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garfinkel-convertito

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Introduzione
1. Premessa
Sono passati circa 50 anni (era infatti il 1954) da quando H. Garfinkel (1917 -), durante una ricerca
sull’attività deliberativa svolta da una giuria popolare, si trovò a coniare il termine
“etnometodologia”. Metodologia nel termine “etnometodologia”: essa designa questa attenzione
delle persone (da qui il suffisso “etno” dello stesso termine) alla adeguatezza del modo di operare
“pratico” nelle circostanze quotidiane della vita vissuta insieme agli altri.
2. Genesi del pensiero di H. Garfinkel
Il lavoro di Garfìnkel è profondamente debitore delle opere di due grandi studiosi dominanti la
scena accademica americana negli anni in cui egli si andava formando, T. Parsons e A. Schntz2. Del
primo3 è stato allievo dal 1946 al 1952, con il secondo ebbe scambi sia personali che epistolari.
Quei temi che hanno avuto rilevanza per l’opera di Garfìnkel: la teoria dell’azione sociale, la natura
dell’intersoggettività e la costruzione sociale della conoscenza-, il primo dei tre affrontato da
Parsons, gli altri due da Schutz. Sullo sfondo la questione dell’ordine sociale, considerata da
entrambi. Come è noto Parsons, ne La struttura dell’azione sociale (1937, tr. It. 19873), Pone le
basi della sua teoria «volontaristica» dell’azione. In questa i riferimenti alle «norme* e ai tipo di
orientamento all’azione, che Parsons definisce «normativo», sono determinanti. L’-orientamento
normativo indica quel criterio con il quale – secondo l’autore —l’attore combinerebbe
logicamente i mezzi ai fini della sua azione4, con il termine “normativo” da intendere: a)
teologicamente «soltanto dal punto di vista dell’attore, [in quanto! Per l’osservatore non ha
connotazioni di carattere etico» (1937, tr. It 1987 3, p. 89, nota 7) e b) come “fine in se stesso,
senza considerazione del suo valore come mezzo per qualsiasi altro fine” (Id, p. 114).
‘I Fondamentale nella sua teoria volontaristica dell’azione è però soprattutto il concetto di norma,
mutuato direttamente da È. Durkheim (1906, tr. It. 2°012). Come è noto, per Durkheim le regole
morali sono costituite di due caratteri, l’obbligazione- e la «desiderabilità-. «È impossibile –
afferma Durkheim – che noi compiamo un atto unicamente perché ci è comandato, facendo
astrazione del suo contenuto. Per diventare agenti di un atto occorre che esso interessi in una
certa misura la nostra sensibilità e che ci appaia sotto certi aspetti come desiderabile.
L’obbligazione o il dovere esprimono quindi soltanto uno degli aspetti – e un aspetto astratto – dì
ciò che è morale. Una certa desiderabilità è un altro carattere, non meno essenziale del primo*
(Id, p. 166). Parsons fa propria questa definizione, ma inverte l’ordine degli elementi: -Una norma,
afferma, è una descrizione verbale del corso dell’azione ritenuto desiderabile, che si unisce ad una
ingiunzione a conformare determinate azioni future a questo corso- (1937, tr. It. 19873, P 114,
corsivo nostro). Ai fini della sua teoria, il volontarismo dell’azione risiede dunque, e in primo
luogo, nella desiderabilità dei fini, che nel linguaggio parsonsiano si trasforma in desiderio di
conformità a dei valori condivisi.
Correlato alla teoria dell’azione è il problema dell’ordine sociale. Parsons vuole fornire una valida
alternativa alio –schema d’azione utilitaristico» utilizzato da Hobbes, per il quale sarebbe
impossibile assegnare priorità ai fini a causa della loro casualità per l’azione. I fini, egli afferma,
non possono essere casuali, ma subordinati ad un sistema normativo dominante, interiorizzato
dagli individui e utilizzato per coordinare le azioni reciproche. Tuttavia, ne La struttura dell’azione
sociale la società viene già pensata come un sistema integrato, dove valori e norme agiscono come
mezzi/fini atti a garantire unitarietà e coordinamento alla vita associativa. Gli individui le
interiorizzano grazie al processo di socializzazione, le accertano come socialmente desiderate e vi
si adeguano. Così socializzati essi agiscono volontariamente rendendo nei fatti e rafforzando di
conseguenza l’ordine sociale da loro stessi sostenuto.
È da queste posizioni che Garfinkel si discosterà.
Secondo Garfinkel – ma anche per altri-nella teoria dell’azione di Parsons si darebbe troppo peso
al carattere coercitivo, esterno, dei fini e dei valori. La desiderabilità dei fini non sarebbe altro che
una finzione: niente volontarismo, dunque, ma solo condizionamenti all’azione. Inoltre, sempre a
sentire Garfinkel, non si capirebbe come possa avvenire concretamente la comprensione
soggettiva dell’agire durante l’interazione sociale. L’interiorizzazione di modelli preesistenti
l’individuo tramite socializzazione non sarebbe infatti sufficiente, continua Garfinkel, a spiegare
come gli attori ragionano e prendono decisioni sui loro effettivi corsi di azioni. Garfinkel vuole
capire come il diverso accento sulla conoscenza degli attori possa permettere loro di comprendersi
e di interagire; come l’ordine sociale, lontano dall’essere dato per scontato e definito, sia
sostenuto attivamente e modificato “in corso d’opera” dagli attori. Sarà dunque il modo con cui
indagare questi problemi a fargli prendere una direzione diversa da quella del suo “maestro”.
È merito di Schutz – sulla scia dei lavori di Husserl – ad aver posto il problema della comprensione
reciproca, indagando i modi con cui gli attori affrontano e “risolvono a fini pratici” il problema
dell’identità di significato nella comunicazione. Tale argomento, notoriamente conosciuto come il
carattere intersoggettivo della conoscenza, rappresenta il nodo teorico iniziale per Schutz. La
questione da cui egli parte è la constatazione che il punto di vista dell’altro, così come il significato
che egli attribuisce ai suoi atti, agli oggetti, alle esperienze in genere, non è mai identico al proprio
e a quello di nessun altro. Ciò accade per ragioni connesse alle diverse posizioni nello spazio, alle
motivazioni e alle biografiche specifiche di ognuno, ma soprattutto a causa del problema della
diversa rilevanza, cioè del diverso grado di “interesse” con i quali i parlanti selezionano specifici
tratti della situazione in vista di determinati fini. Malgrado questo, una comprensione tra i soggetti
è comunque possibile. Ciò è realizzabile – afferma Schutz – in quanto nell’ambito
dell’atteggiamento naturale gli individui trascurano ogni differenza ritenuta irrilevante “ai fini
pratici” e compiono due fondamentali operazioni “date per scontate”: 1) L’idealizzazione
dell’interscambiabilità dei punti di vista e 2) l’idealizzazione della congruenza del sistema di
attribuzione di rilevanza5. I soggetti in vista dei loro “fini pratici” assumono che se si scambiassero
reciprocamente le loro prospettive o punti di vista vedrebbero esattamente ciò che l’altro, e
quindi ognuno, vede; Grazie al “fine pratico”, dunque, le due idealizzazioni fanno in modo che il
mondo appaia ai soggetti in una identica maniera.
l’unica accezione: l’accento sull’elemento morale dell’azione e dell’ordine. Saranno proprio i
breaching experiments, che qui si presentano, a dimostrare quanto {’intersoggettività debba
contare sulla “fiducia” reciproca delle aspettative e quanto ciò abbia caratteri morali.
3. L’etnometodologia di H. Garfinkel
I Con il termine etnometodologia si deve intendere lo studio delle proprietà dell’agire e del
ragionamento pratico di senso comune e del modo (i metodi) in cui queste sono impiegate dagli
attori sociali per dare senso alla, e per agire nella, vita quotidiana al fine di dimostrare in
continuazione la correttezza del proprio agire e del proprio parlare. Questi metodi sono utilizzati
dalle persone per comprendere e per farsi comprendere, per realizzare compiti e per far sì che gli
altri li riconoscano, in una sorta di generale procedura di significazione di qualsivoglia attività
sociale realizzata dagli attori sociali nella vita quotidiana. L’etnometodologia non si preoccupa
dunque di spiegare il senso che un soggetto attribuisce alla propria e all’altrui azione, secondo la
ben nota definizione weberiana, bensì di spiegare i meccanismi che portano chiunque a prendere
certi eventi come dei fatti dati per scontati.
Detto altrimenti, l’etnometodologia si caratterizza nel considerare ogni situazione sociale (sia essa
un rito o un teorizzare scientifico) non più come un fatto autoevidente, da spiegare, ma come una
realizzazione pratica attivamente realizzata e sostenuta dai soggetti coinvolti nella situazione. La
massima che guida l’etnometodologia è dunque del tipo: «tratta i fatti sociali come realizzazioni»
(Pollner, 1974).
Caratteristica della situazione sociale, oltre alla sua continua e contingente auto-organizzazione, è
il carattere “raccontabile e spiegabile” (accountability) delle pratiche utilizzate dagli attori per
mantenere stabile, o per modificare, la situazione in cui si trovano. L’accountability è per Garfinkel
una proprietà tipica di qualsiasi “fatto”: è ciò che lo rende evidente e spiegabile in ogni momento,
non soltanto quando risulta “strano” o “inconsueto”. Un’azione è accountable in quanto sempre,
implicitamente o esplicitamente, intelligibile, anche quando è richiesta espressamente.
L‘accountability serve la comprensione, ne è un mezzo fondamentale, è condizione per ogni azione
sociale successiva (prima comprendere, poi agire). Nel caso dei giurati, Garfinkel notava come
questi fossero consapevoli che ogni loro osservazione, giudizio, asserzione, fosse sottoposta al
giudizio del pubblico circa la loro “ragionevolezza”. La disponibilità allo scrutinio di ogni “fatto”
rappresenta appunto il suo carattere accountable, cioè raccontabile.
L’etnometodologia non è direttamente interessata all ‘accountability delle pratiche in quanto tali,
né canto meno al modo in cui questa viene resa come narrazione dal soggetto. Essa è piuttosto
interessata alle pratiche stesse, di cui la narrazione è «parte costitutiva» ma non rilevante ai fini
della ricerca etnometodologica. Tra la pratica e la “raccontabilità-spiegabilità” della pratica stessa
vi sarebbe inoltre – secondo la ben nota espressione di Garfìnkel – una relazione di tipo isomorfo
(1967c, tr. It. 1983, p- 55). Ciò significa due cose: 1) che i modi in cui una situazione è organizzala
dagli attori coincidono con i metodi che i soggetti usano per dimostrare di essere attori razionali e
competenti in quella data situazione; 2) che tali metodi sono raccontabili e spiegabili, ovvero
riproducili linguisticamente e in grado di dar conto di quanto si è fatto e si fa per mantenere
inalterato l’ordine comune delazione. Tale circolarità è resa da Garfinkel con il termine riflessività
(riflexivity), una delle due proprietà degli account, oltre alla indicalità o indessicalità (indexicality).
Tutte queste insieme al metodo documentario d’interpretazione, sono parte della cassetta degli
attrezzi concettuali del programma di ricerche empirico dell’etnometodologia.
Per ciò che concerne la riflessività, questa non indica affatto quella capacità critica, propria del
soggetto o di una organizzazione complessa, dì poter tornare sull’oggetto modificandola. La
riflessività per gli etnometodologi è connessa alle pratiche di accounting:
“attività attraverso cui i membri della società producono e gestiscono situazioni di relazioni
quotidiane organizzate sono identiche ai procedimenti usati dai membri per renderle “spiegabili(accountable). il carattere ‘riflessivo” o ‘incarnato” delle pratiche di spiegazione (accounting) e
delle spiegazioni (accounts) costituisce il punto cruciale in questione. Quando dico “spiegabili” […]
intendo dire che tali pratiche costituiscono una realizzazione contingente e continua; che sono
svolte e fatte accadere come eventi nell’ambito dì quelle stesse faccende quotidiane che
nell’organizzare esse descrivono” (Garfinkel, 1967c; tr. It. 1983, p. 559).
’isomorfismo – o riflessività incarnata – tra azione e sua spiegazione-racconto si tradurrebbe
dunque nel fatto che ogni pratica sociale (sia essa un’azione, un’affermazione, un’osservazione, o
qualunque altra cosa) si avvarrebbe di resoconti sull’azione stessa che servono al tempo stesso al
soggetto e agli altri per, produrre e sostenere il significato veicolato (da qui il loro carattere
“incarnato”) e per dimostrare la loro capacità razionale di controllo è di mantenimento della
situazione socialmente organizzata. I resoconti delle pratiche (giustificazione, spiegazione,
discorso) sono parte costitutiva delle pratiche stesse. Nel rendere conto delle azioni, nello
spiegarle in modo razionale, i soggetti producono – allo stesso tempo – la razionalità di tali azioni:
il che significa rendere la vita sociale una realtà comprensibile, coerente (Wolf, 1979, p. 129). Nel
linguaggio etnometodologico, l’agire implica una intelligibilità immediata di “azione significativa’
ed “ordinata”, comprensibile per i soggetti coinvolti nella situazione sodale, perché trasparentenel significato. Gli individui sono cioè in grado di “leggere” l’azione e conferirgli un senso nel
momento in cui si svolge.
Le pratiche sociali oltre ad essere riflessive sono anche indicali In linguistica un’espressione è
definita indicale quando il suo significato dipende dalla situazione specifica nella quale è
impiegata. Termini come “io”, «tu», -qui-, “ora”, “ieri” e loro numerosi correlati «sono segni
“vuoti”, non referenziali in rapporto alla “realtà”, sempre disponibili, e che diventano “pieni” non
appena un parlante li assume in ogni situazione del suo discorso (Benveniste, 1966,’p. 304).
Per Garfinkel l’indicalità è una caratteristica tipica non solo del linguaggio, ma di ogni attività
quotidiana, nella quale succede spesso che le persone facciano sforzi per riuscire a capirsi e per
superare le ambiguità veicolate da queste espressioni. L’azione per essere compresa deve essere
riferita al suo contesto di produzione, anche se il suo senso non può mai essere compreso
“interamente” dagli interlocutori, ma solo interpretato. È invece il senso pragmatico degli attori in
vista di “fini pratici” – non sempre eseguito con consapevolezza – a permettere dì chiudere un
vortice interpretativo mai definitivo. Questa capacità è una vera e propria competenza a
disposizione dei soggetti, membri della situazione di conversazione: questi sanno amministrare in
modo del tutto ordinario ed ordinato l’immenso numero di “particolari indicali”, calati nelle
pratiche sociali, per mezzo di standard pratici di comprensibilità. Le espressioni indicali vengono
gestite “naturalmente” dagli interlocutori, tanto che ogni spiegazione si trasforma in “rumore” per
la comprensione “a fini pratici”.
Il metodo documentario d’interpretazione (Garfinkel, 1967), 3, mutuato da K. Mannheim (1952, tr.
It. 1974) e da E. Husserl sulla percezione degli “oggetti”, infine, consiste nel considerare ogni
evento della vita quotidiana come presupposto da un modello interpretativo sottostante
posseduto dagli attori. Ogni evento sociale, anche quando si presenta all’esperienza per la prima
volta, secondo questi autori sarebbe sempre riconducibile ad una interpretazione capace dì
“tradurre” il non familiare in familiare, ciò che “non è noto” in ciò che io è. Una caratteristica
invariabile della cognizione umana.
1. La fiducia e i breaching experiments
Il testo è inserito come capitolo 7 del volume Motivation and social interaction (1963), a cura dello
psicologo sociale O. J. Harvey10. Al centro del lavoro è il tema dell’ordine sociale; l’obiettivo è
l’analisi dell’interazione: sociale nella sua concretezza per osservare cosa accade quando vengono
sistematicamente violate le, idealizzazioni dell’intercambiabilità dei punti di vista e della
congruenza del sistema di attribuzione di rilevanza.
Garfinkel vuole analizzare l’ordine sociale non nella maniera proposta dal suo maestro (cercando
le variabili che contribuiscono alla [sua] stabilità), ma nei modi in cui l’individuo, di comune
accordo con gli altri e in maniera inconsapevole e situata, lo consegue «di norma e in modo
routinario». Anzi, secondo la ‘procedura alternativa’, provocando per via sperimentale delle
‘interazioni disorganizzate» si potrebbe addirittura far emergere il modo in cui gli attori
sostengono attivamente questo ordine. Lo scopo dei breaching experiments è quello di far
emergere le strutture sociali sottostanti alle situazioni ordinarie di vita e mostrare allo stesso
tempo sia la cogenza dell’atteggiamento naturale nella vita ordinaria (ovvero che gli individui –
fino a prova contraria – sospendono normalmente il dubbio che le cose non siano come
appaiono), sia anche la responsabilità degli atti compiuti. Per Garfinkel, infetti, un comportamento
“non sensato”, volontario o involontario, può essere valutato come “immorale” perché causa di
situazioni umilianti per chi lo subisce (smarrimento, costernazione, confusione, offesa). Vi si può
reagire con sdegno, trattando l’esecutore come indegno, incapace, traditore, ma, soprattutto e qui
sta la novità, vi si può reagire privando l’altro del suo requisito di membro bona fide del gruppo.
Garfinkel vuole dimostrare che nella vita quotidiana gli interlocutori sono implicitamente ritenuti
membri bona fide del gruppo perché considerati corretti (dimensione normativa) e capaci di
gestire l’interazione (dimensione cognitiva); attivamente impegnati a mantenere inalterata la
“normalità apparente”. In tutti questi casi ci si fida dell’altro perché si crede nella sua capacità
(volontà) di mantenere e di ‘aderire a tale ordine’ (p. 49). Quando poi la realtà non può più essere
data per “scontata”, chi subisce la violazione è chiamato a ri-definire la situazione o, peggio, a
ritirarsi dalla scena, mentre chi la provoca viene etichettato come “strano”, “pazzo”, “criminale”.
Diversamente da quanto accade nella vita reale, infatti, nei giochi le regole sono chiaramente
conosciute ed accettate mutualmente dai giocatori prima ancora di iniziare la partita, cosa ben
diversa dalla vita quotidiana, nelle quale le regole non sempre sono chiare e definite. Un terzo
punto si collega a Schutz, per il quale partecipare ad un gioco implicherebbe assumere un
atteggiamento diverso, quindi altro, da quello “naturale” della vita quotidiana. Giocare – afferma
Garfinkel - «implica per definizione la sospensione dei presupposti e delle procedure della vita
“reale”» (p- 76). In più, il giocatore sa di poter lasciare o di poter modificare il gioco quando più gli
piace, semplicemente cambiando il tipo di atteggiamento nei suoi confronti. Un ultimo punto,
infine, e questo è importante, afferma come nei giochi le regole di base siano indipendenti dal
gioco stesso, una volta apprese e disponibili esse costituiscono il gioco e determinano le
aspettative dei giocatori.
La conclusione che trae Garfìnkel da questi punti è di una struttura sottostante dei giochi
completamente diversa da quella degli eventi della vita quotidiana. Gli eventi della vita quotidiana
non sono «incapsulati», non sono facilmente ed automaticamente interpretati alla luce delle loro
regole basilari. D’altra parte, se egli si appresta a lasciare il contesto di gioco per ripetere gli
esperimenti in un contesto di vita reale è perché un punto di contatto tra le due “province di
significato” esiste ed è valido. «Le tre proprietà definitive delle regole basilari del gioco – afferma
Garfìnkel – sono peculiari non solo ai giochi, ma si ritrovano anche come tratti di quelle
“assunzioni” che Schutz definisce come ‘atteggiamento della vita di tutti i giorni” (p. 79). Assumere
nel senso di Schutz, continua Garfìnkel, significa “che il soggetto delimita le proprie azioni entro un
ambito ristretto di eventi possibili” al punto tale che egli sperimenta “sgomento” quando certi
eventi violano tale attesa” (p. 79). Il terreno per le sperimentazioni è dunque disposto.
Con il primo esperimento (dimostrazione sperimentale 1) Garfinkel testa l’idealizzazione della
congruenza del sistema di attribuzione di rilevanza: agli studenti-sperimentatori viene chiesto di
iniziare una conversazione con un amico o con un conoscente e, senza far apparire la cosa strana,
di sollecitare questi chiarire meglio il significato delle loro osservazioni di senso comune. Con la
dimostrazione sperimentale 2 è l’idealizzazione dell’interscambiabilità dei punti di vista ad essere
testata. Qui gli studenti dovevano entrare in un negozio, individuare un cliente, trattarlo
inequivocabilmente come un commesso e sostenere quanto più a lungo possibile la situazione.
Nella dimostrazione sperimentale 3 gli studenti-sperimentatori dovevano trattare la situazione
non come quella che appariva essere ai loro interlocutori, spesso familiari, ma diversamente, così
che le attese sull’ordine costituto fossero da loro messe in discussine. Con questo esperimento
Garfinkel testa il presupposto della condivisione di un comune schema di comunicazione, di una
realtà che non può non venire osservata e valutata secondo un comune schema adeguato di
familiarità/estraneità, vicinanza/lontananza, intimità/anonimità. Infine, con la dimostrazione
sperimentale 4, nei quali gli studenti appaiono non più in veste di sperimentatori ma di “cavie”,
Garfinkel crea le condizioni affinché il presupposto della comprensione di ‘ciò che tutti sanno’, che
qualcosa sia “ovviamente evidente” per tutti, sia messo in discussione. Questo esperimento è
molto più elaborato e lungo degli altri.
Veniamo ai risultati. Tutti gli esperimenti erano tesi a violare quelle idealizzazioni e quelle
aspettative che i soggetti normalmente in un contesto di vita quotidiana non problematizzano.
Ebbene in tutti i casi Garfìnkel dimostra quanto la loro violazione produca foni reazioni emotive e
spinga verso una immediata ridefinizione della realtà. Nelle prime tre sperimentazioni le “cavie”
spesso reagivano assumendo un atteggiamento di “legittima ostilità” (righteous hostility),
sanzionando i violatori con espressioni dure e dirette. Nell’ultima, lo sconcerto provato per la
messa in discussione della “ovvietà” della situazione ha generalmente prodotto tra gli studenticavie una ridefinizione della realtà, provocata dal fatto che i giudizi, seppur insoliti e discrepanti
con i propri, fossero enunciati da persone riconosciute come degli “esperti” (qui ha funzionato il
meccanismo del metodo documentario di interpretazione). Quando questa «definizione non c’è
stata, quando cioè gli studenti si sono “aggrappati” alle proprie convinzioni ritenendo che a
sbagliare fossero gli “esperti” – non loro – si è riscontrato un accanimento contro lo
sperimentatore, accusato di essere scorretto o iniquo. Alia fine dell’esperimento tutti hanno
affermato di aver provato sollievo quando è stato svelato loro l’obiettivo; per alcuni è staro
addirittura difficile convincerli della verità.
La conclusione è che il mantenimento delle reciprocità di prospettive, caratteristica
dell’atteggiamento naturale della vita quotidiana, non è solo il prodotto di operazioni cognitive
messe in atto dagli attori per dare un senso all’azione, ma anche dì operazioni che hanno come
obiettivo il rispetto morale delle aspettative. Ci si attende che l’altro, con competenza e lealtà, non
deluda le aspettative di ordine. Si ha fiducia in questo, si ha fiducia che l’altro porterà a termine il
compito senza provocare problemi 11.
2. Elementi per teoria generale della fiducia
Si può, però, andare oltre e provare ad avanzare proposte nuove sul posto che queste riflessioni
possono avere nell’ambito di una teoria generale della fiducia. Due saranno i punti trattati: il
carattere, allo stesso tempo, cognitivo e normativo della fiducia; la definizione di fiducia.
Veniamo al primo punto. Il carattere «ambivalente» della fiducia, allo stesso tempo cognitivo e
normativo, è richiamato più volte in letteratura (Mutti, 1986; 1998* Cotesta, 1998; Prandini, 1998,
pendenza, 2000). Rispetto al primo carattere, questo si riferisce al fatto che la fiducia opera in un
campo d’azione d’incertezza, in una zona intermedia compresa tra completa ignoranza” e
“completa conoscenza” (Simmel, 19982, P- 299). Ciò significa che non si ricorre alla fiducia né
quando ci si trova in una situazione di assoluta mancanza di informazioni né quando tutto ci è
invece noto. Troppo rischioso nel primo caso (qui vale la speranza o la fede), non necessaria nel
secondo12. È dunque la mancanza di informazioni e di capacità di controllo sulla realtà (sia
spaziale che temporale) a determinare il ricorso alla fiducia, intesa qui come una “soluzione”
cognitiva al “vuoto” informativo. Il riferimento al “rischio”, inoltre, accentua ancor di più il ricorso
al carattere razionale della fiducia. Secondo Deutsch, ad esempio (ma anche altri), si può
legittimamente parlare di fiducia solo quando «gli effetti dell’esito negativo di una mancata
promessa sono maggiori degli effetti di un esito positivo di una promessa mantenuta (Deutsch,
1962, p. 303) Quando cioè fiducia significa scommessa, calcolo delle probabilità del successo e dei
costi da sostenere. In sintesi, quando è il carattere cognitivo della fiducia ad essere evidenziato, si
parla di concezione razionale della fiducia. Mentre il paradigma di riferimento è quello della scelta
razionale.
Si parla invece di concezione normativa della fiducia, e, per comodità, di paradigma del legame
sociale, quando a venire marcato è il suo carattere morale13 in questo gruppo vi si ritrovano
studiosi del calibro di Durkheim e di Mauss (con la sua teoria del dono) e in genere rutti coloro che
rifiutano di osservare il rapporto sociale con la lente dell’utilitarismo. Da questo punto di vista,
questi autori non negano la natura rischiosa della fiducia, solo non si limitano a questa. Inoltre,
con riferimento al rischio, vi riscontrano una base “non razionale”, fondata sulle capacità
predittive umane. In genere, poi, quando si ha che fare con individui, la vulnerabilità connessa al s
carattere rischioso dell’azione chiama in causa altri elementi, che poco hanno a che fare con il
calcolo stesso. Fidarsi, affermano questi autori, oltre a comportare rischio, comporta aspettative e
veicola rappresentazioni, entrambe mutevoli in caso di disattesa. Conferire fiducia, ad esempio,
equivale ad accettare l’altro così come appare; ma ancor di più significa aprigli un credito, la cui
riscossione non è né immediata né richiesta esplicitamente (Cotesta 1998; Pendenza 2000). In
questo ultimo caso, l’altro è anche nella possibilità di controllare la situazione e di approfittarne:
può rispondere conformemente o meno allatto iniziale e alle aspettative. Comunque vada, vi si
dipende e la dipendenza è uno dei caratteri costitutivi della fiducia. L’altro ha del potere, può
usarlo, ma proprio per questo si determina responsabilità. Questa responsabilità ovviamente può
anche non essere sentita, tanto da non tenerne conto e di approfittare comunque della situazione.
Tuttavia, chi pone fiducia si aspetta che l’altro ne riconosca resistenza e ne sia consapevole. Ne
consegue che solo l’atto di dare fiducia può veramente dirsi libero, della replica ad esso un po’
meno14.
Risaltare l’uno o l’altro carattere della fiducia è dunque, a nostro avviso, riduttivo: entrambi sono
costitutivi dell’azione fiduciaria. E così è anche per Garfìnkel, per il quale i due caratteri
sembrerebbero inestricabilmente intrecciati. Tuttavia, quello che ricaviamo di nuovo dal suo
lavoro è l’impressione – non proprio irrilevante – che sia possibile addirittura “generalizzare” il
carattere duale della fiducia, estendendolo fino alle situazioni “irriflesse” del mondo dato per
scontato. In ogni situazione, sia quando la fiducia è il frutto di una deliberata azione, sia quando se
ne è poco consapevoli, non cambia la propria natura. Cosa importante se si vuole procedere verso
una sua definizione generale. Giungiamo così al secondo punto.
In genere, la letteratura distingue due tipi di fiducia. Istituzionale (o sistemica) e interpersonale. La
differenza è sia dal punto di vista del destinatario – organizzazione oppure individui – sia del
contenuto –aspettative di stabilità e di regolarità di un dato ordine naturale e/o sociale oppure
aspettative di autenticità della relazione ego-alter. Ovviamente qui si semplifica, la letteratura è
estesa e piuttosto particolareggiata (si vedano, per tutti, i lavori di Luhmann, 1973, tr. It. 2002;
1989; Giddens, 1990, tr. It. 1994; Sztompka 1996). A questi due tipi di fiducia, però, se ne
dovrebbe aggiungere un terzo, con punti di contatto con Garfìnkel (e con la fenomenologia in
genere). Non si ha un termine specifico per indicarlo, si può per comodità denominare tale fiducia
come fiducia naturale Co ingenua), in riferimento all’atteggiamento naturale teorizzato dai
fenomenologi. Cos’ha di diverso questa fiducia dalle altre due? Essenzialmente il carattere
irriflesso, inintenzionale dell’atto15. Si può affermare che l’”intenzionalità” dell’azione sia il “filo
rosso” che lega i tre tipi di fiducia: bassa per la fiducia naturale; alta per la fiducia interpersonale
volontaria; variabile per la fiducia istituzionale/sistemica. Spesso, proprio a causa di questa scala di
intensità ci si riferisce alla fiducia naturale come di base per le altre due (Giddens così la definisce
sulla scia dei lavori di Erikson e di Wìnnicott). II livello di consapevolezza richiesto nella fiducia
sistemica ed interpersonale – si afferma – avrebbe bisogno di un livello di “coscienza pratica”
presupposto. Una simile impostazione-per quanto valida – ha però contribuito a limitare la
diffusione di una teoria generale della fiducia. Anzi, ha finirò ancor di più ad allontanare ogni
tentativo in questa direzione. Ed è qui che forse il lavoro di Garfìnkel può tornarci utile. A riflettere
sul suo saggio, si potrebbe intendere la fiducia, in qualunque forma la si consideri (fiducia
naturale, interpersonale, istituzionale/sistemica), come un’aspettativa positiva che l’altro porterà
a termine un compito che ha effetti su di noi (istituzioni e sistemi sono considerati nella loro
componente umana). Non importa se tale compito sia espresso e l’aspettativa consapevole
l’attesa può non essere problematizzata e il compito non sempre essere evidente
all’osservazione); non occorre neppure che il compito sia conseguenza di una richiesta preliminare
e deliberata, da richiamare in caso di disattesa. Ciò che è veramente determinante per l’azione
fiduciaria è il carattere dell’attesa, i cui effetti possiedono le caratteristiche della problematicità.
Garfinkel LA FIDUCIA
Nel rendere conto della persistenza e della continuità delle caratteristiche delle azioni concertate,
i sociologi comunemente selezionano un insieme di caratteristiche stabili di un’organizzazione di
attività e cercano le variabili che contribuiscono alla loro stabilirà. Ci sarebbe una procedura
alternativa che sembrerebbe più conveniente: iniziare con un sistema che possiede caratteristiche
stabili e chiedersi cosa si può fare per creare instabilità. L’operazione che si dovrebbe
intraprendere per produrre e sostenere il carattere anomico di certi contesti percepiti e le
interazioni disorganizzate) ci dovrebbe rivelare come le strutture sociali sono mantenute di norma
in modo routinario.
Il punto di vista
La decisione di Parsons (1953) di incorporare l’interezza della cultura comune nel super-io ha,
come sua ovvia conseguenza interpretativa, il fatto che la modalità dell’organizzazione di un
sistema di attività corrisponde alla modalità di produzione e di mantenimento delle sue
caratteristiche organizzative. Fenomeni strutturali come il reddito e la distribuzione occupazionale,
gli assetti familiari, la stratificazione sociale e le proprietà statistiche del linguaggio, sono prodotti
che emergono da una gran quantità di lavoro comunicativo, percettivo, di giudizio, nonché
“accomodativo”, per mezzo del quale le persone, incontrando dall’Interno della società” gli
ambienti che essa stessa fornisce loro, in concerto stabiliscono, mantengono, restaurano e
modificano le strutture sociali, quali prodotti assemblati di corsi di azione prolungati nel tempo e
indirizzati verso quegli ambienti da “loro” conosciuti. Allo stesso tempo, queste strutture sociali
sono, per le persone, condizione sottesa per la gestione concertata di tali ambienti1.
Tale concezione può essere riformulata attraverso i seguenti assunti, sui quali si basa la nostra
ipotesi di lavoro:
1) Le caratteristiche organizzative e operative delle azioni concertate sono determinate
fondamentalmente da do che i componenti del sistema ritengono espressione effettiva e
potenziale di eventi percepiti come normali, riferiti ai loro ambienti interpersonali e ai loro
rapporti interattivi.
2) Una persona risponde non solo ai comportamenti percepiti, ai sentimenti, alle motivazioni, ai
rapporti e ad altri elementi socialmente organizzati della vita circostante, ma ciò che è più
pertinente a questa ricerca, egli è sensibile anche alla percepita normalità (perceived
normality) di questi eventi. Con “percepita normalità” degli eventi mi riferisco ai caratteri
percepiti come formali che gli eventi dell’ambiente assumono per il soggetto in quanto: istanze
di una classe di eventi, la tipicità, “possibilità” di realizzazione, la probabilità-, comparabilità
con eventi passati e futuri; condizioni del loro accadere, le relazioni causali; collocazione in un
insieme di relazioni mezzi-fini, l’efficacia strumentale, necessità rispetto ad un ordine naturale
o morale, la necessità morale.
3) Nel caso di discrepanza fra eventi attesi e reali, le persone agiscono elaborando delle ipotesi
percettive e di giudizio in cui tali discrepanze vengono “normalizzate” (normalized.). Con
“normalizzate” intendo dire che i valori percepiti come normali di tipicità, comparabilità,
probabilità, relazione causale, efficacia strumentale e. necessità morale vengono ripristinati.
4) Le occasioni di “brutte sorprese”, nonché il processo di elaborazione della normalità, non
avvengono in modo idiosincratico o indipendentemente dalle strutture sociali di routine del
gruppo. Tali occasioni e processi sono non solo determinati da queste strutture, ma
contribuiscono allo stesso tempo a determinarle
5) La persistenza, la continuità, la riproducibilità, la standardizzazione, l’uniformità delle strutture
socìali – cioè la loro “stabilità” nel tempo a prescindere dagli attori che agiscono – sono
prodotti che emergono dai percepiti valori normali di eventi interpersonali che i membri di un
gruppo cercano di mantenere attraverso la loro attività di aggiustamento
6) La riconciliazione tra le caratteristiche stabili delle strutture sodali, da un lato, e il trattamento
di ambienti interpersonali “visti dall’interno”, dall’altro, è ipotizzata dalla teoria sistemica di
Parsons (1961) mediante il ricorso a due teoremi: a) le strutture sociali consistono in modelli
istituzionalizzati della cultura normativa; b) le caratteristiche stabili delle strutture sociali,
intese come assemblaggio di azioni concertate, sono garantite da un motivato consenso verso
un ordine legittimo.
Il nostro compito è di capire ciò che occorre per produrre, a dei membri di un gruppo con
caratteristiche stabili, degli ambienti di eventi percepiti come “privi di senso”. Questo termine,
preso in prestito da Max Weber (1946), fa riferimento ad eventi che i componenti del gruppo
percepiscono come casuali e arbitrari, senza una storia pertinente o futura, senza mezzi, senza
carattere o necessità morale.
In senso ideale, e in linea con la teoria dell’organizzazione di Durkheim (1951), in ambienti
percepiti con tali proprietà si assisterebbe ad una totale cessazione delle attività. Non potendo
arrivare a questo stato ideale, ci si dovrebbe imbattere in comportamenti di smarrimento,
incertezza, conflitto interno, completa incongruenza, isolamento psico-sociale, acuta ansia
generale, perdita di identità e sintomi vari di spersonalizzazione. In breve, si dovrebbe riscontrare
ciò che Paul Schilder (1951) definisce brillantemente “un’amnesia per le strutture sociali”. Le
caratteristiche disorganizzate delle strutture sociali dovrebbero variare di conseguenza. La severità
di questi effetti dovrebbe variare direttamente con il livello di investimento di una persona, cioè
con le condizioni che garantiscono una conformità motivata nei confronti di un ordine legittimo.
Tale adesione appare, dall’interno, come il prodotto dell’interpretazione e dell’accettazione degli
eventi da parte di una persona in base ai “fatti naturali della vita in una società”. Poiché tali “fatti
naturali della vita”, cioè la cultura comune, sono descritti dal punto di vista del membro del
gruppo come un mondo conosciuto e dato per scontato, in comune con gli altri membri, la
severità di questi effetti dovrebbe variare indipendentemente dalle caratteristiche della
personalità, così come sono concepite convenzionalmente dalla maggior parte elei meccanismi di
valutazione della personalità.
Come possiamo alterare una scena di eventi in modo tale da rendere una persona incapace di
“afferrare” (grasp) ciò che sta succedendo?
Operare con il concetto di “fiducia”
Rimanendo in ambito teorico, affermiamo che gli eventi significativi sono interamente ed
esclusivamente eventi che si situano nell’ambiente esterno di un individuo, secondo quanto
definito da Hallowell (1955). Quindi non c’è bisogno di guardare nel cranio delie persone, dove
non troveremo niente di importante al di fuori del cervello. Per aiutare a localizzare gli eventi che
devono essere alterati allo scopo di produrre stati anomici, ho concepito il fenomeno delia fiducia
{trust). Prenderò in considerazione i giochi e inizierò da un’analisi delle loro regole dalla quale sarà
sviluppato il concetto di “ordine costitutivo degli eventi” (constitutive order of events) di gioco.
L’adesione a tale ordine sarà sviluppata come definizione generale del termine “fiducia”. A
sostegno di tale concetto, presenterò alcune conclusioni derivate dal gioco del tris (ticktacktoe).
Dopo alcune critìche appropriate sull’uso dei giochi, estenderò ciò che abbiamo appreso a
proposito della fiducia come condizione per “afferrare” (grasping) gli eventi di gioco alla fiducia
come condizione per “afferrare” gli eventi della vita quotidiana. I primi risultati saranno allora
citati a sostegno o a critica di questo concetto.
LE REGOLE DI BASE COME DEFINIZIONE DEGLI EVENTI COSTITUTIVI DI UN GIOCO. Inizieremo dalla
situazione stabile di un gioco, per mettere in evidenza che le sue regole di base servono a ciascun
giocatore quale schema per riconoscere ed interpretare i comportamenti degli altri giocatori ed
anche i propri come eventi della condotta di gioco. Le regole di base di un gioco definiscono le
situazioni e gli eventi normali del gioco per coloro che vi si attengono (un giocatore).
Se si esaminano le regole di un dato gioco, ad esempio del baseball, degli scacchi o di qualsiasi
altro gioco descritto in un libro di giochi, si evince che un set di regole di quel gioco differisce da
quello di un altro in virtù del fatto che esibisce le seguenti tre proprietà:
1) Dal punto di vista del giocatore i territori alternativi di gioco, il numero dei giocatori, la
sequenza delie mosse e così via, rappresentano per lui un sistema fisso di riferimento (frame),
per cui egli si attende che la propria scelta avvenga, sempre e comunque, a prescindere dai
propri desideri, dalle circostanze, dai progetti, dagli interessi o dalle conseguenze che essa avrà
per lui e per gli altri.
2) Il giocatore si attende che il sistema fisso di riferimento sia vincolante per sé e per gli altri.
3) Il giocatore si attende che il suo avversario abbia le stesse attese nei propri confronti.
Definiamo attese costitutive (consitutive expectaneias) queste tre proprietà.
Alcune definizioni ed osservazioni
1) Queste tre proprietà sono parte costitutiva di un set di regole che chiameremo regole di base
(basic rules). Seguono ora le definizioni delle regole di base del tris: il gioco è condotto su una
matrice tre per due, da due giocatori che muovono alternativamente. Il primo fa un segno
nella celletta libera. Il secondo, a sua volta, fa un segno in una delle celle rimanenti, e cosi via.
Il termine “giocatore di tris” si riferisce ad una persona che cerca di agire in conformità a
questi eventi possibili, in quanto eventi costitutivamente attesi.
2) È possibile assegnare delle attese costitutive ad uno svariato numero di giocatori, sequenze di
mosse, territori di gioco, e così via. Con accento costitutivo (constitutive accent) ci si riferisce,
invece, al fatto che le tre attese costitutive vengono assegnate ad alcuni particolari set di
eventi possibili e non ad altri.
3) Definiamo ordine costitutivo degli eventi (constitutive order of events) di gioco ii set di eventi
possibili correlato alle attese costitutive.
4) Nei nostri termini, un gioco si definisce coll’elencare le sue regole di base a cui le attese
costitutive sono collegate. In aggiunta alle regole di base ci sono almeno altre tre
caratteristiche necessarie per descrivere il gioco come un ordine normativo o disciplina: a) la
regola dell’“eccetera”; b) un set enumerato di regole di gioco preferito (preferred play); c) un
set enumerato di condizioni di “gioco-finito” (game-finished). Oltre a queste, ci sono due
ulteriori elementi che descrivono un gioco così come è realmente giocato: a) la “validità” di
questa disciplina, cioè l’alta probabilità che le persone agiranno in conformità motivata con la
disciplina e b) le condizioni del non-gioco che, a prescindere da ciò di cui esse consistono,
determinano l’alta probabilità della conformità motivata.
5) L’accento costitutivo può essere rimosso da un set di eventi possibili e assegnato ad un altro,
Quest’operazione produce un nuovo gioco. Per esempio, una regola base del tris stabilisce che
appena si verifica la condizione delle “tre in fila” viene decretata la vittoria e, quindi, il termine
6)
7)
8)
9)
del gioco. Se questa regola viene cambiata per stabilire come possibilità costitutiva che la
sequenza “tre in fila” diventa vincente soltanto con la quarta mossa del giocatore o
successivamente ad essa, il gioco risultante sarà conosciuto come “noughts and crosses”
Le regole al di fuori del set delle regole di base sono esclusivamente di uno o di due tipi: regole
di gioco preferito (rules of preferred play) o condizioni imposte dal gioco (game-furnished
conditions). Le regole di gioco preferito sono distinte dalle regole di base in quanto la scelta di
territori alternativi, di sequenze di gioco, del numero dei pezzi, del numero dei giocatori – in
pratica ogni possibilità, compresa quella di essere costitutive di un “un altro gioco” –avviene in
base alla discrezionalità del giocatore di rispettare o meno modalità e criteri stabiliti come
“procedura corretta”. Mentre le regole di base forniscono i criteri definitivi del gioco lecito, le
regole di gioco preferito forniscono i criteri definitivi del gioco effettivo, estetico,
convenzionale, così come del gioco scorretto, se il giocatore vuole. In sostanza, le decisioni del
giocatore dovranno soddisfare necessariamente le regole di base e soddisferanno di fatto
qualche set di regole di preferenza. Le regole di base e quelle di preferenza servono come
condizione, per il giocatore, da soddisfare obbligatoriamente o eventualmente. Oltre a queste
condizioni ne esistono numerose altre che il giocatore deve soddisfare. Tali condizioni
aggiuntive, tuttavia, non sono criteri che definiscono la correttezza o meno di una decisione,
né dipendono o scaturiscono dalle regole di base o di preferenza. Le condizioni in specie hanno
le seguenti caratteristiche: a) descrivono elementi caratteristici del gioco; b) prescindono dalle
possibilità di successo o meno del giocatore; c) sono invariabili” rispetto ai percorsi evolutivi
del gioco, nel senso che sono condizioni vincolanti rispetto ad ogni situazione in cui un
giocatore dovrà prendere una decisione; d) sono vincolanti nella misura in cui, e solo nella
misura in cui, il giocatore considera le regole di base del gioco come proprie del suo
comportamento e del comportamento dell’avversario; in altre parole, sono vincolanti
esclusivamente in quanto le azioni del giocatore e degli altri giocatori si riferiscono a paradigmi
normati vi atti a definire e interpretare gli eventi possibili come eventi definiti dalle regole di
base del gioco. In set di condizioni imposte dal gioco corrisponde, nello specifico, a ciascun set
di regole di base di un gioco.
Per il teorico, la regola interpretativa è che tutti gli eventi del gioco sono elementi del set di
possibilità costitutive, preferenziali o di condizioni imposte dal gioco. Dire che l’accento
costitutivo viene “rimosso” da un set di eventi equivale a dire che gli eventi sono stati spostati
al set di possibilità preferenziali. Al contrario, dire che gli eventi sono stati spostati dal set
delle possibilità preferenziali equivale a dire necessariamente che gli eventi sono diventati
componenti del set delle possibilità costitutive. Dove si verifica il caso in cui tutte le possibilità
considerate sono possibilità costitutive tale da rendere vuoto il set delle possibilità
preferenziali allora si è in presenza di un gioco ritualizzato3. Parlare del set di possibilità
costitutive come di un set vuoto e allo stesso tempo pensare ad un gioco è un nonsenso
formale (formal nonsense).
Dire che le persone, nella gestione di ambienti interpersonali (sia di gioco o meno), sono
governate dalle attese costitutive equivale a dire che esse hanno fiducia l’un dell’altro.
Il concetto di fiducia è collegato al concetto di eventi in ambienti percepiti come normali così
come segue, Dire che una persona si “fida” di un altro significa che la persona cerca di agire in
modo tale da produrre attraverso le sue azioni, o rispettando le condizioni del gioco, eventi
correnti che si accordano con l’ordine normativo degli eventi prescritti dalle regole di base del
gioco. In altre parole, il giocatore dà per scontato che le regole di base del gioco siano una
definizione della sua situazione, il che significa naturalmente una definizione dei suoi rapporti
con gli altri.
Gli ambienti degli eventi di gioco percepiti come normali
Saranno illustrati ulteriori dementi delle regole di base per dimostrare che gli eventi descritti nelle
regole di base del gioco (in pratica l’ordine costitutivo degli eventi del gioco) forniscono a coloro
che intendono agire nel rispetto di tali regole la definizione di eventi normali di gioco.
1) Gli eventi descritti dalle regole di base sono possibilità categoriali. In quanto tale, esse
definiscono l’ambiente degli eventi di gioco come un dominio di campi possibili di
osservazione, come delle regole di pertinenza per individuare gli elementi essenziali di
specifiche ed effettive osservazioni. Gli eventi fomiti dalle regole di base sono eventi intesi in
modo tale da delineare l’uniformità essenziale in tutte le effettive osservazioni che possono
essere ricondotte nell’ambito di questi eventi come dei loro casi particolari.
2) Come possibilità categoriali, gli eventi fomiti dalle regole di base mantengono la proprietà di
invariabilità nei confronti dell’evoluzione contingente del gioco.
3) Essendo invariabili all’evoluzione contingente del gioco, queste uniformità attese fungono da
standard, cioè da definizioni di gioco corretto. Pertanto servono come base per
l’identificazione di mosse irregolari, “fuori dal gioco”.
4) Il problema di riportare le osservazioni effettive nell’ambito delle osservazioni intese fornite
dalle regole di base consiste nei procedimenti atti a giustificare la rivendicazione della
corrispondenza tra l’oggetto-apparente-effettivamente-osservato e l’oggetto-inteso-da-taleapparente-effettiva-osservazione. Il carattere problematico di tale corrispondenza semiotica
consiste nel fornire le regole per mezzo delle quali si può decidere per entrambi, posto che
siano in un rapporto di significazione, in pratica in un rapporto di segno, che consiste appunto
in tale rapporto. Come va inteso questo rapporto di segno? Le regole di base consentono la
soluzione di tale problema fornendo esse stesse il significato di “adeguato riconoscimento”
degli aspetti effettivi come aspetti riconosciuti dell’oggetto. Le regole di base, in quanto
specificano il dominio delle azioni rese possibili dal gioco, definiscono altresì il dominio delle
azioni rese possibili dal gioco” a cui può essere assegnata la variabile di “meri comportamenti’’.
Le regole di base sono la cornice per il set di eventi possibili di gioco, nei quali i comportamenti
osservati sono resi significativi.
5) Ciascun set differente di regole idi base definisce un dominio diverso di possibili eventi di gioco
a cui può corrispondere un aspetto comportamentale altrettanto identico.
6) In base a tali regole, dal punto di vista del giocatore viene deciso correttamente, per ciò che gli
concerne, non solo «cosa può succedere?», ma anche cosa è successo?». Le regole di base
fungono da termini per mezzo dei quali il carattere degli eventi del gioco non solo può essere
riconosciuto, ma, per quanto riguarda i giocatori, deve necessariamente essere riconosciuto.
Più in generale esse fungono da set di presupposti – definito da Schutz 0945) come “uno
schema di interpretazione ed espressione di un giocatore – per mezzo del quale il proprio
comportamento, e quello dell’avversario, viene identificato come dato di azione (datum of
action).
Possiamo riassumere questi vari punti come segue: le regole di base forniscono il senso di un
comportamento in quanto azione; indicano i termini con cui un giocatore decide se ha
identificato correttamente o meno “ciò che è successo”. In base a tali regole, ad un
comportamento viene “fissato” un ‘significato soggettivo”. Nella misura in cui un giocatore fa
riferimento ad altri giocatori e ai significati delle regole condivisi con loro per valutare la
correttezza delle sue decisioni riguardo al significato delle regole stesse, possiamo parlare del
carattere oggettivo delle regole e perciò del carattere oggettivo degli eventi di gioco. Nella
misura in cui un giocatore fa riferimento, circa la correttezza delle sue decisioni sul significato
delle regole, alla propria o all’altrui interpretazione delle regole, possiamo parlare, come fa
Kaufman (1944), del carattere soggettivo delle tegole e perciò del carattere soggettivo degli
eventi di gioco.
7) Per coloro che cercano di rispettare l’ordine costitutivo del gioco, un’azione – e ne basta
soltanto una – che viola le regole di base è incongrua in un modo particolare, e il suo verificarsi
rompe il gioco in quanto ordine di attività.
a) L’azione contraria a quelle prescritte dalle regole di base del gioco è priva di senso, cioè
acquisisce le proprietà percepite di imprevedibilità, arbitrarietà, indeterminatezza,
casualità, assenza di finalità e di necessità morale. Definiamo “confusa” la persona il cui
ambiente comportamentale di eventi presenta tali proprietà, e di conseguenza ci si
attende che il suo comportamento rispecchi quanto esposto all’inizio del capitolo.
b) È una proprietà dell’azione che viola le attese costitutive il fatto che il giocatore non può
riconoscere Fazione senza alterare l’accento costitutivo” posto sugli eventi di gioco,
rendendoli in pratica preferenziali. Per esempio, consideriamo che l’ordine costitutivo del
gioco sequenziale nel tris sia A, B, A, Il giocatore B potrebbe muovere A, B, B, B. Quando
l’ordine costitutivo prevede che i giocatori si muovano nella sequenza A ,B, A, B, A…,
l’attesa è che venga rispettata tale sequenza normativa a prescindere dai motivi personali
del giocatore, dai desideri, dai calcoli, e così via. Il giocatore che “non cede il turn”
generando quindi la sequenza A, B, B…, presenta al suo avversario l’incongrua possibilità
che la sequenza A, B, A, B, A…, rientri nella discrezionalità del giocatore stesso.
c) Il disordine consiste in questo: l’azione che viola la regola di base richiede una
rielaborazione per ricostituire l’ordine del gioco. Ma assegnare a questa azione un accento
costitutivo significa trasformare le regole del gioco. Parlando in termini sociologici, essa
invita ad una ri-definizione della “realtà sociale”, oppure, in alternativa, del “gioco
normale”.
8) Il campo fisico può essere regolare e definito, tuttavia il campo di eventi-gioco può essere
privo di senso. Facciamo una distinzione tra ambiguità e condizione privo di senso. Dire che il
campo di eventi-gioco diventa ambiguo equivale a dire che la distribuzione delle possibilità
alternative del giocatore, riguardo a “cosa è successo”, diventa più equiprobabile.
V La presenza della condizione “privo di senso” nel campo degli eventi di gioco significa che il
giocatore è sprovvisto di una gamma di possibilità a cui far corrispondere il campo fisico. Nel
caso di un campo ambiguo di eventi di gioco, vi è l’incapacità di scegliere quali, fra un set di
alternative, siano state le intenzioni di una particolare mossa o enunciato. In un campo privo di
senso, una persona, sebbene abbia sentito un enunciato in chiaro e corretto inglese, non lo
riconosce come una frase inglese. Questo vale sia per un enunciato che per un qualsiasi
comportamento, poiché il rapporto segno-referente, che vale per il rapporto tra enunciati e
proposizioni, è valido altrettanto per il rapporto tra comportamento e azione.
9) Se il giocatore rispetta l’ordine costitutivo del gioco, gli effetti anomici del violare una regola di
base non sono attenuati dalla consapevolezza da parte del giocatore che una regola di base è
stata violata.
10) A prescindere da ciò che la regola prevede come eventi possibili – nove celle in tris,
sessantaquattro posizioni negli scacchisti- tre proprietà definitive delle regole basilari sono
invarianti nei confronti del contenuto effettivo delle regole.
Ci sono due conseguenze importanti che scaturiscono da questo elemento: a) riguardo alla
questione di ciò che deve essere fatto per creare confusione, ciò ci permette di riconoscere nei
diversi campi di eventi di gioco, e nei giochi differenti, quegli eventi la cui violazione creerà
identiche conseguenze per tutti, cioè, auspicabilmente, la confusione; b) è una condizione
della confusione che le partì siano riconosciute come membri delia stessa comunità, cioè che si
rapportino come delle persone presumibilmente vincolate dallo stesso ordine costitutivo delle
azioni, il che significa “giocare allo stesso gioco”.
11) Il set di “tutte le regole basilari” definisce un gioco. Questa proprietà determina un’importante
conseguenza nonché un altrettanto importante compito: a) la conseguenza importante è che
le strutture costitutive sono parte integrante dì tutti gli eventi di gioco; b) il compito
incompleto (incomplete task) importante è indagare le proprietà logiche del set di “tutte le
regole basilari” di un gioco.
Sono necessari ulteriori chiarimenti su ciascuno di questi punti.
a. La conseguenza importante. Il concetto che le strutture costitutive sono parte
integrante di tutti gli eventi di gioco differisce dai concetti sociologici di uso corrente
sulle regole di azione. Secondo questo uso, le regole di azione classificano le azioni
come dei set disgiuntivi. Per esempio, gli eventi del comportamento descritti nella
regola dell’incesto rientrano nella “morale”. Le regole che stabiliscono i compiti da
svolgere in casa fanno invece parte dei “costumi”. Come conseguenza di tale uso le
concezioni correnti su come sia possibile un ordine sociale sostenuto in comune
evidenziano fino a che punto, come condizione critica per un ordine sociale stabile, le
regole vengono solennemente osservate. Ma se dovesse risultare che le proprietà
costitutive degli eventi non sono proprie dei soli giochi, allora si dovrebbe supporre che
le uniformità degli eventi descritti dalla morale, dai costumi, e così via, si siano
costituite attraverso un set di presupposti ancora “più profondo”, nei cui termini i
comportamenti vengono visti, nelle attese degli attori, come azioni intenzionali chiare
per qualsiasi membro del gruppo. Ne consegue logicamente una riflessione, la quale,
anche se non sostenuta da nozioni correnti, presenta però i caratteri di un esperimento
cruciale. L’ipotesi potrebbe essere questa: se le proprietà costitutive dei giochi vengono
estese agli eventi quotidiani, allora, rispetto al rapporto problematico tra regolazione
normativa dell’azione e stabilità dell’azione concertata, ciò che dovremmo rilevare non
è tanto “l’intensità dell’incidenza” che “investe” la “regola”, né tanto meno il suo
carattere morale – di rispetto o di sacro timore-, quanto piuttosto la normalità
percepita degli eventi contestuali, poiché essa è funzione dei presupposti che
definiscono tali eventi possibili. Fu perciò ipotizzato che tutte le azioni, in quanto eventi
percepiti, potessero avere una struttura costitutiva, e che forse è la minaccia all’ordine
normativo degli eventi come tale ad essere la variabile cruciale nel procurare
indignazione e non la violazione della “sacertà” delle regole.
b. Il compito incompleto. Rispetto al set “tutte le regole di base” sarebbe interessante
conoscere quali siano le proprietà dei propri limiti. Più specificamente poniamo il
quesito: è il set ben definito o è definito solo in parte? E, inoltre, serve ai giocatori
avere questa informazione per il buon andamento del gioco?
Varrebbe la pena esaminare diversi punti. Rispetto al carattere ben definito, non sono riuscito a
trovare alcun gioco le cui regole riconosciute siano sufficienti a coprire tutte le possibilità
problematiche che potrebbero sorgere o si potrebbe far sorgere con un minimo di intelligenza o di
sforzo. Ad esempio, per quanto gli scacchi appaiano immuni dà simili manipolazioni, è possibile, al
momento di fare la propria mossa, scambiare i pezzi sulla scacchiera – di modo che, senza mutare
le posizioni nel complesso, i quadratini vengano ad essere occupati da pezzi differenti – e fare
quindi la propria mossa. Nelle varie occasioni in cui l’ho fatto, i miei avversari sono rimasti
sconcertati. Non sono rimasti soddisfatti quando ho chiesto loro di indicare dove le regole
proibissero quel che avevo fatto. Né lo sono stati quando ho fatto notare che non avevo
modificato le posizioni effettive [dei pezzi] e che, inoltre, la mossa non aveva influito sulle mie
possibilità di vittoria. Se però non sono rimasti soddisfatti, d’altra parte non sono neanche stati in
grado di dire, in modo da rimanerne convinti, che cosa non andasse.
Infine, non sono stato in grado di trovare alcun gioco che permetta completa discrezionalità al
giocatore riguardo a: tempo di occorrenza, durata e programmazione delle mosse.
Il problema ricorrente
A prescindere da ciò che le regole possono stabilire come eventi effettivamente possibili – nove
celle in tris, sessanta quattro posizioni nel gioco degli scacchi, cinque cane in una mano di poker-le
tre attese costitutive sono invariabili rispetto ai contenuti delle regole. Esse ci permettono di
riconoscere in giochi diversi quegli eventi che sono funzionalmente identici rispetto alla questione
di-cosa fare per produrre confusione. Pertanto, un’operazione che produce confusione in un gioco
dovrebbe essere valida in qualsiasi altro gioco. Se le attese costitutive sono operative nelle
situazioni quotidiane, allora l’operazione che produce confusione in un dato scenario è valida in
qualsiasi altro. L’operatività di tali attese costitutive nell’ambito del gioco, oppure in una
situazione quotidiana, funge perciò da condizione fondamentale degli elementi stabili delle azioni
concertate.
È mia intenzione dimostrare attraverso degli esperimenti che: a) gli eventi che violano le attese
costitutive moltiplicano gli elementi anomici dell’ambiente degli eventi di gioco, così come gli
elementi disorganizzati delia struttura dell’interazione del gioco; b) che tali effetti variano in
proporzione diretta alla conformità motivata con l’ordine costitutivo del gioco, c) che tali effetti
avvengono indipendentemente dalle caratteristiche della personalità dei giocatori; d) che queste
affermazioni valgono sia per le interazioni nell’ambito del gioco che in quelle della “vita reale”. A
questo punto dovremo chiederci:
1. La violazione di una regola basilare in un gioco costituisce un fattore determinante di primo
l’ordine di effetti anomici?
2. La violazione di una regola basilare nella vita quotidiana costituisce un simile fattore
determinante?
Studiare le regole di base con l’ausilio del gioco del tris
67 studenti di studi umanistici appartenenti a diverse delle mie classi hanno fatto da
sperimentatori. Ciascuno di loro doveva giocare con tre o più persone dei 253 soggetti (compresi
bambini, adolescenti, giovani adulti e adulti maturi, di ambo i sessi). Al soggetto, che era in
qualche modo o legato allo sperimentatore (per parentela, per amicizia stretta o meno) oppure
completamente sconosciuto, fu chiesto, dopo aver accettato l’invito dello sperimentatore a
giocare, di fare la prima mossa. Completato il suo turno, lo sperimentatore cancellava il segno e lo
spostava in un’altra cella, marcando contemporaneamente il proprio segno e cercando con
disinvoltura di comunicare al soggetto che tutto procedeva in modo regolare. Il compito degli
sperimentatori fu quello di riportare in dettaglio le reazioni dei diversi soggetti.
Procedura di punteggio. Fu utilizzato un modulo standard da parte degli sperimentatori, ai quali
fu chiesto di riportare le reazioni dei soggetti immediatamente dopo la mossa scorretta. Se lo
sperimentatore riportava che il soggetto:
1.mostrava sorpresa, era scosso, guardava in alto: la valutazione era “sì”, altrimenti “no;
Laddove i protocolli non contenevano informazioni a sufficienza per formulare un giudizio, la
valutazione doveva essere indicata con “Nessuna informazione”.
L’intensità del disturbo dei vari soggetti veniva segnata come segue: (l) se non veniva notata
nessuna reazione, né una risata e/o il soggetto mostrava sorpresa, sbigottimento, o guardava in
alto al suo interlocutore, ma nient’altro, il disturbo veniva classificato con la dicitura “Nessuno o
lieve”; (2) se il soggetto mostrava una reazione (1) e due qualsiasi ira le alternative (2), (4) e (5), il
disturbo venivo classificato come “Moderato”. (3) Se il soggetto mostrava le reazioni (1), (2), (4) e
(5), il disturbo veniva classificato come “Severo”.
A volte il senso che il soggetto attribuiva alle mosse degli sperimentatori fu evinto dal
comportamento dei soggetti e dai commenti spontanei fatti alla fine del gioco. Altre volte gli
sperimentatori furono costretti a sollecitare ai soggetti un commento in risposta al quesito «Cosa
ne pensi? Non seguivano però una formula fissa nel chiedere tale informazione: alcuni la
chiedevano prima, altri dopo aver esplicitato le intenzioni dell’esperimento.
La valutazione fu la seguente: i soggetti percepivano di giocare ad un “gioco sconosciuto”.
I soggetti potevano decidere di continuare a giocare, rifiutare di continuare a giocare o di giocare a
un non-gioco ossia: essi potevano giocare nello stesso modo degli sperimentatori, decidere di
giocare a proprio piacere rovinando il gioco agli sperimentatori oppure duplicare le mosse di
questi ultimi restituendo loro pan per focaccia.
[Dagli esperimenti risulta:] 1) che la mossa “sbagliata” ha avuto un effetto sul comportamento dei
soggetti; 2) che il 75% dei soggetti è stato spinto dalla mossa sbagliata a cercare immediatamente
di capirà qualcosa; 3) che il 75% dei giocatori ha attribuito agli sperimentatori la responsabilità per
il carattere nuovo del gioco; 4) che gli esperimenti, in sé, incoraggiano a procedere. In teoria
avremmo voluto che fosse stata semplicemente la mossa sbagliata a produrre gli effetti anomici,
con i soggetti intenzionati a ripristinare l’ordine stabilito del gioco nel tentativo di riportare la
mossa dentro la condizione di ordine normale del tris.
[Gli esperimenti] mostrano che le persone che interpretavano la mossa come appartenente ad un
gioco nuovo esprimevano pochi segni di disturbo. Coloro che hanno abbandonato il gioco del tris’
senza proporre o decidere un ordine alternativo, mostravano maggiori segni di disturbo. Coloro
che cercavano di normalizzare il gioco, cercando di ripristinarlo nell’ordine stabilirò, esprimevano
più segni di disturbo in assoluto.
[Gli esperimenti] mostrano inoltre che l’estensione del disturbo variava a prescindere dal gruppo
di età, dal grado di conoscenza tra i soggetti e gli sperimentatori e dal fatto che gli sperimentatori
e i soggetti fossero o meno dello stesso sesso. I risultati del tris sostengono due importanti
conclusioni: primo, un comportamento in contrasto con l’ordine costitutivo del gioco motiva dei
tentativi immediati, da parte dell’avversario, di normalizzare la discrepanza, inserendo il
comportamento osservato all’interno di un quadro interpretativo che gli dia senso.
In secondo luogo, nella condizione di violazione del gioco, l’evento discrepante sembra produrre
maggiormente una situazione priva di senso quando il giocatore, nel tentare di normalizzare tale
discrepanza, cerca di mantenere l’ordine costitutivo senza però alterarlo (in pratica senza lasciare
il gioco o iniziarne uno “nuovo’’).
Inoltre abbiamo constatato che il gioco del tris ha prodotto un convincente e duraturo senso di
smarrimento nei bambini, in modo particolare tra quelli nella fascia di età compresa dai cinque
agli undici anni. Negli adulti la procedura per produrre senso di smarrimento era meno efficace,
sebbene per questi fosse molto più facile produrre ambiguità negli eventi. I protocolli di entrambi,
adulti e bambini, erano tuttavia pieni di espressioni di diffidenza. E ciò a prescindere dall’età, dii
genere o dalla familiarità con gli sperimentatori.
Limiti nell’uso dei giochi
Non possiamo limitarci ad analizzare i giochi in quanto gli eventi di un gioco non sono
strutturalmente omologhi agli eventi della vita quotidiana. Molti elementi nelle situazioni degli
eventi di gioco sono in netto contrasto con le situazioni degli eventi della vita quotidiana, tanto da
rendere la presunta equivalenza strutturale tra le rispettive normative difficile da giustificare e
l’espressione ‘regole del gioco” soltanto un’espressione retorica. Sarebbe difficile utilizzare i
risultati del gioco del tris come indicatori per creare confusione negli eventi della vita quotidiana
anche per un’altra ragione: molti adulti che hanno partecipato all’esperimento riuscivano ad
abbondonare il gioco senza con ciò intaccare in alcun modo il loro rapporto con lo sperimentatore.
Se consideriamo come punto di partenza l’analisi di Huizinga (3950) sulle situazioni di gioco
noteremo che i seguenti elementi delle situazioni di gioco sono in netto contrasto con quelle
situazioni che implicano la strutturazione sociale di routine della vita quotidiana.
1. Paragonati agli eventi della vita quotidiana. Eventi di gioco, in quanto prodotti compiuti, sia in
atto che in retrospettiva, hanno una struttura temporale peculiare, che consiste nel fatto che
in tutte le situazioni di gioco il tempo di gioco è essenzialmente circoscritto.
2. Qualsiasi discrepanza tra la definizione “ufficiale” del gioco e le concezioni o le riserve private
personali è di poco conto nel decidere la gamma possibile di eventi gioco e dei risultati. Il gioco
è per le persone una impresa pubblica le cui possibilità esistono soltanto in virtù della motivata
conformità di un soggetto alle sue regole di base, e tali regole definiscono un dominio
consensualmente compreso. Le regole di base sono essenzialmente regole oggettive nel senso
della definizione di “oggettivo” di Kaufman (1944). Gli eventi che esse prevedono sono in
sostanza eventi oggettivi.
3. “Partecipare al gioco” implica per definizione la sospensione dei presupposti e delle procedure
della vira “reale”. Molti commentatori hanno rilevato tale elemento, parlando del gioco come
di un “microcosmo artificiale”.
4. Tale sospensione dei presupposti è tipicamente una questione di preferenze personali. È
sostanzialmente possibile scegliere l’opzione “rispetta le regole” (play the game). Allo stesso
modo è anche possibile, per esempio in situazioni di conflitto, “lasciare” il gioco o trasformarlo
in un altro secondo le proprie preferenze.
5. “Lasciare” il gioco è sinonimo di ripristino del mondo della vita quotidiana come ambiente di
eventi e dell’atteggiamento della vita quotidiana che costituisce tale ambiente.
6. Sebbene le strategie possano essere ampiamente improvvisate e le condizioni di vittoria e di
sconfitta non del tutto chiare per i partecipanti, le regole basilari di gioco si conoscono durante
il corso del gioco stesso; esse sono indipendenti dallo stato del gioco in arto e dalle strategie
utilizzate dai giocatori; sono disponibili per i partecipanti e tale disponibilità è supposta come
base conoscitiva condivisa a priori per eventuali scelte da operare fra le varie alternative lecite
connesse al gioco.
7. Le regole di base non sono modificate dal percorso regolare del gioco. Poiché, per quanto
riguarda i giochi nella fattispecie, non solo i giocatori conoscono le regole basilari prima di
partecipare al gioco, ma non sono tenuti ad imparare altro su siffatte regole durante il corso
del gioco come funzione di tale partecipazione. Chiaramente, una tale situazione deve essere
distinta da quella in cui le regole di base vengono apprese durante ii corso del gioco come
funzione della propria partecipazione e in virtù di tale partecipazione, cioè le sue azioni sono
rese soggette al riconoscimento, alla revisione e alla correzione secondo un set sconosciuto di
regole basilari.
8. Per quanto riguarda le regole basilari del gioco, esiste una corrispondenza praticamente
perfetta tra le descrizioni normative della condotta di gioco e la condotta effettiva. In termini
empirici, tale corrispondenza si trova non solo nell’ambito di un momento del gioco, ma tra più
momenti di quel gioco. Una simile corrispondenza tra le descrizioni normali della condotta di
ogni giorno e la condotta ordinaria effettiva è, tuttavia, eccezionale.
9. Nella misura in cui ì giocatori si impegnano nel rispetto delle regole basilari, queste ultime
forniscono ai giocatori le definizioni di azioni razionali, realistiche e comprensibili all’interno
dell’ambiente degli eventi di gioco. Azioni che rispettano le regole basilari definiscono il “gioco
corretto” (fair play), mentre i risultati possibili del gioco definiscono il giusto” esito (justice).
10. Nell’ambito delle regole di base presunte che vincolano in modo pressoché equivalente tutti i
giocatori, le strategie che si accordano in modo rigido con le nonne di efficacia strumentale
sono in teoria6 utilizzabili da tutti i giocatori. Inoltre è possibile, in sostanza, che ciascun
giocatore possa usufruirne o pretenderne l’utilizzo da parte dell’avversario senza in alcun
modo sminuire la comprensione del gioco in atto.
L’ordine costitutivo degli eventi quotidiani
Può “l’accento costitutivo” essere valido anche per situazioni di eventi che si svolgono nella “vita
reale’? Noi suggeriamo di sì. Le 3 proprietà definitive delle regole basilari del gioco sono peculiari
non solo elei giochi, ma si ritrovano anche come tratti di quelle “assunzioni” che Alfred Schutz,
nella sua opera sulla fenomenologia costitutiva delle situazioni della vira quotidiana (1945,1951),
ha definito “atteggiamento della vita di tutti giorni”.
L’accento costitutivo è definito mediante il seguente modello: può essere attribuito a ciascuno dei
tratti pertinenti la situazione, tratti di cui parla Schutz quando elenca le assunzioni
dell’atteggiamento della vita quotidiana proprie dei soggetti; attiene ad ogni tratto la
considerazione preliminare: «dalle alternative possibili, il soggetto (a) si aspetta che… (inserisce il
trarrò pertinente); (b) si aspetta che sia vincolante per sé e per gli altri; (c) si aspetta che così come
egli lo considera vincolante per gli altri, anche gli altri si aspettano che sia vincolante per lui».
L’atteggiamento della vita quotidiana
In una serie di scritti classici sulla teoria sociologica improntata alla fenomenologia costitutiva
delle situazioni della vita quotidiana, Schutz (1932,1943, 1944,1945(a), 1945(b),
1951,1953,1954,1955) ha descritto quei presupposti “conosciuti in comune con gli altri” con i quali
un attore assegna i significati costituenti agli eventi. In sintonia con il programma, con
l’atteggiamento e con il metodo della fenomenologia husserliana (Spiegelberg, 1960), Schutz ha
analizzato i presupposti e le corrispondenti caratteristiche ambientali invarianti dei contenuti
specifici delle azioni e degli oggetti. L’elenco non è tuttavia esauriente. Una ricerca ulteriore
dovrebbe rivelarne altri. Come qualsiasi prodotto di osservazione, essi sono “validi fino a prova
contraria’’.
1. Schutz ha constatato che nella vita quotidiana Il “teorico pratico” raggiunge un ordine tra gli
eventi sancendo la presupposizione che gli oggetti sono ciò che appaiono essere. La persona
che affronta le questioni quotidiane cerca un’interpretazione di tali questioni, mantenendo al
contempo una linea di “ufficiale” neutralità e mettendo da parte il dubbio che qualunque
oggetto del mondo possa non essere veramente quello che sembra. Al contrario, la persona si
aspetta che esista una indubbia corrispondenza tra aspetto dell’oggetto e oggetto-percepitocome-tale. Tra le ipotesi sui possibili rapporti tra l’aspetto di un oggetto e l’oggetto
effettivamente percepito, come per esempio la loro dubbia corrispondenza, ci si aspetta che
l’indubbia corrispondenza presupposta sia quella convenzionalmente accettata. Ci si aspetta
che l’altro abbia le stesse attese in modo più o meno identico e che tale attese siano condivise
reciprocamente.
2. Schutz fa riferimento ad una seconda assunzione circa l’interesse pragmatico di un soggetto di
fronte agli eventi. Caratteristica invariante di questi eventi è che i suoi tratti possono, di fatto e
in potenza, influire sulle azioni dei soggetti ed esserne altresì influenzate. Nell’ambito di tale
presupposta caratteristica degli eventi; la precisione con cui la persona ordina gli eventi viene
3.
4.
5.
6.
7.
ritenuta valida e verificabile senza avanzare dubbi sulle conoscenze in termini di fatti,
supposizioni, congetture, fantasie, e così via, e ciò grazie alla sua collocazione effettiva e
sociale nel mondo reale. Gli eventi, le loro connessioni e cause non si pongono in prima istanza
come problemi di interesse teorico. Il soggetto, nel trattare questi eventi, non avvalora né la
tesi secondo la quale sia corretto utilizzare la regola del non sapere nulla, né quella per la
eguale si può fingere di non sapere nulla semplicemente “per vedere gli sviluppi”. Nelle
situazioni di vita quotidiana, ciò che egli sa è parte integrante della sua competenza sociale.
Egli suppone ciò che sa, e il modo in cui lo sa, lo personifichi in quanto oggetto sociale, per sé e
per gli altri, come membro bona fide del gruppo (bona fide member of the Group). Egli
sancisce la sua competenza di membro bona fide del gruppo (cioè sia lui che gli altri membri
danno per scontato la sua competenza), condizione fondamentale per essere rassicurare che la
sua interpretazione degli eventi quotidiani sia verosimile.
Schutz ha descritto la prospettiva temporale della vita quotidiana. Nelle sue attività
quotidiane, la persona reifica il flusso di esperienze in “sezioni temporali” mediante l’uso di
uno schema di rapporti temporali, schema che sia lui sia gli altri utilizzano in modo equivalente
e standardizzato. La conversazione che il soggetto intraprende riguarda non solo gli eventi del
proprio flusso di esperienza, ma anche ciò che è stato o potrà essere enunciato in momenti
diversi, passati e futuri. Non solo il “senso della conversazione” viene progressivamente
raggiunto attraverso un susseguirsi di significati convenzionali propri di ogni fase della
conversazione fin-qui svolta, ma ogni fase “fìn-qui” viene anticipata convenzionalmente.
Inoltre, come per qualsiasi fase qui-ed-ora, per non dire di quelle successive, la conversazione
ha per lui significati sia retrospettivi che futuri. Questi significati comprendono gli attuali
riferimenti di inizio, di durata e di calibratura dei tempi della conversazione, delle sue fasi
intermedie e di quella finale. Egli coordina queste fasi del “tempo interno”, proprio del suo
flusso di esperienze, con uno schema di fasi temporali socialmente condiviso. Utilizza Io
schema del tempo convenzionale come veicolo per programmare e coordinare le sue azioni
con quelle degli altri; calibrare i suoi interessi e regolare le sue azioni in rapporto alle loro. Il
suo interesse per il tempo convenzionale è orientato alla risoluzione di problemi connessi alla
programmazione e alla coordinazione dell’interazione. Egli assume, altresì, che lo schema del
tempo convenzionale sia interamente sociale, una specie di “grande orologio identico per
tutti”.
Schutz descrive l’assunto dell’eccetera. Con ciò intende dire che come gli eventi sono accaduti
nel passato, così ricorreranno nel futuro.
Un assunto connesso al precedente è quello secondo il quale gli aspetti degli eventi possono
essere percepiti ricorsivamente dall’attore come un insieme di aspetti costituenti. Con ciò si
vuole affermare che, a prescindere dalle variazioni degli aspetti concreti dell’oggetto, il modo
di percepire questo rimane costante, a causa della sua identità nel tempo. Il soggetto, in altre
parole, assume che l’oggetto percepito sia lo stesso di quello che era stato percepito
precedentemente e che sarà percepito di nuovo, nonostante il suo logorio, i mutamenti di
contesto, delle circostanze e degli aspetti concreti.
La persona assume uno schema di comunicazione condiviso. Egli si informa sul senso della
situazione degli eventi tramite un patrimonio presupposto del tipo “chiunque, come noi, ne è a
conoscenza”. Egli assume che tale patrimonio sia condiviso con gli altri: esso serve inoltre per
codificare regole i cui termini sonò utilizzati per decidere sulla corretta corrispondenza tra
aspetto dell’oggetto e oggetto-percepito-come tale.
Schutz ha enunciato la “tesi della reciprocità delle prospettive”. Questa tesi consta di due
assunti: (a) l’assunto della “interscambiabilità dei punti di vista” e (b) l’assunto della
“congruenza dei sistemi di rilevanza”.
(a) Con interscambiabilità dei punti di vista si intende che la persona dà per scontato che se
dovesse scambiarsi di ruolo con un altro, ognuno, appropriandosi del qui-ed-ora dell’altro, e
presumendo che l’altro faccia lo stesso, e viceversa, vedrebbe gli eventi nello stesso tipico
modo dell’altro.
In altre parole, la persona dà per scontato che rispetto a ciò che appare in una data situazione,
se dovesse scambiarsi di ruolo con un altro vedrebbe – da un punto di vista pratico – la
situazione in modo pressoché identico a lui. Mentre la persona si attende la scena, sa che gli
effettivi qui-ed-ora di questa sono diversi per lui e per l’altro, allo stesso tempo sa anche, però,
che se dovesse scambiarsi di ruolo con l’altro la scena in specie risulterebbe potenzialmente
uguale per lui. Il mondo identico è garantito dalla “capacità” personale di mantenere tale
presupposto anche alla luce delle contingenze imposte dal mondo reale. Questo punto sarà
ulteriormente approfondito in seguito.
(b) Con l’assunto della congruenza dei sistemi di rilevanza si intende che una persona assume
che l’altro assuma altresì, e viceversa, che le differenze, nella prospettiva che la persona
sappia che queste hanno origine nelle proprie e nelle altrui situazioni biografiche particolari,
sono irrilevanti per gli scopi pratici di entrambi e che tutti e due hanno selezionato e
interpretalo gli “oggetti comuni” concreti e potenziali, insieme ai loro elementi, in una
maniera “empiricamente identica”, sufficiente per tutti i loro scopi pratici.
8. La persona assume una particolare “forma di socialità”. La forma di socialità consiste, tra le
altre cose, nell’assunzione personale che esista una qualche disparirà tra l’immagine’ di sé, che
egli attribuisce all’altro in termini delia conoscenza che l’altro ha di lui, e la conoscenza che si
forma di sé, riflessa negli occhi dell’altra persona. Le alterazioni di questa caratteristica
disparità rimangono dal punto di vista del soggetto interne al suo autonomo controllo. Tale
assunzione funziona come regola con la quale il teorico pratico raggruppa e abbina in modo
corretto le proprie esperienze. Con ciò possiamo dire che le conoscenze tacite corrispondono
al mondo intersoggettivo di comunicazione e che tali conoscenze, agli occhi dei soggetti,
vengono attribuite agli altri come motivazioni del loro comportamento, oppure, nel senso
radicale del termine, come “interessi” in quanto traiti costitutivi dell’interazione. Il soggetto
assume che ci siano questioni da lui conosciute e da altri no. L’ignoranza sta nel non sapere
che un altro è a conoscenza di fatti rilevami per sé. Ne consegue che questioni condivise
acquisiscono senso proprio in virtù delle riserve personali, cioè questioni volutamente non
divulgate. Gli eventi quotidiani acquisiscono pregnanza (are informed) da questo sfondo
integrale di “significati tenuti in riserva”, su questioni che riguardano sé e gli altri, ma che, allo
stesso tempo, non riguardano terzi: in una parola, la vita privata.
I tratti decisivi del mondo di senso comune
Ciascuno dei precedenti presupposti assegna una caratteristica particolare, condivisa da tutti i
membri, ad un insieme di eventi. Un mondo di senso comune è definito da questa caratteristica,
cioè dall’essere “condiviso da tutti i membri bona fide della collettività”. Tale caratteristica è stata
analizzata da Schutz, il quale la scompone in ulteriori tratti costitutivi, tratti che rappresentano i
significati costitutivi di ciò che è “conosciuto in comune”.
Se e soltanto se un evento detiene per l’osservatore gli elementi qui di seguito elencati, allora si
può parlare di evento nel ondo di senso comune.
1. Le determinazioni assegnate ad un evento da un soggetto sono, dal suo punto di vista,
obbligatorie: l’interlocutore deve compiere le stesse assegnazioni e come il soggetto richiede
che esse siano vincolanti per l’interlocutore, così assume che anche l’interlocutore richieda lo
stesso di lui.
2. Per il soggetto ce una relazione di indubbia corrispondenza tra la specificità-dell’evento
nell’attuale-contesto e il suo appartenere-ad-un-determinato-tipo-riconoscibile-di-eventi.
3. Dal punto di vista del soggetto, l’evento che è conosciuto, nel modo in cui è conosciuto, può
potenzialmente ed effettivamente incidere suite sue azioni e da esse venire influenzato.
4. Per il soggetto i significati degli eventi sono il prodotto di processi standardizzati di
denominazione, reificazione e idealizzazione dei suoi flussi di esperienza: sono cioè il prodotto
dell’uso di uno stesso linguaggio.
5. Le attuali determinazioni degli eventi, dal punto di vista del soggetto, sono state intese
precedentemente e lo potranno essere in futuro nello stesso modo.
6. Per il soggetto l’evento è percepito rimanere lo stesso identico evento per tutto il flusso
d’esperienza.
7. L’evento presenta come contesti di interpretazione:
(a) Uno schema di comunicazione condiviso che consiste in tin sistema standardizzato di
segnali e di regole dì codifica, e (b) “Ciò che è ognuno sa”, cioè un corpus pre-stabilito di
conoscenza socialmente garantito.
8. Dal punto di vista del soggetto, le attuali determinazioni che l’evento manifesta sono quelle
che esso esibirebbe all’interlocutore se i soggetti si scambiassero le posizioni e i punti di vista.
9. Per il soggetto è possibile trascurare, rispetto agli scopi pratici dell’azione, ogni differenza
determinata biograficamente, in modo che ognuno possa interpretare il mondo esterno in una
maniera sostanzialmente identica.
10. Dal punto di vista del soggetto, ce una caratteristica disparità tra le determinazioni
pubblicamente riconosciute di un evento e le sue personali: tale conoscenza privata è
mantenuta di riserva. L’evento per entrambi i soggetti significa di più di quanto dascuno di loro
potrebbe dire.
11. Alterazioni di questa caratteristica disparità rimangono, dal punto di vista del soggetto, interne
al suo autonomo controllo.
Il mondo degli eventi di senso comune
I tratti costitutivi “conosciuti in comune con altri” sono condizione di appartenenza al mondo degli
eventi di senso comune. Gli undici tratti sopraelencati, e non altri, definiscono il carattere di senso
comune dell’evento. Essi fungono, per i membri della società, da base per ulteriori predizioni e
azioni future7.
Per i soggetti questi tratti costitutivi sono quelli rilevanti, sempre presupposti o, meglio, sempre
compresi rispetto a ciò che essi osservano o percepiscono. Per esempio, il quadro sul muro che io
osservo dietro il mio interlocutore, ma che lui non riesce a vedere perché è rivolto verso di me, ha
come uno dei suoi tratti rilevanti, insieme alla verosomiglianza dell’immagine ritratta nel quadro,
quello che se-dovesse-girare-la-testa-egli-vedrebbe-esattamente-ciò-che-vedo-io.
I suddetti tratti costitutivi informano il soggetto riguardo qualsiasi aspetto particolare di un
ambiente interpersonale, senza che ciò sia riconosciuto in modo consapevole e deliberato. Anzi,
tali tratti costitutivi degli ambienti socialmente strutturati sono tipicamente “visti senza essere
notati”. Sebbene per il soggetto, e per gli altri, essi siano chiaramente rilevanti riguardo al
riconoscimento degli eventi ambientali, raramente egli vi presta attenzione. Come illustra Schutz
(1945b). ci vuole una “motivazione speciale” per portarli all’attenzione. Più l’ambiente è regolato
istituzionalmente e routinizzato, più il soggetto dà per scontato il: tratto costitutivo “conosciuto in
comune con gli altri”. Ogni indagine sociologica dovrebbe individuare e definire i tratti che, anche
se in modo non consapevole, i soggetti considerano come propri e costitutivi delle situazioni.
In altre parole, tali attributi sono sempre stabilmente presupposti e sempre compresi dal soggetto,
e ciò in modo analogo con cui un giocatore di tris comprende, attraverso le modifiche del gioco,
che il suo dominio consiste di nove caselle. Questi attributi del dominio degli eventi informano il
giocatore di tris su qualsiasi evento particolare del gioco senza che lui ne sia consapevole e senza
peraltro influire sulle sue scelte. Similmente avviene per la persona nella vita quotidiana. Si può
provare facilmente, anche se raramente vi si presti attenzione, come tali attributi siano rilevanti
per il significato che il soggetto attribuisce a ciò che succede intorno a lui. Nel panorama degli
eventi possibili, tali tratti sono per il soggetto parte integrante ed essenziale per riconoscere un
evento come vero e comprensibile e per riconoscere le azioni come razionali e sensale nell’ambito
di, e influenti su, tale panorama.
Questi tratti dati per scontato, sopra illustrati, sono concepiti – anche se il soggetto può non
esserne consapevole-come tratti di domini di eventi capaci di provocare disorientamento e brutte
sorprese. Certo, nel porre l’accento sul carattere costitutivo di tali tratti, e al contempo far
emergere una situazione priva di senso, occorrerebbe violare gli schemi convenzionali degli eventi.
Tale accento costitutivo, in analogia con la precedente definizione di “fiducia”, riguardante la sfera
del gioco, permette ora di avanzare una definizione generale di “fiducia” nella sfera della vita
quotidiana.
Quali condizioni devono essere prodotte per generare confusione?
Per ottenere immediatamente i risultati desiderati non è sufficiente violare un’attesa costitutiva.
Sono dunque necessari ulteriori elementi per arrivare a determinare quelle condizioni nelle quali
emerge uno stato di confusione prevedibile.
A al fine mi servirò ancora di Schutz (1945b) e considererò come vere le sue affermazioni secondo
le quali le varie situazioni di gioco, del giocare, del teorizzare scientifico, del sognare, del
rappresentare una scena sul palcoscenico di un teatro, si realizzano attraverso alterazioni dei
presupposti dell’atteggiamento della vita quotidiana. Così come uno smette di attendersi gli eventi
nel “modo normale” e si cala nella “realtà’’ della rappresentazione teatrale, allo stesso modo uno
lascia la “rappresentazione teatrale”, “mette da parte” il problema scientifico, “si sveglia” dal
sonno, “finisce” il gioco oppure “smette” di recitare, solo per ritornare alla “normalità’’ degli
eventi quotidiani I presupposti costitutivi del tratto “conosciuto-in-comune-con-altri-e-con-gJialtri-dato-per-scontato” di una situazione di eventi sono “fondamentali”. Nel senso che tutti i
domini alternativi di eventi – come il sognare, il teorizzare in modo scientifico o l’assistere ad una
commedia – sono alterazioni dell’atteggiamento della vita quotidiana.
Gli accenti “fondamentali” e “derivativi’’ sull’ordine degli eventi si spostano in funzione degli
atteggiamenti assunti dai soggetti verso la vita quotidiana o sue alterazioni. Il prodotto
ambientale, risultante da ogni spostamento, diventa il dominio della “rappresentazione teatrale”,
del “problema scientifico”, del “sogno”. Ciascuno di questi diventa a sua volta un “sotto-dominio”
di eventi il cui significato è il prodotto di una alterazione del significato attribuito eventi
dell’atteggiamento della vita quotidiana.
Per decidere quali siano le condizioni per generare confusione, dobbiamo considerare per prima
cosa il fatto che ciascuna delle possibili modifiche del ‘significato di una situazione” implica una
particolare sospensione degli ordini normativi degli eventi nella vita quotidiana. Perciò, una
persona che si trova a gestire una situazione in cui si è violato l’accento costitutivo ordinario
potrebbe affrontare “l’incongruità” che si viene a creare “lasciando il campo”, trasformando la
situazione per esempio “in un gioco”, in un “esperimento” oppure in uno “scherzo”, e così via. Ma,
come abbiamo appena proposto, facendo ciò il soggetto deve per forza sospendere la validità
delle costrizioni strutturali normali.
Ne consegue che, per generare confusione, una prima condizione necessaria sarebbe quella di
evirare che il soggetto lasci il campo. In concreto, ciò significa che, se iniziamo con i mi.
una situazione strutturata in base ai presupposti della vita quotidiana, dobbiamo in qualche modo
evitare che il soggetto la trasformi in un gioco, in un puro interesse teorico oppure in uno
esperimento, e cosi via.
Ma anche se questa condizione dovesse essere soddisfatta, il soggetto avrebbe ancora
un’alternativa valida. D’altra parte, se assumiamo come dato il carattere fondamentale delle
assunzioni della vita quotidiana, questa alternativa diventa l’unica possibile per il soggetto. Egli
potrebbe porre l’accento costitutivo della vita quotidiana su un nuovo set di eventi: ciò equivale,
come nel caso dei giochi, a ridefinire la realtà sociale.
Sebbene un tale processo di ridefinizione della realtà sodale possa essere conseguito da un singolo
individuo, sembrerebbe tuttavia che esso avvenga meglio (a) quando è realizzato in concerto con
altri, (b) quando si verifica entro un determinato arco di tempo e (c) quando ottiene una validità
consensuale.
Alcuni esperimenti preliminari e loro risultati
Poiché ciascuno dei presupposti che compongono Patteggiamento della vita quotidiana assegna
un elemento atteso all’ambiente del soggetto, dovrebbe essere possibile violarli, per via
sperimentale, modificando deliberatamente gli eventi scenici e deludere così le attese. Per
definizione, ogni violazione di ciascuno di questi tratti attesi può produrre sorpresa. Il grado di
sorpresa dovrebbe variare in modo commisurato al rispetto che il soggetto ha per l’ordine
costituivo degli eventi quotidiani, rappresentante per lui una matrice mediante la quale attribuire
a ciò che vede lo status di eventi occorrenti in un ambiente percepito come normale.
Sono stati utilizzati dei procedimenti per osservare se la violazione di questi presupposti avrebbe o
meno prodotto effetti anomici e incrementato la disorganizzazione. Tali procedimenti vanno
considerati più come dimostrazioni illustrative che come esperimenti veri e propri. Gli
“sperimentatori” erano studenti biennalisti del mio corso universitario. Il loro addestramento
consisteva in poco più dì istruzioni verbali su come procedere, Le dimostrazioni furono svolte
come consegne curriculari libere, senza indicazione alcuna da parte del docente. Gli studenti
relazionavano sui risultati in maniera aneddotica senza alcun intervento tranne la richiesta di
riportare in modo il più puntuale cronologico e verosimile ciò era stato detto e fatto, evitando
l’interpretazione personale degli eventi.
DIMOSTRAZIONE SPERIMENTALE I : VIOLARE LA CONGRUENZA DEL SISTEMA DI ATTRIBUZIONE
DELLE RILEVANZE. Questa attesa consiste in ciò che segue: il soggetto presume che le differenze
nei punti di vista individuali, che hanno origine dalle particolari biografie, sono irrilevanti per i suoi
fini immediati. E, come egli presume ciò, presume che anche l’altro faccia lo stesso, e viceversa. In
altre parole, entrambi scelgono e interpretano gli oggetti effettivamente e potenzialmente comuni
in un modo “empiricamente identico” sufficiente per i fini immediati. Così, per esempio, nel
conversare di “questioni conosciute in comune” le persone utilizzeranno una sequenza di
enunciaci regolati dall’aspettativa: l’altro capirà L’interlocutore si aspetta che l’altro attribuisca alle
sue osservazioni il senso che egli intendeva e perciò gli consenta di presumere che entrambi sanno
ciò di cui egli sta parlando senza bisogno di verifiche. Il significato della discussione viene sancito
da una semplice attribuzione del tipo “così è” (fiat assignment), valida per entrambi. Ciò è
possibile solo se esiste la condizione che l’altro comprenda il significato ogniqualvolta questo sia
necessario, senza l’esigenza di dichiararlo. In conclusione, molto di ciò di cui si parla non viene
menzionato, sebbene ciascun interlocutore si aspetta che il significato adeguato dell’argomento di
cui sia parla sia stabilito. Più il significato è stabilito in modo scontato, come nel caso di persone
che si conoscono, più lo scambio comunicativo sarà di tipo convenzionale.
Agli studenti fu chiesto di incominciare una conversazione con un conoscerne o con un amico
senza comunicare loro che ciò che veniva richiesto era in alcun modo strano, e dì insistere fino al
punto da sollecitare l’amico a chiarire meglio gli aspetti convenzionali della conversazione.
DIMOSTRAZIONE SPERIMENTALE 2. VIOLARE L’INTERSCAMBIABILITà DEI PUNTI DI VISTA. Per
violare la presupposta interscambiabilità dei punti dì vista gli studenti dovevano entrare in un
negozio, scegliere un cliente, trattarlo inequivocabilmente come commesso e comportarsi in
modo legittimo e coerente con la situazione, senza far nascere in lui dubbi sullo status attribuitogli
per l’esperimento.
DIMOSTRAZIONE SPERIMENTALE 3. VIOLARE L’ASPETTATIVA PER LA QUALE CONOSCERE IL
RAPPORTO DI INTERAZIONE EQUIVALE AD UNO SCHEMA CONDIVISO DI COMUNICAZIONE. Schutz
ha suggerito che, dal punto di vista del membro di un gruppo, una condotta, così come una mossa
in un gioco, consiste in un evento collocato in un ordine sociale. Perciò, il carattere reale di un
evento viene fornito dall’attesa del suo avverarsi nell’ambito di un corpus di conoscenze,
socialmente sancito, dei rapporti sociali, che il membro utilizza e condivide con gli altri, e
viceversa, come identico schema di espressione e di interpretazione. Per violare tale attesa si è
chiesto agli studenti di trattare la situazione in maniera completamente “differente’’ da quella che
“effettivamente” era. Gli studenti dovevano trascorrere nelle proprie case dai quindici ai sessanta
minuti agendo come se fossero ospiti in una pensione. Dovevano comportarsi in maniera educata
e circospetta, evitare familiarità con gli altri, adoperare un registro linguistico formale e parlare
soltanto quando qualcuno si rivolgeva loro. In nove casi, su un totale di quarantanove, gli studenti
o rifiutarono di svolgere il compito (cinque casi), oppure il loro tentativo fu un “insuccesso”
(quattro casi). Quattro degli studenti che “non fecero il compito” dissero che avevano paura di
farlo. Un quinto disse che preferiva evitare il rischio di mettere in agitazione la madre che soffriva
di disturbi cardiaci. In due dei casi di “insuccesso”, i membri della famiglia considerarono fin
dall’inizio il compito come uno scherzo e si rifiutarono, nonostante le ripetute richieste degli
sperimentatori, di cambiare atteggiamento. Una terza famiglia ritenne che stava succedendo
qualcosa di nascosto, ma che qualsiasi cosa fosse, comunque non li riguardava. Nella quarta
famiglia, il padre e la madre notarono che la figlia si stava comportando in modo “estremamente
gentile” e che senza dubbio lo faceva perché voleva qualcosa che dì lì a poco avrebbe rivelato. Nei
rimanenti quattro quinti dei casi, i membri della famiglia erano sbalorditi, cercavano con tutti i
mezzi di rendere intelligibili quelle strane azioni e di riportare la situazione alla normalità. I
resoconti deli studenti erano pieni di espressioni di stupore, sconcerto, shock, ansia, imbarazzo e
collera, e di accuse che lo studente era meschino, gretto, sconsiderato, egoista, villano e scortese.
I membri delle famiglie esigevano spiegazioni: Ma che succede?, Che c’hai?, Sei stato licenziato?,
Sei malato?, Perché fai così il superiore?, Perché sei arrabbiato?, Sei fuori di testa o sei
semplicemente stupido?. Uno studente imbarazzò tremendamente la madre davanti alle sue
amiche chiedendole il permesso di prendere una merendina al frigorifero. «Permesso? Sono anni
che apri il frigo senza chiedere il permesso! Ma che cosa hai?. Una madre, infuriata perché sua
figlia le parlava solo quando veniva interrogata, cominciò ad urlare accusandola di mancanza di
rispetto e di insubordinazione, e si rifiutò di essere calmata dall’altra figlia. Un padre rimproverò
sua figlia per il disinteresse che mostrava per il bene degli altri e perché si stava comportando
come una bambina viziata. Talvolta i membri delle famiglie prendevano le azioni dei figli come
occasione per recitare una commedia domestica, che presto però lasciava posto all’irritazione e
all’esasperazione nei confronti dello studente che non sapeva ‘quando troppo è troppo’. I membri
della famiglia prendevano in giro “l’educazione” dello studente - «certo Mr. Dinerberg» - o
rimproveravano lo studente di comportarsi come un sapientone e generalmente rispondevano
all’educazione con sarcasmo.
Richiedevano spiegazioni per rendere comprensibili e giustificate le condotte dei figli. Li si
accusava di nascondere qualcosa di importante della quale la famiglia avrebbe dovuto essere al
corrente; si chiedeva loro se fossero sottoposti a stress per il troppo studio; se fossero malati o se
avessero litigato “di nuovo” con la fidanzata. Di fronte alla mancanza dì spiegazioni plausibili, la
persona offesa reagiva o allontanandosi, o cercando di isolare lo studente, o restituendo pan per
focaccia oppure reagendo con frasi del tipo: «Non dargli retta, è di nuovo nervoso!, «Non ci faccio
caso, ma aspetta che mi chieda qualcosa!*, «Non mi vuoi parlare? bene, e io ancora meno!,
«Perché devi sempre creare conflitti in famiglia?». Un padre seguì il figlio nella sua stanza
dicendogli; Tua madre ha ragione, non hai un buon aspetto e stai parlando in modo strano. Faresti
meglio a trovarti un’attività che ti consenta di lavorare meno e finire prima la sera. Al ché lo
studente replicò che si sentiva benissimo, che apprezzava la considerazione del padre, ma che
voleva soltanto un po’ di privacy. Il padre rispose in modo adirato: -Non voglio più sentire cose del
genere. E, se non riesci a trattare in modo decente tua madre, sarebbe meglio che te ne vada a
vivere per conto tuo!». Non ci furono casi irreparabili in cui non è stato possibile ristabilire la
situazione in seguito alla spiegazione da parte dello studente. Ciò nondimeno, nella maggior parte
dei casi i componenti delle famiglie trovarono la cosa non divertente e solo in rafi casi trovarono
istruttiva l’intera esperienza, come sarebbe dovuta essere in realtà secondo la tesi dello studente.
La sorella di uno studente, dopo aver sentiro la spiegazione, chiese formalmente, per conto della
famiglia: -Per favore, non ripetere mai più un esperimento del genere! Non siamo cavie, sai?».
Qualche volta la spiegazione è stata accettata, ma non senza rancore. In parecchi casi gli studenti
affermarono che la spiegazione lasciava loro, le loro famiglie o entrambi, perplessi. Si chiedevano,
riguardo alla spiegazione, fino a che punto essa fosse o meno determinata dal ‘ruolo’ assunto.
Ci furono anche dei risultati totalmente inattesi: (1) sebbene molti studenti si rappresentarono gli
eventi mentalmente prima ancora di realizzarli, solo pochissimi di loro hanno raccontato di aver
provato timore ed imbarazzo in questa fase; (2) sebbene eventi spiacevoli e inattesi si verificarono
con una certa frequenza, soltanto in un caso uno studente confessò d’aver provato un forre
rammarico; (3) pochissimi studenti affermarono di aver provato un immenso sollievo al termine
dell’ora dell’esperimento.
DIMOSTRAZIONE SPERIMENTALE 4. VIOLARE LA COMPRENSIONE, DI “CIÒ CHE TUTTI SANNO”,
GIUSTO PRESUPPOSTO PER LE AZIONI NEL MONDO REALE. 28 aspiranti studenti di medicina
dell’Università della California, a Los Angeles, dovevano sottoporsi individualmente ad un
colloquio sperimentale di tre ore. Nella fase di ricerca dei soggetti da sottoporre all’esperimento,
cosi come all’inizio del colloquio, lo sperimentatore (Sp) si presentò come un rappresentante di
una Scuola Medica Orientale, che cercava di capire come mai il colloquio di ammissione alla Scuola
Medica comportasse tanto stress. La speranza era che l’identificazione dello sperimentatore come
persona collegata alla Scuola di Medicina avrebbe ridotto la possibilità per gli studenti di “lasciare
il campo” una volta iniziato il procedimento di violazione dell’accento in oggetto. Nella seguente
descrizione risulterà evidente come le altre due condizioni, (a) gestire la ridefinizione della realtà
sociale in un arco di tempo insufficiente e (b) non essere in grado di contare su un sostegno
consensuale per una definizione alternativa della realtà sociale, siano state pure soddisfatte. Dopo
che questa fase del colloquio fu completata, fu comunicato allo studente che gli interessi della
ricerca del rappresentante erano stati soddisfatti. Allo studente fu chiesto se voleva ascoltare la
registrazione di un autentico colloquio di ammissione; già svolto. Tutti mostrarono interesse ad
ascoltare la registrazione. In realtà, la registrazione tra “l’intervistatore” della Scuola di Medicina e
un “candidalo” non era autentica, ma costruirà ad arte per l’occasione. Si voleva che il candidato
apparisse come tozzo, con un linguaggio sgrammaticato e che usasse un registro colloquiale
durante l’intervista; era inoltre evasivo, contraddiceva l’intervistatore, si vantava, criticava altre
Scuole e altre professioni, insisteva nel sapere com’era andato nel colloquio, e così via8. Subito
dopo aver ascoltato la registrazione, lo studente sottoposto all’esperimento doveva stilare delle
valutazioni dettagliate del candidato. Successivamente allo studente furono fomite le informazioni
contenute nella “scheda ufficiale del candidato”. Queste informazioni furono manipolate in modo
tale da contraddire di proposito i punti principali della valutazione dello studente. Lo studente fu
informato dell’ammissione del candidato e del fatto che non aveva in alcun modo deluso le
aspettative riposte in lui dall’intervistatore e dai “sei psichiatri”. In seguito, gli studenti furono
invitati ad ascoltare la registrazione una seconda volta e ad esprimere un’ulteriore valutazione sul
candidato.
RISULTATI. 25 dei 28 studenti si sono lasciati convincere. Ciò che segue non vale per quei tre
convinti che si trattasse di un inganno. I soggetti gestivano le incongruenze delle informazioni
sulle performances dei candidati sforzandosi in ogni modo di renderle compatibili con il loro
originario giudizio. Dei 25 studenti che si sono lasciati convincere, 7 non riuscirono a risolvere
l’incongruenza: non capivano come potevano essersi sbagliati su una questione così ovvia e non
riuscivano a farsene una ragione. In altre parole, gli studenti erano disponibili ad accettare e a
condividere il “quadro generale”, ma soffrivano ogniqualvolta si presentavano particolari
incongruenti con esso. Osservazioni relative al “quadro generale” erano arricchite con aggettivi
superlativi (del tipo “estremamente” controllato, “molto” naturale, “assai’” sicuro,
“tranquillissimo”), ma di fatto totalmente opposti a quelli originali. Inoltre, l’apprezzamento del
modo in cui l’intervistatore conduceva il colloquio, per esempio sorridere quando il candidato
dimentica di offrigli una sigaretta, gettava nuova luce su alcuni passaggi dei colloqui e giustificava
il loro uso dei superlativi. Tre studenti, convinti dell’inganno, continuarono a pensarlo per rutta la
durata del colloquio e non mostrarono alcun turbamento. Due di loro provarono un evidente
disagio quando furono congedati senza che l’inganno fosse staro rivelato. Altri 3 patirono in
silenzio provocando inavvertitamente confusione nello sperimentatore. In conclusione, 22 dei 28
studenti manifestarono un intenso sollievo – per 10 di loro corredato da forti espressioni – quando
fu svelata la messa in scena. All’unanimità dissero che la notizia dava loro la possibilità di
riconsiderare valido il punto di vista originale. Sette studenti ebbero bisogno di essere convinti
dell’inganno. Quando questo fu svelato loro, essi chiesero all’intervistatore a cosa, a questo punto,
avrebbero dovuto credere e se le stesse facendo al solo scopo di farli sentire meglio. Ad ogni
modo, senza usare mezzi termini, tutto ciò che era necessario dire – menzogne o verità – fu detto
con l’unico obiettivo di ripristinare la verità: che effettivamente si era trattato solo di un inganno.
Commenti su alcune modifiche dell’atteggiamento della vita quotidiana
L’atteggiamento della vita quotidiana fornisce all’ambiente percepito di una persona la definizione
di ambiente di realtà sociale conosciuta in comune con altri. I sociologi sì riferiscono a tale
ambiente con il termine “cultura comune”. L’atteggiamento della vita quotidiana è costitutivo
delle comprensioni comuni istituzionalizzate dell’organizzazione pratica quotidiana e del
funzionamento della società visti dal “di dentro’’. Le modifiche dei suoi presupposti, perciò,
alterano i reali ambienti dei membri della società. Tali modifiche trasformano un ambiente di
oggetti reali, socialmente definito, in un altro ambiente di oggetti reali.
Una seconda modifica consiste nella trasformazione cerimoniale di un ambiente di oggetti reali in
un altro. Abbiamo fatto accenno precedentemente a come simili modifiche avvengano nei casi di
gioco, quando si va a teatro, nella conversione religiosa, nella “convenzionalizzazione” e nelle
indagini scientifiche. Se per ciascuno di questi casi si dovesse chiedere dove va la persona o da
dove viene richiamato quando smette dì giocare, o viene ammonito a smettere di giocare. In ogni
caso egli fa ritorno alla sua vita solita o ci si attende che dia dimostrazione della propria
comprensione delle interpretazioni comuni istituzionalizzate delle organizzazioni e del
funzionamento della società di tutti i giorni, ossia delle sue “circostanze pratiche”.
Una terza modifica consiste nelle trasformazioni strumentali di veri ambienti di oggetti,
trasformazioni che avvengono, ad esempio, in stati di psicosi sperimentalmente indotti, in casi di
estrema fatica, di privazione sensoria acuta, quando si fa uso di sostanze allucinogene, quando ci
sono lesioni cerebrali, e cosi via. A ciascuno di questi corrisponde la modifica dei presupposti, da
una parte, e delle strutture sociali prodotte dalle azioni orientate verso questi ambienti modificati,
dall’altro. Per esempio, soggetti a cui veniva somministrato acido lisergico presso la UCLA
Alcoholism Clinic frequentemente rispondevano ai quesiti, a proposito di quello che vedevano
nella stanza, con osservazioni di rimprovero per la banalità delle domande loro poste dallo
sperimentatore.
Una quarta modifica consiste nella “scopetta della cultura” da parte degli antropologi e dei
sociologi. Si tratta della scopetta, dall’interno della società, della conoscenza di senso comune
delle struttole sociali e del tentativo di trattare l’azione e la conoscenza di senso comune come
oggetti di interesse puramente teorico, scientifico e sociale, la modifica dell’atteggiamento e delle
azioni di senso comune, in quanto oggetti, si evince dai tentativi – da parte dei sociologi – di
fornire, attraverso i loro atteggiamenti e metodi, i procedimenti con i quali l’atteggiamento di
senso comune, le azioni e la conoscenza delle strutture sociali vengono ricondotte nell’ambito
della teoria sociologica, che ne definisce le caratteristiche essenziali. Nelle loro idee, se non
proprio ancora nella pratica attuale, i sociologi in questo modo si sono prefissati lo scopo di
individuare una definizione del tutto nuova delle “reali strutture sociali”. Poiché le attività e gli
ambienti di senso comune sono allo tesso tempo oggetto ed elementi caratterizzanti l’indagine
sociologica, l’interesse a descrivere le caratteristiche effettive dell’atteggiamento e dei metodi
sociologici come possibili modifiche dell’atteggiamento e dei metodi del senso comune – in pratica
la ‘scoperta della cultura” – riordina i problemi della sociologia della conoscenza e li colloca
proprio nel cuore dell’impresa sociologica.
Nel suo saggio Lo straniero (1944), Schutz parla di una quinta modifica che lui descrive come la
“cessata messa alla prova” dei presupposti dell’atteggiamento. Per Schutz l’estraneo è la persona i
cui tentativi di assegnare al senso inteso delle apparenze gli attribuii dell’atteggiamento della vita
quotidiana producono situazioni di cronico sbaglio. Egli diventa, dice Schutz, la persona che deve
mettere in dubbio praticamente ogni cosa che sembra indiscussa per i membri del gruppo in cui
egli cerca appartenenza. I suoi schemi di interpretazione, fino a quel punto solidissimi, diventano
invalidati e non possono essere utilizzati come schema per orientarsi nei nuovi confini sociali. Lo
straniero utilizza con difficoltà la cultura del gruppo di cui vorrebbe entrare a far parte – il suo
schema di orientamento – perché non si può fidare di essa. L’uniformità apparente del modello
culturale, valida per i membri del gruppo, non esiste per lui. Egli deve continuamente realizzare i
suoi in[eressi e allo stesso tempo affrontare le discrepanze ’ fondamentali tra il suo modo di
vedere e gestire le situazioni e quello dell’altro. Certe situazioni, che i membri del gruppo
interpretano al volo e gestiscono con appropriate soluzioni, risultano particolarmente
problematiche e prive di ovvietà di senso o di conseguenze per lui. Dal punto di vista del membro
del gruppo, l’estraneo è un uomo senza storia. E, inoltre, e questo è un punto importante, la sua
crisi è una crisi personale.
Nei termini di questo lavoro, per l’estraneo gli aspetti delle scene di interazione percepite come
normali sono particolarmente problematiche. Per estraneo intendiamo la persona i cui diritti di
gestire decisioni di sensibilità, di oggettività e di garanzia senza interferenza degli altri – in altre
parole la sua competenza – non possono essere dati per scontati né da parte sua né da parte degli
altri. Ogni lingua offre una gamma di tipi sociali per designare coloro che non utilizzano tali
assunti o per i quali questi sono considerati non operativi (ad esempio i bambini, gli adolescenti,
gli anziani, gli estranei, i pedanti, gli sciocchi, gli ignoranti e i barbari). Gli status istituzionalizzati
più adoperati per designare le persone prive di senso pratico sembrerebbero essere quelli
alternativi di criminalità, malattia, immoralità, incompetenza. Dal punto di vista organizzativo, alle
persone prive di senso pratico non solo non viene attribuita fiducia ma sono esse stesse persone
che non ripongono fiducia, In altre parole, si potrebbe pensare alle persone affidabili, e che
ripongono fiducia negli altri, come a quelle persone capaci di gestire le discrepanze rispetto a tali
assunti e conferire loro rispetto quando sono in pubblico.
Il fatto che le modifiche dell’atteggiamento della vita quotidiana includono simili possibilità, cioè
possono essere apprese, trasformate in modo cerimoniale e strumentale, scoperte, violate o
essere rese non operative, attribuisce all’atteggiamento stesso un ruolo rilevante quando si tenta
di spiegare una interazione sociale stabile, uniforme, persistente e continuativa. Nel riconsiderare
le modifiche dell’atteggiamento della vita quotidiana, e dì tutto ciò che lo riguarda, si comincia a
capire perché il tema del senso comune sia stato un tema fondamentale in tutte le filosofie
predominanti. Inoltre, si capisce anche perché il fenomeno del pensare di senso comune, delle
azioni e della conoscenza di senso comune, sia un tale elemento così ricorrente, fortemente
idealizzato e difeso da qualunque gruppo stabile, Ovviamente una simile attenzione al tema non fa
altro che indicare l’atteggiamento e gli ambienti di senso comune come dei fenomeni
problematici, Questo però non definisce i termini del problema. Parte della grandezza di Schutz
come sociologo consiste nel fatto di aver gettato le basi e di aver permesso agli altri di
intraprendere tale strada. Con questo lavoro io ho cercato di dare il mio contributo.
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