BAMBINI TRATTATI MALE PERTICARI Katarina Rutschky tramite esperienze, manuali, teorie, pratiche pedagogiche ha dimostrato l’esistenza di una violenza patogenetica sui bambini che caratterizza i processi di civilizzazione nel 900. L’esistenza di quel che lei ha denominato in maniera molto efficace ‘’pedagogia nera.’’ Perticari cerca di portare questo problema della ‘’pedagogia nera’’ nel mondo contemporaneo, perché per lui il maggior problema in questa epoca è la violenza sui bambini. L’abuso infantile come cifra nascosta di tutta la violenza umana. Appartiene all’ordine di ciò che non si vuol vedere e di ciò di cui non si vuole neppure sentir parlare. Un’area invisibile come l’aria, dove prevale il tabù: ‘’i panni sporchi si lavano in famiglia’’. Guai a mettere in piazza quel che si è vissuto nella furia del privato e tanto meno mettere zizzania nella vita delle famiglie. Eppure, e questo è il senso della sua introduzione, l’educazione nera è il più potente meccanismo di distruzione della famiglia e di disturbo tanto della vita personale quanto della civiltà. La ‘’pedagogia nera’’ è subdola e difficile da riconoscere. Al contrario delle violenze fisiche, non lascia segni visibili sul corpo ma nell’anima. La ‘’pedagogia nera’’ è vita, è velenosa e nera come la morte. La violenza continua e quotidiana sui bambini, l’autoritarismo più abrasivo e pericoloso perché nascosti dalle buone intenzioni e molte volte da una fede bigotta, sono solo alcuni primi indicatori di massima, ma poi i meccanismi a cui furono ad esempio sottoposti i bambini nelle famiglie tedesche e non solo tedesche nel corso di oltre due secoli, sono stati compartimentati in un amore e in una mentalità subdolamente autoritaria che mentre propone il meglio, lo rinnega e lo perverte. Per questo si può dire che la pedagogia nera è qualcosa che si fa ma non si dice e che si sviluppa come una sorta di macumba transgenerazionale attraverso la petulante ripetizione delle più progredite intenzioni pedagogiche. È difficilissimo accorgersene per tempo. Non si tratta tanto di distinguere aprioristicamente violenza fisica e violenza dell’anima. Di solito quando c’è una, c’è a bene vedere anche l’altra. Si tratta di capire quando i bambini pervengono ad uno stadio che è senza speranza si può trovare questo meccanismo patogenico transgenerazionale. Che cosa significa spezzata l’anima? Per molti l’anima è un po' come la propria casa e spezzare l’anima vuol dire rompere realmente la casa. Ci sono persone che credono in buona fede che l’educazione significa ‘’noi dobbiamo rompere il bambino in una maniera tale che così possiamo cominciare noi con lui a costruire una nuova casa’’. C’è sempre una nuova casa da costruire. Possiamo riportarli nella casa giusta dopo aver spezzato l’anima e imposto i nostri i nostri propri codici morali attraverso trappole, sgradevolezze, abusi che producono effetti distruttivi e traumi. In fin dei conti è questo l’obbiettivo di quasi tutte le educazioni o gran parte. Non pensate che si tratti realmente di cattive persone, quelle che decidono di educare in questo modo. Anzi, il più delle volte, si tratta di persone che amano i propri bambini troppo, non poco. Ma appunto li sentono come loro proprietà. Sono convinti di fare cose giuste. Che cosa può fare un bambino di fronte a questo male? Andare via? Scappare da un ambiente chiuso? Non sopravvivrebbe. La sola cosa che potrebbe fare è denunciare: crescere alla violenza che lo ha educato per non esserne del tutto afferrato. Ma non è facile; non è facile soprattutto trovare qualcosa che abbia le capacità e che testimoni a suo favore o che sia consapevole di ciò che sta accadendo. Un genitore, un vicino, un parente o un educatore può accorgersi di questi abusi soltanto se un bambino, vuoi per resilienza sua, vuoi per imprudenza, glielo va a dire. E allora ascoltando con attenzione quello che viene detto dai bambini forse si può arrivare a testimoniare in loro favore. I bambini parlano, lo vanno a dire quello che succede di grave nella loro vita; non sempre trovano un ascolto all’altezza di quello che dicono e ancora più difficile è trovare un testimone che faccia loro da sponda mettendosi empaticamente dalla loro parte. Anche perché gli adulti perpetratori di violenza, a loro volta non stanno fermi, solitamente negano tutto. Tendono ad affermare che non è successo niente, minimizzano ‘’è stato tutto un fraintendimento’’. Il testimone che si mette dalla parte dei bambini ha una visione corretta, ma gli viene detto che non si possono condannare delle persone per bene in nome di un’ideologia. Per questo è molto difficile che i bambini trovino un adulto in grado di proteggerli, con effettive capacità di ascolto, consapevolezza, intervento. Cosa che accade invece spessissimo all’adulto che compie un atto malvagio o malato, trovare invece opportunità di difesa e di protezione crescenti anche quando viene colto in prossimità di flagrante reato o trovato con le mani in pasta per sua stessa ammissione; è buffo, curioso e anche molto triste. In alcuni casi si fa di tutto per convincere il bambino che non è successo niente, che è amato più di ogni altra cosa, perché il bambino non si accorga, dimentichi o rimuova senza alcun tipo di chiarimento reale con lui. Questo offre molte chances agli adulti abusanti di reiterare il reato e di imporre nuovamente la situazione violenta di prima. Per questo è necessario operare sul fronte dell’informazione e della prevenzione perché quando il male si è compartimentato dentro le case o in alcune scuole ci si può fare poco, anche quando ci si rivolge alle istituzioni, alle forze di polizia, e si tenta di portare il giudizio il malfattore. Si deve far capire che le ferite dell’anima subite troppo precocemente non guariranno facilmente. Ogni sculacciata è dannosa? Si, è il primo gradino della violenza educativa. Ma, parliamoci chiaro; qui non è questione di sculacciate. Il punto è: la sculacciata e il male entrano a far parte di una stessa storia. È evidente che dietro a un adulto che mena un bambino ci sono sempre problemi suoi irrisolti, talvolta molto profondi. Dal parto allo schiaffo, dalle sgridate alle punizioni, dalle urla agli abusi veri e propri, il bambino subisce ancora, da sempre e in ogni luogo parentale violenza con scuse pedagogiche ogni volta diverse; ma comunque sempre una violenza opaca, impenetrabile che avviene non solo alle spalle della coscienza individuale collettiva, ma gli stessi processi mentali e nel vivo dei rapporti tra genitori e figli sin dai primissimi mesi, talvolta sin dai primi giorni di vita. Il bambino, incapace di riconoscere l’atto di violenza subita, diventerà poi pronto a perpetuarla amputando, in nome dell’amore verso gli adulti che lo allevano, i propri potenziali originali e la propria capacità di empatia. Si badi bene, tutti i bambini, non solo quelli violentati e abusati, quelli maltrattati e malnutriti, subiscono nel mondo contemporaneo questa mera amputazione sistematica e continua delle loro sensibilità, della loro autonomia e delle loro potenzialità, sin dalla nascita. Ciò li porta a introiettare di più, chi meno, il male subito; ma nell’ impossibilità di attribuirlo a chi si prende cura di loro, amorosamente anche se troppo spesso con violenza o brutalità, lo riproducono nelle loro vite, scaricando su altri, spesso inermi, la violenza perpetrata su di loro in famiglia o in altri contesti educativi, perpetuando così la catena transgenerazionale del trauma e del male. Gran parte degli adulti di tutto il mondo è ancora troppo convinta che scappellotti, urlate e umiliazioni fatte a fin di bene, si ritiene siano indispensabili per una sana e robusta crescita. Chi è convinto che i bambini non abbiamo una sensibilità sviluppata e mette in atto nei loro confronti pratiche che se fossero rivolte a un qualunque adulto verrebbero sanzionate per dalla legge, è un povero malfattore incapace di percepire cosa voglia dire venire aggrediti da un energumeno cinque volte più grande di sé stessi in preda a un raptus nervoso di rabbia, o incapace di trattenersi da agiti di natura sessuale. È una persona che non è a posto; e tra una persona a posto e una che non è a posto c’è ancora uno scalino. Un bambino, una bambina, ha bisogno di rispetto di amore, di comprensione, di gentilezza. Se verrà disprezzato, circondato di violenza o fatto oggetto di maltrattamenti, se verrà umiliato, sottovalutato, ridotto a essere speranza o ricatto emozionalmente, economicamente e esistenzialmente, se verrà manipolato e portato sistematicamente verso menzogne e ignoranza ne riporterà un danno, un segno cerebrale all’interno della propria organologia o della propria organizzazione simbolica. È tempo di considerare qualunque forma di violenza educativa come grave maleducazione, qualcosa di incivile, da additare o deridere per fare cambiare atteggiamento a chi ancora si attarda in certi comportamenti violenti contro i bambini. Chi dà una sculacciata al proprio figlio è come chi si scaccola il naso in pubblico e poi tira il pallino di muco ricavatone addosso a chi gli sta vicino; è patetico e se non se ne avvede anche un po' tragico. Ci sono genitori che non possono vivere senza dare la loro razione quotidiana di rimproveri, di maltrattamento, di comandi e di distruttività ai propri figli. In nome di un amore irrefrenabile e di una catena attraverso cui attrarre a sé ogni membro del proprio gruppo parentale amato, l’evoluzione del rapporto genitori figli ha prodotto nel tempo un tipo di civiltà che all’inizio dell’età moderna si inventerà una condizione speciale nota come infanzia, da cui ha avuto origine un concerto tirannico di genitore, di famiglia, di educazione dei bambini, di società, di civiltà e di gruppo etnico che ha spinto i genitori a rapportarsi ai figli secondo lo schema: allevare e obbedire. In forme diverse questo schema che viene ancora da più lontano, non ha mai cessato di esistere e funziona in questo modo: si corrompe il meglio dei rapporti di tenerezza, dolcezza e gentilezza nel peggio dei rapporti di potere e di autorità assoluta in nome di un condizionamento all’obbedienza che la famiglia e l’adulto, soprattutto le donne, devono portare avanti e ripetere di generazione in generazione a prescindere dall’originalità, dall’intelligenza, dalla sensibilità diversa di ciascun bambino e di ciascuna bambina; in questo modo, si perpetua il male nel mondo. La pedagogia nera si inserisce in questo paradigma del male proprio a questo punto; poiché tra le tante cose orribili che mostra, evidenzia il fatto che una madre esposta alla pedagogia nera tenderà a ripetere quella stessa struttura di obbedienza all’autorità con i propri figli, magari mantenendo un aperto conflitto con l’autorità famigliare che le dà quei comandi che giudica sbagliati, ma tuttavia non potendo esimersi dall’obbedire. L’obbedienza non è più una virtù; bisogna applicarla in modo intelligente soprattutto nella cura dei bambini piccoli, anche quelli di poche settimane o mesi, e nell’educazione dei figli in famiglia. E poi, a scuola nella didattica; perché il mondo futuro o sarà l’accompagnamento dei bambini verso forme di disobbedienza intelligenze, oppure non sarà. La posta in gioco in questa ricerca va ben oltre la didattica e la pedagogia perché riguarda effettivamente la vita dei bambini reali che s’incontrano e con loro dell’umanità sulla faccia della terra. La pedagogia nera nomina proprio questo contagio del male attraverso i bambini; spezzare in molti pezzettini la catena invisibile del veleno che provoca le inaudite regressioni attraverso cui si genera quel fenomeno misterioso, perché ancora inspiegato, che accompagna il processo di civilizzazione con forme di inaudita regressione e con dei crolli di civiltà che vanno dalle punizioni ai bambini e proseguono talvolta senza fermarsi davanti a niente, fino allo sterminio di massa. Per questo fenomeno complesso ora abbiamo un primo nome: pedagogia nera. La pedagogia nera è sempre un’aggressione fisica, ma soprattutto psicologia e mentale, contro un bambino o contro una bambina. Può essere semplicemente un ‘’agito’’ ma dietro quell’agito c’è sempre una cultura ben precisa; proprio questa cultura dovrebbe essere combattuta perché è spesso l’ethos che molte volte, per futili motivi, in forme più o meno aberranti e in modo più o meno abbietti, rende possibile l’intensificarsi della violenza sui bambini. La pedagogia nera, da un punto di vista legale, pare il contesto che rende possibile l’abuso sessuale infantile, la pedofilia e la sua reiterazione. Con forme di complicità e silenzi che sono necessari per arrivare a certi atti che altrimenti non troverebbero il contesto per avere luogo. Serve una nuova articolazione di legge che permetta di combattere una mentalità molto nociva che può avere conseguenze anche gravi per la vita di chi la subisce e per tante persone innocenti che la incrociano. Per questo, se si capisce cosa è la pedagogia nera, si nota anche una inadeguatezza o arretratezza della legge che tutela i bambini da ogni forma di condizionamento in famiglia e di violenza nelle reti parentali. Per incominciare a parlarne, si potrebbe partire dalla zona dell’articolo 11 della Costituzione Italiana, in cui si dice: ‘’l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali… aggiungendo un capoverso in cui si dice: l’Italia ripudia la violenza sui bambini come strumento educativo…e si dovrebbe proseguire coerentemente con questa direzione precisando che il ripudio della violenza sui bambini è una condizione sine qua non del ripudio della guerra, di ogni forma di violenza e per promuovere a diversi livelli di forme di prevenzione dell’offesa e mezzi idonei per la risoluzione del problema di una mancata crescita culturale sul maltrattamento dei bambini. Deve però anche dire l’abbattimento del muro del silenzio sui bambini maltrattati; di questi si parla soltanto in casi eclatanti, ma senza una vera e propria nuova cultura pubblica diffusa. Serve una nuova legge quadro capace di creare una nuova cultura nel rispetto dei bambini. Se si vuole seriamente e drasticamente ridurre la violenza sui bambini e l’abuso infantile, il primo passo che si deve fare è un serio percorso di ricerca e di formazione che porta a sapere che cosa è la pedagogia nera, quali sono i suoi meccanismi e quali sono le sue conseguenze per poter poi inventare nuove forme di riflessione sui diversi stili di responsabilità, di educazione, di autorità. Una nuova legge dovrà discernere quali tra questi maltrattamenti infantili si prestano a forme di giudizio penale che implichino il carcere, e quelli che non implicano necessariamente il carcere, e in molti casi potrebbe bastare una semplice multa. Dovrà dunque essere una legge in grado di prevenire i casi di abuso più eclatanti educando al contempo di cittadini a una mentalità più rispettosa dei bambini. Di tutto si può e si deve poter parlare e una nuova cultura e una nuova legislazione deve garantire in questo senso nei modi appropriati la possibilità di una riflessione pubblica che consenta l’acquisizione di impegni legittimi in quanto duramente discussi e condivisi. In taluni casi, si deve favorire il distanziamento da una realtà malsana, dare garanzie economiche. Lo Stato deve offrire garanzie di distacco e di separazione dai luoghi di reato, anche nei casi di reato minore, per garantire il ritrovamento della serenità da parte di bambini e adulti, e per farli uscire dalla pressione violenta a cui sono esposti. Questa si sostiene su tre imperativi assoluti: ‘’Tu non devi essere consapevole’’; ‘’Tu non lo devi dire’’; ‘’Tu devi perdonare’’. Essi si ricapitolano nell’estrema sintesi: ‘’Non è successo niente’’. Alice Miller è fondamentale perché indaga le risposte possibili, anche di tipo curativo per chi ha subito abusi infantili destinati a condizionarne la vita, e ci consente di incominciare a vedere la via di un uso non soltanto definitorio della pedagogia nera, ma anche fondativo, dunque informativo e preventivo che spiega come la cura delle persone ferite nel profondo possa rispondere alle violenze subite. Con Alice Miller possiamo oggi pensare in modo moderno a una scienza autoimmunologica della lotta pedagogica nera attraverso l’immissione di piccole dosi di pedagogia nera contro chi educa in modo violento, brutale, basandosi sul disprezzo della debolezza dei più piccoli. Miller ha avuto il coraggio di mostrare la mente nera di qualunque forma di psicologia e di qualunque forma di cura incentrata sulla colpevolizzazione e sulla martirizzazione del bambino. Il confronto fondamentale di Alice Miller è qualche cosa da attraversare e riattraversare se si vuole costruire un approccio moderno alla violenza e al male. Alice Miller dice: Non tutti i bambini diventeranno dei tiranni, ma dietro a ogni tiranno c’è un bambino maltrattato’’. La pedagogia nera è un’occasione per ripensare alle origini del male e i bambini che stiamo allevando, insieme. Si può vincere questa forma di violenza grave prendendo adeguate misure contro di essa, soprattutto quando si arriva a scoprirla precocemente. Sono decisivi i percorsi e le storie che portano a occuparsi della pedagogia nera: per questo si devono creare occasioni per poterne parlare, perché è salutare l’incontro tra la propria storia personale che si collegano alla diffusione della mentalità del male sul piano individuale e collettivo. E in questo caso, veramente, tutto ciò che non è autobiografico, è plagio. Questa ricerca sui bambini della pedagogia nera ha portato a vedere il godimento perverso al cuore della sovranità e dell’autorità simbolica di chiunque si proponga come figura dell’educazione e concepisca la relazione con i bambini come rapporto di potere. L’autorità simbolica nello stato d’emergenza si trasforma in trasgressione, domanda di piacere irrefrenabile: è questa la cruda materia dell’educazione quando diventa ideologia, cioè ideale assoluto deviato. Il crudo stato dell’ideologia in quanto ideale deviato, è la galvanizzazione del godimento per il potere e del potere come godimento. L’educazione come immagine del rapporto del potere con chi gli è sottoposto. Il potere che subiscono dei bambini può produrre dei bambini che fanno subire la violenza del proprio potere a coloro che sono più deboli. È questo in fin dei conti il potere e il male della pedagogia nera; da ciò si comprende la corruzione totale dell’educazione che è la trasgressione dei bambini legata alla loro estrema obbedienza. I bambini vengono isolati e irregimentati per l’abuso, per la violenza, per il disturbo e subito ne vengono contagiati e a loro modo, in rapporto ai casi della vita, mettono in atto meccanismi e logiche del male. Dunque il vero punto autobiografico della introduzione al libro ‘’Pedagogia nera’’ di Katarina Rutschky riguarda la realtà di un bambino, di una bambina che viene condizionata dall’adulto che si propone come educatore e portatore di ideali assoluti per affermare il proprio godimento legato al potere. Questa è la struttura di connessione tra il male e il potere che si deve contrastare perché banalizza i bambini e li contagia di un male rischioso che può esprimersi poi in forme anche molto distanti e molto diverse da quelle precocemente subite come un impulso irrefrenabile in rapporto alla posizione di potere raggiunta. Non si crede sia possibile sfuggire all’educazione ricevuta, questo vale per tutti, ma può esserci forse un graduale miglioramento rispetto alla violenza emanata in nome di essa. Ci si può riscattare dalla violenza per emanciparsi dall’educazione ricevuta quando essa si manifesta nell’orizzonte del male. La pedagogia nera è una realtà veramente abrasiva e indecifrabile che riguarda persone normali, spesso al di sopra di ogni aspetto e in taluni casi persone gradevolissime. Essa agisce nell’ombra del sotterfugio e nel silenzio, ma raramente si spinge verso il crimine vero e proprio, anche se violenza, crimine, abuso, corruzione e manipolazione sono nel DNA di qualunque mente nera. Abbiamo detto che la pedagogia nera segue tre imperativi/tabù che si intensificano in termini di paranoia via via sempre di più per il soggetto che li subisce o li accetta e che poi è destinato a sua volta a perpetuarli e a trasmetterli. Tu non devi accorgerti; Tu non devi dire niente: i panni sporchi si lavano in famiglia; Tu, il tuo essere, coincide con il non è successo niente. Essi si ricapitolano nel quarto comandamento: onora il padre e la madre. La famiglia che ti ha allevato viene prima di ogni altra cosa. L’uccisione dell’anima del bambino passa dall’assunzione di questi tre imperativi nella propria vita mentale determinando la sua spezzatura e il suo inaridimento. Urlare è bello; chi ama obbedisce; dopo si può fare con lei o con lui qualunque cosa; e se tu sei un bravo bambino e se mi ami, obbedisci anche alle cose più abominevoli. La pedagogia nera è un male grave da non trascurare. La pedagogia nera, in qualunque forma avvenga, soprattutto mentale, è sempre un ‘’crollo di civiltà’’ in cui qualcosa di molto provato e personale viene a coniugarsi alla stessa crisi della modernità e al suo culmine di potere che, di soluzione in soluzione, perviene la catastrofe. Quando si tratta di bambini maltrattati ci si sente poco predisposti al perdono, bisogna andare a piano a perdonare. Bisogna pensare sempre al poi. Cioè al fatto, che chi comincia a fare reati contro i minori ha già superato una soglia di intensità del male e tenderà a reiterare il reato o a creare occasioni di violenza a meno che non si sottoponga a cura psichiatrica e a un cammino di riparazione effettiva; misericordia per i bambini. Bisogna avere come dice Alice Miller, una conoscenza del male che si combatte per poter essere efficaci e per non cadere nella trappola della diffusione della violenza e della guerra nel mondo. Gandhi e Alice Miller possono fare parte di uno stesso percorso per arrivare a promuovere con maggiore efficacia la non violenza e, eventualmente, valutata ogni cosa, arrivare più lucidamente e più consapevolmente a scegliere se usare i muscoli o se seguire la via del perdono che senza questo cammino di conversione e sacrificio si sé è e resta l’arma più potente del male e della morte.