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Macromolecole biologiche

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ACQUA
Tutte le reazioni biologiche che tratteremo in questo corso avvengono in ambiente acquoso.
L’acqua è un dipolo elettrico che presenta sia cariche positive (determinate dagli H) sia carche negative
(determinate dagli O). Grazie alla sua conformazione riesce a stabilire legami a idrogeno con le altre
molecole.
I legami a H sono molto deboli e dipendono dalla temperatura del sistema che stiamo osservando. A
temperatura ambiente sono particolarmente instabili.
A temperature più alte i legami a H diventano ancora più instabili (tendendo a non formarsi) e l’acqua
stessa non è neanche più in forma liquida, ma gassosa.
Nel ghiaccio, invece, i legami sono stabili.
Un altro aspetto importante dell’acqua è quello che riguarda le molecole cariche. I sali in acqua si ionizza e
si dissocia in ioni: ogni ione, essendo dotato di carica, si circonda di un alone di molecole d’acqua chiamato
alone di solvatazione e interagisce con esso, perché l’acqua si comporta come un dipolo.
MOLECOLE ANFIPATICHE
I composti anfipatici presentano nella loro molecola una porzione polare chiamata testa e una porzione
apolare chiamata cosa. La prima è idrofila, mentre la seconda è idrofoba.
Grazie alla loro natura le molecole anfipatiche sono in grado di formare delle strutture organizzate in
maniera diversa.
1) Formando delle micelle, in cui le molecole sono disposte formando un cerchio con le teste rivolte
verso l’acqua e le code rivolte verso l’interno dell’aggregato
2) Formando uno strato monomolecolare, sempre con le teste rivolte verso l’acqua e con le code
rivolte verso l’esterno. Questo tipo di conformazione è quasi impossibile da trovare in natura
3) Formando un doppio strato, si dispongono quindi in due strati con le teste rivolte verso l’esterno e
le code verso l’interno. Queto tipo di conformazione è importante perché è quello che costituisce le
membrane biologiche
ZUCCHERI
Gli zuccheri si possono trovare sia in forma lineare che in forma ciclica. Un esempio di quest’ultimo è il
ribosio, lo zucchero che costituisce l’RNA. Il ribosio è formato da un anello chiuso a 5C chiamato furano.
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C1: è il carbonio glicosidico, chiamato anche carbonio alfa. Può assumere due conformazioni: negli
acidi nucleici si trova rivolto verso l’alto, nella sua conformazione beta; quando è rivolto verso il
basso si trova in conformazione alfa. In base a come lo zucchero è legato cambiano le
caratteristiche della molecola.
C2: qui si trova la differenza tra DNA ed RNA
C3 e C5: a questi si lega il gruppo fosfato, in particolare al C5, ossia il carbonio che esce dall’anello
furanosico. Grazie a questo fosfato e tramite ei legami chiamati ponti fosfodiesterici le varie
molecole di ribosio si potranno legare tra loro.
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ACIDI GRASSI
Concorrono alla formazione dei lipidi e sono costituiti da uno scheletro carbonioso di lunghezza variabile.
La lunghezza della catena li rende idrofobici. In base al tipo di legami presenti nella catena carboniosa
possiamo distinguere tre tipi di acidi grassi.
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Saturi, hanno una struttura lineare costituita solo da singoli legami (ex. Acido stearico)
Insaturi, presentano un doppio legame che distorce la molecola (ex. Acido oleico)
Poli insaturi, presentano più doppi legami (ex. Acido linoleico)
A parità di lunghezza dello scheletro carbonioso, la presenza di doppi legami favorisce la fluidità. Infatti,
quando gli acidi grassi sono saturi, le catene stabiliscono numerose interazioni di van der Waals che
rendono il sistema stabile. La presenza di doppi legami rende la formazione delle interazioni più difficile,
quindi si tende verso uno stato fluido.
La presenza dei doppi legami distorce la struttura degli acidi grassi. Il fatto che queste strutture siano
distorte fa sì che queste, quando si legano tra di loro attraverso interazioni di tipo idrofobico, non riescono
ad impaccarsi fortemente, dando alla materia che compongono una minore consistenza. Infatti, l’acido
stearico è solido, l’acido oleico è liquido.
LIPIDI
Gli acidi grassi sono componenti fondamentali dei lipidi. Questi si dividono in:
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Lipidi semplici: gliceridi (grassi saponificabili provenienti da una molecola di glicerolo) e cere
Lipidi complessi: fosfogliceridi o sfingolipidi.
Steroidi: il più importante è il colesterolo. La struttura base di tutti gli steroidi è il
ciclopentanoperidrofenantrene
Terpeni
PROTEINE
Sono biopolimeri costituiti da monomeri chiamati amminoacidi, uniti tra loro tramite legami peptidici. Fino
a poco tempo fa si pensava che in totale gli amminoacidi fossero 20, ma oggi si sa dell’esistenza di due
nuovi elementi: la pirrolisima e la selenocisteina. Durante la traduzione, in alcuni casi, le triplette di stop
vengono reinterpretare per richiamare uno di questi due amminoacidi.
In base alle loro caratteristiche chimico fisiche, gli amminoacidi possono essere raggruppati:
1) Apolari: presentano il radicale apolare, quindi insolubili in acqua
2) Polari privi di carica: presentano il radicale con gruppi funzionali di tipo polare, quindi solubili in
acqua
3) Acidi (carichi negativamente): presentano gruppi ionizzabili acidi, quindi solubili in acqua
4) Basici (carichi positivamente): presentano gruppi ionizzabili basici, quindi solubili in acqua
Concetto importante per spiegare la gravità di alcune mutazioni.
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Quasi tutte le proteine prima di entrare in funzione subiscono delle modificazioni. Questo fenomeno viene
chiamato modifica post-traduzionale e comprende tutti i processi che permettono l’aggiunta di altre
molecole.
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Glicoproteine: carboidrati (sulla superficie esterne della membrana)
Lipoproteine: lipidi
Nucleoproteine: acidi nucleici
Emoproteine: gruppi eme (emoglobine)
Metalloproteine: ioni metallici
Fosfoproteine: acido fosforico
Flavoproteine: nucleotidi flavinici
Le proteine hanno un range dimensionale che spazia da piccoli peptidi, come l’insulina bovina con soli 51
amminoacidi, fino al fibrinogeno umano costituito da quasi 3000 amminoacidi, ma esistono proteine
ancora più grandi.
STRUTTURA DELLE PROTEINE
Nonostante siano costituite da amminoacidi legati in sequenza mediante legami peptidici, in genere, le
proteine si ripiegano nello spazio assumendo una struttura tridimensionale che è caratteristica per ognuna
di esse punto le proteine si dispongono in modo da stabilire maggior numero possibile di interazioni sia con
il solvente, sia con atomi o gruppi di atomi appartenenti alla molecola stessa, sia tra atomi o gruppi di atomi
appartenenti a molecole circostanti.
Per comodità, la struttura tridimensionale delle proteine è stata semplificata e scomposta in vari livelli di
organizzazione descrivendo una struttura primaria, una struttura secondaria, una struttura terziaria e, in
alcuni casi, anche una struttura quaternaria.
La struttura primaria di una proteina è rappresentata dalla sequenza primaria degli amminoacidi. Questo
tipo di struttura in natura è quasi impossibile da trovare, proprio per la natura elettrostatica degli
amminoacidi che la compongono.
La struttura secondaria interessa tratti più o meno lunghi di una catena polipeptidica, che assumono un
ripiegamento regolare e ripetitivo nello spazio. Questi ripiegamenti sono di due tipi:
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alpha elica: consiste nel ripiegamento elicoidale dello scheletro polipeptidico della proteina, in cui
ogni giro d’elica contiene circa 3,6 residui amminoacidica
beta foglietto: consiste in un ripiegamento a zig-zag in cui diversi filamenti beta si dispongono in
maniera parallela o antiparallela gli uni agli altri.
Questi due moduli, alpha elica e beta foglietto, li troviamo entrambi nella struttura tridimensionale della
proteina. In particolare, esistono proteine che presentano più alpha eliche che foglietti beta o viceversa,
oppure ci sono proteine costituite solo da alfa eliche o solo da foglietti beta…
Abbiamo detto che nella struttura a beta foglietto i diversi filamenti si possono disporre parallelamente o
antiparallelamente tra loro. Questo perché le proteine hanno una polarità, nel senso di direzione. Hanno
una testa e hanno una coda. La testa è la sua estremità amminoterminale, ossia si trova l’amminoacido che
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porta il gruppo amminico libero. Infatti, canonicamente, la metionina è il primo amminoacido inserito
durante la traduzione proprio perché presenta questo gruppo amminico libero. L’ultimo amminoacido
inserito rappresenta la coda e avrà libero il gruppo carbossilico.
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Foglietti beta paralleli quando due catene adiacenti sono orientate alla stessa maniera
Foglietti beta antiparalleli quando le due catene sono orientate in senso opposto
La struttura terziaria rappresenta la vera e propria struttura tridimensionale ed è diversa da proteina a
proteina, in quanto deriva dalla combinazione di più strutture secondarie. Infatti, esistono proteine, come
la mioemeritrina, costituite quasi interamente da alpha eliche (4 in questo caso), altre, come il superossido
dismutasi, formate solo da foglietti beta, oppure altre proteine, come il lisozima, che è formata dalla
combinazione di eliche e foglietti.
Quindi, le strutture secondarie si vedono all’interno delle strutture terziarie.
Gli amminoacidi stabiliscono una serie di legami che gli permettono di dare luogo alla combinazione di
strutture secondarie. Spesso sono legami idrogeno, ma possiamo trovare anche forze idrofobiche, ponti
disolfuro o interazioni di van der Waals.
Alcune proteine sono costituite da più di una catena polipeptidica associate per formare una
macromolecola funzionale. Questa organizzazione strutturale è detta struttura quaternaria. Un esempio lo
vediamo nell’emoglobina, una proteina costituita da 4 gruppi eme uguali a due a due.
Se viene fornito calore ad un sistema, le catene polipeptidiche si srotolano per assumere una
conformazione disordinata che determina perdita dell’attività biologica. Questa trasformazione prende il
nome di denaturazione delle proteine e gli agenti che la causano sono detti agenti denaturanti. La
denaturazione, quindi, modifica la struttura tridimensionale di una proteina senza alterare la struttura
primaria, ovvero senza rompere i legami peptidici. Nonostante ciò, riesce a inibire ogni attività biologica,
che viene ripresa quando la proteina si renatura, ossia si riformano i legami che compongono la struttura
terziaria dopo che gli agenti denaturanti hanno smesso di funzionare. Questo perché struttura e
funzionalità di una proteina sono strettamente collegate
Esistono, però, delle proteine chiamate nativamente o intrinsicamente non strutturate (IUP) e
rappresentano l’eccezione. In questo tipo di proteine, non esiste il rapporto struttura-funzione, perché per
loro natura non assumono una struttura tridimensionale ben definita. Grazie alla loro plasticità riescono a
svolgere diverse funzioni. Solitamente queste proteine avvolgono altre proteine durante processi di
trasporto o per proteggerle.
REGOLAZIONE DELL’ATTIVITA’ BIOLOGICA DELLE PROTEINE - ENZIMI
Dentro la cellula molte proteine (enzimi, fattori di trascrizione, recettori…) non funzionano continuamente
né al massimo delle loro capacità, ciò significa che la loro attività biologica deve essere in qualche modo
regolata. Questo si realizza attraverso un meccanismo reversibile: la regolazione allosterica che permette
ad alcune proteine di poter essere attivate o inibite. Il passaggio dalla conformazione attiva (e viceversa)
della molecola viene detto transizione allosterica e si realizza in seguito all’associazione reversibile della
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proteina con il “segnale”, un composto chimico a basso peso molecolare, che regola l’attività biologica della
proteina e viene detto effettore allosterico. L’associazione tra effettore e proteina è rigorosamente
specifica e si realizza in una parte ben precisa della proteina detta sito allosterico.
Negli enzimi, oltre al sito allosterico ci deve essere, in una zona distinta, anche un secondo sito al quale si
lega il substrato e dove avviene la catalisi, detto sito attivo o sito catalitico.
ACIDI NUCLEICI
Prima di parlare di DNA, di RNA e di come funzionano, mi sembra appropriato fare una sorta di excursus,
perché ho l’impressione che molte delle nozioni che abbiamo oggi siano saltate fuori con Watson e Crick,
non è così. La storia che ha portato a capire cosa contenesse l’informazione genetica è stato un percorso
lungo.
Quello che vedete rappresentato è uno degli esperimenti più famosi della storia della scoperta degli acidi
nucleici. Questo è l’esperimento di Griffith, che venne eseguito alla fine degli anni ’20.
Qual era la situazione dell’epoca? All’epoca si sapeva benissimo, perché si era osservato al microscopio, che
la trasmissione dei caratteri doveva essere qualcosa che aveva a che fare con il nucleo.
Perché il nucleo era stato visto dividersi nel corso della mitosi, della meiosi, vi erano osservazioni fatte al
microscopio che suggerivano che il determinante della trasmissione dei caratteri doveva essere il nucleo. Se
voi analizzate, come analizzarono all’epoca, il contenuto del nucleo, c’è tutto, tutte le macromolecole
stanno nel nucleo: DNA, RNA e proteine. Quindi questo è un gran bel problema. Il DNA come molecola si
conosceva già da decenni, si sapeva essere nel nucleo, ma non era una molecola particolarmente
affascinante, perché era una molecola monotona come struttura; non aveva nessuna caratteristica che
facesse pensare che questa potesse contenere l’informazione per determinare la struttura di un organismo.
Soprattutto se si confrontava la struttura del DNA con quella delle proteine. Le proteine sono composte da
almeno 20 differenti tipi di amminoacidi. Hanno quindi già una proprietà intrinseca di sequenza al quale il
DNA non potrà mai arrivare, poiché è costituito da solo 4 tipologie di elementi. Quindi la maggior parte dei
ricercatori dell’epoca era molto propensa a credere che l’informazione genetica stesse nelle proteine e non
nel DNA. Esso non si capiva come potesse contenere tutta quella informazione, era una molecola
monotona. Le proteine hanno una straordinaria variabilità, idealmente si prostrerebbero meglio a
contenere variazioni genetiche, ma andava dimostrato. Uno dei primi che si imbarcò in questa avventura fu
il dottor Griffith. Egli fece un esperimento semplice, ma illuminante. Griffith lavorava con due varianti dello
stesso batterio (che causava la polmonite):
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Capsulati: causavano la polmonite quando iniettati nel topo, virulenti
Acapsulati: quando iniettati nel topo, esso sopravviveva
Quindi iniettando i batteri capsulati, il topo moriva; iniettando quelli acapsulati, il topo sopravviveva. Fin
qui nulla di strano. A questo punto prese i batteri capsulati e li fece bollire. Questi batteri capsulati virulenti
bolliti li iniettava nel topo e questo sopravviveva, perché ovviamente i batteri erano morti.
Ma che cosa succedeva se prendeva questi batteri morti virulenti e li miscelava con quelli vivi non virulenti
acapsulati? Prendeva questa miscela, la iniettava nel topo ed il topo moriva. Pensò che qualcosa dei batteri
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morti virulenti fosse finito dentro i batteri vivi e li avesse trasformati; questo venne chiamato all’epoca
principio trasformante di Griffith.
In realtà Griffith aveva scoperto la trasformazione batterica: un processo che in natura avviene molto
raramente, Griffith con questo esperimento lo ha forzato. La trasformazione batterica è un processo
attraverso il quale acidi nucleici, tipicamente DNA, se si trovano nel terreno di coltura dei batteri, essi
possono assorbirli e questo DNA si va a ricombinare con il DNA dei batteri.
Quindi Griffith, inconsapevolmente, cosa fece? Mettendo batteri capsulati morti miscelati con batteri vivi,
nel primo caso i batteri capsulati morti li aveva sfaldati e aveva fatto rilasciare la soluzione a tutti i loro acidi
nucleici, i loro DNA. Quando poi li ha mescolati con quelli vivi, questo DNA era rientrato dentro i batteri non
virulenti trasformandoli, perché questo DNA andava nel genoma dei batteri e si andava a ricombinare.
Avendolo fatto su grandi numeri, succedeva che alcuni di questi batteri si andava a ricombinare con la
porzione di DNA che produceva la capsula (la quale rendeva virulenti i batteri). Tanto è vero che quando
Griffith fece l’autopsia ai topi trovo batteri capsulati vivi. Ecco perché parlava di trasformazione causato da
un “principio trasformante” ancora ignoto. Lui immaginava che qualcosa avesse trasformato i batteri da
bianchi a rossi ed in effetti era la trasformazione batterica.
Questo esperimento in effetti non ci dice tantissimo, ma ci dice che c’era qualcosa che passava, ma il
dubbio rimaneva: cos’era questa cosa?
Negli anni ’40, venne rifatto l’esperimento di Griffith in maniera più sofisticata ed elegante. In questo caso
gli autori furono Avery, MacLeod e MacCarty. L’esperimento fu lo stesso, quindi:
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Batteri capsulati virulenti
Batteri acapsulati non virulenti
ma questa volta la domanda che si ponevano i ricercatori fu diretta, poiché avevano visto anche loro che
c’era questo principio che si trasferiva dai batteri morti ai batteri vivi. Loro si chiesero quale fosse
l’elemento trasformante fra DNA, RNA e proteine. Allora cosa fecero?
Quella miscela di batteri capsulati morti con batteri acapsulati vivi, prima di essere iniettata nel topo venne
trattata con:
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DNAasi (enzimi che distruggono il DNA): il tipo sopravviveva
Proteasi (enzimi che distruggono le proteine) : il topo moriva
RNAasi (enzimi che distruggono l’RNA): il topo moriva
L’esperimento dimostrava che quando distruggevamo il DNA, avevamo in qualche modo distrutto il
principio trasformante di Griffith. Negli altri due casi, quando utilizzavano le proteasi e le RNAasi, il
principio trasformante di Griffith continuava a trasformare i batteri acapsulati ed il topo moriva. La
conclusione di questo esperimento è che il principio trasformante è nel DNA.
Però come spesso succede per molte cose che riguardano la scienza, soprattutto la scienza classica,
incredibilmente questo esperimento venne ignorato e bisognerà aspettare l’inizio del ’50, in cui Harshey e
Chase fecero un esperimento complicatissimo che fu la dimostrazione effettiva, che passo alla storia come
la dimostrazione che il DNA è la molecola depositaria dell’informazione genetica.
Harshey e Chase utilizzavano come modello di studio i fagi (o batteriofagi), i virus che attaccano in maniera
specifica i batteri, con la loro tipica struttura costituita da testa, coda e zampe. Utilizzarono due tipi di fagi:
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Uno marcato con Zolfo 35: isotopo radioattivo dello zolfo;
Uno marcato con Fosforo 32: isotopo radioattivo del fosforo;
Lo zolfo si trova esclusivamente nelle proteine e non nel DNA, quindi marcando i batteriofagi con lo zolfo
35 sapevano di marcare le proteine e potevano monitorarle perché radioattive. Considerando la forma
nativa delle proteine, che non ha fosforo, presente invece quasi esclusivamente nel DNA. Quindi seguendo
la radioattività di questo secondo modello, seguivano l’attività del DNA. Nel primo caso infettarono le
cellule batteriche con i fagi con zolfo radioattivo ed una volta che l’infezione era avvenuta, fecero in modo
di staccare le teste dai fagi e centrifugarono questa soluzione.
Che cosa c’è in questa soluzione? I batteri che erano stati infettati e le teste e le code dei fagi. Chiaramente
fra le due cose è più pesante un batterio ed effettuando la centrifugazione le particelle si muovono nella
provetta in maniera proporzionale al peso:
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Le cose più pesanti vanno sul fondo della provetta e vengono dette Pellet
Le cose più leggere restano in superficie e vengono dette Surnatante
L’ipotesi era che se ciò che si trasmetteva dal fago al batterio, fosse di natura proteica, avrebbero trovato
nel Pellet la radioattività, perché le proteine erano marcate in maniera radioattiva. Quindi se l’infezione
virale consisteva nell’iniettare nella cellula ospite la proteina, poiché le proteine erano marcate
radioattivamente, ci si aspettava di trovare tutti i batteri radioattivi. Invece ad essere radioattivo era il
Surnatante, in cui vi sono le teste, il corpo e il fago che è fatto di proteine.
Stesso esperimento speculare fu fatto con il DNA, marcato radioattivamente nei fagi. Il procedimento è lo
stesso, ma il risultato finale opposto. Quindi: il pellet, dove stavano i batteri, era radioattivo; il surnatante
no. Ciò significava che quello che il fago aveva iniettato nella cellula ospita conteneva fosforo 32, che è
contenuto nel DNA.
Questo fu considerato la pietra miliare delle scoperte riguardanti la molecola depositante l’informazione
genetica.
STRUTTURA DEGLI ACIDI NUCLEICI
DNA ed RNA sono polimeri costituiti da monomeri chiamati nucleotidi. I nucleotidi del DNA sono
desossiribonucletidi, mentre quelli della RNA sono ribonucleotidi.
I nucleotidi sono costituiti da tre elementi:
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uno zucchero a 5 atomi di carbonio, il desossiribosio o il ribosio. Il desossiribosio differisce dal
ribosio in posizione C2: infatti, nel primo, al carbonio due è legato a un atomo di idrogeno mentre,
nel secondo, è legato un gruppo ossidrile.
una base azotata, legata all' atomo di C1 con legame glicosidico. È l parte variabile del nucleotide. Si
dividono in basi puriniche e pirimidiniche. Le purine (A e G) sono costituite da un singolo anello
eterociclico e si trovano sia nel DNA che nell’RNA, le pirimidine (T, C e U) sono formate da un
singolo anello. La timina si trova solo nel DNA, la citosina sia nel DNA che nell’RNA e l’uracile solo
nell’RNA.
un residuo di acido fosforico legato al C5 con un legame estere.
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I nucleotidi non sono solo i costituenti degli acidi nucleici, ma svolgono numerose funzioni. La molecola di
ATP, definita come la principale molecola energetica della cellula, viene utilizzata in numerose reazioni che
necessitano di energia.
Due nucleotidi nell’ambito di una singola elica sono legati insieme da un ponte fosfodiesterico che s
instaura tra il gruppo ossidrile legato a C3 del primo nucleotide e il gruppo fosfato legato a C5 del secondo.
Questo identifica la direzione di sintesi degli acidi nucleici che è sempre 5’ -> 3’, che vuol dire che il primo
nucleotide di una catena avrà sempre libera l’estremità 5’ mentre l’ultimo nucleotide aggiunto avrà libera
l’estremità 3’.
In una singola elica si identifica uno scheletro, costituito da una regolare alternanza di molecole di zucchero
e di acido fosforico, da cui sporgono le basi azotate, ed è proprio nella sequenza delle basi azotate che è
contenuta l’informazione genetica ovvero tutte le informazioni necessarie per costruire le proteine che
saranno utilizzate per la vita della cellula e dell’intero organismo.
Il DNA è costituito da due catene (eliche) poli-nucleotidiche fra loro complementari ed antiparallele. Le
singole eliche sono complementari e questo comporta che se su un’elica è presente una purin su quella
complementare ci deve essere una pirimidina. Ne consegue il fatto che il numero di purine è assolutamente
uguale a quello delle pirimidine. Le coppie canoniche (basi complementari) di basi azotate sono adeninatimina, tra le quali si instaurano due legami idrogeno, e guanina-citosina, con tre legami idrogeno.
Le due eliche sono antiparallele, questo significa che le eliche corrono in direzioni opposte avendo
entrambe la stessa polarità.
Le basi azotate possono raramente assumere conformazioni diverse, forme tautomeriche, ed in tal caso si
comportano diversamente circa le possibilità di appaiamento. Per esempio, una citosina in forma
tautomerica non riconosce più come sua partner la guanina ma l’adenina e questo comporta l’insorgere di
mutazioni puntiformi.
A causa della sua conformazione, il DNA è soggetto a tensioni e stress torsionali. Se si tirano le due
estremità, la doppia elica diventa sempre più stretta, simulando l’apertura del DNA che avviene durante la
sua duplicazione o durante la trascrizione. Si formano i cosiddetti topoisomeri, cioè DNA con il numero di
giri d’elica alterato.
All’interno del nucleo il DNA è avvolto attorno a delle proteine estremamente basiche ad alto contenuto di
lisina chiamate istoni. Gli istoni, presenti in tutti gli eucarioti, sono di 5 tipi: H1, H2A, H2B, H3, H4. Gli ultimi
quattro sono raggruppati a due a due e formano un ottamero istonico attorno al quale si avvolge il DNA.
L’insieme di DNA e ottamero istonico oggi viene chiamato nucleosoma ed è l’unità fondamentale della
cromatina. Il ruolo dell’istone H1 è quello di stabilizzare il nucleosoma ancorando il DNA al rocchetto. Il
tratto di DNA compreso fra due nucleosomi successivi è detto DNA Linker.
La fibra elementare può compattarsi ulteriormente grazie all’istone H1 che è in grado di avvicinare e
ancorare i vari nucleosomi formando la fibra di cromatina. Questa andrà poi a formare delle anse, che
diventeranno superanse, fino ad arrivare alla forma massimamente compatta della cromatina, il
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cromosoma metafasico. Questi ultimi livelli di impacchettamento della cromatina richiedono una struttura
di ancoraggio di natura proteica detta “scaffold”, costituita da proteine non istoniche.
La cromatina, che possiamo definire come l’insieme di DNA e proteine istoniche, può presentarsi in due
stati: eucromatina ed eterocromatina. L’eucromatina è una forma despiralizzata del DNA, mentre
l’eterocromatina è fortemente compatta. Quest’ultima può essere distinta in eterocromatina costitutica,
ossia che resta allo stato compatto e rappresenta la frazione di DNA che non viene mai trascritta, e in
eterocromatina facoltativa, che risulta invece inattivata in modo specifico in alcune fasi della vita di un
organismo.
Tutte le cellule hanno gli stessi geni, ma li esprimono in maniera diversa: buona parte della differenza tra
tipi di cellule diversi è dovuta alle differenti impostazioni della cromatina. Alcuni fenomeni di espressione
genica si basano proprio sulla variabilità di configurazione dell'eterocromatina facoltativa. Questo sistema
di regolazione dell'espressione genica è quello che permette di limitare maggiormente il dispendio
energetico in quanto evita già il processo di trascrizione per i geni che non devono essere espressi.
Il DNA ha delle proprietà ottiche molto particolari, infatti riesce ad assorbire la luce a 260 nm. Lo fa in
maniera diversa in base al grado di avvolgimento: una molecola denaturata ha un grado di assorbanza
maggiore rispetto ad una non denaturata. L’assorbanza non aumenta all’infinito, ma raggiunge il suo
massimo grado quando la molecola è completamente denaturata e diminuisce gradualmente col rinaturarsi
del DNA.
Le dimensioni del genoma sono estremamente variabili e vanno da poche migliaia di coppie di basi (alcuni
virus) a miliardi. Sono il numero di geni funzionali ed il numero di interazioni che si instaurano, piuttosto
che la dimensione totale del genoma, a definire la complessità di un organismo. Quando si parla di genoma,
si intende, quindi, come grandezza il contenuto globale di DNA di una cellula/genoma aploide, mentre per
complessità si intende il contenuto di sequenze differenti (cioè informazione).
Durante la rinaturazione del DNA possiamo notare che una parte di DNA si rinatura molto rapidamente,
segue una pausa, la rinaturazione di un’altra porzione di DNA, poi un’altra pausa e infine un’ultima parte si
renatura quasi istantaneamente. Questo fenomeno ci dice che, come composizione, il genoma eucariotico
può essere diviso in sequenze altamente ripetute (rinaturazione rapida potendo, queste, facilmente
incontrarsi durante il raffreddamento), sequenze mediamente ripetute (rinaturazione meno rapida) e
sequenze in singola copia (rinaturazione lenta, essendo difficile l’appaiamento di sequenze singole presenti
in bassa percentuale ed intersperse fra sequenze altamente e mediamente ripetute).
CROMOSOMA METAFASICO
È il massimo grado di condensazione della cromatina. Le estremità sono chiamate telomeri, la costrizione
centrale è detta costrizione primaria o centromero e presenta anche una costrizione secondaria. Inoltre, è
formato da un braccio lungo q e da un braccio corto p.
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In realtà, il cromosoma non è quello che appare a forma di X, bensì è l’unico bastoncello. Tuttavia c’è un
momento del ciclo cellulare in cui il cromosoma sarà duplicato e verrà formata una copia identica, ossia il
secondo bastoncello. Questi due elementi identici vengono chiamati cromatidi fratelli e sono due
cromosomi duplicati tenuti insieme a livello del centromero.
Noi siamo diploidi, ossia abbiamo un doppio corredo cromosomico. Cromosomi omologhi significa che di
ogni cromosoma abbiamo due set, uno proveniente dal padre e uno dalla madre. I due set non sono uguali,
ma ciò che li rende omologhi è che contengono geni disposti nello stesso ordine. L’unico caso in cui i
cromosomi omologhi si avvicinano è quando formano le tetradi.
Gli eucarioti contengono due genomi, uno nucleare e uno mitocondriale composto da molecole di DNA
circolare
Il nostro genoma in condizione aploide è grande 3,2 miliardi di nucleotidi. Questi possono essere suddivisi:
il 25% sono geni, il 75% non lo sono. Parlando delle sequenze geniche, solo il 2% circa del nostro DNA è
codificante. Tutto il resto è costituito da introni, pseudogeni (sequenze che un tempo erano geni e ora non
lo sono più o che stavano diventando geni ma non e l’hanno fatta), frammenti genici.
Il 75%, ossia le sequenze extra-geniche, costituisce quello che un tempo veniva definito junk-DNA perché si
pensava erroneamente che l’unica parte rilevante fosse costituita dalle sequenze codificanti. il 75% è
costituito da sequenze ripetute (50%), che a sua volta si divide in rpetizione in cluster (sequenze ripetute
che si susseguono una dopo l’altra, 5%) e in ripetizioni intersperse (sequenze ripetute ma disperse nel
genoma, 45%). Il restante 25% è costituito da DNA spaziatore, ossia quello che intercorre tra un elemento
genico e altro.
Oggi sappiamo che questo schema non serve più a nulla perche sappiamo che il nostro genoma è pervaso
di elementi genici. Bisogna considerare, infatti, che il DNA è fatto da due filamenti e gli elementi genici si
trovano sia su uno che sull’altro, per cui non esistono elementi di intervallo tra un gene e l’altro.
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