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SINTESI di POLITICHE E RIFORME DELLA SCUOLA IN ITALIA- capitoli 1 e 2

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POLITICHE E RIFORME DELLA SCUOLA IN ITALIA PRIMO
CAPITOLO: LA SCUOLA NEI MAGGIORI STATI PREUNITARI (18301859)
1. IL GRANDUCATO DI TOSCANA, IL LOMBARDO – VENETO, IL REGNO DI SARDEGNA, LO STATO
PONTIFICIO
Il quadro dell’istruzione pubblica negli Stati preunitari italiani può essere diviso in due grandi aree. Al nord nel Regno di Sardegna, nel Lombardo - Veneto e nel Granducato di Toscana- si affermano varie spinte
rinnovatrici, che passano sia attraverso l’iniziativa di istituzioni private e di gruppi di cittadini, sia attraverso
quella dello stato. Al centro e al sud -nello stato pontificio e nel regno delle due Sicilie- la politica dei
governanti è ispirata da una ostilità verso l’istruzione popolare e di una diffidenza per qualsiasi idea di
ammodernamento del sistema scolastico.
Nel Granducato di Toscana la svolta reazionaria di Leopoldo II, che nel 1849 revoca la costituzione, era stata
preceduta da un lungo periodo di tolleranza verso le idee liberali. Durante questi anni la toscana è al centro
di una fitta rete di iniziative promosse da intellettuali di varia estrazione che dettero un rilevante contributo
al rinnovamento della cultura e della società. Di grande interesse fu la fusione che si realizzò in toscana tra le
società che promuovevano gli asili infantili con quelle di mutuo insegnamento, per offrire agli studenti di
continuare gli studi dopo i 6 anni prima di introdurli nel mondo del lavoro. Alla base di questo ci furono fattori
economici, poiché ambedue le istituzioni si reggevano sullo spirito di carità privata. Ma vi concorsero anche
motivi di opportunità politica e ragioni di ordine educativo. Le scuole di mutuo insegnamento o lancasteriane
avevano trovato un ambiente favorevole nel Granducato di Toscana, dove le autorità governative non
interposero quegli ostacoli che invece ne soffocarono la diffusione nello Stato Pontificio e nel Regno di
Napoli. Vennero create, inoltre delle scuole di formazione ad oc per contadini e proletariati. La Lombardia è
nel 1846, la regione d’Italia con un numero di asili infantili di gran lunga maggiore. Ciò è dovuto anche
all’efficienza dell’azione svolta da Ferrante Aporti che fondò il primo asilo infantile a San Martino dell’Argine
in provincia di Mantova. Il suo obiettivo fu quello di migliorare le condizioni della vita d’infanzia più disagiata,
favorendone l’inserimento sociale mediante la formazione morale e l’insegnamento del leggere, scrivere e
del far conto. A questo passo avanti seguirono tre anni dopo, quello fatto a Cremona, e numerosi altri a
Toscana, Lombardia, Piemonte, Liguria e Veneto. Gli asili dell’Aquila e di Napoli costituirono due casi
eccezionali in tutto il Sud. MA al di là dell’opera educativa e sociale (consapevolezza nella borghesia del peso
dell’istruzione) spinta da una morale vi erano anche delle ragioni politiche: l’avvicinamento ad un
CRISTIANESIMO LIBERALE.
La politica scolastica dell’Austria, alla cui base c’erano le riforme di Maria Teresa e di Giuseppe II, che avevano
contribuito a porre la Lombardia all’avanguardia di tutti gli stati
italiani, non subì svolte rilevanti neppure nell’età della restaurazione.
LA RESTAURAZIONE PORTA UN CLIMA OSCURO NEL REGNO
SABAUDO. Il principio dell’istruzione elementare obbligatoria, sancito
dai Regolamenti di Carlo Felice del luglio 1822, non trovò mai
attuazione. Tutta l’istruzione rimase nelle mani del clero, non solo
perché sottoposta al rigido controllo dell’arcivescovo di Torino, ma
anche perché la quasi totalità degli insegnanti erano sacerdoti. In
pochi anni altre città come Genova e Saluzzo, chiesero e ottennero
l’istituzione di scuole di metodo. L’opposizione del clero fu decisa perché vi si riconosceva l’intenzione di
sottrarre alla chiesa l’insegnamento elementare. La legge Boncompagni conferma che quei timori non erano
infondati, dal momento che essa toglieva al clero la gestione della scuola e la metteva nelle mani dello stato.
Con la Caduta della Repubblica ed il rientro a Roma, il papa provvide a sopprimere il Ministero della Pubblica
Istruzione, da lui stesso istituito, e a reintegrare nelle sue funzioni la Congregazione degli Studi. Quel che
manca in tutti gli atti ufficiali dello Stato Pontificio in materia scolastica è la convinzione che il ruolo della
religione e della chiesa cattolica potesse tradursi in un impegno educativo. Ciò spiega perché anche iniziative
di ispirazione cristiana provocarono la condanna del governo pontificio; un esempio sono le scuole
dell’infanzia promosse da don Ferrante Aporti, il quale considerava il cristianesimo come un grande evento
educativo e attraverso l’educazione volle esprimere il suo amore per il Creatore ed operare per il regno di
Cristo.
2. IL REGNO DELLE DUE SICILIE
Ferdinando I, riposto al potere con la restaurazione, cercò di non demolire del
tutto il sistema scolastico costruito da Giuseppe Bonaparte e
Gioacchino Murat durante il decennio francese. Col proclama dell’8
novembre 1830 Ferdinando II, denunciando le piaghe profonde che
affliggevano il paese, dichiara la sua volontà di migliorare lo stato
delle finanze e dell’amministrazione della giustizia. I provvedimenti
inaugurarono una politica di alleggerimento del carico fiscale e di
severo contenimento della spesa pubblica. C’era una nuova
apertura verso le idee letterarie, scientifiche e filosofiche
contemporanee alla quale contribuirono personalità come Pasquale Galuppi, Bertrando e Silvio Spaventa
per la filosofia, e Giuseppe Ricciardi nel campo dell’editoria. Determinante fu anche la presenza di una
miriade di riviste e di giornali, di salotti, di circoli e di scuole private animate da un gran fervore di studi. Ma
il quadro muta quando si sposta lo sguardo sullo stato DELL’ISTRUZIONE PUBBLICA PRIMARIA nell’ultimo
trentennio del regno borbonico, lasciato totalmente nelle mani del clero a causa dell’istituzione del consiglio
della pubblica istruzione nel giugno del 1849.
Per quanto riguarda la SCUOLA PRIVATA a Napoli, questa ebbe una gloriosa tradizione: lo scrive per primo
Girolamo Nisio nel suo saggio del 1871, dove ne individua anche la causa principale nel difetto
dell’insegnamento pubblico, e della domanda di istruzione delle famiglie nobili. Egli, sottolineando lo stretto
rapporto tra esigenze delle famiglie civili e le scuole private, fa discendere alcune caratteristiche peculiari
dell’istruzione privata a Napoli, come l’estrema varietà dei metodi didattici, delle materie d’insegnamento e
dell’organizzazione scolastica. Per Nisio uno dei meriti principali delle scuole private napoletane è nel fatto
che in esse l’istruzione primaria non costituisce un corso separato di studi, ma s’integra con quello medio in
funzione degli studi che l’alunno avrebbe dovuto affrontare o del lavoro a cui era destinato. Numerose
furono le scuole private di medicina, ma un cenno particolare va fatto agli studi di giurisprudenza, con
numerosi studenti attratti sia dalla vivacità dell’insegnamento teorico, sia dalla possibilità di prepararsi
all’esercizio di avvocatura.
Durante il regno di Ferdinando II si rafforzò il carattere confessionale dell’istruzione pubblica e si accentuò il
distacco della corona dalla classe colta meridionale. Un indice significativo di questo atteggiamento della
monarchia è costituito dalla mancanza di qualsiasi iniziativa per favorire la formazione della figura del
moderno insegnante laico al servizio dello Stato, cosa che invece era stata tentata da Gioacchino Murat,
quando nel 1812 aveva istituito una scuola per maestri, soppressa nel 1815 col rientro dei Borbone. La
diffidenza di Ferdinando II verso la figura dell’insegnante laico, si collocava sulla linea di una politica
scolastica che risaliva agli anni della restaurazione. Viene lasciata intendere la convinzione che alla scuola
pubblica non spettasse altro che il compito di frenare la diffusione di idee politicamente pericolose nel
popolo.
1. LA LEGGE CASATI: L’IMPALCATURA DEL
SISTEMA SCOLASTICO ITALIANO
Nel 1850 il Piemonte era ancora in guerra al fianco dei
francesi di Napoleone III (aveva quindi delle influenze
con il nord Europa) quando venne approvata la prima
legge, di carattere strutturale, riguardante il sistema
scuola e la promozione dell’istruzione. In seguito dopo Casati, bisognerà infatti aspettare la riforma Gentile
del 1923 per avere un’altra legge riformistica riguardante il sistema scolastico.
La legge Casati, così indicata del responsabile del ministero della pubblica istruzione, Gabrio Casati, venne
promulgata da Vittorio Emanuele II di Savoia nel 1859 per gli avvenimenti politici e militari di quell’anno.
Essa costituisce l’atto di nascita del sistema scolastico italiano e per certi versi anche l’impalcatura
fondamentale, ancora oggi il sistema scolastico italiano mantiene una sua struttura di partenza.
(3 ispettori di nomina regia: uno per gli studi superiori, uno per gli studi classici, uno per gli studi tecnici,
primari e per le scuole normali), un provveditore agli studi in ogni provincia, il consiglio provinciale. Il paese
aveva bisogno di una scuola severa per cominciare una lunga marcia verso una unità del Paese, che non fosse
solo formale, territoriale, ma pregna di intenti e intese comuni e condivise. Quindi essa prevedeva una rigida
articolazione che partiva dal ministero ed arriva alla periferia del paese. L’istruzione di base avrebbe dovuto
servire proprio a questo: saldare i vincoli dell’unità nazionale, concorrere alla conoscenza, di fatto
inesistente, fra le differenti genti italiche, delle varie culture per giungere alla maturazione di un comune
“background” culturale nazionale. Con la legge Casati viene confermata l’intenzione di privilegiare gli studi
classici e di istruzione superiore e viene ribadita l’importanza già attribuita da tutti gli Stati italiani alla
formazione dei quadri dirigenti, all’educazione di quei gruppi elitari che avrebbero dovuto garantire la
continuità degli obiettivi economici, politici e sociali delle classi al potere; nonostante ciò, questa era una
legge di grande importanza per le riforme che portava avanti nel complesso.
(Relazioni sullo stato dell’insegnamento pubblico, la legge Casati stabiliva che il consiglio superiore della
pubblica istruzione ogni cinque anni dovesse presentare al ministero una relazione sullo stato
dell’insegnamento pubblico. All’adempimento di quest’obbligo sono legate alcune importanti inchieste
ministeriali. Dall’inchiesta del 1864 risulta aumentato il numero delle scuole, dei maestri e degli alunni.
Rimane grave la piaga provocata dalle condizioni precarie di miseria delle classi popolari e dal fenomeno del
lavoro infantile). Un ulteriore difetto riguarda anche i contenuti troppo poveri ed incompleti per garantire
un’autonomia culturale alla maggior parte degli allievi appartenenti a ceti economicamente e socialmente
svantaggiati. Infatti l’articolo 315 della legge prescrive: l’istruzione del grado inferiore comprende
l’insegnamento religioso, la scrittura, l’aritmetica elementare, la lingua italiana. (A tali materie saranno
aggiunti nelle scuole maschili superiori, i primi elementi della geometria e il disegno lineare; nelle scuole
femminili, i lavori donneschi.) Se si pensa che per la povertà ed incapacità dei comuni, a malapena veniva
garantita l’istruzione elementare di grado inferiore, si può capire come fossero insufficienti due anni per
fornire all’allievo adeguate competenze linguistiche e logico-cognitive attraverso lettura, scrittura e
aritmetica. Al legislatore del tempo non importava tanto la maturazione culturale dei giovani, quanto
piuttosto una loro alfabetizzazione di base che li aiutasse a lavorare al meglio e a produrre di più. Dall’altra
parte, la stessa istruzione superiore, impartita nei grossi centri dove esistevano istituti secondari per la
continuazione degli studi, si preoccupava di fornire alcune cognizioni generali e di far acquisire abilità
pratiche invece di far apprendere le basi metodologiche e tecniche per realizzare una necessaria
incrementabilità cognitiva e trasferibilità del sapere e della conoscenza in altri contesti al di là della scuola.
(I programmi del 1867, il quadro dell’istruzione pubblica emerso dall’inchiesta del 1864 appariva
preoccupante soprattutto per i dati sull’analfabetismo e sull’impreparazione dei maestri. I programmi del
1867 costituiscono un tentativo di perseguire obiettivi più realistici della lotta contro l’analfabetismo. Si
ribadisce la necessità che all’istruzione vada sempre congiunta l’educazione).
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