosciuta, a metà 600 è una grande potenza marittima e
coloniale. All’inizio è un paese agricolo con una sola attività industriale, l’esportazione dei panni di lana, mentre verso la metà del
1600 è dotato di risorse come il carbone e ha gia un apparato manifatturiero di un certo livello. Sul piano politico costituzionale
l’Inghilterra vive un’esperienza unica in Europa dal primato del re al primato del parlamento. Nella prima metà del 1500
l’Inghilterra era ancora una potenza di secondo rango ma godeva di una serie di vantaggi:
- La posizione geografica: si affaccia sulla manica e poteva così controllare una delle 2 vie di comunicazione che collegavano i
paesi bassi con la Spagna
- Il rapporto tra popolazione e risorse è meno squilibrato che altrove
- Modello produttivo di agricoltura e la terra non fu concepita come puro sostegno alimentare ma come investimento di capitali;
la base produttiva ne usci allargata attraverso lo sviluppo tecnico e la mercantilizzazione dell’agricoltura.
- La tendenza all’imprenditoria e al rischio che attraversò tutte le classi ricche e dotate di capitali nel paese. Furono i nobili ad
assumersi i rischi delle iniziative economiche e solo con la garanzia delle loro terre fu possibile attirare nelle imprese i capitali
necessari.
- Le figure mercantili in Inghilterra furono diverse da quelle degli altri paesi. Gli uomini che applicarono modi e tecniche della
colonizzazione latinoamericana erano concessionari dello stato. I mercanti delle compagnie inglesi che operarono nell’Europa
orientale, in africa e nelle Indie erano membri di una specie di s.p.a. pur ricevendo incentivi e privilegi commerciali dallo stato
inglese rischiavano in proprio.
9 Il regno di Elisabetta I
Questi 4 elementi ricevettero un forte impulso sotto il regno di Elisabetta I (1558-603). Tra la morte di Enrico VIII (1547) e l’ascesa
al trono di Elisabetta, l’Inghilterra visse un passaggio delicato. Il figli di Enrico, Edoardo VI dovette affrontare i problemi derivanti
dalla sua minore età e un periodo di forti tensioni religiose e sociali. Nel 1553 il trono passava a Maria Tudor che nel 1554 andava
a sposa a Filippo II e cercava di fare entrare il suo paese nell’orbita spagnola. Maria Stuart, regina di Scozia, pretendente al trono
inglese, aveva sposato Francesco II di Francia e ne diventava per breve tempo regina, alleandosi al partito cattolico dei Guisa. La
morte di Maria Tudor (1558) detta la sanguinaria (bloody marie) per la repressione antiprotestante che attuò bloccava il
tentativo di affermare l’egemonia asburgica nell’Europa centrosettentrionale. Elisabetta era figlia di Enrico VIII e Anna Bolena. La
politica religiosa di Elisabetta fu ispirata a una linea centrista: si era fatta nominare capo delle cose sacre e profane, consolidò
l’orientamento confessionale calvinista, mantenne l’organizzazione episcopale inglese e represse con fermezza l’estremismo dei
puritani. Tutta la politica religiosa di Elisabetta era collegata alla politica di consolidamento del potere unitario della monarchia
attraverso una religione ufficiale, la pace religiosa e l’armonia tra ceti e classi. In politica estera Elisabetta chiudeva un ciclo che
era iniziato con la guerra dei cent’anni e aveva raggiunto il suo apice con Maria Tudor: la politica di alleanza angloasburgica
dettata dal fatto che il nemico numero 1 dell’Inghilterra era la Francia, alleata a sua volta con la Scozia, potenziale fattore di
minaccia per l’Inghilterra. Anche la politica matrimoniale aveva seguito questo schema di alleanze: Maria Tudor aveva sposato
Filippo II, Maria Stuart Francesco II. Elisabetta rovesciò questo schema con preparazione militare e politica e solo dopo aver
acquisito prestigio internazionale grazie all’intervento nei paesi bassi. Lo scopo dell’Inghilterra era di neutralizzare la spinta
egemonica di Filippo II e di entrare nel novero delle grandi potenze europee. Per quanto riguarda la politica economica Elisabetta
impresse un grande impulso alle attività economiche del paese promuovendo in particolare lo sviluppo del settore tessile. L’età
elisabettiana è l’epoca d’oro della pirateria, delle imprese marinare di attività formalmente fuorilegge ma di fatto autorizzate
dalla regina attraverso le “lettere di corsa”, documenti in cui erano precisati i vantaggi ricavati dalla regina nelle imprese
corsare. Tutti i soggetti dotati di capitali impegnarono e investirono risorse finanziarie in queste attività: la regina, i suoi ministri,
la nobiltà, uomini d’affari. Non si trattava solo di azioni di pirateria a danno di vascelli spagnoli. Tra il 1557 e il 1580 Francis
Drake compì la seconda circumnavigazione del globo e pose le basi per la colonizzazione inglese della California. Nel 1584 fu
fondata la prima colonia inglese nel Nordamerica, la Virginia, in omaggio alla virginità della regina Elisabetta. Per quanto
riguarda il modello costituzionale e politico amministrativo, quello elisabettiano non fu un governo dispotico. Se la regina voleva
che un provvedimento avesse forza di legge doveva sottoporlo a entrambe le camere del parlamento, quella dei pari (dove erano
rappresentati i Lord) e quella de Comuni (dove erano rappresentate nobiltà delle contee). Il Parlamento formulava il
provvedimento sottoforma di statuto, ossia di legge scritta avente l’approvazione delle due camere. La riforma
dell’amministrazione ad opera di Enrico VIII e di Cromwell aveva dotato l’Inghilterra di organismi centrali con funzioni di natura
finanziaria, di cancelleria e di strutture esecutive di grande importanza politica. Però non si formò mai in Inghilterra una
burocrazia centrale e periferica dello stato paragonabile a quella francese.
10 La Francia nelle guerre di religione del 1500
Il periodo compreso tra la pace di Cateau Cambresis (1559) e la pace di Vervins (1598) è per la Francia di importanza storica
decisiva. Dopo aver attraversato una pericolosa crisi dell’autorità monarchica e della sua legittimità, la Francia si avvierà verso la
fine del 500 ad attuare una via allo stato moderno caratterizzata dal rafforzamento del potere centrale e della sovranità
monarchica come principio unitario e garante della pace interna del territorio. L’ultimo 40ennio del 500 denominato il periodo
delle guerre di religione è caratterizzato da:
- La crisi dinastica dopo la morte del re Enrico II di Valois (1559)
- La divisione religiosa del paese in Ugonotti (= calvinisti francesi) e cattolici
- Il nesso tra lotta religiosa e lotta politica e la sua influenza su partiti e fazioni nella lotta per il potere
- I condizionamenti internazionali dovuti alle congiunture militari (Lepanto 1571; Invincibile armata 1588; guerra franco-spagnola
conclusa con la pace di Vervins 1598) e alla politica matrimoniale.
Lo sviluppo di nuove teorie politiche influenzate dalla dinamica della guerra civile in Francia
Nel 1559 moriva Enrico II lasciando 3 principi minorenni. Il maggiore, Francesco II, 14 anni, sposò Maria Stuart, regina di Scozia e
morì poco dopo. La reggenza passava alla vedova di Enrico II, Caterina de Medici. Dotata di notevoli capacità politiche la regina
era però straniera e doveva affrontare numerosi problemi: la crisi finanziaria e l’aumento del debito pubblico, la diffusione
dell’eresia calvinista nel suo territorio. Il potere centrale era debole e doveva fare i conti con una nobiltà forte, divisa in partiti per
la conquista del potere. La divisione tra questi partiti rispecchiava anche la forte contrapposizione religiosa. Il leader del partito
cattolico, nelle cui file militavano nobili delle regioni settentrionali era Francesco di Guisa. Antonio di Borbone, re di Navarra, era
il leader del partito ugonotto nelle cui file militavano i nobili delle regioni meridionali. Alla morte di Enrico II il partito del Guisa
controllava gran parte delle cariche politiche più importanti del paese. Caterina adottò una linea di mediazione per non far
aumentare a dismisura il potere dei Guisa; quindi fece al partito ugonotto varie concessioni che erano anche il risultato di una
valutazione del peso acquistato dai protestanti nella società francese. A questa linea fu ispirato il primo editto di Saint Germaine
(1562): Caterina concedeva libertà di culto agli ugonotti però obbligati a risiedere fuori dalle mura della città. I cattolici reagirono
e a Vassy massacrarono 70 ugonotti. Gli storici fanno iniziare dalla strage di Vassy (1562) le guerre di religione. Nella prima fase
Caterina, preoccupata del potere dei partiti cercò di bilanciare sempre le concessioni: consentì solo alla nobiltà di praticare la
religione protestante nelle proprie terre e ne limitò il culto nelle città Il compromesso non soddisfò gli ugonotti e provocò scontri
violentissimi nelle campagne e nelle città. Caterina fu quindi costretta, sotto pressione del partito ugonotto a promulgare il
secondo editto di Saint Germanie (1570) molto più favorevole agli ugonotti: venivano loro concesse, oltre la piena libertà di culto,
varie piazzeforti, fortificazioni, e addirittura un porto munito di formidabili difese. L’editto del 1570 era anche il risultato del
contesto internazionale: i referenti esterni del partito cattolico del Guisa erano venuti momentaneamente meno. La Spagna era
occupata nei paesi bassi e nei preparativi della flotta contro i turchi, Maria Stuart era controllata in Inghilterra dalla regina
Elisabetta. La fazione ugonotta stava acquistando in Francia un ascendente forte nella società e nel potere e si preparava a
costituire il fulcro di una coalizione antispagnola. Dopo la vittoria cristiana di Lepanto la congiuntura mutò. La Spagna, simbolo
della cristianità riprendeva prestigio internazionale, il papa e Filippo II appoggiarono con forza il partito cattolico de Guisa. Così
Caterina sostenne decisamente il Guisa e i cattolici ricorrendo anche alle vie più violente. Nella notte di San Bartolomeo (agosto
1572) furono massacrati nelle sale del palazzo reale tutti gli esponenti di spicco degli ugonotti a Parigi per celebrare le nozze del
loro capo Enrico di Borbone. Il massacro continuò in tutta la Francia anche nei giorni successivi. La guerra si inaspriva e si
accentuava la sua dimensione internazionale con la Spagna a fianco dei Guisa e l’Inghilterra a fianco del Borbone. La
radicalizzazione era dovuta anche alla contemporanea crisi dinastica. Durante il regno del terzo genito di Caterina, Enrico III
(1574-89), senza figli, le mire dei due aspiranti al trono Enrico di Guisa e Enrico di Borbone, provocarono una vera e propria
guerra detta la guerra dei 3 enrichi. Enrico di Guisa fu ucciso per ordine del re; Enrico III per mano di un fanatico e prima di morire
aveva designato a succedergli al trono Enrico di Borbone, con un’unica condizione: che si convertisse al cattolicesimo, il che
avvenne nel 1593. Dalla morte di Enrico III nel 1589 alla conversione di Enrico di Borbone la fRancia aveva vissuto anni di conflitto
e di violenza. La Lega (l’alleanza tra spagnoli, il papa, i seguaci del Guisa e della regina di Scozia Maria Stuart) padroneggiava
nella capitale, che si era vista invasa da un’armata spagnola proveniente dai paesi bassi. L’occupazione straniera, i soprusi
compiuti dai leghisti, l’abilità militare di Enrico di Borbone, la sua perspicacia politica nell’avvicinarsi al cattolicesimo, alienarono
le simpatie dei parigini e degli abitanti delle altre regioni francesi nei confronti dei seguaci del Guisa. Nel febbraio del 1594 Enrico
IV re di Francia e iniziatore della dinastia dei borboni, entrava a Parigi. 1598: trattato di Vervins: la Spagna rinunciava a pretese
territoriali in Francia. Nello stesso anno Enrico IV promulgò l’editto di Nantes, vero atto di pacificazione della Francia e primo
riconoscimento della tolleranza religiosa da parte di un sovrano. Esso prevedeva:
- Libertà di culto per gli ugonotti
- Concessione agli ugonotti di alcune piazze forti come la Rochelle e Mont Pellier
- Rappresentanza nei parlamenti
- Libertà civile
Sia la conversione al cattolicesimo di Enrico IV che l’editto di Nantes erano dettati dal bisogno di concessioni e mediazioni per
governare uno stato: con il primo si riconosceva l’importanza della religione cattolica nella società francese; con il secondo il
sovrano faceva i conti con la presenza degli ugonotti nella vita sociale e politica della Francia.
11 L’Europa orientale
Anche nell’Europa orientale alla fine del '500 l’organizzazione politico sociale era interessata a processi di trasformazione in
Russia sotto Ivan IV il terribile il rafforzamento dell’autorità centrale era ottenuto dallo zar attraverso l’indebolimento del potere
della grande aristocrazia russa dei Boiari. Ivan IV fece ampie concessioni di terre a coloro che lo avevano servito nelle campagne
militari creando così una piccola nobiltà di servizio. Ristrutturò il sistema militare, il sistema amministrativo e fiscale. Ma
comunque il sistema sociale ed economico dell’agricoltura russa fondato sullo sfruttamento della servitù della gleba non mutò,
anzi le sue condizioni peggiorarono. Vi fu un peggioramento della schiavitù e il decreto che segnò il punto culminante della
politica di asservimento dei contadini fu emanato dal successore di Ivan IV, Goudonov che decretò la proibizione di tutti gli
spostamenti contadini. All’inizio del '600 la Russia precipitava in una condizione di anarchia, rivolte sociali, usurpazione tra rivali,
conflitti nel ceto dei Boiari. Invece in Polonia le sorti del potere erano nelle mani della aristocrazia. La Polonia era di fatto una
repubblica nobiliare dove il re non era che un personaggio decorativo soprattutto dopo la fine, nel 1572 della dinastia Jagelloni.
L’aristocrazia decretò la fine della monarchia ereditaria rendendola elettiva e affermò il principio del liberum veto: l’opposizione
di un solo aristocratico era in grado di bloccare qualsiasi decisione del sovrano. L’aristocrazia polacca aveva il diritto di vita e di
morte sulla servitù della gleba.
Capitolo 7
1 L’Italia spagnola nel 500
Nel 1559 la pace di Cateau Cambresis aveva sancito la preponderanza spagnola sui territori italiani. I costi che l’Italia dovette
pagare furono:
- La dipendenza di quasi la metà del territorio italiano dalla Spagna: ducato di Milano, Regno di Napoli, Sicilia, Sardegna, Stato
dei Presidi.
- Il drenaggio di risorse umane, economiche, fiscali, da questi territori verso gli interessi della corona asburgica, soprattutto nel
mezzogiorno
- Una sostanziale subalternità degli stati italiani, anche quelli non sottoposti alla Spagna, alla politica di potenza asburgica
- La capillare diffusione su quasi tutto il territorio italiano, della controriforma.
I vantaggi furono:
- La protezione del territorio: dopo cateau Cambresis dominare l’Italia volle dire difenderla, servirsi di essa non contro l’Europa
cristiana ma contro i turchi
- L’Italia non fu tagliata fuori dalla scena della grande politica: il più diretto e esteso coinvolgimento della penisola nello scontro
ispanoturco offrì l’occasione a numerosi stati italiani di giocare un importante ruolo nel sistema di alleanze della monarchia
spagnola. Soprattutto nei domini diretti della monarchia (Milano, Napoli e la Sicilia), l’egemonia spagnola non fu solo
dominazione, ma un sistema di rapporti politici, diplomatici, economici, sociali, fondati sull’equilibrio fra dominio e consenso. La
monarchia spagnola governo secondo la logica del compromesso tra gli interessi della corona e le forze maggiormente
rappresentative nei differenti stati italiani.
Ducato di Milano - 1500
Era stato conquistato dai francesi con Luigi XII ma poi perso nel 1512; nel 1515 riacquistato da Francesco I. con la pace di
Cambrais era sotto la sfera d’influenza di Carlo V. il ducato era l’area di riferimento essenziale per la definizione della politica
spagnola in Italia. Conservava una sua autonomia riconosciuta dalla monarchia spagnola e così non perse mai la fisionomia di
stato principesco.
Regno di Napoli nel 1500
Entrato a far parte dei domini spagnoli di Ferdinando dopo la battaglia del Garigliano nel 1503. Ereditato da Carlo V e poi da
Filippo II visse fasi diverse nel suo rapporto con la Spagna. La prima fase va dalla conquista di Ferdinando il Cattolico fino al 1528.
In essa vi è l’esigenza spagnola di neutralizzare nella società il trauma della successione. Di ricucire la spaccatura tra i ceti
filofrancesi e quelli filospagnoli attraverso l’elaborazione di un progetto di governo e il riconoscimento dell’autonomia
costituzionale. La Spagna solo nel 1528 riuscì ad affermare la sua egemonia sul regno di Napoli. Nella fase successiva il regno
gode di una collocazione di primo piano nella strategia mediterranea di Carlo V. Nella lotta contro i turchi il mezzogiorno era
importante per il controllo del Mediterraneo. Napoli fu importante nella presa di Tunisi da parte di Carlo V nel 1535, nella ripresa
di Tripoli nel 1560, nella difesa di Malta. Inoltre fu la base operativa della flotta cristiana che vinse i turchi a Lepanto nel 1571. La
terza fase del rapporto tra Spagna e Regno di Napoli inizia con la crisi dell’egemonia spagnola derivante dall’impossibilità di
mantenere sotto controllo sia il Mediterraneo che l’Atlantico. Napoli, dopo la crisi della Castiglia deve costituire soprattutto un
serbatoio di risorse finanziarie da cui attingere per far fronte alle esigenze dei diversi teatri di guerra in continuo spostamento.
Gli elementi che conferivano una particolare fisionomia al regno di Napoli erano 3:
- La sua appartenenza alla comunità degli stati cristiani d’Europa
- La natura dei rapporti tra spagnoli e regnicoli regolati non dalla disparità coloniale fra oriundi della madre patria e indigeni ma
dalla legislazione del regno
- Il titolo per il quale gli spagnoli dominavano Napoli non era quello della scoperta e della successiva conquista ma era un titolo di
legittimità dinastica. Ferdinando aveva giustificato la sua conquista come erede di Alfonso d’Aragona.
Tuttavia il regno di Napoli era anche Viceregno, sia dal punto di vista istituzionale, in quanto governato da un vicere spagnolo ma
perché viveva un rapporto con la Spagna di dipendenza politica ed economica. LA SICILIA La collocazione geografica a sud del
Mediterraneo affidava all’isola il ruolo di prima difesa dell’impero. La sua grande riserva cerealicola faceva assegnare alla Sicilia
il compito di sfamare e approvvigionare gran parte dei domini della corona.
SARDEGNA Ci fu continuità tra età dragonesse e prima età spagnola e rimase inalterato il sistema istituzionale. Solo con Filippo II
si ebbe un’inversione di tendenza limitando il potere dei parlamenti, principali istituzioni rappresentative dell’isola. Comunque la
Sardegna contava assai poco nella politica e nelle finanze della monarchia spagnola.
2 Geografia politica dell’Italia non spagnola nel 1500
Ducato di Savoia. Consolidò la sua autonomia territoriale e politica dopo la pace di Cateau Cambresis grazie a Emanuele Filiberto.
Sotto questo sovrano e il suo successore, Carlo Emanuele I, si definirono la linea di politica internazionale e la vocazione
espansiva verso l’Italia dei Savoia. Il problema principale per i Savoia furono inizialmente le relazioni con la Francia che in
Piemonte conservava il marchesato di Saluzzo e alcune piazze forti in funzione antispagnola. Era decisiva l’alleanza con la Spagna
e l creazione di un esercito locale. Emanuele Filiberto spostò poi il baricentro del suo stato dalla Savoia verso l’Italia da Cambrì a
Torino. Carlo Emanuele I sfruttò il periodo critico della Francia nelle guerre di religione occupando il marchesato di Saluzzo,
riconosciuto ai Savoia in cambio della cessione alla Francia di alcune terre oltre il Rodano. Il ducato di Savoia era quindi l’unico
stato italiano dotato di una relativa autonomia e capace di svolgere una politica di potenza nella penisola.
La repubblica di Genova. A Genova e ai suoi banchieri la Spagna affidò funzioni importanti per lo sviluppo della sua potenza
imperiale: il prestito di capitali; il controllo delle comunicazioni marittime nell’area imperiale; i trasferimenti di denaro da un capo
all’altro dei suoi domini. In cambio Genova potenzia la sua flotta e le infrastrutture del porto. Con la pace di Cateau Cambresis
ottenne la restituzione della Corsica ma l’isola fu causa di destabilizzazione per la vita della repubblica in quanto interessava
troppo alla Francia.
Repubblica di Venezia. Doveva far fronte per la sua posizione geopolitica sia alla potenza spagnola che all’Austria. Da un lato
l’alleanza con la Spagna per proteggere dai turchi i suoi possedimenti in oriente, non fondata sul rapporto di subalternità agli
Asburgo ma sulla reciprocità e sulla consapevolezza che Spagna e Venezia avevano bisogno l’una dell’altra per la difesa del
mediterraneo; dall’altro lato l’espansione territoriale sulla terra ferma e l’affermazione di un solido stato regionale. Fino a
Lepanto fu la prima linea direttrice a prevalere nelle scelte della serenissima. Venezia perse la colonia di Cipro ma recò un
contributo militare di primo piano alla vittoria di Lepanto. Lo spostamento del baricentro dell’economia dal mediterraneo
all’atlantico e la concorrenza di più grandi potenze nello stesso mediterraneo spinsero Venezia a concentrare i suoi interessi sul
consolidamento di uno stato regionale nell’Adriatico che si estendeva dalle Alpi a gran parte del Veneto, all’Istria, alla Dalmazia,
alla costa slava
Ducato di Toscana. L’alleanza con la Spagna fu fondamentale per l’espansione e il consolidamento territoriale del ducato elevato
al titolo di gran ducato dal papa Pio V. grazie all’aiuto spagnolo, Cosimo I conquistò la repubblica di Siena nel 1565, conquista
importantissima per l’economia fiorentina. I conti con la Spagna la Toscana doveva farli anche per motivi geopolitici, infatti la
Spagna penetrava nel cuore del gran ducato attraverso lo stato dei Presidi (isola d’Elba, Piombino, Orbetello, Porto Ercole, Porto
Santo Stefano, Talamone), che significava guarnigioni militari spagnole sul litorale tirrenico.
Lo stato Pontificio. Riuscì a unificare sotto il potere del sovrano-pontefice una molteplicità di territori che erano appartenuti a
piccole signorie locali e a costituire una forte realtà politica nell’Italia centrale. Il processo cominciò tra 300 e 400 e proseguì tra il
1500 e il 1600: il Marchesato di Ferrara, il ducato di Urbino, il ducato di Castro e Ronciglione entrarono a far parte dello stato
della chiesa.
3 L’estate di San Martino dell’economia italiana: 1550-1600
Tra il 1550 e il 1600 l’Italia passa da 10 a 13 milioni circa di abitanti. Inoltre le grandi realtà urbane italiane come Napoli, Venezia
e Roma crescono ulteriormente. Nella seconda metà del 500 i prezzi dei cereali in alcune aree settentrionali dell’italia triplicano in
mezzo secolo. Gli investimenti in attività economiche si accrescono, sale il costo del denaro, aumentano i prezzi dei beni e servizi.
Collocata tra 2 grandi crisi, quella del 300 e quella del 600, questa stagione dell’economia italiana è chiamata l’estate di San
Martino. La crescita della popolazione significò aumentato fabbisogno alimentare. La cerealizzazione dell’agricoltura italiana fu
ottenuta sia attraverso la messa a coltura di nuove terre che attraverso bonifiche e irrigazioni. L’aumentata domanda interna e
internazionale nel settore tessile favoriva le tradizionali aree produttrici italiane: per la lana per esempio Milano e Firenze, per la
seta Genova, Venezia e Napoli. I settori in cui più si avvertì la presenza italiana nell’economia mediterranea furono quelli del
commercio e del credito. Nella scena commerciale entrarono nuove città come Livorno e l’aumento dei traffici favorì Genova,
Venezia e Ancona. I grandi capitalisti genovesi crearono un impero molto vasto e attraverso essi una massa enorme di denaro
affluì verso l’Italia. La favorevole congiuntura internazionale ebbe un’influenza positiva anche sull’area più debole dell’economia
italiana, il Mezzogiorno. Si ebbero anche qui una ripresa e un’espansione dell’agricoltura; le attività commerciali del regno di
Napoli si intensificarono, in particolare le esportazioni di grano, seta e olio. Il mezzogiorno doveva comunque importare quasi
tutti i manufatti e dipendeva in massima parte dal capitale straniero. Inoltre la corona spagnola a partire dall’età di Filippo II
chiamò il regno di Napoli a gravosi impegni finanziari.
4 Poteri e istituzioni nell’Italia spagnola
In Italia vi erano forme di sovranità e di governo differenti: da un lato principati e repubbliche oligarchiche che avevano tutti
all’origine l’esperienza decisiva del comune (Genova, Milano, Venezia Firenze) dall’altro lato le monarchie dinastiche (le
differenze tra il ducato di Savoia, lo stato Pontificio, i viceregni di Napoli, Sicilia e Sardegna erano notevoli ma tutte queste realtà
politiche facevano riferimento allo stesso principio della sovranità, quello monarchico). Eli dammi un bacino. In tutti i domini
italiani e negli organi appositamente creati sottoposti alla monarchia spagnola si favorì lo sviluppo di istituzioni locali E di
personale amministrativo indigeno, si promosse l’ammodernamento delle strutture delle procedure soprattutto in materia
finanziaria, si cercò anche di controllare l’apparato sia dall’interno attraverso la nomina di funzionari spagnoli, sia dall’esterno
attraverso la creazione di organi di governo con funzioni esecutive paralleli alle normali istituzioni e rispondenti del loro operato
direttamente al sovrano. Nel ducato di Milano come nel regno di Napoli le due massime autorità spagnole rispettivamente il
governatore e il vicerè, erano largamente condizionate dal senato milanese e dal consiglio collaterale napoletano. Sia nel senato
milanese che nel consiglio collaterale senatori e consiglieri reagivano con vigore quando la Spagna tentava di forzare il processo
di centralizzazione del potere o di innovare gli assetti tradizionali del governo. La monarchia spagnola nel regno di Napoli adottò
un diverso modello di governo. Napoli si fece riconoscere in unità, privilegi fiscali, e si oppose all’inquisizione spagnola che non fu
mai stabilita. Inoltre vi era un’importante forza nel mezzogiorno che era quella della feudalità. I baroni meridionali continuarono
a usare nei loro feudi il potere che in teoria era delegato dal sovrano. La feudalità meridionale dovette cedere buona parte del
suo potere politico alla corona ma conservò potere economico e sociale all’interno dei feudi.
5 Poteri e istituzioni nell’Italia non spagnola
Ducato sabaudo: Emanuele Filiberto è stato uno tra i primi sovrani in Europa a proclamarsi sciolto da tutti i vincoli di tipo
legislativo a imprimere un accentramento assolutistico al suo ducato attraverso il ridimensionamento dei poteri delle assemblee
rappresentative, la formazione di un esercito permanente e lo sviluppo di un solido apparato burocratico. Il controllo della
materia finanziaria affidato alla camera dei Conti; il senato al vertice della giustizia e in periferia tribunali provinciali con a capo
un prefetto. Accanto alla burocrazia degli uffici si sviluppò una struttura di potere esecutivo che affiancò il sovrano nelle decisioni
politiche: il segretario di stato per gli esteri, la guerra, gli interni.
Gran ducato di Toscana: Cosimo I de Medici da un lato voleva costituire uno stato monarchico, dall’altro non poteva non tener
conto delle vecchie classi dominanti della repubblica come l’aristocrazia fiorentina che aveva avuto una parte notevole alla sua
elezione a duca. L’accentramento assolutistico si realizzò attraverso la conservazione delle vecchie istituzioni repubblicane e lo
sviluppo di nuove magistrature esecutive controllate dal granduca.
Stato Pontificio: il pontefice aveva un duplice ruolo: capo della chiesa cattolica e sovrano di uno stato temporale. Questo secondo
ruolo gli assegnava compiti simili a tutti i sovrani del tempo ma la chiesa entrò prepotentemente nella stessa organizzazione
dello Stato pontificio. La partecipazione dei ceti regionali e locali alla macchina statale fu assai limitata: non si svilupparono né
un esercito stabile, né un corpo di ufficiali omogeneo. Infine l’istituto più tipico della diplomazia pontificia, l’annunziatura, fu
affidato agli ecclesiastici.
Repubblica di Venezia: la pienezza dei diritti politici fu riservata solo al maggior consiglio, l’assemblea del patriziato, che
eleggeva il doge, aveva potere legislativo e nominava i magistrati. Gli altri due consigli erano il senato, con funzioni di natura
legislativa, politica e amministrativa e il consiglio dei 10 con funzioni di alta corte di giustizia.
Repubblica di Genova: anche qui il patriziato fu la base autentica e il vero depositario della sovranità. Comune a tutte le realtà
italiane è il processo di trasformazione che investe la società italiana e muta i connotati di alcuni suoi ceti. Le trasformazioni più
vistose riguardano la nobiltà che si va articolando in 2 raggruppamenti: da un lato la feudalità che non è più una potenza politica
in grado di minacciare la sovranità monarchica, dall’altro lato i patriziati urbani che si identificano con i ceti di governo, con le
nuove classi dirigenti cittadine.
6 La controriforma in Italia
L’età dell’egemonia spagnola fu per l’Italia, soprattutto dopo il concilio di Trento il periodo in cui meglio si manifestarono tutti gli
aspetti della controriforma e della riforma cattolica; da un lato la reazione all’eresia protestante, la repressione di qualsiasi
fermento culturale non in linea con l’ortodossia cattolica, i processi dell’inquisizione, dall’altro lato l’azione pastorale di
personalità ecclesiastiche che interpretarono il volto della chiesa rinnovatore. Lo stato Sabaudo di Emanuele Filiberto e Carlo
Emanuele I geograficamente vicino alla patria del calvinismo (Ginevra) e con una sensibile presenza di eretici Valdesi, era tuttavia
un baluardo contro l’eresia grazie all’attività dei gesuiti. L’impronta della controriforma e della riforma cattolica a Milano fu data
da Carlo Borromeo, arcivescovo dal 1565 al 1584 che si impegnò nell’attività pastorale, nella fondazione dei seminari del clero e
nell’assistenza sociale. Venezia si era caratterizzata per una maggiore autonomia da Roma e dal papa. Inoltre lo stato Pontificio
aveva tendenze espansionistiche nei confronti di Venezia. Nel 1606 fu nominato teologo e consultore di stato in materia religiosa
il frate Paolo Sarpi ed eletto doge Leonardo Donato: entrambi impressero un carattere fortemente antiromano alle loro scelte
politiche. La reazione della chiesa si fece sentire quando un tribunale statale condannò alcuni sacerdoti per reati comuni. Papa
Paolo V scomunicò tutte le autorità civili veneziane. Visto che le autorità veneziane non avevano ritrattato proibì di ufficiare riti
religiosi in tutte le chiese della repubblica veneta (interdetto). L’apparato politico amministrativo veneziano si rifiutò di obbedire
all’interdetto e anche il clero secolare. Gesuiti, cappuccini e teatini che avevano obbedito all’interdetto furono espulsi dallo stato.
Grazie alla mediazione francese di Enrico IV si risolse la vertenza: i preti ritenuti colpevoli furono consegnati al papa, ma il
giudizio omesso dal tribunale ecclesiastico non fu ufficialmente riconosciuto dalla repubblica; inoltre i gesuiti non furono
riammessi a Venezia. Vinse dunque la logica del compromesso. Il regno di Napoli seppe sviluppare nei suoi intellettuali più
rappresentativi una solida cultura giurisdizionalista e regalista che si oppose con energia all’estensione dei privilegi del clero.
Tommaso Campanella l’autore della Città del sole, un progetto utopico di stato comunista fondato sulla pace sociale e sui principi
della religione naturale. Giordano Bruno.
Capitolo 8
1 L’evoluzione del mondo islamico nel 1500
Tra il XV e il XVI secolo l’Islam si diffuse in vastissime aree dell’Asia e dell’Africa. Nei primi secoli dell’età moderna furono costruiti
2 potenti imperi: quello degli ottomani e quello persiano. Ma l’islam si espanse anche in India, Indonesia, Africa orientale e Africa
nera. Tutte queste aree avevano intensi scambi con i paesi e le civiltà europee. L’impero ottomano dopo la conquista di
Costantinopoli nel 1453 iniziò una grande fase espansionistica e in meno di 100 anni diventò uno dei più potenti imperi del
mondo. Conquistò la Siria, l’Egitto, parte dell’Ungheria, la Moldavia. Le ragioni di questa avanzata sono principalmente 2: la
prima di carattere internazionale, la seconda legata al modello politico organizzativo dell’impero. Gli anni di maggiore
espansione turca in Europa coincisero con gli anni della fase più critica dello scontro tra Carlo V e Francesco I: lo scontro per
l’egemonia in Europa da parte di Francia e Spagna consentì ai turchi di prendere Belgrado, l’Ungheria e di assediare Vienna. Il
secondo motivo del successo ottomano è legato al modello dell’impero. Al suo vertice era il sul tano e l’intero territorio agricolo
dell’impero era suo patrimonio personale tranne i patrimoni degli enti religiosi. I vertici dell’apparato burocratico e militare erano
reclutati soprattutto tra gli schiavi di origine cristiana dopo essere stati educati sin da bambini nella fede musulmana e nelle
discipline dell’amministrazione civile e militare. Nel XVII secolo con l’avvento dei nuovi soggetti del controllo del traffico orientale,
Inghilterra, Olanda, Francia, iniziò la crisi turca. Questa fu determinata anche dalla lunga guerra con la Persia e da motivi di
ordine interno. Gli abitanti dell’impero ottomano erano i turchi sunniti mentre gli sciiti abitavano in Persia. Gli sciiti erano più dei
sunniti legati alla purezza del messaggio religioso rivelato da Maometto: da qui all’integralismo religioso assoluto e il carattere
teocratico dell’organizzazione politica e un rapporto con gli infedeli non fondato sul confronto come per i sunniti ma sulla
conflittualità e la guerra santa. Artefice della potenza persiana fu la dinastia Safavide. Sotto il dominio di Abbas I il grande fra la
fine del 500 e l’inizio del 600 la Persia si era stabilizzata quasi entro i suoi confini attuali dopo la sconfitta di Turchi e Utzbeki.
Abbas creò una autocrazia di stile orientale in cui stato, governo e ricchezza erano considerati beni del sovrano.
2 L’evoluzione del mondo islamico nel 1500: Cina, Giappone e India
CINA Nella seconda metà del 1300 dopo la cacciata dei Mongoli ci fu la dinastia dei Ming che resse il paese sino al 1644. Nel XV
secolo ci fu per la Cina un consolidamento territoriale (annessione del Vietnam ed estensione dei confini) e una stabilizzazione
interna attraverso l’affermazione del potere centralizzato della monarchia e dello sviluppo economico e commerciale. Nel corso
del XVI secolo le regioni settentrionali videro lo sviluppo di un’economia mercantile urbana mentre il riso divenne la principale
coltura delle regioni meridionali. La società cinese nell’ultimo periodo Ming aveva al vertice della gerarchia sociale la ricca
aristocrazia fondiaria; seguiva una classe di funzionari e intellettuali. Il rapporto tra i due settori era assai stretto.
GIAPPONE Il feudalesimo giapponese era differente dal quello europeo. Prima di tutto la feudalizzazione era più estesa. Inoltre il
legame personale tra signore e vassallo era più forte del legame economico del vassallo con la terra; infine il vassallaggio aveva
un carattere sacro e familiare. Nella seconda metà del 500 iniziò per il Giappone il periodo senza shogun, una fase in cui il paese
fu governato da potenti capi militari e condotto da alcune prime riunificazioni. A inizio 600 inizia poi il lungo shogunato Toku
Gawa, una particolare formazione statale e sociale che durerà in Giappone sino al 1868. Al vertice c’era l’imperatore che non
esercitava direttamente il potere in quanto il potere reale era esercitato dallo shogun che possedeva un quarto delle terre
coltivate del paese. Le gerarchie sociali chiuse garantivano la stabilità delle distinzioni di classe tra cui i Samurai, i contadini, i
commercianti.
INDIA Nella seconda metà del 1500 grazie al re Ak bar si forma nell’India settentrionale l’impero Mogol. Il
fondamento di questo stato era militare: ogni funzionario era membro dell’esercito; Al vertice dello stato c’era l’imperatore; non
si formarono né un’aristocrazia terriera, né una burocrazia ereditaria; le assegnazioni di terra come ricompensa per i servizi
burocratici e militari furono sostituite dal denaro. L’impero era diviso in province rette da un vicerè. Il sistema delle caste rese
quasi superflua in India la centralizzazione del potere. Questo sistema organizzava la popolazione in gruppi militari ed
endogamici: in essi i maschi svolgevano, tramandandola di padre in figlio, lo stesso tipo di funzione sociale (sacerdote, guerriero,
artigiano…). Forti pregiudizi religiosi contribuivano a dividere e a gerarchizzare ulteriormente la società.
Capitolo 9
1 La crisi del '600
Tra la fine del XVI secolo e la fine del XVII quasi tutte le aree europee furono investite da un processo di trasformazione detto la
crisi generale del 600. Ci fu una crisi della struttura agraria, la contrazione demografica, quella manifatturiera, industriale e
commerciale. Un’intensificazione del ciclo carestia-epidemia-carestia, gli effetti nefasti della guerra ma anche il declino di vecchie
e il consolidamento di nuove gerarchie nella vita degli stati e nelle relazioni internazionali. La crisi non colpì tutti paesi nello
stesso modo, tempi, settori e attività economiche. Dalla crisi alcuni paesi uscirono più deboli, altri più forti: alcuni come
l’Inghilterra e l’olanda stabilirono la loro egemonia sul continente. Altri si indebolirono ulteriormente e furono subalterne alle
grandi potenze economiche sino alla seconda rivoluzione industriale.
La demografia nel '600
Nel corso del XVI secolo la popolazione europea aumentò. Nel 600 aumentò ma poco. La crescita demografica non è di per sé
indice di benessere, un paese che non è in grado di garantire occupazione, produzione e redditi, è schiacciato dalla
sovrappopolazione. Ciò che conta è il rapporto tra popolazione e risorse, è la capacità di domanda effettiva della popolazione.
Così nell’Europa del nord l’incremento demografico fu il rapporto equilibrato con la distribuzione del reddito e l’andamento dei
prezzi: l’aumento della popolazione fu in grado di alimentare una crescente domanda in ragione del livello di reddito raggiunto
dagli abitanti dell’Europa del nord. Della sua distribuzione in modo più equilibrato tra le diverse fasce della popolazione, di un
andamento più lineare dei livelli dei prezzi. Il 1600 fu per l’Europa comunque un secolo debole di crescita demografica
(concentrato per lo più in Inghilterra paesi bassi e paesi scandinavi) e le cause furono la guerra dei 30 anni e le epidemie: nella
prima metà del 600 furono colpite la Spagna, l’Italia settentrionale e la Germania; nella seconda metà la Francia, l’Italia
meridionale, l’Inghilterra e l’Olanda ma in questi ultimi due stati gli effetti delle crisi epidemiche furono più contenuti che altrove
perché non furono investiti dalla carestia.
L’agricoltura nel '600
È il punto di forza delle società preindustriali. All’inizio del XVII secolo l’espansione dell’agricoltura si interrompe: i prezzi dei
cereali si abbassano; le superfici coltivate diminuiscono al di fuori di alcune aree (Inghilterra, Olanda e alcune regioni francesi).
Diminuiscono anche le rese, cioè il rapporto semente-prodotto; si afferma la tendenza a passare dalla cereale cultura
all’allevamento. Ci fu quindi un mutamento di congiuntura agraria tra la fine del 500 e i primi decenni del 600. I prezzi dei cereali
diminuirono rispetto a quelli delle altre merci e ai salari, la ragione di scambio fu quindi sfavorevole ai cereali. La contrazione in
agricoltura non significò crisi globale: toccò i cerali più di altri settori; le economie diversificate furono quindi favorite. I paesi
produttori ed esportatori furono toccati per primi e più gravemente che gli importatori: i primi (i paesi baltici) furono sfavoriti, i
secondi (i paesi bassi) furono favoriti. La piramide sociale si accorciò: diminuirono i contadini proprietari e i piccoli coltivatori. La
crisi arrestò un processo di formazione, sia pure parziale, di risorse e di ceti orientati in senso capitalistico in alcune agricolture
regionali. La superficie a coltura diminuì. Ci furono passaggi da coltivazioni a prati e pascoli, aumentò l’allevamento delle pecore
con conseguente maggiore produzione di lana. Aumentarono le grandi proprietà estensive
Manifatture, industria e commercio, finanza nel '600
Anche queste furono investite dalla crisi. Per quanto riguarda l’industria del tempo, la tecnologia era ancora uno stadio poco
evoluto: l’energia di base era costituita da quella umana, per alcune fasi lavorative era sfruttata l’energia umana e quella
idraulica. Alcune innovazioni erano state introdotte nei tre settori più importanti dell’industria del tempo: l’industria estrattiva
(utilizzate primitive pompe idrauliche), la siderurgia, e manifattura tessile. Il fattore tecnologico ebbe molta importanza nel
determinare dopo la metà del 600 il primato di grandi potenze economiche come l’Inghilterra e l’Olanda. Anche l’organizzazione
del lavoro contribuì a rallentare lo sviluppo industriale, soprattutto nell’Europa mediterranea: le corporazioni di arti e mestieri
avevano perso peso e il potere politico che avevano nel medioevo ma mantenevano intatto il potere di controllo
sull’organizzazione dell’economia attraverso privilegi, monopoli e l’irrigidimento delle regole per l’accesso all’attività
professionale. Soprattutto l’economia italiana fu compromessa dalla rigidità dell’organizzazione manifatturiera e ci furono crisi
della vita produttiva a Venezia, Milano, Firenze, Napoli, dove si registrò una contrazione assoluta del settore tessile durante il
600. Furono invece in grande ascesa le manifatture inglesi e ancor più equilibrato fu lo sviluppo dei paesi bassi. I motivi della
superiorità economica di questi 2 paesi furono la diversificazione merceologica di queste due economie e la loro capacità di
rispondere alla domanda di beni praticando prezzi più accessibili; il raggiungimento di questo obbiettivo attraverso il basso costo
del lavoro. Per quanto riguarda il commercio internazionale il baricentro si era spostato dal mediterraneo all’atlantico lungo le
due rotte che da Siviglia muovevano verso le Americhe e da Amsterdam, verso l’America, l’africa e le Indie orientali. Gli spagnoli
avevano svolto una funzione di primo piano nel mercato internazionale durante il 500; ma il centro del capitalismo europeo nel
XVII secolo sarà situato tra Amsterdam, Londra e Parigi. Nuove gerarchie anche nel controllo del credito e della finanza.
Importanza del denaro crebbe tra il XVI e XVII secolo; l’afflusso dei metalli preziosi dal nuovo mondo non diminuì ma crebbe il
fabbisogno monetario nella misura in cui si intensificarono gli scambi e tutti avevano bisogno di capitali poiché la massa
monetaria circolante era scarsa. Il sistema monetario era soggetto a continui sbandamenti. L’afflusso di oro e argento americano
alla fine del 500 ebbe una contrazione fortissima per l’esaurimento di molte miniere e per la crisi della manodopera indigena
decimata dalle dure condizioni di lavoro. Perciò il valore dell’oro ebbe una fortissima impennata, le monete più pregiate si
svilirono, si dovette ricorrere alle coniazioni in rame con il conseguente aumento fortissimo dei prezzi. Per la scarsità della
moneta circolante il sistema finanziario internazionale sia pubblico che privato faceva ricorso ad una moneta fiduciaria: i titoli del
debito pubblico emessi dagli stati e le lettere di cambio, alter ego del denaro che regolava tutto il movimento del credito. Nel 500
erano stati i tedeschi e i genovesi i primi della finanza internazionale, mentre nel 600 la grande finanza anglo-olandese sostituì gli
antichi protagonisti.
I mutamenti della società nel '600
La corsa alla terra, all’occupazione degli uffici dell’amministrazione statale, all’investimento nel debito pubblico, furono tendenze
comuni a tutta l’aura europea. Queste tendenze non determinarono effetti sociali simili in tutta Europa. Ad esempio nell’area
mediterranea dell’Europa vi era una forte ripresa del potere sociale della feudalità mentre in Inghilterra l’aristocrazia si
trasformava profondamente. La vecchia aristocrazia mostrò una sorprendente prontezza a sviluppare nuove risorse sui propri
possedimenti terrieri e ad assumere una parte di grande rilievo nelle iniziative commerciali, industriali e coloniali. Invece in
Francia la nobiltà di spada non perseguì il successo commerciale per 2 motivi: il pregiudizio aristocratico contro il commercio e il
disegno politico della monarchia la quale non voleva che la nobiltà si costituisse una base economica indipendente che le avrebbe
consentito di sfidare il potere del re.
2 Il declino dell’impero spagnolo nel corso di '600-'700
Alla fine del 500 l’impero spagnolo comprendeva intorno al regno di Castilla il resto della peninsula iberica, buona parte
dell’Italia, i Paesi Bassi, l’America centrale e meridionale e le indie orientali e portoghesi. Nel corso del 600 e del 700 vengono
meno alcune delle condizioni che avevano consentito l’ascesa del sistema sotto Filippo II: la ricchezza e l’egemonia politica della
Castilla, regione guida; il consenso dei paesi sudditi del re cattolico; la capacità del sistema di subordinare a esso tutte le relazioni
internazionali.
Il Regno di Filippo III in Spagna
Durante il regno di Filippo III (1598-1621) si manifestarono i primi segnali del declino. La Spagna fu investita da una grande crisi
economica: cattivi raccolti, la peste, decadenza di gran parte dei settori agricoli colpirono soprattutto la Castilla. Dopo l’ultima
bancarotta di Filippo II, nel 1607 anche Filippo III fu costretto a imitarlo. L’argento americano era ormai esaurito e la politica
fiscale dello stato sottoponeva a pressione e penalizzava soprattutto l produttività, scoraggiando qualsiasi spinta
imprenditoriale. Un’ulteriore colpo all’economia fu l’espulsione dei moriscos (musulmani convertiti al cristianesimo) in quanto
erano una minoranza razziale non integrata però costituivano la spina dorsale dell’agricoltura e dell’artigianato spagnolo.
Durante il regno di Filippo III si produssero anche importanti mutamenti nel sistema politico spagnolo. Gli affari di governo sotto
Filippo II erano retti dal sovrano e dai consigli, il centro del sistema di potere a partire da Filippo III fu costituito dalla figura del
VALIDO, una personalità politica a mezza strada tra il favorito del sovrano e il primo ministro (il duca di Lerma sotto Filippo III e il
conte-duca d’Olivares sotto Filippo IIII. La politica internazionale di Filippo III e del duca di Lerma fu caratterizzata da una linea
pacifista: la pace con l’Inghilterra (1603) e la tregua dei 12 anni con le province unite (1609) furono i due atti più importanti.
Il Regno di Filippo VI in Spagna
Si apri una nuova congiuntura politica con Filippo VI (1621-65) con l’ascesa al potere del conte duca d’Olivares (1621-43) che si
rese conto della crisi di fiducia e di consenso che il suo paese e le province imperiali attraversavano. Un nuovo imperialismo
internazionale, un maggior coinvolgimento delle province nella vita economica, politica e militare della Spagna. 3 fasi della
politica estera:
- Dalla scadenza della tregua d’Olanda (=fine della pax ispanica dell’età di Filippo II). Tra il 1621 e il 1627 Olivares costruisce un
sistema di alleanze in funzione anti-olandese, ottenendo un importante successo militare a Breda contro le province unite e a
conquistare l’area strategica della Valtellina in funzione antifrancese.
- Tra il 1627 e il 1635 Olivares avrebbe potuto non continuare con le avventure militari e rivolgersi ai problemi gravissimi interni
all’impero. Nel mentre la fRncia era occupata dalla questione degli Ugonotti e le truppe alleate dell’impero germanico stavano
ottenendo molti successi. A trascinare la Spagna in una nuova avventura militare fu la questione della successione del
Monferrato. Nel 1627 moriva il duca di Mantova Vincenzo II. Aveva maggiori titoli alla successione il candidato francese Carlo I di
Gonzaga-Nevers, ma Mantova sotto il controllo francese era un pericolo per l’intera Italia spagnola. Il governatore di Milano
Gonzalo de Cordoba nel 1628 penetrò con le sue truppe nel Monferrato e Olivares inviò altre forze. La guerra di Mantova (162831) fu un grave errore: il Nevers non fu cacciato da Mantova; i francesi che avevano risolto la questione degli Ugonotti passarono
le Alpi per portare i rinforzi. La guerra di Mantova preparò il conflitto franco-spagnolo scoppiato poi nel 1635. Durante questi
anni Olivares mise a punto un progetto che prevedeva il più ditetto coinvolgimento militare dei domini spagnoli a cui egli mirava.
Questo incontrò forti opposizioni sia da parte dell’aristocrazia castillana sia nelle province chiamate a collaborare in misura più
massiccia alle esigenze della corona spagnola, e fu una delle cause della rivolta catalana
- Guerra franco-spagnola (1635-48) che conclude la guerra dei 30anni. In questo periodo la monarchia spagnola fu impegnata sia
sui fronti militari internazionali, sia sul fronte interno.
Le rivolte del 1640 in Spagna
Nel 1640 scoppiarono nel sistema imperiale spagnolo 2 crisi gravissime: la rivolta in Catalogna e la secessione del Portogallo. In
Catalogna sia per gli abusi compiuti dalle truppe spagnole presenti al confine con la Francia che per l’inasprimento della
pressione fiscale esplosero violenti tumulti e nel 1641 la Catalogna si gettò tra le braccia della Francia. Dopo la Catalogna anche
il Portogallo dichiarò la sua indipendenza. Nel 1643 dopo la decisiva sconfitta inferta dai francesi all’esercito spagnolo, Olivares
fu deposto dal suo incarico. Nel 1647 scoppiarono 2 rivolte: in Sicilia e nel Regno di Napoli. Entrambe avevano dovuto accollarsi il
peso finanziario e militare degli impegni della corona spagnola nel decennio precedente. Ma la rivolta che interessò Napoli e le
province del regno meridionale dal luglio del 1647 all’aprile del 1648 non ebbe solo motivi fiscali. Bisogna distinguerne 3 fasi: la
prima dominata dal capopopolo Masaniello ma la testa pensante del moto fu un avvocato, giugno Genuino. Essi sostenevano la
lotta politica dei ceti popolari contro la nobiltà rappresentata da 5 dei 6 eletti che governavano la capitale. La rivendicazione di
questa prima fase fu la richiesta della parità del peso politico nell’amministrazione del comune di Napoli tra nobiltà e popolo.
Dopo l’uccisione di Masaniello e l’esilio di Genuino la rivolta si trasferì nelle province delle campagne del mezzogiorno dove
assunse una grande impronta antifeudale (questa è la seconda fase). Infine la terza fase: i leader popolari proclamarono la real
repubblica napoletana sotto la protezione del re di Francia ma l’esperienza fallì. Enrico di Lorena, duca di Guisa che si proclamò
doge della repubblica non ebbe il sostegno della Francia. Il leader della real repubblica si resero conto di non godere del consenso
del ceto civile e aprirono trattative con il potere spagnolo. Il baronaggio feudale, che nella prima fase del morto era fuggita dai
feudi riprese il possesso delle terre. Nell’aprile del 1648 ci fu un ritorno trionfale degli spagnoli a Napoli. Alla fine degli anni 40 la
Spagna era in condizioni migliori rispetto ai primi anni 40. Il Portogallo era definitivamente perso ma c’erano la riconquista di
Napoli e il contenimento del rischio di rivolte in altre regioni come l’Andalusia. Anche la crisi catalana fu risolta positivamente
dalla Spagna in quanto i francesi si tirarono indietro e le carestie e le malattie fecero il resto.
3 Il regno di Enrico IV in Francia
Dopo l’editto di Nantes (1598) Enrico IV aveva ristabilito in Francia la pace religiosa. Egli seppe anche capire che non si poteva
governare senza alleanze sociali, senza un equilibrio tra dominio e consenso. Così promosse una politica di consolidamento dello
stato basata sulla formazione e lo sviluppo di un ceto di funzionari pubblici la cui origine e fortune economiche e politiche furono
in larga parte legate allo stato. La vendita degli uffici pubblici consentì allo stato di rispondere alle aumentate esigenze
finanziarie della monarchia e di attirare verso l’apparato statale gruppi sociali di origine non nobile. Veniva costruendosi un
solido legame tra il re e la sua burocrazia. Su questo ceto, i cui esponenti più importanti divennero, grazie non al sangue ma al
servizio prestato nella burocrazia, i titolati della nuova nobiltà di toga, distinta dalla nobiltà di spada, i sovrani francesi fecero
leva per neutralizzare le spinte eversive dell’aristocrazia e dell’antica nobiltà. Per quanto riguarda l’economia Enrico IV grazie
anche al suo primo ministro, il duca di Sully, cercò di ricostruire le basi produttive del paese attraverso lo sviluppo dell’agricoltura
e le manifatture tessili. In politica estera Enrico IV promosse alleanze in funzione antiasburgica: con gli olandesi, con i Savoia
(Carlo Emanuele I), con Venezia. Certo il suo regno non eliminò, anzi accentuò tensioni e conflitti interno alla società francese:
quello religioso tra cattolici e Ugonotti che l’editto di Nantes aveva solo parzialmente attenuato; tra la nobiltà di spada e di toga;
il conflitto tra i parlamenti (le più importanti istituzioni giudiziarie del paese) e il corpo di funzionari creati dal sovrano.
La reggenza di Maria de Medici e il governo di Richelieu in Francia
Nel 1610 Enrico IV fu assassinato da un fanatico estremista della lega cattolica; lasciava un figlio ancora piccolo (il futuro Luigi
XIII). La reggenza fu rimessa alla vedova del re Maria de Medici, che nel 1614 convocò gli stati generali. L’assemblea dei tre stati
(clero, nobiltà e terzo stato) fu la cassa di risonanza di tutte le lacerazioni del regno, ma non riuscì a imporre nessuna riforma
proposta all’approvazione del re. Fu l’ultima convocazione degli stati generali prima della rivoluzione francese. Il decennio 161424 fu per la Francia un periodo critico. Nel vuoto di potere statale l’aristocrazia si riprese ed esplosero conflitti di natura religiosa
e politica. Nel 1624 divenne primo ministro di Luigi XIII il cardinale Richelieu. Nel suo governo possiamo individuare due periodi:
dal 1624 al 1628 e dal 1628 al 1642. Nei primi anni del suo governo dovette occuparsi della questione ugonotta e nel 1628
l’esercito ugonotto fu sconfitto a La Rochelle. La seconda fase del suo governo fu caratterizzata dal rilievo della politica
internazionale. Nel duello franco spagnolo la Francia di Richelieu dimostrò una decisa superiorità. Nel disegno di Richelieu vi era il
ridimensionamento del sistema imperiale spagnolo, e a tal fine egli si alleò con i sovrani di alcuni stati regionali italiani, infiltrò
spie e provocatori nei domini spagnoli d’Italia al fine di provocare congiure, conflitti sociali, rivolte contro la corona di Spagna e
inoltre intervenne in Cataluna a fianco dei ribelli. Negli anni 30 molte regioni francesi furono investite da rivolte contadine che
avevano tra i loro bersagli oltre alla nobiltà, le nuove funzioni dello stato moderno: fisco, spese militari, alloggiamenti delle
truppe. Questi moti non indebolirono ma rafforzarono lo stato che riuscì a sconfiggere le rivolte.
Mazarino e la fronda nel 1600
Il successore di Richelieu, Giulio Mazarino non ne mutò le linee fondamentali di governo. Nel 1643 moriva Luigi XIII e ci fu così la
reggenza della regina madre dell’infante Luigi XIV, Anna d’Austria. Nei primi anni del governo di Mazarino ci furono successi
decisivi sul fronte internazionale e nella guerra contro la Spagna ma anche momenti di crisi nell’ordine politico interno. A causa
dell’aumentato fabbisogno finanziario Mazarino da un lato aveva esteso il ricorso alla venalità degli uffici, creando nuovi
incarichi vendibili. Dall’altro tassava sino a un terzo il salario annuale dei funzionari pubblici. Così la nobiltà di toga si oppose al
governo in quanto non condivideva la continuazione della guerra e il conseguente aumento delle spese militari e cercava di
contrastare la formazione di un forte apparato centrale. Anche gli stessi funzionari e gli esercenti degli uffici venali si opposero a
Mazarino. A interpretare l’opposizione furono i parlamenti; il parlamento di Parigi formulò nel 1648 un progetto di distribuzione
dei carichi fiscali, di controllo della spesa pubblica e di soppressione degli intendenti. Mazarino fece allora arrestare alcuni
parlamentari e fu il detonatore di una rivolta che si estese da Parigi, alle province, agli altri parlamenti. Il movimento fu chiamato
fronda parlamentare. Se nel parlamento di Bordeaux emersero persino spinte radicali in senso repubblicano, negli altri
parlamenti provinciali furono affermati il primato e le prerogative del ceto togato nel governo dello stato. Si ebbe anche una
partecipazione popolare al movimento di rivolta. Il parlamento di Parigi, comprendendo che proprio sul fronte antifiscale era
possibile una saldatura tra borghesia e popolo annunciò provvedimenti di riduzione delle imposte. Ma la rivolta non aveva spinte
omogenee e la radicalizzazione della sommossa plebea non poteva essere sostenuta dai parlamentari parigini. Così nel 1649 il
parlamento di Parigi raggiunse un accordo con la monarchia. Un’ altra fonte di conflitto era rappresentata dalla nobiltà di
sangue e dal partito del suo leader, il principe di Condè Luigi di Borbone. Questa nobiltà non voleva accettare il progetto
centralizzatore di Mazarino e si unì in un unico fronte con il popolo, con alcuni parlamentari radicali come quelli di Bordeaux e
con l più antica aristocrazia francese. Il 1651 Mazarino andò in esilio. Si determinò la più grande paura di un vuoto politico. Ciò gli
consentì di raccogliere forze militari comandate dal generale Turenne e di riunificare sotto la monarchia quei ceti che grazie al
consolidamento monarchico avevano potuto accrescere le loro fortune. Nella battaglia di Parigi (1652) Turenne vinse il ribelle
Condè. Mazarino e Luigi XIV ritornavano a Parigi. La vittoria di Mazarino fu la vittoria dell’amministrazione e dei suoi organismi
esecutivi sulle resistenze degli stati (=ordini sociali).
4 Le contraddizioni dell’impero germanico nel 1600
Costituzione politica della Germania: il vertice era l’imperatore me era molto debole in quanto delimitavano e condizionavano
l’autorità sia la dipendenza dei sette principi elettori sia la forza della dieta imperiale, sia l’assenza di organismi politico
amministrativi unificati. Il fondamento del sistema di potere negli stati germanici era costituito dal rapporto tra i principi e i ceti
territoriali rappresentati nelle diete. Questi ceti erano indispensabili al principe nell’amministrazione della giustizia, delle finanze
e di altri affari di stato. Dopo la riforma la maggioranza dei principi elettori era cattolica: i tre vescovadi di Colonia, Magonza e
Treviri e il re di Boemia. I principi elettori di Palatinato, Sassonia e Brandeburgo erano invece protestanti. Rodolfo II d’Asburgo,
successo a Massimiliano II, tendeva a spostare gli equilibri a favore degli interessi cattolici provocando una radicalizzazione delle
divisioni politiche. Si formarono un’unione evangelica con a capo l’elettore del Palatinato a cui si contrappose una lega cattolica
con a capo il duca di Baviera. Il conflitto esplose in occasione della questione della successione al trono di Boemia. In questa
regione era stato dichiarato il cattolicesimo religione di stato in base al principio del cuius regio eius religio ma vigeva comunque
una relativa tolleranza verso luterani e calvinisti. La dieta Boema dopo aver costretto Rodolfo II ad abdicare designò re di Boemia
suo fratello Mattia che gli successe come imperatore. La dieta era intimorita dall’erede imperiale Ferdinando di Stiria, rigido
cattolico di formazione gesuitica: la sua successione avrebbe significato l’imposizione dell’assolutismo della controriforma su
tutto l’impero. Al momento di scegliere il successore nel 1617 la lega cattolica riuscì a fare eleggere Ferdinando di Stiria. La dieta
boema costituì nel 1618 un governo d’emergenza. Nello stesso anno i 2 governatori cattolici venivano gettati dalla finestra del
castello praghese di Rodolfo II. La defenestrazione di Praga dava inizio alla guerra dei 30 anni.
5 La guerra dei 30 anni: 1618-48 Caratteristiche:
- Si scontrarono 2 civiltà, due modelli di cultura oltre che due credo religiosi: protestante e cattolico. Da un lato la Boemia e gli
stati germanici dell’unione evangelica, dall’altro gli stati germanici della lega cattolica, gli Asburgo d’Austria e le forze imperiali.
- L’internazionalizzazione del conflitto. A causa del carattere di guerra quasi religiosa, dei condizionamenti delle alleanze tra gli
stati e per la finalità politica che era quella della lotta per l’egemonia sul continente. La guerra dei 30anni rappresenta forse uno
dei primi modelli di guerra che, partita da un conflitto su scala locale, produsse un mutamento degli equilibri politici sul
continente europeo.
- L’emergenza di nuovi protagonisti sulla nova scena politica europea: Danimarca e Svezia Il conflitto fu una guerra di massa,
forse la prima della storia moderna: 100 mln di europei furono coinvolti nello scontro e i costi della guerra furono elevatissimi.
Quattro fasi della guerra dei 30 anni
1) Fase boemo-palatina (1618-25). Dopo la defenestrazione di Praga, in Boema fu nominato un governo provvisorio. L’arciduca
Ferdinando richiese l’intervento armato delle forze imperiali. Così nel 1618 il primo esercito imperiale entrava in Boemia. A fianco
della Boemia si schieravano Federico V, principe elettore del Palatinato e capo dell’Unione evangelica e il duca di Savoia. Per
reazione scendeva in campo anche la lega cattolica. Morto l’imperatore Mattia, anche in Ungheria esplodeva la rivolta. Nel 1619
Boemia, Lusazia, Slesia e Moravia eleggevano come nuovo sovrano Federico V. contemporaneamente Ferdinando di Stiria veniva
eletto imperatore con il nome di Ferdinando II. L’esercito dell’unione evangelica fu sconfitto da quello dell’imperatore Ferdinando
II nella battaglia della montagna bianca (1620). A Federico V furono sequestrati i beni e fu esiliato. Molte furono le condanne a
morte e i beni dei nobili protestanti furono trasferiti a nobili cattolici. Nel 1622 l’impero riconquistò il Palatinato. Secondo fronte:
nel 1621 si riapriva il fronte di guerra tra la Spagna e le province unite. La Spagna riuscì in questi anni a mettere a segno una
serie di vittorie contro l’esercito olandese. Terzo fronte: in Italia nel 1625 la Spagna intervenne a fianco dei cattolici della
Valtellina contro i seguaci della riforma
2) Fase danese: 1625-29. L’espansionismo cattolico asburgico lambiva le potenze del Nordeuropa, in particolare la Danimarca,
dove regnava Cristiano IV, che nutriva il sogno di conseguire l’egemonia sulla penisola scandinava e il dominio del baltico: un
sogno che doveva di li a poco scontrarsi con l’analogo progetto della Svezia. Forte dell’appoggio di Olanda, Inghilterra e della
Francia di Richelieu, Cristiano scese in guerra a fianco dei protestanti contro l’impero. Ferdinando II affidò il comando delle
truppe imperiali a Wallenstein che sconfisse le truppe protestanti, invase la Danimarca, la costrinse a una pace umiliante e la
escluse dal gioco del conflitto. Con la pace di Lubecca (1629), Cristiano IV rinunciò a ogni ingerenza nell’impero l’imperatore a sua
volta emanò l’editto di restituzione: dovevano essere consegnate alla chiesa cattolica tutti i beni confiscati dopo il 1552.
3) Fase svedese (1630-35). 1592: il re di Polonia, Sigismondo Vasa ereditò anche la corona di Svezia. 1599: la dieta svedese
depose Sigismondo. Gli successe Carlo IX le cui mire espansionistiche verso la Polonia e verso la Danimarca non ebbero successo
ma costituirono le linee direttrici per l’affermazione della Svezia sul piano interno e su quello internazionale, che fu l’opera del
successore Gustavo Adolfo. Il pericolo asburgico incontrava nel Baltico la potenza svedese. Gustavo Adolfo, dopo essersi alleato
con Richelieu, si spinse in Germania, occupò Monaco, centro della lega cattolica, e a Lutzen (1632) sconfisse l’esercito imperiale.
Gustavo Adolfo morì lì e le truppe svedesi ne furono disorientate. Nel 1634 a Nordlingen gli svedesi furono sconfitti dalle truppe
imperiali. I principi protestanti li abbandonarono e firmarono nel 1635 la pace di Praga. Gli stati germanici erano nuovamente
sotto l’egemonia asburgica. La Svezia ricondotta sotto la sua sfera d’influenza, il sistema di alleanza cattolico pareva avere il
sopravvento sul sistema alternativo
4) La fase francese (1635-48). La Francia entrava direttamente in guerra. Da una parte Francia, Svezia e Olanda contro Spagna e
impero. Al trono imperiale era succeduto Ferdinando III (1637-57). La Francia era sotto Richelieu, la Spagna con il conte duca
d’Olivares ed era impegnata su più fronti tra il 1639 e il 1641: nella Manica gli olandesi ne sconfiggevano la flotta; nel 1641 la
forza congiunta franco-catalana costringeva alla ritirata l’esercito spagnola. Altra vittoria i francesi conseguivano a Casale
Monferrato. Inoltre a Rocroi (1643), il principe di Condè, comandante delle truppe francesi ottenne una vittoria sugli spagnoli.
Insieme agli svedesi i francesi penetrarono in Sassonia, Boemia, Palatinato, Alsazia e Baviera. Nel 1644 dopo i successi francesi,
svedesi e olandesi iniziarono le trattative di pace. Nel 1648 gli spagnoli firmarono la pace separata con l’Olanda riconoscendo la
sua indipendenza. La pace di Vestfalia che pose termine alla guerra dei 30anni fu siglata nel 1648 dall’impero, dalla Francia e
dalla Svezia. La Spagna non firmò il trattato e la guerra con la Francia continuò. La prima questione fu la pacificazione religiosa.
Da un lato si confermò il principio del cuius regio eius religio ma si apportarono adesso integrazioni: i principi potevano scegliere
la religione del loro stato; i sudditi erano tenuti a seguire quella che era stata la religione di famiglia da almeno 25 anni; chi non
voleva seguire questa norma doveva lasciare il paese conservando comunque il suo patrimonio.
Piano politico territoriale: la Francia estendeva i suoi confini sino al Reno e incorporava i tre vescovadi di Metz, Toull e Verdun e
anche l’Alsazia senza Strasburgo. In Italia i Francesi controllavano Pinerolo e Casale Monferrato. Inoltre alla Francia era
riconosciuto il ruolo di arbitro del trattato e di garante della sue clausole. La Svezia guadagnava in territori germanico Brema e
Verdun entrando a far parte di diritto della dieta imperiale. Estendeva la sua influenza nella Pomerania occidentale e le era
riconosciuto il primato nel Baltico e nel mare del nord. In Germania la ratifica e il rafforzamento dei poteri dei principi territoriali
restrinsero le prerogative imperiali e svuotarono la dieta. Vestfalia riconobbe la sovranità dei circa 350 domini che componeva il
sacro romano impero. All’imperatore elettivo e alla sua dieta erano riconosciuti solo poteri di arbitrato e di coordinamento. 3
stati germanici emergevano più potenti alla fine della guerra: il Brandeburgo, la Sassonia e la Baviera. Infine il trattato di
Vestfalia riconosceva solennemente l’indipendenza dell’Olanda.
6 Verso un’Europa multipolare: il nuovo quadro internazionale dopo le paci di Vestfalia, Pirenei e Oliva
La guerra tra Francia e Spagna continuò sino al 1659. Nel mentre, nel 1652 la Spagna restaurò il suo potere in Cataluna. La
rivolta in Portogallo ebbe invece successo. Le sorti della guerra franco spagnola mutarono dopo la battaglia delle dune grazie
anche all’alleanza tra Francia e Inghilterra. Con la pace dei Pirenei (1659) la Spagna cedeva all’Inghilterra Dukerque e la
Giamaica; alla Francia parte delle Fiandre e dell’Artois, e nei Pirenei le Cerdania e il Russiglione, mentre il matrimonio di Luigi XIV
con Maria Teresa, figlia di Filippo IV stabilì altri legami. La guerra proseguì nel baltico tra il sovrano svedese Carlo X e la
Danimarca, alleata con l’elettore di Brandeburgo-Prussia. Nel 1660 la pace di Oliva concludeva il conflitto a spese della Polonia.
Parte dei suoi territori venne spartita tra Svezia, Brandeburgo e Russia. Le 3 paci furono il segno dell’indiscussa egemonia
francese in EU. Nell’EU centrale in netta ascesa la potenza di Brandeburgo-Prussia, Inghilterra e Olanda sono il motore più veloce
dell’economia europea. A nord la Svezia, a nordest la Russia.
Capitolo 10
1 Il centro della civiltà europea: Inghilterra e Olanda nel 600
Alla fine del regno di Elisabetta, lo stato inglese presentava alcune carenze. Sul piano finanziario la corona poteva contare su
un’autonomia abbastanza scarsa. Inoltre era assente una burocrazia di governo locale. Dal punto di vista del controllo religioso
Elisabetta lasciava una chiesa ufficiale priva di solide basi dottrinarie, sostanzialmente apatica: di qui la diffusione di sette
estremistiche protestanti (puritani) e cattoliche. Carenze e debolezze sono tali solo in rifermino un modello di stato moderno
caratterizzato dalla tendenza alla concentrazione del potere pubblico, dallo sviluppo della burocrazia e dell’esercito professionale
permanente, dalla conquista della capacità impositiva dello stato e da una sempre maggiore invadenza del potere pubblico sulla
società. La forza dello stato inglese risiedeva invece sull’equilibrio tra il re e il parlamento e nella sua capacità di favorire anziché
ostacolare mutamenti e trasformazioni sociali: quando verranno meno questi 2 requisiti, quando monarchia e apparato di
governo forzeranno con la reazione quell’equilibrio e quei mutamenti sociali scoppierà la rivoluzione. Il più importante
mutamento sociale sotto Elisabetta fu la trasformazione dell’aristocrazia: poche famiglie della più antica feudalità sopravvissero
nel periodo Tudor; le funzioni del ceto aristocratico furono modificate e si identificarono nella ricchezza fondiaria, nel rapporto
con la corte, nel ruolo di classe dirigente. Nella vita politica inglese la camera dei comuni (in cui era rappresentata la Gentry,
media e piccola nobiltà) assunse un peso sempre maggiore rispetto alla camera dei Lord, quella della grande aristocrazia. Con la
vendita delle terre promosse da Elisabetta la Gentry era cresciuta di numero e di forza. La società inglese nell’età di Elisabetta e
dei rimi Stuart può essere rappresentata come un sistema a sei gradini e due piani. Al più basso livello si trovano i lavoratori dei
campi, i braccianti, gli operai. Al secondo gradino i detentori di una terra di pertinenza signorile e i liberi detentori di una piccola
proprietà fondiaria. Al terzo gradino la borghesi. Il secondo piano della piramide sociale comprende: al quarto gradino pubblici
funzionari, avvocati ecclesiastici. Al quinto le elites della gentry, infine i pari e l’aristocrazia di rango più elevato. A Elisabetta
successe Giacomo I Stuart (1603-25), figlio di Maria Stuart e re di Scozia. Si realizzò così l’unione di Inghilterra e Scozia. Il suo
regno fu un’età di forti contrasti che investirono tutti gli ambiti della politica. Per quanto riguarda la religione al modello della
chiesa anglicana, sostenuto da re Giacomo si opponeva il modello del puritanesimo diffuso nella società inglese, soprattutto tra
le classi abbienti, il quale si ispirava a un modello di società fondata sul primato dell’individuo, della sua religiosità, delle sue
autonome scelte. Era un movimento insieme religioso e politico. Per quanto riguarda l’economia questa era in espansione ma la
gestione statale dello sviluppo economico era carente. L’imposizione fiscale sulla rendita fondiaria, che avrebbe potuto produrre
un gettito elevato per la massiccia vendita di terre ai privati durante l’età elisabettiana, è un terreno dis contro tra il re e il
parlamento. Nel 1603 Filippo III re di Spagna aveva firmato la pace con l’Inghilterra. In Inghilterra molti mercanti, navigatori ed
esploratori sognavano l’espansione commerciale e coloniale britannica e l’attacco al cuore del grande impero spagnolo. Quindi
l’avvicinamento tra Filippo III e Giacomo I era anch’esso fonte di contrasti e lacerazioni. Il conflitto tra il parlamento e la corte era
alimentato dalla corruzione e dal clientelismo dell’apparato di governo il cui centro era costituito dal favorito di Giacomo, Villiers
duca di Backingam.
2 Salita al trono Carlo I Stuart
La successione al trono di Carlo I Stuart (1624-49) si verificò nel pieno della guerra dei 30anni. In occasione
dell’invio di rinforzi militari agli ugonotti francesi, esplose il conflitto tra il re e il parlamento. Il terreno dello scontro fu quello
fiscale. I parlamentari decisero di approvare la richiesta regia di denaro per far fronte alla guerra solo dopo aver ottenuto dal
sovrano un importante riconoscimento della limitazione del potere assoluto. La petition of right (1628) prevedeva il consenso del
parlamento per tutte le forme di imposizione fiscale straordinarie, l’attribuzione solo ai tribunali ordinari dell’emissione dei
mandati di cattura. Scattò la reazione di re Carlo. In primo luogo la reazione politica: nel 1629 egli sciolse il parlamento e diede
vita a un governo personale fondato da lui stesso, dal Privy council e dalla star Chamber (camera stellata), che aveva la
giurisdizione sui reati di lesa maestà e che divenne un vero tribunale politico per l’eliminazione degli oppositori. Il controllo del
potere fu affidato al conte di Strafford. In secondo luogo la reazione religiosa: fu nominato arcivescovo di Canterbury William
Laud, fu ripristinato il prestigio dei vescovi; il ruolo dei preti; andò riformandosi la proprietà ecclesiastica. Le repressioni e le
persecuzioni dei puritani compiuta da Laud, arcivescovo di Canterbury, costrinsero all’emigrazione molti oppositori religiosi, che
andarono a formare le prime comunità inglesi nordamericane nel Massachusetts. Infine la reazione economica e sociale fu la
concessione di nuovi monopoli, la vendita di titoli nobiliari, l’incentivo offerto dalla corona a un ulteriore irrigidimento
corporativo, la sollecitazione di un rapporto preferenziale tra sovrano e alta aristocrazia. Ma una riforma in senso assolutistico
incontrava in Inghilterra ostacoli insormontabili nell’assenza di: un esercito permanente e una burocrazia affidabile; l’unità
religiosa; credito finanziario a lungo termine e fonti indipendenti di denaro.
3 I detonatori della rivoluzione in Inghilterra - 1642
Furono la guerra e la crisi e finanziaria. La Scozia era calvinista e si oppose subito all’imposizione del sistema di culto e
dell’organizzazione ecclesiastica inglese episcopalista. Il blocco che si coalizzò contro l’Inghilterra aveva il suo punto di forza nei
nobili privati della loro proprietà a favore degli ecclesiastici. Gli scozzesi respinsero l’imposizione inglese e dichiararono guerra a
re Carlo. Nello stesso tempo il sovrano inglese aveva perso il controllo delle forze armate e l’appoggio dell’élite finanziaria
londinese. Poteva ricorrere al parlamento ma facendo marcia indietro rispetto al regime instaurato negli anni 30. Il rapporto con
il parlamento era conflittuale. Fu convocato nel 1640 e di fronte alla richiesta del re di stanziamenti finanziari richiese a sua volta
l’abolizione della shipmoney (la tassa sulle navi) e la conferma della petition of right. Carlo I lo sciolse dopo pochi giorni (fu il
corto parlamento). Fu convocato un nuovo parlamento (detto lungo parlamento perché si protrasse sino al 1653). Tra corto e
lungo parlamento l’esercito inglese era stato sconfitto ripetutamente dalla truppe scozzesi che dettarono le condizioni della
tregua. Strafford (primo ministro) fu accusato di tradimento e giustiziato nel 1641 e altri ministri furono allontanati dalla vita
pubblica. Un’altra crisi era quella irlandese. Sotto Edoardo VI ed Elisabetta, alcune contee dell’Ulster, paesi di solida tradizione
cattolica, avevano visto lo sviluppo della religione protestante. Da qui l’emergere di conflitti religiosi tra cattolici e calvinisti.
Grande impressione suscitò in Inghilterra il massacro di protestanti a opera di cattolici avvenuto nell’Ulster. La propaganda
puritana si mobilitò e passò in parlamento nel 1641 una mozione detta la grande rimostranza. Essa considerava nemici
dell’ordine sociale e politico inglese gli appartenenti alle sette religiose cattoliche, i vescovi e il clero corrotto. Nel 1641 l’Irlanda
era in rivolta. Così il parlamento rivendicò i pieni poteri militari e il comando della repressione. Carlo reagì e tentò di arrestare i
capi dell’opposizione parlamentare. Non ci riuscì e lasciò la capitale e iniziò la guerra civile.
4 Prima fase della rivoluzione in Inghilterra: guerra civile 1642-49
Nel 1642 dopo la fuga del re da Londra c’erano nella società inglese due schieramenti al cui interno non erano presenti classi
sociali omogenee. Nel partito del re militavano l’aristocrazia, la chiesa anglicana, i grandi proprietari nobiliari. Nello
schieramento di opposizione parlamentare militavano gli esquires della gentry, professionisti, mercanti, artigiani e i ceti che
popolavano le aree limitrofe di Londra. Nel 1642 la cavalleria fedele a re Carlo composta prevalentemente da aristocratici si
scontrava con l’esercito del parlamento detti teste rotonde. L’esercito degli oppositori del re cominciarono a conseguire alcune
vittorie grazie al sostegno finanziario della city (élite finanziaria londinese), l’alleanza con la Scozia, l’esperienza e la disciplina
militare grazie soprattutto a un capomiitare calvinista ed esponente della gentry di provincia, Oliver Cromwell. Fu la new model
army, l’esercito ideato e realizzato da Cromwell a sconfiggere i realisti nel 1645 a Naseby e Lang Port. La nuova armata era
altamente specializzata e qualificata e dimostrava una ferrea disciplina militare. Vinta la resistenza del re Carlo, che nel 1646 si
arrese pure agli scozzesi e fu consegnato al parlamento di Londra, la fase più cruenta della guerra civile si concludeva.
Emergevano ora divisioni e conflitti interni allo schieramento che aveva combattuto il re, Conflitti religiosi e ideologicopolitico.
Erano riconoscibili 3 forze politiche rappresentate alla camera dei comuni: la maggioranza era costituita dai presbiteriani
(conservatori, fautori di una chiesa calvinista, fondata su un sistema di consigli ovvero presbiteri). Ad essi si opponevano gli
indipendenti, il gruppo egemonico della new model army (si opponevano a qualsiasi chiesa di stato e credevano nella tolleranza
per tutti i credo religiosi; erano fermi sostenitori del libero mercato, dell’iniziativa privata, della proprietà). Alla loro sinistra i
levellers (livellatori, espressione politica delle sette religiose che predicavano l’assoluta libertà religiosa, la democratizzazione
della società, nei casi estremi l’abolizione della proprietà privata e il comunismo dei beni). Il ruolo di centro tra le diverse forze fu
assunto da Cromwell e Henry Ireton, un giurista che guidò la battaglia ideologicopolitica contro i levellers. Il radicalismo dei
livellatori si era diffuso tra la new model army. I presbiteriani che cercavano di accordarsi con il re per il ripristino del autorità
monarchica chiedevano lo scioglimento della nuova armata. Cromwell e Ireton de un lato sostennero la new model army,
dall’altro cercarono di bloccare i levellers che vedevano la rappresentanza politica in modo differente rispetto agli indipendenti. I
levellers si battevano per il suffragio universale per una costituzione repubblicana che garantisse l’uguaglianza dei cittadini. Gli
indipendenti collegavano la rappresentanza alla proprietà. La preoccupazione maggiore degli indipendenti era il rischio
dell’anarchia sociale e politica, un rischio reale: i presbiteriani controllavano il parlamento, Carlo I era fuggito in Scozia nel 1648;
l’esercito era in fermento e non riusciva a contrastare le spinte radicali che lo agitavano, soprattutto quelle degli zappatori che
occupavano terre, tentando esperimenti di comunione dei beni. Si profilava un pluralismo di poteri e l’affermazione di forze
centrifughe che avrebbero potuto vanificare tutte le conquiste del movimento rivoluzionario: i cardini dello stato inglese,
l’assolutismo, la chiesa episcopale, erano stati distrutti; il vescovo Laud condannato a morte; aboliti tutti i tribunali del re.
Cromwell esclude (bisogna dire epurò) dal parlamento tutti i presbiteriani lasciandovi solo i suoi fedelissimi. Quindi andò
all’attacco dell’esercito di Carlo, appoggiato dagli scozzesi, e lo sconfisse a Preston. Il re fu processato e condannato per alto
tradimento. Il 30 gennaio 1649 Carlo I venne giustiziato: con la sua testa cadeva anche il principio del diritto divino dei sovrani
Seconda fase della rivoluzione in Inghilterra: dalla proclamazione del Commonwealth al protettorato di Cromwell 1649-53
Cromwell e il parlamento dichiararono decaduta la monarchia. Crearono un consiglio di stato che sostituiva il consiglio privato e
abolirono la camera dei lord. Nel 1649 fu proclamata la repubblica unita di Inghilterra, Scozia e Irlanda (Commonwealth).
Permanevano le divisioni interne ai rappresentanti della repubblica sulle questioni del suffragio. Non erano nemmeno svaniti i
rischi di un ritorno del re: il figlio di Carlo I dai paesi bassi aveva assunto il titolo di Carlo II ed era stato riconosciuto da Scozia e
Irlanda. Cromwell perseguì una precisa strategia: salvaguardia del diritto di proprietà, libertà religiosa e indipendenza della
chiesa dallo stato, stabilità sociale ed eliminazione di tutte le posizione estremiste. In politica estera si perseguiva l’unificazione
del paese attraverso la soluzione militare del problema irlandese e scozzese. I costi di questa strategia furono alti: i capi dei
livellatori furono arrestati, gli ammutinamenti dell’esercito furono repressi. Per la riconquista della Scozia e dell’Irlanda furono
adottate due linee diverse: alla prima furono garantite condizioni di maggiore tolleranza mentre con la seconda Cromwell ebbe la
mano pesante. Lo strumento più importante per la politica espansionistica inglese fu l’atto di navigazione” (1651) tendente a
riservare all’Inghilterra il monopolio del commercio nordamericano. Era un atto di guerra contro l’Olanda e le sue navi, che
gestivano gli scambi fra Inghilterra e America del nord. Le guerre navali olandesi furono 3, tra il 1652 e il 1674. Cromwell riuscì
anche a strappare alla Spagna la Jamaica. Nel 1653 Cromwell scioglieva il lungo parlamento e insediava una nuova assemblea,
eletta dai capi dell’esercito che durò solo pochi mesi. Una carta costituzionale lo nominò Lord protettore del Commonwealth.
Terza fase della rivoluzione in Inghilterra: Dittatura militare 1653-58
Cromwell sceglieva i nuovi membri del consiglio di stato tra gli ufficiali dell’esercito. Iniziava una vera dittatura militare. Il
territorio diviso in 11 province era sottoposto a governatori militari. L’esercito era ora costituito da militari di carriera fedelissimi
a Cromwell. Intorno a esso si costituiva un blocco d’ordine, tendente a non spingere oltre le conquiste della rivoluzione e a
consolidare gli interessi della gentry e dei piccoli proprietari terrieri. E in questo blocco d’ordine cominciarono a rientrare anche
ecclesiastici e aristocratici. A dialettica politica si svolgeva ora tra i moderati dell’esercito che difendevano la carta costituzionale
del 53 e i realisti che si battevano per un ritorno alla monarchia. La politica economica suscitava tensioni: erano state nuove
imposizioni fiscali ed era stata istituita l’imposta fondiaria. Anche la politica estera antispagnola non incontrava il favore del ceto
mercantile, in parte interessato ai rapporti commerciali con gli Asburgo. Alla sua morte nel 1658 Cromwell lasciava l’Inghilterra
in una condizione di contrasti.
Quarta fase della rivoluzione in Inghilterra: dalla morte di Cromwell alla restaurazione di Carlo II 1658-60
Il figlio di Cromwell, Richard, subentrato nella carica di lord protettore, non garantiva più la sicurezza dei ceti abbienti. Nelle file
dell’esercito riprendeva il diffondersi del movimento radicale. Era necessaria la restaurazione di un ordine politico più solido. Nel
1660, un esercito al comando di Geoge Monk marciava su Londra e restituiva i poteri al parlamento. Aveva un largo sostegno
sociale. Carlo II rientrava così in Inghilterra, la monarchia era restaurata, insieme alla camera dei lord e la chiesa anglicana.
5 La restaurazione degli Stuart da Carlo II a Giacomo II
L’istituzione monarchica, il rapporto tra la chiesa anglicana e lo stato, durante il regno di Carlo II Stuart (1660-85) erano
restaurati ma dovevano fare i conti con il ruolo esercitato dalla camera dei comuni. Fu grazie ad essa che dopo il 1660 non si
ebbe una pura e semplice restaurazione dell’assolutismo monarchico. Un altro lascito della prima rivoluzione fu lo sviluppo di più
moderne forme organizzative di lotta politica. Nacquero i due schieramenti intorno ai quali si è polarizzata la vita politica inglese
moderna e contemporanea: i tories e i Whigs. I Toris credevano nel diritto divino dei re, nella religione di stato anglicana. I Wighs
credevano nell’autorità del parlamento, nella libertà religiosa. Sarebbero poi diventati conservatori e progressisti. Sotto Carlo II il
parlamento bloccò i progetti di restaurazione cattolica del sovrano appoggiati da Luigi XIV re di Francia. Nel 1678 il parlamento
votò il Test act = tutti gli ufficiali civili e militari potevano esercitare la carica solo dopo la professione di fede anglicana. Nel 1679
approvò l’habeas corpus = abolizione del carcere preventivo, arresto solo sulla base di motivi penalmente perseguibili. Divieto di
qualsiasi restrizione arbitraria e illegale della libertà. Carlo II non poteva operare nessuna scelta politica autonomamente dal
paese e dalla sua società civile: segno che l’assolutismo si avviava in Inghilterra verso la crisi. L’alleanza di Carlo II con Luigi XIV
preoccupava gli ambienti finanziari e commerciali britannici. Dopo l’ultima guerra anglo-olandese iniziò a montare l’ostilità verso
la Francia e si gettavano le basi di un’alleanza anglo-olandese. Il successore di Carlo, il fratello Giacomo II accentuò la frattura tra
il governo e l’opposizione parlamentare. Era cattolico ma non aveva figli. Fu perciò tollerato solo nella speranza di una
successione protestante. Abolì le disposizioni del test act e cercò di riaffermare il diritto divino dei re avendo come modello la
Francia di luigi XIV. Ma il partito Whigs era più forte di quello dei Tories e la società civile rivendicava la libertà di stampa e una
più piena partecipazione politica. A segnare le sorti di Giacomo II fu la nascita di un figlio.
6 Gli esiti della rivoluzione inglese del 1600
Fu un larghissimo schieramento formato da Whigs e Tories a offrire la corona d’Inghilterra allo Statolder d’Olanda Guglielmo III
d’Orange e a sua moglie Maria Stuart, figlia di Giacomo II, entrambi protestanti. Nel 1688 un piccolo esercito olandese sbarcò sul
suolo inglese senza incontrare nessuna resistenza. Giacomo II fuggì presso Luigi XIV. Il primo atto di Guglielmo III fu nel 1689
l’emanazione del Bill of Rights (la dichiarazione dei diritti): rappresentò la fine della monarchia assoluta e definì il nuovo
equilibrio costituzionale inglese fondato sulla limitazione dei poteri del re al quale spettava la funzione di capo dello stato (il re
regna, non governa). La fonte della sovranità non era più la persona del re ma il re nel parlamento, il rappresentante della
volontà della nazione. Negli anni 40 del 600 in Europa scoppiarono molte rivolte ma un’unica rivoluzione ebbe successo. Rivolte
furono quelle che scoppiarono nell'impero spagnolo (catalogna, regno di Napoli, Sicilia) e quelle francesi contro la
centralizzazione dello stato assoluto. Rivoluzione fu solo quella inglese. Con il concetto di rivoluzione si intende un mutamento
radicale degli equilibri politici preesistenti; come quello di rivolta una sospensione temporanea su scala regionale e locale di un
assetto sociale e costituzionale che non viene intaccato nelle sue fondamenta e che conserva in altre parti del paese la sua
legittimità e i suoi effetti.
7 L’Olanda nel '600
L’Olanda nel XVII secolo fu un’anomalia nello schema europeo. Fu l’unico paese d’Europa a sottrarsi alla stagnazione economica
generale; riuscì a liberarsi dal dominio della Spagna; trovò i modi e gli strumenti per competere economicamente con paesi più
potenti, consolidò le sue posizioni sia nel Baltico che nel Mediterraneo. Costruì un sistema politico fondato sul federalismo e non
sull’accentramento. Dopo la tregua dei 12 anni con la Spagna i paesi bassi si trovarono divisi in 2 parti: le province unite e i paesi
meridionali. La divisione era politica (le province unite erano uno stato indipendente a regime repubblicano mentre i paesi bassi
appartenevano alla corona spagnola); la divisione era anche religiosa (province unite erano protestanti mentre i paesi bassi
spagnoli no). Inoltre la divisione era economico-sociale. Le province unite avevano un modello politico originale: uno stato
repubblicano a struttura federativa. Organi federali erano gli stati generali a cui erano affidati la politica estera e le finanze e il
consiglio di stato per affari di minore importanza. La sede della sovranità era negli stati provinciali che nominavano lo statolder,
il capo dello stato. Altra carica importante era il gran pensionario, una sorta di consulente legale delle province. Nel 1602 fu
creata la compagnia delle indie orientali, un’associazione permanente fondata sia sul libero acquisto di azioni da parte dei
cittadini, sia su una concentrazione di capitali. A essa venne riconosciuto il monopolio del commercio olandese sui mari oltre allo
stretto di Magellano e il Capo di Buona Speranza. Da questo iniziò la colonizzazione olandese del Sudafrica. La vera forza
dell’Olanda era l’industria. La pace con la Spagna (1648) significò inoltre per l’Olanda conquiste territoriali e il riconoscimento
della supremazia economica sui paesi bassi meridionali. Intorno al 1650 le province unite possedevano un vasto impero
commerciale: controllavano il commercio mondiale delle spezie e avevano ottenuto il monopolio commerciale con il Giappone; la
compagnia delle indie occidentali aveva fondato nell’isola di Manhattan New Amsterdam occupata poi successivamente dagli
inglesi e chiamata New York. Controllavano inoltre il commercio degli schiavi neri. Sul piano politico dal 1653 al 1672 il regime
repubblicano si consolida ed è sperimentata una nuova forma di governo senza Statolder. È il gran pensionario de Witt a
governare lo stato. Conflitto anglo-olandese: la prima guerra anglolandese (1652-54) si combatté sulla base di due principi
contrastanti: l’idea inglese del monopolio e della supremazia marittima; l’idea Olandese della libertà dei mari. Tra la prima e la
seconda guerra (1665-67) si collocano la pace dei Pirenei e la restaurazione monarchica in Inghilterra. I tentativi di un’alleanza
tra Olanda, Inghilterra e Francia falliscono; è invece siglata un’alleanza tra Francia e Olanda in funzione antinglese. Le trattative
di pace che conclude la seconda guerra anglo-olandese sono più favorevoli all’Olanda e segnano anche un rovesciamento di
alleanze: Olanda, Inghilterra e Svezia si accordano in funzione antifrancese. Ma nel 1670 un accordo segreto firmato a Dover, tra
Inghilterra e Francia, prevede un attacco congiunto contro l’Olanda. Due anni dopo la Francia attacca l’Olanda dove è al governo
Guglielmo III d’Orange. Questa guerra si conclude con la pace di Westminster che riconosce il fondamento dei principi liberistici
propugnati dagli olandesi. Ma l’alleanza tra Carlo II Luigi XIV trova opposizione nella city londinese e negli ambienti commerciali
e britannici.
Capitolo 11
1 Assolutismo: definizione
Il concetto di assolutismo deriva dalla formula rex legibus solutus = il re è sciolto dal vincolo delle leggi. Poiché il re stesso
rappresentante di Dio, fonte della legge, il sovrano è insieme legislatore e giudice supremo. La teoria del potere assoluto della
monarchia nacque nella seconda metà del 500 durante le guerre di religione in Francia come antidoto al disordine sociale e
politico e fu poi perfezionato nel corso del XVII secolo. Si deve pensare all’assolutismo non come a un regime compiuto e
realizzato di dominio totale sui sudditi. Vi sono alcuni limiti: il limite imposto dalla legge divina, il dovere di rispettare
ordinamenti, consuetudini, il patrimonio giuridico accumulato dal paese nel suo corso storico. Inoltre la monarchia assoluta di
tipo occidentale doveva fare i conti con la molteplicità di forze politiche organizzate con un pluralità di poteri, con organismi e
ceti rappresentativi della società. Tra il XVI e il XVIII secolo si può vedere il rapporto dialettico tra l’accentramento come progetto
dello stato assoluto e i tentativi di resistenza dei diversi corpi. Ma non sempre questi corpi svolsero una funzione antagonista nei
confronti della monarchia assoluta; a volte parteciparono al consolidamento della centralizzazione del potere e dello stato
moderno. L’assolutismo è uno stadio più evoluto dello stato moderno. Al vertice della società di ordini si colloca la nobiltà di
origine antica, qui segue la nobiltà di dignità mentre chi esercita un mestiere o svolge un lavoro manuale si ritrova in basso nella
scala gerarchica. Importante nella seconda metà nel XVII è il nesso tra politica internazionale e politica interna degli stati. Questo
periodo sancì la preponderanza europea della Francia. Inghilterra e Olanda dopo 3 guerre non ebbero più un rapporto
conflittuale ma costruirono un’alleanza. La pace di Oliva (1660) segnò l’inizio dell’ascesa della Prussia degli Hohenzollern. Anche
la monarchia austriaca di Leopoldo I consolidò il suo ruolo internazionale.
1 Antico regime: definizione
questo concetto nacque durante la Rivoluzione francese, all’origine della formula è perciò il suo significato negativo. Antico
regime era tutto ciò che si opponeva alle conquiste della rivoluzione. Questo termine, usato in coppia con quello di assolutismo
sta a indicare i caratteri del rapporto tra lo stato e la società nei 150 anni che precedono la rivoluzione francese. Questi sono:
- La fonte della sovranità non è la nazione ma la persona del re.
- La proprietà delle potere è del sovrano che ne è unico titolare ma la sua gestione è affidata a corpi specializzati: esercito
professionale, burocrazia, diplomazia.
- Non esiste ancora una divisione tra i 3 poteri dello stato (legislativo, esecutivo e giudiziario)
- Esistono corpi privilegiati che godono di giurisdizioni separate.
1 Luigi XIV: la via francese allo stato moderno
Luigi XIV, il re sole, nacque nel 1638 da Luigi XIII e Anna d’Austria ed ereditò la corona di Francia all’età di 5 anni. Assunse il
potere nel 1661 dopo la morte di Mazarino e morì nel 1715. Egli avviò un processo di consolidamento dello stato moderno che
coinvolse il governo del territorio, la politica economica, la politica internazionale.
Società e stato: essendo la Francia una delle prime realtà demografiche in Europa il governo del territorio costituì la questione
più importante per il sovrano. Dei 20 milioni di abitanti francesi, i 4/5 circa vivevano in campagna ma la Francia era lo stato
europeo più dotato di città di media grandezza. Villaggi e città facevano parte di province territoriali unificate in uno statonazione ma diverse sia per usi e tradizioni che per il peso delle istituzioni e rappresentanze locali. La diversità era formalizzata nel
riconoscimento da parte del sovrano nella distinzione tra pais d’election e pays d’etat: i primi ricadevano sotto l’amministrazione
giudiziaria e fiscale dello stato, i secondi erano rappresentati da stati provinciali che godevano di amplissimi poteri e potevano
contrattare con la corona il carico fiscale. I ceti dominanti della società francese erano le nobiltà, divisa tra antica e moderna.
Merito di Luigi XIV e dei suoi ministri fu di aver portato a compimento il disegno di concentrazione del potere e di
ridimensionamento della potenza della antica aristocrazia. I grandi del regno sotto Luigi XIV furono estromessi dal consiglio del
re. Inoltre ridimensionò i poteri dei grandi governatori di provincia. Mentre per quanto riguarda la nobiltà moderna Luigi
incentivò attraverso il conferimento di molti titoli la nobiltà di toga e d’ufficio. Questa nobiltà fu molto importante nel governo
francese nell’epoca di Luigi XIV.
1 L’organizzazione dello stato con Luigi XIV
Titolare del potere politico era il re e insieme ai suoi ministri, specializzati per funzione, decideva e operava le principali scelte di
governo. Questi ministri formavano l’organismo politico più importante del regno che insieme al re decideva degli affari di stato.
C’erano poi altri consigli competenti in materia finanziaria e giudiziaria ma con Luigi fu ridimensionato il loro potere. I ministri
erano reclutati fra i maitres des requetes= magistarti che avevano ricevuto incarichi o commissioni particolari direttamente dal
re, avevano fatto parte della cancellerie presso le corti sovrane (i parlamenti), avevano svolto funzioni, soprattutto nella fase
istruttoria di affari di stato ed erano stati relatori presso i consigli. Questi uomini, il nucleo della classe governativa francese,
consentirono a Luigi di ridurre i parlamenti alla semplice funzione di registrazione automatica degli editti. Nel rapporto tra centro
e periferia la figura dell’intendente provinciale fu lo strumento più efficace di governo per la periferia. Egli svolgeva funzioni di
natura giurisdizionale, amministrativa e finanziaria. Queste cariche erano assegnate ai fedelissimi del re, i maitres des requetes.
La centralizzazione dello stato e le sue pubbliche istituzioni persino in un’epoca in cui Luigi affermava “lo stato sono io“,
dovevano fare i conti con la diversità e le differenze territoriali di norme e pratiche giuridiche, con la molteplicità di ceti o corpi e
giurisdizioni con situazioni e condizioni non omogenee di fronte ad articolazioni del potere pubblico come il fisco. Ogni
parlamento, ogni corte sovrana, era padrone della propria giurisprudenza e sia in materia civile che penale fissava le norme da
applicare. Gli interessi dei parlamenti si scontravano con il progetto monarchico di riformare l’ordinamento giudiziario. Inoltre di
fronte al fisco c’erano situazioni differenti: nei pays d’etat l’autonomia in materia fiscale era assai ampia: ripartizione e
riscossione erano affidati a organismi dipendenti dagli stati provinciali. Questi erano i limiti dell’assolutismo. Per quanto riguarda
la politica religiosa, Luigi voleva bloccare correnti e movimenti religiosi non aderenti all’ortodossia cattolica; arginare la
diffusione dell’eresia protestante; ma anche rafforzare le prerogative statali nei confronti della chiesa di Roma. Verso la metà del
XVII secolo ci fu una larga diffusione delle idee di Cornelis Jansen, un vesovo delle fiandre influenzato da Sant’Agostino. Le idee di
Giansennio erano quelle di una morale rigorosissima e dell’interiorità dell’individuo come fondamento della religione cristiana. I
cenacoli del movimento giansenista furono i due monasteri di Port Royal. Dopo la condanna papale di alcune proposizioni di
Giansenio, nel 1664 Luigi XIV ordinò la chiusura di Port Royal. L’atteggiamento della monarchia nei confronti del movimento
giansenista fu condizionato dal rapporto tra Luigi e la chiesa di Roma. Il movimento giansenista fu tollerato negli anni 70, nel
periodo in cui il conflitto tra Luigi e il papato per il controllo di cariche e benefici ecclesiastici francesi consigliava al sovrano di
conservarsi alleata una corrente religiosa in polemica con Roma. Ma negli anni 80 la politica religiosa di Luigi cambiò in senso
sempre più autoritario. Il pericolo era costituito dalla presenza consistente di protestante. Nel 1685 Luigi sostituì l’editto di
Nantes con l’editto di Fontaine bleau e obbligò tutti i francesi a osservare e praticare la religione cattolica. Molti ugonotti
scelsero la via dell’esilio e fu una perdita anche economica. Anche il movimento giansenista subì una dura repressione all’inizio
del 700 però le idee gianseniste si diffusero anche tra i togati, medio basso clero e contribuivano a rafforzare il sentimento di
autonomia da Roma (gallicanesimo).
1 Economia e politica economica con Luigi XIV
La seconda metà del 600 fu un’età di stagnazione per l’economia francese. Vi erano alcuni poli di attività manifatturiera
(cantieristiche e tessili) ma nel mercato internazionale il posto della Francia era secondario rispetto a Inghilterra e Olanda. Tutti
gli stati nell’età dell’assolutismo, in misura maggiore o minore, soffrivano di alcune carenze nella loro economia. Carenza di
liquidità che imponeva allo stato la dipendenza da uomini d’affari privati, la fragilità delle strutture industriali; il deficit nella
bilancia dei pagamenti. La forza dello stato moderno era direttamente proporzionale alla capacità di governare l’ economia del
paese, che nell’ancien regime significava riportare in attivo le finanze statali. Fu questo l’obbiettivo che si pose il ministro di Luigi
XIV, Colbert, responsabile delle finanze della politica interna tra il 1660 e il 1680. Gli interventi di politica economica promossi da
Colbert andarono nella direzione del mercantilismo (politica economica di quasi tutti gli stati tra XVII e XVIII secolo che
identificarono la ricchezza nazionale con la quantità di metalli preziosi disponibile e si posero l’obbiettivo di incrementarla
attraverso il contenimento delle importazioni e l’aumento delle esportazioni). Per quanto riguarda l’industria, Colbert impegnò
cospicui capitali statali per promuovere nuove imprese manifatturiere, soprattutto prodotti di lusso. Il privilegiare il settore
manifatturiero andava a svantaggio di quello agricolo. Per quanto riguarda il commercio con l’estero Colbert formò 5 compagnie
commerciali sul modello olandese inglese alimentate dai capitali statali. Il loro sviluppo fu collegato a una vasta politica coloniale
verso Canada e Senegal. Per quanto riguarda il settore fiscale, legato al mercantilismo era il protezionismo: la realizzazione di
una grande riserva di metalli preziosi nelle casse dello stato doveva ottenersi grazie ad alti dazi doganali sulle merci importate e
incentivi e incoraggiamenti alle esportazioni. Anche il commercio interno fu appoggiato con ogni mezzo. Alla fine del ventennio
colbertiano il bilancio di questa politica presentava luci e ombre. Grazie all’aumento delle esportazioni la disponibilità finanziaria
dello stato etra aumentata ma nell’arco di pochi anni sia la sfavorevole congiuntura economica sia la politica bellicista di Luigi
XIV avrebbero esaurito le risorse accumulate da Colbert.
2 Politica internazionale di Luigi XIV
Il primo impegno bellico di Luigi fu la guerra di devoluzione. In alcuni domini della corona spagnola vigeva la legge salica che
escludeva dalla successione al trono le femmine. Ma in altri territori degli asburgo di Spagna era possibile la successione per linea
femminile. Alla morte di Filippo IV (1665), Luigi, che ne aveva sposato la figlia Maria Teresa, rivendicò una parte dei domini
spagnoli. Occupò i paesi bassi meridionali e la franca contea. Con la pace di Aquis Grana (1668) furono riconosciute alla Francia
le conquiste territoriali nei paesi bassi spagnoli ma le fu imposta la restituzione della franca contea. Partita da un conflitto di
natura commerciale la seconda guerra di Luigi XIV, contro l’Olanda portò vantaggi territoriali alla Francia ma evidenziò anche la
pericolosità della sua spinta egemonica inducendo i più importanti stati europei ad allearsi contro di essi. L’Olanda, antagonista
economica della Francia, era il bersaglio della politica protezionistica di Colbert ma le province unite non avevano accettato la
guerra delle tariffe imposta dalla Francia e avevano reagito bloccandone le esportazioni. Luigi XIV si alleò contro l’Olanda con
l’Inghilterra di Carlo II e la Svezia. La guerra scoppiò nel 1672 ma non fu semplice per le truppe franco inglesi piegare la resistenza
dello Statolder Guglielmo III d’Orange. Nel 1674 entravano in guerra contro la Francia l’impero e la Spagna. Le truppe
brandeburghesi sconfiggevano nel 1675 quelle svedesi; nel 1677 il matrimonio tra Guglielmo III e la figlia di Giacomo II segnava il
riavvicinamento anglolandese. Così Luigi firmò la pace Animega (1678) guadagnando la franca contea. Vi fu poi la guerra della
lega di Augusta (1686-97). Una coalizione formata da Spagna, Inghilterra, Olanda, Svezia, Austria e altri stati minori combattè
contro l’occupazione francese di alcuni territori situati nella valle del Reno. Il conflitto si concluse nel 1697 con la pace di Ryswzck
(risvich): la Francia fu costretta a restituire tutto tranne la città di Strasburgo.
3 L’assolutismo in Prussia e Austria alla fine del 1600
Dopo la pace di Westfalia negli stati germanici il rafforzamento del potere dei principi territoriali va a svantaggio dell’imperatore
della dieta imperiale. Al sud i ceti territoriali hanno ancora notevoli poteri ma in altri stati la centralizzazione delle funzioni
militari, economiche e amministrative tende a rafforzare il principe. Il modello in cui meglio si realizza l processo di
centralizzazione è quello del Brandeburgo-Prussia di Federico Guglielmo (1640-88). La tappa importante nell’ascesa della Prussia
è la Pace di Oliva: la Prussia viene annessa al Brandeburgo. Anche qui l’assolutismo non è un sistema di facile realizzazione e si
afferma una via all’assolutismo che a differenza della Francia ha un fondamento nobiliare: i posti più importanti
dell’amministrazione militare e civile sono conferiti all’antica nobiltà (junker). Essi controllano anche tutte le funzioni del governo
locale del territorio. La base militare di quella che sarà la grande potenza prussiana e l’artefice dell’unificazione della Germania è
rappresentata nell’organo più importante del governo, il commissariato generale della guerra. Una monarchia in fase di
consolidamento potrebbe definirsi quella dell’Austria sotto Leopoldo I d’Asburgo (1658-1705). Il suo predecessore Ferdinando II
aveva unificato i ducati austriaci e il regno di Boemia sotto il profilo di un comune sentimento di appartenenza alla comunità
politica degli Asburgo d’Austria. Ferdinando e Leopoldo si posero anche l’obbiettivo di rafforzare l’amministrazione pubblica e di
formare un esercito permanente. Il problema della monarchia asburgica era una piccola parte della Ungheria che non era caduta
sotto la giurisdizione ottomana. L’Ungheria si rivelava un ostacolo alla creazione di una assolutismo omogeneo e accentrato. La
dinastia asburgica regnava nel paese solo in virtù di un unione personale; la sua autorità era elettiva e revocabile; la potente
nobiltà del paese vigilava sulla sua costituzione e le prevaricazioni monarchiche; lo ius resistendi, il diritto di reagire con la forza
al mancato rispetto monarchico dei privilegi ungheresi legittimava le rivolte nobiliari. Il problema ungherese era anche
intrecciato con il rapporto tra la monarchia asburgica e gli ottomani. Nel 1660 la Transilvania insorse contro il dominio turco: gli
ottomani ebbero la meglio e si diressero verso Vienna ma a 100 KM dalla capitale vennero sconfitti dalle truppe austriache.
L’intervento dell’esercito asburgico era dettato anche dal disegno di Leopoldo di distruggere l’opposizione dell’aristocrazia
magiara alla monarchia. Il sovrano annullò tutti i privilegi politici di cui godevano gli ungheresi e diede il via a una repressione
delle minoranze protestanti. La reazione fu la rivolta dei magiari nel 1678 che furono appoggiati dai turchi. Nel 1683 Vienna fu
assediata dai turchi. Le truppe austropolacche ebbero però la meglio e allontanarono il pericolo ottomano da Vienna. Nel 1699
con la pace di Carlowits i turchi cedettero agli austriaci ungheria e Transilvania, Leopoldo ottenne dagli stati magiari il consenso
alla dinastia asburgica come monarchia non più elettiva ma ereditaria.
4 Spagna e Italia alla fine del 1600
Dopo la pace di Vestfalia e nel corso del XVII secolo la Spagna perse: Portogallo, Franca contea, parte delle Fiandre e dell’Artois,
la Cerdania e il Rossiglione sui Pirenei. La monarchia dei re cattolici restava comunque una potenza imperiale. Non aveva più
l’egemonia in Europa ma aveva superato la crisi degli anni 40, retaurato il potere in Catalogna, mantenuto i domini italiani di
Milano, Napoli, Sicilia e Sardegna, inoltre poteva contare su un vasto impero coloniale. Per quanto riguarda i fondamenti
economici e sociali della monarchia spagnola, la Castilla nel corso del XVII secolo subì una crisi, ed essendo il cuore dell’economia
imperiale, la sua crisi coinvolse l’intera Spagna. Questo processo riguardò l’ultima fase del regno di Filippo IV e il primo periodo di
quello di Carlo II (1675-1700). Ma a partire dalla fine degli anni70 del 600 ci furono in Spagna segnali di ripresa dal punto di vista
agricolo e industriale. Gli aristocratici continuavano a costituire il vertice della società iberica ma accanto a loro cominciava a
formarsi una borghesia mercantile industriale legata soprattutto al commercio americano. In Italia i segni di una crisi e
stagnazione erano evidenti. Sulla crisi demografica che investì l’Italia, un ruolo importante fu esercitato dalle epidemie di peste
che investirono quasi tutta la penisola. Dopo lo spostamento dei traffici verso l’Atlantico, la scena internazionale era dominata
da Olanda, Inghilterra e Francia e l’Italia si trovò tagliata fuori dal traffico internazionale. Da paese importatore di materie prime
ed esportatore di manufatti si trasformò in paese esportatore di materie prime e importatore di manufatti. In particolare il
settore della lana era davvero in crisi. Dal punto di vista politico l’Italia era un laboratorio di esperienze differenti. In tutti gli stati
italiani, sia quelli dipendenti dalla Spagna, sia le monarchie, le repubbliche cittadine, i principati, le funzioni pubbliche della vita
politica andarono estendendosi e organizzandosi. Un altro elemento comune fu l’affermazione di un ceto ministeriale legato
all’apparato statale e all’esercizio del governo centrale e periferico.
Piemonte sabaudo: fu influenzato dal modello di politica interna della Francia di Luigi XIV. Carlo Emanuele II (1663-75) adottò
una politica mercantilistica riuscendo a coinvolgere anche l’aristocrazia nella promozione dell’attività economica. Inoltre si formò
in Piemonte una vera burocrazia civile e militare. Dopo 10 anni di reggenza di Maria Giovanna Battista, assunse il potere con un
colpo di stato Vittorio Amedeo II che si distinse per una aggressiva politica estera, liberandosi dalla presenza francese in alcuni
territori dello stato (casale e Pinerolo). Inoltre partecipò alla guerra contro la Francia (1690-97) alleato degli Asburgo ad Austria
ed in Spagna. In una seconda fase il Piemonte ebbe mire espansionistiche verso la Lombardia, ribaltando le alleanze e firmando
nel 1696 l’armistizio con la Francia.
Genova. Luigi XIV dopo aver bombardato la città nel 1685 perché non aveva interrotto la sua relazione preferenziale con la
Spagna costrinse Genova a un atto sottomissione diplomatica. Solo così Genova riuscì a salvaguardare la sua indipendenza.
Lo stato Pontificio. Dopo la pace di Westfalia non fu più in grado di realizzare una presenza significativa sulla scena
internazionale. Anche qui la tendenza all’accentramento dei poteri e a una più efficace gestione del rapporto tra centro e
periferia indusse a un ammodernamento delle strutture amministrative dello stato Venezia. Il suo ruolo internazionale era ormai
in netto declino e la sua politica estera era dettata dall’esigenza di difesa più che dall’iniziativa politica. La guerra di Candia
contro gli Ottomani verso la metà del 1600 si concluse con perdite enormi per la repubblica che dovette abbandonare l’isola.
Nemmeno la conquista del Peloponneso in seguito alla pace di Carlowitz fu di lunga durata.
Gran ducato di Toscana. La politica estera fu dipendente dalla Francia anche perché il gran Duca aveva sposato margherita
d’Orleans. Crisi demografica e crisi economica non colpirono come altrove la Toscana.
Regno di Napoli. Dopo la rivolta del 1647-48 e la restaurazione della monarchia spagnola ci fu una svolta nel modo di governare.
Ci fu un efficace intervento assolutistico dello stato: la repressione del banditismo baronale, una maggiore tutela dell’ordine
pubblico, controllo sugli abusi del clero. Ma la crisi demografica dopo la peste, la crisi agraria e del commercio, la pressione
fiscale in aumento in coincidenza delle congiunture belliche non consentirono ai vicerè napoletani della seconda metà del 600 di
dar vita a una politica riformatrice. Solo alla fine del XVII secolo ci fu una ripresa economica.
5 I paesi scandinavi alla fine del 1600
Nel corso della guerra dei 30anni la Svezia aveva raggiunto una statura internazionale essendo la vincitrice insieme alla Francia
del conflitto in terra tedesca. Con la pace di Westfalia aveva ottenuto la Pomerania occidentale, Brema, il controllo delle foci dei
3 grandi fiumi della Germania settentrionale: l’Elba, l’Oder e il Weser. La prima guerra del nord scoppiò per il controllo del
baltico. Il re svedese Carlo X invase nel 1655 la Polonia. L’elettore del Brandeburgo Federico Guglielmo e il re di Danimarca
Federico III si allearono contro la potenza svedese. Nel 1658 l’esercito di Carlo X assediò Copenhagen costringendo alla resa la
Danimarca. Con la pace di Copenhagen (1660) la Svezia prendeva possesso delle 3 province meridionali della Danimarca. Con la
pace di Oliva Brandeburgo si annetteva la Prussia. Il successore di Carlo X, Carlo XI promosse una distribuzione della ricchezza
agricola del paese equilibrando il rapporto tra i beni della corona, i beni della nobiltà, i beni dei contadini indipendenti. Su questa
base gli fu possibile garantire una bilancia dei poteri di gruppi e ceti della società e governare da monarca assoluto.
6 La Polonia alla fine del 1600
La Polonia era una monarchia elettiva: la sua potente aristocrazia, per mantenere debole lo stato centrale, preferì, dopo
l’estinzione della dinastia Jagelloni, avere prima un re francese, poi un re ungherese, quindi la dinastia svedese dei Vasa. A metà
del 600 e per un ventennio la Polonia fu il teatro di una guerra europea per il controllo del suo territorio. Ne uscì stremata con
perdite considerevoli del suo territorio e con una popolazione diminuita di 1/3. La Polonia era circondata da potenze in ascesa:
fallì la possibilità di dominare il Baltico e di diventare una potenza marittima perchè la Prussia orientale le fu sottratta dal
Brandeburgo. Perse l’Ucraina orientale e perfino i turchi riuscirono a sottrarle una regione. Inoltre aveva una strutturale anarchia
politica: la norma dell’unanimità parlamentare poteva paralizzare lo stato. Il re soldato Sobieski negli ultimi anni del 600 cercò di
centralizzare lo stato ma non approdò a risultati apprezzabili. Il progetto di monarchia ereditaria fallì e nel 1696 la nobiltà
polacca respinse la successione del figlio di Sobieski. Ascese al trono il principe Augusto II di Sassonia appoggiato dalla Russia.
Capitolo13
1 Cause delle guerre europee nella prima metà del XVIII secolo
La prima metà del XVIII è l’epoca del primato della politica classica. I soggetti privilegiati sono le corti, sono ristrette elites che
controllano la diplomazia. Occasione per lo scoppio dei conflitti sono i problemi dinastici, le questioni delle successioni ai troni
spagnolo, polacco, austriaco, ma altre questioni disnastiche investono anche l’Inghilterra e alcuni stati italiani. La rivalità tra gli
stati è determinata anche dal conflitto d’interessi commerciali e la guerra si estende anche in continenti extraeuropei. Un’altra
caratteristica del periodo è il nesso stretto tra politica estera e interna.
2 La guerra di successione spagnola 1702-14
La morte senza eredi di Carlo II di Spagna nel 1700 rendeva incerta la titolarità dei possessi degli Asburgo di Spagna. I
pretendenti al trono erano: Luigi XIV, marito di un’infanta di Spagna che formalmente aveva rinunciato a ogni diritto di
successione al trono dei re cattolici per se e per i suoi discendenti; l’imperatore Leopoldo I d’Asburgo che aveva spostato la sorella
di Carlo II Margherita; Vittorio Amedeo II di Savoia, figlio di una principessa spagnola. Ma alla lettura del testamento di Carlo II si
scoprì che era designato erede universale Filippo d’Angiò, nipote di Luigi XIV che avrebbe assunto il nome di Filippo V. una
clausola del testamento vietava a Filippo di unire la corona di Spagna con quella di Francia. Il rischio che potesse costituirsi in
Europa un’egemonia franco spagnola era concreto. Cadevano gli accordi stipulati da Francia e Austria fin dal 1668. L’Europa era
posta davanti a una minaccia che poteva trasformarsi in realtà: i borboni regnanti di qua e di là dei Pirenei; Luigi XIV quasi
monarca universale. A prendere l’iniziativa per la formazione dello schieramento antifrancese fu l’Inghilterra, preoccupata che la
Francia potesse impadronirsi del ricco mercato delle indie spagnole. Tra il 1701-2 si siglarono 2 patti: il primo tra Ighilterra e
Olanda e il secondo tra Inghilterra e Austria. Nella coalizione anglo-austro-olandese entrarono anche il Palatinato, l’Hannover e
la Prussia. Sul fronte opposto Luigi XIV riusci a far aderire al blocco franco-spagnolo il duca di Savoia, il re del Portogallo, gli
elettori di Colonia e Baviera. Un conflitto di vaste proporzioni scoppiò il 16 maggio del 1702. Nella prima fase della guerra fu
evidente la superiorità terrestre della Francia ma la superiorità della flotta angloolandese, la difficoltà della Francia a tener testa
agli eserciti nemici, sui molti fronti di guerra, la defezione del Portogallo e del Piemonte Sabaudo dal blocco franco spagnolo
(1703) impressero una svolta decisiva alle sorti della guerra. I destini del sistema, del suo equilibrio, si giocavano sul Reno,
nell’Europa centrale, nel Belgio ma anche in Italia. Qui Vittorio Amedeo II di Savoia capì che il suo stato, stretto tra i Borbone di
Parigi al di la delle Alpi e i Borbone di Spagna nella Lombardia, avrebbe avuto una vita precaria e operò il voltafaccia nel 1703
passando al blocco antifrancese. Nella battaglia di Torino (1706) i francesi furono costretti ad abbandonare il Piemonte e ad
oltrepassare le Alpi: merito di Vittorio Amedeo II e di suo cugino Eugenio di Savoia comandante delle truppe austriache che
occupava anche Mantova e Milano. Gli austriaci riportavano i successi militari più importanti. Nel 1706 l’arciduca Carlo
d’Asburgo figlio dell’imperatore Leopoldo entrava a Madrid ma ne era ricacciato. Nel 1707 le truppe austriache entravano a
Napoli: finiva dopo oltre 2 secoli la dominazione spagnola nel regno di Napoli. Gli austriaci vi sarebbero rimasti sino al 1734. Tra
il 1708 e il 1709 inglesi e austriaci sconfiggevano i francesi nel Belgio. il regno di Luigi XIV era attraversato dal malcontento: una
terribile carestia; l’aumento del prelievo fiscale; sommosse e rivolte nelle campagne; opposizione dei ceti mercantili alla politica
concertista; opposizione di vasti gruppi alla politica bellicista di Luigi XIV. A salvare il paese furono il prestigio del re e
dell’istituzione monarchica che mobilitò i sudditi per difendere l’indipendenza francese e la morte nel 1711 dell’imperatore
Giuseppe I d’Asburgo. Il fratello Carlo saliva sul trono con il nome di Carlo VI. Iniziarono le trattative di pace che si conclusero a
Utrecht nel 1713 e Rastadt (1714). La vera vincitrice del conflitto fu l’Inghilterra. Conquistò possedimenti nell’America
settentrionale a spese della Francia e nel Mediterraneo a spese della Spagna, Gibilterra e Minorca. Filippo V fu riconosciuto re di
Spagna ma dovette rinunciare a rivendicare diritti sul trono francese. La Francia oltre a perdere a favore dell’Inghilterra territori
nell’America del nord e a limitare le sue prospettive di espansione commerciale nel nuovo mondo, rinunciò ogni pretesa sulla
Spagna. All’Austria fu attribuito il Belgio spagnolo. Cambiò la geografia politica dell’Italia: il regno di Napoli, il ducato di Milano,
la Sardegna e lo stato dei Presidi passarono dalla Spagna all’Austria. Vittorio Amedeo II di Savoia ottenne ingrandimenti
territoriali in Piemonte e in Regno di Sicilia. L’elettore del Brandeburgo Federico venne riconosciuto re di Prussia e ottenne
ingrandimenti territoriali nella renana. Alla fine della guerra di successione spagnola furono poste le premesse per un nuovo
equilibrio italiano: Austria e
Piemonte sabaudo ne divennero i soggetti principali. Si applicò il metodo delle barriere: stati cuscinetto come il Belgio, tra
Francia e Olanda e lo stato Sabaudo tra Francia e Austria avrebbero dovuto prevenire eventuali conflitti ma gli interessi delle
potenze non erano stati affatto soddisfatti. I perdenti, Francia e Spagna avevano motivi di conflittualità tra di loro che presto si
sarebbero trasformati in aperta ostilità. La Spagna avrebbe cercato di recuperare i domini perduti in Italia a spese dell’Austria.
All’Austria era sfuggito il regno di Sicilia.
3 Gli stati dell’Europa nord-orientale alla fine del 1600
Negli anni successivi alla guerra di successione spagnola, la dinastia asburgica ottenne successi anche sul fronte dei Balcani. Gia
con la pace di Carlowitz 1699, l’Austria aveva sottratto territori agli ottomani. Con la pace di Passarowitz (1717) riuscì a
conquistare la Serbia e parte della Valacchia. La Svezia, dopo la pace di Oliva (1660), concludendo vittoriosamente la prima
guerra del nord, aveva conquistato l’egemonia nel baltico. Due dei suoi antagonisti, Polonia e Danimarca erano deboli, il terzo, la
Russia, stava gettando le fondamenta del suo consolidamento politico. La seconda guerra del nord, combattuta da Polonia,
Danimarca e Russia contro la Svezia di Carlo XII si concludeva nel 1721 con la pace di Nystadt con cui la Svezia perdeva il ruolo di
grande potenza e la Russia di Pietro il grande affermava la sua egemonia sul baltico.
L’ASCESA DELLA RUSSIA: in Russia nasceva l’ultima e più duratura forma di assolutismo europeo con Pietro I il grande (16821725) della dinastia dei Romanov. Egli seppe smuovere lo stato di arretratezza del suo paese e creare condizioni tali d’assicurare
l’indipendenza nazionale, lo sviluppo economico e culturale, la capacità difensiva. Durante il primo quarto del XVIII secolo ci fu un
notevole progresso della produzione industriale e anche della piccola produzione mercantile. Pietro favorì la formazione di una
nobiltà di servizio e la piccola nobiltà come classe di governo si consolidò nel sistema della monarchia assoluta russa. La Duma,
l’organismo rappresentativo dei boiari, gli aristocratici russi, fu sostituita dal senato, formato da 9 membri designati
direttamente dallo zar e delegati all’amministrazione della periferia. Inoltre organizzò un esercito regolare e un efficiente marina
militare e la chiesa divenne un’istituzione sottoposta al monarca. In politica estera Pietro il grande perseguiva la sicurezza dei
confini e l’indipendenza nazionale ma anche l’egemonia nel baltico. Nel 1703 fondò sanpietroburgo la quale comunicava
direttamente con il golfo di Finlandia e quindi con il baltico e qui nel 1715 lo zar trasferì la capitale. Con la pace di Nystadt,
Livonia, Estonia, Ingria, parte della Careglia erano territori russi.
LA PRUSSIA: durante la guerra di successione spagnola emerse come nuova potenza. Federico I di Brandeburgo ne assunse il
titolo di re nel 1701. Egli raccolse l’eredità del padre Federico Guglielmo e riunì tutti i territori della famiglia Hohenzollen in una
formazione centralizzata anche se geograficamente non compatta. I domini degli Hohenzollen che formavano lo stato prussiano
dovevano coesistere con territori imperiali, svedesi e polacchi annessi alla corona. Le linee direttrici di Federico I furono: politica
protezionistica, sviluppo dell’industria e dell’attività urbana, apertura delle frontiere ai protestanti stranieri. Inoltre l’esercito
diventò un’affidata corporazione strettamente monarchica. Il successore di Federico I, Federico Guglielmo I (1713-40) continuò su
questa strada, preoccupandosi soprattutto del numero e dell’addestramento dei suoi soldati. Federico Guglielmo I fu chiamato il
re sergente e il suo stato l’universale caserma prussiana. Il dispotismo degli hohenzollen bloccò lo sviluppo di istituzioni
rappresentative moderne e a differenza di altri stati della Germania distrusse la forza politica dei ceti. Ma mostrò anche alcuni
tratti di indubbia modernità: le tasse non erano appaltate e l’efficacia del prelievo statale fu senz’altro superiore a quella di altri
stati europei contemporanei.
4 Inghilterra, Francia e Spagna agli inizi del 1700
Dalla guerra della lega di Augusta alla guerra di successione polacca le potenze dell’Europa occidentale, Inghilterra, Francia e
Spagna furono alle prese con problemi simili e con un passaggio storico delicato da vecchi a nuovi equilibri sociali e politici e
economici. Inghilterra: nel 1701 con l’act of settlement, il parlamento inglese aveva regolato la successione alla morte di
GuglielmoIII: per evitare che un discendente di Giacomo II Stuart salisse al trono e restaurasse il cattolicesimo in Inghilterra, l’atto
escludeva dalla successione i suoi eredi maschi e ammetteva le femmine. Così dopo la morte di Guglielmo III (1702), sul trono
inglese salì la seconda figlia di Giacomo II, Anna di Danimarca (1702-14) che unificò Scozia e Inghilterra nel regno unito di Gran
Bretagna. Alla morte senza eredi di Anna, il parlamento attribuì la corona a un discendente di Giaciomo I Stuart per parte di
madre, Giorgio I della dinastia tedesca di Hannover (1714-27). Ci fu uno sviluppo del modello politici parlamentare e proprio nei
primi anni del regno di Giorgio I fu ancor più evidente il nesso tra politica interna ed estera. Il potere dei wighs nel parlamento,
influenzò molto la politica estera di Guglielmo III e di Anna. I Wighs volevano far giocare all’Inghilterra un ruolo di primo piano
sulla scena mondiale e furono essi stessi a sostenere nel parlamento gli interessi della monarchia contro le rivendicazioni
dinastiche degli Stuart. Appoggiarono Giorgio I nell’alleanza anglo-franco-olandese stipulata tra il 1716 e il 1717 dettata da
preoccupazioni dinastiche: quelle di Filippo D’Orleans, reggente di Francia dopo la morte di Luigi XIV, teso a bloccar le aspirazioni
di Filippo V di Spagna alla corona francese; quelle di Giorgio I contro le rivendicazioni dinastiche degli Stuart. Fu il leader dei
Whigs, Walpole, a reggere per un ventennio dal 1721 la carica i primo lord della tesoreria, e cancelliere dello scacchiere, una
sorte di ministro dell’economia. La sua politica fu fondata su 3 capisaldi: una politica estera non aggressiva, una politica
economica mercantilista, e sul consiglio di gabinetto un consiglio dei ministri responsabile di fronte al parlamento. Con la
successione al trono di Giorgio II le linee fondamentali di questa politica non mutarono. Ma l’opposizione Tory coinvolse parte
della corte, dell’opinione pubblica e della stampa nell’attacco alla politica estera pacifista di Walpole che così dichiarò guerra alla
Spagna e partecipò alla guerra di successione austriaca. Queste scelte furono dettate anche dalla preoccupazione di
salvaguardare lo sviluppo commerciale inglese.
La Francia: la Francia degli ultimi anni del re sole pagava i costi di una politica che l’aveva condotta a diventare tra il 1648 e il
1688 la prima potenza europea. Tra la fine del 600 e la guerra di successione spagnola la crisi economica interna e la concorrenza
politica internazionale imponevano allo stato l’adozione di misure fiscali ancora più rigide e un ulteriore inasprimento del
controllo sociale. Era inevitabile che alla morte di Luigi XIV (1715) riprendessero i contrasti politici e sociali che avevano segnato
l’affermazione dello stato moderno in Francia e che la maturazione dell’assolutismo di luigi XIV aveva contributo a sopire.
Essendo minorenne l’erede di Luigi XIV, tra il 1715 e il 1723 tenne la reggenza del trono Filippo d’Orleans, nipote del re sole. La
nobiltà di sangue riconquistò il potere e il parlamento di Parigi, formato da alta nobiltà e alto clero, riottenne il diritto di
rimostranza e di registrazione, il potere cioè di bloccare le decisioni del re. Si riacutizzava il contrasto tra nobiltà di spada e
nobiltà di toga. Nel 1716 veniva chiamato a riorganizzare le finanze di Francia il banchiere scozzese John Law, che creò una
banca nazionale e affrontò la questione del debito pubblico con l’istituzione della compagnia d’occidente. La pressione
speculativa sulle azioni della compagnia fece salire alle stelle i titoli ma si trattava di un valore nominale, non fondato su una
crescita reale dell’economia nazionale. Così le azioni crollarono e furono travolte anche altre compagnie e il sistema del credito
statale fu compromesso. Solo con il nuovo ministro, il cardinale Fleury, la Francia si riprese gradualmente, con una politica di
bilancio più rigorosa, la limitazione degli impegni in politica estera e l’intensificazione del commercio con l’estero.
La Spagna: sotto Filippo V (1700-46) la Spagna dopo aver perso i domini europei si orientò verso la costruzione di un’identità
politica nazionale. La riconversione da impero a nazione non significò però un ripiegamento pacifico entro i limiti attribuiti alla
potenza iberica dal trattato di Utrecht. La seconda moglie di Filippo V, Elisabetta Farnese spinse il sovrano verso una politica di
riconquista del predominio in Italia. Il progetto era duplice: assicurare al figlio di Elisabetta, Don Carlos (sembra un mafioso),
l’eredità dei Farnese, il ducato di Parma e Piacenza, e riprendere una parte dei territori italiani passati a Carlo II d’Asburgo. Così
nel 1718 le truppe spagnole invasero la Sicilia ma la quadruplice alleanza (Inghilterra, Francia, Olanda e Impero) bloccò la
Spagna, costringendola a rinunciare alla riconquista e impose a Vittorio Amedeo II di Savoia (trattato di Londra 1718) di
consegnare la Sicilia agli Asburgo in cambio della Sardegna. Dopo il 1720 la politica interna spagnola fu orientata in senso
riformatore con provvedimenti di natura protezionistica per sviluppare le manifatture e con una ristrutturazione
dell’amministrazione.
5 L’Italia e la guerra di successione polacca 1733-38
L’Italia fu teatro di spartizioni tra Spagna e Austria negli anni 1720-33, arbitro l’Inghilterra; quindi campo di intervento ancora più
ampio con il coinvolgimento della Francia e dei Savoia durante la guerra di successione polacca. In Austria, l’imperatore Carlo VI
d’Asburgo aveva cercato di valorizzare gli sbocchi marittimi dei suoi domini. Carlo IV non aveva eredi maschi, doveva quindi
prevenire una crisi dinastica. Così nel 1713 fece approvare la prammatica sanzione che aboliva nei domini asburgici la legge
Salica (il divieto per le donne di poter occupare il trono) e preparava la strada alla successione di sua figlia Maria Teresa, ma la
prammatica sanzione doveva essere accettata anche dalle altre potenze per essere efficace. L’Austria deve ottenere il
riconoscimento di questa da parte dell’Inghilterra. L’Inghilterra deve bloccare l’espansione commerciale asburgica e creare un
contrappeso alla penetrazione asburgica in Italia. Nel 1731 l’Austria ebbe dall’Inghilterra il bene placito alla successione di Maria
Teresa e in cambio smantellò le compagnie commerciali di Ostenda. La Spagna, arbitro in Inghilterra, si garantì la successione di
Don Carlos a Parma e Piacenza. Sia a Napoli che nella Lombardia, passata all’Austria con la pace di Utrecht, gli Asburgo
promossero una serie di riforme. Sia al nord che al sud gli austriaci non ebbero però il consenso sociale necessario per realizzare
idee e progetti di riforma. In Piemonte Vittorio Amedeo II, asceso al trono nel 1713, lasciò tracce consistenti. Insieme al suo
successore Carlo Emanuele III il sovrano cercò di applicare ai suoi territori il modello dello stato assolutistico realizzato dalla
Francia di Luigi XIV. L’altra parte dell’Italia era quella delle repubbliche oligarchiche di venezia, Genova e Lucca, dominate dai
loro patriziati; quella della toscana dove nel 1737 sarebbe morto l’ultimo dei Medici; quella dei piccoli ducati come Parma e
Piacenza, la corte degli Estensi a Modena e la corte pontificia. Nel 1733 l’Italia diventò teatro della guerra di successione polacca
(1733-38). Motivi dell’apertura dell’ostilità furono la morte di Augusto II di Sassonia, re di Polonia e la contrapposizione di 2
candidature alla sua successione, quella di Stanislao Leszczynski (lecinschi), la cui figlia era stata sposata da Luigi XV, e quella di
federico Augusto III di Sassonia. La prima candidatura fu sostenuta dalla Francia e dai polacchi; la seconda da Austria e Russia. Lo
zar Pietro il grande penetrò in territorio polacco e insediò sul trono Federico Augusto di Sassonia. Nella prima fase il conflitto si
svolse secondo lo schema Asburgo contro Borbone, uniti con i due rami di Spagna e Francia in un patto di famiglia. Con i Borboni
si alleò Carlo Emanuele III di Savoia. Oggetto delle mire fu l’Italia: la Spagna sperava di poter riprender Napoli e la Sicilia e di
stabilire il dominio su Parma e sulla Toscana; a Carlo Emanuele III venne promesso il milanese. Ma il blocco borbonico si inclinò
presto. Carlo Emanuele temeva l’insediamento di una dinastia borbonica nell’Italia meridionale. Al primo ministro francese Fleurì
premeva consolidare i confini sul Reno, all’Austria interessava ottenere il consenso della Francia alla prammatica sanzione. Nel
1735 cominciarono trattative segrete tra Francia e Austria. Carlo VI stipulò la pace di Vienna nel 1738 secondo la quale:
1. Federico Augusto III era riconosciuto re di Polonia
2. a Lechinschi era attribuita la Lorena che però sarebbe passata alla Francia dopo la sua morte
3. A Carlo di Borbone, figlio di Filippo V di Spagna erano attribuiti i regni di Napoli e Sicilia che diventavano così autonomi;
l’Austria perdeva questi domini ma manteneva la Lombardia e guadagnava il gran ducato di Toscana assegnato a Francesco di
Lorena, marito di Maria Teresa d’Austria. Carlo Emanuele III acquistava il bavarese, Tortona e le Langhe.
4. Gli Asburgo vedevano riconosciuta dalla Francia la prammatica sanzione.
6 La guerra di successione austriaca 1740-48
Dopo la morte di Carlo VI nel 1740, l’equilibrio stabilito dalla pace di Vienna fu rotto dal re di Prussia Federico II che occupò la
Slesia austriaca. La Francia di Luigi XV si alleò con Federico II, insieme a Filippo v di Spagna e suo figlio Carlo III re di Napoli.
L’Inghilterra giocò dapprima sul tavolo diplomatico promuovendo una mediazione tra Austria e Prussia: questa ottenne
dall’Austria gran parte della Slesia. Ma l’Inghilterra doveva pensare al commercio d’oltremare: da questo punto di vista i suo
antagonisti erano Francia e Spagna. Francia e Inghilterra entrarono in conflitto. Nel 1743 la coalizione Franco-spagnola
combatteva contro la coalizione Austro- inglese della quale entrò a far parte anche Carlo Emanuele III: Maria Teresa gli aveva
promesso ingrandimenti territoriali verso il Ticino. In Italia gli austriaci tentarono di attaccare il regno di Napoli ma furono
sconfitti dalle truppe di Carlo III di Borbone. Dopo alcune vittorie della coalizione franco-spagnola, furono gli eserciti
austropiemontesi a prevalere e le truppe piemontesi fermarono l’invasione francese. La guerra fu combattuta anche in
Germania: Federico II aveva ripreso le ostilità contro Maria Teresa e alla fine la Slesia fu restituita all’Austria. La pace fu firmata
nel 1748 ad Aquisgrana. Secondo le clausole:
1. Era ricostituito l’assetto coloniale atlantico dell’anteguerra
2. Maria Teresa fu riconosciuta imperatrice d’Austria e al marito Francesco di Lorena fu attribuito il titolo imperiale (iniziava la
nuova dinastia degli Asburgo-lorena)
3. Furono riconosciuti i nuovi confini della Prussia con l’annessione della Slesia
L’assetto politico territoriale italiano era così stabilito: (e rimase immutato sino all’ascesa di Napoleone)
- Il regno di Sardegna, comprendente la Sardegna, la Savoia, Nizza e il Piemonte ai Savoia
- Ducato di Milano, sotto il dominio degli Asburgo
- Repubblica di Venezia e genova indipendente
- Ducato di Parma, Piacenza a Filippo di Borbone-Farnese, fratello di Carlo III, re di Napoli
- Gran ducato di Toscana alla dinastia dei lorena
- Stato pontificio
- Regno di Napoli e di Sicilia, indipendente sotto il governo di un ramo dei Borbone di Spagna
Capitolo 14
1 L’illuminismo
Il secolo dei lumi vide l’uso spregiudicato della ragione applicata a tutti i campi. Si riconoscono 4 fasi:
- Presupposti e fondamento delle idee guida di questa rivoluzione intellettuale furono costituti tra il tardo 600 e gli anni 30 del
700. Fu questa l’epoca della crisi della coscienza europea, l’età del preilluminismo
- Tra gli anni 30 e 50 del 700 ci fu il periodo di formazione della più importante iniziativa editoriale degli illuministi, l’enciclopedia.
Dall’attenzione concentrata sui problemi religiosi e morali dell’uomo si passò al primato delle questioni politiche e sociali
- Tra gli anni 60 e 70 ci fu l’economia al primo posto e l’esperienza di governo illuminato di alcuni sovrani assolutisti
- Nel 20ennio precedente alla rivoluzione francese la crisi dell’antico regime e l’ansia di un mondo nuovo si espressero nelle forme
più diverse, nella vivacità di proposte riformatrici come nell’aspirazione utopica alla libertà e all’uguaglianza
La prima idea guida del dibattito illuministico fu il nesso religione-libertà-tolleranza e il tema fu affrontato per la prima volta
dall’olandese Spinoza. In Olanda visse per alcuni anni un altro dei padri fondatori del moderno principio della tollerazna: Bayle, il
quale prospettò la possibilità di una società laica che poteva fare a meno della religione. Ci furono poi le correnti del deismo
(l’affermazione dell’esistenza di Dio entro una religione naturale non rivelata) e dell’ateismo. Deista fu Voltaire mentre fra gli atei
ci fu Diderot, che insieme a d’Alembert fu autore dell’enciclopedia. L’illuminismo fu una cultura universale, cosmopolita, ma
anche fortemente connotata nelle diverse aree europee e Parigi fu al centro del movimento.
2 Le forme dello sviluppo economico del 1700
Il 700 è un secolo di espansione economica. Il movimento di crescita riguardò demografia ed economia. Nella seconda metà del
700 diminuirono anche le epidemie, fattore tradizionale di mortalità. L’agricoltura sino al 1850 occupò ancora il primo posto
nell’economia dell’Europa. Distribuzione della ricchezza e differenziazione sociale crescente nella popolazione rurale furono le
due conseguenze della tendenza a una maggiore produttività della terra e i due fenomeni furono la base per accelerare la
trasformazione profonda dei rapporti di proprietà nelle campagne attraverso l’abolizione del feudalesimo. A spingere in alto i
prezzi dei prodotti agricoli contribuì l’aumento della domanda concentrata soprattutto nella città.
3 Montesquieu
Nel 1748 fu pubblicato “lo spirito delle leggi”, il suo capolavoro. Egli riflette sull’Inghilterra, in particolare sulla sua costituzione:
questa si regge sulla separazione dei poteri, in quanto il re detiene il potere esecutivo; le camere detengono il potere legislativo.
Questi poteri sono distinti, ma cooperanti tra di loro, il potere giudiziario interprete delle leggi. Dall’analisi della costituzione
inglese emerge l’ideale della libertà politica per Montesquieu: essa consta non solo della separazione tra i 3 poteri dello stato ma
anche dell’equilibrio tra stato e società, fra una monarchia forte e ceti, ordini sociali, corpi intermedi, garanzia di una costituzione
moderata dallo spirito delle leggi. Una massima fondamentale dello spirito delle leggi è “il potere freni il potere”. la porta è
aperta su 2 grandi modelli costituzionali: la monarchia inglese e la repubblica presidenziale degli USA, che realizzerà attraverso il
contrappeso del federalismo e dei suoi poteri il bisogno
di corpi intermedi teorizzato da Montesquieu.
4 Rousseau, il padre della democrazia
Rousseau, la cui opera principale è il contratto sociale del 1762 parla del contratto sociale il quale fonda la società civile. Con il
patto si passa dallo stato di natura allo stato civile e per rousseau lo stato di natura è uno stato felice. Sono state le prime
istituzioni umane, la proprietà privata, la divisione di funzioni economiche e sociali, che hanno favorito l’origine della
disuguaglianza. Per Rousseau si può conciliare la necessità dell’associazione con la libertà e la felicità di cui gode l’individuo nello
stato di natura solo se i diritti individuali vengono totalmente alienati a favore della comunità che costituisce la base della
società.
5 Cesare Beccaria
Giurista Milanese, nel trattato “dei delitti e delle pene” denunciò la tortura e la pena di morte come strumenti giudiziari e
inumani e sostenne l’esatta proporzionalità tra reato e pena. Quest’ultima doveva avere come fine il recupero del reo.
6 Adam Smith
La sua opera del 1776, “indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni” è il testo base della scienza economica
moderna. Smith ha come riferimento base la società inglese del suo tempo che sta vivendo, in anticipo verso gli altri paesi
europei, la rivoluzione industriale. Da un lato ci sono la proprietà fondiaria e il capitale, dall’altro la forza produttiva del lavoro,
ormai trasformato in lavoro salariato. Il lavoratore non gode più dell’intero prodotto del suo lavoro ma ne è stato espropriato.
Per Smith il valore dio scambio delle merci è basato sulla quantità di lavoro o sul tempo di lavoro in essa incorporato. La teoria
dei prezzi tiene conto delle 3 classi naturali: nella determinazione del prezzo entrano il salario dei lavoratori, il profitto, cioè la
quantità addizionale di lavoro vivo per remunerare il capitale investito dagli imprenditori, la rendita fondiaria, che è la parte di
ciò che è raccolto o prodotto dal contadino lasciata al proprietario della terra. Profitto e rendita formano il plusvalore,
l’eccedenza del lavoro fornito e realizzato nella merce sul lavoro pagato, sul lavoro che ha ottenuto il proprio equivalente nel
salario. Per Smith è il lavoro sociale, è la quantità di lavoro necessaria che crea il valore e il plusvalore è la parte del lavoro di cui
si appropria colui che gestisce le condizioni del lavoro, cioè il proprietario terriero, il capitalista.
Capitolo 15
1 Settecento riformatore: l’assolutismo illuminato
L’età dell’assolutismo illuminato rappresentò lo sviluppo più maturo dei principi e delle funzioni dello stato moderno, ma anche la
difficile sintesi tra assolutismo e illuminismo. I sovrani intesero portare a compimento un progetto di ulteriore concentrazione ed
efficacia del potere sovrano, capacità di governo del territorio, consolidamento interno e internazionale degli stati attraverso la
promozione di riforme e l’avvio di un processo di rinnovamento politico e sociale ispirato alle idee dell’illuminismo. Il processo
riformatore gettò le basi per la crisi del vecchio ordine economico, sociale e politico ma non fu sufficiente per la sua
trasformazione radicale. Per raggiungere questo obiettivo fu necessaria la rivoluzione. Si può distinguere tra assolutismo e
dispotismo. Monarchia dispotica era quella dello zar di Russia che trattava i sudditi come schiavi, faceva applicare pene brutali
nel paese disponeva a piacimento della vita e dei beni. Governava oltre la legge. Monarchia assoluta era invece il regime del
sovrano per diritto divino che governava attraverso la legge. Una seconda distinzione interna all’assolutismo era fra quei regimi
in cui il potere dei sovrani era limitato da altri organi costituzionali (parlamenti, diete, stati del regno) e regimi in cui la libertà
d’azione del sovrano era meno vincolata (Prussia, Spagna, Danimarca).
L’amministrazione centrale: nel XVIII secolo ci fu uno sforzo più consistente per rendere più efficace, esteso ed efficiente
l’esercizio del potere monarchico attraverso la specializzazione della pubblica amministrazione. Il bisogno di potenza
nell’equilibrio degli stati, l’esigenza di un coordinamento tra il centro e la periferia del territorio nazionale, l’efficace controllo
sociale, furono all’origine del rinnovamento delle strutture degli apparati amministrativi che investì l’intera Europa. Ministeri e
segreterie di stato divennero gli organi politico-amministrativi più importanti degli apparati statali. Ma in Francia la vera
emanazione del re era il primo ministro che doveva costituire il canale di mediazione tra la volontà del re e i sudditi, assisteva
tutti i consigli e ne filtrava gli affari. Un ruolo essenziale dopo Colbert giocò nella monarchia francese il controllore generale: era
lui che metteva in moto tutta l’amministrazione del regno ed era in genere reclutato tra la nobiltà di toga. In Inghilterra la vera
novità politico-istituzionale fu il consiglio di gabinetto, una specie di consiglio dei ministri presieduto dal primo lord della
tesoreria e cancelliere dello scacchiere, responsabile delle sue decisioni collegiali davanti al parlamento. Più lenta fu in Spagna
l’evoluzione del sistema amministrativo, che vide comunque nel corso del 700 l’ascesa dei segretari di stato.
Le riforme fiscali: le riforme intervennero in materia fiscale e tesero a fornire allo stato strumenti di certificazione relativamente
più attendibili, capaci di colpire più in profondità e in maniera più equa i sudditi, divisi per categorie sociali e professionali.
Attraverso la compilazione dei catasti si passò da un sistema fiscale fondato da un labirinto di espedienti provvisori pensati senza
alcuna coordinazione a piani organici di accertamento dlela ricchezza mobiliare, validi per l’intero territorio statale. La riforma
sull’amministrazione della giustizia: nell’antico regime pesavano le esistenze di una molteplicità di giurisdizioni tra cui la più
importante era quella feudale, e la confusione nell’amministrazione tra sfera giudiziaria e sfera esecutiva. Inoltre l’ordinamento
non era realmente unificato. Su questo terreno le riforma dei sovrani assoluti furono limitate sia nella loro natura che nel grado
della loro efficacia. La codificazione del diritto e la sua semplificazione contribuirono a modificare l’ordinamento ma le
giurisdizioni privilegiate non furono abolite.
2 L’assolutismo illuminato del 1700 in Prussia e in Austria
La potenza prussiana: con Federico II (1740-86) la Prussia consolidava il suo ruolo di grande potenza. A definire questo ruolo
avevano concorso la frantumazione delle realtà politiche della Germania e l’assenza di concorrenti tedeschi in grado di
competere con le grandi monarchie europee; il rapporto tra la dinastia Hoenzollern e la formazione sociale prussiana, nominata
dal potere feudale degli Junker, che, in cambio del riconoscimento statale del loro regime su uomini, terre, città, avevano
garantito ai sovrani fedeltà ed erano entrati nei ranghi dell’amministrazione militare e civile; la necessità di costruire unno stato
forte sul piano militare è capace di difendersi dalla maggiore minaccia straniera, la Svezia, e di resistere alla sua espansione
nell’area baltica e centroeuropea. La formazione della potenza prussiana fu avvantaggiata sia dall’assetto interno della
Germania sia dalla politica internazionale. L’assetto interno della Germania aveva visto emergere sin dal 500 3 costruzioni statali
particolarmente significative nella parte orientale del territorio: la Baviera, la Sassonia, il Brandeburgo- Prussia. Nella parte
occidentale del paese la forza della chiesa e la densità delle città avevano reso difficile la nascita dell’assolutismo. furono gli
sviluppi della congiuntura politica internazionale ad avvantaggiare la Prussia. Dapprima lo scacco subito dagli Asburgo durante
la guerra dei 30anni bloccò il sogno imperiale di espansione in Germania e indusse i sovrani austriaci ad attestarsi sui confini
tedeschi. Poi l’ascesa della potenza svedese impegnò tutte le forze degli Hoenzollern nella costruzione di un potente stato
militare. La consapevolezza e la logica dell’equilibrio indussero le grandi potenze a riconoscere il peso militare dello stato
prussiano che, schierato in uno dei blocchi contrapposti avrebbe potuto sconvolgere tutti gli assetti faticosamente costruiti. Nel
1748, con la pace di Aquisgrana Federico II ottenne il riconoscimento dell’annessione della Slesia, sottratta all’Austria. Tra il 1756
e il 1763 la Prussia fu impegnata nella guerra dei 7 anni. L’impegno di energie finanziarie e militari fu enorme: ma Federico II
riuscì a farsi riconoscere lo status quo territoriale. Con la prima spartizione della Polonia fu annessa la Prussia occidentale. Alla
morte di Federico II la superficie dello stato prussiano era raddoppiata rispetto al 1740 e la popolazione quasi triplicata. Nella
politica interna il punto di forza di Federico II fu la capacità di introdurre alcuni principi di riforma dello stato senza intaccare le
fondamenta della formazione sociale del paese. Il modello dell’assolutismo illuminato, cioè di una monarchia assoluta che
promuove riforme per rafforzare l’unità e la centralizzazione del potere politico, trovò nella Prussia di Federico II un luogo di
efficace applicazione. Egli aveva ereditato il militarismo e il rigido calvinismo del padre Federico Guglielmo I ma aveva dimostrato
sensibilità per la filosofia, letteratura, arte e per i valori laici della cultura illuministica. Favorì la libertà di stampa, rese
obbligatoria l’istruzione elementare. Inoltre l’intervento riformatore di Federico II si attuò nel campo dell’amministrazione e della
giustizia. Federico II abolì la tortura, limitò la pena di morte e affidò al giurista Cocceji il progetto per la riforma dei codici. Inoltre
intervenne nell’economia favorendo programmi pubblici in campo agricolo e industriale. Ma le basi della società prussiana
rimasero immutate e persisteva la servitù della gleba.
L’Austria di Maria Teresa e Giuseppe II: risolto il problema della successione, l’ascesa al trono della figlia di Carlo VI, Maria Teresa
d’Asburgo (1740-80) aprì una fase di riforme anche per l’Austria. L’intero apparato di governo fu rinnovato, furono unificate le
cancellerie d’Austria e di Boemia e le rispettive corti di appello. L’aristocrazia e il clero dovettero contribuire in misura maggiore
al carico fiscale. Maria Teresa fondò collegi per l’educazione e la formazione del personale statale. Ma le riforme teresiane
furono superate in quantità e qualità da quelle del figlio dell’imperatrice Giuseppe II. Egli alla morte del padre Francesco Stefano
(1765) gli successe nel titolo imperiale e fu nominato coreggente degli stati ereditari asburgici. Dal 1780 al 1790 regnò sul trono
che era stato di Maria Teresa. Intervenne in materia religiosa: soppresse proprietà ecclesiastiche, trasformò le università in
istituzioni statali. Lo stato si fece carico dell’istruzione di base, che fu resa obbligatoria e laicizzata. La pubblica amministrazione
fu resa più professionale: le sue gerarchie furono organizzate in base al merito e aperte a nuovi ceti sociali. Anche La giustizia fu
investita dalla politica riformatrice dell’imperatore: fu introdotto il nuovo codice penale. I decreti più rivoluzionari furono quelli
che abolirono la servitù della gleba e quelli che riguardarono la certezza del piccolo possesso contadino. Giuseppe II interveniva
sulle basi materiali della società e quindi suscitò forti opposizioni. Le norme che uniformavano la ripartizione del prodotto
agricolo colpivano direttamente gli interessi della nobiltà fondiaria. Ci fu come reazione l’ostruzionismo del ceto nobiliare. Il
successore Leopoldo II fu costretto a ripristinare il potere della nobiltà.
3 La Russia di Caterina II
Morto Pietro I il grande, la nobiltà di corte condizionò gli zar successivi. Quasi sempre personalità deboli come Caterina I, Pietro
II, Anna, Elisabetta e Pietro III. La moglie di Pietro III, Caterina, si impadronì del potere con un colpo di stato e fece poi assassinare
il marito. Il regno di Caterina II (1762-96) fu caratterizzato dalla diffusione di opere degli illuministi, libertà di pensiero e vitalità
culturale. Molte delle riforme si ispirarono ai principi dell’assolutismo illuminato: il nuovo sistema educativo, la secolarizzazione
delle terre della chiesa, la politica economica. In politica internazionale ci fu l’annessione della Crimea nel 1783 con cui la Russia
poteva avere lo sbocco sul mar Nero. Le conseguenze sull’agricoltura russa furono rilevanti: vaste aree della steppa ucraina
furono colonizzate e messe a coltura. Ma i modi di sfruttamento in regime di rapporti restarono gli stessi: agricoltura estensiva e
aumento della popolazione servile. Così nel 1773 scoppiò una rivolta: tutto il paese ne fu investito, molti nobili massacrati, ma
l’esercito imperiale represse con violenza la guerra contadina. Il suo effetto fu il consolidamento dell’alleanza tra lo zar e
l’aristocrazia, formalizzata nella carta della nobiltà concessa da Caterina nel 1785. La nobiltà manteneva tutti i suoi privilegi
tradizionali; cadevano alcuni caratteri del regime autocratico instaurato da Pietro come il servizio forzato dell’aristocrazia per lo
stato; la giurisdizione dell’aristocrazia feudale su uomini e terre a essa appartenenti era completa; l’amministrazione locale era
affidata alla piccola nobiltà.
4 Il riformismo scandinavo del 1700
La Svezia era stata ridimensionata nel suo ruolo di potenza e rovinata sul piano finanziario dalla seconda guerra del nord ma
l’età di Carlo XII era stata anche un’epoca di consolidamento dell’assolutismo. Con Gustavo III ci fu poi la restaurazione
dell’assolutismo monarchico. Nonostante le riforme illuminate promosse da Gustavo, monarchia assoluta si rivelava debole a
causa dell’avanzamento della società civile.
5 Spagna e Portogallo
Il ridimensionamento della potenza spagnola favorì il recupero demografico, il ritmo minore di crescita delle esigenze fiscali e
militari dello stato consentì di riservare risorse per lo sviluppo delle manifatture e del commercio. Ma la crescita della
popolazione e la ripresa della produzione agraria si verificarono entro il regime demografico di tipo antico e furono limitate alle
aree rurali. Crescita limitata dunque su basi fragili e tradizionali con un’articolazione dei ceti in cui l’aristocrazia terriera aveva
ancora il primato e la nascente borghesia era legata allo sviluppo dell’amministrazione statale e all’intermediazione finanziaria e
mercantile più che alle attività imprenditoriali di rischio. L’iniziativa riformatrice di Carlo III di Borbone (1759-88), succeduto a
Ferdinando VI fu più progetto e meno realizzazione. Nel campo dei rapporti tra stato e chiesa limitò le immunità ecclesiastiche e i
poteri dell’inquisizione ed espulse i gesuiti dal regno. Inoltre attuò un’amministrazione amministrativa promosse accademie e
società economiche e il rinnovamento della cultura.
6 Il 1700 riformatore in Italia
L’azione riformatrici dei sovrani illuminati si svolse a fu incisiva in 3 stati italiani: il regno di Napoli governato dai Borbone, la
Lombardia austriaca e la Toscana dei Lorena. Nel 1734 sul trono napoletano saliva Carlo di Borbone, figlio di Filippo V e
Elisabetta Farnese: il mezzogiorno riconquistava un re proprio e ala sua indipendenza. Re Carlo riformò l’amministrazione
centrale attraverso la costituzione di dicasteri e segreterie più funzionali. Inoltre promosse la riforma dei tribunali fondata sui
controlli e le limitazioni delle giurisdizioni feudali e l’avvio di un progetto di codificazione del diritto. Nel 1759 moriva Ferdinando
VI re di Spagna, senza eredi. Carlo di Borbone veniva chiamato sul trono di Spagna come Carlo III. A Napoli per la minore età del
figlio di Carlo, Ferdinando, fu costituito un consiglio di reggenza. La Lombardia dopo la pace di Aquisgrana cadde sotto il dominio
austriaco. Anche il gran ducato di Toscana era entrato nell’orbita austriaca perché era stato assegnato nel 1737 a Francesco
Stefano di Lorena, marito di Maria Teresa d’Austria. Durante il regno di Maria Teresa furono promosse alcune riforme nella
Lombardia Austriaca: l’amministrazione fu centralizzata e il personale reclutato in base al merito e alla preparazione tecnica; fu
abolita la venalità delle cariche pubbliche. I due figli di Maria Teresa accelerarono il processo riformatore: Giuseppe, imperatore
d’Austria dal 1765 al 1790 e Pietro Leopoldo, prima gran duca di Toscana, poi imperatore con il nome di Leopoldo II dal 1790 al
1792. Giuseppe II estese anche alla Lombardia le riforme promosse negli altri territori dell’impero asburgico e la inserì nel sistema
economico integrato del sistema di scambi europei. Pietro Leopoldo nel gran ducato di Toscana promosse 2 riforme molto
importanti: la prima chiamata livellazione, concedeva ai mezzadri, a livello perpetuo, i terreni di proprietà dello stato in cambio di
un canone annuo fisso e contenuto; la seconda fu il nuovo codice penale che aboliva la pena di morte, la tortura
7 Dalla guerra dei 7 anni alla spartizione della Polonia
Le tensioni europee dopo la pace di Aquisgrana non si erano sciolte. La Prussia è in fase espansionistica, l’Austria voleva
recuperare la Slesia, la Russia alla ricerca dell’egemonia sul Baltico, Inghilterra e Francia in conflitto per l’egemonia coloniale. Nel
gennaio del 1756 scoppiava la guerra dei 7 anni (1756-63) tra la Francia e l’Inghilterra, combattuta su fronti europei, sul fronte
indiano e su quello americano. Federico II si alleò con l’Inghilterra mentre la Francia si alleò con l’Austria che voleva recuperare la
Slesia e con la Russia. La guerra dei 7 anni rivelò il protagonismo militare della Prussia di Federico Ii, la fragilità del sistema
politico militare della Francia coloniale che perse gran parte dei suoi possedimenti americani e indiani, la supremazia sui mari
dell’Inghilterra. Nel 1762 Federico II firmava la pace separata con lo zar Pietro III di Russia e nel 1763 con l’Austria, ottenendo la
conferma dell’annessione della Slesia e l’unificazione territoriale del dominio Hoenzoller. La pace firmata a Parigi (1763) tra
Francia e Inghilterra estrometteva la Francia dall’America settentrionale e riconosceva l’espansione inglese in India. In Polonia
dopo la fine della dinastia Jagelloni, per quasi 2 secoli le potenze europee avevano esercitato una sorta di protettorato. La
Polonia era stata governata dall’esterno, da principi graditi a potenze straniere, molto spesso imposti con la forza, ma costretti a
delegare gran parte dei poteri ai magnati magiari. Dopo la morte del principe Augusto III di Sassonia, Caterina II di Russia e
Federico II di Prussia invasero la Polonia per imporre il loro candidato Stanislao Poniatowski, amante di Caterina II. Stanislao era
stato educato secondo idee illuministiche e voleva attuare riforme tendenti a limitare il potere dell’aristocrazia polacca. Così la
nobiltà si riunì nella confederazione di Bar, la Russia inviò truppe in territorio polacco, le quali dopo 4 anni di guerra
schiacciarono l ribellione dell’aristocrazia. Nel 1772 Russia, Prussia e Austria procedettero alla prima spartizione della Polonia: la
Galizia allAustria, la Bielorussia alla Russia, la Prussia occidentale alla Prussia. Nel 1792 i soldati di Caterina II invasero di nuovo il
paese perché Poniatowski cercò di trasformare la monarchia polacca da elettiva in ereditaria e di abolire il potere di veto dei
magnati. Nel 1793 fu compiuta una seconda spartizione a favore di Russia e Prussia. Nel 1794 un’insurrezione nazionale fu
repressa nel sangue e nel 1795 ci fu la terza spartizione. Con essa il paese scomparve del tutto.
Capitolo 16
1 L’espansione coloniale del XVIII secolo: spagnoli e portoghesi in America
Nel XVIII secolo potenze ridotte a rango secondario in Europa, come la Spagna e il Portogallo, possedevano estesissimi territori
oltre oceano mentre nella corsa all’espansione coloniale in Asia e in Africa, Spagna e Portogallo furono esclusi perché la spinta a
quella corsa fu fornita dai ceti commerciali e imprenditoriali delle grandi potenze economiche e politiche dell’Europa durante il
600 e il 700: Olanda, Inghilterra e Francia. L’impero coloniale spagnolo nel 700 comprendeva gran parte dell’America
meridionale, le isole dei Caraibi, il Messico e la Florida. Nell’oceano Pacifico le isole Filippine. Al vertice dell’amministrazione
erano i vicerè in Messico e in Perù, capitani, generali e governatori negli altri territori: questi avevano tutti poteri assai ampi. Gli
elementi deboli del sistema coloniale spagnolo erano 3: la fragilità militare; la corruzione e la scarsa efficienza
dell’amministrazione coloniale; la chiusura e il conservatorismo dei gruppi dirigenti coloniali. I possedimenti coloniali del
Portogallo comprendevano il Brasile, basi commerciali sulle coste africane, indiane, indonesiane e in alcune isole del Pacifico le
differenze tra il sistema coloniale spagnolo e quello portoghese erano che il primo presentava più articolate relazioni interne;
economie diversificate e gerarchie tra aree minerarie, zone agricole, zone per l’allevamento; circuiti commerciali che
consentivano l’integrazione maggiore dentro il sistema. Nel sistema coloniale portoghese la scarsità della popolazione determinò
una domanda assai limitata. Il clima più o meno uniforme del Brasile impedì la diversificazione della promozione. In entrambi i
sistemi comunque l’espropriazione coloniale serviva a colmare una parte del deficit della bilancia commerciale della madrepatria.
2 L’espansione coloniale del XVIII secolo: olandesi, inglesi e francesi in Asia
Nel XVII secolo l’Olanda si dimostrò superiore alla Gran Bretagna che diventerà la potenza coloniale leader nel XVIII. Il capitale
commerciale olandese era interessato al commercio delle spezie, così tra la fine del 500 e il primo 600, alcune compagnie
commerciali raggiunsero l’India, il Giappone, Giava, le Molucche. Nel 1602 le compagnie concorrenti si unirono in una sola, la
compagnia olandese delle indie orientali che esercitò per 20anni il monopolio del commercio olandese tra il capo di buona
speranza e la rotta di Magellano. L’ideologia olandese era quella del mare liberum come fondamento del diritto internazionale. Il
fine era quello di garantirsi il monopolio delle spezie e nel 600 gli olandesi realizzarono questo obbiettivo a spese di portoghesi,
spagnoli e inglesi. I segnali di crisi si avvertirono nel corso del 700: bilanci passivi delle compagnie, aumento del contrabbando.
Anche gli inglesi penetrarono in Asia, ma solo alla fine del XVII secolo assunsero un ruolo leader nell’espansione coloniale, Grazie
allo stabile assetto costituzionale dell’Inghilterra e agli investimenti più massicci e il più largo coinvolgimento dei ceti nelle
imprese e negli affari coloniali. La Francia con la fine delle guerre di religione e il consolidamento dello stato moderno, iniziò
un’azione sistematica di penetrazione in oriente. Le linee direttrici di espansione francese verso le coste africane e mediorientali
furono seguite utilizzando le compagnie commerciali. L’espansione francese fu fortemente contrastata dagli olandesi che nel
1670 ne sconfissero la flotta in India e dagli inglesi che bloccarono le mire francesi sul Siam. Alla fine della guerra dei 7 anni che si
combattè nelle Antille, nell’America settentrionale e in India, la Francia dovette rinunciare all’espansione territoriale in India e vi
conservò solo 5 basi costiere mentre l’Inghilterra gettava le fondamenta dell’impero delle indie britanniche.
3 Le strutture del capitalismo coloniale tra il XVII e il XVIII secolo
La compagnia commerciale privilegiata fu l’asse portante dei rapporti tra l’Europa e l’Asia tra il XVII e il XVIII secolo e costituì lo
strumento più idoneo di collaborazione tra pubblico e privato per raggiungere il fine dell’espansione commerciale extraeuropea.
La compagnia otteneva dallo stato la garanzia del monopolio privilegiato; in cambio si assumeva i costi delle infrastrutture,
costruiva e manteneva il sistema asiatico dei capisaldi e delle fortezze e per questo le venivano conferite prerogative pubbliche,
come la stipula di contratti, il diritto di fortificazione, la conduzione di guerre, l’amministrazione della giustizia. Le risorse delle
compagnie inglesi e francesi del XVIII secolo furono parti integranti del debito pubblico contribuendo al suo consolidamento.
Cina Dal 1644 fu governata dai Ching della dinastia Manciù. I primi imperatori di questa dinastia consolidarono i confini
territoriali, fermarono l’espansione russa e nel corso del XVIII secolo annetterono la Mongolia, il Tibet. Quindi durante circa un
secolo e mezzo l’impero cinese raddoppiò l’estensione del suo territorio. I Manciù costrirono un’imponente macchina bellica e
divennero i padroni della steppa. Sicura entro i propri confini la Cina conobbe un lungo periodo di prosperità. Confini sicuri,
potenza militare, funzionamento della macchina statale, autosufficienza economica tra 600 e 700 furono gli elementi che non
consentirono alle potenze occidentali di stabilire rapporti di natura coloniale con la China. Anche l’impero cinese mostrò alla fine
del 700 motivi di fragilità dovuti al forte incremento demografico che fu un fattore di squilibrio e a crisi sociali. La presenza di 2
potenze vicine come Russia e Giappone fu una grave minaccia per la sicurezza della Cina e anche l’aumento della potenza
marittima dei paesi europei.
Il Giappone Il 600 fu per l’impero Tokugawa un secolo di sviluppo economico. Al vertice dell’amministrazione statale c’era lo
shogun. Nel corso del XVIII secolo iniziò la crisi del sistema a causa di carestie, rivolte contadine e tensioni crescenti nel sistema
politico sociale. La crisi sarebbe esplosa a metà del secolo successivo. Fino alla metà del XIX secolo il Giappone relativamente
isolato nel contesto delle relazioni commerciali internazionali.
L’Africa La carta politica dell’Africa fu ridisegnata nel XVII e XVIII secolo. Nella parte nordorientale gli arabi crearono un vasto
impero commerciale. Nell’area nigeriana e senegalese vi erano molti piccoli regni indigeni che resistettero sino all’epoca
coloniale dell’800. Una vastissima zona del continente era dominata dal deserto dove vivevano molte tribù indigene. Nel XVIII
secolo l’Africa del sud fu l’unica zona veramente colonizzata: gli olandesi si insediarono a città del capo scacciando le tribù locali.
L’attività più fiorente in Africa, esercitata non solo dagli europei ma anche dagli stati indigeni fu la tratta degli schiavi.
Capitolo 17
1.2 La rivoluzione industriale alla fine del 1700
Tra il 1750 e la prima metà dell’800 una parte dell’Europa centrale fu investita da una grande trasformazione nelle basi
dell’economia, nell’ordine sociale, nei modelli di vita. Nel suo epicentro, l’Inghilterra, l’origine del processo fu la trasformazione
della vecchia manifattura del cotone in sistema di fabbrica ma ci furono poi anche progressi notevoli nei settori dell’industria
tessile e in quelli metallurgico e meccanico. Un contributo decisivo alla grande trasformazione fu dato da un insieme di
innovazioni tecnologiche: la sostituzione delle macchine all’abilità e alla fatica umana; la sostituzione di fonti artificiali di energia
a quelle animali, umane o naturali. La rivoluzione industriale portò a un aumento della produttività e del reddito individuale,
migliorò le condizioni di vita e l’equilibrio tra popolazione e risorse, trasformò il volto delle città europee. Ma ebbe anche i suoi
costi: lo sfruttamento coloniale da parte delle grandi potenze economiche e delle più forti compagnie commerciali fu più
intensivo per rispondere alla domanda di materie prime delle fabbriche; nei primi decenni il sistema di fabbrica potè svilupparsi e
garantire margini più ampi di profitto e accumulazione grazie all’assenza di regole e di norme di tutela per i collaboratori; fu
sfruttato il lavoro di donne e bambini; si accentuò il divario tra paesi industriali più ricchi e meno ricchi.
3 L’Europa prima della rivoluzione industriale
La società europea del XVII e XVIII secolo era prevalentemente agraria, ma solo alcune aree agrarie della
Europa si trovarono meglio preparate all’industrializzazione da questo punto di vista al primo posto c’è l’Olanda: agricoltura
specializzata, collocazione strategica nel mercato internazionale, sviluppo urbano, crearono in Olanda le basi per la
modernizzazione economica che maturerà alla fine dell’800. La situazione agraria in Francia era diversificata e i nuclei industriali
sorgeranno nelle aree mercantili intorno a Parigi in Alsazia e in Lorena. Poco preparata allo sviluppo industriale era l’Europa
mediterranea: in parte dell’Italia centrale, in Spagna, nell’Italia meridionale ci fu stagnazione agricola e mancato decollo
industriale. La Germania nella parte orientale era caratterizzata da grandi proprietà feudali e arretratezza industriale mentre la
parte occidentale si rivelerà più aperta alle trasformazioni. L’Inghilterra fu il paese che subì nel 700 le più importanti
trasformazioni agricole. La potenza inglese, integrando rivoluzione agricola e rivoluzione industriale stabilì il primato economico
internazionale. Le forme di produzione precedenti la rivoluzione industriale erano la manifattura rurale a domicilio, la
manifattura centralizzata e le industrie tradizionali controllate dall’artigianato urbano e dalle corporazioni. L’Inghilterra arrivò
per prima alla rivoluzione industriale grazie alla disponibilità di materie prime, la libertà di adattamento e iniziativa, la diffusione
del pensiero scientifico e della ricerca e di una filosofia e mentalità molto empirica e sperimentale, la disponibilità
all’innovazione, favorita dal sostegno politico dello stato, ma gia molto forti nella società. Inoltre non bisogna sottovalutare il
fattore della domanda in quanto il potere d’acquisto e il tenore di vita degli inglesi erano assai più alti rispetto al resto del
continente europeo. Quindi i prerequisiti della rivoluzione industriale in Inghilterra erano:
- Le risorse naturali
- L’integrazione tra agricoltura e industria
- Il sostegno dello stato attraverso la domanda della corte e del governo e del suo apparato e attraverso la creazione di
infrastrutture
- La concentrazione di manodopera specializzata, grazie alla preesistenza di industrie rurali a domicilio, libere da vincoli
corporativi
- La disponibilità di capitali
4 Cambiamenti tecnologici e sviluppo industriale in Inghilterra nel 1700
Il settore dell’economia inglese che varcò per prima la soglia della rivoluzione industriale fu quello del cotone. Nell’industria
cotoniera furono introdotti nuovi tipi di macchinari per la filatura insieme ad altre invenzioni. Il consumo di cotone si moltiplicò
per 12 tra il 1770 e 1800 e rese indispensabile ulteriori miglioramenti nella fase della tessitura, che furono realizzati dopo
l’introduzione del telaio meccanico. Nell’industria del ferro il capitale investito, il valore prodotto e il numero di addetti erano
inferiori durante il XVIII secolo a quelli dell’industria del cotone ma le potenzialità di sviluppo erano altissime sia per le offerte di
metallo a prezzo basso, sia per il processo di meccanizzazione, sia per la progressiva sostituzione dell’energia idrica con quella a
vapore, sia per le innovazioni dei trasporti nel corso dell’800. un nuovo convertitore di energia era quello della macchina a
vapore, e lo sfruttamento su larga scala del carbon fossile al posto del carbone di legno permisero lo sviluppo e la straordinaria
diffusione della rivoluzione industriale in Inghilterra. La rivoluzione industriale significò la separazione tra i proprietari dei mezzi
di produzione ei produttori diretti, tra imprenditori e lavoratori, la concentrazione dei lavoratori salariati in un unico luogo di
lavoro, la fabbrica; una divisione più accentuata del lavoro; l’impiego delle macchine e la produzione di massa per il mercato. Tra
il 1780 e il 1830 i lavoratori cominciarono a organizzarsi e diedero vita a movimenti di protesta mentre andò formandosi una
classe operaia, dotata di una coscienza di un’identità di interessi in contrapposizione ad altri. Le tappe più importanti di una lenta
maturazione di una coscienza di classe furono: la formazione e la diffusione di leghe e club di lavoratori radicali, il movimento
luddista e tra il 1820 e il 1830 lo sviluppo del socialismo utopistico. Il nome del luddismo, forma radicale di protesta, veniva da
Ned Ludd a cui si attribuiva la distruzione di un telaio meccanico nel 1779. furono distrutti tantissimi telai meccanici ma la fase
culminante del luddismo finì con la legge del 1812 che della distruzione dei telai faceva un delitto punibile con la morte.
Capitolo 18
1 Le colonie inglesi in America nel 1700
Nel 1620 i padri pellegrini, appartenenti ad una comunità puritana non ortodossa intraprese a bordo della May flower un viaggio
che li avrebbe condotti attraverso l’Atlantico nel Massachussets nella terra chiamata New England. Questo è considerato l’atto di
nascita delle colonie inglesi d’America. Nel 1732 le colonie inglesi in America diventarono 13. la causa immediata dello sviluppo
delle colonie furono le lotte politico religiose in Inghilterra. I puritani che fondarono le comunità del New England, i coloni della
Virginia, i Quaccheri in Pensilvania erano perseguitati, costretti a fuggire dalla madrepatria. Essi esprimevano la vitalità, lo
sviluppo di una società civile come quella inglese che non trovava risposte e forme di realizzazione nella società politica e negli
equilibri interni del potere. Così i coloni trapiantarono in America modelli originali di vita comunitaria e di convivenza religiosa e
sociale. La libertà americana si manifestò innanzitutto come possibilità di metter in pratica ipotesi di convivenza religiosa e
sociale sconfitte e impossibili in patria. Al motivo religioso si aggiunse il motivo economico in quanto la maggioranza di coloro
che prendevano la via dell’America era attratta dalla speranza di migliorare la propria situazione economica. I coloni avviarono
un’opera di sperimentazione politica e istituzionale. Lo statuto delle regioni nordamericane e il loro rapporto con la madrepatria
furono stabiliti in varie carte: in esse erano anche riprodotte la diversità dei titoli di origine
le forme molteplici della colonizzazione. Quei titoli erano di tre tipi:
- il primo, quello della corporazione riconosceva fin dall’origine una vasta autonomia alla comunità di coloni installatasi sul
territorio;
- il secondo, quello del proprietario concedeva lo sfruttamento del territorio a un singolo individuo;
- infine la colonia, al cui vertice c’era un governatore nominato dal re. Le carte contemplavano la costituzione di organi statali per
il governo delle colonie ma in assenza di un ministero per le colonie e di un coordinamento politico e amministrativo della
madrepatria gran parte dei poteri furono concentrati in governi locali autonomi. Le singole colonie si diedero ordinamenti,
istituzioni, leggi, organismi rappresentativi accettati da tutti i coloni e riuscirono a vanificare i tentativi di centralizzazione di
costituzione di una burocrazia imperiale, compiti dall’Inghilterra. Al centro di questi ordinamenti era l’assemblea coloniale, sede
della rappresentanza. Non era una rappresentanza per ceti, per ordini, ma per singole comunità che costituivano politicamente la
colonia. Non va comunque dimenticato il rapporto ideale e politico esistenti tra l’America e l’Inghilterra. Vi era un sentimento di
appartenenza a una comunità unitaria, imperiale inglese, diffuso nei coloni americani ed entrato in crisi verso la metà del 700. I
rapporti con la società civile inglese erano strettissimi. Il sentimento di appartenenza alla comunità imperiale era consolidato poi
dalla difesa contro i pericoli esterni, la Spagna e la Francia in particolare. La fedeltà delle colonie alla madre patria fu favorita
dalla politica internazionale: la sicurezza dei coloni non poteva essere affidata a fragili milizie locali capaci unicamente di
scontrarsi con gli indiani sulle frontiere; essa richiedeva di eserciti regolari e il contributi della flotta inglese.
2 Lo sviluppo economico e sociale delle colonie inglesi in America nel 1700
Nel 700 nelle colonie inglesi d’America ci fu un’enorme crescita demografica soprattutto grazie all’immigrazione europea del XVII
e XVIII secolo. L’incremento demografico delle colonie inglesi fu determinato anche dall’elevata produttività dell’agricoltura.
L’equilibrio tra popolazione e risorse fu raggiunto anche grazie alla differenziazione produttiva delle colonie, delle tre sezioni del
nord, del centro e del sud. La funzione economica produttiva del sud, in particolare quella della Virginia andò strutturandosi
intorno alla piantagione del tabacco. Si andò formando un ceto di grandi proprietari che investivano cospicui capitali in terre e
schiavi. Completamente diverso era il carattere della sezione del nord: nelle coloni e del New England, la piccola chiesa-comunità
puritana era la base economica della società. Il gruppo si muoveva alla ricerca di terre verso l’ovest, e una volta insidiatosi,
fondato un nuovo villaggio, i terreni erano divisi equamente tra le diverse famiglie. Questa economia domestica non avrebbe mai
potuto trovare sbocchi di mercato. Il carattere fondamentale di questa zona era piuttosto costituito dalla vitalità delle città:
piccoli e grandi porti, industria della cantieristica, residenze della burocrazia imperiale contribuirono ad accrescere soprattutto
nel 700 le funzioni urbane e a differenziare una struttura sociale fatta di mercanti, professionisti, pubblici ufficiali, artigiani e
salariati. Al centro incontriamo una sezione-cerniera di cui le colonie di New York, della Pensilvania, del New Jersey costituirono
la sezione più dinamica. Avevano un sistema di agricoltura mista e una rete portuale in grado di rafforzare il rapporto tra
agricoltura e commercio. Anche nelle colonie del centro andò affermandosi un ceto di commercianti professionisti che
caratterizzarono a lungo la società di queste zone. Fino alla metà del XVIII secolo il quadro di riferimento economico per le
colonie americane fu l’impero britannico ed è necessario distinguere 2 fasi: la prima tra l’atto di navigazione del 1651 e i primi
decenni del 700. la seconda tra il 1730 e il 1760. la prima fase è caratterizzata dall’incontro tra le grandi compagnie per il
commercio che avevano favorito la colonizzazione americana e le classi dirigenti dell’Inghilterra, corte e ministri, promotori di
una politica mercantilistica. Entrambi, compagnie e potere politico inglese collocavano l’economia americana entro un rapporto
di scambio interno all’economia imperiale, in cui le colonie avevano funzioni specializzate, una posizione di servizio rispetto alla
madre patria, l’obbligo di assicurare all’Inghilterra il monopolio dei prodotti coloniali. Attraverso le colonie l’Inghilterra si
assicurava la piena autosufficienza. A partire dal 1730 i numerosi punti di fuga del sistema mercantilistico imperiale, la crescita
economica delle colonie, la nascita e la formazione di un’elite coloniale sempre più cosciente dei suoi diritti e autonomia,
l’accentuarsi dei motivi di conflitto con la madre patria crearono le premesse per una seconda fase del rapporto tra colonia e
madrepatria.
3 Le radici del conflitto tra colonie inglesi e madrepatria - 1700
Intorno agli anni 30 del 700 cominciò a formarsi nei coloni americani la coscienza di costituire un corpo politico unitario diverso,
se non ancora separato dall’Inghilterra. Tra il 1730 e il 1770 si accentuarono le ragioni del conflitto che opponevano i coloni agli
inglesi e che contribuirono a formare l’autocoscienza americana. Le ragioni del conflitto erano sia di natura economica che
politica. Eli. Più le colonie rafforzavano la struttura economica e politica e più pesava la mancanza di autonomia nel sistema
mercantilistico inglese. Il secondo motivo di conflitto era di natura politica in quanto Inghilterra e America si ispiravano a un
diverso principio di sovranità. Con la rivoluzione l’Inghilterra aveva allargato le basi del potere estendendo le prerogative del
parlamento, ma il principio della concentrazione assoluta della sovranità (re + parlamento) che richiede obbedienza era stato
riconfermato anche dopo il 1688. da questa autorità dipendevano anche le colonie americane ma in esse il pensiero politico
andava elaborando una diversa teoria della sovranità limitata che attraverso la creazione di istituzioni a difesa del popolo,
consentiva ai governati il controllo dei governanti. Gli eventi che contribuirono ad approfondire il solco tra colonie e madrepatria
furono 3: il risveglio religioso in America tra 1730 e 1740; la guerra dei 7 anni; i provvedimenti fiscali decisi dall’Inghilterra negli
anni 60. il grande risveglio fu un’ondata di fermento religioso. Le colonie furono investite dalla speranza che l’America potesse
realizzare una società giusta e che il suo popolo come popolo eletto potesse portare a compimento la vittoria di Cristo sul
demonio. Fu così che la guerra dei 7 anni combattuta dai coloni americani contro i coloni francesi assunse quasi le tinte di una
guerra santa tra antipapisti e papisti e contribuì a cementare in unico blocco per la comune difesa contro il nemico religioso e
politico, americani e inglesi. Ma gli anni successivi alla guerra dei 7 anni furono deludenti per i coloni americani. Da un lato
diventava meno indispensabile il sostegno militare della madrepatria. Il contributo dei coloni era stato decisivo per eliminare la
presenza francese in Canada e nell’ Ohio e le forze armate americane erano meglio preparate di quelle inglesi. Dall’altro lato
l’Inghilterra si accingeva a far pagare il conto della guerra dei 7 anni. A metà degli anni 60 era giunto a maturazione il processo
di formazione di elites coloniali coscienti dei loro diritti, desiderosi di affermare un’autonomia economica e politica sempre
maggiore da Londra, ben radicate nelle comunità locali che costituivano la società americana. Subito dopo la pace di Parigi
(1763) conclusiva della guerra dei 7 anni il parlamento inglese con la proclamation line intese bloccare l’avanzare della frontiera
verso l’ovest e il continuo pericolo di guerre contro gli indiani. Re Giorgio III e il parlamento richiesero un più massiccio
coinvolgimento delle colonie nordamericane nelle spese dell’impero. Tra il 1764 e il 1765 lo sugar act e stamp act tradussero le
richieste inglesi in nuove imposte per le colonie. Zucchero, caffè e vino e altri generi vennero colpiti; lo stamp act impose una
tassa di bollo su giornali e atti legali. Pochi mesi dopo i delegati di 9 colonie si riunirono a New York nel congresso dello stamp
act, votarono la dichiarazione dei diritti e dei doveri dei coloni d’America, inviarono petizioni al re e al parlamento. Nel 1776 il
parlamento inglese revocò lo stamp act ma promulgò il declaratory act: si ribadiva che le colonie erano soggette all’autorità del
parlamento. Lo scontro si acquì. Nel 1777 il parlamento inglese sospese l’assemblea di N. Y. C. che si era rifiutata di rifornire le
truppe della madrepatria. Successivamente furono boicottate le merci inglesi la cui importazione comportava il pagamento di
imposte appena approvate dal parlamento, e si organizzò un vasto schieramento di opposizione all’Inghilterra.
4 La guerra d’indipendenza
5 marzo 1770 i soldati inglesi repressero una rivolta scoppiata a Boston uccidendo 5 persone. Il Parlamento dovette abolire dazi e
imposte ma nel 1773 approvò il Tea Act che concedeva alla compagnia delle indie orientali il monopolio del mercato del tè. Era
un atto di controllo mercantilistico esercitato dalla madrepatria sugli americani. Nello stesso anno i coloni salirono sulle navi e
gettarono in mare le casse di te. Le rappresaglie inglesi furono durissime e si espressero in una serie di leggi dette intollerabili che
sancivano una dipendenza ancora maggiore dell’America dal Parlamento inglese: chiusura del porto di Boston sino al
risarcimento dei danni e l’abolizione delle autonomie del Massachussetts. Nel 1774 si diffusero molti scritti contro il parlamento
inglese. Thomas Jefferson, uno dei leader intellettuali della ribellione ribadì la distinzione tra corona e parlamento. Jefferson
sosteneva che i coloni non erano vincolati alle decisioni del parlamento perché non vi erano rappresentanti e che le uniche
rappresentanze politiche delle colonie erano le loro assemblee. L’ipotesi che si avanzava era quella di un Commonwealth
britannico, fedele al re ma autonomo in tutte le sue componenti quanto al complesso dei poteri politici locali dotato di assemblee
rappresentative a cui era riconosciuta la stessa dignità del parlamento. L’Inghilterra lo considerò inaccettabile: l’insubordinazione
delle colonie si espresse nella creazione di forme di potere alternative a quelle delle autorità britanniche. Il 5 settembre 1774, le
colonie riunite nel primo congresso continentale decisero il boicottaggio del commercio con la Gran Bretagna. L’anno dopo ci
furono i primi scontri armati. Il secondo Congresso continentale nel 1775 nominò George Washington comandante della truppe.
Giorgio III dichiarava ribelli i coloni americani. La data decisiva per la rivoluzione fu il 1776, l’anno della pubblicazione del
common sense, un opuscolo di Thomas Paine e della Dichiarazione d’indipendenza (4 luglio) redatta da Jefferson. Pain scriveva
che il re aveva rotto il contratto con i sudditi americani e li aveva privati dei loro diritti ed era perciò un tiranno contro quale la
ribellione era un dovere da compiere in nome dell’umanità intera. Nella dichiarazione d’indipendenza sono espressi i principi
ispiratori della nazione americana e sono in sostanza 3: il diritto all’indipendenza e alla libertà è un diritto naturale, superiore a
ogni volontà umana; attraverso il contratto sociale i governi si impegnano a rispettare tutti i diritti inalienabili degli individui; il
rapporto tra governanti e governati è fondato sul consenso di questi ultimi e sul loro potere di controllo, il mandato dei
governanti può essere in qualsiasi momento revocato quando i fini del contratto sociale non vengono rispettati. Il passaggio alla
ribellione significò la guerra. Washington riorganizzò le forze armate e ebbe la meglio sull’esercito inglese. Nella battaglia di
Saratoga nel 1777 i reparti americani sconfissero quelli inglesi. Ma fu l’intervento francese a fianco degli americani a incidere
sulle sorti della guerra nel 1778. nello stesso anno intervenne anche la Spagna. Dopo la sconfitta a Yorktown delle truppe inglesi.
Nel 1783 fu firmata la pace di Versailles che metteva fine alla guerra angloamericana. La Gran Bretagna riconosceva
l’indipendenza delle 13 colonie nordamericane, alla Francia erano restituiti i territori nei Caraibi e nel Senegal, la Spagna
riotteneva Minorca e la Florida persa dopo la guerra dei 7 anni.
5 Convenzione di Philadelphia: 1787
Dopo la dichiarazione d’indipendenza molte colonie avevano messo a punto nuove carte costituzionali. Il congresso continentale
del 1777 venivano approvati gli articoli di confederazione: erano attribuiti al Congresso i poteri di difesa e politica estera;
prerogative dei singoli stati e delle loro assemblee erano tutti gli altri poteri. La rivoluzione portò impoverimento. Nel 1787 fu
convocata la Convenzione di Philadelphia con il compito di rivedere gli articoli della costituzione del 1777 ed elaborare una nuova
carta costituzionale. La nuova costituzione entra in vigore nel 1788. Il potere legislativo è conferito al Congresso degli Stati Uniti,
composto da un senato e da una camera dei rappresentanti. Il senato è formato da due senatori per ogni stato eletti per un
periodo di 6 anni; la camera è formata da deputati eletti ogni 2 anni dai vari stati. Il congresso ha poteri di natura finanziaria e
fiscali. Il potere esecutivo è conferito al presidente degli Stati Uniti d’America che dura in carica 4 anni. Il presidente è eletto dal
popolo che in ogni stato esprime elettori delegati i quali eleggono a maggioranza il presidente. Il potere giudiziario è conferito
alla Corte suprema composta da 9 membri a vita di nomina presidenziale. Il primo presidente americano fu George Washington
eletto nel 1789 e rieletto per un quadriennio nel 1793.
Capitolo 19
1.2.3 La rivoluzione francese
Sia la vita economica e sociale sia la vita politica sono interessate nella seconda metà del 700 da alcune trasformazioni. C’è un
forte aumento di popolazione. Mutamenti si erano verificati negli assetti dell’agricoltura e nella distribuzione della proprietà
terriera. Alla vigilia della rivoluzione meno di un terzo dei terreni apparteneva ai due ordini privilegiati: la nobiltà e il clero;
professionisti e ceti non nobili avevano circa il 30%; il 40% apparteneva a contadini coltivatori diretti. Non c’era la servitù della
gleba e le condizioni di vita delle popolazioni rurali erano migliorate. Decime ecclesiastiche e diritti feudali pesavano sui bilanci
delle famiglie Alla vigilia della rivoluzione, il settore primario dell’economia francese, l’agricoltura, presentava i seguenti
caratteri:
- L’85% della popolazione viveva nelle campagne
- Il settore mercantile dell’agricoltura era in espansione
- Lo sviluppo dell’agricoltura non consentì lo sviluppo dell’accumulazione del capitale paragonabile a quella inglese.
- L’espansione e la modernizzazione economica investirono la Francia nel 700: il commercio con l’estero aumenta del 200%; le
infrastrutture furono modernizzate. Nonostante questo la Francia arrivò dopo l’Inghilterra alla rivoluzione industriale per iu
seguenti motivi:
1. mancata integrazione tra agricoltura e industria
2. metodi di produzione arcaici nell’industria
3. limitazione della domanda interna
4. scarsa disponibilità di risorse minerarie come il carbone
Dal punto di vista economico e sociale il mondo della nobiltà era assai composito. Costituiva l’1% della popolazione. Lo 0.5% della
popolazione apparteneva al clero. Il Terzo Stato era il prodotto sociale della crescente articolazione politico-amministrativa,
dell’espansione economica settecentesca e delle trasformazioni delle campagne e dei ceti urbani. Ne facevano parte gruppi legati
al commercio internazionale, uomini d’affari, banchieri, personaggi dell’amministrazione dello stato, pubblici funzionari,
professionisti come avvocati, notai medici. i comportamenti economici e sociali dei gruppi del Terzo Stato erano differenti e non
avevano identità di classe. Le loro aspirazioni erano dirette verso il feudo e il titolo di nobiltà. Nello stato di crisi che portò alla
rivoluzione confluirono fattori diversi: le tensioni interne alla società di ordini, le insoddisfazioni di una parte della nobiltà e del
clero, esclusa dai livelli più alti del privilegio il malcontento dei ceti popolari soprattutto parigini e dei contadini, colpiti prima
dallo squilibrio tra aumento dei prezzi e crescita lenta dei salari, poi dalla crisi agraria del 1788-89 l’influenza delle idee
illuministiche presso ceti intellettuali l’arretratezza del sistema politico rispetto ai fermenti in atto nell’economia e nella società.
La crisi politica e finanziaria della monarchia L’erede di Luigi XV, Luigi XVI salito al trono nel 1774, reintegrava i parlamenti ma
promuoveva anche una politica riformatrice affidandone la direzione a Jacques Turgot. Il suo piano di riforma prevedeva: la
libera circolazione delle merci; l’abolizione delle corporazioni; il ridimensionamento dei diritti feudali nelle campagne;
l’eliminazione del sistema dell’appalto delle imposte, l’istituzione di un’imposta fondiaria tesa a colpire la proprietà nobiliare ed
ecclesiastica; la riduzione di pensioni e appannaggi pagati alla nobiltà di corte e all’alto clero. Nobili, clero, parlamento e alleati
indussero Luigi XVI ad allontanare Turgot. L’impegno della Francia alla guerra d’indipendenza americana contribuì a dissanguare
le finanze pubbliche. Il successore di Turgot alle finanze, Necker fece ricorso a un massiccio indebitamento pubblico non potendo
operare sull’imposta fondiaria. Anche Necker fallì e venne allontanato nel 1781. Nel 1783 fu nominato ministro Calonne che
propose una serie di misure per l’assestamento del bilancio statale: un’imposta fondiaria proporzionale alla rendita;
provvedimenti di liberalizzazione del commercio; creazione di una banca nazionale sul modello di quella inglese. Ci fu
un’opposizione generale e fu richiesta la convocazione degli stati generali, non più riuniti dal 1614.
4 Rivoluzione francese: gli stati generali
Le fasi principali della rivoluzione furono 2: la prima dalla convocazione degli Stati Generali il 5 maggio 1789 alla congiuntura del
Termidoro e all’arresto e esecuzione di Robespierre (luglio 1794); la seconda dalla reazione termidoriana e dal passaggio dei
poteri al Direttorio alla proclamazione di Napoleone imperatore (1804). Lo stato francese era alle soglie della bancarotta. Il
pessimo raccolto aveva provocato una grave carestia. L’industria tessile subiva la concorrenza inglese; la disoccupazione era
crescente. Il problema centrale nella convocazione degli stati generali era la modalità di convocazione e di voto nell’assemblea.
Questa era composta dai rappresentanti del clero, nobiltà e Terzo Stato. Nel settembre 1788 il Parlamento dichiarava che i 3
ordini dovevano riunirsi e votare separatamente: in questo modo clero e nobiltà avrebbero avuto sempre il sopravvento nelle
delibere. Necker, richiamato dal re, si riprometteva l’abolizione dei privilegi fiscali. Voleva ridimensionare il potere della nobiltà,
favorire il Terzo stato ma non mettersi alle sue dipendenze. La soluzione era il raddoppiamento del numero dei rappresentanti del
Terzo Stato, voto per testa e non per ordine, limitato alle sole questioni finanziarie. Ma i nobili la pensavano diversamente e a
dicembre inviarono al re una supplica. Necker riuscì a spuntarla e il 27 dicembre il consiglio del re accordò al terzo stato il
raddoppiamento. La nobiltà esplose provocando la guerra civile. I ceti privilegiati chiedevano il mantenimento del sistema degli
ordini, si opponevano al voto per testa e all’abolizione dei diritti signorili; per il Terzo Stato si rivendicava il voto per testa, la
libertà era inseparabile dall’uguaglianza dei diritti. Gli Stati Generali si riunirono a Versailles il 5 maggio 1589. di essi una metà
era costituita dai rappresentanti del Terzo Stato, l’altra metà era formata da rappresentanti della nobiltà e del clero. Nobiltà e
clero prima rifiutarono la proposta del Terzo Stato di riunirsi in un’unica assemblea ma la divisione al loro interno e la resistenza
della corte giocarono a favore delle rivendicazioni del Terzo Stato. Una mozione a favore dell’unicità dell’assemblea passò a
maggioranza tra il clero. I delegati ribadirono in un giuramento la loro unità e l’impegno a stabilire una solida costituzione per il
paese. Il 9 luglio i rappresentanti del Terzo Stato, del clero e dei nobili liberali, dopo essersi opposti all’ordine del re di procedere e
deliberare divisi per ordini, si proclamarono Assemblea Nazionale Costituente.
5 Rivoluzione francese: l’assemblea nazionale costituente
Un vecchio organismo come gli stati generali aveva impresso una svolta alla vita politica francese: si era dato il compito di
sostituire alla monarchia per diritto divino la monarchia costituzionale, aveva proclamato la nazione unica fonte di sovranità. E
Luigi XVI riconobbe l’assemblea nazionale. Tutti continuavano a considerare necessaria la sanzione regia e Luigi era il garante del
patto con la nazione; i 3 ordini non si erano dissolti e l’assemblea nazionale costituente fu il prolungamento degli stati generali. Il
re fece circondare la città da mercenari stranieri; licenziò Necker e lo sostituì con uno più fedele all’aristocrazia. Il terzo Stato
promosse la creazione di una milizia controllata dalla municipalità di Parigi. Ma il popolo della capitale si organizzò
autonomamente: assalì postazioni militari alla ricerca di armi, uffici del dazio e simboli del potere fiscale. Il 14 luglio artigiani,
operai e piccoli commercianti assalivano la fortezza della Bastiglia dove erano rinchiusi i rei di stato. I soldati uccisero un
centinaio di persone ma si arresero. Luigi XVI doveva correre ai ripari e richiamò Necker al governo e licenziò le truppe straniere.
Nelle città si costituirono municipalità fedeli all’assemblea nazionale e una forza armata che prese il nome di guardia nazionale al
comando del generale La Fayette. Nelle campagne ci furono rivolte antifeudali e colpirono castelli, archivi signorili ecc, fu
ostacolata la riscossione della decima. La guardia razionale reprimeva le rivolte e requisiva il grano. Il 4 agosto l’assemblea
nazionale decise l’abolizione dei privilegi feudali. Il 26 agosto l’assemblea proclamava in 17 articoli la Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino in cui erano enunciati i principi dell’89: Lo stato assicura al cittadino l’esercizio dei suoi diritti Il principio
di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione Se lo stato viene meno ai suoi doveri il cittadino ha il diritto di resistere
all’oppressione
6 La costituzione francese del 1791
Mancava ai decreti l’approvazione del re che li approvò solo dopo una marcia popolare su Versailles e l’arrivo a corte della
guardia nazionale parigina. Sotto la pressione della folla che invase i suoi appartamenti e di Maria Antonietta, il re fu costretto a
subire il trasferimento della corte a Parigi, nel palazzo delle Tuileries. La costituente si trasferì a Parigi e creò una democrazia
parlamentare sotto l’egida del re e della legge. Il punto di arrivo fu la Costituzione del 1791. ma prima dovette affrontare le
questioni finanziarie. Il 2 novembre 1789 i beni della chiesa divennero proprietà della nazione. La riforma agraria fu attuata con
la soppressione di tutti i privilegi connessi al feudalesimo: furono soppresse decime e gerarchie feudali, i diritti di primogenitura e
tutti gli obblighi di natura personale. La costituente attribuì larghi poteri alle municipalità e riorganizzò il territorio in
dipartimenti, distretti e cantoni. Con la riforma giudiziaria fu abolita la venalità degli uffici, la giustizia fu separata
dall’amministrazione secondo il principio della divisione dei poteri, furono istituiti due tribunali nazionali, l’Alta Corte e il
Tribunale di cassazione. Nel 1790 fu approvata la costituzione civile del clero. Tutte le cariche dal vescovo al parroco furono
elettive. Il clero venne sottoposto al controllo dello stato. La reazione di Roma e del pontefice Pio VI fu durissima. In Francia il
clero si spaccò: alcuni accettarono il nuovo ordinamento, altri rimasero fedeli alla gerarchia di Roma. L’attività legislativa e le
scelte politiche dell’assemblea nazionale furono coronate nella costituzione del 1791:
- Conferma di tutti gli articoli sulle libertà fondamentali del cittadino della dichiarazione dei diritti dell’89
- La divisione dei 3 poteri legislativo, esecutivo e giudiziario in tre differenti autonomi organismi politici
- La concentrazione del potere legislativo in un’assemblea legislativa
- L’attribuzione al sovrano del potere esecutivo
- L’attribuzione del potere giudiziario a giudici eletti dal popolo
- Il carattere gratuito dell’istruzione primaria
Nella costituzione del 1791 erano realizzate le idee ispiratrici dell’Illuminismo come la separazione dei poteri e la nuova
concezione della rappresentanza fondata sulla democrazia parlamentare.
6 Creazione della società dei Giacobini
Tra il 20/21 giugno Luigi aveva lasciato Tuileries per fuggire dal paese. Fu bloccato e arrestato e condotto sotto scorta a Parigi.
La fuga del re e la reazione che provocò portarono alla scoperta gli schieramenti, le forze e i leader della rivoluzione. In base alla
collocazione dei deputati nell’assemblea si formarono gli schieramenti di destra e sinistra. Al primo facevano capo nobili liberali
come La Fayette, protettori e consiglieri del sovrano; a sinistra c’erano i deputati più radicali come Robespierre inclini a un
processo di maggiore democratizzazione delle conquiste della rivoluzione. Alla fine del 1789 fu creata la Società degli amici della
costituzione detti Giacobini perché si riunivano nel convento sconsacrato dei domenicani. Agli inizi la società era composta
prevalentemente da parlamentari con l’obiettivo di lottare contro i privilegi e di instaurare una monarchia costituzionale. Nel
1790 si divide in diversi club. Il più radicale di questi club era quello dei Cordiglieri che raccoglievano esponenti di ceti diversi ed
erano il canale di collegamento tra artigiani, salariati parigini e professionisti. Dal centro giacobino, oltre alla sinistra dei
cordiglieri si staccò la destra dei foglianti nel 1791. Federico Guglielmo II insieme all’imperatore e all’elettore di Sassonia firmò la
Dichiarazione di Pillnitz nel 1791: la condizione del re di Francia fu considerata oggetto di comune interesse per tutti i sovrani
d’Europa. Giorgio III d’Inghilterra disse che sarebbe rimasto neutrale; Carlo IV di Spagna e Vittorio Amedeo di sardegna non
volevano esporsi a una guerra. A Pillnitz non fu possibile raggiungere un accordo per un intervento armato contro la Francia.
Quindi Luigi XVI fu costretto ad accettare la costituzione, il sovrano venne reintegrato nei suoi poteri e la costituente si sciolse.
6 Rivoluzione francese: l’assemblea legislativa
Il 1 ottobre 1791 si riunisce l’assemblea legislativa composta da deputati foglianti, giacobini e cordiglieri. Una nuova sinistra si
formava nell’assemblea legislativa: il gruppo chiamato dei Girondini che reclutava la piccola borghesia delle professioni ed era
favorevole al consolidamento della democrazia politica e alla guerra sorpresa contro l’Austria per sconfiggere i nemici interni ed
esterni alla rivoluzione. A volere la guerra erano in molti oltre ai girondini: la Fayette che contava di assumere il comando
dell’esercito, la corte e il suo partito dalla guerra si ripromettevano un rafforzamento della monarchia. Luigi XVI nel 1792 sotto la
pressione dei girondini dichiarò guerra all’Austria, a fianco della quale scese la Prussia.
Gli inizi della campagna militare furono disastrosi per la Francia e l’assemblea legislativa proclamò che la patria era in pericolo. Il
popolo parigino (i sanculotti) assalì il palazzo delle Tuileries, uccise le guardie e costrinse Luigi a mettersi sotto la protezione
dell’assemblea legislativa. Questa votò la deposizione del sovrano, il riconoscimento di una nuova municipalità parigina (il
comune insurrezionale), la creazione di un consiglio esecutivo provvisorio in attesa di elezioni a suffragio universale maschile. La
caduta della monarchia rappresentò la vittoria del movimento democratico. La legalità dello stato era crollata. Diversi poteri
disputavano il controllo di Parigi: l’assemblea legislativa, il consiglio esecutivo, la comune insurrezionale. L’esercito prussiano
avanzava a Parigi.
Settembre 1792: i sanculotti invadono le carceri e fanno strage dei prigionieri comuni scambiati per nemici
della rivoluzione. A risollevare le sorti della rivoluzione fu la vittoria francese sull’esercito austro-prussiano a Valmy a cui seguì
l’occupazione del Belgio, Nizza e Savoia.
7 Rivoluzione francese: la convenzione
Le elezioni per la nuova assemblea nel settembre 1792. la nuova assemblea, la Convenzione proclamò la repubblica. Scomparsi i
foglianti, la destra era occupata dai girondini, la sinistra dai deputati della montagna, il centro da una massa di più di 400
deputati che oscillava tra i 2 partiti e si chiamava palude. Il primo atto dello scontro fu il processo del re. Per i montagnardi
rappresentati da Robespierre, Luigi, colpevole di alto tradimento per aver cospirato con le potenze straniere doveva essere
considerato nemico della nazione, non un imputato avente diritto di un processo. La maggioranza della convenzione decise di
processarlo davanti ai deputati; la Gironda per ritardare l’esito del processo fece appello al popolo come unica autorità legittima.
La proposta dei girondini fu respinta. Il 14 gennaio 1793 fu approvata la condanna a morte del re e il 21 gennaio fu
ghigliottinato. L’Europa monarchica minacciata dalle frontiere francesi e i suoi privilegi dopo l’occupazione del Belgio, Nizza e
Savoia dava vita alla prima coalizione antifrancese. Nel 1793 la convenzione dichiarava guerra all’Inghilterra, Olanda e Spagna.
In Marzo fu evacuato il Belgio. Il crollo delle armate rivoluzionarie fece perdere alla Francia tutte le terre conquistate sulla riva
sinistra del Reno In Francia ci fu una crisi finanziaria: il valore della moneta era crollato. Ci fu una guerra civile che interessò
soprattutto il dipartimento della Vandea. Dal 10 marzo l’ovest contadino della Francia insorse. I suoi bersagli erano la repubblica
giacobina. La coscrizione obbligatoria e la città che depredava la campagna. In suoi valori erano il re la chiesa e la difesa della
piccola proprietà contadina. La convenzione istituì un comitato di salute pubblica con il compito di vigilare sul consiglio esecutivo
e sui ministri.
1793 gli austriaci avevano invaso la Francia settentrionale. La costituzione del 1793 rappresentò una novità di rilievo: l’elezione a
suffragio universale maschile con il sistema uninominale dell’assemblea legislativa. Da un lato tutto il potere legislativo era
affidato a un’unica assemblea, dall’altro per l’approvazione di leggi importanti per la vita della nazione era previsto il ricorso al
referendum.
8 Rivoluzione francese: il terrore
si attuò un aumento del potere esecutivo con il suo progresso slittamento verso la dittatura rivoluzionaria. Il primo passo fu il
rimpasto del comitato di salute pubblica in cui entrarono esponenti dei montagnardi e dell’estreme sinistra compreso
Robespierre.. Il secondo passo fu il controllo del comitato su tutta la società e sui comitati di vigilanza. Il terzo passo fu
l’organizzazione di una giustizia rivoluzionaria con l’annullamento di tutte le garanzie giuridiche degli accusati e del ricorso in
appello. La convenzione votò la legge dei sospetti che imponeva a tutti i cittadini l’obbligo di un certificato di civisme. Erano
questi i fondamenti di un regime di dittatura definito di terrore. Esso prevedeva l’accentramento del potere nel comitato di salute
pubblica, lo smantellamento di tutti i club e società popolari, il controllo dell’economia e della politica da parte del governo
rivoluzionario. Il comitato di salute pubblica dovette affrontare le rivolte urbane dei sanculotti a Parigi, la guerra di Vandea e di
altri dipartimenti insorti. I sanculotti invasero anche la Convenzione ma Robespierre riuscì a dirigere verso altri obiettivi la
protesta popolare di Parigi arruolando i sanculotti in un esercito rivoluzionario per la requisizione del grano nelle campagne e la
caccia agli accaparratori. L’esercito dei ribelli di Vandea fu massacrato.
Alla fine del 1793 il potere vedeva in ascesa Robespierre. Era stato eletto agli stati generali ed era divenuto uno dei leader del
partito giacobino. Era stato una delle guide della comune insurrezionale di Parigi. Era poi stato eletto alla convenzione. Si erta
schierato a sinistra tra i montagnardi e aveva votato la morte del re. Era membro del comitato di salute pubblica e aveva
coordinato gli atti più importanti del governo. Ma nella convenzione aveva nemici sia a sinistra che a destra. Sul primo fronte gli
arrabbiati legate alle istanze più estremistiche del popolo parigino, sul secondo gli indulgenti inclini alla tolleranza e alla
moderazione politica. L’opposizione degli arrabbiati fu eliminata e alcuni esponenti ghigliottinati. Il comitato di salute pubblica
era nelle mani di Robespierre. Con la legge del 10 giugno 1794 la violenza diventava il sistema di governo. Soppresso ogni diritto
alla difesa, atti d’accusa collettivi mandarono alla ghigliottina migliaia di francesi. Robespierre ottenne la grande vittoria di
Fleurus contro gli eserciti stranieri che consentì alle armate
rivoluzionarie di penetrare in Belgio, conquistare Bruxelles e occupare la Catalogna. Nel luglio 1794 un complotto fatto dai
membri del comitato di salute pubblica e da esponenti della Convenzione fece arrestare Robespierre e lo fece ghigliottinare.
Capitolo 20
1 Termidoro 1794-95
Nel mese di Termidoro dell’anno II della repubblica aveva termine il periodo più intenso della rivoluzione. Era crollato l’antico
regime e si erano affacciati sulla scena i problemi dei regimi liberaldemocratici moderni: l’equilibrio difficile tra uguaglianza e
libertà, il rapporto tra rappresentanti e rappresentati, il rapporto tra poteri dello stato. La reazione in Francia dopo Termidoro e
la caduta di Robespierre battè strade diverse: furono aboliti tribunali speciali, eliminati gli strumenti della dittatura, evacuate le
carceri. La caccia al giacobino alimentò altre violenze e forme di terrore. L’11 novembre la convenzione decideva la chiusura del
club dei giacobini e cercava di limitare i mutamenti politico istituzionali: le novità furono la riduzione dei poteri del comitato di
salute pubblica e la riammissione dei girondini alla convenzione. La nuova politica economica tra il 94 e il 95 portò alla fine
dell’economia regolata e alla liberalizzazione del commercio. Questi provvedimenti in coincidenza con la crisi agraria provocò la
rivolta dei sanculotti a Parigi nelle giornate di Germinale e Pratile. Il 12 Germinale la seduta la seduta della convenzione fu
interrotta dai rivoltosi che però non fecero pressione per nominare un governo insurrezionale ma sfilarono esprimendo parole
d’ordine contraddittorie. La costituzione dell’anno III approvata dalla convenzione il 22 agosto 1795 soppresse come pericoloso
l’articolo essenziale della dichiarazione del 1789 “gli uomini nascono e rimangono liberi ed uguali per diritti” sostituendolo con il
principio che l’uguaglianza consiste in ciò che la legge è uguale per tutti. Il suffragio universale sancito dalla costituzione del 1793
veniva ora abolito e il suffragio ritornava come nella prima costituzione a doppio grado: gli elettori designati da cittadini attivi
dovevano essere proprietari di un patrimonio di reddito non inferiore a 200 giornate lavorative. Quimdi 30.000 elettori
eleggevano un corpo di 750 membri divisi in 2 consigli: il consiglio dei 500 proponeva leggi e votava risoluzioni che il consiglio
degli anziani doveva approvare e trasformare in leggi. Il governo fu affidato a un direttorio di 5 membri scelti dagli anziani in un
elenco fornito dai 500: esso durava in carica 5 anni e nominava i ministri. Fu ripristinato il controllo giuridico-amministrativo nelle
municipalità e furono abolite le comuni rivoluzionarie che tra il 92 e 93 avevano condizionato la dinamica del processo
rivoluzionario. I principi della proprietà privata e del liberismo economico furono sanciti dalla nuova carta costituzionale. Fu
votato un decreto sulla composizione dei nuovi consigli, il Decreto dei due terzi: due terzi dei consigli dovevano essere eletti tra i
membri della convenzione. Il decreto era redatto dalla paura della vittoria elettorale dei monarchici sostenuti dall’erede legittimo
di Luigi XVI. Con la costituzione dell’anno III i termidoristi fecero valere il principio della separazione dei poteri, del ritorno a una
democrazia rappresentativa, del primato della legge.
2 Il primo direttorio 1795-97
Le elezioni del 1795 furono favorevoli a monarchici ma al direttorio, cioè al potere esecutivo, gli ex convenzionali che per il
decreto dei due terzi risultarono la maggioranza nei consigli riuscirono a imporre 5 personalità che avevano votato la condanna a
morte di Luigi. La crisi, i problemi di liquidità finanziaria, la guerra, la divisione del paese condizionarono la politica del direttorio
tra il 1795 e il 1797. Nell’inverno del 1795-96 Babeuf, giornalista e Buonarroti diedero vita a una congiura contro il direttorio
detta congiura degli eguali. La dottrina politico-sociale detta babuvismo prevedeva l’uguaglianza dei salari, l’abolizione della
proprietà privata, il controllo sulla distribuzione del reddito, la soppressione dell’eredità e l’educazione comune. Predicava il
comunismo dei beni. Sul piano pratico il movimento non sortì alcun effetto e la congiura fu scoperta. Babeuf condannato a morte
e Buonarroti deportato. Tra il 1796 e il 97 la crisi finanziaria investì la Francia. Rilevanti successi ottenne invece il direttorio nella
politica internazionale: nel 1795 stipulò il trattato di Basilea con la Prussia e dell’Aja con l’Olanda. La Prussia aveva riconosciuto il
passaggio alla Francia della riva sinistra del Reno, l’Olanda aveva dovuto accettare l’occupazione francese del suo territorio e la
sua trasformazione istituzionale in repubblica democratica. La Spagna che aveva aderito al trattato di Basilea aveva dovuto
cedere una parte del suo possedimento di Santo Domingo alla Francia. Nel 1796 solo l’Inghilterra e l’Impero asburgico restavano
in armi: la prima preoccupata delle mire espansionistiche francesi in Belgio e Olanda, la seconda colpita dall’esecuzione capitale
di Maria Antonietta figlia dell’imperator Francesco I e Maria Teresa d’Austria. Tre armate furono lanciate contro l’Impero
asburgico: la prima in Europa occidentale, la seconda sul confine con la Svizzera, la terza in Italia.
3 Napoleone e la campagna d’Italia
Il comando dell’armata d’Italia era stato assegnato dal Direttorio a Napoleone Bonaparte. Nel giro di un mese piegò il Regno di
sardegna costringendo Vittorio Amedeo III a firmare l’Armistizio di Cherasco. Poi fece il suo ingresso a Milano dove creò una
nuova municipalità. La mancata offensiva del generale Mureau, comandante delle truppe in Germania permise agli austriaci di
trasferire forti contingenti di truppe in Italia e di lanciare contro Napoleone alcune spedizioni tra il 96 e il 97. Napoleone assesia
Mantova, poi passa ai territori pontifici e Pio VI è costretto a firmare la pace di tolentino rinunciando a Bologna, Ferrara e la
Romagna. Poi si spinge verso Vienna per via di Udine. A 200 km da vienna firma i preliminari per la pace con l’Austria: la
Lombardia e il Belgio erano assegnati alla Francia, l’Austria aveva una parte del Veneto. La campagna d’Italia rafforzò la
posizione politica di Napoleone in Francia.
4 Il secondo direttorio 1797-99
L’abbondanza dei raccolti fece crollare il prezzo dei prodotti agricoli: boccata d’ossigeno per il proletariato urbano ma motivo di
frustrazione per i piccoli proprietari. La destra monarchica era in ripresa, le elezioni del marzo 1797 furono un trionfo per essa.
Allora i militari salvarono la rivoluzione con un colpo di stato. Furono i militari e Napoleone a venire in soccorso di una parte del
direttorio. Nella notte tra il 3/4 settembre, un’armata comandata da un subordinato di Napoleone occupò Parigi e arrestò i capi
realisti, uno dei membri del Direttorio. In una seduta dei consigli fu annullata l’elezione di 198 deputati. Nel periodo del secondo
Direttorio seguirono tutte le misure tipiche delle fasi successive al colpo di stato: inasprimento delle leggi sui controrivoluzionari,
censura e controllo della stampa, violenta repressione che colpì tutti i sospetti. Nel 1798 furono manipolati i risultati delle elezioni
per i consigli, i giudici e altre amministrazioni. Il secondo direttorio promosse anche due importanti riforme: quella finanziaria e
quella militare. Per ridurre il debito pubblico fu dichiarata la bancarotta. Fu resa efficiente la riscossione delle imposte, si ridusse
di due terzi il debito pubblico e la nuova legge sulla coscrizione istituì il servizio militare obbligatorio.
5 Le repubbliche giacobine
L’entusiasmo per i valori di libertà e democrazia si diffuse in tutta Europa e fu notevole la fortuna europea del giacobinismo. Si
distingue il giacobinismo individuale dal giacobinismo organizzato. Il primo è un movimento di opinione e raccolse propagandisti
isolati di una rivoluzione lontana. Fu limitato nella sua libertà di movimento, sorvegliato dalle polizie e ridotto alla clandestinità.
Il secondo si richiamò all’ideologia democratica di Robespierre e poté formarsi e svilupparsi perché trovò condizioni favorevoli
quali la libertà di riunione e di espressione. Fu l’intervento militare francese a creare le condizioni per la genesi di un giacobinismo
organizzato all’interno dei territori occupati: Savoia, Paesi Bassi austriaci e Belgio. In Prussia, Russia, Germania, Impero asburgico
il giacobinismo fu represso. Anche in Italia la repressione si accentuò. Nel passaggio dai governi provvisori alla proclamazione
delle repubbliche (che furono le nuove forme istituzionali stabilite nei territori italiani occupati) Napoleone favorì l’affermazione
delle correnti moderate la cui base sociale era costituita da esponenti illuminati dell’aristocrazia e della più ricca borghesia. La
prima repubblica in Italia fu la repubblica Cispadana (1796) formata da Ferrara, Modena, Reggio Emilia e Bologna. Poi ci fu la
repubblica Cisalpina formata da Bergamo, Brescia e la Valtellina (1797). Poi ci fu la repubblica di Genova che prese il nome di
repubblica Ligure. Con il Trattato di Campoformio napoleone cedeva all’Austria il Veneto, l’Istria e la Dalmazia in cambio del
riconoscimento della repubblica Cisalpina.
1798 un incidente diplomatico provocò l’occupazione francese dello stato pontificio: Pio VI fu espulso e nella città fu proclamata
la repubblica romana. La crisi di Napoleone in Egitto, lo scarso numero delle truppe francesi in Italia, l’istigazione dell’Inghilterra,
la proclamazione della Repubblica di Roma, indussero il Re di Napoli, Ferdinando IV a sferrare un attacco contro l’esercito
Francese nel Lazio. Nel 1798 Ferdinando IV entrava a Roma e la occupava per 2 giorni. Ma un mese dopo i francesi rientravano a
Roma e nel 1799 entravano a Napoli dove da 2 giorni i giacobini avevano proclamato la Repubblica napoletana.
Nel febbraio 1799 il Piemonte fu annesso alla Francia. A Marzo fu occupata la Toscana. I limiti dell’esperienza del triennio
derivarono sia dal rapporto tra la Francia e le repubbliche sorelle sia dallo scarso consenso che l’esperimento politico e
istituzionale incontrò tra le popolazioni dei territori occupati sia dalla congiuntura internazionale. In Calabria si organizzano le
prime esperienze sanfediste con la formazione di una armata cristiana e reale della santa fede comandata dal cardinale Ruffo.
Ruffo con le sue truppe entrò a Napoli i 13 giugno. L’ammiraglio inglese Nelson consegnò i patrioti meridionali ai Borbone
rientrati a Napoli. Finì l’esperienza della repubblica napoletana. Tra la primavera e l’estate del 1799 caddero anche le altre
repubbliche giacobine italiane.
6 Napoleone: la seconda coalizione e il colpo di stato del 18 Brumaio
Dopo Campoformio solo l’Inghilterra contrastava la Francia rivoluzionaria. Il direttorio mise in atto una strategia fondata sullo
sbarco francese oltre la manica e un insurrezione irlandese. Il comando delle operazioni fu affidato a Napoleone. A differenza del
Direttorio, Napoleone si rese conto che le flotte inglesi erano molto più potenti. Pensò quindi a una spedizione in Egitto al fine di
minacciare gli interessi coloniali britannici. Nel 1798 la flotta francese salpò da Tolone e da altri porti italiani e si impadronì di
Malta. Nella Battaglia delle Piramidi le forze egiziane furono sconfitte ma successivamente Nelson riuscì a sconfiggere la flotta
francese e distruggerla quasi completamente. Questo disastro incoraggiò la seconda coalizione contro la Francia rivoluzionaria
(1798) nella quale entrarono a far parte l’Inghilterra, la Russia e l’Austria con l’intento di riprendere i territori perduti in Italia e in
Germania. Nel 1799 la seconda coalizione attaccò le forze francesi che si ritirarono sulle Alpi e sul Reno. In autunno la Francia
conservava solo Genova. Nel giugno 1799 si ebbe un nuovo reimpasto al Direttorio: entrò Seyes. Napoleone il 9 ottobre 1799
sfuggì agli inglesi e sbarcò a Frejus Il progetto di Sieyes era usare Napoleone per promuovere un colpo di stato, modificare la
costituzione, sconfiggere la controrivoluzione. Napoleone accolse la proposta ma il suo progetto era volto ad ottenere il potere
personale.
Il 18 Brumaio dell’anno VIII (9 novembre 1799) i consigli furono trasferiti da Parigi a Saint Cloud sotto scorta con il pretesto di una
congiura anarchica. La nomina di Napoleone comandante delle truppe incontrò forti opposizioni e alcuni deputati chiesero che
fosse dichiarato fuorilegge. I soldati invasero l’aula mentre io deputati fuggivano dalle finestre: si attuò così il colpo di stato del
18 brumaio.
7 Napoleone console
Dopo il colpo di stato napoleone e Sieyes composero il nuovo organismo che esautorò il Direttorio: il Consolato. Il primo atto del
consolato fu la costituzione dell’anno VIII che non conteneva una dichiarazione dei diritti a differenza dalle precedenti.
Formalmente era ristabilito il suffragio universale maschile ma nei fatti diventava sempre più ristretto via via che procedeva
verso l’alto: in ogni circondario si formava una lista composta dal 10% dell’elettorato. Al governo spettava la nomina degli
amministratori locali e dei membri delle due assemblee legislative: il Tribunato cui competeva solo la discussione delle leggi e il
Corpo legislativo che approvava o respingeva le leggi presentate dal governo. Venne conferita a Napoleone la carica di primo
Console. Da lui dipendevano gli altri 2 consoli componenti l’esecutivo, la nomina dei ministri, funzionari e giudici, di un Consiglio
di Stato per l’elaborazione e la discussione delle leggi, del senato composto da 60 membri che aveva il compito di nominare i
membri delle due assemblee legislative. Il progetto del primo console era amalgamare l’eredità dell’assolutismo con quella
rivoluzionaria e porre sotto la sua leadership le nuove forze borghesi di ispirazione moderata quanto le personalità di maggior
spicco provenienti dall’antico regime. I suoi successi furono molteplici. La Russia si era ritirata al principio del 1800 dalla
coalizione antifrancese. Napoleone allora sorprese l’esercito austriaco in piemonte. Occupò Milano, sconfisse gli austriaci a
Marengo. Ricostituì La repubblica cisalpina, la repubblica ligure e rioccupò il Piemonte. Nel 1801 gli austriaci furono costretti a
firmare la pace di Luneville che ristabilì in Italia la situazione precedente al trattato di Campoformio e riconobbe alla Francia il
possesso della riva sinistra del Reno. Viene stipulato nel 1801 il concordato con la santa sede retta da Pio VII che rimase in vigore
sino al 1905. Il concordato risolveva il contrasto con Roma ma conservava il controllo dello stato sulla chiesa. Il cattolicesimo non
era religione di stato ma religione della grande maggioranza dei francesi. La cessazione delle ostilità con gli inglesi fu sancita ad
Amiens nel 1802. la pace stabilì la restituzione alla Francia delle sue colonie, il ritorno dell’Egitto alla sovranità turca e la stipula
di un trattato commerciale tra Inghilterra e Francia. I tre nemici Austria, Inghilterra e Russia erano neutralizzati. Napoleone potè
quindi dedicarsi al riassetto dello stato che si identificò nel binomio accentramento amministrativo e codice civile. A capo dei
dipartimenti in cui era disposta la Francia furono disposti i prefetti rappresentanti del potere esecutivo. Nel 1804 tutte le leggi
furono raccolte nel codice civile. Nel 1802 il senato proclamò Napoleone primo console a vita.