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Giovani e preghiera- un obiettivo ed una proposta educativa

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Giovani e preghiera: un
obiettivo ed una proposta
educativa
Franco Floris
(NPG 1982-3-3)
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Con questo dossier, e con un altro che lo seguirà nei
prossimi mesi, proponiamo ai lettori una ri essione sulla
preghiera dei giovani che si quali ca per tre obiettivi.
Il primo obiettivo è di tipo metodologico. Seguendo le
indicazioni della didattica si elabora progressivamente una
proposta che, al di là dei contenuti, indica alle comunità
educative come elaborare un progetto di educazione alla
preghiera per il proprio gruppo o centro giovanile. Il dossier,
di conseguenza, si muove secondo le tappe classiche della
programmazione: analisi della situazione; obiettivo globale,
competenze richieste in termini di conoscenze,
atteggiamenti e comportamenti; metodo educativo suddiviso
in risorse, strategie e interventi; veri ca del lavoro educativo
e nuova programmazione.
Il secondo obiettivo è a livello di contenuti. Non
mancano oggi le proposte di preghiera ai giovani.
Raramente forse come oggi, per chi desidera, è possibile
fare qualche esperienza di preghiera. Molte proposte
tuttavia scivolano facilmente sulla valorizzazione del
quotidiano come luogo di esperienza di Dio. Questi fa sì che
queste proposte, mentre da una parte sembrano portare ad
uncerto disinteresse verso le vicende umane, dall'altra non
sono signi cative per quella fascia di giovani che sentono
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come cruciale anche se spesso irrisolto, il problema del
senso della loro vita quotidiana. Proprio per questo la
proposta di preghiera che segue parte da una
valorizzazione del vissuto riconoscendolo, alla luce
dell'evento dell'lncarnazione, luogo di un'originale
esperienza di contemplazione.
Il terzo obiettivo è a livello di linguaggio. Più che parlare
della preghiera nella sua oggettività, si prova a descrivere,
per quanto è possibile, l'esperienza soggettiva di chi prega.
Così, per fare un esempio, quando si parla della
celebrazione, non ci si sofferma sulla descrizione dei riti e
del loro signi cato storico, ma sull'esperienza che chi
partecipa alla celebrazione è chiamato a vivere.
Questo primo dossier, seguendo le indicazioni della
programmazione educativa, affronta il problema
dell'obiettivo, che viene elaborato, attraverso un
procedimento di tipo ermeneutico, e il problema della
proposta concreta che viene elaborata nella direzione della
contemplazione del quotidiano, della meditazione e della
celebrazione.
FATTI
Il primo fatto, anche quando si parla di preghiera, è dato
dal contesto culturale in cui viviamo e, in secondo luogo, dai
modelli di spiritualità e di preghiera oggi in circolazione. Di
questi modelli, nell'attuale momento culturale, ne vengono
rintracciati quattro. come ogni modello, anche questi
presentano il vantaggio di cominciare a selezionare alcuni
dati e a opporli per un confronto critico. Il rischio che ne
deriva è di ideologizzare la realtà. Al di là del rischio, si pone
una domanda: quale modello di preghiera viene proposto
nel proprio ambiente educativo? quale modello di spiritualità
è sotteso, a volte in modo impercettibile, alla proposta
educativa e catechetica in cui ci si riconosce? I modelli
presentati rischiano di essere generici. Ci vorrebbe un
maggior approfondimento. Li presentiamo agli educatori,
perché possono assolvere una funzione delicata. Spesso le
proposte ai giovani sanno di eclettismo e di sovrapposizione
di stili e contenuti, i quali a lungo andare creano confusione
e disagio, quando non rigetto, nei giovani. Una
chiari cazione, soprattutto a livello di comunità educativa,
sembra dunque opportuna. Il dossier si presenta come un
lungo itinerario per elaborare un progetto di educazione alla
preghiera, seguendo le indicazioni della teoria curriculare e
della programmazione educativa. Per iniziare questo lavoro
vengono offerte alcune ri essioni sommarie sulle varie
tappe per la elaborazione del progetto. Anche se sommarie,
queste ri essioni offrono l'indice logico delle pagine che
seguono, nelle quali appunto si riprenderà le singole tappe
cercando di dare loro un contenuto. Così facendo si arriva
ad un primo abbozzo di progetto.
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1. La situazione: modelli di spiritualità e di preghiera
Più che parlare di preghiera è preferibile parlare di
uomini e cristiani che pregano. La preghiera è infatti una
astrazione, se non tiene conto del fatto che ci sono diversi
modi di pregare.
In questa prima parte della ri essione viene presentata
la situazione della preghiera alla luce del momento culturale
che la società attraversa. Siamo, è facile riconoscerlo, in un
tempo di crisi culturale.
Quali modelli di preghiera emergono? Quali proposte di
preghiera per i giovani nella Chiesa degli anni '80?
CRISI CULTURALE E DOMANDA RELIGIOSA
GIOVANILE
Una precisazione preliminare sul senso con cui viene
usato il termine crisi. Non come abbandono, sfascio della
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cultura nei confronti di un passato recente o remoto ritenuto
«saggio» ed esaltante, ma come tramonto di un modello di
vita mentre ne sta faticosamente emergendo uno nuovo,
che presenta elementi di continuità ma soprattutto di rottura.
In questo contesto si vuole parlare di fede e di preghiera
dei giovani. Le voci e i pareri a riguardo sono discordanti:
c'è chi parla di crisi, di stanchezza, di progressivo
scadimento del ruolo della fede e della liturgia nei giovani e
c'è chi parla di rinascita del religioso e della preghiera.
Una valutazione complessiva deve certo tener conto dei
due volti della medaglia, ma non può limitarsi ad un puro
elenco di lati positivi e negativi. Una valutazione è sempre
una scelta, una scommessa e come ogni scommessa ha il
suo prezzo, il suo margine di rischio.
Di fronte alla preghiera dei giovani non ha senso
schierarsi a favore o contro la crisi; è più importante
schierarsi per una possibilità: per la possibilità che oggi si
ha di inventare con i giovani un modello di preghiera che ne
accolga l'identità culturale e religiosa.
Come spiegare, intanto, il quadro così variegato della
preghiera tra i giovani?
Il progressivo estendersi della secolarizzazione
L'estendersi della secolarizzazione è ancora oggi il dato
più evidente. La secolarizzazione, in quanto modo di vivere
che nel concreto della vita prescinde da un riferimento
religioso, è in fase di espansione tra i giovani italiani. Da
fenomeno di élite, qual era alcuni anni fa, è sempre più fatto
di massa.
Il quadro va visto sotto un duplice pro lo.
Quello quantitativo anzitutto: anche se oggi è possibile
parlare di «nuova domanda religiosa» è innegabile l'esodo
delle nuove generazioni dagli ambienti ecclesiali e
l'assunzione di uno stile di vita laicizzato, ispirato a criteri
pragmatisti e soggettivizzati.
Il fenomeno ha anche un aspetto qualitativo; molti
giovani che si professano cristiani sono dei «credenti senza
pratica e senza legge». La loro morale prescinde spesso dai
giudizi di valore evangelici, mentre la pratica religiosa,
anche quando continua, avvizzisce dal di dentro, come crisi
di rapporto esistenziale con Dio, per poi manifestarsi come
crisi della preghiera personale e sensazione di vuoto e di
estraneità nelle assemblee liturgiche.
L'emergere di una nuova domanda religiosa
L'esodo dagli ambienti ecclesiali e la crisi della
preghiera non sembra tuttavia l'ultima parola su giovani,
fede e preghiera. Oggi si parla di una «nuova domanda
religiosa» e, per una cerchia più ristretta di giovani, di
riscoperta della identità cristiana.
I due fenomeni sono in continuità, ma non vanno
confusi.
C'è anzitutto il consolidarsi di una domanda religiosa
«dal basso». Utilizzo il termine in senso globale: tutto ciò
che sembra aprire i giovani ad una esperienza che li
trascende e nella cui direzione è possibile passare, con un
lungo cammino educativo, a fare esperienza di Dio. Con
questo termine si vuole fare riferimento al fatto che oggi più
di ieri i giovani sembrano porsi alcune domande sul senso
della vita, e al fatto che il «contenuto» di queste domande è
diverso rispetto ad alcuni anni fa. La nuova domanda
sembra ricollegarsi oggi, nella ricerca giovanile, al bisogno
di una «nuova qualità di vita», da raggiungere non tanto
attraverso una trasformazione politico-strutturale del
contesto socioeconomico, quanto attraverso una
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«rigenerazione globale». All'interno di questa ricerca le
sfaccettature sono molte e vanno prese insieme, anche
perché i giovani sviluppano un alto grado di mobilità
culturale e si riconoscono con facilità, proprio perché alla
ricerca di una nuova identità «personale», ora in una ora in
un'altra espressione culturale. La domanda può essere
descritta come bisogno di rigenerazione e di mistero; ricerca
di garanzia esistenziale e tensione alla festa, al ludico, al
gratuito; «fuga dal mondo» (molti sembrano aver piazzato le
loro tende fuori del recinto della città) e ricerca di nuove e
sempre più coinvolgenti aggregazioni; crisi dell'impegno (un
momento di implosione, di concentrazione della energia
vitale?) e scelta di fermarsi, di pausa, di «contemplazione
per la contemplazione».
Perché la nuova domanda religiosa? Una risposta
sembra da cercarsi allargando l'orizzonte al momento
culturale che stiamo attraversando e in cui anche i giovani
sono immersi.
Nuova domanda religiosa ed apocalisse culturale
La domanda religiosa dei giovani di qualche anno fa era
caratterizzata da una forte carica di utopia religiosa e prima
ancora culturale.
Gli anni '60 sono stati gli anni della possibilità, della
trasformazione e della speranza: gli anni dei profeti (da
Papa Giovanni a Mao, da Kennedy a Che Guevara), gli anni
della conquista della luna e dell'ubriacatura tecnologica, gli
anni della teologia teilhardiana dell'evoluzione cosmica, gli
anni dell'ottimismo conciliare che, come riconobbe Paolo VI,
« ssò il suo sguardo più sul volto felice che sul volto infelice
dell'uomo», gli anni della ne dell'utopia perché, come
predicava Marcuse, l'utopia stava ormai per realizzarsi.
Tutte queste attese sono velocemente tramontate.
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Oggi si dice che stiamo attraversando un momento di
«apocalisse culturale». È caduto anzitutto, sotto il peso della
crisi energetica e alimentare e del sempre più grave stato di
inquinamento della natura, il mito dello sviluppo illimitato e
della «ragione tecnologica» che lo alimentava. Del resto la
progressiva distruzione della natura si sta rivelando un tarlo
corrosivo dell'equilibrio psichico dello stesso uomo. Rinasce
il desiderio di un rapporto più umile e rispettoso verso il
mondo che ci circonda.
Sono nite anche le speranze e le utopie alimentate
dalle ideologie: l'uomo si ritrova povero e disarmato a
combattere un susseguirsi di problemi che sembrano
togliergli il respiro: l'oggi lo assorbe totalmente, non gli resta
tempo per progetti a lungo termine.
In questo contesto i giovani si interrogano, più con i fatti
che con le parole a dire il vero, sulla legittimità del modello
culturale in cui sono cresciuti. In loro si è sfaldata non solo
la ducia in questa cultura, ma anche la ducia nella
possibilità di trasformarla apportando quei correttivi che, alla
ne, si sono rivelati bacati dalla stessa malattia ef cientista
e possessiva, nei confronti degli altri e della natura, del
modello tecnologico-capitalista.
Sembra consolidarsi un bisogno di fermarsi, di non
muoversi in nessuna direzione. Sembra realizzarsi quello
che Mircea Eliade aveva scritto già nel 1954: «Non è
infondato prevedere un'epoca (e un'epoca non troppo
remota) in cui l'umanità, per assicurare la propria
sopravvivenza, dovrà rinunciare a fare la storia e si limiterà
a fare dei gesti archetipi d'obbligo, sforzandosi di
dimenticare come privo di signi cato e pericoloso ogni gesto
che possa avere conseguenze storiche».
Siamo già a quell'epoca? Alla crisi di «presenza sociale»
che si riscontra in tanti giovani, contribuisce anche questo
bisogno di fermarsi per interrogarsi con calma sulla strada
da percorrere?
In certi casi siamo davanti ad un'autentica «fuga dal
mondo» che coinvolge giovani e non giovani. Le forme sono
tante, dalla droga alla meditazione trascendentale al
qualunquismo politico, ma l'obiettivo rimane unico: lo
svuotamento dei contenuti psicologici dell'io e di
conseguenza una momentanea sospensione della presenza
nel mondo. «La storia, come memoria e come attesa, si
vani ca senza residui in quanto le determinazioni concrete
in cui la storia, intesa sia come memoria che come progetto,
trova sostanza, vengono abolite nella indeterminatezza di
una contemplazione senza soggetto e senza oggetto».[1]
Al di sotto della «sospensione di presenza» sembra
esserci tuttavia una ipotesi, forse una presunzione dell'uomo
e del giovane d'oggi: di fronte alla complessità del sistema
in cui viviamo, la coscienza attuale e l'attuale razionalità
stanno per soccombere e dar luogo, attraverso una pausa,
ad una «nuova coscienza», ad una coscienza
qualitativamente diversa. In questo contesto matura
appunto anche la nuova domanda religiosa, che per alcuni è
domanda di signi cato esistenziale e per altri si fa domanda
esplicita di Dio.
Q U AT T R O M O D E L L I D I S P I R I T U A L I T À E
PREGHIERA
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In che direzione vengono assunti gli stimoli culturali
della fede cristiana?
Si possono delineare quattro grossi modelli di religiosità
che esprimono anche quattro grossi modelli di preghiera.
I vari raggruppamenti ecclesiali stanno affacciandosi, a
volte in modo ri esso più spesso in modo immediato ed
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istintivo, sulla crisi in atto, sulla «apocalisse culturale», e
sulla conseguente decomposizione degli «ambiti vitali del
sistema». La risposta, anche nel mondo cattolico, si pone
anzitutto sul versante del recupero della dimensione
irrazionale della vita e nel recupero della fraternità come
momento di rigenerazione che ha portato, nella pratica del
binomio evangelizzazione e promozione umana, a ri utare
la seconda parte e a realizzarsi come momento di
contemplazione comunitaria ed estatica della fede in Cristo.
Il denominatore comune tra fede e cultura, in questo
ambito, sarebbe la ripresa non del momento etico, quanto
della «speranza e della contemplazione nella fede, della
ricerca di una nuova nascita, di una fede e senza altre
aggiunte, senza che sia ancora giunto il momento di
cristallizzarsi in nuovi modelli di comportamento».[2]
In questa ricerca le posizioni sono, tuttavia, abbastanza
differenziate, anche a livello giovanile.
Sono rintracciabili, come si diceva, quattro grossi
modelli di spiritualità, che si esprimono anche in forme di
preghiera caratteristiche. Come è comprensibile, ogni
gruppo o movimento è orientato verso uno dei modelli, ma
facilmente assume stimoli e contenuti anche dagli altri
modelli.
Il modello tradizionale
Il primo modello, oggi in fase di ripresa, è quello che,
grosso modo, si può identi care come tradizionale, anche
se magari si presenta oggi in forme aggiornate.
Ciò che caratterizza questo modello di preghiera è il
sottofondo di tipo oggettivo e sacrale in cui nasce: l'uomo è
una creatura e Dio il creatore, che dunque ha diritto al
«culto» da parte dell'uomo. Questo è un dato scontato, mai
messo in discussione, neppure da chi non prega.
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L'uomo vive nel tempo, ma il tempo è ef mero. L'unica
realtà che veramente conta e rimane è Dio e la «vita
eterna». E l'uomo di Dio ha bisogno per vivere: per poter
accettare e sopportare questa vita. A lui si ricorre soprattutto
nei momenti di crisi e tensione, e lo si ringrazia per quello
che si è ottenuto.
Siamo di fronte ad una spiritualità che, con
un'immagine, si può descrivere come spiritualità degli
intervalli.[3] Il presupposto è che quel che veramente conta
nella vita è l'incontro con Dio e che questo non avviene se
non quando, almeno per qualche istante, ci si assenta da
ciò che si fa e ci si innalza no a Dio, pregando da soli
all'inizio e alla ne o durante il lavoro, o interrompendo le
faccende di ogni giorno per incontrarlo nelle celebrazioni
comunitarie. In questa prospettiva ci sono tempi e spazi di
incontro con Dio e tempi e spazi lontani da Dio. L'uomo, per
essere veramente tale, deve aprirsi ai momenti privilegiati di
esperienza di Dio. Quello che avviene fuori dalla preghiera è
relativo, secondario, al massimo un'applicazione morale di
ciò che si è vissuto nella preghiera. La vita intera è pensata
a partire dalla preghiera.
Venendo più da vicino alla preghiera in questo lone
tradizionalista si possono raggruppare diverse tendenze.
Ci sono anzitutto i cultualisti, cioè coloro che continuano
a presentare la preghiera come «dovere» come tributo che
Dio ha richiesto all'uomo. Il cristiano prega perché la
religione glielo impone.
La preghiera diventa qualcosa di estrinsecista: contano
più le forme che i contenuti, le rubriche e la solennità della
celebrazione che non il loro appello esistenziale. Il cambio
antropologico e teologico di questi anni li s ora appena:
presentano una preghiera fuori dalla storia infarcita di
moralismo (chi non prega si danna), di utilitarismo (se vuoi
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qualcosa prega), di intenzionalismo (ciò che dà valore alla
vita sono le intenzioni che la accompagnano), di
devozionalismo.
Nella direzione di un certo estrinsecismo si ritrovano
pure diversi fautori della riforma liturgica che in questi anni
hanno troppo alimentato la ducia nelle nuove rubriche,
nelle traduzioni dei libri, nel girare gli altari, ma non si sono
accorti che la crisi era più profonda, di natura contemplativa.
In questo lone tradizionalista possono essere compresi
anche quanti, nell'attuale crisi culturale, si pongono come
gestori del bisogno religioso ridotto a bisogno di identità,
sicurezza, socializzazione, norme morali, senza
preoccuparsi di una vera conversione evangelica. Fare
parte di un gruppo o movimento ecclesiale rassicura, come
rassicura l'andare in chiesa la domenica.
La preghiera che questo modello propone corre alcuni
rischi:
- la proposta tradizionale in questo tempo di crisi rischia
di sfruttare il bisogno di dipendenza psicologica, di
identi cazione sociale, di ritorno alla sicurezza della
tradizione, e non permettere una interiorizzazione che faccia
i conti con la cultura in cui viviamo;
- il riferimento alla storia rischia di essere fatto in termini
moralisti e utilitaristi: la preghiera, tutt'altro che momento di
incontro gratuito con Dio, diventa nuovamente funzionale
all'azione, all'ordine, alla sicurezza, all'integrazione sociale:
si usa di Dio per «godere» la vita;
- le forme espressive rischiano di rimanere
mummi cate, povere, senza fantasia, perché lo schema
(della messa e della liturgia delle ore) è rassicurante;
- il rischio più grosso è di una preghiera di tipo
oggettivista a cui i giovani devono adeguarsi, invece di una
preghiera che nasce dall'incontro tra la loro esperienza e
l'esperienza cristiana.
Il modello carismatico-meditativo
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Un secondo modello, oggi di discreto successo, è quello
che si può de nire carismatico-meditativo.
A questo modello si rifanno, pur tra tante diversità, tutta
una serie di gruppi e movimenti giovanili che contestano
l'attuale crisi rifugiandosi nelle zone franche della comunità,
della fede, della preghiera.
L'ingovernabilità della crisi ha spinto molti ad
abbandonare l'ipotesi di una trasformazione globale per
tentare la strada della costruzione di ambiti di vita lontani dal
mondo in ebollizione. Due elementi caratterizzano il
modello: la consapevolezza e insieme la rassegnazione alla
crisi culturale e sociale, e la pretesa di costituire delle
comunità che si presentino come l'alternativa di salvezza.
Alla dif coltà di rapporto con la situazione oggettiva a
livello culturale ed economico e alla crisi che sconvolge le
istituzioni, essi reagiscono con la esaltazione della sfera
emozionale, la dilatazione della soggettività e della
intersoggettività senza scambi di rilievo con l'ambiente
circostante, la creazione di comunità semi-monacali fondate
sull'unanimismo (il pluralismo è pericoloso!), sulla
grati cazione, sulla rassicurazione del singolo nel caldo del
gruppo.
In questo modello sembrano con uire due tendenze che
vanno tenute distinte: il movimento carismatico e gli
appassionati della meditazione, da quella occidentale a
quella orientale e alla stessa «meditazione trascendentale».
La diversità delle forme non nega la derivazione da un
unico modello, quello che sorpreso dalla crisi culturale cerca
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delle «zone di salvezza» nello sfascio generale. Entrambi i
movimenti, in fondo, rischiano di rendersi assenti dalla
storia.
Mentre tuttavia nel movimento carismatico la ricerca di
spazi di salvezza è fatta nella direzione del comunitario,
della riscoperta della Parola di Dio come irruzione violenta
nel mondo e del celebrativo-liturgico, nel movimento
meditativo la ricerca avviene nella direzione di tecniche di
paci cazione interiore che permettano di raggiungere il
profondo di sé e fare così esperienza di salvezza.
Il modello carismatico/meditativo può essere
considerato, almeno nelle sue tendenze più unilaterali, una
spiritualità di fuga dalle cose, per rifugiarsi negli spazi e
tempi di salvezza.
Mentre nella spiritualità degli intervalli il quotidiano non
era disprezzato, ma semplicemente insigni cante per la
costruzione della identità del cristiano, in questo modello ciò
che è umano e profano viene visto con distacco, con
disagio, quando non con disprezzo.
La paura è di inquinare l'incontro con il Dio «totalmente
altro» e inaccessibile all'uomo fondamentalmente peccatore.
Il Regno di Dio ha le sue leggi, altre da quelle che
governano il regno dell'uomo. Solo nelle attività religiose e
negli spazi religiosi si fa esperienza di Dio.
Verso la vita umana c' è distacco: si assume un
atteggiamento ascetico, di liberazione progressiva dello
spirito dal materiale, dal corporeo.
Regna il disinteresse alla vicenda umana nel suo
spessore politico-culturale. Si nisce per considerare
«nemico» ogni altra con gurazione sociale, culturale o
politica.
I non appartenenti al «movimento» in cui ci si identi ca,
sono gli «altri».
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Da notare che la s ducia di questi movimenti ispirati alla
fuga mundi non si sviluppa solo come antagonismo verso
ogni realtà laica, sociale e culturale, ma anche come
delusione rispetto alla chiesa reale. Le diverse forme di
spiritualità carismatica e spiritualista sembrano ispirarsi,
anche se in modo diverso e per strade diverse, alla teologia
di K. Barth, il quale, in base all'in nita differenza qualitativa
tra Dio ed il mondo, ha sostenuto e contribuito a diffondere
un ri uto assoluto delle culture come unico modo per evitare
ogni inquinamento umano della fede. Questa teoria della
incompatibilità tra cristianesimo e culture è tuttavia una
forma di soprannaturalismo che dissocia la fede e
l'esperienza umana, oppone l'essere credente all'essere
uomo, nendo per «trovare l'uomo solo nella domenicalità
della fede e non nella ferialità delle opere di tutti i giorni».[4]
L'immagine di Dio in questo modello di spiritualità è un
Dio distaccato dalle vicende dell'uomo. Per salvare
l'autonomia del profano e la purezza di Dio da ogni
inquinamento antropologico si è nito per creare un Dio
lontano dal mondo e, di conseguenza, un mondo senza Dio.
Se Dio è lontano dalle cose che l'uomo vive, il mondo
delle cose e dell'uomo è un mondo di assenza di Dio, e
quindi cade nel regno dell'abbandono supremo.[5] Non è
forse con questo distacco dall'alto che le tendenze
carismatiche e spiritualiste dei nostri giorni guardano alla
vita degli uomini del nostro tempo?
La preghiera di questi gruppi, dai carismatici ai
meditativi, è affascinante, ricca di intenso scambio emotivo,
creativa e festosa, attenta più al cuore che all'intelletto,
spesso di matrice popolare.
Il pregio ed il limite della proposta si sovrappongono.
Proprio questi gruppi sono in fondo i più moderni, in quanto
sono i più sensibili alla crisi di senso della società. Vi
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reagiscono di istinto creando ambiti e spazi di pausa, di
«rigenerazione» e di contemplazione gratuita.
Quello che è un grosso pregio è tuttavia anche un
pesante handicap che rischia di trasformare la loro
preghiera in una terapia di gruppo ed in un momento di
«ecologia dello spirito» se, come si è visto, la rigenerazione
non è che una forma di annullamento del presente, di
svalutazione della storia, di fuga mundi che a volte sa più di
buddismo che di cristianesimo perché non sembra sempre
fedele al mistero della Incarnazione di Dio nella storia.
Non si può accettare una preghiera che da sola
pretende di rasserenare e dare gioia ad una vita a cui,
giorno dopo giorno, non si riesce (e alla ne si rinuncia) a
dare un volto umano e cristiano accettabile: è una preghiera
che rischia l'alienazione perché da sola si fa carico di una
totalizzazione di senso che invece, faticosamente, va
costruita nelle contraddizioni in cui si vive il quotidiano.
Il modello ideologico-politico
Un terzo modello, attualmente in crisi, è quello che
possiamo de nire politico ed insieme ideologico. Vi si
possono ricondurre sia quanti in questi anni si erano
identi cati nel «progressismo cristiano», caratterizzato dalla
ducia illimitata nella ragione e nella scienza per risolvere i
problemi dell'uomo, sia quanti si erano avvicinati alla fede
con una connotazione fortemente ideologica e politica, no
al punto di vedere nell'ideologia la spiegazione ultima della
stessa fede e nell'impegno politico l'unico mezzo per
allargare i con ni del regno di Dio.
La crisi economica, la crisi della scienza per la scienza,
il dissolversi delle ideologie incapaci di fare i conti con
l'evolversi della situazione culturale, i limiti storici
dell'impegno politico e del movimento operaio, la
ingovernabilità del sistema, hanno incrinato sia la ducia
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nella ragione e nella tecnologia sia la ducia nella ideologia
e nell'impegno politico. L'homo sapiens e l'homo faber sono
oggi in uno stato confusionale e ciò ha avuto i suoi ri essi
nel mondo cristiano: i tempi del regno di Dio si sono fatti
molto più lunghi e le strade della sua venuta più misteriose.
In questo modello non è più l'immagine di un «Dio
Totalmente Altro» ad imporsi, ma quella di un Dio totalmente
calato nella realtà umana, di un Dio «immanente» alla
vicenda umana.[6]
Per difendere l'immagine di un Dio che a causa
dell'estendersi dei processi di secolarizzazione diventava
sempre più insigni cante, alcuni hanno avanzato l'idea di un
Dio ridotto a dimensione del mondo e di un Dio talmente
immerso nell'umano che da esso più non si distingue. In
questo senso si può parlare di spiritualità della riduzione
antropologica.
Ridotto a pura immanenza Dio è in tutto, sempre e
dovunque, ma di conseguenza scompare assorbito dal
mondo. Non è forse per questo che la stessa preghiera
viene proposta, in questo modello di spiritualità, come
dialogo dell'uomo con l'uomo e la storia dell'uomo e della
sua liberazione (= ciò che l'uomo fa) viene identi cata
immediatamente con il Regno di Dio?
Alla base di questo modello di spiritualità c'è il riverbero
della opposizione tra fede e religione su cui ci si è
confrontati da più parti in questi anni. Partendo dall'istanza
di un «cristianesimo adulto», ci si vuole liberare non solo da
ogni modalità consolatoria del rapporto religioso, ma si
intende vivere senza segni visibili di appartenenza religiosa,
preghiera e liturgia compresa. Si arriva ad un nuovo
illuminismo della fede.
La preghiera proposta da questi gruppi, soprattutto da
quelli più politicizzati, è centrata sull'uomo, sulle sue
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vicende. Alcuni, più super ciali, cercano di salvare la
preghiera immettendovi di forza brani moderni, citazioni da
giornali, gesti singolari, senza tuttavia impegnarsi in una
ricerca evangelica sul signi cato degli eventi e sul come
entrano nel dialogo con Dio. Tutto si trasforma in una
assemblea semipolitica che sfocia nelle solite denunce.
Per altri la preghiera come dialogo con Dio (quattro
chiacchiere con Dio) è un residuo sacrale; pregare è invece
pensare, ri ettere sugli avvenimenti. Alla preghiera viene
attribuito un triplice compito: narrare, ri ettere, situare le
vicende umane. Non è più un dialogo con Dio ma un «dirsi
in modo autentico», un «mettersi in gioco» di fronte agli altri,
denunciando e assumendosi responsabilità.[7]
La conseguenza è stata per alcuni un accrescersi di
impegni e il moltiplicarsi di assemblee di preghiera e non, in
un clima tuttavia di abbandono della contemplazione del
mistero di Cristo. La crisi della categoria dell'impegno li ha
oggi lasciati allo scoperto, senza una consapevolezza di
fede in grado di ri ettere anche sulla attuale svolta culturale.
Il modello della «preghiera nel quotidiano»
Un ultimo modello di preghiera è andato via via
consolidandosi come tentativo di assumere da una parte la
s da della secolarizzazione e della più recente crisi
culturale, dall'altra l'esperienza di fede maturata come sof o
dello Spirito dai tempi del Concilio.
Se nelle tendenze soprannaturaliste si poteva negare il
mondo per affermare Dio e nelle tendenze immanentiste si
rischiava di negare Dio per affermare la grandezza
dell'uomo nella storia, rimane la domanda se è possibile
salvare contemporaneamente Dio ed il mondo, Dio e
l'uomo, nella loro alterità e reciprocità.
Nel modello di preghiera incentrato sul quotidiano, che
pone a suo fondamento la ri essione sull'evento della
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Incarnazione, l'equilibrio e la tensione tra trascendenza e
immanenza vengono risolti nel de nire la immanenza in un
contesto di trascendenza (il Dio che si è fatto uomo rimane
Dio nella sua alterità) e nel de nire la trascendenza in un
contesto di immanenza (il Dio totalmente altro è il Dio che
ha voluto diventare uomo).
Quando si parla di presenza di Dio nel mondo non si
nega, anzi si afferma decisamente la realtà del mondo, la
sua autonomia. Soltanto che non si riduce il mondo a solo
mondo e l'uomo a solo uomo. L'uomo ed il mondo sono,
come preciseremo più avanti, «sacramento» di Dio e di
Cristo nel tempo. Dio è nascosto nel mondo, camuffato nella
storia, nella vita di ogni uomo, nelle varie situazioni della
vita. Dio non si identi ca né col mondo, né con la vita, né
con le varie situazioni quotidiane, ma si fa misteriosamente
presente in tutto, proprio perché il Dio totalmente altro si è
fatto simile a noi in tutto fuorché nel peccato. La chiesa, a
sua volta, è sacramento della salvezza, ma luogo della
salvezza è la storia concreta dei popoli, dei gruppi umani.
Dietro a questo modello di spiritualità e di preghiera sta
in fondo una rinnovata ri essione sulla «salvezza».
Se assumiamo come de nizione di salvezza
l'espressione di sant'Ireneo «Gloria Dei homo vivens; vita
autem hominis visio Dei», si può dire che nella spiritualità
del quotidiano si condivide che questa «visio Dei» non
riguarda solo il futuro (il Paradiso), ma è già attuale al
presente; non si esercita solo con l'intelletto, ma è
un'esperienza che coinvolge tutto l'uomo nella sua
dimensione psicologica e storica; non riguarda solo
l'individuo, ma è prima di tutto un evento di portata collettiva
ed universale.
La preghiera viene presentata anzitutto come
assunzione di questo dialogo nel «quotidiano», nella vita di
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ogni giorno. Il cristiano non va in chiesa per incontrare un
Dio che non incontra altrove, ma per vivere con pienezza
quel dialogo che è già reale nel quotidiano. Temi preferiti
sono dunque l'incontro con Dio nel «sacramento» del
povero (Mt 25), e la preghiera come atteggiamento
esistenziale prima che come preghiere.
L'incontro con Dio nella vita di ogni giorno è immediato;
dal di dentro di ciò che si fa e non perché prima o dopo o
durante lo si consacra con una intenzione o con una
giaculatoria. Il quotidiano non ha bisogno di preghiera per
essere salvato, perché Dio è salvatore di tutto.
Dove «situare» la preghiera in senso stretto e la liturgia?
I momenti «espliciti» di preghiera sono vissuti come
«celebrazione» proprio del fatto che la storia della salvezza
si svolge sulla lunghezza d'onda e dentro la storia
dell'uomo. Preghiera e liturgia sono così de nite a partire
dalla centralità del quotidiano, che è già, come nel Cristo,
«sacri cio spirituale» a Dio. In questa direzione hanno
camminato in questi anni quei gruppi che, ri ettendo sulla
teologia della incarnazione e sulla teologia e spiritualità
della liberazione hanno rivalutato l'umano con ottimismo
senza tuttavia nascondersene i limiti, sapendo che «dove ha
abbondato il peccato ivi ha sovrabbondato la grazia».[8]
Nella preghiera l'attenzione si sposta dai riti ai contenuti
che questi devono veicolare ed esprimere. Si cerca di
ripensare le forme alla luce dell'attuale cultura, ma non ci si
rivolge ai cambi strutturali come a bacchette magiche. Alla
preghiera si chiede pace e rasserenamento, ma non il
soffocamento della drammaticità dell'oggi in un qualsiasi
nirvana.
Il riferimento al quotidiano è fatto in modo nonideologico: si cerca di coglierlo nella sua crudezza, nel suo
evolversi, sforzandosi di rintracciarvi sempre i «segni dei
tempi» e le ragioni per continuare il dialogo con Dio, sempre
presente ma sempre assente ogni volta che si cerca di
strumentalizzarlo. In questo modello di preghiera non si
sfugge al quotidiano, ma neppure lo si esalta e lo si
identi ca con il regno di Dio sulla terra; semplicemente lo si
assume come spazio in cui questo regno cresce, come
pasta lievitata dallo Spirito. Grano e zizzania vi crescono
insieme: tocca alla comunità, illuminata dallo Spirito,
imparare a discernere bene e male, peccato e grazia.
Alcuni interrogativi
A questo punto la ri essione dall'analisi dei modelli di
preghiera e spiritualità si allarga al mondo giovanile. Quale
proposta di preghiera e quale modello di spiritualità sono
maggiormente signi cative per le nuove generazioni? E
quale modello è più consono alla domanda religiosa dei
«giovani poveri»?
Una risposta complessiva emergerà nelle pagine
seguenti. Per ora sembra stimolante chiudere con una
ri essione di P. Ricoeur sulla spiritualità oggi: «Possono
sopravvivere soltanto delle spiritualità che rendono conto
della responsabilità dell'uomo, che danno un valore alla
esistenza materiale, al mondo tecnico e, più in generale,
alla storia. Dovranno morire le spiritualità di evasione, le
spiritualità dualiste... In generale, io penso che le forme di
spiritualità che non possono rendere conto della dimensione
storica dell'uomo dovranno soccombere sotto la pressione
della civiltà tecnica».[9]
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2. Le tappe per elaborare un progetto di educazione
alla preghiera
L'elaborazione di una proposta educativa secondo le
indicazioni della didattica prevede alcune grosse tappe. Le
descriviamo applicandole alla preghiera. Forniranno la
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traccia di fondo anche per le pagine seguenti, nelle quali si
riprenderà e svilupperà i contenuti delle varie tappe.
Il «dare» e «ricevere» tra domanda educativa ed
esperienza cristiana di preghiera
La prima tappa nell'elaborazione di un progetto è la
individuazione di un obiettivo: dove si vuole arrivare? A
questa domanda ne seguono altre: che fare per raggiungere
l'obiettivo? quali interventi? quando si può dire che
l'obiettivo è raggiunto?
Nel de nire l'obiettivo alla luce dei processi ermeneutici
si intravvedono subito due grossi rischi.[10]
Il processo ermeneutico indica che ogni proposta di
preghiera deve coniugare insieme, attraverso il processo del
dare/ricevere, la domanda educativa e religiosa dei giovani
e l'esperienza cristiana.
Ci possono essere due errori.
Un primo errore può essere l'assumere in modo
unilaterale la domanda educativa e religiosa e assolutizzarla
in nome di un messianismo giovanile o di una ambigua
affermazione della presenza dello Spirito nei giovani. Non
che non si creda nei valori allo stato nascente di cui i
giovani sono testimoni o che si voglia misconoscere l'azione
dello Spirito in loro. Non si può tuttavia assolutizzare la
domanda giovanile, che rischia di rimanere selvaggia o, in
termini di fede, «prigioniera del peccato» che si annida
anche al suo interno.
Un secondo errore può essere invece la esaltazione
unilaterale della tradizione no a sostenere modelli educativi
ispirati al principio della iniziazione. Alcuni si stanno
nuovamente rifacendo a modelli del genere, che in fondo
non credono ai valori di cui sono portatori la cultura
moderna e i giovani d'oggi. Va riconosciuto però a chi insiste
su processi di iniziazione, che i giovani oggi non conoscono
e non sono di conseguenza provocati dall'enorme
«patrimonio di preghiera» delle generazioni cristiane. La
pretesa di cominciare tutto e sempre da capo, anche nella
educazione alla preghiera, non solo disperde al vento
l'esperienza accumulata, ma rallenta anche la crescita delle
nuove generazioni.
Che cosa vuol dire allora attivare un processo circolare
tra domanda educativa ed esperienza cristiana di
preghiera?
Un processo ermeneutico si muove per tentativi,
pensando la domanda educativa come criterio per
comprendere l'esperienza cristiana e contemporaneamente
pensando l'esperienza cristiana come illuminazione, critica e
proposta di senso de nitivo alla domanda dei giovani.
Che cosa entra in circolo a questo punto è stato detto:
da una parte la situazione concreta, le domande, le attese,
le intuizioni dei giovani. Nel fare attenzione alle domande
bisogna distinguere sempre tra domande super ciali e
domande profonde, fra domande ri esse e domande
inespresse ma non meno forti, tra domande indotte
dall'ambiente e domande elaborate criticamente dai
soggetti.
L'esperienza cristiana immette invece in circolo la
«memoria evangelica» intesa come evento irriducibile che
fonda la fede, e la tradizione che lungo i secoli ha elaborato
sempre nuovi modelli di fede e di spiritualità e ha elaborato
sempre nuove proposte di preghiera.
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L'obiettivo generale
Alla luce della situazione e della memoria evangelicoecclesiale, la ri essione educativa si impegna anzitutto a
mettere a fuoco l'obiettivo generale, cioè la meta nale del
processo educativo, l'orizzonte ultimo in cui avrà luogo ogni
iniziativa.
L'obiettivo va espresso in termini storici «per questi
giovani», e quindi signi cativi, cioè in modo che sia in grado
di coinvolgere i soggetti in un cammino innovativo.
In conclusione, quando si parla di obiettivo generale si
vuole rispondere alla domanda: in quale direzione ci si
propone di camminare con questi giovani?
Le grandi dimensioni dell'obiettivo
L'obiettivo generale getta un ponte tra una situazione ed
un punto di arrivo. Parte dall'analisi della domanda e traccia
il quadro ultimo della sua evoluzione.
Per non lasciare il discorso generico, il primo passo,
dopo aver ssato l'obiettivo generale, è la descrizione delle
grandi campate del ponte tra le due rive del ume. Come
descrivere a grandi tappe il percorso dalla domanda al
punto di arrivo? In quale spazio umano ci si muove e quale
itinerario di crescita impone? Dove andrà a dispiegarsi
l'azione educativa? Quale cammino viene proposto ai
soggetti?
La risposta a questi interrogativi costituisce i grossi
obiettivi intermedi che traducono, ancora in linee generali,
l'obiettivo.
Le competenze
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La traduzione dell'obiettivo in termini concreti prosegue
interrogandosi sulle competenze, sulle abilità che i soggetti
devono possedere per camminare verso l'obiettivo.
Si possono distinguere tre tipi di competenze: le
conoscenze, gli atteggiamenti e i comportamenti.
Quali conoscenze sono anzitutto necessarie per
percorrere il cammino? Quale grado di ri essione, di
«rappresentazione» del proprio cammino è necessario?
Non basta infatti fare delle attività, compresa la preghiera,
se non si è consapevoli del perché le si compie e di ciò che
si sta vivendo. Non si vuole però esaltare la sola
conoscenza concettuale, soprattutto a proposito di
preghiera, ma più semplicemente chiedersi che cosa i
giovani devono sapere di se stessi, di Dio, dei gesti, delle
parole che rispondono al nome di preghiera, del perché solo
alcuni pregano e altri no, del perché è faticoso pregare e
degli accorgimenti utili per superare le dif coltà.
In secondo luogo la competenza richiede la abilitazione
ad atteggiamenti che traducano in termini concreti le
intuizioni di fondo della preghiera. Quali atteggiamenti e, di
conseguenza, quale stile di vita è necessario per ascoltare
la parola di Dio, per fare della comunità un luogo di incontro
con Dio, per essere fedeli alla preghiera anche quando si è
stanchi?
In terzo luogo la competenza richiede di precisare un
comportamento minimale. Intanto, in quale direzione
chiedere comportamenti? Chiedere ai giovani di pregare
ogni sera in gruppo con la liturgia delle ore, o chiedere loro
di dire le preghiere mattino e sera? Chiedere di venire a
messa la domenica o anche altri appuntamenti? Ed ancora,
chiedere impegni solo di gruppo o anche personali? E
quali?
Il metodo: risorse, strategie, interventi
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Una volta ssato l'obiettivo generale e stabilite le
competenze da acquisire, si pongono le domande relative al
«come fare». Come cioè agire concretamente per
raggiungere gli obiettivi? Nel metodo si distinguono tre
aspetti: le risorse, le strategie, gli interventi.
Le risorse sono anzitutto le persone, gli ambienti, i tempi
a disposizione, ma anche le tradizioni dell'ambiente,
l'esperienza dagli educatori, la possibilità di ricorrere a
strutture che, anche se non fanno parte dell'ambiente, sono
ugualmente utilizzabili, come i veri santuari della spiritualità
giovanile, i testimoni della preghiera, le scuole di preghiera
presenti in zona.
Le strategie sono le opzioni di fondo su cui innestare poi
gli interventi. In termini di programmazione la strategia è il
percorso privilegiato per arrivare ad un obiettivo. Le strade
possibili sono diverse: quale preferire? Gli ostacoli da
superare sono individuati: aggirarli o prenderli di petto?
Percorrere contemporaneamente varie strade? Quale
«attrezzatura» è necessaria nelle varie ipotesi? In altri
termini, per tornare alla preghiera, una strategia di rottura,
quasi dei pugni nello stomaco, o una strategia su tempi
lunghi? Una strategia impostata sulla vita di gruppo o sul
dialogo educatore-giovane?
In ne gli interventi: cosa fare concretamente, a livello
personale e di gruppo, nei vari settori che vanno dalla
capacità di una corretta lettura della Parola di Dio alla
creazione di un ambiente umano e cristiano in cui i giovani
possano identi carsi?
La valutazione dei risultati e la nuova
programmazione
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In campo educativo si consumano molte energie senza
avere la grati cazione di risultati immediati. Tuttavia è
possibile e importante chiedersi se il cammino che si sta
percorrendo ha sortito, almeno in modo globale, i risultati.
La prima domanda è come valutare se si è raggiunto
l'obiettivo in un campo come la preghiera. La seconda si
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pone nel caso che gli sforzi educativi siano stati inutili: come
mai? Si è sbagliato nello scegliere il metodo sia a livello di
strategia che di singoli interventi, o erano sbagliati gli
obiettivi che si erano ssati? A volte si propongono obiettivi
troppo alti che i giovani non sono in grado di raggiungere, o
troppo generici così che non sanno in che direzione
muoversi
Dopo che si è lavorato per un certo tempo si impone
allora una pausa per aggiustare il tiro e riprendere un
cammino più adeguato ai soggetti o agli obiettivi. Inizia una
nuova fase della programmazione educativa.
3. L'obiettivo: riscoprire la preghiera dentro la
passione per la vita
Inizia a questo punto l'applicazione della metodologia
della programmazione didattico-educativa alla preghiera dei
giovani. La prima domanda che si pone è dove si intende
arrivare quando ci si propone di educare i giovani alla
preghiera. In altre parole, qual è l'obiettivo? Rispondere non
è facile. I rischi infatti nel determinare l'obiettivo sono molti.
Alla luce delle indicazioni dell'ermeneutica si procederà in
due momenti tra loro inscindibili. Prima si andrà incontro
all'esperienza cristiana di preghiera partendo dall'attuale
situazione culturale e condizione giovanile. Subito dopo si
procederà in modo inverso: partendo dall'esperienza
cristiana si proverà a ripensare la preghiera per l'uomo e il
giovane d'oggi. Dalla sintesi dei due momenti si giunge ad
un obiettivo generale che viene elaborato dentro la scoperta
della passione per la vita. L'obiettivo viene ulteriormente
speci cato nelle sue grandi dimensioni, in modo da
individuare il terreno educativo entro cui può maturare una
esperienza di preghiera. La seconda domanda raccoglie, a
livello metodologico, le «competenze» relative alla proposta,
entro cui vengono convogliate le «conoscenze», gli
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Una corretta programmazione si chiede anzitutto dove si
intende arrivare con il lavoro educativo. Quale è il prodotto
nito a cui si intende lavorare?
Parlando di educazione alla preghiera, senza
dimenticare che un simile progetto sottintende una precisa
immagine di uomo e di cristiano, di chiesa e di salvezza,
qual è l'obiettivo che ci si pone? Se non si precisa con cura
l'obiettivo non ci si capirà, né tra educatori né con i giovani.
Si nirà per giocare con carte false con i giovani e secondo
regole diverse tra educatori.
E come giungere a ssare un obiettivo plausibile e
concretizzabile per gli educatori, e signi cativo e praticabile
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«atteggiamenti» e i «comportamenti». Quale proposta di
preghiera per i giovani oggi? Vengono individuate tre aree:
la contemplazione nel quotidiano, la meditazione e la
celebrazione.
Il punto di partenza e la prima area di proposta è la
valorizzazione del vissuto come luogo di esperienza di Dio
nella contemplazione, che si pone non come azione a parte
ma come qualità che l'azione può avere o meno, una
dimensione del vissuto. La seconda area di proposta viene
individuata nella meditazione, intesa come discesa nel
profondo di sé e del vissuto per fare esperienza di Dio.
Senza l'educazione alla meditazione e quindi senza la
preghiera personale, la contemplazione nel quotidiano e la
partecipazione alle celebrazioni rischiano di non avere
senso. La terza area è nell'ambito della celebrazione. Più
che parlare delle varie celebrazioni, dalla messa agli altri
sacramenti, si indica un itinerario che chi partecipa alla
celebrazione è chiamato a vivere per trasformarla in
esperienza signi cativa.
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per i giovani? La sensibilità ermeneutica e l'attenzione al
principio della incarnazione danno indicazioni decisive.
Sono in gioco due realtà, giovani e preghiera, non come
realtà a sé stanti, ma in movimento reciproco. I giovani, se
accettano di entrare in un processo formativo, sono chiamati
ad incarnarsi nella esperienza di preghiera delle generazioni
che li hanno preceduti. I cristiani, a loro volta, sono chiamati
a incarnare la loro preghiera dentro la domanda di senso dei
giovani e dentro il più vasto mondo culturale di cui essi sono
parte.
In questo modo, che non ha regole codi cate ma invoca
continuamente la passione educativa dei giovani e degli
adulti, l'obiettivo viene ssato attuando l'invito del Sinodo dei
Vescovi ad evangelizzare attraverso il processo di «dare» e
«ricevere» reciproco tra esperienza umana e fede cristiana.
Per ssare l'obiettivo procediamo allora in due tempi,
dentro un unico processo: in un primo tempo dai giovani e
dall'uomo d'oggi alla esperienza di preghiera; in un secondo
tempo dall'esperienza cristiana di preghiera all'uomo di oggi.
Esaurita, o almeno abbozzata a grandi linee, la ricerca in
queste due direzioni, e solo allora, ci si può porre le
domande relative all'obiettivo.
QUALE SPAZIO PER LA PREGHIERA: RIFLESSIONE
ANTROPOLOGICA
La ricerca dell'obiettivo nell'educazione alla preghiera
deve fare i conti anzitutto con la cultura di oggi e le
domande dei giovani.
Indichiamo quattro «assunzioni» che una proposta di
preghiera deve compiere: assunzione della
secolarizzazione, assunzione della densità antropologica
dell'azione, assunzione del «conoscere facendo
esperienza», assunzione dell'apocalisse culturale e della
preghiera dal basso espressa dai giovani.
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La s da della secolarizzazione
Fare i conti con il cambio culturale signi ca anzitutto
fare i conti con il processo di secolarizzazione, che per molti
è pur sempre fonte di disorientamento in rapporto alla
preghiera.
La secolarizzazione ha portato in primo luogo ad una
svalutazione della preghiera rispetto all'azione, attraverso
l'affermazione del valore positivo del mondo, la
rivendicazione dell'autonomia del profano, il richiamo alla
responsabilità che l'uomo ha di fronte alla storia, senza
deleghe al «fato» o al divino. Tutto questo ha cancellato, sul
piano culturale, ogni preghiera che sa di alienazione,
surrogato all'azione, compensazione affettiva per una vita
disumana.
La svalutazione della preghiera è stata portata a termine
da un'altra intuizione dell'attuale momento culturale: Dio è
presente ovunque ed ovunque l'uomo può fare esperienza,
può «incontrarlo». Non esistono luoghi, tempi, riti privilegiati,
azioni religiose, «mezzi di salvezza» che monopolizzino la
possibilità di un'esperienza del trascendente. L'uomo
moderno è consapevole di poter avere, anzi di avere, un
«rapporto diffuso» con Dio: si sente, in un certo senso,
sempre davanti a Dio.
Sono passati gli anni della rigida secolarizzazione che
assumeva toni da secolarismo e quindi di negazione
assoluta di un rapporto con Dio. Si parla oggi di nuova
ricerca religiosa. Questo però non può essere inteso come
un ritorno al passato: le intuizioni di base rimangono e si
fanno sempre più di massa.
La secolarizzazione del resto non è stata solo un
momento di crisi, un rischio, ma anche un momento di
maturazione, un momento di crescita nella stessa fede.[11]
È ancor oggi è un'occasione di maturazione con cui è
necessario fare i conti soprattutto, come si diceva, a livello
giovanile.
In realtà quella che è sembrata per anni una s da è
stato un momento positivo della maturazione della
coscienza umana e ha portato ad un rapporto con Dio
ancora più profondo, perché coinvolge tutto l'uomo. Certo si
richiede di ride nire cosa è preghiera e di chiarire quale
rapporto intercorrere tra incontro con Dio nella vita e
incontro con Dio nella preghiera.
Il vissuto come luogo in cui l'uomo si de nisce
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Molto del ri uto della preghiera sembra oggi disagio più
che per la preghiera in se stessa per l'antropologia di base
con cui la si presenta.
Dietro al modo usuale di de nire la preghiera e più in
generale l'incontro con Dio è rintracciabile una antropologia
dualista, di origine greco-platonica, che ha caratterizzato per
secoli la cultura occidentale ed è stata assunta dal
cristianesimo, attraverso i padri greci, mettendo a volte in
ombra la originalità dell'incontro «cristiano» con Dio.[12]
Il dualismo greco vedeva nell'uomo la presenza di due
elementi opposti: un elemento spirituale ed un elemento
corporeo e concepiva la vita come liberazione dello
spirituale dal materiale.
Le attività umane venivano a loro volta catalogate e
gerarchizzate in modo che lavoro ed attività pratiche non
avevano alcuna dignità, né in fondo entravano nella
de nizione e costruzione della vera identità dell'uomo. Il
lavoro manuale, demandato agli schiavi, aveva pura
funzione di sopravvivenza, mentre la ri essione, la
conoscenza, la contemplazione, erano riservate all'uomo
libero ed erano il luogo della vera realizzazione umana.
L'aver introdotto questa antropologia nel cristianesimo
ha fatto sì che, pur affermando a parole la presenza di Dio
nella storia, si sia quasi parlato esclusivamente della
preghiera e della liturgia come luogo di incontro con Dio.
Oggi tutta una serie di ri essioni antropologiche
riconducibili alla loso a della prassi, secondo cui è la
prassi il luogo dell'autorealizzazione dell'uomo e secondo
cui non è l'idea che genera l'azione ma l'agire che guida
l'idea, sottolineano maggiormente l'unità complessiva
dell'uomo ed il fatto che in ogni momento ed attività egli si
esprime per intero.
Non esistono in questa visuale momenti privilegiati e
momenti secondari nell'autorealizzazione: tutto è importante
perché tutto contribuisce a costruire lentamente l'unica
identità del soggetto.
L'attività non è affatto un proiettarsi fuori, quasi un
perdersi per poter sopravvivere, ma è un «costruirsi
dentro». Certo l'attività è costruttiva nella misura in cui si
supera il puro fare per entrare in un modo di agire che
sviluppa una progressiva coscientizzazione sul ruolo della
propria attività nella vita personale, collettiva, religiosa.[13]
Assunzione del «conoscere facendo esperienza»
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Il modo con cui gli uomini entrano in contatto con la
realtà cambia lungo i secoli. Il modello conoscitivo
imperante è oggi quello scienti co, che tende alla
oggettività, all'analisi del reale in termini minuziosi di causaeffetto.
Per alcuni, questo modello è l'unico possibile ed
adeguato perché «oggettivo».
Le cose sono più complesse, perché, come ha
dimostrato l'epistemologia contemporanea, lo scienziato si
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muove entro la realtà con alcune domande precise e ad
esse cerca risposta. Lascia quindi da parte ogni altro
problema che la stessa realtà solleva: quel che non rientra
nei suoi schemi nisce per non esistere più. Secondo il
metodo scienti co si deve parlare solo di ciò che è dicibile in
termini matematici. La realtà, per lo scienziato e più in
generale per l'uomo moderno, diventa il prodotto della sua
applicazione. In questo modo ci si libera da ogni sorpresa,
da ogni sconvolgimento che può venire dall'oggetto per se
stesso.
Oggi questo sistema è in crisi. Ridurre l'oggetto solo a
ciò che è «dicibile» in termini scienti ci se da una parte
permette di capire concettualmente i fenomeni (ed elaborare
di conseguenza delle «discipline», dall'altro è un approccio
riduttivo della realtà. Perché, ci si chiede oggi, non prestare
attenzione a ciò che non è riducibile a discorsi concettuali?
Perché tacere di «ciò che non si può dire?»)
La risposta a questi interrogativi si ha accogliendo un
modo di conoscere più globale, in cui positivamente «ciò
che non si può dire si mostra».[14]
Questo mostrarsi viene da qualcuno identi cato in
termini di «mistico». «Mistico è ciò che si mostra da sé,
mostra sé soltanto, non mostra sé nella forma della
discorsività loso co-logica». Mistico è ciò che è evidente, si
impone all'attenzione del soggetto, non è prodotto dei suoi
schemi interpretativi.
Che senso ha per l'uomo, ci si chiede oggi, tacere
intorno a ciò che si mostra, a ciò che è evidente?
Dire mistico non vuole dire affatto uscire dalla realtà o
entrare nell'oscuro o tornare a concezioni sacralizzanti della
realtà. Vuol dire semplicemente «uscire da sé», fare una
esperienza che «eccede» il visibile. Non si tratta neppure di
intuire, ma semplicemente di essere in grado di riconoscere
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ciò che è evidente. «Il riconoscere del mistico è saper
vedere tutto il visibile».[15]
Un vedere che non si realizza attraverso un agire
concettuale sulla realtà, ma attraverso il movimento «verso»
e l'accoglienza di ciò che si mostra nella poesia, nell'arte,
nella corporeità, nei linguaggi simbolico-evocativi. Non c'è
un vedere l'invisibile, ma un vedere tutto il visibile. Tutti
questi linguaggi portano a entrare in contatto con la realtà
non attraverso la concettualità, ma attraverso «il fare
esperienza»: solo facendo esperienza si conosce in
profondità il reale.
Nella direzione di ciò che si mostra, che è evidente,
anche se non è dicibile in termini scienti ci, va collocato
anche l'incontro dell'uomo con Dio e va collocata la stessa
preghiera.[16]
La preghiera, vista a partire dal bisogno di conoscere
per esperienza, diventa allora un luogo privilegiato in cui Dio
si mostra, si rende evidente, non attraverso concetti astratti
e fredde verità, ma attraverso il «fare esperienza». Come
osserva Rahner, a questo punto «la persona pia di domani o
sarà un "mistico", cioè uno che ha "esperimentato"
qualcosa, o cesserà di essere pio».[17]
L'apocalissi culturale e la preghiera «dal basso» dei
giovani
Una proposta di preghiera deve in quarto luogo
assumere, in modo corretto, l'attuale apocalissi culturale,
ponendo attenzione non più al volto felice dell'uomo ma al
suo volto drammatico e carico di angoscia.
Più che l'azione oggi sono i limiti dell'azione che si
impongono. Così come s'impone l'incapacità di dare una
dimensione umana al presente, incominciando dalla
soluzione di problemi come la fame nel mondo, il rispetto
dei diritti civili, la corsa agli armamenti... L'ideologia e la
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pratica dell'impegno perdono seguaci mentre si fanno avanti
proposte che esaltano l'assenza, la non-azione, il personale
come fuga dal sociale. In che senso la preghiera deve
tenerne conto?
Bisogna accettare, oggi più di ieri, che la preghiera sia
un momento di decantazione del vissuto, di silenzio, di
rigenerazione di nuove energie vitali, di rassicurazione e
grati cazione, di esaltazione ed intensa esperienza emotiva
personale e di gruppo.
Da questo punto di vista va in qualche modo accettata
la tendenza «carismatica» di certi gruppi, il loro sentimento
di nullità dell'uomo, la loro esaltazione della potenza di Dio,
il loro recupero, se si vuole, del personale come interiorità e
comunicazione intersoggettiva, rispetto al politico e allo
strutturale.
Quali i caratteri di questa preghiera «dal basso» nei
giovani oggi?
La «parola» dei giovani è oggi carica della stanchezza
che attraversa tutta la società e più che grido è parola solo
mormorata e confusa. La preghiera dei giovani dice silenzio,
pausa, momento di gratuità assoluta, ritorno ad un mondo di
sogno, espressione ludico-fantastica. Prevale l'aspetto
statico ed estetico (la contemplazione per la
contemplazione), mentre la ricerca immediata di
grati cazione sposta continuamente i con ni, passati i quali
la dimensione etica della vita si fa nuovamente
preponderante.
C'è un bisogno intenso di ripensare (insieme alla
incapacità per molti di fermarsi), ma non nella direzione
politico-strutturale-storica di qualche anno fa, bensì in quella
etico-esistenziale-personale. Tutto questo si esprime nel
bisogno di raccontare, cantare, fare festa, gestualizzare,
fare cerchio con gli amici. Le forme si fanno più familiari,
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anche se a volte sanno di gruppo chiuso, e la meditazione
rischia l'estraniazione verso un nirvana di pace.
Q U A L E S PA Z I O P E R L A P R E G H I E R A : I L
CONTRIBUTO DELLA MEMORIA ECCLESIALE
Il cristianesimo, prima che una teoria, è una pratica
secolare di preghiera. Un complesso processo di
incarnazione ha portato lungo i secoli a riesprimere la
preghiera della prima comunità cristiana nelle nuove culture.
È sempre stato però un processo che ha incontrato
resistenze e opposizioni.
Anche oggi le dif coltà non sono poche. Queste si
possono raccogliere attorno a tre momenti del processo di
inculturazione: il momento della decodi ca, il momento della
individuazione dello speci co cristiano, il momento della
riformulazione della preghiera a misura dei giovani.
A livello di decodi ca è dif cile per alcuni distinguere
nella preghiera ciò che è speci co cristiano e ciò che è
invece frutto di una precedente inculturazione della
preghiera. Per costoro la fedeltà al Vangelo esige fedeltà ai
contenuti della preghiera del passato e ai vecchi metodi di
iniziazione. È una fedeltà statica, la tomba della preghiera,
che diventa incomprensibile ed insigni cante per le nuove
generazioni. Il momento della decodi ca è il momento della
separazione, in cui si individuano i processi culturali
sottostanti alle proposte di preghiera della tradizione.
Un secondo ordine di dif coltà si ha al momento di
precisare lo speci co della preghiera cristiana. Alcuni
riformulano la preghiera senza ri ettere a suf cienza
sull'evento che fonda la fede e quindi anche la preghiera,
cioè l'incarnazione, morte e risurrezione di Gesù e la
conseguente esperienza dei primi cristiani. Per costoro la
preghiera cristiana è una esempli cazione della preghiera in
genere, presente in tutte le culture e religioni, in base alla
quale l'uomo ricerca Dio e lo incontra in momenti e spazi
particolari (spazi e tempi cosiddetti sacri) di culto.
Una terza serie di dif coltà si ha al momento in cui ci si
impegna nella riformulazione della preghiera, attraverso
procedimenti di tipo ermeneutico, dentro l'attuale cultura.
Come non pensare che in questi anni si è sperato troppo
dalla riforma delle strutture (riti, testi, spazi) o dall'aggancio
super ciale alla esperienza dell'uomo e del giovane d'oggi?
A questo punto, prima di arrivare a delineare una
proposta di preghiera, occorre prendere atto di alcune piste
di ri essione in cui si è incamminata la comunità cristiana
sollecitata dall'evoluzione della cultura e della domanda
religiosa dei giovani: la riscoperta dello speci co della
preghiera cristiana, la puri cazione della immagine di Dio e
del linguaggio della preghiera, l'esperienza cristiana di Dio
come esperienza sacramentale, la preghiera co me
espressione e celebrazione dell'incontro con Dio nel vissuto
di ogni giorno.
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La memoria dell'esperienza evangelica di preghiera
[18]
In Gesù la preghiera è legata, più che a dei tempi e
modi espliciti, ad un atteggiamento che permea tutte le sue
giornate. «Il Nuovo Testamento non ci presenta Gesù come
il maggior orante della storia, come alcuni pensano, e
neppure come uno straordinario orante»[19]. Al di là delle
poche preghiere di Gesù tramandateci dai sinottici, è
importante notare che gli evangelisti si sforzano di
presentare la preghiera di Gesù come un atteggiamento
abituale e che Luca e Paolo propongono come elemento
caratteristico del cristianesimo la preghiera continua.
«L'espressione "pregare incessantemente" (Lc 18,1) osserva Boff citando una serie di studi ormai classici - non si
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esaurisce con il pregare in ore determinate, come era nella
tradizione giudaica dell'Antico Testamento. Anzi, al
contrario: in primo luogo si tratta della trasformazione
interiore dell'uomo, in un nuovo atteggiamento davanti a Dio
e alla imminenza del suo intervento salvi co».[20]
Il loghion tramandato da Lc 18,1 sulla necessità di
pregare senza perdersi d'animo libera la preghiera dal luogo
e dal tempo e mette l'uomo sempre di fronte a Dio, così
come indica anche la risposta di Gesù alla samaritana: «O
donna, viene l'ora che né su questo monte né a
Gerusalemme adorerete il Padre... i veri adoratori
adoreranno il Padre in Spirito e verità» (Gv 4,21-24).
Nella stessa direzione portano alcune ri essioni di
Paolo, come l'invito di 1Ts 5,1618: «Siate sempre lieti.
Pregate incessantemente. In ogni cosa rendete grazie», che
fa della letizia il modo cristiano di pregare perché «il regno
di Dio è vicino». Come viene speci cato da Col 3,17:
«Quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel
nome del Signore Gesù, come canto di grazie al Padre per
mezzo di lui». In 1Cor 10,31 Paolo è ancora più chiaro: «Sia
che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi
altra cosa, fatelo per gloria di Dio»
Tipico è il fatto che il linguaggio della preghiera («dare
gloria») viene frequentemente usato a proposito dello stile
cristiano di vita.
L'unico sacri co gradito a Dio, scrive Paolo ai Romani, è
il culto spirituale: non conformarsi alla volontà del mondo,
ma trasformarsi rinnovandosi interiormente per poter giorno
per giorno discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a
lui gradito e perfetto (Rom 12,12).
Con tutto questo non si vuole dimenticare affatto che
Gesù spesso si ritirava da solo a pregare e vegliava tutta la
notte e ci ha lasciato il Padre nostro. Anche in questo
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tuttavia mostra di staccarsi dalle forme rituali del tempio e
dal linguaggio loquace di molta preghiera giudaica. In Gesù
si attua un ritorno alla semplicità e alla preghiera continua.
Questa è del resto l'esperienza dei primi cristiani che
riconoscono di non avere né templi né sacri ci come i
pagani, anche se hanno momenti e tempi dedicati all'ascolto
della Parola di Dio e allo spezzare il pane facendo memoria
della risurrezione del Cristo. I primi cristiani sentono di non
dover invocare Dio al modo dei pagani, perché il Regno di
Dio è ormai giunto a loro.
In conclusione, si può dire che l'esperienza cristiana ha
rotto i con ni tra spazi e tempi sacri (chiese e luoghi di culto,
celebrazioni e riti) in cui si incontrerebbe Dio, e spazi e
tempi profani (la vita di ogni giorno) in cui si sarebbe lontani
da lui. Tanto nel cosiddetto sacro che nel cosiddetto
profano, è possibile un rapporto reale con Dio. Non solo è
possibile ma è anche un dato di fatto: che la vita sia luogo di
incontro con Dio non è decisione dell'uomo ma dono di Dio,
anche a chi non è consapevole di tale incontro, come
ricorda la parabola del giudizio universale in Mt 25. Ogni
uomo incontra Dio, cioè si decide a favore o contro Dio
(questa è anche una tragica possibilità), quando si pone a
servizio del prossimo o ri uta di «fare compagnia», sul
modello di Cristo, a ogni uomo.
Valgano le parole che K. Rahner ha scritto per i
sacramenti, ma che sono estendibili a tutte le forme di
preghiera: «Nella nostra vita religiosa ordinaria sebbene in
linea teorica non mettiamo in discussione ciò che ora è stato
detto (cioè che di Dio si può fare esperienza ovunque),
abbiamo sempre l'impressione che si veri chi il contrario.
Diciamo e con ragione che i sacramenti sono eventi della
grazia, e poi sentiamo aggiungere, senza protesta da parte
nostra, che fuori di questi sacramenti non c'è alcun evento
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della grazia di Dio. Ciò è fondamentalmente falso e
contrario alla verità cristiana. Noi diciamo che possiamo
rivolgerci a Dio nella preghiera, nel culto liturgico della
chiesa. Ed è vero. Ma nello stesso momento aggiungiamo
con il pensiero che se non preghiamo non abbiamo niente a
che fare con Dio. Ora questa è un'eresia».[21]
La critica dell'immagine del Dio della preghiera
Abbiamo assistito in questi anni ad una progressiva
puri cazione della immagine di Dio, sotto la spinta delle
«scienze del sospetto» e della ri essione su «il Dio di Gesù
Cristo», il Dio della Bibbia. Questo «processo a Dio» ha
coinvolto anche la preghiera.
In effetti il modo di de nire la preghiera come «quattro
chiacchere con Dio», è stato più volte messo sotto accusa,
rimettendo in gioco la domanda: ma allora cos'è preghiera?
La critica più radicale al Dio della preghiera ha portato a
negare la stessa preghiera riducendola ad un reciproco
«ricordarsi» tra fratelli e sorelle le proprie responsabilità.
A queste affermazioni esasperate è da riconoscere di
aver fatto proprio il «silenzio di Dio» che segna la teologia di
questi anni e prima ancora il vissuto degli uomini. Dio,
proprio quando storia della salvezza e storia dell'uomo sono
state percepite maggiormente come un continuum, si è fatto
in un certo senso più misterioso, ineffabile, silenzioso.
L'immagine di Dio che oggi ci è più familiare non è forse
quella di un Dio che sfugge alle de nizioni dell'uomo e alle
sue stesse invocazioni? Che senso ha allora considerarlo
un «tu» nella preghiera? Non è una forma di antiquato
antropomor smo?
Il Dio della preghiera è una realtà immediata, concreta,
viva, ovvia. Diciamo: «Tu» «Padre nostro»: gli parliamo, lo
chiamiamo, gli diciamo grazie, gli raccontiamo le nostre
preoccupazioni... Ha senso questo linguaggio?
Tutto ciò è più che legittimo, osserva Rahner, ma
presuppone di aver recepito (e non sempre accade) la
distinzione tra i diritti del linguaggio della preghiera e i diritti
dell'alterità ed ineffabilità di Dio, il quale non può in alcun
modo essere costatato e veri cato perché non è in un punto
determinato delle nostre esperienze e si sottrae
continuamente ai nostri calcoli.
Secondo Rahner anzi la preghiera può nascere solo
dentro l'esperienza della ineffabilità di Dio e della propria
vita: «In ultima analisi si prega solo se si comprende il
silenzio nel quale restiamo muti, non sappiamo più nulla, nel
quale si forma tra noi e intorno a noi, solo un deserto in nito
ed il vuoto dell'essere-accetti-a-se-stessi. Se ci si rende
conto gradualmente di tutto ciò che si ha il coraggio di dire:
"Padre nostro" verso questo silenzio che quasi ci ingoia,
allora a mio avviso, ci sottraiamo a quanto toglie agli uomini
d'oggi il coraggio di pregare e cogliamo l'essenza autentica
della preghiera»[22].
L'esperienza cristiana di Dio come esperienza
sacramentale
L'attuale tendenza a parlare di Dio in termini di
ineffabilità e di silenzio va contemperata con una ri essione
sulla esperienza cristiana di Dio come «esperienza
sacramentale».
A partire da una rinnovata comprensione sul mistero
dell'incarnazione, in cui il Figlio di Dio che si fa uomo
assume l'umano in quanto umano per farne il luogo in cui
fare esperienza della divinità, oggi si mette sempre più in
risalto la struttura «sacramentale» della salvezza. La
salvezza cristiana è cioè esperienza di Dio vissuta
sacramentalmente nella storia.
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Diversi usi del termine
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Per comprendere in che senso si parla di esperienza
sacramentale di Dio, occorre distinguere tra quattro usi del
termine sacramento.
L'uso cristiano del termine lo si può spiegare infatti solo
alla luce di un contesto vasto in cui si parla, oltre che di
sacramentalità difusa anche di sacramento originario e
fondante (il Cristo) e di sacramentalità derivata (quella che
coinvolge le realtà umane come sacramento di Dio).
A sua volta all'interno della sacramentalità derivata si
può distinguere tra sacramentalità diffusa (si parla allora
dell'esperienza storica e del fratello come sacramenti di Dio)
e sacramentalità concentrata (quella che si vive nelle azioni
celebrative e, più generale, nella preghiera).
Il cristianesimo è una religione storica, nel senso che
riconosce che in alcuni eventi segnati dallo spazio e dal
tempo, Dio si è fatto vicino in modo unico e de nitivo
all'uomo. Questi fatti storici sono la storia del popolo di
Israele e la storia di Gesù di Nazaret.
Il credente riconosce nella storia del popolo di Israele da
Abramo a Mosè, da Isaia ad Osea il luogo sacramentale
privilegiato del dialogo tra Dio e l'umanità. Questo dialogo
storico, in cui Dio si fa presente in mezzo agli uomini,
assurge a livelli impensabili e insperati in Gesù di Nazaret.
In lui la fede riconosce la massima ricerca di Dio da parte
dell'uomo e l'evento unico ed irripetibile della autocomunicazione di Dio all'uomo.
Gesù si presenta così come il sacramento ultimo e
de nitivo dell'incontro tra Dio e l'uomo, e come appunto il
sacramento «originario» dal quale trae forza ogni altro
sacramento.
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A partire da Gesù la «lettura sacramentale» della realtà
umana acquista un signi cato nuovo, legato all'autocomunicazione di Dio nella storia.
Da allora ci sono altri eventi, situazioni e persone in cui
la presenza di Dio si fa particolarmente vicina.
Cristo Gesù ha rivelato, in primo luogo, che la
dimensione sacramentale è costituita da tutto ciò che è
umano: ogni uomo per dono di Dio è sacramento di incontro
con Dio. L'uomo assume così per l'altro uomo una dignità
ed una valenza che possiamo de nire divina, non per
conquista «dal basso» ma come «dono dall'alto» che tutto
anima nella forza dello Spirito. Rifacendosi al giudizio
universale di Mt 25 si può dire che ovunque un uomo
compie il suo dovere verso il prossimo con libertà
responsabile e si mostra nei suoi riguardi disinteressato,
forte, fedele, onesto, egli fa esperienza di Dio attraverso il
sacramento del prossimo. Non solo, la stessa accettazione
di sé è luogo di esperienza di Dio: «l'uomo--scrive Rahner -è radicalmente convalidato (nel mistero dell'incarnazione) e
con ciò assolutamente autorizzato ad assumere la sua
natura con tutto ciò che essa racchiude, perché se essa è
assunta così incondizionatamente come esiste in realtà,
allora Dio stesso viene accolto».[23]
Non solo ogni uomo, ma tutta l'umanità e la stessa
storia hanno, in secondo luogo, una valenza sacramentale,
perché in loro si sta facendo faticosamente il Regno di Dio,
il disegno misterioso di salvezza che Dio sta realizzando nel
profondo della storia e nel cuore della umanità, vincendo,
con la collaborazione dell'uomo, ogni forma di male e
peccato.
In terzo luogo, a partire da Cristo acquistano un rilievo
particolare coloro che, anche senza saperlo, incarnano in
modo privilegiato le Beatitudini. Tutti gli uomini di buona
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volontà sono i santi del nuovo mondo, tutti quelli che sono
morti per la costruzione della città terrena. Nella loro
esperienza la vicinanza di Dio all'umanità si fa più
immediata e viva.
La dimensione sacramentale assume ulteriori e più
intense tonalità quando si ha a che fare e si è parte della
chiesa, cioè della comunità di uomini e donne che nel nome
di Gesù rendono conto della speranza in un futuro migliore,
sono appassionati alla vita nella forza che viene loro dal
Signore della vita, confessano che lo Spirito di Dio è attivo
in modo particolare tra loro ed è presente nel mondo e nel
cuore degli uomini di buona volontà.
Dentro la Chiesa, sacramento di Dio e del Cristo morto
e risorto, alcune azioni, soggetti, situazioni sono a loro volta
luogo di «sacramentalità concentrata». Sono i sette
sacramenti, la parola di Dio, i santi, la comunità, i momenti
di preghiera, il gratuito amarsi nel nome di Cristo e il
condividere la causa del Regno di Dio.
Si parla di sacramentalità concentrata perché in quelle
situazioni, da un punto di vista antropologico si tratta di
«punti nodali» dell'esserci dell'uomo e quindi luogo di
decisiva autorealizzazione dell'uomo, e da un punto di vista
cristiano sono eventi che attualizzano ef cacemente l'autocomunicazione di Dio all'uomo.[24]
Sacramentalità: un processo per trasparenza
Che signi ca «visione sacramentale» e incontro
sacramentale con Dio? Come avviene?
Quello che cambia è la prospettiva con cui si osserva
ogni cosa, che non viene vista più dal di fuori (visione
scienti ca: un oggetto analizzato in quanto è oggetto, al di là
della relazione positiva che l'uomo è in grado di stabilire con
esso), ma dal di dentro (visione simbolica o sacramentale).
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Osserva L. Boff: «Quando guardo la cosa dal di dentro
non mi concentro su di essa, ma sul valore e sul signi cato
che acquista per me. Non è più cosa, ma si trasforma in
simbolo, in segnale che evoca, provoca, convoca verso
situazioni e reminiscenze e verso il signi cato che in essa si
incarna ed esprime».[25]
Tutte le cose così accostate e vissute parlano in fondo
del mistero dell'uomo.
E parlano del mistero dell'uomo davanti a Dio,
attraverso appunto un processo di «trasparenza» delle cose
e del vissuto. «Il mondo non è soltanto diviso in immanenza
e trascendenza. Esiste un'altra categoria intermedia, la
trasparenza, che accoglie in sé sia l'immanenza che la
trascendenza. Queste ultime non sono realtà opposte. Una
di fronte all'altra. Che si escludono. Ma sono realtà
comunicanti e che si incontrano. Esse si permeano, si
congiungono, si combinano, si consociano, si collegano, si
concatenano, si comunicano e convivono una nell'altra.
Trasparenza signi ca esattamente questo: il trascendente
diventa presente nell'immanente, facendo sì che questi
diventi trasparente per la realtà di quello. Il trascendente
irrompendo nell'immanente tras gura l'immanente. Lo
trasforma in trasparente».[26]
Comprendere tutto ciò è comprendere il pensiero
sacramentale e la struttura del sacramento. Non
comprenderlo signi ca non comprendere niente del mondo
dei simboli e dei sacramenti.
«Il sacramento (trasparenza) è parte di due mondi: del
trascendente e dell'immanente. Tutto ciò non è senza
tensioni e tentazioni. Il sacramento può farsi immanente
escludendo la trascendenza. Allora diventa opaco: senza lo
splendore della trascendenza che tras gura il peso della
materia. Il sacramento può farsi trascendente, escludendo
l'immanenza. Allora diventa astratto. Perde la concretezza
che l'immanenza conferisce alla trascendenza. In tutti e due
i casi si è perduta la trasparenza delle cose. Si è corrotto il
sacramento».[27]
Preghiera come espressione e celebrazione
dell'esperienza di Dio nel quotidiano
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Se non si vuole misconoscere la originalità del
cristianesimo occorre non solo affermare la priorità
dell'esperienza di Dio nel quotidiano, ma anche ride nire la
preghiera sulla base di tale esperienza.
Certe affermazioni, compresa quella conciliare sulla
liturgia come «il culmine verso cui tende l'azione della
chiesa, ed insieme la fonte da cui promana tutta la sua
virtù» (SC 10), vanno correttamente intese. La liturgia, come
la preghiera, non ha il monopolio della grazia, cioè
dell'incontro con Dio. Da sempre la tradizione teologica ha
affermato che l'effetto del sacramento, cioè l'introdurre
l'uomo nella visio Dei, si può raggiungere in maniera
radicale nella nostra vita anche quando non c'è sacramento
alcuno.
Più volte si è parlato della dif coltà dell'uomo d'oggi nel
trovare uno spazio per la preghiera, proprio per il fatto che si
sente, nella vita di ogni giorno, già davanti a Dio. Proprio per
accogliere questa intuizione e superare i comprensibili
ostacoli è allora importante ride nire preghiera e liturgia
nella direzione di espressione, rappresentazione memoriale,
celebrazione della presenza di Dio nella storia e nella vita di
ogni uomo. Per molti soprattutto giovani, è forse l'unica
possibilità per trovare signi cativa la preghiera e per arrivare
poi a speci carne il ruolo insostituibile nella propria vita di
cristiano e prima ancora di uomo.
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«Di solito - scrive Rahner - difendiamo la liturgia come
luogo della presenza di Dio, il tempio di Dio, il santo dei
santi in cui veniamo colmati di grazia, per poi passare
naturalmente a santi care il mondo e permearlo di grazia.
questa una prospettiva del tutto legittima; in essa possiamo
cogliere il rapporto tra liturgia e azione nel mondo. Però, a
mio avviso, possiamo prendere in considerazione anche la
prospettiva contraria (...). Se il cristiano (nella sua vita
quotidiana) vive in se stesso realmente il destino del mondo,
ed all'esterno, abbracciando tutto il mondo e tutta la storia
dell'umanità, fa suo il reale destino (si può veramente dire
così) di Dio, della sua auto-comunicazione, della sua grazia,
di Gesù stesso, il quale secondo Mt 25 è presente in ogni
fratello ed in ogni sorella; se egli entra con questo
atteggiamento nel tempio della liturgia e celebra il mistero in
cui viene annunciata la morte del Signore, sperimenta
interiormente come ciò che si realizza nella cena eucaristica
non costituisce propriamente una sfera sacrale in cui l'uomo
si inserisce lasciando un mondo profano, ma è un evento in
cui tutto ciò che viviamo nel mondo cosiddetto profano
perviene, in maniera culminante, - e forse persino bella ed
emozionante -, all'immediata auto-donazione.[28]
Al termine del cammino percorso è pure possibile
tentare una de nizione ampia che includa non solo «le
preghiere» ma anche «la preghiera». Si può dire che
preghiera è tutto ciò che immette l'uomo in un'esperienza
signi cativa della sua esistenza davanti a Dio ed in
un'esperienza di Dio signi cativa per la sua vita di ogni
giorno. La distinzione tra «le preghiere» e «la preghiera» è
sempre stata presente nella tradizione cristiana; ma troppo
spesso la si è lasciata nella penombra. Oggi la distinzione si
fa nuovamente urgente. Si parla appunto di preghieraatteggiamento e di preghiera-esercizio.
Proprio perché molti educatori hanno confuso
l'educazione alla preghiera con la spiegazione delle
«tecniche», e perché soprattutto non sempre essi trovano
modo di educare quel «fondo esistenziale» da cui nascono
anche le preghiere, «va affermato con forza che la
preghiera è uno stato, un abito, un atteggiamento
esistenziale, un modo di essere, una vita. Come non si può
confondere l'amore con le manifestazioni in cui si esprime,
come non confondiamo la fede con le professioni di fede,
così non possiamo confondere la preghiera con le sue
emergenze espressive».[29] «Non c'è un luogo per credere,
non c'è un luogo per rendere culto a Dio: c'è un uomo che
con il suo stesso essere, crede o non crede, prega o non
prega, dovunque o in nessun luogo».[30]
QUAL È ALLORA L'OBIETTIVO?
A questo punto ci si può chiedere quale possa essere
l'obiettivo di un'educazione alla preghiera.
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La «ricerca di vita» come spazio entro cui pensare
l'obiettivo
La prima domanda è: dove il giovane e il cristiano
possono giocare insieme per scoprire la preghiera? Dov'è il
terreno di gioco, in cui anche il parlare di preghiera è
comprensibile e signi cativo per il giovane d'oggi?
In un mondo sacrale e religioso situare la preghiera era
abbastanza facile, perché Dio era sperimentato come l'unica
realtà che veramente contava nella vita. In una vita ritenuta
per molti versi irrilevante («valle di lacrime»), si imponeva lo
slogan: «Solo tu, Signore, sei la mia vita». E oggi? Non è
che all'uomo d'oggi sia indifferente Dio. Semplicemente è al
di fuori, almeno normalmente, di una visione sacrale della
vita. L'uomo oggi non è disposto a dare scarso valore alla
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sua esperienza storica, anche quando questa è negativa o
tragica.
Ora nell'attaccamento dell'uomo alla vita sembra
possibile trovare un campo in cui «giocare» insieme. In che
senso?
Siamo in un momento di trapasso culturale, in cui,
cadute molte sicurezze, l'uomo si aggrappa in modo istintivo
e a volte irrazionale al desiderio di vivere, per riscoprire in
un contatto «globale» con le cose, gli altri, le vicende
quotidiane, una nuova identità ed una nuova responsabilità.
Si può parlare di Dio e della preghiera solo se la
proposta accoglie questo desiderio, lo puri ca, lo libera e lo
esalta no al punto che Dio si rivela come colui che anima il
desiderio di vita.
Di conseguenza, il luogo privilegiato in cui proporre la
preghiera sembra essere il desiderio di vita. Su questo
terreno la propostapreghiera può diventare comprensibile e
signi cativa.
Può, c'è da chiedersi a questo punto, il cristiano
scendere sul terreno più congeniale all'uomo d'oggi e
parlare di vita e di amore alla vita, di Dio e della preghiera?
La risposta è positiva.
L'accoglienza della vita non può essere tuttavia solo
strumentale, di comodo. Non può esser ridotta ad una
verniciatura del linguaggio per trovare nuovi slogan ad
effetto. Si tratta invece di fare proprio, con serietà, lo slogan
di sant'lreneo: «la gloria di Dio è l'uomo vivente, ma la
felicità dell'uomo è la visione di Dio».
Come ridire oggi questo distico di Ireneo? Da una parte
la grande affermazione: «Dio è felice se l'uomo è felice».
Detto in un tempo in cui la vita è minacciata di distruzione
da più parti, questa affermazione ha un sapore particolare.
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Non si vuole fare del vitalismo inutile né essere alla
moda, ma piuttosto prendere atto d'una grande esperienza
del cristianesimo (Dio ha assunto la vita dell'uomo perché
l'uomo assumesse la vita di Dio) in un momento in cui
sarebbe più scontato abbandonarsi al pessimismo, alla crisi
di speranza, e attuare una fuga dalla vita rifugiandosi in
zone e tempi di salvezza religiosa.
La seconda parte della frase di Ireneo è la meno
conosciuta: «la felicità dell'uomo è la visione di Dio».
La nostra epoca ha, per alcuni versi, dimenticato Dio,
come punto di riferimento concreto per la vita e la felicità.
Ecco allora il bisogno di ridare una «buona notizia»
all'uomo: l'uomo ha una vocazione che trova il suo
compimento quando riesce a radicarsi nell'Assoluto. Solo
allora e' felice.
Ma quando si radica in Dio? Ri ettendo su Mt 25 e testi
simili della Bibbia si è ricordato che ad ogni uomo è offerta
la possibilità di radicarsi in Dio che incontra nei vari
sacramenti della vita, compresa la sua esistenza.
E tuttavia Ireneo lascia intuire che la felicità ha
compimento quando l'uomo è consapevole della sua
vocazione alla visione di Dio, da realizzare non
abbandonando la sua felicità ma scendendo in profondità
dentro il mistero dell'uomo e della storia del bene e del
male, del peccato e della salvezza: in una parola, dentro la
vita.
L'obiettivo e i suoi vari livelli
Come enunciare allora l'obiettivo di una educazione dei
giovani alla preghiera?
Lo presentiamo in modo globale e poi lo descriviamo
nelle sue parti. Obiettivo generale di una educazione dei
giovani alla preghiera è riscoprire con i giovani la passione
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per la vita no a «confessare» che Gesù è il Signore della
vita.
La formulazione dell'obiettivo ha una chiara intonazione
educativa. Non si dice che i giovani hanno una passione per
la vita, che invece è da riscoprire. In altre parole, se è vero
che l'aggrapparsi alla vita è una strategia che i giovani
mettono in atto per venire fuori dalla crisi o per lo meno per
trovare le forze per attraversare il deserto, è anche vero che
non sembra esserci suf ciente passione per la vita. Il
desiderio di vivere spesso si dissolve in piccoli gesti
inconcludenti.
Nella riscoperta della passione della vita non sono
coinvolti solo i giovani ma anche gli educatori. La riscoperta
riguarda il loro stile di vita e di mettersi in relazione con Dio.
La spiritualità di molti educatori in fondo nega la vita e la
possibilità di vedere nell'amore alla vita lo spazio per
un'esperienza religiosa.
Cosa s'intende per passione per la vita? Il termine lascia
intuire livelli diversi.
La ricerca di una nuova qualità di vita è la ricerca di
nuovi valori attorno ai quali riformulare la propria identità sul
piano etico, politico, strutturale. Ma si apre anche a livello
esistenziale e religioso. La ricerca di vita contiene più
domande e risposte di quello che sembra a prima vista,
quasi un nuovo assoluto entro cui de nire il destino ultimo
dell'uomo. Attiva infatti un processo di evoluzione profonda,
di taglio esistenziale, che si apre dal di dentro all'universo
religioso. Questa non è solo una costatazione, ma anche e
soprattutto un'interpretazione ed una scommessa educativa
sul mondo giovanile.
In effetti ci sono occasioni ed esperienze in cui la
domanda di vita si fa domanda religiosa, cioè di presenza
reciproca tra il mistero dell'uomo ed il mistero di Dio. L'uomo
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scopre che la vita non è racchiudibile in se stessa e che la
dimensione ultima del desiderio di vivere è il desiderio di
Dio, e il termine ultimo dell'amore per la vita è l'amore per
Dio. Tutto questo attraverso una ricerca faticosa, convulsa,
contraddittoria.
L'approccio a Dio può essere allora proposto e
consolidato nella visuale del desiderio e della felicità.
L'uomo si scopre macchina desiderante e afferra che solo
un desiderio in qualche modo aperto al trascendente lo può
soddisfare. L'uomo si rende conto che la vita è piena solo se
vissuta in rapporto con dei dati trascendenti, siano essi
l'amore, la libertà, il rischio e la scommessa per una vita
morale che non ha altro fondamento assoluto che se stessa.
C'e allora nella passione per la vita un livello eticopolitico che risponde al bisogno di darsi uno stile di vita
soddisfacente; un livello esistenziale che risponde al
bisogno di darsi una identità sul piano esistenziale no a
cogliere se stessi come proiettati sull'Assoluto; un livello
religioso a cui la vita si apre dal di dentro al dialogo
misterioso con l'Assoluto e da questo dialogo riceve la
consapevolezza che la felicità è il destino ultimo dell'uomo.
C'è in ne un livello esplicitamente cristiano che offre, a
colui che cerca un senso per la vita, una «buona notizia»,
quella del Cristo che nella risurrezione ha vinto la morte per
sempre e ha deposto nel più profondo del cuore dell'uomo
la festa. La fede cristiana si pone dunque come rivelazione
del senso ultimo della passione per la vita e si pone in un
contesto che non è più quello della conquista ma del dono,
non è più quello del ripiegamento su se stessi ma della
apertura totale al «Signore della vita».
Dire che Dio è Signore della vita è dire che è il creatore
dell'uomo, che ha deposto in lui il desiderio di vita, ed anche
il salvatore che in Gesù si è assunto il peso di salvare e
«garantire» la realizzazione ultima della vita.
Confessare che Gesù è il Signore della vita e proporre
la preghiera in un simile contesto è una scelta diversa dal
proporla come incontro con la Vita, una volta che si è usciti
dalla vita. Nel ri uto della vita di ogni giorno. ben diverso in
altre parole affermare: «Signore, tu solo sei la vita!» e
affermare: «Tu sei, Signore, il Dio della vita».
Rimane da precisare il senso da dare al verbo
«confessare».
La confessione che Gesù è il Signore della vita si
realizza anzitutto nel fare propria la sua scelta di
incarnazione nell'umano per viverlo come luogo di salvezza
e comunione con Dio. La confessione a cui il cristiano è
chiamato è una confessione nella vita, nel dare
testimonianza della sua fede, speranza e carità. A questo
compito non è tuttavia chiamato solo il cristiano. piuttosto la
vocazione di ogni uomo che nel fratello affamato o assetato
è provocato ad entrare in comunione misteriosa con Dio.
Il compito del cristiano va allora ulteriormente
speci cato.
Egli è chiamato a proclamare il Signore della vita. Ogni
uomo è «più uomo» quando è capace di chiamare per nome
la vita in tutta la sua ricchezza. Nella preghiera egli
confessa in modo sempre più consapevole che chi anima il
desiderio di vita è il Dio che ha voluto essere vicino
all'uomo, fare strada con lui, aprirsi alla comunione con lui.
In quel momento l'uomo vive un momento privilegiato della
sua felicità, vive la vita ad un livello insperato.
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Le grandi tappe verso l'obiettivo generale
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Si è parlato della passione per la vita e della
confessione che Gesù è il Signore della vita come punto di
arrivo di un cammino educativo in cui entrano l'educazione
umana e cristiana nel loro insieme. L'educazione alla
preghiera non è a se stante, ma un aspetto del processo
globale di crescita del giovane.
A quali condizioni il cammino globale di educazione
umana e cristiana matura anche la capacità di preghiera? In
altre parole, come l'obiettivo di una educazione alla
preghiera può illuminare il processo di crescita umana e
cristiana?
La convergenza dei vari processi educativi si ha nel
de nire le grandi campate del ponte che si intende gettare
tra la situazione del giovane, con tutte le sue speranze e
contraddizioni, e l'obietivo generale appena descritto.
Indichiamo alcune di queste grandi dimensioni in cui
viene a speci carsi l'obiettivo, osservando subito che sono
disposte secondo un ordine logico, ma che nella realtà
educativa possono essere raggiunte con un ordine diverso.
Non si tratta, in altre parole, di percorrere una strada in cui
una tappa viene dopo l'altra, ma di un percorso a reticolato
in cui le linee si intersecano quasi delle gallerie sotterranee.
Si arriva al termine del cammino quando le diverse gallerie
sono state percorse e collegate insieme.
Vediamo allora quali possono essere le linee. Le
elenchiamo senza svilupparle, come invece sarebbe
opportuno.
- Scoprire che si è vivi e che nella reale situazione in cui
è, si può accogliere la vita, si può dire «sì alla vita».
- Scoprire che la vita dipende da se stessi e che la si
può «inventare» in modo originale rispetto al modo con cui
gli altri la vivono e che lo si può fare in modo attivo e
responsabile.
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- Fare i conti con il fatto che la vita ci è data, è un dono
misterioso che attraversa ogni uomo e che sollecita alla
ricerca del donatore, del fondamento ultimo.
- Rendersi conto che la vita che si vive non è
racchiudibile in nessun schema, ideologia, pretesa di
capirla: essa è così ricca che i suoi con ni sfuggono, sono
misteriosi.
- Scoprire che la vita è più grande della «mia» vita: essa
scorre negli altri che sono altrettanto vivi,
emblematicamente vivi in modo autonomo rispetto a me,
alle mie attese, al mio desiderio di possesso. La vita che è
negli altri è da accogliere, senza alcuna
strumentalizzazione.
- Sperimentare senza angoscia il limite che la vita si
porta dentro: è vita che nisce, almeno a prima vista, anche
se grande e profondo è il desiderio di vivere per sempre. La
vita ha dei limiti invalicabili.
- Sperimentare anche che la vita è minacciata: da se
stessi, dagli altri, dalla società, dalla stessa natura e che
quindi si fa invocazione di salvezza, desiderio di garanzia
assoluta. Sperimentare, in altre parole, che la vita è sotto il
segno del peccato.
- Fare esperienza che la vita è così ricca che scon na in
un mondo nella cui direzione parla di Dio: in lui siamo nati,
siamo immersi, viviamo: vivere è camminare davanti a Dio.
- utrire la consapevolezza che Dio partecipa alla
avventura della mia vita: non solo perché sono al mondo ma
perché partecipa del mio desiderio di vivere che è
profondamente radicato, anzi viene da lui. Dio non è nemico
della vita, ma l'anima profonda della vita dell'uomo.
- Accogliere la buona notizia dei cristiani che Dio non
solo ci ha creato, ma ha voluto essere uno dei nostri: ha
camminato, mangiato, vissuto come uno di noi. Ha lottato a
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4. La proposta: contemplazione nel quotidiano,
meditazione, celebrazione
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anco di chi non aveva vita no a restituire la salute, la
forza, la voglia di vivere, la vita stessa.
- Accogliere il racconto della morte e risurrezione di
Gesù come il racconto che illumina la vita di una profondità
insperata: la vita, anche se dovrà subire lo sconcerto della
morte, è più grande della morte.
- Accogliere la buona notizia che il Regno di Dio è in
mezzo a noi e che a chi vive da «uomo» è promesso un
Regno, n dal presente, in cui non ci saranno più né
lacrime, né sconforto, né sofferenza, né morte.
- Dire sì alla vita ispirandosi a Gesù di Nazareth, ai suoi
valori è un modo affascinante di vivere, di sperimentare la
felicità n da questa terra. Vivere per la causa del Regno,
per la quale è vissuto Gesù, è il modo «più umano» di
accogliere la vita.
- Vivere la vita non è un'esperienza profonda se non nel
momento in cui ognuno si raccoglie nel suo intimo e
confessa che Gesù è il Signore della vita, colui che anima
dal di dentro la voglia di vivere in ogni uomo.
Nel momento della confessione (personale e
comunitaria) esplicita, in cui accogliendo se stessi si
accoglie il Signore della vita, l'uomo raggiunge uno dei
momenti più esaltanti della sua esistenza.
La preghiera, l'eucaristia, la meditazione delle «mirabilia
Dei» sono un momento di festa e felicità.
- Cristiano è colui che, consapevole del Signore della
vita, partecipa della sua missione: annuncia la vita là dove
essa è presente, rivela la sua dimensione «divina» e lo fa
partecipando con ogni uomo di buona volontà a «costruire
la vita» nel mondo d'oggi.
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Le ri essioni sull'obiettivo generale hanno portato da
una parte a dare importanza all'esperienza di Dio nella
passione per la vita e dall'altra a ride nire la preghiera
tenendo conto di tale esperienza.
In che cosa può consistere, a questo punto, la proposta
di preghiera con i giovani? In che direzione fare delle
proposte?
La proposta implica lo sviluppo di un processo in cui
entrano tre grosse modalità di preghiera, tra loro in
continuità ma anche diverse: la contemplazione nel
quotidiano, la meditazione, la celebrazione.
Attorno a queste tre modalità viene in qualche modo a
coagularsi ogni ulteriore proposta, da studiare in situazione,
tenendo cioè conto della età dei giovani, dell'ambiente della
proposta (parrocchia, scuola di ispirazione cristiana, centro
o gruppo giovanile, casa di spiritualità...), e del contesto
culturale e religioso.
Vengono indicate più che delle pratiche, tre
orientamenti, alla luce dei quali ritagliare le proposte. Nel
farlo, si uni cano le conoscenze, gli atteggiamenti e i
comportamenti per una preghiera a misura delle nuove
generazioni.
La presentazione delle tre modalità di preghiera
sottolinea due punti di vista precisi: il punto di vista del
soggetto che contempla, medita e celebra (più che la
descrizione oggettiva delle tre modalità di preghiera); il
punto di vista del vissuto personale e collettivo. Ancora una
volta: una preghiera compresa e formulata a partire
dall'incontro, nei meandri della storia, del Dio che si è fatto
uomo in Gesù Cristo.
LA CONTEMPLAZIONE NEL QUOTIDIANO
La contemplazione come attività umana
Una precisazione anzitutto sul termine contemplazione.
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Prima che attività del cristiano la contemplazione è
attività dell'uomo. A prima vista «ci dà l'idea di una visione
globale, di una pluralità che si può abbracciare,
comprendere in un solo sguardo. Ci dà l'idea di uno sguardo
profondo che afferra la realtà nelle sue radici, l'idea che si
esprime nella parola insight. «Ci dà l'idea di un lungo
indugio sulla realtà per vederla completamente, senza
perdere nessun dettaglio» (31).[31]
La contemplazione è un bisogno dell'uomo: il bisogno
appunto di fare unità, di mettere insieme e organizzare la
realtà. Il suo opposto è la dispersione, la super cialità, la
confusione.
Diversi sono i livelli e i modi con cui l'uomo contempla.
[32] Esiste anzitutto una contemplazione religiosa, cioè di
esperienza di sé e del mondo davanti a Dio, e questo, pur in
modi molto diversi, presso tutte le culture.
Esiste in secondo luogo una contemplazione
psicologica, quando l'uomo ha progressivamente o
improvvisamente un'esatta percezione del suo sé e della
sua presenza nel contesto degli altri e del mondo. Esiste in
terzo luogo una contemplazione loso ca, cioè la presa di
coscienza di un principio uni catore-esplicatore della realtà.
Esiste in ne una contemplazione artistico-estetica, quando
con un'intuizione poetica o un'immagine pittorica si coglie in
profondità il senso della vita come bellezza.
In realtà tutte queste espressioni contemplative sono da
ricondurre al centro dell'io, dove tutte si ritrovano e si
richiamano a vicenda. Dove c'è l'una, in fondo ci sono
anche le altre.
Nell'ambito strettamente religioso occorre distinguere
due grosse vie contemplative. Nella prima l'uomo tende al
distacco dalla vita, all'annullamento del presente, ad un
atteggiamento a-storico, no a che soggetto ed oggetto, Dio
e uomo, si ritrovano in un'atmosfera trascendentale.
Nella seconda invece l'uomo tende ad assumere
progressivamente nel suo io tutta la realtà, la storia, il
mondo, le cose, gli altri, per ritrovarvi una unità profonda nel
rapporto con il trascendente.
La contemplazione cristiana come «passione per il
Regno»
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Di che tipo è la contemplazione evangelica?
Sulla base dell'lncarnazione è possibile dire che la
contemplazione cristiana è di natura sua contemplazione
«storica», che non rifugge dal presente ma lo assume e lo
vuole capire no in fondo, come luogo di «visio Dei» .
Aggiungiamo qualche ri essione per superare rischi di
interpretazioni psicologiste e intellettualiste.
La contemplazione cristiana non dice anzitutto passività,
ma attività. E non dice intellettualismo ma passione vitale,
esistenziale.
La contemplazione cristiana pone infatti al suo centro il
Regno di Dio, la sua venuta nella storia in Cristo. Al centro
più che la stessa persona di Gesù sta la causa in cui egli si
è identi cato. In effetti «non si può fare un'esperienza di
Gesù senza assumere la sua problematica, o meglio la sua
ragion d'essere. Contemplazione nel linguaggio evangelico
vuol dire assumere come unico e esclusivo il piano di Gesù,
al punto che questo ideale faccia sparire inghiottite da un
grande passione, tutte le aspirazioni, tutti i desideri, tutto ciò
che si presenti come estraneo al piano del regno, alla
personalità di Cristo che si identi ca con il regno».[33]
La contemplazione come assoluta dedizione al regno,
come «pazzia» per cui ha senso vendere tutto (Mt 13), non
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è un'attività intellettuale o per intellettuali soltanto, da
esercitare magari nei momenti di pausa, lontano dai rumori,
isolati dal mondo, ma un modo di vivere, a cui i piccoli e i
poveri sono particolarmente predisposti, mentre non è dato
ai sapienti e ai dotti (Lc 10,21).
La vera condizione della contemplazione non è allora la
capacità di parola e nemmeno la capacità di silenzio o altra
disposizione psicologica ma è la pratica delle beatitudini.
Scrive Paoli: «Per me la condizione della preghiera non è
tanto il silenzio o una certa comunità di silenzio e di spazio;
la condizione della preghiera è portare la sofferenza dei
poveri e portare questa sofferenza a Dio».[34]
I tre «momenti» del quotidiano: trasformazione,
ri essione, contemplazione
In che senso si parla di «contemplazione nel
quotidiano»?
Nel quotidiano (si preferisce questo termine a prassi,
perché permette un esplicito riferimento non solo al politico
ma anche al personale) si possono distinguere tre momenti:
un momento di trasformazione, un momento di ri essione
ed un momento di contemplazione.[35]
Il primo momento trasformativo è quello che viene
comunemente identi cato con l'azione nel suo farsi pratico
ed operativo: lavoro, vita familiare, impegno politico, vita con
gli amici...
Il secondo momento è quello ri essivo. L'attività pratica
rimane allo stato grezzo ed in qualche modo disumana, se
non si esprime in un'attività teorica che sappia situare ed
interpretare, da un punto di vista scienti co-tecnico-storico, i
fatti nel loro succedersi super cialmente senza senso e
nalità, e sappia progettare ulteriori interventi ricercando gli
strumenti più adatti. Senza la ri essione l'uomo è
depauperato delle sue energie e della sua stessa identità,
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che tuttavia non è pienamente de nita nché non si passa
ad un momento successivo, quello contemplativo
L'uomo entra nel momento contemplativo quando sia
l'attività trasformativa che quella teorica vengono assunte in
un orizzonte di senso umano e religioso. «Momento
irriducibile agli altri due e che non appare "in fondo" come
conseguenza di quelli, ma che permea e modi ca n
dall'inizio tanto il senso della pratica che della teoria».[36]
I rischi di una riduzione della contemplazione agli altri
due momenti non vanno nascosti. «Il momento
contemplativo, mentre avviene "nella" prassi, non si riduce
né si confonde con i momenti trasformativi e teorici. Tuttavia
questo non deve prendersi nel senso secondo cui "si
aggiunge" semplicemente a questi due momenti (...). Sia
l'azione sia la ri essione sono in uenzate dalla dimensione
contemplativa, così come questa lo è da quelle. Non si tratta
di parti che si aggregano ma di momenti in un tutto
organico)[37]. Quale l'apporto della contemplazione agli altri
due momenti, perché si possa parlare di rapporto circolare?
La dimensione contemplativa condiziona anzitutto quella
pratica, no al punto da riconoscere come ambigua ogni
attività che non sgorga in qualche modo da una
contemplazione. La contemplazione approfondisce anzitutto
la motivazione all'azione. Così, per un cristiano, nell'azione
non è solo in gioco la trasformazione della società, ma lo
stesso regno di Dio. La dimensione contemplativa non
condiziona solo «il perché» della trasformazione, ma anche
il « n dove». «Se il Cristo si identi ca con il più piccolo, con
il depauperato, con l'infermo, con l'affamato, il nostro
incontro contemplativo con lui non ci pone in un
osservatorio "neutrale"; è necessario che assumiamo una
posizione a favore dei più deboli».[38] Ciò implica un nuovo
modello di sviluppo, una nuova concezione di ordine
sociale, in cui, ad esempio, non si tratta più di cambiare le
cose «in bene cio» degli emarginati, ma «con» essi, «dal»
loro mondo. Insieme al momento pratico resta condizionato
anche il momento teorico. «Se è vero che gli strumenti
scienti ci, il loro metodo, la loro concezione della
"razionalità" sono condizionati dal progetto storico su cui
lavorano, nella misura in cui la dimensione contemplativa
può decidere qualcosa su quest'ultimo, condizionerà anche
la ri essione scienti ca».[39] E così la contemplazione,
sebbene abbia poco o niente da dire sul metodo della
ri essione, ha molto da osservare sul progetto storico al
quale si ispira, visto che scienza e ri essione non sono mai
realtà a sé stanti, asettiche, ma espressione di un progetto
d'uomo che non sempre si concilia con quella fede vissuta
che è la contemplazione.
Contemplazione: un processo per trasparenza e non
per intenzioni
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Occorre ora chiarire il «come» della contemplazione nel
quotidiano.
Nella concezione tradizionale le formule di preghiera
dovevano in qualche modo riempire la vita e santi care
l'azione. Ciò avveniva in due modi. Il primo era quello delle
«intenzioni», di brevi formule che dovevano «consacrare» il
profano perché fosse offerta gradita a Dio. Per questo si
recitavano certe formule al mattino e prima e dopo le azioni.
Un secondo modo era quello delle giaculatorie, quasi un
«intervallo» dedicato a Dio durante il lavoro, per «innalzare»
dal materiale allo spirituale.
La contemplazione nel quotidiano non si oppone né alle
intenzioni né alle giaculatorie. semplicemente un modo
diverso di pregare: nasce dal fatto che l'uomo non
comprende perché «santi care» ciò che Dio ha già
santi cato, e dal fatto che si è consapevoli di fare
esperienza di Dio dovunque, anche nel profano.
La contemplazione in realtà si propone di rispettare (e di
fatto rispetta) il profano nella sua profanità, come luogo di
speci ca esperienza di Dio. Ciò è possibile perché la
contemplazione si sviluppa attraverso un processo che si
può de nire di «trasparenza sacramentale».
Contemplazione come consapevolezza e godimento
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Contro deviazioni intellettualiste di stampo illuminista
occorre aggiungere che questo processo, anche se non
esclude la ri essione, non è di natura prettamente ri essiva.
Pregare non è mai unicamente «pensare» o «essere
coscienti».
Pensiero e coscienza occupano un ruolo centrale nella
vita dell'uomo, ma non sono in grado di esprimere la
contemplazione. Dicono infatti solo come stanno le cose, e
lo dicono in modo freddo, distaccato, scienti co, parlando
unicamente alla capacità razionale dell'uomo.
La contemplazione da parte sua assume il pensiero e la
coscienza e li inserisce in un insieme più vasto al cui centro
stanno la consapevolezza di senso ed il godimento estetico.
La consapevolezza è, per così dire, la coscienza di sé e
delle cose, del mondo e di Dio, quando si dilata dall'interno
in una esperienza signi cativa per il soggetto, cioè in
un'esperienza che lo tocca da vicino, lo affascina, lo
coinvolge, lo spinge ad aderire, gli fa cogliere i nessi e i
livelli profondi della vita no a nutrire un senso emergente.
La consapevolezza supera la pura coscienza per
includervi sensazioni, emozioni, intuizioni, presentimenti: la
si vive con tutto l'essere con un ruolo ben preciso per la
corporeità.
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Dalla consapevolezza di senso alla festa, al godimento,
il passo è breve.
In genere si è restii a presentare la preghiera e la
contemplazione come «godimento», o se si vuole, come
momento estetico. In realtà non solo la tradizione cristiana
ha sempre sottolineato l'aspetto «festivo» di ogni esperienza
di Dio, ma la stessa antropologia contemporanea sta
rivendicando i diritti dell'estetica rispetto all'etica.[40]
Nella contemplazione la vita si fa, nonostante tutto,
festa. Anzi si fa festa proprio «contro» ciò che nel mondo è
dolore, sofferenza, oppressione, morte. La contemplazione
implica gioia, commozione, esperienza di gratuità assoluta,
passione esistenziale, riposo dalla coazione dell'agire,
ottimismo, fantasia produttiva di un mondo più libero,
esperienza di libertà e spontaneità. La vita diventa «gioco»,
nel senso che tutto si fa simbolo che trascende le categorie
del fare, dell'avere, delle prestazioni per raggiungere
l'essere, l'esistenza autentica e la gioia. Di fronte al
produttivo si afferma il creativo e di fronte all'etico si afferma
l'estetico.
Che la contemplazione sia un momento di gioia interiore
non contraddice affatto la solidarietà no in fondo con gli
abbandonati e gli oppressi, oltre che il riconoscimento dello
stato di oppressione interiore che si vive per il proprio
peccato. Perché, come osserva Moltmann, «solo per chi è
capace di essere contento, le proprie ed altrui sofferenze
divengono dolore. Chi può ridere può anche piangere. Chi
ha speranza diviene capace di sopportare il mondo ed
essere triste. Là dove si è fatto sentire il sof o della libertà
incominciano a fare male le catene».[41] In questo senso la
contemplazione rigenera e ricrea la possibilità dello stesso
impegno.
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Il godimento ha anche un aspetto più teologale. L'uomo
è nato per la visio Dei, come diceva già Ireneo. La visione è
esperienza, cioè consapevolezza e godimento. stimolante
quanto dice Moltmann: «Dopo avere per così tanto tempo
usato di " Dio " per godersi il mondo o quanto meno per
vivervi con decoro, non si dovrà in alcun modo scacciare
questo Dio da un mondo in cui non viene più usato a tali
ni... Si dovrà piuttosto usare il mondo per godere Dio. Il dio
della supplenza potrà scomparire... Ma dopo la "morte" di
questo dio si potrà parlare della gioia che procura questo
Dio e del modo per "goderlo"».[42]
Segni di contemplazione
Ci avviamo alla conclusione tentando una descrizione
della contemplazione attraverso alcuni «segni».
Dire contemplazione è, a questo punto, dire
consapevolezza e godimento nel vissuto di ogni giorno.
Consapevolezza e godimento perché il Regno di Dio si sta
facendo nell'oggi, e con il suo farsi (le sue «anticipazioni»)
accresce il desiderio del suo compimento escatologico.
Consapevolezza e godimento perché l'azione degli altri e la
propria non vanno perdute ma sono garantite e salvate dalla
Pasqua di Cristo che avvolge la storia, e perché l'esperienza
di peccato personale e collettivo non è affatto l'ultima parola
sull'uomo, ma un'occasione in più per credere e sperare il
Regno.
Contemplazione è la capacità di situare la propria vita e
la storia nella storia della salvezza e nel cammino
inaugurato dalla Pasqua di Cristo. È consapevolezza che
esiste un unico spazio in cui si vive di fede ed è la storia
dell'uomo, entro cui Dio dà alla luce il suo Regno. Ed è
insieme capacità di non subire la storia, ma di cogliere «il
nuovo» che continuamente la attraversa.
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Contemplazione è la capacità di giudicare e gustare il
buono ed il cattivo della storia. Buono e cattivo che trovano
un loro quadro di riferimento ed una loro interpretazione
nella parola di Dio. Contemplazione è, allo stesso tempo,
rispetto geloso dell'autonomia del profano e affermazione
che è sacramento di Dio proprio nella sua profanità.
Contemplazione è atteggiamento di festa, gioia nel
quotidiano, nella lotta perché ogni uomo possa essere
uomo. sapersi compromettere nelle piccole scelte di ogni
giorno, senza tuttavia ricercare una grati cazione a or di
pelle dalle cose che si fanno. Contemplazione è anzi sentirsi
liberi da se stessi per accettare la vita come dono che
responsabilizza e come dono che salva al di là dei propri
limiti.
Contemplazione è capacità di vivere la vita come
Pasqua, come cammino, come liberazione personale e
collettiva. l'impegno a scendere in profondità dentro le
proprie e altrui esperienze per vedere la mano di Dio che
accompagna i vari momenti della vita, rispettando la nostra
autonomia e provocando ad un'umanizzazione sempre più
autentica.
Contemplazione è così capacità di silenzio, di solitudine,
che non siano fuga, ma un decentrarsi da se stessi per
entrare in contatto, per «assumere» le cose, le persone, la
vita. Contemplazione è desiderio non di usare di Dio per
godere il mondo, ma di usare delle cose del mondo per
godere Dio. È soffrire non per il gusto di soffrire o andando a
cercare delle occasioni di macerazione, ma condividendo la
sofferenza di tante situazioni umane, sapendo che siamo
liberi anche se le catene della schiavitù ci avvincono ancora.
Contemplazione è capacità di godere del bene,
chiunque lo faccia, consapevoli che in ogni caso il bene
viene da Dio ed è frutto della morte e risurrezione di Cristo.
capacità di riportare a Dio anche il bene di chi non si
professa credente.
Contemplazione è la gioia di vivere i rapporti con gli altri
come «anticipazione» nel tempo dei cieli nuovi e nuova
terra, verso cui siamo in cammino.
Contemplazione è ritrovare il coraggio, nonostante tutto,
di credere in un mondo nuovo, senza falsi messianismi, ed il
coraggio dell'impegno politico.
Comprendere il quotidiano in uno sguardo di fede è
possibile dappertutto. La contemplazione non ha né luogo
preciso né tempi particolari, perché è «la festa che Cristo
anima nel più profondo di ogni uomo» (S. Atanasio).
LA MEDITAZIONE
La centralità della contemplazione nel quotidiano nella
proposta di preghiera ridisegna lo spazio da attribuire alla
meditazione.
Oggi il termine meditazione comincia a circolare con
maggior insistenza, rispetto a qualche anno fa anche tra i
giovani. In certi casi sembra una parola alla moda. Tuttavia
la stessa moda non fa che sottolineare l'esigenza di questa
pratica.
La crisi della meditazione
La situazione, almeno a prima vista, non è confortante,
anche se una serie di messaggi del mondo giovanile fanno
pensare che la meditazione, presa in senso globale, sia una
attività rispettata, desiderata e praticata, pur con forme e
metodi lontani dalla sensibilità del cristiano adulto. Come
non pensare che l'interiorizzazione di certe musiche e testi
di cantautori non siano una meditazione sulla vita? E come
non pensare che certe chiacchierate del più e del meno
siano, a volte, dei dialoghi sul senso del vivere e del morire?
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L'impressione più evidente è tuttavia che viviamo in un
tempo ed in un ambiente sociale che non favoriscono la
meditazione.
G. Tillmann, uno degli autori che maggiormente ha
ri ettuto ed educato alla meditazione oggi, riconduce a
queste considerazioni la crisi della meditazione [43] nel
mondo contemporaneo.
Egli parla in primo luogo del risucchio della periferia,
dovuto ad un eccesso di comunicazione, che si è fatta
sempre più assordante e vorticosa. Gli stimoli che, giorno
dopo giorno, colpiscono l'uomo d'oggi conducono a vivere
sempre dipendenti dall'esterno, dal nuovo, dalle ultime
notizie, dal moltiplicarsi degli incontri e delle occasioni. Così
l'uomo è risucchiato al di fuori, lontano dalla propria intimità,
avulso da un sentire e partecipare profondo allo stesso uire
delle immagini, dei suoni. Le esperienze si succedono
senza che si abbia la possibilità di ritornarci su e, attraverso
una opera di decodi cazione, accumulare esperienza.
Si vive, in secondo luogo, in stato di perenne tensione.
Impegni, appuntamenti, iniziative, incontri si sovrappongono
e «non si ha più tempo». Raramente si riesce a vivere
momenti e incontri distensivi. Le stesse vacanze, gli
weekends e le feste diventano grandi maratone della
tensione. Il terzo fattore nella crisi della meditazione è il
modello di pensiero che domina in questi anni, anche se in
questi ultimi tempi viene sottoposto a dura critica da più
parti.
Immersi nell'euforia della scienza e della tecnica si è
nito per pensare il metodo scienti co, razionale come
l'unico che deve godere di credito. «Pensare da scienziati»
sembra lo slogan per poter vivere meglio. La razionalità è
diventata sinonimo di programmazione e di pragmatismo.
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L'unilateralità del pensiero non riguarda solo gli
scienziati, ma tutti, perché tutti viviamo, sotto la spinta della
società industriale e tecnologica, di una mentalità
ef cientistica e utilitaristica. Solo ciò che rende, produce qui
ora, fa l'uomo. I problemi della sofferenza e della gioia, della
vita e della morte non vengono eliminati, ma messi da parte,
quando non irrisi.
La situazione denuncia quindi una perdita degli strati
profondi:[44] si è venuto a creare nell'uomo uno
spostamento dal profondo al super ciale, dal mistero al
visibile, dal centro alla periferia. Restano isolati ed
inaridiscono gli strati profondi in cui si vive la pace, il
raccoglimento, la ri essione, l'esperienza interiore,
l'apertura al senso della vita, al mistero, alla gioia e
all'amore, a Dio.
L'ansia dell'io super ciale intristisce l'io profondo. I
sintomi di questa perdita sono abbastanza evidenti: non si
riesce a vivere più in pace con se stessi, non si riesce più
ad accettarsi, ci si illude sui limiti e sulle ambiguità che
attraversano la vita. Anche i rapporti interpersonali ne
risentono. Diventano abitudinari, senza che si abbia niente
da dirsi, da scambiarsi, quando non diventano rapporti di
isolamento e di ostilità reciproca. Si nisce al massimo per
usarsi reciprocamente con un tacito accordo. Come si
nisce per usare e sfruttare la natura, il mondo in cui si vive,
senza rispetto alcuno per l'ambiente e l'equilibrio naturale.
La crisi si ri ette anche nella vita religiosa. Chi non è
capace di porsi in modo ri esso problemi di senso
dif cilmente arriva ad una fede matura e liberante, perché
«chi non ha domande, non è in grado di recepire risposte».
Certamente è la vita nel suo svolgersi quotidiano che
pone in modo bruciante i problemi di senso, ed è nella
contemplazione nel quotidiano che uno è chiamato a vivere
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la dimensione profonda della vita. Ma la contemplazione da
sola non basta.
Una delimitazione del campo
La parola meditazione ha un uso così vasto che rischia
l'ambiguità.
Ci sono alcune realtà che fanno da contorno alla
meditazione ma che non vanno confuse con essa. La
meditazione è il punto di arrivo di un itinerario che
comprende diverse tappe.
La prima tappa è il silenzio, la quiete, la pace interiore. Il
soggetto sente il bisogno di fermarsi, concedersi una pausa
nella vita frenetica. Cerca uno spazio, un orario, delle
condizioni ambientali. Cerca la solitudine, non come
opposizione o lontananza dalla realtà, ma come desiderio di
vivere la realtà con maggior intensità.
Nel silenzio ha luogo la seconda tappa, cioè la
ri essione, la concentrazione, su alcuni particolari del
quadro, su alcuni stimoli offerti dall'ambiente. Si vuole
vedere in profondità, alla ricerca di una piena chiari cazione
del vissuto, alla ricerca di un lo di Arianna dentro il labirinto
delle esperienze. Voglia dunque di analizzare, di capire, di
gustare in profondità, di rivivere in modo pieno.
La terza tappa è l'interiorizzazione. I messaggi, gli
stimoli, le sensazioni sono occasione per scendere in
profondità, per porsi ulteriori domande, per aprirsi il varco ad
ulteriori esperienze. La meditazione non ha luogo se i
messaggi e gli stimoli non sono «rimasticati», rivissuti per
evidenziare le domande di senso e le domande religiose
che veicolano.
La quarta tappa è la meditazione vera e propria.
Se da una parte la meditazione è l'insieme delle varie
tappe, dall'altra la meditazione è il momento di arrivo e di
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sosta a cui il cammino voleva condurre: presenza reciproca
tra l'uomo e Dio, da cui l'uomo esce «rigenerato».
La meditazione esige in primo luogo la capacità di
arrivare all'intimo del proprio io, che se da una parte è lo
stesso io che agisce nella vita quotidiana, dall'altra è il suo
volto più intimo.
In secondo luogo la meditazione esige la «perforazione
del quotidiano» alla ricerca del suo volto nascosto. Non
sempre la realtà è quella che si vede immediatamente,
quella più chiassosa e appariscente. Cosa ci sta dietro le
varie situazioni della vita? Come perforare il quotidiano no
ad arrivare a Dio?
In conclusione, la meditazione è un processo di
approfondimento, di interiorizzazione, di raccoglimento, di
puri cazione interiore, e nello stesso tempo di
rafforzamento, di estensione della coscienza, di
illuminazione vivi cante, di consolidamento, di
trasformazione, di rinnovamento, di maturazione e di
pienezza.[45]
Meditare da cristiani
La meditazione è presente in tutte le culture e ha
sempre una componente religiosa, se per religioso si
intende un modo di porsi davanti alla propria vita «aperto»
al trascendente, anche se poi a questo trascendente si
possono dare nomi diversi come Dio, i valori, gli ideali,
l'Assoluto, il Tutto. . .
Cosa comporta il meditare «da cristiani»? La
meditazione trova un'originale fondazione e riformulazione
nell'evento dell'incarnazione.
La meditazione è presentata di solito come un cammino
ascendente in cui l'uomo si libera progressivamente dalle
preoccupazioni della vita e arriva ad un incontro privilegiato
con Dio. Il modello dell'uomo che medita è il monaco che
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abbandona tutto (la vita) per darsi alla meditazione; oppure
il modello è lo yoghi che attraverso una dura ascesi si
separa lentamente da tutto per entrare nel mondo
dell'assenza di sé, delle cose, della storia. Un'immagine
simile di meditazione no a che punto può essere ripresa
dal cristianesimo?
La meditazione è una tecnica di «ecologia dello spirito»,
una forma di paci cazione interiore, af nché l'uomo trovi se
stesso. Il cristianesimo l'assume e a partire dal mistero
dell'lncarnazione le dona risonanze nuove.
Nella meditazione il cristiano si trova immerso in
esperienza di fede sconvolgente: ogni volta che medita sulla
realtà umana (su se stesso o sulla storia, sulla vita o sulla
morte) egli incontra il Dio che è «disceso» dentro la storia. Il
cristianesimo compie così la rivelazione ultima della
meditazione: è luogo di incontro dell'uomo con l'uomo e
quindi luogo di esperienza di Dio che si è incarnato in
mezzo a noi.
Lo spessore teologico della meditazione non è allora
prima di tutto conquista dell'uomo, delle sue forze
psicologiche, ma «dono dall'alto» per ogni uomo che fa
esperienza di meditazione, dono che il cristiano è chiamato
a vivere in modo consapevole.
La meditazione cristiana non si accontenta di una
discesa verso l'io profondo o d'una estensione profonda
nella direzione della vita interpersonale e della stessa storia.
importante che in entrambe le dimensioni, la dimensione del
profondo dell'io e la meditazione «storica», si accolga il
mistero di Dio fatto uomo e se ne faccia memoria. Non c'è
meditazione cristiana senza esplicito «fare memoria» della
storia della salvezza. Di conseguenza, meditazione cristiana
non è mai uscita dal mondo, tecnica per rendersi assenti
dalla storia, né per acquietare almeno per un momento le
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proprie ansie entrando in una sfera dell'esistenza che
addormenta l'io. Essa assume invece costantemente la
storia personale e collettiva, è discesa in profondità nella
vita, no a confessare che Dio è il Signore della storia.
La concretizzazione più semplice del principio
dell'incarnazione nella meditazione è il riferimento,
immediato o globale, alla parola di Dio.
Preghiera personale e meditazione
La meditazione è sempre stata praticata nella chiesa
dagli addetti al lavoro e da altri che ne sentivano l'in usso e
ne rivivevano la sensibilità.
Ai cristiani in genere non si proponeva la meditazione,
ma «le preghiere del buon cristiano», con le sue formule
classiche. Oggi queste preghiere sono in crisi, perché non
trovano una forma espressiva adeguata.
C'è da chiedersi se la meditazione non possa essere il
nuovo volto delle preghiere del buon cristiano.
Le preghiere del buon cristiano erano state formulate in
un'epoca in cui la realtà era vista in termini sacralizzati e la
preghiera era concepita in termini di proiezione in Dio, per
uscire almeno per un momento da questa «valle di lacrime»
Erano preghiere molto verticalizzate e respiravano un clima
di dovere, di culto da tributare a Dio.
Ora che questa concezione di rapporto tra Dio e l'uomo
è tramontata, c'è da chiedersi se la meditazione non possa
diventare una proposta di rinnovata presenza a Dio ogni
giorno. Intesa come discesa verso l'io profondo e come
ri essione sul senso della vita e della storia, la meditazione
crea nuovi spazi per una rilettura di fede della esistenza.
Il cristiano oggi con dif coltà, soprattutto in età giovanile,
riesce a vivere la sua identità senza darsi dei momenti di
pausa e ri essione e senza una preghiera del tutto
personale. Sia la contemplazione nel quotidiano sia la
celebrazione (ad esempio, la partecipazione all'eucaristia)
rischiano di dissolversi senza una preghiera personale
adeguata all'età e al livello di crescita di fede.
Solo se ci si dà un tempo adeguato per ritornare
sull'esperienza di Dio vissuta nel quotidiano e vi si ri ette
con calma nella meditazione, solo allora si entra nel mondo
della celebrazione con dei «contenuti da celebrare» e si
consolida l'esperienza contemplativa.
Una proposta di preghiera che non si preoccupi di
educare alla meditazione rischia di non capire il momento
che giovani e adulti oggi attraversano, e rischia di non
rendersi conto dei pericoli di un certo ef cientismo della
chiesa e dell'astrattismo e razionalismo dell'annuncio di
fede. La meditazione rimane, proprio in questo contesto
antropologico e ecclesiale, un'esigenza ineliminabile. Sono
in proposito signi cative le parole di Tillmann: «Negli ultimi
cinquant'anni abbiamo assistito a grandi movimenti di
rinnovamento spirituale nella chiesa, da quello liturgico e
biblico a quello catechistico, teologico e pastorale. Essi però
non raggiungeranno pienamente il loro scopo se non
saranno af ancati da un movimento contemplativo che li
compenetri e li animi di vita interiore».[46]
Come concretizzare la proposta di meditazione?
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Si possono indicare velocemente alcune forme.
È importante chiarire dapprima lo spazio di «deserto» in
cui avviene.
La meditazione richiede che il soggetto ritagli, secondo
alcuni ritmi, degli spazi di tempo, si raccolga in luoghi che
sono favorevolmente signi cativi (una chiesa in cui è
congeniale raccogliersi, un ambiente in cui la distensione è
facile...).
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Gli incontri di gruppo devono però quali carsi, evitando
di ripetere vecchi schemi, come la discussione in cui la
Parola di Dio serve a provare le proprie tesi, la confusione e
il gran parlare, una musica rumorosa, poco spazio agli
individui. Perché si tratti di meditazione va superato il tono
moraleggiante e pragmatico, per penetrare nella ri essione
sul «senso» delle cose che si stanno vivendo e del
momento che la società nel suo insieme attraversa, no ad
arrivare alla «presenza di Dio». Come pure si deve lasciare
ampi spazi al silenzio, af nché sia davvero la persona a
farsi carico della meditazione.
Veniamo allora alle diverse forme, incominciando dalla
meditazione in gruppo. Una forma relativamente diffusa è
collegata alla liturgia delle ore, con la preghiera dei salmi
intervallata dal silenzio, l'ascolto, l'attualizzazione,
l'interiorizzazione personale della bibbia, il canto.
In altri gruppi alla meditazione si arriva attraverso
pratiche collegate alla «revisione di vita», quando alla luce
di un brano biblico, ci si interroga dapprima sullo stile di vita
per una critica operativa e poi sul senso con cui si vive il
quotidiano. A questo punto si entra più da vicino nella
meditazione.
Questi due modelli suggeriscono che il punto di
partenza può essere diverso. Si può cominciare a meditare
direttamente su un testo della parola di Dio, come si può
cominciare a meditare su un fatto del giorno o su un
avvenimento signi cativo per il gruppo. Dipende dallo stile
del gruppo. Quello che conta è salvare il clima meditativo.
Anche per le forme della meditazione personale va
precisato che non si può usare il termine meditazione in
modo univoco.
Ognuno dev'essere aiutato e stimolato a meditare
secondo quel che gli è effettivamente possibile. Ci sarà
allora chi mediterà partendo dalla lettura della Parola di Dio
e chi mediterà con la chitarra in mano aiutato dai testi
stimolanti di alcuni cantautori. C'è chi arriverà alla
meditazione partendo dall'esame di coscienza e
utilizzandolo come luogo, oltre che della conoscenza
profonda di sé, per un dialogo intimo con Dio, e chi arriverà
alla meditazione stanco della giornata ma con il desiderio di
«abbandonarsi» immediatamente a Dio, in cui trova pace e
conforto per sopportare la vita «come un bambino nelle
mani di Dio» C'è chi inizierà la sua meditazione pregando
con le preghiere classiche del buon cristiano e chi invece
arriverà ad un momento di consapevole presenza a Dio
aiutato da un «libro spirituale», cioè da un libro che
introduce nel mistero dell'uomo, della vita, della storia anche
se non parla immediatamente di Dio, e ci sarà in ne chi
medita utilizzando le tecniche della meditazione
trascendentale o farà risorso alla «preghiera del cuore»
proposta dal famoso «Racconto del pellegrino russo».
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LA CELEBRAZIONE
Nella vita dell'uomo si possono distinguere due serie di
attività: le azioni destinate alla sopravvivenza e le azioni (o
riti) destinate alla «rappresentazione simbolica» del senso.
[47]
Un'azione simbolica è, per esempio, una festa di
compleanno in cui un gruppo riunito attorno ad una persona
fa festa, la esprime con dei gesti (la torta e il battimani),
mentre fa memoria dell'esistenza di quella persona con un
sì globale alla sua vita, che sollecita anche il festeggiato ad
un sì entusiasta, nonostante tutto, al suo esserci in questo
mondo. Questa azione simbolica è una celebrazione.[48] I
gesti simbolici nella vita sono distribuiti in tempi particolari,
nei momenti di apertura della esistenza a nuovi orizzonti e
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nei momenti di conclusione di certe fasi della vita, come
pure nel cuore delle attività quotidiane.
I gesti simbolici caratterizzano così la nascita come la
morte, il matrimonio come l'entrata nella maturità. E
quali cano la vita quotidiana, nei gesti di scambio simbolico
tra marito e moglie, tra familiari, tra membri di un gruppo e
di una comunità.
C'è dunque una simbolicità naturale che appartiene al
vivere dell'uomo, il quale non può farne a meno. Non ha
senso dire che oggi l'uomo ha perso la sua dimensione
simbolica, oppure dire che non è abbastanza poeta per
celebrare.
Egli continua sempre a produrre simboli che
rappresentano il senso della vita quotidiana, del suo essere
con gli altri, del suo appartenere ad un popolo, della
esistenza sua e degli altri.
Il cristianesimo da sempre ha evangelizzato il mondo
dei simboli naturali scegliendone alcuni (basti pensare
all'acqua, all'olio, al vino, al mangiare e al bere) e
risigni candoli dentro la sua fede, alla luce della risurrezione
e morte del Cristo. La cena, ad esempio, è sempre stata un
sistema simbolico in uso presso tutti i popoli e presso molte
religioni. Ciò che la caratterizza nel cristianesimo è da una
parte il riferimento esclusivo alla memoria del Cristo morto e
risorto («Fate questo in memoria di me») e dall'altra la
stilizzazione rituale che il cristianesimo ha progressivamente
elaborato, dalla cena di Gesù con i discepoli, alla cena nelle
chiese domestiche nella Siria o nella domunità di Corinto,
alla celebrazione grandiosa nelle basiliche romane.
La celebrazione come esperienza simbolica
In quale direzione muoversi per introdurre nel mondo
della celebrazione? Normalmente si propone
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un'introduzione di tipo storico strutturale. Si presenta, in
altre parole il rito ed il suo signi cato storico e teologico.
In queste pagine si propone una pista più soggettiva, più
attenta all'esperienza personale che il singolo, dentro una
comunità, è chiamato a vivere.
La celebrazione, attraverso un universo di simboli,
propone al soggetto un itinerario esperienziale che implica
una triplice attività.[49]
In primo luogo il linguaggio della celebrazione non è
linguaggio dimostrativo o argomentativo, ma evocativo.
Compie dei gesti e narra dei fatti per evocare all'uomo la
realtà divina, per far sperimentare concretamente all'uomo
la realtà divina. I simboli in ogni caso raccontano altro da
loro, di un passato e di un futuro, di un presente dell'uomo e
di un presente di Dio.
Il linguaggio dei simboli è in secondo luogo un
linguaggio autoimplicativo. «Perché non è soltanto
descrittivo, ma innanzitutto evocativo, esso coinvolge
sempre la persona con le cose. Non lascia nessuno
neutrale. Lo tocca n dentro; instaura un rapporto che
modi ca l'uomo ed il suo mondo»[50].
In terzo luogo il linguaggio della celebrazione è un
linguaggio performativo, cioè porta ad una modi cazione
della prassi umana. Induce alla «conversione».
In conclusione il soggetto che celebra è sollecitato a
un'esperienza che non è a anco delle attività da compiere
o al livello dei ragionamenti, ma è sempre mediata dalle
stesse attività e situazioni. Richiede una crescita
progressiva della capacità «poetica» di rappresentare le
cose e vederle non più dal di fuori ma dal di dentro,
facendole vivere con la propria esperienza e accogliendo la
vita che esse contengono, sia in quanto simboli naturali, sia
in quanto simboli caricati dell'esperienza cristiana.
La celebrazione è come un universo a cerchi
concentrici, con un cerchio più intimo che irradia luce e
calore in modo che chi partecipa anche solo dal cerchio più
esterno vive nel calore che emana dal cuore della
celebrazione. In ogni caso si partecipa alla celebrazione
partendo dal vissuto personale: ognuno sente che è accolto
al livello in cui si trova ed è sollecitato a passi ulteriori per
una strada che non va in una direzione diversa dalla sua,
ma nella direzione del passaggio dal super ciale al
profondo, dall'implicito all'esplicito, dal naturale al cristiano
per trovare il senso ultimo della propria ricerca.
Come caratterizzare questi cerchi del cammino?
Indichiamo un percorso, quasi un lo di Arianna, dentro
il mondo della celebrazione.
La celebrazione propone un'esperienza in cui si
possono riscontrare i seguenti livelli: il livello della festa; il
livello dell'esperienza dei simboli; il livello dell'esperienza del
profondo di sé; il livello dell'esperienza del mistero degli altri;
il livello della immersione nel presente no a ricercarne il
senso attraverso un suo radicamento nel passato e una sua
proiezione nel futuro; il livello del ritorno al quotidiano con
energie rinnovate.
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La festa: una sosta nel tempo per ritrovare il senso
del quotidiano
Il primo movimento che la celebrazione richiede è una
rottura con il ritmo di vita ordinario, una sosta nello svolgersi
incessante del tempo, un atteggiamento di riposo e di
distacco dalle occupazioni abituali.
Nel fermarsi e concedersi un tempo di festa, l'uomo
cosa ricerca? In questo tirare il respiro, cosa si nasconde?
Certo proprio il bisogno sico e psicologico di fermarsi. Ma
non basta. L'esperienza dell'interrompere, del distaccarsi,
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del sospendere il tempo dice di più. Dice disponibilità a
porre al centro della propria vita i problemi di senso, anche
se in modo implicito. Chi entra in una celebrazione spesso
non si interroga esplicitamente su questi temi.
Semplicemente li vive.
Prima che una serie di attività, la festa è una batteria di
atteggiamenti collegati nella direzione di ciò che si potrebbe
dire «sì alla vita, nonostante tutto».
In primo luogo un atteggiamento contemplativo, che
prende le distanze dalle situazioni della vita per intuirne
meglio i contorni, per rilevarne le contraddizioni, per
ritrovarne la direzione, il senso. La disponibilità alla
contemplazione si manifesta nel gusto per il silenzio, il «fare
memoria», la narrazione calma del vissuto, il lasciarsi
prendere dal positivo della vita.
Il secondo atteggiamento della festa è la disponibilità
all'esuberanza, all'esagerazione, all'insolito, al solenne, per
affermare la ricchezza della vita contro la povertà, la
liberazione dal limite come vocazione ultima dell'uomo.
Chi si apre alla festa sottende un legame sottile tra le
azioni, le attività, lo svilupparsi dei sentimenti. E afferma,
con un gesto concreto, che la vita ha un suo lo misterioso,
un lo rosso che le permette di sfuggire al nichilismo. Il
tempo viene così salvato e valorizzato. Non è più
condannato alla dispersione e all'inutilità.
La capacità di fare festa non è un preliminare più o
meno inutile alla celebrazione. E la festa non si riduce alla
sola celebrazione. C'è uno spazio più vasto di festa da
ritrovare, oltre che dentro, attorno alle celebrazioni, in cui si
combinano lo stare insieme, il gioco ed il canto, il riposo e la
sistensione, i suoni e le luci, i gesti insoliti e il ritorno ai gesti
e al mondo dell'infanzia (il ritorno al paese per lo weekend
non è forse in questa direzione?).
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Il livello del «gioco» degli oggetti e delle situazioni
interpersonali
La celebrazione è un grande «gioco» tra l'uomo, il
mondo e Dio. L'uomo è in grado d'utilizzare gli oggetti e le
situazioni interpersonali per rappresentare la sua esistenza,
non attraverso una serie di argomentazioni e dimostrazioni
ma attraverso dei giochi, cioè delle combinazioni di oggetti e
relazioni interpersonali che «raccontano » una particolare
visione di se stessi, della vita, del mondo, di Dio.
«Quando gli oggetti cominciano a parlare» e raccontare
della vita si trasformano in simboli, che coordinati in una
struttura danno luogo ad azioni simboliche. Facciamo due
esempi.
La celebrazione implica un gruppo di persone raccolte in
un ambiente. Questo è un dato visibile, osservabile da tutti.
Ma cosa vogliono raccontare con quel modo particolare di
stare insieme?
Qual è il lato invisibile della situazione, comprensibile
solo a chi è in grado di vivere «dal di dentro»? Un altro
esempio lo si può ricavare dall'eucaristia, incentrata sul
grande gioco simbolico della cena. Che senso ha questo
festoso mangiare insieme? Che senso ha la processione,
altrettanto festosa, verso il pane eucaristico? C'è un lato
visibile a tutti e un lato invisibile. Quali signi cati si intende
realizzare con quei gesti?
Oggi l'aspetto simbolico della eucaristia e delle altre
celebrazioni è nuovamente al centro della teologia e della
spiritualità della celebrazione. Si sta nalmente uscendo da
un certo razionalismo della fede (la fede come insieme di
verità da credere, la celebrazione come occasione in cui
«dire a parole la propria fede») per entrare in una visione di
celebrazione che «realizza», cioè esprime, concretizza, fa la
fede, attraverso gesti, situazioni e parole.
Il livello dell'esperienza dal mistero di sé a Dio
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La celebrazione implica una progressiva
riappropriazione dell'io, una sempre più consapevole
accettazione di sé, una confessione sempre più matura
della propria vocazione trascendente, una sempre più ricca
capacità di relazione personale con Dio. È il terzo livello
esperienziale.
Questo è possibile se il soggetto svolge nella
celebrazione un'intensa attività in cui nessuno, neppure la
comunità con cui celebra, può sostituirsi. Indichiamo alcuni
movimenti a cui il soggetto e sollecitato. Un primo
movimento è il passaggio dai problemi tecnici, dal bisogno
di spiegazioni scienti che dei fenomeni, al bisogno di
comprendere in termini di senso ultimo: a che serve vivere?
in quale direzione camminare? cosa è veramente decisivo
per essere uomo? è possibile la felicità? ha senso parlare di
futuro per l'uomo oggi? chi garantisce il futuro?
Il secondo movimento va dalle domande di senso alle
domande religiose. Le domande religiose sorgono dopo che
ogni risposta della ri essione umana è stata data, accolta,
valorizzata. Quando certe domande rimangono nonostante
tutto «aperte» si è alle soglie del mondo religioso.
Il terzo movimento (di ritorno) è dalla domanda religiosa
alla «esperienza di compagnia», di cammino e di presenza
reciproca, di silenzio che evoca l'ineffabile presenza di Dio.
Culmina nel riconoscimento che la presenza misteriosa ed
ineffabile ha un nome, ha voluto fare strada in modo
dichiarato con noi, facendosi uno di noi in Cristo Gesù e
continua la sua presenza nello Spirito, l'invisibile che ogni
visibile annuncia e nasconde.
Il quarto movimento è il ritorno all'io, con una percezione
globale della propria esistenza come valore, della propria
dignità perché «davanti a Dio», del proprio mistero perché
simbolo vivente del «Grande Mistero».
L'esperienza della celebrazione è così esperienza di
attenzione reciproca e confessata con Dio. Si arriva a vivere
lo slogan di Ireneo: la felicità dell'uomo è la visione di Dio,
l'esperienza della sua presenza.
A questo punto l'uomo può de nire se stesso come
mistero, come solitudine, come invocazione di vita che solo
il rapporto con Dio può soddisfare.
Il quinto movimento è la traduzione di questa esperienza
in nuovi atteggiamenti esistenziali. L'esperienza di Dio nella
celebrazione suscita effettivamente nuove energie, genera
passione per la vita, speranza per se stessi e per gli altri,
accettazione di sé senza falsità e con grande rispetto.
Il livello dell'esperienza dal «noi» alla
consapevolezza di «chiesa»
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La celebrazione pur essendo un fatto personale non è
mai un avvenimento individuale, ma una profonda
esperienza del «noi».
Chi entra in chiesa trova delle persone che con lui
intendono vivere la stessa celebrazione, mentre sa di
averne lasciate «fuori» tante altre: che senso ha questo
riunirsi e separarsi?
La celebrazione implica un itinerario alla scoperta del
volto profondo del «fare comunità» che prevede alcune
tappe.
La prima tappa è la sensazione di trovarsi a proprio agio
con gli altri, l'avvertire la loro presenza come rassicurante e
costruttiva, nonostante le molte dif denze nei loro confronti.
Il secondo passo è la consapevolezza di costituire un
«noi» che non è la somma dei singoli, ma un'entità originale
entro cui trova senso l'esistenza del singolo.
Il terzo passo è il ridimensionamento della solidarietà
emotiva verso una solidarietà fondata, oltre che
sull'accoglienza del mistero che è ogni uomo, sulla
condivisione di un fascio di valori con cui vivere il quotidiano
e progettare il futuro per sé e per tutti.
Il quarto passo è la consapevolezza che celebrare la
vita signi ca ricercare il senso del rapporto con gli altri, vicini
e lontani nel tempo e nello spazio, no ad avvertire che la
vita che scorre in tutti è un evento che interroga sul senso
dell'esistenza dell'umanità. Gli altri diventano sacramento di
incontro con Dio nella celebrazione.
Un ultimo passo è la confessione che la comunità
ecclesiale entro la quale si celebra è un evento
sacramentale in cui i dati esterni e super ciali, nella loro
povertà, appellano a cogliere un dono grande di Dio
all'umanità: un nucleo di uomini per suo dono sono
sollecitati ad annunciare la solidarietà come dato più
profondo della divisione, la comunione tra le persone come
evento che fonda la loro diversità. L'essere comunità che
celebra non è un separarsi dagli altri uomini, quasi fosse un
privilegio, ma dono da utilizzare a servizio del mondo:
annunciare la buona notizia del Regno di Dio.
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Il livello della «memoria» dell'evento Cristo e della
storia
Ogni celebrazione si caratterizza per un particolare
«contenuto». Una celebrazione non è comprensibile a fondo
se non si viene a conoscenza di ciò di cui si fa «memoria».
Una celebrazione può essere descritta come esperienza
di calore, pace, speranza, tranquillità, solidarietà,
abbandono... Ma la qualità della celebrazione non è data da
questa esperienza psicologica. Con i profeti dell'Antico
Testamento si può dire che le azioni liturgiche non hanno
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signi cato per se stesse, per il sangue che si immola o per
la macerazione o esultanza interiore dei presenti. Non è
questo il sacri cio che Dio gradisce. Il «nuovo sacri cio»
invece si vive nel quotidiano, nel servizio agli altri uomini,
nella giustizia, nel costruire la pace.
Lo speci co della celebrazione cristiana è in questo
radicarsi nella «memoria» di un vissuto, alla ricerca di una
interpretazione, con l'aiuto della parola di Dio.
Fare memoria non è semplicemente fare ricordo,
raccontare. molto di più. Nel gesto e nel racconto si
relativizza l'esperienza del momento per affermare che il
centro della celebrazione è fuori.
Ma di quale vissuto la celebrazione cristiana fa
memoria?
Il vissuto della celebrazione abbraccia tutta la storia e
assume un triplice volto: il passato, il presente ed il futuro.
Dal presente al passato e dal passato al presente
Ogni celebrazione è anzitutto memoria dell'evento unico
ed irripetibile di Dio che si è fatto «uno di noi» nella storia
culminata nell'incarnazione, passione e morte del Cristo. In
questo fatto storico la celebrazione trova il suo evento
fondante che rende ragione di tutta la storia, rivela il vero
volto di Dio e dell'uomo, indica la direzione di marcia della
storia.
Il fare memoria dell'intervento di Dio nella storia non è
nella celebrazione una semplice lettura/ascolto di una
pagina della Bibbia. Essa non tende a ricostruire i fatti nella
loro episodicità ora, ma a evocare la loro signi cazione per il
presente. Purtroppo spesso la lettura della Parola viene
ridotta a cronaca di un tempo passato e ci si avvicina ai fatti
della Bibbia con l'unica preoccupazione di trovarvi
insegnamenti morali utili per noi oggi.
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In realtà la celebrazione vuole portare l'uomo alle radici
ultime della esistenza e la «memoria» permette di fare
esperienza consapevole dell'evento salvi co.
L'oggi tra il passato e il futuro
In secondo luogo la celebrazione è memoria del
presente, dell'oggi.
Naturalmente non si tratta di un semplice raccontarsi
come vanno le cose, per abbandonarsi all'ottimismo o per
scendere insieme i gradini della delusione verso il mondo
moderno.
La memoria dell'oggi tende a una lettura teologica della
realtà: l'impegno che il credente si assume è di riconoscere
il passaggio dello Spirito e di fare festa per questa presenza
salvi ca.
La memoria dell'evento fondante e la memoria del
presente nella celebrazione si danno vita reciprocamente.
La ricchezza inesauribile del Cristo viene rivelata e
confessata quando si utilizza il presente come criterio di
comprensione della salvezza, e quando si parte dalla
presenza di Dio nella storia per rivelare che nel nostro
vissuto è presente lo Spirito.
La celebrazione così attiva un procedimento
ermeneutico in cui entrano il passato ed il presente. Il
passato senza il presente non manifesta il suo ruolo
salvi co nella storia. Il presente a sua volta non è
comprensibile nella sua trama profonda se non è riletto
dentro l'evento di morte-risurrezione del Cristo e dentro il
tema teologico del Regno di Dio che si costruisce nel
mondo, lottando contro ogni forma di peccato.
Quale presente deve entrare nella celebrazione?
Quello di tutti i giorni, nella sua dimensione personale e
collettiva. La vita dell'uomo.
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La memoria dell'evento Cristo è la rivelazione che
questa salvezza è già misteriosamente attiva nell'uomo e
che la comunione con Dio si gioca già nei meandri della vita
quotidiana.
Dal presente al futuro e dal futuro al presente
La celebrazione implica in ne una proiezione nel futuro.
Quando si celebra, si legge il presente dentro le
categorie del Regno, della Pasqua, per cogliere che già oggi
sperimentiamo molte «anticipazioni» del Regno di Dio. Si
riconosce che il presente è gravido del futuro di Dio, che
l'oggi è il «già» della salvezza.
L'apertura al futuro di Dio viene vissuta nella liturgia
come riconoscimento che il dopo è già iniziato e presente
nel tempo, ma anche come attesa della salvezza de nitiva
nella casa del Padre.
Alla luce del futuro di Dio l'oggi viene dunque valorizzato
e insieme relativizzato. Si attendono davvero «cieli nuovi e
nuova terra». Un cielo dove si rende giustizia al povero, a
chi dalla vita ha avuto poco o nulla, a chi nella vita ha
vissuto secondo le Beatitudini.
La celebrazione dunque non assolutizza il presente.
Una profonda inquietudine pervade l'approccio al presente
durante la celebrazione: il «desiderio» di una comunione
con Dio non più nella mediazione delle cose, delle persone,
delle vicende della vita, ma faccia a faccia.
Il desiderio di una comunione assoluta getta uno
sguardo nuovo anche sul presente. Non solo non viene
confuso con il Regno di Dio, perché il Regno nel presente è
come un seme, come un pugno di lievito, ma anzi se ne
afferma la radicale insuf cienza a realizzare il progetto di
salvezza nel tempo.
Dalla festa e dalla celebrazione al quotidiano
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La celebrazione, tradotta in un'immagine spaziale, si
presenta come un arco di parabola che ha i suoi punti di
inizio e di ne nel quotidiano, in modo che assuma linfa dal
quotidiano e lentamente si innalzi no a celebrare in modo
esplicito la comunione con Dio. Dal quotidiano alla
celebrazione è il primo passaggio.
Il secondo passaggio è il ritorno dalla celebrazione al
quotidiano. A livello di vissuto personale il momento è
importante. Come caratterizzarlo? Ci sono alcuni
atteggiamenti, che vanno alimentati. Anzitutto il sentimento
di liberazione dall'ef cienza. La confessione che solo Dio
salva deve portare a rientrare nel quotidiano con un grande
senso di libertà. Il cristiano non è condannato
all'ef cientismo, perché il mondo è nelle mani di Dio.
In questo modo ci si libera sia dal moralismo del giudizio
di Dio, sia dal moralismo dell'ef cientismo. La persona
ritrova la sua dignità originaria.
NOTE
[1] Cf E. Balducci, La ne del mondo in Testimonianze
(1978/8-9) 478-489; Id., La soglia storica in Testimonianze
( 1978/10) 567-576. La citazione è però ripresa da un
intervento di Balducci in Aa. Vv., Laici e religiosi davanti all
apocalisse (ed. dell'Apocalisse Milano 1979).
[2] A. Ardigò, Un dialogo dentro la crisi in Supplemento
n. 42 a La città futura (81-178) 2.
Su questi temi cfr. Id., Crisi di governabilità e mondi vitali
(Cappelli, Bologna 1980), spec. 931; 141-152.
[3] Ph. Roqueplo, Esperienza del mondo: esperienza di
Dio? (LDC, Torino 1971), 53-56.
[4] S. De Fiores, Spiritualità contemporanea in Nuovo
dizionario di spiritualità (Edizioni Paoline, Roma 1979),
15-20. Su questo modello di spiritualità cfr. anche G.
fi
Ruggieri, La compagnia della fede. Linee di teologia
fondamentale (Marietti, 1980) 38-39.
[5] L Boff, L esperienza di Dio oggi in Aa. Vv., L'
esperienza di Dio oggi (Cittadella, 1975) 135-138.
[6] Ib .,139-140. Cfr. G. Ruggieri, La compagnia della
fede, o.c. 39.
[7] Cf. B. Besret, Liberiamo la preghiera in Aa. Vv. Un
rischio chiamato preghiera (Cittadella, 1971) 44-55.
[8] Sul tema della spiritualità cfr. il dossier NPG (1979/7)
Spiritualità per i giovani d'oggi soprattutto la proposta di R.
Tonelli. Un punto di riferimento nella valorizzazione del
quotidiano è la spiritualità salesiana. Cfr. P. Brocardo, Don
Bosco «profeta di santità» per una nuova cultura. in M.
Midali (a cura di), Spiritualità dell'azione (LAS Roma 1977)
179-206.
[9] Cit. da S. De Fiores., o.c. 15-36.
[10] Per la utilizzazione del procedimento ermeneutico
in campo pastorale cfr. R. Tonelli, Un itinerario per educare
alla fede i giovani d'oggi, in NPG (1981/2) 7-13.
[11] Su questo tema L. Boff, La preghiera nel mondo
secolarizzato: s da ed occasione, in Aa. Vv., Quale
preghiera (Cittadella, 1976) 1054; cfr. anche K. Rahner, La
preghiera oggi, in Id., Frammenti di spiritualità per il nostro
tempo (Queriniana, 1973) 78-92.
[12] Su questo tema si può vedere J. Maritain, Azione e
contemplazione (Borla, 1979) 89-91; J. e R. Maritain,
Contemplazione evangelica e storia (Gribaudi 1981).
[13] Sul ruolo dell'azione nella comprensione che l'uomo
moderno ha di se stesso: P. Natali, L'azione in una
antropologia rinnovata, in M. Midali (a cura di), Spiritualità
dell'azione (LAS, Roma 1977) 35-68; S. De Fiores, o.c., pp.
1531-1534.
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[14] M. Cacciari, L'esperienza impossibile a dirsi, in
Associazione teologica italiana, Teologia e progetto/uomo in
Italia (Cittadella, 1980) 43.
[15] Ib., 46
[16] Cfr. Y. Congar, Credo nello Spirito Santo. 1.
Rivelazione ed esperienza dello Spirito (Queriniana, 1981)
1314. Si può vedere anche S. De Fiores, o.c., 1529-1530.
[17] K. Rahner, Pietà in passato e oggi, in Nuovi Saggi /l
(Edizioni Paoline, Roma 1968) 24 (nota 27).
[18] Per le ri essioni che seguono ci si è serviti
soprattutto di L. Boff, La preghiera nel mondo secolarizzato:
s da e occasione, in Aa. Vv., Quale preghiera? (Cittadella,
1976) 10-54.
[19] Ib., 21.
[20] Ib., 21.
[21] K. Rahner, La preghiera oggi, in Id., Frammenti di
spiritualità per il nostro tempo (Queriniana, 1973) 83.
[22] Ib., 82.
[23] K. Rahner, Considerazioni fondamentali per
l'antropologia e la protologia nell'ambito della teologia, in
Aa.Vv., Mysterium Salutis 4 (Queriniana, 1970) 26. Sul tema
della sacramentalità della esistenza cfr. anche Ph.,
Roqueplo, o.c., 127-138.
[24] Quando si parla di sacramentalità concentrata non
si vuole opporla alla cosidetta sacramentalità diffusa, ma
soltanto indicare la diversa modalità di comunicazione tra
Dio e l'uomo. È opportuna una ulteriore precisazione dei
termini. In queste pagine utilizziamo simbolo e sacramento
come sinonimi. I sacramenti sono simboli in cui si riconosce
la comunità cristiana.
[25] L. Boff, I sacramenti della vita (Borla, 1979) 21.
[26] Ib., 32
[27] Ib., 32-33.
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[28] K. Rahner, La preghiera oggi, o.c., 87.
[29] A. Zarri, Nostro Signore del deserto. Teologia ed
antropologia della preghiera (Cittadella, 1978) 25. (30) Ib.,
27.
[30] Ib., 27
[31] A. Paoli, Sulle ali dell'aquila. Ri essioni sulla
contemplazione (Morcelliana, 1979) 19.
[32] Ib., 20-21.
[33] Ib., 40
[34] A Paoli, Camminando s'apre il cammino (Gribaudi,
1977) 203. Sulle condizioni per una contemplazione
evangelica si veda lo stesso Paoli, Sulle ali dell'aquila, o.c.,
43-72 e S. Galilea, Contemplazione ed impegno (Cittadella,
1976).
[35] P. E. Bonavia Rodriguez, La prassi nella teologia
della liberazione (Quaderni ASAL 30, Bologna 1977) 72-74
e 91-102.
[36] Ib., 73-74.
[37] Ib., 97-98.
[38] Ib., 99.
[39] Ib., 100.
[40] Sulla rivalutazione del momento estetico rispetto a
quello etico nella vita cristiana si può leggere J. Moltmann,
Sul gioco. Saggi sulla gioia della libertà e sul piacere del
gioco (Queriniana, 1971). Il libro interessa in questo
discorso perché permette anche di vedere in una nuova
luce il «gioco» della liturgia e della preghiera. Da un punto di
vista culturale: Garaudy R., Danzare la vita (Cittadella,
1973) e Id., L'alternativa (Cittadella, 1972). A suo parere
solo un atteggiamento «dionisiaco» verso la realtà, quale si
esprime in momenti creativi come la danza e la musica, può
aiutarci a rimettere in discussione i ni della società
moderna. L'atteggiamento festivo nella esistenza cristiana
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viene sottolineato da tutta la spiritualità cristiana,
specialmente quella più vicina al mondo giovanile. Si
possono leggere in questo senso le opere di R, Schutz, a
incominciare da La tua festa non abbia ne (Morcelliana,
1971). Su queste tematiche, si può vedere F. Floris, Le feste
dei giovani, dossier di Note di pastorale giovanile ( 1981/6)
335. (41) J. Moltmann, Sul gioco, o.c., 51.
[41] J. Moltmann, Sul gioco, o.c., 51
[42] Ib., 63.
[43] K. Tillmann, Guida alla meditazione (Queriniana,
1974); Id., Vivere nel profondo (Queriniana, 1978); Id., Temi
ed esercizi di meditazione (Queriniana, 1978); Id., Guida
alla meditazione cristiana (Queriniana, 1980).
[44] K. Tillmann, Guida alla meditazione, o.c., 13-14.
[45] Ib., 41.
[46] Ib., 16.
[47] Sulla dimensione simbolica della esistenza: L. Boff,
I sacramenti della vita o.c. J. Ratzinger, Il fondamento
sacramentale della esistenza cristiana (Queriniana, 1971);
E. Schillebeeks, Cristo sacramento dell incontro con Dio
(Paoline, Roma 1970). Per una de nizione di simbolo
utilizziamo quanto scrive S. Marsili: «Il simbolo è una
"doppia realtà", ossia qualcosa che realmente esiste su due
piani. Il simbolo quindi è una cosa, un fatto, una persona
che oltre la " realtà" visibile che mostrano, ne celano in sé
contemporaneamente una invisibile alla quale la prima si
riferisce. Il "simbolo" non esiste nché la prima realtà visibile
non è percepita come indicativa della realtà invisibile...
Insomma, il "simbolo" è sempre sul piano di realtà oggettiva,
che è però costituita da due momenti interdipendenti tra loro
proprio a livello di realtà». In S. Marsili, La liturgia momento
storico della salvezza in Aa. Vv, Anànmesis, 1 (Marietti,
1974) 62.
[48] Distinguiamo tra celebrazione e rito: la celebrazione
sottolinea l'aspetto esperienziale soggettivo; il rito l'aspetto
strutturale oggettivo di una azione simbolica.
[49] L. Boff. I sacramenti della vita, o.c., 1215; si veda
anche G. Duchesneau, La celebrazione nella vita cristiana
(EDB, Bologna 1977).
[50] Ib., 15
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