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Psicologia dell'Infanzia e del Counseling
Psicologia dell'infanzia (Università Cattolica del Sacro Cuore)
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PSICOLOGIA DELL’INFANZIA E DEL COUNSELLING
Il counselling ha diverse definizioni, ma quella di Calvo (2007) è precisa e completa: è una
relazione d’aiuto specifica.
Il counseling è una “relazione di aiuto specifica e specialistica, offerta da un
professionista a un cliente, che si trova in una situazione di conflitto o difficoltà
oppure presenta problemi di varia natura collegati alla propria crescita personale”
In questa definizione si evincono le principali caratteristiche del counselling:
● relazione di aiuto
● specifica, che si pone in un determinato modo, cercando di chiarire il contesto in cui
avviene, quindi è una relazione specifica e specialistica perché può essere svolta
da un determinato specialista per una persona che in quel momento manifesta un
bisogno, che non si chiama né cliete né paziente
● è finalizzato ad operare in un’ottica di promozione del benessere, non sulla cura
e la patologia, ma come intervento legato ai nuovi paradigmi della psicologia (es.:
psicologia del benessere); deriva da modelli di promozione e prevenzione e si
cercano di potenziare le risorse.
● Solitamente il focus è quello di superare una crisi.
● E’ legato ad un evento specifico, ben preciso nel tempo
● lo strumento è l’azione della relazione che si viene a creare tra professionista e
paziente
● la tecnica utilizzata è quella del colloquio - questo crea problemi di confine con ad
esempio la psicoterapia.
Perché è difficile definire il counselling?
E’ difficile trovare un’unica definizione condivisa da tutti, non tutti concordano sulla stessa
visione del counselling. Ha diverse ragione, sia storiche che politiche; innanzitutto, il
counselling è un insieme di interventi e tecniche differenziate tra loro anche dal punto di
vista dell’approccio teorico. In base alla richiesta e la situazione del cliente richiederà
tecniche specifiche. Siccome si parla di relazione, è necessario considerare le
caratteristiche personali delle persone coinvolte e le loro differenze. E’ una differenza
legata anche alla problematiche e le situazioni che può portare nel colloqui. Le ultime
differenze sono le finalità, la durata prevista e gli obiettivi che si pone.
Un’altra difficoltà è stata quella di tracciare una linea di differenza netta tra il concetto di
counselling ed altre forme di aiuto, come gli interventi educativi, la consulenza, il colloquio
diagnostico, etc. E’ difficile distinguere specialmente counselling e consulenza.
Questo porta alla domanda principe ossia: chi è legittimato a fare counselling?
Nel tempo si sono sviluppati due orientamenti:
● un insieme di autori che hanno la visione di counselling come intervento psicologico
specialistico; chi: gli psicologi, chi ha un determinato background di tipo specialistico;
● il counselling non è specializzato in senso psicologico perciò chiunque, che segua
determinati percorsi, può fare counselling; non vengono richieste competenze di tipo
psicologico ma un altro tipo di competenze.
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Un’altra motivazione ha ragioni storiche: non si è sviluppato in maniera lineare sul campo
internazionale. In America si è delineata in maniera abbastanza chiara e delineata ed è
diventata una disciplina autonoma, con l’APA: psicologia del counselling. Ha una sua
autonomia ed è una professione riconosciuta.
In Europa questo percorso è stato molto meno lineare. Specialmente in UK, ci sono stati
diversi interventi legati al counselling non sempre legati al mondo psicologico; spesso si
lavorava in contesti diversi.
Un’altra difficoltà è legata alla parola counselling; spesso è legata alla parola consiglio, che
la maggior parte degli approcci sostiene scorretto. Il ruolo del counsellor è quello di essere
un facilitatore.
Un altro significato è collegato a consulenza; termine scorretto poiché quando io richiedo
una consulenza è una richiesta unidirezionale, da una persona incompetente ad una
competente che risponde alla mia richiesta. La relazione di counselling è sempre simmetrica
e mette in gioco entrambi, dove il counsellor parte dall’idea che il cliente abbia maggiore
consapevolezza della sua situazione.
L’etimologia più corretta deriva dalla parola latina consulo, ossia ricevere aiuto.
In Italia
Per un certo periodo il counselling è stata considerata una professione regolata dalla legge4
del 2013, che regola le professioni non regolamentate.
Sono nate diverse associazioni ed in qualche modo si sono date un certo ordinamento alla
professione che non era regolamentata. Ciò ha creato un forte dibattito: la comunità degli
psicologi, il CNOT, si è sempre rivelato scettico a riguardo perché sosteneva che solo gli
psicologi potessero essere counselor. Dibattito tra counselor non psicologi e psicologi che
potrebbero fare counselling.
A Dicembre 2018 il Ministero della Salute ha espresso parere contrario rispetto a un
qualsivoglia riconoscimento del Counselor come professione a sé stante, riconducendo
le attività di counseling nel dominio delle competenze professionali dello Psicologo.
Questo non ha sancito una fine definitiva ai problemi di definizione; non vi è ancora una
legge e ci sono ancora molti provvedimenti da prendere per iniziare una carriera da
counselor precisa e chiara.
Aspetti caratterizzanti
1. E’ una forma di intervento di aiuto psicologico - rientra nelle professioni di aiuto
ed è una delle possibilità di lavoro degli psicologi
2. Si fonda sull’incontro, la comunicazione e la relazione tra due (o più) persone
3. La relazione è finalizzata ad aiutare il cliente (protagonista attivo), in relazione
a diverse tipologie di problemi e difficoltà - si parte dal presupposto, introdotto da
Rogers, che il cliente sia quello che conosce meglio la propria situazione
4. Il counselor mette a disposizione le proprie competenze nella relazione d’aiuto,
per facilitare l’espressione delle problematiche, dei vissuti e dei sentimenti
soggettivi
5. L’ottica fondamentale è di natura preventiva e di promozione della salute - non
va a lavorare sulla patologia, non è un’idea di cura ma è un’attivazione delle risorse o
amplificazione delle risorse e del cliente; si pone perciò bene nella nuova prospettiva
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della ridefinizione dei paradigmi, come ad esempio la psicologia della salute e del
benessere
6. Di norma è un intervento breve, con cadenza temporale definita
7. Presuppone un setting chiaro e definito - non solo il luogo fisico ma anche il tempo;
rispetto al fisico, l’importante è che il luogo dove avviene sia tranquillo, accogliente e
caldo che permetta alla gente di sentirsi a proprio agio e ciò facilita l’espressione dei
propri vissuti - lineare, non sovraccaricata di troppi stimoli; ci possono essere dei
quadri, che possono stimolare; per la dimensione temporale, il setting deve essere
definito bene in fatto di durata e regole - all’inizio deve essere presentata la
tempistica prevista, che può cambiare di poco; anche la durata del singolo incontro è
importante, in media dura 45/50 minuti ed è importante che il cliente lo sappia. Deve
esserci perciò un orologio presente nella stanza. Posso dirigere il paziente, in caso si
dilunghi molto, verso la fine della seduta, in modo che abbia tempo di approfondire
tutti gli aspetti menzionati. La cadenza può essere variabile e può essere influenzata
dall’obiettivo e dalla problematica del cliente; può variare per i gruppi ad esempio tra
1 volta al mese e 1 alla settimana in caso di seduta individuale.
8. Si basa su un contratto chiaro tra counselor e cliente - devono concordare su un
contratto; è importante che le condizioni siano tutte chiare, che cornice sto dando
all’intervento e deve essere diviso tra counselor e cliente, che deve avere idea della
proposta che fa ed imparerà a fidarsi nel tempo.
9. È un processo che prevede la costruzione di una relazione di fiducia tra counselor e
cliente, non è quindi un processo statico
10. Rispetto al cliente: ha la finalità generale di favorire la consapevolezza, la
conoscenza e l’accettazione di sé e, e parallelamente, viene aiutato a identificare,
valorizzare e utilizzare le risorse personali di cui dispone ↳crescita personale
- si tratta di riattivare risorse di vario tipo ma è il cliente a dovermi dire quali sono le
risorse, poiché il counselor non può conoscere, può solo identificare
successivamente insieme ed elaborare delle soluzioni per poterle riattivare
11. È fondamentale che il counselor abbia le competenze e le conoscenze necessarie
per inviare il cliente a un altro specialista competente nel caso in cui il problema
riportato dal cliente esuli dal campo di intervento del counseling - se un cliente ha un
disturbo dell’umore, ad esempio, potrebbe essere troppo per un counselor
E’ importante individuare le differenze tra counseling e psicoterapia.
Un esempio della prima differenza potrebbe essere:
“non so se voglio fare l’università o se voglio iniziare a lavorare” : obiettivo che con il
counseling può avere, in pochi incontri, un risvolto concreto; che facoltà scegliere o
eventualmente che lavoro fare. In psicoterapia tendenzialmente si parla di cambiamento
duraturo, si deve quindi produrre cambiamento, una sorta di destrutturazione. Anche la
psicoterapia ha dei risvolti concreti ma l’approccio è molto più profondo e lungo e richiede un
lavoro più consistente, perciò gli obiettivi sono ambiziosi, come ad esempio quando c’è un
trauma o si tratta di psicopatologia.
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Perché counseling oggi?
❏
❏
❏
❏
Moltiplicazione di forme di disagio e di contesti di disagio
Necessità di interventi sempre più brevi ed efficaci
Necessità di tenere in considerazione il rapporto costi/benefici
Necessità di integrare le competenze psicologiche con quelle provenienti da altre
aree (aziendale, medica, formazione)
AMBITI DI APPLICAZIONE DEL COUNSELLING
E’ possibile distinguere il counseling in base a varie dimensioni:
●
●
●
●
individuale
di coppia
familiare
di gruppo
Oppure in base al contesto e area di riferimento:
❏
❏
❏
❏
psicologico
scolastico
universitario
ospedaliero
Per quanto riguarda l’ambito:
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●
●
●
comunitario
lavorativo
socio-sanitario
Oppure in base al tipo di intervento:
❏ oncologico
❏ di supporto fisico
❏ ambito sessuologico
Counselling in ambito sanitario
Trova applicazione in diverse situazioni complesse ed è necessaria la partecipazione attiva
del paziente.
Agisce in diverse situazioni:
●
●
di tipo preventivo - è necessario abbia determinate caratteristiche ed informazioni
di supporto o di sostegno - accompagnamento in un percorso di cura che sto
facendo o, nel caso di malattie terminali, verso la morte. Può essere fatto un
counselling di gruppo in quegli ambienti dedicati alla fine della vita (hospice)
Potrò lavorare con e per:
●
●
●
●
●
persone con patologie
familiari del paziente
si può lavorare sulle speranze e le attese (es.: esito di alcuni esami determinanti)
dare un nome alla sofferenza
vivere con meno angoscia le fasi della malattia
ESEMPI:
●
●
●
sostegno nei casi di infezione da HIV: quando bisogna fare degli esami, nelle
prime fasi della malattia; si può fare un intervento specifico dopo la diagnosi in
quanto il decorso della malattia è lungo. Si può lavorare anche con gli operatori,
poiché anche loro necessitano di sostegno in quanto è un percorso molto difficile,
visto che si può soffrire di burn out. Si può fare anche collaborazione tra diverse
figure, di tipo legale, informativo, sociale.
oncologico e con pazienti con patologie croniche: Si lavora sui meccanismi di
coping funzionali, cercando di risolvere quegli aspetti disfunzionali, come ad esempio
la negazione.
counseling genetico: legato alla dimensione informativa, c’è un esperto che si
occupa di tutta questa parte di informazione ed accanto a questo una facilitazione
delle decisioni che i genitori si trovano a dover prendere, poiché sono decisioni
difficili.
Counselling in ambito sociale
Intervento informativo, preventivo o di sostegno, in situazioni a rischio o potenziali.
A. counseling familiare: funzione di facilitazione;
in ambiti come la gravidanza, la transizione alla genitorialità, gestioni spazi di coppia,
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B.
C.
D.
E.
ripartizione dei ruoli educativi, sostegno alla genitorialità, casi in cui la genitorialità
risulta più complessa
counselling per la coppia e mediazione familiare: intervento specifico, breve e
puntuale e si lavora sul risolvere quello che è il conflitto e trovare una soluzione.
counselling specifico su categorie specifiche di utenti:
-utenti disoccupati
-outplacement per quelli licenziati
-drop out scolastico
counselling per la terza età: gestione di esperienze di lutto, solitudine, gestione
della malattia; si può anche far da supporto al caregiver in quelle patologie che
limitano la sfera dell’autonomia dell’anziano
career counselling: orientamento in termini di carriera o in ambito accademico;
specificità: fornire numero ampio di informazioni
Counselling in ambito scolastico
Vengono erogati dai CIC (centri di informazione e consulenza). Sono interventi nati per
migliorare la qualità della scuola, di come stanno gli studenti tra di loro ma anche di tutta la
struttura della scuola, dei dirigenti, etc.
Si distinguono interventi di:
➔ primo livello: migliorare le competenze relazionali e comunicative degli insegnanti e
operatori - incontri di gruppo, specifici con gli insegnanti rispetto a determinati ambiti
➔ secondo livello: interventi di counselling mirati a casi segnalati - ragazzi con
determinate difficoltà hanno bisogno di aiuto specifico
Altra forma di intervento è il counselling di classe:
➢ una classe presenta un problema relativo alla sua sfera e viene richiesto un preciso
intervento (es.: casi di bullismo)
Counselling aziendale
Più diffuso in USA e UK, si cerca di migliorare la qualità della vita dei dipendenti
nell’azienda. Si cerca di fornire aiuto al lavoratore, non interessa gli interessi dell’azienda ma
centrato sul migliore la vita dei dipendenti.
➔ interventi di empowerment
➔ bilancio delle competenze, cioè una consulenza orientata alla gestione delle risorse
umane:
-si analizza in modo critico il il pregresso professionale del soggetto
-si evidenziano i valori del soggetto in questione
-facilitare la costruzione del progetto del soggetto
➔ si lavora in team
Il coaching che cos’è? Nasce in ambito sportivo ma oggi in realtà è una figura presente
nell’ambito aziendale. Il coach lavora tanto sulle motivazioni e su un ambito preciso ed è un
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lavoro che va sulla performance e NON su un problema.
Esiste un coaching di tipo lavorativo per le organizzazioni, ma anche lì è uno strumento
finalizzato al raggiungimento di un obiettivo specifico.
DA NON CONFONDERE CON IL MENTAL COACH.
Approcci teorici
Gli approcci teorici del counseling sono riconducibili agli orientamenti teorici fondamentali
della psicologia. Ciascun orientamento influenza il modo in cui viene concepito e realizzato
l’intervento di counseling. Secondo Hough (1996), i principali approcci che hanno trovato
piena applicazione pratica sono tre:
➔ Centrato sulla persona (o umanistico)
➔ Psicodinamico
➔ Comportamentale
Ai quali si aggiungono altri approcci:
➔ di Attaccamento
➔ Gestaltico
➔ Approcci integrati - se ne creano sempre di nuovi e sono le cose “in progress”
CENTRATO SULLA PERSONA
Si rifà alle opere di Carl Rogers, il quale ha contribuito in modo decisivo alla nascita del
counseling introducendo alcuni concetti chiave:
• Colloquio non direttivo - capire che cosa significano i silenzi del cliente
• Ascolto attivo - può essere rappresentato dalle tecniche di riformulazione e probing
• Comprensione empatica - importante è che il counselor comprenda a fondo l’esperienza
emotiva del paziente, poiché in questo modo il counselor potrà aiutare il cliente nella sua
espressione
• Rispetto del cliente - accettazione incondizionata del cliente: Rogers riteneva che il
professionista deve approcciarsi con un atteggiamento non valutativo di nessun tipo e
mettere da parte i principi ed i valori personali. Non è facile perché bisogna essere privi di
giudizio morale. Il nostro lavoro deve essere al di là di ciò che consideriamo giusto o
ingiusto. I valori possono essere molto diversi tra psicologo e cliente e non devo farmi
guidare dai miei ma capire la sua cornice valoriale ed aiutarlo dal suo punto di vista.
• Autenticità del counselor nella relazione - forse è una delle cose più difficili; Rogers diceva
che bisognava approcciarsi al cliente così come si è, io come persona. Nel counseling la
relazione deve essere simmetrica. Approcciarmi così come sono; è un aspetto molto delicato
e bisogna assicurarsi che il cliente non si senta giudicato. Non deve percepirsi come noioso,
etc.
Questi assunti fondamentali sono condivisi dalla maggioranza degli approcci di counseling.
CARL ROGERS
Autore fondamentale nell’ambito del counseling.
Nel 1942 pubblica Counseling and Psychotherapy) e getta le basi della sua client-centered
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therapy
Nel 1957 ottiene la cattedra di Psicologia e Psichiatria all'Università del Wisconsin.
All'interno del dipartimento di psichiatria Rogers sperimenta la sua "terapia centrata sul
cliente" a pazienti psicotici ottenendo ottimi risultati.
Nel 1969 fonda, insieme ad altri colleghi, il Center for the Study of the Person e,
successivamente, l'Institute of Peace per lo studio e la risoluzione dei conflitti.
Il 28 gennaio 1987, poco prima di morire, viene candidato per il Premio Nobel per la pace.
•Secondo Rogers il cliente ha una conoscenza intuitiva di ciò che desidera, ed è colui
che meglio conosce la propria situazione à è l’unica persona realmente in grado di definire il
proprio percorso di cambiamento.
•Il ruolo del counselor è quindi quello di facilitare il cambiamento nella direzione scelta dal
cliente stesso. Non devo dire come deve cambiare il cliente ma deve essere una decisione
del cliente, che ha un ruolo attivo e protagonista in questo processo.
•Al cliente viene riconosciuto un ruolo attivo nel processo di cambiamento.
•Compito del counselor è costruire un rapporto di fiducia con il cliente, all’interno del quale
sperimentare ascolto, attenzione positiva e comprensione empatica
PSICODINAMICO
•Trova le origini nella teoria freudiana e nei successivi sviluppi psicoanalitici
•L’approccio psicodinamico si è affermato con ritardo nel counseling -> in origine
asimmetria clinico-cliente. Ha fatto fatica ad adattarsi a quelli che erano i requisiti del
counseling. Alcuni aspetti sono meno netti rispetto agli altri approcci.
•L’approccio “classico” è stato col tempo rivisto e adattato così da potersi configurare come
un valido strumento di lavoro nell’ambito del counseling.
• L’obiettivo generale del counseling psicodinamico è:
➢ Aiutare il cliente ad acquisire consapevolezza dei propri problemi emotivi
➢ Sostenerne l’adattamento psicologico in risposta a eventi esterni
•Il modello conferisce più importanza – rispetto ad altri approcci- alle esperienze pregresse
del soggetto, così come ai meccanismi di difesa
•Per questo, pur partendo dal “qui ed ora”, l’approccio psicodinamico cerca di trovare
legami e collegamenti tra la situazione attuale del soggetto e la sua storia passata
Ellen Noonan (1983) definisce le caratteristiche del counseling psicodinamico
psicoanaliticamente orientato.
Perché l’intervento di counseling sia efficace:
1.Focus sul presente ma importanza della storia personale passata del soggetto, ed ai
contenuti inconsci nel plasmare il suo comportamento - importanti i meccanismi di difesa e la
storia generale pregressa del paziente
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2.Utilizzo del transfert e del controtransfert come metodo di intervento: lavoro su aspetti
transferali relativi al qui e ora per cogliere gli elementi inconsci
3.Atmosfera terapeutica della relazione: uno spazio in cui i clienti possono allentare il
controllo, vicinanza emotiva del counselor
4.Mantenimento dei confini: capacità del counselor di essere coinvolto ma anche distaccato
nei confronti del cliente - è di competenza del counselor; deve essere coinvolto in quello che
vuole il cliente ma deve imparare ad essere distaccato; aspetto difficile da imparare con il
tempo, e non vale solo per il counseling psicodinamico ma in generale per il lavoro dello
psicologo
5.Mantenimento della giusta prospettiva: il counselor deve inquadrare la situazione del
paziente nella sua interezza
6.Saper mantenere la relazione su un piano anche ludico: la relazione deve offrire fiducia e
sicurezza così da poter esplorare modalità creative di dialogo e interazione
7.Lavorare per costruire l’alleanza: la parte “matura” del cliente lavora insieme al counselor
sulla parte “immatura” del Sé
COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
•Atteggiamento pragmatico al counseling: se si desidera modificare un comportamento
disfunzionale, ci si deve focalizzare su di esso e farne l’obiettivo dell’intervento
•Il comportamento (o la cognizione) disfunzionale deriva da un processo di apprendimento
inadeguato. Il cliente ha associato uno stimolo proveniente dall’ambiente a tale
condotta(modalità di risposta disfunzionale)
•Si propone di aiutare il cliente mediante l’apprendimento di metodi e tecniche che servono
a:
❏ correggere e/o ridurre aspetti inadeguati del funzionamento individuale
❏ incrementare le competenze del soggetto
Le tecniche sono quelle classiche del condizionamento operante:
● Desensibilizzazione sistematica - questo funziona nel trattamento delle fobie; si
individua lo stimolo della reazione fobica e gli stimoli associati e vengono ordinati in
ordine gerarchico, da quello più lontano; progressivamente verrà esposta a questi
stimoli per sensibilizzarla
● Estinzione delle risposte condizionate - cane di Pavlov che salivava quando
sentiva il campanello poiché associato al cibo; se lo tolgo, all’inizio continuerà a
salivare ma nel tempo no perché capirà che non è più associato al cibo
● Modellamento - modeling: posso imparare vedendo qualcun altro a fare qualcosa;
viene utilizzato per le fobie o particolari paure.
E quelle proprie dell’approccio cognitivo:
● Tecniche di Problem-solving
● Acquisizione di strategie di gestione
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●
●
Tecniche di pianificazione
Brainstorming
DI ATTACCAMENTO
Proposto da Binetti e Bruni (2003): applicazione della teoria dell’attaccamento all’intervento
di counseling:
1)È un modello insaturo: ha dei margini di formulazione teorica ancora “liberi”
2)E’ di carattere multidisciplinare e permette di integrare approcci differenti
3)Non prevede una metodologia di intervento rigidamente schematizzata (permette ampia
personalizzazione sul cliente)
Dal punto di vista pratico, è centrale il concetto di base sicura.
Il counselor dovrebbe svolgere quelli che Bowlby (1979) stesso definì “compiti
terapeutici”:
1.Fornire al cliente una base sicura
•Costruire una relazione affidabile, clima di fiducia
•Le relazioni di attaccamento vissute dal cliente influenzano quella cliente- counselor;
attenzione: forme di disfunzionalità più elevata
2.Assistere il cliente nelle sue esplorazioni in merito alle modalità abituali attraverso le quali
stringe legami con gli altri e quali aspettative porti con sé
3.Far considerare al cliente una relazione particolare: quella che si è stabilita tra lui e il
counselor
In questo modo si possono esplorare le caratteristiche degli Internal Working Models
(IWM).
4.Aiutare il cliente a considerare quanto le sue esperienze attuali derivano da esperienze
vissute con le FdA in infanzia e in adolescenza; riflessione sui modelli di sé e su quelli di
relazione
Il Counseling di attaccamento non può prescindere dall’esperienza passata ma i vissuti
non vengono esplorati nel dettaglio. La Teoria dell’Attaccamento è una chiave di lettura
per dare significato ad aspetti specifici.
GESTALTICO
•Considera individuo e ambiente come un sistema unico le cui parti sono interdipendenti
•Questo approccio si muove in una prospettiva sistemica dell’analisi del presente, focus su
fattori che hanno determinato e mantengono la situazione
3 assunti:
ØAnalisi del qui ed ora
ØInterazione con l’esperienza corporea
Øla consapevolezza
•Nel «qui ed ora» della relazione il cliente viene incoraggiato a riflettere e a fare esperienza
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delle proprie sensazioni, delle proprie modalità di comunicazione e interazione,
risorse.
delle
L’intervento si articola in cinque aspetti:
1.Identificazione: riconoscimento di una data emozione
2.Confronto ed espressione: vivere pienamente l’emozione identificata
3.Scarica: momento catartico in cui si supera lo stato precedente
4.Cambiamento: inizia dalla consapevolezza del movimento interiore che si è verficato
5.Crescita: capacità di usare l’esperienza passata per funzionare in modo appropriato nel
presente
•Importanza ai movimenti e alle sensazioni del corpo considerati come un modo di
sperimentare i propri sentimenti e facilitare così al crescita psicologica
APPROCCI INTEGRATI
•Sono approcci recenti, definiti integrati in quanto prendono origine dal contributo di vari
autori e che vanno nella direzione di far dialogare e convergere tra i diversi approcci
•Integrazione della dimensione teorica o delle tecniche impiegate
•Sono molto numerosi ed eterogenei
•Nell’individuo esistono spinte verso il benessere, la responsabilità e l’autorealizzazione
•Unicità dell’individuo, potenzialità di crescita, importanza relazione cliente-counselor
•Psicologia della comunicazione: fornisce modelli dei processi comunicativi (verbale e non
verbale) utili a costruire la relazione con il cliente
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•Approccio «insight» (orientamenti psicodinamico e centrato sul cliente): enfatizza
l'importanza di promuovere e facilitare la consapevolezza e l’insight del cliente riguardo alla
situazione personale e al problema da risolvere
•
•Approccio «azione» (comportamentismo): importanza di programmi di azione che aiutano il
cliente a gestire in maniera più efficace e razionale la sua esistenza
•Approcci presi da soli sono incompleti
•Modello sequenziale, con fasi e obiettivi
Genitorialità e counselling
Dalla nascita del figlio in poi la coppia genitoriale diviene sempre più saliente rispetto alla
coppia coniugale e vanno sullo sfondo, non senza qualche problema, le due individualità da
cui ha preso avvio la coppia coniugale.
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Co-genitorialità
❏ Aspetto specifico della relazione di coppia che concerne il ruolo genitoriale e
l’accudimento del bambino
❏ Implica il successo vs insuccesso della diade in qualità di genitori
❏ Non concerne la relazione affettiva o sessuale tra i partner e pertanto si applica alle
coppie sposate, separate, conviventi
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Perché è la co-genitorialità è importante? Cosa ci dicono gli studi?
Relazione di coppia e Cogenitorialità
Co-genitorialità e competenze genitoriali
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Mamma dice sì e papà dice no: l’importanza della coerenza educativa
Quando il comportamento di un genitore vanifica, squalifica o scredita quello dell’altro…..
Il bambino diviene incerto e confuso e sviluppa l’errata sensazione di poter sfruttare a
proprio vantaggio il contrasto tra i genitori. I bambini pensano di poter decidere di fare
qualsiasi cosa, visto che non viene detto loro esattamente che cosa fare.
L’accordo, la chiarezza e la coerenza dei genitori sono fonte di sicurezza nei bambini. Per
affrontare il mondo esterno, il bambino ha bisogno di partire da una base sicura in cui possa
trovare punti di riferimento fermi e non contraddittori.
Co-genitorialità e benessere psicologico del figlio
Stress genitoriale
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Squilibrio tra le risorse che il genitore sente di possedere e le esigenze obiettive imposte dal
suo ruolo.
↳Reazione psicologica negativa alle richieste connesse al ruolo genitoriale
Caratteristiche del bambino
Caratteristiche del genitore
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Caratteristiche del contesto
Nello studio dello Stress genitoriale…
Parenting Daily Hassless (Crnic e Greenberg 1990)
“fatiche” connesse alla cura dei figli o al loro comportamento
Sebbene ciascuno di questi eventi considerato singolarmente non assuma un significato di
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particolare rilievo, il loro impatto cumulativo durante il giorno, per diversi giorni
rappresentano uno stressors significativo per i genitori più potente rispetto agli eventi di vita
significativi.
Modalità di intervento
1. Le serate a tema
Si pongono per lo più obiettivi:
• di informazione;
• di sensibilizzazione in merito a problematiche educative relative:
- al ruolo genitoriale
- alla crescita dei figli
• di suscitare domande e riflessioni;
• di fornire alcune risposte e rassicurazioni su ciò che comporta nell’essere genitore.
Come operare …
Dare ampio spazio a:
- discussioni;
- domande;
- riflessioni collettive
I bisogni formativi
I maggiori bisogni formativi che emergono dai genitori sono:
• la figura paterna;
• la figura materna;
• l’importanza delle regole;
• l’essere coppia coniugale e genitoriale;
• i bambini prepotenti;
• l’ascolto e la comunicazione;
• l’autonomia;
• il tempo libero
• l’educazione all’indipendenza.
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Una serata a tema - i compiti dei genitori: saper proporre regole e dire dei “ no ”
- Saper dire dei no
- Perché è importante saper dare dei limiti ai propri figli
- Il limite aiuta il bambino nelle scelte che fa
- Il valore della frustrazione
- Le caratteristiche delle regole
- Far rispettare le regole
- Le punizioni
- Sostenere il conflitto
2. Il lavoro in piccolo gruppo
Finalità:
1. Prevenzione;
2. Fornire all’adulto uno spazio temporale e mentale “protetto” in cui portare e dare
significato agli aspetti dolorosi, conflittuali o indigesti del ruolo di genitore;
3. Rafforzare le risorse e le potenzialità dell’adulto, aiutandolo ad acquisire una visione
meno idealizzata e più autentica del proprio ruolo attraverso il confronto con gli altri genitori;
4. Offrire un luogo di accoglienza e di accettazione, di condivisione e di confronto.
Il significato del gruppo
●
●
●
●
I genitori hanno un luogo in cui parlare delle loro preoccupazioni
I genitori scoprono che hanno problemi ed esperienze simili agli altri
I membri del gruppo risolvono i problemi insieme
Il gruppo fornisce opportunità di crescita
… IL NUMERO DEGLI INCONTRI
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Solitamente vengono programmati 6 incontri: tale numero sembra adeguato a garantire un
percorso completo ai genitori evitando di chiedere un impegno troppo gravoso e prolungato
nel tempo.
… LA FREQUENZA
I primi due incontri avvengono solitamente a cadenza settimanale al fine di non stemperare il
coinvolgimento emotivo dei genitori e i pensieri messi in circolo. Gli incontri successivi
vengono pensati solitamente a cadenza bi-mensile.
… LA DURATA
Ogni incontro è di un paio d’ore.
… per formare un gruppo di genitori è importante
➔
➔
➔
➔
Coinvolgere i genitori nel pianificare le attività del gruppo
Selezionare i componenti del gruppo in modo bilanciato
Stabilire un clima collaborativo
Organizzare gruppi piccoli (5-7 genitori)
La famiglia Z. è molto preoccupata per la propria figlia R. di 9 anni. Recentemente la signora
Z. è stata chiamata da un negoziante perché la bambina con alcuni bambini hanno rubato
alcuni pacchetti di caramelle. A scuola R. ruba le matite e le gomme degli altri bambini.
Spesso va dalla maestra e dice “guarda che belle matite mi ha comprato la mia mamma” ,
occasioni in cui la maestra riconosce che alcuni oggetti appartengono ad altri bambini.
L’altra sera la mamma di R. ha notato che le sono scomparsi 10€ dal portafoglio.
C: tutti i bambini prendono le cose degli altri in una determinata fase della sua vita?
G1: sì, ma penso che ci siano diverse modalità di rubare. Alcuni bambini prendono le cose
degli altri finché non imparano il rispetto della proprietà.
G3: i bambini devono imparare che non devono prendere le cose degli altri solo perché le
vogliono. G1: penso che questa bambina abbia altre ragioni. Sapeva che sua madre
sarebbe venuta a saperlo.
C: quali potrebbero essere i motivi per cui R. prende le cose degli altri?
G1: vuole sentirsi importante
G2: ha bisogno di amici
G4: forse non le viene mai concesso di comprare niente.
G3: sta cercando di comprarsi gli amici perché non ne ha. C: potrebbe avere bisogno di
qualcosa d’altro?
G1: potrebbe avere bisogno di supporto, sicurezza, … amore
G5: i suoi genitori dovrebbero dimostrare di più il loro amore. Dedicarle più tempo ed
attenzione.
G3: che cosa avreste fatto in relazione ai soldi?
G1: C’è la dimensione di responsabilità che entra in gioco qui. Devi amarli, ma devi anche
far loro vedere che si è responsabili delle loro azioni. Non sono proprio sicura di come avrei
potuto fare.
C: stai dicendo che i genitori di R. hanno bisogno di mostrarle il loro amore e di aiutarla ad
accettare la responsabilità delle sue azioni
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La peculiarità del lavoro con piccoli gruppi è nell’approccio alle tematiche. I genitori infatti
portano nel gruppo interrogativi, domande e difficoltà e cercano nel gruppo risposte,
suggerimenti e riflessioni. La specificità del lavoro risiede nell’acquisire per quanto possibile
un atteggiamento mentale, delle modalità di pensiero, un contenitore più che un contenuto.
Cosa dicono i genitori
… Dopo il gruppo mi sono tornate in mente delle cose dette, l’esperienza riaffiora …
… so cosa ho messo in pratica, le cose però sono cambiate …
… prendere un pezzo di ognuna per descrivere me stessa …
… ho imparato ad ascoltare …
… ho trovato spunti non sempre di immediata utilità di cui comunque ho fatto tesoro …
… mi sento meno obbligata ad essere perfetta, temevo il giudizio ma sono riuscita a portare
una parte di me diversa da quella che esprimo fuori …
3. Sportello di consulenza psico-educativa
• Servizio di primo livello rivolto a genitori di bambini di diverse fasce di età (0-18 anni).
• Ha come obiettivo principale la tutela del benessere psicologico e la prevenzione del
disagio psichico in individui in età evolutiva (prevenzione primaria).
• Si offre uno spazio di lavoro finito e chiaramente definito (solitamente 4/6 colloqui)
verificando in itinere gli obiettivi e i risultati raggiunti.
Le tipologie dei casi
1. Bambini che manifestano un disagio nell’attraversare specifiche fase dello sviluppo
(processo di separazione/individuazione, superamento edipico, passaggio tra prima e
seconda infanzia, …). L’eziologia della difficoltà viene rintracciata sostanzialmente in una
fragilità del bambino.
2. Bambini che si trovano ad affrontare situazioni familiari in cui sono occorsi particolari
eventi che hanno modificato e talvolta messo in scacco l’equilibrio precedentemente
raggiunto dal bambino e/o dai genitori (lutti, separazioni, trasferimenti, nascita di un
fratellino, …).
3. Bambini che manifestano una patologia conclamata o che versano in situazione di grave
povertà socio-culturale à questi casi non possono essere presi in carico allo sportello: lo
psicologo ha il difficile compito di proporre l’invio ai servizi territoriali.
Le caratteristiche comuni delle prime due tipologie di casi
1. Disagi recenti, di intensità lieve o media riguardanti specifiche aree dello sviluppo à alta
possibilità di reversibilità.
2. Commistione o presenza di concause di diversa natura all’origine del problema (fase di
sviluppo o life events + fragilità/vulnerabilità del bambino).
3. Difficoltà a distinguere quanto il problema appartenga al bambino, quanto al genitore e
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quanto soprattutto alla loro peculiare e particolarissima relazione.
Malgrado la complessità e la molteplicità dei fattori in gioco, non si può non cercare di
leggere quel dato disagio del bambino in relazione a quel particolare genitore in quel
momento nonché all’interno della loro relazione.
La peculiarità del lavoro dello psicologo che opera in uno sportello psicopedagogico
è lavorare sulla relazione per raggiungere il bambino.
Cosa fa lo psicologo …
1. Attiva le risorse dell’Io dell’adulto.
2. Mantiene l’attenzione nell'hic et nunc.
3. Fornisce ipotesi su cui lavorare (ad esempio cosa pensa succederebbe se …; come
reagirebbe se facesse …; come si sentirebbe se …).
4. Offre del tempo per raccontare non solo del figlio, ma anche e soprattutto di sé.
Obiettivi
1. Ripristinare un ’ organizzazione familiare relativamente fisiologica.
2. Promuovere processi di cambiamento che consentano l’acquisizione di nuove modalità
esperienziali e di nuovi giochi interattivi e interpersonali.
3. Ridurre nei genitori la ferita e il vissuto di inadeguatezza rappresentato da un figlio
problematico.
4. Favorire la separazione dei genitori dai figli e aiutarli a fare il lutto dei loro progetti interni
sui figli.
Perché fare counselling con bambini ed adolescenti?
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Può avere molteplici cause; contrariamente a quanto si pensa all’infanzia come un periodo
tutto rose e fiori, un momento della vita potenzialmente ricco di esperienze, di relazioni, di
emozioni che possono andare ad attivare il bambino in maniera negativa e quindi li portano
a mettere in campo comportamenti disadattivi. Questa modalità di approccio può essere
legata a diverse caratteristiche personali, come i tratti temperamentali, c’è una parte dei
bambini che è svincolata dalle loro relazioni e dal loro ambiente e ciò che viene appunto
definito temperamento. Caratteristiche personali che non possiamo mutare, il suo
atteggiamento verso il mondo. Questi si incontrano con le variabili familiari, costituite da
coloro che vanno ad accudire il bambino in maniera più o meno adatta, affinché lui possa
portar fuori quelle caratteristiche personali che possono far crescere e sviluppare i suoi
talenti. La famiglia è a sua volta inserito in un ambiente allargato (variabili ambientali).
Il contesto può essere più o meno capace di sostenere le difficoltà che la famiglia può
incontrare nella sua storia. Il cappello più ampio è sicuramente quello delle variabili culturali,
ossia tutto ciò che viene portato nella vita del bambino e il contesto in cui lui dovrà inserirsi.
Questo concetto ha lo stesso principio del modello ecologico di Bronfenbrenner.
Ciò che porta ad una deviazione nello sviluppo è un problema in questi campi.
A partire da queste variabili, è necessario fare una considerazione a livello sociologico: dalla
metà del secolo scorso, con il fatto che c’è stato un cambiamento nelle modalità di gestione
della famiglia, per cui abbiamo un maggior investimento delle donne nel ruolo del lavoro, c’è
una ridistribuzione dei ruoli nella famiglia, e ciò ha portato ad una modifica di ciò che
sono le modalità di cura, passando da una famiglia matriarcale/patriarcale, ad una famiglia
di tipo nucleare, dove i genitori si trovano da soli ad affrontare la crescita dei loro figli nella
quotidianità. Non c’è più l’idea della coabitazione, che permetteva un aiuto costante nella
crescita dei bambini, che a loro volta si prendevano cura dei più piccoli. Quando accedevano
alla genitorialità, avevano già l’idea di come ci si dovesse prendere cura di qualcuno. La
nuova famiglia può avere il rischio di non dare abbastanza conoscenze riguardo come fare
ciò una volta che nasce un bambino. Il fatto di non avere conoscenze pregresse può
spaventare i genitori e fa sì che mettano in campo comportamenti iperansiosi o iper
accudenti, o che si ritirano, non pensando di essere in grado. Questo cambiamento culturale
del sistema famiglia è andato ad impattare su ciò che i familiari fanno.
Con i nuovi social, è come se le mamme cercassero un supporto che prima avevano
spontaneamente dal loro nucleo familiare allargato. Molte domande sono legate alla
quotidianità; i nuovi genitori portano un nuovo bisogno di conforto e di supporto.
Dal punto di vista antropologico c’è stato un nuovo passaggio: le famiglie sono molto più
piccole rispetto al passato. Da una parte c’è meno interazione col nucleo esteso, dall’altra ci
sono anche meno bambini e meno possibilità di scambio.
L’altra area su cui noi andiamo a vedere la presenza di difficoltà quelle legate al
superamento di diverse fasi dello sviluppo, quelle tappe normative che ogni bambino deve
attraversare. Alcuni bambini hanno più difficoltà in ciò; c’è una maggior attenzione dei
genitori a quella che è la normalità: da una parte c’è una minor competenza nel prendersi
cura, dall’altra si sono molto centrati sull’imparare quali sono le regole, gli step che i
bambini devono seguire per uno sviluppo normativo.
Molte volte i genitori si bloccano davanti alle difficoltà di un bambino e possono decidere di
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rivolgersi ad un counsellor. E’ importante cogliere lo sguardo di tutti sul bambino. Vengono
creati dei servizi di supporto per la fascia 03 ma anche per genitori di bambini della scuola
elementare o adolescenti; le necessità che portano gli adolescenti di oggi sono diverse da
quelle che i genitori hanno vissuto; le spinte evolutive sono più forti e c’è uno scollamento e
difficoltà del genitore di rispondere in maniera adeguata, e così nasce la domanda di
supporto.
Quando pensiamo allo sviluppo del bambino dobbiamo quindi tenere in considerazione
queste due variabili; quelle che sono le caratteristiche individuali del bambino, quindi chi
è il bambino, e l’ambiente, inteso come ambiente di relazione, cura e supporto in cui queste
caratteristiche vanno ad esplicarsi. Questo mi dà lo sviluppo del bambino. Queste
caratteristiche vanno molto a modificare lo sviluppo anche se l’ambiente è il medesimo, ad
esempio figli che nascono in momenti diversi, in cui l’ambiente è lo stesso ma ha subito delle
modifiche. E’ quindi necessario considerare tutto ciò che riguarda il bambino.
Indicatori del benessere del minore
Quindi gli indicatori da avere sempre in mente quando dobbiamo capire se un
bambino sta bene bisogna identificare le relazioni stabili ed affettivamente
supportive. Genitori che ci sono sempre e che siano affettivamente coinvolte
nella relazione con il bambino. Devono garantire protezione fisica ed essere una
base sicura nella regolazione dei bisogni dei bambini; sappiano rispondere in
maniera adeguata al bisogno sincronizzando le sue risposte in relazione al
bambino ed alla sua fase di sviluppo. Bisogna avere degli adulti in grado di
fornire ai bambini esperienze in grado di portare allo sviluppo ottimale del
bambino. ⇒ funzione di holding di Winnicott, cioè la capacità della madre di
comprendere quando lasciare spazio al bambino per favorire la crescita. Un tema caldissimo
al momento è quello dei limiti, necessari per far crescere un bambino in modo sano, poiché
serve per essere rassicurati. La regola dà sicurezza al bambino così come la routine, quindi
è necessario ed è un bene che ci siano dei limiti.
Dev’esserci una comunità di supporto che va oltre i due genitori; è importante ci sia una
comunità che possa sostenere la famiglia. Se pensiamo ai compiti di sviluppo, ci sono dei
bambini che li superano senza particolari crisi; altri che mostrano diverse difficoltà. Ciò non
significa che questo bambino avrà un deficit nello sviluppo ma che avrà bisogno di maggior
sostegno e supporto dagli adulti intorno a lui.
Il counselling rivolto a bambini e adolescenti
Prima di fare counselling è importante capire la NATURA e gli OBIETTIVI del counselling
rivolto ai minori ed averli bene in mente.
Il raggiungimento degli obiettivi non dipende solo dagli strumenti utilizzati e dallo stile di
lavoro, ma è fortemente dipendente dalla relazione che si instaura tra il bambino e il
counsellor. Perciò, non basta che siate simpatici o che si sia super creativi, la base per fare
un ottimo lavoro di cura è la relazione che noi instauriamo con il bambino ed i genitori.
Quali sono gli obiettivi del counselling rivolto ai minori? Chi deve stabilire gli obiettivi
specifici del trattamento? Il counsellor? I genitori? Il bambino?
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Livello 1: Obiettivi di base
• aiutare il bambino ad affrontare tematiche emozionali dolorose;
• aiutare il bambino a raggiungere un livello di congruenza rispetto a pensieri, emozioni e
comportamenti
• aiutare il bambino a sentirsi bene rispetto a se stesso
• aiutare il bambino ad accettare i propri limiti e punti di forza e sentirsi bene rispetto ad essi
• aiutare il bambino a modificare i comportamenti che producono delle conseguenze
negative
• aiutare il bambino a funzionare in modo adattivo nei confronti dell’ambiente esterno (a casa
e a scuola)
• massimizzare la possibilità che il bambino persegua le fasi dello sviluppo
Livello 2: Obiettivi dei genitori
Vengono stabiliti dai genitori nel momento in cui richiedono un intervento di counselling per il
loro figlio Si basano:
1. sulle esigenze specifiche dei genitori;
2. sul comportamento direttamente osservabile del minore.
Livello 3: Obiettivi formulati dal counsellor
Vengono formulati in relazione all’ipotesi che si è costruito circa il motivo per cui il minore si
comporta in quel particolare modo. Il counsellor deve trarre informazioni:
• dalla sua esperienza professionale
• delle conoscenze di psicologia dello sviluppo
• della letteratura di ricerca sul tema.
Livello 4: Obiettivi del minore
• Emergono durante le sedute di counselling;
• si basano sul materiale che il bambino porta nella seduta;
• Rappresentano i bisogni reali del bambino.
Il nostro intervento di counselling non potrà essere in alcun modo
efficace fino a quando le problematiche portate dal minore non saranno
prese in considerazione e trattate.
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La relazione bambino-counsellor
Affinché sia efficace, la relazione bambino-counsellor dovrebbe essere:
• un sistema di connessione tra il mondo del minore e il setting;
• esclusiva;
• sicura;
• autentica;
• confidenziale;
• non intrusiva;
• piena di significati.
Il counsellor deve essere:
1. Congruente
2. In contatto con il proprio “bambino interno”
3. Accogliente
4. Capace di mantenere la giusta distanza emotiva
IL PROCESSO DEL COUNSELING IN ETÀ EVOLUTIVA
●
●
●
assessment
trattamento
valutazione cambiamenti avvenuti
Le sedute variano tra le 12 e le 15. In età evolutiva, dobbiamo pensare l’assessment
suddiviso in due parti:
➔ colloqui che noi facciamo con i genitori - ⅔ colloqui; vengono visti dopo per spiegare
ciò che è emerso e le ipotesi di lavoro
➔ parte da fare con il bambino - ⅔ colloqui od osservazione di gioco
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I colloqui con i genitori vengono fatti SEMPRE con la coppia genitoriale, cioè con entrambi
i genitori, anche se i genitori sono separati o divorziati; è importante per diversi motivi:
● questioni legate all’etica professionale e la privacy, poiché non si può vedere un
minore senza il consenso di entrambi i genitori.
Gli unici casi in cui posso vedere solo l’uno e solo l’altro è se uno dei due genitori ha perso
la responsabilità genitoriale oppure nel caso in cui uno dei due sia deceduto. In tutti gli altri
casi io ho bisogno di vedere e di avere il consenso scritto da entrambi i genitori. Se questi
due genitori non possono stare nella stessa stanza insieme, farò i colloqui in momenti diversi
ma sempre con entrambi.
Bisogna sforzarsi a vederli nello stesso momento, poiché c’è il rischio della triangolazione:
manipolazione dell’informazione a proprio vantaggio. Se ci si vede insieme le informazioni
vengono veicolate nello stesso momento ed allo stesso modo.
In questi colloqui di assessment, si ha un duplice obiettivo:
1. creare un’alleanza di lavoro con i genitori che ci permetta di lavorare in
maniera funzionale con il bambino. I genitori spesso hanno grandissimi dubbi nel
portare il proprio figlio a fare un lavoro psicologico, un po’ perché sono preoccupati
per il fatto che il bambino possa portare delle questioni familiari che loro non hanno
voglia che vengano raccontate, un po’ perché vedono l’intervento dello psicologo
come un loro fallimento, perché devono chiedere aiuto ad un terzo dove loro non
riescono a lavorare e far sì che il loro bambino funzioni in maniera adattiva. Per
instaurare un’alleanza, noi dobbiamo ben esplicitare gli obiettivi di lavoro; il modo in
cui noi lavoriamo e sottolineare il fatto che abbiamo bisogno del loro investimento,
del loro crederci per ottenere buoni risultati e dobbiamo rassicurarli del fatto che noi
porteremo sempre a loro il lavoro che stiamo facendo, chiaramente mediato dal
diritto della privacy del minore.
2. raccogliere informazioni sul bambino; quello che noi dobbiamo cercare di fare con
i genitori e con i bambini è quello di agevolare un loro racconto spontaneo. Con i
genitori, che nel primo colloquio sono molto agitati e preoccupati di descrivere per filo
e per segno il comportamento sintomatico del bambino, noi dobbiamo cercare di
ampliare in qualche modo l’orizzonte, non concentrandoci solo sul bambino ma sulla
storia del bambino. Parte dal processo mentale dei genitori che li hanno portati ad
essere generativi; qual è stato il processo che li ha portati alla generatività.
Dopodiché si parla delle varie tappe dello sviluppo; quando ha iniziato a parlare,
camminare, com’è andato l’inserimento, come sono le relazioni coi compagni, etc.
Infatti, a volte, le fatiche dei genitori possono essere il reale problema del bambino e, una
volta risolte, potrebbero giovare alla salute del bambino.
Osservazione di gioco col bambino
Bisogna presentarsi in modo molto informale e spiegare cosa si andrà a fare: giocare
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insieme, disegnare insieme, poiché i genitori sono un po’ preoccupati per qualcosa.
Portiamo la natura del problema che la madre ed il padre ci hanno portato.
Questo permette al bambino di capire che c’è stata un’alleanza con i genitori; si cerca di
capire insieme come aiutare il bambino. Lasciamo ampio lo spettro del lavoro per vedere gli
obiettivi che ci porta il bambino. Le prime sedute sono funzionali per noi per sintonizzarci sui
suoi bisogni. Durante queste osservazioni, il bambino dovrebbe essere lasciato libero di
esplorare la stanza e di scegliere le attività che lui reputa migliore per dialogare con noi.
Una volta che ho fatto i colloqui e le osservazioni di gioco, posso capire se e come posso
intervenire. Non è detto che tutti quelli che ci arrivano come richieste di aiuto vanno poi
prese in carico.
Si può utilizzare anche una scatola, dove il bambino pone le cose che per lui sono
importanti: giochi, disegni, creazioni col pongo. Bisogna partecipare all’attività ludica
attivamente. Non significa che il counselor è intrusivo; deve essere presente mentalmente,
affettivamente, ma lasciando uno spazio di manovra libero del bambino. Questo aiuterà il
bambino a sentirsi ascoltato e sentirsi al sicuro e raccontarci la sua storia.
Quando si arriva a questo punto, il cuore del lavoro, è possibile emergano delle resistenze.
E’ importante che il counselor, oltre ad essere presente, proponga al bambino nuove
tecniche di lavoro per facilitare il racconto: potrò andare nella parte più complessa del lavoro
psicologico che non è solo dire cosa non va ma sentire le emozioni connesse a questa cosa
che non va, comportamento sintomatico e dare voce a queste emozioni in modo che il
bambino possa affrontarle e gestirle.
Una volta che lui ha lavorato sull’impatto emotivo, potrà mettere in atto dei cambiamenti e
delle risposte comportamentali: più adattivi, funzionali, liberi e veri, poiché sarà portato a
mettere al mondo esterno il suo vero sé senza paura.
Valutazione dei cambiamenti
Il counselor andrà a vedere se il processo che è andato a fare col bambino ha portato dei
benefici non solo nella stanza, ma anche a scuola, a casa, etc. deve valutare se è stato
capace di creare quel ponte tra il setting clinico ed il mondo quotidiano del bambino.
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Spesso può succedere che la fine del trattamento sia un momento particolarmente critico
per il bambino, perché tra il bambino ed il counselor si crea una forte relazione ed il bambino
può far fatica a separarsi dal counselor e magari non riesce a dircelo ma mette nel corpo e
portare nuovi comportamenti sintomatici oppure tornare indietro e portare quelli precedenti.
deve fare una valutazione per capire se queste regressioni siano legate alla paura della
separazione e quindi aiutarlo a salutarsi, in maniera che può essere un momento importante
di crescita oppure se la separazione ha attivato altre fragilità che dobbiamo prendere in
carico e su cui dobbiamo lavorare.
Diversa è la questione quando il counselor non è riuscito a mantenere il distacco emotivo tra
sé ed il bambino e non facilita il processo di separazione. Se si accorge di ciò deve in
qualche modo lavorare attraverso delle supervisioni, come l’intervento di un terzo che sta
sopra ed esterno alla relazione terapeutica, che aiuti il counselor a vedere cosa non ha
funzionato, dove la questione della cura professionale si è un po’ troppo mischiata con una
cura personale. Grazie a questo può capire qual è il nodo, lavorarci ed agevolare il saluto
con il paziente.
Le varie fasi potrebbero portare a nuovi approfondimenti su tematiche secondarie, non
menzionate inizialmente. Si affrontano idee autodistruttive di un sé non valido, quali sono i
comportamenti che dovrebbe mettere in atto, li sperimenta nel setting e nella sua
quotidianità e poi capisce qual è la modalità per lui migliore di relazionarsi con gli altri ed
affrontare le sue paure. Una volta raggiunga una soluzione arriva l’adattamento. Possono
però emergere dei nuovi temi verso la fine delle sedute, perché il bambino si sente più forte
e funzionante in un’area e più debole in un’altra: questo ci porta a riprendere il lavoro
dall’inizio.
QUALI DOMANDE SI DEVE PORRE IL COUNSELLOR PER COMPRENDERE SE E DI
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COSA HA BISOGNO IL MINORE?
1. Il comportamento del minore è appropriato per la sua età e per il suo stadio di
sviluppo?
2. Il comportamento del minore è adeguato considerando le circostanze?
3. Quanto frequentemente il minore mostra il comportamento disadattivo?
4. Da quanto tempo è presente il problema?
5. C’è stato un cambiamento improvviso nella vita del bambino?
6. Questo comportamento interferisce con il funzionamento complessivo del minore?
In qualsiasi valutazione diagnostica del bambino, il professionista deve chiedersi se ha a che
fare con un'organizzazione di tipo regressivo o conflittuale, o se è ancora sufficientemente
flessibile per poter evolvere in senso favorevole qualora il bambino sia liberato dalle
pressioni che pesano sul suo funzionamento psichico (Palacio -Espasa, 2012, tr.it. 2916,
113).
Bisogna sempre domandarsi se il sintomo che il bambino porta sia di tipo regressivo (se ha
una spinta verso stadi evolutivi precedenti perché c’è una difficoltà ad andare avanti) o di
tipo conflittuale (ci sono istanze intrapsichiche che vanno a confliggere tra loro e creano stati
di ansia, agitazione e paura…).
Un evento negativo in età evolutiva ha un impatto più grande perché se non viene elaborato,
se non viene preso in carico dal bambino, dalla famiglia, da uno specialista in maniera
puntuale e funzionale, succede che corriamo il rischio che il bambino costruisca attorno a
questo evento traumatico il suo IO. Vanno elaborati, perché se non vengono elaborati è
possibile che poi mi diano una sintomatologia più importante in età adulta.
Non è detto che il sintomo rimanga identico durante lo sviluppo del bambino; se ho un
bambino che ha difficoltà a separarsi ed inizia con la paura del buio (luce accesa, genitori
per addormentarsi), dopo può diventare enuresi notturna, che sveglia il bambino, c’è un
processo di cura e pulizia che va nell’azione e dobbiamo stare attenti a dei sintomi che
magari potevano non essere stati colti come preoccupanti. Come clinici dobbiamo essere
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bravi a capire se ci sono queste diverse transizioni nell’età evolutive.
TRAIETTORIA DELLO SVILUPPO DEL BAMBINO
Noi sappiamo che uno sviluppo normativo del bambino avviene quando le diverse aree
cognitive vengono raggiunte in maniera funzionale alla sua salute mentale. Abbiamo uno
sviluppo atipici partendo sempre dal normale, ma con la presenza di segni, non
preoccupanti ma che se non affrontati in maniera funzionale dal genitore o dall’ambiente
possono diventare dei sintomi, più cristallizzati, che può portare ad una patologia vera e
propria. Se colgo i segni, metto in atto un intervento precoce, veloce e con una prognosi
sicuramente migliore. Sui sintomi, dipende quanto vengono colti. Ciò mi permette nel lungo
periodo un adattamento migliore del bambino. Noi dobbiamo pensare a partire da tre livelli
di gravità:
➔ PERTURBATION (turbe dello sviluppo): il sintomo ha una durata breve
➔ DISTURBANCES (perturbazioni relazionali): il sintomo ha una durata di 1-3
mesi
➔ DISORDERS (disturbi relazionali): il sintomo ha una durata superiore a 3 mesi
Questo dobbiamo tenerlo in mente quando andiamo a fare la nostra valutazione del
bambino; è raro che un genitore arrivi ad una consultazione per una perturbazione, poiché è
breve ed il genitore è in grado di far fronte ad essa. E’ affaticato nel momento in cui la durata
diventa importante. Di solito i genitori chiedono una consultazione quando dura più di tre
mesi.
Le tecniche di counselling rivolte ai bambini
Il canale utilizzato maggiormente è quello simbolico piuttosto che il verbale. All’interno del
setting, le tecniche che il counsellor può utilizzare nel suo lavoro con il bambino sono:
• Osservazione - la tecnica di base per diventare psicologo; la capacità di osservare è la
capacità di base per attuare il lavoro psicologico
• Ascolto attivo
• Tecniche per facilitare il racconto della storia del bambino (colloquio, gioco,
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disegno, fiabe)
Osservazione
• inizia fin dal primo colloquio in cui il counsellor osserva la relazione del bambino con i
genitori, la modalità di separazione e il comportamento generale del bambino; non avviene
solamente nel setting, ma già quando andiamo a prendere il bambino in sala d’attesa,
perché possiamo vedere come il bambino si approccia ad un ambiente nuovo;
• è bene osservare il bambino sia nel gioco solitario sia nel gioco in interazione - dobbiamo
cercare di cogliere ed osservare il comportamento del bambino sia individualmente che
quando è con altri.
Che cosa sareste portati ad osservare nel vostro lavoro con il bambino?
Che cosa ci interessa dell’aspetto generale del bambino?
Bisogna vedere se il bambino rientra nei canoni normativi della sua età e se vengono attuate
azioni di cura nei suoi confronti: pulizia, adeguatezza dei vestiti, etc. Se il bambino ha un
atteggiamento distruttivo o costruttivo verso l’ambiente; quando osserviamo ciò, cerchiamo
di capire quali emozioni stanno sotto: se è un bambino depresso, agitato, arrabbiato, ritirato,
se è spaventato. Dopodiché andiamo a vedere come mette in campo le competenze legate
alle fasi di sviluppo. Bisogna osservare se ci sono dei manierismi nel parlare, come la
balbuzie, modalità di eloquio sussurrata o urlata, come si muove nella stanza: è un bambino
motorio o statistico?
E’ un bambino un po’ inibito? ha una postura adeguata? Riesce ad arrampicarsi in alcuni
giochi? Vediamo perciò come si relazione con gli oggetti e con noi, sia in prima seduta come
adulto estraneo che entra in una relazione significativa con il bambino, sia poi nello
svilupparsi della relazione il bambino porta fuori le sue modalità di interazione con l’adulto.
Solitamente queste osservazioni avvengono in solitario, a meno che il bambino non sia
troppo piccolo o nel caso si tratti della prima seduta, dove solitamente viene accompagnato.
Il distaccamento dai genitori avviene in modo molto lento; i genitori aspetteranno il suo
ritorno in sala d’attesa e dovranno far capire al bambino cosa sta succedendo per un
distacco consapevole e non traumatico. A volte capita che i bambini inizialmente facciano
avanti e indietro tra stanza e sala d’attesa, ma sono tutti segnali che ci servono: dobbiamo
pensare di lavorare da soli con il bambino.
Miti e realtà sull’osservazione
MITI
• Osservare non è registrare fedelmente e direttamente la realtà - molte persone pensano
che basti guardare, ma è un’operazione di selezione molto intensa.
• Osservare non è “guardare”. L’osservazione si fonda sempre su un’ipotesi o su una
curiosità.
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• Osservare non è interpretare. L’osservazione rappresenta un momento intermedio tra la
percezione del fenomeno e la sua interpretazione - apertura verso ciò che osservo; sto
anche attento a ciò che succede dentro di me mentre osservo.
REALTÀ
• L’osservazione può diventare “obiettiva” ma rimane costantemente esposta ai rischi
della “soggettività” - sempre mediata dal soggetto che osserva
• È impossibile stabilire confini netti tra “chi osserva” e “chi viene osservato”
• Osservare significa selezionare un comportamento degno di interesse e raccogliere
informazioni accurate e complete su di esso
●
●
Cognitiva: come il bambino ragione e mette in atto azioni di problem solving in
situazioni di difficoltà;
Evolutiva: le tappe di sviluppo e come il bambino interagisce col contesto.
L’ideogramma cinese per ASCOLTARE
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“Ascoltare non è prestare l’orecchio, è farsi condurre dalla parola dell’altro là dove la parola
conduce.” Umberto Galimberti
Le sette regole dell’arte di ascoltare (M. Sclavi)
Ascolto attivo
L’ascolto attivo è una tecnica che ci aiuta ad entrare nel mondo del bambino con rispetto dei
suoi pensieri. È possibile individuare 4 componenti principali dell’ascolto attivo:
1. Sintonizzarsi con il comportamento non-verbale
2. Utilizzare risposte brevi
3. Utilizzare l’interpretazione - dei contenuti; - degli stati emotivi;
4. Utilizzare la riformulazione
Interpretazione dei contenuti
Dico al bambino in modo chiaro e conciso i concetti più importanti che lui ha appena
espresso.
⇩
Il bambino sente di essere stato ascoltato dal counsellor e diventa maggiormente
consapevole di quello che ha appena detto
L’interpretazione dei contenuti è utile per aiutare il bambino a muoversi in avanti nella
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sua esplorazione di eventi e sentimenti.
Interpretazione degli stati emotivi
Accresce la consapevolezza del bambino in merito alle emozioni che prova e lo stimola ad
affrontare le proprie emozioni piuttosto che ad evitarle.
Bisogna sempre stare attenti ad interpretare le emozioni del bambino nel momento in cui lui
è pronto per affrontarle. Interpretare gli stati emotivi permette al bambino di vivere
pienamente le proprie emozioni e di conseguenza di sentirsi meglio. Una volta che queste
emozioni vengono liberate il bambino può diventare più libero di pensare e capace di
operare scelte costruttive verso il futuro.
Le interpretazioni
Le interpretazioni possono essere utilizzate con obiettivi diversi:
1. permettere al bambino di sentire ed esprimere una emozione particolare;
2. permettere al counsellor di comprendere quanto sta succedendo in un particolare
momento;
3. permettere al counsellor di sostenere gli sforzi del bambino;
4. chiarire alcuni eventi durante una attività;
5. dare al bambino dei feedback su ciò che sta facendo senza esprimere giudizi.
Domande (aperte e/o chiuse).
Quando lavoriamo con i bambini è bene:
• porre le domande strettamente necessarie;
• se necessarie, porre domande aperte;
• evitare di utilizzare “domande perché”;
• evitare di porre domande per soddisfare la nostra curiosità.
Quando le domande vengono utilizzate in modo corretto, possono essere di aiuto al
bambino nell’aumentare la propria consapevolezza in merito ad alcuni temi e quindi per
poter proseguire lungo la “Spirale del cambiamento”.
Ponendosi in una posizione di osservazione partecipe e di ascolto empatico del bambino il
counsellor può:
1.Individuare le caratteristiche specifiche del bambino
2.Permettere al bambino di fidarsi
3.Costituire per il bambino una risorsa a cui fare riferimento
Come aiutare il bambino a raccontare la sua storia?
Dal momento che per il bambino è difficile raccontare ad un adulto le proprie
preoccupazioni, è necessario che il counsellor non solo entri in relazione con il bambino e lo
inviti a raccontare la propria storia, ma anche che crei un ambiente tale per cui il bambino
possa continuare a raccontare anche se prova sentimenti di paura e dolore. È possibile
aiutare il bambino utilizzando:
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• l’osservazione e l’ascolto attivo;
• le interpretazioni;
• le domande (aperte e/o chiuse).
• i materiali presenti nella stanza (giochi, animali, colori, …);
IL GIOCO
COME DEFINIRESTE IL GIOCO DEL BAMBINO?
Uno degli strumenti principe, poiché è un’attività che il bambino ama, ed in cui il bambino si
perde.
Possibili definizioni:
➔ Attività strutturata e liberamente scelta, svolta individualmente o in gruppo
unicamente in vista di sé stessa e non per altri fini o necessità immediati.
➔ ¨L'attività di gioco non è diretta strumentalmente a un fine esterno, pratico o
conoscitivo, non è adattiva, essa è fine a se stessa.
➔ ¨Nel gioco, si fa per fare e, soprattutto, si fa perché si ha voglia, si trae piacere dal
fare in sé (Mayer e Musatti, 1992, p.56).
➔ Il gioco, nelle sue diverse forme, rappresenta una transazione tra il bambino e il
suo ambiente, un’attività, un’area di esperienza, un modo con cui i bambini
esplorano e imparano a navigare nel mondo intorno a loro, per questo secondo molti
autori è più un processo che un risultato. (Bundy, 1993, Bundy, Murray, Lane&
Fisher, 2002; Goodman; Mulligan, 2003; Parham&Primeau; Rubin, 1982;
Singer&Singer, 1990; Sturgess).
LO SVILUPPO DEL GIOCO NEL BAMBINO
Permette di attivare tutta una serie di competenze che magari il bambino ha solo in luce;
inizia con la scoperta del proprio corpo: ama guardare le proprie manine che si muovono
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davanti ad i suoi occhi; permette una maggiore consapevolezza del sé corporeo. Lo fa sia
da solo sia nella relazione con i genitori e poi con i pari.
Quando diventa relazionale verso i 3 anni, diventa uno scambio e condivisione dell’attività
ludica. Diffidiamo da chi dice che i bambini all’asilo nido giocano insieme; fino ai 3 anni il
gioco è parallelo, ma non hanno ancora le competenze psichiche per condividere un’attività.
Attraverso la relazione con i pari possono iniziare ad imparare come stare con l’altro, anche
se non ci giocano veramente.
Un’ultima area in cui il gioco agisce è sicuramente quella dell'esplorazione del mondo: dalla
propria casa, al parchetto, alla scuola dell'infanzia, poiché il gioco può essere collocato in
qualsiasi posto in cui il bambino ed è un atteggiamento mentale che i bambini mettono in
campo attraverso il gioco.
Il gioco permette al bambino perciò di conoscere il mondo intorno a sé.
L’ATTEGGIAMENTO LUDICO È INNATO O ACQUISITO?
C’è una diatriba rispetto alla domanda del titolo. Il primo a parlare di gioco fu Freud, con il
piccolo Hans ed il suo rocchetto. Questo processo iniziò quando si era attivato il bisogno di
gestire la separazione dalla mamma. In qualche modo, attraverso esso, il bambino impara a
prendere controllo del mondo che lo circonda; nel fare si sente rassicurato e maggiormente
partecipe di ciò che avviene intorno a lui.
➔ PIAGET: Il gioco è un atteggiamento del tutto spontaneo e naturale
essendo una funzione della propensione del bambino verso il mondo
circostante ↳ innato
I bambini di Spitz stanno sdraiati nei loro lettini e non giocano. Dov’è la propensione innata
del bambino verso il gioco?
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➔ WINNICOTT: Il bambino inizia a giocare perché qualcuno glielo mostra - spazio
transizionale: attraverso il gioco fa esperienza del suo ambiente e del mondo che lo
circonda. - gioca se c’è un caregiver che è disposto a giocare con lui, quindi
regista e attore protagonista del gioco
➔ SCHAFFER: A giocare si impara e si impara giocando con un adulto che
mostra di condividere un gioco e il piacere che ne deriva; differenza tra
mamme che hanno piacere nel gioco e le mamme depresse o con PTSD
che non fanno lo stesso e lo fanno in maniera meccanica ↳ acquisito
Piaget individua tre grosse aree del gioco del bambino:
➔ gioco senso motorio - ripetitivo, gettare il cucchiaio dal seggiolone mille volte; gioco
senza struttura; il bambino reagisce agli stimoli esterni
➔ gioco simbolico - verso i ⅔ anni e si basa sul far finta; implica il pensiero
rappresentativo; si struttura da ciò che il bambino osserva nel mondo e come lo
interiorizza e lo sperimenta poi nella vita di tutti i giorni
➔ gioco con regole - il bambino ha in qualche modo interiorizzato le norme che
caratterizzano il mondo intorno a lui e struttura l’attività ludica partendo da queste
norme; è divertente vedere come si organizzano per giocare piuttosto che come
giocano: prepara il bambino all’organizzazione sociale. I bambini che accedono a
questa fase sono molto rigidi nell’accettazione delle regole, che valgono molto per gli
altri ma poco per loro. Non è sempre giusto far vincere i bambini ai giochi perché le
sconfitte insegnano loro molto di più.
L’IDEA GUIDA
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Dobbiamo avere in mente quando andiamo a osservare un bambino che gioca è questa. Noi
abbiamo un bambino che si trova in un determinato livello/stadio evolutivo. Quello in cui si
trova lo porta a mettere in atto un determinato tipo di gioco, secondo ad esempio Piaget. Ma
è anche vero che attraverso il gioco ed attraverso la possibilità che ha il bambino di
sperimentare nel gioco, il bambino può accedere a quella che Vygotskij definiva area
prossimale di sviluppo; area in cui ci sono delle competenze che preannunciano aree di
sviluppo successive. Il gioco è promotore di sviluppo ed è per questo che sono in una
circolarità: questi due costrutti aiutano il bambino a crescere e consolidare le competenze.
Il gioco va a toccare tutte le aree di sviluppo del bambino.
❏ esplorazione fisica del mondo: giochi di movimento - il bambino che salta la corda
e sa andare in bicicletta senza rotelle va a far un’attività motoria che lavora anche
sulle sue abilità matematiche, poiché il bambino impara ad avere un ritmo ed una
certa sincronizzazione tra le strutture motorie e quelle cognitive. Il bambino che non
fa giochi motori in qualche modo sarà poco propenso ad imparare. Quindi il gioco
fisico e motorio impatta lo sviluppo cognitivo.
❏ il gioco è legato alla creatività e la simbolizzazione
❏ impatta anche lo sviluppo culturale, poiché son legati alla cultura di appartenenza e
quindi giocare a certi giochi permette al bambino di portare avanti un patrimonio
culturale che altrimenti andrebbe perso
❏ impatta sullo sviluppo emotivo e sociale poiché permette al bambino di portare fuori
le sue emozioni e stare in relazione con l’altro
Il gioco facilita lo sviluppo di capacità (Russ, 2004)
❏ ¨Cognitive: problem solving (insight, pensiero divergente, flessibilità ideativa)
❏ ¨Emotive: riduce la costrizione emotiva e permette l’esperienza di emozioni positive
(regolazione emotiva) nella vita quotidiana
❏ ¨Interpersonali: capacità di assumere la prospettiva dell’altro e di provare empatia
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❏ ¨Adattive - trovare comportamenti adattivi alla sua vita
Utili nella vita quotidiana e nel far fronte alle situazioni di stress.
La scelta dei giochi
E’ bene scegliere dei giochi che siano appropriati; ciò ci permette di entrare in contatto con il
mondo interno del bambino e di aiutarlo a raccontare i propri disagi emotivi. Inutile avere
una stanza piena di giochi poiché quando il bambino ha troppo non sa cosa scegliere.
Nel selezionare i giochi per un bambino dobbiamo tenere in considerazione la sua unicità:
- età;
- genere;
- caratteristiche di personalità;
- tipo di problema emozionale.
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Didò preferito poiché è edibile, poiché è facile succeda venga messo il bocca.
Consegna: «Fai amicizia col pongo»:
- Prendi un pezzo di pongo;
- Chiudi gli occhi;
- Arrotola il pongo;
- Schiaccialo;
- Pizzicalo;
- Etc…
Counselor: «com’è stato fare amicizia col pongo?»
Consegne specifiche:
- Fai una forma che mi racconti come ti senti ora;
- Fai una forma di te da piccolo/a;
- Fai una forma di quando mamma e papà litigano;
- Etc…
Counselor: «io oggi mi sento molto impegnato, ecco la mia forma…»
Obiettivi:
• aiutare il bambino a raccontare e condividere la sua storia utilizzando il pongo per
rappresentare gli elementi;
• dare la possibilità al bambino di proiettare sul pongo le emozioni più profonde in modo da
poterle riconoscere e da riappropriarsene;
• aiutare il bambino a riconoscere e trattare i temi secondari;
• far sentire al bambino di essere capace di completare con successo e soddisfazione un
compito creativo.
…questo è possibile perché…
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• il pongo permette al bambino di essere creativo e al contempo di sperimentare un’ampia
gamma di emozioni: un bambino può colpire, lanciare, appiattire con forza senza “romperlo”;
• gli oggetti costruiti possono facilmente cambiare forma, invitando il bambino a continuare a
lavorare sviluppando i temi o affrontandone di nuovi;
• è uno strumento facile da utilizzare anche dai bambini che hanno scarse doti artistiche;
• stimola i sensi, permettendo ai bambini chiusi o bloccati di entrare in contatto con
sentimenti ed emozioni.
Solitamente viene utilizzato con i bambini che hanno problemi relazionali con il caregiver
e la questione del contatto. Permette il maggior distanziamento tra il sé e ciò che produce
nel gioco: proietta in qualcosa di informe le sue emozioni.
Consegna:
- «vorrei che scegliessi un animale simile a te»
- «mi racconti com’è l’animale che hai scelto?»
- «adesso scegli l’animale simile alla mamma?»
- Etc…
Consegne specifiche:
- «Metti gli animali che hai scelto di fronte a te» (counselor osserva e commenta).
- «Sistema gli animali in modo che compongano un disegno»
- «Mi chiedo come si senta il cane vicino al coccodrillo…»
Obiettivi:
• esplorare le relazioni passate, presenti e future con gli altri;
• ottenere una comprensione del proprio posto all’interno del nucleo familiare;
• esplorare le paure relative alle proprie relazioni future;
• fantasticare in merito alle relazioni future;
• esplorare le paure relative alle relazioni future degli altri;
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• esplorare le possibili soluzioni ai problemi relazionali. È possibile esplorare le relazioni
familiari, scolastiche, amicali, …
…questo è possibile perché…
• Il bambino proietta sugli animali le caratteristiche proprie, della mamma, del papà, degli
amici.
• In questo modo sono gli animali a possedere caratteristiche positive, negative o
inaccettabili.
• Questo permette al bambino di iniziare a prendere in considerazione comportamenti
negativi ed inaccettabili che possono ritrovare in loro stessi e negli altri significativi, ma che
non sono ancora pronti ad riconoscere come propri.
• Utilizzando questo tipo di gioco il bambino può accedere a idee e pensieri rimossi a causa
della paura che queste idee e pensieri possano sollevare.
Interessante vedere come i bambini compongono la famiglia degli animali, con specie
diverse.
Consegne:
- Usare i pupazzi spontaneamente.
- Chiedere di creare e rappresentare uno show con i pupazzi .
- Combinare l’uso di pupazzi con favole ben note.
- Usare i pupazzi per dialogare con il counselor.
Obiettivi:
• aiutare il bambino a ottenere un senso di padronanza degli eventi vissuti; • sentirsi forte
attraverso l’espressione fisica;
• sviluppare capacità di problem solving;
• sviluppare competenze sociali;
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• incrementare le competenze comunicative;
• sviluppare la capacità di insight.
…questo è possibile perché…
• il bambino crea una sequenza di eventi in cui i protagonisti sono i pupazzi, su cui proietta
le sue idee attribuendo loro caratteristiche di personalità, scegliendo i loro comportamenti e
facendoli parlare;
• le storie che vengono inventate permettono al bambino di esprimere le proprie fantasie e di
esplorare le situazioni conflittuali;
• le sequenze di eventi create forniscono al bambino una via per trattare in modo indiretto
tematiche altrimenti per loro difficili;
• i pupazzi proteggono il bambino dalle angosce interne che deriverebbero da un racconto
diretto;
• il bambino ha l’opportunità di prendere confidenza con delle tematiche importanti e
sviluppare piano piano la sicurezza di poterle affrontare direttamente
Classificazione:
- Gioco parallelo (il counselor copia le azioni del bambino).
- Gioco collaborativo (il counselor gioca insieme al b/o e può influenzarne il gioco).
- Tutoring (il counselor prende l’iniziativa, suggerisce un tema); NB: è più intrusivo.
Obiettivi:
• esternalizzare e articolare idee, desideri, paure e fantasie (verbalmente e non);
• esprimere pensieri e processi di pensiero inconsci;
• diminuire il dolore emotivo;
• sentire la propria efficacia attraverso l’espressione fisica delle emozioni;
• appropriarsi degli eventi del passato;
• sviluppare la capacità di insight sugli eventi attuali e passati;
• incrementare le capacità comunicative.
…questo è possibile perché…
• il bambino viene coinvolto completamente nel gioco;
• il bambino è chiamato a mettere in gioco le proprie competenze sociali;
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• il bambino agisce situazioni significative per la sua vita e per la vita delle persone per lui
significative.
Differenze tra gioco con pupazzi e giochi di drammatizzazione
simbolica
Nel gioco di drammatizzazione simbolica il bambino si identifica e realmente diventa un
personaggio della storia. Nel gioco con i pupazzi il bambino inventa delle storie che fa vivere
ai pupazzi, proiettando su di loro le sue idee e le sue emozioni.
Obiettivi:
• intrecciare una relazione con bambini resistenti o riluttanti;
• aiutare i bambini ad esplorare le proprie risposte alle restrizioni, alle limitazioni e alle
aspettative degli altri; • aiutare il bambino ad individuare i propri punti di forza e di
debolezza;
• aiutare il bambino ad esplorare le proprie abilità di affrontare e concentrarsi su un compito;
• utilizzare le competenze sociali (cooperazione e collaborazione);
• regolare le proprie reazioni emotive in relazione al disappunto, allo scoraggiamento, al
fallimento e al successo.
…questo è possibile perché…
• il bambino deve mettere in gioco la propria capacità di perdere, di imbrogliare, di
prendere/perdere il turno, di rispettare le regole, di fallire, di essere imparziale e di essere
eliminato;
• il bambino esperisce, sperimenta e mette in pratica risposte ai compiti connessi alla
comunicazione, alle interazioni sociali e alle capacità di risolvere i problemi;
• il bambino si confronta con le proprie abilità.
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Valutazione del gioco-PLAY ASSESSMENT
Assenza di Gioco
NON GIOCO O ASSENZA DI GIOCO:
● il bambino non muove gli oggetti né interagisce con loro, non è quindi impegnato con
gli stimoli;
● potrebbe prendere in mano gli oggetti ma senza muoverli;
● sostiene o trasporta un gioco;
● potrebbe nominare l’oggetto o descriverne le sue proprietà fattuali per esempio
contare il numero delle tazzine;
● è impegnato in una semplice manipolazione su un gioco quale: tirare, sbattere,
colpire, mettere in bocca, girare fra le dita.
IL GIOCO FUNZIONALE
Consiste nell’osservare il bambino che compie dei ripetitivi gesti che possono essere con o
senza oggetti; una palla su e giù, etc, senza però mettere dentro al gioco nessun suono,
nessuna emozione; ogni stimolo che il bambino utilizza nella sua attività ludica è utilizzato in
connessione alla sua funzione reale, concreta, originaria. In particolare, può essere
suddiviso in diverse tipologie:
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1. effetto unico su un singolo oggetto: apre gli sportelli della macchina, etc;
2. il bambino cerca di mettere insieme più oggetti ma lo fa in maniera non funzionale;
mette una tazza sulla macchinina, i cubetti dentro le marionette, un cucchiaino dentro
una tazza, etc. Non c’è un narrare ma usare in maniera concreta gli oggetti.
3. quando il bambino mette insieme due oggetti in maniera consona: costruisce una
torre coi cubetti, etc
4. è il gioco che si avvicina di più alla simbolizzazione, ma manca un pezzettino:
un’evidenza che lo confermi: portare la tazza alla labbra per far finta di bere ma
senza fare il rumore del bere, far sedere un omino su una macchina senza fare il
rumore per farla partire. Inizia a far finta ma manca ancora un pezzettino per arrivare
a quello che poi noi chiamiamo gioco simbolico.
Il passaggio dal funzionale al simbolico è FONDAMENTALE per lo sviluppo del
bambino, poiché il simbolico presuppone la capacità del bambino di trasformare gli oggetti
in azioni. Apre il bambino al mondo, poiché non ci importa la funzione dell’oggetto poiché lo
posso far diventare quello che voglio. Quello che caratterizza il gioco simbolico ed è il
fondamento che lo differenzia dal gioco funzionale, è l’intensità dei sentimenti e delle
emozioni. Quando vediamo che c’è un’attivazione emotiva. Le caratteristiche sono:
IL GIOCO SIMBOLICO
1. i comportamenti di gioco possono variare da quelli del mondo reale sia nella forma
che nel contenuto
2. sono sempre accompagnati da essa poiché il giocare dà piacere e divertimento
3. vengono definiti così perché nel gioco i comportamenti mancano del loro significato
usuale ed in qualche modo lo conservano e noi lo riusciamo a trovare. Il bicchiere
che diventa un aereo: il bicchiere è il bicchiere, ma quando diventa un aereo
riconosciamo che è un aereo grazie ad i suoni e le attività che il bambino fa fare a
quel gioco.
4. ci parla di un’azione volontaria, che il bambino volontariamente mette in campo sulla
realtà.
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Il gioco simbolico ha perciò diverse funzioni nello sviluppo del bambino. In primis riduce le
paure, il dolore e l’ansia poiché in qualche modo il bambino ne assume il controllo attraverso
la simbolizzazione ludica. Quindi serve al bambino anche come strumento di
autoregolazione emotiva. Grazie alla simbolizzazione promuove lo sviluppo cognitivo con la
creazione del sistema astratto. Se non giocano non saranno capaci di simbolizzare e di
svilupparsi socialmente, mettersi nei panni degli altri e sviluppare un comportamento
prosociale. Se faccio la mamma nel mio gioco simbolico e vedo che il bambino che fa il
bambino riesco anche a capire perché la mamma mi sgrida. Sono i primi passi per mettersi
in relazione con l’altro e nei panni dell’altro, anche dal punto di vista degli stati mentali.
Infine, promuove il problem solving, soprattutto nei giochi narrativi: dovendo costruire un
intreccio, creano una storia; nel creare essa sulla base di quelle che hanno già ascoltato in
passato, il bambino mette in campo anche la capacità di risolvere dei problemi e questioni
difficili per lui da affrontare.
Il counsellor …
… in un primo momento deve rimanere su un piano simbolico, in una posizione di
osservazione. Se invitato a giocare, gioca insieme a lui.
… non deve essere troppo intrusivo, ma deve lasciare che il bambino sviluppi l’intreccio del
gioco; perché? perché ci interessa l’intreccio che ci porta il bambino, non il nostro: deve
essere libero di portarci la sua storia.
… deve aiutare il bambino a ricostruire i legami messi in gioco, le emozioni e le
caratteristiche dei personaggi e delle creazioni artistiche elaborate in modo da poterle
integrare nella vita di tutti i giorni. Deve mettere insieme i pezzi, interpretando i contenuti,
ricostruendo tutto ciò che è stato messo in gioco. Processo di accompagnamento legato
all’osservazione di ciò che il bambino fa.
Il gioco permette al bambino…
• di ottenere padronanza sugli eventi;
• di sentirsi forte attraverso l’espressione fisica;
• di incoraggiare l’espressione delle emozioni;
• di sviluppare abilità di problem-solving e decisionali;
• di sviluppare abilità sociali;
• di costruire il concetto di Sé e di autostima;
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• di incrementare le abilità di comunicazione;
• di sviluppare la capacità di insight.
Si può scoprire di più su una persona in un’ora di gioco, che in un anno di
conversazione. (Platone)
IL DISEGNO
CHE COSA RAPPRESENTA IL DISEGNO DI UN BAMBINO?
Rappresenta la sua visione del mondo.
Ci fa riflettere sul modo in cui i bambini rappresentano la loro percezione del mondo e come
raccolgono ed elaborano le informazioni che arrivano dal mondo. Ciò che devono fare gli
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adulti è entrare nella percezione del bambino e farsi guidare, ed è ciò che dobbiamo fare noi
di fronte ai disegni dei bambini con cui lavoriamo nel counseling.
Utilizzo del disegno
Obiettivi:
• aiutare il bambino a raccontare e condividere la sua storia;
• dare la possibilità al bambino di esprimere le emozioni più intense e inconsce;
• aiutare il bambino a ottenere un senso di padronanza degli eventi che hanno vissuto o
stanno vivendo.
… questo è possibile perché …
• il disegno aiuta il bambino a prendere le distanza da sentimenti, temi ed eventi connessi
alla propria storia, ma al contempo a raccontarli; ancora più del gioco, mette ancora un altro
step.
• i bambini che non sono in grado di parlare dei propri bisogni e desideri in connessione con
il passato, il presente e il futuro possono riuscire a farlo attraverso il disegno;
• il disegno aiuta il bambino a comunicare pensieri, sentimenti ed esperienze utilizzando la
propria immaginazione e capacità di simbolizzazione.
STADI DELL’EVOLUZIONE DEL DISEGNO
Dal punto di vista dell'evoluzione dei disegni, possiamo distinguere questi 4 stadi.
Il primo è il motorio, in cui c’è una scarica motoria e quindi il disegno non è altro che il
piacere di lasciare una traccia sul foglio. Il bambino in questo stadio non ha un
coordinamento oculo manuale e perciò crea degli scarabocchi. Il secondo stadio, il
percettivo, è quello dove inizia ad essere più coordinato nel tratto e non lasciarsi trasportare
solo dalla mobilità; a posteriori dà un senso e significato al suo disegno. Non parte dicendo
“disegno questo” ma lo disegna e quando solitamente gli si chiede cosa è il bambino
risponde: ho disegnato la mamma, la nonna, lo zio. A 3 anni compare lo stadio
rappresentativo in cui il bambino è mosso da un intento rappresentativo: disegno questo,
quello e quell’altro. Ancora magari non c’è corrispondenza poiché il tratto non è così fine.
L’ultimo stadio è quello sociale-comunicativo: il bambino si avvicina anche alla realtà
figurativa; intende disegnare una cosa e di fatto la rappresenta sempre più vicina alla realtà.
Il vero problema è che più si va avanti nello sviluppo più ci si allontana dal disegnare. Molti
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pensano che disegnare significhi fotografare la realtà, ma in realtà significa esprimere una
propria rappresentazione della realtà, anche se il tratto non è quello fotografico.
Luquet ci parla di realismo fortuito, che più o meno corrisponde allo stadio percettivo, in cui
il bambino riconosce il significato del suo disegno a posteriori. Sul piano intellettuale, non ha
ancora raggiunto il livello per cui ciò che ha pensato viene messo sul foglio.
Nel realismo mancato, il bambino cerca di disegnare degli oggetti ma lo fa solitamente
trascurando elementi essenziali. (es.: omino testone) Il bambino inizia ad avere un tratto
grafico rappresentativo ma ancora non è in grado di mettere in rapporto tutte le parti
dell’oggetto che vuole rappresentare.
Il realismo intellettuale, che compare verso i ⅞ anni, in cui il bambino disegna solo cosa gli
è conosciuto, ma vuole rappresentare ciò che sa.
Infine, nel realismo visivo, rappresenta tutte le proprietà dell’oggetto.
Schematismi del disegno
Compaiono in sequenza.
●
Tracciati: elementi semplici costituiti da punti e linee
●
Diagrammi: segnali legati l’uno all’altro
●
Combinazioni: somme di più diagrammi
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●
Aggregati: somme complesse di segni semplici
●
Immagini: disegni figurativi
Disegni in evoluzione
Scarabocchio: il bambino usa in maniera motoria il colore che ha in mano. Il primo è
circolare perché l’obiettivo evolutivo è quello di arrivare al cerchio: la chiusura rappresenta in
qualche modo il raggiungimento di un senso dell’io. Un’altra cosa che si nota è che sborda:
non è riuscito a rimanere dentro il foglio. Fa ancora fatica a stare dentro una cornice definita.
Nella casa c’è grande evoluzione: si sono messi insieme più aggregati; la figura umana è
cambiata: il bambino, avendo acquisito maggiori competenze, riesce a raccontarci ciò che lo
circonda.
Abbiamo un passaggio nel primo disegno: tendenza al gomitolo. Dice: questa è una palla.
Quindi inizia in qualche modo a dare una lettura al suo tratto grafico.
Nel secondo disegno rappresenta una domenica in famiglia con tutti i suoi familiari, tutti
racchiusi dentro la macchina. Questo disegno era stato pensato per raccontare una
domenica insieme alla sua famiglia, partendo dal viaggio in macchina con i genitori poi dopo
l’incontro con i parenti.
Figura umana - evoluzione
Importante poiché ci permette di capire quanto il bambino sia consapevole del suo sé
corporeo e come abbia integrato queste parti nella strutturazione del proprio io. Si parte
dall’omino testone, che ha una testa, gli occhi e la bocca. Le gambe partono dalla testa. Nel
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secondo si ha un’evoluzione. Inizia a perdere la bidimensionalità poiché alcune cose hanno
rilievo, come i capelli. Ci si avvicina ad una rappresentazione di un IO adulto.
Nel primo disegno c’è di diverso il naso, è meno testone, è più proporzionato nel contesto,
ha i piedi e ci sono colori diversi per le varie sezioni. Inizia ad usare dei colori più aderenti
alla realtà. L’omino è disegnato rosa, gli occhi marroni, la bocca ed il naso sono rosa, etc.
Sono elementi ben distinti nella testa del bambino. Perché lo disegna testone? Disegna
prima il volto a causa di una ragione legata alla vita intrauterina: la caratteristica fisica che
contraddistingue il feto e successivamente il bambino è la testa. E’ la parte preponderante
del corpo, ch epoi si riequilibra tramite la crescita, ci porta la percezione fisica del suo sé.
Nel secondo disegno c’è qualcosa che stacca la parte della testa (cognitiva) dalla parte della
volontà, che sono le gambe: la parte del sentire. E’ un passaggio fondamentale; il bambino
ci dice: io non penso e faccio! Inizia a mentalizzare questa differenza: io penso, io sento, io
faccio.
Il primo disegno ci parla di evoluzione; c’è un ambiente, una farfalla, delle braccia molto
corte. Probabilmente è una mamma che ha poca propensione all’holding, all’abbraccio: le
braccia rappresentano il veicolo per la relazione con il mondo, Il disegnare braccia molto
corte vuol dire che il bambino percepisce questa mamma come poco propensa all’abbraccio.
Anche nel secondo disegno aumentano i particolari, le scarpe col tacco, c’è un bell’ambiente
intorno; diventano sempre più vicini a quella che è la realtà.
Test grafico della figura umana
Goodenough-Harris (1926)
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Viene utilizzato per misurare il potenziale intellettivo di bambini con disabilità o come
screening cognitivo per bambini in età prescolare.
CODIFICA
Vengono utilizzati 73 indici (per i maschi e 71 per le femmine) che rilevano la
presenza/assenza di dettagli nelle figure, la loro complessità, la proporzione tra gli elementi
che costituiscono l’intera figura, la qualità delle linee e l’utilizzo di particolari tecniche
pittoriche. Per ciascun elemento si assegna una punto: il punteggio ottenuto rappresenta un
indicatore della maturità intellettiva del soggetto.
Non si è rivelato molto utile per tanti motivi: per diverse ragioni, il bambino può o meno
disegnare parti del sé in maniera dettagliata.
Machover (1951)
Test grafico utilizzato per la valutazione della personalità. Utilizziamo tre aree di codifica.
CODIFICA:
- Elementi grafici: qualità del tratto e delle linee, pressione, cancellature, ombreggiature
- Elementi formali: collocazione del foglio, sequenza di esecuzione delle parti, dimensioni e
proporzioni, numero di dettagli, trasparenze, simmetria, orientamento, movimento, tempo di
esecuzione;
- Elementi di contenuto: sia a livello globale (es., impressione complessiva della figura) sia
analitico (elementi del corpo raffigurati che costituiscono delle “zone generali di influenza”
con uno specifico significato simbolico)
vittima di violenza sessuale per gran parte della sua infanzia.
Il bambino nella pioggia
Crocetti (1991)
CONSEGNA: disegna una persona sotto la pioggia.
OBIETTIVO: far emergere i meccanismi di difesa e la loro consistenza strutturale per
intensità e resistenza.
CODIFICA:
lettura dei simboli grafici e contenutistici secondo i criteri generali relativi al Test della Figura
Umana (Machover, 1951), ai quali si aggiungono le interpretazioni circa le difese del
bambino.
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Child Drawing: Hospital (CD:H)
Clatworthy, Simon & Tiedeman (1999)
CONSEGNA: Disegna come ti immagini un bambino in ospedale. Custodirò il tuo disegno
quando l’avrai terminato.
OBIETTIVO: misurare il livello d’ansia di bambini ospedalizzati in età scolare.
CODIFICA:
si utilizza una griglia divisa in tre parti (A, B, C). La parte A è costituita da 14 item, relativi a:
posizione, azione, altezza della persona, spessore della persona, espressione facciale,
occhi, dimensione della persona in relazione all’ambiente, colori predominanti, numero di
colori usati, utilizzo del foglio di carta, posizionamento sul foglio di carta, qualità del tratto,
presenza di attrezzatura ospedaliera, livello di sviluppo. La parte B è composta da 8 item più
specifici, che costituiscono già dei possibili indici di patologia (omissione, l’esagerazione e la
de-accentuazione di una parte del corpo, distorsione, omissione di due o più parti del corpo,
trasparenza, profili mixati, e ombreggiatura). La parte C valuta il senso globale espresso dal
disegno, ponendo una certa attenzione al livello d’ansia e alle capacità di coping. Il
punteggio totale al CD:H è dato dalla somma della parte A, B, C.
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Ci sono dei genitori attivi che cercano di sostituire il medico e vogliono curare il figlio, altri
che sentono un senso di impotenza che li schiaccia per la malattia del figlio. Alcuni figli si
sentono soli poiché il genitore è così spaventato che non è più fonte di sostegno e soluzione
del problema. A volte, invece, sono i bambini che allontanano i genitori per paura di sentire il
loro dolore, perché li rattristano; c’è da fare un lavoro congiunto proprio per aiutarli ad
affrontare la malattia. Ci sono anche dei genitori che fanno finta di niente e altri per cui il
bambino è solo la malattia. Bisogna lavorare sulla rappresentazione del problema. Tutti gli
aspetti della malattia vanno affrontati. Dobbiamo cercare di capire come l’evento accaduto al
bambino intacchi anche le altre persone, come i fratelli.
Il medico viene rappresentato da una bambina di 11 anni; pensa all’ospedale come un
medico. La bambina non è ospedalizzata ed il medico è sorridente.
Nella prima foto la bambina invece ha vissuto l’ospedalizzazione quando si è rotta la gamba.
E’ felice di essere uscita dall’ospedale ed ha vissuto un’esperienza positiva.
Il bambino ci parla attraverso il disegno ma tutto deve essere inserito nella storia del
bambino.
Disegno della famiglia (Ddf)
E’ lo strumento d’indagine privilegiato nel lavoro con bambini e adolescenti.
Esso consente l’analisi della situazione psico affettiva individuale, mettendo in evidenza
l’immagine di sé e la sua collocazione nel nucleo familiare, le relazioni oggettuali strutturate
e interiorizzate, i conflitti vissuti nei confronti del gruppo familiare e i relativi meccanismi di
difesa attivati.
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Il disegno della famiglia ci permette di individuare queste tre aree; non è la fotografia ma è la
rappresentazione di queste aree.
Obiettivo del test:
Rilevare la mentalizzazione della famiglia attraverso l’analisi della rappresentazione grafica
che l’esecutore fa di sé, collocata all’interno della rete emotiva familiare. Il test evidenzia
come lo spazio originario, diadico e gruppale, è stato interiorizzato e permette di cogliere la
struttura di fondo della personalità.
Nella storia della psicologia sono nati tre disegni della famiglia; il primo è il disegno della
famiglia reale, la cui consegna è DISEGNA LA TUA FAMIGLIA. Questo tipo di consegna non
ci permette di indagare le reali rappresentazioni mentali del bambino, ma ci dà una fotografia
della famiglia del bambino. Questo tipo di consegna è stata sostituita dal DISEGNO DELLA
FAMIGLIA IMMAGINARIA, in cui da consegna si chiede ai bambini di disegnare UNA
famiglia. In questo modo si aiuta il bambino a mettere sul foglio le sue rappresentazioni
mentali, dei genitori, dei fratelli, e altri elementi utili per conoscere come lui si vive all’interno
del suo nucleo. L’ultimo tipo di test si basa sulla rappresentazione del nucleo: disegna una
famiglia mentre fa qualcosa. Nella mente degli autori c’è la percezione che invitando i
bambini a fare ciò si comprenda meglio il tipo di scambio relazione e comunicativo sotteso
all’interno del nucleo. Dal punto di vista clinico lo strumento maggiormente utilizzato è il
secondo.
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Interpretazione del test
Anche per il disegno della famiglia, abbiamo la possibilità di leggerlo secondo diversi livelli:
- Livello grafico: l’analisi grafica implica la comprensione del disegno in relazione al tipo di
linee tracciate, alla pressione sul foglio, all’uso del colore (in particolare alla presenza o
meno di annerimenti e ombreggiature) e delle cancellature.
- Livello delle strutture formali: consente una valutazione di come il disegno eseguito
esprime, in modo più o meno equilibrato e completo, l’immagine della famiglia.
- Livello del contenuto: esaminando il contenuto espresso dal disegno e integrandolo al
materiale rilevato durante l’inchiesta, viene effettuato un confronto sistematico tra la famiglia
reale, anagrafica, e quella rappresentata graficamente.
Il primo disegno è stato realizzato da una bambina di 8 anni; lei non c’è, si è cancellata. I
personaggi sono disegnati in modo strano, nessuna parte del corpo è proporzionata.
Abbiamo la percezione che non ci sia uno spazio per la bambina nel nucleo familiare, in cui
c’è una grande dominanza delle figure genitoriali. Potrebbe esserci poco calore e
conflittualità. Nel secondo disegno, la componente della coppia coniugale prevale su quella
genitoriale.
L’albero
“Disegna un albero qualunque, come ti viene in mente. Poi, se vuoi, lo puoi colorare” I tre
elementi fondamentali che vanno osservati nel test dell’albero sono: - le radici:
simboleggiano l’affettività. Rappresentano la vita dell’Io che, protetto e nutrito dall’affetto
materno, si fortifica e cresce stabile e sicuro. Ci riconducono al mondo delle emozioni, al
legame che si stabilisce tra madre (radici) e figlio (tronco). - il tronco: simboleggia l’Io,
esprime la percezione di sé e la sicurezza che il bambino possiede. - la chioma: simboleggia
la proiezione verso l’esterno. I rami segnalano l’apertura o la chiusura verso la
comunicazione, l’adattabilità, la solidarietà e l’amore. Esprime la capacità di ridimensionare il
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proprio egocentrismo per ridistribuire le energie verso l’Altro.
FIABA
Ciò che le fiabe narrano una volta accadeva (Propp, 1976)
Fiaba Vs Favola
PERCHÉ LA FIABA E’ IMPORTANTE PER UN BAMBINO ?
CARATTERISTICHE STRUTTURALI
● Setting
● Linguaggio
● Schema narrativo
● Ripetitività struttura
ELEMENTI PSICOLOGICI
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●
●
●
●
Stretta relazione con l’inconscio fiaba come la rappresentazione e la narrazione di
formazioni e di processi della realtà psichica
è uno dei pochissimi ambiti nei .. quali si trovano i mezzi per discendere sempre più
in giù, nei luoghi dell’interiorità che la mente cosciente difficilmente esplora.
In questo senso essa permette di scoprire e analizzare il mondo interno del bambino
perché raggiunge paure, ansie, e problemi inconsci e consci..
svolge importanti funzioni nell’organizzazione psichica dell’Io di un soggetto in
crescita.
La fiaba …
➔ incoraggia la libera espressione dei problemi e la manifestazione di aspetti nascosti
della psiche del soggetto;
➔ aiuta e stimola l’analisi dei propri pensieri e del comportamento in relazione al sé ed
agli altri;
➔ insegna, tramite la raccolta e la sintesi di informazioni, la necessità di risolvere
problemi, promuovendo un pensiero positivo;
➔ promuove relazioni riducendo l'ansia ed incoraggiando l’espressione dell’emotività;
➔ fornisce un modo divertente per sperimentare nuove abilità ricercando soluzioni
alternative, utilizzando l’immaginazione e la fantasia
I passi del processo di cura con la fiaba
1. Stabilire una relazione con il bambino
2. Valutare la situazione sintomatica del bambino e decidere il metodo
3. Selezionare il libro che meglio si adatta a quel bambino 4. Incoraggiare l’identificazione, la
catarsi, l’insight e il problem solving
5. Fornire attività di follow up che lo incoraggino e valutare i cambiamenti
La tartarughina che non voleva più uscire dal guscio
“Quando nel bosco delle Sette Querce arrivava la pioggia, tutti gli animali si rifugiavano nelle
loro tane ad aspettare che finisse (…). Fu così che un giorno, dopo la pioggia, alcuni cuccioli
del bosco se ne andavano a spasso in mezzo ai cespugli e facevano a gara per trovare il
sasso più bello e brillante (…). Si sentì una voce che diceva “il mio è il più bello di tutti, ha
tante piccole macchie sopra.” I cuccioli provarono a toccare la pietra col muso, e questa fece
un piccolo balzo, piccolissimo, poi tornò come prima. (….). “Questa non è una pietra, è una
tartaruga! Chissà dove sarà la sua mamma, provate a cercarla! ” disse papà scoiattolo. Ma
della mamma tartaruga non trovarono nessuna traccia (….). La tartaruga non accennava a
metter fuori la testa dal guscio: aveva deciso di fare il sasso, e sasso continuava ad essere
(…). “Allora forse questa tartarughina in questo momento non ha voglia né di camminare, né
di cercarsi da mangiare o di giocare; forse vuole solo fare come se non fosse viva”. E
quand’è che non piacerebbe essere vivi?(…). L’anatroccolo rispose che se morissero la sua
mamma ed il suo papà forse gli passerebbe la voglia di giocare, mentre una piccola puzzola
rispose che avrebbe invece bisogno di giocare continuamente (…).
Il metodo delle favole di Luisa Dϋss (1940)
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Si propone di osservare e valutare la personalità del bambino da un punto di vista
psicoanalitico, considerando le principali strategie di simbolizzazione infantile. La
somministrazione prevede un momento di colloquio con il bambino, al quale si riferisce che
verranno lette delle piccole fiabe delle quali dovrà indovinare il seguito, potendo dire tutto ciò
che pensa, senza che le sue risposte vengano giudicate giuste o sbagliate.
Le 10 favole presenti nel test sono:
1. La storia dell’uccellino
2. La storia dell’anniversario di matrimonio
3. La storia dell’agnello
4. Il funerale
5. Una storia di paura
6. La storia dell’elefante
7. La storia dell’oggetto costruito
8. Passeggiata col babbo o con la mamma
9. La storia della notizia
10. Il brutto sogno
“IL TEST DELLE FIABE” (FAIRY TALE TEST) (Coulacoglou)
Come strumento..
➔ terapeutico PER LO STUDIO DELLA PERSONALITÀ DEI BAMBINI NELLA FORMA
DI UN TEST STANDARDIZZATO
➔ TEST PROIETTIVO TEMATICO DI PERSONALITÀ PER BAMBINI DAI 6 AI 12 ANNI
●
●
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●
●
21 TAVOLE STIMOLO - presentate a gruppi di 3
PERSONAGGI DI FIABE MOLTO NOTE - riflettono temi specifici
DOMANDE - Stato soggettivo e motivazioni personaggi
RISPOSTE SIGLATE CON PUNTEGGIO RISPETTO ALLE 29 SCALE DEL TEST Idea globale personalità
la trama e la cornice spazio - temporale tipica della fiaba:
- favorisce l'identificazione del bambino con il protagonista
- attiva dei movimenti proiettivi
- permette di cogliere alcuni aspetti rilevanti del funzionamento mentale e della
personalità del bambino
Primo set di Tavole: Cappuccetto Rosso
Secondo set di Tavole: il Lupo
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Terzo set di Tavole: i Nani
Quarto set di Tavole: le Streghe
Quinto set di Tavole: I Giganti
Sesto set di Tavole: scene dalla fiaba di Cappuccetto Rosso
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Settimo set di Tavole: scene dalla fiaba di Biancaneve
Le Domande
COMUNI A I SET CON I PERSONAGGI
•Che cosa pensa e prova ogni personaggio? Perché?
• Quali dei tre è il vero personaggio? Perché?
SPECIFICHE
Cappuccetto Rosso
• Quale vorresti mangiare se tu fossi il lupo? Perché?
Lupo, Streghe e Giganti
• Quale ti fa più paura? Perché?
Nani
• Quale dei tre (Nani) Biancaneve sposerebbe? Perché?
Streghe e Giganti
• Qual è la più cattiva/il più cattivo? Perché?
• Che cosa può fare una strega/gigante cattiva/o?
• Nomi delle streghe/giganti
Scene dalla fiaba di Cappuccetto Rosso e di Biancaneve
• Descrivi cosa succede in ogni tavola
• Con quale tavola finisce la fiaba? Perché?
• Con quale tavola ti piacerebbe che finisse la fiaba? Perché?
Le Scale
Ambivalenza (AMB)
Desiderio di oggetti/cose materiali (DMT)
Autostima (SE)
Moralità (MOR)
Desiderio di Superiorità (DSUP)
Senso del Possesso (SPRO)
Senso della Privacy (SPRIV)
Aggressività come Dominio (AGRDOM)
Aggressività strumentale (AGRINSTR)
Aggressività di tipo A (AGRA)
Aggressività di tipo B (aggressività come Difesa, come Ritorsione e come Invidia)
(AGRB)
Aggressività orale (OA)
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Paura dell’aggressività (FA)
Bisogni orali (ON)
Desiderio di aiutare (DH)
Bisogno di affiliazione (NAFIL)
Bisogno di affetto (NAFCT)
Bisogno di approvazione (NAPRO)
Ansia (ANX)
Depressione (D)
Relazione con la madre (REL/MO)
Relazione con il padre (REL/FA)
Preoccupazione Sessuale (SP)
Bisogno di Protezione (NPRO)
Adattamento al Contenuto del Racconto (AFTC)
Ripetizioni (REP)
Risposte bizzarre (B)
disegnare un quadro globale e articolato della personalità del bambino, descritta in
termini di conflitti inconsci, di bisogni, di emozioni e di meccanismi difensivi
prevalenti.
SCOPO FTT: fornire ai clinici uno strumento di buona qualità psicometrica che consente di
valutare le diverse funzioni della personalità
OBIETTIVO FTT: aiutare il terapeuta a valutar le dinamiche della personalità del bambino/a,
fornendo informazioni non solo su aspetti della personalità, ma anche sulle loro
interrelazioni.
Un caso esemplificativo: Jurgen
➔ Somministrazione: COSTRUIRE IL RAPPORTO RACCONTO DELLE 2 FIABE
PRESENTAZIONE DELLE TAVOLE, DOMANDARE, TRASCRIVERE
➔ Interpretazione risultati: codifica QUALITATIVA e QUANTITATIVA (5 punti)
-comportamento durante il test
-impressione generale
-punteggi alti o bassi per ogni scala personaggio con cui il bambino si identifica
-dinamiche familiari: questionario/risposte
➔ Profilo di personalità: rapporto confidenziale
Analisi qualitativa dei protocolli
COSA ABBIAMO OSSERVATO
★ I finali desiderati dai bambini sono differenti dai finali classici delle fiabe:
MASCHI E FEMMINE 6-8 ANNI
Principe elemento di disturbo ⇨ il bambino si identifica con il nano
Biancaneve = imago materna
FEMMINE 9-11 ANNI
Prediligono lo sposalizio ⇨ visione disincantata della vita
★ Le risposte dei bambini potrebbero essere qualitativamente diverse in base alla
propria situazione familiare. Questa può influire su sentimenti, emozioni e conflitti che
il bambino può incontrare nel processo di crescita
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FIGLI DI GENITORI SEPARATI
più meccanismi di difesa (primitivi) meno fantasia
FIGLI DI GENITORI CONIUGATI
meno meccanismi di difesa (maturi) più fantasia
Punti di..
Dall’esperienza sul campo..
Il Fairy Tale Test:
❏ fornire contributi nei campi della valutazione della personalità, dello sviluppo dei
bambini e della psicopatologia.
❏ valuta conflitti inconsci a valenza potenzialmente nevrotica, bisogni ed emozioni
❏ efficace nell’ estrapolare il mondo interno
“La fantasia fa parte di noi come la ragione: guardare dentro la fantasia è un modo
come un altro per guardare dentro noi stessi”. (Gianni Rodari)
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SOCIALIZZAZIONE IN INFANZIA
Per socializzazione in generale si intende:
•
L’insieme dei processi attraverso cui l’individuo, nel corso dello sviluppo,
apprende come interagire con gli altri e costruire relazioni e legami stabili con
una pluralità di agenti di socializzazione che sono tutte le persone con cui il
soggetto si interfaccia.
•
Parallelamente l’individuo acquisisce norme, regole, simboli e strumenti propri
della cultura e della società di appartenenza. È la socializzazione che permette al
bambino da subito di imparare il contesto in cui vive.
All’inizio c’era l’idea di un bambino passivo, che subiva quello che succedeva attorno a lui;
nel tempo l’avere riconosciuto al bambino un ruolo fondamentale e attivo nella
costruzione del mondo sociale ha permesso di focalizzare l’attenzione sullo sviluppo di
competenze sociali e sui contesti familiari ed extrafamiliari che lo influenzano.
Il processo di socializzazione si configura come fattore che incide sullo sviluppo (se manca
la socializzazione si può avere un impatto sullo sviluppo) ma anche prodotto dello
sviluppo (è nel corso dello sviluppo che si potenziano le abilità sociali, è la capacità di
creare le relazioni interpersonali).
Tradizionalmente in letteratura si distingue tra:
1. SOCIALIZZAZIONE PRIMARIA:
·
·
·
·
Si colloca nelle fasi iniziali della vita del bambino e coincide con il periodo
della prima infanzia
Si tratta di processi di base attraverso i quali il repertorio comportamentale
del bambino conduce alla formazione di legami stabili e fondamentali per
l’adattamento e per lo sviluppo di abilità di tipo cognitivo, affettivo e
sociale à il bambino nasce con un insieme di comportamenti innati, riflessi
(es. grasping); successivamente a quel riflesso riceve un feedback che
associa a quel gesto innato un significato (es. saluto, simbolo sociale e
culturale): questo gli permette piano piano di entrare in relazione, creare
legami e questo permette lo sviluppo di queste competenze.
Avviene prevalentemente nel contesto familiare, si sta parlando dei primi
anni di vita, è il contesto principale nel quale il bambino è inserito. Negli
ultimi anni non è solo così.
La relazione primaria è generalmente quella tra il bambino e la mamma.
Questa relazione, seppur non in maniera deterministica, costituisce la
base per la creazione delle relazioni successive à IWS, internal working
models di Bowlby. Il bambino ha a livello mentale delle rappresentazioni
della relazione con la mamma che saranno i modelli che lo guideranno
nelle relazioni successive, NON necessariamente saranno identiche
perchè nel tempo possono intervenire diversi fattori, non è un processo
deterministico ma può costituire una buona base di partenza.
2. SOCIALIZZAZIONE SECONDARIA:
·
·
Coinvolge contesti extrafamiliari
Ci si sposta dal contesto primario familiare al contesto sociale,
comprendente le relazioni con i pari e altri adulti significativi (es.
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·
·
educatori)
I processi di socializzazione vedono il bambino in una condizione
autonoma di base, perché è in grado di stare da solo in contesti non
familiari grazie alle abilità acquisite in precedenza
Grazie all’acquisizione del pensiero simbolico il bambino conosce e
sperimenta i simboli della cultura di appartenenza: anche a livello di livello
di socializzazione secondaria ha modo di apprendere stimoli, valori e
norme della cultura di appartenenza.
Oggi, tuttavia, non appare corretto utilizzare rigidamente questa distinzione tra
socializzazione primaria e secondaria non tanto per i termini ma perché sicuramente la
famiglia è il primo contesto entro il quale apprendere e sviluppare competenze sociali ma già
dal primo/secondo anno di vita i bambini fanno esperienza precoce di relazioni con i pari
(fratelli, primi compagni di gioco in contesti educativi...). non c’è più quel rapporto
consequenziale tra socializzazione primaria e secondaria, dopo il primo anno i due processi
si intersecano, non sono consequenziali.
I processi di socializzazione sembrano quindi influenzarsi a vicenda a partire
dall’infanzia fino all’età adulta: aspetti culturali, normativi valoriali così come gli aspetti
emotivi e affettivi vengono trasmessi in famiglia e poi sperimentati e modulati in contesti
sociali esterni e viceversa ovvero che quello che il bambino impara dal contesto lo porta in
famiglia.
Il ruolo accuditivo e protettivo della famiglia si arricchisce di nuove funzioni, come la
mediazione rispetto alle conoscenze che il bambino fa rispetto al contesto esterno e
l’inserimento dei bambini in nuovi contesti sociali (es. nido, è un inserimento progressivo)
dove è possibile che ci si debba confrontare con modelli culturali ed educativi non condivisi
dalla famiglia. È un lavoro di mediazione e scambio all’interno del quale il bambino è attivo e
si confronta con modelli educativi diversi. In questi contesti, inoltre, il bambino potrà fare
esperienza di nuove figure di attaccamento (come le educatrici) e sperimentare le prime
forme di preferenza sociale e amicizia.
Emerge un quadro di estrema complessità dove sono diversi i fattori che interagiscono nel
processo di socializzazione creando quindi percorsi evolutivi differenziati, non ci può
essere un unico processo di sviluppo ma anche nuovi profili di rischio anche determinati
dall’interazione di tutti questi fattori tra loro.
Fattori che interagiscono nel processo di socializzazione:
●
Individuali
·
·
·
●
Competenze di base presenti alla nascita (repertorio comportamentale,
riflessi...)
Temperamento che ha una base genetica che determina una variabilità
tra i bambini.
Storia individuale/esperienze specifiche di deprivazione (profilo di rischio)
o arricchimento, vanno considerate di volta in volta
Familiari e Socioculturali
·
·
Costruzione del legame e stile di attaccamento: si è costruito un legame
di che tipo? Con che figura? Che stile di attaccamento ha interiorizzato il
bambino?
Modelli socioculturali che orientano le credenze genitoriali rispetto
all’accudimento e all’educazione. È il tema degli stili genitoriali:
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quell’insieme di credenze, comportamenti, ecc che guidano il genitore
nell’educazione e che ovviamente hanno delle conseguenze; sono tanti e
sono diversi anche in base alla cultura.
●
Relazioni tra pari
·
Relazioni tra fratelli e con i coetanei:
Quando dobbiamo prendere in carico un bambino piccolo è importante prendere in
considerazione tutti questi fattori perché sono tutti gli elementi che hanno portato il bambino
ad essere così come lo vediamo noi.
LA RELAZIONE TRA FRATELLI:
Non si può prescindere dai genitori perché è comunque una relazione mediata anche dai
genitori in quando presenti nella relazione.
È un veicolo primario di socializzazione, un canale privilegiato e se vogliamo anche
forzato perché non si può non socializzare con i fratelli: permette ai bambini di sperimentare
le prime forme di interazione tra pari.
Funge da prototipo della relazione con i coetanei e permette un passaggio più mediato
dalla socializzazione primaria a quella secondaria anche se si intersecano come abbiamo
visto, dipende anche dalla differenza di età dei fratelli, se vanno al nido ecc…
Caratteristiche:
-
-
-
Alto livello di coinvolgimento affettivo-emotivo, forte scambio emotivo. Ci
sono studi che dimostrano che nella relazione fraterna si sviluppa l’empatia.
Condivisione di spazi e tempi nella quotidianità spesso è una vicinanza
anche un po' forzata ma che li porta a una forte condivisione
‘Intimità’ fisica e psicologica: il legame tra fratelli è forte anche se può
essere conflittuale, non si escludono a vicenda. È una relazione forte perché
si condividono tutte le esperienze familiari
Si può configurare con una dimensione di verticalità (ruoli di: guida e
modello), tendenzialmente la guida è il fratello maggiore ma non sempre; si
crea questa dimensione di verticalità in cui uno sembra stare sopra l’altro
soprattutto se la differenza di età è tanta. Il fratello più piccolo considera il
fratello più grande quasi come un genitore (es. tanti fratelli o tanti anni di
differenza)
Presenta anche tratti di orizzontalità: collaborazione nel gioco, condivisione
di oggetti e conseguente scontro, negoziazione e aiuto reciproco. È una
relazione simmetrica, tra pari.
E’ la relazione più lunga in tutto il ciclo di vita: se ne fa esperienza dai primi anni di vita fino
alla morte tendenzialmente.
Differenza da relazione con i coetanei: è una relazione mediata dai genitori.
Le ricerche mostrano differenze nelle modalità di gestire le relazioni tra fratelli e con amici:
nelle seconde si manifesta maggiore sensibilità morale e una migliore capacità di assumere
la prospettiva dell’altro (giustificavano più il comportamento dell’amico che non quello dei
fratelli); la relazione con i fratelli è percepita come più conflittuale. Questo potrebbe essere
legato a questo legame molto forte fin dall’inizio: con l’amico percepisco una distanza che
col fratello non percepisco oppure potrebbe essere anche che l’amico viene generalmente
dopo che ho sperimentato socialità col fratello.
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È una relazione che presenta una grandissima variabilità: genere, età, ordine di genitura; è
una relazione che si modifica nel tempo e nel ciclo di vita della famiglia, presenta modalità di
interazione molto diverse anche perché ad esempio le interazioni in infanzia sono diverse da
quelle scolari ecc…
Furman & Buhrmester (1985) hanno individuato una serie di variabili che interagendo tra
loro influenzano la qualità della relazione fraterna:
-
Caratteristiche individuali (di tipo cognitivo, temperamentale, sociale) del
bambino
Genere, età, ordine di genitura, ampiezza familiare (famiglia più o meno
numerosa)
La relazione del singolo genitore con ciascun figlio e dalla percezione che il
bambino avrà di questa relazione
Modalità educative dei genitori: la relazione fraterna è mediata dai genitori. In più,
non è detto che i genitori usino la stessa modalità educativa con tutti i fratelli.
In questo modello i fattori interagiscono tra loro in modo circolare per cui la qualità della
relazione fraterna può influire sulla relazione genitori-figli e sulle caratteristiche individuali del
bambino: si influenzano a vicenda (relazione fraterna e tutti questi fattori).
Quello che emerge non è tanto la presenza o meno della relazione ma la qualità della
relazione. E’ descrivibile tramite alcune dimensioni: conflitto, rivalità, calore, aiuto, stima
dell’altro, sostegno reciproco, in base a come interagiscono creano una migliore o peggiore
relazione fraterna.
A partire da questo modello, altri autori hanno indagato il peso dei fattori coniugali sulla
qualità della relazione fraterna:
-
-
-
-
Infelicità coniugale, clima emotivo familiare negativo, conflittualità tra i
genitori: possono unirsi di più o al contrario interiorizzare una forma conflittuale
di relazione.
I MOI (modelli operativi interni) elaborati rispetto alla relazione con il caregiver
guidano anche la relazione fraterna e i pattern di comportamento utilizzati
durante le interazioni genitore-bambino vengono generalizzati anche alle
interazioni tra fratelli
La percezione che i fratelli possiedono riguardo al trattamento dei genitori nei
propri e nei confronti del fratello: ad esempio gelosia, rivalità che può nascere
se penso e percepisco che i miei genitori trattano meglio mio fratello che me. E’ il
discorso degli stili educativi che possono essere/essere percepiti diversamente.
Eventi che accadono all’interno della storia familiare
PROSPETTIVA INTERAZIONISTA (Dunn, 1988;1993): è la più classica, ha dedicato molto
spazio allo studio della relazione tra fratelli. La relazione fraterna è intesa come contesto di
apprendimento della competenza sociale. Questa prospettiva ha usato tantissimo metodi
di osservazione e di interviste; è una prospettiva sul campo.
Focus: momenti di interazione tra fratelli (es: gioco condiviso) e di ognuno con la madre
e sui cambiamenti che avvengono in seguito alla nascita di un secondo figlio che è il
momento topico nella relazione tra fratelli. Rispetto alla nascita del secondo figlio:
-
Rispetto alla relazione madre-primogenito: prima della nascita gli scambi
verbali vertevano sul comportamento, bisogni e desideri del primogenito.
Dopo la nascita l’attenzione materna si sposta e il secondogenito diventa oggetto
delle conversazioni con il primogenito à può provocare gelosia del fratello
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-
maggiore ma allo stesso tempo lo aiuta nel processo di riconoscimento
del fratello appena nato, lo aiuta a pensarlo come persona autonoma nella
sua mente. È importante parlare col primogenito del fratello già quando è in
gravidanza.
Parallelamente la qualità della relazione madre-primogenito peggiora e
diminuisce il tempo di gioco comune. Nei momenti di accudimento del
secondogenito invece la relazione mamma – primogenito sembra migliorare: è
fondamentale il ruolo della mamma nel coinvolgere il primo figlio
nell’accudimento del secondo figlio (es. bagnetto: il primo figlio si sente coinvolto
e non escluso).
L’interazione tra fratelli costituisce una palestra sociale in cui esercitare abilità sociale e
svilupparne altre. In particolare, attraverso il gioco comune e del gioco simbolico congiunto:
-
-
Apprendimento dell’alternanza dei turni e della capacità di adeguare il linguaggio
al contesto
Sperimentare compiti e ruoli
Emergere della conflittualità e quindi anche la possibilità di sviluppare abilità di
negoziazione e confronto: è inevitabile che si litighi tra fratelli ma è funzionale per
far sviluppare delle competenze.
Apprendimento di competenze cognitive, emotive e comunicative
PROSPETTIVA SISTEMICA (Bank & Kahn,1982): La relazione fraterna è intesa come un
sottosistema distinto e autonomo rispetto a quello familiare. Il sottosistema fraterno,
all’inizio risente molto dell’influenza del sottosistema genitoriale e poi progressivamente
diventa più autonomo con spazi, attività modalità e regole proprie.
Le relazioni si collocano lungo un continuum che ha due estremi: vicinanza-somiglianza e
distanza-differenza. Solitamente le relazioni si collocano nella parte centrale del continuum
(percezione di somiglianza e differenza) e sono caratterizzate da una percezione reciproca
di somiglianza e differenza tra i fratelli.
Nel caso in cui la relazione si collochi all’estremo della somiglianza si attivano processi di
identificazione che portano a una relazione ‘‘fusionale’’, dove la dipendenza è totale e
reciproca. Se in alcuni momenti, se non all’estremo possono essere funzionali, dall’altra
parte possono portare a situazioni di dipendenza non funzionale. Con i gemelli questa
probabilità è più alta; inoltre, generalmente questo processo si attiva più facilmente nel
fratello più piccolo. È inoltre possibile che uno dei fratelli, in genere il maggiore, viene
idealizzato e assunto come modello che verrà sistematicamente imitato. Questa dinamica
può essere funzionale in alcune fasi dello sviluppo ma può evolvere in dinamiche in forme
confusive.
All’opposto del continuum vengono individuate relazioni di estrema distanza e distacco
(relazioni “fredde”) dove i fratelli non percepiscono nessuna somiglianza, che possono in
extremis evolvere in un totale rifiuto e in una separazione. Non è così infrequente che ci sia
un forte distacco tra i fratelli.
Un altro concetto sistemico è quello di ‘’mito familiare’’: descrizioni di attribuzioni di
caratteristiche individuali e relazionali basate sull’osservazione e non necessariamente con
un fondamento ma che si tramandano nel corso del tempo nella famiglia, sono stabili nella
famiglia e si tramandano nelle generazioni; si vede come nel tempo i fratelli si adeguano a
questi miti. È molto presente nella pratica clinica, guidano tantissimo i genitori e spesso non
sono facili da scovare perché sono molto radicati e i genitori mettono in atto comportamenti
senza accorgersene. I ‘’miti familiari sui fratelli’’ possono riguardare aspetti relazionali
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oppure caratteristiche individuali. Ad esempio: «maschi e femmine litigano sempre», «i figli
maggiori sono più indipendenti». I miti sono stabili da famiglia a famiglia e attraverso le
generazioni, per cui spesso i figli finiscono per adattarvisi.
In circostanze particolari, il sottosistema dei fratelli può assumere un ruolo fondamentale
rispetto al più ampio sistema familiare, diventando una risorsa; nella prospettiva sistemica il
sottosistema fraterno viene portato in terapia. Un esempio classico è quella della
separazione/divorzio dei genitori: in questo caso il sottosistema dei fratelli è l’unico a
rimanere intatto all’interno di un sistema famigliare che si sfalda. Spesso il legame si rafforza
in questa circostanza e talvolta, in caso di separazioni molto conflittuali (a rischio di
triangolazione), limita i tentativi dei genitori di creare alleanze all’interno della famiglia.
In situazioni particolarmente stressanti e/o traumatiche (es. perdita di entrambi i genitori) è
possibile che i fratelli possono costituirsi come figure di attaccamento principali con tutte le
caratteristiche principali delle relazioni di attaccamento.
GELOSIA tra fratelli: La gelosia è un’emozione complessa e il bambino diventa capace di
provarla quando, grazie allo sviluppo cognitivo e affettivo, diventa consapevole delle
emozioni proprie e altrui (non compare prima dei 18-24 mesi); possiamo considerarla come
un’emozione sociale.
La causa più comune dell’emergere della gelosia e della rivalità fraterna è il cambiamento
del sistema familiare con la nascita di un secondo figlio. La gelosia può svilupparsi
anche in famiglie con più di due figli; in questo caso le dinamiche sono svariate e possono
coinvolgere i fratelli in maniera diversa (ad esempio: possono svilupparsi delle alleanze).
Anche se in maniera meno frequente anche il secondogenito può essere geloso del/i
fratello/i maggiore/i. In questo caso è possibile che la gelosia possa svilupparsi se il fratello
maggiore ha particolare successo ed è premiato per questo.
Quando nasce un secondogenito, e quindi cambia il sistema familiare, le madri
generalmente prestano meno attenzione ai primogeniti che possono reagire a questa
situazione in maniera diversa. Il bambino (primogenito) non è in grado di gestire
autonomamente le emozioni o di esprimerle a livello verbale esplicitamente, soprattutto per
le emozioni complesse come la gelosia. Le emozioni vengono quindi espresse attraverso i
comportamenti, trova un altro canale di espressione. Tra le manifestazioni più tipiche:
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Attacchi di rabbia, capricci, richiesta di attenzione: continuamente richiedono
attenzione
Aggressività nei confronti del fratello (espressione di sentimenti ambivalenti) in
quanto ritenuto colpevole della situazione.
Aggressività, fisica e verbale, verso la mamma soprattutto ma anche verso il
papà: la mamma è più presa di mira perché sicuramente è più coinvolta sol
secondogenito (es. allattamento); il papà può essere una figura strategica per far
sentire meno solo il bambino più grande
Comportamenti regressivi (es. pipì a letto): è una manifestazione della difficoltà
emotiva ma anche un ritornare piccoli perché il fratello più piccolo ha più
attenzioni
Quando il bambino non riesce ad esprimere i sentimenti: disturbi psicosomatici
(es. tanto mal di pancia/testa). Avviene quando non ci si riesce a livello
comportamentale.
Come devono comportarsi i genitori?
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Il primogenito va informato per tempo della gravidanza e del conseguente
arrivo del fratello/sorella. Il bambino si sentirà meno escluso se coinvolto
dall’inizio. Ha bisogno di metabolizzare, fare domande per capire cosa sta
succedendo. Se lo si informa dall’inizio e se lo si coinvolge si sentirà pare del
processo
Devono essere evitati cambiamenti repentini e ‘’imposti’’ senza alcuna
spiegazione negli spazi e nelle abitudini del bambino, si deve coinvolgere anche
in questo e soprattutto gli si deve dare del tempo per capire e metabolizzare
(questa è una cosa su cui deve lavorare il professionista) I genitori devono
mettersi nei panni del figlio, il bambino non va punito o deriso, l’emozione va
accolta e legittimata per poi spiegarla e comprenderla à favorire la
mentalizzazione nei genitori
Il genitore deve assumere un comportamento paziente e rassicurante, anche
quando vanno disapprovati alcuni comportamenti (come comportamenti di
aggressività fisica): anche in questo caso non va punito con tono ostile ma
spiegando in modo comprensivo, nominando l’emozione per aiutare il bambino a
comprenderla
I genitori non devono usare espressioni che rimandino a un ‘’amore
esclusivo’’ (es. vorrò sempre più bene a te) ma rassicurare il figlio con ad
esempi ricordi e prove concrete che nel tempo dimostrino al figlio che il loro
affetto è immutato. Può generare clima di competitività; è preferibile usare ricordi
per dimostrare che il comportamento è stato lo stesso anche col primogenito così
da fornire la prova che l’amore per il figlio è sempre lo stesso
È indispensabile che l’arrivo del fratello non coincida con ‘’l’uscita di casa’’ del
primogenito o con step importante (ad es. inserimento al nido, mandare il
primogenito a casa dei nonni per qualche giorno): questo può far pensare al
primogenito di non essere voluto e che i genitori lo stiano escludendo/lo abbiano
fatto apposta.
È importante che i genitori continuino a passare del tempo con solo con il
primogenito. Può essere utile organizzare dei momenti esclusivi con il
primogenito o se presente prima, mantenere le eventuali tradizioni precedenti
Una figura ‘’strategica’’ può essere il papà
Sono tutti aspetti molto facili anche da organizzare che però hanno un effetto molto
positivo sul bambino e lo fanno sentire amato da mamma e papà nonostante l’arrivo del
fratellino.
CONFLITTI E RIVALITA’: Il conflitto tra fratelli è un passaggio evolutivo funzionale
importante che permette al bambino da un alto di affermare sé stesso e il suo punto di vista
e dall’altro di prendere coscienza del fatto che gli altri possono avere punti di vista diversi; è
importante che il bambino sviluppi la consapevolezza che l’altro abbia un punto di vista
(TOM). Il conflitto permette al bambino di fare esperienza della frustrazione (e della
sconfitta) e di imparare che vi sono delle regole da rispettare (es. non ci si picchia); piano
piano deve tollerare e gestire la frustrazione.
I motivi del litigio possono essere i più disparati: condivisione degli spazi o degli oggetti,
rivalità, gelosia, invidia…
I bambini litigano e ricorrono a comportamenti non funzionali perché hanno capacità sociali,
cognitive e verbali ancora limitate: paradossalmente attraverso il conflitto riescono a
migliorare queste competenze.
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I comportamenti attraverso cui si manifesta il litigio dipendono dal genere, dall’età, dalla
competenza dei bambini, dalla differenza di età tra i fratelli… Rispetto al genere: le bambine
prediligono comportamenti di tipo verbale e il pianto, mentre i bambini comportamenti più di
tipo fisico; non è sempre così, possono esserci comportamenti fisici anche nelle bambine e
viceversa.
Tendenzialmente le relazioni tra fratelli dello stesso sesso sono più improntate alla
competizione; nelle relazioni tra fratelli di sesso diverso, le sorelle per i fratelli assumono una
funzione di sostegno (soprattutto se sorelle maggiori) ma talvolta questo può essere vissuto
come un’ingerenza e tradursi in un conflitto, dobbiamo fare attenzione che la sorella più
grande non si comporti come la mamma.
Se la differenza di età è minore i litigi sono più frequenti e duraturi, i bambini sono nella
stessa fascia di età e quindi hanno anche le stesse competenze. Se la differenza è
maggiore, il fratello più grande farà tendenzialmente prevalere un senso di accudimento a
quello di prevaricazione.
Come devono comportarsi i genitori?
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Durante i comuni litigi i genitori dovrebbero rimanere in disparte e lasciare che i
fratelli si gestiscano da soli ovviamente se il litigio rimane su un livello non
pericoloso. Non dovrebbero entrare subito in gioco, è importante che imparino a
gestirsi da soli per trovare una soluzione
I genitori hanno la funzione di mediazione: aiuta i fratelli a ragionare su quanto
successo, a negoziare e a trovare una possibile soluzione; il ruolo del genitore è
quello del mediatore che li accompagna (Bruner), li accompagna a ragionare e a
negoziare per trovare una soluzione.
Uno strumento utile sono le storie e le fiabe in cui i personaggi fanno emergere e
affrontano emozioni negative nei confronti di un fratello. Aiuta i bambini perché la
storia
aiuta
il
bambino
ad
immedesimarsi
nella
situazione
e
scoprire/riflettere/conoscere le emozioni e quindi imparano a riconoscerle e piano
piano gestirle.
È importante che i genitori esplicitino le regole fin dall’inizio, devono essere
poche ma chiare e poi prevedere qualche piccola sanzione; la sanzione è per
entrambi se entrambi non rispettano le regole.
I genitori devono essere il più possibile giusti e corretti, evitando di fare
paragoni usando etichette (più piccolo/grande; più ingestibile; ...: portano il
bambino a lungo andare a adattarsi a quell’etichetta che gli viene attribuita) e di
avere preferenze.
Le preferenze possono essere veicolate anche
implicitamente (‘’lui è più piccolo’’)
FRATELLI AMICI E COMPETENZA SOCIALE: nella relazione fraterna (attraverso il gioco
e/o il conflitto) i fratelli possono sviluppare, ad esempio, l’abilità di: perspective-taking,
regolazione emotiva, empatia, negoziazione e problem-solving. Queste abilità, associate alla
competenza sociale, possono poi essere estese, sperimentate e ulteriormente sviluppate
nelle relazioni amicali, c’è infatti uno scambio tra le relazioni tra fratelli e quelli amicali. La
relazione fraterna e quella amicale sono diverse, possono considerarsi successive ma non è
propriamente così.
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Un recente studio ha messo in luce come bambini con relazioni fraterne
caratterizzate da affetto e vicinanza mostrino minori livelli di aggressività e
migliore competenza sociale rispetto ai bambini con relazioni fraterne
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conflittuali: questo filone di letteratura ha legato le relazioni fraterne con quelle
amicali.
Si vede come influenza la qualità della relazione è ciò che incide, non tanto il fatto di
avere o meno un fratello. La relazione positiva catalizza, quella negativa non vuol
dire che peggiora.
- Coerentemente, uno studio italiano ha mostrato come una relazione fraterna
‘’calda’’ (caratterizzata da supporto, vicinanza e intimità) influenza la creazione di
relazioni supportive con gli amici e la messa in atto di comportamenti
prosociali.
QUANDO UN FRATELLO E’ DIVERSAMENTE ABILE: è una relazione particolare dove un
fratello ha sviluppo tipico e uno atipico.
La disabilità o una malattia cronica hanno un impatto su tutta la famiglia (può bloccare in
casi estremi il ciclo di vita della famiglia, soprattutto quando arriva come evento
inaspettato/stress in una fase di transizione) e quindi anche sulla relazione fraterna. Avere
un figlio disabile o malato costringe i genitori a un decentramento, in termini di tempo,
attenzioni e cure, dal fratello (più grande) che rimarrà disorientato dal comportamento dei
genitori e aumenta il senso di esclusione. Inoltre, essere fratello/sorella di una persona con
disabilità comporta una serie di emozioni contrastanti e complesse che possono essere
difficile da affrontare perché sono emozioni di amore – odio: è mio fratello/sorella ma attira
tutte le attenzioni. Soprattutto se il fratello è grande, è un’esperienza difficile da affrontare.
Sono sempre presenti le gelosie e i conflitti ma il fratello con sviluppo tipico potrebbe provare
anche:
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Senso di colpa per la gelosia provata nei confronti del fratello che è più fragile
Vergogna o imbarazzo per il fratello in situazioni sociali
Paura che la stessa malattia/disabilità possa toccare anche lui/lei, soprattutto nei
bambini piccoli.
Sentirsi responsabile dell’accaduto: soprattutto se in età prescolare, i bambini
possono ricorrere alla fantasia per spiegare quanto avviene e che per loro non è
comprensibile
Sono tantissime emozioni che per un bambino creano un quadro complesso da vivere.
Il legame con un fratello disabile perde le caratteristiche di intimità e di condivisione e la
disabilità/malattia organizza in modo rigido ruoli e funzioni: non potrà condividere col
fratello tutte le esperienze/confidenze. Inoltre, spesso il fratello con sviluppo tipico è
trascurato dai genitori perché ha meno bisogno: da un lato ‘’diventerà adulto’’ più
velocemente, imparando a cavarsela da solo in diverse situazioni, come se si rendesse
conto di non poter fare sempre conto su mamma e papà; dall’altro si sentirà in dovere di
prendersi cura del fratello, aspetto che può comportare un’iper-responsabilizzazione, ci
sono casi in cui il fratello si prende molto cura del fratello, quasi fosse un 3 genitore
provocando un’accelerazione dei compiti che in uno sviluppo tipico si sviluppano in seguito.
Questo può a sua volta comportare nel fratello con sviluppo tipico un serie di vissuti emotivi
negativi difficili da gestire che possono esitare in comportamenti regressivi (enuresi
notturna), problematici (problemi comportamentali) o difficoltà di apprendimento
(associazione a deficit di attenzione/concentrazione). È come se lo sfogo emotivo dovesse
emergere ed emerge in questi comportamenti. Il fratello con sviluppo tipico, inoltre, può
sperimentare un vissuto di forte solitudine perché è difficile trovare qualcuno che capisca e
che lo possa sostenere.
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Come devono comportarsi i genitori?
L’abilità più importante che i genitori devono mettere in campo in queste situazione è quello
di comunicare con parole semplici e chiare, una comunicazione efficace.
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Non va in alcun modo nascosta la malattia/disabilità del fratello e va
messo al corrente subito scegliendo le parole giuste i base all’età del
bambino. Informazioni specifiche e precise che aiutano ad informare il
bambino.
Il bambino va rassicurato spiegando fin da subito che la malattia/disabilità
non è contagiosa e che non è una sua colpa.
È importante far capire la natura del disturbo: quali sono limiti e punti di
forza, cosa potrà e cosa non potrà fare il fratello: ci sono sempre anche dei
punti di forza, non bisogna concentrarsi solo su quello che non riesce a fare
perché ci sono cose in cui è capace o addirittura più capace.
Durante la comunicazione i genitori devono trasmettere serenità, e non
spaventare il bambino, adottare un tono rassicurante ed empatico. Non
mostrare disperazione davanti all’altro figlio, piangere ecc; bisogna
prepararsi.
È importante che si rendano disponibili a rispondere ad altre domande, a
fornire chiarimenti o a ripetere più volte gli stessi concetti. Spesso, infatti il
fratello fa più volte la stessa domanda per essere rassicurato e per
interiorizzare meglio la malattia.
Può essere funzionale dare dei piccoli compiti di cura del fratello disabile in
modo che si possa sentire coinvolto: devono essere cose piccole che non lo
sovraccarichino
È assolutamente importante che i genitori si mettano nei panni del figlio con
sviluppo tipico, legittimando le fatiche e le emozioni negative: è importante
che il bambino non senta come sbagliate le sue emozioni. Il bambino,
soprattutto se è piccolo, fa fatica a capire quello che prova e a fronteggiare le
emozioni; i genitori in questo lo devono aiutare.
I genitori è importante che ritaglino dei momenti di tempo da dedicare solo a
lui oppure che i genitori creino dei momenti ‘’di leggerezza’’ in cui è coinvolta
tutta la famiglia; avere dei momenti esclusivi dove sa che c’è solo lui. I
momenti di leggerezza sono importanti per far relazionare i due fratelli tra di
loro in un clima positivo.
Nei casi in cui uno dei genitori è assente, non è in grado o rifiuta il ruolo di cura nei confronti
del figlio disabile/malato, un rischio è quello che si verifichi la ‘’parentificazione’’ del figlio con
sviluppo tipico. Con parentificazione si intende un vero e proprio rovesciamento di ruoli tra
genitore e figlio, in base al quale quest’ultimo assume la funzione di caregiver (del genitore o
di un altro familiare) in diversi ambiti e aspetti a spese dei propri bisogni di bambino o
adolescente. Non avviene in tutte le famiglie con figlio disabile, ci devono essere
determinate condizioni. In questo caso specifico, è il fratello con sviluppo tipico che
assume il compito di caregiver del fratello disabile/malato. Il bambino sente la necessità di
farsi carico della sua famiglia sia in maniera più esplicita occupandosi ad esempio della cura
del fratello (parentificazione strumentale), o in maniera più implicita come consolare e
rassicurare il/i genitore/i (parentificazione emotiva): si fa carico di compiti pratici di cura ma
anche rassicura il genitore che tutto andrà bene.
Il bambino che si trova in questo ambiente disfunzionale cresce sviluppando la convinzione
che l’unico modo di ‘’essere visto’’, di avere attenzione o di creare un legame affettivo,
minimamente soddisfacente, è quello di prendersi cura dell’altro, in questo caso del genitore
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o del fratello.
In letteratura sono state individuate diverse conseguenze negative associate a fenomeno
della parentificazione, quali: difficoltà nella regolazione delle emozioni, inferiore competenza
nelle relazioni interpersonali (è come se il bambino saltasse una fase nella quale può
provare e sperimentare le proprie abilità), sviluppo di disturbi internalizzanti (depressione e
sintomi psicosomatici) o esternalizzanti (ad esempio disturbi del comportamento). Si tratta di
una situazione di gravità e pregiudizio per l’adattamento del bambino.
RELAZIONI TRA PARI E AMICIZIA IN INFANZIA
La relazione tra fratelli è la prima relazione tra pari che si sperimenta però si sperimenta
all’interno del contesto familiare. Altre relazioni significative tra pari sono quelle che
avvengono nel contesto extra-familiare. Se prima si faceva un discorso di sequenzialità
(prima fratelli e poi pari), negli ultimi anni dove il bambino viene inserito precocemente in
contesti educativi come il nido, queste relazioni si sviluppano contemporaneamente e infatti
tendono a influenzarsi tra loro.
Il rapporto con i pari non può considerarsi uguale a quello con i fratelli perché ha delle
caratteristiche specifiche, anche se le relazioni tra fratelli e quelle con i pari si influenzano a
vicenda. A partire dai 2-3 anni la ricerca ha evidenziato il ruolo positivo per lo sviluppo del
bambino delle relazioni tra pari: le relazioni tra pari sono funzionali allo sviluppo di abilità
cognitive, emotive e interpersonali. Queste abilità a loro volta favoriscono la costruzione di
relazioni sempre più complesse: anche questo è una palestra dove il bambino può
sperimentare, apprendere, facendo errori e riparandoli si apprendono competenze emotive,
cognitive e interpersonali.
Sono caratterizzate da orizzontalità: si costruiscono tra bambini della stessa età, che hanno
lo stesso livello di sviluppo in termini di abilità cognitive e sociali, gli scambi sono reciproci.
Sono relazioni dove il bambino si relaziona ‘’da solo’’ senza l’aiuto dell’adulto, pertanto sono
più difficili da gestire e mantenere. La relazione con l’adulto è più facile da mantenere per il
bambino perché se l’adulti è in grado e si pone nella giusta maniera, svolge la funzione di
scaffolding/supporto; è una relazione asimmetrica dove il genitore è di supporto nel gestire
gli aspetti emotivi e conflittuali che ci possono essere in una relazione. Nella relazione tra
pari essendo sullo stesso livello non c’è asimmetria, è difficile da mantenere ed è ancora
meno mediata dai genitori rispetto a quella tra fratelli perché banalmente i genitori spesso
non sono presenti (es. nido/materna). È un contesto in cui il bambino impara a stare da solo
e poi sperimenta la relazione con i pari che è una relazione diversa e nuova per lui.
AMICIZIA:
Una delle principali componenti della vita degli individui in tutto il ciclo di vita. Assume
funzioni e significati diversi a seconda della fase di vita in cui l’individuo si trova, è una
costante nel ciclo di vita che cambia funzione a seconda delle tappe.
In passato la letteratura proponeva una visione stadiale e la collocava in età scolare, le
prime relazioni amicali si situavano nei primi anni dell’età scolare. Diversi studi più recenti
mostrano come i bambini già dal secondo/terzo anno di vita creino le prime relazioni amicali.
Vi sono studi che mostrano interazioni funzionali (condivisione del sorriso, motricità
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coordinata…) alla costruzione di relazioni amicali nel primo anno di vita. Tutte queste microinterazioni sono funzionali alla creazione di un legame. Inizialmente il bambino ha delle
interazioni solo con la mamma che diventano reciproche fino a creare una relazione: la
stessa cosa avviene con i pari.
Si differenzia dal legame tra fratelli anche perché è una relazione volontaria (gli amici
vengono scelti, i fratelli no), stabile nel tempo (necessaria la stabilità nel tempo, non basta
una sola interazione), non obbligatoria, gli amici vengono ‘’scelti’’. In infanzia, viene studiata
prevalentemente in contesti di gioco (metodi osservativi, o piccole interviste) perché sono i
contesti privilegiati per la creazione di tale legame, è giocando che cominciano ad interagire
e poi creano un’amicizia/relazione.
COMPONENTI: In letteratura vengono individuate 4 componenti dell’amicizia che la
definiscono:
1. PROSSIMITÀ:
○ Ha molteplici significati: ricerca e mantenimento di prossimità o vicinanza;
ricerco la vicinanza di qualcuno. Ritroviamo anche l’avvicinamento per
l’espressione dei propri bisogni ma anche la ricerca e il mantenimento della
prossimità in situazioni potenzialmente pericolose.
○ È una componente fondamentale perché da un lato è la condizione per la
creazione di un legame e dall’altro la manifestazione dell’esistenza del
legame stesso; è la condizione necessaria. Proprio il fatto che due bambini
siano vicini e mantengano questa vicinanza tra di loro è il simbolo, la
manifestazione tangibile dell’esistenza di questo legame.
2. RECIPROCITÀ:
o
Secondo Dunn (studiosa per eccellenza dell’amicizia tra bambini)
l’amicizia per definizione richiede la presenza azioni e scelte speculari
(come nominarsi a vicenda e identificarsi come amici) e di una reciprocità
nella relazione (es. quando viene chiesto ai bambini chi sia il migliore
amico) deve essere riconosciuta da entrambi.
o Uno studio ha individuato come i bambini riescano ad essere reciproci
anche in questo senso ovvero che mantengono degli scambi amichevoli
con i coetanei che in precedenza avevano avuto un atteggiamento
amichevole nei loro confronti: rispondono in maniera positiva, amichevole,
se a loro volta hanno ricevuto questo tipo di comportamento.
o Allo stesso modo, la reciprocità riguardava anche situazioni di conflitto: i
bambini si impegnavano in comportamenti competitivi e in scontri con i
coetanei che in precedenza avevano rivolto loro degli atteggiamenti ostili.
Un aspetto che emerge è che la reciprocità non si vede solo in situazioni
di scambio positivo ma anche di conflitto; già da piccoli mettono in atto
questi comportamenti di reciprocità.
3. CONDIVISIONE
○ L’amicizia è caratterizzata dallo stare e dal giocare insieme e
progressivamente dal pensare e sentire insieme quando via via si affinano le
competenze cognitive, emotive e interpersonali.
○ È espressione anche della capacità di cooperare, di condividere non solo
oggetti e attività ma anche un ‘’mondo immaginario’’: i bambini usano molto il
gioco di finzione (facciamo finta di…) non c’è solo una condivisione concreta
ma anche del mondo immaginario.
○ Tra i 18-24 mesi: i bambini osservano e imitano il comportamento dei pari,
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progressivamente aumentano le frequenze di azioni reciproche, si allungano
le alternanze dei turni e i bambini saranno quindi in grado di compiere azioni
più complesse e quindi imparare a cooperare.
○ La crescente capacità di condividere e cooperare risente anche dello sviluppo
emotivo del bambino (es: tollerare rabbia e frustrazione) i primi tentativi di
condivisione generalmente non hanno successo, non riescono bene a
coordinarsi. Questo permette di tollerare la frustrazione e la rabbia;
progressivamente sviluppano l’autocontrollo che permette di condividere e
cooperare nei giochi in maniera efficace.
4. INTIMITÀ
○
o Una prima forma di intimità è stata individuata anche all’interno delle prime
forme di amicizia in età prescolare (3-4 anni) all’interno dei primi giochi di
finzione condivisi. È la condivisione del mondo immaginario e di
fantasia che permette gradualmente ai bambini di accedere alla ‘’mente
dell’altro’’, aspetto che sviluppa un’intesa con l’altro e aiuta a costruire un
‘’senso del noi’’. Il gioco di finzione permette di sperimentare e
condividere emozioni positive e negative (non a livello verbale perché
non ne hanno le competenze ma di gioco). È un contesto protetto nella
quale possono sperimentare quell’emozione (es. paura), entrandoci
dentro, sperimentandola insieme e affrontandola.
Nel corso dello sviluppo questa componente si sviluppa fino ad arrivare a
forme di intimità più sofisticate come la condivisione di pensieri, emozioni e
credenze e valori.
AMICIZIA E COMPETENZA SOCIALE:
L’amicizia in infanzia assolve ad alcune funzioni fondamentali attraverso cui si sviluppa la
competenza sociale: fornisce occasioni di apprendimento delle abilità sociali e facilita il
confronto tra pari così come avevamo visto nella relazione tra fratelli.
Il gioco e la relativa condivisione con l’amico, infatti, permette al bambino di apprendere:
•
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•
•
•
Alternanza dei turni e della capacità di adeguare il linguaggio al contesto
Sperimentare compiti e ruoli, a 3-4 anni scambiano i ruoli nel gioco per
apprendere competenze diverse
Apprendimento di competenze cognitive, emotive e comunicative
Abilità di negoziazione e confronto (come tra fratelli)
Permette di interiorizzare regole, norme e valori della cultura sociale. Quando
esce dal contesto familiare può scontrarsi col contesto, tendenzialmente c’è la
stessa cultura di base ma norme e valori possono essere diversi da quelli che ha
imparato nel contesto familiare.
Particolarmente interessante da questo punto di vista è la gestione del conflitto tra amici.
La presenza di conflitto viene indicata come una caratteristica costante nelle diadi
amicali: correlata alla condivisione di esperienze (più occasioni di scontro) e all’intensità
dello scambio: più entro in contatto con una persona, più occasioni di
collaborazione/cooperazione avrò con quella persona, maggiori sono le occasioni di scontro.
In più, viste le componenti, diventa anche uno scambio più intenso rispetto a una persona
che non si considera amica. Allo stesso tempo, gli studi hanno dimostrato come i bambini si
impegnano di più nella sua risoluzione.
Dunn (2004) sottolinea come già a 4-5 anni i bambini cercano un compromesso,
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contrattano oppure cercano una conciliazione in caso di scontro con l’amico; anche
questo è stato studiato nel gioco di finzione, ad esempio quando entrambe vogliono fare
entrambe un ruolo. Questo è possibile grazie alla graduale acquisizione della capacità di
comprendere bisogni, emozioni e desideri dell’altro, è una caratteristica fondamentale che il
bambino deve ottenere, se non è in grado di capire che anche l’altro ha i suoi pensieri e
desideri non riesce ad arrivare ad un compromesso.
È stato rilevato come vi siano delle differenze nel tipo di ragionamento che il bambino
assume durante una lite con un amico o con un familiare (fratello e madre): sono stati distinti
due tipi di ragionamento, ragionamento orientato sull’altro e ragionamento orientato a
sé stessi. La probabilità che i bambini ricorressero a un ragionamento che tenesse conto
dell’altro e arrivasse a una conciliazione era significativamente più elevata nel caso di
conflitto con amico rispetto al conflitto con un fratello; i bambini tenevano più in
considerazione le emozioni e i bisogni dell’altro nel caso dell’amico rispetto al fratello. Sono
state date due spiegazioni:
-
Maggiore parità nel rapporto: fratello più grande quindi percepito meno vicino,
l’amico al contrario era percepito come un suo pari.
Qualità emotiva dello scambio, preferenza per i pari: da una certa età i bambini
preferiscono giocare con i pari rispetto ai genitori/fratelli.
Nello studio non sono emerse correlazioni tra i comportamenti del bambino nelle 3 diverse
situazioni à anche quando il bambino ha acquisito la capacità di conciliare/trovare un
compromesso non impiega questa capacità in tutte le relazioni, era una scelta libera e
deliberata; anche se aveva già ottenuto quella competenza (ragionamento orientato
sull’altro), faceva una selezione, non necessariamente lo applicava in tutti i contesti.
Ha permesso di sottolineare l’importanza del contesto e del tipo di relazione dove il bambino
fa esperienza e affina le competenze. Il tipo di relazione entro il quale avviene il conflitto è
fondamentale e l’amicizia sembra essere un contesto particolarmente significativo dove il
bambino ha modo di affinare un’abilità fondamentale: il perspective taking. Questo ci dice
come per il bambino sia importante l’amicizia anche se in passato non si riteneva così
importante.
AMICIZIA E COMPRENSIONE MORALE (correlato al saper cogliere la prospettiva
dell’altro):
Dunn (2004) sottolinea come l’amicizia sia un contesto all’interno del quale il bambino ha la
possibilità di sviluppare comprensione e sensibilità morale. I bambini considerano le
questioni morali in maniera diversa quando si tratta di amici: una violazione di una qualche
norma morale è più grave se le conseguenze si ripercuotono su un amico (es. rubare un
gioco ad un amico è più grave di rubarlo al fratello: il fratello è cattivo/antipatico mentre
l’amico è il mio migliore amico e quindi non si fa ad un amico). L’assunzione della
prospettiva dell’amico portava il bambino a preoccuparsi per i suoi sentimenti e percepire
una ricaduta morale (rubare il gioco era un tradimento all’amico/lo faceva stare male).
Inoltre, i bambini che hanno amicizie più intime forniscono giustificazioni focalizzandosi su
aspetti interpersonali («non va bene perché lui è mio amico»), non sono giustificazioni
egoriferite o legate ad un episodio accaduto, sono giustificazioni su un piano relazionale, di
amicizia.
È vero anche il legame opposto: è possibile anche che la comprensione morale
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contribuisca a rendere migliore la qualità dell’amicizia e rafforzi il legame tra i bambini.
È un rapporto che vale in entrambi i versi: l’amicizia li influenza ma anche questi elementi
influenzano e incidono su un buon legame di amicizia.
DI CHI SI DIVENTA AMICI? Ci si è chiesto se si ricercano determinate caratteristiche
nell’amico, se c’è una selezione/ricerca di caratteristiche particolari.
-
Ipotesi della similarità: i bambini tendono a fare amicizia con bambini simili a
loro i bambini descrivono gli amici come simili a sé e i ‘’non amici’’ come diversi
da sé: quando viene chiesto ai bambini di descrivere l’amico, spesso lo
descrivono con dei tratti che sono simili a loro; quelli che al contrario non
considerano amici li identificano con dei tratti molto diversi da come loro sono
fatti.
La similarità riguarda diversi aspetti: genere, affinità di pensieri, atteggiamenti, valori,
interessi, rendimento scolastico: da una similarità più superficiale, se ne sviluppa una
più profonda.
Nel tempo gli amici tendono però anche a diventare più simili tra loro si parla di
“cultura tra pari” che rafforza la qualità del legame e mi fanno assomigliare sempre di
più ai miei amici. Bombi (2005) ipotizza l’esistenza di un ‘’circolo virtuoso’’ (o
‘’vizioso’’ se i tratti in comune incidono negativamente sull’ adattamento) tra le
caratteristiche condivise e la preferenza espressa.
- Tuttavia, alcuni bambini sembrano seguire un criterio differente e scelgono amici
molto diversi, non tutti seguono il criterio della similarità. Evidenze ancora poco
chiare, differenze attribuibili a caratteristiche individuali, familiari e sociali
che interagiscono tra di loro.
Genitori e amicizia
•Quali aspetti genitoriali hanno un influenza sulle amicizie dei bambini?
➔ Attaccamento e relazioni tra pari (Schneider et al., 2001)
Bambini con attaccamento sicuro verso la propria madre dimostreranno maggiore
competenza sociale all’asilo, che li porteranno a sviluppare relazioni amicali di migliore
qualità
➔
Figura Paterna (Simpkins & Parke, 2001)
Il rapporto con il padre (più che con la madre) è risultato correlato con il rapporto con i
coetanei
Vi sono evidenze rispetto al fatto che i padri contribuiscano in maniera significativa allo
sviluppo della comprensione emotiva dei figli e della loro capacità di mantenere interazioni
giocose
Vi sono differenze in base al sesso del figlio (Crouter & Crowley, 1990; Isley et al., 1999): le
relazioni genitori-figli dello stesso sesso sono più intense e stimolano più facilmente
l’identificazione del bambino con il genitore
●
comportamento dei padri è correlato alle relazioni amicali dei figli maschi e
quello delle madri alle relazioni delle figlie
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➔ Espressività emotiva e comprensione delle emozioni (Dunn, 2004)
Il clima emotivo caratterizzato da espressività emotiva e comprensione delle emozioni da
parte dei genitori porta il bambino a manifestare più di frequente le proprie emozioni co gli
amici e lo rende più in grado di comprendere i sentimenti degli altri
➔ I metodi educativi dei genitori (Dunn, 2004)
Stili educativi genitoriali ‘’più democratici’’ (genitore autorevole) stimolano la comprensione
del punto di vista dell’altro da parte del bambino
➔ La spiegazione gestionale (Dunn, 2004; Parke & Ladd, 1992)
● Influsso diretto dei genitori sull’esperienza amicale dei figli: sulle opportunità del
bambino di incontrare e giocare con altri bambini, agire da mediatore nelle liti e
fornire supervisione in caso di problemi con i coetanei
-Madri di bambini popolari: tendono a incoraggiare i figli a giocare insieme ad altri senza
disturbare il gioco
-Madri di bambini non popolari: tendono a usare metodi più intrusivi per coinvolgere i propri
figli
-Madri che usano strategie di supervisione diretta di controllo: tendono ad avere bambini
meno popolari rispetto ad altri
•La direzione dell’influenza tra relazioni genitori-figli e relazioni amicali è da considerarsi in
entrambe le direzioni:
-Relazioni difficili o problematiche con i genitori sono associate a difficoltà di relazione con i
pari
-Bambini che hanno relazioni difficili con i pari saranno portati a esprimere il loro malessere
e la loro insicurezza anche a casa influenzando la relazione con i genitori
Il ruolo dell’adulto
•L’adulto deve tenere a mente l’importanza che le relazioni con i pari e un rapporto di
amicizia ricoprono per il bambino
•Nel caso in cui il bambino mostri delle difficoltà nelle relazioni con i pari, è funzionale che
l’adulto sostenga il bambino e che assuma il ‘’ruolo di filtro’’
•Per prima cosa è importante che l’adulto ascolti e sia ‘’sensibile’’ ai segnali che potrebbe
mostrare il bambino
•L’adulto può quindi aiutare il bambino a comprendere la natura delle relazioni tra le persone
e a riflettere sulle proprie reazioni e sui sentimenti degli altri
•È utile esaminare gli episodi in cui si sono già verificati dei problemi, accogliendo le difficoltà
e le emozioni del bambino e, allo stesso tempo, aiutarlo a mettere a fuoco i motivi che
possono essere alla base del comportamento proprio e dell’altro bambino
•Può essere utile confrontare queste situazioni con quelle di successo in modo da
rinforzare i comportamenti efficaci a livello sociale, in questo modo anche il bambino si
riterrà più autoefficace a livello sociale e sperimenterà un senso di fiducia nei confronti delle
relazioni con i pari
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•In questi casi, lo psicologo può da un lato, svolgere questa funzione di filtro, dall’altro
dovrebbe sostenere i genitori e aiutarli a svolgere questa funzione
•Inoltre, per coloro che operano in contesti educativi, dove ci si trova a lavorare con bambini,
è importante mettere in atto interventi volti al potenziamento della competenza sociale,
favorendo il contatto e la costruzione di legami amicali tra i bambini
Uno strumento: Il disegno dell’amicizia
•Bombi e Pinto (1993) hanno elaborazione uno specifico sistema di codifica dei disegni
che consente di analizzare e confrontare le rappresentazioni dell’amicizia
•Consegna: “...ora ognuno di voi disegnerà se stesso con un amico o con un’amica...”
•Codifica, 5 scale:
1.Coesione/Distanziamento
2.Somiglianza
3. Valore
4.Clima emotivo
5.Perturbazione della relazione
Coesione/Distanziamento
•Sguardo/sguardo distolto: una figura guarda l’altra? evita di guardare l’altra?
•Avvicinamento/allontanamento: una figura è in una postura tendente a ridurre lo spazio fra
sé e l’altra? una figura è in una postura tendente ad aumentare lo spazio fra sé e l’altra?
•Attività coordinata/attività indipendente: l’attività di una figura è coordinata all’attività e/o alla
presenza dell’altra? una figura agisce per conto proprio?
•Vicinanza/lontananza: le figure sono vicine/sono lontane?
•Area comune/area individuale: le figure si trovano entrambe in uno spazio comune? Una
figura è collocata in uno spazio proprio?
•Unione/separazione: le due figure sono unite da un elemento grafico?
PUNTEGGI: dicotomici (0-1) ad ogni categoria, la cui media costituisce il punteggio globale
della scala. Più questo è elevato maggiore sarà la Coesione
Somiglianza
•Altezza: le due figure sono di altezza uguale o diversa?
•Posizione: le due figure sono in posizione uguale o diversa?
•Corpo: le due figure sono uguali o diverse per forma e colore del volto e del corpo?
•Attributi (abiti, scarpe, accessori): le due figure hanno attributi uguali o diversi per forma,
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articolazione o colore?
PUNTEGGI: da 0 a 2 a ogni categoria, la cui media costituisce il punteggio globale della
scala. Lo 0 corrisponde a una differenza marcata o molto marcata, 1 a una differenza
leggera, 2 a una differenza minima o a massima somiglianza
Valore
•Spazio occupato: le due figure occupano una equivalente quantità di spazio? Se no, quale
ne occupa di più?
•Collocazione dominante: le due figure sono alla pari per collocazione? Se no, quale delle
due si trova in una collocazione dominante?
•Articolazione del corpo: le due figure hanno un numero uguale di parti del corpo? Se no,
quale ne ha di più?
•Numero di attributi: le due figure sono pari per numero e articolazioni degli attributi? Se no,
quale ne ha di più?
•Numero di colori: per eseguire le due figure è stato usato lo stesso numero di colori? Se
no, quale ne ha di più?
PUNTEGGI: da 0 a 2 a ogni categoria. (2 = massima differenza). Oltre ad assegnare il
punteggio, occorre indicare in ogni categoria, quale delle due figure risulta dotata di maggior
valore, segnando accanto al punteggio la sigla P (partner) o S (soggetto)
La media dei punteggi P esprime il valore globale del partner; la media dei punteggi S il
Valore Globale del soggetto; la media di tutti i punteggi (P + S) costituisce il punteggio
globale della scala
La differenza tra il punteggio P e di S divisa per 5 (numero delle sub scale) esprime lo
Sbilanciamento di valore
Clima emotivo e perturbazione
Clima emotivo
•Qual è lo stato d’animo delle figure che caratterizza la relazione?
Si classifica lo stato d’animo di ciascuna figura considerando i seguenti elementi: mimica
facciale, simboli convenzionali, (es: presenza di cuori) verbalizzazioni dirette sullo stato
d’animo
Stati d’animo riuniti in 3 gruppi: benessere, malessere, ostilità
Le figure in cui non compaiono né elementi grafici né verbalizzazioni che consentono di
identificare inequivocabilmente lo stato d’animo sono considerate neutre.
Categorie di perturbazione della relazione
Riferimento a forme comportamentali o verbali
•Contesa di oggetti: le due figure si disputano qualcosa?
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•Minaccia: una figura minaccia comportamenti fisicamente lesivi dell’altra?
•Opposizione: una figura dissente verbalmente o agisce in opposizione all’altra?
•Aggressione: una figura aggredisce l’altra verbalmente o fisicamente?
•Chiusura/rifiuto: una figura rifiuta di interagire con l’altra?
Se presente, si classifica il disegno in una di queste categorie
Il disegno dell’amicizia
Nello studio condotto da Bombi e Pinto (1993)
•Nei disegni dei bambini il grado di somiglianza nella rappresentazione di sé e del partner
è associato in modo chiaro alla qualità della relazione
•Gli amici inoltre si rappresentano solitamente come poco sbilanciati per valore e nella
maggioranza dei casi più coesi che distanziati, impegnati in attività simili o condivise
Solitudine e ritiro sociale
in infanzia
La solitudine
•La solitudine ha una forma oggettiva (l’essere da soli) e una soggettiva (il sentimento di
solitudine) e risponde al bisogno di separazione e di autonomia che al bisogno di
relazione e di avere delle relazioni
•Soddisfare il primo porta all’individuazione come persone con una propria identità, mentre
soddisfare il secondo comporta gratificazione, facendo sperimentare appartenenza,
affetto….
•Esistono due dimensioni della solitudine:
1. Quantitativa: nessuna o poche relazioni
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2. Qualitativa: le relazioni ci sono ma non soddisfano i bisogni
•Può riflettere la presenza di un disturbo (es: depressione) o qualche forma di disagio
psicologico se intenso e prolungato nel tempo
➔
tende a cronicizzarsi nel tempo
•Esiste la solitudine in infanzia? Quando stanno da soli che emozioni provano i bambini?
Sono in grado di provare solitudine?
•Negli ultimi decenni, grazie all’attività osservativa nelle scuole, le ricerche hanno mostrato
un quadro composito distinguendo varie forme di comportamenti solitari e individuandone
limiti e risorse per lo sviluppo
•Ci si è focalizzati sullo studio del ritiro sociale da un lato, e dall’altro sul gioco solitario
•La letteratura sul tema ha dimostrato che i bambini possono provare sentimenti di
solitudine e disagio psicosociale
•Già a partire da 5/6 anni i bambini sono in grado di:
❏
❏
❏
❏
Identificare e ricordare momenti in cui si sono sentiti soli
Descrivere il sentimento provato
Distinguere le diverse situazioni in cui si sono sentiti soli (in famiglia, a scuola…)
Differenziare tra aspetti socio-relazionali ed emotivi del sentimento di solitudine
•I bambini descrivono sentimenti di solitudine provati riferendosi a: noia, tristezza, paura e
senso di isolamento
Il ritiro sociale
•Da un punto di vista clinico e psicosociale i comportamenti solitari sono stati studiati in
termini di isolamento e ritiro sociale
•Può essere definito come una condizione di bassa frequenza di interazioni con i pari
➔
in un contesto potenzialmente sociale il bambino tende a rimanere in disparte e a
preferire il gioco solitario
•A livello clinico non costituisce di per sé un disturbo ma può essere altamente correlato a
disturbi (o esserne un sintomo) quali: disturbo d’ansia da separazione, depressione, disturbi
dello spettro autistico…
•Da una prospettiva interazionista, i bambini che stanno spesso soli hanno meno possibilità
di sviluppare competenze specifiche. Hanno maggiori difficoltà di sviluppare capacità di
problem-solving, chiedendo spesso l’aiuto dell’adulto
•Bambini che stanno spesso soli mostrano più bassi livelli di autostima e un concetto
negativo di sé
•Vi possono essere diverse motivazioni per cui un bambino interagisce poco con i pari,
pertanto si è cercato di distinguere e descrivere le varie forme di ritiro sociale
•È stato esplorato attraverso l’osservazione dei momenti di gioco libero a scuola, dove i
bambini erano liberi di organizzarsi
Lo studio del ritiro sociale
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Rubin, Burgess, Kennedy & Stewart (1993; 2003)
•Studio longitudinale canadese (Waterloo Longitudinal Project)
•2 obiettivi:
➢ Concettualizzare le diverse forme di ritiro sociale e seguirne l’evoluzione (età
prescolare, scolare e preadolescenza)
➢ Individuare percorsi evolutivi di disadattamento sociale
•Sono state individuate 3 diverse forme di ritiro sociale, che derivano dalla combinazione
di variabili individuali, familiari, socioculturali e dalle due motivazioni che guidano la vita
sociale: tendenza all’approccio e tendenza all’evitamento
•Lo studio ha evidenziato una stabilità nel tempo delle tre diverse forme: le diverse
modalità comportamentali e di gioco individuate e associate alle diverse forme di ritiro
continuano a caratterizzare gli stessi bambini negli anni
1. Ritiro Sociale Attivo
•Bassa frequenza di interazioni con i coetanei
•Comportamenti chiassosi e turbolenti, attività frenetiche
•Giochi immaturi, prevalentemente ripetitivi e di tipo funzionale sensomotorio (es:
muovere una macchina o far rotolare una palla), rumorosi svolti in disparte dai compagni
•Riflette immaturità cognitiva e sociale
•Tono dell’umore più negativo, caratterizzato da ansia, tristezza e rabbia
•Sono rifiutati dai compagni quando provano ad avviare un’interazione, sono bambini
impopolari
•Mostrano alto approccio sociale e basso evitamento
•Ricercano l’attenzione dell’altro ma i tentativi di approccio vengono frustrati a causa delle
modalità intrusive, maldestre di interazione con gli altri, i pari tendono a isolarli à si ritrova
a giocare da solo a causa della bassa competenza sociale
•Forma di ritiro correlato ad aggressività e disturbi esternalizzanti, sviluppano bassa
autostima e sentimenti di solitudine
2. Ritiro Sociale Passivo
•Forma caratterizzata da attività esplorativa e di costruzione condotta in modo quieto e
sedentario
•Giochi maturi sul piano cognitivo (es: giochi simbolici e di finzione)
•Prediligono il gioco solitario, soprattutto con oggetti ma non evidenziano difficoltà a
intraprendere e mantenere interazioni con i coetanei
•Tono dell’umore più positivo, caratterizzato da interesse, gioia e curiosità
•Presentano una bassa tendenza all’ approccio sociale, tuttavia mostrano una bassa
tendenza all’evitamento consentendo loro interazioni efficaci con i pari
•Non sono impopolari ma incide negativamente la dimensione quantitativa del ritiro:
bassa frequenza di interazioni, minore occasione di costruire e sviluppare competenza
sociale
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3. Ritiro Sociale Reticente
•Bassa frequenza di interazioni con i coetanei connessa a inibizione sociale e timidezza
•Si pongono nella condizione di ‘’spettatore’’
•Bassa tendenza all’approccio sociale e alta tendenza all’evitamento: hanno il desiderio
di inserirsi nel gruppo di coetanei e di interagire con loro ma sono bloccati da una sorta di
inibizione che li porta a stare in disparte o a ritirarsi quando si è coinvolti
•Mostrano un atteggiamento ansioso
•Ripiegano spesso sul gioco solitario passivo
•Diventano bambini impopolari, vengono ignorati dai pari
•Manifestano sentimenti di solitudine e tristezza
Il ritiro sociale: potenziali cause
•Il ritiro sociale è riconducibile a una bassa competenza sociale (e viceversa) ed è inteso
come il prodotto di fattori di vario tipo quali:
-Temperamento inibito
-Attaccamento insicuro (e in particolare, ambivalente)
-Aspetti genetici e biologici di vulnerabilità
-Genitori direttivi o iper protettivi
-Rifiuto dei pari
-Vittimizzazione all’interno del gruppo dei coetanei
•Questi fattori vanno considerati singolarmente e in interazione tra loro
Il ritiro sociale: differenze di genere
•Diversi studi (e.g. Coplan et al., 2001; Rubin et al., 2009) hanno successivamente indagato
al presenza di differenze di genere
•Ipotesi: vi sono delle differenze di genere associate alle varie forme di comportamento
solitario considerando che nella società occidentale ritiro sociale e/o timidezza possono
essere diversamente accettate in funzione del genere
➔
nel caso dei maschi viene scoraggiata, con e femmine incoraggiata o comunque più
accettata
•Non sono emerse differenze di genere rispetto alla frequenza di questi comportamenti
•Sono emerse differenze di genere rispetto alle conseguenze in termini di sviluppo e
adattamento
•In particolare, il ritiro passivo tende a essere correlato con indici di disadattamento solo per
i maschi, mentre il ritiro attivo sono risultati associato a difficoltà di gestione di relazioni
sociali, di regolazione emotiva, in entrambi i sessi
•Il ritiro reticente è risultato correlato a inibizione e a altri indici di disadattamento per
entrambi i sessi
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•Tuttavia, nelle diverse fasi di vita il ritiro sociale è risultato associato a difficoltà di tipo
socio-emotivo più per i maschi che per le femmine
•In particolare nei maschi è risultato correalto a: reattività negativa, diffidenza sociale e
distress emotivo in contesti sociali
•Questa differenza di genere è stata attribuita alle aspettative socio-culturali nelle culture
occidentali (Sadker & Sadker, 1994)
Il ritiro sociale: correlati e conseguenze
Relazioni tra pari
•Nonostante le difficoltà a relazionarsi nel gruppo dei coetanei, i bambini ritirati appaiono
capaci di costruire e mantenere delle relazioni amicali diadiche all’interno dell’ambiente
scolastico. Tuttavia è emerso come fosse più frequente che questi bambini costruissero un
legame di amicizia con bambini che mostravano difficoltà psicosociali e distress
emotivo (Rubin et al., 2006)
•L’isolamento sociale in infanzia e in adolescenza è risultato associato a rifiuto da parte dei
pari (la relazione può essere vera in entrambe le direzioni)
•Questa associazione tende ad aumentare costantemente nel corso degli anni (Ladd, 2006)
Il ritiro sociale
Concetto di sé e conseguenze di tipo internalizzante
•Bambini ritirati socialmente attribuiscono il fallimento sociale a caratteristiche personali e
disposizionali piuttosto che ad eventi e circostanze esterne (=locus of control interno)
•Inoltre quando veniva chiesto loro di risolvere un dilemma sociale facevano ricorso a
strategie di evitamento, ritiro e fuga
•Prediligono strategie di coping basate sull’evitamento
•Locus of control interno unitamente a queste strategie di coping possono comportare una
serie di outcomes negativi di tipo internalizzante come: sintomi depressivi, bassa
autostima e crescente ritiro sociale
•Il ritiro sociale è risultato predittore di sentimenti di solitudine, percezione negativa di sé e
depressione
Conseguenze a livello scolastico
•L’inserimento scolastico o il passaggio da un grado di scuola all’altro è particolarmente
problematico per i bambini timidi/ritirati perché si trovano ad affrontare una situazione
sociale che può essere per loro stressante
•All’interno del contesto scolastico i bambini timidi/ritirati parlano meno con compagni e con
gli insegnanti e hanno un linguaggio espressivo più povero
•Sembrano mostrare difficoltà di performance (e non di competenza), come risultato
dell’alto livello di stress sociale
•Mostrano bassi livelli di autoefficacia scolastica
Rapporto con gli insegnanti: non passano inosservati ma richiedono molte attenzioni,
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sviluppano una relazione meno intima ma dipendente con l'insegnante à aspetto a sua
volta associato ad aspetti di rischio a livello di adattamento scolastico
Conseguenze a livello clinico
•Bambini fortemente inibiti a livello sociale sono ad alto rischio di sviluppare disturbi
d’ansia (e in particolare, fobia sociale), nella tarda infanzia e in adolescenza
•In generale, i disturbi d’ansia sono tra i più comuni in infanzia
A prescindere dalla causa,
relazioni sociali con i pari
paura e ansia sociale compromettono le interazioni e le
•L’evitamento delle relazioni assolve quindi la funzione di abbassare il livello di arousal
→se l’evitamento diminuisce l’ansia, verrà rinforzato il ritiro sociale come strategia
efficace, e aumenterà la probabilità di ricorrere a questa strategia (Crozier & Alden, 2005)
•Allo stesso tempo ritiro ed evitamento interferiscono con lo sviluppo della competenza
sociale. Questa mancanza di competenza aumenta e rinforza il senso di ansia sociale e
bassa autostima
•Il ritiro sociale è associato ed è un predittore dello sviluppo di sintomi depressivi e
depressione
•I bambini ritirati sul versante depressivo, sperimentano umore depresso, ritiro sociale,
sentimenti di profonda solitudine, bassa autostima, scarsa concentrazione, disturbi del
sonno e inappetenza
•Mentre i bambini sul versante ansioso a una richiesta di aiuto riescono a sollecitare
interesse, simpatia e apertura sociale, i bambini sul versante depressivo ricercano
supporto sociale in modo poco funzionale, cosa che porta gli altri ad evitarli, ignorarli o
rifiutarli
Una differente prospettiva
•Il bisogno di solitudine costituisce una costante nella vita dell’individuo ed è fondamentale
sul piano evolutivo perché garantisce l’acquisizione della capacità di autoregolarsi,
favorendo la nascita di spazi di autonomia
•Il punto di partenza di questa prospettiva è individuato nelle riflessioni di Winnicott e Bowlby
❏ È Winnicott il primo a sottolineare l’importanza di acquisire la capacità di stare da soli
grazie alla costruzione e l'interiorizzazione di un legame di fiducia con la madre
❏ Coerentemente Bowlby sottolinea il bisogno di distanziarsi, di agire in autonomia in
un ambiente nuovo che permetta l’esplorazione
•Ci si è quindi focalizzati sullo studio del gioco solitario per indagare se la solitudine possa
in qualche modo fungere da risorsa
Il gioco solitario
•Contraddistingue alcune situazioni di ritiro sociale, tuttavia è osservabile in tutti i bambini
anche tra coloro che interagiscono frequentemente con i compagni, in questi casi i momenti
di gioco solitario sono compresenti e alternati ad altri di gioco sociale
•Osservando il gioco libero non strutturato dei bambini, si rilevano chiaramente modalità
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diverse di partecipazione al gioco:
-Alcuni giocano insieme, condividendo regole e obiettivi
-Altri giocano vicini ma non insieme svolgendo la stessa attività ludica ‘’in parallelo’’
-Altri giocano per conto proprio
•Queste modalità si possono alternare, per cui il gioco solitario non va considerato
sempre come un ‘’campanello di allarme’’ di situazioni di disagio sociale. Lo può
diventare se è una condizione costante di bassa socialità e se associate a forme ludiche
immature, stereotipate o disturbanti
Corsano e Cigala (2004)
•Studio italiano su 140 bambini
•2 obiettivi:
-Individuare categorie diverse di partecipazione sociale al gioco
-Correlare le categorie ad indicatori di competenza sociale ed emotiva
•Sono state individuate 3 categorie di bambini:
1. ‘’Timidi’’: comportamenti solitari da spettatore
2. ‘’Solitari costruttivi’’: giochi solitari di tipo costruttivo
3.‘’Misti’’: la maggior parte, si dedicano sia al gioco solitario che al gioco sociale
Bambini solitari costruttivi
•Numero esiguo di bambini nel campione indagato (12 su 140)
•Costituiscono la categoria di bambini come ‘’meno a rischio’’
•Si identificano attraverso l’evidenza delle attività solitarie preferite, di tipo costruttivo e
delle competenze sul piano sociale ed emotivo che li contraddistinguono come ‘’bambini
che amano stare da soli’’
•Non si differenziano dai bambini ‘’misti’’ se si considera il livello globale di competenza
sociale
•Mostrano tuttavia competenze specifiche sul piano sociale: sono presi a modello dagli
altri, sono in grado di gestire la relazione con un adulto non familiare, chiacchierano con i
compagni in momenti deputati alla socialità (es: i pasti)
•A livello di gioco prediligono quello solitario costruttivo finalizzato a unire, mettere
insieme elementi per realizzare un prodotto (es: puzzle, costruzioni)
•Queste specificità distinguono questi bambini da quelli ‘’timidi’’ in modo molto netto
•Questi bambini e i misti sono infatti capaci di stare sia da soli sia con gli altri
Il comportamento solitario
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•Il comportamento solitario per quanto possa essere espressione di incapacità relazionale
deve essere visto e studiato come una condotta solitamente presente accanto a
condotte sociali nelle esperienze di bambini in età prescolare e scolare
•Il contesto di riferimento, i modelli educativi culturali così come le caratteristiche
temperamentali o legate alla storia individuale del soggetto possono rimodulare o
riequilibrare di volta in volta il rapporto o la compresenza di tali condotte
•È utile quindi ripensare alle competenze sociali dei bambini inglobandovi anche la capacità
di stare da soli
Il ruolo dell’adulto
•Rispetto alle condotte di gioco solitario, genitori e insegnanti possono preoccuparsi
molto, osservando ad esempio bambini che ripetono spesso lo stesso tipo di gioco o che
‘’parlano da soli’’
•Bisogna tener a mente che queste condotte rappresentano una modalità di gioco
presente in infanzia in tutti i bambini e che se non sono le uniche forme di interazione
presente possono costituire una risorsa
•Quello a cui prestare attenzione è la quantità e la qualità di tali condotte: capirne la
frequenza, indagare se emergono comportamenti eccessivamente ripetitivi (quasi
automatici), stereotipati, rigidi
•Nel caso in cui il gioco avvenga in un clima sereno e sia alternato a comportamenti di
interazione sociale il ripetere alcuni giochi può essere un modo di sperimentare la propria
autonomia oppure i monologhi che accompagnano il gioco solitario possono rappresentare
una prima forma di pensiero narrativo così come la possibilità di sperimentare nel gioco ruoli
diversi
•Rispetto al ritiro sociale, i genitori possono ricondurlo a tratti temperamentali (‘’è un
bambino chiuso’’), questa credenza può condurre a una condizione di
passività/rassegnazione invece di stimolare la ricerca di sostegno
•L’insegnante/educatore è spesso una figura ‘’strategica’’
•In situazioni di ritiro sociale è fondamentale che ci sia un lavoro ‘’sinergico’’ e condiviso
tra famiglia, scuola e il professionista psicologo
•È importante svolgere un accurato e attento lavoro di osservazione per identificare la natura
del ritiro e le sue caratteristiche
•È inoltre importante identificare e valutare se e in che quadro clinico potrebbe collocarsi tale
forma di ritiro
ATTACCAMENTO IN INFANZIA
I modelli di attaccamento
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•Il bambino è inserito in un mondo di relazioni affettive significative all’interno delle quali si
sviluppa la personalità, si strutturano le difese (=reazioni adattive a stati disfunzionali) e si
consolidano capacità e strategie di regolazione emotiva (Barone, 2007; Tronick,2008;
Murray, 2014)
•Queste relazioni costituiscono la base per la costruzione dei modelli di attaccamento e le
rappresentazioni di sé e degli altri.
Il sistema di attaccamento (SDA)
•Secondo Bowlby (1969; 1973), negli individui esiste fin dalla nascita un sistema di schemi
comportamentali a base innata detto sistema di attaccamento
•Questa predisposizione a entrare in relazione con le figure di accudimento (caregivers)
rappresenta, una componente biologica fondamentale che svolge funzioni di protezione ed è
volta garantire la sopravvivenza del neonato
•Il SDA è delineato in termini di un sistema omeostatico, ha lo scopo di mantenere in
equilibrio le condizioni esterne e quelle interne di sicurezza: se l’ambiente è sicuro,
l’individuo si sente sicuro
•Quando nell’ambiente è presente un pericolo il SDA si attiva e porta alla messa in atto di
una serie di comportamenti di attaccamento che ripristinino la sicurezza, quali: il pianto, il
seguire, la ricerca di contatto con la figura di attaccamento (FdA)
•Il genitore svolge la funzione di base sicura
•Mantenimento di un equilibrio tra vicinanza con la FdA ed esplorazione dell’ambiente
(attivazione del sistema esplorativo)
•Bowlby identifica 4 fasi di sviluppo dell’attaccamento, dalla nascita fino ai 3 anni circa
•Il sistema di attaccamento è un’organizzazione psichica interna stabile che comprende
sentimenti, ricordi, desideri, aspettative e intenzioni particolarmente rilevanti per lo stabilirsi e
il mantenimento del legame di attaccamento e per la costruzione di nuovi rapporti
interpersonali
Attaccamento e MOI
•Secondo la prospettiva di continuità dell’attaccamento, le diverse modalità di interazione
con la madre e la qualità dell’attaccamento sono alla base della formazione di
rappresentazioni mentali, i modelli operativi interni (MOI), del sé e della FdA, e per
estensione degli altri
•Si basano sulle aspettative rispetto il comportamento della fdA, alla sua disponibilità e alle
probabili risposte in situazioni di sicurezza o minaccia
•Questi modelli sono formati anche dalle aspettative rispetto il proprio comportamento, il
proprio sé in relazione alla FdA e agli altri
•I comportamenti e le modalità con cui gli individui rispondono a un evento stressante
(qualsiasi evento percepito come pericoloso) nel tempo si organizzeranno secondo direttrici
che riflettono quella che era la risposta più adeguata allo stile di accudimento messo in atto
dalla FdA già nel primo anno di vita
•Le esperienze del bambino nella relazione con i genitori avranno un’influenza sulle
esperienze relazionali e sull’adattamento del bambino
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Attaccamento e regolazione emotiva
•Con il consolidarsi delle relazioni di attaccamento il bambino apprende specifici stili di
regolazione emotiva
•
•Concetto di ‘’disponibilità emotiva del genitore’’: esperienze interattive adeguate
permetteranno al bambino di sperimentare la regolazione e il controllo degli stati emotivi
negativi e di amplificare quelli positivi (Cassidy, 1994; Tronick 2008)
•
•La regolazione delle emozioni a livello intrapsichico e interpersonale costituisce
un’acquisizione fondamentale nello sviluppo psicologico del bambino
•
•Inizialmente la regolazione emotiva sarà mediata in maniera significativa dal caregiver che,
attraverso le sue risposte ai segnali, permetterà al bambino di fare esperienza della mutua
regolazione
•Allo stesso tempo il bambino ha fin dall’inizio delle strategie di autoregolazione proprie
(es: suzione del pollice per autoconsolarsi o distogliere lo sguardo per ridurre l’eccesso di
stimolazione)
•12-36 mesi, strategie comportamentali di regolazione includono: l’evitamento degli stimoli
stressanti o la ricerca attiva di contatto e vicinanza per ottenere conforto
•
•Progressivamente l’acquisizione del linguaggio nel periodo prescolare aumenterà la
possibilità del bambino di fare ricorso a una gamma sempre più ampia di emozioni
➔ più in grado di comunicare le emozioni e di indirizzare le proprie
richieste emotive in maniera finalizzata
•Le capacità metacognitive consolidate dai 5 anni in poi forniranno un ulteriore strumento di
regolazione emozionale
•Nel tempo, grazie allo sviluppo cognitivo e linguistico, il bambino svilupperà la capacità di
ricorrere al gioco simbolico e di finzione e alla narrazione per elaborare esperienze
emotive significative, che diventeranno strategie di autoregolazione emozionale complesse
del bambino (Murray, 2014)
•Seguendo questa prospettiva molti autori hanno sottolineato come sia possibile considerare
i modelli di attaccamento come specifici indicatori delle competenze regolatorie che il
bambino sta formando nell’ambito delle relazioni (Waters et al., 2010)
Attaccamento: il ruolo del padre
•Il padre, in assenza o in sostituzione di una madre poco presente, può porsi come FdA
principale ed essere quindi determinante nella costruzione del sé del figlio influenzando i
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suoi MOI
•Quando la FdA principale è la madre, il padre può essere scelto dal bambino come
seconda FdA e quindi, nel caso in cui il padre abbia MOI sicuri, può far sperimentare
calore e supporto, qualora fossero carenti nella relazione madre-bambino → il padre ha in
questo caso una ‘’funzione di protezione’’ rispetto alla qualità del legame di attaccamento
con la FdA principale
•Fattore di trasformazione dei MOI della moglie e/o della relazione madre-bambino: lo stile
di attaccamento dei genitori può influenzarsi a vicenda
➔
Es: un padre che ha un modello sicuro di sé sicuro può influenzare la relazione
con la moglie insicura, rendendola meno insicura influenzando le sue modalità di
risposta al bambino
Modelli di attaccamento: sicuro
•Hanno sperimentato una FdA responsiva: riconosce i segnali e risponde in modo coerente
alle richieste del bambino
•Relazione bambino-caregiver caratterizzata da una sensibilità affettiva, cura e conforto
adeguato che tengono conto dei bisogni e dei desideri del bambino in termini di protezione,
cura e conforto
•Sono in grado di esplorare l’ambiente (anche aspetti nuovi) in presenza e in assenza del
genitore
•Hanno sviluppato la capacità di mantenere un equilibrio tra il comportamento
esplorativo e quello di attaccamento perché il genitore funge da base sicura
•L’acquisizione di questa sicurezza interna facilita l’esplorazione dell’ambiente circostante
e la capacità di entrare in relazione con gli altri (anche con i pari…)
Linea evolutiva
•Con lo sviluppo e l’acquisizione di nuove competenze, tendono a mostrare una maggiore
fiducia in sé stessi, un migliore adattamento nella scuola materna, una minore
dipendenza dagli insegnanti e una maggiore competenza sociale nei confronti dei pari a
scuola
•Usano con facilità il gioco di finzione e la comunicazione simbolica per esprimere
desideri e sentimenti
•Lo sviluppo di un attaccamento sicuro nei primi tre anni di vita costituisce il fattore
protettivo primario per la salute mentale e il benessere del bambino
•Nella seconda infanzia e nell’adolescenza mostrano una capacità di mantenere relazioni
strette con amici intimi e di contare sul supporto che viene anche da queste relazioni
Strategie di regolazione emotiva
•Si basano sulla capacità di poter esprimere un’ampia gamma di emozioni positive e
negative (tra cui anche paura o rabbia)
•Si basano sulla fiducia di ottenere una risposta rassicurante e sintonica al bisogno di
protezione e conforto
•La possibilità di ripristinare il senso di sicurezza interno attraverso la vicinanza e il contatto
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viene interiorizzata, intorno ai 3 anni il processo di regolazione emotiva diventa più
autonomo e permette di modulare e fronteggiare le emozioni
•Queste competenze, unite alla capacità di verbalizzare, riconoscere ed esprimere in
maniera consona le emozioni, consentiranno una buona regolazione del comportamento
e delle emozioni che metteranno le basi per un buon adattamento successivo
Modelli operativi interni di sé e della FdA
•Immagine di se stessi come degni di amore, come capaci di tollerare le separazioni
temporanee e come in grado di affrontare situazioni di difficoltà
•Rappresentazione della FdA e degli altri: disponibili ad aiutare in caso di bisogno e come
pronti a negoziare i termini di eventuali separazioni ed eventuali conflitti e disaccordi
Modelli di attaccamento: evitante
•Sembrano non avere fiducia in un’adeguata risposta materna e mostra uno spiccato
distacco ed evitamento della vicinanza e del contatto con lei
•Più interessati all’ambiente e al gioco che all’interazione con la madre
•Questo decentramento nel focus attentivo si ipotizza abbia la funzione di minimizzare
l’espressione dei sentimenti dolorosi e delle emozioni negative e di permettere il
mantenimento della maggiore vicinanza possibile senza andare incontro al rifiuto
•Mettono in atto meccanismi difensivi che li portano a negare i loro bisogni e che si
autorappresentino una realtà stereotipata
•In situazioni di stress/pericolo/paura mettono in atto comportamenti di falsa autonomia,
negando il loro bisogno di sicurezza e a non esprimere le emozioni
Linea evolutiva
•La strategia di minimizzazione dell’espressione emotiva attraverso un controllo del
comportamento di attaccamento si associa spesso a sentimenti di isolamento e di
sfiducia
•Questi sentimenti a loro volta possono tradursi in una maggiore aggressività nei confronti
dei pari a scuola materna oppure attraverso frequenti lamentazioni e sensazione di
minore capacità di problemsolving
Strategie di regolazione emotiva
•Il mantenimento del senso di sicurezza viene ricercato attraverso strategie alternative
basate sul tentativo di modificare l’espressione delle emozioni e dei comportamenti di
attaccamento in maniera da ridurre l’indisponibilità del caregiver
•Il distanziamento o l’inibizione dell’espressione emotiva insieme a un’attività eccessiva di
autoconsolazione, nel tempo diventano un meccanismo anticipatorio che altera le funzioni
di valutazione delle emozioni
•Le espressioni di angoscia e rabbia vengono interrotte, represse o falsificate attraverso
una strategia di evitamento e possono portare all’esclusione dalla consapevolezza
conscia di emozioni come la paura, il dolore, la tristezza
Strategie di regolazione emotiva
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•Esperienza affettiva caratterizzata da: distanziamento affettivo, pseudo-autosufficienza,
negazione dell’importanza delle relazioni, idealizzazione del sé e dei genitori, negazione dei
bisogni e degli affetti negativi
•Possono comportare, nel corso dello sviluppo, una predisposizione ai disturbi
esternalizzanti (quali, aggressività, disturbo oppositivo, disturbo della condotta) e al disturbo
di personalità antisociale
Modelli operativi interni di sé e della FdA
•Immagine di se stessi come non degni di affetto e che deve far conto solo su se stessa
•Rappresentazione della FdA e degli altri: assenti in caso di necessità, ostili e rigidi
Modelli di attaccamento: ambivalente
•Non riescono a utilizzare la madre come base sicura e mostrano una scarsa inclinazione
a esplorare
•Per mantenere il controllo dell’interazione usano come strategia l’espressione amplificata
di emozioni negative estreme (rabbia e/o di impotenza) e l’enfatizzazione dei propri
bisogni per attirare l’attenzione di un genitore responsivo in maniera inconsistente
Linea evolutiva
•Nei confronti del genitore questi bambini mostrano, anche negli anni successivi,
espressioni di irritazione e nervosismo, accentuando in maniera esagerata l’intimità e la
dipendenza oppure esprimendo ambivalenza e ostilità e mostrandosi al tempo stesso più
immaturi della loro età
•Il monitoraggio continuo nei confronti del genitore li porta a interrompere molto più
frequentemente il gioco
•L’esplorazione è molto contenuta, hanno maggiori difficoltà nel manipolare i giocattoli e
sono meno curiosi nei confronti dell’ambiente
•Mostrano una maggiore paura e inibizione nell’interazione con i pari, preferiscono il
gioco solitario rifiutando qualsiasi tipo di coinvolgimento con i pari
Strategie di regolazione emotiva
•Si basano sull’amplificazione delle espressioni emotive (pianto, lamentele, ansia….) nel
tentativo di ottenere più facilmente una risposta
•Questo riduce il ricorso a strategie di autoconsolazione e alla possibilità di esplorare
l’ambiente, ostacolando anche il raggiungimento dell’autonomia e della fiducia in sé
stessi
•Queste strategie li rendono meno competenti e in grado di trovare soluzioni appropriate
nei momenti di ansia o di difficoltà
•Possono apparire: timorosi, inconsolabili o impulsivi-aggressivi
•Sono compromesse la capacità di sperimentare la separazione psicologica dalle FdA
•Predispone allo sviluppo di disturbi internalizzanti, come ansia, depressione, ritiro sociale,
disturbi d’ansia e in età adulta è associato a disturbo di personalità borderline
Modelli operativi interni di sé e della FdA
•Immagine di se stessi confusa, degna di affetto in maniera ‘’intermittente’’, vulnerabile, non
in grado di affrontare le difficoltà da sola come non degni di affetto
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•Rappresentazione della FdA e degli altri: imprevedibili, minacciosi o ostili a cui chiedere
aiuto
Modelli di attaccamento: sicuri ed insicuri
•Nonostante ci sia la possibilità di sviluppare disturbi e patologie (soprattutto per i pattern
insicuri) sono considerati pattern ‘’organizzati’’
•I bambini infatti:
–sono capaci di essere guidati da anticipazioni su come risponderebbe la FdA alle loro
richieste
–sono capaci di mettere in atto delle strategie adattive in termini di sopravvivenza, mettendo
in atto strategie in linea con lo stile di caregiving di cui hanno fatto esperienza
Modelli di attaccamento: disorganizzato
•Rottura di una strategia organizzata nei confronti della relazione con il caregiver quando
viene attivato l’attaccamento
•Privi di una strategia coerente o di uno scopo e possono manifestare comportamenti
contraddittori o atipici, immobilità, fino a indici diretti di paura o di preoccupazione nei
confronti del genitore
•Questo pattern è stato associato al maltrattamento o al comportamento
spaventato/spaventante del caregiver in cui il bambino sperimenta un conflitto
irrisolvibile tra la tendenza a rivolgersi al genitore come fonte di rassicurazione e il fatto che
è lo stesso genitore a suscitare paura
Linea evolutiva
•Comportamenti disorganizzati come il freezing sono tipici della prima infanzia, dopo i 3-4
anni si possono osservare comportamenti di inversione di ruolo (di tipo controllante-punitivo
o controllante-accudente)
•Il mondo rappresentazionale e affettivo di questi bambini si presenta come altamente
contraddittorio e frammentato, con strutture di significato multiple e dissociate che
compromettono lo sviluppo di un senso di sé coerente e integrato
•I bambini disorganizzati possono sviluppare in età prescolare e scolare condotte oppositive
o comportamenti ostili-aggressivi e difficoltà di relazione con i pari
Strategie di regolazione emotiva
•Sperimentano spesso una disregolazione emotiva prolungata che ha conseguenze
negative sul piano intrapsichico ed interpersonale
•Le emozioni sperimentate (paura, tristezza e rabbia) sono talmente intense e violente da
compromettere la capacità del bambino di organizzare una strategia funzionale e un
comportamento coerente
•ll bambino viene lasciato solo con questi stati affettivi senza la possibilità di una regolazione
reciproca all’interno della relazione primaria
•La disregolazione può essere osservata a livello affettivo, somatico, comportamentale,
cognitivo e relazionale
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Strategie di regolazione emotiva
•A livello somatico: battito cardiaco accelerato e livelli più elevati di cortisolo durante e
dopo le separazioni; alterazioni della serotonina, responsabili del mancato controllo degli
impulsi e delle esplosioni incontrollate di aggressività
➔ Questa alterata reattività neurofisiologica associata a minore competenza
sociale e in generale nella frequenza dei comportamenti esternalizzanti
•Associato in età adulta gravi psicopatologie come il disturbo di personalità borderline e i
disturbi dissociativi
Modelli operativi interni di sé e della FdA
•Modelli di sé e degli altri multipli e incoerenti, con un’immagine di sé come individuo esso
stesso minaccioso (perché si percepisce come la causa dello stato spaventato o del
comportamento della FdA), vulnerabile, impotente e costantemente in pericolo
•La realtà esterna è perennemente catastrofica
ATTACCAMENTO IN INFANZIA
Strumenti di misura e valutazione
La misura dell’attaccamento si è orientata finora in due direzioni:
❏ Metodi di classificazione degli individui nelle prime fasi dello sviluppo attraverso
risposte comportamentali
❏ Sono stati messi a punto strumenti che consentissero di cogliere il livello di
rappresentazione mentale dell’organizzazione dell’attaccamento
❏ Possiamo distinguere tra:
- procedure osservative
- scale di valutazione
- procedure narrative
Procedure osservative
•Strange Situation (Ainsworth et al. 1978)
Età: 12-20 mesi. Metodologia osservativa standardizzata della durata di circa 20 minuti.
È formata da 8 episodi
Ideata per valutare l’equilibrio tra il sistema di attaccamento e il sistema di
esplorazione e per mettere in luce le differenze individuali nei modelli di attaccamento
infantili
L’attenzione dell’osservazione è rivolta soprattutto alle modalità interattive adottate
durante le riunioni con il genitore
•Attachment Q-Sort (AQS; validaz italiana, Cassibba e D’Odorico, 2000)
Età: 1-5 anni. È un sistema di valutazione dell’attaccamento basato sull’osservazione dei
comportamenti manifestati dal bambino a casa o in contesti familiari come l’asilo nido (e
non in situazioni stressanti)
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Si basa su una procedura in cui l’osservatore classifica i comportamenti del bambino in
base a descrittori dei comportamenti di attaccamento e di esplorazione
Permette di ottenere un punteggio di sicurezza e una valutazione categoriale
dell’attaccamento
•Indice Osservativo dell’Attaccamento (IOA; Attili 1996-2000)
Consente la misura dei modelli mentali di attaccamento utilizzando l’osservazione
diretta in situazioni naturali degli stili relazionali dei soggetti coinvolti (bambino e genitori)
La diade genitore-bambino viene videoregistrata per 10 minuti nella loro casa, o in uno
studio fornito di giocattoli
I soggetti vengono invitati a comportarsi come farebbero nella vita di ogni giorno
I comportamenti osservati vengono ricondotti a delle categorie di analisi (su scala da 1 a 9)
secondo uno schema di codifica da cui poi si ricava il modello di attaccamento
Si rilevano i seguenti comportamenti: comportamento positivo, comportamento negativo,
comportamento di controllo, conversazione neutra, insegna, disaccordi, ignora/disconferma
Scale di valutazione
•Parent-Infant Relationship Global Assessment Scale (PIR-GAS; Zero to Three 2005)
Età: 0-5 anni. Si tratta di uno strumento diagnostico
E’ una scala per la valutazione della qualità della relazione genitore-bambino, collocata
all’interno di un range: Ben adattata (81-100), Tratti di un disturbo della relazione (41-80),
Disturbo della relazione (0-40)
La relazione viene valutata secondo tre componenti: qualità comportamentale
dell’interazione genitore-bambino, tono affettivo, coinvolgimento psicologico
•Scala di valutazione della relazione genitore-bambino (SVR; Speranza, Fortunato e
Maggiora Vergano 2013)
Questionario diagnostico a 50 item, costruito a partire dalle descrizioni della PIR-GAS,
valuta l’interazione e la relazione diadica sulla base delle stesse componenti ma con
categorie diverse (ritiro e coartazione emotiva, relazione ostile/aggressiva, relazione
ansiosa)
Indaga anche la presenza di elementi critici quali il livello di angoscia e di conflitto
all’interno delle interazioni o la presenza di comportamenti problematici di
ipercoinvolgimento e/o abuso
•Atypical Maternal Behavior Instrument for Assessment and Classification (AMBIANCE;
Bronfman, Madigan e Lyons-Ruth 2008; Bronfman, Parsons e Lyons-Ruth 1993)
Età: 2-24 mesi. È un sistema di codifica messo a punto per valutare i comportamenti
materni atipici correlati all’attaccamento disorganizzato del bambino
Valuta i comportamenti osservati durante un’interazione attraverso cinque dimensioni: errori
di comunicazione affettiva, confusione di ruolo/confini, comportamenti disorganizzati,
comportamenti intrusivi/negativi, ritiro.
Procedure narrative
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•Attachment Story Completion Task (ASCT; Bretherton, Ridgeway e Cassidy 1990)
•MacArthur Story Stem Battery (MSSB;Bretherton e Oppenheim 2003)
•Manchester Child Attachment Task (MCAST; Green et al. 2000; Goldwyn et al. 2000)
Età: 3-8 anni. Strumenti che utilizzano il «completamento di storie» come metodologia per
valutare la qualità del mondo rappresentazionale e affettivo del bambino in età prescolare e
scolare
Attraverso la presentazione di materiale-stimolo viene favorita la produzione di storie
relative a situazioni relazionali e familiari e a eventi emotivamente significativi
Ogni strumento utilizza un numero e una tipologia di storie differenti, che si rifanno alle
tematiche dell’attaccamento ma anche dello sviluppo emotivo, sociale e morale del
bambino
Si presta attenzione agli elementi che il bambino inserisce nelle storie (aggressività,
rappresentazione dei genitori, elementi bizzarri, presenza continua di elementi catastrofici,
rappresentazione del bambino)
La valutazione delle narrazioni permette di attribuire sia punteggi su scala (sicurezza,
evitamento, disorganizzazione…) che e una categoria dell’attaccamento
Vantaggio: al bambino viene chiesto di parlare di ‘’altri’’ e non direttamente di sé e della
propria famiglia
Separation Anxiety Test (SAT)
•Uno degli strumenti più attendibili per misurare la rappresentazione dell’attaccamento nella
seconda infanzia è il SAT (Klagsbrun & Bowlby, 1976; Attili, 2001)
•È un test semi-proiettivo, volto a valutare le reazioni a ipotetiche separazioni dai
genitori
•È uno strumento atto a elicitare risposte che riflettono l’organizzazione dell’attaccamento
che è possibile osservare attraverso indici comportamentali
•L’ipotesi di fondo è che il modo in cui un bambino reagisce a una separazione dalla FdA o a
una minaccia di separazione può essere un indice attendibile di problemi socioemotivi e di
rischi per esiti psicopatologici
•È stato validato su un campione di bambini 4-9 anni, su adolescenti e su adulti
•Il SAT è costituito da 2 set di 6 vignette schematiche (uno per i maschi e uno per le
femmine) che rappresentano situazioni di separazione dai genitori
•La schematicità che caratterizza le vignette elicita maggiormente meccanismi proiettivi in
quanto consentono meglio di mantenere neutre o ambigue le espressioni facciali e di
rendere chiara solo la situazione
•L’enfasi sulla situazione viene data dalla descrizione che il somministratore dà a
ciascuna vignetta
•Il test viene somministrato in un setting in cui vi è la possibilità di avere un’interazione
faccia a faccia con il bambino
•Le vignette vengono mostrate una alla volta e viene descritta in maniera chiara cosa è
rappresentato in ognuna
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•6 situazioni:
1.I genitori escono per la serata e lasciano il bambino a casa
2.Un bambino è a scuola e la maestra dopo allontanamento della madre
3.La madre accompagna il bambino dalla zia perché genitori vanno via per il weekend
4.Un bambino è al parco con i genitori e questi chiedono di allontanarsi perché vogliono
parlare da soli
5.I genitori stanno per partire per due settimane e prima di andarsene danno un regalo al
bambino
6.La madre mette il bambino a letto ed esce dalla stanza
•Le vignette 1, 3, 5: rappresentano separazioni severe (lunghe o tali da creare uno stato di
ansia)
•Le vignette 2, 4, 6: rappresentano separazioni miti (brevi o più gestibili a livello emotivo)
•È possibile effettuare una doppia somministrazione, tenendo come focus: un bambino
ipotetico o il bambino reale
•Nella somministrazione al bambino ipotetico è possibile che il bambino riesca più
facilmente a riportare le emozioni di attaccamento al momento della separazione
•La presentazione di ogni vignetta è seguita da 4 domande riguardanti le reazioni emotive e
comportamentali del bambino allo stress prodotto dalla separazione
1.Emozioni collegate alla situazione stressante
2.Pensieri sulla risposta emotiva
3.Modalità di affrontare la situazione
4.Modalità di risposta al momento della riunione
•Le risposte vengono registrate su un’apposita scheda, cercando di annotare anche quello
che fa il bambino durante la somministrazione
•Le risposte alle domande vengono codificate secondo apposite categorie, viene attribuito
un punteggio à classificazione del modello di attaccamento
•In generale le risposte alle prime due domande vengono raggruppate in 8 classi:
attaccamento (solitudine, tristezza), mancanza di autostima (rifiuto, rimprovero di sé),
ostilità, fidarsi di se stesso, evitamento, ansia (paura, reazioni somatiche), ansia
incontrollabile/angoscia (paura di catastrofi, risposte bizzarre), confusione
•Le risposte alla terza domanda sono codificate in termini di: attività appropriate, attività di
controllo, attività rivelatrici di pessimismo irrealistico o di ottimismo irrealistico, di evitamento
dell’azione, di mancanza di azione, di pessimismo catastrofico
•Le risposte alla quarta domanda hanno rilievo descrittivo, facilitando l’assegnazione alle
tipologie di attaccamento
Bambini sicuri
•Sono più in grado di etichettare in maniera appropriata le emozioni negative, senza
esagerare l’espressione di quelle associate allo sconforto che può derivare dalla
separazione dal genitore (tristezza, rabbia, ansia…)
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•Non è presente la tendenza ad evitare il confronto con le emozioni negative o la tendenza
ad evitare il distress emotivo, non tendono a distorcere le emozioni
•Riportano attività appropriate e strategie adeguate al contesto in risposta alla situazione
stressante
•Possono riconoscere in alcuni casi un’incapacità ad affrontare la separazione, ma non è
mai presente un abbandono all’ansia
•In separazioni brevi possono riportare sensazioni di benessere e apprezzamento della
nuova situazione
•Non operano alcuna esclusione difensiva delle informazioni relative agli stati interni e
alla situazione esterna
Associazione con aspetti di competenza sociale (Attili, 2001)
Riconducono le azioni degli altri a intenzioni non ostili
Ipotizzano reazioni non aggressive in caso di provocazione
In situazioni problematiche dal punto di vista relazionale: proponevano risposte di tipo
competente e socialmente appropriato
Bambini evitanti
•Tendono a dare risposte di tipo evitante alle vignette che rappresentano una separazione
•Tendono a non esprimere le loro emozioni, negano il senso di sconforto o lo tramutano in
una risposta esageratamente positiva
•Attribuiscono al bambino ipotetico un eccesso di fiducia in se stesso
•Propongono modalità di risposta basate su azioni pseudomature, azioni fantasiose
riconducibili ad ottimismo irrealistico, o negazione
•In alcuni casi possono mostrarsi passivi
•Le risposte relative al bambino ipotetico (a cui possono riconoscere delle difficoltà) sono
diverse rispetto a quelle del bambino reale: nel secondo caso può accadere che il bambino
sia più soggetto a processi di esclusione delle informazioni dolorose e più propensi a
mostrare benessere
Associazione con aspetti di competenza sociale (Attili, 2001)
Più di frequente riconducono le azioni degli altri a intenzioni ostili
Ipotizzano reazioni aggressive in caso di provocazione (anche se meno dei bambini
ambivalenti e disorganizzati), soprattutto in termini di ritorsioni aggressive di tipo fisico e
verbale
In situazioni problematiche dal punto di vista relazionale: ricorrono alla negoziazione meno
spesso, mostrandosi passivi
Bambini ambivalenti
•Tendono a esprimere in maniera forte le loro emozioni negative mostrando rabbia e
dipendenza dalla FdA allo stesso tempo
•Chiedono spesso della mamma, piangono o usano modalità infantili
•Mostrano totale incapacità nel gestire la separazione
•Rivelano mancanza di autostima ed esprimono sentimenti di ostilità, ansia,
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preoccupazione
•Rivelano modalità di risposta alla situazione stressante caratterizzate da pessimismo
irrealistico, ritorsione/ricatto verso i genitori, attività di controllo
•Possono mostrarsi passivi
•Enfatizzano il versante della rabbia e dell’ostilità nel riferirsi al bambino reale
Associazione con aspetti di competenza sociale (Attili, 2001)
Riconducono le azioni degli altri a intenzioni ostili
Ipotizzano reazioni aggressive in caso di provocazione, soprattutto in termini di risposte di
minaccia
In situazioni problematiche dal punto di vista relazionale: proponevano soluzioni basate
sull’intervento di un adulto
Bambini a rischio/disorganizzati
•Tendono a dare risposte confuse, bizzarre che denotano terrore o evitamento della realtà
con ipotesi catastrofiche
•Risposte di forte ansia e angoscia
•Forti sentimenti di vulnerabilità
•Emozioni di intensa paura per eventi tragici incontrollabili
•Reagiscono secondo pessimismo catastrofico
•Durante le risposte del bambino ipotetico possono spontaneamente passare a parlare di se
stessi
•Collocano il pericolo all’esterno piuttosto che all’interno della relazione
Associazione con aspetti di competenza sociale (Attili, 2001)
●
●
●
Risultati sono meno chiari e coerenti
Riconducono le azioni degli altri a intenzioni ostili
Ipotizzano reazioni aggressive in caso di provocazione
ATTACCAMENTO IN INFANZIA
Disturbi dell’attaccamento
Developmental Psychopathology
•Paradigma che si sviluppa a partire dall'integrazione di diverse prospettive e discipline:
teoria dell’attaccamento, teorie psicoanalitiche, neuroscienze, genetica…
•Il progredire evolutivo del bambino verso il benessere si struttura lungo una traiettoria dello
sviluppo normale o adattivo o tipico, i cui elementi costitutivi sono le acquisizioni specifiche
delle diverse aree di sviluppo, cognitivo, sociale
•La considerazione degli aspetti evolutivi prevede che ogni tappa specifica dell’infanzia
sia la precondizione necessaria per procedere verso il benessere e la salute mentale in età
adulta
•La psicopatologia viene intesa come esito della deviazione dal percorso di sviluppo
adattivo, costituisce un’interferenza dello sviluppo che, può rallentare, modificare o, nei casi
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più gravi, arrestare lo sviluppo delle diverse aree del funzionamento mentale del bambino
•Il disturbo si sviluppa nella sfera caregiver-bambino, ed è il prodotto dell’interazione tra
aspetti biologici, psicologici e sociali, tenendo simultaneamente presente la storia pregressa
dello sviluppo e i compiti specifici che il bambino è tenuto a fronteggiare e affrontare in
ciascuna fase specifica della crescita
•Le differenze individuali rispetto allo sviluppo di un disturbo dimostrano l’impossibilità di
concepire gli esiti psicopatologici secondo un modello lineare e deterministico, ma di
assumere una prospettiva multidimensionale e multifattoriale dove vanno considerati e
analizzati i fattori di rischio e protezione secondo i principi di equifinalità e multifinalità
•Il processo diagnostico, quindi deve partire dall’individuazione e dalla rilevazione di segni
di deviazione dal percorso di sviluppo adattivo, analizzare il processo evolutivo e valutare il
sistema familiare (pattern interattivi diadici e/o triadici), insieme alle caratteristiche
costituzionali e maturative dello sviluppo del bambino e alla sua interconnessione con i
diversi contesti di apprendimento e d’azione
•A partire da queste riflessioni e da evidenze di ricerche e/o osservazioni in ambito clinico la
comunità scientifica si è indirizzata ad affinare e concretizzare lo «sguardo clinico» rivolto
all’infanzia, tenendo presente la sua specificità
Sistemi diagnostici per l’infanzia
•Il declinarsi di una prospettiva diagnostica, principalmente orientata sul bambino, si è
dovuta confrontare con quella già esistente e riconducibile al DSM, che seppur presentando
dei limiti strutturali ha sollecitato la necessità di una sistematizzazione clinica del disturbo
mentale, con particolare riferimento alla psicopatologia infantile
•A partire dai limiti della trasposizione diagnostica di criteri nosografici strutturati sulla
popolazione adulta (DSM, ICD-10), è nata l’esigenza di creare dei sistemi diagnostici
specifici per l’infanzia e l’adolescenza che pongono al centro la relazione primaria e il
contesto di vita del bambino
1.Diagnostic Classification of Mental Health and Developmental Disorders of Infancy and
Early Childhood: 0-3 (DC:0-3 e DC:0-3R; Zero to Three 1994; 2005)
2.Diagnostic Classification of Mental Health and Developmental Disorders of Infancy and
Early Childhood: 0-5 (DC:0-5; Zero to Three 2016)
3.Manuale Diagnostico Psicodinamico (PDM e PDM-2; Task Force 2006; Lingiardi e
McWilliams 2017)
DC:0-3R e DC:0-5
•Si avvale di un sistema classificatorio descrittivo, rappresentativo di pattern sintomatologici
significativi che, tuttavia, risultano essere associati a eventi o contesti specifici
•Ha una struttura multi assiale (5 assi)
dinamicità di questo sistema classificatorio
con più dimensioni, che caratterizzano la
•La valutazione diagnostica dei vari assi si basa sull’utilizzo di strumentazioni specifiche (per
asse II: ad esempio, PIR-GAS)
Asse I
Disturbi clinici (sulla base di sintomi e fattori di rischio)
Asse II
Qualità/classificazione delle relazioni primaria con il caregiver e con altri
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caregivers o altre relazioni importanti (contesti relazionali)
Asse III
Condizioni mediche
Asse IV
Agenti psicosociali di stress
Asse V
Funzionamento emotivo e sociale (DC:0-5: anche considerazione delle
competenze evolutive)
PDM e PDM 2
•Strutturato allo scopo di unire le scoperte empiriche con le ipotesi nate dalla pratica della
psicoanalisi clinica e con la nosografia tradizionale
•Prevede 6 specifiche sezioni cliniche, una per ogni fase del ciclo di vita (con una finale di
valutazione e illustrazioni cliniche)
•Rispetto all’infanzia vi sono due aree diagnostiche distinte: Neonati e prima infanzia (0-3
anni), Infanzia (4-11 anni)
•Struttura multidimensionale: le dimensioni (o assi) sono prospettive di osservazione
della realtà del paziente che necessita di essere integrata con altre dimensioni, prima di
poter pervenire alla formulazione della diagnosi clinica
•In infanzia: il clinico deve svolgere una valutazione complessiva che includa una storia
dettagliata dello sviluppo del bambino, una rassegna dei sintomi e degli agiti principali,
un’analisi dei fattori biomedici e un’esplorazione dei pattern interattivi familiari, scolastici e
ambientali
•Per la fascia Neonati e prima infanzia (0-3 anni) propone un approccio multiassiale
(classificazione IEC), che prevede la valutazione degli assi 2-5 e in ultimo l’asse 1
Asse I
Diagnosi primaria
Asse II
Capacità evolutive del funzionamento emotivo
Asse III
Capacità di regolazione e dell’elaborazione sensoriale
Asse IV
Pattern bambino-caregiver e familiari/Pattern e disturbi relazionali (focus
sia sul genitore che sul bambino)
Asse V
Condizioni mediche e neurologiche
•Per la fascia Infanzia (4-11 anni): pattern sintomatici devono essere compresi all’interno del
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contesto più ampio del funzionamento mentale e dello sviluppo della personalità
Asse MC: Profili individuali del funzionamento mentale
Asse PC: Configurazione della personalità
Asse SC: Pattern sintomatici ed esperienza soggettiva
•Nonostante la qualità della relazione genitore-bambino sia considerata dalla maggior
parte dei clinici uno degli aspetti più rilevanti nella valutazione del funzionamento del
bambino, è solo con l’introduzione della DC:0-3 che questa viene posta all’attenzione dei
clinici
•I sistemi diagnostici relativi all’infanzia (DC:0-3R DC:0-5; PDM-2) pongono al centro della
valutazione del funzionamento del bambino, la qualità delle relazioni primarie collocandola
in un Asse specifico (Asse II per la DC, Asse IV per il PDM)
•Solo le classificazioni della prima infanzia tengono in considerazione i disturbi relazionali, e
la relazione primaria viene valutata nello specifico (anche quando sana, non disturbata)
cercando di cogliere tutti gli aspetti della dinamica relazionale tra il bambino e il genitore
•Il disturbo specifico della relazione (DC:0-5) e i disturbi di attaccamento sono
considerati dei veri e propri disturbi clinici sull’Asse I
Il disturbo specifico della relazione
•Viene introdotto come quadro clinico nella DC: 0-5
•L’attenzione viene posta sulla natura unica e distintiva che ogni relazione significativa ha
per il bambino: evidenze empiriche hanno mostrato come verso la fine del primo anno è
possibile osservare l’esistenza di modelli di attaccamento specifici e differenziati verso i
diversi caregivers (attaccamenti multipli)
•Si vuole indicare un quadro clinico in cui il comportamento sintomatico del bambino è
limitato a una specifica relazione e anzi non deve essere presente in altre relazioni
•Il disturbo deve riguardare un comportamento chiaramente sintomatico (es: un disturbo del
sonno o un comportamento oppositivo) e rappresenta un disturbo emotivo o
comportamentale persistente con una compromissione funzionale significativa per il
bambino
•Non deve ad esempio essere incluso in questa diagnosi un pattern di attaccamento
disorganizzato, che rappresenta solo un rischio di psicopatologia futura per il bambino e non
un disturbo di per sé
I disturbi dell’attaccamento
•Non sono sinonimo delle differenze individuali nelle modalità di attaccamento o solo fattori
di rischio per possibili psicopatologie, ma rappresentano un disturbo più profondo e
generalizzato della capacità del bambino di stabilire una relazione significativa con un
caregiver preferenziale che altera in maniera profonda il suo sentimento di protezione e
sicurezza
•I problemi relativi all’attaccamento possono essere considerati disturbi quando le modalità
relazionali ed emotive sono talmente alterate da indicare un rischio di angoscia persistente
per il bambino o una menomazione del suo funzionamento
•Questi quadri clinici sono generalmente associati a contesti di accudimento caratterizzati
da forte deprivazione o da modalità gravemente alterate di caregiving
1.Disturbo Reattivo dell’Attaccamento (Reactive Attachment Disorder, RAD)
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2.Disturbo da Impegno Sociale Disinibito (Disinhibited Social Engagement Disorder,
DSED)
•I quadri diagnostici indicati dalla DC:0-5 si sovrappongono in maniera abbastanza lineare
con quelli descritti dal DSM-5, accentuando però la natura specifica di questi disturbi in
relazione all’area dell’attaccamento e puntualizzando le specifiche manifestazioni di queste
alterazioni dei comportamenti di attaccamento nel corso dello sviluppo.
•Entrambi i sistemi diagnostici sottolineano l’importanza di effettuare una diagnosi
differenziale con i disturbi dello spettro autistico, le disabilità intellettive, disturbo da deficit
di attenzione/iperattività e i disturbi depressivi
I disturbi dell’attaccamento: DSM V
Il DSM-5 (APA 2013) colloca i disturbi dell’attaccamento nella sezione dei Disturbi correlati
a eventi traumatici e stressanti, riconoscendo come fattore eziologico significativo l’assenza
di un accudimento adeguato, che viene considerato un requisito diagnostico
indispensabile
I due quadri clinici (RAD e DSED), hanno un'eziologia comune ma:
● Il RAD si configura come un disturbo internalizzante
con sintomatologia depressiva e comportamento ritirato
● Mentre il DSDE si manifesta con disinibizione e comportamento esternalizzante
Caratteristiche del disturbo reattivo dell’attaccamento:
•La relazione di attaccamento tra il bambino e i caregivers sostitutivi è assente o
fortemente sottosviluppata
•Il bambino mostra comportamenti di attaccamento marcatamente disturbati e
raramente, o in misura minima, si rivolge a una figura preferenziale per cercare conforto,
sostegno, protezione e accudimento
•Al tempo stesso il bambino risponde in modo minimo ai tentativi di conforto da parte
dei caregivers
•Minima responsività sociale ed emotiva verso gli altri
•Il bambino mostra una ridotta espressione di emozioni positive
•La capacità di regolazione delle emozioni è compromessa e si evidenzia attraverso
l’espressione di emozioni negative come paura, tristezza o irritabilità non facilmente
spiegabili e in maniera evidente
Caratteristiche del disturbo da impegno sociale disinibito:
La caratteristica diagnostica principale è un comportamento culturalmente inappropriato
ed eccessivamente familiare con persone relativamente sconosciute
•Ridotta o assente reticenza nel relazionarsi con sconosciuti e/o disponibilità ad allontanarsi
con loro
•Comportamento verbale o fisico eccessivamente familiare
•Diminuito o assente controllo a distanza del caregiver
•Mostrano comportamenti impulsivi e socialmente disinibiti
Questo pattern comportamentale compromette in modo significativo la capacità del bambino
di relazionarsi ad adulti e coetanei in maniera adeguata
I disturbi dell’attaccamento: DC: 0-5
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Caratteristiche del disturbo reattivo dell’attaccamento:
•Condizione in cui un bambino non ha una figura di attaccamento e questa condizione è
attribuita alle inusuali circostanze in cui il bambino è cresciuto
•Mancanza di angoscia nei confronti dell’estraneo (perché il bambino può essere diffidente
verso tutti gli adulti) e la mancanza di protesta alla separazione
•Ricerca di conforto (appropriata all’età) significativamente ridotta o assente in situazioni
di stress
•Scarsa o assente reciprocità sociale e disturbi della regolazione affettiva (scarsa
affettività positiva e inspiegabili episodi di paura, irritabilità o tristezza)
Aspetti di comorbidità:
❏ ritardi nello sviluppo cognitivo, motorio e linguistico
❏ stereotipie
❏ ritardo di crescita con evidenze nel peso, nell’altezza e nella circonferenza cranica
❏ segni di grave trascuratezza come malnutrizione e condizioni mediche associate
❏ sintomatologia depressiva
Caratteristiche del disturbo da impegno sociale disinibito:
•L’aspetto centrale del disturbo è il comportamento sociale indiscriminato e non
modulato, specialmente con adulti sconosciuti, che viene osservato in bambini che
hanno avuto esperienze di istituzionalizzazione o di affidamenti caratterizzati da grave
trascuratezza
•Mancanza di reticenza nel contatto con persone estranee, comporta modalità
intrusive e indesiderate in cui vengono violati i confini sociali sia attraverso il contatto fisico
eccessivo che attraverso domande intrusive
•La qualità delle relazioni con altri significativi può essere ostacolata da un comportamento
che viene ritenuto emotivamente superficiale e di sola richiesta di attenzioni
•Questi comportamenti possono mettere in pericolo il bambino
Aspetti di comorbidità:
❏ ritardi nello sviluppo cognitivo, motorio e linguistico
❏ problemi con l’equilibrio e la coordinazione
❏ stereotipie
❏ ritardo di crescita con evidenze nel peso, nell’altezza e nella circonferenza cranica
❏ disturbo da deficit di attenzione/iperattività
❏ problemi esternalizzanti, inclusa l’aggressività
❏ segni di grave trascuratezza come malnutrizione e segni di scarsa cura
❏ comorbidità con disturbo da deficit di attenzione e iperattività
Fattori di rischio
1. Relazioni basate su modelli interattivi disfunzionali:
➔ l’iperregolazione, in cui sono presenti modalità interattive intrusive e insensibili
➔ l’iporegolazione, dove il caregiver assume comportamenti ritirati e ipostimolanti, il
coinvolgimento reciproco è scarso e il bambino è costretto a un eccesso di
autoregolazione
➔ regolazioni inappropriate, irregolari o caotiche, in cui alla mancanza di sincronia
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si associa un eccesso di affetti negativi o un’oscillazione costante tra modalità
intrusive e ritirate che rendono difficile individuare una strategia coerente
2.Genitorialità a rischio
Alcune condizioni della genitorialità: depressione materna e/o paterna; psicopatologia
genitoriale (psicosi, disturbo borderline…); dipendenze; comportamenti devianti;
genitorialità singola o precoce; conflitti coniugali, violenza coniugale; mancanza di
supporto sociale
3. Caregiving-attaccamento:
I modelli di attaccamento insicuro e disorganizzato dei genitori hanno una forte
influenza sulle modalità di caregiving che andranno a loro volta a influenzare i modelli di
attaccamento infantili
➔ l’attaccamento distanziante: caregiving rifiutante, insensibile, controllante,
caratterizzato da avversione nei confronti del contatto fisico, mancanza di
espressione emozionale
➔ l’attaccamento preoccupato: tenderà a esprimersi attraverso un caregiving poco
responsivo, incostante e imprevedibile
➔ l’attaccamento disorganizzato/unresolved: modalità spaventate/spaventanti che
inducono stati di paura nel bambino e la possibilità di sviluppare un attaccamento
disorganizzato
4. Contesti di caregiving gravemente deprivanti o maltrattanti:
Crescere all’interno di contesti in cui sono assenti figure di riferimento specifiche (es:
bambini istituzionalizzati o sottoposti ad affidamenti multipli)
Crescere all’interno di famiglie in cui siano presenti problemi di maltrattamento e abuso
Può costituirsi come un fattore eziopatogenetico vero e proprio (come per il RAD)
5. Ambienti di accudimento difficili e/o gravemente trascuranti
Le istituzionalizzazioni precoci, gli affidamenti multipli, contesti altamente a rischio, contesti
di caregiving problematici in cui sono presenti maltrattamento e trascuratezza grave
Diversi studi hanno mostrato che gli effetti della deprivazione possono essere differenti a
seconda dei fattori di vulnerabilità e delle condizioni che perpetuano il rischio
La durata della deprivazione o il periodo sensibile in cui questa avviene, ad esempio
dopo i primi sei mesi di vita sono significativamente associati allo sviluppo di aspetti
riconducibili al DSED
6. Vulnerabilità genetiche e correlati neurobiologici
Decorso
e
prognosi:
RAD
•Tra le conseguenze a lungo termine: grave compromissione nelle relazioni
interpersonali, con scarsa competenza sociale ed emotiva
•Dal punto di vista prognostico, diversi autori ritengono che l’adozione o l’affidamento da
parte di caregivers sensibili possano essere considerati il trattamento di elezione per i
bambini con RAD, i cui sintomi possono scomparire in maniera rapida e completa se ci sono
cure adeguate
•Evidenze in letteratura, mostrano come i segni del disturbo possono modificarsi nel giro di
alcune settimane se il bambino viene allontanato dall’ambiente trascurante e collocato in
affidamento o dato in adozione, in qualunque momento dello sviluppo entro i primi 3 anni
•Al contrario, il quadro può rimanere relativamente stabile se il bambino continua a rimanere
in una condizione di grave trascuratezza
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Decorso e prognosi: DSED
•Pochi dati sul decorso e la prognosi sul disturbo da impegno sociale disinibito
•Si ritiene che le caratteristiche del disturbo possano rimanere moderatamente stabili nel
tempo, soprattutto se persistono le condizioni di trascuratezza
•Con la crescita si osservano intrusività verbale e sociale, ricerca di attenzione, sintomi di
disattenzione/iperattività e altri comportamenti esternalizzanti in età prescolare, eccessiva
familiarità verbale e fisica e falsa espressione di emozioni, soprattutto in età scolare con
gli adulti, sino ad alterate relazioni con i pari, con comportamento indiscriminato o conflitti
in adolescenza
•Dal punto di vista prognostico, sembrerebbe che il disturbo non risponda in maniera
positiva a un ambiente di caregiving favorevole, mentre il comportamento indiscriminato
spesso permane anche dopo che un attaccamento si è formato nei confronti dei genitori
adottivi
•Tuttavia, tanto più precoce è il collocamento del bambino in un ambiente supportivo, quanto
maggiori sono le probabilità che i segni del disturbo si riducano
ATTACCAMENTO IN INFANZIA
Interventi
Interventi di tipo clinico
Tra gli interventi a livello clinico:
● Interventi preventivi sulla genitorialità
● Interventi di psicoterapia genitore-bambino nei primi anni
Il focus di questi interventi è la relazione genitore-bambino con focus che in base
all’intervento può essere più sull’interazione oppure sulle rappresentazioni mentali
Interventi di tipo preventivo/precoce ispirati alla TdA:
La Guida all’interazione (IG, Interaction Guidance; McDonough 2004)
•Intervento clinico strutturato in sedute settimanali di un’ora in una stanza di gioco, in cui il
focus terapeutico sono le interazioni osservabili fra caregiver e bambino, in quanto
espressione sia del parenting che delle rappresentazioni del genitore e del bambino
•Le sedute vengono videoregistrate, così da fornire ai genitori un feedback sul loro
comportamento e l’effetto che può avere su quello del bambino
•L’efficacia di questo trattamento è stata dimostrata per i disturbi della relazione genitorebambino: maggiore sintonizzazione negli scambi, minore intrusività materna, aumento della
cooperazione del bambino e cambiamenti nelle rappresentazioni materne
Steps Toward Effective, Enjoyable Parenting (STEEPTM; Egeland & Erikson 2004)
•Programma a carattere preventivo rivolto a famiglie ad alto rischio psicosociale in
attesa di un figlio.
•Obiettivo: la costruzione di una relazione di attaccamento sicura, attraverso il sostegno
offerto ai genitori nello sviluppo di strategie efficaci di regolazione emotiva diadica e dello
stato di attivazione del bambino.
•Prevede visite domiciliari bisettimanali dall’ultimo trimestre di gravidanza e gruppi di
sostegno nei primi anni di vita del bambino
•Le interazioni vengono videoregistrate e utilizzate dagli operatori al fine di favorire
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comprensione, sensibilità e responsività verso il bambino
•Focus anche sul passato dei genitori
•L’efficacia di questo intervento è relativa soprattutto alla riduzione di attaccamenti insicuri
nei bambini figli di madri ad alto rischio
Circolo della sicurezza (COS, Circle of Security; Cooper et al. 2005; Powell et al. 2009)
•Progetto di intervento precoce per i genitori ad alto rischio
•Obiettivo: sostenerli in un processo di ridefinizione delle proprie rappresentazioni
interiorizzate che guidano i loro comportamenti di accudimento e influenzano la sicurezza
dell’attaccamento del bambino
•I genitori partecipano a: Strange Situation, Circle of Security Interview e infine vengono
coinvolti una volta a settimana per 20 settimane alle riunioni di gruppo con altri genitori
È volto ad aiutare i genitori a comprendere i bisogni di base sicura e rifugio sicuro dei
bambini e a elaborare aspetti problematici della loro infanzia
Si è dimostrato efficace nel ridurre i rischi di disturbi relazionali in diadi a rischio, ma anche
nel modificare l’attaccamento disorganizzato del bambino verso un attaccamento sicuro
Video-feedback Intervention to Promote Positive Parenting and Sensitive Discipline
(VIPP e VIPP-R; Bakermans-Kranenburg, Juffer e van IJzendoorn 1998)
•Intervento di tipo preventivo rivolto ai genitori che prevede l’uso e l’analisi di interazioni
videoregistrate in contesti di vita quotidiana
•Previste 4 visite tra il 7 e il 10/11 mese di vita del bambino
•La madre ha la possibilità di rivedere se stessa e il bambino e viene accompagnata nel
prestare attenzione ai segnali/reazioni personali e del bambino
•Vengono fornite informazioni rispetto a come rispondere in maniera efficace alle richieste
emotive del bambino
•Si agisce sia a livello comportamentale attraverso un cambiamento nello scambio
interattivo madre-bambino (VIPP), sia a livello rappresentazionale lavorando sulla
coerenza mentale del genitore rispetto alle proprie esperienze di attaccamento (VIPP-R),
così da interrompere il ciclo intergenerazionale di attaccamento insicuro tra genitore e
figlio
•In questo secondo caso, alle madri viene chiesto di discutere delle loro relazioni di
attaccamento attuali e passate, aiutandole a mettere in relazione le proprie esperienze
infantili con quelle vissute con il figlio
•Il duplice obiettivo proposto dal programma consiste pertanto nel promuovere la sensibilità
materna e nel favorire la ristrutturazione dei modelli di attaccamento verso una maggiore
sicurezza
Minding the Baby (MTB; Slade et al. 2005)
•Programma preventivo per la genitorialità a rischio che ha l’obiettivo di favorire lo sviluppo
della capacità di mentalizzazione delle madri, ossia di promuovere la funzione riflessiva
genitoriale quale capacità di comprendere i comportamenti del bambino in termini di stati
mentali e di intenzioni
•L’intervento si svolge mediante visite domiciliari settimanali da parte di un’équipe
multidisciplinare formata da personale qualificato, a partire dal secondo trimestre di
gravidanza fino all’età di 2 anni del bambino
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Oltre a interventi di tipo preventivo:
•Più nello specifico, per quanto riguarda invece i disturbi dell’attaccamento (RAD e DSED),
si ritiene che l’affidamento e l’adozione da parte di caregivers sensibili costituiscano
l’intervento elettivo per ridurre i sintomi del disturbo e per facilitare la ripresa in termini
evolutivi
•Interventi di psicoterapia genitore-bambino
Strumenti e interventi di tipo psico-educativo a scuola
•Scuola come uno dei contesti principali di vita del bambino
•Le difficoltà si presentano e hanno un’influenza anche a scuola
•Questi bambini dovrebbero essere considerati come portatori di bisogni speciali (con un
piano specifico), sono più rischio di altri bambini e hanno necessità specifiche
•Agli insegnanti servono informazioni, strategie ma anche sostegno emotivo
•La scuola può giocare un ruolo importante nel benessere emotivo e relazionale del
bambino
•Anche a scuola va data priorità all’importanza della relazione come occasione di
adattamento e recupero
•Bombèr (2007) propone di mettere a disposizione nella scuola ‘’una figura di
attaccamento aggiuntiva’’ che abbia un ruolo attivo e che dia la possibilità di sperimentare
una ‘’dipendenza relativa’’
•Scelta una figura di riferimento che mostri sensibilità emotiva, calma ed empatica,
disponibile a lungo termine nella scuola, che sappia lavorare in team con gli altri inseganti
•Per i bambini più grandi (scuola secondaria): il bambino può essere coinvolto nella scelta,
così da favorire il reciproco riconoscimento
•Fornire supporto anche all’adulto di riferimento
•Il ruolo più importante di questa figura è quella di formare una relazione con il bambino
•Questa relazione può avere un impatto considerevole nello sviluppare e adattare il concetto
di sé, degli altri e della realtà esterna che ha il bambino
•Ruoli primari: sintonizzarsi con il bambino, fornire contenimento emotivo, far si che il
bambino sappia di ‘’essere tenuto nella mente’’, sostenere il bambino nell’interpretazione dei
propri stati emotivi attraverso l’uso di commenti, aiutare il bambino a far pratica di aspetti
nuovi (chiedere aiuto, risolvere conflitti, rilassarsi, dimostrare affetto…), aiutare il bambino a
comprendere a realtà e i comportamenti altrui
•Lavorare anche nel gruppo classe rendendo i compagni consapevoli e lavorando
all’inclusione
•3 accorgimenti:
➔ Il comportamento è il mezzo per comunicare lo stato di malessere e angoscia
➔ Differenziare il linguaggio: chiaro, esplicito, che non necessiti di prerequisiti sociali
ed emotivi (‘’concentrati e stai calmo’’), non usare sarcasmo
➔ Compiti e obiettivi sociali ed emotivi adatti al livello di sviluppo del bambino
•Per questi bambini è difficile affrontare alcuni passaggi tipici della vita scolastica, non
amano e possono essere molto spaventati dai cambiamenti
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•Passaggi critici: inizio della giornata, preparazione del programma della giornata, tempo
per completare un compito, interruzioni durante lo svolgimento di un compito, le attese,
cambio di insegnante, cambio di ambiente fisico, pause scolastiche (vacanze estive o
natalizie)
•Inizio della giornata: accogliere in maniera calda il bambino e proporre uso dell’oggetto
transizionale per agevolare il passaggio da casa a scuola
•Organizzare e usare tabelle orarie su base quotidiana, uso di timer e clessidre, di memory
card, canzoni…
•Quando c’è un cambiamento imminente, dare al bambino più informazioni possibili per
prepararlo, usando un linguaggio semplice ed esplicito
•Nel caso in cui cambi l’insegnante, valorizzare il bambino e rassicurarlo, sollevandolo da
possibili sensi di colpa
•Al termine dei periodi scolastici: mantenere il più possibile la routine e proporre attività
strutturate
Strumenti e interventi di tipo psico-educativo a scuola (ma anche per i genitori)
•È importante per questi bambini sapere di ‘’essere nella mente’’ dell’adulto/adulti di
riferimento
•Uso creativo di diversi canali sensoriali:
● Immagini
● L’uso del profumo
● Uso di piccoli oggetti
•L’adulto/adulti di riferimento devono inoltre supportare il bambino nelle sue interazioni
sociali, fornendo chiavi di lettura ma anche strategie per entrare in relazione con l’altro:
● Aiuto nel differenziare tra le diverse relazioni e nel modo in cui comportarsi nelle
diverse relazioni
● Uso di storie sociali: brevi narrazioni con immagini
● Rinforzare i comportamenti adeguati
● Sostegno in attività extrascolastiche
•Un compito importante per l’adulto di riferimento è sostenere i bambini nel processo di
regolazione emotiva, facendogli fare esperienza di contenimento emotivo e di
sintonizzazione emotiva
•Sono bambini con difficoltà nell’espressione delle proprie emozioni e dei propri bisogni
•Sono bambini che sono abituati a provare paura e ansia a livello corporeo ma
non conoscono aspetti di regolazione emotiva → necessità di fornire degli
strumenti
•Questo nel tempo li aiuterà a sviluppare strategie di autoregolazione emotiva
Sostenere la regolazione emotiva, 4 fasi:
1.Identificare i comportamenti che indicano un aumento dell’arousal e nominarli
2.Collegare il comportamento a una possibile emozione, nominadola
3.Sostenere il bambino aiutandolo nell’uso di strumenti che possano aiutarlo a regolare lo
stato di attivazione (es: scatola della calma o la carta del time out)
4.Il bambino progressivamente impara a riconoscere le risposte corporee e a capire
quando utilizzare gli strumenti
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•Elementi a cui prestare attenzione indicativi di uno stato di attivazione:
❏ Cambiamenti repentini del tono di voce
❏ Rigidità corporea
❏ Segni di agitazione corporea
❏ Pianto
❏ Diventano progressivamente più attivi
•Identificare possibili ‘’trigger’’:
➢ Cambi di programma
➢ Stimoli sensoriali
➢ Mancata comprensione di una situazione
➢ Non essere in grado di organizzare il lavoro
➢ Mancanza di sensibilità da parte di figure adulte
➢ Eventi inattesi
➢ Clima teso
➢ Storie che possono richiamare all’esperienza personale
➢ Compiti di tipo autobiografico
➢ Conflitti con i compagni
➢ Assenza dell’adulto significativo
La SCATOLA DELLA CALMA
•Possibile strumento da utilizzare per aiutare il bambino ad autoregolarsi
•Una piccola scatola che il bambino può tenere con sé con un assortimento di schede, ogni
carta descrive un’attività utile a calmare il bambino in caso di attivazione emotiva
•Attività brevi che possano coinvolgere più sensi, in modo da sperimentare rilassamento
anche a livello corporeo
•Attività pensate nello specifico per ciascun bambino, vanno adattate all’età emotiva del
bambino
•Nel caso di bambini più grandi queste strategie possono essere identificate insieme
•Possibili idee:
❖ Attività di rilassamento muscolare
❖ Ascolto di musica rilassante
❖ Attività di respirazione
❖ Manipolazione di oggetti
❖ Giochi costruttivi di riorganizzazione
❖ Colorare
❖ Fare una passeggiata
•Se insorge una crisi di rabbia o un conflitto, l’adulto di riferimento può aiutare il bambino
a regolarsi
•Rassicurare il bambino che è sbagliato il comportamento messo in atto e non il bambino
•I bambini possono essere molto spaventati dall’evento perché temono di perdere la figura di
riferimento
•Bisogna fornire la possibilità di riparare a quanto accaduto
•Emerge come fondamentale la collaborazione tra famiglia e scuola
•È importante che vengano condivise le informazioni a disposizione dei genitori rispetto alla
storia del bambino
•Gli insegnanti dovrebbero condividere le osservazioni fatte all’interno del contesto
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scolastico
•Proporre a casa e a scuola dei modelli e delle strategie che siano coerenti
PANDEMIA E LOCKDOWN
(POSSIBILI) INFLUENZE IN INFANZIA
Bambini e situazioni di emergenza
•In momenti di pericolo, i bambini hanno bisogno di ricorrere alle figure di riferimento ma,
quando anche queste sono esposte allo stesso evento, i bambini possono perdere sicurezza
•In base all’età e allo stadio di sviluppo, in seguito all'esposizione a un evento critico i
bambini possono manifestare reazioni emotive e comportamentali discontinue e intermittenti
•Vi sono marcate differenze individuali
•Possono sperimentare: tristezza, colpa, rabbia, paura, confusione e ansia
•Possono sviluppare reazioni comportamentali, emotive, somatiche…
Pandemia e lockdown
•11 marzo 2020: la OMS dichiara il COVID-19 una pandemia, vengono adottate misure di
contenimento (distanziamento, chiusure, uso di dispositivi di protezione, smart-working..)
•La pandemia può essere considerata una ‘’simil-catastrofe’’: comporta una rottura della
routine ed eccede la capacità della società di rispondere a tale evento. La pandemia ha
comunque dei tratti peculiari
•La pandemia ha comportato un repentino cambiamento delle abitudini su più livelli: routine
quotidiana, scambi sociali, realtà scolastica, realtà lavorativa, gestione del tempo libero…
•Evento critico e pervasivo: limitazione della libertà personale, limitazione dei contatti
sociali, la necessità della riorganizzazione della routine domestica, gestione delle
informazioni (poche/troppe, in contrasto…), paura e ansia per la salute propria e altrui
→sfida per la capacità di adattamento
•Per molti soggetti con pre-esistenti difficoltà adattive o disturbi (ad es: ADHD, disturbi
persivi dello sviluppo..), la pandemia e il conseguente lockdown hanno rappresentato essi
stessi un fattore stressogeno, per la perdita delle abitudini, dei ritmi che mitigavano o
compensavano alcuni disagi latenti (de Miranda et al., 2020)
•A questi fattori si possono aggiungere anche le problematiche di natura socio-economica
(de Miranda et al., 2020)
Pandemia e lockdown nei bambini
•I bambini sembrano essere meno esposti al rischio di contrarre il virus ma sono stati e sono
esposti alle conseguenze del lockdown e della pandemia:
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Perdita dei rituali, della routine quotidiana che per i bambini rende il modo in qualche
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modo ‘’imprevedibile’’
Chiusura di asili e scuole
I confini personali rischiano di essere compressi, aumenta il tempo di condivisione
Distanziamento sociale e impoverimento delle relazioni sociali
Perdita di adulti significativi
Difficoltà a livello familiare e socio-economico
Mancanza di spazi di gioco
Ansia, incertezza e paura dei genitori
Difficoltà di comprensione, confusione
Reazioni comuni
•Spesso lo stress si manifesta in forma di rabbia e irritabilità che può essere diretta alle
persone più vicine a loro
•La noia e la fatica di mantenere i ritmi diversi di attività scolastiche a distanza:
sconvolgimento degli ambienti può generare confusione e fatica, situazione di ‘’ottundimento
cognitivo’’
•Espressioni di malessere: irritabilità, problemi di concentrazione, attivazione motoria,
espressione attraverso il disegno, comportamenti regressivi
•Difficoltà nel sonno e/o nell’alimentazione: fatica ad addormentarsi, risvegli e incubi
frequenti oppure ipersonnia, difficoltà a mangiare durante i pasti
•Mancanza di energie: affaticamento, difficoltà nelle interazioni sociali e tendenza a isolarsi
•Maggior bisogno di attenzione da parte delle figure di riferimento
Indagine IRCSS Gaslini (Genova)
•Dall’analisi dei dati relativi alle famiglie (3251 questionari, tra il 24 marzo e il 3 aprile) è
emerso che nel 65% dei bambini con età minore di 6 anni e nel 71% dei bambini/adolescenti
con età maggiore di 6 anni sono insorte problematiche comportamentali e sintomi di
regressione
•Bambini al di sotto dei sei anni i disturbi più frequenti sono stati l’aumento dell’irritabilità,
disturbi del sonno e disturbi d’ansia (inquietudine, ansia da separazione)
•Nei bambini (età sopra i 6 anni) i disturbi più frequenti hanno interessato la “componente
somatica” (disturbi d’ansia e somatoformi come la sensazione di mancanza d’aria) e i
disturbi del sonno (difficoltà di addormentamento, difficoltà nel risveglio, alterazione del ritmo
sonno-veglia)
•Il livello di gravità dei comportamenti disfunzionali e dei disturbi di natura emotiva dei
bambini/adolescenti è risultata associata al grado di malessere e stress dei genitori per
la ‘’condizione Covid’’
•Inoltre il malessere dei genitori legato alla “condizione Covid” è risultato significativamente
più frequente e intenso nella famiglie al cui interno erano presenti sia persone anziane
che bambini
Conseguenze in infanzia
Ammaniti (2020)
•Rischio che il bambino (soprattutto in età prescolare) percepisca il mondo come
‘’minaccioso’’ o pericoloso
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•Difficoltà nel trovare le parole giuste per spiegare la situazione
•Sindrome di deprivazione sociale: sono mancati esperienze e stimoli sociali
fondamentali, sono venuti meno elementi centrali della vita quotidiana, il confronto con altri
bambini, i giochi di gruppo, le attività scolastiche, la relazione con i nonni
•I figli unici possono soffrire ancora di più per questa condizione
•Il genitore deve assumere un ruolo di mediatore e filtro delle relazioni sociali del figlio
Solitudine e isolamento forzato (Loades et al., 2020)
•Le chiusure degli asili e delle scuole, così come di spazi dedicati ad attività extrascolastiche
ha fatto sperimentare ai bambini uno stato di isolamento fisico (da pari, insegnanti,
educatori, familiari…) e un aumento del senso di solitudine
•Aspetti che in infanzia possono essere associati a sintomi depressivi come conseguenza a
lungo termine
•Emergono differenze di genere: la solitudine per le femmine è associata a sintomi
depressivi, mentre nei maschi più spesso a sintomi ansiosi
•La durata dell’isolamento è un fattore di rischio: rispetto al Covid questo al momento non è
prevedibile
•Studi che avevano indagato le conseguenze a livello psicologico dopo situazioni di
isolamento forzato/quarantene riportano che i bambini che hanno sperimentato queste
situazioni hanno un rischio più elevato di sviluppare PTSD o di richiedere aiuto presso
strutture specializzate
•Si ipotizza quindi che con le misure adottate a causa del covid ci possa essere un aumento
di questi disturbi nei bambini
•Tuttavia la pandemia ha una caratteristica peculiare: isolamento è in qualche modo
‘’condiviso’’, la condivisione a livello sociale di questa esperienza potrebbe costituirsi
come un fattore protettivo
Studio condotto in Cina sul primo impatto psicologico (Jiao et al., 2020)
•Obiettivo: fare uno screening dei disturbi dei problemi emotivi e comportamentali nei primi
mesi di pandemia
•Per tutte le età sintomi più gravi erano:
irritabilità
disattenzione, chiusura sociale ed emotiva,
•Bambini (3-6 anni) mostravano più spesso: paura che un familiare potesse contrarre il virus,
chiusura sociale ed emotiva
•Bambini/adolescenti (6-18 anni): sintomi di disattenzione
•I livelli di paura e ansia erano più alti per bambini residenti in zone a più alto rischio
epidemico, anche se non vi erano differenze significative tra zone a diverso rischio
epidemico
Studio condotto in Canada (Moore et al., 2020)
•Obiettivo: indagare l’effetti immediato delle restrizioni sull’attività motoria e sul gioco nei
bambini (5-11 anni) e negli adolescenti (12-17 anni)
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•I genitori hanno compilato un questionario rispetto ai comportamenti dei figli
•Sia i bambini che gli adolescenti hanno mostrato minori livelli di attività fisica, minor tempo
trascorso all’aperto, si intrattenevano maggiormente con strumenti digitali
•Le femmine e gli adolescenti sono risultati meno attivi rispettivamente dei maschi e dei
bambini
•Il supporto genitoriale e l’ingaggio genitoriale rappresentano un fattore protettivo perché
associati a comportamenti motori più sani e si impegnavano nel proporre nuove attività
seppur più sedentarie
Conseguenze in infanzia ed aspetti genitoriali
•Diversi studi nel tempo hanno messo in luce come in caso di catastrofi, disastri o altri eventi
legati alla salute pubblica, hanno dimostrato come aspetti di disregolazione emotiva nei figli
possano essere associati ad emotività negativa nei genitori
•Un evento inaspettato e imprevedibile come la pandemia da COVID-19 e il conseguente
lockdown può essere percepito come stressante e come una minaccia generando emozioni
di ansia e distress
Studio condotto in Cina su aspetti di vulnerabilità (Tso et al., 2020)
•Obiettivo: indagare possibili aspetti di vulnerabilità e possibile conseguenze psicologiche
per i bambini
•Campione di 29,202 di famiglie con bambini dai 2-5 anni o dai 6-12 anni
•Il rischio di sviluppare conseguenze psicosociali era più alto per bambini con: bisogni
educativi speciali, malattie croniche o acute, madri con malattie psichiatriche, famiglie
monogenitoriali e famiglie con basso reddito
•In età prescolare: associazione tra stress genitoriale, difficoltà psicosociali e difficoltà nel
sonno, uso prolungato di strumenti digitali nei figli
•Bambini in età prescolare più a rischio: mostravano problemi di attenzione/iperattività e
difficoltà comportamentali
•Stress genitoriale più alto in famiglie monogenitoriali, a prescindere dallo status
socioeconomico
•Per il genitore singolo è più difficile gestire adeguatamente la cura dei figli e una situazione
di smart-working
•Questo probabilmente indica che condividere la responsabilità dell’accudimento dei figli può
essere un fattore protettivo rispetto allo stress genitoriale
Studio condotto in Italia su regolazione emotiva genitore-figlio (Morelli et al., 2020)
•Obiettivo: indagare in che modo i genitori potessero influenzare il benessere emotivo dei
figli
•Distress psicologico nei genitori influisce negativamente sul processo di regolazione
emotiva dei figli
•Tuttavia se il genitore si percepisce come capace (autoefficace) dal punto di vista emotivo
questo rappresenta un fattore protettivo
•Un genitore che si percepisce capace saprà attingere a una serie di risorse che gli
permetteranno di contenere l’impatto che la situazione stressante può avere e di prevenire
aspetti di disregolazione nei figli
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Studio condotto in Italia (Morelli et al., 2020)
•Obiettivo: indagare in che modo i genitori potessero influenzare il benessere emotivo dei
figli
•Distress psicologico nei genitori influisce negativamente sul processo di regolazione
emotiva dei figli
•Tuttavia se il genitore si percepisce come capace (autoefficace) dal punto di vista emotivo
questo rappresenta un fattore protettivo
•Un genitore che si percepisce capace saprà attingere a una serie di risorse che gli
permetteranno di contenere l’impatto che la situazione stressante può avere e di prevenire
aspetti di disregolazione nei figli
Studio condotto in Italia sul ruolo dell’attaccamento (Liang, 2021)
•Ipotesi: a causa della pandemia i genitori possono sperimentare emozioni diversi e di
diversa intensità in base al loro stile di attaccamento (attaccamento sicuro: minor livello di
emozioni negative)
•Durante il periodo di isolamento sia i genitori che i figli hanno mostrato più alti livelli di
emozioni negative
•Le emozioni negative dei genitori influiscono su quelle del bambino: quando i genitori
mostravano più emozioni negative, percepivano che anche i loro figli mostravano più
emozioni negative
•Genitori con attaccamento preoccupato: mostravano i livelli più elevati di emozioni negative
•Genitori con attaccamento distanziante, percepivano meno emozioni negative nei loro figli
•Tuttavia questo può rappresentare un rischio perché il genitore non è in grado di
riconoscere gli stati emotivi propri e del bambino
•Genitori con attaccamenti insicuri e i loro figli, possono quindi essere più a rischio di
sviluppare conseguenze psicologiche in situazioni altamente stressanti come la pandemia
Qualche indicazione pratica
•Fornire una spiegazione chiara e veritiera al bambino, non cercare di far finta che l’evento
non sia accaduto, né cercare di banalizzarlo
•Dare la giusta quantità di informazioni magari avvalendosi di strumenti specifici
•Non dilungarsi sulla dimensione o sulla portata dell’incidente, in particolare con i bambini
piccoli
•Usare un linguaggio chiaro ed esplicito, non utilizzare un linguaggio astratto, tenendo conto
dell’età del bambino
•Lasciare molto spazio alle domande del bambino (è possibile che faccia le stesse domande
più volte)
•Dimostrare un atteggiamento di disponibilità, vicinanza fisica cercando di parlare con tono
rassicurante
•Fornire elementi concreti al bambino che indichino che ci sono esperti che si stanno
occupando della situazione
•Legittimare e rispecchiare le emozioni del bambino
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•Accogliere e contenere possibili episodi rabbia
•Prestare attenzione a eventuali sensi di colpa del bambino (soprattutto con quelli molto
piccoli)
•Cercare di mantenere una routine
•Non esporre i bambini ai media
•Se il bambino vuole vedere qualche notizia scegliere una breve notizia e concentrarsi su
aspetti rassicuranti. Assistere il bambino nella comprensione della notizia
•Sostenere il bambino affinchè possa mantenere contatti sociali (ad esempio: con i pari o
con i nonni)
•Cercare di portare i bambini il più spesso possibile all’esterno e far fare attività fisica
•Con bambini molto preoccupati o spaventati: usare delle tecniche specifiche di rilassamento
ad esempio prima di andare a letto
•A livello di intervento sia per i genitori che per i bambini: potenziamento della resilienza
(individuale e familiare)
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