La vita L’infanzia Vittorio Amedeo Alfieri, nacque il 17 Gennaio 1749 ad Asti, in Piemonte, dal matrimonio del conte di Cortemilia Antonio Amedeo Alfieri e della savoiarda Monica Maillard de Tournon. Era di madrelingua piemontese e, curiosamente, conosceva anche il francese e l’italiano, che imparò successivamente. Il padre morì quando lui aveva un anno, e la madre si risposò nel 1750 con il cavaliere Carlo Giacinto Alfieri di Magliano. La vita Gli studi e la formazione Nel 1758 fu iscritto all’Accademia Reale di Torino per volere dello zio Pellegrino Alfieri, governatore di Cuneo e viceré della Sardegna. All’Accademia studiò grammatica, retorica, filosofia e legge e venne a contatto con molti studenti stranieri e i loro racconti, che gli fecero sviluppare la passione per i viaggi. Nel 1766 lasciò l’Accademia, dopo la morte dello zio, non terminando gli studi e arruolandosi nell’Esercito. Divenne “portinsegna” nel reggimento provinciale di Asti e rimase arruolato fino al 1774, congedandosi al grado di luogotenente. La vita I viaggi Tra il 1766 e il 1772 fece molti viaggi in Europa. Visitò l'Italia da Milano a Napoli, sostando poi a Firenze e a Roma. Nel 1767 giunse a Parigi dove conobbe Luigi XV. A Gennaio del 1768, deluso dalla città, giunse a Londra, e dopo un lungo giro nelle provincie inglesi, si spostò verso l'Olanda. A l'Aia visse il suo primo amore con Cristina, moglie del barone Imhof. Per evitare uno scandalo, fu costretto a separarsene e tentò il suicidio; tra l'altro fallito grazie all'intervento di Elia, il suo fidato servo, che lo seguiva in tutti i suoi viaggi. Rientrò a Torino, dove alloggiò in casa di sua sorella Giulia. Vi rimase fino a vent'anni, quando, entrando in possesso della sua eredità, decise di lasciare nuovamente l'Italia. Tra il 1769 e il 1772, in compagnia del fidato Elia, compì il secondo viaggio in Europa. Partendo da Vienna, passò poi per Berlino, incontrando con fastidio e rabbia Federico II. Visitò la Svezia e la Finlandia, giungendo in Russia, dove non volle essere presentato a Caterina II, avendo sviluppato una profonda avversione nei confronti del dispotismo. Raggiunse Londra e, nell'inverno del 1771, conobbe Penelope Pitt, moglie del visconte Edward Ligonier, con la quale instaurò una relazione amorosa. Il visconte, scoperta la tresca, sfidò a duello l'Alfieri. Tutto ciò fu considerato uno scandalo, e in seguito fu costretto a lasciare la donna e la terra d'Albione. Riprese così il suo girovagare, prima in Olanda, poi in Francia, Spagna e infine Portogallo, dove a Lisbona incontrò l'abate Valperga di Caluso, che lo spronò a proseguire la sua carriera letteraria. Nel 1772 cominciò il viaggio di ritorno. Nel 1783, Alfieri fu accolto all’Accademia dell’Arcadia col nome di Filacrio Eratrastico, e nello stesso anno terminò anche l‘Abele. Tra il 1783-1785 pubblicò in tre volumi, la prima edizione delle sue tragedie stampate dai tipografi senesi Pazzini e Carli. Questo periodo però fu interrotto dal cardinale di York, il quale, scoprendo la relazione dello scrittore con la cognata, gli ordinò di abbandonare Roma. Nell'aprile del 1784, la contessa d’Albany, per intercessione di Gustavo III di Svezia, ottenne il divorzio dal marito e il permesso di lasciare Roma e si ricongiunse all'Alfieri ad agosto, nel castello di Martinsbourg a Colmar, in segreto, per salvare le apparenze e la pensione della contessa. A Colmar, Alfieri scrisse l‘Agide, la Sofonisba e la Mirra. Nel 1785 portò a termine le tragedie Bruto primo e Bruto secondo. Nel dicembre del 1786, Alfieri e Luisa si trasferirono a Parigi acquistando due case separate; in questo periodo furono ripubblicate le sue tragedie per opera del famoso stampatore Didot. Nel 1789, Alfieri e la sua compagna furono testimoni oculari dei moti rivoluzionari di Parigi. Gli avvenimenti in un primo tempo fecero comporre al poeta l'ode A Parigi sbastigliato, ma in un secondo momento, dato l’odio per la Francia e gli esiti tragici della rivoluzione gli dettarono una satira feroce, il Misogallo, mista in prosa e in versi contro chi aveva rinnegato gli ideali illuministici. L’ultima opera a cui si dedicò fu la Vita, un’autobiografia romanzata in cui si analizza con ironia e lucidità, mettendo in evidenza molti dei suoi difetti, ma dando anche risalto a doti come il coraggio, la lealtà e la forza di volontà; la prima stesura della Vita risale al 1790, ma l’opera fu completata solo pochi mesi prima della morte. Tra il 1801 e il 1802, compose sei commedie: - L’uno; I troppi; I pochi; L’antidoto. La finestrina; Il divorzio. Argomento politico Sfondo sociale Morì a Firenze l’8 ottobre 1803 all'età di 54 anni, probabilmente a causa di una malattia cardiovascolare, e venne sepolto nella basilica di Santa Croce. In sua memoria rimane lo splendido monumento funebre di Antonio Canova. 1774 Scrive la prima tragedia, Antonio e Cleopatra 1775 Inizia la produzione vera e propria con Filippo e Polinice 1776-77 Compone Antigone, Agamennone, Oreste e Virginia 1778 Compone La congiura de’ Pazzi, Don Garzia e Maria Stuarda 1779-81 Compone Rosmunda, Ottavia e Timoleone 1782-83 Compone Saul e Merope 1784-87 Compone le ultime cinque tragedie Agide, Sofonisba, Mirra, Bruto I, Bruto II Le tragedie Prose politiche La fama delle sue tragedie è legata alla centralità del rapporto libertàpotere e all'affermazione dell'individuo sulla tirannia. La tematica viene arricchita da una profonda riflessione sulla vita umana, in maggior modo quando il poeta si sofferma sui sentimenti più intimi e sulla società che lo circonda. Le sue tragedie furono rappresentate quando era ancora in vita ed ebbero un notevole successo nel periodo giacobino. Le tragedie più rappresentate nel triennio giacobino furono la Virginia ed i due Bruti. Il 22 settembre del 1796 a Milano, al Teatro Patriottico, Napoleone assistì ad una replica della Virginia. Il Bruto primo fu replicato anche alla Scala ed a Venezia, mentre a Bologna vennero rappresentate tra il 1796 e il 1798 ben quattro tragedie (Bruto II, Saul,Virginia, Antigone).. Le tragedie sono in tutto 22, compresa la Cleopatra. L'Alfieri le scrive in endecasillabi sciolti, seguendo il concetto di unità aristotelica. Tra le più importanti ricordiamo: SAUL - 1782 FILIPPO – 1781, ma pubblicata nel 1783. MIRRA – 1789 (tragedia greca). Il Misogallo (parola derivante dal greco e dal latino che significa "colui che odia i francesi") comprende generi diversi, in particolare prose e rime, ispirati agli eventi della Rivoluzione Francese. Il sottotitolo dell'opera è "Prose e rime di Vittorio Alfieri da Asti". Le pagine di prosa e di poesia del Misogallo, furono scritte fra il 1789 e il 1798,raccolte, selezionate ed ordinate tra il 1793 e il 1795. In quest'opera antifrancese, Alfieri, con una critica feroce e pungente, rivede i suoi primi lusinghieri apprezzamenti rivolti alla Rivoluzione. La Francia in genere, e la Rivoluzione in particolare, secondo Alfieri hanno tradito e screditato l'ideale di libertà con i sanguinosi eccessi del Terrore. Egli, sentendosi tradito in ciò che ha di più caro rivolge contro i francesi durissimi attacchi e invettive sarcastiche. La prima edizione ufficiale dell’opera uscì nel 1814, solo dopo la caduta di Napoleone Bonaparte, alla vigilia della Restaurazione. Della Tirannide è un'opera scritta nel 1777 ed è suddivisa in due "libri“: Nel primo, "alla libertà" descrive ogni forma di tirannia che vede l'Alfieri nella società in cui vive e in quella passata: nelle milizie, nella religione, nella nobiltà, nel lusso, ecc. Secondo l'Alfieri è la paura la molla per la tirannia. Nel secondo tratta di come si possa sopravvivere alla tirannide, come si può rimediare, e se un popolo la possa meritare o meno. Per l'Alfieri il Tiranno è un governo che può manovrare a proprio piacimento le leggi o anche raggirarle. Il Principe stesso secondo Alfieri, è tiranno. Sarebbe quindi necessario che il gli uomini si sentano liberi, che insorgessero con le armi per ottenere la libertà, ma ciò sarebbe auspicabile solo se il tiranno fosse tanto spietato da portare all'esasperazione l'intera popolazione, facendo nascere il desiderio di insorgere. Insomma, il tiranno deve essere lo stimolo per i valorosi a ribellarsi: più il tiranno abusa del proprio potere, tanto più è probabile che i suoi sudditi insorgano e pongano fine a "quest'insensata forma di governo". Per cui l'atteggiamento politico di questo autore può essere da noi attualmente definito anarchico. Alfieri esamina anche l'umanità in generale dividendola in tre categorie: il "tiranno", colui che opprime; il "vulgo", la massa,il gregge, intesi come entità animalesca; i "liberi uomini", coloro che si ribellano al tiranno difendendo la loro libertà. Fra tutte le forme di governo,pur tutte negative, per Alfieri la Peggiore è la democrazia perché impone il potere della Maggioranza(del popolo animalesco) sulla minoranza. I liberi uomini si differenziano dalla massa comune e volgare. In conclusione, l'autore condanna ogni forma di organizzazione statale costituita, ma non propone nessuna alternativa: questo può quindi essere considerato il limite del pensiero politico di Alfieri.