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fotovoltaico ed eolico

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INTRODUZIONE: ENERGIA SOLARE
L’ energia solare è la principale fonte di energia rinnovabile esistente sulla Terra. Essa infatti, è fortemente
distribuita nella maggior parte del globo, con relative variazioni da luogo a luogo, ed è inoltre quasi
costante su base annua. Tuttavia, su base stagionale e giornaliera risulta distribuita in maniera piuttosto
disomogenea; inoltre, un altro punto a sfavore è la bassa densità di energia che è possibile ricavare rispetto
alle altre fonti energetiche. Il principiale impiego dell’energia solare è certamente la produzione di energia
elettrica. Quest’ultima si fonda sui cosiddetti impianti fotovoltaici, che sono in grado di convertire in
maniera diretta la luce (visibile e non) in elettricità. Di fatti, questo tipo di impianti non presenta parti
meccaniche in movimento, né prevedono la trasformazione del calore in elettricità. Tali caratteristiche
rendono gli impianti fotovoltaici molto affidabili, poiché non ci sono parti in movimento che , per via degli
attriti, richiedono manutenzione e non richiedono acqua per il raffreddamento, cosa tipica delle altre
tipologie di centrali termiche e nucleari adibite alla produzione di energia elettrica. A questo punto, è
possibile introdurre i
pannelli fotovoltaici. Le
diverse tecnologie
possono avere rendimenti
variabili tra 6 e 22%. Se
consideriamo il pannello
più a destra, esso, che ha
dimensioni minori
rispetto agli altri moduli, si presenta come un film sottile (dell’ordine dei micrometri molto spesso) che può
essere realizzato con vari materiali tra i quali, silicio amorfo, Cu In Se ( rame inidio selenio), Cu In Ga Se (
rame inidio gallio selenio),Cd Te ( cadmio tellurio) e Cd S. Va ricordato che il cadmio è uno scarto della
produzione di zinco. Possiamo così riassumere alcuni dei principali pregi dei moduli (o pannelli) fotovoltaici:
•
Elevata affidabilità e lunga vita ( >25 anni con EPBT, ovvero energy payback time, < 3 anni): ciò
risiede nella capacità di conversione diretta della luce in energia elettrica e dunque, senza passare
dall’energia meccanica;
•
Ridotto costo di manutenzione, circoscrivibile alla sola pulizia del vetro, proprio perché mancano
parti meccaniche;
•
Assenza di rumore ed inquinamento atmosferico;
•
Produzione di energia vicino al luogo in cui essa deve essere consumata( peculiarità che non
appartiene agli altri tipi di centrale);
•
Lo smaltimento delle celle è privo di scorie e si cerca sempre di riciclarle.
Ovviamente non mancano i difetti:
•
L’energia solare non è stabile, né costante e subisce ampie fluttuazione sia a livello giornaliero sia
stagionale;
•
Gli impianti fotovoltaici necessitano di componenti aggiuntivi quali, convertitori elettronici di
potenza, ma anche sistemi di storage necessari per accumulare l’energia nelle fasi di maggior
produzione e da poter sfruttare durante i periodi meno redditizi;
•
Costi di installazione non trascurabili che, sebbene in discesa in questi anni, oscillano tra gli
800€/๐พ๐‘Š๐‘ ,per gli impianti dell’ordine dei MW, e i 2000 €/๐พ๐‘Š๐‘ per gli impianti domestici.
Processo di fabbricazione delle celle: il silicio di grado solare
I pannelli fotovoltaici sono principalmente costituiti da silicio. Quest’ultimo si trova in natura sottoforma di
quarzo, che è il secondo minerale più diffuso sul nostro pianeta, ma che non è utilizzabile così com’è in
ambito elettronico e fotovoltaico nello specifico. Deve essere sottoposto ad un processo di lavorazione che
prevede una prima fase di produzione dove viene ottenuto il silicio metallurgico (MG-Si) ; andando più nel
dettaglio, il quarzo viene scaldato in grosse fornaci e a temperature elevate (T= 1800-2000°C) in
combinazione con il carbonio (sottoforma di grafite) ed il tutto avviene secondo la reazione:
SiO2 + 2C → Si + 2CO. Il risultato di tale processo, come detto, è la formazione del silicio metallurgico che ha
un grado di purezza del 98-99 % , viene inoltre consumata molta energia elettrica (≈ 50 ๐‘˜๐‘Šโ„Ž/๐‘˜๐‘”) e si ha
anche un prodotto di scarto che è il monossido di carbonio, da cui viene prodotta anidride carbonica con
delle emissioni che tuttavia, risultano modeste <0,3 g/kWh. Si stima che all’ incirca in un anno vengano
prodotte più di 7 milioni di tonnellate di silicio metallurgico, che viene soprattutto impiegato nell’industria
dell’acciaio e dell’alluminio (2-3 $/kg). A questo punto, per ottenere un silicio ancora più puro, si passa alla
seconda fase in cui il silicio metallurgico viene ridotto in polvere e fatto reagire con acido cloridrico in fase
gassosa in un reattore a fluido (“fluidized bed”) secondo una reazione esotermica, che sviluppa
triclorosilano ( SiHCl3) e idrogeno. Il triclorosilano si presenta allo stato liquido per temperature inferiori a
31°C, per cui è possibile liberarlo facilmente dalle impurità attraverso un processo di distillazione frazionata
e ciò permette anche di separarlo dall’idrogeno. Successivamente, il triclorosilano può essere ridotto a
silicio ed in particolare, è possibile produrre silicio policristallino (
“polysilicon”) di elevatissima purezza mediante un processo di
deposizione chimica di vapore (Chemical Vapour Deposition, CVD)
nel reattore Siemens ( T= 1100-1300° C con ingente consumo di
elettricità ~200 ๐‘˜๐‘Šโ„Ž/๐‘˜๐‘”). In quest’ultimo, una barra di silicio puro,
a forma di U, si accresce man mano che viene liberato dal
triclorosilano; al temine di tale processo, che dura circa dieci giorni
per la produzione di una singola tonnellata, si estrae il silicio
sottoforma di frammenti irregolari, rompendo la barra.
Tuttavia, è possibile anche un’ altra strada e che porta alla
fabbricazione di silicio granulare; essa prevede che , al posto della
fase di deposizione chimica di vapore, venga effettuta una reazione a
temperatura più bassa (800°C), secondo un processo continuo in un
reattore a letto fluido. In esso si introducono Si in particelle e una
corrente gassosa di SiHCl3 e H; il Si puro si deposita sulla superficie
delle particelle, formando dei granuli.
Le tecnologie del silicio policristallino (p-Si)
Le celle fotovoltaiche in silicio policristallino hanno un’efficienza del 12-21% e si realizzano riciclando
componenti elettronici di scarto, da cui si ottiene una composizione cristallina compatta. Tale processo
prevede che il silicio , fuso con energia elettrica, venga versato in un crogiolo di grafite ; successivamente,
si effettua un raffreddamento controllato con cristallizzazione direzionale (directional solidification). I
cristalli di silicio all’interno del crogiolo solidificano con velocità di cristallizzazione par a circa 3,5 kg/h e
consumo energetico di 10-15 kWh/kg→ si ottengono 244 kg di silicio. In seguito, con un taglio, si ricavano
lingotti a di parallelepipedo, con base quadrata di lato 15,6 cm; il materiale ha già di base un drogaggio tipo
p e al lingotto vengono asportate testa e coda, laddove si concentrano la maggior parte dei difetti e delle
impurità del materiale. Quindi, i lingotti sono tagliati con un taglio orizzontale e si ottengono delle fette che
prendono il nome di wafer e che hanno uno spessore di 0,2-0,3 mm; tuttavia, in questa operazione, buona
parte del materiale (30-50%) viene rimosso come sfrido (riciclato nella fusione). In questa fase il wafer è
semplicemente drogato p, per cui, è necessario creare la giunzione p-n; ciò avviene mediante una
diffusione gassosa con composti a base di fosforo e che prevede il passaggio del wafer all’interno di un
forno a 800-1200°C→ sulla faccia opposta si ottiene il drogaggio di tipo N; la giunzione p-n viene quindi
ripulita e levigata attraverso attacchi chimici (etching). Dopo aver depositato un sottile strato antiriflesso di
nitruro di silicio o di ossido di titano al fine di ridurre al minimo le perdite per riflessione, si realizzano gli
elettrodi: sulla faccia anteriore esposta alla luce si depone un elettrodo a griglia con una serigrafia ( screen
printing con lega di Al-Ag), in modo da ottenere un ottimo contatto con lo strato N, mentre sulla faccia
posteriore si depone un elettrodo a placca in lega metallica, di solito alluminio. È possibile di mostrare che
con 1 kg di silicio
trasformato in moduli FV, si
producono oltre 200kWh di
energia elettrica.
Nella figura a fianco è
rappresentata la sequenza
tradizionale che dal silicio
grado solare porta alla cella.
Sulla destra è invece presente la tecnologia “string ribbon” per avere
direttamente il wafer senza il taglio del lingotto.
A fianco a sinistra, si ha invece la tecnologia Edge
Defined Film Growth (EFG) che consiste nell’estrarre
e raffreddare una sottile fessura ottagonale, il silicio
fuso (simile ad una trafilatura): si ottiene un cilindro
cavo, dal quale si estraggono 8 file di celle con taglio laser.
Le tecnologie del silicio monocristallino m-Si
In questa tecnologia, che è la prima sviluppata nella storia del FV, si possono distinguere due tecnologie
innovative, oltre a quella convenzionale:
โžข Quella con l’etero-giunzione di Si monocristallino / Si amorfo (moduli con rendimento del 19/21%);
โžข Quella con entrambi i contatti collocati nella faccia inferiore della cella “all back surface contacts”
(moduli con rendimento del 20-22%).
Le tecnologie dei film sottili
Esse sono conosciute come la seconda generazione degli impianti fotovoltaici. La loro caratteristica
principale è la possibilità, rispetto alle altre tecnologie del fotovoltaico, di abbattere i costi grazie ad un uso
contenuto dei materiali di produzione. Infatti i film sottili (thin film) richiedono l’uso di materiale dallo
spessore dell’ordine di qualche µm. Le tecniche di produzione di questa tipologia di celle sono molto meno
complesse rispetto alle altre e permettono una stampa diretta delle celle su supporti rigidi o flessibili.
Innanzitutto, le temperature di lavorazione sono minori e si aggirano tra i 300-500°C; le celle vengono
connesse tra loro contemporaneamente alla loro fabbricazione ( connessione integrata o monolitica tra i
vetri che incapsulano il modulo); inoltre, queste celle “soffrono” meno il caldo dei mesi estivi, tanto da
presentare dei coefficienti termici di perdita più bassi rispetto alle altre tecnologie (-0,2-0,3 %/°C); tuttavia,
esse presentano delle correnti ridotte (1-3A) ed
anche dei rendimenti più bassi (6-15%), sebbene
siano in grado di avere un’ottima resa in condizioni
di nuvolosità, migliore delle altre tecnologie. Ci sono
2 categorie principali di celle a film sottile, ossia
quelle riportate a fianco.
Celle multigiunzione e concentrazione
Questa tecnologia è in forte diffusione negli ultimi anni. In essa, a
differenza delle altre tecnologie fotovoltaiche, non viene usato il
silicio, ma si preferiscono composti formasti da semiconduttori del III
e IV gruppo sulla tavola periodica, ovvero In- Ga-P-As-Ge. La loro
struttura prevede in genere 2 o 3 celle di sezione pari circa ad 1 cm2 e
con l’interfaccia delle celle realizzata mediante diodi tunnel. Questa
tipologia di celle ha un’efficienza maggiore che può arrivare anche al
45% in laboratorio e 30 % in ambito commerciale e ciò è possibile
grazie al fatto che i composti semiconduttori ottenuti dagli elementi
sopracitati godono, rispetto al silicio, di una maggiore velocità di
saturazione degli elettroni, nonché di una maggiore mobilità di questi
ultimi, e soffrono di un minor rumore termico. Tuttavia, questa
tecnologia ha come principale svantaggio la complessità nel processo di realizzazione delle celle che fa
lievitare sensibilmente i costi rispetto alle tecnologie che si basano su silicio mono o policristallino.
Tecnologie degli inverter
Gli inverter sono dispositivi elettronici di potenza che si occupano della conversione da corrente continua a
corrente alternata e, per tale ragione, risultano fondamentali poiché le celle fotovoltaiche producono
energia elettrica in corrente continua, ma le reti ordinarie funzionano in corrente alternata. Inoltre
svolgono anche la funzione di regolazione della tensione e della frequenza per renderli compatibili agli
utilizzatori incorporando al loro interno un trasformatore. Ci sono sostanzialmente due tipologie di inverte:
l’inverter per impianti stand-alone, il quale non è interfacciato alla rete elettrica e può essere alimentato sia
in corrente continua (dalle batterie) che in corrente alternata e l’inverter collegato alla rete, avente una
tensione sinusoidale in uscita sincronizzata con quella della rete. Essi rispetto ai moduli possono avere
diverse configurazioni che vanno a definire l’unità di condizionamento della potenza PCU:
- Configurazione centralizzata con inverter trifase o
monofase (a destra);
- String inverter, che è un inverter collegato ad una serie di
moduli fotovoltaici, interpretabile come un stringa e detta PV
string (a sinistra);
- Moduli in AC: in questo caso l’inverter è integrato nel
modulo e questa ovviamente, è una
soluzione abbastanza estrema ( a destra);
- master-slave: in questo caso,
abbiamo un componente sempre a lavoro( il
master), mentre lo/gli slave si accende solo in
determinate occasioni( a sinistra). Questa
soluzione è quella che dà maggiore efficienza
DC-AC a basso carico, ossia a cielo coperto.
In generale devono avere alcune fondamentali funzionalità per connettersi alla rete: devono essere dotati
un sistema di rilevamento del punto di massima potenza della caratteristica I-V, che può variare a seconda
della luminosità e della temperatura, garantendo un trasferimento di potenza ottimale; devono permettere
la regolazione di potenza attiva e reattiva ed infine, devono possedere un sistema di protezione
all’interfaccia con la rete che rilevi la presenza di quest’ultima e che consenta agli inverter di essere
scollegati se essa non è presente. NB: l’accoppiamento dell’inverte con la rete avviene con o senza
trasformatore, con trasformatore in bassa o in alta frequenza e con trasformatore trifase o monofase.
Richiami sui semiconduttori
Come abbiamo accennato in precedenza la cella fotovoltaica (FV) è l’elemento base dei sistemi FV, perché
in essa avviene la conversione diretta della radiazione solare in energia elettrica. La conversione avviene
sfruttando le proprietà dei semiconduttori. Quest’ ultimi sono una particolare categoria di elementi che
all’interno della tavola periodica occupano una posizione intermedia tra conduttori ed isolanti ed inoltre,
essi a basse temperature non hanno elettroni liberi che permettano la conduzione, mentre a temperatura
ambiente sono caratterizzati da una debole conduttività. Il principale semiconduttore, anche grazie alla sua
ampia diffusione, è il silicio appartenente al IV gruppo della tavola periodica. In esso il cristallo è
tetravalente ossia ciascun atomo dispone di 4 elettroni di valenza , disponibili per il legame chimico con gli
atomi circostanti. A questo punto, è necessario richiamare alcune nozioni fondamentali quali la struttura a
bande di energia dell’ atomo e la generazione di coppie elettrone-lacune; la banda di energia non è altro
che l’insieme dei livelli energetici posseduti dagli elettroni ed è composta da :
•
banda di valenza: essa è costituita dagli elettroni coinvolti nel legame chimico ;
•
banda di conduzione: costituita dagli elettroni aventi un livello energetico superiore al precedente ,
tale da permettere la loro circolazione nel reticolo cristallino. Quando un elettrone si trova in banda
di conduzione vuol dire che esso non è più vincolato al suo atomo;
•
banda proibita ( Energy gap): rappresenta il salto energetico necessario all’elettrone per passare
dalla banda di valenza a quella di conduzione.
Quest’ultimo parametro è fondamentale per la distinzione
tra materiali isolanti, semiconduttori e conduttori. Esso
nella fattispecie, è tanto più piccolo quanto migliori sono
le proprietà da conduttore del materiale preso in
considerazione. A fianco, sono riportati i valori di energy
gap per i materiali semiconduttori di maggiore interesse.
Va detto che l’energy gap è fortemente legato alla
temperatura, infatti se la temperatura diminuisce →
l’energy gap aumenta.
In un semiconduttore per ottenere il funzionamento da diodo (interruttore unidirezionale in corrente),
bisogna realizzare la giunzione p-n ponendo a contatto 2 cristalli : uno è “drogato” con atomi trivalenti (ad
esempio, il boro), mentre l’altro con atomi pentavalenti ( fosforo). Il boro appartiene al III gruppo degli
elementi nella tavola periodica, ha infatti 3 atomi nel livello di energia più elevata, per cui, quando si lega al
silicio si ha una mancanza (lacuna /hole) di un elettrone→ lo spostamento di una lacuna è assimilabile allo
spostamento di una carica positiva. Il fosforo invece, appartiene al V gruppo della tavola periodica e nel
livello di energia esterna ha 5 elettroni→ ciò vuol dire che ce n’è uno in più e rappresenta la carica
(negativa) che può spostarsi , poiché non coinvolta in nessun legame. Il cristallo di tipo P contiene gli atomi
trivalenti e presenta nel reticolo delle lacune, mentre il cristallo di tipo N presenta elettroni liberi dal
legame. NB: finchè lacuna ed elettrone sono in prossimità del loro atomo, ne è garantita la neutralità;
tuttavia ciò non è più vero qualora lacuna ed elettrone migrino nell’altro strato. Infatti con l’ agitazione
termica (T>0 K) lacune ed elettroni sono liberi di muoversi nel reticolo per diffusione. In una cella a singola
giunzione lo strato drogato N è posto sopra lo strato P in uno spessore variabile tra 200 e 300 . Una cella
non esposta alla luce si comporta da raddrizzatore→ grazie all’agitazione termica, gli elettroni dello strato
N si spostano verso lo strato P, mentre le lacune dal cristallo P si spostano verso N. Tale spostamento
provoca uno squilibrio di carica, con il fosforo( tipo N) che, perdendo un elettrone, risulterà carico
positivamente, mentre il boro (tipo P), perdendo una lacuna, risulterà carico negativamente. Questo
spostamente genera ovviamente una corrente di diffusione cche indichiamo con I0 e il processo di
diffusione si arresta solo quando il campo elettrico riesce a generare una corrente - I0 in grado di
controbilanciare il moto di diffusione. Consideriamo a questo punto, i casi in cui la giunzione venga
polarizzata:
โžข Polarizzazione diretta: viene applicata una differenza di potenziale
con il segno “+” in corrispondenza del lato P, così da abbassare il
campo di giunzione→ questa polarizzazione riduce la barriera di
potenziale e perciò, la corrente di diffusione nel
diodo cresce notevolmente;
โžข Polarizzazione inversa: in questo caso,
viene applicata una polarizzazione positiva sul
lato N→ il campo di giunzione aumenta , incrementa la barriera di potenziale ,
tuttavia la corrente non è nulla, ma scorre una debole corrente di saturazione
inversa orientata dal campo di giunzione.
NB: questa tipologia di funzionamento, appena descritta, è tipica del diodo ed infatti in questo caso la
giunzione si comporta come tale.
Effetto fotovoltaico
Esso non è altro che un caso particolare dell’effetto fotoelettrico descritto da Albert Einstein agli inizi del
secolo scorso. Nello specifico, le teorie dello scienziato tedesco affermano che la luce possiede un’energia
quantizzata; i quanti di energia sono stati definiti fotoni e quando colpiscono una superficie metallica essi
sono in grado di cedere la loro energia agli elettroni presenti in superficie. I fotoni trasportano energia ma
non materia ed essi riuniscono la teoria corpuscolare e quella ondulatoria della meccanica quantistica.
Quando i fotoni colpiscono il materiale, ad esempio la cella solare, se l’energia che essi possiedono è
superiore all’energy gap caratteristico del materiale, si può dare inizio al salto di banda degli elettroni che
passano dalla banda di valenza a quella di conduzione; si ha per cui, un elettrone libero in banda di
conduzione ed una lacuna libera in banda di valenza→ si crea una coppia elettrone-lacuna che dà luogo ad
una corrente utilizzabile in uscita dal pannello. L’energia posseduta dalla radiazione solare è calcolabile
come ๐ธ๐‘โ„Ž = โ„Ž ๐œˆ, dove h è la costante di Planck, mentre ๐œˆ è la radiazione della frequenza della radiazione.
Tale energia deve essere maggiore dell’energy gap in modo tale che si verifichi quanto scritto su.
in presenza del campo elettrico di giunzione, gli
elettroni sono attirati verso la zona N (carica
positivamente) e le lacune verso la zona P (carica
negativamente) , tant’è che il campo di giunzione
non fa altro che indirizzare le cariche nel verso
giusto. Il moto delle cariche è all’origine della
corrente fotovoltaica che è del tutto analoga alla
corrente del campo elettrico di giunzione, −๐ผ0 .
Come già affermato in precedenza, non tutta la
radiazione dello spettro solare può generare coppie
elettrone/lacune ma solo i fotoni con energia
sufficiente. I fotoni (nel visibile e ancor più
nell’ultravioletto ) hanno un surplus di energia (che
viene dissipato sottoforma di calore) che va perso
nella creazione della coppia elettrone lacuna: ciò
implica un limite di efficienza nella conversione. Il
limite inferiore corrisponde proprio all’energy gap (1,1
eV) ed in corrispondenza di quel limite si ha una ๐œ†
dell’ordine dei 110 nm. A sinistra di questo limite, la
lunghezza d’onda aumenta e siamo nell’infrarosso; a
destra del limite superiore siamo nell’ultravioletto. NB:
come si evince da questa analisi, energia fotonica e lunghezza d’onda sono inversamente proporzionali.
Oltre a questo, si hanno ulteriori penalizzazioni nella conversione:
•
Non tutti i fotoni incidenti sulla cella penetrano all’interno, alcuni vengono riflessi e altri vengono
intercettati dall’elettrodo frontale (tranne nelle celle a contatti posteriori BSC);
•
Alcune coppie elettrone/lacune si ricombinano nonostante la presenza del campo elettrico interno
della giunzione;
• Nascono correnti di dispersione lungo le 4
superfici laterali della cella;
• L’elettrodo frontale della cella presenta una
certa resistenza, che si riduce con l’aumento del
numero dei bus- bar → si hanno perdite per effetto
joule (RI2).
Si definisce risposta spettrale ideale Sid della cella FV
come il rapporto tra la carica dell’elettrone e l’energia
del fotone. Il silicio monocristallino ha la risposta
migliore in quanto ha l’efficienza quantica che più si avvicina a quella teorica. Calcolo la densità di corrente
foto-generata ๐ฝ๐‘โ„Ž = ๐›ฟ๐ผ =
๐œ†
∫๐œ† ๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ ๐‘”(๐œ†)๐‘†๐‘…(๐œ†)๐‘‘๐œ†, dove ๐‘”(๐œ†) è lo
๐‘š๐‘–๐‘›
spettro solare mentre ๐‘†๐‘…(๐œ†) è la risposta
spettrale della cella FV. Possiamo poi
definire ๐บ = ∫ ๐‘”(๐œ†)๐‘‘๐œ† che viene definita
irradianza che è la potenza proveniente
da una sorgente radiante per unità di
superficie, tant’è vero che la sua unità di
2
misura è [๐‘Š ⁄๐‘š ]. Per tale ragione, se nel primo integrale SR= costante→ ๐ฝ๐‘โ„Ž = ๐พ๐‘š๐‘Ž๐‘ก ๐บ, ๐พ๐‘š๐‘Ž๐‘ก rappresenta
la risposta spettrale media. Nello specifico, possiamo notale che la densità di corrente fotogenerata nel
caso monocristallino ha un valore triplo rispetto al caso del silicio amorfo. Si possono avere diverse
giunzioni in bae al valore al valore dell’energy gap dei due strati.
si può avere un omogiunzione, come quella nella
figura a sinistra in cui entrambi gli strati hanno il
medesimo energy gap. Nel caso dell’etero giunzione i
2 strati hanno diverso energy gap poiché possono ad
esempio essere costituiti da silicio amorfo per uno
strato e
monocristallino
per l’altro. Si può avere
infine anche la cosiddetta giunzione P-I-N, in cui si
ha uno strato intermedio
interno che è realizzato con semiconduttori
intrinseci (non drogati). NB:
è importante evidenziare che nei vari tipi di
giunzione si hanno
andamenti del campo diversi all’interno della
giunzione stessa.
Struttura della cella fotovoltaica
La maggior parte delle celle FV più diffuse sono in silicio mono o
policristallino, che rappresenta una fetta consistente nel
mercato del fotovoltaico (più del 90%). Ogni cella è realizzata a
partire da un wafer dello spessore di 200 ÷350 µm e di 10÷20
cm di lato. Sulla parte frontale è applicato un materiale
antiriflettente ed inoltre, essa spesso può essere “testurizzata”,
ossia la cella non è liscia ma rugosa. NB: come si può apprezzare
dalla figura, l’elettrone va dallo strato p a quello n mentre le lacune vanno da n a p. Per quanto riguarda la
fabbricazione vera e propria delle celle, le monocristalline sono ricavate da un unico cristallo di sezione
circolare; le policristalline derivano da fusione e solidificazione di silicio in un crogiolo di quarzo di forma
parallelepipeda. Sulla parte posteriore (di solito tipo p) è applicato un contatto esteso quanto la superficie
della cella. Sulla parte anteriore (di solito tipo n) il contatto è formato da sottili deposizioni di argento
(finger e busbar).
Curva corrente-tensione I-U: effetto dell’irradianza e della temperatura
Ai morsetti esterni il comportamento elettrico della cella solare è descritto in prima approssimazione da un
generatore di corrente
ideale ๐ผ๐‘โ„Ž proporzionale
all’irradianza (๐ผ๐‘โ„Ž ∝
๐‘ฎ , ๐ผ๐‘โ„Ž = ๐บ๐พ๐‘š๐‘Ž๐‘ก ๐ด) e da un
diodo in antiparallelo. Di
conseguenza la
caratteristica corrente
tensione di un diodo non è
altro che la caratteristica
del diodo traslata verticalmente di una corrente pari a ๐ผ๐‘โ„Ž . Quest’ultima è la corrente responsabile della
polarizzazione diretta della giunzione, a cui si sottrae la corrente di diffusione (da p ad n in figura), che
cresce all’aumentare della tensione (diventano rilevante dopo un valore di soglia della tensione, che per il
silicio monocristallino è il doppio rispetto al policristallino) fino al valore di equilibrio ๐‘ˆ๐‘‚๐ถ . Quest’ ultima è la
tensione che si avrebbe ai morsetto della cella, se il carico fosse un circuito aperto e viene detta tensione a
circuito aperto. Altro parametro importante è ๐ผ๐‘†๐ถ è la stessa corrente che circolerebbe nella cella se essa
fosse chiusa su un cortocircuito e viene
detta corrente di cortocircuito. Quello in
figura è l’unica porzione di grafico in cui la
cella ha un funzionamento attivo, cioè da
generatore. Tuttavia in altri 2 quadranti
dei 3 restanti, è possibile un
comportamento da utilizzatore.
Scegliendo un carico opportuno, sarà
possibile far lavorare la cella in condizioni di massima potenza ๐‘ƒ๐‘€ = ๐‘ˆ๐‘๐‘š ๐ผ๐‘๐‘š , dove ๐‘ˆ๐‘๐‘š ๐‘’ ๐ผ๐‘๐‘š sono
rispettivamente la tensione e la corrente nel punto di massima potenza. Nel punto di massima potenza
๐‘‘๐ผ
๐ผ
abbiamo che ๐‘‘๐‘ƒ = ๐ผ๐‘‘๐‘ˆ + ๐‘ˆ ๐‘‘๐ผ = 0 → − ๐‘‘๐‘ˆ = ๐‘ˆ, dove il termine a destra dell’uguale è la conduttanza del
carico mentre quello a sinistra è la conduttanza incrementale del generatore FV.
È possibile realizzare un circuito equivalente più aderente alla realtà rispetto al circuito presentato su. In
questa soluzione sono infatti presenti anche degli elementi dissipativi, ossia una resistenza in parallelo ๐‘…๐‘ โ„Ž
ed una in serie ๐‘…๐‘  . La resistenza ๐‘…๐‘ โ„Ž corrisponde alla corrente di dispersione superficiale tra piastra e griglia,
sulle superfici laterali della cella solare. Queste superfici, durante la fabbricazione della cella, sono rese, il
più possibile, isolanti. La resistenza ๐‘…๐‘  è la somma della
resistenza volumica del semiconduttore, delle resistenze
di contatto e di quelle proprie degli elettrodi. In pratica,
la quota prevalente in ๐‘…๐‘  è data dalla resistenza
dell’elettrodo frontale a forma di griglia. Tale griglia è
costituita da “busbar” (2 o 3 nelle celle attuali) e da
“finger” che sono ortogonali alle busbar. Esse servono
per le connessioni tra le celle mediante saldatura. I fingers captano i contributi di corrente fotovoltaica,
prodotti su tutta la superficie della cella, esposta alla luce. Se U è la tensione ai morsetti del carico ed I è la
corrente da esso assorbita, le seguenti equazioni rappresentano il bilancio di correnti al nodo ed il bilancio
di tensioni sulla maglia del circuito→ ๐ผ = ๐ผ๐‘โ„Ž − ๐ผ๐‘— − ๐‘ˆ๐‘— ⁄๐‘…๐‘ โ„Ž e ๐‘ˆ = ๐‘ˆ๐‘— − ๐‘…๐‘  ๐ผ. Ricordiamo che ๐ผ๐‘โ„Ž =
๐บ๐พ๐‘š๐‘Ž๐‘ก ๐ด, mentre la corrente nella giunzione segue il seguente andamento, se non teniamo conto del
breakdown distruttivo → ๐ผ๐‘— = ๐ผ0 (๐‘’ ๐‘ž๐‘ˆ๐‘— ⁄๐‘š๐‘˜๐‘‡ − 1) = ๐ผ0 ๐‘’ ๐‘ž๐‘ˆ๐‘— ⁄๐‘š๐‘˜๐‘‡ − ๐ผ0 , dove ๐ผ0 ๐‘’ ๐‘ž๐‘ˆ๐‘— ⁄๐‘š๐‘˜๐‘‡ è la corrente
diffusiva e ๐ผ0 è la corrente di campo. Inoltre, T rappresenta la temperatura assoluta, q la carica
dell’elettrone, m il fattore di qualità della giunzione e K è la costante di Boltzmann.
NB: i parametri indipendenti dalle dimensioni della cella sono la densità di corrente J, la tensione U e la
densità di potenza ๐‘๐‘ข che è proporzionale all’efficienza di conversione ๐œ‚๐‘ .
Come detto in precedenza, la potenza erogogata da una cella FV presenta un massimo, invece, in
corrispodenza dei punti ๐ผ๐‘†๐ถ e ๐‘ˆ๐‘‚๐ถ la potenza erogata risulta nulla. Possiamo definire il cosiddetto fill factor
(o fattore di riempimento) FF che non è altro che il rapporto tra il rettangolo di massima potenza ed il
prodotto tra la corrente di cortocircuito e la tensione a circuito aperto della cella ed inoltre costituisce un
parametro utile per confrontare le prestazioni delle celle: ๐น๐น =
๐‘ˆ๐‘ƒ๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ ๐ผ๐‘ƒ๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ
๐‘ˆ๐‘‚๐ถ
๐ผ๐‘†๐ถ
๐‘ƒ
= ๐‘ˆ ๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ
. Esso tipicamente per
๐ผ
๐‘‚๐ถ ๐‘†๐ถ
il silicio cristallino vale 0,7-0,8 mentre per il silicio amorfo scende a 0,5-0,6.
DIPENDENZA DALL’IRRADIANZA
La caratteristica corrente tensione, se la temperatura
è costante, si modifica al variare dell’irradianza G: al
suo diminuire, la corrente di corto circuito ๐ผ๐‘†๐ถ
diminuisce proporzionalmente, mentre la tensione a
circuito aperto ๐‘ˆ๐‘‚๐ถ diminuisce con legge logaritmica.
I medesimi andamenti si presentano per la ๐ผ๐‘ƒ๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ e la
๐‘ˆ๐‘ƒ๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ rispettivamente. ๐‘ˆ๐‘‚๐ถ ≈
๐ผ๐‘โ„Ž
๐‘š๐‘˜๐‘‡
๐‘™๐‘› ( )→
๐‘ž
๐ผ0
la
tensione a circuito aperto è abbastanza costante
anche per notevoli variazioni dell’irradianza; solo per
2
valori di irradianza minori di 50 ๐‘Š ⁄๐‘š il valore di ๐‘ˆ๐‘‚๐ถ cala bruscamente. Bisogna infine sottolineare che le
variazioni della caratteristica corrente-tensione delle celle al variare dell’irradianza, avvengono in tempi
molto brevi, dell’ordine dei 10-20 µs.
DIPENDENZA DALLA TEMPERATURA
La caratteristica corrente-tensione dipende anche dalla
temperatura; quest’ultima ha una grande influenza sulle
prestazioni delle celle fotovoltaiche, tant’è vero che con
l’aumento della temperatura vanno a peggiorare poiché
la cella teoricamente andrebbe raffreddata, ma ci si
accontenta della sola areazione naturale. In particolare, al
crescere della temperatura T (irradianza costante), la ๐ผ๐‘†๐ถ
aumenta, mentre la ๐ผ๐‘๐‘š diminuisce (poco nel c-Si, di più
nell’a-Si). Inoltre si può scrivere che la variazione di
densità di corrente di cortocircuito è ๐‘‘๐ฝ๐‘†๐ถ ⁄๐‘‘๐‘‡ = +10๐œ‡๐ด/(๐‘๐‘š2 °๐ถ). Per quanto riguarda la tensione, un
aumento della temperatura fa sì che ๐‘ˆ๐‘‚๐ถ e ๐‘ˆ๐‘๐‘š diminuiscano sensibilmente per l’aumento di ๐ผ0 . La
variazione di tensione a circuito aperto può essere scritta come ๐‘‘๐‘ˆ๐‘‚๐ถ ⁄๐‘‘๐‘‡ = −2,2๐‘š๐‘‰/°๐ถ, mentre i
coefficienti termici relativi della tensione di cortocircuito e della tensione a massima potenza
2,2
2,2
(๐‘‘๐‘ˆ๐‘š๐‘๐‘ ⁄๐‘‘๐‘‡ ≈ ๐‘‘๐‘ˆ๐‘‚๐ถ ⁄๐‘‘๐‘‡) sono: ๐›ฝ๐‘ˆ๐‘‚๐ถ = − 600 ∗ 100 ≈ −0,37%/°๐ถ e ๐›ฝ๐‘ˆ๐‘๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ = − 500 ∗ 100 ≈
−0,45%/°๐ถ . Si può a questo punto dimostrare che il coefficiente relativo ๐›พ๐‘ƒ๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ % della potenza massima
è prossimo al coefficiente termico relativo ๐›ฝ๐‘ˆ๐‘๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ % della tensione a massima potenza, infatti il coefficiente
termico ๐›ผ๐ผ๐‘๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ % relativo della corrente è trascurabile:
๐‘‘๐‘ƒ๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ
๐‘‘๐‘‡
๐‘‘๐‘ƒ๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ 1
๐‘‘๐‘‡ ๐‘ƒ๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ
∗ 100 = ๐›ผ๐ผ๐‘๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ % + ๐›ฝ๐‘ˆ๐‘๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ % ≈ ๐›ฝ๐‘ˆ๐‘๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ % .
∗ 100 =
๐‘‘๐ผ๐‘ƒ๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ 1
๐‘‘๐‘‡ ๐ผ๐‘ƒ๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ
∗ 100 +
๐‘‘๐‘ˆ๐‘ƒ๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ
1
๐‘‘๐‘‡
๐‘‘๐‘ˆ๐‘ƒ๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ
= ๐‘ˆ๐‘ƒ๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ
๐‘‘๐ผ๐‘ƒ๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ
๐‘‘๐‘‡
+ ๐ผ๐‘ƒ๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ
๐‘‘๐‘ˆ๐‘ƒ๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ
๐‘‘๐‘‡
; ๐›พ๐‘ƒ๐‘š๐‘Ž๐‘ฅ % =
Si scrivono formule semplici per la dipendenza dei principali parametri da irradianza e temperatura
(๐‘ˆ๐‘ƒ๐‘š →๐‘ˆ๐‘‚๐ถ e ๐ผ๐‘ƒ๐‘š →๐ผ๐‘†๐ถ ): ๐ผ๐‘†๐ถ (๐บ, ๐‘‡๐ถ ) = ๐ผ๐‘†๐ถ (๐‘†๐‘‡๐ถ)
๐›ฝ๐‘ˆ๐‘œ๐‘ โˆ†๐‘‡๐‘ ) , ๐‘ƒ๐‘€ (๐บ, ๐‘‡๐ถ ) = ๐‘ƒ๐‘€ (๐‘†๐‘‡๐ถ)
๐บ(๐‘Š/๐‘š2 )
1000
๐บ(๐‘Š/๐‘š2 )
1000
(1 + ๐›ผ๐ผ๐‘ ๐‘ โˆ†๐‘‡๐‘ ) , ๐‘ˆ๐‘‚๐ถ (๐‘‡๐ถ ) = ๐‘ˆ๐‘‚๐ถ (๐‘†๐‘‡๐ถ)(1 +
(1 + ๐›พ๐‘ƒ๐‘š โˆ†๐‘‡๐‘ ), dove โˆ†๐‘‡๐‘ = ๐‘‡๐‘ − 25°๐ถ e 25°C è la temperatura
nelle condizioni cosiddette standard. Il rendimento di conversione ci è dato dal rapporto della potenza
๐‘ƒ
elettrica prodotta e la potenza irradiata: ๐œ‚(๐‘‡๐‘ ) = ๐บ๐‘€๐ด =
๐‘ƒ๐‘€ (๐‘†๐‘‡๐ถ)(1+๐›พ๐‘ƒ๐‘š โˆ†๐‘‡๐‘ )
1000 ๐ด
Nella realtà si ha una variazione
simultanea dell’irradianza e della
temperatura (interdipendenza) : la
temperatura della cella ๐‘‡๐‘ , così
come ๐‘ƒ๐‘‘๐‘ ,dipende dalla
temperatura ambiente e
dall’irradianza→ ๐‘‡๐‘ = ๐‘‡๐‘Ž๐‘š๐‘ + ๐พ๐บ,
dove k è un fattore di
proporzionalità. Il grafico a fianco si
riferisce alla stagione estive e
possiamo notare infatti che il punto
di massima irradianza si ha tra le 13:00 e le 13:30 proprio per via dell’ora legale, altrimenti coinciderebbe
con mezzogiorno.
L’andamento della corrente ( e della potenza)
è simile a quello dell’irradianza, invece l’
andamento della tensione presenta un
“avvallamento” in corrispondenza delle ore
centrali della giornata, proprio perché la
temperatura va ad influire negativamente
sulla tensione.
NB: nella realtà vengono fatte alcune approssimazioni; in primo luogo, la corrente si considera dipendente
solo dall’irradianza, mentre la tensione a circuito aperto si considera dipendente solo dalla temperatura. Le
entità di queste variazioni sono tali da provocare una diminuzione globale della potenza massima generabili
(๐‘‘๐‘ƒ๐‘€ /๐‘‘๐‘‡/๐‘ƒ๐‘€ = 0,5 %/°๐ถ per il silicio cristallino).
Collegamento di celle solari in serie ed in parallelo
Una singola cella di silicio cristallino, con irradianza e carico ottimali, genera la tensione di 0,6-0,7 V (quasi
indipendente dalla superficie) ed eroga una corrente (proporzionale alla superficie ) con densità di corrente
๐ฝ๐‘†๐ถ = 25 − 40 ๐‘š๐ด/๐‘๐‘š2 (๐ผ๐‘†๐ถ = 4 − 5,5 ๐ด per celle con lato di 12,5 cm, ๐ผ๐‘†๐ถ = 6 − 8,5 ๐ด con lato di 15,6
cm). La potenza di una singola cella varia tra 5 e 6 W , tuttavia i carichi richiedono delle potenze maggiori(
correnti e tensioni maggiori) rispetto a quelle fornite dalle singole celle e per tale ragione, è indispensabili
collegare più celle solari in serie o parallelo. Generalmente si predilige il collegamento in serie, in quanto è
più importante salire a tensioni superiori ad 1 V
MISMATCH NEI COLLEGAMENTI (SERIE)
Collegando più celle in serie è possibile
aumentare il valore di tensione, mantenendo
costante il valore di corrente, così da avere un
incremento della potenza complessiva
prodotta. Qualora le celle non presentassero
gli stessi parametri elettrici a causa di un
difetto costruttivo od a causa di
ombreggiamento di una di esse, si
verificherebbe la cosiddetta condizione
mismatch (disomogeneità, diseguaglianza). Se
ad esempio abbiamo Ns celle connesse in serie, la tensione totale sarà la somma della tensione delle Ns – 1
perfettamente funzionanti più la tensione ridotta della cella scadente. Nel grafico in figura la curva a
rappresenta la caratteristica corrente-tensione di una cella affetta da mismatch di tipo costruttivo, la curva
a’ si riferisce invece ad una situazione di pesante ombreggiatura della cella. La curva (c) è la curva I-U
corrispondente alle Ns – 1 celle perfettamente funzionanti connesse in serie con la cella che causa
mismatch corrispondente alla curva (a). Allo stesso modo, la curva (c’) corrisponde alle celle Ns – 1
perfettamente funzionanti connesse in serie con la cella che causa mismatch per ombreggiamento
corrispondente alla curva (a’). La curva tratteggiata (b) è invece la caratteristica I-U ottenuta collegando in
serie solo le Ns – 1 celle perfettamente funzionanti. La curva corrente- tensione risultante ha una tensione
di circuito aperto UOC che è pari alla somma delle singole tensioni di cortocircuito→ ๐‘ˆ๐‘‚๐ถ = ∑๐‘›๐‘–=1 ๐‘ˆ๐‘‚๐ถ,๐‘– ; la
corrente di cortocircuito erogata è invece pari alla corrente di cortocircuito della cella affetta da mismatch,
che dunque va ad inficiare le prestazioni dell’intera seria→ ๐ผ๐‘†๐ถ ≈ (๐ผ๐‘†๐ถ )๐‘š๐‘–๐‘› . Quest’ultima condizione è
importante da tenere in considerazione in quanto, se facciamo crescere la corrente non si hanno problemi
finchè non si raggiunge il punto di cortocircuito della cella affetta da mismatch; quest’ultima è nella
situazione in cui più di quel valore di corrente non lascia passare, per cui se aumenta la corrente, la fa
circolare ma con una spesa, ovvero l’inversione della tensione; in condizioni di mismatch, l’elemento
debole diventa un carico (dà contributo negativo). Di conseguenza, crolla rapidamente la somma delle
tensioni Ns a causa del fatto che la tensione sulla cella è fortemente negativa, infatti su di essa agisce la
sommatoria delle tensioni delle celle non oscurate, (Ns – 1 )U . Questa condizione si può visualizzare
ribaltando la curva caratteristica b delle celle perfettamente funzionanti, laddove il punto P’ identifica la
sommatoria delle tensioni non oscurate(o danneggiate). La cella affetta da mismatch è costretta a dissipare
una potenza maggiore di quella che potrebbe dissipare, con formazione di cosiddetti “hot spots” che
possono danneggiarla irrimediabilmente. Se la tensione (Ns – 1 )U supera la tensione di rottura ๐‘ˆ๐‘ ,
compresa generalmente tra -20 e -30 V, si ha la distruzione immediata della cella. Per ovviare a questo
problema, viene inserito un diodo di bypass Dp in antiparallelo alla cella in ombra, in modo tale da evitare
che essa funzioni da utilizzatore con tensione eccessivamente negativa. Così facendo, non viene
compromessa la potenza complessiva fornita dall’ intera stringa.
Tuttavia, l’intervento del diodo di bypass comporta una caduta di tensione di 0.6 V e
dunque sarebbe improponibile disporre un diodo per ogni cella connessa in serie poiché, in
caso vi fossero molte celle ombreggiate o danneggiate, la caduta di tensione sarebbe
elevata dal momento che molti diodi entrerebbero in funzione ciascuno con il proprio
decremento di tensione. Per questo motivo solitamente nei moduli fotovoltaici si utilizza
un solo diodo ogni 20 celle collegate in serie. Il diodo Dp fa sì che la ISC della serie non sia
più limitata al valore peggiore (a’) ma sia pari a quello delle rimanenti celle in serie con I-V
migliore→ la riduzione in termini di potenza prodotta risulta più contenuta rispetto al caso
senza diodo di bypass. Consideriamo
un esempio con 2 moduli: in blu
quello normale, mentre in verde lo
scadente con il diodo di bypass.
Quando la tensione diventa negativa,
il diodo di bypass fa impennare la
curva risultante verso l’alto evitando
che diventi troppo negativa. Quando
ciò avviene viene sostanzialmente
recuperata la corrente di
cortocircuito.
NB: con 2 moduli connessi in serie
la potenza è sempre più bassa
della somma delle singole potenze
massime PM1 e PM2 e ciò è dovuto
ovviamente, al fenomeno del
mismatch .
MISMATCH NEI COLLEGAMENTI (PARALLELO)
Collegando più celle e più moduli fotovoltaici in serie è
possibile aumentare la tensione e dunque la potenza
dell’impianto. Tuttavia quando si raggiunge un valore di
tensione pari a 1000 V non è più possibile collegare ulteriori
elementi in serie perché non è sicuro lavorare con alti valori
di tensione. Qualora fosse necessario aumentare
ulteriormente la potenza dell’impianto è possibile collegare
gli altri elementi in serie in modo da non aumentare
ulteriormente la tensione, ma incrementare questa volta il
valore di corrente e dunque la potenza. Analogamente al
discorso per il collegamento serie, se tra Np celle connesse in
parallelo una presenta una curva I-U diversa dalle altre
(curva a) , la risultante (curva c) è fornita dalla somma , per
una data tensione , delle correnti (Np – 1)*I delle celle aI non oscurate ( curva b a tratti) con la corrente della
cella in ombra. La caratteristica risultante ha una corrente di corto circuito ISC pari alla somma delle ISC,i delle
singole celle e una tensione a circuito aperto molto prossima a quella della cella oscurata, cioè: ISC =
∑๐‘›๐‘–=1 ๐ผ๐‘†๐ถ,๐‘– ; la tensione di cortocircuito sarà invece pari a quella della cella peggiore, ossia quella difettato o
in ombra→ ๐‘ˆ๐‘‚๐ถ ≈ (๐‘ˆ๐‘‚๐ถ )๐‘š๐‘–๐‘› . È facile vedere che se una cella è oscurata, il parallelo delle celle si comporta
nei riguardi del carico circa come il parallelo di Np-1 celle illuminate. La condizione peggiore per la cella
oscurata si ha con carico esterno nullo, perché in tale condizione la cella oscurata è costretta ad assorbire la
corrente delle Np-1 celle illuminate. La sovra-temperatura, conseguente a questa elevata corrente, può
causare il fuori servizio della cella. Il parallelo riprende a funzionare con Np-1 anziché con Np celle, se la
cella “rotta” si comporta come un circuito aperto. In alternativa, le celle si possono trovare in corto circuito.
Si osserva che è molto rara la connessione in parallelo di singole celle. NB: nei riguardi del carico la
connessione delle celle in parallelo ha un effetto meno deleterio del caso della connessione serie.
un diodo Ds connesso in serie alle singole celle potrebbe evitare che esse
funzionino con corrente inversa. Esso infatti, funzionerebbe come diodo
di blocco della corrente inversa. Tuttavia, tale protezione è inaccettabile
per il parallelo delle singole celle (la caduta di tensione sui diodi è simile
alla tensione generata e la potenza prodotta sarebbe assorbita
totalmente dal diodo) e bisogna applicarla a stringhe di molte celle in
serie, così da rendere trascurabili le perdite. È possibile apprezzare una
soluzione
di questo tipo nella figura a fianco a destra. Se
consideriamo un esempio con 2 moduli, in blu
quello normale ed in verde quello con il diodo
di blocco, possiamo notare che il diodo di
blocco deforma pesantemente la curva della
corrente facendola aderire all’asse
orizzontale→ si ha solo una piccola corrente
inversa che elimina una piccola percentuale di
tensione.
NB: anche in questo caso la potenza massima è sempre più piccola della somma delle singole potenze
massime.
In conclusione, quanto appena esposto, dimostra la necessità di adottare nei collegamenti serie e parallelo
celle dotate di caratteristiche corrente-tensione quanto più vicine possibili. Ciò richiede in sede costruttiva
un’accurata scelta e per cui, si scelgono celle con valori simili di corrente di cortocircuito, di tensione a
circuito aperto e di potenza massima; nonostante ciò si stima, una perdita del 2/3 % a causa del mismatch
ed anche un’accurata selezione non previene da rischi esterni, quali l’ombreggiatura.
Struttura dei moduli fotovoltaici
Il modulo fotovoltaico anche detto pannello fotovoltaico è composto dalla serie o dal parallelo di un certo
numero di celle solari che possono essere connesse in serie o parallelo in modo tale da ottenere delle
potenze in uscita maggiori. La cella solare non è altro che un diodo a semiconduttore di grande sezione e il
parametro che definisce i vari tipi di celle è l’energy gap. I materiali più utilizzati sono: silicio policristallino
(1,12 eV), silicio monocristallino (praticamente medesimo salto di banda del policristallino), silicio amorfo
(1,75 eV), film sottile CIS (1,05 eV) e film sottile CdTe (1,45 eV). Va sottolineato che c’è una grande
variabilità nell’efficienza dei materiali commerciali usati nell’industria del fotovoltaico: 1) m-Si (15-21%), 2)
p-Si (14-16%), 3) a-Si (6-10%), 4) CdTe (13-15%) e 5) CIS (11-13%). A questa efficienze variabili corrisponde
una differente superficie richiesta per 1 KW: 5-7 m2 (1); 6-8 m2 (2); 10-17 m2 (3); 7-10 m2 (4),(5).
Circa la fabbricazione di moduli in silicio
cristallino, si osserva che le celle in
materiale monocristallino sono di forma
rotonda per la tecnica di accrescimento
del cristallo e possono successivamente
assumere la forma quadrata con uno
scarto di materiale; invece quelle in
materiale policristallino sono di forma
quadrata, consentendo una migliore
occupazione della superficie rettangolare
del modulo. Dalle celle si giunge poi ai moduli veri e propri attraverso un processo di laminazione per
l’incapsulamento ( sottovuoto a 140-150 °C). Le celle sono saldate tra loro e racchiuse tra due pannelli
piani, un vetro anteriore con spessore di 3-4 mm, molto pesante e ad alta trasmittanza così da far passare
la maggiore quantità di radiazione solare possibile. Più internamente al pannello, si ha uno specifico
polimero termoplastico detto E.V.A. che avvolge la cella solare ed inoltre permette la sua saldatura alle
altre celle (processo di laminazione). Questo materiale si basa su una tecnologia analoga a quella dei
parabrezza delle automobili, infatti se viene colpito, il vetro si frattura, ma non si stacca proprio grazie al
materiale polimerico. L’E.V.A. garantisce inoltre, l’isolamento elettrico tra le celle, impedisce la
penetrazione dell’umidità ( e relativi effetti corrosivi), ma è sensibile alle alte temperature. All’ interno della
cella si hanno i cosiddetti bus-bar ai quali vengono saldati dei collegamenti a nastro che permetto il
collegamento tra le celle; questi collegamenti sono pio saldati all’elettrodo posteriore della cella adiacente.
Sulla parte posteriore si ha un vetro o materiale plastico (tedlar). Infine il modulo può essere incorniciato o
meno in un telaio di alluminio(scatola di giunzione), che viene inserito attraverso una guarnizione nel
modulo, ne aumenta l’isolamento, garantendo un funzionamento più duraturo. Le scatole di giunzione
ospitano il diodo di bypass ed i morsetti di collegamento; attualmente, si preferiscono quelle da cui
fuoriescono i connettori ed inoltre, se il diodo va fuori servizio, andando in cortocircuito, non permetto al
modulo di lavorare correttamente. NB: qualora sia richiesto un’installazione del modulo sollevata dal tetto,
così da garantire ricircolo d’aria e raffreddamento del modulo stesso, è necessario disporre di sostegni
metallici al fine si sollevarlo.
CARATTERISTICHE TECNICHE E DATI DI TARGA
Il rendimento e tutti gli altri parametri elettrici di un modulo fotovoltaico dipendono dalle condizioni
metereologiche in cui il medesimo opera. Per tale ragione, è stato necessario fissare dei parametri di
riferimento quando si misurano le caratteristiche di un modulo e da riportare nella sua scheda tecnica.
Sono state così definite le condizioni di prova normalizzate, standard test conditions (STC). In queste
condizioni l’irradianza è G=1000 W/m2, la temperatura di cella è 25 °C e la massa d’aria AM=1,5. Queste
condizioni sono riproducibili soprattutto in primavera ed in autunno e permettono di avere dei rendimenti
globali per le celle di circa il 2% superiori rispetto a quelli invernali. In generale, è difficile trovare queste
condizioni di funzionamento e sono appunto delle condizioni di laboratori, per cui si fornisce anche la
temperatura di cella di lavoro normale , NOCT (Normal Operating Cell Temperature) , ossia la temperature
di equilibrio delle celle di un modulo, posto al sole, in condizioni normalizzate (CEI EN 60904-3): irradianza
G=800 W/m2 , temperatura ambiente di 20°C, massa d’aria AM=1,5 e velocità del vento di 1 m/s. La NOCT
si riferisce all’installazione su cavalletto e tipicamente varia tra 42 e 50°C ; i valori più alti si riferiscono
all’installazione integrata sugli edifici. La conoscenza di questa temperatura ci permette di calcolare la
temperatura della cella secondo la seguente relazione→ ๐‘‡๐‘ = ๐‘‡๐‘Ž +
๐‘๐‘‚๐ถ๐‘‡ − 20°๐ถ
๐บ(๐‘Š/๐‘š2 ).
800 ๐‘Š/๐‘š2
PROVE DI TIPO E CERTIFICAZIONI
Sono state codificate alcune prove tipo (effettuate su un lotto di produzione) finalizzate a valutare la
corretta prestazione dei moduli nel corso della loro vita utile ( anche più di 25 anni) simulata con
invecchiamento artificiale. Si hanno, la CEI EN 61215 per il silicio cristallino e la CEI EN 61645 per film sottili.
Esse prevedono: ispezione visiva; prestazioni a STC; prova di isolamento che è necessaria per garantire la
sicurezza del modulo e viene effettuata applicando 1000V tra cornice in alluminio e i morsetti “+” e “-“ in
cortocircuito, si misura poi la corrente dispersa e il loro rapporto è la Riso (deve anche decine di ohm);
misura dei coefficienti di temperatura α,β e ๐›พ; misura di NOCT e relative prestazioni; prestazioni a basso
irraggiamento; prova di esposizione esterna; prova di tenuta al surriscaldamento localizzato; prova ai raggi
UV; prova dei cicli termici che prevede 200 cicli tra -40°C e +85°C; prova di umidità e congelamento; prova
di caldo umido che prevede il modulo sottoposto ad alta temperatura e umidità relativa (85°C e RH=85%);
prova di robustezza dei terminali; prova di svergolamento; prova di caricamento meccanico; prova di
grandine per chicchi dal diametro di 2,5 cm e alla velocità di 90 Km/h. Vengono inoltre, effettuate delle
prove specifiche per i moduli a film sottili, in quanto essi sono privi della giunzione di alluminio e della
guarnizione di isolamento e di conseguenza hanno un isolamento più scarso. Tali prove sono: esposizione
prolungata alla luce, ricottura, prova di corrente di dispersione in ambiente umido. Esistono poi, delle prove
aggiuntive effettuate per moduli FV effetti da mismatch che vengono effettuate con fotocamere
funzionanti a diverse lunghezze d’onda:
•
7,5-13 µm per identificazione hot-spot, vengono eseguite
con il modulo in funzione e permettono anche di
rilevare possibili riscaldamenti della giunzione;
•
7,1-1,2 µm per elettroluminescenza che viene
attuata al buio, alimentando il modulo e
stimolandolo ad emettere radiazioni (come
un led).
REQUISITI
Tranne casi particolari, i moduli FV utilizzati in impianti di servizio in parallelo alla rete, devono avere le
parte attive isolate in classe II , ovvero in doppio isolamento così da avere protezione combinata contro
contatti diretti ed indiretti. È inoltre, molto importante la garanzia offerta dai costruttori:
-
Garanzia di prodotto contro i difetti di fabbricazione dei materiali che deve coprire almeno 2 anni e
può arrivare fino a 10 anni;
-
Garanzia di prestazioni riguardante il decadimento delle prestazioni. La potenza misurata a STC
deve essere non inferiore a 90% della potenza minima per almeno 10 anni e a non meno dell’80%
della potenza minima per almeno 25 anni.
Generatore fotovoltaico completo
Per ottenere una potenza prefissata è necessario collegare tra loro vari moduli FV; ognuno di essi infatti
può avere una potenza che va dai 10 a 220 Wp. Nello specifico indichiamo con la parola stringa un gruppo
di moduli ( o celle),
meccanicamente preassemblati e
elettricamente collegati o in serie,
utilizzabile come unità
indipendente da installare
nell’impianto; le diverse stringhe
possono poi essere collegate in
parallelo e costituire un array
(come in figura). Il campo
fotovoltaico è infine l’insieme di
tutti gli array che costituiscono il generatore fotovoltaico completo. All’interno della struttura completa
possiamo poi riconoscere altri elementi quali, diodo di blocco(2), diodo di bypass (3) e interruttore di
manovra/sezionatore (1). La curva corrente- tensione di un generatore FV è una “replica”, in scala
ampliata, di quella della cella con efficienza di conversione indipendente dalla potenza in uscita. La
struttura del generatore è modulare con possibilità di fare esperienza su potenze limitate, incrementabili
nel futuro. Il generatore FV, a differenza dei normali generatori, lavora con potenza di ingresso
indipendente dal carico, poiché la generazione della potenza dipende dalla radiazione solare, perciò
presenta:
-
Efficienza massima quando la potenza utilizzata è massima (condizione di adattamento del carico al
generatore);
Sovra-temperatura massima a circuito aperto e temperatura operativa minima quando la potenza
consegnata al carico è massima (nel caso dei normali generatori è esattamente il contrario).
I generatori FV lavorano meglio a bassa temperatura. A pari irradianza globale , se la temperatura è bassa
(inverno), i rendimenti sono più alti (rispetto all’estate). Tuttavia, il parametro più importante è l’energia
prodotta ed ovviamente è maggiore in estate, ovvero quando la radiazione solare è maggiore. Il
cortocircuito in un generatore FV non è critico poiché la corrente di cortocircuito è dell’ordine della
corrente nominale → ๐ผ๐‘†๐ถ ≈ 1,1๐ผ๐‘›๐‘œ๐‘š ; al contrario, in un generatore convenzionale è una condizione critica
da evitare poiché → ๐ผ๐‘†๐ถ ≈ 10๐ผ๐‘›๐‘œ๐‘š .
Analogamente a quanto già esaminato per le singole celle, i collegamenti serie-parallelo dei moduli, per
dissimmetrie (mismatching) dovute a: diversità intrinseca delle caratteristiche I(U), ombratura (shading
effect) etc., possono portare a una riduzione di potenza erogata, formazione di "hot spots", per cui è
necessario impiegare adatte protezioni. In una stringa di moduli in serie, si connette ad ognuno dei moduli
un diodo di protezione (di bypass) in antiparallelo. Questo diodo ha un duplice effetto: protegge dalle
tensioni inverse la cella oscurata e fa sì che, con la sua azione di bypass, la potenza erogata dalla stringa si
riduca solo del contributo del modulo, evitando che l’intera stringa vada in “fuori servizio”. Per la
protezione di dissimmetrie nei collegamenti in serie dei moduli si dispone un diodo di blocco in serie al
modulo o all’intera stringa. Questo diodo è percorso dalla corrente generata dalla stringa, ma deve avere
una caduta di tensione trascurabile rispetto alla c.d.t. sull’intera stringa, per limitare le perdite di potenza
ad essa associate. Se una o più celle in una stringa sono difettose, si crea una dissimmetria nelle tensioni a
vuoto fra le stringhe in parallelo, per cui il diodo di blocco funziona da blocco e la stringa considerata non
subisce danni, ma non contribuisce alla produzione di potenza. Inoltre il diodo di blocco , in assenza di
illuminamento, previene i moduli dall’assorbire corrente di segno inverso dovute a forze elettromotrici
inverse generate da motori, accumulatori, ecc…
Negli impianti FV installati a terra il numero Np,
ossia il numero di stringhe in parallelo, è molto
elevato, arrivando anche a 100. Esiste la
possibilità di guasto a terra di entrambi i poli di
una stringa di un array FV→ per evitare grossi
problemi si usano dei fusibili a protezione dei cavi
che vengono posti sul negativo e sul positivo di
ciascuna stringa. I fusibili hanno come obiettivo la
protezione degli isolanti dei cavi e non dei moduli
fotovoltaici, in quanto questi ultimi sono in classe
II; di fatti, qualora si usassero condutture e
quadri in classe II ( a prova di guasto a terra e di
cortocircuito), l’uso dei fusibili sarebbe superfluo.
Tuttavia, generalmente ciò non viene fatto poiché i costi si alzerebbero eccessivamente. Come detto in
precedenza, la corrente di cortocircuito dei moduli è dell’ordine della corrente nominale. Tuttavia, il
compito dei fusibili montati su ogni stringa è quello di proteggere porzioni di condutture da correnti di
cortocircuito provenienti da altre di stringhe; se abbiamo Ns stringhe, il fusibile deve proteggere la
conduttura di una stringa da una corrente di cortocircuito
pari a (Ns – 1) ๐ผ๐‘†๐ถ . La formazione di queste correnti si può
avere ad esempio, nel caso di un guasto verso terra di
entrambi i poli del generatore. Il caso peggiore si ha con
resistenza di guasto nulla; il conduttore di stringa positivo
così come quello negativo è attraversato da una corrente di
cortocircuito molto grande→ necessaria la presenza dei
fusibili, che , una volta entrati in funzione, vanno poi
sostituiti. La presenza su entrambi i conduttori del modulo è
dovuta alla
possibilità
che il guasto si verifichi su poli di stringhe diverse.
STRINGA COMPLETATAMENTE OSCURATA SENZA DIODI DI
BLOCCO
È possibile, in certi casi, evitare i diodi di blocco con le loro
perdite energetiche. In assenza di diodi di blocco, una
stringa completamente oscurata è soggetta ad un
funzionamento passivo assorbendo corrente inversa. Quest’ultima raggiunge il proprio valore massimo in
corrispondenza del funzionamento a vuoto; come è possibile notare dalla figura sopra la curva corrente
tensione della stringa completamente oscurata è sostanzialmente tutta nel quarto quadrante. La potenza
assorbita assorbita da una stringa completamente oscurata nel punto di massima potenza delle altre
stringhe, è trascurabile; questo risultato è vero, purchè non siano presenti guasti di cortocircuito
concomitanti tra i moduli FV. Di conseguenza l’uso o meno del diodo di blocco nel punto di massima
potenza non fa molta differenza. Se Np è basso, posso evitare i diodi di blocco, ma bisogna investire su
doppio isolamento di quadri e condutture.
La corrente inversa in una stringa completamente oscurata dipende dalle stringhe Np in parallelo. Varia da
un minimo di 0,5๐ผ๐‘†๐ถ , nel caso di 2 stringhe in parallelo, fino a raggiungere la ๐ผ๐‘†๐ถ della cella. I costruttori di
moduli in silicio cristallino dichiarano una
massima corrente ammissibile più alta. Per i
moduli in film sottile bisogna controllare
tale valore; l’indicazione pratica è di evitare
i diodi di blocco con moduli in silicio
cristallino fino a 5 stringhe in parallelo.
Nella figura a fianco, la stringa totalmente
oscurata è studiata con la convenzione di
segno degli utilizzatori( corrente assorbita
positiva); di fatti, è conveniente
rappresentare la stringa oscurata come un
carico così da poter da poter fare
l’intersezione con i generatori nei 2 casi, e
trovare i corrispondenti 2 Valori di corrente inversa. Se
venisse aumentato il numero di stringhe in parallelo,
aumenterebbe anche la corrente inversa ed inoltre, la
pendenza delle stringhe oscurate tenderebbe
idealmente all’infinito. Come già detto però, la
corrente inversa presenta un limite al crescere di
stringhe in parallelo, ovvero la corrente di cortocircuito
๐ผ๐‘†๐ถ di una stringa illuminata. Nella figura a fianco è
possibile apprezzare l’andamento della corrente
inversa, in funzione del numero di stringhe in
parallelo. NB: nel caso di presenza di guasti di
cortocircuito, la curva della stringa oscurata interseca quella delle stringhe non oscurate in punti
corrispondenti a tensioni più basse della Um.
È possibile calcolare la corrente inversa
attraverso un’approssimazione, basata
sull’elettrotecnica lineare, che permette di
studiare il comportamento delle stringhe
applicando il generatore di thevenin ai dati
di targa dei moduli FV. A sinistra si ha
l’equivalente per la stringa ombrata e a
destra quello per le stringhe illuminate. La corrente inversa, che è detta anche corrente di circolazione,
risulta dal collegamento in parallelo della stringa ombrata (corrente entrante nel polo positivo) con le
stringhe irradiate (corrente uscente).
la tensione ai capi dei morsetti A e
B è di fatto una tensione a vuoto e
vale ๐‘ˆ๐ด๐ต = ๐‘ˆ๐‘œ๐‘š๐‘ + ๐‘ˆ๐‘œ๐‘š๐‘ ๐ผ๐‘๐‘–๐‘Ÿ๐‘
GESTIONE DELL’OMBRATURA NEL PROGETTO
In prima battuta, va detto che è fondamentale evitare l’ombratura anche parziale dell’array, ma in certe
circostanza la si tollera per brevi periodi di alcuni giorni durante l’anno, ad esempio in autunno e inverno. In
fase di progettazione, la configurazione dell’array deve essere studiata in modo da minimizzare l’effetto dei
moduli ombrati su quelli ben illuminati. L’ ideale sarebbe che le ombre coprissero stringhe intere, mentre la
parte restante dell’ombratura fosse distribuita sulle altre stringhe. Questa soluzione permette di ottenere
la massima potenza ad una tensione non troppo bassa, evitando di uscire dalla finestra del MPPT.
Consideriamo 2 esempi con diverso numero di moduli FV e diverso grado di ombratura.
Consideriamo una array 4X4 con 4
moduli ombrati, si possono avere 2
possibili configurazione; la prima (1)
prevede l’ombratura concentrata su una
sola stringa ed in questo caso i diodi di
bypass non vengono azionati poiché i
moduli della stringa sono ugualmente
ombrati; la seconda configurazione(2)
prevede un’ombratura distribuita, infatti
abbiamo un modulo ombrato per
stringa. In questo caso, i diodi di bypass
lavorano poicè c’è disparità di
illuminamento. Si hanno due punti a
potenza massima, uno locale ed uno globale, ed inoltre,nel punto di cambio di pendenza, c’è una
discontinuità che corrisponde ad un punto di non derivabilità della curva.
In questo caso, consideriamo un array
5X10 moduli, con 5 moduli ombrati.
Abbiamo anche qui 2 possibili
configurazione: la prima prevede
un’ombratura distribuita, con un modulo
ombrato per ogni stringa, la seconda
prevede un’ombratura concentrata con 5
moduli ombrati presenti nella medesima
stringa, quest’ultima soluzione è
preferibile poiché il punto di max globale
lo troviamo spostato a destra per una
tensione più elevata. Tuttavia, la
differenza tra le due curve non è così
marcata come in precedenza. In conclusione, non è possibile affermare che è sempre meglio concentrare
l’ombratura su una singola stringa piuttosto che ripartirla sulle stringhe dell’array. Nella fattispecie, la
percentuale di moduli ombrati è consistente (ad esempio il 25%), è meglio concentrare l’ombratura su una
stringa per ottenere una potenza più alta; in questo modo si blocca anche la tensione che si ha nel punto a
potenza massima al valore che si ha senza ombratura. Quando la percentuale di moduli ombrati non è
consistente (ad esempio il 10%), può accadere che sia meglio distribuire l’ombratura , pur con lo svantaggio
della riduzione della tensione corrispondente alla potenza massima Pmax( ciò potrebbe dare dei problemi al
tracker , ossia all’inseguitore dei punti di massima potenza). NB: l’azione dei diodi di bypass, pur
ripristinando la corrente dei moduli irradiati, genera dei massimi locali sulla curva potenza-tensione.
Inverter e MPPT: principio di funzionamento
INVERTER
Quando in un impianto FV si alimentano carichi in alternata, è necessario dotarsi di inverter DC-AC. I primi
inverter si basavano su interruttori elettronici a tiristori (SCR) e potevano trasferire potenza dal lato DC al
lato AC solo in presenza della tensione di rete (line commutated). I tiristori sono costituiti da 3 morsetti, di
cui un morsetto di comando, che comanda la chiusura del tiristore, che permette il passaggio di corrente,
con un ritardo rispetto al segnale di riferimento( Vrete a 50/60 Hz)→ questo fa assorbire potenza reattiva
alla rete. Tuttavia, i tiristori non sono comandabili in apertura, tant’è che lo spegnimento del tiristore
avviene naturalmente quando la corrente giunge ad annullarsi. Con l’avvento dei transistor, si è potuto
generare forme d’onda alternate e trasferire potenza dal lato DC al lato AC in assenza della tensione di rete
(self commutated)→ non ha bisogno di una tensione di riferimento che applichi una polarizzazione diretta.
In transistor di potenza sono interruttori elettronici, comandabili in chiusura ed apertura ( a differenza del
SCR), in anticipo(correte induttiva) e in ritardo(corrente capacitiva) rispetto ad un segnale di riferimento
che viene generato da un “clock” interno al convertitore. Ciò
significa che è possibile generare o assorbire potenza
reattiva con forma d’onda a basso contenuto armonico,
rispetto agli inverter a tiristori (onda quadra). NB: l’onda
quadra ha come sviluppo in serie di Fourier quello costituito
dalle armoniche dispari; nello specifico, se prendiamo
individualmente, ad esempio la terza armonica, è possibile
constatare che la sua ampiezza è un terzo di quella della prima armonica e man mano che aumenta la
frequenza dell’armonica, l’ampiezza dell’oscillazione diminuisce tanto da non essere più rilevabile.
Un semplice convertitore AC-DC con SCR e carico resistivo: l’angolo di
accensione ๐œ— (o α) è il ritardo e con riferimento alla figura, si ha che
๐œ—1 < ๐œ—2 < ๐œ—3 . I transistor hanno basse perdite (๐‘–๐บ ≈ 0) e le perdite
di conduzione sono funzione lineare o quadratica della corrente.
I MOSFET sono caratterizzati dai
morsetti gate, source e drain: il
segnale di comando è la tensione ๐‘ฃ๐บ๐‘† (๐‘ก),mentre la tensione d’uscita è ๐‘ฃ๐ท๐‘† (๐‘ก) e le perdite ๐‘…๐ท๐‘† ๐‘–๐ท2 sono
funzione della resistenza drain-source ( perdite quadratiche con la corrente di carico, di drain); gli IGBT
sono caratterizzati dai morsetti gate, collettore ed emettitore: il segnale di comando è ๐‘ฃ๐บ๐ธ (๐‘ก), mentre la
tensione in uscita è ๐‘ฃ๐ถ๐ธ (๐‘ก) e le
perdite sono lineari con la corrente
di carico (di collettore) e valgono
๐‘ฃ๐ถ๐ธ ๐‘–๐ถ .
A sinistra è rappresentato un
circuito di misura per la prova di
laboratorio in cui abbiamo ,nella
parte sinistra del medesimo, il
circuito di comando, in cui non è presente l’amperometro poiché la corrente è trascurabile, mentre nella
parte destra è presente il circuito di potenza. NB: il segnale di comando permette lo switch dallo stato ON
allo stato OFF.
La modalità di accensione/spegnimento dei transistor avviene secondo la tecnica di modulazione PWM
(pulse width modulation). Quest’ultima si basa sul confronto tra una forma d’onda triangolare(portante) ,
generata con un clock al quarzo e ad alta frequenza (1-500 KHz) e la forma d’onda sinusoidale da riprodurre
(modulante) che è a frequenza di rete ( 50 o 60 Hz). Il parametro di regolazione principale è l’indice di
modulazione m che rappresenta il rapporto tra l’ampiezza della sinusoide e quella della triangolare. A
seconda del valore di m possiamo avere 2 casi:
•
Caso normale→ ๐’Ž ≤ ๐Ÿ: aumentando la
frequenza della portante, in un suo periodo la
sinusoide è quasi costante. Per quanto concerne
la tensione in uscita , essa è unipolare in uscita a
3 livelli (V+,0,V-) e l’impulso risulta più ampio in
prossimità della semionda. Va inoltre
sottolineato, come si evince dal grafico, le
intersezioni tra i 2 segnali (portante e modulante)
determinano passaggio tra stato di ON e stato di OFF;
•
Caso anomalo → m>1: in questo caso si ha la cosiddetta sovramodulazione con l’ampiezza della
sinusoidale maggiore di quella della triangolare. Si ottiene una forma d’onda quadra in uscita che,
come sappiamo, ha un elevato contenuto armonico.
Consideriamo ora il caso di un
inverter a ponte a H (ad esempio a
2 gambe e 4 inverter, 2 per
gamba), nel quale viene chiuso
solo un interruttore per “gamba”,
mentre l’altro deve restare aperto
per evitare cortocircuiti sul lato
DC. Se sono in ON lo switch
superiore (sx) e quello inferiore
(dx), si applica in uscita una
tensione positiva; con un transistor e un diodo superiori in , si applica tensione nulla; si applica tensione
negativa con lo switch superiore della gamba destra e lo switch inferiore della sinistra. In figura si notano
inoltre altri componenti importanti, quali: il condensatore Crip , che compensa la fluttuazione sulla potenza
istantanea, così da renderla pressochè costante; il filtro LC per ottenere una forma d’onda quanto più
sinusoidale possibile che può essere visto anche come un filtro passa-basso poiché non permette il
passaggio della armoniche ad alta frequenza. Esso svolge inoltre anche il ruolo di disaccoppiare l’inverter
dalla rete; infine abbiamo il trasformatore che fornisce il livello necessario di tensione al carico. Proprio in
base al trasformatore di interfaccia col carico si distinguono i vari inverter:
โžข Con trasformatore in bassa frequenza (50/60 Hz), di forma toroidale (ingombrante), se monofase;
โžข Con trasformatore ad alta frequenza (20-100 kHz) in ferrite (di ridotte dimensioni) per ridurre le
perdite nel ferro;
โžข Senza trasformatore ma con convertitore DC-DC (MPPT) con ampio campo di variazione di
tensione.
NB: nell’inverter trifase esistono 3 gambe uguali con 6 switch ed è possibile applicare una terna simmetrica
di tensioni concatenate.
NB: Solo col trasformatore a bassa frequenza si ottiene l’isolamento galvanico (separazione elettrica tra
primario e secondario). Il trasformatore in alta frequenza presenta parametri capacitivi parassiti tra
primario e secondario, che non garantiscono l’isolamento galvanico. I trasformatori eliminano eventuali
componenti continue al secondario, pur a prezzo di una certa saturazione del nucleo magnetico.
Posso disegnare il circuito equivalente in AC per la
prima armonica: si deve fare in modo che la tensione
dell’inverter ๐‘‰๐ผ abbia un certo angolo di anticipo β così
che la corrente I sia in fase con la tensione di rete ๐‘‰๐บ ,
massimizzando il fattore di potenza. I parametri Lp e Rp
sono dei parametri parassiti, mentre LD è un’induttanza di progetto che serve sia per il filtro sia per il
disaccoppiare il generatore di tensione dell’inverte dal generatore di tensione della rete. Posso
rappresentare con i fasori le corrente e le tensioni e poi calcolare le potenze.
La XL è la somma delle 2 reattanze serie, mentre la potenza attiva e la potenza
reattiva dell’inverter valgono rispettivamente:
๐‘ƒ๐‘–๐‘›๐‘ฃ = ๐‘‰๐ผ ๐ผ๐‘๐‘œ๐‘  ๐›ฝ = ๐‘‰๐บ ๐ผ + ๐‘…๐‘ ๐ผ 2 e ๐‘„๐‘–๐‘›๐‘ฃ = ๐‘‰๐ผ ๐ผ ๐‘ ๐‘–๐‘› ๐›ฝ = ๐‘‹๐ฟ ๐ผ 2, dove la potenza
reattiva prodotta dall’inverte serve per il funzionamento della reattanza di
disaccoppiamento.
Si trovano in commercio inverter senza trasformatore ("transformerless") che permettono di ottenere
perdite a vuoto ridotte e quindi rendimento elevato con un peso e un volume minore. Per contro, tali
inverter trasferiscono componenti continue verso la rete e possono creare problemi di sicurezza.
Correntemente, gli inverter per connessione alla rete hanno uno stadio di ingresso che svolge la funzione di
inseguitore del punto di massima potenza del generatore FV (MPPT).
Le specifiche, per gli inverter da connessione alla rete (grid connected), sono qui riassunte:
-
-
Alto rendimento di conversione (๐œ‚ > 90% per potenze decrescenti fino al 10% della nominale) e
basse perdite a vuoto (๐‘ƒ0 < 1%);
Fattore di potenza PF≈ ๐‘๐‘œ๐‘ ๐œ‘ > 0,9;
Bassa distorsione armonica della corrente
d’uscita (THD < 5% alla potenza nominale );
Inseguimento del punto di massima
potenza (MPPT);
Capacità di limitare la potenza di ingresso
dal generatore FV spostandone il punto di
funzionamento;
Bassa ondulazione (ripple) sulla tensione
DC;
Accensione e spegnimenti automatici con
basse soglie di irradianza.
Nelle figure a fianco sono rappresentati gli
andamenti dei parametri citati quali, rendimento
di conversione DC-AC, rendimento di
inseguimento MPPT, fattore di potenza e
distorsione armonica totale della corrente. Nella
fattispecie il rendimento di conversione è calcolabile attraverso la relazione ๐œ‚๐ท๐ถ−๐ด๐ถ = ๐‘ƒ
๐‘ƒ๐ด๐ถ
๐ด๐ถ + ๐‘๐‘’๐‘Ÿ๐‘‘๐‘–๐‘ก๐‘’
๐‘ƒ๐ด๐ถ
2
๐‘ƒ๐ด๐ถ + ๐‘ƒ0 +๐‘๐‘„ ๐‘ƒ๐ด๐ถ
=
, dove la ๐‘ƒ๐ด๐ถ = ๐‘‰๐‘Ÿ๐‘š๐‘  ๐ผ๐‘Ÿ๐‘š๐‘  ๐‘๐‘œ๐‘  ๐œ‘. Come si evince dalla formula del rendimento di conversione,
così come in un trasformatore, anche in un inverter ci sono perdite a vuoto, che devono essere più basse
possibili, poiché sono presenti anche in assenza di potenza trasferita→ si consuma potenza solo per inviare
segnali di comando ai circuiti di potenza, ma anche perdite quadratiche che si possono definire anche
perdite a carico e sono di tipo resistivo.
MPPT
Per ottimizzare il rendimento il rendimento di utilizzazione del generatore FV, può essere impiegato un
convertitore DC-DC opportunamente controllato, che viene definito maximum power point tracker (MPPT)
e che , al variare di irradianza e temperatura, consente di estrarre la potenza massima erogabile e di
trasferirla al carico con valori di tensione e corrente differenti. I convertitori DC-DC sono di vario tipo :
abbassatori (step down o buck), elevatori (step up o boost) oppure misti ( buck/ boost). Essi si compongono
di elementi chiave quali, transistor
(switch), diodi di ricircolo, induttori
e condensatori. A fianco è
presentato un convertitore buck. Dal
punto di vista matematico, questo
tipo di convertitore è assimilabile ad
un trasformatore e il rapporto tra
tensione in uscita e tensione in
ingresso prende il nome di duty cycle. Quando l’interruttore è chiuso, il diodo è polarizzato inversamente e
non conduce, la tensione sull’induttore ha il polo positivo a sinistra e ciò vuol dire, che si sta caricando;
quando l’interruttore è aperto, il diodo conduce poiché polarizzato direttamente, la tensione sull’induttore
ha il polo positivo a destra, si sta cioè scaricando, mentre la corrente mantiene lo stesso verso di prima.
NB: la corrente nell’induttore è la composizione di un valor medio ed un ripple. Le tecniche di controllo
possono attuate secondo vari algoritmi;
โžข Conduttanza incrementale: è il più preciso e sfrutta la proprietà di adattamento del carico. In
particolare si sfrutta il fatto che − ๐‘‘๐ผ⁄๐‘‘๐‘ˆ = ๐ผ⁄๐‘ˆ , ovvero che la derivata della corrente rispetto alla
tensione è uguale al rapporto tra corrente e tensione nel punto a potenza massima;
โžข Perturba e osserva: è la tecnica più usata, in quanto è un buon compromesso tra costi e
prestazioni. Il controllo impone una variazione di tensione โˆ†V e misura la corrispondente variazione
di potenza โˆ†P, se quest’ultima è positiva, si attua un’ulteriore variazione di tensione nella stessa
direzione, altrimenti si cambia il segno della variazione;
โžข A tensione costante: algoritmo meno preciso che prevede la misurazione della tensione a vuoto
VOC e l’imposizione di una tensione di lavoro proporzionale a quest’ultima (0,7-0,8 VOC).
Se si usa la conversione analogico-digitale (convertitore ADC), il segnale è rappresentato da una parola
binaria in notazione polinomiale ๐‘‰๐‘–๐‘› = ๐‘‰๐‘Ÿ๐‘’๐‘“ (๐‘1 2−1 + โ‹ฏ + ๐‘๐‘› 2−๐‘› ). il metodo perturba e osserva può non
trovare la tensione ๐‘‰๐‘€๐‘ƒ๐‘ƒ a causa dell’errore di quantizzazione nel calcolo della potenza. Tuttavia, è
possibile diminuire tale errore aumentando il numero di bit (senza aumentare troppo la durata della
ricerca). Se ad esempio infatti volessimo convertire il valore analogico con 4 bit, avremmo un errore di circa
il 6% → 2-1+ 2-2+2-3 + 2-4=
0,5+0,25+0,125+0,625=0,9375.
Se la caratteristica del carico ha l’andamento
OA, con irradianza G e temperatura T, il MPPT
per assorbire la massima potenza dal
generatore FV, lavora in entrata a tensione
UM e corrente IM, mentre in uscita, per fornire
questa PM, a tensione UM’ e corrente IM’, dove
queste ultime sono le coordinate del punto
M’ che è il punto di intersezione tra la
caratteristica OA e l’iperbole a potenza costante, tangente in M alla caratteristica gel generatore (MPPT di
rendimento unitario). Con riferimento alla tensione, tale MPPT dicesi in discesa ("step-down"); perciò una
caratteristica di carico di tipo OB richiede un MPPT in salita ("step-up"); una caratteristica di tipo OC
richiede un MPPT in discesa, per irradianza inferiore a G' e in salita per irradianza maggiore di G'. in
sostanza il compito del MPPT è campionare l’uscita del generatore ed applicare la resistenza di carico più
consona ad ottenere la massima potenza. Oggigiorno, si hanno efficienze maggiori del 98%
nell’inseguimento della potenza massima per un ampio intervallo di irradianza (50-100 W/m2) e di tensione
(100-600V). Si può tuttavia verificare instabilità e spostamento dal punto ottimale a causa di brusche
variazioni di irradianza (passaggio di nuvole). NB: il MPPT è inglobato negli inverter, e il rendimento di
conversione è il prodotto del rendimento dell’inverter e del MPPT → ๐œ‚๐‘ƒ๐ถ๐‘ˆ = ๐œ‚๐ท๐ถ⁄๐ด๐ถ ๐œ‚๐‘€๐‘ƒ๐‘ƒ๐‘‡ .
Producibilità di un impianto fotovoltaico
Nel progetto di un impianto FV connesso a rete è importante valutare, il più correttamente possibile, la
producibilità annuale EAC che altro non è che la somma delle energie giornaliere. Le formule usate per
valutarla possono essere:
๐ป๐‘”
⁄๐บ
๐‘†๐‘‡๐ถ
= ๐‘ƒ๐‘ โ„Ž๐‘’๐‘ž ๐‘ƒ๐‘…, dove ๐ป๐‘” è l’irradiazione annuale sul piano inclinato
1) ๐ธ๐ด๐ถ = ๐ป๐‘” ๐‘†๐‘ƒ๐‘‰ ๐œ‚๐‘†๐‘‡๐ถ ๐‘ƒ๐‘… ,da cui attraverso sostituzioni ( ๐œ‚๐‘†๐‘‡๐ถ =
otteniamo la seconda formula→ 2) ๐ธ๐ด๐ถ
๐‘ƒ๐‘
)
๐บ๐‘†๐‘‡๐ถ ๐‘†๐‘ƒ๐‘‰
e ponendo โ„Ž๐‘’๐‘ž =
(kWh/m2), è di tipo globale e tiene conto dell’irradiazione diretta (80% nelle belle giornate) e irradiazione
diffusa (20% nelle belle giornate, ma l’unica presente nelle giornate nuvolose); ๐‘†๐‘ƒ๐‘‰ è la superficie totale del
generatore FV; ๐œ‚๐‘†๐‘‡๐ถ è l’efficienza nominale dei moduli; ๐‘ƒ๐‘ la somma delle potenze di picco ( STC); โ„Ž๐‘’๐‘ž è il
numero di ore equivalenti per anno; PR (performance ratio) rappresenta la dipendenza dalla temperatura
delle perdite termiche ed è un parametro di confronto negli impianti FV. Un’altra interpretazione della
formula implica il concetto di resa (yield) per la stima della producibilità giornaliera, mensile e annuale EAC:
๐ป
๐‘ฌ๐‘จ๐‘ช = ๐‘ท๐‘ต ๐’€๐‘น ๐‘ท๐‘น = ๐‘ท๐‘ต ๐’€๐‘ญ , dove ๐’€๐‘น è la resa di riferimento o peak solar hours ( ๐‘”⁄๐บ
in h/giorno,
๐‘†๐‘‡๐ถ
h/mese e h/anno); ๐’€๐‘ญ è la resa finale (๐ธ๐ด๐ถ ⁄๐‘ƒ๐‘ in h/giorno, h/ mese e h/anno); ๐‘ท๐‘ต è la somma delle
potenze nominali dei moduli FV(STC) e PR è il rapporto di trasformazione utile per confrontare gli impianti
FV.
FONTI DI PERDITA
Nel PR sono comprese varie fonti di perdita (o raramente guadagni) e le principali sono:
1. Tolleranza rispetto ai dati STC e mismatch intrinseco delle caratteristiche corrente-tensione I-V dei
moduli;
2. Sporcizia e riflessione del vetro frontale;
3. Spettro solare diverso da quello di riferimento (AM=1,5);
4. Cablaggi, diodi di blocco, fusibili e interruttori;
5. Sovra-temperature (o sotto) rispetto a 25°C;
6. Illuminazione non uniforme su tutti i moduli (shading effect);
7. MPPT e conversione DC-AC dell’inverter.
๐‘ƒ๐‘… = ๐œ‚๐‘š๐‘–๐‘  ๐œ‚๐‘‘−๐‘Ÿ ๐œ‚๐‘ ๐‘๐‘’๐‘ ๐œ‚๐‘ค๐‘–๐‘Ÿ ๐œ‚๐‘ก๐‘’๐‘š๐‘ ๐œ‚๐‘ โ„Ž๐‘Ž๐‘‘ ๐œ‚๐‘ƒ๐ถ๐‘ˆ
NB: i parametri della formula convenzionale di producibilità sono conoscibili con ridotta precisione e questo
è un difetto importante. I dati di certificazione dei moduli FV sono ottenute con prove in laboratorio a luce
simulata su un campione ridotto della popolazione (<1%); i flash reports sono dati senza incertezza del
costruttore; il valore di progetto del PR è 0,75, ma i valori reali stanno nell’intervallo 0,55-0,85, secondo la
presenza delle fonti di perdita; โ„Ž๐‘’๐‘ž è calcolato con la norma UNI 10349 che è del 1994. Pertanto, si propone
un nuovo significato nella formula di producibilità. La procedura ha come scopo di ridurre le incertezze
nella valutazione energetica e comprende due fasi: la prima con 2 prove sperimentali, la seconda con
l’elaborazione del database delle variabili ambientali. La prova sulla potenza nominale dell’array FV tiene
conto delle voci da 1 a 4, la prova sull’efficienza tiene conto della voce 7. Riguardo il parametro โ„Ž๐‘’๐‘ž e la
voce 5, i dati di irradiazione e temperatura sono forniti dell’ARPA. Un semplice calcolo può essere eseguito
per valutare l’irradiazione sull’angolo tilt e le perdite di sovratemperatura mediante il fattore ๐‘˜ ๐‘‡๐‘’๐‘š๐‘ . In
definitiva, si riscriva la formula così: ๐ธ๐ด๐ถ = ๐‘ƒ๐‘€ โ„Ž๐‘’๐‘ž ๐‘˜ ๐‘‡๐‘’๐‘š๐‘ ๐œ‚๐‘ƒ๐ถ๐‘ˆ
Sistema automatico di acquisizione dati
Il SAAD si basa su una scheda DAQ con 16 bit di
risoluzione , 8 canali differenziali, 50 kSa/s di frequenza
di campionamento per canale; il SAAD è adatto per
misure DC/AC (DFT fino alla 50a armonica). Le portate
sono estese a 1000 Vpk e 2000 Apk con incertezze tipiche
di: ±0,1%๐‘๐‘’๐‘Ÿ๐‘™๐‘Ž๐‘ก๐‘’๐‘›๐‘ ๐‘–๐‘œ๐‘›๐‘’, ±0,5 −
1%๐‘๐‘’๐‘Ÿ๐‘™๐‘Ž๐‘๐‘œ๐‘Ÿ๐‘Ÿ๐‘’๐‘›๐‘ก๐‘’, ±0,6 − 1,1%๐‘๐‘’๐‘Ÿ๐‘™๐‘Ž๐‘๐‘œ๐‘ก๐‘’๐‘›๐‘ง๐‘Ž๐‘’ ±
2,5%๐‘๐‘’๐‘Ÿ๐‘™ ′ ๐‘–๐‘Ÿ๐‘Ÿ๐‘Ž๐‘‘๐‘–๐‘Ž๐‘›๐‘ง๐‘Ž. Gli strumenti virtualizzati in
ambiente Labview comprendono un oscilloscopio a
memoria con sistema di trigger e un data logger
multicanale.
Circuiti di misura
Il transitorio di carica di un adatto
condensatore
permette
di
determinare , in una singola
scansione(10-100ms) , la caratteristica
dinamica I-V di un array FV senza l’uso
di carico elettronico; quello cerchiato
in rosso è un trasformatore
amperometrico ha elemento ad
effetto hall necessario per misurare la
corrente continua.
Per quanto riguarda la misura delle efficienze MPPT e DC-AC, può essere effettuata con prove a carico su
inverter monofasi e trifasi; nel caso di inverter trifasi, può essere utile la connessione Aron (sistemi senza
neutro) che risulta essere una buona scelta per ridurre i canali da 3 a 2.
Per quanto riguarda i risultati sperimentali, è necessario riportare i dati calcolati attraverso le misurazioni
alle condizioni STC così da avere la potenza nominale in condizioni operative ed anche i parametri di
tensione e corrente. La tensione è fortemente dipendente dalla temperatura, mentre la corrente
dall’irradianza. Tale operazioni ci permette di stabilire, confrontando i valori ottenuti con i dati di targa del
modulo(ad esempio la potenza nominale) e stabilire se sono soddisfacenti o meno.
Analisi economica col metodo del VAN
VAN sta per valore attuale netto, ovvero la sommatoria dei flussi di
cassa attualizzati (positivi nel caso di ricavi, negativi nel caso dei
costi). Nell’analisi economica il costo di funzionamento &
manutenzione (per inverter e contatori, pulizia periodica dei moduli)
๐ถ๐‘‚&๐‘€ = 1% del costo di installazione, mentre il tasso di interesse
reale i*=3%(ad esempio). Se proviamo a calcolare i flussi di cassa,
anche futuri, riportati all’istante t=0(ovvero l’istante attuale)
abbiamo che :
๐ถ๐น
๐ถ๐น0 = (1+๐‘–๐‘›∗ ) , la sommatoria dei flussi deve essere riportata all’istante attuale e ciò viene fatto
1
moltiplicandola per un fattore di attualizzazione (1+๐‘–∗ )๐‘›; quest’ultimo può essere scritto anche come
(1+๐‘“)๐‘›
(1+๐‘–)๐‘›
,
dove f è l’inflazione, mentre i è il tasso di interesse apparente, cioè privo di inflazione e vale ๐‘– = ๐‘– ∗ + ๐‘“ ; n è
il numero di anni di esercizio degli impianti e solitamente n=25→ i flussi di cassi di ogni anno vengono
attualizzati e sommati. A questa somma, bisogna sottrarre i costi iniziali dell’investimento e se quest’ultimo
deriva da un prestito bisogna tenere conto della sua restituzione per il calcolo dei flussi di cassa. Per avere
un investimento vantaggioso, il valore attuale netto deve essere positivo; negli impianti fotovoltaici ciò
generalmente vero, poiché il fotovoltaico costituisce un investimento a lunga durata (circa 25 anni) e a
basso rischio poiché la fonte di energia è gratuita e generalmente è caratterizzata da lievi oscillazioni da un
anno ad un altro, in termini di produzione energetica. Come si evince dalla penultima voce della tabella i
guadagni dopo 25 anni, si aggirano tra il 60 ed il 90%, a seconda della taglia dell’impianto, rispetto al costo
iniziale ed inoltre, il numero di anni dopo i quali si inizia a guadagnare è pari più o meno a 10 anni; quest’
ultimo parametro rappresenta il lasso di tempo necessario per rientrare dall’investimento fatto
all’installazione dell’impianto. NB: la tabella si riferisce a 10 anni fa, attualmente i costi di installazione sono
inferiori e si aggirano tra 1000 e 2000 euro per kWp installato, tant’è vero che il rientro dall’investimento in
zone piuttosto favorevoli, ad esempio zone del sud Italia, può avvenire in tempi inferiori a 8 anni.
ENERGIA EOLICA
L’energia eolica è una fonte di energia “pulita” ed inesauribile, così come l’energia solare. In questo caso,
l’energia posseduta dal vento viene trasformata in energia meccanica e poi, quest’ultima è trasformata in
energia elettrica. L’efficienza della conversione energetica dipende dal rapporto di velocità tra quella della
turbina e quella del vento (tip speed ratio ๐œ†). Passando alle prestazioni della turbina nel suo insieme, è
arrivato il momento di definire l’efficienza meccanica mediante il coefficiente di potenza Cp. Esso è
calcolato come rapporto tra la potenza meccanica generata dalle pale Pmec e la potenza del vento: ๐ถ๐‘ =
๐‘ƒ๐‘š๐‘’๐‘
1
๐œŒ๐ด๐‘ˆ 3
2
, dove ๐œŒ è la densità dell’aria a livello del mare ed alla temperatura di 15°C e vale circa 1,225 kg/m3
,mentre A è l’area spezzata dalle pale della turbina eolica. Il valore massimo teorico del coefficiente di
potenza è dato dalla teoria del disco attuatore e vale 16/27,ovvero circa 0,59; esso si ottiene quando la
velocità che attraversa la sezione della turbina eolica è circa i 2/3 della velocità iniziale del vento (67%) e
dopo aver attraversato la turbina eolica il valore della velocità si riduce ulteriormente di 1/3→ la velocità
finale del vento è 1/3 (33%) di quella iniziale, non
perturbata dalle pale. Le tecnologie ad asse orizzontale
hanno un Cp maggiore di quelle ad asse verticale in
funzione del rapporto di velocità a punta pala. Tra le
turbine ad asse orizzontale con 1,2,3 pale queste ultime
hanno efficienza maggiore con velocità di pala minore.
Per spiegare da un punto di vista dinamico(energetico)
ciò che avviene, si introduce il trinomio di Bernoulli.
Quest’ultimo può essere applicato se il sistema non
scambia lavoro con l’esterno e si fonda su alcune ipotesi
semplificative che prevedono una turbina ideale di
spessore infinitesimo lungo la direzione del vento ( teoria del disco attuatore),l’aria è da considerarsi come
un fluido ideale(incomprimibile) ed il flusso d’aria è da intendersi in regime stazionario, tutte le variabili
dipendono solo dal punto in cui sono calcolate e non variano nel tempo. Il trinomio di Bernoulli nella
1
fattispecie si compone della somma di energia potenziale (mgh), energia cinetica (2 ๐‘š๐‘ข2 )ed energia di
1
pressione (pV)→ ๐ธ๐‘๐‘’๐‘Ÿ๐‘› = 2 ๐‘š๐‘ข2 + ๐‘š๐‘”โ„Ž + ๐‘๐‘‰ = ๐‘๐‘œ๐‘ ๐‘ก., dove m è la massa, u è la velocità del vento, g è
l’accelerazione di gravità, h è l’altezza, p è la pressione e V è il volume. La conservazione del trinomio
implica che una delle tre forme di energia si possa trasformare in un’altra. In una turbina eolica ideale il
processo di conversione dell’energia avviene a energia potenziale costante, ossia la quota della massa
d’aria resta costante. Come possiamo vedere dalla figura, la sezione del tubo di flusso in cui è contenuta la
massa d’aria aumenta sia prima sia dopo che la massa d’aria incontri la sezione spazzata dalla turbina
eolica. Avendo assunto la densità dell’aria costante , abbiamo che, a
parità di portata di fluido, la velocità finale (sezione maggiore) è
minore di quella iniziale(sezione minore). Prima del contatto con la
turbina, così come anche dopo il contatto, si applica il trinomio di
Bernoulli per dedurre che alla diminuzione di velocità del fluido
corrisponde l’aumento di pressione. Durante il contatto con la
turbina, non si può applicare il trinomio di Bernoulli: in questa
sezione si ha una discontinuità della pressione con una brusca
diminuzione della stessa, a cui corrisponde la generazione di energia
meccanica attraverso le pale della turbina. Dopo aver oltrepassato la
turbina, la pressione riprende a salire e si riporta al valore di
partenza. Queste variazioni nell’andamento della pressione e della velocità sono dovute all’effetto scia
prodotto dalla turbine e , una volta esauritosi, entrambe le grandezze tornano ai loro valori iniziali, quando
il flusso d’aria era imperturbato.NB: le variazioni di massa e di volume sono costanti→
๐‘‘๐‘‰
๐‘‘๐‘ก
๐‘‘๐‘š
๐‘‘๐‘ก
= ๐œŒ๐ด๐‘ข = ๐‘๐‘œ๐‘ ๐‘ก e
= ๐ด๐‘ข = ๐‘๐‘œ๐‘ ๐‘ก.
STRUTTURA DI UNA TURBINA EOLICA (ASSE ORIZZONTALE)
Gli aeromotori sono macchine che trasformano l’energia del vento in energia meccanica di rotazione. Le
turbine più utilizzate sono quelle ad asse orizzontale ed esse sono in genere installate ad un’altezza dal
suolo superiore a 50 m e che può arrivare fino a 100m mediante una torre. Quest’ultima è realizzata in
acciaio e pesa circa un centinaio di tonnellate.
L’elemento essenziale per la conversione sono le pale
che possono avere una lunghezza variabile (tra 10 e 50
m) e possono essere 2 o 3 per turbina; sono realizzate in
fibra di vetro composta perlopiù da silicio e sono
progettate per massimizzare la portanza. NB: la potenza
convertita dalle pale dipende dall’area da esse spazzata,
tant’è vero che se la loro lunghezza raddoppia, la
potenza convertita quadruplica. Le pale sono fissate al
mozzo da cui parte l’albero lento (10-30 rpm), mentre
un moltiplicatore di giri aziona l’albero veloce (10001500 rpm). Quest’ultimo trasmette la coppia motrice al
generatore elettrico. Tutti questi elementi sono presenti all’interno di un involucro metallico che viene
detto gondola o navicella. All’interno di quest’ultima è presente anche una sorta di freno necessario a
fermare la turbina in caso di venti estremi che potrebbero danneggiarla. Le regolazioni meccaniche di cui è
dotata la macchina eolica sono 3:
•
Controllo del passo del palo: serve per regolare per una certa velocità del vento la portanza e
quindi la coppia motrice sulle pale allo scopo di ottenere una ben precisa velocità di rotazione delle
pale;
•
Controllo di imbardata: permette la rotazione della navicella rispetto alla torre di sostegno in modo
da seguire la direzione del vento ed ottimizzare la conversione;
•
Controllo di inclinazione: permette di sfruttare appieno anche i venti che non giacciono sul piano
orizzontale.
PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO DELLA TURBINA
Consideriamo una vista frontale di una
turbina a tre pale, ruotante in senso
orario con velocità ๐œ”, in presenza di
velocità del vento U condirezione
normale al piano e verso entrante. Si
individua a questo punto una sezione
trasversale S-S’ della pala a distanza Rx dal
mozzo, prossima alla punta-pala. La
sezione trasversale è simile al profilo di un’ala di aereo e la cinematica della pale è descritta dal triangolo
delle velocità , i cui lati sono U(velocità del vento), Vx (velocità periferica della sezione della pala) e Wx
(velocità relativa del vento nel sistema di riferimento rotante costituito dalla sezione trasversale a distanza
Rx). Quest’ultima vettorialmente è la differenza tra la velocità del vento nel SR fisso e la velocità
ฬ…๐‘ฅ = ๐‘ˆ
ฬ… − ๐‘‰ฬ…๐‘ฅ . La velocità Vx e quella Wx formano un angolo ๐œ‘. Facendo poi riferimento al
periferica→ ๐‘Š
centro di pressione della pala è possibile definire altri 2 angoli, l’angolo α detto angolo di incidenza che è
quella formato dalla direzione della corda alare e della velocità Wx e l’angolo β detto angolo di passo
formato dalla direzione della corda alare e dalla direzione della velocità Vx. Tra questi tre angoli valgono le
relazioni ๐œ‘ = ๐›ผ + ๐›ฝ e ๐‘๐‘ก๐‘”๐œ‘ =
๐‘‰๐‘ฅ
๐‘ˆ
= ๐œ† che hanno particolare importanza, come si vedrà in seguito, dal
punto di vista dell’efficienza aerodinamica. Dal punto di vista dinamico, la velocità Wx crea, interagendo con
il profilo, due componenti di forza sulla pala, ortogonali tra loro: la componente più rilevante è la portanza
(lift) ๐นฬ…๐ฟ che risulta ortogonale a ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…
๐‘Š๐‘ฅ , l’altra è invece la resistenza(drag) ฬ…ฬ…ฬ…
๐น๐ท che è parallela a ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…
๐‘Š๐‘ฅ . A partire da
queste 2 componenti di forza, si possono introdurre due coefficienti di proporzionalità utili a calcolare il
rapporto “lift su drag” : ๐ถ๐ฟ = 1
๐น๐ฟ
๐œŒ๐ด๐‘Š 2
2
e ๐ถ๐ท = 1
๐น๐ท
๐œŒ๐ด๐‘Š 2
; i due
2
coefficienti sono adimensionali poichè al denominatore si ha
una forza, dal punto di vista dimensionale. Questi due
coefficienti dipendo dall’angolo di attacco α, tuttavia il
coefficiente di portanza risulta più rilevante, aumentando il
suo valore fino a poco oltre α=15°(dove arriva a valere anche
più di 1,5), laddove inizia bruscamente a decrescere grazie a
causa del fenomeno dello stallo. Invece il coefficiente di
resistenza risulta sempre crescente al crescere di α, anche se
tale crescita avviene secondo ordini di grandezza inferiori a
quelli del coefficiente di portanza. Dalla composizione della
portanza e della resistenza, si può ottenere una forza
risultante ๐น๐‘Ÿ๐‘–๐‘  che può essere scomposta ulteriormente in
altre due componenti, una parallela alla direzione della velocità periferica ed un’altra parallela alla
direzione della velocità del vento. La prima, che indichiamo con ๐น๐ถ è responsabile insieme al braccio Rx
della coppia motrice per la pala; la seconda, che indichiamo con ๐น๐‘† , è la spinta che si carica sulla torre della
turbina e che tende a fletterla. NB: la direzione di FL e di FS individuano un angolo che è pari ๐›ผ. In formule si
può scrivere: per la prima componente๐น๐ถ = ๐น๐ฟ ๐‘ ๐‘–๐‘› ๐œ‘ − ๐น๐ท ๐‘๐‘œ๐‘  ๐œ‘ , notando che la portanza è responsabile
della forza motrice, mentre la resistenza la riduce; per la seconda componente ๐น๐ถ = ๐น๐ท ๐‘ ๐‘–๐‘› ๐œ‘ + ๐น๐ฟ ๐‘๐‘œ๐‘  ๐œ‘ ,
osservando che portanza e resistenza contribuiscono entrambe ad aumentare la spinta, anche se è
prevalente la portanza. NB: quando la velocità del vento aumenta troppo non si può inseguire la max
efficienza a causa dei limiti meccanici che subentrano a causa della forza centrifuga.
Il funzionamento di una turbina eolica per produzione di elettricità avviene in un intervallo di velocità del
vento compreso tipicamente tra 4 e 25 m/s, con potenza crescente fino alla saturazione in corrispondenza
del valore nominale intorno a 12 - 16 m/s. Se siamo al di sotto della velocità nominale , c’è l’esigenza di
aumentare l’efficienza e quindi la potenza generata, mentre al di sopra della velocità nominale, c’è
l’esigenza di mantenere la potenza generata costante. Per fare ciò si può mantenere costanti i fattori, o
ridurre la velocità di rotazione delle pale, al crescere della forza che produce la coppia motrice(controllo
verso lo stallo) oppure ridurre la forza motrice al crescere della velocità delle pale ( controllo verso la
bandiera). In particolare, la regolazione della potenza mediante variazione della forza responsabile della
coppia si può effettuare in modo passivo, essenzialmente verso lo stallo, e in modo attivo, variando il passo
delle pale o verso lo stallo oppure verso la messa in bandiera. La regolazione passiva è quella descritta in
precedenza e vale per velocità basse del vento ed in particolare un aumento dell’angolo α, fa sì che ci si
avvicini allo stallo con conseguente diminuzione del fattore di potenza. Questa regolazione è economica da
punto di vista degli equipaggiamenti della turbina, ma genera importanti sollecitazioni sulla torre e sulle
pale a causa della forte spinta.
Nella regolazione attiva viene seguito lo stesso principio, ma riducendo la spinta sulle pale, viene attuato lo
stallo attivo che prevede la riduzione di β e ciò fa sì che si abbia maggiore velocità ma anche maggiore
spinta. Se viene aumentato
l’angolo β si ha il controllo
verso la messa in bandiera che
permette di ottenere un
funzionamento più lento, ma
allo stesso le sollecitazioni sulle
pale e sulla torre risultano
minori, consentendo inoltre,
un funzionamento più
silenzioso.
Dalla figura a fianco, è possibile notare la curva
iniziale (β=0°) che descrive l’andamento del
๐‘ƒ๐‘š๐‘’๐‘
fattore di potenza ๐ถ๐‘ = 1
๐œŒ๐ด๐‘ˆ 3
in funzione ๐‘๐‘ก๐‘”๐œ‘ =
2
๐‘‰๐‘ฅ
๐‘ˆ
= ๐œ† e che rappresenta il funzionamento della
turbina che vorremmo sempre mantenere; sono
poi presenti altre curve che rappresentano
l’andamento del fattore di potenza all’aumentare
di β ed inoltre, si evince l’abbassamento del
massimo dell’andamento al diminuire di ๐œ†
(aumenta la velocità del vento). Oggigiorno, le turbine a velocità variabile presentano, di norma, una
regolazione della coppia aerodinamica mediante il controllo del passo delle pale, realizzato con adatti
attuatori elettrici.
La potenza eolica dipende dal cubo della
velocità del vento; la potenza elettrica
per le applicazioni fotovoltaiche dipende
in maniera lineare dall’irradianza. Per
massimizzare l’efficienza, bisogna
inseguire la massima con le variazioni
della velocità del vento (luogo dei punti è
cubico): soltanto il controllo a velocità
variabile consente di conseguire questo
obiettivo. Si evidenzia oltre 9 m/s un
funzionamento a velocità del rotore
costante che abbandona il luogo dei
punti a potenza massima fino a raggiungere la potenza nominale che si mantiene con la stessa velocità ๐œ”.
Questa velocità è associata al limite di forza centrifuga, la quale è proporzionale al quadrato di ๐œ” e alla
lunghezza della pala R.
STRUTTURA MOLTIPLICATORE DI GIRI
Esso è probabilmente l’elemento più sensibile in un generatore eolico poiché deve sopportare delle
sollecitazioni meccaniche; è inoltre costituito da più stadi (1:2,1:3,1:5) e permette di mantenere il
rendimento di conversione elevato alle varie velocità del vento. Al fine di mantenere l’efficienza elevata, i
rapporti di moltiplicazione non sono elevatissimi.
Aspetti elettrici dell’energia eolica
STRUTTURA MACCHINA ASINCRONA
Una macchina elettrica presenta un cilindro cavo esterno che prende il nome di statore ed un rotore
interno. Le macchine elettriche in corrente alternata sono realizzate con un avvolgimento trifase di tipo
distribuito e ciascuna fase occupa un angolo di 60° per la corrente di andata e di 60° per quella di ritorno;
nella fattispecie, l’avvolgimento di statore è alimentato in corrente alternata e ,grazie alla disposizione delle
coppie polari, la corrente genera un campo magnetico rotante(campo di statore) nello spazio con la
๐›บ
medesima frequenza della corrente dell’avvolgimento e alla velocità 0⁄๐‘, dove p è il numero di coppie
polari. Questa produzione avviene grazie alla forza magnetomotrice totale mediante la riluttanza magnetica
del traferro. NB: il flusso magnetico concatenato permette lo scambio di potenza mediante il traferro tra gli
avvolgimenti di rotore e statore.
L’avvolgimento di rotore, anch’esso
trifase generalmente, è immerso nel
campo magnetico rotante e
quest’ultimo genera in esso una
f.e.m. indotta e una coppia
elettromeccanica (costante nel
tempo in un sistema trifase
simmetrico equilibrato). La f.e.m.
dipende dalla differenza tra la
velocità del campo magnetico
rotante e la velocità del rotore ed in
particolare risulta massima(così come la corrente di rotore), quando il rotore parte da fermo . Definiamo a
questo punto un parametro importante, ovvero lo scorrimento ๐‘  =
๐‘›๐‘  −๐‘›๐‘Ÿ
,
๐‘›๐‘ 
dove ๐‘›๐‘  è la velocità del campo
magnetico rotante, definita anche velocità di sincronismo, e ๐‘›๐‘Ÿ è la velocità del rotore; a seconda del
valore di s definiamo 2 condizioni di funzionamento:
-
S>0 il rotore è sotto il sincronismo poiché la velocità di quest’ultimo è minore di quella del campo
magnetico rotante, il funzionamento è da motore e la coppia è motrice;
S<0 la velocità del rotore è maggiore di quella di sincronismo→ la coppia è frenante e definiamo
questo funzionamento super-sincrono (funzionamento da generatore);
S=0 funzionamento al sincronismo.
È possibile disegnare un circuito equivalente per la
macchina asincrona , in cui è possibile mettere in
evidenza vari meccanismi di perdita e di non
idealità:
โžข Perdite joule nel rame degli avvolgimenti di
statore e rotore, che vengono modellizzate
attraverso delle resistenze serie con quella di rotore riportata a statore;
โžข Flussi dispersi a statore e rotore rappresentati attraverso la serie di una reattanza induttiva, con
quella di rotore riportata a statore;
โžข Perdite nel nucleo per isteresi e correnti parassite, modellizzate attraverso una resistenza in
parallelo;
โžข Corrente di magnetizzazione rilevante legata al flusso concatenato tra statore e rotore,
rappresentata mediante una reattanza di magnetizzazione in parallelo.
Per semplicità possiamo non considerare i parametri paralleli. Di conseguenza la corrente di rotore vale:
๐ผ๐‘Ÿ′ฬ… = ๐‘งฬ…
ฬ…๐‘กโ„Ž
๐‘‰
′ )⁄๐‘ +๐‘—๐‘‹ ′
+(๐‘…
๐‘กโ„Ž
๐‘Ÿ
๐‘‘๐‘Ÿ
dove i parametri con pedice “th” non sono altro che il frutto dell’equivalente
Thevenin del circuito a sinistra della sezione A-A’; la potenza al traferro, ossia quella scambiata tra rotore e
statore vale: ๐‘ƒ๐‘”๐‘Ž๐‘ = 3
๐‘…′ ๐‘Ÿ ′ 2
๐ผ๐‘Ÿ
๐‘ 
; la potenza meccanica vale ๐‘ƒ๐‘š๐‘’๐‘ = 3
2
1−๐‘  ′ ′ 2
๐‘… ๐‘Ÿ๐ผ ๐‘Ÿ;
๐‘ 
le pedite joule di rotore e
2
statore valgono rispettivamente: ๐‘ƒ๐‘—๐‘Ÿ = 3๐‘…′ ๐‘Ÿ ๐ผ ′ ๐‘Ÿ e ๐‘ƒ๐‘—๐‘  = 3๐‘…๐‘  ๐ผ ′ ๐‘Ÿ . Di conseguenza il rendimento, che è il
rapporto tra energia elettrica e meccanica vale : ๐œ‚ =
๐‘ƒ๐‘š๐‘’๐‘ −๐‘ƒ๐‘—๐‘  −๐‘ƒ๐‘—๐‘Ÿ −๐‘ƒ๐น
๐‘ƒ๐‘š๐‘’๐‘
, dove PF sono le perdite a vuoto.
SOLUZIONE PER TURBINE A VELOCITÀ VARIABILE
Nei sistemi a velocità variabile, che sono anche quelli più efficienti, per far sì che il rendimento resti sul
valore massimo al variare della velocità del vento, bisogna disaccoppiare il generatore elettrico dalla rete a
frequenza costante. A valle del generatore elettrico, si inserisce un convertitore elettronico bidirezionale
(BEC) che è costituito da un raddrizzatore (AC/DC), per stabilizzare e raddrizzare la tensione generata a
frequenza variabile , un inverter per
produrre tensione AC a frequenza
costante, una batteria di condensatori
ed un bus in continua di
collegamento. Una turbina che
funzioni a velocità variabile è, per cui
,costituita da un trasformatore per
connetterla alla rete (T3) , il
generatore asincrono a doppia
alimentazione (DFIG), il convertitore (BEC) ed un filtro LC. Grazie alla presenza del convertitore è possibile il
funzionamento da generatore sia con s<0 , sia con s>0. Consideriamo prima il caso con s<0. La potenza
meccanica imposta al rotore viene convertita in potenza elettrica; quest’ultima segue 2 strade: una parte è
la potenza di statore ed un’altra parte è quella di rotore. La potenza di statore ha una pulsazione che è
quella della rete ed inoltre essa non è altro che la potenza al traferro e viene inviata alla rete(rappresenta la
quota maggiore di potenza trasferita); la potenza di rotore ha invece una pulsazione che dipende dalla
velocità del rotore che è variabile. A tal proposito, questa quota di potenza viene assorbita dal convertitore
che dapprima trasforma la potenza in continua (attraverso il raddrizzatore) e poi la trasforma in potenza in
alternata (mediante l’inverter). NB: la direzione della freccia gialla in questo caso è verso destra. Nel caso di
s>0 una quota di potenza può essere prelevata dalla rete e, mediante una doppia conversione, trasferita al
rotore; in questo caso la freccia gialla ha i verso rivolto a sinistra( situazione opposta a quella precedente).
Se vogliamo studiare una turbina di questo tipo, bisogna pensare al convertitore come una resistenza
apparente che dipende dallo scorrimento. Consideriamo prima il caso supersincrono con s<0.
la potenza meccanica, affinchè la
macchina asincrona lavori da
generatore deve essere negativa→
๐‘ƒ๐‘š๐‘’๐‘ = 3
1−๐‘ 
(๐‘… ′ ′๐‘Ÿ
๐‘ 
2
+ ๐‘… ′ ๐‘Ž๐‘๐‘ )๐ผ′ ๐‘Ÿ , di
conseguenza, essendo s<0, la
resistenza apparente deve essere
maggiore di 0. Nella figura a fianco
sono presenti 2 curve che
rappresentano l’andamento della
coppia elettromeccanica in funzione
della velocità del rotore con o senza
convertitore. Per quanto riguarda la
potenza, sono presenti 3 rettangoli a colori diversi che individuano altrettante potenze: la potenza al
traferro (in azzuro), le perdite joule di rotore (in giallo), corrispondenti a uno scorrimento s = -1 %, pari a
quello nominale) sulla curva con R’app = 0, e (in verde) la PCEB ossia la quota di potenza recuperata grazie al
convertitore, che nel nostro caso corrisponde ad un s=-5%. Se il valore della resistenza apparente aumenta,
aumenta anche la quota di potenza recuperata, più invece è bassa più la pendenza della curva tenderà a
2
quella del caso senza convertitore. Ricordiamo le perdite joule di statore e rotore valgono ๐‘ƒ๐‘—๐‘Ÿ = 3๐‘…′ ๐‘Ÿ ๐ผ ′ ๐‘Ÿ e
2
2
๐‘ƒ๐‘—๐‘  = 3๐‘…๐‘  ๐ผ ′ ๐‘Ÿ . La potenza del convertitore può essere calcolata come ๐‘ƒ๐ต๐ธ๐ถ = 3๐‘… ′ ๐‘Ž๐‘๐‘ ๐ผ′ ๐‘Ÿ , ma è legata alla
potenza meccanica, alla potenza al traferro e alla perdite joule di rotore dalla relazione: ๐‘ƒ๐ต๐ธ๐ถ = |๐‘ƒ๐‘š๐‘’๐‘ | −
|๐‘ƒ๐‘”๐‘Ž๐‘ | − ๐‘ƒ๐‘—๐‘Ÿ . Lo scorrimento può valere fino a -30% e l’efficienza è alta grazie alle basse perdite di
conversione.
Consideriamo il caso subsincrono
con s>0, affinchè la potenza
meccanica e la potenza al traferro
siano negative la resistenza
apparente deve essere negativa ed
inoltre, in valore assoluto, deve
essere maggiore della resistenza di
rotore. È necessaria una
precisazione: la potenza PBEC, che
l’inverter lato rotore deve fornire, è
pari alla somma dei due rettangoli
verde e arancione, cioè serve a
compensare sia la quota mancante della potenza al traferro (la parte in aggiunta alla potenza meccanica)
sia le perdite nel rame di rotore. La formula da usare è sempre la stessa, soltanto che si ottiene un valore
negativo di PBEC, coerentemente col fatto che essa deve essere prelevata dalla rete. Anche in questo caso, la
2
quota di potenza ๐‘ƒ๐ต๐ธ๐ถ = 3๐‘… ′ ๐‘Ž๐‘๐‘ ๐ผ′ ๐‘Ÿ è proprio la PCEB. Ma la potenza, effettivamente prelevata dalla rete, è
maggiore a causa delle perdite nel convertitore elettronico (conduzione, commutazione). In questo altro
caso, il valore dello scorrimento può essere esteso fino al +30%.
NB: In conclusione, l’uso del convertitore elettronico permette di estendere notevolmente il campo di
velocità del rotore del DFIG, mantenendo tuttavia valori elevati del rendimento di conversione, perché le
perdite nel rame di rotore e di statore, a parità di coppia, non crescono, a differenza della macchina
asincrona tradizionale.
Sempre in riferimento alla turbina a velocità variabile, prendiamo in considerazione la dipendenza della
potenza meccanica delle pale e della
velocità del generatore dalla velocità
del vento, poiché queste sono le
caratteristiche più importanti in una
turbina. Quest’ultima entra in
funzionamento a 4 m/s (cut-in) ed esce
dal funzionamento a 25 m/s (cut-off).
Inizialmente il funzionamento avviene
a velocità costante, solo
successivamente la velocità del rotore
cresce linearmente con derivata
๐œ”๐‘Ÿ
costante ⁄๐‘ˆ = ๐‘๐‘œ๐‘ ๐‘ก., fino al limite centrifugo; questo tratto è inoltre quello a potenza massima, tanto è
vero che, essa cresce col cubo della velocità del vento, mentre inizialmente la sua crescita è più lineare;
dopo il limite centrifugo anche la potenza non cresce più col cubo di ๐œ”๐‘Ÿ fino a quando diventa costante al
suo valore nominale , punto in corrispondenza del quale si ha il momento flettente. Per quanto riguarda lo
scorrimento esso è inizialmente positivo , per poi diventare negativo in corrispondenza di una velocità del
rotore di circa 1500 rpm. Va detto che il limite centrifugo si ha in corrispondenza di una velocità del vento
di circa 9 m/s e fino a questo punto la regolazione avviene al ๐œ† ottimale, invece dopo la regolazione
aerodinamica diventa dissipativa e
l’angolo β diviene via via più grande→ la
pala da frontale rispetto al vento, viene
messa di profilo (verso il funzionamento
da bandiera) così da ridurre α e le
eventuali sollecitazioni meccaniche. Il
tasso di crescita di β, come si evince dallo
schema sulla destra, condiziona anche il
modo in cui viene raggiunto il valore di
potenza nominale; infatti con un gradiente
rilevante (rumoroso) la regolazione è più
dissipativa e si limita la potenza prodotta,
mentre con un incremento più morbido si ha
meno rumore acustico. Dalla figura a sinistra
è invece possibile constatre che la
regolazione del BEC per mezzo della
resistenza apparente permette di ottenere la
potenza elettrica desiderata (ossia la curva
“potenza elettrica/velocità del vento”) in una
turbina da 850 KW. È possibile apprezzare
′
che quando s>0 → ๐‘…๐‘Ž๐‘๐‘
<0, viceversa se
′
s<0→ ๐‘…๐‘Ž๐‘๐‘
>0. In corrispondenza del punto
in cui lo scorrimento e la resistenza apparente cambiano di segno anche la potenza del convertitore BEC
cambia segno, poiché con lo scorrimento positivo la potenza viene prelevata dalla rete, viceversa, viene
ceduta a quest’ultima.
Caratterizzazione della risorsa eolica
Una massa d’aria, con densità ๐œŒ = 1,225 kg/m3 (a livello del mare e a 15°C), una velocità U (m/s) attraverso
๐‘ƒ
1
una sezione di area A (m2) ed ha una densità di potenza che è ๐ด = 2 ๐œŒ๐‘ˆ 3 che può essere espressa anche in
funzione della portata massica(ovvero della derivata della massa nel tempo), ricordando che è uguale a
๐œŒ๐‘ˆ๐ด. Dunque, la densità di potenza è direttamente proporzionale al cubo della velocità e nello specifico,
per velocità di 8-10 m/s , la densità di potenza è compresa tra 300-600 W/m2 , con 20 m/s, ossia una
velocità che viene raggiunta di rado, la densità di potenza arriva a valere 5 kW/m2. La densità dell’aria è
funzione della temperature T e della pressione B; essa infatti decresce all’aumentare della quota (1,11-1,12
kg/m3 a 1200-1300 m di altitudine)→ ๐œŒ =
๐ต
,
๐‘…0 ๐‘‡
dove ๐‘…0 = 287,05 ๐ฝ/(๐‘˜๐‘” ๐พ) è la costante del gas dell’aria
secca.
ASPETTI ANEMOMETRICI
Per lo studio del vento è importante l’utilizzo di particolari sensori che permettano il calcolo della velocità
(anemometro a coppa) e della direzione (banderuola)
del medesimo. In genere questi sensori sono installati
almeno a 10 m di altezza e fino a 20 m poiché si deve
cercare di evitare la rugosità del suolo che va ad
influire sulla turbolenza dell’aria; il terreno migliora
sarebbe un suolo ghiacciato. L’anemometro è un
sensore ma non un generatore, infatti esso è molto
sensibile anche a velocità piuttosto basse, ma ha uno
scarso rendimento di conversione poiché si basa sul
drag. I dati sono raccolti nell’arco di un anno, con
frequenza di campionamento di una misurazione al minuto, e memorizzati statisticamente ogni 10 minuti. I
valori da che vengono presi in considerazione sono:
•
Valor medio;
•
Deviazione standard: è un valore di tipo RMS ossia è una radice quadrata del valor medio dei
quadrati degli scarti che possiamo scrivere come √∑600
๐‘˜
ฬ…
๐‘ˆ๐พ −๐‘ˆ
,
(600−1)
ฬ…è
dove ๐‘ˆ๐พ è lo scarto generico, ๐‘ˆ
il valor medio, mentre la sommatoria arriva fino a 600 poiché abbiamo un campionamento al
secondo per 10 minuti;
•
Valore massimo;
•
Valore minimo.
L’intensità della turbolenza è il rapporto “deviazione standard/valor medio” e nella figura, che rappresenta
la rosa dei venti le direzioni principali sono NE e SW. Una volta misurati i dati sperimentali, essi devono
essere riportati all’altezza del mozzo che può, come sappiamo, raggiungere i 100 m. Oltre all’altezza è
fondamentale tenere presente un altro parametro che è la rugosità Z0, che assume valori bassi per
superficie piane, come per esempio il mare. Nella figura a fianco è possibile visualizzare l’andamento della
velocità del vento in funzione dell’altezza
e della rugosità. Nella formula, ๐‘ข๐‘Ÿ๐‘’๐‘“ è la
velocità all’altezza dell’anemometro,
mentre โ„Ž๐‘Ÿ๐‘’๐‘“ è l’altezza dell’anemometro.
La velocità solitamente è superiore a
quella che si ha all’altezza
dell’anemometro, ed infatti cresce con
l’altezza; un valore più basso di rugosità
fa sì che essa diminuisca.
Per misurare direttamente il profilo di velocità del vento con l’altezza, si usano 2 tecniche di
telerilevamento LIDAR ( light detection and ranging o radar di tipo laser) o SODAR ( sound detection and
ranging o radar di tipo acustico) che però sono meno precise rispetto alle misurazioni effettuate con
l’anemometro. Entrambe le tecniche si basano sull’ effetto Doppler per rilevare il flusso d’aria nello strato
limite atmosferico e dedurre la velocità e la direzione del vento. Il LIDAR, che è più preciso del SODAR, fa sì
che un raggio laser venga riflesso dall’aerosol in movimento col flusso d’aria, mentre col SODAR viene
riflesso un flusso sonoro. Queste 2 tecniche permettono di avere un sistema GIS per quanto riguarda le
caratteristiche del vento in base a quelle del terreno.
Passando all'analisi statistica dei dati,
bisogna calcolare, per una data direzione
del vento, il numero di ore in cui la velocità
del vento è compresa in un intervallo
prefissato, raggruppando i dati in un classi
di velocità (BIN) di ampiezza 0,5-1 m/s. i
dati sono presentati nell’istogramma delle
frequenze per calcolare il valor medio e la
deviazione standard. A tal proposito, data
l’asimmetria della distribuzione, la scelta
migliore è la distribuzione di Weibull , che
ricorda la gaussiana e si contraddistingue per 2 parametri, il fattore di forma k e il fattore di scala c. Oltre al
valor medio, altri due parametri importanti presenti all’interno della figura sono, la moda, ossia il valore
che statisticamente è più presente( ha densità di probabilità maggiore) e la mediana, che corrisponde a
quel valore di velocità del vento che divide la distribuzione in 2 parti di uguale area.
Nella figura a fianco, oltre alla distribuzione di
Weibull, è rappresentata la cumulativa che
definisce la probabilità vera e propria. Nello
specifico, sono presentate due distribuzioni di
Weibull, una con k=2 dove abbiamo la
distribuzione di Rayleigh che assomiglia molto
alla gaussiana, mentre l’altra con un fattore di
scala c maggiore che presenta una velocità
media superiore, proprio per tale motivo. La
moda corrisponde al valore di pendenza
massima della cumulativa ed inoltre, da quest’ultima è possibile, derivando, ottenere la distribuzione di
weibull. NB: l’analisi statistica è necessaria poiché l’efficienza delle turbine eoliche è fortemente
dipendente dalle variazioni di velocità, risultando massima e circa costante solo tra 4 e 9 m/s. Questa è un
importante differenza rispetto ai generatori fotovoltaici, laddove al variare dell’irradianza, l’efficienza resta
costate.
CALCOLO DELLA PRODUZIONE ENERGETICA
In questo frangente ci riferiamo alla
producibilità di una singola turbina e risulta
la sommatoria dei prodotti , per una velocità
del vento all’altezza del mozzo, della curva
“potenza elettrica/velocità del vento”, fornita
dal costruttore, e della distribuzione delle
frequenze del vento (sperimentale o la
Weibull). Se ad esempio si considera una
turbina da 850 KW, che produce 765
MWh/anno, posso calcolare la resa finale
(final yield) come rapporto tra l’energia
annuale e la potenza elettrica nominale :
๐‘Œ๐‘“ =
๐ธ๐‘Ž๐‘›๐‘›๐‘œ
๐‘ƒ๐‘’๐‘™
=
765(๐‘€๐‘Šโ„Ž/๐‘Ž๐‘›๐‘›๐‘œ)
850(๐‘˜๐‘Š)
≈ 900 โ„Ž/๐‘Ž๐‘›๐‘›๐‘œ; da questo valore posso ricavare il capacity factor come il
๐‘Œ๐‘“
rapporto tra la resa finale e il numero di ore dell’anno→ ๐ถ๐น = 8760 100 = 10%(nel nostro caso). Va detto
che un capacity factor del 10% è abbastanza scarso , infatti il sito lavora meno di 1000 ore all’ano. Un buon
sito eolico on-shore deve avere un CF almeno del 20%, mentre un impianto off-shore si aggira intorno al 3040% con pichi del 50%.
Aspetti energetici ed economici dell’energia eolica
Nel paragrafo precedente abbiamo analizzato il caso della producibilità della singola turbina, tuttavia, la
maggior parte degli impianti fotovoltaici e delle centrali eoliche sono costituite da più turbine(più pale
eoliche). In questo tipo di impianti la produzione reale risulta ridotta se comparata al caso della singola
turbina a causa di fenomeni dissipativi, come l’effetto scia che perturbano il vento non consentendo
un’efficienza ottimale. Per quanto riguarda gli schemi di funzionamento delle turbine eoliche abbiamo due
possibili soluzioni:
1) Schema a velocità fissa: in questo tipo di di
configurazione le turbine sono dotate di
moltiplicatore di giri(gerabox) generatore asincrono (IG) e trasformatore trifase che le connette alla rete.
Questo tipo di turbine è indicata per siti ventosi ed è sicuramente la tecnologia eolica che per prima si è
sviluppata, soprattuto in Danimarca e Olanda, per ciò che concerne l’Europa; sono possibili rendimenti
elevati solo in prossimità della velocità nominale, con scorrimenti dell’ordine dell’1-2%. Tuttavia, sono
possibili anche scorrimenti più elevati fino al 10% ma per tempi limitati, per ridurre le sollecitazioni
meccaniche in caso di forte raffiche di vento(wind gust).
2) Schema a velocità variabile: in questo caso, non necessariamente bisogna usare un generatore ad
induzione (asincrono) ed inoltre, questa tecnologia è particolarmente adatta per siti con velocità del vento
moderata. Si possono avere 2 varianti, a seconda
del tipo di generatore e del convertitore elettronico
di potenza presente. Nella figura a fianco, abbiamo
la soluzione con generatore sincrono a magneti
permanente, che viene indicato dalla sigla PMSG(permanent magnet synchronous generator), convertitore
elettronico FSPC(full scale power converte) e trasformatore trifase per connetterlo alla rete; il convertitore
è necessario ed esso consta di un raddrizzatore, che trasforma la tensione in alternata a frequenza variabili
in tensione DC, e di un inverter che invece trasforma la tensione in tensione DC in tensione in alternata a
frequenza costante, ossia alla frequenza di rete. In questo caso il convertitore è dimensionato per tutta la
potenza che deve essere trasferita alla rete, al contrario del caso della seconda variante di questo tipo di
tecnologia, ovvero il DFIG. Quest’ultimo si basa su un generatore ad induzione e su un convertitore
bidirezionale partial-scale, ovvero dimensionato per trasferire solo una parte di potenza alla rete, ovvero la
potenza di rotore (pari al 30% del caso precedente). Questa seconda soluzione inoltre, a differenza della
prima, necessita di un gearbox ( moltiplicatore di giri). La turbina con PMSG e FSPC si definisce direct drive
proprio per tale ragione. NB: a prescindere dal tipo di soluzione impiegata, le turbine a velocità variabile
possono lavorare con scorrimenti che arrivano a ±30% ed inoltre permettono di ottenere rendimenti
elevati con velocità medio-basse (4-9 m/s) e per questo, sono indicate per quei siti non molto ventosi, tipici
ad esempio delle regioni italiane.
COSTI
Per quanto riguarda i costi essi si aggirano tra 1200-3000€/KW e nello specifico il costo più basso si riferisce
ad impianti e quindi centrali, dell’ordine del MW
di potenza, mentre il prezzo più alto a soluzioni
dell’ordine del centinaio di KW. Tuttavia,
nell’ambito della micro-eolica i costi possono
ulteriormente lievitare. Il costo dell’elettricità è
invece 3-15c€/KWh e ciò vuol dire che nei siti
più favorevoli la resa dell’eolico è superiore a
quella del fotovoltaico. A fianco abbiamo un
confronto a testimonianza di quanto appena
asserito. Al 2015 nel mondo risultano installati circa 63 GW di potenza derivante dall’eolico, con ben 5 paesi
che superano i 20000MW prodotti: Cina(145,362MW), USA(74 MW),Germania (44MW),India(25 MW) e
Spagna (23 MW).
NB: esistono dei siti specializzati per la stima della produzione energetica in vari siti di interesse.
SCELTA DELLE TURBINE E LORO DISTANZA
Nella progettazione di un impianto fotovoltaico il primo parametro da tenere in considerazione è il tipo di
turbina eolica per quel determinato sito, tant’è vero che un’adeguata scelta del tipo di turbina, in base alle
caratteristiche del sito, può migliorare anche del 15% la producibilità dell’impianto. In seconda battuta, se
vengono installate più turbine è importante valutare la corretta distanza tra un rotore eolico ed un altro, al
fine da scongiurare l’effetto scia (wake). Come sappiamo dal trinomio di Bernoulli, la presenza di un rotore
crea una sorta di imbuto e , sia prima sia dopo il rotore, la velocità del vento risulta minore e per ritornare
al proprio valore imperturbato iniziale è necessario essere ad una certa distanza dalla turbina. La scia
๐น๐‘‡
2
๐‘ง ๐ด๐‘ ๐‘ค ๐‘ˆโ„Ž
dipende dal coefficiente di spinta (thrust) CT: ๐ถ๐‘‡ = 0,5๐œŒ
๐‘Ÿ
, ๐‘Ÿ๐‘ฅ = ๐‘Ÿ0 + ๐›ผ๐‘ฅ, ๐‘ˆ๐‘ฅ = ๐‘ˆ0 + ๐‘ˆ0 (√1 − ๐ถ๐‘‡ −
2
1) (๐‘Ÿ0 ) , dove quest’ultima formula esprime la velocità della scia alla distanza x dalla turbina sopravento.
๐‘ฅ
Definisco le principali grandezze presenti nelle formule: ๐‘ˆ0 è la veloctà del vento sulla turbina eolica
sopravento; ๐‘Ÿ๐‘ฅ è il raggio della corrente d’aria a distanza x; ๐‘Ÿ0 raggio del rotore; ๐›ผ è un coefficiente scalare
che indica quanto velocemente si espande la scia ed in genere ๐›ผ = 0.075 per impianti onshore e ๐›ผ =
0.04 − 0.05 per impianti offshore. Approssimativamente la scia può essere vista come un cono. Ad
esempio, nella figura abbiamo una piccola isola con 4
turbine e le relative scie quando sono investite dal vento
proveniente da sud-est ed è possibile notare che l’effetto
scia provoca delle perdite di circa il 5% con CF=31%, che
ricordiamo essere il capacity factor ovvero la percentuale
delle ore dell’anno per le quali la turbina produce potenza
nominale.
ASPETTI RELATIVI ALLA DISPONIBILITÀ
Quelli appena analizzati sono aspetti che vanno a comporre il punto di vista del progettista, tuttavia, è
importante andare ad analizzare anche aspetti legati alla disponibilità della risorsa che limitano la
produzione. A tal proposito, bisogna considerare che le turbine sono soggette a guasti che le mandano
fuori-servizio. Si definisce frequenza di guasto (failure) ,che rappresenta il numero di guasti per turbina e
per anno, e la sua ripartizione per componente e per categoria di costo del guasto. Per le turbine a velocità
fissa, le frequenze di guasto più elevate sono per i componenti dell’azionamento meccanico (gearbox, pale);
per le turbine a velocità variabile, le frequenze di guasto dell’azionamento elettrico sono minori , ma la
frequenza di guasto dei componenti elettrici e del controllo( regolazioni del passo e sensori) sono elevate.
Possiamo definire il tempo utile Tu come il tempo in cui la velocità del vento è compresa tra 4 m/s (cut-in) e
25 m/s (cut-off); con Tf indichiamo il tempo di fuoriservizio, per cui la durata di produzione effettiva è ๐‘‡๐‘’ =
๐‘‡
๐‘‡๐‘ข − ๐‘‡๐‘“ . L’indicatore di disponibilità su base temporale è ๐ด ๐‘‡ = ๐‘‡๐‘’ . Quest’ultimo per una wind farm in un
๐‘ข
terreno ideale è >95%, tuttavia, in caso di terreno complesso ( terreno dalla morfologia complessa,
tipicamente non spianata e caratterizzato dalla presenza di piante ed edifici alti) può essere inferiore fino al
70%.
NB: durante il funzionamento, le turbine presentano potenze differenti, l’una dall’altra, per la stessa
velocità del vento. Inoltre, va detto che le potenze prodotte in condizioni reali sono più basse di quelle in
presenza di turbolenza.
In ambito progettuale è importante fare una stima della velocità del vento. A tal proposito, ci vengono in
aiuto gli anemometri montati sulle turbine, tuttavia, essi sono montati sul retro della navicella della turbina
e, per questo motivo, essi rilevano le velocità dopo che la corrente d’aria ha attraversato le pale. Bisogna
per cui stimare la velocità in ingresso ๐‘ˆโ„Ž๐ผ๐‘ in funzione di quella in uscita ๐‘ˆโ„Ž๐‘‚๐‘ˆ๐‘‡ poiché è necessario
confrontare il valore ottenuto con la curva di potenza del costruttore. Il metodo usato per la stima è basato
sulla procedura di taratura degli strumenti. Dopo la correzione dei dati, si compara il comportamento reale
sul campo con la curva di potenza del costruttore; in un terreno complesso si stima una riduzione nella
prestazione della wind farm del 25-35%. Anche il CF diminuisce, a volte anche al di sotto del 15%, che è un
valore scarso poiché teoricamente potrebbe valere anche più del 20%.
TAGLIO DELLA PRODUZIONE DI ENERGIA EOLICA
Un compito dei TSO (Transmission System Operators) e DSO (Distribution System Operators) è quello di
gestire la rete in presenza di fluttuazioni di frequenza e tensione , conseguenti alla produzione
intermittente delle wind farms. Le variazioni di frequenza dipendono dal bilancio istantaneo tra le potenze
attive generate e quelle assorbite a livello dell’alta tensione. L’intermittenza del vento impone dei vincoli ai
TSO :un caso tipico accade quando la sommatoria delle potenze attive generate supera la sommatoria delle
potenze attive assorbite (sovra-frequenza). In Cina ,alcune volte, il TSO preferisce tagliare l’energia eolica
piuttosto che spegnere le centrali elettriche a carbone. Questo taglio arriva al -10% della produzione annua.
È più semplice disinserire le centrali eoliche, a differenza di quelle termoelettriche, poiché quest’ultime
prevedono dei tempi di accensioni più lunghi ed altre implicazioni economiche.
TAGLIE DI POTENZA, DIFFUSIONE DEGLI IMPIANTI
Le taglie tipiche sono 660-850 kW, 1-6 MW con tensione del generatore di 690 V, che viene elevata
mediante trasformatore a 20 kV. Gli impianti si possono dividere in stand-alone e smart-grid. Il settore è in
forte crescita ed annualmente fa registrare un più 20% con la Germania e la Spagna, in Europa, che fanno
da capofila per quantità di energia elettrica prodotta.
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