Il Teatro e il Sacro a cura di Roberto Cuppone ed Ester Fuoco Accademia Olimpica Largo Goethe, 3 - 36100 Vicenza tel. 0444 324376 e-mail: [email protected] Proprietà letteraria e artistica riservata Questa pubblicazione è stata realizzata grazie al contributo del DIRAAS (Dipartimento di Italianistica, Romanistica, Antichistica, Arte e Spettacolo) dell'Università di Genova prima edizione: ottobre 2019 edizione cartacea: 978-88-6789-097-2 edizione digitale (pdf): 978-88-6789-098-9 www.celid.it [email protected] INDICE 7 Iaculatoria di Roberto Cuppone Ab initio: ipotesi e provocazioni dalla storia 23 Alberto Camerotto Blasfemie olimpiche 39 Giorgio Ieranò Bestemmiare Dioniso: il tea­tro del sacro nelle Baccanti di Euripide 55 Luciano Chiodi Il caso Elettra 65 Sandra Pietrini Figure dissacranti e blasfeme nell’iconografia medievale 93 Simona Morando Il Barocco e la spettacolarità ambigua del sacro: qualche esempio 111 Elena Randi Il Sacre di Vaclav Nižinskij: danza e rito 129 Franco Perrelli Un esempio di dramma sacro moderno: Il Verbo di Kaj Munk 141 Fabrizio Fiaschini Il segno blasfemo: tea­tro, memoria e attualità del sacro 163 Paolo Puppa Da Pirandello a Pasolini: la sacralità dell’osceno 171 Andrea Savio Processi per bestemmia nel Veneto asburgico 177 Massimo Celegato Blasfemia, offesa a Dio: alcune suggestioni etimologiche In limine: testimonianze e critiche dalla cronaca 183 Lorenzo Donati Dal sacro al quotidiano: esempi tea­trali recenti 193 Vincenza Di Vita Sui capolavori crocifissi (Carmelo Bene e altre catastrofi) 199 Fabio Francione Come una ditata in fronte: Testori e il sacro 207 Massimo Marino Sul concetto di volto del figlio di Dio di Romeo Castellucci e altre censure 215 Gabriele Sofia Corpo osceno e corpo sacro in Golgota Picnic di Rodrigo Garcia 227 Ester Fuoco Contro un panteismo bigotto: Jesus dei Babilonia Teatri 241 Camilla Lietti Ridere degli dei: dalle Grandi Dionisie a Jan Fabre 249 Elena Scolari Morire in libertà: il caso Englaro a tea­tro 255 Rossella Menna Poesia e santità nel tea­tro di Armando Punzo 261 Oliviero Ponte di Pino Dopo la strage di «Charlie Hebdo»: la libertà degli artisti nell’era del fondamentalismo 283 Il sacro nel tea­tro della mente di Vittorino Andreoli 293 Gli spettacoli dello «scandalo» (per una tea­trografia degli spettacoli citati) a cura di Ester Fuoco 311 Indice dei nomi Lorenzo Donati DAL SACRO AL QUOTIDIANO: ESEMPI TEA­TRALI RECENTI Nella scena contemporanea si assiste al tentativo di riportare all’attenzione un dialogo con il sacro. Fra le molte dimensioni evocate da tale concetto, specifichiamo che non si tratta qui della santità dell’attore di ascendenza grotowskiana, per quanto non siano assenti nel tea­tro attuale riferimenti a una ricerca della disciplina come via d’accesso per l’espressività, e che si sostanzierebbe in una sorta di laica religiosità dell’artigianato attorale. Non si sta nemmeno parlando della linea “rituale” della performance studiata da Richard Schechner1. Quello a cui assistiamo è il tentativo di approssimarsi a una dimensione sacra ricercata nelle piccole cose, nelle vicende della vita quotidiana, utilizzando il tea­tro come possibilità linguistica in grado di mediare tale osservazione. Proprio il tea­tro sembra in grado di farsi lente per praticare tale sguardo, evitando il rischio del passatismo, ma al contrario riacquistando spessore e credibilità. Nel testo che segue cercheremo di descrivere alcuni spettacoli che seguono tale direzione, assecondando l’intento sperimentale che condividiamo con Rete Critica2; non si intende qui presentare gli esiti di una ricerca conclusa, ma condividere appunti di lavoro in divenire. Giorgio Agamben descrive il passaggio dal sacro al quotidiano introducendo il concetto di profanazione3. Le tesi del filosofo bene si adattano a interpretare gli esempi tea­trali che faremo. Oltre a questo Cfr. R. Schechner,.Introduzione ai Performance Studies, Imola, Cue press, 2018. Si veda «https://retecritica.wordpress.com». 3 Cfr. G. Agamben, Profanazioni, Roma, Nottetempo, 2005. 1 2 184 lorenzo donati studio, faremo uso di riflessioni e pensieri di critici4 nel tentativo di segnare i confini di un ragionamento dai tratti collettivi, capace di porre una domanda al senso stesso del fare tea­tro oggi; per anticipare le conclusioni, tale passaggio dal sacro a al quotidiano sembra occasione per ripensare il tea­tro stesso, offrendogli nuove possibilità. Rifacendosi alla legislazione romana, Agamben svela il carattere di separazione della sfera religiosa. Qualcosa che viene profanato, dunque, viene restituito all’uso quotidiano della comunità. Mettendo in campo la teoria dei giochi di Emile Benveniste (quando si gioca si «degrada un rituale», liberandone le potenzialità senza abolirle), attraversando il «capitalismo come religione» di Walter Benjamin, dove tutto è separato perché tutto è utilizzato e venduto, dunque nulla davvero lo è, Agamben sprona a un’azione capace di strappare ai dispositivi le possibilità d’uso che questi hanno requisito. Invita dunque a rimettere in discussione ogni relazione obbligata fra azioni e fini, disattivando usi obbligati, in altre parole svelando gli inceppi e permettendo relazioni diverse, non pensate. La tesi che vorremmo avanzare, sulla scorta di questo studioso, è quella di un possibile utilizzo del tea­tro come linguaggio in grado di collaborare a svelare i meccanismi “legati” (religo) al centro della società, ampliando la sua focale dalla religione in senso stretto ai rapporti umani concreti, come quelli familiari e amorosi. Può il tea­tro diventare strumento che sveli la natura di dispositivo di alcune relazioni? Così facendo, sarà in grado di riacquisire importanza nel discorso culturale contemporaneo? Nel fondamentale Fra Totò e Gadda. Sei invenzioni sprecate del tea­ tro italiano5, Claudio Meldolesi introduce l’importanza di un carattere «carsico» delle invenzioni nella storia del tea­tro italiano, come se certi discorsi di innovazione si inabissassero e riemergessero producendo conseguenze inaspettate in altri linguaggi e poetiche. Per parlare del tea­tro recente, dunque, gioverebbe ricostruire almeno certe temperature e domande messe in luce dai lavori delle generazioni tea­trali 4 Fra i molti, vale la pena qui segnalare: M. Marino, St-Art Up Teatro: il sacro, lo sguardo, in «Doppiozero», 1 ottobre 2015, http://bit.ly/29sIZg4. 5 Cfr. C. Meldolesi, Fra Totò e Gadda. Sei invenzioni sprecate dal teatro italiano, Roma, Bulzoni, 1987. dal sacro al quotidiano 185 precedenti, che hanno avuto il merito di portare alcune questioni al centro del discorso culturale tea­trale. Penso in questo caso alla figura ostesa, sospesa come se stesse levitando, interpretata da Ermanna Montanari in Lus, spettacolo del Teatro delle Albe che ha debuttato nel 1995, con una ripresa, o seconda versione, del 2005. Con la scrittura poetica di Nevio Spadoni, le Albe raccontano di una donna romagnola scacciata dalla comunità, separata, messa al bando dal prete che l’ha disseppellita e posta in terra non consacrata. Nella messa in scena domina il controluce, non si può vedere tutto, la visione non è mai pacificata, diafana. Scrive Ilenia Carrone su «Doppiozero»: «Bêlda, schivata dal resto della comunità. La gente non vuole avere niente a che fare con quella che è considerata una strega, una sorta di veggente che sa leggere i segni del corpo e li sa curare con quelle che sono le risorse della natura. La comunità le sta alla larga, non vuole mescolarsi a lei e al suo cammino, la disprezza e la tiene ai margini dell’incontro sociale»6. Eppure la Bêlda, dai suoi margini, forse proprio grazie a questi margini, riesce a intessere un dialogo col sacro, a riportarlo in un orizzonte quotidiano, maneggiabile potenzialmente per sé e per gli altri: ma il Signore, / se c’è un Signore lassù nel cielo, / vuoi che non se ne accorga? / Perché quel che è giusto è giusto, / e per me che tengo in pugno / tutti i segreti degli uomini, / verrà il giorno / che mi scoppierà il cuore / a pensare che in questo paese / tutti mi scansano / perché sono la Bêlda / la donnaccia che di notte prepara / tre fili di lana rossa / lunghi tre spanne / fatti a treccia con tre nodi in cima / per risollevare l’anima caduta / pregando San Cosma / e San Damiano, / San Nicola e Santa Sofia / Sant’Antonio con i suoi maiali / San Lorenzo con la graticola / San Michele, San Martino / Santa Barbara e Apollinare!7 Proseguendo: «Mi sono caricata sulle spalle / tutti i vostri mali: / sono diventati i miei, / sono tutta un dolore / non respiro più». Si tratta qui di un solo esempio possibile per approcciarsi a un archivio di ragionamenti sul sacro tutto da costruire e verificare, un antecedente che marca la presenza di un discorso a tratti emerso e 6 I. Carrone, Lus, sul filo del dolore, in «Doppiozero», 22 gennaio 2015, http://bit. ly/29lTUVZ. 7 N. Spadoni, Lus, in Teatro in dialetto romagnolo, Ravenna, Edizioni del Girasole, 2003. 186 lorenzo donati a tratti sotterraneo, e la cui indagine andrebbe certamente compiuta lungo il corso del novecento. Tra gli esempi tea­trali più recenti: nel 2007, Rialto Sant’Ambrogio di Roma, spazio autogestito; la compagnia è Fibre Parallele, lo spettacolo Mangiami l'anima e poi sputala. Cristo è sulla croce, d’improvviso si anima, scende e chiede una sigaretta. Verrà accudito da una donna tutta «chiesa e chiesa», che scoprirà un Cristo più carnale di quanto abbia mai creduto. Mangia, questo Cristo, abbraccia e tocca una donna che lo accudisce, fa ginnastica mentre in audio si ascoltano le quotidiane e bigotte prediche di Radio Maria. Per la donna la divinità è presente in una dimensione quotidiana, eppure è anche ossessivamente separata. Il suo amore, infatti, è tutto mentale, vieta al corpo di esprimersi, di maneggiare, di toccare. Scrive Carlotta Tringali su Il Tamburo di Kattrin: prendendo le mosse dalla passione di Cristo e ribaltandola, i fondatori della compagnia Licia Lanera e Riccardo Spagnulo sono due personaggi, non del tutto sconosciuti – fra tradizione biblica e luoghi comuni – che si incontrano: lei, sola e devota, invoca chi sulla croce è morto immolandosi per amore; lui si pulisce le macchie di sangue che hanno identificato il suo costato per più di duemila anni e scende dalla croce per rispondere alla chiamata della povera donna. È l’inizio di un amore e, proprio come dice timidamente Licia Lanera «i fiori spuntano dalle crepe dell’asfalto»; nessuno se lo aspetta: «se Cristo è una sorta di zingaro dall’accento slavo, più dedito alle passioni carnali che a una divina spiritualità, la protagonista femminile personifica tutti gli stereotipi di un Meridione fortemente attaccato alla religione e dalla devozione assidua» 8. Altro gruppo che recentemente ha guardato al sacro da molto vicino è Babilonia Teatri9. Jesus è un lavoro del 2014 che discute e smonta l’idea stessa di una religiosità ormai commerciale, perché stravista, famosa, oggetto di marketing, nel tentativo di recuperarne un senso e un uso non «consumati». Vale comunque la pena di citare l’opinione del critico Andrea Porcheddu, che aggiunge un importante tassello al ragionamento «collaborativo» che stiamo tentando di condurre, pur portandolo su una sponda apparentemente distante: 8 9 http://www.iltamburodikattrin.com/interviste/2013/intervista-fibre-parallele/. V. qui oltre E. Fuoco, “Contro un panteismo bigotto: Jesus dei Babilonia Teatri”. dal sacro al quotidiano 187 l’arte, si sa, è sempre stata «sacra»: abbiamo musei pieni di Madonne. Ma, nelle derive misticheggianti, esoteriche, esotiche, confessionali, credenti, ortodosse, fatte di improbabili e fanatiche Sentinelle in piedi o di allucinanti Militiae Christi, che si avvertono in Italia, il tea­tro – ma lo dico sommessamente, è un parere personale – potrebbe e dovrebbe difendere qualche traccia di sana laicità10. La laicità evocata da Porcheddu in realtà sembra assomigliare molto a questo sacro quotidiano, maneggiabile, manipolabile che stiamo discutendo. Nel 2015 debuttano due spettacoli entrambi prodotti grazie a quell’importante polo di riflessione e sprone che è il festival Teatri del Sacro, a Lucca11. Io, mia moglie e il miracolo è uno spettacolo del gruppo Punta Corsara, per la regia di Gianni Vastarella. Noi spettatori siamo al cospetto di una coppia la cui figlia vive fuori casa, grazie a un così denominato «tempo prolungato integrale». Siamo in un presente rarefatto, i personaggi dialogano di fronte a noi rappresentando dei tipi: una prostituta, lo sceriffo, il matto del villaggio, lo straniero. Nottetempo il paese è scosso da accadimenti che ne turbano la normalità; gli attori recitano frontalmente, quasi a sottolineare la dimensione metonimica del loro rappresentare. In un finale potenzialmente catartico, lo straniero, portatore del soprannaturale, svela l’esatta e violenta consistenza della realtà. Una possibilità d’uso, pensata come «divina» e staccata dalla realtà, viene così rivelata. La realtà si mostra molto meno misterica di quanto credevamo; l’assenza della figlia si può dunque spiegare; adesso sta a noi decidere se continuare a nasconderci dietro al sacro, dietro alla sua natura che spesso giustifica senza appunto spiegare. Come scrive Mario Bianchi: in Io, mia moglie e il miracolo Vastarella, mescolando sacro e profano, cinema di genere a Ionesco con una spruzzata di Scimone e Sframeli, imbastisce una sorta di apologo surreale sulla famiglia di forte valenza espressiva, nel quale è coinvolta generosamente tutta la compagnia. Nello sviluppo dello spettacolo, di questi personaggi in apparenza surreali, mossi da ragioni imperscrutabili e avvolti in un’atmosfera rarefatta, capiremo a poco a poco le ragioni oscure, sino A. Porcheddu, E un tea­tro laico?, in «L’inkiesta», 26 ottobre 2014, http://bit. ly/29sMyCF. 11 Il festival è diretto da Fabrizio Fiaschini; cfr. qui sopra F. Fiaschini, Il segno blasfemo: tea­tro, memoria e attualità del sacro. 10 188 lorenzo donati al lancinante finale, in cui l’unico a rimetterci sarà proprio colui che possiede in sé la santità, colui che si troverà troppo solo in un mondo terribile che non crede più che ai miracoli12. Nello stesso anno, e sempre ai Teatri del Sacro, debutta Senza volontà di cattura, Francesco, di Roberto Corradino. Si parte da un assunto, in linea con il nostro ragionamento: Francesco d’Assisi è più vicino e quotidiano di quanto non immaginiamo. Lasciamo sullo sfondo le agiografie, le immagini di Giotto, Van Eyck, Cimabue, Guido Reni e di tutti gli altri. Non pensiamo a Rossellini, Pasolini, Dario Fo; le sue domande, i suoi dubbi, i suoi tormenti possono essere molto simili ai nostri, pur nell’esemplarità della sua condotta. Viene da chiedersi se ci si possa davvero approssimare a Francesco con questa attitudine. Lo si può osservare da vicino, da così tanto vicino? Si alzano le luci, un ragazzo e una ragazza dialogano: «Che tipo, Francesco». Chi era, veramente? Un leader? Un dittatore? Si alternano nel racconto diversi personaggi come Madonna Povertà, il padre e la madre di Francesco, Sorella Mente (la Chiesa), Fratello Carne. Il dialogo fra attori e attrici cede il passo a racconti fisici, la naturalità del colloquio diviene costruzione della scrittura scenica. Disposti a piramide, gli attori evocano la conversione e il matrimonio con Madonna Povertà. Viene montata una tenda da campo e sembra di stare di fronte al fuoco, in cerchio, d’estate, durante un falò fra amici. Si forma un cerchio; Francesco/Corradino ripete ai suoi adepti una frase che diventa mantra: «O lo fai, o non ce la fai». Discutono del Vangelo, dei Salteri, della necessità di rispettare la regola e di mollare tutto, dagli appetiti alimentari alla propria collezione di dvd. «O lo fai, o non ce la fai», in un’analogia fra vocazioni che affianca religione e arte. Questo Francesco per Corradino e per i suoi attori è tutto quello che si è perso, tutto ciò a cui vorremmo arrivare, è qualcosa che è divenuto inconcepibile per tanta lontananza ma che non dobbiamo fare a meno di inseguire, come nei vertici dell’arte. Come collocare questo passaggio dal sacro a quotidiano, dunque, questa tensione alla profanazione? Può diventare un discorso di cui il tea­tro possa giovare, abitando i confini di una religiosità usata M. Bianchi, La famiglia di Punta Corsara tra miracoli e stereotipi, in «Krapp’s Last Post», 25 giugno 2015, http://bit.ly/29lZ6cp. 12 dal sacro al quotidiano 189 anche come lente per osservare le relazioni amorose e familiari? Per trarre qualche provvisoria conclusione credo sia utile mettere in gioco alcuni concetti, validi come indicazioni per osservare il tea­tro del presente, ma anche come tensioni per pensare il tea­tro del futuro. Il tea­tro può contribuire al passaggio fra sacro e quotidiano in un più generale quadro di «espansione dell’arte», riportando al centro una delle domande di fondo dell’uomo (chi e cosa cerchiamo?) solo a patto di essere consapevole di stare debordando, uscendo dai suoi ambiti per entrare nella società. Vediamo queste ipotesi una per volta. Nel recente L’arte espansa13, il filosofo Mario Perniola riflette su quella che definisce «svolta fringe» dell’arte, una tensione che avvicinerebbe l’arte a pratiche quotidiane, di confine, quasi amatoriali, operabili da chiunque. Non si compete più con la società della trasparenza attraverso l’abietto (la risposta del «ritorno del reale» degli anni ‘90), ma con un recupero della dimensione invisibile diventata «quotidiana», rimessa in circolo per molti. Un’arte quotidiana e avulsa dagli specialismi, dunque, a cui corrisponde un sacro divenuto nuovamente maneggiabile e quotidiano anche grazie al tea­tro. Intervenendo rispetto al caso di accuse di blasfemia rivolte al lavoro di Angélica Liddell, Roberto Cuppone introduce la domanda “chi cercate?”: E vengo più precisamente al Sacro – non che tutto questo non lo sia. Cioè sempre ai caprai greci. Ignari delle quote latte, di là da venire, nella tragodìa (tragedia) danzavano per Dioniso vestiti di pelli di capra con vistose protesi falliche (che all’epoca, diversamente da oggi, sembra venissero semplicemente salutate come segno di buona salute); dunque il tea­tro in origine è un rito, una cerimonia religiosa. Come del resto nel Medioevo riaffiora in quella domanda, “Quem quaeritis?”, “Chi cercate?”, che l’Angelo rivolge alle Marie, il Cielo alla Terra, nella liturgia pasquale; da cui evolvono dieci secoli di drammi liturgici, sacre rappresentazioni e finalmente drammi profani. Perché adontarsi oggi se qualcuno cerca di ricordarsi la vera funzione del tea­tro, quella domanda “chi cercate”?14 Cfr. M. Perniola, L’arte espansa, Torino, Einaudi, 2015. R. Cuppone, Bestemmie Olimpiche per Angelica Liddell, in «Atea­tro», 30 agosto 2015, http://bit.ly/29sOoUo. 13 14 190 lorenzo donati Un tea­tro che favorisce il passaggio del sacro in una dimensione quotidiana, un tea­tro che, così facendo, deborda, come ha rimarcato Roberta Ferraresi in un convegno svoltosi fra Modena e Bologna nel 2015: ad ogni modo, quando l’arte dà scandalo, sembra subire uno slittamento – è qualcosa che salta subito agli occhi. L’attenzione, che in origine verteva (o avrebbe dovuto vertere) su di essa, si sposta immediatamente dall’opera al campo della sua ricezione, interpretazione, valutazione […] in questi episodi l’opera d’arte supera abbondantemente i canoni delle modalità di fruizione passive o contemplative, si sposta nello spazio pubblico e innesca (nel migliore dei casi) dibattito, attivando prima il pubblico in sala e poi quello in senso lato dei cittadini, che magari non hanno visto il lavoro in questione ma sentono comunque di dover intervenire in merito […] Diceva François Lecercle, nel suo intervento che ha aperto il convegno bolognese, che uno degli elementi-chiave che consentono al tea­tro di dare scandalo è la sua capacità connaturata di poter debordare fuori da se stesso, nella società […] Quando il tea­tro eccede i limiti del proprio spazio diventa «osceno», appunto esce dalla scena. Ciò significa che quando parliamo dei rapporti fra scandalo e tea­tro rimandiamo in primo luogo a un territorio dove si negoziano le relazioni fra il mondo dell’arte e quello della realtà, dei suoi confini e delle sue norme […] il punto è – mi sembra – che quando l’arte si avvicina troppo alla realtà e prova a toccarla davvero, allora, lì, sì, dà scandalo15. Ripercorrendo gli esempi che abbiamo tentato di introdurre, ci pare dunque di potere affermare che questo spostamento dal sacro al profano rappresenti una formidabile chance linguistica per il tea­tro. Abbiamo visto alcuni esempi, che possono fungere, se vogliamo, da indicazioni di poetica: una visione in cui non tutto è trasparente; uno sguardo che proviene da biografie di personaggi marginali, esclusi; un’essenzialità della scena e della tecnica, che però contribuisce ad alimentare il «mistero» del racconto, senza eliminarne le ombre, un’essenzialità capace di porre una domanda al linguaggio tea­trale stesso. Ma, al di là di tali indicazioni linguistiche, occorrenze da intendersi come appunti di osservazione, quello che ci pare importante rimarcare è il movimento generale che riporta il tea­tro a porsi alcune domande sulla sua stessa funzione, sostenendo naturalmente R. Ferraresi, Lo scandalo del tea­tro. Ieri e oggi, in «Il Tamburo di Kattrin», 6 novembre 2015, http://bit.ly/29sOzim. 15 dal sacro al quotidiano 191 interrogativi che lo spostano in una posizione meno appartata, più vicina alle grandi domande dell’uomo. Un tea­tro quotidiano, che si pone domande alla base dell’esistenza, un tea­tro che deborda, per seguire le ultime indicazioni teoriche. Un tea­tro che, per concludere, attraversa il sacro, lo abita, lo discute, lo profana e così può riappropriarsi di orizzonti quotidiani; un tea­tro capace di svelare gli inceppi delle relazioni amorose e familiari, giungendo a interrogarsi sul senso dell’esistenza, ritrovando una delle sue funzioni originarie, riuscendo nell’impresa che tutti pensiamo necessaria, quella di uscire dai propri angusti confini.